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Appunti del corso in formato PDF
Enrico Piga
LE OPERE DI ADDUZIONE
Appunti di Costruzioni Idrauliche
per gli allievi del nuovo ordinamento
Università degli Studi di Cagliari
Facoltà di Ingegneria
Dipartimento di Ingegneria del Territorio
Sezione di Idraulica
Queste dispense raccolgono e riordinano il materiale
didattico delle lezioni riguardanti le opere d’adduzione, con
lo scopo di fornire agli allievi del nuovo ordinamento
didattico un riferimento ed un ausilio allo studio della
disciplina. Esse pertanto non costituiscono un testo completo
della materia e potranno essere utilmente integrate
consultando le principali opere sugli acquedotti riportate
nella bibliografia.
1. GENERALITA' SUGLI ACQUEDOTTI
Prende il nome di ACQUEDOTTO l'insieme delle tubazioni, dei manufatti e delle
apparecchiature destinate all'approvvigionamento idrico delle utenze.
In dipendenza della natura di queste ultime, gli acquedotti vengono distinti in
acquedotti civili, acquedotti industriali ed opere d'irrigazione:
• gli acquedotti civili sono destinati alla copertura dei fabbisogni idropotabili dei centri
urbani;
• gli acquedotti industriali sono destinati all'approvvigionamento idrico delle industrie;
• le opere d'irrigazione sono infine destinate a soddisfare le necessità idriche delle
colture.
I tre tipi di opere condividono la maggior parte delle problematiche progettuali e
costruttive e si differenziano tra loro solamente per alcuni aspetti. In particolare, a seconda
che l'utenza da servire sia costituita dalla popolazione di un insediamento urbano, dalle
industrie di una area industriale o dalle aziende di un comprensorio irriguo, saranno
ovviamente differenti le modalità di valutazione delle portate di dimensionamento, i
requisiti di qualità delle acque e la struttura della rete di distribuzione, che costituisce la
parte terminale del sistema.
Nell'ambito del corso sarà trattato solamente il problema del dimensionamento degli
acquedotti civili; tuttavia, tenendo a mente le differenze sopra accennate, l'approccio
generale alla progettazione, i criteri e le alternative da considerare per il dimensionamento
idraulico ed il disegno dei principali manufatti lungo linea sono essenzialmente gli stessi
per i tre tipi di opere.
1.1. Schema di un acquedotto civile
Prima di procedere all'esame del processo di dimensionamento, conviene illustrare
sommariamente le varie opere ed impianti costituenti un acquedotto facendo riferimento al
semplice schema al servizio di un unico centro urbano riportato nel profilo di figura 1.1.
Figura 1.1 – Schema di un acquedotto.
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Partendo da monte, la prima opera del sistema è l'opera di presa o di captazione.
Essa, come dice lo stesso nome, assolve la funzione di captare la risorsa idrica e renderla
disponibile per le successive fasi di trattamento, trasporto, accumulo e distribuzione. La
forma generale dell'opera di presa dipende dal tipo di risorsa captata: essa è costituita da
un sistema di vasche nel caso di prese di sorgenti, da pozzi tubolari o da gallerie drenanti
nel caso di captazione di falde profonde o superficiali (figura 1.2), da traverse dotate di
derivazione laterale o di impianti di sollevamento nel caso di prese da corsi d'acqua, da
torri di presa nel caso di acque superficiali derivate da opere d’invaso (figura 1.3).
Figura 1.2 – Opere di presa di acque sotterranee: presa da sorgente e presa da falda.
Figura 1.3 – Opere di presa di acque superficiali: presa da un corso d’acqua mediante sollevamento e presa da un
invaso mediante torre di presa.
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Subito a valle dell'opera di presa è usualmente ubicato l'impianto di trattamento che
conferisce all'acqua le caratteristiche di potabilità richieste eliminando mediante processi
fisici e chimici le sostanze indesiderate presenti nell'acqua grezza.
Figura 1.4 – Attraversamento stradale in cunicolo.
Dall'impianto di potabilizzazione origina l'acquedotto esterno, costituito usualmente da
una rete aperta di condotte adduttrici in pressione posate in fossa interrata che alimentano
i serbatoi d'accumulo ubicati nelle immediate vicinanze dei centri urbani. Lungo l'adduttrice
sono presenti numerose opere d'arte: manufatti d'attraversamento in corrispondenza agli
incroci tra la condotta e la rete viaria, la rete ferroviaria ed i corsi d'acqua (figure 1.4 e
1.5), eventuali impianti di sollevamento, partitori a pelo libero e in pressione, vasche di
disconnessione nonché numerosi piccoli manufatti detti pozzetti, destinati ad ospitare le
apparecchiature di manovra e regolazione (figura1.6).
Figura 1.5 –Attraversamento aereo di un corso d’acqua.
Nella maggior parte dei sistemi d’approvvigionamento il manufatto terminale
dell'acquedotto esterno è costituito da un serbatoio di testata, interrato, seminterrato o
pensile (figure 1.7 e 1.8), che svolge funzioni di regolazione delle portate e di riserva a
fronte di interruzioni dell'adduzione e di prelievi per lo spegnimento degli incendi. Dal
serbatoio inizia infine la rete di distribuzione, costituita da una sistema di condotte posate
in ogni strada del centro che assicurano la fornitura di acqua potabile a tutti gli utenti. A
fronte di particolari morfologie del territorio circostante il centro, al posto del serbatoio di
testata viene realizzato un torrino piezometrico mentre il manufatto d'accumulo, chiamato
in questo caso serbatoio di estremità, è disposto alla periferia opposta del centro ed è
alimentato tramite la stessa rete di distribuzione.
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LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Figura 1.6 – Pozzetto di scarico.
Non tutte le opere sopra indicate sono sempre presenti in ogni acquedotto: esse infatti
dipendono dalle caratteristiche della risorsa e dei centri da servire, dalla morfologia e dalla
altimetria dei territori attraversati e dalla densità della rete viaria e idrografica, le quali
condizionano sostanzialmente la soluzione progettuale adottata. In presenza di acque con
buone caratteristiche potabili, ad esempio, l'impianto di trattamento può consistere nel solo
stadio di disinfezione mentre, a seconda del territorio interessato dal tracciato, possono
mancare i manufatti di attraversamento, i partitori o le centrali di sollevamento.
Figura 1.7 – Serbatoio interrato con impianto di sollevamento.
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Figura 1.8 – Serbatoio pensile.
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LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
2. LA QUALITÀ DELLE ACQUE POTABILI
2.1. Le caratteristiche delle acque naturali
In tutte le acque naturali sono sovente presenti, in differente misura a seconda della
risorsa considerata, sostanze solide e gassose in soluzione, sostanze solide in
sospensione, sostanze organiche morte ed organismi viventi.
Le acque meteoriche contengono in soluzione i gas costituenti l'atmosfera, mentre non
presentano, se non occasionalmente, sostanze solide ed organiche. Esse costituiscono
una risorsa quantitativamente marginale per l'uso civile e la loro utilizzazione è limitata a
piccoli sistemi di raccolta, talvolta adottati per l'alimentazione di case isolate.
Le acque superficiali hanno caratteristiche molto variabili sia nel tempo che da sito a
sito. Sono in generale poco mineralizzate ma contengono residui organici, microrganismi
anche patogeni e sostanze inquinanti di varia natura derivanti dagli scarichi dei centri
urbani o presenti sul suolo. Soprattutto nei periodi più piovosi esse presentano una forte
torbidità ed un alto contenuto di materie in sospensione.
Grazie al processo di filtrazione cui sono sottoposte lungo il loro percorso, le acque
sotterranee sono usualmente povere di sostanze organiche mentre hanno spesso un
elevato contenuto di sostanze solide e gassose disciolte, in dipendenza dalla natura dei
terreni attraversati. Sovente esse presentano caratteristiche idonee all'uso potabile,
richiedendo limitati trattamenti depurativi e di disinfezione. Tra di esse, in particolare, le
acque di sorgente sono state le prime risorse tradizionalmente captate per l'uso potabile.
Le principali sostanze gassose in soluzione nelle acque superficiali e sotterranee sono
l'azoto, l'ossigeno e l'anidride carbonica. Esse sono presenti in percentuali differenti da
quelle dell'atmosfera, sia per la diversa solubilità in acqua dei gas sia in quanto gli strati
superficiali del suolo interessati dal deflusso e dall'infiltrazione sono sede di intensi
processi biochimici e sono molto ricchi di anidride carbonica. La maggior parte di sostanze
solide disciolte nelle acque naturali è costituita dai bicarbonati, dai solfati e dai cloruri di
calcio, magnesio, sodio e potassio, presenti sia come molecole indissociate che come ioni
positivi e negativi. I sali di calcio e di magnesio costituiscono la durezza dell'acqua, che si
usa distinguere in durezza temporanea e durezza permanente. La prima è costituita dai
bicarbonati e viene eliminata mediante riscaldamento, che trasforma i bicarbonati in
carbonati scarsamente solubili che precipitano, mentre la seconda è prevalentemente
costituita da solfati e, in piccola parte, da cloruri, fosfati ed altri sali. La durezza dell'acqua
viene usualmente espressa in gradi francesi, la cui unità corrisponde a 10 mg/l di CaCO3.
Tra le altre sostanze disciolte nelle acque naturali rivestono importanza i sali di ferro e
manganese che, pur non essendo in genere in quantità tale da risultare nocivi,
conferiscono all'acqua sapore e colore sgradevoli. Sono inoltre spesso presenti cloruri,
solfati, fosfati e floruri in quantità molto variabili da caso a caso, derivanti dal dilavamento
dei terreni e delle formazioni rocciose interessate dal deflusso. Il totale dei sali disciolti
costituisce il residuo fisso, che si ottiene per riscaldamento ed evaporazione, ed il residuo
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E. Piga
secco, ottenibile per ulteriore riscaldamento dopo la completa evaporazione, per i quali le
norme di potabilità fissano dei limiti di accettabilità. Di particolare rilevanza sono infine i
composti dell'azoto, e, in specifico, l'ammoniaca, i nitriti ed i nitrati, che sono considerati
indicatori di inquinamento da sostanze organiche, di origine recente o remota a seconda
del grado di ossidazione dell’azoto.
Mentre le acque sotterranee non contengono di norma sostanze in sospensione, esse
sono invece sempre presenti nelle acque superficiali, ma la loro quantità varia
notevolmente nel tempo a seconda dello stato di magra o di piena dei corsi d'acqua. Le
sostanze in sospensione vengono distinte in sostanze sedimentabili, che possono essere
eliminate per semplice decantazione, e sostanze non sedimentabili, come le soluzioni
colloidali, che richiedono l'adozione di specifici processi chimico-fisici.
