Barnaba_Autobiografia_di_un_geologo_Agip

Transcript

Barnaba_Autobiografia_di_un_geologo_Agip
Pier Federico Barnaba
UN’OCCHIATA AL PASSATO,
PER UN RIFLESSO SUL FUTURO
Buja Friuli)
Edizione Apve
S.Donato Milanese
1
INDICE
Premessa.............................................................................................................................3
Primi anni a Buja ...............................................................................................................3
I nonni .................................................................................................................................4
Mia sorella ..........................................................................................................................5
Mamma e papà ...................................................................................................................5
Arriva la guerra..................................................................................................................6
Il collegio .............................................................................................................................7
Esperienze del periodo bellico ...........................................................................................8
Fine della guerra ..............................................................................................................11
L'Università ......................................................................................................................12
Geologo del petrolio ..........................................................................................................15
Marocco .............................................................................................................................17
Geologi in deserto .............................................................................................................19
Vita familiare in terra marocchina .................................................................................20
Tunisia ..............................................................................................................................22
Inzago................................................................................................................................27
Madagascar.......................................................................................................................29
Rientro in Italia................................................................................................................37
Intervalli familiari ...........................................................................................................39
Servizio del Personale ......................................................................................................42
Ancora Università ............................................................................................................43
Ancora vita familiare .......................................................................................................44
Conclusioni .......................................................................................................................48
2
Premessa
Primi anni a Buja
Quando alle nostre spalle si è venuto ad
accumulare un sostanzioso passato, si è portati
a rivolgere il pensiero all'indietro con l'intento
di far tornare alla mente qualche ritaglio di vita
vissuta, o di ripercorrere un cammino compiuto
tempo addietro assieme ad altri che così ci
ritornano vicini. Queste considerazioni mi
hanno indotto a raccogliere pensieri e ricordi
degli anni passati, spinto dalla piacevole
sensazione di poterli rivivere.
In casa nostra a Buja, tra le dolci e verdi colline
dell’anfiteatro morenico friulano, si viveva in
maniera piuttosto varia e movimentata.
Due genitori, tre nonni, due figli (mia sorella
minore ed io maggiore di tre anni), più uno o
due aiutanti di mio padre, che aveva uno studio
fotografico, eredità del nonno, più una donna di
servizio; le nostre tavolate erano spesso
numerose, di otto o dieci persone, ciascuna con i
propri problemi, di fotografia, di scuola, di
Casa nostra a S. Stefano di Buja
Mi piace ad esempio ricordare che nel periodo in
cui la mamma mi mise al mondo, nell'aprile
1928, l'attenzione degli italiani era rivolta alla
spedizione di Umberto Nobile che, con il
dirigibile Italia, stava tentando di conquistare il
Polo nord. Il Paese era allora governato da
Mussolini, che aveva dato un certo appoggio a
quella spedizione ma senza molto calore, anche
a causa delle idee sinistrorse di Nobile.
Un'impresa quella del dirigibile Italia e della
cosiddetta tenda rossa che fin da bambino mi ha
colpito ed affascinato, forse anche perché ne
sentii parlare in casa da quando ero ancora in
fasce (allora si usavano le fasce, antico simbolo
di igiene e disciplina).
cucina, ecc. La nostra dimora era un paradiso
per noi bambini; avevamo spesso gli amici a
giocare con noi; era costruita su tre piani, con
un bel giardino, un grande orto con le viti, il
pollaio e una casetta aggiunta, che ospitava la
legnaia e la liscivaia, dotata di caldaia a legna
per il bucato settimanale. C’erano anche due
garage e due ingressi indipendenti, uno per il
negozio e l'altro per l'abitazione; sopra la porta
di entrata dell'abitazione, c'era uno stemma che
ricordava la nobiltà di famiglia, acquisita fin
dall'anno 1070, grazie all'ardimento di un
nostro antenato, lo "strenuissimus miles"
Fredericus. Noi di famiglia, forse per un difetto
di compiacenza, abbiamo sempre considerato
con un certo distacco questo titolo acquisito,
ritenendo ben più importanti di questo tanti
altri valori e comportamenti nella vita di tutti i
giorni.
Il laboratorio fotografico assorbiva l'attività di
mio padre e dei suoi collaboratori; il lavoro si
svolgeva oltre che nel laboratorio, la cosiddetta
camera oscura, nello studio di posa, nel negozio,
come pure in altre due stanze adibite al ritocco
dei negativi,
al ritaglio delle foto e alla
preparazione finale del materiale per i clienti. A
seconda delle disponibilità, età, capacità, oltre
che della buona volontà, tutti noi di famiglia
eravamo
coinvolti
nell'attività
paterna,
specialmente nei periodi più critici e in
particolare quando venne ad aggiungersi
l'impegno di un secondo studio, acquisito anche
3
per esigenze economiche in una nuova sede, a
San Daniele, una decina di chilometri da Buja.
Il problema scuola assorbiva sia mia madre che
noi figli; mia mamma insegnava nelle
elementari di Buja e noi studiavamo, dapprima
nella stessa scuola dove insegnava la mamma e
successivamente nelle sedi degli studi superiori:
Pordenone, Udine, Trieste, Venezia, Padova.
Negli anni tra il 1934 e il 1939 frequentai le
scuole elementari a Buja e i ricordi mi portano
al maestro Piemonte, detto il Tabacòn; la sua
tabacchiera, che teneva sempre in mano, non
serviva soltanto a contenere il tabacco da fiuto,
ma anche quale arma da lanciare contro gli
scolari indisciplinati; per fortuna aveva i bordi
arrotondati, ma com'era pesante!
Tra i compagni di scuola di allora ricordo in
particolare: Gianni Papinutto (futuro medico),
Giancarlo Menis (poi sacerdote e storiografo),
Bepi Marangoni (in seguito martire partigiano),
Renato Calligaro (futuro celebre pittore e
fumettista).
Qualcuno a scuola mi invidiava perchè ero il
"figlio del Podestà", ma a me non interessava
molto, anche se talora l'orgoglio nascosto veniva
timidamente a galla.
I nonni
Ricordo il nonno paterno Ciro come un
personaggio
straordinario;
era
signorile,
affabile, comprensivo e disponibile verso il
prossimo e in particolare verso noi nipoti; nato
nel 1863, sotto l'Austria Ungheria, da ragazzo
aveva frequentato una scuola di fotografia a
Torino, dalla quale aveva assorbito una buona
preparazione culturale e professionale per cui,
al suo rientro a Buja, intorno al 1890, si trovò
ad operare come primo fotografo professionista
del Friuli. Con lui non vi era alcuna difficoltà di
comunicazione; la sua fantasia ci stimolava non
solo nei giochi ma anche nello studio; era
attento portatore dell'informazione quotidiana e
lo ricordo assiduo lettore del Gazzettino e del
Corriere della Sera.
Lo sentivamo nostro complice anche nei
divertimenti, talora non proprio tranquilli e
sicuri, come ad esempio nella preparazione dei
fuochi d’artificio, per i quali noi ragazzi
andavamo matti; ce li costruivamo in casa,
dosando sapientemente i vari componenti in
polvere a seconda degli effetti di colore e di
intensità sonora desiderati.
Da bambino e poi da ragazzino ho imparato da
lui anche a maneggiare gli apparecchi
fotografici, a sviluppare e stampare le foto, a
costruire un cannocchiale, a curare le piante di
vite, a pigiare l'uva raccolta nel nostro orto, a
realizzare modellini di auto e di aerei, che allora
non si trovavano nei negozi in kit di montaggio.
Credo di avere imparato da lui anche a
scherzare bonariamente sul prossimo.
Tra i ricordi con nonno Ciro vi è pure la visita
autunnale che facevamo ai nostri mezzadri di
Sottocostoia, frazione di Buja, per la
suddivisione del vino nuovo; una "sentina" a
noi, una a loro, una a noi e una a loro ed era la
piacevole occasione per uno spuntino e per
alcuni assaggi del vino nuovo. Il ritorno a casa
era sull'allegro.
Per me e per mia sorella Viviana nonno Ciro
costituiva spesso un comodo tramite tra noi e la
nonna Ida e anche tra noi e i nostri genitori, per
risolvere situazioni delicate o penose che lui
sapeva affrontare pacatamente, evitando le
complicazioni.
Mia nonna Ida, moglie di Ciro, proveniva da
una famiglia benestante, i Mesaglio di
Castellerio Pagnacco, ed era orgogliosa del
passo avanti che aveva fatto sposando un
Barnaba di Buja. Un velo di malinconia sorgeva
in lei quando ci ricordava suo figlio Pierino,
vittima ventenne della prima guerra mondiale,
scomparso in mare con la sua nave, affondata
da una mina austriaca al largo di Pola.
Di aspetto gentilmente altero e piuttosto severa
con noi bimbi; ci voleva educati e obbedienti e
In compagnia dei nonni
4
non ammetteva risposte
irrispettose
o
mancanze di qualsiasi genere. Più volte mi
inseguì con lo scopetto in mano, a seguito di
qualche mia marachella. Devo ammettere però
che aveva una certa fiducia in me, visto che mi
affidava spesso i 30 centesimi (di lira) necessari
per l'acquisto quotidiano della carne per il gatto
(in friulano: le ciàr pal giàt).
Nonna Ida era gelosissima dei mobili e degli
arredi di casa e, per evitare il deterioramento di
quelli più delicati e "preziosi", li aveva riuniti in
due stanze severamente chiuse a chiave e
accessibili soltanto in rarissime occasioni, cioè
per ospiti di estremo riguardo o per
avvenimenti storici, come la Comunione e la
Cresima dei nipoti. In compenso, gestiva la casa
in modo impeccabile, con l'aiuto di una
domestica, collaudata a sopportare le manie di
mia nonna.
Mia nonna Gigia, nonna materna, era un tipo
molto originale, piena di vita, spontanea,
semplice e generosa; rimasta vedova da giovane
per un incidente sul lavoro, subìto dal marito in
Germania, e con una neonata da allevare (mia
mamma, Claudia), aveva frequentato una
scuola per ostetriche e poi aveva intrapreso
l'attività a Buja. Ho sentito dire che nel periodo
dell'invasione austriaca del 1917, dopo
Caporetto, la sua attività di infermiera in
favore dei bujesi rimasti in zona fu
particolarmente
apprezzata.
Ricordo
la
generosità e la semplicità di nonna Gigia nel
periodo della guerra 1940-45, quando ci aiutava
ad alleggerire le ristrettezze alimentari,
fornendoci qualche pacco di viveri genuini che
lei riceveva dai suoi fedeli clienti della
campagna; burro, formaggio, salame erano
prodotti da sogno in quei tempi. E noi
l'aiutavamo a preparare la confezione mensile
da spedire a suo figlio, zio Duilio, che era
prigioniero dei tedeschi in un campo di
concentramento a Magdeburgo, nel nord della
Germania.
Pensando ai nonni mi viene alla mente un fatto
particolare, accaduto nel 1931, quando avevo
poco più di tre anni; durante il pasto del
mezzogiorno, mentre genitori e nonni erano a
tavola, mi ero steso per gioco sotto il divano
quando improvvisamente fummo investiti da
una forte scossa di terremoto che provocò
l'immediato fuggi fuggi generale: mia madre
corse in camera a recuperare dalla culla la
neonata Viviana, ed io fui dimenticato da tutti,
sotto il divano, ma più tardi felicemente
ritrovato. I sussulti di quel terremoto, sono
rimasti chiaramente nella mia memoria,
raffigurati da una spirale in violenta vibrazione
che mi fa pensare agli occhi di Paperino. In
conseguenza di quel terremoto la nostra casa
subì alcune fessurazioni che furono risanate con
interventi di consolidamento, soprattutto nei
due piani alti. Fu solo un preannuncio di quanto
sarebbe malauguratamente accaduto 45 anni
più tardi, nel 1976.
Mia sorella
Viviana, mia sorella, di tre anni più giovane di
me, ma per nulla a me sottomessa, perchè ci
consideravamo in tutto alla pari e andavamo
anche d'accordo,…fino al punto in cui lei
accettava di giocare al gioco da me prescelto ed
era sempre un gioco da maschietto.
Era una bella bambina, poi ingrassò e dopo
qualche tempo dimagrì e divenne una bella
ragazza; piaceva anche ai miei compagni e
amici. Tra noi non mancava l'occasione di
scambiarci idee e opinioni, non sempre
collimanti, sugli argomenti più vari, di
letteratura, di politica, di musica, di costume.
Siamo rimasti strettamente legati per tanti
anni, dal periodo dei giochi infantili a quello
delle feste danzanti e delle gite da ragazzi e fino
al liceo; poi l'Università, i fidanzati e
soprattutto gli impegni di lavoro e i rispettivi
avvenimenti familiari allentarono forzatamente
i nostri contatti e ci ritrovammo dopo qualche
tempo di fronte ad una triste realtà, che ci portò
via per sempre Viviana, ancora giovane.
Il suo ricordo è associato anche ad una tenera
scenetta, vissuta assieme tanti anni fa nel
negozio di una camiciaia di Buja. Io non avevo
ancora dieci anni e Viviana sette; la mamma mi
aveva incaricato di ordinare una camicia per
me, raccomandandomi di chiedere alla sarta di
abbondare nelle misure. Assillato da questa
raccomandazione e imbarazzato tra Viviana e la
camiciaia, mi rivolsi decisamente a questa
dicendo: "vorrei una camicia ... per l'anno
scorso!" (une ciamèse par l'an passat) anziché
per l'anno successivo; poi, confuso sgomitai
ripetutamente mia sorella, sollecitando un suo
aiuto per rimediare al mio lapsus. Tutto si
risolse con una risata collettiva, ma la mia
dignità rimase duramente toccata per lungo
tempo.
Mamma e papà
Parlare dei genitori, esprimere dei giudizi su di
loro e descriverne la personalità risulta difficile
e imbarazzante, forse perchè si è parte di essi
ed anche perchè si è vissuto troppo di loro stessi
per averne una immagine imparziale; e questo
5
sia per l'educazione, le abitudini e i ritmi di vita
da loro assorbiti, sia per quanto di noi figli si è
riflesso su di loro, modificando le loro qualità
individuali. Come figlio posso comunque
dedicare loro un grazie di cuore per quanto
hanno fatto per me.
Mamma e papà andavano d'accordo tra loro,
anche perchè erano molto diversi l'una
dall'altro: vivace e impulsiva l'una, pacato e
riflessivo l'altro. Più attendibile papà Renato,
più spontanea mamma Claudia. Hanno vissuto
un buon periodo felice, sposandosi nel 1925,
dopo la prima guerra mondiale nella quale papà
aveva passato qualche mese al fronte; essendo
del 1899, era stato arruolato tra gli Alpini a
meno di diciotto anni.
Ebbero la fortuna di vivere in una casa bella e
grande con giardino, condivisa con i suoceri,
possedevano una moto Harley-Davidson, una
vettura Fiat fuori serie, che credo non fosse
costata poco, un po' di campagna in mano ai
mezzadri e lo studio foto, dapprima condotto da
nonno Ciro e poi da papà Renato, che si era
diplomato perito industriale a Belluno.
Claudia, del 1903, diplomata a diciassette anni,
maestra elementare con sede dapprima ad
Avilla e poi a S.Stefano di Buja. Un figlio (io)
dopo tre anni di matrimonio e una figlia
(Viviana) dopo altri tre anni, agli inizi degli
anni trenta.
Quartetto di famiglia in gita in montagna
In estate passavamo un paio di settimane al
mare, a Grado, che mi fa ricordare, oltre alla
piacevole vita di albergo, anche il nome di un
cameriere che ci era molto simpatico: il Popi.
L'avvicinarsi della seconda guerra mondiale
comportò una certa crisi economica generale e
se ne risentì anche in famiglia, da cui la
necessità di migliorare le entrate; venne così
deciso di aprire il secondo studio foto, a San
Daniele, considerata anche la accresciuta
concorrenza professionale e le maggiori spese
per far studiare noi figli.
Ricordo che mamma in quel periodo mi fu
particolarmente vicina nello studio quotidiano,
in vista della fine delle elementari e del
cosiddetto esame di ammissione.
Arriva la guerra
Il 9 giugno 1940 Fausto Coppi vinceva il giro
d'Italia e il giorno successivo la Gazzetta dello
sport commentava affermando che tale vittoria
"testimoniava la gagliardia e la serenità della
Patria in armi", mentre il Duce annunciava
l'entrata in guerra dell'Italia con uno dei suoi
drammatici interventi: "Combattenti di terra, di
mare, dell'aria, Camicie Nere della Rivoluzione
e delle Legioni; uomini e donne d'Italia,
dell'Impero del Regno di Albania: ascoltate!
Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della
nostra Patria: l'ora delle decisioni irrevocabili.
La dichiarazione di guerra è già stata
consegnata agli Ambasciatori di Gran Bretagna
e di Francia....".
Nel frattempo i nostri alleati tedeschi avevano
già messo sottosopra l'Europa, invadendo la
Polonia, i Paesi Bassi, il Belgio e il nord della
Francia. Venti giorni dopo moriva a Tobruk, nel
corso di una battaglia aerea, Italo Balbo, il cui
nome era legato alla tragedia della spedizione
Nobile al Polo Nord.
La guerra portò anche nella nostra famiglia
immediate,
spiacevoli
conseguenze,
con
difficoltà e partenze forzate da casa. Mio padre
venne richiamato alle armi e fu inviato al fronte
italo-francese come Capitano del genio alpini,
reparto
fotorilevamento;
dopo
qualche
settimana ci fece avere le foto della visita di
Mussolini in zona di operazioni, operazioni per
fortuna non cruente, data la quasi inesistente
reazione militare francese.
Mia mamma si trovò improvvisamente sulle
spalle il peso di due figli in età scolare,
l'insegnamento presso le Elementari di Buja e
inoltre la conduzione di due studi fotografici,
seppure con l'aiuto di un collaboratore efficiente
come l’allora quindicenne Adelchi; in più la casa
da gestire, con i nonni in età ormai avanzata.
Due esperti fotoreporter
6
Un certo aiuto lo davamo comunque tutti noi,
nella misura possibile; ricordo che passavamo
molte serate, fino a mezzanotte ed oltre, a
preparare le foto per le consegne del giorno
successivo nei due studi di Buja e di San
Daniele. Dopo qualche tempo, grazie alla sua
ulcera duodenale, vera e dolorosa, papà venne
congedato e rimandato a casa e il compito di
Claudia fu così alleviato. Ricordo comunque con
pena la gravosità dell'impegno dello studio di S.
Daniele, che richiedeva due viaggi alla
settimana (mercoledì e domenica) per oltre 24
chilometri tra andata e ritorno, in bicicletta,
data l’impossibilità di usare le auto,
immobilizzate per la guerra.
sopportare le sue pesanti prediche didattico
religiose tutte le volte che mi recavo nella sua
stanza per rendicontare la vendita del
giornalino
“Il
Vittorioso”,
in
relazione
all’incarico che lui stesso mi aveva assegnato,
malgrado la mia riluttanza; e questo durò
finché finalmente riuscii a interrompere la
collaborazione. Avevo dodici anni!
Il collegio
In autunno, con la ripresa delle scuole, lasciai
Buja per rientrare nel Collegio Don Bosco a
Pordenone, dove avevo frequentato gli ultimi
mesi dell'anno scolastico precedente. Senza
accorgermene, affrontai lo studio con estrema
serietà, forse aiutato in questo dalla particolare
atmosfera militaresca del collegio e dalle recenti
dure esperienze maturate in famiglia. Alla fine
dell'anno di scuola ebbi la piacevole e grande
sorpresa di risultare il primo della classe, latino
compreso; ed era una classe di veri sgobboni,
con la puzzetta sotto il naso. Il mio successo fece
tanto piacere anche al mio personale protettore,
Beppino Chemello, amico di famiglia, di quattro
o cinque anni più grande di me, che mi salvava
dal nonnismo imperante nel Collegio.
Della vita di collegio serbo ancora qualche vivo
ricordo; alcuni piacevoli, legati soprattutto alle
amicizie nate in un ambiente particolare, dove
si vive continuamente in comunità, giorno e
notte. Ad esempio mi torna in mente il
problema quotidiano della prima colazione, che
era sempre scarsa e non riusciva mai a colmare
il mio mattutino buco nello stomaco. Cosa fare
per rimediare? Scoprii che adattandomi a
servire la messa del mattino avrei avuto la
possibilità di accedere individualmente al
refettorio e di disporre così, senza alcun limite,
di tutto quanto potevo desiderare, dal caffè-latte
al pane e…basta, perchè non vi era altro; decisi
così di mettermi a disposizione del Celebrante e
in seguito servii frequentemente la messa, con
piena soddisfazione dello stesso e di chi, come
me, aveva il pensiero fisso sulla prima colazione
ad personam.
