Barnaba_Autobiografia_di_un_geologo_Agip
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Barnaba_Autobiografia_di_un_geologo_Agip
Pier Federico Barnaba UN’OCCHIATA AL PASSATO, PER UN RIFLESSO SUL FUTURO Buja Friuli) Edizione Apve S.Donato Milanese 1 INDICE Premessa.............................................................................................................................3 Primi anni a Buja ...............................................................................................................3 I nonni .................................................................................................................................4 Mia sorella ..........................................................................................................................5 Mamma e papà ...................................................................................................................5 Arriva la guerra..................................................................................................................6 Il collegio .............................................................................................................................7 Esperienze del periodo bellico ...........................................................................................8 Fine della guerra ..............................................................................................................11 L'Università ......................................................................................................................12 Geologo del petrolio ..........................................................................................................15 Marocco .............................................................................................................................17 Geologi in deserto .............................................................................................................19 Vita familiare in terra marocchina .................................................................................20 Tunisia ..............................................................................................................................22 Inzago................................................................................................................................27 Madagascar.......................................................................................................................29 Rientro in Italia................................................................................................................37 Intervalli familiari ...........................................................................................................39 Servizio del Personale ......................................................................................................42 Ancora Università ............................................................................................................43 Ancora vita familiare .......................................................................................................44 Conclusioni .......................................................................................................................48 2 Premessa Primi anni a Buja Quando alle nostre spalle si è venuto ad accumulare un sostanzioso passato, si è portati a rivolgere il pensiero all'indietro con l'intento di far tornare alla mente qualche ritaglio di vita vissuta, o di ripercorrere un cammino compiuto tempo addietro assieme ad altri che così ci ritornano vicini. Queste considerazioni mi hanno indotto a raccogliere pensieri e ricordi degli anni passati, spinto dalla piacevole sensazione di poterli rivivere. In casa nostra a Buja, tra le dolci e verdi colline dell’anfiteatro morenico friulano, si viveva in maniera piuttosto varia e movimentata. Due genitori, tre nonni, due figli (mia sorella minore ed io maggiore di tre anni), più uno o due aiutanti di mio padre, che aveva uno studio fotografico, eredità del nonno, più una donna di servizio; le nostre tavolate erano spesso numerose, di otto o dieci persone, ciascuna con i propri problemi, di fotografia, di scuola, di Casa nostra a S. Stefano di Buja Mi piace ad esempio ricordare che nel periodo in cui la mamma mi mise al mondo, nell'aprile 1928, l'attenzione degli italiani era rivolta alla spedizione di Umberto Nobile che, con il dirigibile Italia, stava tentando di conquistare il Polo nord. Il Paese era allora governato da Mussolini, che aveva dato un certo appoggio a quella spedizione ma senza molto calore, anche a causa delle idee sinistrorse di Nobile. Un'impresa quella del dirigibile Italia e della cosiddetta tenda rossa che fin da bambino mi ha colpito ed affascinato, forse anche perché ne sentii parlare in casa da quando ero ancora in fasce (allora si usavano le fasce, antico simbolo di igiene e disciplina). cucina, ecc. La nostra dimora era un paradiso per noi bambini; avevamo spesso gli amici a giocare con noi; era costruita su tre piani, con un bel giardino, un grande orto con le viti, il pollaio e una casetta aggiunta, che ospitava la legnaia e la liscivaia, dotata di caldaia a legna per il bucato settimanale. C’erano anche due garage e due ingressi indipendenti, uno per il negozio e l'altro per l'abitazione; sopra la porta di entrata dell'abitazione, c'era uno stemma che ricordava la nobiltà di famiglia, acquisita fin dall'anno 1070, grazie all'ardimento di un nostro antenato, lo "strenuissimus miles" Fredericus. Noi di famiglia, forse per un difetto di compiacenza, abbiamo sempre considerato con un certo distacco questo titolo acquisito, ritenendo ben più importanti di questo tanti altri valori e comportamenti nella vita di tutti i giorni. Il laboratorio fotografico assorbiva l'attività di mio padre e dei suoi collaboratori; il lavoro si svolgeva oltre che nel laboratorio, la cosiddetta camera oscura, nello studio di posa, nel negozio, come pure in altre due stanze adibite al ritocco dei negativi, al ritaglio delle foto e alla preparazione finale del materiale per i clienti. A seconda delle disponibilità, età, capacità, oltre che della buona volontà, tutti noi di famiglia eravamo coinvolti nell'attività paterna, specialmente nei periodi più critici e in particolare quando venne ad aggiungersi l'impegno di un secondo studio, acquisito anche 3 per esigenze economiche in una nuova sede, a San Daniele, una decina di chilometri da Buja. Il problema scuola assorbiva sia mia madre che noi figli; mia mamma insegnava nelle elementari di Buja e noi studiavamo, dapprima nella stessa scuola dove insegnava la mamma e successivamente nelle sedi degli studi superiori: Pordenone, Udine, Trieste, Venezia, Padova. Negli anni tra il 1934 e il 1939 frequentai le scuole elementari a Buja e i ricordi mi portano al maestro Piemonte, detto il Tabacòn; la sua tabacchiera, che teneva sempre in mano, non serviva soltanto a contenere il tabacco da fiuto, ma anche quale arma da lanciare contro gli scolari indisciplinati; per fortuna aveva i bordi arrotondati, ma com'era pesante! Tra i compagni di scuola di allora ricordo in particolare: Gianni Papinutto (futuro medico), Giancarlo Menis (poi sacerdote e storiografo), Bepi Marangoni (in seguito martire partigiano), Renato Calligaro (futuro celebre pittore e fumettista). Qualcuno a scuola mi invidiava perchè ero il "figlio del Podestà", ma a me non interessava molto, anche se talora l'orgoglio nascosto veniva timidamente a galla. I nonni Ricordo il nonno paterno Ciro come un personaggio straordinario; era signorile, affabile, comprensivo e disponibile verso il prossimo e in particolare verso noi nipoti; nato nel 1863, sotto l'Austria Ungheria, da ragazzo aveva frequentato una scuola di fotografia a Torino, dalla quale aveva assorbito una buona preparazione culturale e professionale per cui, al suo rientro a Buja, intorno al 1890, si trovò ad operare come primo fotografo professionista del Friuli. Con lui non vi era alcuna difficoltà di comunicazione; la sua fantasia ci stimolava non solo nei giochi ma anche nello studio; era attento portatore dell'informazione quotidiana e lo ricordo assiduo lettore del Gazzettino e del Corriere della Sera. Lo sentivamo nostro complice anche nei divertimenti, talora non proprio tranquilli e sicuri, come ad esempio nella preparazione dei fuochi d’artificio, per i quali noi ragazzi andavamo matti; ce li costruivamo in casa, dosando sapientemente i vari componenti in polvere a seconda degli effetti di colore e di intensità sonora desiderati. Da bambino e poi da ragazzino ho imparato da lui anche a maneggiare gli apparecchi fotografici, a sviluppare e stampare le foto, a costruire un cannocchiale, a curare le piante di vite, a pigiare l'uva raccolta nel nostro orto, a realizzare modellini di auto e di aerei, che allora non si trovavano nei negozi in kit di montaggio. Credo di avere imparato da lui anche a scherzare bonariamente sul prossimo. Tra i ricordi con nonno Ciro vi è pure la visita autunnale che facevamo ai nostri mezzadri di Sottocostoia, frazione di Buja, per la suddivisione del vino nuovo; una "sentina" a noi, una a loro, una a noi e una a loro ed era la piacevole occasione per uno spuntino e per alcuni assaggi del vino nuovo. Il ritorno a casa era sull'allegro. Per me e per mia sorella Viviana nonno Ciro costituiva spesso un comodo tramite tra noi e la nonna Ida e anche tra noi e i nostri genitori, per risolvere situazioni delicate o penose che lui sapeva affrontare pacatamente, evitando le complicazioni. Mia nonna Ida, moglie di Ciro, proveniva da una famiglia benestante, i Mesaglio di Castellerio Pagnacco, ed era orgogliosa del passo avanti che aveva fatto sposando un Barnaba di Buja. Un velo di malinconia sorgeva in lei quando ci ricordava suo figlio Pierino, vittima ventenne della prima guerra mondiale, scomparso in mare con la sua nave, affondata da una mina austriaca al largo di Pola. Di aspetto gentilmente altero e piuttosto severa con noi bimbi; ci voleva educati e obbedienti e In compagnia dei nonni 4 non ammetteva risposte irrispettose o mancanze di qualsiasi genere. Più volte mi inseguì con lo scopetto in mano, a seguito di qualche mia marachella. Devo ammettere però che aveva una certa fiducia in me, visto che mi affidava spesso i 30 centesimi (di lira) necessari per l'acquisto quotidiano della carne per il gatto (in friulano: le ciàr pal giàt). Nonna Ida era gelosissima dei mobili e degli arredi di casa e, per evitare il deterioramento di quelli più delicati e "preziosi", li aveva riuniti in due stanze severamente chiuse a chiave e accessibili soltanto in rarissime occasioni, cioè per ospiti di estremo riguardo o per avvenimenti storici, come la Comunione e la Cresima dei nipoti. In compenso, gestiva la casa in modo impeccabile, con l'aiuto di una domestica, collaudata a sopportare le manie di mia nonna. Mia nonna Gigia, nonna materna, era un tipo molto originale, piena di vita, spontanea, semplice e generosa; rimasta vedova da giovane per un incidente sul lavoro, subìto dal marito in Germania, e con una neonata da allevare (mia mamma, Claudia), aveva frequentato una scuola per ostetriche e poi aveva intrapreso l'attività a Buja. Ho sentito dire che nel periodo dell'invasione austriaca del 1917, dopo Caporetto, la sua attività di infermiera in favore dei bujesi rimasti in zona fu particolarmente apprezzata. Ricordo la generosità e la semplicità di nonna Gigia nel periodo della guerra 1940-45, quando ci aiutava ad alleggerire le ristrettezze alimentari, fornendoci qualche pacco di viveri genuini che lei riceveva dai suoi fedeli clienti della campagna; burro, formaggio, salame erano prodotti da sogno in quei tempi. E noi l'aiutavamo a preparare la confezione mensile da spedire a suo figlio, zio Duilio, che era prigioniero dei tedeschi in un campo di concentramento a Magdeburgo, nel nord della Germania. Pensando ai nonni mi viene alla mente un fatto particolare, accaduto nel 1931, quando avevo poco più di tre anni; durante il pasto del mezzogiorno, mentre genitori e nonni erano a tavola, mi ero steso per gioco sotto il divano quando improvvisamente fummo investiti da una forte scossa di terremoto che provocò l'immediato fuggi fuggi generale: mia madre corse in camera a recuperare dalla culla la neonata Viviana, ed io fui dimenticato da tutti, sotto il divano, ma più tardi felicemente ritrovato. I sussulti di quel terremoto, sono rimasti chiaramente nella mia memoria, raffigurati da una spirale in violenta vibrazione che mi fa pensare agli occhi di Paperino. In conseguenza di quel terremoto la nostra casa subì alcune fessurazioni che furono risanate con interventi di consolidamento, soprattutto nei due piani alti. Fu solo un preannuncio di quanto sarebbe malauguratamente accaduto 45 anni più tardi, nel 1976. Mia sorella Viviana, mia sorella, di tre anni più giovane di me, ma per nulla a me sottomessa, perchè ci consideravamo in tutto alla pari e andavamo anche d'accordo,…fino al punto in cui lei accettava di giocare al gioco da me prescelto ed era sempre un gioco da maschietto. Era una bella bambina, poi ingrassò e dopo qualche tempo dimagrì e divenne una bella ragazza; piaceva anche ai miei compagni e amici. Tra noi non mancava l'occasione di scambiarci idee e opinioni, non sempre collimanti, sugli argomenti più vari, di letteratura, di politica, di musica, di costume. Siamo rimasti strettamente legati per tanti anni, dal periodo dei giochi infantili a quello delle feste danzanti e delle gite da ragazzi e fino al liceo; poi l'Università, i fidanzati e soprattutto gli impegni di lavoro e i rispettivi avvenimenti familiari allentarono forzatamente i nostri contatti e ci ritrovammo dopo qualche tempo di fronte ad una triste realtà, che ci portò via per sempre Viviana, ancora giovane. Il suo ricordo è associato anche ad una tenera scenetta, vissuta assieme tanti anni fa nel negozio di una camiciaia di Buja. Io non avevo ancora dieci anni e Viviana sette; la mamma mi aveva incaricato di ordinare una camicia per me, raccomandandomi di chiedere alla sarta di abbondare nelle misure. Assillato da questa raccomandazione e imbarazzato tra Viviana e la camiciaia, mi rivolsi decisamente a questa dicendo: "vorrei una camicia ... per l'anno scorso!" (une ciamèse par l'an passat) anziché per l'anno successivo; poi, confuso sgomitai ripetutamente mia sorella, sollecitando un suo aiuto per rimediare al mio lapsus. Tutto si risolse con una risata collettiva, ma la mia dignità rimase duramente toccata per lungo tempo. Mamma e papà Parlare dei genitori, esprimere dei giudizi su di loro e descriverne la personalità risulta difficile e imbarazzante, forse perchè si è parte di essi ed anche perchè si è vissuto troppo di loro stessi per averne una immagine imparziale; e questo 5 sia per l'educazione, le abitudini e i ritmi di vita da loro assorbiti, sia per quanto di noi figli si è riflesso su di loro, modificando le loro qualità individuali. Come figlio posso comunque dedicare loro un grazie di cuore per quanto hanno fatto per me. Mamma e papà andavano d'accordo tra loro, anche perchè erano molto diversi l'una dall'altro: vivace e impulsiva l'una, pacato e riflessivo l'altro. Più attendibile papà Renato, più spontanea mamma Claudia. Hanno vissuto un buon periodo felice, sposandosi nel 1925, dopo la prima guerra mondiale nella quale papà aveva passato qualche mese al fronte; essendo del 1899, era stato arruolato tra gli Alpini a meno di diciotto anni. Ebbero la fortuna di vivere in una casa bella e grande con giardino, condivisa con i suoceri, possedevano una moto Harley-Davidson, una vettura Fiat fuori serie, che credo non fosse costata poco, un po' di campagna in mano ai mezzadri e lo studio foto, dapprima condotto da nonno Ciro e poi da papà Renato, che si era diplomato perito industriale a Belluno. Claudia, del 1903, diplomata a diciassette anni, maestra elementare con sede dapprima ad Avilla e poi a S.Stefano di Buja. Un figlio (io) dopo tre anni di matrimonio e una figlia (Viviana) dopo altri tre anni, agli inizi degli anni trenta. Quartetto di famiglia in gita in montagna In estate passavamo un paio di settimane al mare, a Grado, che mi fa ricordare, oltre alla piacevole vita di albergo, anche il nome di un cameriere che ci era molto simpatico: il Popi. L'avvicinarsi della seconda guerra mondiale comportò una certa crisi economica generale e se ne risentì anche in famiglia, da cui la necessità di migliorare le entrate; venne così deciso di aprire il secondo studio foto, a San Daniele, considerata anche la accresciuta concorrenza professionale e le maggiori spese per far studiare noi figli. Ricordo che mamma in quel periodo mi fu particolarmente vicina nello studio quotidiano, in vista della fine delle elementari e del cosiddetto esame di ammissione. Arriva la guerra Il 9 giugno 1940 Fausto Coppi vinceva il giro d'Italia e il giorno successivo la Gazzetta dello sport commentava affermando che tale vittoria "testimoniava la gagliardia e la serenità della Patria in armi", mentre il Duce annunciava l'entrata in guerra dell'Italia con uno dei suoi drammatici interventi: "Combattenti di terra, di mare, dell'aria, Camicie Nere della Rivoluzione e delle Legioni; uomini e donne d'Italia, dell'Impero del Regno di Albania: ascoltate! Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria: l'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli Ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia....". Nel frattempo i nostri alleati tedeschi avevano già messo sottosopra l'Europa, invadendo la Polonia, i Paesi Bassi, il Belgio e il nord della Francia. Venti giorni dopo moriva a Tobruk, nel corso di una battaglia aerea, Italo Balbo, il cui nome era legato alla tragedia della spedizione Nobile al Polo Nord. La guerra portò anche nella nostra famiglia immediate, spiacevoli conseguenze, con difficoltà e partenze forzate da casa. Mio padre venne richiamato alle armi e fu inviato al fronte italo-francese come Capitano del genio alpini, reparto fotorilevamento; dopo qualche settimana ci fece avere le foto della visita di Mussolini in zona di operazioni, operazioni per fortuna non cruente, data la quasi inesistente reazione militare francese. Mia mamma si trovò improvvisamente sulle spalle il peso di due figli in età scolare, l'insegnamento presso le Elementari di Buja e inoltre la conduzione di due studi fotografici, seppure con l'aiuto di un collaboratore efficiente come l’allora quindicenne Adelchi; in più la casa da gestire, con i nonni in età ormai avanzata. Due esperti fotoreporter 6 Un certo aiuto lo davamo comunque tutti noi, nella misura possibile; ricordo che passavamo molte serate, fino a mezzanotte ed oltre, a preparare le foto per le consegne del giorno successivo nei due studi di Buja e di San Daniele. Dopo qualche tempo, grazie alla sua ulcera duodenale, vera e dolorosa, papà venne congedato e rimandato a casa e il compito di Claudia fu così alleviato. Ricordo comunque con pena la gravosità dell'impegno dello studio di S. Daniele, che richiedeva due viaggi alla settimana (mercoledì e domenica) per oltre 24 chilometri tra andata e ritorno, in bicicletta, data l’impossibilità di usare le auto, immobilizzate per la guerra. sopportare le sue pesanti prediche didattico religiose tutte le volte che mi recavo nella sua stanza per rendicontare la vendita del giornalino “Il Vittorioso”, in relazione all’incarico che lui stesso mi aveva assegnato, malgrado la mia riluttanza; e questo durò finché finalmente riuscii a interrompere la collaborazione. Avevo dodici anni! Il collegio In autunno, con la ripresa delle scuole, lasciai Buja per rientrare nel Collegio Don Bosco a Pordenone, dove avevo frequentato gli ultimi mesi dell'anno scolastico precedente. Senza accorgermene, affrontai lo studio con estrema serietà, forse aiutato in questo dalla particolare atmosfera militaresca del collegio e dalle recenti dure esperienze maturate in famiglia. Alla fine dell'anno di scuola ebbi la piacevole e grande sorpresa di risultare il primo della classe, latino compreso; ed era una classe di veri sgobboni, con la puzzetta sotto il naso. Il mio successo fece tanto piacere anche al mio personale protettore, Beppino Chemello, amico di famiglia, di quattro o cinque anni più grande di me, che mi salvava dal nonnismo imperante nel Collegio. Della vita di collegio serbo ancora qualche vivo ricordo; alcuni piacevoli, legati soprattutto alle amicizie nate in un ambiente particolare, dove si vive continuamente in comunità, giorno e notte. Ad esempio mi torna in mente il problema quotidiano della prima colazione, che era sempre scarsa e non riusciva mai a colmare il mio mattutino buco nello stomaco. Cosa fare per rimediare? Scoprii che adattandomi a servire la messa del mattino avrei avuto la possibilità di accedere individualmente al refettorio e di disporre così, senza alcun limite, di tutto quanto potevo desiderare, dal caffè-latte al pane e…basta, perchè non vi era altro; decisi così di mettermi a disposizione del Celebrante e in seguito servii frequentemente la messa, con piena soddisfazione dello stesso e di chi, come me, aveva il pensiero fisso sulla prima colazione ad personam. Un altro ricordo meno gradevole è legato invece alla figura di un sacerdote, il Catechista, detto "il giraffone" per il suo collo sviluppato in lunghezza, il quale approfittava della mia intimidita subordinazione per obbligarmi a Giovani amici e amiche bujesi Le mie esperienze collegiali proseguirono per altri due anni al Bertoni di Udine, di cui ricordo in particolare le lunghe, estenuanti e inutili adunate fasciste del sabato, vestiti puntualmente da balilla, nonché i più divertenti e rilassanti tornei di calcio, che servivano anche a promuovere e cementare la solidarietà tra compagni di squadra. La mia lunga pratica di collegio, quasi cinque anni in età tra gli 11 e i 16 anni, mi dice che il collegio può tornare utile per migliorare la propria autonomia: si impara, non senza sacrificio e umiltà, a vivere nella collettività, ad esaminare e giudicare il prossimo (che può aiutare a salvarsi dai balordi), a rafforzare il proprio carattere e ad arrangiarsi di fronte alle difficoltà. Il collegio può costituire pertanto una esperienza decisamente positiva. Uno dei maggiori pericoli di questo ambiente, sempre in base alle esperienze vissute, ritengo sia costituito dal comportamento degli addetti all'assistenza (preti nel caso del Don Bosco di Pordenone, laici nel Bertoni di Udine) che, a causa delle loro frustrazioni, o di una oscura sete di autorità, possono assumere 7 atteggiamenti impositivi e talora aggressivi nei confronti dei poveri "sudditi" collegiali. Esperienze del periodo bellico Per noi, allora giovani o giovanissimi, i cinque anni di guerra, dal giugno 1940 all'aprile 1945, comportarono indubbiamente sacrifici, timori, apprensioni di vario genere, ma ci consentirono pure di vivere una serie di interessanti esperienze, legate agli avvenimenti più o meno allegri che in quel periodo movimentavano la vita di tutti i giorni; esperienze che svilupparono in noi una certa forza morale e ci aiutarono in seguito, nel dopoguerra, a godere di ogni piccola conquista raggiunta. Nel periodo bellico si viveva nella convinzione che tutto fosse predisposto e che in nessun modo avremmo potuto modificare personalmente il corso delle cose; affrontavamo di conseguenza, con estrema serenità, tutto quanto accadeva intorno a noi. Uno dei problemi gravi di allora era legato alla difficoltà di approvvigionamento degli alimenti. Ricordo che mia madre si alzava spesso all’alba per mettersi in fila dal macellaio e, quando la spedizione aveva avuto successo, tornava a casa dopo alcune ore con qualche etto di carne. Un altro argomento critico era quello dei trasporti: quante volte fummo costretti a viaggiare, per carenza di posti, sul tetto della corriera, quando non accadeva di dover scendere improvvisamente e allontanarsi dal mezzo di trasporto a causa di un allarme aereo e conseguente pericolo di bombardamento. Nel corso del 1944 i movimenti della Resistenza contro l'occupazione tedesca si intensificarono notevolmente nell'Italia centro-settentrionale, con la costituzione di unità partigiane combattenti, rappresentate in Friuli dalle Brigate Osoppo e Garibaldi, rispettivamente di ispirazione verde e rossa. All'insaputa dei miei genitori, io aderii alla Osoppo e fui inquadrato come "patriota" con nome di battaglia "Claudio" (da me scelto in omaggio alla mamma Claudia o soltanto per il desiderio di protezione materna?). Avendo la possibilità di disporre in casa di una certa attrezzatura tipografica (di mio padre), provvedevo, su richiesta degli amici partigiani e naturalmente in gran segreto, alla stampa di volantini e di messaggi, rendendomi così utile al movimento. Ad un certo punto decisi di accrescere il mio contributo e programmai di lasciare casa e famiglia per raggiungere le unità della Osoppo che operavano in montagna, nella zona di Forgaria-Pielungo, con le quali ero in contatto tramite gli amici "portaordini", che facevano la spola tra Buja e quella zona, al di là del Tagliamento. Il mio programma personale prevedeva la partenza entro un paio di giorni e per questo stavo preparando in segreto le mie cose; ero intento a modificare un paio di calzoni lunghi per ridurli al di sopra del ginocchio, ritenendoli così più idonei al previsto attraversamento a guado del Tagliamento, quando accadde l'imprevisto: mia mamma, insospettita da qualche insolito movimento in casa, aveva scoperto il mio segreto. Per farla breve, riuscì a farmi rinunciare al progetto, ricordandomi che avevo soltanto sedici anni e assicurandomi in compenso il suo personale appoggio riguardo ad ogni futura collaborazione in favore dei partigiani, purché rimanessi in pianura, al di qua del Tagliamento. Senza dubbio, oggi comprendo meglio di allora il comportamento di mia madre. Un certo rischio lo correvamo tutti negli anni 1944-45, ma un rischio particolarmente elevato per noi di famiglia era rappresentato dall'usanza diffusa tra i partigiani, e tra i militari in genere, di farsi fotografare in assetto da guerra; il partigiano di turno si presentava nel nostro negozio in abiti civili, ma portava con sè tutto il necessario per comparire nella fotoricordo vestito e armato di tutto punto; impossibile non esaudire il suo desiderio e la sola precauzione era quella di tenere sotto controllo la porta di ingresso. Una volta fummo costretti a nascondere precipitosamente un individuo già in posa per la foto, a causa dell'improvviso ingresso nel negozio di un gruppo di militari cosacchi, che operavano agli ordini dei tedeschi, accampati non lontani da casa nostra. Con una frequenza più o meno mensile i tedeschi organizzavano a Buja dei rastrellamenti, cioè la cattura di uomini tra i 16 e i 65 anni, da deportare in Germania o quanto meno da inquadrare nel lavoro para-militare; di questo solitamente si aveva notizia (in gran segreto!) il giorno prima e quindi, per evitare di essere coinvolti in questi progetti poco allettanti, noi uomini di casa, in occasione dei rastrellamenti ci nascondevamo in un rifugio, un piccolo vano chiuso da un armadio mobile, che avevamo ricavato nella nostra soffitta. Ricordo la forte tensione che ci attanagliò la gola per qualche minuto quando alcuni militari, (si trattava di tedeschi, "repubblichini" italiani e cosacchi, fedeli collaboratori dei tedeschi), arrivarono in casa e, accompagnati da mia mamma, perlustrarono le varie stanze e giunsero inconsci davanti al nostro rifugio (in cui ci trovavamo papà, Adelchi ed io); il nostro terrore e naturalmente anche quello di mia madre che era vicino a loro, era rappresentato dal colpo di tosse di papà, che avrebbe potuto 8 tradire la nostra presenza. Furono due minuti tremendi! Non ci fu alcun colpo di tosse e fortunatamente andò tutto bene e quelli se ne andarono anche allora senza danni per noi. Quella intensa giornata si concluse con una scena drammatica svoltasi nella piazza sotto casa nostra, della quale fummo ignari spettatori attraverso le scurette della soffitta: si trattò della fucilazione, dopo un sommario processo, di un militare cosacco, accusato dai tedeschi di un tentato stupro compiuto ai danni di una donna di Buja durante le operazioni di rastrellamento. Allora questi fatti non erano eccezionali. Ebbi un’altra triste esperienza quando, tornando da scuola e transitando in bicicletta tra Tricesimo e Buja, fui sorpreso da una serie di spari; mi avvicinai alla zona da cui provenivano, l’abitato di Raspano, e scoprii con rammarico che si trattava della fucilazione, appena avvenuta da parte di un gruppo di tedeschi, di un mio amico, sospettato di appartenere alle unità partigiane. Lo riconobbi e ne rimasi molto scosso, trattandosi di un ragazzo che stimavo molto. un amico di famiglia, dirigente della miniera di Cave del Predil. Ed ora apro una parentesi, dedicata con simpatia ad Adelchi, Bruno e Nardin, che furono tre bravi e seri aiutanti di papà Renato nel periodo 1943-60. Tutti e tre, dopo un periodo più o meno lungo di apprendistato e di pratica operativa, si sono poi sistemati con successo in località diverse, rispettivamente a Chiavari, S.Vito e Vercelli, dove hanno avviato altrettanti studi fotografici autonomi. Essendo coetanei o quasi, ho vissuto assieme a loro per anni e anni (seppure in maniera saltuaria, essendo io impegnato prima negli studi e poi nel mio lavoro), in sincera e spontanea amicizia, condividendo esperienze tecniche, divertimenti e situazioni delle più varie, talora allegre, talora drammatiche o quasi. Adelchi in particolare era come uno di famiglia Si scherzava su tutto, in particolare erano frequenti i lazzi, opportunamente mascherati, con il cliente un pò strano che si presentava a farsi fotografare con richieste balorde e guidate, come accade spesso nel mondo della fotografia professionale, da spinte edonistiche o porno, con i militari in prima fila. In una particolare occasione Adelchi sfoderò la sua fortunata stella; fu quando rimase quasi illeso a seguito dello scoppio tra le mani di un bossolo di petardo (frusete) che stava preparando in casa nostra per una festa del paese; ho detto "quasi illeso" perchè per almeno un paio di mesi il suo udito fu ridotto al cinquanta per cento, per cui era necessario gridargli nelle orecchie. Militari tedeschi e cosacchi rastrellamento a Buja Un'altra figura che merita di essere memorizzata è quella del dottor Vidoni, medico condotto, amico di famiglia e vicino di casa; viveva da singolo, ma conviveva con la raffinata signora, Emilia Capelan. Era il classico medico di casa, abile anche nello sperimentare sulla pelle altrui i segreti della chirurgia, naturalmente senza alcun ricorso all'anestesia; ricordo ancora con i brividi, come fosse oggi, i dolori che mi procurò e i tremendi sforzi che feci per non gridare di fronte al suo bisturi che inflessibile passava e ripassava sul palmo della mia mano destra per ridurre a ragione un profondo flemmone che si era formato alla base del quarto dito. Devo riconoscere comunque che il dottor Vidòn era un prezioso medico di paese, sempre disponibile, acuto osservatore, in aggiunta era nostro padrino di cresima; aveva però un grave difetto: il piede destro scarsamente sensibile all'acceleratore e quando usciva di casa al mattino con la sua utilitaria si faceva sentire da nel corso di un In tema di rastrellamenti ricordo anche la tragedia degli amici Papinutto, catturati in casa perchè sospettati di antifascismo e inviati in un campo di concentramento in Germania, da dove non sono più tornati. Anche il nostro zio Duilio, come accennato in precedenza, fu forzato ospite di un campo di concentramento a Magdeburgo, ma per lui le cose andarono meglio e dopo la fine della guerra riuscì a tornare a casa, anche grazie alla sua forte fibra psico-fisica, trasmessagli da sua madre, la nostra nonna Gigia. Personalmente mi salvai dall’ira dei tedeschi figurando di essere un lavoratore civile di una Società idroelettrica di Tarvisio; per dimostrarlo ero costretto a sorbirmi ogni due settimane un lungo viaggio in treno da Buja a Tarvisio (ricordo il record di 14 ore per sola andata!) per farmi aggiornare il documento che testimoniava il mio falso impegno lavorativo, che avevo ottenuto grazie all’interessamento di 9 tutto il vicinato, con quel motore penosamente imballato al massimo; io sentivo bene e forte quel motore dalla mia camera ma, per rispetto, mi limitavo a inviargli soltanto qualche silenziosa benedizione. Nel periodo di guerra il nostro gruppo di amicistudenti e di giovani artisti di Buja si riuniva spesso in piazza o in qualche ambiente pubblico, al Caffè Tabeacco, oppure in casa di questo o di quello, per scambiarci pareri sui fatti del giorno, discutere e scherzare. Nacque così l'Accademia degli Accesi, sotto la guida di un maturo decano come Pieri Menis, brillante figura di scrittore bujese, padre di don Giancarlo, mio compagno di banco nelle elementari, poi divenuto insigne storico; malgrado la denominazione così impegnativa, la nostra Accademia aveva lo scopo di riunire tutti noi, circa una dozzina, desiderosi di lavorare per la cultura e per la promozione dell'arte nella nostra Buja. Organizzammo conferenze, mostre di pittura e di scultura ed anche uno spettacolo teatrale imperniato sul futurismo, che ebbe molto successo anche grazie al fatto che fu realizzato nell'atmosfera gioiosamente esplosiva dell'immediato dopoguerra. La nostra Accademia visse attivamente per qualche anno, finché ciascuno di noi si incamminò per strade divergenti e anche lontane da Buja. Oltre a me, appartenevano all'Accademia: Pieri Menis (Decano), Mattia Monassi (poi medaglista alla Zecca di Roma), Andreina Nicoloso (poi prof. di liceo), Corrado Cecotto (poi primario neurologo), Renato Calligaro (poi pittore e fumettista), Giuan e Mario Ragagnin (poi entrambi dediti alla cultura letteraria), Pierino Gallina (scultore), Enore Pezzetta (scultore), Nino Polizzi (poi notaio), William Tessaro (poi impresario), Gianni Papinutto (poi medico) e forse qualche altro che non ricordo. Il nostro gruppo di amici di Buja era appassionato cultore anche del calcio, come quasi tutti i ragazzi. Già in collegio io avevo ottenuto qualche soddisfazione, vincendo niente meno che il torneo delle Marmotte, premiato con qualche sorso di sciroppo alle amarene. Ma le partite serie vennero successivamente con l'Associazione Calcio Buja, nei campionati di seconda e di prima Divisione. Oltre che nella veste di giocatore, agivo contemporaneamente anche da cronista sportivo per conto del Gazzettino, del Messaggero e di Ogni Sport; inviavo così i miei servizi con il commento (ovviamente almeno un po' di parte) sulle nostre partite e mi firmavo Feba, pseudonimo che poi mi seguì anche in ambiente extra-sportivo. Tra noi c'era invece chi, più generoso, si dedicava a curare il campo di gioco, in particolare Romano Aita, maestro di scuola, ma agricoltore nato, che la domenica mattina passava qualche ora sul campo a falciare l'erba (a seà) e poi nel pomeriggio riusciva anche a partecipare attivamente alla partita. Quando si giocava in trasferta ci si esponeva al rischio di buscarle in caso di nostra vittoria; il tifo locale non sempre ammetteva pacificamente la sconfitta della propria squadra. A questo proposito ricordo che alla fine di un incontro vinto a Trasaghis, fummo inseguiti da alcuni energumeni del paese che, fortunatamente per noi, scaricarono le loro ire sul povero arbitro che non era riuscito ad allontanarsi in tempo. Nell'occasione io ebbi qualche difficoltà nel riavvicinare l'arbitro stesso e nel farmi restituire il mio orologio da polso che gli avevo prestato prima dell'inizio della partita, in quanto il suo non gli dava sufficienti garanzie di buon funzionamento! La nostra squadra di calcio Raggiunsi la mia personale vetta nel calcio quando fui venduto dall'A. C. Buja al Chiavris di Udine che militava nella Promozione; in verità la Società che mi acquistò non fece un buon affare perchè nella seconda partita fui costretto ad abbandonare il campionato a causa di un incidente al ginocchio sinistro, probabilmente la rottura di un menisco, di cui allora non si parlava e tanto meno si guariva. L'attrazione per l'attività sportiva prevalse ancora nonostante il ginocchio fasullo e questa volta mi diedi alla bicicletta, o meglio ripresi a coltivare le due ruote, una vecchia passione che mi aveva già portato a percorrere tanti chilometri in Friuli e nelle Dolomiti orientali (Sappada, Tre Cime di Lavaredo). Nel corso di questo mio riesame del passato sono stato ripetutamente tentato dal desiderio di fare un elenco dei numerosi amici di Buja, a parte quelli già citati, con i quali ho condiviso esperienze di vita in tempi diversi, dalle elementari ad oggi, ma ho desistito, preso dal dubbio di dimenticarne qualcuno; mi limito perciò a ricordarne per tutti soltanto due, che ci 10 sono stati particolarmente vicini in tempi diversi: Silvio Buzzi e Armando Miani. Fine della guerra Con la fine della guerra (maggio l945) le cose volsero al bello; papà e mamma vissero un secondo periodo sereno, portando Viviana al diploma e me alla laurea, liberandosi dall'impegno dello studio di S. Daniele e provvedendo a qualche ristrutturazione della casa. Papà, che era stato Podestà di Buja e Giudice conciliatore nel periodo pre-bellico, ricoprì la carica di Vice-Sindaco alla fine degli anni quaranta. Mamma, si trovò invece di fronte a un delicato incarico pubblico, quello di Giudice popolare presso la Corte di Assise di Trieste; ricordo che non fummo in grado di sapere da lei nulla di nulla delle vicende giudiziarie di cui era stata partecipe. Aveva giurato e giustamente volle mantenere il segreto. D'altro canto mamma possedeva un carattere molto allegro, che ritengo di avere almeno in parte ereditato; ricordo in proposito l'incontro con il farmacista di Sappada, incontro che fu reso molto difficile dall'irrefrenabile voglia di ridere che ci prese, mamma e me, quando il farmacista stesso si presentò dal retrobottega, traballando su due rumorosissimi zoccoli in legno; non so se furono il rumore degli zoccoli, il camice lacero, oppure i suoi strani baffi a provocare il nostro incontenibile riso, ma comunque non riuscimmo più a proferir parola, nè tanto meno a pronunciare il nome della medicina per cui ci trovavamo lì; fummo costretti, piegati in due, a ritirarci sofferenti in strada, mentre lui rimase serio ed allocchito, coi suoi baffi alla Charlot. La fine delle ostilità belliche determinò una vera e propria esplosione di iniziative e di manifestazioni collettive; naturale reazione a tutto quanto era stato forzatamente represso per anni. Il mio primo impegno di pace fu quello di fare parte attiva della "truppa partigiana di occupazione" nella zona di Cormons, presso il confine con la Jugoslavia, zona in fermento dopo i tragici fatti di Porzus e le pretese di Tito di impossessarsi di una parte del Friuli. Era maggio-giugno, faceva caldo e dormivamo su brande disposte in una grande aula scolastica; nel pomeriggio, per passare il tempo, distesi sui nostri pagliericci, ci dilettavamo a sparare alle mosche che popolavano il soffitto e le pareti; è da osservare però che, per salvaguardare l'intonaco della struttura scolastica che ci ospitava, le pallottole metalliche venivano preventivamente sostituite con tamponi di carta. Due mesi più tardi ci fu lo scioglimento delle unità partigiane e la consegna delle armi, per cui molti si premurarono di disfarsi degli strumenti di guerra mal funzionanti, conservando i migliori per ogni futura evenienza. E così ebbe inizio un periodo spensierato, gioioso e talora trasgressivo, il classico periodo del dopoguerra, che per me si protrasse dal 1945 fino ai primi anni dell'Università a Trieste (1949-50), cioè dai miei 17 ai 22 anni di età. A Buja, noto e confermato