A002408 FONDAZIONE INSIEME onlus

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A002408 FONDAZIONE INSIEME onlus
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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da psicologia contemporanea del 1-8-2014 <<LA BILANCIA DELL’AMORE.
DISCUSSIONI SULL’OMOSESSUALITÀ>> di Vittorio Lingiardi, (vedi nota
a fine pezzo). Vedi anche A003019.
Per la lettura completa del pezzo si rinvia al periodico citato.
Le discussioni sull’omosessualità svelano spesso l’influenza
di posizioni ideologiche mai completamente superate, non
affrontando l’analisi delle potenzialità della coppia e della
relazione amorosa.
Ecco la risposta all’articolo di Fornaro (vedi A003029)
Le coppie eterosessuali hanno lo stesso valore di quelle
omosessuali?
Ma certo! -rispondo di getto.
Dopo un secondo mi assale un dubbio.
Sulla domanda, non sulla risposta.
Qualcuno si sta davvero chiedendo se ci sono persone, amori,
relazioni che valgono meno di altre?
Rispetto a cosa?
Stiamo parlando di quotazioni in borsa?
Non mi piacciono le graduatorie sul valore umano.
Mi ricordano chi dice(va) che gli ebrei, i neri, le donne e,
immancabili, gli omosessuali, valgono meno.
Quando una cosa vale meno, si butta via più facilmente, si
tratta con meno cura.
In effetti, è sempre andata così.
E proprio ora che forse va un po’ meglio, qualcuno torna a
mettere i puntini sulle “i”: «pari dignità, ma minor valore».
Indegne e senza valore di cittadinanza erano le coppie
interraziali nell’America degli anni ‘50, alle quali per legge era
impedito di sposarsi.
Indegne le persone omosessuali nella Russia di Putin (e in
Uganda, in Iran, ecc.: è lungo il triste elenco), ma anche
contrarie «ai valori del nostro popolo» le leggi dell’Occidente
che le incoraggiano e proteggono.
Dunque prive di valore le parole di Barack Obama?
«Ritengo che le coppie dello stesso sesso debbano potersi
sposare. [...].
Ero restio a usare il termine matrimonio perché
evoca tradizioni molto forti e radicate.
E pensavo che le leggi
sulle unioni civili per conferire i diritti alle coppie gay e
lesbiche potevano essere una soluzione.
Ma nel corso degli anni
ne ho parlato con amici e familiari.
Ho pensato ai membri del
mio staff che hanno relazioni di lunga durata con persone dello
stesso sesso e che stanno crescendo dei bambini insieme. [...]
Mi sono reso conto che, a causa dell’ineguaglianza nel diritto al
matrimonio, le coppie dello stesso sesso che si amano non sono
considerate, ai loro occhi e a quelli dei loro figli, cittadini a
tutti gli effetti. [...]
Credo che, davanti alla legge, tutti
gli americani dovrebbero essere trattati allo stesso modo».
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LA GENERATIVITÀ COME FINE?
Una scala di valori richiede parametri.
Chi li stabilisce?
Dal vocabolario on line www.trecani.it/vocabolario: <<valere,
dal latino valere, essere forte, sano; essere capace; significare:
1__ a avere forza, potenza, autorità e prestigio. […] b essere
valoroso, capace. […] c avere un alto livello di competenza, di
capacità, di abilità (nella propria professione, nel proprio
mestiere, o in altro determinato campo) d avere forza ed efficacia
legale o logica […] e essere valido, vero […] f avere efficacia in
rapporto al raggiungimento di un fine g nello sport ed in vari
giochi, avere effetto, contare per la vincita o la perdita, essere
conforme alle regole […] 2__ a avere valore intrinseco, avere
pregio […] b avere un determinato prezzo […] e così via.
Rileggo le definizioni senza trovarne una specifica per la
coppia omosessuale.
Forse una fa al caso nostro: «avere efficacia in rapporto al
raggiungimento di un fine».
Non è questa la tesi di Mauro Fornaro?
Se il fine è la riproduzione, la coppia etero ha più
efficacia, e dunque vale più di quella omo.
La coppia omosessuale sarebbe il luogo della mancanza, dove
non si sviluppa «la medesima completezza relazionale di una coppia
eterosessuale riuscita», «manca l’integrazione come
complementarità delle diversità corporee», «manca l’apertura alla
generatività biologica».
Questa della mancanza, del resto, è un’antica fissazione
psicoanalitica.
Anche alle donne era attribuita una mancanza anatomica che
generava la ben nota invidia.