Un altro ricordo meno gradevole è legato invece
alla figura di un sacerdote, il Catechista, detto
"il giraffone" per il suo collo sviluppato in
lunghezza, il quale approfittava della mia
intimidita subordinazione per obbligarmi a
Giovani amici e amiche bujesi
Le mie esperienze collegiali proseguirono per
altri due anni al Bertoni di Udine, di cui
ricordo in particolare le lunghe, estenuanti e
inutili adunate fasciste del sabato, vestiti
puntualmente da balilla, nonché i più divertenti
e rilassanti tornei di calcio, che servivano anche
a promuovere e cementare la solidarietà tra
compagni di squadra. La mia lunga pratica di
collegio, quasi cinque anni in età tra gli 11 e i
16 anni, mi dice che il collegio può tornare utile
per migliorare la propria autonomia: si impara,
non senza sacrificio e umiltà, a vivere nella
collettività, ad esaminare e giudicare il
prossimo (che può aiutare a salvarsi dai
balordi), a rafforzare il proprio carattere e ad
arrangiarsi di fronte alle difficoltà. Il collegio
può costituire pertanto una esperienza
decisamente positiva.
Uno dei maggiori pericoli di questo ambiente,
sempre in base alle esperienze vissute, ritengo
sia costituito dal comportamento degli addetti
all'assistenza (preti nel caso del Don Bosco di
Pordenone, laici nel Bertoni di Udine) che, a
causa delle loro frustrazioni, o di una oscura
sete
di
autorità,
possono
assumere
7
atteggiamenti impositivi e talora aggressivi nei
confronti dei poveri "sudditi" collegiali.
Esperienze del periodo bellico
Per noi, allora giovani o giovanissimi, i cinque
anni di guerra, dal giugno 1940 all'aprile 1945,
comportarono indubbiamente sacrifici, timori,
apprensioni di vario genere, ma ci consentirono
pure di vivere una serie di interessanti
esperienze, legate agli avvenimenti più o meno
allegri che in quel periodo movimentavano la
vita di tutti i giorni; esperienze che
svilupparono in noi una certa forza morale e ci
aiutarono in seguito, nel dopoguerra, a godere
di ogni piccola conquista raggiunta.
Nel periodo bellico si viveva nella convinzione
che tutto fosse predisposto e che in nessun modo
avremmo potuto modificare personalmente il
corso delle cose; affrontavamo di conseguenza,
con estrema serenità, tutto quanto accadeva
intorno a noi.
Uno dei problemi gravi di allora era legato alla
difficoltà di approvvigionamento degli alimenti.
Ricordo che mia madre si alzava spesso all’alba
per mettersi in fila dal macellaio e, quando la
spedizione aveva avuto successo, tornava a casa
dopo alcune ore con qualche etto di carne. Un
altro argomento critico era quello dei trasporti:
quante volte fummo costretti a viaggiare, per
carenza di posti, sul tetto della corriera, quando
non
accadeva
di
dover
scendere
improvvisamente e allontanarsi dal mezzo di
trasporto a causa di un allarme aereo e
conseguente pericolo di bombardamento.
Nel corso del 1944 i movimenti della Resistenza
contro l'occupazione tedesca si intensificarono
notevolmente nell'Italia centro-settentrionale,
con la costituzione di unità partigiane
combattenti, rappresentate in Friuli dalle
Brigate Osoppo e Garibaldi, rispettivamente di
ispirazione verde e rossa.
All'insaputa dei miei genitori, io aderii alla
Osoppo e fui inquadrato come "patriota" con
nome di battaglia "Claudio" (da me scelto in
omaggio alla mamma Claudia o soltanto per il
desiderio di protezione materna?). Avendo la
possibilità di disporre in casa di una certa
attrezzatura tipografica (di mio padre),
provvedevo, su richiesta degli amici partigiani e
naturalmente in gran segreto, alla stampa di
volantini e di messaggi, rendendomi così utile al
movimento.
Ad un certo punto decisi di accrescere il mio
contributo e programmai di lasciare casa e
famiglia per raggiungere le unità della Osoppo
che operavano in montagna, nella zona di
Forgaria-Pielungo, con le quali ero in contatto
tramite gli amici "portaordini", che facevano la
spola tra Buja e quella zona, al di là del
Tagliamento. Il mio programma personale
prevedeva la partenza entro un paio di giorni e
per questo stavo preparando in segreto le mie
cose; ero intento a modificare un paio di calzoni
lunghi per ridurli al di sopra del ginocchio,
ritenendoli così più idonei al previsto
attraversamento a guado del Tagliamento,
quando accadde l'imprevisto: mia mamma,
insospettita da qualche insolito movimento in
casa, aveva scoperto il mio segreto. Per farla
breve, riuscì a farmi rinunciare al progetto,
ricordandomi che avevo soltanto sedici anni e
assicurandomi in compenso il suo personale
appoggio riguardo ad ogni futura collaborazione
in favore dei partigiani, purché rimanessi in
pianura, al di qua del Tagliamento. Senza
dubbio, oggi comprendo meglio di allora il
comportamento di mia madre.
Un certo rischio lo correvamo tutti negli anni
1944-45, ma un rischio particolarmente elevato
per noi di famiglia era rappresentato
dall'usanza diffusa tra i partigiani, e tra i
militari in genere, di farsi fotografare in assetto
da guerra; il partigiano di turno si presentava
nel nostro negozio in abiti civili, ma portava con
sè tutto il necessario per comparire nella fotoricordo vestito e armato di tutto punto;
impossibile non esaudire il suo desiderio e la
sola precauzione era quella di tenere sotto
controllo la porta di ingresso. Una volta fummo
costretti a nascondere precipitosamente un
individuo già in posa per la foto, a causa
dell'improvviso ingresso nel negozio di un
gruppo di militari cosacchi, che operavano agli
ordini dei tedeschi, accampati non lontani da
casa nostra.
Con una frequenza più o meno mensile i
tedeschi
organizzavano
a
Buja
dei
rastrellamenti, cioè la cattura di uomini tra i 16
e i 65 anni, da deportare in Germania o quanto
meno da inquadrare nel lavoro para-militare; di
questo solitamente si aveva notizia (in gran
segreto!) il giorno prima e quindi, per evitare di
essere coinvolti in questi progetti poco
allettanti, noi uomini di casa, in occasione dei
rastrellamenti ci nascondevamo in un rifugio,
un piccolo vano chiuso da un armadio mobile,
che avevamo ricavato nella nostra soffitta.
Ricordo la forte tensione che ci attanagliò la
gola per qualche minuto quando alcuni militari,
(si trattava di tedeschi, "repubblichini" italiani
e cosacchi, fedeli collaboratori dei tedeschi),
arrivarono in casa e, accompagnati da mia
mamma, perlustrarono le varie stanze e
giunsero inconsci davanti al nostro rifugio (in
cui ci trovavamo papà, Adelchi ed io); il nostro
terrore e naturalmente anche quello di mia
madre che era vicino a loro, era rappresentato
dal colpo di tosse di papà, che avrebbe potuto
8
tradire la nostra presenza. Furono due minuti
tremendi! Non ci fu alcun colpo di tosse e
fortunatamente andò tutto bene e quelli se ne
andarono anche allora senza danni per noi.
Quella intensa giornata si concluse con una
scena drammatica svoltasi nella piazza sotto
casa nostra, della quale fummo ignari spettatori
attraverso le scurette della soffitta: si trattò
della fucilazione, dopo un sommario processo, di
un militare cosacco, accusato dai tedeschi di un
tentato stupro compiuto ai danni di una donna
di Buja durante le operazioni di rastrellamento.
Allora questi fatti non erano eccezionali. Ebbi
un’altra triste esperienza quando, tornando da
scuola e transitando in bicicletta tra Tricesimo e
Buja, fui sorpreso da una serie di spari; mi
avvicinai alla zona da cui provenivano, l’abitato
di Raspano, e scoprii con rammarico che si
trattava della fucilazione, appena avvenuta da
parte di un gruppo di tedeschi, di un mio amico,
sospettato di appartenere alle unità partigiane.
Lo riconobbi e ne rimasi molto scosso,
trattandosi di un ragazzo che stimavo molto.
un amico di famiglia, dirigente della miniera di
Cave del Predil.
Ed ora apro una parentesi, dedicata con
simpatia ad Adelchi, Bruno e Nardin, che
furono tre bravi e seri aiutanti di papà Renato
nel periodo 1943-60. Tutti e tre, dopo un periodo
più o meno lungo di apprendistato e di pratica
operativa, si sono poi sistemati con successo in
località diverse, rispettivamente a Chiavari,
S.Vito e Vercelli, dove hanno avviato altrettanti
studi fotografici autonomi.
Essendo coetanei o quasi, ho vissuto assieme a
loro per anni e anni (seppure in maniera
saltuaria, essendo io impegnato prima negli
studi e poi nel mio lavoro), in sincera e
spontanea amicizia, condividendo esperienze
tecniche, divertimenti e situazioni delle più
varie, talora allegre, talora drammatiche o
quasi.
Adelchi in particolare era come uno di famiglia
Si scherzava su tutto, in particolare erano
frequenti i lazzi, opportunamente mascherati,
con il cliente un pò strano che si presentava a
farsi fotografare con richieste balorde e guidate,
come accade spesso nel mondo della fotografia
professionale, da spinte edonistiche o porno, con
i militari in prima fila.
In una particolare occasione Adelchi sfoderò la
sua fortunata stella; fu quando rimase quasi
illeso a seguito dello scoppio tra le mani di un
bossolo di petardo (frusete) che stava
preparando in casa nostra per una festa del
paese; ho detto "quasi illeso" perchè per almeno
un paio di mesi il suo udito fu ridotto al
cinquanta per cento, per cui era necessario
gridargli nelle orecchie.
Militari tedeschi e cosacchi
rastrellamento a Buja
Un'altra figura che merita di essere
memorizzata è quella del dottor Vidoni, medico
condotto, amico di famiglia e vicino di casa;
viveva da
singolo, ma conviveva con la
raffinata signora, Emilia Capelan. Era il
classico medico di casa, abile anche nello
sperimentare sulla pelle altrui i segreti della
chirurgia, naturalmente senza alcun ricorso
all'anestesia; ricordo ancora con i brividi, come
fosse oggi, i dolori che mi procurò e i tremendi
sforzi che feci per non gridare di fronte al suo
bisturi che inflessibile passava e ripassava sul
palmo della mia mano destra per ridurre a
ragione un profondo flemmone che si era
formato alla base del quarto dito. Devo
riconoscere comunque che il dottor Vidòn era un
prezioso medico di paese, sempre disponibile,
acuto osservatore, in aggiunta era nostro
padrino di cresima; aveva però un grave difetto:
il
piede
destro
scarsamente
sensibile
all'acceleratore e quando usciva di casa al
mattino con la sua utilitaria si faceva sentire da
nel
corso
di
un
In tema di rastrellamenti ricordo anche la
tragedia degli amici Papinutto, catturati in casa
perchè sospettati di antifascismo e inviati in un
campo di concentramento in Germania, da dove
non sono più tornati. Anche il nostro zio Duilio,
come accennato in precedenza, fu forzato ospite
di un campo di concentramento a Magdeburgo,
ma per lui le cose andarono meglio e dopo la
fine della guerra riuscì a tornare a casa, anche
grazie alla sua forte fibra psico-fisica,
trasmessagli da sua madre, la nostra nonna
Gigia. Personalmente mi salvai dall’ira dei
tedeschi figurando di essere un lavoratore civile
di una Società idroelettrica di Tarvisio; per
dimostrarlo ero costretto a sorbirmi ogni due
settimane un lungo viaggio in treno da Buja a
Tarvisio (ricordo il record di 14 ore per sola
andata!) per farmi aggiornare il documento che
testimoniava il mio falso impegno lavorativo,
che avevo ottenuto grazie all’interessamento di
9
tutto il vicinato, con quel motore penosamente
imballato al massimo; io sentivo bene e forte
quel motore dalla mia camera ma, per rispetto,
mi limitavo a inviargli soltanto qualche
silenziosa benedizione.
Nel periodo di guerra il nostro gruppo di amicistudenti e di giovani artisti di Buja si riuniva
spesso in piazza o in qualche ambiente pubblico,
al Caffè Tabeacco, oppure in casa di questo o di
quello, per scambiarci pareri sui fatti del giorno,
discutere e scherzare. Nacque così l'Accademia
degli Accesi, sotto la guida di un maturo decano
come Pieri Menis, brillante figura di scrittore
bujese, padre di don Giancarlo, mio compagno
di banco nelle elementari, poi divenuto insigne
storico; malgrado la denominazione così
impegnativa, la nostra Accademia aveva lo
scopo di riunire tutti noi, circa una dozzina,
desiderosi di lavorare per la cultura e per la
promozione dell'arte nella nostra Buja.
Organizzammo conferenze, mostre di pittura e
di scultura ed anche uno spettacolo teatrale
imperniato sul futurismo, che ebbe molto
successo anche grazie al fatto che fu realizzato
nell'atmosfera
gioiosamente
esplosiva
dell'immediato dopoguerra.
La nostra Accademia visse attivamente per
qualche anno, finché ciascuno di noi si
incamminò per strade divergenti e anche
lontane da Buja.
Oltre a me, appartenevano all'Accademia: Pieri
Menis
(Decano),
Mattia
Monassi
(poi
medaglista alla Zecca di Roma), Andreina
Nicoloso (poi prof. di liceo), Corrado Cecotto (poi
primario neurologo), Renato Calligaro (poi
pittore e fumettista), Giuan e Mario Ragagnin
(poi entrambi dediti alla cultura letteraria),
Pierino Gallina (scultore), Enore Pezzetta
(scultore), Nino Polizzi (poi notaio), William
Tessaro (poi impresario), Gianni Papinutto (poi
medico) e forse qualche altro che non ricordo.
Il nostro gruppo di amici di Buja era
appassionato cultore anche del calcio, come
quasi tutti i ragazzi. Già in collegio io avevo
ottenuto qualche soddisfazione, vincendo niente
meno che il torneo delle Marmotte, premiato
con qualche sorso di sciroppo alle amarene.
Ma le partite serie vennero successivamente con
l'Associazione Calcio Buja, nei campionati di
seconda e di prima Divisione. Oltre che nella
veste di giocatore, agivo contemporaneamente
anche da cronista sportivo per conto del
Gazzettino, del Messaggero e di Ogni Sport;
inviavo così i miei servizi con il commento
(ovviamente almeno un po' di parte) sulle nostre
partite e mi firmavo Feba, pseudonimo che poi
mi seguì anche in ambiente extra-sportivo.
Tra noi c'era invece chi, più generoso, si
dedicava a curare il campo di gioco, in
particolare Romano Aita, maestro di scuola, ma
agricoltore nato, che la domenica mattina
passava qualche ora sul campo a falciare l'erba
(a seà) e poi nel pomeriggio riusciva anche a
partecipare attivamente alla partita.
Quando si giocava in trasferta ci si esponeva al
rischio di buscarle in caso di nostra vittoria; il
tifo locale non sempre ammetteva pacificamente
la sconfitta della propria squadra. A questo
proposito ricordo che alla fine di un incontro
vinto a Trasaghis, fummo inseguiti da alcuni
energumeni del paese che, fortunatamente per
noi, scaricarono le loro ire sul povero arbitro che
non era riuscito ad allontanarsi in tempo.
Nell'occasione io ebbi qualche difficoltà nel
riavvicinare l'arbitro stesso e nel farmi
restituire il mio orologio da polso che gli avevo
prestato prima dell'inizio della partita, in
quanto il suo non gli dava sufficienti garanzie di
buon funzionamento!
La nostra squadra di calcio
Raggiunsi la mia personale vetta nel calcio
quando fui venduto dall'A. C. Buja al Chiavris
di Udine che militava nella Promozione; in
verità la Società che mi acquistò non fece un
buon affare perchè nella seconda partita fui
costretto ad abbandonare il campionato a causa
di un incidente al ginocchio sinistro,
probabilmente la rottura di un menisco, di cui
allora non si parlava e tanto meno si guariva.
L'attrazione per l'attività sportiva prevalse
ancora nonostante il ginocchio fasullo e questa
volta mi diedi alla bicicletta, o meglio ripresi a
coltivare le due ruote, una vecchia passione che
mi aveva già portato a percorrere tanti
chilometri in Friuli e nelle Dolomiti orientali
(Sappada, Tre Cime di Lavaredo).
Nel corso di questo mio riesame del passato
sono stato ripetutamente tentato dal desiderio
di fare un elenco dei numerosi amici di Buja, a
parte quelli già citati, con i quali ho condiviso
esperienze di vita in tempi diversi, dalle
elementari ad oggi, ma ho desistito, preso dal
dubbio di dimenticarne qualcuno; mi limito
perciò a ricordarne per tutti soltanto due, che ci
10
sono stati particolarmente vicini in tempi
diversi: Silvio Buzzi e Armando Miani.
Fine della guerra
Con la fine della guerra (maggio l945) le cose
volsero al bello; papà e mamma vissero un
secondo periodo sereno, portando Viviana al
diploma e me alla laurea, liberandosi
dall'impegno dello studio di S. Daniele e
provvedendo a qualche ristrutturazione della
casa. Papà, che era stato Podestà di Buja e
Giudice conciliatore nel periodo pre-bellico,
ricoprì la carica di Vice-Sindaco alla fine degli
anni quaranta. Mamma, si trovò invece di
fronte a un delicato incarico pubblico, quello di
Giudice popolare presso la Corte di Assise di
Trieste; ricordo che non fummo in grado di
sapere da lei nulla di nulla delle vicende
giudiziarie di cui era stata partecipe. Aveva
giurato e giustamente volle mantenere il
segreto.
D'altro canto mamma possedeva un carattere
molto allegro, che ritengo di avere almeno in
parte ereditato; ricordo in proposito l'incontro
con il farmacista di Sappada, incontro che fu
reso molto difficile dall'irrefrenabile voglia di
ridere che ci prese, mamma e me, quando il
farmacista stesso si presentò dal retrobottega,
traballando su due rumorosissimi zoccoli in
legno; non so se furono il rumore degli zoccoli, il
camice lacero, oppure i suoi strani baffi a
provocare il nostro incontenibile riso, ma
comunque non riuscimmo più a proferir parola,
nè tanto meno a pronunciare il nome della
medicina per cui ci trovavamo lì; fummo
costretti, piegati in due, a ritirarci sofferenti in
strada, mentre lui rimase serio ed allocchito, coi
suoi baffi alla Charlot.
La fine delle ostilità belliche determinò una
vera e propria esplosione di iniziative e di
manifestazioni collettive; naturale reazione a
tutto quanto era stato forzatamente represso
per anni. Il mio primo impegno di pace fu quello
di fare parte attiva della "truppa partigiana di
occupazione" nella zona di Cormons, presso il
confine con la Jugoslavia, zona in fermento dopo
i tragici fatti di Porzus e le pretese di Tito di
impossessarsi di una parte del Friuli.
Era maggio-giugno, faceva caldo e dormivamo
su brande disposte in una grande aula
scolastica; nel pomeriggio, per passare il tempo,
distesi sui nostri pagliericci, ci dilettavamo a
sparare alle mosche che popolavano il soffitto e
le pareti; è da osservare però che, per
salvaguardare
l'intonaco
della
struttura
scolastica che ci ospitava, le pallottole
metalliche venivano preventivamente sostituite
con tamponi di carta. Due mesi più tardi ci fu lo
scioglimento delle unità partigiane e la
consegna delle armi, per cui molti si
premurarono di disfarsi degli strumenti di
guerra mal funzionanti, conservando i migliori
per ogni futura evenienza.
E così ebbe inizio un periodo spensierato,
gioioso e talora trasgressivo, il classico periodo
del dopoguerra, che per me si protrasse dal
1945 fino ai primi anni dell'Università a Trieste
(1949-50), cioè dai miei 17 ai 22 anni di età.
A Buja, noto e confermato centro di artisti e di
menti
brillanti,
avevamo
formato
una
compagnia esclusivamente maschile molto
vivace, dedita a onesti divertimenti, in cui
dominavano, oltre agli interessi culturali (nella
maggior parte eravamo studenti e artisti), le
gite con escursioni in montagna, i giochi
sportivi (calcio, ciclismo, tennis), il ballo
popolare, gli scherzi, anche pesanti, le copiose
bevute di sano vino; pochi super alcolici, come
pure poche donne, soprattutto se serie, che
avrebbero potuto scardinare la serenità e l'unità
della nostra compagnia.
A proposito di scherzi pesanti, ricordo la
vicenda di quell'ometto sbronzo che si ebbe
l'occasione di incontrare fuori dal Caffè
Tabeacco intorno alla mezzanotte; lo ritenemmo
bisognoso di riposo e pensammo bene di
sistemarlo in un tranquillo giaciglio; fu così
adagiato dolcemente nel rimorchio-bagagliaio
del pullman parcheggiato lì vicino, pensando
che sarebbe stato scoperto e liberato prima della
partenza dello stesso per Venezia. Si seppe poi
che l'ometto fu liberato dopo una mezzora di
viaggio, alla fermata di Spilimbergo, sano e
salvo, con qualche ammaccatura procuratagli
dai sobbalzi del rimorchio sul quale aveva
viaggiato...clandestinamente.
Un altro scherzetto, che di solito era riservato a
qualche tipo "sostenuto" che arrivava da fuori
Buja, era quello di sollevargli l'auto con un
ceppo posto sotto il differenziale, in modo tale
da far girare le ruote a vuoto. Noi, perversi, ci
divertivamo ad
osservare la reazione di
sorpresa e di preoccupazione del malcapitato
quando tentava di ripartire. In genere tutto
finiva con uno scambio di "tàis" (bicchieri di
vino) alla salute.