centro di artisti e di menti brillanti, avevamo formato una compagnia esclusivamente maschile molto vivace, dedita a onesti divertimenti, in cui dominavano, oltre agli interessi culturali (nella maggior parte eravamo studenti e artisti), le gite con escursioni in montagna, i giochi sportivi (calcio, ciclismo, tennis), il ballo popolare, gli scherzi, anche pesanti, le copiose bevute di sano vino; pochi super alcolici, come pure poche donne, soprattutto se serie, che avrebbero potuto scardinare la serenità e l'unità della nostra compagnia. A proposito di scherzi pesanti, ricordo la vicenda di quell'ometto sbronzo che si ebbe l'occasione di incontrare fuori dal Caffè Tabeacco intorno alla mezzanotte; lo ritenemmo bisognoso di riposo e pensammo bene di sistemarlo in un tranquillo giaciglio; fu così adagiato dolcemente nel rimorchio-bagagliaio del pullman parcheggiato lì vicino, pensando che sarebbe stato scoperto e liberato prima della partenza dello stesso per Venezia. Si seppe poi che l'ometto fu liberato dopo una mezzora di viaggio, alla fermata di Spilimbergo, sano e salvo, con qualche ammaccatura procuratagli dai sobbalzi del rimorchio sul quale aveva viaggiato...clandestinamente. Un altro scherzetto, che di solito era riservato a qualche tipo "sostenuto" che arrivava da fuori Buja, era quello di sollevargli l'auto con un ceppo posto sotto il differenziale, in modo tale da far girare le ruote a vuoto. Noi, perversi, ci divertivamo ad osservare la reazione di sorpresa e di preoccupazione del malcapitato quando tentava di ripartire. In genere tutto finiva con uno scambio di "tàis" (bicchieri di vino) alla salute. Le evasioni di quel periodo furono effettivamente eccessive, per cui lo studio ne risentì e alla fine del liceo mi ritrovai con un anno di vita in più, avendo dovuto rifare la quinta del liceo scientifico al Marinelli di Udine. Tra le distrazioni c'era anche il biliardo, che veniva santificato spesso e volentieri al Moretti di piazzale Osoppo con gli amici in missione di studio a Udine. Talora si ricorreva ad un altro 11 diversivo, specie nei periodi freddi, quando trovavamo accogliente rifugio in una delle case chiuse di Via Villalta, la cui tenutaria ci ospitava familiarmente, senza alcun impegno di prestazioni, e quindi di spesa, da parte nostra. Era un nido tranquillo, che ci permetteva anche di ripassare le lezioni, in quelle mattinate in cui non sentivamo una particolare attrazione per la scuola. Ma ero anche appassionato della bicicletta e, a un certo punto, decisi di saggiare le mie possibilità in competizioni a livello amatoriale. Partecipai ad un campionato friulano dei giornalisti, organizzato sul percorso da Latisana a Lignano, una strada allora ghiaiosa e dissestata; a metà corsa fui costretto al ritiro per una maledetta foratura, non rimediabile. Successivamente ebbi invece, con mia sorpresa, la soddisfazione di vincere il campionato friulano degli studenti (1948), reso aspro da un gran premio della Montagna; in seguito vinsi anche la classica per amatori Udine Grado, premiato dalla Miss Italia del momento. A questi successi fece seguito un certo interesse nei miei riguardi da parte della Società ciclistica De Luisa di Udine, che voleva "comprarmi", ma decisi di tenere per me queste soddisfazioni ciclistiche e di ridurre l’attività sportiva per potermi dedicare con maggiore impegno allo studio. Campione friulano degli studenti Una parentesi che ricordo con molto piacere, anche se poi ha avuto uno strascico doloroso, fu l'incontro che ebbi un giorno a Trieste con il mitico gruppo dei calciatori del famoso Torino, da Bacigalupo a Maroso, a Mazzola, Loik, Menti e via dicendo, con i quali ebbi l'occasione, come inviato stampa, di scambiare qualche impressione sulla loro vita e sulle loro aspettative anche a livello della Nazionale, della quale costituivano l'ossatura. Tifoso ammirato di questi calciatori, soffrii molto quando, pochi mesi più tardi, il 5 maggio 49, scomparvero tragicamente nell'incidente aereo di Superga. Qualche anno più tardi, nella comune oasi di Lignano, ho avuto modo di rinverdire il ricordo del grande Torino, scambiando qualche impressione con l'amico Enzo Bearzot, che fu per anni parte attiva del nuovo Torino e successivamente, nel 1982, prestigioso Direttore tecnico della Nazionale italiana, campione del mondo. L'Università Completato il liceo a Udine, mi iscrissi a Ingegneria a Trieste, avendo escluso gli indirizzi letterari, in quanto mi sentivo maggiormente interessato alle tecnologie e alle scienze applicate. A proposito della mia iscrizione all'Università, ricordo che era rimasta in dubbio per qualche settimana dopo la fine del liceo, perchè avevo quasi abbracciato il progetto di partire all'avventura per il Venezuela, dove avevo alcuni amici e parenti disposti ad avviarmi nell'inserimento in quel Paese, che allora presentava buoni motivi di interesse nel campo del lavoro e del petrolio in particolare. Di fronte a questi miei propositi fu allora mio padre a convincermi a proseguire con gli studi e di questo, in seguito, gli fui tacitamente grato. A Trieste, che allora faceva parte del Territorio Libero sotto il controllo degli Alleati, passavo quattro o cinque giorni alla settimana e, per un certo periodo condivisi una stanza in affitto, con un militare USA di origine hawaiana che, a causa dei suoi impegni, mi svegliava quotidianamente alle quattro del mattino quando si infilava i calzoni, tenuti tesi verso il basso da un paio di catene metalliche che a me parevano appositamente "sonorizzate" per rompere il sonno e le scatole al compagno di camera. Per fortuna la mia età di allora mi consentiva di riprendere il sonno in tempi accettabili. Dopo qualche mese di sopportazione mi decisi a far presente la cosa alla padrona di casa, che mi sistemò in una micro-camera singola; i rumori delle catene mi giungevano ugualmente, ma con un volume attenuato che non sempre riusciva a svegliarmi. Nei primi due anni di Università frequentai con discreta regolarità le lezioni e superai un certo numero di esami, senza trovare però quella piena soddisfazione che mi attendevo; le materie di studio mi apparivano aride, assolutamente prive della componente 12 applicativa che io ritenevo essenziale, se non indispensabile, per la mia forma mentale e soprattutto per il mio futuro professionale. Nella risoluzione dei pesanti dubbi che stavano sorgendo in me, venne in aiuto una serie di interessanti notizie e informazioni, apprese dalla stampa e da discorsi tra studenti, che riguardavano i brillanti successi che l'Agip stava ottenendo con le scoperte di metano in Pianura Padana; a questi successi era associata la mitica figura dell'ex-partigiano Enrico Mattei che, in barba agli interessi politici ed economici di alcune frange del Paese, stava dimostrando la validità delle sue decisioni in merito alle ricerche petrolifere nel sottosuolo nazionale. Sentii rinascere in me la passione per una scienza che già in passato mi aveva colpito: la scienza della natura, della Terra, degli animali. Acquisite ulteriori informazioni, seppi che a Padova era stato di recente istituito un nuovo Corso di laurea, in Scienze geologiche, al quale sarebbe stato possibile accedere con il pieno riconoscimento degli esami sostenuti nel biennio di ingegneria. Mi recai all'Università a Padova ed ebbi la conferma delle informazioni raccolte e successivamente ottenni il benestare al trasferimento, che fui entusiasta di effettuare, già pensando con interesse al mio futuro di geologo, una figura nuova in Italia, che mi sembrava inserirsi in una posizione intermedia tra il naturalista e l'ingegnere. Mi appassionai al mondo della geologia, anche per la caratteristica principale che lo distingue, cioè il riscontro diretto tra la materia teorica di studio e l'applicazione pratica della stessa; ciò ha trovato piena rispondenza con il mio modo di pensare e con le mie capacità intellettuali e caratteriali. Questa integrazione tra lo studio teorico e le relative sperimentazioni, attuate mediante le escursioni in campagna, le attività di laboratorio e il contatto ravvicinato con gli insegnanti, facilitò e rese non solo interessante, ma anche divertente, l'apprendimento delle materie professionali. Fu insomma una felicissima scelta. L'ambiente universitario di Padova mi aprì inoltre, fin da prima della laurea, il contatto con il mondo industriale, grazie al Prof. Di Colbertaldo, che mi introdusse nelle imprese minerarie di Cave del Predil e di Terlano. Il 1951 fu un'annata particolarmente rosea per il mio futuro, sia professionale che sentimentale e familiare: oltre alla indovinata scelta dell'indirizzo geologico, vi fu il felice incontro, qualche mese più tardi, dell'anima gemella, Silvana. Il destino ci fece incontrare casualmente a Buja, dove Silvana (17 anni e mezzo) era arrivata da Cividale, ospite di Giuliana, sua compagna di scuola e comune amica. L'incontro con Silvana mi fa ricordare che a Buja, tra noi giovani, era diffusa l'abitudine di parlare anagrammando le parole al contrario, per rendere meno comprensibili agli altri i nostri scambi verbali. Ecco il commento che Mario Ragagnin mi fece quando gli presentai Silvana: "nebui, lebie sul riose" (buine, biele sul serio = buona, bella sul serio). Lo ritenni un commento indubbiamente incoraggiante. Di ritorno dalle Tre Cime di Lavaredo Ebbi la buona sorte di trovare a Padova, sia nell'Istituto di mineralogia e petrografia (Bianchi e Hieke Merlin), sia in quello di geologia (Gb Dal Piaz e Malaroda), la massima disponibilità e cordialità da parte dei Docenti, ambienti di studio molto accoglienti, facile accesso ai laboratori di analisi e ai microscopi (nel mio corso eravamo soltanto cinque studenti), alle collezioni di fossili, di rocce e minerali, alla cartografia geologica, alla biblioteca e via dicendo. Proprio l'opposto di quanto avevo avuto modo di sperimentare all'Università a Trieste. Silvana Mentre procedevo regolarmente con gli esami e il filo con Silvana si stava consolidando, nel 1952 feci le prime esperienze geologiche 13 personali nelle zone del M. Pasubio e di Maniago; nel 1953 mi impegnai in rilevamenti geologici lungo itinerari e sezioni a Cormons, Brazzacco, a Tarcento, Sedilis, a Clauzetto, Pielungo, Anduins, a Muris, Sompcornino, a Cave del Predil e M. Lussari; diedi anche inizio alla tesi di laurea, che per i geologi è obbligatoriamente sperimentale, proseguita poi nei primi mesi del 1954 nella miniera di Terlano in Alto Adige, con un relatore superlativo come il Di Colbertaldo; questi mi ospitò per diverse settimane nel suo laboratorio della Raibl di Cave del Predil; qui preparai, per gli esami al microscopio, le sezioni sottili e lucide dei campioni prelevati a Terlano ed impostai il lavoro di tesi, poi completato a Padova, dove Di Colbertaldo, di nobile famiglia veneta, era docente di Giacimenti minerari. Anche l'esperienza della tesi fu per me interessante e divertente, agevolata come fu dall'ospitalità a Bolzano degli zii Duilio e Corinna, durante la mia permanenza in miniera nella vicina Terlano. A ciascuno le proprie conquiste. Mentre la spedizione del Prof. Desio si apprestava a vincere il K2, da parte mia, nel luglio 1954, vi Allegria per la mia laurea fu la conquista della laurea, avendo per di più già in tasca un allettante incarico, che qualche settimana prima mi era stato proposto dai "capataz" della geologia di Padova, Bianchi e Dal Piaz. La proposta era di fare il "professore universitario" e in particolare di tenere il corso di Mineralogia all'Università di Ferrara, il cui Direttore di istituto era il Prof. Leonardi, pure lui della scuola di Padova. Accettai con entusiasmo e tre mesi dopo mi trovai dinnanzi a un centinaio di studenti di Ingegneria, schierati nell'aula ad arena della Facoltà, ad ascoltare questo pivello; superata l'emozione iniziale, ebbi il piacere di riconoscere tra gli studenti due amici di Tarcento, che erano un po' in ritardo con gli studi. Nello stesso periodo, in accordo con il Distretto minerario di Trieste, mi presi un altro impegno, di dirigere la coltivazione di una piccola miniera di carbone, gestita da un gruppo di anziani minatori, a Corodonis di Fusea, non lontano da Tolmezzo. Fu l'occasione per estendere le indagini minerarie nella zona e farne oggetto di una delle mie prime pubblicazioni scientifiche. Nel contempo anche la mia tesi di laurea fu pubblicata su una rivista specialistica e successivamente ripubblicata a cura della Regione Trentino Alto Adige. In quel periodo trovai modo di occuparmi anche di due altre ricerche minerarie nelle zone di Ovaro (carbone) e Montefosca (pirite). L'avvio da geologo fu promettente per i vari impegni assunti, ma i quattrini non erano sufficienti a darmi l'indipendenza dalla famiglia paterna e nemmeno a consentirmi l'acquisto di un'auto. A Ferrara mi muovevo con una Vespa e in miniera a Corodonis mi recavo con la moto Rudge 500 o con la Fiat 1100 di papà. La mia settimana era suddivisa tra quelle due sedi di lavoro: passavo quattro o cinque giorni per lezioni e ricerche in Istituto a Ferrara, con Leonardi direttore, con Accordi, suo magnifico primo collaboratore, e con altri giovani colleghi e colleghe (Garavello, Loriga), mentre alla miniera dedicavo uno o due giorni. L'introito economico era allora di 5O mila lire mensili per ciascuno dei due impegni; al momento dovevo accontentarmi, considerato che, ad esempio, un pasto costava allora meno di mille lire. Nel corso di quell'anno accademico partecipai attivamente all'organizzazione del Congresso della Soc. Geologica che si sarebbe tenuto nel settembre 1955 nelle Dolomiti. Nell'estate che precedeva il Congresso fui piacevolmente occupato a rilevare per l'Università in alcune splendide montagne dolomitiche, quali Sciliar, Piz Boè e Lagorai di Cavalese. Nel frattempo mi era giunta una proposta di impiego che avrebbe sconvolto ancora una volta il mio futuro: la possibile assunzione alla Somicem del gruppo ENI, una Società in via di costituzione, con sede a Roma e con aree di ricerca petrolifera nell' Italia centrale e meridionale. Che fare? Ci pensai seriamente e poi decisi di accettare l'offerta, allettato soprattutto dal tipo di attività che avrei trovato in una impresa industriale, certamente più dinamica e tecnicamente più avanzata di quella dell'Università, ma pure conscio di dover rinunciare ad alcuni valori offerti dal mondo universitario, quali l'autonomia nell'impostare la propria attività e le indubbie soddisfazioni derivanti dalla ricerca scientifica; in aggiunta 14 era però da considerare anche il trattamento economico, circa doppio o quadruplo di quello universitario, rispettivamente per attività in sede o fuori sede, tenendo presente che il lavoro normale per un geologo rilevatore è fuori sede. Il dispiacere maggiore fu per me quello di dover lasciare l'amico Bruno Accordi, ma particolarmente penoso fu l'incontro che ebbi con Leonardi a Cavalese alla chiusura del Congresso, che aveva avuto pieno successo e larga partecipazione internazionale, quando dovetti annunciargli la mia decisione di abbandonare il suo Istituto. Mi comunicò tutto il suo rammarico, avendo lui puntato, così disse, sul mio futuro. Lo rividi con piacere venti anni dopo, quando mi invitò a Ferrara per una conferenza sull'attività petrolifera; mi accolse con signorile cordialità, ringraziandomi col suo pronunciato accento veneziano. come gestire il controllo di un pozzo profondo migliaia di metri, con le prove di strato, i log ed altro. Geologo del petrolio Il 10 ottobre 1955 fui assunto dall’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi); entrai in servizio nel settore Marche della Somicem (Soc. mineraria centro-meridionale) diretto da Bruno Martinis, stimato uomo di scienza. Il giorno dopo ero già sul posto di lavoro, essendo stato ritenuto idoneo, anche se privo di esperienza specifica, a seguire il primo pozzo esplorativo della Somicem nelle Marche; mi ritrovai così a fare il geologo del sottosuolo nel cantiere di Burano 1, vicino a Cagli, in compagnia di un perito minerario sardo (Montis) e di tre cuttisti. L'impianto di perforazione era di proprietà dell'Agip; il responsabile del Cantiere, l'ing. Bonarelli, tipico perforatore, era poco incline agli interessi geologici, pur essendo figlio del noto geologo Guido Bonarelli, di Gubbio. Era sposato da poco, tra l'altro con una bella signora, e noi scapoli avevamo notato che spesso, al mattino, si presentava in cantiere con qualche traccia di rossetto sul volto; qualcuno affermava che lo facesse di proposito per farci crepare di rabbia; io ero invece del parere che si trattasse di semplice incuria da vero innamorato. Il pozzo in corso era piuttosto importante, perchè aveva lo scopo di chiarire le possibilità petrolifere delle anticlinali umbro-marchigiane e andava quindi seguito con estrema attenzione; ma in cantiere avevamo ugualmente il tempo disponibile per leggere e studiare e anche per farci qualche escursione geologica nelle vicinanze. Ne approfittai per erudirmi su quello che un buon geologo del petrolio deve sapere della ricerca, dei metodi di indagine e soprattutto di Con Biolzi nel cantiere di Burano 1 (Appennino marchigiano) L'inverno appenninico si fece sentire con gelate prolungate e imponenti nevicate che minacciarono più volte l'accesso al cantiere; nel calore della baracca che ci ospitava in cantiere avevamo costituito un gruppetto affiatato, al quale si erano aggiunti i nuovi arrivati Napolitano e M. Teresa Busi; i nostri supercuttisti Biolzi e Naspi, con la loro ammirevole disponibilità, costituivano il trait d'union della compagnia quando ci si trovava in paese, a Cagli, sia nelle partite a biliardo, che in occasione di qualche festino privato, di cui eravamo ospiti ricercati. Con la primavera 1956 si aprì per me, ma anche per Silvana, una nuova magnifica vita, che si è poi protratta meravigliosamente per tanti, tanti anni. Il 21 aprile ci siamo sposati nella dolce chiesetta di Rubignacco, grazie all'intervento di un sacerdote molto emozionato, che rischiò di svenire sul più bello; l’emozione era comunque anche nostra e dei rispettivi genitori. I meno felici erano certamente, in questa occasione, Rachele e Lino, mamma e papà di Silvana, che si vedevano portar via la loro adorata unica figlia. Dopo un animatissimo pranzo al Longobardo di Cividale, ci involammo in viaggio di nozze attraverso Francia e Spagna, con visita a Barcellona al Prof. Crusafont, simpatica persona conosciuta un anno prima al Congresso delle Dolomiti. 