Azzardato il concetto-immagine di «complementarità
anatomica», e ancor più se impiegato come parametro per stabilire
il valore di una coppia e la sua riuscita.
Affermazione priva di riscontri non solo nella ricerca
scientifica, ma anche nel buon senso.
Basta essere «anatomicamente complementari» (traduco:
eterosessuali) per essere coppie riuscite?
Non sarebbe più calzante fare riferimento alla reciprocità
affettiva, alla capacità d’amare, di capire e rispondere ai
bisogni del partner e, se vi sono figli, di crescerli e accudirli,
fisicamente e psicologicamente?
Inoltre: davvero la procreazione è un parametro che consente
di stabilire il valore di una coppia?
Dunque una coppia che ha messo al mondo dieci bimbi avrebbe
più valore di una coppia che ne ha solo uno o, peggio, che non ne
ha affatto.
Limitare al concepimento il contributo di una coppia alla
comunità mi sembra, nel migliore dei casi, un approccio naif che
trascura la ricchezza, le potenzialità e la bellezza dei molti
modi in cui gli esseri umani possono incontrarsi.
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È relegare l’esperienza umana alla mera biologia e a un
evoluzionismo fine a se stesso.
A furia di denunciare l’”iperculturalismo” si finisce per
cadere nel l’”iperbiologismo”.
E poi, se il fine di una coppia fosse la riproduzione, la
bilancia psico-filosofica di Fornaro sarebbe più precisa se
soppesasse le differenze tra coppie sterili e coppie feconde, e
non tra coppie omo e coppie etero.
Fino a sostenere che una coppia di genitori adottivi varrebbe
meno di una coppia di genitori fecondi.
È così?
Le persone sterili o che scelgono di non avere figli valgono
meno di quelle feconde e prolifiche?
Goebbels aveva sei figli e Proust non si è riprodotto.
Goebbels vale di più?
Le persone sterili o che scelgono di non avere figli valgono
meno di quelle feconde e prolifiche?
ESISTE UN GENITORE IDEALE?
Misurare il valore di una coppia a partire dalla generatività
mi sembra tra l’altro un modo per sminuire lo stesso concetto di
genitorialità.
Non è anche l’inizio di una vita e, si spera, di un progetto?
Una volta nato, il bambino deve essere accudito, amato e
cresciuto dai genitori che possono essere, ma possono anche non
essere, quelli biologici.
Anteporre l’importanza della generatività a quella della
genitorialità mi sembra un modo di “declassare” non solo le coppie
omosessuali, ma anche quelle eterosessuali che scelgono
l’adozione.
Anni fa ho ritagliato una lettera spedita a un giornale.
La riporto brevemente: «io non sono omosessuale ... ma ahimè
sono sterile biologicamente.
Questo non impedisce a mia moglie e
a me di considerarci coppia da più di dieci anni, e di
considerarci a tutti gli effetti genitori della nostra splendida
figlia adottiva. Altre migliaia di famiglie adottive si
considerano coppie, genitori e famiglie pur senza aver avuto
quello che dai pulpiti delle chiese che frequento viene definito
“il bene della procreazione”.
Il mio timore è che questi inni alla famiglia come
istituzione naturale portino a svalutare il significato degli
affetti che legano famiglie come la nostra, che non si fondano sui
vincoli di sangue, ma su legami di accoglienza reciproca resi più
stabili grazie a un riconoscimento giuridico ...»
Qual è il vero genitore? Quello che mette a disposizione la
propria biologia o quello che cresce il figlio fornendogli cure e
sicurezza?
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Si può diventare genitori in molti modi.
E se la sessualità
non sempre coincide con la procreazione, non sempre il
concepimento coincide con la genitorialità.
E soprattutto la coppia generativa eterosessuale non sempre
coincide con la riuscita (che potrebbe coincidere, piuttosto, con
la bontà delle relazioni all’interno della famiglia).
Qual è il “vero genitore”?
Quello che mette a disposizione la propria biologia o quello
che cresce il figlio fornendogli cure e sicurezza?
Non sempre le due opzioni coincidono: ci sono genitori
biologici incapaci di fornire cure e sicurezza e genitori non
biologici (o coppie di genitori di cui uno solo è biologico) che
ne sono capaci.
D’altra parte, anche le persone gay e lesbiche possono essere
genitori e, attraverso l’inseminazione artificiale (pratica a cui
ricorrono anche molte coppie eterosessuali), possono generarli.
Purtroppo nell’opinione comune il tema della genitorialità
omosessuale è di solito affidato a posizioni ideologiche o
viscerali.