Le
evasioni
di
quel
periodo
furono
effettivamente eccessive, per cui lo studio ne
risentì e alla fine del liceo mi ritrovai con un
anno di vita in più, avendo dovuto rifare la
quinta del liceo scientifico al Marinelli di Udine.
Tra le distrazioni c'era anche il biliardo, che
veniva santificato spesso e volentieri al Moretti
di piazzale Osoppo con gli amici in missione di
studio a Udine. Talora si ricorreva ad un altro
11
diversivo, specie nei periodi freddi, quando
trovavamo accogliente rifugio in una delle case
chiuse di Via Villalta, la cui tenutaria ci
ospitava familiarmente, senza alcun impegno di
prestazioni, e quindi di spesa, da parte nostra.
Era un nido tranquillo, che ci permetteva anche
di ripassare le lezioni, in quelle mattinate in cui
non sentivamo una particolare attrazione per la
scuola.
Ma ero anche appassionato della bicicletta e, a
un certo punto, decisi di saggiare le mie
possibilità in competizioni a livello amatoriale.
Partecipai ad un campionato friulano dei
giornalisti, organizzato sul percorso da Latisana
a Lignano, una strada allora ghiaiosa e
dissestata; a metà corsa fui costretto al ritiro
per una maledetta foratura, non rimediabile.
Successivamente ebbi invece, con mia sorpresa,
la soddisfazione di vincere il campionato
friulano degli studenti (1948), reso aspro da un
gran premio della Montagna; in seguito vinsi
anche la classica per amatori Udine Grado,
premiato dalla Miss Italia del momento. A
questi successi fece seguito un certo interesse
nei miei riguardi da parte della Società
ciclistica De Luisa di Udine, che voleva
"comprarmi", ma decisi di tenere per me queste
soddisfazioni ciclistiche e di ridurre l’attività
sportiva per potermi dedicare con maggiore
impegno allo studio.
Campione friulano degli studenti
Una parentesi che ricordo con molto piacere,
anche se poi ha avuto uno strascico doloroso, fu
l'incontro che ebbi un giorno a Trieste con il
mitico gruppo dei calciatori del famoso Torino,
da Bacigalupo a Maroso, a Mazzola, Loik, Menti
e via dicendo, con i quali ebbi l'occasione, come
inviato
stampa,
di
scambiare
qualche
impressione sulla loro vita e sulle loro
aspettative anche a livello della Nazionale,
della quale costituivano l'ossatura. Tifoso
ammirato di questi calciatori, soffrii molto
quando, pochi mesi più tardi, il 5 maggio 49,
scomparvero tragicamente nell'incidente aereo
di Superga.
Qualche anno più tardi, nella comune oasi di
Lignano, ho avuto modo di rinverdire il ricordo
del grande Torino, scambiando qualche
impressione con l'amico Enzo Bearzot, che fu
per anni parte attiva del nuovo Torino e
successivamente, nel 1982, prestigioso Direttore
tecnico della Nazionale italiana, campione del
mondo.
L'Università
Completato il liceo a Udine, mi iscrissi a
Ingegneria a Trieste, avendo escluso gli
indirizzi letterari, in quanto mi sentivo
maggiormente interessato alle tecnologie e alle
scienze applicate.
A proposito della mia iscrizione all'Università,
ricordo che era rimasta in dubbio per qualche
settimana dopo la fine del liceo, perchè avevo
quasi abbracciato il progetto di partire
all'avventura per il Venezuela, dove avevo
alcuni amici e parenti disposti ad avviarmi
nell'inserimento in quel Paese, che allora
presentava buoni motivi di interesse nel campo
del lavoro e del petrolio in particolare. Di fronte
a questi miei propositi fu allora mio padre a
convincermi a proseguire con gli studi e di
questo, in seguito, gli fui tacitamente grato.
A Trieste, che allora faceva parte del Territorio
Libero sotto il controllo degli Alleati, passavo
quattro o cinque giorni alla settimana e, per un
certo periodo condivisi una stanza in affitto, con
un militare USA di origine hawaiana che, a
causa dei suoi impegni, mi svegliava
quotidianamente alle quattro del mattino
quando si infilava i calzoni, tenuti tesi verso il
basso da un paio di catene metalliche che a me
parevano appositamente "sonorizzate" per
rompere il sonno e le scatole al compagno di
camera. Per fortuna la mia età di allora mi
consentiva di riprendere il sonno in tempi
accettabili. Dopo qualche mese di sopportazione
mi decisi a far presente la cosa alla padrona di
casa, che mi sistemò in una micro-camera
singola; i rumori delle catene mi giungevano
ugualmente, ma con un volume attenuato che
non sempre riusciva a svegliarmi.
Nei primi due anni di Università frequentai con
discreta regolarità le lezioni e superai un certo
numero di esami, senza trovare però quella
piena soddisfazione che mi attendevo; le
materie di studio mi apparivano aride,
assolutamente
prive
della
componente
12
applicativa che io ritenevo essenziale, se non
indispensabile, per la mia forma mentale e
soprattutto per il mio futuro professionale.
Nella risoluzione dei pesanti dubbi che stavano
sorgendo in me, venne in aiuto una serie di
interessanti notizie e informazioni, apprese
dalla stampa e da discorsi tra studenti, che
riguardavano i brillanti successi che l'Agip
stava ottenendo con le scoperte di metano in
Pianura Padana; a questi successi era associata
la mitica figura dell'ex-partigiano Enrico Mattei
che, in barba agli interessi politici ed economici
di alcune frange del Paese, stava dimostrando
la validità delle sue decisioni in merito alle
ricerche petrolifere nel sottosuolo nazionale.
Sentii rinascere in me la passione per una
scienza che già in passato mi aveva colpito: la
scienza della natura, della Terra, degli animali.
Acquisite ulteriori informazioni, seppi che a
Padova era stato di recente istituito un nuovo
Corso di laurea, in Scienze geologiche, al quale
sarebbe stato possibile accedere con il pieno
riconoscimento degli esami sostenuti nel
biennio di ingegneria. Mi recai all'Università a
Padova ed ebbi la conferma delle informazioni
raccolte e successivamente ottenni il benestare
al trasferimento, che fui entusiasta di
effettuare, già pensando con interesse al mio
futuro di geologo, una figura nuova in Italia,
che mi sembrava inserirsi in una posizione
intermedia tra il naturalista e l'ingegnere.
Mi appassionai al mondo della geologia, anche
per la caratteristica principale che lo distingue,
cioè il riscontro diretto tra la materia teorica di
studio e l'applicazione pratica della stessa; ciò
ha trovato piena rispondenza con il mio modo di
pensare e con le mie capacità intellettuali e
caratteriali. Questa integrazione tra lo studio
teorico e le relative sperimentazioni, attuate
mediante le escursioni in campagna, le attività
di laboratorio e il contatto ravvicinato con gli
insegnanti, facilitò e rese non solo interessante,
ma anche divertente, l'apprendimento delle
materie professionali. Fu insomma una
felicissima scelta.
L'ambiente universitario di Padova mi aprì
inoltre, fin da prima della laurea, il contatto con
il mondo industriale, grazie al Prof. Di
Colbertaldo, che mi introdusse nelle imprese
minerarie di Cave del Predil e di Terlano.
Il 1951 fu un'annata particolarmente rosea per
il mio futuro, sia professionale che sentimentale
e familiare: oltre alla indovinata scelta
dell'indirizzo geologico, vi fu il felice incontro,
qualche mese più tardi, dell'anima gemella,
Silvana. Il destino ci fece incontrare
casualmente a Buja, dove Silvana (17 anni e
mezzo) era arrivata da Cividale, ospite di
Giuliana, sua compagna di scuola e comune
amica.
L'incontro con Silvana mi fa ricordare che a
Buja, tra noi giovani, era diffusa l'abitudine di
parlare anagrammando le parole al contrario,
per rendere meno comprensibili agli altri i
nostri scambi verbali. Ecco il commento che
Mario Ragagnin mi fece quando gli presentai
Silvana: "nebui, lebie sul riose" (buine, biele sul
serio = buona, bella sul serio). Lo ritenni un
commento indubbiamente incoraggiante.
Di ritorno dalle Tre Cime di Lavaredo
Ebbi la buona sorte di trovare a Padova, sia
nell'Istituto di mineralogia e petrografia
(Bianchi e Hieke Merlin), sia in quello di
geologia (Gb Dal Piaz e Malaroda), la massima
disponibilità e cordialità da parte dei Docenti,
ambienti di studio molto accoglienti, facile
accesso ai laboratori di analisi e ai microscopi
(nel mio corso eravamo soltanto cinque
studenti), alle collezioni di fossili, di rocce e
minerali, alla cartografia geologica, alla
biblioteca e via dicendo. Proprio l'opposto di
quanto avevo avuto modo di sperimentare
all'Università a Trieste.
Silvana
Mentre procedevo regolarmente con gli esami e
il filo con Silvana si stava consolidando, nel
1952 feci le prime esperienze geologiche
13
personali nelle zone del M. Pasubio e di
Maniago; nel 1953 mi impegnai in rilevamenti
geologici lungo itinerari e sezioni a Cormons,
Brazzacco, a Tarcento, Sedilis, a Clauzetto,
Pielungo, Anduins, a Muris, Sompcornino, a
Cave del Predil e M. Lussari; diedi anche inizio
alla tesi di laurea, che per i geologi è
obbligatoriamente sperimentale, proseguita poi
nei primi mesi del 1954 nella miniera di
Terlano in Alto Adige, con un relatore
superlativo come il Di Colbertaldo; questi mi
ospitò per diverse settimane nel suo laboratorio
della Raibl di Cave del Predil; qui preparai, per
gli esami al microscopio, le sezioni sottili e
lucide dei campioni prelevati a Terlano ed
impostai il lavoro di tesi, poi completato a
Padova, dove Di Colbertaldo, di nobile famiglia
veneta, era docente di Giacimenti minerari.
Anche l'esperienza della tesi fu per me
interessante e divertente, agevolata come fu
dall'ospitalità a Bolzano degli zii Duilio e
Corinna, durante la mia permanenza in miniera
nella vicina Terlano.
A ciascuno le proprie conquiste. Mentre la
spedizione del Prof. Desio si apprestava a
vincere il K2, da parte mia, nel luglio 1954, vi
Allegria per la mia laurea
fu la conquista della laurea, avendo per di più
già in tasca un allettante incarico, che qualche
settimana prima mi era stato proposto dai
"capataz" della geologia di Padova, Bianchi e
Dal Piaz. La proposta era di fare il "professore
universitario" e in particolare di tenere il corso
di Mineralogia all'Università di Ferrara, il cui
Direttore di istituto era il Prof. Leonardi, pure
lui della scuola di Padova.
Accettai con entusiasmo e tre mesi dopo mi
trovai dinnanzi a un centinaio di studenti di
Ingegneria, schierati nell'aula ad arena della
Facoltà, ad ascoltare questo pivello; superata
l'emozione iniziale, ebbi il piacere di riconoscere
tra gli studenti due amici di Tarcento, che erano
un po' in ritardo con gli studi.
Nello stesso periodo, in accordo con il Distretto
minerario di Trieste, mi presi un altro impegno,
di dirigere la coltivazione di una piccola miniera
di carbone, gestita da un gruppo di anziani
minatori, a Corodonis di Fusea, non lontano da
Tolmezzo. Fu l'occasione per estendere le
indagini minerarie nella zona e farne oggetto di
una delle mie prime pubblicazioni scientifiche.
Nel contempo anche la mia tesi di laurea fu
pubblicata su una rivista specialistica e
successivamente ripubblicata a cura della
Regione Trentino Alto Adige.
In quel periodo trovai modo di occuparmi anche
di due altre ricerche minerarie nelle zone di
Ovaro (carbone) e Montefosca (pirite).
L'avvio da geologo fu promettente per i vari
impegni assunti, ma i quattrini non erano
sufficienti a darmi l'indipendenza dalla famiglia
paterna e nemmeno a consentirmi l'acquisto di
un'auto. A Ferrara mi muovevo con una Vespa e
in miniera a Corodonis mi recavo con la moto
Rudge 500 o con la Fiat 1100 di papà.
La mia settimana era suddivisa tra quelle due
sedi di lavoro: passavo quattro o cinque giorni
per lezioni e ricerche in Istituto a Ferrara, con
Leonardi direttore, con Accordi, suo magnifico
primo collaboratore, e con altri giovani colleghi
e colleghe (Garavello, Loriga), mentre alla
miniera dedicavo uno o due giorni.
L'introito economico era allora di 5O mila lire
mensili per ciascuno dei due impegni; al
momento dovevo accontentarmi, considerato
che, ad esempio, un pasto costava allora meno
di mille lire.
Nel corso di quell'anno accademico partecipai
attivamente all'organizzazione del Congresso
della Soc. Geologica che si sarebbe tenuto nel
settembre 1955 nelle Dolomiti. Nell'estate che
precedeva il Congresso fui piacevolmente
occupato a rilevare per l'Università in alcune
splendide montagne dolomitiche, quali Sciliar,
Piz Boè e Lagorai di Cavalese.
Nel frattempo mi era giunta una proposta di
impiego che avrebbe sconvolto ancora una volta
il mio futuro: la possibile assunzione alla
Somicem del gruppo ENI, una Società in via di
costituzione, con sede a Roma e con aree di
ricerca petrolifera nell' Italia centrale e
meridionale. Che fare? Ci pensai seriamente e
poi decisi di accettare l'offerta, allettato
soprattutto dal tipo di attività che avrei trovato
in una impresa industriale, certamente più
dinamica e tecnicamente più avanzata di quella
dell'Università, ma pure conscio di dover
rinunciare ad alcuni valori offerti dal mondo
universitario, quali l'autonomia nell'impostare
la propria attività e le indubbie soddisfazioni
derivanti dalla ricerca scientifica; in aggiunta
14
era però da considerare anche il trattamento
economico, circa doppio o quadruplo di quello
universitario, rispettivamente per attività in
sede o fuori sede, tenendo presente che il lavoro
normale per un geologo rilevatore è fuori sede.
Il dispiacere maggiore fu per me quello di dover
lasciare
l'amico
Bruno
Accordi,
ma
particolarmente penoso fu l'incontro che ebbi
con Leonardi a Cavalese alla chiusura del
Congresso, che aveva avuto pieno successo e
larga partecipazione internazionale, quando
dovetti annunciargli la mia decisione di
abbandonare il suo Istituto. Mi comunicò tutto
il suo rammarico, avendo lui puntato, così disse,
sul mio futuro.
Lo rividi con piacere venti anni dopo, quando
mi invitò a Ferrara per una conferenza
sull'attività petrolifera; mi accolse con signorile
cordialità, ringraziandomi col suo pronunciato
accento veneziano.
come gestire il controllo di un pozzo profondo
migliaia di metri, con le prove di strato, i log ed
altro.
Geologo del petrolio
Il 10 ottobre 1955 fui assunto dall’ENI (Ente
Nazionale Idrocarburi); entrai in servizio nel
settore Marche della Somicem (Soc. mineraria
centro-meridionale) diretto da Bruno Martinis,
stimato uomo di scienza.
Il giorno dopo ero già sul posto di lavoro,
essendo stato ritenuto idoneo, anche se privo di
esperienza specifica, a seguire il primo pozzo
esplorativo della Somicem nelle Marche; mi
ritrovai così a fare il geologo del sottosuolo nel
cantiere di Burano 1, vicino a Cagli, in
compagnia di un perito minerario sardo
(Montis) e di tre cuttisti. L'impianto di
perforazione era di proprietà dell'Agip; il
responsabile del Cantiere, l'ing. Bonarelli, tipico
perforatore, era poco incline agli interessi
geologici, pur essendo figlio del noto geologo
Guido Bonarelli, di Gubbio. Era sposato da
poco, tra l'altro con una bella signora, e noi
scapoli avevamo notato che spesso, al mattino,
si presentava in cantiere con qualche traccia di
rossetto sul volto; qualcuno affermava che lo
facesse di proposito per farci crepare di rabbia;
io ero invece del parere che si trattasse di
semplice incuria da vero innamorato. Il pozzo in
corso era piuttosto importante, perchè aveva lo
scopo di chiarire le possibilità petrolifere delle
anticlinali umbro-marchigiane e andava quindi
seguito con estrema attenzione; ma in cantiere
avevamo ugualmente il tempo disponibile per
leggere e studiare e anche per farci qualche
escursione geologica nelle vicinanze.
Ne approfittai per erudirmi su quello che un
buon geologo del petrolio deve sapere della
ricerca, dei metodi di indagine e soprattutto di
Con Biolzi nel cantiere di Burano 1 (Appennino
marchigiano)
L'inverno appenninico si fece sentire con gelate
prolungate
e
imponenti
nevicate
che
minacciarono più volte l'accesso al cantiere; nel
calore della baracca che ci ospitava in cantiere
avevamo costituito un gruppetto affiatato, al
quale si erano aggiunti i nuovi arrivati
Napolitano e M. Teresa Busi; i nostri supercuttisti Biolzi e Naspi, con la loro ammirevole
disponibilità, costituivano il trait d'union della
compagnia quando ci si trovava in paese, a
Cagli, sia nelle partite a biliardo, che in
occasione di qualche festino privato, di cui
eravamo ospiti ricercati.
Con la primavera 1956 si aprì per me, ma anche
per Silvana, una nuova magnifica vita, che si è
poi protratta
meravigliosamente per tanti,
tanti anni. Il 21 aprile ci siamo sposati nella
dolce
chiesetta
di
Rubignacco,
grazie
all'intervento di un sacerdote molto emozionato,
che rischiò di svenire sul più bello; l’emozione
era comunque anche nostra e dei rispettivi
genitori. I meno felici erano certamente, in
questa occasione, Rachele e Lino, mamma e
papà di Silvana, che si vedevano portar via la
loro adorata unica figlia. Dopo un animatissimo
pranzo al Longobardo di Cividale, ci involammo
in viaggio di nozze attraverso Francia e Spagna,
con visita a Barcellona al Prof. Crusafont,
simpatica persona conosciuta un anno prima al
Congresso delle Dolomiti.
15
Con il ritorno in Patria, altra nuova esperienza
da geologi-girovaghi; su due piedi e una jeep
fummo inviati ad Amatrice, nel Lazio, tra i
Monti Sibillini e il Gran Sasso; il compito era
quello del geologo rilevatore, che consiste nel
riportare sulle carte topografiche la situazione
geologica riscontrata sul terreno, ivi comprese
faglie e fratture; si doveva però tenere ben
presenti le istruzioni del nostro gran capo di
Roma, il Dr. Facca, che non ammetteva
l'esistenza di faglie inverse e accettava soltanto
e con molte riserve quelle cosiddette normali.
L’area da rilevare era quella del permesso
"Amatrice", la cui morfologia era piuttosto
mossa, con quote variabili tra gli 800 e i 2500
metri sul mare. Nessuno scoramento da parte
nostra; affittammo una camera ammobiliata in
centro ad Amatrice e per i pasti ci si arrangiava
ora qui ora là, in trattoria, in camera, oppure in
campagna, con uno spuntino volante.
In prossimità del Gran Sasso (1956)
Dopo cinque mesi, completato il lavoro, ci
trasferimmo a Firenze per un corso di
fotointerpretazione; per inciso, questo accadeva
mentre l'URSS stava invadendo l'Ungheria. A
Firenze, Silvana girava per monumenti, mentre
io ero impegnato, ma mi divertivo, a guardarmi
foto aeree, in compagnia di un allampanato
tecnico inglese che soffriva il freddo e non
faceva altro che ripetere da mattina a sera "it's
cold", ovviamente nel senso che "faceva un
freddo boia"; in effetti negli uffici dell'IRTA, di
cui eravamo ospiti, si criccava dal freddo e di
riscaldamento non se ne parlava proprio,
malgrado la rigidità di quel novembre
fiorentino.
Sembra
comunque
che
il
fotointerprete inglese sia sopravvissuto, grazie
alle abbondanti libagioni di whisky che faceva
in notturna; al mattino aveva infatti qualche
difficoltà nel riprendere in mano le foto aeree.
Soltanto a Roma, qualche settimana dopo,
ritrovammo una temperatura confortevole ed
una atmosfera deliziosamente ospitale. La
permanenza a Roma, presso la sede della
Somicem, a due passi da Trinità dei Monti, fu
davvero piacevole e ci consentì, soprattutto a
Silvana, di visitare quanto di interessante offre
la Capitale, mentre io ero ormai con la testa
impegnata nell'organizzare la nuova campagna
esplorativa in Umbria e Lazio. Fu così decisa la
scelta di Gubbio, quale nostra nuova sede di
lavoro e i primi compagni di ventura furono i
giovani geologi Carlo Pelagatti, Ugo Madeddu e
Giovanni Cantù.