15 Con il ritorno in Patria, altra nuova esperienza da geologi-girovaghi; su due piedi e una jeep fummo inviati ad Amatrice, nel Lazio, tra i Monti Sibillini e il Gran Sasso; il compito era quello del geologo rilevatore, che consiste nel riportare sulle carte topografiche la situazione geologica riscontrata sul terreno, ivi comprese faglie e fratture; si doveva però tenere ben presenti le istruzioni del nostro gran capo di Roma, il Dr. Facca, che non ammetteva l'esistenza di faglie inverse e accettava soltanto e con molte riserve quelle cosiddette normali. L’area da rilevare era quella del permesso "Amatrice", la cui morfologia era piuttosto mossa, con quote variabili tra gli 800 e i 2500 metri sul mare. Nessuno scoramento da parte nostra; affittammo una camera ammobiliata in centro ad Amatrice e per i pasti ci si arrangiava ora qui ora là, in trattoria, in camera, oppure in campagna, con uno spuntino volante. In prossimità del Gran Sasso (1956) Dopo cinque mesi, completato il lavoro, ci trasferimmo a Firenze per un corso di fotointerpretazione; per inciso, questo accadeva mentre l'URSS stava invadendo l'Ungheria. A Firenze, Silvana girava per monumenti, mentre io ero impegnato, ma mi divertivo, a guardarmi foto aeree, in compagnia di un allampanato tecnico inglese che soffriva il freddo e non faceva altro che ripetere da mattina a sera "it's cold", ovviamente nel senso che "faceva un freddo boia"; in effetti negli uffici dell'IRTA, di cui eravamo ospiti, si criccava dal freddo e di riscaldamento non se ne parlava proprio, malgrado la rigidità di quel novembre fiorentino. Sembra comunque che il fotointerprete inglese sia sopravvissuto, grazie alle abbondanti libagioni di whisky che faceva in notturna; al mattino aveva infatti qualche difficoltà nel riprendere in mano le foto aeree. Soltanto a Roma, qualche settimana dopo, ritrovammo una temperatura confortevole ed una atmosfera deliziosamente ospitale. La permanenza a Roma, presso la sede della Somicem, a due passi da Trinità dei Monti, fu davvero piacevole e ci consentì, soprattutto a Silvana, di visitare quanto di interessante offre la Capitale, mentre io ero ormai con la testa impegnata nell'organizzare la nuova campagna esplorativa in Umbria e Lazio. Fu così decisa la scelta di Gubbio, quale nostra nuova sede di lavoro e i primi compagni di ventura furono i giovani geologi Carlo Pelagatti, Ugo Madeddu e Giovanni Cantù. Di Gubbio e degli eugubini, che ci identificavano come "i petrolieri", ci è rimasto un magnifico ricordo, data la cordiale ospitalità che seppero offrirci e la divertita reazione che dimostrarono anche di fronte a qualche nostro eccesso, come accadde quando si usò la jeep per scendere trionfalmente lungo lo scalone del Palazzo dei Signori. Alla fine fummo premiati con il diploma di "Matti di Gubbio", onorificenza riservata a pochissimi ospiti di quella città. Come attività geologica, ricordo le campagne di rilevamento delle strutture di Gubbio, di M. Acuto e del M. Subasio (Assisi). Con l'estensione dell'attività nella regione laziale, dopo circa un anno, ci trasferimmo con casa e ufficio a Perugia, dove si unirono a noi altri geologi e geofisici (De Gaetano, Maisano, Viterbo, Bomboletti, Serafini, Di Gennaro); a questo mio nuovo ufficio faceva capo anche la sede di Terni, con Busi e Benedetti. All'attività di rilevamento geologico (M. Cetona, Sansepolcro) e sismico, fece seguito l'esecuzione di alcuni sondaggi esplorativi (Gubbio 1 e Perugia 1), che diedero nuove informazioni sull'assetto geologico profondo dell'Appennino Centrale. Si era giunti alla primavera 1959 quando scoppiò la periodica bomba organizzativa! L’ENI decise di chiudere la Somicem e di trasferire le attività e quindi anche il personale all'Agip Mineraria, la cui sede era a S. Donato Milanese. Con una certa amarezza e con qualche incertezza sull'immediato futuro professionale, fummo costretti a lasciare Perugia dopo un solo anno di felice permanenza. Lasciamo Perugia per il Marocco 16 Il distacco dalla Somicem riporta il mio pensiero a Giancarlo Facca, cui ho accennato in precedenza: una persona estremamente vivace e interessante, daltonico, ma sempre convinto che i colori reali fossero quelli che lui vedeva, mai dubbioso sulle sue interpretazioni, incluse quelle geologiche; con lui era quasi inutile discutere su una pendenza di strato o su una faglia. Comunque, con la sua cordialità, simpatia ed ospitalità aveva conquistato la nostra stima e il nostro cordiale affetto. Aveva una impostazione mentale da filosofo più che da geologo; era mal sopportato da alcuni alti gradi dell'Azienda e fu dapprima emarginato, con la costituzione della Somicem, e poi definitivamente allontanato; da qui la sua emigrazione negli Stati Uniti, seguito poi dalla Busi. Un'altra importante figura della Somicem, che ho ritrovata poi sia all'Agip che in seguito all'Università, è quella del Martinis, personalità spiccata, che gode del mio pieno apprezzamento. Tra gli altri "somicini" da ricordare: Fattorossi, Colledan, Guidi, Zamparo, Carella, Sogaro, Bruzzichini, Perini, oltre naturalmente ai più vicini colleghi e amici di lavoro, molti dei quali poi ritrovati anche all'estero, tra questi Carlo Pelagatti e Ugo Madeddu. Il trasferimento all'Agip Mineraria, a parte le complicazioni di carattere logistico, fu agevolato da una buona e insperata accoglienza nel nuovo ambiente di lavoro. Fui assegnato alla Divisione Estero, con il Dr. Jaboli, temutissima figura, che aveva però l’importante pregio di accettare anche le idee altrui; in situazioni critiche era importante lasciarlo parlare fino all'esaurimento della sua carica interna. Nel nostro primo incontro mi comunicò che mi avrebbe visto volentieri in Marocco nella posizione di coordinatore delle attività geologiche ed io mi guardai bene dal deluderlo, anche perchè la sua proposta era di mio gradimento, e risposi che ero contento della sua decisione. Da quel momento ebbi con lui, attraverso gli anni e fino al suo pensionamento, un ottimo rapporto di collaborazione. Dopo aver predisposto ogni dettaglio organizzativo e dopo aver seguito, con l’amico Tracanella, un breve corso di aggiornamento topografico a Caviaga, il 21 giugno 1959 partii per il Marocco assieme allo stesso Tracanella, mentre Silvana, in attesa di raggiungermi ad Agadir dopo qualche mese, si sistemava temporaneamente a Udine presso i suoi genitori, qui trasferiti da Cividale. Marocco Il Marocco, un Paese magnifico, per colori, sapori, profumi, per la gente tranquilla e disponibile, almeno allora lo era, a fine anni Cinquanta; un Paese attraente anche per la Natura, aperto come un libro colmo di immagini che nulla nascondono. E noi eravamo lì, nel 1959, per scrutare questa natura marocchina, per scoprire i suoi segreti, studiandola nei particolari con l’occhio e lo spirito di candidi naturalisti, ma con una incombente missione impostaci dall’alto: quella di cercare e di trovare il petrolio! L’area in concessione per la ricerca petrolifera corrispondeva all’ex Sahara Spagnolo; un’area molto estesa, pari a quella della Pianura Padana, situata nell’estremo sud del Marocco, che di recente l’aveva annessa al proprio territorio, provocando contestazioni armate da parte del movimento del Polisario, contestazioni che si manifestarono anche dopo il nostro arrivo, per cui ci fu imposta, per sicurezza, la scorta militare. Considerata la vastità dell’area da esplorare, della quale per giunta non esisteva allora alcuna base cartografica e geologica attendibile, fu necessario affrontare l’esplorazione con l’impiego di un consistente numero di tecnici e di mezzi, dato anche l’obbligo contrattuale di rispettare gli impegni assunti con il Governo marocchino, che prevedevano l’esecuzione dei primi pozzi esplorativi in tempi relativamente brevi. Una nostra squadra geologica nel Sud marocchino La programmazione generale delle operazioni veniva effettuata dalle unità specialistiche dell’Agip Mineraria di S. Donato Milanese (Egidi, Rocco, Jaboli, Martinis), mentre l’attività operativa in Marocco era impostata su quattro Squadre geologiche Agip, una Squadra fotogeologica a contratto (Geomap), un Gruppo gravimetrico (Cornaggia), un Gruppo sismico (Bonazzi, Savelli, Da Rold), una Squadra geodetica (Biscaccianti), una Squadra piste (Gregoretti) ed una Unità aerea con due elicotteri (Di Falco, Nelli) e un aereo Cessna. 17 Dopo alcuni mesi di rilevamenti geologici e geofisici, che avevano portato ad individuare l’ubicazione di due pozzi esplorativi sui motivi strutturali di Oum Doul e di Puerto Cansado, fu avviata anche l’attività di perforazione (Cremaschi, Viti, Crippa, Cordani). La locale Direzione dell’Agip Mineraria in Marocco (Pettorossi e collaboratori Asei, Salsi, Signorelli) si trovava, fin dall’inizio, nella capitale Rabat, mentre gli uffici tecnici ed operativi avevano sede ad Agadir, una bella cittadina sul mare, poi distrutta dal terribile sisma del 29 febbraio 1960, che provocò oltre diecimila morti, tra i quali purtroppo anche undici dei nostri colleghi e familiari dell’Agip. Successivamente gli Uffici di Agadir furono trasferiti a Casablanca. Questa massiccia impostazione organizzativa, integrata con una Base logistica a Tantan (Malpezzi), fece sì che la campagna Marocco divenisse per noi geologi dell’Agip una vera e propria “nave scuola”, dove si poteva trarre profitto delle più diversificate esperienze professionali, risultate utili anche per il futuro dell’azienda. Nel periodo della mia permanenza in Marocco, come Responsabile della Geologia, ebbi modo di beneficiare della collaborazione di oltre una ventina di tecnici italiani, tra geologi rilevatori, geologi del sottosuolo, periti minerari e topografi che, in successione, fecero parte delle Unità geologiche impiegate nel Sud marocchino. Campo del Gruppo gravimetrico Tra questi ricordo con piacere e nostalgia: Giovannelli, Veneziani, Zambellini, Segnini, Negroni, Livraga, Tracanella, Madeddu, Pelagatti, Visintin, Sattanino, Malgaroli, Maioli, Viotti, De Grandis, Zamparo, Guarnieri, Saladino, Avenali, Ariè, Barazzoni, Fazio, Marocchi, Pagani e forse altri; a questi sono da aggiungere anche gli appartenenti al Gruppo fotogeologico della Geomap (Marchesini, Lipparini, Macii, Conedera). Non si possono poi scordare i numerosi collaboratori locali che ci accompagnarono nelle nostre scorribande geologiche: persone molto apprezzate per la serietà e l’impegno nel lavoro e per la loro disponibilità alla amichevole convivenza forzata (Michel, Afkè, Bidaoui e tanti altri). Al campo geologico di Amotte, Sud Marocco (1959): in piedi Michel, Afkè e Ahmed; seduti Barnaba, Tracanella e Ariè; accucciato l’assistente-guardiano Rivolgendo il pensiero alla indimenticabile esperienza marocchina e scorrendo alcune foto di allora, mi viene in mente un episodio di vita in deserto che forse merita di essere ricordato. Partiti da Agadir, eravamo diretti verso il deserto del Sud, per una missione presso le Squadre geologiche; con noi viaggiavano due giovani geologi, appena sbarcati da un traballante DC3 proveniente da Casablanca; con una tendina da deserto sotto il braccio, erano stati inviati con urgenza dall’Italia per aiutarci ed ora erano stipati su due potenti fuoristrada, una Jeep Willis ed una Land Rover, targate Agip Mineraria. Lungo il percorso stavamo riflettendo sugli impegni presi dall’Agip di Mattei con il Re Mohammed Cinq, che erano così pesanti da farci scordare qualsiasi ritardo nei programmi di lavoro e perdite di tempo; le disposizioni superiori dicevano infatti che il lavoro doveva essere santificato, evitando di parlare di domeniche o di altre ricorrenze da festeggiare. Non faceva molto caldo, ci si stava avvicinando al tramonto e da qualche decina di chilometri l’andatura si era fatta più lenta a causa dello stato della strada, anzi della pista che ci stava portando a Tantan, meta agognata per un pasto ed un sonno ristoratori. Dalle dichiarazioni del mattino dopo, la foresteria di Tantan risultava discretamente ospitale per alcuni di noi, orrenda per altri, meno elastici ai cambiamenti di abitudini, agli alimenti e ai contatti umani. Il sole era ormai sorto, dietro alcuni minacciosi nuvoloni, ed era l’ora di muoverci, avendo in programma di raggiungere entro sera il campo dei geologi 18 La nostra Base Agip di Tantan nella regione di Meseied; qui una Squadra geologica era impegnata nei rilevamenti che dovevano portare, con l’aiuto della geofisica, all’ubicazione del primo pozzo esplorativo. Dopo qualche decina di chilometri di viaggio, entrammo improvvisamente nelle spire di un temporalone da tregenda, che ci scaricò addosso tanta acqua da far rivivere gli aridi torrentelli della zona che, assetati com’erano, non aspettavano altro per dichiarare la loro presenza, prendendosi così qualche soddisfazione sui viandanti. E noi eravamo i predestinati viandanti del momento: la Jeep cominciò a sbandare e, imbizzarrita nel tentativo di superare un modesto avvallamento invaso dall’acqua, sobbalzò ripetutamente Sosta forzata lungo la pista Tantan Meseied per poi piantarsi, piegandosi senza remissione su di un fianco; l’automezzo venne invaso dall’acqua corrente, con noi, ancora in sella, in balìa della stessa. Altrettanto accadde dell’altra jeep che ci seguiva e così ci trovammo in totale subordine agli elementi naturali. Per fortuna le conseguenze non furono particolarmente pesanti, ma comunque non riuscimmo, con i mezzi a disposizione, a smuovere gli automezzi. Inzuppati fino al collo e anche al di sopra di questo, ci limitammo a implorare inutilmente aiuto con l’walkie-talkie. La nostra situazione non era certamente brillante, ma era attenuata dal piacere fisico di sentire scorrere addosso l’acqua che viene dal cielo, grazie alla sua temperatura piacevolmente tiepida. Calmatosi il nubifragio, ci decidemmo a trascorrere la notte sulle Jeep, attendendo fiduciosi il passare delle ore e il benefico defluire delle acque. Al mattino riuscimmo a rimettere in marcia gli automezzi e, malconci e assonnati, dopo una mezza giornata di riflessioni anche vocali sui casi della vita, riuscimmo a raggiungere finalmente il campo geologico. Da Agadir a Messeied, circa 600 chilometri, due giorni e mezzo di viaggio, quasi un record! Dopo aver montato personalmente le tendine da deserto che ci avevano fedelmente accompagnato, trovammo l’agognata ospitalità e la gradita compagnia degli amici colleghi, compartecipi della indimenticabile avventura marocchina. A questo punto, non si poteva fare a meno di inviare un pensiero di gratitudine a chi ci aveva avviato verso questa entusiasmante esperienza da esploratori, ricordando con stima e simpatia uomini come Egidi, Jaboli, Martinis e tanti altri amici dell’Agip Mineraria. Geologi in deserto Il compito di noi geologi impegnati nel Sud marocchino risultò particolarmente difficoltoso a causa dell’assenza di una base cartografica attendibile, per cui si rese necessario il ricorso alle foto aeree, integrandolo con locali controlli topografici sul terreno. Per questo ciascuna delle nostre unità geologiche era formata da due geologi più un topografo, indispensabile nella specifica situazione, e da alcuni collaboratori locali, autisti e aiutanti al campo. Le squadre operavano in deserto per sette giorni alla settimana, per circa un mese, poi rientravano ad Agadir per una decina di giorni, che venivano dedicati alla restituzione dei dati raccolti e alla stesura di un rapporto sulla campagna effettuata; non si trattava quindi di un periodo di riposo, ma di una specie di "soggiorno-premio", per riprendere contatto con la vita normale, in attesa di una nuova missione in deserto; questa particolare modalità dei riposi fu poi, con fatica, gradualmente modificata. Il normale contratto era biennale e 19 prevedeva due mesi di ferie dopo ventidue mesi di attività all'estero. Ogni squadra era dotata di due o tre jeep, che venivano utilizzate per il rilevamento geologico e di uno o due autocarri 4x4, attrezzati per il fuori strada, impiegati principalmente nei trasferimenti delle attrezzature del campo (o meglio accampamento) da una zona di lavoro all'altra. I collegamenti radio erano assicurati mediante apparecchiature da 40 e 100 W, sia tra le squadre che con le sedi in città. Il campo geologico consisteva di alcune tende singole per noi espatriati e per il personale locale e di alcune tende più grandi, adibite ad ufficio, cucina, luogo di ritrovo o dormitorio collettivo per i locali. consistente per scarsa frollatura, procurataci dai militari al seguito. La toilette era molto ampia e ben ventilata, come l'intero deserto intorno; per gli occhi indiscreti, era sufficiente un arbusto o un piccolo rilievo e ci sentivamo tranquilli. Al campo non ci si annoiava perchè c'era sempre qualcosa che movimentava la vita; un giorno c'era il vento di sabbia, un altro giorno arrivava al campo il nomade solitario in cerca di chiacchiere e di qualche boccone, ma soprattutto era l’impegno professionale a riempire la giornata. E ogni tanto un episodio eccezionale e a questo proposito mi vengono alla mente alcuni fatterelli accaduti, come: l'incontro con un cobra che con fare minaccioso ci aveva sbarrato il cammino nel bel mezzo della pista di Goulimine; l'iniezione antiveleno al nostro autista che nella sua tenda era stato punto da uno scorpione (poi gelosamente conservato per mesi sotto spirito); l'analogo intervento, effettuato ovviamente con un siero diverso, al militare marocchino vittima di una vipera cornuta; la visita di un "homme bleu" con la moglie sofferente di mal di pancia, a cui si intervenne con il solito enterovioformio. Anche sulla temperatura c'è qualcosa da dire; gli estremi termometrici in deserto sono notoriamente elevati e tra questi ricordo il sottozero notturno di gennaio e febbraio, testimoniato dal ghiaccio nel catino in tenda, come pure il valore eccezionale di +52°C di Assa in luglio, misurato con l'infallibile termometro a fionda. In quel periodo particolare, dal nostro campo di Assa ci si muoveva soltanto tra il sorgere del sole e le dieci o undici del mattino; anche per l'elicottero si trattava di condizioni proibitive, per cui era prudente lasciarlo riposare a terra. Vita familiare in terra marocchina Il sondaggio esplorativo di Oum Doul 1, con elicottero in volo Spesso avevamo degli ospiti aggiunti: i piloti e i tecnici degli elicotteri (che venivano impiegati per i rilevamenti in zone di difficile accessibilità o per le ricognizioni preliminari), i militari locali addetti alla nostra sicurezza, nonché i colleghi in visita dall'Italia e altri di passaggio. Oltre che alla geologia, al campo si doveva pensare al rifornimento dei viveri; nei primi tempi non disponevamo né di generatori, né di frigoriferi e ci si arrangiava, dopo i primi giorni di cibi freschi, con scatolette e raramente con qualche bistecca di gazzella, piuttosto Un paio di mesi dopo il mio arrivo in Marocco, durante i quali ebbi modo di sperimentare il lavoro in deserto, fui raggiunto dalla moglie Silvana, giunta in aereo in compagnia dei familiari (moglie e due maschietti) del collega Tracanella, destinati anche loro a risiedere ad Agadir. Noi ci installammo in una graziosa villetta vicino al mare, con un giardino senza confini, che scendeva verso la spiaggia atlantica. In casa ci faceva compagnia un timido cagnolino a pelo nero, tipico "chien arabe", chiamato Dalì, che avevamo adottato da un vicino villaggio. Era il nostro primo contatto prolungato con un paese estero; il clima era 20 fisico, grazie alla particolare struttura del locale, ci precipitammo all'esterno e ci trovammo avvolti in un nuvolone di polvere che dalla città scendeva verso il mare. Era purtroppo la conseguenza degli effetti distruttivi sofferti dagli edifici. Resici conto della drammatica situazione che stavamo vivendo, risalimmo la scarpata per raggiungere il vicino condominio dove abitavano la moglie e i due figli di Tracanella, che si trovava al lavoro in deserto. Non potevamo crederci: dell'edificio di 4 o 5 piani non rimaneva che un cumulo di macerie! La stessa sorte avevano subito anche alcuni alberghi dove si trovavano nostri connazionali. Questo fu l'inizio della drammatica settimana che passammo tra le macerie di Agadir, nel doveroso e triste impegno di recuperare i corpi Marocco, 1959 veramente un incanto, la città graziosa nel suo contrasto tra l'abitato arabo e quello paraeuropeo e in più il mare! Per i palati più delicati vi era qualche piccola difficoltà, in particolare con la carne locale, che era limitata a pollo e cavallo. Il vitello (veau de France), il cui arrivo da oltre mare era saltuario, permetteva qualche rara variazione al tema. In compenso avevamo il vantaggio di poter disporre di tutto l'aiuto domestico desiderato, sia per la casa che per il giardino; si poteva godere inoltre delle bellezze naturali del Paese e della particolare serenità, unita alla fierezza, dei marocchini. La mia vita era un alternarsi di missioni in deserto, presso le varie unità geologiche e geofisiche, di missioni a Rabat (allora un DC3 collegava Agadir alla Capitale con tre voli alla settimana) e periodi di permanenza in ufficio ad Agadir. Purtroppo la residenza ad Agadir fu improvvisamente troncata dal tremendo terremoto che ci colpì dopo pochi mesi. Una vicenda dolorosissima fu quella del 29 febbraio 1960 (anno bisestile); particolarmente tragica perchè tra le oltre diecimila vittime del terremoto vi furono anche undici nostri colleghi