Le sostanze organiche presenti nelle acque naturali sono costituite da microrganismi
viventi (flora batterica, microfauna e microflora) e da residui organici, consistenti in parti di
tessuto animale e vegetale e in prodotti del metabolismo di essere viventi. Il contenuto
organico viene determinato indirettamente mediante misurazione dell'ossigeno necessario
ad una completa ossidazione della sostanza organica, introducendo nell'acqua sostanze
come il permanganato di potassio che cede facilmente l'ossigeno. Il contenuto di
organismi viventi viene determinato mediante analisi microscopica e, per quanto riguarda
la flora batterica, mediante coltura e computo delle colonie formatesi.
L’attuale normativa italiana (D.L. n. 258 del 18.08.2000) non prevede nessun vincolo
all'impiego delle acque sotterranee mentre classifica le acque superficiali destinate alla
produzione di acqua potabile nelle tre categorie denominate A1, A2, ed A3, in relazione
alla presenza di una serie di sostanze indesiderabili o dannose. Per il loro utilizzo, le
acque che ricadono nella categoria A1 devono essere sottoposte a trattamenti fisici e
disinfezione, quelle della categoria A2 a trattamenti fisico-chimici normali e disinfezione
mentre quelle della categoria A3 a trattamenti fisico-chimici spinti, affinazione e
disinfezione. Le acque che non rientrano nei limiti della categoria A3 possono essere
utilizzate solo in via eccezionale per l'uso idropotabile. Nella tabella 2.1 sono riportati per
le tre categorie i valori guida (G) ed i limiti di accettabilità (I) delle varie sostanze.
Tabella 2.1 – Caratteristiche di qualità per le acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile.
Numero
parametro
1
2
3
4
5
6
7*
8
9
10*
11*
12
13
14
15
16
Unità pH
A1
G
6,5-8,5
A1
I
.
A2
G
5,5-9
A2
I
-
A3
G
5,5-9
A3
I
-
mg/L scala pt
10
20(o)
50
100(o)
50
200(o)
25
22
1000
25(o)
-
22
1000
25(o)
-
22
1000
25(o)
-
3
-
10
-
20
-
Parametro
Unità di misura
pH
Colore (dopo filtrazione
semplice)
Totale materie in sospensione
Temperatura
Conduttività
mg/L MES
°C
µS/cm a 20°
Fattore di diluizione a 25°
Odore
C
Nitrati
mg/L NO3
Fluoruri (1)
mg/L F
Cloro organico totale estraibile
mg/L Cl
Ferro disciolto
mg/L Fe
Manganese
mg/L Mn
Rame
mg/L Cu
Zinco
mg/L Zn
Boro
mg/L B
Berillio
mg/L Be
Cobalto
mg/L Co
7
25
0,7/1
0,1
0,05
0,02
0,5
1
-
50(o)
1,5
0,7/1,7
0,3
1
0,1
0,05(o) 0,05
3
1
1
-
50(o)
50(o)
0,7/1,7
2
1
1
1
5
1
5
1
-
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25
26
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28
29
30*
31
32
33
34
35*
36*
37*
38
39
40
41
42
43
44
45
46
Nichelio
Vanadio
Arsenico
Cadmio
Cromo totale
Piombo
Selenio
Mercurio
Bario
Cianuro
Solfati
Cloruri
Tensioattivi (che reagiscono al
blu di metilene)
Fosfati (2)
Fenoli (indice fenoli)
paranitroanilina, 4
amminoantipirina
Idrocarburi disciolti o
emulsionanti (dopo estrazione
mediante etere di petrolio)
Idrocarburi policiclici aromatici
Antiparassitari-totale
(parathion, HCH, dieldrine)
Domanda chimica Ossigeno
(COD)
Tasso di saturazione
dell'ossigeno disciolto
A 20° C senza nitrificazione
domanda biochimica di
ossigeno (BOD5)
Azoto Kjeldaht (tranne NO2
ed NO3)
Ammoniaca
Sostanze estraibili al
cloroformio
Carbonio organico totale
Carbonio organico residuo
(dopo flocculazione e
filtrazione su membrana da
5µ) TOC
Coliformi totali
Coliformi fecali
Streptococchi fecali
Salmonella
mg/L Ni
mg/L V
mg/L As
mg/L Cd
mg/L Cr
mg/L Pb
mg/L Se
mg/L Hg
mg/L Ba
mg/L CN
mg/L SO4
mg/L Cl
0,01
0,001
0,0005
150
200
0,05
0,005
0,05
0,05
0,01
0,001
0,1
0,05
250
-
0,05
0,05
0,1
0,001 0,005 0,001 0,005
0,05
0,05
0,05
0,05
0,01
0,01
0,0005 0,001 0,0005 0,001
1
1
0,05
0,05
150
250(o) 150 250(o)
200
200
-
Mg/L (solfato di laurile)
0,2
-
0,2
-
0,5
-
mg/L P2O5
0,4
-
0,7
-
0,7
-
Mg/L C6H5OH
-
0,001
0,001
0,005
0,01
0,1
mg/L
-
0,05
-
0,2
0,5
1
mg/L
-
0,0002
-
0,0002
-
0,001
mg/L
-
0,001
-
0,0025
-
0,005
mg/L O2
.
-
-
-
30
-
% O2
> 70
-
> 50
-
> 30
-
mg/L O2
<3
-
<5
-
<7
-
mg/L N
1
-
2
-
3
-
mg/L NH4
0,05
-
1
1,5
2
4(o)
mg/L SEC
0,1
-
0,2
-
0,5
-
mg/L C
-
-
-
-
-
-
mg/L C
-
-
-
-
-
-
/100 mL
/100 mL
/100 mL
-
50
20
20
assenza
in 5000
mL
-
5000
2000
1000
assenza
in 1000
mL
.
-
50000
20000
10000
-
.
-
Categoria A1 - Trattamento fisico semplice e disinfezione
Categoria A2 - Trattamento fisico e chimico normale e disinfezione
Categoria A3 - Trattamento fisico e chimico spinto, affinazione e disinfezione
I = Imperativo ; G = Guida
2.2. Le caratteristiche delle acque destinate al consumo umano
Le caratteristiche delle acque destinate al consumo umano sono fissate dal D.Lgs. n.
27 del 2.02.2002, che recepisce la direttiva comunitaria 98/83/CE. La norma fissa i
requisiti minimi per una serie di parametri microbiologici e chimici, riportati nelle tabelle
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seguenti (Parte A e B), nonché una serie di parametri indicatori (Parte C). In caso di non
conformità alle specifiche di quest’ultimo elenco, l’Autorità d’ambito dispone opportuni
provvedimenti per il ripristino della qualità. Il Decreto fissa inoltre i parametri da sottoporre
al controllo di routine e di verifica e la frequenza dei relativi campionamenti e specifica
inoltre le unità di misura ed il tipo di analisi con il quale effettuare le determinazioni.
PARTE A - Parametri microbiologici
Valore di parametro
(numero/100ml)
Parametro
Escherichia coli (E. coli)
0
Enterococchi
0
PARTE B - Parametri chimici
Valore di parametro
Unità di
misura
Acrilammide
0,10
µg/l
Antimonio
5,0
µg/l
Arsenico
10
µg/l
Benzene
1,0
µg/l
0,010
µg/l
Boro
1,0
µg/l
Bromato
10
µg/l
Cadmio
5,0
µg/l
Cromo
50
µg/l
Rame
1,0
mg/l
Cianuro
50
µg/l
1, 2 dicloroetano
3,0
µg/l
Epicloridrina
0,10
µg/l
Fluoruro
1,50
mg/l
Piombo
10
µg/l
Mercurio
1,0
µg/l
Nichel
20
µg/l
Nota 3
Nitrato (come NO in
base 3)
50
mg/l
Nota 5
Nitrito (come NO in base
2)
0,50
Mg/l
Nota 5
Antiparassitari
0,10
µg/l
Note 6 e 7
Antiparassitari-Totale
0,50
µg/l
Note 6 e 8
Idrocarburi policiclici
aromatici
0,10
µg/l
Somma delle concentrazioni
di composti specifici; Nota 9
Selenio
10
µg/l
Tetracloroetilene
Tricloroetilene
10
µg/l
Parametro
Benzo(a)pirene
9
Note
Nota 1
Nota 2
Nota 3
Nota 1
Note 3 e 4
Somma delle concentrazioni
dei parametri specifici
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Trialometani-Totale
30
µg/l
Somma concentrazioni di
composti specifici;
Cloruro di vinile
0,5
µg/l
Nota 1
Clorito
200
µg/l
Nota 11
Vanadio
50
µg/l
PARTE C - Parametri indicatori
Valore di parametro
Unità di
misura
Alluminio
200
µg/l
Ammonio
0,50
mg/l
Cloruro
250
mg/l
Nota 1
0
Numero/100 ml
Nota 2
2500
µScm-1 a 20° C
Nota 1
≥ 6,5 e ≤ 9,5
Unità pH
Ferro
200
µg/l
Manganese
50
µg/l
Parametro
Clostridium perfringens
(spore comprese)
Colore
Conduttività
Concentrazione ioni
idrogeno
Odore
Note
Accettabile per i
consumatori e senza
variazioni anomale
Note 1 e 3
Accettabile per i
consumatori e senza
variazioni anomale
Ossidabilità
5,0
Mg/l O2
Nota 4
Solfato
250
mg/l
Nota 1
Sodio
200
mg/l
Sapore
Conteggio delle colonie a
22 °C
Batteri coliformi a 37°C
Carbonio organico totale
(TOC)
Torpidità
Accettabile per i
consumatori e senza
variazioni anomale
Senza variazioni anomale
0
Numero/100 ml
Nota 5
Senza variazioni anomale
Nota 6
Accettabile per i
consumatori e senza
variazioni anomale
Nota 7
Il limite inferiore vale per
le acque sottoposte a
trattamento di
addolcimento o di
dissalazione
Durezza *
Residuo secco a 180°C **
Disinfettante residuo ***
* valori consigliati: 15-50° F.; ** valore massimo consigliato: 1500 mg/L. ; *** valore consigliato 0,2 mg/L (se impiegato).
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E. Piga
2.3. I trattamenti di potabilizzazione
I trattamenti di potabilizzazione ed il dimensionamento dei relativi impianti formano
l'oggetto di specifici insegnamenti facenti parte dell'ingegneria sanitaria-ambientale.