Di Gubbio e degli eugubini, che ci identificavano
come "i petrolieri", ci è rimasto un magnifico
ricordo, data la cordiale ospitalità che seppero
offrirci e la divertita reazione che dimostrarono
anche di fronte a qualche nostro eccesso, come
accadde quando si usò la jeep per scendere
trionfalmente lungo lo scalone del Palazzo dei
Signori. Alla fine fummo premiati con il
diploma di "Matti di Gubbio", onorificenza
riservata a pochissimi ospiti di quella città.
Come attività geologica, ricordo le campagne di
rilevamento delle strutture di Gubbio, di M.
Acuto e del M. Subasio (Assisi). Con l'estensione
dell'attività nella regione laziale, dopo circa un
anno, ci trasferimmo con casa e ufficio a
Perugia, dove si unirono a noi altri geologi e
geofisici (De Gaetano, Maisano, Viterbo,
Bomboletti, Serafini, Di Gennaro); a questo mio
nuovo ufficio faceva capo anche la sede di Terni,
con Busi e Benedetti.
All'attività di rilevamento geologico (M.
Cetona, Sansepolcro) e sismico, fece seguito
l'esecuzione di alcuni sondaggi esplorativi
(Gubbio 1 e Perugia 1), che diedero nuove
informazioni sull'assetto geologico profondo
dell'Appennino Centrale.
Si era giunti alla primavera 1959 quando
scoppiò la periodica bomba organizzativa! L’ENI
decise di chiudere la Somicem e di trasferire le
attività e quindi anche il personale all'Agip
Mineraria, la cui sede era a S. Donato Milanese.
Con una certa amarezza e con qualche
incertezza sull'immediato futuro professionale,
fummo costretti a lasciare Perugia dopo un solo
anno di felice permanenza.
Lasciamo Perugia per il Marocco
16
Il distacco dalla Somicem riporta il mio pensiero
a Giancarlo Facca, cui ho accennato in
precedenza: una persona estremamente vivace e
interessante, daltonico, ma sempre convinto che
i colori reali fossero quelli che lui vedeva, mai
dubbioso sulle sue interpretazioni, incluse
quelle geologiche; con lui era quasi inutile
discutere su una pendenza di strato o su una
faglia. Comunque, con la sua cordialità,
simpatia ed ospitalità aveva conquistato la
nostra stima e il nostro cordiale affetto. Aveva
una impostazione mentale da filosofo più che da
geologo; era mal sopportato da alcuni alti gradi
dell'Azienda e fu dapprima emarginato, con la
costituzione
della
Somicem,
e
poi
definitivamente allontanato; da qui la sua
emigrazione negli Stati Uniti, seguito poi dalla
Busi. Un'altra importante figura della
Somicem, che ho ritrovata poi sia all'Agip che in
seguito all'Università, è quella del Martinis,
personalità spiccata, che gode del mio pieno
apprezzamento. Tra gli altri "somicini" da
ricordare: Fattorossi, Colledan, Guidi, Zamparo,
Carella, Sogaro, Bruzzichini, Perini, oltre
naturalmente ai più vicini colleghi e amici di
lavoro, molti dei quali poi ritrovati anche
all'estero, tra questi Carlo Pelagatti e Ugo
Madeddu.
Il trasferimento all'Agip Mineraria, a parte le
complicazioni di carattere logistico, fu agevolato
da una buona e insperata accoglienza nel nuovo
ambiente di lavoro. Fui assegnato alla Divisione
Estero, con il Dr. Jaboli, temutissima figura,
che aveva però l’importante pregio di accettare
anche le idee altrui; in situazioni critiche era
importante
lasciarlo
parlare
fino
all'esaurimento della sua carica interna. Nel
nostro primo incontro mi comunicò che mi
avrebbe visto volentieri in Marocco nella
posizione di coordinatore delle attività
geologiche ed io mi guardai bene dal deluderlo,
anche perchè la sua proposta era di mio
gradimento, e risposi che ero contento della sua
decisione. Da quel momento ebbi con lui,
attraverso gli anni e fino al suo pensionamento,
un ottimo rapporto di collaborazione.
Dopo
aver
predisposto
ogni
dettaglio
organizzativo e dopo aver seguito, con l’amico
Tracanella, un breve corso di aggiornamento
topografico a Caviaga, il 21 giugno 1959 partii
per il Marocco assieme allo stesso Tracanella,
mentre Silvana, in attesa di raggiungermi ad
Agadir dopo qualche mese, si sistemava
temporaneamente a Udine presso i suoi
genitori, qui trasferiti da Cividale.
Marocco
Il Marocco, un Paese magnifico, per colori,
sapori, profumi, per la gente tranquilla e
disponibile, almeno allora lo era, a fine anni
Cinquanta; un Paese attraente anche per la
Natura, aperto come un libro colmo di immagini
che nulla nascondono.
E noi eravamo lì, nel 1959, per scrutare questa
natura marocchina, per scoprire i suoi segreti,
studiandola nei particolari con l’occhio e lo
spirito di candidi naturalisti, ma con una
incombente missione impostaci dall’alto: quella
di cercare e di trovare il petrolio!
L’area in concessione per la ricerca petrolifera
corrispondeva all’ex Sahara Spagnolo; un’area
molto estesa, pari a quella della Pianura
Padana, situata nell’estremo sud del Marocco,
che di recente l’aveva annessa al proprio
territorio, provocando contestazioni armate da
parte del movimento del Polisario, contestazioni
che si manifestarono anche dopo il nostro
arrivo, per cui ci fu imposta, per sicurezza, la
scorta militare.
Considerata la vastità dell’area da esplorare,
della quale per giunta non esisteva allora
alcuna base cartografica e geologica attendibile,
fu necessario affrontare l’esplorazione con
l’impiego di un consistente numero di tecnici e
di mezzi, dato anche l’obbligo contrattuale di
rispettare gli impegni assunti con il Governo
marocchino, che prevedevano l’esecuzione dei
primi pozzi esplorativi in tempi relativamente
brevi.
Una nostra squadra geologica nel Sud marocchino
La programmazione generale delle operazioni
veniva effettuata dalle unità specialistiche
dell’Agip Mineraria di S. Donato Milanese
(Egidi, Rocco, Jaboli, Martinis), mentre
l’attività operativa in Marocco era impostata su
quattro Squadre geologiche Agip, una Squadra
fotogeologica a contratto (Geomap), un Gruppo
gravimetrico (Cornaggia), un Gruppo sismico
(Bonazzi, Savelli, Da Rold),
una Squadra
geodetica (Biscaccianti), una Squadra piste
(Gregoretti) ed una Unità aerea con due
elicotteri (Di Falco, Nelli) e un aereo Cessna.
17
Dopo alcuni mesi di rilevamenti geologici e
geofisici, che avevano portato ad individuare
l’ubicazione di due pozzi esplorativi sui motivi
strutturali di Oum Doul e di Puerto Cansado,
fu avviata anche l’attività di perforazione
(Cremaschi, Viti, Crippa, Cordani).
La locale Direzione dell’Agip Mineraria in
Marocco (Pettorossi e collaboratori Asei, Salsi,
Signorelli) si trovava, fin dall’inizio, nella
capitale Rabat, mentre gli uffici tecnici ed
operativi avevano sede ad Agadir, una bella
cittadina sul mare, poi distrutta dal terribile
sisma del 29 febbraio 1960, che provocò oltre
diecimila morti, tra i quali purtroppo anche
undici dei nostri colleghi e familiari dell’Agip.
Successivamente gli Uffici di Agadir furono
trasferiti a Casablanca.
Questa massiccia impostazione organizzativa,
integrata con una Base logistica a Tantan
(Malpezzi), fece sì che la campagna Marocco
divenisse per noi geologi dell’Agip una vera e
propria “nave scuola”, dove si poteva trarre
profitto delle più diversificate esperienze
professionali, risultate utili anche per il futuro
dell’azienda.
Nel periodo della mia permanenza in Marocco,
come Responsabile della Geologia, ebbi modo di
beneficiare della collaborazione di oltre una
ventina di tecnici italiani, tra geologi rilevatori,
geologi del sottosuolo, periti minerari e
topografi che, in successione, fecero parte delle
Unità geologiche impiegate nel Sud marocchino.
Campo del Gruppo gravimetrico
Tra questi ricordo con piacere e nostalgia:
Giovannelli, Veneziani, Zambellini, Segnini,
Negroni,
Livraga,
Tracanella,
Madeddu,
Pelagatti, Visintin, Sattanino, Malgaroli,
Maioli, Viotti, De Grandis, Zamparo, Guarnieri,
Saladino, Avenali, Ariè, Barazzoni, Fazio,
Marocchi, Pagani e forse altri; a questi sono da
aggiungere anche gli appartenenti al Gruppo
fotogeologico
della
Geomap
(Marchesini,
Lipparini, Macii, Conedera).
Non si possono poi scordare i numerosi
collaboratori locali che ci accompagnarono nelle
nostre scorribande geologiche: persone molto
apprezzate per la serietà e l’impegno nel lavoro
e per la loro disponibilità alla amichevole
convivenza forzata (Michel, Afkè, Bidaoui e
tanti altri).
Al campo geologico di Amotte, Sud Marocco (1959): in
piedi Michel, Afkè e Ahmed; seduti Barnaba,
Tracanella e Ariè; accucciato l’assistente-guardiano
Rivolgendo il pensiero alla indimenticabile
esperienza marocchina e scorrendo alcune foto
di allora, mi viene in mente un episodio di vita
in deserto che forse merita di essere ricordato.
Partiti da Agadir, eravamo diretti verso il
deserto del Sud, per una missione presso le
Squadre geologiche; con noi viaggiavano due
giovani geologi, appena sbarcati da un
traballante DC3 proveniente da Casablanca;
con una tendina da deserto sotto il braccio,
erano stati inviati con urgenza dall’Italia per
aiutarci ed ora erano stipati su due potenti
fuoristrada, una Jeep Willis ed una Land Rover,
targate Agip Mineraria.
Lungo il percorso stavamo riflettendo sugli
impegni presi dall’Agip di Mattei con il Re
Mohammed Cinq, che erano così pesanti da
farci scordare qualsiasi ritardo nei programmi
di lavoro e perdite di tempo; le disposizioni
superiori dicevano infatti che il lavoro doveva
essere santificato, evitando di parlare di
domeniche o di altre ricorrenze da festeggiare.
Non faceva molto caldo, ci si stava avvicinando
al tramonto e da qualche decina di chilometri
l’andatura si era fatta più lenta a causa dello
stato della strada, anzi della pista che ci stava
portando a Tantan, meta agognata per un pasto
ed un sonno ristoratori.
Dalle dichiarazioni del mattino dopo, la
foresteria di Tantan risultava discretamente
ospitale per alcuni di noi, orrenda per altri,
meno elastici ai cambiamenti di abitudini, agli
alimenti e ai contatti umani. Il sole era ormai
sorto, dietro alcuni minacciosi nuvoloni, ed era
l’ora di muoverci, avendo in programma di
raggiungere entro sera il campo dei geologi
18
La nostra Base Agip di Tantan
nella regione di Meseied; qui una Squadra
geologica era impegnata nei rilevamenti che
dovevano portare, con l’aiuto della geofisica,
all’ubicazione del primo pozzo esplorativo.
Dopo qualche decina di chilometri di viaggio,
entrammo improvvisamente nelle spire di un
temporalone da tregenda, che ci scaricò addosso
tanta acqua da far rivivere gli aridi torrentelli
della zona che, assetati com’erano, non
aspettavano altro per dichiarare la loro
presenza,
prendendosi
così
qualche
soddisfazione sui viandanti. E noi eravamo i
predestinati viandanti del momento: la Jeep
cominciò a sbandare e, imbizzarrita nel
tentativo di superare un modesto avvallamento
invaso dall’acqua, sobbalzò ripetutamente
Sosta forzata lungo la pista Tantan Meseied
per poi piantarsi, piegandosi senza remissione
su di un fianco; l’automezzo venne invaso
dall’acqua corrente, con noi, ancora in sella, in
balìa della stessa. Altrettanto accadde dell’altra
jeep che ci seguiva e così ci trovammo in totale
subordine agli elementi naturali.
Per fortuna le conseguenze non furono
particolarmente pesanti, ma comunque non
riuscimmo, con i mezzi a disposizione, a
smuovere gli automezzi. Inzuppati fino al collo e
anche al di sopra di questo, ci limitammo a
implorare inutilmente aiuto con l’walkie-talkie.
La nostra situazione non era certamente
brillante, ma era attenuata dal piacere fisico di
sentire scorrere addosso l’acqua che viene dal
cielo,
grazie
alla
sua
temperatura
piacevolmente tiepida. Calmatosi il nubifragio,
ci decidemmo a trascorrere la notte sulle Jeep,
attendendo fiduciosi il passare delle ore e il
benefico defluire delle acque.
Al mattino riuscimmo a rimettere in marcia gli
automezzi e, malconci e assonnati, dopo una
mezza giornata di riflessioni anche vocali sui
casi della vita, riuscimmo a raggiungere
finalmente il campo geologico. Da Agadir a
Messeied, circa 600 chilometri, due giorni e
mezzo di viaggio, quasi un record! Dopo aver
montato personalmente le tendine da deserto
che ci avevano fedelmente accompagnato,
trovammo l’agognata ospitalità e la gradita
compagnia degli amici colleghi, compartecipi
della indimenticabile avventura marocchina.
A questo punto, non si poteva fare a meno di
inviare un pensiero di gratitudine a chi ci aveva
avviato verso questa entusiasmante esperienza
da esploratori, ricordando con stima e simpatia
uomini come Egidi, Jaboli, Martinis e tanti altri
amici dell’Agip Mineraria.
Geologi in deserto
Il compito di noi geologi impegnati nel Sud
marocchino risultò particolarmente difficoltoso
a causa dell’assenza di una base cartografica
attendibile, per cui si rese necessario il ricorso
alle foto aeree, integrandolo con locali controlli
topografici sul terreno. Per questo ciascuna
delle nostre unità geologiche era formata da due
geologi più un topografo, indispensabile nella
specifica situazione, e da alcuni collaboratori
locali, autisti e aiutanti al campo. Le squadre
operavano in deserto per sette giorni alla
settimana, per circa un mese, poi rientravano
ad Agadir per una decina di giorni, che
venivano dedicati alla restituzione dei dati
raccolti e alla stesura di un rapporto sulla
campagna effettuata; non si trattava quindi di
un periodo di riposo, ma di una specie di
"soggiorno-premio", per riprendere contatto con
la vita normale, in attesa di una nuova missione
in deserto; questa particolare modalità dei
riposi fu poi, con fatica, gradualmente
modificata. Il normale contratto era biennale e
19
prevedeva due mesi di ferie dopo ventidue mesi
di attività all'estero.
Ogni squadra era dotata di due o tre jeep, che
venivano utilizzate per il rilevamento geologico
e di uno o due autocarri 4x4, attrezzati per il
fuori strada, impiegati principalmente nei
trasferimenti delle attrezzature del campo (o
meglio accampamento) da una zona di lavoro
all'altra. I collegamenti radio erano assicurati
mediante apparecchiature da 40 e 100 W, sia
tra le squadre che con le sedi in città.
Il campo geologico consisteva di alcune tende
singole per noi espatriati e per il personale
locale e di alcune tende più grandi, adibite ad
ufficio, cucina, luogo di ritrovo o dormitorio
collettivo
per
i
locali.
consistente per scarsa frollatura, procurataci
dai militari al seguito. La toilette era molto
ampia e ben ventilata, come l'intero deserto
intorno; per gli occhi indiscreti, era sufficiente
un arbusto o un piccolo rilievo e ci sentivamo
tranquilli.
Al campo non ci si annoiava perchè c'era sempre
qualcosa che movimentava la vita; un giorno
c'era il vento di sabbia, un altro giorno arrivava
al campo il nomade solitario in cerca di
chiacchiere e di qualche boccone, ma soprattutto
era l’impegno professionale a riempire la
giornata. E ogni tanto un episodio eccezionale e
a questo proposito mi vengono alla mente alcuni
fatterelli accaduti, come: l'incontro con un cobra
che con fare minaccioso ci aveva sbarrato il
cammino nel bel mezzo della pista di
Goulimine; l'iniezione antiveleno al nostro
autista che nella sua tenda era stato punto da
uno scorpione (poi gelosamente conservato per
mesi sotto spirito); l'analogo intervento,
effettuato ovviamente con un siero diverso, al
militare marocchino vittima di una vipera
cornuta; la visita di un "homme bleu" con la
moglie sofferente di mal di pancia, a cui si
intervenne con il solito enterovioformio.
Anche sulla temperatura c'è qualcosa da dire;
gli estremi termometrici in deserto sono
notoriamente elevati e tra questi ricordo il
sottozero notturno di gennaio e febbraio,
testimoniato dal ghiaccio nel catino in tenda,
come pure il valore eccezionale di +52°C di Assa
in luglio, misurato con l'infallibile termometro a
fionda. In quel periodo particolare, dal nostro
campo di Assa ci si muoveva soltanto tra il
sorgere del sole e le dieci o undici del mattino;
anche per l'elicottero si trattava di condizioni
proibitive, per cui era prudente lasciarlo
riposare a terra.
Vita familiare in terra marocchina
Il sondaggio esplorativo di Oum Doul 1, con elicottero
in volo
Spesso avevamo degli ospiti aggiunti: i piloti e i
tecnici degli elicotteri (che venivano impiegati
per i rilevamenti in zone di difficile accessibilità
o per le ricognizioni preliminari), i militari
locali addetti alla nostra sicurezza, nonché i
colleghi in visita dall'Italia e altri di passaggio.
Oltre che alla geologia, al campo si doveva
pensare al rifornimento dei viveri; nei primi
tempi non disponevamo né di generatori, né di
frigoriferi e ci si arrangiava, dopo i primi giorni
di cibi freschi, con scatolette e raramente con
qualche
bistecca
di
gazzella,
piuttosto
Un paio di mesi dopo il mio arrivo in Marocco,
durante i quali ebbi modo di sperimentare il
lavoro in deserto, fui raggiunto dalla moglie
Silvana, giunta in aereo in compagnia dei
familiari (moglie e due maschietti) del collega
Tracanella, destinati anche loro a risiedere ad
Agadir.
Noi ci installammo in una graziosa villetta
vicino al mare, con un giardino senza confini,
che scendeva verso la spiaggia atlantica.
In casa ci faceva compagnia un timido cagnolino
a pelo nero, tipico "chien arabe", chiamato Dalì,
che avevamo adottato da un vicino villaggio.
Era il nostro primo contatto prolungato con un
paese estero; il clima era
20
fisico, grazie alla particolare struttura del
locale, ci precipitammo all'esterno e ci
trovammo avvolti in un nuvolone di polvere che
dalla città scendeva verso il mare. Era
purtroppo
la
conseguenza
degli
effetti
distruttivi sofferti dagli edifici. Resici conto
della drammatica situazione che stavamo
vivendo, risalimmo la scarpata per raggiungere
il vicino condominio dove abitavano la moglie e i
due figli di Tracanella, che si trovava al lavoro
in deserto. Non potevamo crederci: dell'edificio
di 4 o 5 piani non rimaneva che un cumulo di
macerie! La stessa sorte avevano subito anche
alcuni alberghi dove si trovavano nostri
connazionali.
Questo
fu
l'inizio
della
drammatica settimana che passammo tra le
macerie di Agadir, nel doveroso e triste impegno
di recuperare i corpi
Marocco, 1959
veramente un incanto, la città graziosa nel suo
contrasto tra l'abitato arabo e quello paraeuropeo e in più il mare! Per i palati più delicati
vi era qualche piccola difficoltà, in particolare
con la carne locale, che era limitata a pollo e
cavallo. Il vitello (veau de France), il cui arrivo
da oltre mare era saltuario, permetteva qualche
rara variazione al tema. In compenso avevamo
il vantaggio di poter disporre di tutto l'aiuto
domestico desiderato, sia per la casa che per il
giardino; si poteva godere inoltre delle bellezze
naturali del Paese e della particolare serenità,
unita alla fierezza, dei marocchini.
La mia vita era un alternarsi di missioni in
deserto, presso le varie unità geologiche e
geofisiche, di missioni a Rabat (allora un DC3
collegava Agadir alla Capitale con tre voli alla
settimana) e periodi di permanenza in ufficio ad
Agadir. Purtroppo la residenza ad Agadir fu
improvvisamente
troncata
dal
tremendo
terremoto che ci colpì dopo pochi mesi.
Una vicenda dolorosissima fu quella del 29
febbraio 1960 (anno bisestile); particolarmente
tragica perchè tra le oltre diecimila vittime del
terremoto vi furono anche undici nostri colleghi
e familiari dell'Agip.
Era quasi la mezzanotte e stavamo completando
tranquillamente in compagnia la serata che
avevamo organizzato in un ristorante sul mare
in onore di alcuni ospiti in missione dall'Italia,
tra i quali Martinis e Colledan. La temperatura
era eccezionalmente calda per la fine di febbraio
e ci stavamo godendo la brezza dell'Atlantico,
quando improvvisamente fummo investiti da
una serie di violentissime scosse che ci fecero
sussultare per alcune decine di secondi.
Constatando di non aver subìto alcun danno
Effetti del sisma di Agadir (29.2.1960)
delle vittime, di organizzarci per mangiare e
dormire al sicuro in tende e per aiutare i
sopravissuti. I ricordi di quei tristissimi giorni
sono molto confusi, forse anche perché la nostra
mente ha tentato di cancellarli, riuscendovi in
parte.