e familiari dell'Agip. Era quasi la mezzanotte e stavamo completando tranquillamente in compagnia la serata che avevamo organizzato in un ristorante sul mare in onore di alcuni ospiti in missione dall'Italia, tra i quali Martinis e Colledan. La temperatura era eccezionalmente calda per la fine di febbraio e ci stavamo godendo la brezza dell'Atlantico, quando improvvisamente fummo investiti da una serie di violentissime scosse che ci fecero sussultare per alcune decine di secondi. Constatando di non aver subìto alcun danno Effetti del sisma di Agadir (29.2.1960) delle vittime, di organizzarci per mangiare e dormire al sicuro in tende e per aiutare i sopravissuti. I ricordi di quei tristissimi giorni sono molto confusi, forse anche perché la nostra mente ha tentato di cancellarli, riuscendovi in parte. Dopo qualche giorno ci trasferimmo a Casablanca e lì fu ricomposta la nostra sede operativa e la vita riprese gradualmente, con un grave peso interiore che ci accompagnò per qualche tempo. Qualcuno dei tecnici e dei familiari preferì rientrare in Italia e fu sostituito da forze fresche, che diedero nuova linfa alle nostre operazioni, che non dovevano subire arresti. A Casablanca trovammo un tipo di vita più evoluto rispetto ad Agadir; migliori disponibilità alimentari, ma pure i difetti propri delle grandi città, tra cui una certa insicurezza per la delinquenza diffusa, tuttavia non sufficiente a sconsigliarci di dormire all'aperto, cosa che si 21 fece per qualche notte, ancora sconvolti dalla drammatica esperienza del terremoto. Poi pian piano tornammo alla normalità o quasi. Abitavamo in una villa suddivisa in due appartamenti: in uno noi, nell’altro i Pelagatti; ci si trovava spesso con loro, come pure con i Madeddu, i Santanera e qualche altro. Luoghi di incontro, oltre all’ufficio, erano i campi da tennis, il ristorante, la piscina; il mare di Casablanca non era raccomandabile, a causa di una particolare corrente fredda che lo rendeva inospitale. Del nostro soggiorno in Marocco approfittammo per visitare anche Marrakesch, Fez e Meknès, oltre a Rabat, luoghi veramente meritevoli per colori, storia e umanità. Le nostre attività nel sud del Paese proseguirono con l'esecuzione del primo pozzo, denominato Oum Doul 1, che terminò con risultati non incoraggianti; si decise allora di spostare l'impianto di perforazione nella zona costiera, a Puerto Cansado, per un secondo sondaggio profondo. Proprio in quei giorni era giunto a buon fine, con le firme di Mattei e di Bourghiba, un nuovo accordo tra l'Agip e la Tunisia per l'esecuzione di ricerche petrolifere nel sud del Paese. Una settimana più tardi mi fu proposto dall’Agip, ed io accettai di buon grado, di trasferirmi in Tunisia con l'incarico di organizzare la campagna esplorativa in vista di quella nuova operazione. A succedermi in Marocco fu Fattorossi, al quale passai le consegne con una mia ultima nostalgica missione nel Sud e poi mi apprestai a trasferirmi con entusiasmo in Tunisia. Ed ecco un consuntivo sull'esperienza marocchina: a parte il durissimo intermezzo del terremoto, è stata decisamente positiva, sia dal lato familiare che professionale, perchè ci ha consentito di vivere a stretto contatto con ambienti umani molto diversi: quello dei colleghi europei, con i quali in alcuni casi sono nate o si sono riscoperte buone amicizie, e quello dei collaboratori locali, che in generale si sono rivelati particolarmente attivi e collaborativi. Esperienze di vita molto varie e pienamente appaganti, anche perchè legate ad ambienti così diversi come il deserto, gli sperduti villaggi del Sud e le grandi città, in cui la cultura orientale tenta di convivere con quella europea. Lasciammo il Marocco nel dicembre 1960. Tunisia Il primo approccio con il Sud tunisino fu prima di Natale del Sessanta, in occasione della ricognizione preliminare, compiuta via terra nella zona di El Borma, principale obiettivo della nostra ricerca petrolifera; si trattò di una spedizione massiccia, con una foltissima scorta armata, guidata dal Governatore del Sud, una persona amabile e ospitale; da parte Agip, oltre a me, c’erano Martinis, Romagna e un ingegnere dei servizi generali. Raggiunto il margine orientale delle dune sahariane ne risalimmo con fatica la china, ma dal culmine non si vide altro che sabbia e molte altre dune. E pensare che sotto a queste ci sono innumerevoli testimoni di civiltà passate, da quella neolitica alla romana, che l'avanzata del Sahara verso oriente ha progressivamente sepolto! Fu quella la prima presa di contatto con la zona di El Borma, che allora era considerata insicura, a causa delle contestazioni in atto tra Tunisia e Algeria sul vicino confine tra i due Paesi; il Governatore tunisino ci ricordò che l'area era ancora soggetta a frequenti incursioni armate da parte algerina. I Ghorfas di Medenine (Sud Tunisia) Nonostante la delicata situazione, i nostri Capi (Egidi, Rocco, Jaboli, Martinis), sotto la spinta di Mattei da un lato e del Presidente tunisino Bourgiba dall'altro, decisero di dare ugualmente il via alle operazioni, contando anche sulla protezione delle forze militari tunisine. Fu così programmata una seconda ricognizione, in questo caso aerea, sull'intera zona del permesso El Borma, dove dalle foto aeree risultavano affiorare tra le dune dell'Erg alcuni lembi rocciosi di natura geologica incerta. La missione, due volte rinviata per motivi di sicurezza, fu finalmente effettuata nel marzo 1961; con Pelagatti e Barazzoni si partì con un piccolo aereo da Sfax; la ricognizione aerea fu di estrema rilevanza, perchè permise di 22 acquisire informazioni dirette sulla conformazione topografica e sulle caratteristiche di percorribilità dell'area di ricerca, in vista delle future operazioni; ci si rese conto delle particolari difficoltà di accesso della maggior parte del territorio, data la imponente estensione e la notevole altezza delle dune di sabbia che ricoprivano quasi interamente il suolo roccioso; fu così evidente che per la futura campagna geologica si sarebbe reso indispensabile l’uso dell’elicottero e che per il rilevamento sismico e per l’eventuale perforazione sarebbe stato necessario prevedere l’apertura di piste attraverso le dune dell’Erg. Ma il risultato più importante di questa missione fu l’individuazione di un motivo geologico strutturale meritevole di dettagliato controllo, in quanto di possibile interesse petrolifero. La campagna geologica fu avviata soltanto dopo qualche mese di attesa, quindi in ritardo rispetto al previsto, a causa della prolungata inaccessibilità della zona per ragioni di sicurezza (scaramucce tra confinanti, a seguito di ripetute incursioni armate algerine). Geologi Agip e militari tunisini in marcia verso El Borma, attraverso le dune dell’Erg Oriental. Nel gennaio 1962 si partì con tre geologi, due topografi e due elicotteri con relativi piloti e meccanici. Disponevamo inoltre di un campo logistico fisso all’esterno dell’Erg, dotato del personale d’ordine, e di un campetto volante da installare, a seconda delle esigenze, all’interno della zona operativa. Si dovette tener conto della necessità di alloggiare anche i militari, che costituivano la nostra immancabile scorta, con i loro inseparabili cammelli (o meglio dromedari), che non ci abbandonavano neppure tra le dune dell’Erg. A questo riguardo non si può certo dimenticare con quale rispetto ed educazione reciproci abbiamo sempre potuto convivere e collaborare in piena serenità con i tunisini, sia civili che militari, che ci hanno accompagnato nelle peregrinazioni attraverso il loro Paese. Si meritano ancora un plauso e un sentito ringraziamento da tutti noi che abbiamo vissuto per anni in Tunisia, anche in luoghi non sempre del tutto accoglienti. Campo geologico nel Sud tunisino. Così organizzati, fummo impegnati, grazie anche agli elicotteri che agevolarono enormemente il lavoro, in una raccolta certosina di dati geologici, stratigrafici e altimetrici sui numerosi affioramenti rocciosi individuabili tra le dune, costituiti da calcari e marne della formazione Abiod del Cretacico superiore, risalenti a circa 80 milioni di anni fa. Collegando tra loro i dati geologici e altimetrici raccolti nei vari punti di osservazione, riuscimmo a ricostruire l’assetto strutturale della zona, riferendolo ad un livello-guida prescelto. La ricostruzione così ottenuta mise in evidenza una interessante piega anticlinale, di notevole ampiezza e regolarità, che destò immediatamente il nostro entusiasmo perchè corrispondeva alla più classica delle “trappole di accumulo” per idrocarburi. Ma poi, riflettendo sulla realtà della situazione, l’entusiasmo calò un pochino perchè, pensandoci bene, ci trovavamo di fronte ad un motivo strutturale rilevabile in superficie, almeno per ora, mentre i giacimenti di petrolio, quando sono presenti, si trovano in profondità. In ogni caso si rendeva quindi indispensabile attendere una risposta dal sottosuolo, per conoscere se vi fosse la prosecuzione in profondità del motivo strutturale individuato in superficie. La prospettiva era e rimaneva comunque decisamente incoraggiante, data la presenza dell’anticlinale di superficie e così fu deciso di proseguire la ricerca con l’esecuzione di una campagna sismica a riflessione, per la quale fu necessario aprire, utilizzando potenti bulldozer, alcune piste attraverso le sabbie e le dune dell’Erg Oriental. 23 Piste attraverso le dune di sabbia per il rilevamento sismico a El Borma Ne valse comunque la pena perché il rilevamento sismico confermò la presenza dell’anticlinale anche in profondità, seppure con un certo spostamento rispetto alla struttura di superficie. Ed allora non rimaneva altro che decidere di passare alla fase di perforazione; ma la decisione non fu molto rapida, rallentata dalle perplessità suggerite dalle difficoltà che la zona di operazione presentava realmente, con particolare riferimento all’impegno di aprire nuove e adeguate vie di accesso per l’impianto di perforazione e per i relativi materiali e attrezzature. Dopo un periodo di riflessione, prevalse in Agip l’orientamento di fiducia nel progetto, sostenuto da numerosi tecnici (geologi, geofisici, ingegneri), convinti della validità degli elementi acquisiti con l’esplorazione fino ad allora effettuata e delle conoscenze tecniche relative ad analoghe situazioni presenti nel vicino Sahara algerino. Fu così deciso di procedere alla perforazione del primo pozzo (EB1), tenendo conto dei risultati sia geologici che geofisici. Il pozzo fu ubicato infatti in corrispondenza dell’incrocio dell’asse dell’anticlinale di superficie, individuato dai geologi, con l’asse della struttura profonda risultante dall’interpretazione del rilievo sismico. Questo primo pozzo fu, come si sperava, anche il pozzo di scoperta; EB1 trovò l’olio nelle arenarie del Trias inferiore (vecchie di 240 milioni di anni!) tra i 2400 e i 2500 metri di profondità. Al successo del pozzo EB1, avvenuto dopo meno di quattro anni dalla firma della Convenzione, fece seguito l’esito positivo di una lunga serie di altri pozzi, una cinquantina, di coltivazione e di delimitazione. Le riserve di olio del giacimento risultarono superiori ai cento milioni di tonnellate, per cui El Borma divenne membro della classe dei “giganti” mondiali. Per l’olio prodotto fu scelta, fin dal 1965 (soltanto cinque anni dopo il nostro arrivo in Tunisia) la destinazione del Terminale di La Skirra, nel Golfo di Gabès. La vita produttiva del giacimento è proseguita regolarmente per oltre quaranta anni; nella fase avanzata della produzione, per migliorarne l’efficienza, sono stati effettuati molteplici interventi di recupero secondario, con iniezioni di acqua da alcuni pozzi marginali del giacimento. E’ da ricordare che a beneficiare della scoperta di El Borma non fu solamente la Tunisia, che entrando di diritto nella Sitep (Société Italo Tunisienne d’Exploitation Pétrolière), divenne proprietaria di una buona parte dell’olio prodotto, ma anche l’Algeria, che ebbe modo di mettere in produzione alcuni pozzi eseguiti sull’appendice del giacimento di El Borma debordante in suolo algerino. Anche questo olio seguì la via del Terminale di La Skirra. 24 El Borma - Il primo pozzo esplorativo, denominato EB1 Prove di produzione nel pozzo di scoperta EB1 Ed ora un accenno all’organizzazione della Sitep e ai colleghi dell’Agip che fecero parte della felice avventura tunisina nel periodo tra il 1960 e il 1964. La sede principale della Società era a Tunisi ed ospitava la Direzione (Borella), gli uffici dell’Esplorazione (Barnaba, Romagna, Pelagatti), dell’Amministrazione e Personale (Guglielmi, Paris, Bon, Perrone) e dei Servizi generali (Bocchi, Di Natale, Santanera). A Gabès, nel sud del Paese, era stata allestita una base avanzata (Vicini, Bagna), per l’assistenza alle varie Unità geologiche, geofisiche e, in un secondo tempo, della perforazione, che operavano con campi e cantieri mobili nelle aree delle ricerche petrolifere. Tra i componenti delle Squadre geologiche ricordo e mi scuso se dimentico qualcuno: Baldazzi, Ferrari, Marcias, Pini, Balduzzi, Augelli, Avenali, Barazzoni, Rossi, Zamparo, con una schiera di locali, tra i quali Mohsen, Calaci, Zoubair, Mercuri, Galloul, Bechir, Telmudi, M’Rabet. Tra i Geofisici ricordo per la Sismica: Magaldi, Pedroni, Anselmo, Colombara e per la Gravimetrica: Salvaderi, Zavaroni, Casamanti, Pollara, Belvederesi. Tra i “perforatori”: Crippa, Orlandi, Monfredini, Braghi, De Martin, Pasquetto, Savina, Dametti, Barbisotti. Non si possono poi dimenticare i Comandanti e gli Specialisti dell’aria, elicotteri ed aerei: Casini, Nelli, Moroni, Brini, Mandara. 25 A proposito di elicotteri, un ricordo del tutto particolare mi lega al Com.te Casini, con il quale sul biposto I-Agir ebbi modo di sperimentare il 4 ottobre 1962 un brutale e ripetuto impatto con il suolo, per fortuna con conseguenze soltanto lievi per noi, non altrettanto per l’elicottero. Stavamo volando con un vento teso sui rilievi collinari della zona desertica di Djebel er Roumana, a est di El Borma, quando chiesi al Casini di atterrare su di un cocuzzolo per prelevare un campione di roccia, come di solito fa il geologo nel corso di un rilevamento. Non appena iniziata la manovra di discesa, l’elicottero dimostrò di non voler obbedire agli ordini del pilota e, forse per un vuoto d’aria o per un colpo di vento o che altro, precipitò al suolo come una pera, rimbalzando poi più volte, tre, quattro, cinque volte, sbattendoci di qua e di là e rischiando di capovolgersi lateralmente, prima di arrestarsi; un lungo sospiro da parte nostra e la considerazione che ci era andata proprio bene, visto che non vi era stata alcuna minaccia di incendio e che personalmente avevamo subito soltanto una serie di “insaccate” (qualche riflesso sui miei attuali dolori lombari?). Il rimpatrio dell’elicottero Concludendo sulla fortunata campagna tunisina, mi viene spontanea una riflessione patetica e augurale: la maggior parte dei tecnici che hanno contribuito al successo di El Borma è oggi a riposo; per loro rimane la grande soddisfazione di aver vissuto un’esperienza indimenticabile. Auguriamoci che analoga esperienza, con altrettanta soddisfazione personale, possa essere vissuta da molti altri giovani tecnici impegnati nella ricerca di energia, un bene indispensabile per il buon vivere di noi tutti. L’elicottero incidentato a Bir Roumana L’elicottero era molto danneggiato anche nei rotori, oltre che nei pattini e la radio non era utilizzabile; il Com.te Casini rimase di guardia al mezzo ed io mi incamminai, con carta e bussola, alla ricerca di soccorso; dopo un paio di ore giunsi su una pista e poco dopo ebbi la fortuna di incontrare un automezzo militare con due tunisini che mi aiutarono a risolvere la critica situazione, mettendomi in contatto con la nostra base di Gabès e con il campo geologico dal quale eravamo partiti alle sei di quel mattino; fu così possibile, prima di sera, recuperare il pilota e lo sfortunato elicottero. Ambedue rientrarono in seguito in Italia, mentre noi continuammo il lavoro per via terrestre. 26 Il soggiorno tunisino non si limitò ad apportarci soddisfazioni professionali e petrolio, ma a Silvana e a me diede la felicità e la profonda emozione di veder arrivare la nostra Marina (19 luglio 1962). Pare che l'influenza del Paese, nei due anni abbondanti vissuti da Marina a Tunisi, abbiano lasciato in lei qualche simpatica impronta fisica, che le dava un aspetto piacevolmente esotico. Abitavamo il piano rialzato di una bella villetta in Avenue de Paris a Tunisi, ma nel periodo caldo, che a Tunisi è piuttosto pesante, prendevamo la via del mare e ci insediavamo a Cartagine, in una villetta che stava proprio di fronte al porto di Annibale. Inzago Una bella parentesi di tre anni e mezzo in un'atmosfera serena, tra due lunghi soggiorni passati all'estero; avevamo fatto costruire la nostra nuova dimora mentre eravamo in Tunisia, una villetta con giardino, tutta nostra, L’oasi di Inzago Siesta a Tunisi Improvvisamente, nel luglio 1961, anche a Tunisi la pace fu interrotta da una parentesi bellica che movimentò la vita della Capitale quando scoppiarono le scaramucce armate tra Tunisia e Francia, a causa della base militare di Biserta, non più gradita ai tunisini. Ma la situazione fu ricomposta in qualche settimana. Il nostro soggiorno nel Paese si chiuse alla fine del 1964 con il rientro in Italia, con il programma di riprendere servizio a San Donato Milanese. Dal punto di vista familiare aveva così inizio una nuova vita, nel villaggio residenziale di Inzago, a circa 25 chilometri da S.Donato. nel Residenziale di Inzago che si stava rapidamente sviluppando, in armonia con il boom edilizio italiano. Il villaggio sapeva tanto di campagna e di libertà; eravamo contornati da amici giovani e spontanei (Mostardini, Saloli, Gallino, Marangon, Agliozzi). Marina stava crescendo, tra il secondo ed il sesto anno di vita, in buona e numerosa compagnia e per un certo periodo anche con la nonna Rachele, che si era unita a noi dopo la scomparsa di nonno Lino. Silvana alternava gli impegni di casa con quelli della scuola, insegnando nelle elementari di Inzago e in alcuni altri paesi vicini (Cassano, Groppello, Gorgonzola), sfarfallando (significa: volare quì e là come una farfalla) con la sua Cinquecentina. Nel villaggio si usava molto la bici, si giocava a tennis e, nella buona stagione, anche a pingpong, nella via davanti alla nostra casa. Il villaggio si trovava ad una certa distanza dall'ufficio, più o meno a 25 Km, che richiedevano 20-25 minuti di viaggio e qualcosa di più in caso di nebbia, non frequente, ma talora piuttosto pesante, da vera padana. 