Nell'ambito del presente corso ci si limiterà pertanto a brevi cenni sull'argomento,
rinviando per gli approfondimenti all'ampia letteratura tecnica esistente.
I trattamenti fisici semplici hanno lo scopo di eliminare dall'acqua grezza le sostanze in
sospensione. I processi più importanti sono la grigliatura, la stacciatura e la
microstacciatura, la sedimentazione e la filtrazione.
La grigliatura ha la funzione d'intercettare i corpi solidi di maggiore dimensione ed è
spesso modulata in due fasi successive: una grigliatura grossolana, con luci libere tra le
sbarre di alcuni centimetri ed una grigliatura fine, con aperture libere di una decina di
millimetri. La pulizia delle griglie, che si intasano progressivamente durante il
funzionamento, viene effettuata meccanicamente mediante dei rastrelli mobili che
asportano in modo continuo o intermittente il materiale intercettato (vedi figura 2.1).
Figura 2.1 – Griglia munita di rastrello rotante.
La stacciatura e la microstacciatura sono dei processi simili alla grigliatura. L'acqua
grezza viene fatta passare attraverso delle tele filtranti avvolte su di una intelaiatura
cilindrica (tamburo), parzialmente immersa nella corrente. Le dimensioni delle aperture
delle tele filtranti è dell'ordine di 0,5 mm negli stacci e
di 50 µm nei microstacci. Il tamburo ruota in modo
continuo intorno ad un asse orizzontale in modo da
portare al disopra del pelo libero la parte di tela
precedentemente immersa e consentirne la pulizia,
che viene effettuata mediante getti d'acqua in
pressione.
La sedimentazione consiste nell'immettere l'acqua
grezza in vasche a pelo libero di dimensione
trasversale tale da determinare bassi valori di velocità
e consentire durante l’attraversamento della vasca la
sedimentazione delle particelle sospese.
La filtrazione è un processo utilizzato per eliminare dall'acqua grezza le sostanze non
sedimentabili e consiste nel filtrare la portata attraverso un letto filtrante costituito da uno
strato di materiale sciolto di piccola granulometria. Mentre nel caso di piccole portate sono
spesso adottati filtri in pressione, la tecnica di filtrazione più diffusa per gli impianti di
11
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
medie e grandi dimensioni è quella dei filtri veloci a gravità, nei quali si adottano velocità di
filtrazione anche superiori a 6 m/ora. Essi sono costituiti da una vasca dotata di un falso
fondo munito di ugelli, al di sopra del quale viene disposto il letto filtrante formato da uno
stato di sabbia silicea o altro materiale, con spessore dell'ordine di un metro (figura 2.2).
La portata da filtrare viene immessa uniformemente in tutta la vasca ed ha una altezza del
pelo libero rispetto al falso fondo di circa 2 metri. Dopo aver attraversato il letto filtrante e
gli ugelli del falso fondo, l'acqua raggiunge l'intercapedine sottostante dalla quale viene
derivata tramite una tubazione munita di un organo di regolazione, che determina una
perdita di carico aggiuntiva a quella dovuta al filtro. Poiché durante il funzionamento le
perdite di carico nel filtro aumentano a causa del progressivo intasamento, per mantenere
costante il livello nella vasca viene contemporaneamente ridotta la perdita di carico
aggiuntiva dell'organo di regolazione. Quando il filtro è completamente intasato e l'organo
di regolazione completamente aperto, la fase di filtrazione viene interrotta ed il filtro viene
lavato in controcorrente. Il lavaggio viene effettuato immettendo dal falso fondo aria ed
acqua in pressione, che hanno l'effetto di far espandere il letto, mettere in rapida
agitazione i grani del letto filtrante e rimuovere il materiale trattenuto. L'acqua di lavaggio,
carica di materiale in sospensione, tracima entro un canale di raccolta disposto entro la
vasca e viene avviata allo scarico.
Figura 2.2 – Schema di un filtro rapido.
La durata della fase di filtrazione dipende dal carico di sostanze sospese nell'acqua
grezza ed è usualmente compresa tre le 12 e le 36 ore mentre la fase di lavaggio ad aria
ed acqua è dell'ordine di alcune decine di minuti. Per assicurare la continuità del
trattamento anche a fronte di un funzionamento intermittente dei singoli filtri, gli impianti
prevedono usualmente più filtri disposti in parallelo.
Il principale trattamento chimico-fisico semplice è la chiarificazione (figura 2.3),
adottata per le acque delle categorie A2 ed A3, che consente l'abbattimento delle
sostanze presenti sotto forma di sospensioni colloidali. Il processo consiste nell'additivare
all'acqua grezza dei reattivi (flocculanti) che formano un precipitato in forma di fiocchi che
inglobano le particelle in sospensione consentendone la decantazione. Negli impianti
attuali, la fase di mescolamento dei reattivi, quella di flocculazione e quella di
sedimentazione avvengono in unica vasca, spesso di forma circolare, talvolta dotata di
setti che convogliano l'acqua grezza nelle zone ove avvengono i diversi processi.
12
E. Piga
I coagulanti più diffusi sono i solfati e gli idrossidi di alluminio e ferro ed i polielettroliti
organici, costituiti da grosse molecole solubili in acqua. La chiarificazione è di regola
associata ad uno stadio di filtrazione su letto di sabbia, che elimina quella parte di fiocchi
rimasti in sospensione nell'acqua chiarificata.
Figura 2.3 – Schema di un chiarificatore.
In relazione alle caratteristiche dell'acqua da trattare sono spesso adottati altri processi
di tipo chimico, finalizzati all'eliminazione di specifiche sostanze in soluzione presenti
nell'acqua grezza. Tra di essi citiamo, in particolare, l'addolcimento, adottato in presenza
di acque molto dure, che consente di ridurre il contenuto di calcio e magnesio con
l'aggiunta di calce, che trasforma i bicarbonati in carbonati, e di soda, che trasforma cloruri
e solfati in carbonati ed idrossidi poco solubili. Altri processi sono la deferrizzazione e la
demanganizzazione, che eliminano il ferro e il manganese, e la stabilizzazione, che
corregge le caratteristiche incrostanti o aggressive dell'acqua grezza.
I processi di disinfezione più diffusi sono la clorazione, l'ozonizzazione e
l'attinizzazione. Il primo di questi processi consiste nell'addittivare all'acqua il cloro, sia
sotto forma di ipoclorito di sodio che di cloro gas, che ha un elevato potere ossidante e
battericida. L'impiego del cloro gas, assai più efficace dell'ipoclorito di sodio, trova tuttavia
delle limitazioni legate alla pericolosità della sostanza ed alle necessarie procedure di
sicurezza da adottare per il suo uso. Entrambi i disinfettanti, inoltre, possono dar luogo, a
seconda delle caratteristiche dell'acqua e particolarmente in presenza di forti contenuti di
sostanze organiche, a composti tossici.
L'ozonizzazione consiste nell'immettere nell'acqua dell'ozono, che viene prodotto
sottoponendo a scariche elettriche una corrente d'aria preliminarmente essiccata. L'aria
ricca di ozono viene quindi insufflata nell'acqua da trattare, nella quale l'ozono passa in
soluzione esercitando una efficace azione battericida. Poiché l'ozono tende ad ossidare
prioritariamente i residui organici morti, occorre preventivamente chiarificare e filtrare
l'acqua, in modo da abbattere il contenuto di sostanze organiche. L'ozonizzazione
presenta il vantaggio di migliorare anche le caratteristiche organolettiche dell'acqua,
eliminando sapori ed odori sgradevoli. La diffusione del processo è tuttavia limitata dal suo
alto costo di gestione.
Un terzo processo di disinfezione, anch'esso di costo elevato, è quello
dell'irraggiamento con raggi ultravioletti (attinizzazione). Esso consiste nell'irraggiare
l'acqua mediante raggi ultravioletti prodotte da lampade a vapori di mercurio. La
13
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
limitazione nella diffusione di questa tecnica è legata, oltre che al costo elevato, alla
necessità di assicurare una ottima limpidezza dell'acqua che scorre sotto le lampade, che
deve presentare un battente massimo di una ventina di centimetri ed essere esposta ai
raggi per alcuni secondi.
14
E. Piga
3. I FABBISOGNI IDROPOTABILI DEI CENTRI URBANI
Nella progettazione di un acquedotto la prima grandezza da determinare è la portata
da addurre al centro urbano, per il cui valore occorre dimensionare le condotte e le varie
opere d'arte. Essa sarà ovviamente commisurata al fabbisogno idrico del centro, che
rappresenta il volume giornaliero medio nell’arco dell’anno, necessario per la copertura di
tutti i differenti usi esistenti nel centro.
Il fabbisogno idropotabile di un centro urbano dipende da molti fattori, tra i quali,
principalmente:
• l'entità della popolazione;
• l'attività lavorativa prevalente;
• il livello di benessere della popolazione;
• il costo dell'acqua potabile;
• la tipologia edilizia;
• il clima;
• la disponibilità di acqua;
• l'efficienza della rete;
• la pressione in rete;
• la presenza di contatori.
Le leggi di dipendenza tra essi ed il fabbisogno idrico non sono però sufficientemente
precise e conosciute da consentire affidabili determinazioni quantitative. E ciò anche
perché nella progettazione di un acquedotto non si fa riferimento ai fabbisogni attuali, che
potrebbero essere direttamente misurati, ma bensì ai fabbisogni futuri, che si
verificheranno dopo 40-50 anni dalla costruzione.
Questa esigenza nasce dal fatto che la durata media dei sistemi di acquedotto è
piuttosto lunga. Si stima mediamente che le opere possano restare in esercizio circa 40
anni prima che gli oneri di manutenzione diventino così elevati da rendere
economicamente più conveniente il rifacimento. Nell'arco di tale periodo i consumi idrici e
quindi la portata da addurre tenderanno presumibilmente a crescere, come si è verificato
nel passato, sia perché l'entità della popolazione servita aumenta in generale nel tempo,
sia perché il fabbisogno idrico pro-capite cresce con lo sviluppo ed il benessere
economico. Poiché i costi di realizzazione delle opere non variano proporzionalmente alla
portata ma hanno un andamento non lineare caratterizzato da un elevato un costo fisso
iniziale (figura 3.1), risulta conveniente dimensionare le opere per la portata relativa
all'ultimo anno della loro vita utile piuttosto che frazionare l'intervento in provvedimenti
parziali che comporterebbero costi complessivi più elevati.