Dopo qualche giorno ci trasferimmo a
Casablanca e lì fu ricomposta la nostra sede
operativa e la vita riprese gradualmente, con un
grave peso interiore che ci accompagnò per
qualche tempo.
Qualcuno dei tecnici e dei familiari preferì
rientrare in Italia e fu sostituito da forze
fresche, che diedero nuova linfa alle nostre
operazioni, che non dovevano subire arresti.
A Casablanca trovammo un tipo di vita più
evoluto rispetto ad Agadir; migliori disponibilità
alimentari, ma pure i difetti propri delle grandi
città, tra cui una certa insicurezza per la
delinquenza diffusa, tuttavia non sufficiente a
sconsigliarci di dormire all'aperto, cosa che si
21
fece per qualche notte, ancora sconvolti dalla
drammatica esperienza del terremoto. Poi pian
piano tornammo alla normalità o quasi.
Abitavamo in una villa suddivisa in due
appartamenti: in uno noi, nell’altro i Pelagatti;
ci si trovava spesso con loro, come pure con i
Madeddu, i Santanera e qualche altro. Luoghi
di incontro, oltre all’ufficio, erano i campi da
tennis, il ristorante, la piscina; il mare di
Casablanca non era raccomandabile, a causa di
una particolare corrente fredda che lo rendeva
inospitale.
Del nostro soggiorno in Marocco approfittammo
per visitare anche Marrakesch, Fez e Meknès,
oltre a Rabat, luoghi veramente meritevoli per
colori, storia e umanità.
Le nostre attività nel sud del Paese
proseguirono con l'esecuzione del primo pozzo,
denominato Oum Doul 1, che terminò con
risultati non incoraggianti; si decise allora di
spostare l'impianto di perforazione nella zona
costiera, a Puerto Cansado, per un secondo
sondaggio profondo.
Proprio in quei giorni era giunto a buon fine,
con le firme di Mattei e di Bourghiba, un nuovo
accordo tra l'Agip e la Tunisia per l'esecuzione
di ricerche petrolifere nel sud del Paese. Una
settimana più tardi mi fu proposto dall’Agip, ed
io accettai di buon grado, di trasferirmi in
Tunisia con l'incarico di organizzare la
campagna esplorativa in vista di quella nuova
operazione. A succedermi in Marocco fu
Fattorossi, al quale passai le consegne con una
mia ultima nostalgica missione nel Sud e poi mi
apprestai a trasferirmi con entusiasmo in
Tunisia.
Ed
ecco
un
consuntivo
sull'esperienza
marocchina: a parte il durissimo intermezzo del
terremoto, è stata decisamente positiva, sia dal
lato familiare che professionale, perchè ci ha
consentito di vivere a stretto contatto con
ambienti umani molto diversi: quello dei
colleghi europei, con i quali in alcuni casi sono
nate o si sono riscoperte buone amicizie, e
quello dei collaboratori locali, che in generale si
sono
rivelati
particolarmente
attivi
e
collaborativi. Esperienze di vita molto varie e
pienamente appaganti, anche perchè legate ad
ambienti così diversi come il deserto, gli
sperduti villaggi del Sud e le grandi città, in cui
la cultura orientale tenta di convivere con
quella europea. Lasciammo il Marocco nel
dicembre 1960.
Tunisia
Il primo approccio con il Sud tunisino fu prima
di Natale del Sessanta, in occasione della
ricognizione preliminare, compiuta via terra
nella zona di El Borma, principale obiettivo
della nostra ricerca petrolifera; si trattò di una
spedizione massiccia, con una foltissima scorta
armata, guidata dal Governatore del Sud, una
persona amabile e ospitale; da parte Agip, oltre
a me, c’erano Martinis, Romagna e un
ingegnere dei servizi generali.
Raggiunto il margine orientale delle dune
sahariane ne risalimmo con fatica la china, ma
dal culmine non si vide altro che sabbia e molte
altre dune. E pensare che sotto a queste ci sono
innumerevoli testimoni di civiltà passate, da
quella neolitica alla romana, che l'avanzata del
Sahara verso oriente ha progressivamente
sepolto!
Fu quella la prima presa di contatto con la zona
di El Borma, che allora era considerata
insicura, a causa delle contestazioni in atto tra
Tunisia e Algeria sul vicino confine tra i due
Paesi; il Governatore tunisino ci ricordò che
l'area era ancora soggetta a
frequenti
incursioni armate da parte algerina.
I Ghorfas di Medenine (Sud Tunisia)
Nonostante la delicata situazione, i nostri Capi
(Egidi, Rocco, Jaboli, Martinis), sotto la spinta
di Mattei da un lato e del Presidente tunisino
Bourgiba dall'altro, decisero di dare ugualmente
il via alle operazioni, contando anche sulla
protezione delle forze militari tunisine.
Fu così programmata una seconda ricognizione,
in questo caso aerea, sull'intera zona del
permesso El Borma, dove dalle foto aeree
risultavano affiorare tra le dune dell'Erg alcuni
lembi rocciosi di natura geologica incerta.
La missione, due volte rinviata per motivi di
sicurezza, fu finalmente effettuata nel marzo
1961; con Pelagatti e Barazzoni si partì con un
piccolo aereo da Sfax; la ricognizione aerea fu
di estrema rilevanza, perchè permise di
22
acquisire
informazioni
dirette
sulla
conformazione
topografica
e
sulle
caratteristiche di percorribilità dell'area di
ricerca, in vista delle future operazioni; ci si
rese conto delle particolari difficoltà di accesso
della maggior parte del territorio, data la
imponente estensione e la notevole altezza delle
dune di sabbia che ricoprivano quasi
interamente il suolo roccioso; fu così evidente
che per la futura campagna geologica si sarebbe
reso indispensabile l’uso dell’elicottero e che per
il rilevamento sismico e per l’eventuale
perforazione sarebbe stato necessario prevedere
l’apertura di piste attraverso le dune dell’Erg.
Ma il risultato più importante di questa
missione fu l’individuazione di un motivo
geologico strutturale meritevole di dettagliato
controllo, in quanto di possibile interesse
petrolifero.
La campagna geologica fu avviata soltanto dopo
qualche mese di attesa, quindi in ritardo
rispetto al previsto, a causa della prolungata
inaccessibilità della zona per ragioni di
sicurezza (scaramucce tra confinanti, a seguito
di ripetute incursioni armate algerine).
Geologi Agip e militari tunisini in marcia verso El
Borma, attraverso le dune dell’Erg Oriental.
Nel gennaio 1962 si partì con tre geologi, due
topografi e due elicotteri con relativi piloti e
meccanici. Disponevamo inoltre di un campo
logistico fisso all’esterno dell’Erg, dotato del
personale d’ordine, e di un campetto volante da
installare, a seconda delle esigenze, all’interno
della zona operativa. Si dovette tener conto
della necessità di alloggiare anche i militari, che
costituivano la nostra immancabile scorta, con i
loro inseparabili cammelli (o meglio dromedari),
che non ci abbandonavano neppure tra le dune
dell’Erg.
A questo riguardo non si può certo dimenticare
con quale rispetto ed educazione reciproci
abbiamo sempre potuto convivere e collaborare
in piena serenità con i tunisini, sia civili che
militari, che ci hanno accompagnato nelle
peregrinazioni attraverso il loro Paese. Si
meritano ancora un plauso e un sentito
ringraziamento da tutti noi che abbiamo vissuto
per anni in Tunisia, anche in luoghi non sempre
del tutto accoglienti.
Campo geologico nel Sud tunisino.
Così organizzati, fummo impegnati, grazie
anche
agli
elicotteri
che
agevolarono
enormemente il lavoro, in una raccolta
certosina di dati geologici, stratigrafici e
altimetrici sui numerosi affioramenti rocciosi
individuabili tra le dune, costituiti da calcari e
marne della formazione Abiod del Cretacico
superiore, risalenti a circa 80 milioni di anni fa.
Collegando tra loro i dati geologici e altimetrici
raccolti nei vari punti di osservazione,
riuscimmo a ricostruire l’assetto strutturale
della zona, riferendolo ad un livello-guida
prescelto. La ricostruzione così ottenuta mise in
evidenza una interessante piega anticlinale, di
notevole ampiezza e regolarità, che destò
immediatamente il nostro entusiasmo perchè
corrispondeva alla più classica delle “trappole di
accumulo” per idrocarburi. Ma poi, riflettendo
sulla realtà della situazione, l’entusiasmo calò
un pochino perchè, pensandoci bene, ci
trovavamo di fronte ad un motivo strutturale
rilevabile in superficie, almeno per ora, mentre i
giacimenti di petrolio, quando sono presenti, si
trovano in profondità. In ogni caso si rendeva
quindi indispensabile attendere una risposta
dal sottosuolo, per conoscere se vi fosse la
prosecuzione
in
profondità
del
motivo
strutturale individuato in superficie. La
prospettiva era e
rimaneva comunque
decisamente incoraggiante, data la presenza
dell’anticlinale di superficie e così fu deciso di
proseguire la ricerca con l’esecuzione di una
campagna sismica a riflessione, per la quale fu
necessario aprire, utilizzando potenti bulldozer,
alcune piste attraverso le sabbie e le dune
dell’Erg Oriental.
23
Piste attraverso le dune di sabbia per il rilevamento sismico a El Borma
Ne valse comunque la pena perché il
rilevamento sismico confermò la presenza
dell’anticlinale anche in profondità, seppure con
un certo spostamento rispetto alla struttura di
superficie. Ed allora non rimaneva altro che
decidere di passare alla fase di perforazione; ma
la decisione non fu molto rapida, rallentata
dalle perplessità suggerite dalle difficoltà che la
zona di operazione presentava realmente, con
particolare riferimento all’impegno di aprire
nuove e adeguate vie di accesso per l’impianto
di perforazione e per i relativi materiali e
attrezzature. Dopo un periodo di riflessione,
prevalse in Agip l’orientamento di fiducia nel
progetto, sostenuto da numerosi tecnici (geologi,
geofisici, ingegneri), convinti della validità degli
elementi acquisiti con l’esplorazione fino ad
allora effettuata e delle conoscenze tecniche
relative ad analoghe situazioni presenti nel
vicino Sahara algerino. Fu così deciso di
procedere alla perforazione del primo pozzo
(EB1), tenendo conto dei risultati sia geologici
che geofisici. Il pozzo fu ubicato infatti in
corrispondenza
dell’incrocio
dell’asse
dell’anticlinale di superficie, individuato dai
geologi, con l’asse della struttura profonda
risultante dall’interpretazione del rilievo
sismico.
Questo primo pozzo fu, come si sperava, anche il
pozzo di scoperta; EB1 trovò l’olio nelle arenarie
del Trias inferiore (vecchie di 240 milioni di
anni!) tra i 2400 e i 2500 metri di profondità. Al
successo del pozzo EB1, avvenuto dopo meno di
quattro anni dalla firma della Convenzione, fece
seguito l’esito positivo di una lunga serie di altri
pozzi, una cinquantina, di coltivazione e di
delimitazione. Le riserve di olio del giacimento
risultarono superiori ai cento milioni di
tonnellate, per cui El Borma divenne membro
della classe dei “giganti” mondiali. Per l’olio
prodotto fu scelta, fin dal 1965 (soltanto cinque
anni dopo il nostro arrivo in Tunisia) la
destinazione del Terminale di La Skirra, nel
Golfo di Gabès. La vita produttiva del
giacimento è proseguita regolarmente per oltre
quaranta anni; nella fase avanzata della
produzione, per migliorarne l’efficienza, sono
stati effettuati molteplici interventi di recupero
secondario, con iniezioni di acqua da alcuni
pozzi marginali del giacimento. E’ da ricordare
che a beneficiare della scoperta di El Borma non
fu solamente la Tunisia, che entrando di diritto
nella
Sitep
(Société
Italo
Tunisienne
d’Exploitation Pétrolière), divenne proprietaria
di una buona parte dell’olio prodotto, ma anche
l’Algeria, che ebbe modo di mettere in
produzione alcuni pozzi eseguiti sull’appendice
del giacimento di El Borma debordante in suolo
algerino. Anche questo olio seguì la via del
Terminale di La Skirra.
24
El Borma - Il primo pozzo esplorativo, denominato EB1
Prove di produzione nel pozzo di scoperta EB1
Ed ora un accenno all’organizzazione della Sitep
e ai colleghi dell’Agip che fecero parte della
felice avventura tunisina nel periodo tra il 1960
e il 1964. La sede principale della Società era a
Tunisi ed ospitava la Direzione (Borella), gli
uffici dell’Esplorazione (Barnaba, Romagna,
Pelagatti), dell’Amministrazione e Personale
(Guglielmi, Paris, Bon, Perrone) e dei Servizi
generali (Bocchi, Di Natale, Santanera). A
Gabès, nel sud del Paese, era stata allestita una
base avanzata (Vicini, Bagna), per l’assistenza
alle varie Unità geologiche, geofisiche e, in un
secondo tempo, della perforazione, che
operavano con campi e cantieri mobili nelle aree
delle ricerche petrolifere. Tra i componenti delle
Squadre geologiche ricordo e mi scuso se
dimentico qualcuno: Baldazzi, Ferrari, Marcias,
Pini, Balduzzi, Augelli, Avenali, Barazzoni,
Rossi, Zamparo, con una schiera di locali, tra i
quali Mohsen, Calaci, Zoubair, Mercuri,
Galloul, Bechir, Telmudi, M’Rabet. Tra i
Geofisici ricordo per la Sismica: Magaldi,
Pedroni, Anselmo, Colombara e per la
Gravimetrica: Salvaderi, Zavaroni, Casamanti,
Pollara, Belvederesi. Tra i “perforatori”: Crippa,
Orlandi, Monfredini, Braghi, De Martin,
Pasquetto, Savina, Dametti, Barbisotti. Non si
possono poi dimenticare i Comandanti e gli
Specialisti dell’aria, elicotteri ed aerei: Casini,
Nelli, Moroni, Brini, Mandara.
25
A proposito di elicotteri, un ricordo del tutto
particolare mi lega al Com.te Casini, con il
quale sul biposto I-Agir ebbi modo di
sperimentare il 4 ottobre 1962 un brutale e
ripetuto impatto con il suolo, per fortuna con
conseguenze soltanto lievi per noi, non
altrettanto per l’elicottero. Stavamo volando con
un vento teso sui rilievi collinari della zona
desertica di Djebel er Roumana, a est di El
Borma, quando chiesi al Casini di atterrare su
di un cocuzzolo per prelevare un campione di
roccia, come di solito fa il geologo nel corso di un
rilevamento. Non appena iniziata la manovra di
discesa, l’elicottero dimostrò di non voler
obbedire agli ordini del pilota e, forse per un
vuoto d’aria o per un colpo di vento o che altro,
precipitò al suolo come una pera, rimbalzando
poi più volte, tre, quattro, cinque volte,
sbattendoci di qua e di là e rischiando di
capovolgersi lateralmente, prima di arrestarsi;
un lungo sospiro da parte nostra e la
considerazione che ci era andata proprio bene,
visto che non vi era stata alcuna minaccia di
incendio e che personalmente avevamo subito
soltanto una serie di “insaccate” (qualche
riflesso sui miei attuali dolori lombari?).
Il rimpatrio dell’elicottero
Concludendo
sulla
fortunata
campagna
tunisina, mi viene spontanea una riflessione
patetica e augurale: la maggior parte dei tecnici
che hanno contribuito al successo di El Borma è
oggi a riposo; per loro rimane la grande
soddisfazione di aver vissuto un’esperienza
indimenticabile.
Auguriamoci che analoga esperienza, con
altrettanta soddisfazione personale, possa
essere vissuta da molti altri giovani tecnici
impegnati nella ricerca di energia, un bene
indispensabile per il buon vivere di noi tutti.
L’elicottero incidentato a Bir Roumana
L’elicottero era molto danneggiato anche nei
rotori, oltre che nei pattini e la radio non era
utilizzabile; il Com.te Casini rimase di guardia
al mezzo ed io mi incamminai, con carta e
bussola, alla ricerca di soccorso; dopo un paio di
ore giunsi su una pista e poco dopo ebbi la
fortuna di incontrare un automezzo militare con
due tunisini che mi aiutarono a risolvere la
critica situazione, mettendomi in contatto con la
nostra base di Gabès e con il campo geologico
dal quale eravamo partiti alle sei di quel
mattino; fu così possibile, prima di sera,
recuperare il pilota e lo sfortunato elicottero.
Ambedue rientrarono in seguito in Italia,
mentre noi continuammo il lavoro per via
terrestre.
26
Il soggiorno tunisino non si limitò ad apportarci
soddisfazioni professionali e petrolio, ma a
Silvana e a me diede la felicità e la profonda
emozione di veder arrivare la nostra Marina (19
luglio 1962). Pare che l'influenza del Paese, nei
due anni abbondanti vissuti da Marina a
Tunisi, abbiano lasciato in lei qualche simpatica
impronta fisica, che le dava un aspetto
piacevolmente esotico.
Abitavamo il piano rialzato di una bella villetta
in Avenue de Paris a Tunisi, ma nel periodo
caldo, che a Tunisi è piuttosto pesante,
prendevamo la via del mare e ci insediavamo a
Cartagine, in una villetta che stava proprio di
fronte al porto di Annibale.
Inzago
Una bella parentesi di tre anni e mezzo in
un'atmosfera serena, tra due lunghi soggiorni
passati all'estero; avevamo fatto costruire la
nostra nuova dimora mentre eravamo in
Tunisia, una villetta con giardino, tutta nostra,
L’oasi di Inzago
Siesta a Tunisi
Improvvisamente, nel luglio 1961, anche a
Tunisi la pace fu interrotta da una parentesi
bellica che movimentò la vita della Capitale
quando scoppiarono le scaramucce armate tra
Tunisia e Francia, a causa della base militare di
Biserta, non più gradita ai tunisini. Ma la
situazione fu ricomposta in qualche settimana.
Il nostro soggiorno nel Paese si chiuse alla fine
del 1964 con il rientro in Italia, con il
programma di riprendere servizio a San Donato
Milanese.
Dal punto di vista familiare aveva così inizio
una nuova vita, nel villaggio residenziale di
Inzago, a circa 25 chilometri da S.Donato.
nel Residenziale di Inzago che si stava
rapidamente sviluppando, in armonia con il
boom edilizio italiano. Il villaggio sapeva tanto
di campagna e di libertà; eravamo contornati da
amici giovani e spontanei (Mostardini, Saloli,
Gallino, Marangon, Agliozzi).
Marina stava crescendo, tra il secondo ed il
sesto anno di vita, in buona e numerosa
compagnia e per un certo periodo anche con la
nonna Rachele, che si era unita a noi dopo la
scomparsa di nonno Lino.
Silvana alternava gli impegni di casa con quelli
della scuola, insegnando nelle elementari di
Inzago e in alcuni altri paesi vicini (Cassano,
Groppello, Gorgonzola), sfarfallando (significa:
volare quì e là come una farfalla) con la sua
Cinquecentina.
Nel villaggio si usava molto la bici, si giocava a
tennis e, nella buona stagione, anche a pingpong, nella via davanti alla nostra casa.
Il villaggio si trovava ad una certa distanza
dall'ufficio, più o meno a 25 Km, che
richiedevano 20-25 minuti di viaggio e qualcosa
di più in caso di nebbia, non frequente, ma
talora piuttosto pesante, da vera padana.
27
Per quanto riguarda il mio lavoro, al rientro
dalla Tunisia l'Agip mi affidò la Sezione
operativa di rilevamento geologico per l'Italia e
per l'Estero, alle dipendenze di Martinis
dapprima e poi, quando Martinis lasciò l'Agip
per trasferirsi all'Università di Milano, di Fois.
Gli impegni di lavoro mi portavano spesso in
missione presso le squadre e gli uffici geologici,
così ebbi l'occasione di ritornare anche in
Tunisia.
Di maggiore soddisfazione fu l'incarico
successivo, quando passai alla Geologia del
sottosuolo, come collaboratore di Loddo e con la
funzione di responsabile della Sezione campi,
intesi come giacimenti; trovai un nutrito gruppo
di ottimi collaboratori (Righetti, Mancuso,
Giorgetta, Veggiani, Biancoli, Groppi, Zelli,
Pagazzi, Velani, Della Casa, Madeddu, Mosca),
con i quali mi fu possibile approfondire le
conoscenze di un importante settore della
ricerca petrolifera, quale è lo studio dei
giacimenti.
In quel periodo, oltre che del "mio" El Borma,
ebbi modo di occuparmi dei vari giacimenti Agip
di recente scoperta: quelli del Delta nigeriano,
del Golfo persico, del Fezzan libico, degli Zagros
iraniani e di altri ancora. I nostri studi
comprendevano
l'interpretazione
geofisica,
l'analisi dei dati di pozzo, dei log, delle prove di
strato, ecc.