27 Per quanto riguarda il mio lavoro, al rientro dalla Tunisia l'Agip mi affidò la Sezione operativa di rilevamento geologico per l'Italia e per l'Estero, alle dipendenze di Martinis dapprima e poi, quando Martinis lasciò l'Agip per trasferirsi all'Università di Milano, di Fois. Gli impegni di lavoro mi portavano spesso in missione presso le squadre e gli uffici geologici, così ebbi l'occasione di ritornare anche in Tunisia. Di maggiore soddisfazione fu l'incarico successivo, quando passai alla Geologia del sottosuolo, come collaboratore di Loddo e con la funzione di responsabile della Sezione campi, intesi come giacimenti; trovai un nutrito gruppo di ottimi collaboratori (Righetti, Mancuso, Giorgetta, Veggiani, Biancoli, Groppi, Zelli, Pagazzi, Velani, Della Casa, Madeddu, Mosca), con i quali mi fu possibile approfondire le conoscenze di un importante settore della ricerca petrolifera, quale è lo studio dei giacimenti. In quel periodo, oltre che del "mio" El Borma, ebbi modo di occuparmi dei vari giacimenti Agip di recente scoperta: quelli del Delta nigeriano, del Golfo persico, del Fezzan libico, degli Zagros iraniani e di altri ancora. I nostri studi comprendevano l'interpretazione geofisica, l'analisi dei dati di pozzo, dei log, delle prove di strato, ecc. Nell'ambito di quell'attività, ritenni opportuno di favorire ed ampliare il dialogo tecnico tra i geologi della mia Sezione e gli addetti all'Ingegneria dei giacimenti (Perrotti, Henking), con l'obiettivo di migliorare l'interscambio di informazioni, che giudicavo indispensabile per una adeguata previsione del comportamento di un giacimento e delle tecniche da adottare per lo sfruttamento più razionale dello stesso. In precedenza, questo dialogo tra tecnici delle due sponde non era stato molto incoraggiato, per le inspiegabili vedute personali di qualcuno. Nella seconda parte del 1967, mi fu affidato l'incarico didattico del corso di Geologia degli idrocarburi all'Università di Milano, a seguito della richiesta fatta da Desio e Martinis al D.G. dell'Agip Egidi, che mi incoraggiò ad accettare l'incarico stesso. A questo impegno se ne aggiunse poi un altro, temporaneo; ancora il Prof. Desio, d’accordo con la Dirigenza Agip, mi chiese di svolgere una indagine geologico-tecnica, particolare e riservata, su alcuni siti europei (Leluc in Francia, Mundford in Inghilterra, Drensteinfurt in Germania e Focant in Belgio) che erano stati proposti da ciascuno di questi Paesi per accogliere il futuro sincrotrone del CERN, un gigantesco impianto cui erano legati rilevanti interessi socio-economici. Si trattò di effettuare, di sabato e domenica, una serie di missioni "in segreto", con lo scopo di raccogliere informazioni idro-geologiche da utilizzare per una valutazione di massima, ai fini della sicurezza, delle caratteristiche tecniche di ciascuno dei siti proposti. In un paio di mesi completai questo delicato incarico, che Desio poi utilizzò in sede di Commissione europea; l'assegnazione finale del progetto fu per il sito svizzero, nei pressi di Ginevra. Nel frattempo Viviana aveva sposato Francesco e un anno dopo (1965) venne al mondo Daniele, adorato non solo dai genitori. Sembrava che la nostra permanenza in Italia fosse ormai definitiva, quando improvvisamente, nella primavera 1968, suonarono le trombe che preannunciavano la partenza per un altro Paese estero: il Madagascar. Era il periodo in cui si stavano manifestando i primi movimenti giovanili di protesta in Europa, a cui conseguirono scioperi e disordini, di cui ne risentimmo in seguito nell'affrontare i viaggi aerei. In vista del Madagascar 28 Madagascar Nella primavera 1968 l'Agip decise di inviarmi nella cosiddetta Isola rossa (Ile rouge) a gestire una nuova Società, l'Agip recherches et exploitations pétrolières, con sede nella Capitale Tananarive; la zona da esplorare si trovava nel nord-ovest dell'isola e comprendeva un'ampia estensione in mare, nel Canale di Mozambico. A farmi accettare la proposta dell’Agip furono l'interesse professionale e la disponibilità dimostrata da Silvana a seguirmi con Marina, nonostante le non buone condizioni di salute di mamma Rachele. Dapprima io e successivamente Silvana, Marina e Rachele ci trovammo proiettati nell'altro emisfero, dopo aver trasferito mobili ed arredi vari da Inzago a Buja, aver venduto le due auto, aver rinunciato temporaneamente all'incarico universitario e aver chiuso a doppia mandata la casa di Inzago. Tananarive Fu un trauma psicologico non indifferente, assorbito però rapidamente grazie alla presenza e allo spirito di adattamento delle tre magnifiche donne che avevo con me. Per l’abitazione, al nostro arrivo, si decise per una villa nella zona centrale di Tananarive, non lontana dall'Ufficio; Marina poteva così frequentare la scuola francese, mentre Silvana si occupava, con l'aiuto di due "bonnes'" e del cuoco, della casa e degli ospiti, che non mancavano, dati i doveri che ci competevano. Rachele era di aiuto e consiglio a Silvana, ma dopo meno di due anni in Madagascar, purtroppo se ne andò per sempre, lasciando in noi un tremendo vuoto. Oltre agli amici più stretti, frequentavamo e avevamo talora come ospiti i colleghi di altre Compagnie petrolifere presenti nel Paese: Bertagne, Trouvé, Leflève, De Lapparent, Lagier (Total, Conoco, Esso, Tenneco, Chevron, Inoc, Frontier), qualche Autorità locale, i rappresentanti dell'Ambasciata nonché il personale Agip di passaggio. Nei momenti di relax si frequentava il Club di Tanà con piscina e tennis, nonché i vicini laghi Anosy e Ambohibao. Paesaggio malgascio La mia attività professionale era molto varia e impegnata; dovevo seguire in particolare i problemi societari, i contatti esterni con le Autorità locali e con le altre Compagnie petrolifere presenti nel Paese, l'organizzazione delle operazioni in corso, la gestione del personale e i contatti con Milano. I miei collaboratori principali erano: Federici, Santanera, Pitto, Madeddu, Marangon, Galeoni, Cappelletto, Dai Prà ed altri. 29 Spesso mi assentavo da Tanà per missioni a Majunga, dove avevamo la base operativa, o in altre zone di lavoro, e per missioni all'estero, in occasione di riunioni tecniche, comitati tecnici ed operativi, convegni, contatti a Milano, ecc.; queste missioni si intensificarono in seguito all'accordo di joint-venture firmato con la Esso. Tra le varie missioni, ricordo il Mozambico (Beira, Lourence Marques), il Sud Africa (Durban, Johannesburg), Ravenna (con il Ministro delle Finanze Miadana), Milano e Roma (più volte per riunioni e comitati), gli Stati Uniti (N. York, Houston). La presenza italiana in Madagascar nel periodo qui considerato (1968-72), era piuttosto esigua, consistendo essenzialmente nei colleghi dell’Agip Petroli, guidati da Spinosa e Marcucci, che ebbero il grande merito di diffondere nel Paese le stazioni di servizio, con i distributori di carburanti e con la simpatica immagine del cane a sei zampe e di costruire inoltre alcuni accoglienti Motel Agip; attuarono inoltre una stupenda iniziativa: il Rally automobilistico del Madagascar, che annualmente richiamava l’interesse popolare di tutta l’Isola. Altre consistenti presenze italiane erano allora rappresentate dall’Ifagraria, impegnata con Fabbro nell’informazione e nell’istruzione nel campo agricolo-forestale e da una unità geomineraria della Montedison, con Giussani operante nell’est del Paese. Nel 1970, dopo due anni di contratto, la Direzione dell’Agip (Sacchi) mi propose il trasferimento in Arabia Saudita, ma non essendomi dimostrato entusiasta, fui lasciato in pace per altri due anni. Il soggiorno malgascio fu movimentato anche dall'incontro con alcune personalità di rilievo, in visita nel Paese; ricordo l'intensa settimana trascorsa tra Tanà, Majunga e "Gatto selvatico" in compagnia di Loris Fortuna, allora Vice Presidente della Camera dei Deputati, simpatico amico dei tempi del liceo a Udine; in altre occasioni ci fecero visita Guido Carli, allora Governatore della Banca d'Italia, Velani, Presidente Alitalia, Pietro Nenni, bandiera del PSI. Dall'ENI venne a trovarci per qualche giorno il nostro Presidente Eugenio Cefis, col quale si fece anche una visita a Majunga. A proposito di presidenti dell'ENI, ne avevo incontrarti altri in precedenza: dapprima Mattei in Marocco, poi Boldrini in Tunisia, Grandi e Reviglio a Roma. E tra i vari presidenti incontrati in Madagascar non poteva mancare il Presidente della Repubblica malgascia Tsiranana, che era anche particolarmente interessato alle nostre ricerche, dato che si svolgevano nella sua regione di origine (lui apparteneva al gruppo etnico Sakalava). Rispetto al Re del Marocco, Mohammed V, e a Bourghiba, Presidente della Repubblica tunisina, Tsiranana mi apparve più semplice e modesto, anche se dotato di quell'indubbio carisma che è richiesto dalla particolare posizione occupata nel Paese. Madagascar, un paese meraviglioso per la varietà dei paesaggi, dei colori e della gente, riccamente popolato da animali e vegetazione singolarmente tipici di questa immensa isola tropicale, più asiatica che africana. Non ci sono animali feroci, a parte i coccodrilli, né serpenti velenosi; ci sono invece i lemuri, graziose proscimmie, e i variopinti camaleonti. La storia geologica del Madagascar ne fa risalire l’origine a più di duecento milioni di anni fa, quando l’attuale isola era inglobata tra l’Africa, l’India e l’Antartide a costituire la parte australe del continente Gondwana, che più tardi si sarebbe frantumato, consentendo al Madagascar di isolarsi. Una serena immagine del Madagascar. Il clima è tipicamente tropicale, con temperature estive elevate, lungo le fasce costiere, sia verso l’Oceano Indiano a est, che verso il Canale di Mozambico a ovest, mentre è moderatamente continentale negli altipiani interni, ove i picchi di temperatura sono notevolmente attenuati. La stagione estiva, tra novembre e aprile, è piovosa e movimentata da qualche violento fenomeno ciclonico, mentre quella invernale, tra maggio e ottobre, è secca e temperata. 30 La popolazione, costituita da gruppi etnici ben diversi gli uni dagli altri, in cui prevale l’origine indonesiano-malese, tende a raggrupparsi in centri gestiti con un grado di autonomia e di indipendenza talora piuttosto spinta. Sorsero così e si svilupparono reami, province, governatorati, tra i quali prevalsero i Merina (nell’altopiano centrale), i Sakalava (nel settore costiero nord-occidentale), i Betsileo, gli Tsimihety ed altri. Il baobab di Majunga, pare sia il più grande al mondo. Diffuso tra la popolazione era, e lo è tuttora, l’allevamento dei bovini, zebù in particolare, le colture del riso, del cotone, della vaniglia, della rafia, del caffè, delle spezie e lo sfruttamento minerario (oro e minerali ferrosi); da notare a questo proposito anche la presenza, nella zona di Bemolanga (NW del Paese), di affioramenti di bitume che certamente in passato furono oggetto di sfruttamento da parte degli abitanti della zona e che successivamente sono divenuti motivo di interesse da parte di alcune Compagnie interessate alla ricerca di idrocarburi e tra queste la nostra Agip Mineraria. La singolarità del Madagascar si manifesta anche nelle credenze religiose della popolazione locale: la maggior parte dei malgasci è credente in un Dio creatore, al quale però essi uniscono strettamente una componente animistica, che è rappresentata dalle anime degli antenati, per i quali nutrono un profondo rispetto ed una devota riconoscenza; a questi è verosimilmente legato anche il rito del “retournement”, cioè la dissepoltura dei morti, effettuata con solennità per poterne ripulire i resti ossei. Alla fine del XIX° sec la Francia era giunta alla determinazione di colonizzare il Madagascar e nel periodo tra il 1883 e il 1895, a seguito di due guerre, riuscì a conquistare i centri più importanti: Tamatave, Majunga e alla fine Tananarive. Si giunse così all’annessione francese dell’Isola rossa, cui seguì un periodo di lenta pacificazione, con l’abolizione dello schiavismo e l’esilio ad Algeri dell’ultima Regina, Ranavalona III. La svolta che condusse il Paese all’indipendenza avvenne nel 1959, con la firma della nuova Costituzione e la nomina di Philibert Tsiranana, socialista moderato di origine sakalava, a Presidente della Repubblica del Madagascar. Dopo qualche tempo il Paese si aprì alle iniziative straniere, oltre alle francesi, e anche l’ENI rispose al richiamo con un impegno sia nel campo dell’esplorazione petrolifera (Agip Mineraria), che in quello commerciale (Agip Petroli). Le nostre attività in Madagascar ebbero inizio nel marzo 1968, in seguito alla costituzione dell’Agip Recherches et exploitation pétrolières, che si organizzò con una Sede direzionale a Tananarive ed una Base operativa situata a Majunga, nella zona delle concessioni di ricerca, che ricoprivano una fascia di mare di oltre 500 Km, lungo la costa nord-occidentale del Madagascar. 31 I permessi di ricerca dell’Agip REP nell’area costiera nord-occidentale. L’attività esplorativa fu avviata con un rilevamento aeromagnetico dell’Aero Service, al quale fece seguito una lunga campagna sismica della GSI e della Ray, con la quale fu coperta l’intera area della ricerca, sia in mare aperto, che nelle acque basse (shallow-water) e nel settore in terra di Cap Saint André. Contemporaneamente i geologi dell’Agip furono impegnati nella ricostruzione geologico-strutturale dell’intero bacino di Majunga e della parte nord del bacino di Morondava, ivi compresa la zona intermedia, sede delle sopra citate manifestazioni bituminose di Bemolanga. I risultati geologici così acquisiti furono utilizzati per l’interpretazione dei rilievi geofisici (magnetico e sismico), effettuata in collaborazione tra Tananarive e la Direzione di San Donato, che portò all’ubicazione dei primi due pozzi esplorativi. Per il primo pozzo, denominato Chesterfield (CH1), fu scelta la zona offshore situata sul prolungamento del motivo strutturale di Bemolanga, mentre il secondo pozzo (MAR 1, Mariarano) pure in offshore, fu ubicato un centinaio di Km a nord-est di Majunga, con lo Campo geologico a Soalala scopo di verificare le possibilità minerarie di un motivo strutturale individuato dalla sismica. Nel frattempo fu progettata ed allestita la Base operativa di Majunga, con quanto necessario, in materiali e mezzi, all’esecuzione dei due pozzi offshore, ivi compresa l’assistenza alla piattaforma di perforazione, che ormai era in arrivo dal Golfo Persico: si trattava del “Gatto selvatico”, il glorioso Jack-up della Saipem, reduce da tante imprese compiute in svariati mari del mondo. Dal punto di vista organizzativo l’Agip Recherches era così impostata: presso la Sede di Tananarive c’era un Direttore Generale (Barnaba, il sottoscritto), un Responsabile dell’Amministrazione (Federici), un Capo geologo (Pitto), un Coordinatore tecnico (U. Madeddu), una Unità di Servizi generali (Santanera e Amendola) e il Gruppo dei geologi che, in periodi diversi, prestarono la loro opera come rilevatori o come assistenti alla perforazione; tra questi Ferrari, Balduzzi, Willy, Frigoli, Benelli, Carlin, Zamparo, Dai Pra, Augelli, Somaglino, Prato, Baroni; il personale della Sede di Tananarive comprendeva inoltre una quindicina di giovani collaboratori e collaboratrici di nazionalità malgascia. L’organico della Base di Majunga, che rappresentava il perno delle attività operative, era costituito da: un Responsabile della Base e della Perforazione (Galeoni), assistito da Paris, Cortellazzi e Ughi, un 32 Tecnico aero-marittimo (Cappelletto), un Tecnico magazzini e dogane (Marangon) e un Magazziniere (Boatti), coadiuvati da qualche decina di collaboratori malgasci, dei quali non si può dire che bene, per la loro serietà e l’impegno dimostrati. Oltre alle persone sopra citate, in Madagascar operarono, per periodi di missione più o meno importanti, molti altri tecnici e specialisti dell’Agip Mineraria, tra i quali ricordiamo, chiedendo venia per le eventuali dimenticanze: Cremaschi, Sommaruga, Pignagnoli, Moriconi, Silva, Pagani, Torelli, Tontodonati, Da Rold, Gualtieri, Galli, Cavallini, Salvo, Perini, Verdiani, Cantini, Bandinelli, Sonson, Bellotti, Baldassarri, Olivero, Muzzin, Angeli, Monnet, Giacomelli, Pacifici. Stazione di radio-localizzazione Shoran a Cap Saint André 33 Schema organizzativo dell’Agip REP Per quanto riguarda l’organizzazione, lo schema qui sopra riporta le varie funzioni specialistiche presenti nell’Agip REP, in particolare quelle impiegate nella conduzione delle operazioni di perforazione in mare; tra queste funzioni, espletate in prevalenza da unità contrattiste, troviamo, oltre all’assistenza tecnica strettamente legata alla perforazione (cementazioni, fanghi, log elettrici e radioattivi, prove di produzione, ecc.), la radio-localizzazione Shoran, l’assistenza sottomarina, la movimentazione del personale (aerei e elicotteri) e dei materiali tra la base e la piattaforma (chiatte, mezzi navali, supplyvessels), l’assistenza meteorologica; quest’ultima si dimostrò veramente indispensabile per la sicurezza, dati i rischi elevati causati dai frequenti cicloni tropicali che investivano la regione e che in realtà causarono più volte l’abbandono della piattaforma. Altre indagini previste e regolarmente effettuate nel corso dell’attività in Madagascar furono i rilievi geotecnici dei fondali marini nei siti di ubicazione della piattaforma, particolarmente importanti nel caso di un Jack-up (piattaforma autosollevante), come il “Gatto selvatico”; tali indagini furono effettuate dalla Heerema Engineering con l’aiuto dei sommozzatori della Sitram. 34 Traiettorie dei cicloni tropicali che hanno attraversato il Madagascar nei mesi di gennaio dal 1941 al 1967 Ministri malgasci in visita alla Base di Majunga Il “Gatto selvatico” in arrivo in Madagascar, trainato da due supply-vessels Con l’arrivo del “Gatto” (con Fumagalli alla guida, seguito da Pezzetta, Piselli, Cambiagli) si diede inizio, nel maggio 1970, soltanto due anni dopo l’avvio della nostra attività in Madagascar, alla fase più impegnativa del programma. Nel frattempo l’Agip Mineraria, al fine di contenere il rischio esplorativo, aveva deciso di alleggerire il proprio impegno e di ripartire l’onere della ricerca con un Partner, la Esso, alla quale fu ceduto il 50% degli interessi nell’impresa malgascia. Nel novembre 1970 il primo pozzo (CH1) venne completato a oltre 4700 m di profondità senza aver incontrato alcun indizio di idrocarburi. Nel secondo pozzo (MAR1), 35 spinto a oltre 5000 m, furono rilevati invece alcuni livelli mineralizzati a gas, ma in quantità insufficiente per giustificare la loro messa in produzione. Gli indizi di idrocarburi messi in luce da questo pozzo suggerirono l’esecuzione di un terzo pozzo (Mahajamba, MAH1), poco distante dal precedente, ma nemmeno i risultati di questo furono incoraggianti; anche in questo pozzo vi fu soltanto qualche manifestazione di gas metano. Il “Gatto” in postazione per il pozzo CH1 Pare che questi indizi di gas, dopo l’abbandono dell’area da parte dell’Agip, abbiano destato l’interesse di una Compagnia petrolifera sudafricana. Concluso il terzo pozzo, il “Gatto selvatico”, nell’ottobre 1971 fu trasferito nelle vicine acque del Mozambico, mentre per la nostra attività di esplorazione in Madagascar si aprì una fase di revisione e di rielaborazione dei dati tecnici che portò successivamente, in accordo con il partner Esso, alla programmazione di una nuova campagna sismica di dettaglio su alcune aree ritenute di ulteriore interesse per la ricerca. La mia personale esperienza del Madagascar si chiuse qui, con la decisione dell’Agip di farmi rientrare in Italia per dedicare il mio contributo professionale ai problemi della protezione ambientale, problemi che stavano investendo con una certa intensità anche il mondo petrolifero. Del Madagascar mi è rimasto uno splendido ricordo e una certa nostalgia dei quattro anni di vita colà trascorsi; ho conservato un sentimento di ammirazione per i malgasci, dolci e tenaci nello stesso tempo, ed il rammarico di non avere scoperto, anche per loro, il petrolio, che avrebbe potuto migliorare la loro vita. 36 Perforatore malgascio all’opera Il 13 maggio 1972, giorno in cui avremmo dovuto festeggiare con gli amici la nostra partenza dal Madagascar, a Tananarive scoppiò inaspettatamente una rivoluzione popolare. Il tutto nacque da una manifestazione studentesca, ispirata ai movimenti radicali Merina, contrari alla politica filo-francese del Presidente Tsiranana; fu il ripetersi di quanto era più volte accaduto in passato, sotto la spinta della ribellione al dominio di altri. La manifestazione fu violentemente contrastata dai militari, causando qualche decina di morti e tanti feriti, oltre all’incendio di molti edifici pubblici della città. Considerata la situazione, lasciammo temporaneamente le nostre abitazioni e ci riunimmo con i familiari nel Motel Agip, che si trovava in una zona semi-periferica della città, in attesa di eventi. Poi, a causa del perdurare dei disordini, in accordo con Agip ed ENI, si decise di trasferire i familiari in Tanzania, grazie all’ospitalità offertaci da Guidi, mentre per noi uomini vi fu un’attesa di qualche giorno a Tananarive finché, tranquillizzatasi la situazione, fu possibile raggiungere i familiari