15
costo
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
portata
Figura 3.1 - Andamento dei costi di un acquedotto al variare della portata di dimensionamento
Da quanto sopra esposto emerge con evidenza sia la difficoltà di valutare globalmente
il fabbisogno di un centro urbano sia l'aleatorietà che contrassegna qualunque stima
venga effettuata. E' quindi invalsa la procedura di ripartire la determinazione in due
differenti stime: ad una data di circa 40 anni successiva a quella della progettazione
vengono valutate separatamente l'entità della popolazione e la dotazione unitaria media
annua (espressa usualmente in litri/ab giorno), che rappresenta il volume giornaliero
medio annuo assegnato ad ogni abitante per coprire tutti i consumi che si verificano nel
centro. Ovviamente, la dotazione unitaria non ha lo stesso valore in tutti i centri, ma viene
fatta variare in dipendenza dei principali fattori sopra richiamati. Il prodotto del numero di
abitanti per la dotazione unitaria fornisce il fabbisogno giornaliero del centro espresso in
litri/giorno, da cui è immediato calcolare la portata media annua necessaria.
L'incertezza delle stime sia della presuntiva popolazione che della dotazione unitaria
ha però evidenziato la necessità di fissare dei criteri di valutazione uniformi delle due
grandezze. Questo compito è assolto dai Piani Regolatori Generali degli Acquedotti,
predisposti su base regionale a seguito della legge 129 del 4.2.1963, nei quali vengono
stimati, con criteri e metodologie omogenei in tutti i centri urbani, sia l'entità della
popolazione futura che la dotazione unitaria. Nei Piani vengono inoltre assegnate le
risorse idriche da cui attingere per ogni centro e vengono predisposti gli schemi generali
degli acquedotti.
In Sardegna il primo PRGA è stato stilato nel 1966. Le proiezioni dell'entità della
popolazione e della dotazione unitaria effettuate in tale sede hanno però mostrato, già nei
successivi anni, evidenti limiti, per cui si è dovuto procedere nei primi anni ‘80 alla stesura
di un nuovo PRGA. Il Piano è stato questa volta dichiaratamente concepito come uno
strumento dinamico, che doveva per sua natura essere sottoposto ad aggiornamenti e
revisioni, al mutare delle condizioni assunte a base delle valutazioni. In particolare, è stata
recentemente effettuata una ulteriore revisione delle stime delle popolazioni, delle
dotazioni e degli schemi acquedottistici proposti nel precedente Piano. Un confronto tra le
indicazioni degli aggiornamenti del PRGA è riportato nei successivi paragrafi.
16
E. Piga
3.1. Previsioni demografiche
3.1.1. Popolazione residente
Esistono modelli previsionali di varia complessità per la stima dello sviluppo della
popolazione residente: i modelli più elementari sono basati su drastiche ipotesi
semplificative che rappresentano i diversi processi che comandano l'evoluzione della
popolazione mediante un unico meccanismo di crescita retto da pochi parametri, mentre
quelli più complessi simulano in dettaglio i singoli processi e richiedono
corrispondentemente la conoscenza di un elevato numero di parametri.
Sarebbe tuttavia errato correlare direttamente l'attendibilità delle previsioni al grado di
sofisticazione del modello. L'affidabilità dei risultati, infatti, dipende anche, e soprattutto,
dalla possibilità di disporre di adeguate informazioni sulle caratteristiche della specifica
comunità di cui si studia l'evoluzione. In mancanza di questi dati, l'adozione di modelli
complessi, i cui parametri non fossero desunti dalla popolazione esaminata ma fossero
ricavati dall'analisi di comunità ipoteticamente "simili", può condurre a risultati meno
attendibili di quelli forniti da modelli previsionali più semplici. La scelta del modello da
adottare deve quindi essere effettuata sulla base delle informazioni disponibili sulla
popolazione esaminata.
Il modello più semplice consiste nel riportare in un grafico l’entità della popolazione in
funzione del tempo e nell'individuare una curva di crescita che interpoli al meglio i valori
osservati. Estrapolando il suo andamento sino all'orizzonte temporale prescelto si può
stimare l'entità presuntiva della popolazione.
Al fine di limitare la soggettività insita nel procedimento sopra indicato, è stato
proposto, e diffusamente utilizzato nei decenni passati, un modello basato sull'ipotesi che
l'incremento annuo della popolazione di una comunità possa ritenersi proporzionale
all'entità della popolazione all'inizio dell'anno:
P1 - P0 = i . P0 ,
dove si è indicato con P0 la popolazione iniziale, con P1 la popolazione dopo un anno e
con i il coefficiente di proporzionalità.
Se in un periodo di n anni il coefficiente i, che rappresenta il tasso annuo di crescita,
può ritenersi costante, la popolazione Pn all'ennesimo anno risulta dalla relazione:
Pn = P0 (1 + i ) ,
n
analoga a quella fornita dalla matematica finanziaria per il calcolo del montante di un
capitale iniziale investito ad un interesse composto pari ad i. Se invece il tasso varia nel
tempo, l'entità della popolazione dopo n anni è data da:
Pn = P0 (1 + i1 )(1 + i 2 ) ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ (1 + i n ) ,
dove i1, i2 .… in sono ora i tassi di crescita nei vari anni.
L'applicazione di questo metodo richiede di determinare l'andamento nel futuro del
tasso medio annuo i. A tal fine, tramite la prima delle due espressioni di Pn, è immediato
calcolare il tasso annuo medio in ogni periodo compreso tra due successive rilevazioni di
popolazione. Esso risulta:
1
i = (Pn P0 ) n − 1
17
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Riportando in grafico i punti rappresentativi dei tassi annui medi, si può interpolarli con
una curva (di solito decrescente) che, estrapolata sino all'anno d'interesse, fornisce una
previsione dell'andamento dei tassi nel periodo futuro. Applicando la prima o la seconda
delle due relazioni a seconda che i tassi annui rimangano costanti o varino nel tempo, si
ottiene la popolazione nell’anno di riferimento.
100
80
60
40
20
0
1860
1880
1900
1920
1940
Popolazione [M ab]
1960
1980
2000
2020
tassi annui [x 10000]
Figura 3.2 – Andamento della popolazione italiana e dei tassi annui di crescita dal 1881.
Entrambi questi due procedimenti considerano l'evoluzione della popolazione in termini
globali. In realtà essa dipende fondamentalmente da due processi, il processo naturale ed
il processo migratorio, così differenti tra loro che non possono essere correttamente
rappresentati da un unico modello complessivo. Sulla base di questa evidente
considerazione sono stati proposti modelli previsionali che cercano di simulare
separatamente la dinamica dei due fenomeni.
A questo proposito, è tuttavia necessario rilevare subito che, mentre esistono in
letteratura proposte metodologiche atte a rappresentare adeguatamente il processo
naturale nascita-morte, non sono attualmente diffusi modelli previsionali affidabili per il
processo migratorio. Esso dipende infatti da innumerevoli fattori, soprattutto di tipo
economico e sociale (l'offerta di posti di lavoro, livello delle retribuzioni, sviluppo di servizi,
disponibilità di alloggi, costo della vita ecc.), e dalle differenze che essi presentano tra i
possibili poli dei flussi di migrazione. In questa situazione viene spesso assunta una
ipotesi semplicistica, non giustificata da osservazioni o da considerazioni teoriche, che
consente tuttavia di effettuare delle stime. Essa consiste, semplicemente, nell'ipotizzare
che le autorità preposte al governo delle comunità mettano in atto tutti i possibili
provvedimenti, e soprattutto quelli di stimolo dell'economia, atti a ridurre a valori prossimi a
zero nell'arco di un periodo di tempo prefissato lo sbilanciamento annuale (negativo o
positivo) tra le cancellazioni e le nuove iscrizioni anagrafiche per trasferimento di
residenza. Le leggi assunte a rappresentare l'andamento del fenomeno sono usualmente
degli esponenziali decrescenti.
Per quanto riguarda il processo naturale, il modello più semplice è ancora quello
basato sull'espressione dell'interesse composto sopra descritta. A differenza dal caso
precedente, però, al termine di ogni anno occorre sommare alla popolazione ottenuta dal
processo di crescita naturale l'ulteriore incremento (o decremento) derivante dal fenomeno
migratorio, secondo l'espressione ricorsiva:
Pn +1 = Pn (1 + i n ) + S n
18
E. Piga
In questa relazione Pn+1 è la popolazione all'anno n+1 mentre Pn, in e Sn sono
rispettivamente la popolazione, il tasso di crescita naturale ed il saldo migratorio all'anno n,
che può essere positivo o negativo a seconda che la comunità esaminata sia
contraddistinta da prevalente immigrazione o emigrazione.
Questo modello è stato applicato in Sardegna per la progettazione di un acquedotto
consortile al servizio di numerosi centri. Nella figura 3.3 è riportato l'andamento del tasso
di crescita naturale per la comunità esaminata unitamente alla legge assunta per
estrapolarlo nel futuro (Totali) e, a titolo di confronto, i valori dei tassi naturali relativi alla
popolazione regionale (Sardegna) ed a quella nazionale (Italia).
Figura 3.3 – Quozienti naturali in Italia, in Sardegna e nei Comuni oggetto dello studio.
Un modello assai più complesso è stato assunto a base delle valutazioni demografiche
del vigente PRGA della Sardegna. In questo modello, conosciuto sotto l'acronimo RCSM
(Revised Cohort Survival Model), il fenomeno migratorio è sempre stimato mediante una
curva decrescente dall'ultimo valore osservato sino a valori prossimi a zero in un periodo
di circa 20 anni, mentre il processo naturale viene descritto da un algoritmo ricorsivo che
mette in conto l'invecchiamento della popolazione, la nascita di nuovi individui e la loro
morte.
In particolare, nell'anno iniziale d'applicazione dell'algoritmo occorre conoscere la
popolazione disaggregata per sesso e per classi d'età quinquennali, pari al passo di
calcolo con cui opera il modello. Dopo cinque anni, il numero di individui appartenenti ad
una generica classe di età si otterrà sottraendo dalla numerosità che 5 anni prima aveva la
classe immediatamente più giovane, il numero presuntivo di morti nell'arco del
quinquennio. Quest'ultimo valore si ottiene moltiplicando il numero di individui iniziali della
classe per il coefficiente di mortalità, che rappresenta la probabilità di morte in un
quinquennio del singolo individuo appartenente a quella classe d’età. Ad esempio,
indicando con M0,7 il numero di maschi appartenenti al tempo iniziale t = 0 alla settima
classe di età (tra 30 e 35 anni), il numero di maschi M5,8 al tempo t = 5 della ottava classe
di età (35 – 40 anni) risulterà pari a:
M5,8 = M0,7 - M0,7 . Pm,7 ,
dove Pm,7 rappresenta la probabilità di morte in un quinquennio di un maschio della
settima classe di età.