Ma assumere posizioni prive di sostegno empirico finisce per
essere dannoso per gli stessi bambini, implicitamente guardati
come “figli di un dio minore”.
Per ragioni di spazio non mi posso dilungare sulle moltissime
ricerche in tema di omogenitorialità, ma consiglio la lettura
dell’eccellente numero monografico curato da Anna Maria Speranza
per la rivista Infanzia e adolescenza (2013).
NON SOLO UNA FAMIGLIA “TRADIZIONALE”.
Se si accetta di non considerare unica e immodificabile la
famiglia “tradizionale” (che non significa né “storica” né
“naturale”) bisogna accettare l’esistenza delle sue diverse forme.
Senza nulla togliere alla famiglia edipica “tradizionale”,
condivido quanto più volte affermato dall’American Psychoanalytic
Association (2002/2012) secondo cui l’«interesse del bambino è
sviluppare un attaccamento verso genitori coinvolti, competenti e
capaci di cure [...]», inoltre «la valutazione di queste qualità
genitoriali dovrebbe essere determinata senza pregiudizi rispetto
all’orientamento sessuale».
Lo stesso affermano altre importanti associazioni
scientifiche e professionali, dall’American Association of
Pediatrics all’Associazione Italiana di Psicologia: «adulti
coscienziosi e capaci di fornire cure, siano essi uomini o donne,
etero o omosessuali possono essere ottimi genitori» (Pawelski et
al., 2006).
Per essere buoni genitori non basta essere eterosessuali,
così come essere omosessuali non significa essere cattivi
genitori.
«Ben vengano -scrive Antonino Ferro (2013), presidente della
Società Psicoanalitica Italiana (SPI)- bambini di coppie che si
amano e che siano capaci di buoni accoppiamenti mentali.
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Non sarà il sesso biologico dell’uno o dell’altro ad aver più
peso ma le attitudini mentali dell’uno e dell’altro.
I figli li
faccia chi ha voglia di accudirli con amore».
Un figlio può essere concepito senza essere pensato, cercato
a tutti i costi, o arrivare grazie ad una delle tante possibilità
comprese tra questi due estremi.
È alquanto riduttivo appiattire le differenze psichiche
individuali alle differenze anatomiche e/o ai ruoli di genere.
Ogni concepimento, nascita, adozione ha una sua storia da
raccontare, più o meno consapevole, più o meno fortunata.
È vero che la pianificazione accurata di una maternità o di
una paternità può rivelare «un desiderio narcisistico,
l’aspirazione a una completezza autarchica che trasforma il figlio
in un complemento di sé» come giustamente osserva lo psicoanalista
Thanopulos (2006).
Ma ben sappiamo che la ricerca narcisistica del figlio, e la
negazione della sua alterità, può riguardare ogni genitore, come
tante volte rileviamo nel lavoro clinico con famiglie “normali”.
L’INTEGRAZIONE DELLE DIFFERENZE.
Fornaro è molto preoccupato dalla specularità narcisistica
fisica e psichica dei componenti la coppia omosessuale.
Questa sarebbe la base della sua inferiorità.
Kohut (1987), grande studioso del narcisismo, ci ricorda che
esistono relazioni eterosessuali fortemente narcisistiche e
relazioni omosessuali mature in cui il partner è riconosciuto e
amato come soggetto separato e autonomo.
E poiché cita Chodorow, consiglierei la lettura di Femminile,
maschile, sessuale: Sigmund Freud e oltre (1994).
Molti sono i modi in cui i partner di una coppia possono
arricchirsi reciprocamente e arricchire chi sta loro intorno.
Se un valore è l’integrazione delle differenze, credo che
ribadire ruoli rigidi e prestabiliti, spesso figli di stereotipi
crudeli ancorati al pregiudizio e all’”anatomia come destino”, non
renda giustizia alle tante potenzialità della coppia e della
relazione amorosa.
È alquanto riduttivo appiattire le differenze psichiche
individuali alle differenze anatomiche e/o ai ruoli di genere.
Fornaro pensa che le dinamiche delle coppie omosessuali siano
molto diverse da quelle delle coppie eterosessuali.
Non è così, e tante ricerche lo dimostrano.
La maturità e il livello di differenziazione di una relazione
amorosa dipendono sostanzialmente dalle caratteristiche di
personalità dei partner, non dal loro orientamento sessuale.
La varietà di “giochi”, come li chiama Fornaro, che possono
verificarsi in una coppia sono infiniti e, in un continuum
relazionale che va dal normale al patologico, riguardano etero e
omosessuali.