Nell'ambito di quell'attività, ritenni opportuno
di favorire ed ampliare il dialogo tecnico tra i
geologi della mia Sezione e gli addetti
all'Ingegneria
dei
giacimenti
(Perrotti,
Henking), con l'obiettivo
di migliorare
l'interscambio di informazioni, che giudicavo
indispensabile per una adeguata previsione del
comportamento di un giacimento e delle
tecniche da adottare per lo sfruttamento più
razionale dello stesso. In precedenza, questo
dialogo tra tecnici delle due sponde non era
stato molto incoraggiato, per le inspiegabili
vedute personali di qualcuno.
Nella seconda parte del 1967, mi fu affidato
l'incarico didattico del corso di Geologia degli
idrocarburi all'Università di Milano, a seguito
della richiesta fatta da Desio e Martinis al D.G.
dell'Agip Egidi, che mi incoraggiò ad accettare
l'incarico stesso.
A questo impegno se ne aggiunse poi un altro,
temporaneo; ancora il Prof. Desio, d’accordo con
la Dirigenza Agip, mi chiese di svolgere una
indagine
geologico-tecnica,
particolare
e
riservata, su alcuni siti europei (Leluc in
Francia, Mundford in Inghilterra, Drensteinfurt
in Germania e Focant in Belgio) che erano stati
proposti da ciascuno di questi Paesi per
accogliere il futuro sincrotrone del CERN, un
gigantesco impianto cui erano legati rilevanti
interessi socio-economici. Si trattò di effettuare,
di sabato e domenica, una serie di missioni "in
segreto", con lo scopo di raccogliere informazioni
idro-geologiche
da
utilizzare
per
una
valutazione di massima, ai fini della sicurezza,
delle caratteristiche tecniche di ciascuno dei siti
proposti.
In un paio di mesi completai questo delicato
incarico, che Desio poi utilizzò in sede di
Commissione europea; l'assegnazione finale del
progetto fu per il sito svizzero, nei pressi di
Ginevra.
Nel frattempo Viviana aveva sposato Francesco
e un anno dopo (1965) venne al mondo Daniele,
adorato non solo dai genitori.
Sembrava che la nostra permanenza in Italia
fosse
ormai
definitiva,
quando
improvvisamente, nella primavera 1968,
suonarono le trombe che preannunciavano la
partenza per un altro Paese estero: il
Madagascar.
Era il periodo in cui si stavano manifestando i
primi movimenti giovanili di protesta in
Europa, a cui conseguirono scioperi e disordini,
di cui ne risentimmo in seguito nell'affrontare i
viaggi aerei.
In vista del Madagascar
28
Madagascar
Nella primavera 1968 l'Agip decise di inviarmi nella cosiddetta Isola rossa (Ile rouge) a gestire una
nuova Società, l'Agip recherches et exploitations pétrolières, con sede nella Capitale Tananarive; la
zona da esplorare si trovava nel nord-ovest dell'isola e comprendeva un'ampia estensione in mare, nel
Canale di Mozambico.
A farmi accettare la proposta dell’Agip furono l'interesse professionale e la disponibilità dimostrata da
Silvana a seguirmi con Marina, nonostante le non buone condizioni di salute di mamma Rachele.
Dapprima io e successivamente Silvana, Marina e Rachele ci trovammo proiettati nell'altro emisfero,
dopo aver trasferito mobili ed arredi vari da Inzago a Buja, aver venduto le due auto, aver rinunciato
temporaneamente all'incarico universitario e aver chiuso a doppia mandata la casa di Inzago.
Tananarive
Fu un trauma psicologico non indifferente, assorbito però rapidamente grazie alla presenza e allo spirito
di adattamento delle tre magnifiche donne che avevo con me.
Per l’abitazione, al nostro arrivo, si decise per una villa nella zona centrale di Tananarive, non lontana
dall'Ufficio; Marina poteva così frequentare la scuola francese, mentre Silvana si occupava, con l'aiuto di
due "bonnes'" e del cuoco, della casa e degli ospiti, che non mancavano, dati i doveri che ci competevano.
Rachele era di aiuto e consiglio a Silvana, ma dopo meno di due anni in Madagascar, purtroppo se ne
andò per sempre, lasciando in noi un tremendo vuoto.
Oltre agli amici più stretti, frequentavamo e avevamo talora come ospiti i colleghi di altre Compagnie
petrolifere presenti nel Paese: Bertagne, Trouvé, Leflève, De Lapparent, Lagier (Total, Conoco, Esso,
Tenneco, Chevron, Inoc, Frontier), qualche Autorità locale, i rappresentanti dell'Ambasciata nonché il
personale Agip di passaggio. Nei momenti di relax si frequentava il Club di Tanà con piscina e tennis,
nonché i vicini laghi Anosy e Ambohibao.
Paesaggio malgascio
La mia attività professionale era molto varia e impegnata; dovevo seguire in particolare i problemi
societari, i contatti esterni con le Autorità locali e con le altre Compagnie petrolifere presenti nel Paese,
l'organizzazione delle operazioni in corso, la gestione del personale e i contatti con Milano.
I miei collaboratori principali erano: Federici, Santanera, Pitto, Madeddu, Marangon, Galeoni,
Cappelletto, Dai Prà ed altri.
29
Spesso mi assentavo da Tanà per missioni a Majunga, dove avevamo la base operativa, o in altre zone di
lavoro, e per missioni all'estero, in occasione di riunioni tecniche, comitati tecnici ed operativi, convegni,
contatti a Milano, ecc.; queste missioni si intensificarono in seguito all'accordo di joint-venture firmato
con la Esso.
Tra le varie missioni, ricordo il Mozambico (Beira, Lourence Marques), il Sud Africa (Durban,
Johannesburg), Ravenna (con il Ministro delle Finanze Miadana), Milano e Roma (più volte per riunioni
e comitati), gli Stati Uniti (N. York, Houston).
La presenza italiana in Madagascar nel periodo qui considerato (1968-72), era piuttosto esigua,
consistendo essenzialmente nei colleghi dell’Agip Petroli, guidati da Spinosa e Marcucci, che ebbero il
grande merito di diffondere nel Paese le stazioni di servizio, con i distributori di carburanti e con la
simpatica immagine del cane a sei zampe e di costruire inoltre alcuni accoglienti Motel Agip; attuarono
inoltre una stupenda iniziativa: il Rally automobilistico del Madagascar, che annualmente richiamava
l’interesse popolare di tutta l’Isola. Altre consistenti presenze italiane erano allora rappresentate
dall’Ifagraria, impegnata con Fabbro nell’informazione e nell’istruzione nel campo agricolo-forestale e
da una unità geomineraria della Montedison, con Giussani operante nell’est del Paese.
Nel 1970, dopo due anni di contratto, la Direzione dell’Agip (Sacchi) mi propose il trasferimento in
Arabia Saudita, ma non essendomi dimostrato entusiasta, fui lasciato in pace per altri due anni.
Il soggiorno malgascio fu movimentato anche dall'incontro con alcune personalità di rilievo, in visita nel
Paese; ricordo l'intensa settimana trascorsa tra Tanà, Majunga e "Gatto selvatico" in compagnia di
Loris Fortuna, allora Vice Presidente della Camera dei Deputati, simpatico amico dei tempi del liceo a
Udine; in altre occasioni ci fecero visita Guido Carli, allora Governatore della Banca d'Italia, Velani,
Presidente Alitalia, Pietro Nenni, bandiera del PSI. Dall'ENI venne a trovarci per qualche giorno il
nostro Presidente Eugenio Cefis, col quale si fece anche una visita a Majunga. A proposito di presidenti
dell'ENI, ne avevo incontrarti altri in precedenza: dapprima Mattei in Marocco, poi Boldrini in Tunisia,
Grandi e Reviglio a Roma. E tra i vari presidenti incontrati in Madagascar non poteva mancare il
Presidente della Repubblica malgascia Tsiranana, che era anche particolarmente interessato alle nostre
ricerche, dato che si svolgevano nella sua regione di origine (lui apparteneva al gruppo etnico Sakalava).
Rispetto al Re del Marocco, Mohammed V, e a Bourghiba, Presidente della Repubblica tunisina,
Tsiranana mi apparve più semplice e modesto, anche se dotato di quell'indubbio carisma che è richiesto
dalla particolare posizione occupata nel Paese.
Madagascar, un paese meraviglioso per la varietà dei paesaggi, dei colori e della gente, riccamente
popolato da animali e vegetazione singolarmente tipici di questa immensa isola tropicale, più asiatica
che africana. Non ci sono animali feroci, a parte i coccodrilli, né serpenti velenosi; ci sono invece i
lemuri, graziose proscimmie, e i variopinti camaleonti.
La storia geologica del Madagascar ne fa risalire l’origine a più di duecento milioni di anni fa, quando
l’attuale isola era inglobata tra l’Africa, l’India e l’Antartide a costituire la parte australe del continente
Gondwana, che più tardi si sarebbe frantumato, consentendo al Madagascar di isolarsi.
Una serena immagine del Madagascar.
Il clima è tipicamente tropicale, con temperature estive elevate, lungo le fasce costiere, sia verso
l’Oceano Indiano a est, che verso il Canale di Mozambico a ovest, mentre è moderatamente continentale
negli altipiani interni, ove i picchi di temperatura sono notevolmente attenuati. La stagione estiva, tra
novembre e aprile, è piovosa e movimentata da qualche violento fenomeno ciclonico, mentre quella
invernale, tra maggio e ottobre, è secca e temperata.
30
La popolazione, costituita da gruppi etnici ben diversi gli uni dagli altri, in cui prevale l’origine
indonesiano-malese, tende a raggrupparsi in centri gestiti con un grado di autonomia e di indipendenza
talora piuttosto spinta.
Sorsero così e si svilupparono reami, province, governatorati, tra i quali prevalsero i Merina
(nell’altopiano centrale), i Sakalava (nel settore costiero nord-occidentale), i Betsileo, gli Tsimihety ed
altri.
Il baobab di Majunga, pare sia il più grande al mondo.
Diffuso tra la popolazione era, e lo è tuttora, l’allevamento dei bovini, zebù in particolare, le colture del
riso, del cotone, della vaniglia, della rafia, del caffè, delle spezie e lo sfruttamento minerario (oro e
minerali ferrosi); da notare a questo proposito anche la presenza, nella zona di Bemolanga (NW del
Paese), di affioramenti di bitume che certamente in passato furono oggetto di sfruttamento da parte
degli abitanti della zona e che successivamente sono divenuti motivo di interesse da parte di alcune
Compagnie interessate alla ricerca di idrocarburi e tra queste la nostra Agip Mineraria.
La singolarità del Madagascar si manifesta anche nelle credenze religiose della popolazione locale: la
maggior parte dei malgasci è credente in un Dio creatore, al quale però essi uniscono strettamente una
componente animistica, che è rappresentata dalle anime degli antenati, per i quali nutrono un profondo
rispetto ed una devota riconoscenza; a questi è verosimilmente legato anche il rito del “retournement”,
cioè la dissepoltura dei morti, effettuata con solennità per poterne ripulire i resti ossei.
Alla fine del XIX° sec la Francia era giunta alla determinazione di colonizzare il Madagascar e nel
periodo tra il 1883 e il 1895, a seguito di due guerre, riuscì a conquistare i centri più importanti:
Tamatave, Majunga e alla fine Tananarive. Si giunse così all’annessione francese dell’Isola rossa, cui
seguì un periodo di lenta pacificazione, con l’abolizione dello schiavismo e l’esilio ad Algeri dell’ultima
Regina, Ranavalona III. La svolta che condusse il Paese all’indipendenza avvenne nel 1959, con la firma
della nuova Costituzione e la nomina di Philibert Tsiranana, socialista moderato di origine sakalava, a
Presidente della Repubblica del Madagascar. Dopo qualche tempo il Paese si aprì alle iniziative
straniere, oltre alle francesi, e anche l’ENI rispose al richiamo con un impegno sia nel campo
dell’esplorazione
petrolifera (Agip Mineraria), che in quello commerciale (Agip Petroli).
Le nostre attività in Madagascar ebbero inizio nel marzo 1968, in seguito alla costituzione dell’Agip
Recherches et exploitation pétrolières, che si organizzò con una Sede direzionale a Tananarive ed una
Base operativa situata a Majunga, nella zona delle concessioni di ricerca, che ricoprivano una fascia di
mare di oltre 500 Km, lungo la costa nord-occidentale del Madagascar.
31
I permessi di ricerca dell’Agip REP nell’area costiera nord-occidentale.
L’attività esplorativa fu avviata con un rilevamento aeromagnetico dell’Aero Service, al quale fece
seguito una lunga campagna sismica della GSI e della Ray, con la quale fu coperta l’intera area della
ricerca, sia in mare aperto, che nelle acque basse (shallow-water) e nel settore in terra di Cap Saint
André.
Contemporaneamente i geologi dell’Agip furono impegnati nella ricostruzione geologico-strutturale
dell’intero bacino di Majunga e della parte nord del bacino di Morondava, ivi compresa la zona
intermedia, sede delle sopra citate manifestazioni bituminose di Bemolanga.
I risultati geologici così acquisiti furono utilizzati per l’interpretazione dei rilievi geofisici (magnetico e
sismico), effettuata in collaborazione tra Tananarive e la Direzione di San Donato, che portò
all’ubicazione dei primi due pozzi esplorativi.
Per il primo pozzo, denominato Chesterfield (CH1), fu scelta la zona offshore situata sul prolungamento
del motivo strutturale di Bemolanga, mentre il secondo pozzo (MAR 1, Mariarano) pure in offshore, fu
ubicato un centinaio di Km a nord-est di Majunga, con lo
Campo geologico a Soalala
scopo di verificare le possibilità minerarie di un motivo strutturale individuato dalla sismica. Nel
frattempo fu progettata ed allestita la Base operativa di Majunga, con quanto necessario, in materiali e
mezzi, all’esecuzione dei due pozzi offshore, ivi compresa l’assistenza alla piattaforma di perforazione,
che ormai era in arrivo dal Golfo Persico: si trattava del “Gatto selvatico”, il glorioso Jack-up della
Saipem, reduce da tante imprese compiute in svariati mari del mondo.
Dal punto di vista organizzativo l’Agip Recherches era così impostata: presso la Sede di Tananarive
c’era un Direttore Generale (Barnaba, il sottoscritto), un Responsabile dell’Amministrazione (Federici),
un Capo geologo (Pitto), un Coordinatore tecnico (U. Madeddu), una Unità di Servizi generali
(Santanera e Amendola) e il Gruppo dei geologi che, in periodi diversi, prestarono la loro opera come
rilevatori o come assistenti alla perforazione; tra questi Ferrari, Balduzzi, Willy, Frigoli, Benelli, Carlin,
Zamparo, Dai Pra, Augelli, Somaglino, Prato, Baroni; il personale della Sede di Tananarive
comprendeva inoltre una quindicina di giovani collaboratori e collaboratrici di nazionalità malgascia.
L’organico della Base di Majunga, che rappresentava il perno delle attività operative, era costituito da:
un Responsabile della Base e della Perforazione (Galeoni), assistito da Paris, Cortellazzi e Ughi, un
32
Tecnico aero-marittimo (Cappelletto), un Tecnico magazzini e dogane (Marangon) e un Magazziniere
(Boatti), coadiuvati da qualche decina di collaboratori malgasci, dei quali non si può dire che bene, per
la loro serietà e l’impegno dimostrati. Oltre alle persone sopra citate, in Madagascar operarono, per
periodi di missione più o meno importanti, molti altri tecnici e specialisti dell’Agip Mineraria, tra i quali
ricordiamo, chiedendo venia per le eventuali dimenticanze: Cremaschi, Sommaruga, Pignagnoli,
Moriconi, Silva, Pagani, Torelli, Tontodonati, Da Rold,
Gualtieri, Galli, Cavallini, Salvo, Perini, Verdiani, Cantini, Bandinelli, Sonson, Bellotti, Baldassarri,
Olivero, Muzzin, Angeli, Monnet, Giacomelli, Pacifici.
Stazione di radio-localizzazione Shoran a Cap Saint André
33
Schema organizzativo dell’Agip REP
Per quanto riguarda l’organizzazione, lo schema qui sopra riporta le varie funzioni specialistiche
presenti nell’Agip REP, in particolare quelle impiegate nella conduzione delle operazioni di perforazione
in mare; tra queste funzioni, espletate in prevalenza da unità contrattiste, troviamo, oltre all’assistenza
tecnica strettamente legata alla perforazione (cementazioni, fanghi, log elettrici e radioattivi, prove di
produzione, ecc.), la radio-localizzazione Shoran, l’assistenza sottomarina, la movimentazione del
personale (aerei e elicotteri) e dei materiali tra la base e la piattaforma (chiatte, mezzi navali, supplyvessels), l’assistenza meteorologica; quest’ultima si dimostrò veramente indispensabile per la sicurezza,
dati i rischi elevati causati dai frequenti cicloni tropicali che investivano la regione e che in realtà
causarono più volte l’abbandono della piattaforma. Altre indagini previste e regolarmente effettuate nel
corso dell’attività in Madagascar furono i rilievi geotecnici dei fondali marini nei siti di ubicazione della
piattaforma, particolarmente importanti nel caso di un Jack-up (piattaforma autosollevante), come il
“Gatto selvatico”; tali indagini furono effettuate dalla Heerema Engineering con l’aiuto dei
sommozzatori della Sitram.
34
Traiettorie dei cicloni tropicali che hanno attraversato il Madagascar nei mesi di gennaio dal 1941 al 1967
Ministri malgasci in visita alla Base di Majunga
Il “Gatto selvatico” in arrivo in Madagascar, trainato da due supply-vessels
Con l’arrivo del “Gatto” (con Fumagalli alla guida, seguito da Pezzetta, Piselli, Cambiagli) si diede
inizio, nel maggio 1970, soltanto due anni dopo l’avvio della nostra attività in Madagascar, alla fase più
impegnativa del programma.
Nel frattempo l’Agip Mineraria, al fine di contenere il rischio esplorativo, aveva deciso di alleggerire il
proprio impegno e di ripartire l’onere della ricerca con un Partner, la Esso, alla quale fu ceduto il 50%
degli interessi nell’impresa malgascia. Nel novembre 1970 il primo pozzo (CH1) venne completato a
oltre 4700 m di profondità senza aver incontrato alcun indizio di idrocarburi. Nel secondo pozzo (MAR1),
35
spinto a oltre 5000 m, furono rilevati invece alcuni livelli mineralizzati a gas, ma in quantità
insufficiente per giustificare la loro messa in produzione. Gli indizi di idrocarburi messi in luce da
questo pozzo suggerirono l’esecuzione di un terzo pozzo (Mahajamba, MAH1), poco distante dal
precedente, ma nemmeno i risultati di questo furono incoraggianti; anche in questo pozzo vi fu soltanto
qualche manifestazione di gas metano.
Il “Gatto” in postazione per il pozzo CH1
Pare che questi indizi di gas, dopo l’abbandono dell’area da parte dell’Agip, abbiano destato l’interesse
di una Compagnia petrolifera sudafricana. Concluso il terzo pozzo, il “Gatto selvatico”, nell’ottobre 1971
fu trasferito nelle vicine acque del Mozambico, mentre per la nostra attività di esplorazione in
Madagascar si aprì una fase di revisione e di rielaborazione dei dati tecnici che portò successivamente,
in accordo con il partner Esso, alla programmazione di una nuova campagna sismica di dettaglio su
alcune aree ritenute di ulteriore interesse per la ricerca.
La mia personale esperienza del Madagascar si chiuse qui, con la decisione dell’Agip di farmi rientrare
in Italia per dedicare il mio contributo professionale ai problemi della protezione ambientale, problemi
che stavano investendo con una certa intensità anche il mondo petrolifero.
Del Madagascar mi è rimasto uno splendido ricordo e una certa nostalgia dei quattro anni di vita
colà trascorsi; ho conservato un sentimento di ammirazione per i malgasci, dolci e tenaci nello stesso
tempo, ed il rammarico di non avere scoperto, anche per loro, il petrolio, che avrebbe potuto migliorare
la loro vita.
36
Perforatore malgascio all’opera
Il 13 maggio 1972, giorno in cui avremmo dovuto festeggiare con gli amici la nostra partenza dal
Madagascar, a Tananarive scoppiò inaspettatamente una rivoluzione popolare. Il tutto nacque da una
manifestazione studentesca, ispirata ai movimenti radicali Merina, contrari alla politica filo-francese
del Presidente Tsiranana; fu il ripetersi di quanto era più volte accaduto in passato, sotto la spinta della
ribellione al dominio di altri. La manifestazione fu violentemente contrastata dai militari, causando
qualche decina di morti e tanti feriti, oltre all’incendio di molti edifici pubblici della città. Considerata la
situazione, lasciammo temporaneamente le nostre abitazioni e ci riunimmo con i familiari nel Motel
Agip, che si trovava in una zona semi-periferica della città, in attesa di eventi. Poi, a causa del perdurare dei
disordini, in accordo con Agip ed ENI, si decise di trasferire i familiari in Tanzania, grazie all’ospitalità
offertaci da Guidi, mentre per noi uomini vi fu un’attesa di qualche giorno a Tananarive finché,
tranquillizzatasi la situazione, fu possibile raggiungere i familiari a Dar es Salam e, nel caso mio e di
altri, proseguire assieme a loro per il rientro definitivo in Italia.