19
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Per determinare la numerosità al tempo t = 5 della prima classe di età, non può essere
utilizzato il procedimento sopra illustrato in quanto gli individui componenti questa classe
non erano ancora nati al tempo t = 0. Il valore cercato si ottiene a partire dal numero di
individui di sesso femminile di ogni classe di età, moltiplicando i relativi valori per i
corrispondenti coefficienti di fertilità, che rappresentano la probabilità che una donna
generi un figlio maschio nell'arco di un quinquennio. In particolare, indicando con F0,i il
numero di donne della classe i-esima al tempo t = 0 e con Pm,i la probabilità che ognuna
generi un figlio maschio nel successivo quinquennio, il numero M5,1 di maschi delle prima
classe di età al tempo t = 5 risulta:
M5,1 = Σi F0,i . Pm,i .
Ovviamente, i valori dei coefficienti di fertilità sono differenti in ogni classe di età: sono
nulli o molto piccoli nelle prime e ultime classi di età mentre presentano valori più elevati
nelle classi intermedie.
Meccanismi identici a quelli sopra descritti governano l'evoluzione della componente
femminile, sia in termini di invecchiamento e mortalità che in termini di fertilità.
La messa in conto della componente migratoria viene effettuata ad ogni passo di
calcolo quinquennale, sommando (o sottraendo) alle numerosità determinate con il
processo naturale il valore del saldo migratorio, anch’esso disaggregato per sesso ed età.
Il modello descritto richiede molti dati di base. Oltre alla struttura della popolazione
occorre conoscere la distribuzione dei coefficienti di mortalità maschile e femminile e
quella dei coefficienti di fertilità relativi alla nascita di maschi e di femmine nonché la
ripartizione della popolazione migratoria per sesso e classe d'età. Sarebbe inoltre
necessario considerare la variazione nel tempo dei vari coefficienti, ipotizzando opportuni
andamenti desunti anche sulla base dell'analisi dei dati del passato. Risulta evidente che,
in assenza di dati certi relativi alla comunità esaminata, l'applicazione di questo modello
può condurre a valutazioni errate.
3.1.2. Popolazione turistica
I metodi di previsione dell'entità della popolazione turistica presentano spesso
incertezze di stima anche superiori a quelle della popolazione residente. Usualmente si
assume come riferimento per le valutazioni la ricettività massima delle strutture ufficiali
classificate (alberghi, residence e campeggi), adottando opportuni valori del tasso di
utilizzazione. Questo approccio comporta tuttavia pesanti sottostime del flusso turistico
soprattutto nelle zone turistiche in fase di espansione (e tra queste la maggior parte dei
comuni della Sardegna) nelle quali, a fronte di una insufficiente capienza delle strutture
classificate, si è sviluppata una offerta parallela costituita da abitazioni private cedute in
affitto nei mesi di maggiore richiesta. L'entità di questa offerta extralberghiera non
classificata, di regola caratterizzata da tassi di occupazione assai superiori ai valori usuali
di cubatura pro-capite previste negli strumenti urbanistici, è spesso assai più elevata di
quella delle strutture ufficiali. A titolo d'esempio, alcune stime effettuate nell'ambito della
recente revisione del PRGA della Sardegna, forniscono un numero di posti letto di circa
130.000 unità nelle strutture ufficiali e valori quasi nove volte superiori nelle strutture non
classificate.
In alternativa sono stati talvolta adottati dei modelli previsionali che fanno riferimento
alla ricettività ottimale consentita dalla risorsa ambientale oggetto della domanda turistica
(per esempio, nelle località balneari la ricettività può essere espressa in termini di numero
di presenze per metro quadrato di spiaggia). Sovente tuttavia le indicazioni ottenute con
20
E. Piga
questi metodi risultano palesemente incongruenti: per rendere fruibile una risorsa turistica
potenziale occorre infatti avere un adeguato grado di urbanizzazione, di infrastrutturazione
e di sviluppo di servizi per le attività ricreative, che dipendono dall'entità degli investimenti
privati e dai loro tempi di attuazione, a loro volta legati all'andamento economico generale.
In situazioni quali quelle descritte, l'unica direzione perseguibile appare quella di
censire con il massimo dettaglio possibile la volumetria delle strutture realizzate (o
realizzabili a norma di piani regolatori) nelle zone a vocazione turistica e desumere da
esse l’entità potenziale dell'utenza insediabile. Ovviamente, tale valutazione dovrà essere
periodicamente aggiornata e confrontata con le stime degli enti di promozione turistica e
con tutti gli indicatori (consumi elettrici, produzione rifiuti solidi etc.) ed avrà comunque una
validità temporale assai più ridotta di quella assunta per la previsione della popolazione
residente.
3.1.3. Indicazioni del PRGA della Sardegna
Le inevitabili incertezze che caratterizzano le stime fornite dai modelli previsionali di
sviluppo della popolazione sono chiaramente illustrate dal confronto dei risultati forniti
dalle successive revisioni del PRGA della Sardegna.
Popolazione residente. Nella prima versione del Piano risalente al 1966, la valutazione
dello sviluppo demografico della popolazione residente era stata effettuata estrapolando
sino all'anno 2015 la curva di crescita della popolazione, ottenuta interpolando per ogni
comune i dati dei precedenti censimenti. Nelle due successive revisioni, la prima del 1983
e la seconda del 1997 (ancora in corso di stesura definitiva), la crescita della popolazione
era stata ottenuta mediante il modello RCSM, adottando però differenti valori dei
coefficienti di mortalità e fertilità. A titolo di confronto nella tabella 3.1 sono consegnati i
risultati delle diverse elaborazioni relativi ad alcuni anni mentre nella figura 3.4 sono
riportati gli andamenti storici e quelli forniti dai PRGA per la popolazione complessiva
dell'intera regione.
Tabella 3.1 - Confronto tra le previsioni dei PRGA per la popolazione residente *.
FONTI
Valori ISTAT
PRGA 1966
PRGA 1983
PRGA 1997
1991
1638
1885
1638
2001
1600
2107
1805
2015
2031
2041
2385
2325
1948
2812
2003
2125
* La popolazione è espressa in migliaia di abitanti
Come si vede, le prime due versioni del Piano forniscono per gli anni 1991 e 2001
valori nettamente superiori a quelli effettivamente riscontrati ed anche l'ultima revisione
sopravvaluta, se pure in minore misura, l'entità dello sviluppo demografico.
I dati del 2015 consentono un più preciso confronto tra i tre metodi. In questo caso, le
prime due versioni indicano valori di popolazione residente superiori di circa il 20% a quelli
della terza versione. In particolare, quest'ultima fornisce per l'anno 2041 un valore di
2.125.000 abitanti, nettamente inferiore a quanto previsto per il 2015 ed il 2031 dalle
precedenti valutazioni.
Non considerando il modello adottato nel primo Piano, basato su di un approccio
totalmente empirico, le forti sopravvalutazioni della revisione del 1983 erano
essenzialmente dovute a due fattori:
a) i tassi di fertilità adottati erano stati desunti dalle indicazioni storiche del periodo 196372 ed erano nettamente più elevati dei valori effettivamente verificatisi a partire dagli
anni '80;
21
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
b) la struttura iniziale della popolazione disaggregata per sesso e classe di età era stata
desunta dal censimento del 1971 (relativo al periodo 61’-71’), che rappresentava
l'ultimo dato ufficiale disponibile, mentre era già in atto da tempo un rientro di emigrati
in età avanzata ed una contemporanea emigrazione di individui appartenenti alle classi
di età più giovani. A causa di ciò, le effettive piramidi di età erano assai più senili di
quelle adottate, con evidenti conseguenze sui coefficienti di fertilità e di mortalità.
popolazione
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
1875
1900
1925
1950
1975
2000
2025
2050
2075
anni
dati storici
PRGA 1983
PRGA 1997
PRGA 1966
Figura 3.4 – Andamento storico della popolazione residente e previsioni dei PRGA.
Popolazione turistica. Differenze ancora maggiori fra i tre Piani si riscontrano nelle
stime della popolazione turistica. Di seguito sono riportate le indicazioni per l'anno 2015
del primo PRGA (1966), quelle per l'anno 2031 della prima revisione (1983) ed infine le
stime della effettiva presenza nell'anno 1997 e le previsioni, dichiaratamente preliminari e
valide sino a circa l'anno 2015, effettuate nell'ambito della seconda revisione (1997).
Tabella 3.2 – Previsioni popolazione turistica
PRGA 1966 - previsioni presenze per il 2015
PRGA 1983 - previsioni presenze per il 2031
PRGA 1997 - previsioni presenze per il 2015
PRGA 1997 - stima presenze per il 1997
207.000 ab
1.394.334 ab
1.719.448 ab
1.283.723 ab
Come si vede, il Piano del 1966 sottostima marcatamente l'entità della popolazione
turistica, fornendo per il 2015 un valore pari a circa 1/6 della popolazione già presente nel
1997. La revisione del 1983 era stata ottenuta considerando per ogni comune con
territorio costiero il carico balneare ottimale gravante sulle spiagge e la presuntiva
ricettività delle strutture alberghiere (esistenti o realizzabili) ed assumendo il maggiore tra i
due valori. La stima ottenuta appare più congrua delle precedenti ma valuta probabilmente
in difetto la presenza turistica complessiva del 2031 e la ripartisce sul territorio in modo
troppo astratto. Sulla base della limitata attendibilità delle stime e non potendo avanzare
ipotesi accettabili per orizzonti temporali lontani a causa della rapidissima evoluzione del
fenomeno, la revisione ultima del 1997 fornisce una previsione a breve termine (circa 15
anni) che ammonta a poco più di 1.700.000 presenze. In particolare, tale valore è stato
ottenuto facendo riferimento alla sola ricettività delle strutture ospitanti, distinte in strutture
classificate (alberghi, campeggi, etc.) e non classificate (seconde case).
22
E. Piga
3.2. Le dotazioni unitarie
Una volta stimata l'entità della popolazione nell'anno assunto come orizzonte
temporale di riferimento, per calcolare la portata media annua da addurre al centro urbano
occorre fissare la dotazione unitaria media annua, che rappresenta, come già accennato,
la quantità d'acqua pro-capite necessaria nel giorno medio dell'anno per coprire tutti gli usi
dell'acqua presenti nel centro urbano.