a Dar es Salam e, nel caso mio e di altri, proseguire assieme a loro per il rientro definitivo in Italia. Tsiranana diede le dimissioni e venne provvisoriamente sostituito da un esponente militare, in attesa della nomina del nuovo Presidente, Didier Ratsiraka. Le conseguenze politiche di questi fatti, che si estesero a tutto il Paese, portarono il Governo malgascio ad allontanarsi dall’influenza francese, cercando un illusorio appoggio presso i sovietici e i cinesi. L’attività di ricerca Agip in Madagascar proseguì per qualche tempo ancora con la guida di Maioli; fu eseguita una campagna sismica di dettaglio, in seguito alla quale fu programmata l’esecuzione di un quarto sondaggio nell’offshore di Cap Saint André, che non fu poi eseguito, a causa di un grave incidente accaduto al “Gatto selvatico” nella fase di sollevamento del Jack-up in corrispondenza della nuova postazione. Rientro in Italia Al rientro in Italia, in attesa della nuova casa, non ancora pronta, trovammo una sistemazione provvisoria a Milano, nell'appartamento messoci gentilmente a disposizione dagli amici Giussani della 37 Montedison, rimasti ancora per qualche tempo in Madagascar; ma all'inizio del novembre 1972, in una giornata resa "casalinga" dalla fitta nebbia, fu finalmente possibile accedere al nostro domicilio, apparentemente definitivo, di Via Kennedy a San Donato. Nuovi argomenti e nuovi urgenti impegni professionali mi attendevano in Italia, per cui fu necessario rinviare le ferie e obbedire agli ordini superiori, del D.G. Egidi e di Jaboli, che trovai particolarmente eccitato dagli attacchi ripetutamente lanciati negli ultimi tempi dai neo-ambientalisti. La accresciuta sensibilità nei riguardi delle problematiche dell'ambiente e del territorio (acque, suolo e sottosuolo) aveva portato all'insorgere di una estesa campagna di accuse contro il mondo industriale e in questa particolare situazione anche l'Agip era oggetto, in Italia, di qualche imputazione lanciata attraverso la stampa dai movimenti di ispirazione ecologista. L'Agip era addirittura accusata di aver provocato, con le sue perforazioni in Adriatico, il terremoto che di recente aveva colpito Ancona e di essere responsabile inoltre, con le estrazioni di gas, dell'abbassamento del suolo nel Polesine e nella fascia costiera romagnola. Di fronte a simili pressioni, la Direzione Agip decise di costituire una unità delegata a seguire queste nuove problematiche, e pensò bene di dare questa patatina bollente in mano a me, reduce da un bel periodo di riposo (secondo loro!) in terre lontane. Fu così costituito il Servizio Geda (Geodinamica e Ambiente), che dopo tanti anni è tuttora di moda; il mio incarico si dimostrò piuttosto delicato perchè comportava rapporti e contatti ad alto livello, sia all'interno che all'esterno dell'Agip, su argomenti scottanti, da trattare con le molle, considerati anche gli ingenti interessi aziendali e non solo aziendali implicati. Nel giugno stesso partecipai al Convegno mondiale dell'ambiente, indetto dall'ONU a Stoccolma, che aveva l'obiettivo di fissare i principi-chiave, in tema di protezione ambientale, per i Paesi industrializzati. Successivamente passai qualche settimana di fuoco nell'organizzare il nuovo gruppo di lavoro, con l'appoggio di Egidi, la pressione di Jaboli e l'aiuto prezioso di Veggiani e di un ingegnere, la cui eccessiva timidezza gli impedì di continuare a far parte del nostro gruppo di lavoro. Le violente accuse rivolte all'Agip dal Procuratore della Repubblica di Ancona provocarono il primo intervento in campo aperto del Geda, ancora imberbe e inesperto; qualcosa si ottenne ugualmente e infatti, dopo le prime sfuriate, il Procuratore cambiò disco e, in una sala affollatissima del principale cinema di Ancona, di fronte ad un pubblico ardente che chiedeva la testa dell'Agip, dichiarò, dopo aver esaminato alcuni documenti da noi forniti, che il sisma poteva effettivamente ritenersi legato a fenomeni naturali più che ad influenze artificiali, quali le perforazioni. Si stava forse allentando la presa; fece seguito un Summit di specialisti, da noi organizzato con la partecipazione di esperti di terremoti, di provenienza giapponese, americana e italiana. I pareri emessi in questo incontro tecnico furono decisivi nel chiudere il problema che era stato irrazionalmente sollevato nei confronti dell'Agip. La stampa nel frattempo aveva gradualmente allentato la pressione e così mi fu possibile partire per le ferie, in attesa di prendere in mano l'altro argomento scottante, quello della subsidenza del Polesine e del Ravennate, cui sono legati i delicati temi dell’ingressione marina e dell’erosione delle aree costiere. Il Geda, questa appassionante mia “creatura”, crebbe decisamente col tempo e con i problemi che divenivano sempre più numerosi e pesanti, sia in Italia che, successivamente nei vari Paesi esteri in cui avevamo interessi operativi. Fu pertanto necessario rinforzare le fila e arrivarono, chi prima chi poi: Realini, Madeddu, Dossena, Paoletti, Zamparo, Ceffa, Lovison, Di Luise, Carta, Michelotto, Facciolini, Bronzini, Mella e forse qualche altro. Era necessario aggiornarsi su quanto avveniva e su quanto si faceva altrove: da qui la necessità di partecipare attivamente, anche presentando i risultati di nostri studi e ricerche, ai numerosi Convegni che prosperavano ovunque, di mantenere i contatti con le Autorità minerarie, con le altre Sestetto Geda tra Madeddu e Zamparo 38 Compagnie petrolifere, con gli specialisti, con i tecnici e con gli Accademici interessati alla protezione dell’ambiente e all’evoluzione del territorio e quindi ai fenomeni di sismicità, subsidenza, vulcanismo, inquinamenti, ecc. Di particolare interesse fu la missione in Giappone, per il Congresso internazionale Apex 73, con visite agli Istituti specialistici di Tokyo, Kyoto e Osaka, con seguito a Hong Kong e Bangkok. Nel febbraio 1974, su invito della Shell, feci parte, in rappresentanza dell’Agip, del gruppo dei quattro fondatori dell'E.P.Forum (Exploration and Production Forum), una Associazione internazionale che ha la finalità di affrontare le problematiche ambientali nel campo petrolifero; questa associazione ebbe poi un successo imprevisto, tanto che oggi riunisce un centinaio delle maggiori Compagnie, tra le quali Shell, Esso, Mobil, Agip, Total, Petrobras, Petroven e via dicendo. Nello stesso anno visitai le nostre basi e i relativi impianti nel delta del Niger (Port Harcourt, Brass, Lagos) e nel Mare del Nord (Edimburgo, Aberdeen, Amsterdam), dove le importanti scoperte di Agip e partner comportavano interventi di prevenzione e protezione dell'ambiente. Nel 1975 fui in India (Delhi e Agra) e poi in Indonesia (Djakarta), dove Franchino aveva organizzato una serie di visite di natura tecnico-politica con esponenti locali. Ma l'abbassamento del suolo a Ravenna e dintorni continuava ad attirare l'attenzione di politici, amministratori e tecnici. Jaboli avrebbe voluto che nelle nostre dichiarazioni escludessimo categoricamente ogni relazione tra estrazione di gas e subsidenza, ma il buon senso ci portò ad affermazioni meno drastiche, riuscendo a dimostrare, e in molti casi anche a convincere i contestatori, che le estrazioni di gas sono soltanto una concausa secondaria dell'abbassamento del suolo, mentre la responsabilità primaria del fenomeno sarebbe dovuta a cause naturali, non controllabili; e aggiungevamo che queste ultime sono spesso localmente aggravate da irrazionali interventi antropici, in particolare le estrazioni superficiali di acque dal sottosuolo; queste affermazioni erano il frutto di documentazione da noi elaborata, dalla quale risultava evidente la coincidenza tra estrazioni di acqua e abbassamenti anomali del suolo, come nel caso di Ravenna città. Per poter continuare a produrre gas l'Agip fu costretta e lo è tuttora, a difendersi ed a finanziare studi, ricerche e controlli, da terra e via satellite, attrezzando appositamente alcuni pozzi per effettuare misure di compattazione dei terreni e altre operazioni altamente specialistiche. Malgrado questi interventi, per l’ENI è tuttora impossibile produrre il gas da una decina di giacimenti scoperti anni fa nell’Alto Adriatico, a causa delle perduranti perplessità esistenti da parte dell’Autorità pubblica sul tema dell’abbassamento del suolo da estrazione di idrocarburi. Intervalli familiari Nella vita privata, a partire dal 1972 avevamo formato una compagnia di quelli degli "anta", estremamente variopinta e dinamica, allietata dalla presenza di qualche buontempone che negli incontri di fine settimana rallegrava l’atmosfera. La nostra casa a San Donato si rese disponibile per saltuari incontri con gli amici. La rappresentanza umana allora più assidua e fedele era guidata dai De Martin, Mostardini e Ripani. Silvana soprassedeva agli inviti e all'organizzazione. Incontro mascherato 39 Marina, provenendo dalla scuola francese di Tanà, superò il problema dell'inserimento nella scuola italiana anche con l'aiuto della mamma, frequentando la scuola elementare e media a S.Donato; in casa, cominciava a manifestare la sua personalità e il desiderio di autonomia, pur mantenendo un rapporto decisamente affettuoso nei nostri riguardi. Per quanto riguarda me, ad un certo punto mi resi conto che l'attività aziendale, anche se impegnativa, non era sufficiente a soddisfare interamente la mia disponibilità e le mie esigenze fisiche e mentali, per cui ripresi volentieri l'incarico universitario, cioè il corso di Geologia degli idrocarburi, con lezioni, esami, riunioni, ecc. A questa fece seguito un’altra interessante iniziativa: in collaborazione con due funzionari tecnici della Provincia di Milano (Bonaventura, ingegnere ambientale e Baiardi, chimico), divenuti poi cari amici, organizzammo un gruppo di studio su argomenti di natura idrogeologica e ambientale; a questa attività dedicai vari sabati e qualche domenica tra gli anni Ottanta e i primi Novanta del secolo scorso, operando, in pratica gratuitamente, in favore di Comuni o associazioni varie; essa rappresentava anche un certo interesse personale, perchè mi consentiva di raccogliere materiale documentario per le mie pubblicazioni (ora hanno superato le ottanta), alle quali sono sempre stato appassionato. Questa particolare collaborazione tecnico-scientifica, basata su professionalità e aperta amicizia, mi portò a interessarmi di varie zone della Lombardia e dintorni, in particolare: dei laghi di Comabbio, di Varese e di Monate, dei fiumi Erro e Bormida, del Comune di Acqui Terme, delle industrie ACNA di Cengio, IRE di Varano Borghi, Falk di Cairo Montenotte, dei Comuni di Marzio, Cadrezzate, Biandronno, Travedona ed altri. Nel 1976 accadde qualcosa di veramente sconvolgente per noi friulani. I primi giorni di maggio mi trovavo in Sardegna, per un Comitato tecnico sull'Offshore italiano, tra Compagnie operanti nel nostro Paese; ospite dell'Agip, era con noi anche il Prof. Ippolito, ex-Responsabile del CNEN. La mattina del 7 maggio, appena sveglio, dalla radio della camera d'albergo ad Alghero appresi la sconcertante notizia del terremoto in Friuli. Fu una giornata terribile, credo la più nera della mia vita, fino ad ora. Presi il primo aereo per Milano e poi da San Donato, assieme a Silvana, raggiungemmo col cuore in gola l'Ospedale di Udine, dove sapevamo essere stati ricoverati per le ferite il nipote Daniele (11 anni) e papà Renato, che trovammo assistiti da Viviana e mamma. Passammo poi la notte in strada, accucciati in macchina a Buja, proprio davanti alla nostra casa paterna, penosamente sfiancata dal sisma. Non mi sento di aggiungere altro, perchè neanche il tempo è in grado di cancellare certi ricordi e certe emozioni. La nostra casa di Buja in corso di demolizione Nei giorni che seguirono cercai di distrarmi con gli impegni di lavoro, in particolare con l’elaborazione, assieme ad alcuni colleghi dell'Agip e dell'OGS di Trieste, di uno studio sulla sismicità del Friuli, che fu presentato al Convegno di Udine. Dopo qualche settimana Daniele fu trasferito per un intervento dall’Ospedale di Udine a un reparto specialistico dell'Ospedale di Brescia, mentre papà Renato, che era stato dimesso dopo qualche giorno dall’Ospedale di Udine, era gradito ospite qui da noi a San Donato, assieme a mamma Claudia, in 40 attesa del ritorno in Friuli. In seguito si rese necessaria una decisione sul futuro della casa di Buja, che risultava molto danneggiata dalle varie scosse di maggio e di settembre; con Viviana, mamma e papà si decise, considerata anche l’inezia del contributo pubblico, di demolire la casa, come consigliato dai tecnici, di cedere il corrispondente terreno in cambio di un futuro vano-negozio (per Marina) e di costruire una villetta (per Daniele) sul terreno occupato in precedenza dal giardino. Ritornando alla mia attività al Geda, nel dicembre 76 partecipai al Simposio sulla "land subsidence" di Anaheim in California, in compagnia del Prof. Cotecchia e dei colleghi del CNR Venezia, con i quali avevamo intrapreso una stretta collaborazione sul tema dell'abbassamento del suolo e sul progetto dei La subsidenza nella zona di Fresno (California) sondaggi di Venezia, per i quali l'Agip si era impegnata a fornire l'assistenza geologica. In California si ebbe l'opportunità di visitare varie situazioni interessanti per i nostri problemi (faglia di S. Andrea, subsidenza di Long Beach, isole artificiali per i pozzi di coltivazione del giacimento di Wilmington). Successivamente partecipai al Convegno di Mexico City, dove presentai una relazione tecnica e dove visitai il laboratorio sismologico di Stato, con il quale fu impostato un accordo di collaborazione. La missione del Messico proseguì in Venezuela, con visite all'Istituto di Geofisica dell'Università e alla Petroven, che mi organizzò una ricognizione nella zona petrolifera di Maracaibo, soggetta ad una subsidenza veramente imponente; completai la missione con una puntata in Brasile (Rio) per alcuni incontri alla Petrobras. Anche in occasione di questi contatti con l'esterno ho avuto la conferma delle difficoltà di intesa e di collaborazione tra geologi e ingegneri; difficoltà che si manifestarono anche nel nostro ambito di lavoro, ad esempio, quando si trattò di adottare qualche nuova norma di protezione ambientale, mai ben vista da parte dell'ingegnere operativo. Comunque le cose migliorarono, almeno nell’ambito delle nostre attività, quando fu possibile aprire un dialogo diretto con Faverzani, mio nuovo Capo, ingegnere e persona dotata di fine acume pratico, da imprenditore agricolo piacentino, quale era di famiglia. Con lui si resero più facilmente applicabili le norme suggerite dalle esigenze operative, norme che non erano altro che il preludio di quanto si dovette poi attuare in tempi successivi. 41 Impermeabilizzazione del vascone di un pozzo petrolifero a Villafortuna (Novara) Nel 1978, mio ultimo anno alla guida del Geda, ebbi l'opportunità di compiere altri due viaggi molto interessanti: in marzo a Mosca e poi, via Anchorage (Alaska), in Giappone (Tokyo, Hakone) per la Geodynamic Conference; due mesi più tardi mi recai negli Stati Uniti (Houston, Colorado River nello Utah, Denver), per una visita ad alcuni impianti di estrazione e lavorazione di minerali radioattivi, con lo scopo di raccogliere informazioni e idee da utilizzare nelle analoghe attività che l'Agip aveva allora in corso in Val Brembana e Valtellina. Su queste si era già manifestata una notevole opposizione popolare, che più tardi avrebbe portato alla chiusura definitiva di questo tipo di iniziative minerarie. Servizio del Personale Dopo oltre cinque anni di Geda era l'ora di cambiare e la Direzione decise di utilizzarmi in un ruolo veramente nuovo per un geologo; le mie diversificate esperienze in Italia e in vari Paesi stranieri avevano probabilmente sollecitato la fantasia dei miei Capi, che mi chiesero di occuparmi in particolare del personale operante all'estero. Molto sentita in Agip era in effetti la necessità di rivedere, in accordo con l'ENI e con qualche altra Società del Gruppo, le normative riguardanti il personale impiegato nei Paesi esteri (allora una ventina per l'Agip). I problemi erano molteplici e tutti meritevoli di attenzione; tra questi: il reperimento e la scelta delle persone in funzione del tipo di sede e di lavoro, le norme contrattuali, i turni di lavoro e di riposo, i viaggi, le retribuzioni, l'assistenza in loco, i problemi dei familiari al seguito, la sicurezza sul lavoro ed altri ancora. Accettai con interesse questo nuovo incarico, con l'intesa che fosse limitato nel tempo, non più di due anni, in quanto il mio desiderio era di rientrare nell'ambito operativo vero e proprio, al quale mi sentivo profondamente legato. Fui così immerso in un ambiente di lavoro decisamente diverso dai precedenti, dove la "prima donna" è la riservatezza; per fortuna mi trovai circondato da persone positive e collaborative, che in buona parte già avevo conosciuto in passato: Zaccherini, Pignagnoli, Lucchini, Olivi, Zamparo, Facciolini, Bronzini, Cegna, Angeli, Pianesi, Compagnone, Albertini, Fusco, Di Michele. Fu comunque per me una esperienza di indubbio valore, anche perché comportava il contatto diretto con il personale di ogni livello, da cui proveniva ogni sorta di raccomandazioni, proteste, lamentele, e richieste varie. Frequenti erano poi gli incontri-scontri con i colleghi dell'ENI, Snam, Saipem sui problemi comuni. Indispensabili erano inoltre le visite alle varie Sedi all'estero, indispensabili per giudicare, vivendoli sul posto, gli argomenti riguardanti sia i colleghi italiani “espatriati”, sia i coadiutori locali, tenendo presenti le particolari esigenze legate alle variopinte origini, alle locali abitudini, alla religione e via dicendo. In quel periodo fui in Libia (Tripoli, Djalo, Bu Attifel, dove fui anche arrestato per una foto, ma poi liberato dopo due ore di guardina, grazie all'intervento di un collega libico), in Egitto (Cairo, El Alamein, Abu Rudeis, Belaijm), nel South Yemen (Aden, Mukalla), a Singapore, nel Vietnam del sud (O Chi Min, Vung Tau), in Norvegia (Oslo, Sandnes), in Indonesia (Djakarta, Bali), in Thailandia (Bangkok), a Londra, in Grecia (Atene, Patrasso) e in Costa d'Avorio (Abidjan e base offshore). Il mio impegno al Personale estero dell'Agip si concluse con una revisione radicale della normativa e della contrattualistica che fu elaborata, oltre che sulla base di esperienze personali, soprattutto in base al dialogo scambiato personalmente con i responsabili delle varie Unità estere. Il risultato fu una 42 equilibrata conquista, sia da parte del personale, che si vide migliorare il trattamento e l'assitenza, sia per l'Azienda, alla quale poi divenne più agevole, secondo quanto mi riferirono in seguito, il reperimento di forze umane idonee a soddisfare le richieste dall'estero. All'inizio del 1982 lasciai la Direzione del Personale, dopo una certa resistenza da parte di Zaccherini, che ormai si era abituato alla mia presenza e non voleva mollarmi; mi diedero la targhetta di "Direttore" e mi fu assegnata la supervisione di un gruppo di Paesi esteri (Algeria, Angola, Madagascar, Oman, Somalia, Sudan, Tanzania e Yemen), come collaboratore di Moscato, futuro Presidente dell'Agip e poi dell'ENI. Tra i miei collaboratori temporanei di quel periodo, ricordo D'Adda e Sgubini, ambedue destinati ad altissime mete aziendali. I principali interlocutori in quel periodo erano per me Errico e Coppetti. Con una certa misura e interponendo qualche meritato periodo di lavoro in sede, continuai a girare il mondo, per assicurare i normali contatti con le sedi operative e per partecipare alle varie riunioni dei Comitati tecnici e direttivi previsti per ciascuna Joint-venture. Oltre alle missioni in Italia, ricordo tra gli altri i viaggi a Aden, Dubrovnik, Brioni, Luanda, Algeri, Londra, New York, Houston, Louisiana, ecc. Ricordo le notti angolane trascorse sulle panche dell’Aeroporto a causa del coprifuoco. In quel periodo riuscimmo anche a dare una mano a Nino Benedetti, che ad Algeri era stato vittima di una brutale aggressione, inviandogli un tempestivo soccorso aereo che lo portò in Italia a tempo di record. Sono comunque certo che la testa dura del Nino sia stata determinante nella felice risoluzione del caso. Ancora Università Nel corso del 1985, quando avevo ormai 57 anni e tre anni dopo avrei dovuto lasciare l'Agip come dirigente in pensione, mi si presentò puntuale e gradita l'occasione di entrare di ruolo all'Università di Milano, dove da oltre 13 anni (!) tenevo il corso di Geologia degli Idrocarburi da Incaricato esterno stabilizzato. La favorevole occasione era data dalla possibilità di partecipare al concorso contando sui periodi di insegnamento che avevo svolto in passato nelle Università di Ferrara e di Milano, con qualche puntata in quelle di Trieste, Parma e Padova, nonché sulle mie pubblicazioni. Amici-colleghi Agip (1985 ) Interpellai in proposito l'allora Presidente dell'Agip Muscarella che, valutando anche l'utilità per l'Agip di avere un suo ex-dirigente in Università, mi diede il suo parere favorevole, per cui partecipai al concorso e ... il 1° novembre 1985 entrai nel ruolo universitario, lasciando formalmente l'Agip. In effetti continuai a seguire per l’Agip, seppure saltuariamente, l'ormai quasi secolare problema di Ravenna, mantenendo un contatto che si è dimostrato favorevole anche per l'Università, che ha potuto beneficiare della disponibilità di ENI e Agip nella elaborazione di tesi e tirocini su temi attinenti l'attività petrolifera, come pure in altre iniziative in favore della didattica, come ad esempio nella sperimentazione dell’indirizzo energetico. 