Tsiranana diede le dimissioni e venne provvisoriamente sostituito da un esponente militare, in attesa
della nomina del nuovo Presidente, Didier Ratsiraka. Le conseguenze politiche di questi fatti, che si
estesero a tutto il Paese, portarono il Governo malgascio ad allontanarsi dall’influenza francese,
cercando un illusorio appoggio presso i sovietici e i cinesi.
L’attività di ricerca Agip in Madagascar proseguì per qualche tempo ancora con la guida di Maioli; fu
eseguita una campagna sismica di dettaglio, in seguito alla quale fu programmata l’esecuzione di un
quarto sondaggio nell’offshore di Cap Saint André, che non fu poi eseguito, a causa di un grave
incidente accaduto al “Gatto selvatico” nella fase di sollevamento del Jack-up in corrispondenza della
nuova postazione.
Rientro in Italia
Al rientro in Italia, in attesa della nuova casa, non ancora pronta, trovammo una sistemazione
provvisoria a Milano, nell'appartamento messoci gentilmente a disposizione dagli amici Giussani della
37
Montedison, rimasti ancora per qualche tempo in Madagascar; ma all'inizio del novembre 1972, in una
giornata resa "casalinga" dalla fitta nebbia, fu finalmente possibile accedere al nostro domicilio,
apparentemente definitivo, di Via Kennedy a San Donato.
Nuovi argomenti e nuovi urgenti impegni professionali mi attendevano in Italia, per cui fu necessario
rinviare le ferie e obbedire agli ordini superiori, del D.G. Egidi e di Jaboli, che trovai particolarmente
eccitato dagli attacchi ripetutamente lanciati negli ultimi tempi dai neo-ambientalisti. La accresciuta
sensibilità nei riguardi delle problematiche dell'ambiente e del territorio (acque, suolo e sottosuolo)
aveva portato all'insorgere di una estesa campagna di accuse contro il mondo industriale e in questa
particolare situazione anche l'Agip era oggetto, in Italia, di qualche imputazione lanciata attraverso la
stampa dai movimenti di ispirazione ecologista.
L'Agip era addirittura accusata di aver provocato, con le sue perforazioni in Adriatico, il terremoto che
di recente aveva colpito Ancona e di essere responsabile inoltre, con le estrazioni di gas,
dell'abbassamento del suolo nel Polesine e nella fascia costiera romagnola.
Di fronte a simili pressioni, la Direzione Agip decise di costituire una unità delegata a seguire queste
nuove problematiche, e pensò bene di dare questa patatina bollente in mano a me, reduce da un bel
periodo di riposo (secondo loro!) in terre lontane. Fu così costituito il Servizio Geda (Geodinamica e
Ambiente), che dopo tanti anni è tuttora di moda; il mio incarico si dimostrò piuttosto delicato perchè
comportava rapporti e contatti ad alto livello, sia all'interno che all'esterno dell'Agip, su argomenti
scottanti, da trattare con le molle, considerati anche gli ingenti interessi aziendali e non solo aziendali
implicati.
Nel giugno stesso partecipai al Convegno mondiale dell'ambiente, indetto dall'ONU a Stoccolma, che
aveva l'obiettivo di fissare i principi-chiave, in tema di protezione ambientale, per i Paesi
industrializzati. Successivamente passai qualche settimana di fuoco nell'organizzare il nuovo gruppo di
lavoro, con l'appoggio di Egidi, la pressione di Jaboli e l'aiuto prezioso di Veggiani e di un ingegnere, la
cui eccessiva timidezza gli impedì di continuare a far parte del nostro gruppo di lavoro.
Le violente accuse rivolte all'Agip dal Procuratore della Repubblica di Ancona provocarono il primo
intervento in campo aperto del Geda, ancora imberbe e inesperto; qualcosa si ottenne ugualmente e
infatti, dopo le prime sfuriate, il Procuratore cambiò disco e, in una sala affollatissima del principale
cinema di Ancona, di fronte ad un pubblico ardente che chiedeva la testa dell'Agip, dichiarò, dopo aver
esaminato alcuni documenti da noi forniti, che il sisma poteva effettivamente ritenersi legato a
fenomeni naturali più che ad influenze artificiali, quali le perforazioni.
Si stava forse allentando la presa; fece seguito un Summit di specialisti, da noi organizzato con la
partecipazione di esperti di terremoti, di provenienza giapponese, americana e italiana. I pareri emessi
in questo incontro tecnico furono decisivi nel chiudere il problema che era stato irrazionalmente
sollevato nei confronti dell'Agip. La stampa nel frattempo aveva gradualmente allentato la pressione e
così mi fu possibile partire per le ferie, in attesa di prendere in mano l'altro argomento scottante, quello
della subsidenza del Polesine e del Ravennate, cui sono legati i delicati temi dell’ingressione marina e
dell’erosione delle aree costiere.
Il Geda, questa appassionante mia “creatura”, crebbe decisamente col tempo e con i problemi che
divenivano sempre più numerosi e pesanti, sia in Italia che, successivamente nei vari Paesi esteri in cui
avevamo interessi operativi. Fu pertanto necessario rinforzare le fila e arrivarono, chi prima chi poi:
Realini, Madeddu, Dossena, Paoletti, Zamparo, Ceffa, Lovison, Di Luise, Carta, Michelotto, Facciolini,
Bronzini, Mella e forse qualche altro.
Era necessario aggiornarsi su quanto avveniva e su quanto si faceva altrove: da qui la necessità di
partecipare attivamente, anche presentando i risultati di nostri studi e ricerche, ai numerosi Convegni
che prosperavano ovunque, di mantenere i contatti con le Autorità minerarie, con le altre
Sestetto Geda tra Madeddu e Zamparo
38
Compagnie petrolifere, con gli specialisti, con i tecnici e con gli Accademici interessati alla protezione
dell’ambiente e all’evoluzione del territorio e quindi ai fenomeni di sismicità, subsidenza, vulcanismo,
inquinamenti, ecc. Di particolare interesse fu la missione in Giappone, per il Congresso internazionale
Apex 73, con visite agli Istituti specialistici di Tokyo, Kyoto e Osaka, con seguito a Hong Kong e
Bangkok.
Nel febbraio 1974, su invito della Shell, feci parte, in rappresentanza dell’Agip, del gruppo dei quattro
fondatori dell'E.P.Forum (Exploration and Production Forum), una Associazione internazionale che ha
la finalità di affrontare le problematiche ambientali nel campo petrolifero; questa associazione ebbe poi
un successo imprevisto, tanto che oggi riunisce un centinaio delle maggiori Compagnie, tra le quali
Shell, Esso, Mobil, Agip, Total, Petrobras, Petroven e via dicendo.
Nello stesso anno visitai le nostre basi e i relativi impianti nel delta del Niger (Port Harcourt, Brass,
Lagos) e nel Mare del Nord (Edimburgo, Aberdeen, Amsterdam), dove le importanti scoperte di Agip e
partner comportavano interventi di prevenzione e protezione dell'ambiente. Nel 1975 fui in India (Delhi
e Agra) e poi in Indonesia (Djakarta), dove Franchino aveva organizzato una serie di visite di natura
tecnico-politica con esponenti locali.
Ma l'abbassamento del suolo a Ravenna e dintorni continuava ad attirare l'attenzione di politici,
amministratori e tecnici. Jaboli avrebbe voluto che nelle nostre dichiarazioni escludessimo
categoricamente ogni relazione tra estrazione di gas e subsidenza, ma il buon senso ci portò ad
affermazioni meno drastiche, riuscendo a dimostrare, e in molti casi anche a convincere i contestatori,
che le estrazioni di gas sono soltanto una concausa secondaria dell'abbassamento del suolo, mentre la
responsabilità primaria del fenomeno sarebbe dovuta a cause naturali, non controllabili; e
aggiungevamo che queste ultime sono spesso localmente aggravate da irrazionali interventi antropici,
in particolare le estrazioni superficiali di acque dal sottosuolo; queste affermazioni erano il frutto di
documentazione da noi elaborata, dalla quale risultava evidente la coincidenza tra estrazioni di acqua e
abbassamenti anomali del suolo, come nel caso di Ravenna città.
Per poter continuare a produrre gas l'Agip fu costretta e lo è tuttora, a difendersi ed a finanziare studi,
ricerche e controlli, da terra e via satellite, attrezzando appositamente alcuni pozzi per effettuare
misure di compattazione dei terreni e altre operazioni altamente specialistiche.
Malgrado questi interventi, per l’ENI è tuttora impossibile produrre il gas da una decina di giacimenti
scoperti anni fa nell’Alto Adriatico, a causa delle perduranti perplessità esistenti da parte dell’Autorità
pubblica sul tema dell’abbassamento del suolo da estrazione di idrocarburi.
Intervalli familiari
Nella vita privata, a partire dal 1972 avevamo formato una compagnia di quelli degli "anta",
estremamente variopinta e dinamica, allietata dalla presenza di qualche buontempone che negli
incontri di fine settimana rallegrava l’atmosfera.
La nostra casa a San Donato si rese disponibile per saltuari incontri con gli amici.
La rappresentanza umana allora più assidua e fedele era guidata dai De Martin, Mostardini e Ripani.
Silvana soprassedeva agli inviti e all'organizzazione.
Incontro mascherato
39
Marina, provenendo dalla scuola francese di Tanà, superò il problema dell'inserimento nella scuola
italiana anche con l'aiuto della mamma, frequentando la scuola elementare e media a S.Donato; in casa,
cominciava a manifestare la sua personalità e il desiderio di autonomia, pur mantenendo un rapporto
decisamente affettuoso nei nostri riguardi.
Per quanto riguarda me, ad un certo punto mi resi conto che l'attività aziendale, anche se impegnativa,
non era sufficiente a soddisfare interamente la mia disponibilità e le mie esigenze fisiche e mentali, per
cui ripresi volentieri l'incarico universitario, cioè il corso di Geologia degli idrocarburi, con lezioni,
esami, riunioni, ecc. A questa fece seguito un’altra interessante iniziativa: in collaborazione con due
funzionari tecnici della Provincia di Milano (Bonaventura, ingegnere ambientale e Baiardi, chimico),
divenuti poi cari amici, organizzammo un gruppo di studio su argomenti di natura idrogeologica e
ambientale; a questa attività dedicai vari sabati e qualche domenica tra gli anni Ottanta e i primi
Novanta del secolo scorso, operando, in pratica gratuitamente, in favore di Comuni o associazioni varie;
essa rappresentava anche un certo interesse personale, perchè mi consentiva di raccogliere materiale
documentario per le mie pubblicazioni (ora hanno superato le ottanta), alle quali sono sempre stato
appassionato.
Questa particolare collaborazione tecnico-scientifica, basata su professionalità e aperta amicizia, mi
portò a interessarmi di varie zone della Lombardia e dintorni, in particolare: dei laghi di Comabbio, di
Varese e di Monate, dei fiumi Erro e Bormida, del Comune di Acqui Terme, delle industrie ACNA di
Cengio, IRE di Varano Borghi, Falk di Cairo Montenotte, dei Comuni di Marzio, Cadrezzate,
Biandronno, Travedona ed altri.
Nel 1976 accadde qualcosa di veramente sconvolgente per noi friulani. I primi giorni di maggio mi
trovavo in Sardegna, per un Comitato tecnico sull'Offshore italiano, tra Compagnie operanti nel nostro
Paese; ospite dell'Agip, era con noi anche il Prof. Ippolito, ex-Responsabile del CNEN.
La mattina del 7 maggio, appena sveglio, dalla radio della camera d'albergo ad Alghero appresi la
sconcertante notizia del terremoto in Friuli.
Fu una giornata terribile, credo la più nera della mia vita, fino ad ora. Presi il primo aereo per Milano e
poi da San Donato, assieme a Silvana, raggiungemmo col cuore in gola l'Ospedale di Udine, dove
sapevamo essere stati ricoverati per le ferite il nipote Daniele (11 anni) e papà Renato, che trovammo
assistiti da Viviana e mamma. Passammo poi la notte in strada, accucciati in macchina a Buja, proprio
davanti alla nostra casa paterna, penosamente sfiancata dal sisma. Non mi sento di aggiungere altro,
perchè neanche il tempo è in grado di cancellare certi ricordi e certe emozioni.
La nostra casa di Buja in corso di demolizione
Nei giorni che seguirono cercai di distrarmi con gli impegni di lavoro, in particolare con l’elaborazione,
assieme ad alcuni colleghi dell'Agip e dell'OGS di Trieste, di uno studio sulla sismicità del Friuli, che
fu presentato al Convegno di Udine.
Dopo qualche settimana Daniele fu trasferito per un intervento dall’Ospedale di Udine a un reparto
specialistico dell'Ospedale di Brescia, mentre papà Renato, che era stato dimesso dopo qualche giorno
dall’Ospedale di Udine, era gradito ospite qui da noi a San Donato, assieme a mamma Claudia, in
40
attesa del ritorno in Friuli. In seguito si rese necessaria una decisione sul futuro della casa di Buja, che
risultava molto danneggiata dalle varie scosse di maggio e di settembre; con Viviana, mamma e papà si
decise, considerata anche l’inezia del contributo pubblico, di demolire la casa, come consigliato dai
tecnici, di cedere il corrispondente terreno in cambio di un futuro vano-negozio (per Marina) e di
costruire una villetta (per Daniele) sul terreno occupato in precedenza dal giardino.
Ritornando alla mia attività al Geda, nel dicembre 76 partecipai al Simposio sulla "land subsidence" di
Anaheim in California, in compagnia del Prof. Cotecchia e dei colleghi del CNR Venezia, con i quali
avevamo intrapreso una stretta collaborazione sul tema dell'abbassamento del suolo e sul progetto dei
La subsidenza nella zona di Fresno (California)
sondaggi di Venezia, per i quali l'Agip si era impegnata a fornire l'assistenza geologica. In California si
ebbe l'opportunità di visitare varie situazioni interessanti per i nostri problemi (faglia di S. Andrea,
subsidenza di Long Beach, isole artificiali per i pozzi di coltivazione del giacimento di Wilmington).
Successivamente partecipai al Convegno di Mexico City, dove presentai una relazione tecnica e dove
visitai il laboratorio sismologico di Stato, con il quale fu impostato un accordo di collaborazione. La
missione del Messico proseguì in Venezuela, con visite all'Istituto di Geofisica dell'Università e alla
Petroven, che mi organizzò una ricognizione nella zona petrolifera di Maracaibo, soggetta ad una
subsidenza veramente imponente; completai la missione con una puntata in Brasile (Rio) per alcuni
incontri alla Petrobras.
Anche in occasione di questi contatti con l'esterno ho avuto la conferma delle difficoltà di intesa e di
collaborazione tra geologi e ingegneri; difficoltà che si manifestarono anche nel nostro ambito di lavoro,
ad esempio, quando si trattò di adottare qualche nuova norma di protezione ambientale, mai ben vista
da parte dell'ingegnere operativo.
Comunque le cose migliorarono, almeno nell’ambito delle nostre attività, quando fu possibile aprire un
dialogo diretto con Faverzani, mio nuovo Capo, ingegnere e persona dotata di fine acume pratico, da
imprenditore agricolo piacentino, quale era di famiglia. Con lui si resero più facilmente applicabili le
norme suggerite dalle esigenze operative, norme che non erano altro che il preludio di quanto si dovette
poi attuare in tempi successivi.
41
Impermeabilizzazione del vascone di un pozzo petrolifero a Villafortuna (Novara)
Nel 1978, mio ultimo anno alla guida del Geda, ebbi l'opportunità di compiere altri due viaggi molto
interessanti: in marzo a Mosca e poi, via Anchorage (Alaska), in Giappone (Tokyo, Hakone) per la
Geodynamic Conference; due mesi più tardi mi recai negli Stati Uniti (Houston, Colorado River nello
Utah, Denver), per una visita ad alcuni impianti di estrazione e lavorazione di minerali radioattivi, con
lo scopo di raccogliere informazioni e idee da utilizzare nelle analoghe attività che l'Agip aveva allora in
corso in Val Brembana e Valtellina. Su queste si era già manifestata una notevole opposizione popolare,
che più tardi avrebbe portato alla chiusura definitiva di questo tipo di iniziative minerarie.
Servizio del Personale
Dopo oltre cinque anni di Geda era l'ora di cambiare e la Direzione decise di utilizzarmi in un ruolo
veramente nuovo per un geologo; le mie diversificate esperienze in Italia e in vari Paesi stranieri
avevano probabilmente sollecitato la fantasia dei miei Capi, che mi chiesero di occuparmi in particolare
del personale operante all'estero.
Molto sentita in Agip era in effetti la necessità di rivedere, in accordo con l'ENI e con qualche altra
Società del Gruppo, le normative riguardanti il personale impiegato nei Paesi esteri (allora una ventina
per l'Agip). I problemi erano molteplici e tutti meritevoli di attenzione; tra questi: il reperimento e la
scelta delle persone in funzione del tipo di sede e di lavoro, le norme contrattuali, i turni di lavoro e di
riposo, i viaggi, le retribuzioni, l'assistenza in loco, i problemi dei familiari al seguito, la sicurezza sul
lavoro ed altri ancora.
Accettai con interesse questo nuovo incarico, con l'intesa che fosse limitato nel tempo, non più di due
anni, in quanto il mio desiderio era di rientrare nell'ambito operativo vero e proprio, al quale mi sentivo
profondamente legato.
Fui così immerso in un ambiente di lavoro decisamente diverso dai precedenti, dove la "prima donna" è
la riservatezza; per fortuna mi trovai circondato da persone positive e collaborative, che in buona parte
già avevo conosciuto in passato: Zaccherini, Pignagnoli, Lucchini, Olivi, Zamparo, Facciolini, Bronzini,
Cegna, Angeli, Pianesi, Compagnone, Albertini, Fusco, Di Michele.
Fu comunque per me una esperienza di indubbio valore, anche perché comportava il contatto diretto con
il personale di ogni livello, da cui proveniva ogni sorta di raccomandazioni, proteste, lamentele, e
richieste varie. Frequenti erano poi gli incontri-scontri con i colleghi dell'ENI, Snam, Saipem sui
problemi comuni.
Indispensabili erano inoltre le visite alle varie Sedi all'estero, indispensabili per giudicare, vivendoli sul
posto, gli argomenti riguardanti sia i colleghi italiani “espatriati”, sia i coadiutori locali, tenendo
presenti le particolari esigenze legate alle variopinte origini, alle locali abitudini, alla religione e via
dicendo.
In quel periodo fui in Libia (Tripoli, Djalo, Bu Attifel, dove fui anche arrestato per una foto, ma poi
liberato dopo due ore di guardina, grazie all'intervento di un collega libico), in Egitto (Cairo, El Alamein,
Abu Rudeis, Belaijm), nel South Yemen (Aden, Mukalla), a Singapore, nel Vietnam del sud (O Chi Min,
Vung Tau), in Norvegia (Oslo, Sandnes), in Indonesia (Djakarta, Bali), in Thailandia (Bangkok), a
Londra, in Grecia (Atene, Patrasso) e in Costa d'Avorio (Abidjan e base offshore).
Il mio impegno al Personale estero dell'Agip si concluse con una revisione radicale della normativa e
della contrattualistica che fu elaborata, oltre che sulla base di esperienze personali, soprattutto in base
al dialogo scambiato personalmente con i responsabili delle varie Unità estere. Il risultato fu una
42
equilibrata conquista, sia da parte del personale, che si vide migliorare il trattamento e l'assitenza, sia
per l'Azienda, alla quale poi divenne più agevole, secondo quanto mi riferirono in seguito, il reperimento
di forze umane idonee a soddisfare le richieste dall'estero.
All'inizio del 1982 lasciai la Direzione del Personale, dopo una certa resistenza da parte di Zaccherini,
che ormai si era abituato alla mia presenza e non voleva mollarmi; mi diedero la targhetta di
"Direttore" e mi fu assegnata la supervisione di un gruppo di Paesi esteri (Algeria, Angola,
Madagascar, Oman, Somalia, Sudan, Tanzania e Yemen), come collaboratore di Moscato, futuro
Presidente dell'Agip e poi dell'ENI. Tra i miei collaboratori temporanei di quel periodo, ricordo D'Adda e
Sgubini, ambedue destinati ad altissime mete aziendali. I principali interlocutori in quel periodo erano
per me Errico e Coppetti.
Con una certa misura e interponendo qualche meritato periodo di lavoro in sede, continuai a girare il
mondo, per assicurare i normali contatti con le sedi operative e per partecipare alle varie riunioni dei
Comitati tecnici e direttivi previsti per ciascuna Joint-venture. Oltre alle missioni in Italia, ricordo tra
gli altri i viaggi a Aden, Dubrovnik, Brioni, Luanda, Algeri, Londra, New York, Houston, Louisiana, ecc.
Ricordo le notti angolane trascorse sulle panche dell’Aeroporto a causa del coprifuoco.
In quel periodo riuscimmo anche a dare una mano a Nino Benedetti, che ad Algeri era stato vittima di
una brutale aggressione, inviandogli un tempestivo soccorso aereo che lo portò in Italia a tempo di
record. Sono comunque certo che la testa dura del Nino sia stata determinante nella felice risoluzione
del caso.