Un approccio ormai consolidato per tale determinazione consiste nello svolgere una
analisi dettagliata dei vari usi idropotabili e nel calcolare il fabbisogno di ognuno di essi
mediante valutazione diretta, attraverso il confronto con le osservazioni disponibili o
anche, talvolta, con stime a corpo. La somma dei singoli fabbisogni fornisce il fabbisogno
complessivo del centro urbano sulla base del quale si assegna la dotazione unitaria media
annua, ovviamente di valore pari al fabbisogno trovato. E' evidente che queste
determinazioni presentano un elevato grado di soggettività, per cui le relative calcolazioni
sono di regola demandate ai Piani regolatori degli acquedotti che adottano procedimenti
uniformi su tutto il territorio.
3.2.1. Dotazioni per la popolazione residente
I differenti usi dell'acqua potabile nei centri urbani sono generalmente raggruppati in
cinque categorie principali:
• usi domestici;
• usi pubblici, ripartiti in:
servizi pubblici;
edifici pubblici;
impianti a carattere collettivo;
• usi commerciali;
• usi artigianali ed industriali;
• perdite e sprechi.
Gli usi domestici comprendono tutti gli usi dell'acqua effettuati nelle abitazioni private: i
consumi per la preparazione dei cibi, per la pulizia personale, per il lavaggio della
biancheria, per la pulizia della abitazione e per gli usi condominiali, compreso
l'innaffiamento del verde privato e la pulizia degli spazi comuni. Per la valutazione dei
relativi fabbisogni sono ancora spesso utilizzate le indicazioni fornite dalla Conferenza
Nazionale delle Acque (CNA) del 1972, che forniscono per le tre categorie di abitazioni
economico-popolari, medie e di lusso i seguenti valori:
abitazioni economico popolari
105 l/ab giorno
abitazioni medie
165 l/ab giorno
abitazioni di lusso
245 l/ab giorno
Benché si tratti di indicazioni datate, rappresentative di una società con minori
disponibilità economiche (ad esempio i consumi di lavapiatti e lavatrici sono considerati
nelle sole abitazioni di lusso), esse sono ancora utilizzabili per stimare il consumo
domestico medio di un centro, adottando però una adeguata ripartizione percentuale delle
tre tipologie di abitazione.
Negli ultimi decenni sono state effettuate numerose rilevazioni dei consumi domestici,
che hanno fornito risultati abbastanza uniformi:
• nel 1965 indagini condotte dalla ACEA di Roma hanno fornito per le abitazioni
economico-popolari 203 l/ab giorno, per quelle medie 226 e per quelle di lusso 292;
• a Milano (1998) una rilevazione dei consumi in edifici residenziali ha indicato valori
compresi tra i 200 ed i 300 l/ab giorno;
23
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
•
•
•
•
•
nel 1988 una indagine effettuata a Roma su di una popolazione di 65000 abitanti ha
fornito valori medi di circa 200 l/ab giorno;
a Napoli una limitata campagna di rilevazioni su due campioni di poche centinaia di
abitanti ha fornito consumi di 150 l/ab giorno nelle abitazioni popolari e di 210 l/ab
giorno in quelle di lusso;
a Ferrara (1990) una campagna su 1500 abitanti ha indicato consumi medi di 227
l/ab giorno;
a Vicenza ed a Padova sono stati rilevati su di un periodo pluriennale consumi di
131 l/ab giorno e 161 l/ab giorno;
una indagine svolta in 30 piccoli centri del Lazio ha fornito valori di consumo
domestico compresi tra 150 e 200 l/ab giorno.
Come risulta dalle indicazioni precedenti, escludendo le situazioni più estreme,
dipendenti da specificità locali, i consumi domestici sono normalmente compresi tra 150 e
200 l/ab giorno e risultano inoltre abbastanza uniformi anche in centri urbani di dimensione
molto differente.
Gli usi pubblici ed i relativi fabbisogni sono assai più incerti e di difficile determinazione.
Essi vengono usualmente suddivisi nei tre gruppi dei servizi pubblici, degli edifici pubblici e
degli impianti a carattere collettivo. Il primo gruppo comprende i consumi idrici dei vari
servizi diffusi sul territorio urbanizzato (lavaggio fogne, innaffiamento verde pubblico,
lavaggio strade). I relativi fabbisogni sono usualmente stimati considerando i consumi e la
frequenza delle singole operazioni e ragguagliandoli successivamente alla popolazione in
modo da esprimere il risultato in l/ab giorno.
Il secondo gruppo raccoglie i fabbisogni degli edifici pubblici (locali della pubblica
amministrazione, scuole, ospedali, caserme, prigioni, comunità religiose). I fabbisogni di
ogni tipologia di edifici sono di solito stimati sulla base del consumo giornaliero per utente
(per addetto, per scolaro, per posto letto) e della proporzione tra essi e la popolazione
complessiva, in modo da esprimere anche questi valori in l/ab giorno.
Il terzo gruppo raccoglie infine gli impianti a carattere collettivo (porti, aeroporti, stazioni
ferroviarie, stazioni autobus). La stima dei fabbisogni viene effettuata sulle base del
numero di passeggeri e del tonnellaggio di merce trasportata e viene poi ragguagliata
all'entità della popolazione. In relazione alla specificità di questi consumi, i relativi
fabbisogni non compaiono necessariamente in ogni centro urbano.
Gli usi commerciali comprendono i fabbisogni degli alberghi, dei ristoranti e degli
esercizi commerciali in genere. La loro entità è valutata ancora sulla base dei consumi
unitari (consumo giornaliero per posto letto, consumo giornaliero per coperto, consumo
giornaliero per addetto) e della densità media di queste utenze rispetto alla popolazione.
Gli usi artigianali ed industriali comprendono le attività artigianali e le piccole attività
industriali diffuse nel territorio urbano. Non si considerano gli insediamenti industriali veri e
propri, ancorché limitrofi al centro, in quanto essi sono usualmente serviti da un
acquedotto industriale. I fabbisogni di questa categoria vengono spesso stimati sulla base
di un consumo medio per addetto (dell'ordine di 50-100 l/giorno), e del numero di addetti in
proporzione alla popolazione, ricavabili dai censimenti.
Nelle tabelle 3.3, 3.4 e 3.5 seguenti sono riportati, a titolo d'esempio, alcuni degli usi
sopra indicati ed i valori dei relativi fabbisogni.
L'ultima voce rappresenta le perdite della rete di distribuzione. Anche in una rete
correttamente gestita, le perdite ammontano usualmente a valori dell'ordine del 10% del
consumo complessivo, per raggiungere valori sino al 40-50% nelle reti con insufficiente
24
E. Piga
manutenzione. Nella stima dei fabbisogni le perdite vengono considerate pari al valore più
basso sopra indicato.
Tabella 3.3 - Fabbisogni idrici dei servizi pubblici
UTENZA
Lavaggio serbatoi e rete (% del totale)
Cacciate in fogna (l/ab giorno)
Lavaggio strade (l/ab giorno)
Innaffiamento verde pubblico (l/ab giorno)
Fontane pubbliche (l/ab giorno)
Fabbisogni minimi
1
3.1
2.1
0.8
2.0
Fabbisogni massimi
2
6.0
5.5
6.0
4.0
Tabella 3.4 - Fabbisogni idrici degli edifici pubblici
UTENZA
Valori minimi
Pubblica
amministrazione
(l/addetto
40
giorno)
Scuole (l/alunno giorno di scuola)
20
Ospedali (l/posto letto giorno)
128
Caserme (l/addetto giorno)
Prigioni (l/persona giorno)
60
Comunità religiose (l/persona giorno)
50
Valori medi
60
Valori massimi
130
40
768
160
90
300
90
1868
120
600
Tabella 3.5 - Fabbisogni idrici degli usi commerciali
UTENZA
Alberghi (l/posto letto giorno)
Pensioni (l/posto letto giorno)
Ristoranti (l/coperto giorno)
Bar (l/m2 giorno)
Self-service (l/m2 giorno)
Valori minimi
120
80
10
20
25
Valori massimi
250
150
20
50
60
I valori massimi e minimi dei fabbisogni di ogni categoria indicati nella Conferenza
nazionale delle acque del 1972 sono riportati nella tabella 3.6. I valori minimi sono relativi
ai centri di minore dimensione, nei quali lo sviluppo delle utenze pubbliche, dei servizi e
della struttura commerciale ed artigianale è usualmente assai limitato mentre i valori
maggiori sono relativi ai centri più grandi, nei quali si concentrano una seria di attività e
servizi rivolti non solamente alla popolazione residente nel centro ma anche agli abitanti
dei più piccoli centri circostanti.
Tabella 3.6 - Fabbisogni per usi civili (l/ab giorno). Conferenza nazionale delle acque (1972).
USI CIVILI
Usi domestici
Usi pubblici
Usi commerciali
Usi artigianali e industriali
Perdite e sprechi
Fabbisogno totale
Valori minimi
111
12
5
6
16
150
Valori massimi
160
60
55
70
105
450
Nell’ultima revisione del PRGA della Sardegna i centri urbani sono stati ripartiti in base
all'entità della popolazione in sei differenti classi, per ciascuna delle quali sono stati rilevati
o stimati i consumi per gli usi domestici, quelli per gli usi collettivi (comprensivi degli usi
pubblici e degli usi commerciali, industriali ed artigianali) e le perdite della rete. L’analisi di
queste stime ha evidenziato come al crescere della popolazione corrisponda attualmente
25
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
un incremento contenuto dei consumi domestici, che passano da 138 a 167 l/ab giorno, ed
un aumento assai più elevato dei consumi collettivi, che vanno da 37 a 204 l/ab giorno.
Nella previsione dei fabbisogni all’orizzonte temporale di riferimento, si è assunta
l’ipotesi che nel 2041 i consumi domestici dei piccoli e grandi centri siano della stessa
entità, pari a 170 l/ab giorno, mentre i consumi collettivi presentino un marcato incremento
nei centri di media dimensione e rimangano invece pressoché costanti nei centri più piccoli
ed in quelli più grandi. Le perdite sono state poste per tutti i centri pari al 10% del
fabbisogno complessivo. Per i nuclei e le case sparse è stato assunto per l’uso domestico
lo stesso fabbisogno delle altre fasce di popolazione e si è inoltre considerato un consumo
di 17 l/ab giorno per gli usi zootecnici. I valori dei singoli fabbisogni e le corrispondenti
dotazioni unitarie medie annue sono riportate nella tabella 3.7.
Tabella 3.7- Fabbisogni e dotazioni unitarie per gli usi civili dei centri urbani della Sardegna (l/ab giorno).