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Attenzione a trattare maschile/femminile,
razionale/irrazionale, attivo/passivo, culturale/naturale, ecc.
come categorie in opposizione.
La schematizzazione binaria finisce per produrre le sue
derive: attivo è meglio di passivo, maschio è meglio di femmina,
alto è meglio di basso, bianco è meglio di nero, etero è meglio di
omo, ecc.
I PREGIUDIZI DELLA PSICOANALISI.
Se si vuole parlare scientificamente di omosessualità, il
primo passo da compiere è quello di mettere da parte i pregiudizi
che sono cattivi consiglieri.
La stessa psicoanalisi ne è stata vittima per decenni.
Non è vero, infatti, come afferma Fornaro, che «è certo
merito della tradizione psicoanalitica aver evidenziato [...] che
l’omosessualità non è una patologia».
Poco dopo si contraddice: «nella stessa tradizione
psicoanalitica l’omosessualità è per lo più ritenuta una forma di
relazione immatura, risultando da uno sviluppo incompleto».
Si decida: se l’omosessualità non è una patologia, non si
vede perché le relazioni tra persone omosessuali dovrebbero essere
patologiche.
Se invece l’omosessualità è una patologia, lo dica
apertamente.
Del resto, in passato, oggi sempre meno, molti psicoanalisti
l’hanno considerata tale, e proprio sostenendo affermazioni come
quelle avanzate da Fornaro, quando, risvegliando vecchie teorie,
descrive la persona omosessuale con queste parole: «identico sul
piano del sesso biologico, ma spesso pure sul piano psicologico,
se prevalgono le componenti narcisistiche, rilevabili specie nella
coppia omosessuale, per cui nell’altro si ama il simile a sé».
Incoerenza tra orientamento sessuale e appartenenza di genere
e personalità narcisistica sono purtroppo i vetusti pregiudizi
psicoanalitici di Rado, Bieber, Ovesey e Socarides che,
esasperando la lettura freudiana dell’omosessualità come
condizione difensiva e arresto/inibizione dello sviluppo
psicosessuale, forniscono le basi teoriche per le terapie
riparative (per approfondimenti: Lingiardi e Luci, 2006; Lingiardi
e Nardelli, 2014; Rigliano, Ciliberto e Ferrari, 2012).
Kernberg (2002) ci ricorda che «lo studio dell’omosessualità
è un classico esempio dell’impatto deleterio che l’ideologia ha
avuto sulla ricerca accademica».
Attualmente, non solo la psicoanalisi, ma tutte le discipline
che hanno a che fare con la salute mentale considerano gli
omosessuali al pari degli eterosessuali: gli uni come gli altri
possono essere sani o affetti da nevrosi, psicosi o altre
psicopatologie.
Idem per la coppia: esistono relazioni mature tanto nelle
coppie eterosessuali quanto in quelle omosessuali, e relazioni più
o meno patologiche tanto nelle prime quanto nelle seconde.
Non sempre l’omofobia si manifesta in modo esplicito.
In modo più sottile, a volte si veste da “eterofilia”.
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La quale riconosce dignità alle persone omosessuali, ma
continua a pensare che l’eterosessualità sia migliore
dell’omosessualità.
Come osserva la filosofa Martha Nussbaum (2010), spesso il
disgusto annienta l’umanità.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
AMERICAN PSYCHOANALITC ASSOCIATION (APA. 2002/2012).
<<Position Statement on Parenting>>.
CHODOROW N. J. (1994). Femminile maschile sessuale. Sigmund
Freud e oltre (trad. it.), la Tartaruga, Milano. 1995.
FERRO A (2013), «Nel Presepe moderno anche le coppie gay>>
Corriere della Sera. 6 gennaio, p. 33.
KERNIBERG O. F. (2002), <<Unresoved issues in the
psychoanalytc theory of homosexuality and bisexuality>> Journal of
Lesbian and Gay Psychotherapv. 6(1) 9-27.
KOHUT (1987) Seminari (trad. il.), Astrolabio, Roma, 1989
LINGIARDI V.,(2007/2012) Citizen gay. Affetti e diritti il
Saggiatore Milano
Ecc
L’AUTORE.
VITTORIO LINGIARDI, psichiatra e psicoanalista, è Professore
ordinario di Psicologia dinamica alla Facoltà di Medicina e
Psicologia della Sapienza Università di Roma, dove dal 2006 al
2013 ha diretto la Scuola di specializzazione in Psicologia
clinica.
Tra le sue pubblicazioni più recenti ricordiamo: La
valutazione della personalità con la SWAP-200 (con J. Shedler e D.
Westen Cortina 2013).