Ancora Università
Nel corso del 1985, quando avevo ormai 57 anni e tre anni dopo avrei dovuto lasciare l'Agip come
dirigente in pensione, mi si presentò puntuale e gradita l'occasione di entrare di ruolo all'Università di
Milano, dove da oltre 13 anni (!) tenevo il corso di Geologia degli Idrocarburi da Incaricato esterno
stabilizzato. La favorevole occasione era data dalla possibilità di partecipare al concorso contando sui
periodi di insegnamento che avevo svolto in passato nelle Università di Ferrara e di Milano, con qualche
puntata in quelle di Trieste, Parma e Padova, nonché sulle mie pubblicazioni.
Amici-colleghi Agip (1985 )
Interpellai in proposito l'allora Presidente dell'Agip Muscarella che, valutando anche l'utilità per l'Agip
di avere un suo ex-dirigente in Università, mi diede il suo parere favorevole, per cui partecipai al
concorso e ... il 1° novembre 1985 entrai nel ruolo universitario, lasciando formalmente l'Agip. In effetti
continuai a seguire per l’Agip, seppure saltuariamente, l'ormai quasi secolare problema di Ravenna,
mantenendo un contatto che si è dimostrato favorevole anche per l'Università, che ha potuto beneficiare
della disponibilità di ENI e Agip nella elaborazione di tesi e tirocini su temi attinenti l'attività
petrolifera, come pure in altre iniziative in favore della didattica, come ad esempio nella
sperimentazione dell’indirizzo energetico.
43
Con i laureandi dell’Università di Milano in visita al Cantiere di Trecate
Entrando pienamente nell'attività universitaria, ebbi il vantaggio di interessarmi, oltre che
dell'insegnamento, anche di qualche ricerca applicata, di pubblicarne i risultati e di assicurarmi
l'occupazione fino oltre i settanta anni di età, per di più in un ambiente di mia piena soddisfazione.
Ebbi anche l'opportunità di occuparmi, come docente, dell'organizzazione e dell'impostazione del
Diploma universitario con indirizzo petrolifero, che favorì l'assunzione in ENI di alcuni neo-geologi.
Partecipai anche all'analoga iniziativa organizzata dall'Università di Parma.
Ritengo inoltre di aver dato un certo contributo scientifico nello studio idrogeologico dei problemi
connessi con le acque superficiali (falda freatica) e sotterranee del territorio di San Donato Milanese,
collaborando su questo argomento, fin dai primi anni Novanta, con la locale Amministrazione Comunale
e con gli uffici tecnici della Provincia di Milano e della Regione Lombardia.
Questa collaborazione è tuttora in atto sull’argomento relativo alla riqualificazione paesaggisticoambientale del fiume Lambro, che costeggia il territorio sandonatese.
Di indubbia soddisfazione personale è stata in questi ultimi tempi anche la partecipazione, quale
coordinatore scientifico, alla stesura della monumentale nuova Enciclopedia degli idrocarburi, edita in
collaborazione tra ENI e Treccani, con un esteso intervento di Autori italiani e stranieri. E’ stato un
motivo di arricchimento professionale anche grazie alla profonda intesa con Ugo Romano, Mazzei, Sella,
Brighenti ed altri Colleghi.
Ancora vita familiare
Ritornando alla vita di famiglia, le conseguenze del terremoto del Friuli si fecero sentire per lungo
tempo. Dopo la parentesi di convivenza con noi a S. Donato, mamma e papà si trasferirono a Udine,
nella nuova abitazione di Viviana in Via Pontebba; in quel particolare periodo ogni pensiero era
dedicato alla salute di Daniele che, grazie a qualche intervento chirurgico e alla sua giovane forza
interna, conquistò gradualmente una notevole indipendenza, sia fisica che psicologica. La casa paterna
di Buja era stata demolita e nella stessa area si era proceduto alla ricostruzione secondo il progetto
approvato dal Comune.
44
Ma le situazioni drammatiche erano ancora di casa e alla triste scomparsa di papà Renato, seguì poco
dopo quella particolarmente drammatica di Viviana, ambedue provati dalle pesanti avversità degli
ultimi anni.
La formidabile resistenza di nonna Claudia aiutò Daniele a portarsi avanti con gli studi: dal Liceo,
all'Università e poi alla Laurea in Giurisprudenza. Claudia, con la laurea di Daniele, considerò di avere
felicemente raggiunto, con tanto sacrificio e impegno di energie, il suo grande traguardo e decise di
ritirarsi, lasciando ad altri le consegne. Le trovammo un luogo sereno per i suoi ultimi tempi, l'IGA di
Udine, dove chiuse serenamente la sua ammirevole vita terrena a 93 anni, tra la simpatia e il ricordo
affettuoso di tutti noi e non solo noi di famiglia.
Daniele poi conquistò brillantemente quanto si era meritato con le sue doti e capacità, ottenendo la
nomina a Magistrato; fu assegnato dapprima al Tribunale di Gorizia e successivamente a quello di
Udine, dove esercita tuttora la sua attività.
La Laurea di Daniele
Le pesanti disavventure di Buja e di Udine comportarono qualche dura ripercussione, soprattutto di
natura psicologica, anche a San Donato e Marina è quella che maggiormente ne ha risentito, forse
anche perchè penalizzata dalla sua ipersensibilità ma, grazie anche alle sue notevoli capacità di
adattamento, dopo una breve parentesi come collaboratrice farmaceutica, trovò una adeguata e
interessante occupazione nel campo della geofisica, presso la sede milanese dell'americana Western
Geophysical Co.; qualche anno dopo (1986), per merito dell’esperienza maturata alla Western, fu
assunta dall'Agip per essere impiegata nel campo dell'elaborazione dei dati sismici applicati alle
ricerche petrolifere.
In questi ultimi tempi la nostra vita familiare e sociale è proseguita con buona regolarità a S.Donato;
una vita normalmente animata dall'inesorabile scorrere degli anni. Rivolgendo il pensiero all'indietro,
faccio un conto rapido e mi risulta: che abbiamo già festeggiato, per fortuna in buona salute, il
cinquantesimo di matrimonio, che sono passati più di trent’anni dal terremoto del Friuli, che la nostra
attuale gattina è la terza delle siamesi del dopo Madagascar, e via dicendo. Nel frattempo io ho superato
gli ottanta! Ma cosa abbiamo fatto in tutto questo tempo nel nostro beato vivere, a parte gli impegni di
lavoro?
Intanto Marina si è fatta "grande", con riconosciute doti di donna piacente, simpatica e intelligente; ha
trovato compagnia e affetto anche al di fuori del nostro; ha cambiato direzione più di una volta, con
l'intermezzo di un malcapitato incidente d'auto; ha poi messo su casa, insieme al suo compagno Marco,
dimostrando anche qui un gusto raffinato.
45
Marina
Il futuro è ancora decisamente suo e speriamo tanto che la fortuna le stia vicino.
Silvana è sempre lei, amabilissima nella sua tenera dirittura di moglie, madre e zia e nella sua dolce
severità di pensiero e di azione. Ha trovato un importante conforto, reso più profondo dalle conferme
meritatamente ricevute dall'esterno, dapprima nella poesia e poi nella pittura a olio; a quest'ultima si è
dedicata in maniera particolarmente appassionata, ottenendo tante soddisfazioni
Silvana impegnata nella pittura a olio
a livello professionale e anche in campo internazionale. La sua mano, a detta di altri, è sempre stata
eccelsa nel disegno e questa capacità naturale è stata per lei decisiva nel raggiungimento di questi
successi, che certamente le hanno riempito le giornate anche durante le mie frequenti assenze.
Prima di chiudere, voglio allietarmi l'atmosfera, non senza un pizzico di nostalgia, con qualche ricordo
divertente di questi anni. La mente mi porta beatamente: alle piacevoli vacanze a Ischia, con
gommoncino e fuoribordo al seguito, che ci permettevano di muoverci tra le incantevoli anse di Sant
Angelo, accompagnati dai disponibilissimi amici del posto; alle stupende sciate invernali alla Presolana,
al Pora a Madonna di Campiglio, a S. Cassiano e non parliamo di quelle dell'Alpe di Siusi, che
perdurano tuttora; alle varie gite con gommone e poi con il Concord ai laghi Maggiore e Iseo, sempre
ospitali; alle meravigliose scorribande in moto, con particolare nostalgia per i percorsi di montagna
(Dolomiti, Alpi svizzere, Prealpi bergamasche); alle appassionate partite a tennis con Luciano, ultimo
mio vero partner, purtroppo anche lui andatosene troppo presto; alle simpatiche, non molto impegnate,
veleggiate col Vaurien sulle acque dell'Idroscalo; alle impagabili gite in barca dal nostro molo di
46
Lignano verso le varie colorate mete dei dintorni (Stella, Porto Buso, Grado, Croazia, Slovenia, Venezia
e oltre); ai distensivi giretti in bici, che amo tanto perchè quando corro in bici mi sembra di volare.
Incontro in Friuli
Da alcuni anni, spinti anche dall'età che avanza senza tregua, abbiamo concentrato le forze formando,
qui a S. Donato, un simpatico e animato gruppo di amici, alcuni di recente acquisizione, ma la maggior
parte stagionati; ci si riunisce un paio di volte al mese per una cenetta in compagnia, talora chiassosa,
mai compunta, spesso preceduta da una partitina
Eleganze di Carnevale
a bocce, le cui regole di gioco vengono fissate di volta in volta, a seconda della presenza o meno del ligio
Ligi, unico preciso e pignolo conoscitore delle vere regole. Gli incontri sono anche l'occasione per
raccontarci e commentare le ultime novità, discutere animatamente su alcuni temi specifici ed
aggiornarci sulle ultime ilarità barzellettistiche, contando su alcuni specialisti che emergono col
protrarsi del convivio.
Di tanto in tanto si organizza qualche serata particolare, per Capodanno, per i fuochi del Pignarul, per
Carnevale, o in occasione delle gare di biliardo, che richiamano, sul "campo di gioco" della mansarda,
una nutrita e combattiva partecipazione femminile. I componenti più assidui del gruppo, oltre a noi,
Marina e Marco, sono (e alcuni erano) Gabriella e Mario Sattanino, Eleonora e Angelo Rubiliani, Mara e
Ligi Buraschi, Carla e Romano Marchesi, Carla e Paolo Mariani, Serena e Dario Fabbro, Rosanna
Bronzini, Paolo Coppetti, Alba e Giacomo Baldazzi, Lea e Roberto Innocenti, Semira e Umberto Matti,
Elena e Renato Ghelardoni, Stefania e Ermanno Cornaggia, Augusta e Cesare Persegani, Antonella e
Gabriele Groppi, Rita e Edoardo Lorenzini, Graziella e Lorenzo Capra, Rosanna e Livio Darin, Adriana
e Sergio Facciolini, cui si associano saltuariamente Giuse, Marisa, Carlo Rossi, i Cardello, Benedetti,
Ceffa, Pavan ed altri amici.
Nei nostri incontri ritorna spesso il ricordo di qualche caro amico che purtroppo ci ha lasciato, ma che
sentiamo sempre presenti.
47
In gruppo dopo le fatiche del biliardo
Conclusioni
Mi sono dedicato alla raccolta di questi appunti soprattutto per il piacere di rivivere i tempi passati;
dovendo in qualche modo descrivere le varie tappe del mio cammino, sono riandato con la memoria su
fatti e persone che in buona parte mi sono apparsi ancora nitidi, mentre altri sono parzialmente
offuscati dal filtro del tempo. In certi casi ho dovuto quindi compiere un salutare sforzo mnemonico che,
ad una certa età come la mia, non può fare che bene. Ho scoperto delle piacevoli sensazioni nel
riprendere in mano vecchi documenti, diari, foto e appunti vari, che hanno risvegliato in me situazioni e
ambienti vissuti in lontani passati, talora ormai dimenticati, come si trattasse di episodi appartenuti ad
altri, o vissuti nel sonno. Ho ricostruito così un itinerario retrospettivo della mia vita finora vissuta, dei
capisaldi che l'hanno delineata, delle figure umane incontrate nel corso del cammino attraverso i vari e
differenti sentieri percorsi nel tempo.
E' chiaro che si tratta di un itinerario legato alla mia persona e non posso certo pretendere che possa
interessare ad altri; mi auguro possa eventualmente servire di guida a chiunque sia in cerca di
ispirazione e di suggerimenti derivati dalle esperienze di vita altrui, oppure possa favorire i ricordi a chi
ne ha di comuni con me.
Sul mio percorso passato mi ritengo abbastanza soddisfatto, grazie anche all'aiuto della buona sorte.
Tra alti e bassi e malgrado gli eventi tristi, talora drammatici, che hanno segnato la mia vita, credo di
poter dare ugualmente alla mia vita stessa un voto positivo: sette decimi.
Ciò è dovuto anche alla fortuna, o meglio al caso o al fato, che mi hanno fatto incontrare, come accade a
tutti, sia nell'ambito privato che nel lavoro, alcuni “benedetti” individui che con il loro comportamento e
le loro decisioni, hanno influenzato favorevolmente il mio cammino. Sono particolarmente grato a
queste persone, ma ricordo con simpatia tutte quelle che ho avuto la fortuna di incrociare lungo la mia
strada e che hanno in qualche modo partecipato alle mie esperienze di vita.
Ciao, mandi e grazie
Federico
San Donato Milanese, ottobre 2009
48
Ciao, Ciao anche da Marina!
Edizione promossa da APVE , Associazione Pionieri e Veterani ENI
[email protected] [email protected]
Pier Federico Barnaba, nato a Buja (Udine), residente a San Donato Milanese;
dopo una serena gioventù trascorsa in Friuli, animata dagli eventi bellici, si laurea “Geologo”
a Padova. Insegna per un anno all’Università di Ferrara e poi, nel 1955, viene assunto
dall’ENI, dove viene impiegato nelle attività di esplorazione petrolifera, dapprima in Italia e
poi all’Estero, in Marocco, Tunisia e Madagascar; accresce così le sue esperienze anche nel
settore del sottosuolo, dello studio dei giacimenti e della gestione societaria. Dal 1972 si occupa,
sia in Italia che all’Estero, degli insorgenti problemi riguardanti la protezione ambientale, la
sismicità, la subsidenza; successivamente, dopo una parentesi nel settore dell’amministrazione
del Personale, assume l’incarico della gestione delle attività operative di alcuni Paesi esteri, tra
i quali Angola, Oman, Algeria, Tanzania, Yemen. Supera alcune traversìe della vita e nel 1985,
in accordo con l’ENI e in seguito a concorso, assume il ruolo di Docente all’Università Studi di
Milano con l’incarico del corso di Geologia degli Idrocarburi, accompagnando alla laurea
numerosi studenti che oggi, da laureati, sono divenuti parte attiva dell’ENI e di altre Società
petrolifere internazionali.
49
APPENDICE 1
Pozzi petroliferi a Belahim, Sinai Egitto
Traffico a Bangkok
In fila a Mosca, Russia
Fumarole nel vulcano Hakone, Giappone
Forme di erosione a Moab – Utah, USA
Veduta aerea di Anchorage, Alaska
Hong Kong, Cina
50
APPENDICE 2
Basilica di Guadalupe, inclinata per
abbassamento del suolo. Mexico City
Fiaccole dal giacimento a olio di Ebocha,
Nigeria
Tomba egizia (6000 anni A.D.), British
Museum, Londra
Predicatore di turno a Hyde Park, Londra
Taxi a Jakarta, Indonesia
Pao de sucre, Rio de Janeiro, Brasil
51
APPENDICE 3
Vita sull’acqua in Tailandia
Passeggiata a Kyoto, Giappone
Moschea ad Algeri
Tokyo, Giappone
Impianto di perforazione petrolifera
“mascherato” da grattacielo a Long Beach,
California USA
Bangkok
52
APPENDICE 4
Note su famiglia Barnaba di Buja
Qualche considerazione sul prestigioso passato della famiglia e sulla vivace intraprendenza di alcuni
nostri antenati e predecessori che, come testimoniato e tramandato dagli storiografi, si sono distinti in
atti patriottici o in seri impegni di natura professionale, culturale o politica.
L’albero genealogico dei Barnaba di Buja, testimoniata dalla documentazione del 1070, risale
ufficialmente a Fridericus de Baden, il “nobilissimus ac strenuissimus Miles, Signore di alcuni Castelli
del Friuli, tra cui quello di Buja, il centro collinare che fu sede di insediamenti umani fin dalla
Preistoria e che, grazie alla sua posizione, fu luogo di difesa e di controllo verso la Pianura friulana e
verso la Julia-Augusta, importante via di comunicazione tra nord e sud delle Alpi.
Alcuni discendenti di Fridericus sono poi citati dalla memoria storica quali combattenti delle Crociate,
mentre altri tentarono di affermare il diritto all’indipendenza del medio Friuli opponendosi alle truppe
del Patriarca di Aquileia e ai soldati del Conte di Gorizia, che aspiravano ad annettersi quel territorio.
In seguito, nel 1371, un Barnaba (Enrico) fu chiamato a formulare il primo statuto della Comunità di
Buja, di ispirazione laica, con il quale si rinunciava, per la libertà, ai privilegi feudali.
Nei successivi secoli 1600 e 1700 alcuni componenti della famiglia Barnaba occuparono prestigiosi ruoli
pubblici: notai, avvocati, procuratori presso la Serenissima, vicari, sacerdoti.
La rivoluzione francese e le successive imprese napoleoniche ispirarono idee di indipendenza e di unità
nazionale e i Barnaba ne furono vivamente coinvolti, anche nella componente femminile; vi fu una
partecipazione alla spedizione napoleonica in Russia e soprattutto un esteso impegno nelle guerre e nei
moti di indipendenza tra il 1848 e il 1866, anche al seguito di Garibaldi, quando il Friuli era ancora
sotto il dominio austro-ungarico.
Mio bisnonno Pietro si distinse in varie azioni di guerra contro le truppe austriache di occupazione e nel
1848 fu impegnato nella difesa del Forte di Osoppo, avendo costituito un gruppo di volontari, chiamati “i
Crociati di Buja”. Ottenuta l’indipendenza, Pietro fu eletto primo Sindaco di Buja. Lo si ricorda come
dotato di una forza erculea, che in gioventù aveva richiamato l’attenzione di alcuni docenti filo-austriaci
dell’Università di Padova, allertati dalle idee rivoluzionarie di Pietro.
Un’altra azione clamorosa, anche per l’elevato rischio che l’ha accompagnata, fu quella compiuta
durante la prima Guerra mondiale, nel 1918, dal nostro cugino Pier Arrigo, Tenente dell’Esercito
italiano, che si fece paracadutare in territorio occupato dal nemico per poter raccogliere e trasmettere (a
mezzo di colombi viaggiatori) al proprio comando militare, schierato sul Piave, informazioni sui
movimenti delle truppe austriache, in vista della controffensiva italiana. Pier Arrigo fu insignito della
Medaglia d’oro per meriti di guerra e fu poi nominato Deputato alla Camera e successivamente Podestà
di Udine, pur dimostrando una certa resistenza nei riguardi del Regime.
Molto pesante fu il tributo personale offerto da alcuni membri della nostra famiglia anche alle due
guerre mondiali. Pietro, fratello di mio padre, che prestava servizio come ufficiale di macchina
sull’Esploratore Rossarol, morì nel novembre 1918 al largo di Pola in seguito all’affondamento della
nave, colpita da una mina nemica. La drammatica notizia della sua scomparsa giunse ai miei nonni
paterni, Ciro e Ida, che avevano forzatamente abbandonato la loro casa di Buja in occasione della
ritirata di Caporetto ed erano profughi a Parma, in attesa di rientrare in Friuli. Si ritrovarono così con
la grave perdita di uno dei due giovani figli partiti per la guerra.
Tra i Barnaba vi furono altre due vittime nella seconda Guerra mondiale: Ermanno, figlio di Nino,
Capitano dei granatieri di Sardegna, fu fucilato dai nazisti ad Atene nel 1943, a 32 anni, per essersi
unito alle forze partigiane greche; fu decorato di medaglia d’argento al valor militare.
La seconda vittima fu Adolfo, Direttore dell’Italcementi di Bergamo, arrestato dai tedeschi per attività di
guerriglia partigiana e deportato in Germania, dove morì in campo di concentramento nell’agosto 1944.
Mio padre, Renato, partecipò attivamente ad ambedue le guerre mondiali; nel 1917, non ancora
diciottenne, fu chiamato alle armi e visse con intensità, come afferma nei suoi ricordi, alcuni mesi di
trincea sui Monti Lessini, sopra Rovereto, come Ufficiale dell’8° Reggimento Alpini, Battaglione Monte
Arvenis, facendo poi parte delle truppe che sfondarono l’ultima resistenza austriaca ed entrarono a
Trento il 2 novembre 1918. Fu uno dei bravi “ragazzi del 99”. Nel giugno 1940 fu richiamato alle armi
con il grado di Capitano e fu assegnato, in considerazione della sua professionalità, al reparto alpino di
fotorilevamento sul fronte italo-francese. Tornò a casa indenne.
(feba)
53