POPOLAZIONE
Usi domestici
Usi collettivi
Perdite
Dotazione unitaria
0-5.000 5.000 - 10.000 10.000-30.000 30.000-100.000
170
43
21
235
170
84
25
280
170
125
29
325
170
210
38
420
>100.000 nuclei e
case sparse
170
170
243
17
41
19
455
205
Come si vede, le dotazioni dei centri urbani adottate in Sardegna, comprese tra 235 e
455 l/ab giorno, rientrano nel campo indicato dalla CNA nel 1972. Facendo la media
ponderale delle dotazioni dei centri di diversa dimensione e assumendo come pesi l'entità
delle relative popolazioni, si perviene ad un valore medio regionale di circa 320 l/ab giorno,
di poco inferiore alla media nazionale dei consumi pro-capite. A titolo di confronto, nella
tabella 3.8 seguente sono riportati i valori dei consumi unitari medi annui nelle varie regioni
italiane, ottenuti sulla base dei volumi annui erogati e dell'entità della popolazione servita
da acquedotti.
Tabella 3.8 - Consumi idropotabili nel 1995 (Federgasacqua, 1995).
REGIONE
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Prov. Autonoma di Bolzano
Prov. Autonoma di Trento
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Liguria
Emilia Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Media generale
Utenti serviti % Vol. erogato Mm3
87.7
333.8
35.6
6.8
71.2
889.2
41.6
24.3
56.4
37.8
89.4
515.3
77.5
136.1
92.2
133.2
87.5
380.0
98.4
359.2
69.4
57.4
77.4
132.9
95.3
850.0
81.8
133.0
91.4
38.0
96.6
618.5
98.4
533.7
80.2
82.9
88.2
245.7
67.0
248.3
92.4
178.0
85.0
5934.4
26
Consumi unitari medi (l/ab giorno)
243
445
384
355
400
356
404
239
303
284
277
326
475
350
325
314
366
465
369
202
330
336
E. Piga
3.2.2. Dotazioni per la popolazione turistica
I consumi idropotabili della popolazione turistica sono caratterizzati da una grande
variabilità dovuta sia alle differenti tipologie degli insediamenti, che vanno dagli
appartamenti, ai campeggi, alle ville ed agli alberghi, sia al grado di sviluppo dei servizi
offerti agli utenti. Inoltre, la stessa valutazione del consumo pro-capite a partire dalle
rilevazioni del consumo complessivo degli insediamenti, spesso conosciuto su base
mensile o trimestrale, presenta elevate incertezze in relazione alla difficoltà di conoscere
l'esatto ammontare delle corrispondenti presenze turistiche negli stessi periodi.
A titolo d'esempio, una indagine sui consumi idropotabili di due Consorzi turistici della
Puglia comprendenti 1740 unità abitative ha fornito valori del fabbisogno unitario
compreso tra 650 e 930 l/ab giorno per gli utenti in ville con giardini e valori tra 266 e 300
l/ab giorno in assenza di giardino. Una analoga indagine svolta nel biennio 1986-87 sui
consumi in ville e condomini della Costa Smeralda ha fornito consumi di 845 l/ab giorno
per gli utenti delle ville e di circa 130 l/ab giorno per gli utenti dei condomini. La grande
differenza riscontrata è stata imputata ai consumi per gli innaffiamenti e l'ipotesi è risultata
confermata dai valori desunti dal calcolo agronomico dei fabbisogni irrigui per colture
floreali ed a prato.
Da questi dati risulta che i consumi degli utenti ospitati in appartamenti sono analoghi
agli usuali valori assunti per l'uso domestico mentre negli insediamenti di maggior lusso,
con piscine, giardini e livelli dei servizi assai più sviluppati, i consumi pro-capite sono circa
tre - quattro volte più elevati.
Nell’ambito della revisione del PRGA della Sardegna sono state considerate tre
tipologie di insediamenti turistici: gli alberghi, le ville ed appartamenti ed i campeggi. Le
dotazioni delle prime due tipologie sono state determinate sulla base dei consumi registrati
nel trimestre luglio, agosto e settembre del 2003 nel complesso alberghiero del Forte
Villane e negli insediamenti della Costa Smeralda, di Geremeas e del villaggio I Nuraghi,
ottenendo valori medi del consumo di 663 l/ab giorno per gli alberghi e di 442 l/ab giorno
per le ville ed appartamenti mentre per i campeggi, in mancanza di rilevazioni attendibili, è
stata assunta una dotazione pari al consumo domestico incrementato per i lavaggi e gli
innaffiamenti, pari a 301 l/ab giorno.
Al fine di determinare la dotazione dell’utenza turistica, in quattro comuni campione,
assunti a rappresentare la situazione regionale, sono stati rilevati dagli Enti provinciali per
il turismo il numero di posti letto nei tre tipi di struttura ricettiva ed è stato computato il
relativo fabbisogno medio. Come si vede dalla tabella 3.9, nonostante la differente
composizione dell'utenza, le medie (ponderali) dei fabbisogni unitari di tutti i comuni sono
risultate molto prossime a 460 l/ab giorno e tale valore è stato assunto in definitiva come
dotazione unitaria per la popolazione turistica della regione.
Tabella 3.9 – Consumi della popolazione turistica in quattro centri della Sardegna.
COMUNE
S. Teresa di Gallura
Arzachena
Palau
Villasimius
Posti letto
totali
25.731
42.732
23.405
29.129
Posti letto in
alberghi
4.262
7.072
1.033
5.948
27
Posti letto in
ville
17.895
32.096
17.068
22.236
Posti letto in
campeggi
3574
3.564
5.304
945
Dotazione
(l/ab giorno)
460
468
421
484
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
4. LA VARIABILITÀ DEI CONSUMI E LE PORTATE DI
DIMENSIONAMENTO DELLE OPERE
Dalla conoscenza del numero di abitanti N [ab] e della dotazione unitaria d [l/ab
giorno], è immediato ricavare la portata media annua Qa necessaria per la copertura dei
fabbisogni di un centro urbano:
Qa = N . d / 86400
[l/s]
Il suo valore non può però essere utilizzato per il dimensionamento delle opere in quanto i
consumi idrici non sono costanti durante l'anno, ma presentano valori più elevati della
media in certi periodi e valori più bassi in altri periodi dell'anno. Poiché l'acquedotto deve
essere in grado di alimentare il centro durante tutto l'anno, le condotte dovranno essere
dimensionate per la massima portata richiesta.
300
250
200
150
100
gi
u
lu
g
ag
o
se
tt
ge
n
fe
b
m
ar
ap
r
m
ag
di
c
50
ot
t
no
v
consumi [mc/giorno]
In particolare, i consumi medi mensili presentano nel corso dell'anno un andamento
grossolanamente sinusoidale intorno alla media annua, contraddistinto da valori più elevati
durante i mesi estivi e valori più bassi durante i mesi invernali. Una tipica situazione è
rappresentata nella figura 4.1, che riporta i consumi registrati nei dodici mesi del 1987 in
un piccolo centro urbano della Sardegna.
mesi
Figura 4.1 – Consumi medi mensili di Villanovaforru nel 1987.
La portata media mensile del mese di massimo consumo Qm può essere valutata
mediante il coefficiente di punta mensile cm, che rappresenta il rapporto tra la portata
media mensile del mese di maggior consumo e la portata media annua:
Qm = cm Qa .
28
E. Piga
Il valore di cm è compreso tra 1.15 ed 1.30 circa ed aumenta al diminuire della
popolazione del centro. Questo andamento, regolarmente riscontrato nei centri urbani,
dipende dal fatto che ad una maggiore entità della popolazione corrisponde usualmente
una più ampia diversificazione del tipo di attività lavorativa, degli orari di lavoro, dei periodi
di ferie e, in generale, delle abitudini personali, il che comporta di regola una minore
contemporaneità dei consumi idrici e quindi un andamento più uniforme nell'arco dell'anno.
Nel mese di massimo consumo, i consumi giornalieri non sono costanti ma presentano
una variabilità di tipo casuale, non correlata con l'entità della popolazione (figura 4.2).
consumi [mc/giorno]
300
280
260
240
220
200
1
11
21
31
giorni
Figura 4.2 – Consumi giornalieri nell’agosto del 1987 a Villanovaforru.
Anche in questo caso, per valutare la portata media giornaliera del giorno di massimo
consumo Qg, si introduce un coefficiente di punta giornaliero cg, pari al rapporto tra la
portata media del giorno di massimo consumo e portata media dello stesso mese:
Qg = cg Qm = cg cm Qa .
Il valore del coefficiente di punta giornaliero cg è dell’ordine di 1.1 – 1.15.
Esaminando infine l'andamento dei consumi orari nell'arco di una giornata, si riscontra
nuovamente un andamento periodico caratterizzato da due massimi, uno nella prima
mattina ed uno nella tarda serata, e due minimi, uno a metà giornata ed un secondo, assai
più pronunciato, nella notte (figura 4.3). Ancora una volta, e per le medesime ragioni
evidenziate per l'andamento annuo, l'entità dei valori massimi appare legata alla
dimensione del centro e risulta, in proporzione alla portata media giornaliera, tanto più
elevata quanto minore è il numero di abitanti. La portata media dell'ora di massimo
consumo Qo può essere stimata mediante il coefficiente di punta orario co, mediante la
relazione:
Qo = co Qg = co cg cm Qa .
Il valore del coefficiente di punta orario è usualmente compreso tra 1.5 e 2, a seconda
delle dimensioni del centro.
29
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
consumi [mc/ora]
25
20
15
10
5
0
0
2
4
6
8
10 12 14 16 18 20 22 24
ore
Figura 4.3 – Consumi medi orari nel giorno di maggior consumo (12 agosto 1987) a Villanovaforru.
Sulla base di quanto sopra esposto, in un centro urbano per il quale siano assegnate la
popolazione N e la dotazione d, possiamo determinare quattro valori della portata:
• la portata media annua
Qa = N . d / 86.400 [l/s] ;
• la portata media del mese di massimo consumo
Qm = cm Qa [l/s] ;
• la portata media del giorno di massimo consumo
Qg = cg Qm [l/s] ;
• la portata media dell’ora di massimo consumo
Qo = co Qg [l/s] .