43 Con i laureandi dell’Università di Milano in visita al Cantiere di Trecate Entrando pienamente nell'attività universitaria, ebbi il vantaggio di interessarmi, oltre che dell'insegnamento, anche di qualche ricerca applicata, di pubblicarne i risultati e di assicurarmi l'occupazione fino oltre i settanta anni di età, per di più in un ambiente di mia piena soddisfazione. Ebbi anche l'opportunità di occuparmi, come docente, dell'organizzazione e dell'impostazione del Diploma universitario con indirizzo petrolifero, che favorì l'assunzione in ENI di alcuni neo-geologi. Partecipai anche all'analoga iniziativa organizzata dall'Università di Parma. Ritengo inoltre di aver dato un certo contributo scientifico nello studio idrogeologico dei problemi connessi con le acque superficiali (falda freatica) e sotterranee del territorio di San Donato Milanese, collaborando su questo argomento, fin dai primi anni Novanta, con la locale Amministrazione Comunale e con gli uffici tecnici della Provincia di Milano e della Regione Lombardia. Questa collaborazione è tuttora in atto sull’argomento relativo alla riqualificazione paesaggisticoambientale del fiume Lambro, che costeggia il territorio sandonatese. Di indubbia soddisfazione personale è stata in questi ultimi tempi anche la partecipazione, quale coordinatore scientifico, alla stesura della monumentale nuova Enciclopedia degli idrocarburi, edita in collaborazione tra ENI e Treccani, con un esteso intervento di Autori italiani e stranieri. E’ stato un motivo di arricchimento professionale anche grazie alla profonda intesa con Ugo Romano, Mazzei, Sella, Brighenti ed altri Colleghi. Ancora vita familiare Ritornando alla vita di famiglia, le conseguenze del terremoto del Friuli si fecero sentire per lungo tempo. Dopo la parentesi di convivenza con noi a S. Donato, mamma e papà si trasferirono a Udine, nella nuova abitazione di Viviana in Via Pontebba; in quel particolare periodo ogni pensiero era dedicato alla salute di Daniele che, grazie a qualche intervento chirurgico e alla sua giovane forza interna, conquistò gradualmente una notevole indipendenza, sia fisica che psicologica. La casa paterna di Buja era stata demolita e nella stessa area si era proceduto alla ricostruzione secondo il progetto approvato dal Comune. 44 Ma le situazioni drammatiche erano ancora di casa e alla triste scomparsa di papà Renato, seguì poco dopo quella particolarmente drammatica di Viviana, ambedue provati dalle pesanti avversità degli ultimi anni. La formidabile resistenza di nonna Claudia aiutò Daniele a portarsi avanti con gli studi: dal Liceo, all'Università e poi alla Laurea in Giurisprudenza. Claudia, con la laurea di Daniele, considerò di avere felicemente raggiunto, con tanto sacrificio e impegno di energie, il suo grande traguardo e decise di ritirarsi, lasciando ad altri le consegne. Le trovammo un luogo sereno per i suoi ultimi tempi, l'IGA di Udine, dove chiuse serenamente la sua ammirevole vita terrena a 93 anni, tra la simpatia e il ricordo affettuoso di tutti noi e non solo noi di famiglia. Daniele poi conquistò brillantemente quanto si era meritato con le sue doti e capacità, ottenendo la nomina a Magistrato; fu assegnato dapprima al Tribunale di Gorizia e successivamente a quello di Udine, dove esercita tuttora la sua attività. La Laurea di Daniele Le pesanti disavventure di Buja e di Udine comportarono qualche dura ripercussione, soprattutto di natura psicologica, anche a San Donato e Marina è quella che maggiormente ne ha risentito, forse anche perchè penalizzata dalla sua ipersensibilità ma, grazie anche alle sue notevoli capacità di adattamento, dopo una breve parentesi come collaboratrice farmaceutica, trovò una adeguata e interessante occupazione nel campo della geofisica, presso la sede milanese dell'americana Western Geophysical Co.; qualche anno dopo (1986), per merito dell’esperienza maturata alla Western, fu assunta dall'Agip per essere impiegata nel campo dell'elaborazione dei dati sismici applicati alle ricerche petrolifere. In questi ultimi tempi la nostra vita familiare e sociale è proseguita con buona regolarità a S.Donato; una vita normalmente animata dall'inesorabile scorrere degli anni. Rivolgendo il pensiero all'indietro, faccio un conto rapido e mi risulta: che abbiamo già festeggiato, per fortuna in buona salute, il cinquantesimo di matrimonio, che sono passati più di trent’anni dal terremoto del Friuli, che la nostra attuale gattina è la terza delle siamesi del dopo Madagascar, e via dicendo. Nel frattempo io ho superato gli ottanta! Ma cosa abbiamo fatto in tutto questo tempo nel nostro beato vivere, a parte gli impegni di lavoro? Intanto Marina si è fatta "grande", con riconosciute doti di donna piacente, simpatica e intelligente; ha trovato compagnia e affetto anche al di fuori del nostro; ha cambiato direzione più di una volta, con l'intermezzo di un malcapitato incidente d'auto; ha poi messo su casa, insieme al suo compagno Marco, dimostrando anche qui un gusto raffinato. 45 Marina Il futuro è ancora decisamente suo e speriamo tanto che la fortuna le stia vicino. Silvana è sempre lei, amabilissima nella sua tenera dirittura di moglie, madre e zia e nella sua dolce severità di pensiero e di azione. Ha trovato un importante conforto, reso più profondo dalle conferme meritatamente ricevute dall'esterno, dapprima nella poesia e poi nella pittura a olio; a quest'ultima si è dedicata in maniera particolarmente appassionata, ottenendo tante soddisfazioni Silvana impegnata nella pittura a olio a livello professionale e anche in campo internazionale. La sua mano, a detta di altri, è sempre stata eccelsa nel disegno e questa capacità naturale è stata per lei decisiva nel raggiungimento di questi successi, che certamente le hanno riempito le giornate anche durante le mie frequenti assenze. Prima di chiudere, voglio allietarmi l'atmosfera, non senza un pizzico di nostalgia, con qualche ricordo divertente di questi anni. La mente mi porta beatamente: alle piacevoli vacanze a Ischia, con gommoncino e fuoribordo al seguito, che ci permettevano di muoverci tra le incantevoli anse di Sant Angelo, accompagnati dai disponibilissimi amici del posto; alle stupende sciate invernali alla Presolana, al Pora a Madonna di Campiglio, a S. Cassiano e non parliamo di quelle dell'Alpe di Siusi, che perdurano tuttora; alle varie gite con gommone e poi con il Concord ai laghi Maggiore e Iseo, sempre ospitali; alle meravigliose scorribande in moto, con particolare nostalgia per i percorsi di montagna (Dolomiti, Alpi svizzere, Prealpi bergamasche); alle appassionate partite a tennis con Luciano, ultimo mio vero partner, purtroppo anche lui andatosene troppo presto; alle simpatiche, non molto impegnate, veleggiate col Vaurien sulle acque dell'Idroscalo; alle impagabili gite in barca dal nostro molo di 46 Lignano verso le varie colorate mete dei dintorni (Stella, Porto Buso, Grado, Croazia, Slovenia, Venezia e oltre); ai distensivi giretti in bici, che amo tanto perchè quando corro in bici mi sembra di volare. Incontro in Friuli Da alcuni anni, spinti anche dall'età che avanza senza tregua, abbiamo concentrato le forze formando, qui a S. Donato, un simpatico e animato gruppo di amici, alcuni di recente acquisizione, ma la maggior parte stagionati; ci si riunisce un paio di volte al mese per una cenetta in compagnia, talora chiassosa, mai compunta, spesso preceduta da una partitina Eleganze di Carnevale a bocce, le cui regole di gioco vengono fissate di volta in volta, a seconda della presenza o meno del ligio Ligi, unico preciso e pignolo conoscitore delle vere regole. Gli incontri sono anche l'occasione per raccontarci e commentare le ultime novità, discutere animatamente su alcuni temi specifici ed aggiornarci sulle ultime ilarità barzellettistiche, contando su alcuni specialisti che emergono col protrarsi del convivio. Di tanto in tanto si organizza qualche serata particolare, per Capodanno, per i fuochi del Pignarul, per Carnevale, o in occasione delle gare di biliardo, che richiamano, sul "campo di gioco" della mansarda, una nutrita e combattiva partecipazione femminile. I componenti più assidui del gruppo, oltre a noi, Marina e Marco, sono (e alcuni erano) Gabriella e Mario Sattanino, Eleonora e Angelo Rubiliani, Mara e Ligi Buraschi, Carla e Romano Marchesi, Carla e Paolo Mariani, Serena e Dario Fabbro, Rosanna Bronzini, Paolo Coppetti, Alba e Giacomo Baldazzi, Lea e Roberto Innocenti, Semira e Umberto Matti, Elena e Renato Ghelardoni, Stefania e Ermanno Cornaggia, Augusta e Cesare Persegani, Antonella e Gabriele Groppi, Rita e Edoardo Lorenzini, Graziella e Lorenzo Capra, Rosanna e Livio Darin, Adriana e Sergio Facciolini, cui si associano saltuariamente Giuse, Marisa, Carlo Rossi, i Cardello, Benedetti, Ceffa, Pavan ed altri amici. Nei nostri incontri ritorna spesso il ricordo di qualche caro amico che purtroppo ci ha lasciato, ma che sentiamo sempre presenti. 47 In gruppo dopo le fatiche del biliardo Conclusioni Mi sono dedicato alla raccolta di questi appunti soprattutto per il piacere di rivivere i tempi passati; dovendo in qualche modo descrivere le varie tappe del mio cammino, sono riandato con la memoria su fatti e persone che in buona parte mi sono apparsi ancora nitidi, mentre altri sono parzialmente offuscati dal filtro del tempo. In certi casi ho dovuto quindi compiere un salutare sforzo mnemonico che, ad una certa età come la mia, non può fare che bene. Ho scoperto delle piacevoli sensazioni nel riprendere in mano vecchi documenti, diari, foto e appunti vari, che hanno risvegliato in me situazioni e ambienti vissuti in lontani passati, talora ormai dimenticati, come si trattasse di episodi appartenuti ad altri, o vissuti nel sonno. Ho ricostruito così un itinerario retrospettivo della mia vita finora vissuta, dei capisaldi che l'hanno delineata, delle figure umane incontrate nel corso del cammino attraverso i vari e differenti sentieri percorsi nel tempo. E' chiaro che si tratta di un itinerario legato alla mia persona e non posso certo pretendere che possa interessare ad altri; mi auguro possa eventualmente servire di guida a chiunque sia in cerca di ispirazione e di suggerimenti derivati dalle esperienze di vita altrui, oppure possa favorire i ricordi a chi ne ha di comuni con me. Sul mio percorso passato mi ritengo abbastanza soddisfatto, grazie anche all'aiuto della buona sorte. Tra alti e bassi e malgrado gli eventi tristi, talora drammatici, che hanno segnato la mia vita, credo di poter dare ugualmente alla mia vita stessa un voto positivo: sette decimi. Ciò è dovuto anche alla fortuna, o meglio al caso o al fato, che mi hanno fatto incontrare, come accade a tutti, sia nell'ambito privato che nel lavoro, alcuni “benedetti” individui che con il loro comportamento e le loro decisioni, hanno influenzato favorevolmente il mio cammino. Sono particolarmente grato a queste persone, ma ricordo con simpatia tutte quelle che ho avuto la fortuna di incrociare lungo la mia strada e che hanno in qualche modo partecipato alle mie esperienze di vita. Ciao, mandi e grazie Federico San Donato Milanese, ottobre 2009 48 Ciao, Ciao anche da Marina! Edizione promossa da APVE , Associazione Pionieri e Veterani ENI [email protected] [email protected] Pier Federico Barnaba, nato a Buja (Udine), residente a San Donato Milanese; dopo una serena gioventù trascorsa in Friuli, animata dagli eventi bellici, si laurea “Geologo” a Padova. Insegna per un anno all’Università di Ferrara e poi, nel 1955, viene assunto dall’ENI, dove viene impiegato nelle attività di esplorazione petrolifera, dapprima in Italia e poi all’Estero, in Marocco, Tunisia e Madagascar; accresce così le sue esperienze anche nel settore del sottosuolo, dello studio dei giacimenti e della gestione societaria. Dal 1972 si occupa, sia in Italia che all’Estero, degli insorgenti problemi riguardanti la protezione ambientale, la sismicità, la subsidenza; successivamente, dopo una parentesi nel settore dell’amministrazione del Personale, assume l’incarico della gestione delle attività operative di alcuni Paesi esteri, tra i quali Angola, Oman, Algeria, Tanzania, Yemen. Supera alcune traversìe della vita e nel 1985, in accordo con l’ENI e in seguito a concorso, assume il ruolo di Docente all’Università Studi di Milano con l’incarico del corso di Geologia degli Idrocarburi, accompagnando alla laurea numerosi studenti che oggi, da laureati, sono divenuti parte attiva dell’ENI e di altre Società petrolifere internazionali. 49 APPENDICE 1 Pozzi petroliferi a Belahim, Sinai Egitto Traffico a Bangkok In fila a Mosca, Russia Fumarole nel vulcano Hakone, Giappone Forme di erosione a Moab – Utah, USA Veduta aerea di Anchorage, Alaska Hong Kong, Cina 50 APPENDICE 2 Basilica di Guadalupe, inclinata per abbassamento del suolo. Mexico City Fiaccole dal giacimento a olio di Ebocha, Nigeria Tomba egizia (6000 anni A.D.), British Museum, Londra Predicatore di turno a Hyde Park, Londra Taxi a Jakarta, Indonesia Pao de sucre, Rio de Janeiro, Brasil 51 APPENDICE 3 Vita sull’acqua in Tailandia Passeggiata a Kyoto, Giappone Moschea ad Algeri Tokyo, Giappone Impianto di perforazione petrolifera “mascherato” da grattacielo a Long Beach, California USA Bangkok 52 APPENDICE 4 Note su famiglia Barnaba di Buja Qualche considerazione sul prestigioso passato della famiglia e sulla vivace intraprendenza di alcuni nostri antenati e predecessori che, come testimoniato e tramandato dagli storiografi, si sono distinti in atti patriottici o in seri impegni di natura professionale, culturale o politica. L’albero genealogico dei Barnaba di Buja, testimoniata dalla documentazione del 1070, risale ufficialmente a Fridericus de Baden, il “nobilissimus ac strenuissimus Miles, Signore di alcuni Castelli del Friuli, tra cui quello di Buja, il centro collinare che fu sede di insediamenti umani fin dalla Preistoria e che, grazie alla sua posizione, fu luogo di difesa e di controllo verso la Pianura friulana e verso la Julia-Augusta, importante via di comunicazione tra nord e sud delle Alpi. Alcuni discendenti di Fridericus sono poi citati dalla memoria storica quali combattenti delle Crociate, mentre altri tentarono di affermare il diritto all’indipendenza del medio Friuli opponendosi alle truppe del Patriarca di Aquileia e ai soldati del Conte di Gorizia, che aspiravano ad annettersi quel territorio. In seguito, nel 1371, un Barnaba (Enrico) fu chiamato a formulare il primo statuto della Comunità di Buja, di ispirazione laica, con il quale si rinunciava, per la libertà, ai privilegi feudali. Nei successivi secoli 1600 e 1700 alcuni componenti della famiglia Barnaba occuparono prestigiosi ruoli pubblici: notai, avvocati, procuratori presso la Serenissima, vicari, sacerdoti. La rivoluzione francese e le successive imprese napoleoniche ispirarono idee di indipendenza e di unità nazionale e i Barnaba ne furono vivamente coinvolti, anche nella componente femminile; vi fu una partecipazione alla spedizione napoleonica in Russia e soprattutto un esteso impegno nelle guerre e nei moti di indipendenza tra il 1848 e il 1866, anche al seguito di Garibaldi, quando il Friuli era ancora sotto il dominio austro-ungarico. Mio bisnonno Pietro si distinse in varie azioni di guerra contro le truppe austriache di occupazione e nel 1848 fu impegnato nella difesa del Forte di Osoppo, avendo costituito un gruppo di volontari, chiamati “i Crociati di Buja”. Ottenuta l’indipendenza, Pietro fu eletto primo Sindaco di Buja. Lo si ricorda come dotato di una forza erculea, che in gioventù aveva richiamato l’attenzione di alcuni docenti filo-austriaci dell’Università di Padova, allertati dalle idee rivoluzionarie di Pietro. Un’altra azione clamorosa, anche per l’elevato rischio che l’ha accompagnata, fu quella compiuta durante la prima Guerra mondiale, nel 1918, dal nostro cugino Pier Arrigo, Tenente dell’Esercito italiano, che si fece paracadutare in territorio occupato dal nemico per poter raccogliere e trasmettere (a mezzo di colombi viaggiatori) al proprio comando militare, schierato sul Piave, informazioni sui movimenti delle truppe austriache, in vista della controffensiva italiana. Pier Arrigo fu insignito della Medaglia d’oro per meriti di guerra e fu poi nominato Deputato alla Camera e successivamente Podestà di Udine, pur dimostrando una certa resistenza nei riguardi del Regime. Molto pesante fu il tributo personale offerto da alcuni membri della nostra famiglia anche alle due guerre mondiali. Pietro, fratello di mio padre, che prestava servizio come ufficiale di macchina sull’Esploratore Rossarol, morì nel novembre 1918 al largo di Pola in seguito all’affondamento della nave, colpita da una mina nemica. La drammatica notizia della sua scomparsa giunse ai miei nonni paterni, Ciro e Ida, che avevano forzatamente abbandonato la loro casa di Buja in occasione della ritirata di Caporetto ed erano profughi a Parma, in attesa di rientrare in Friuli. Si ritrovarono così con la grave perdita di uno dei due giovani figli partiti per la guerra. Tra i Barnaba vi furono altre due vittime nella seconda Guerra mondiale: Ermanno, figlio di Nino, Capitano dei granatieri di Sardegna, fu fucilato dai nazisti ad Atene nel 1943, a 32 anni, per essersi unito alle forze partigiane greche; fu decorato di medaglia d’argento al valor militare. La seconda vittima fu Adolfo, Direttore dell’Italcementi di Bergamo, arrestato dai tedeschi per attività di guerriglia partigiana e deportato in Germania, dove morì in campo di concentramento nell’agosto 1944. Mio padre, Renato, partecipò attivamente ad ambedue le guerre mondiali; nel 1917, non ancora diciottenne, fu chiamato alle armi e visse con intensità, come afferma nei suoi ricordi, alcuni mesi di trincea sui Monti Lessini, sopra Rovereto, come Ufficiale dell’8° Reggimento Alpini, Battaglione Monte Arvenis, facendo poi parte delle truppe che sfondarono l’ultima resistenza austriaca ed entrarono a Trento il 2 novembre 1918. Fu uno dei bravi “ragazzi del 99”. Nel giugno 1940 fu richiamato alle armi con il grado di Capitano e fu assegnato, in considerazione della sua professionalità, al reparto alpino di fotorilevamento sul fronte italo-francese. Tornò a casa indenne. (feba) 53