Si pone quindi il problema di quale portata debba essere utilizzata per il
dimensionamento delle condotte e delle opere di un sistema d'acquedotto. E' evidente che
la condotta d'avvicinamento e le tubazioni della rete di distribuzione, poste a valle del
serbatoio, devono essere in grado di svolgere un efficiente servizio anche nell'ora di
massimo consumo e, corrispondentemente, devono essere dimensionate per la portata
Qo. Viceversa, come più ampiamente illustrato nel seguito, l'acquedotto esterno può
essere dimensionato per la portata media del giorno di massimo consumo Qg, assai
inferiore a Qo. Il corretto funzionamento del sistema è infatti assicurato dalla regolazione
delle portate svolta dal serbatoio: durante le ore notturne, nelle quali la portata uscente dal
serbatoio (pari al consumo del centro) è inferiore alla portata entrante (pari alla media
giornaliera), il serbatoio verrà invasato accumulando il volume corrispondente alla
differenza tra le due portate, mentre durante le ore diurne, nelle quali il consumo è
superiore alla media, esso verrà svasato.
Nel PRGA della Sardegna sono stati assunti i valori dei tre coefficienti di punta riportati
nella tabella 4.1.
Tabella 4.1 – Coefficienti di punta mensili, giornalieri ed orari del PRGA della Sardegna.
Popolazione
Coeff. Cm
Coeff. Cg
Coeff. Co
< 5.000
5 – 10.000
10 – 30.000
30 – 100.000
> 100.000
1,30
1.15
2.0
1.25
1.15
2.0
1.20
1.15
1.7
1.15
1.15
1.5
1.15
1.15
1.5
30
Nuclei e case
sparse
1.30
1.15
2.0
E. Piga
Corrispondentemente, le dotazioni unitarie medie annue e quelle del giorno di massimo
consumo adottate in Sardegna per la popolazione residente risultano:
Tabella 4.2 – Dotazioni unitarie del PRGA della Sardegna [l/ab giorno].
Popolazione
dotazione unitaria
media annua
dotazione giorno di
massimo consumo
< 5.000
5 – 10.000
10 – 30.000
30 – 100.000
> 100.000
235
280
325
420
455
Nuclei e
case sparse
205
350
400
450
550
600
300
Per quanto riguarda invece la popolazione turistica, poiché i valori rilevati erano già
relativi al periodo estivo di maggior consumo, si è assunta direttamente senza ulteriori
incrementi la dotazione di 460 l/ab giorno indicata nel paragrafo precedente.
31
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
5. GLI SCHEMI DI APPROVVIGIONAMENTO DEI CENTRI
URBANI
Una volta definita la portata da addurre al centro urbano, prima di procedere allo studio
del tracciato ed al dimensionamento delle condotte occorre definire la quota massima del
pelo libero, l'ubicazione planimetrica, il tipo costruttivo e la capacità del serbatoio, che
costituisce l'estremo di valle dell'acquedotto esterno. Anche se il centro urbano è già
dotato di una struttura d'accumulo ancora in grado di svolgere il servizio, assai sovente
essa risulta però inadeguata o per insufficiente capacità, a causa degli aumentati consumi,
o per insufficiente quota, in quanto il centro urbano si è esteso in zone più elevate, e si
rende quindi necessario realizzare un serbatoio sostitutivo o integrativo di quello esistente.
Nel seguito faremo riferimento unicamente agli schemi d'approvvigionamento più
semplici, costituiti da un unico serbatoio, a terra o sopraelevato, che alimenta a gravità il
centro urbano. In particolare, sarà dapprima illustrato lo schema più comune, costituito da
un serbatoio di testata, mentre sarà successivamente esaminato il sistema composto da
un torrino piezometrico ed un serbatoio d'estremità (figura 5.1). Per evidenti ragioni di
semplicità, faremo inoltre riferimento ad una rete di distribuzione semplificata, costituita da
una unica condotta distributrice (condotta equivalente) con diametro, scabrezza e portata
distribuita uniformi lungo il percorso. Corrispondentemente, la rete di linee piezometriche
sovrastanti la rete distributrice reale sarà costituita, nel nostro caso, da una sola linea
piezometrica.
Figura 5.1 – Approvvigionamento con serbatoio di testata e con torrino piezometrico e serbatoio d’estremità.
32
E. Piga
5.1. Il sistema di approvvigionamento con serbatoio di testata
5.1.1. Quota di sfioro e localizzazione planimetrica del serbatoio
Il serbatoio al servizio di un centro urbano deve essere posizionato ad una quota
sufficiente ad alimentare a gravità anche i piani più alti dei fabbricati, senza però
sottoporre inutilmente la rete ad eccessive pressioni che, senza migliorare il servizio,
aumenterebbero le perdite idriche. Per fissare la quota massima del pelo libero nel
serbatoio, detta quota di sfioro, conviene esaminare preliminarmente l'andamento delle
piezometriche nelle varie ore della giornata.
La piezometrica dell'unica condotta equivalente, che rappresenta schematicamente la
rete distributrice, non rimane fissa durante la giornata ma presenta delle oscillazioni con
periodicità giornaliera legate all'escursione di livello nel serbatoio ed alle variazioni della
portata erogata e delle corrispondenti perdite di carico. In particolare, la piezometrica più
bassa di tutte si verifica in condizioni di serbatoio completamente vuoto e contemporanea
erogazione della portata massima mentre la piezometrica più elevata corrisponde a
condizioni di serbatoio pieno e minima portata erogata. Nell'arco della giornata, al variare
dell'entità del consumo e del grado di riempimento del serbatoio, la piezometrica passa
con gradualità da una situazione all'altra.
Per avere pressioni adeguate nei piani più alti, il punto più basso della piezometrica
dovrà sovrastare il filo di gronda dell'edificio più critico del centro urbano di un franco di
alcuni metri. Contemporaneamente, occorre però contenere sia la pressione massima
che, soprattutto, l'entità dell'oscillazione della piezometrica tra la condizione di serbatoio
pieno e minima portata e quella di serbatoio vuoto e massima portata erogata. Infatti,
elevate oscillazioni giornaliere della pressione cimentano eccessivamente sia i giunti tra i
tubi che gli allacci alle singole utenze, la cui tenuta viene rapidamente compromessa.
Un accettabile compromesso tra le diverse esigenze si consegue assegnando un
franco minimo di 5 m, da adottare con edifici di moderata altezza (sino a circa tre piani
fuori terra), crescente con l'altezza del fabbricato sino a valori massimi dell'ordine di 8-10
m. L'oscillazione della piezometrica, compresa l'escursione del pelo libero nel serbatoio,
deve essere di norma compresa entro i 12-15 m. In considerazione del miglioramento
degli elementi di tenuta dei giunti, a fronte di reti molto sviluppate e caratterizzate da forti
perdite di carico, vengono talvolta assunti valori più elevati, ma comunque contenuti entro i
20 m. La quota del filo di gronda della casa più critica viene determinata considerando il
fabbricato di altezza massima consentita dal piano regolatore, supposto realizzato nel
punto più elevato del territorio urbano. Nell'identificare tale edificio si prescinde tuttavia da
eventuali fabbricati di altezza eccezionale, i quali dovranno essere alimentati mediante
impianti di sollevamento privati, che garantiscano la pressione necessaria anche ai piani
più alti. Il limite superiore del carico sulla rete in condizioni idrostatiche è attualmente
assunto pari a circa 70 m. Superando tale valore occorre prevedere specifiche soluzioni,
adottando, ad esempio, reti separate che alimentano le zone del centro a quote differenti o
inserendo nella rete delle valvole riduttrici del carico piezometrico.
Sulla base di quanto esposto, la quota di sfioro del serbatoio viene valutata
semplicemente come somma della quota massima del terreno nel territorio urbanizzato più
l'altezza massima del fabbricato edificabile a norma di piano regolatore più ancora il franco
e l'oscillazione (figura 5.2). A queste ultime grandezze il progettista dell'adduttrice deve
assegnare i valori conformemente alle indicazioni sopra esposte.
33
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Figura 5.2 – Determinazione della quota di sfioro del serbatoio.
Occorre ancora osservare, tuttavia, che questo procedimento implica che siano
considerate nulle le perdite di carico relative all'erogazione delle portate minime notturne.
Questa approssimazione è generalmente accettabile, soprattutto nei piccoli centri, in
considerazione del fatto che la portata nell'ora di massimo consumo può anche essere
pari a dieci volte la portata minima notturna (portata massima pari a due volte la media
giornaliera e portata minima pari a un quinto della media). Corrispondentemente, il
rapporto tra le perdite di carico, proporzionali al quadrato della portata, è dell'ordine di
cento a uno. Se l'oscillazione complessiva è assunta pari a 15 m e l'escursione di livello
nel serbatoio è di 5 m, l'entità delle perdite di carico massime è circa pari a 10 m e quella
delle perdite notturne ammonta quindi a soli 10 cm. Trascurare il suo valore non modifica
pertanto il grado di approssimazione con il quale sono state stimate le varie grandezze.
Nei centri urbani di maggiori dimensioni, nei quali il rapporto tra le portate massime e
minime è assai più ridotto, le perdite di carico minime notturne non sono più trascurabili ed
il loro valore deve essere oggetto di una specifica valutazione.
Una volta determinata la quota del serbatoio, occorre ricercare nelle immediate
prossimità del centro urbano e, possibilmente, nella stessa parte dalla quale arriva la
condotta adduttrice, un'altura che presenti nel suo versante un sito di quota circa pari o di
poco inferiore a quella di sfioro precedentemente determinata, atto alla costruzione di un
serbatoio a terra (interrato o seminterrato), nettamente più economico di una struttura
sopraelevata. Per contenere la lunghezza ed il costo della condotta di avvicinamento
nonché l'entità delle relative perdite di carico che comportano un aumento dell'oscillazione
piezometrica, la località prescelta non deve distare dal nodo più prossimo della rete più di
1,5-2 km circa. Superando tale valore, si preferisce usualmente orientare la scelta verso
un serbatoio di tipo pensile, per il quale si presceglie una località posta direttamente in
periferia al centro urbano. Solo in condizioni eccezionali, allorquando sia imposta
l'adozione di una struttura interrata (per esempio per l’esistenza di vincoli ambientali) si
supera questo limite ubicando il serbatoio ad una distanza dal centro anche di molto
superiore ai valori limite sopra indicati.
34
E. Piga
5.1.2. Capacità e tipo costruttivo del serbatoio
La capacità di un serbatoio può essere determinata sulla base delle differenti funzioni
assolte: la regolazione delle portate, la riserva per le interruzioni dell'adduzione e la riserva
per il servizio antincendio.
Regolazione delle portate. Come già accennato, l'importanza di questa funzione risiede
nel fatto che essa consente di dimensionare la condotta adduttrice per valori di portata
inferiori a quelli adottati per dimensionare la distributrice. Infatti, mentre la distributrice
dovrà essere necessariamente dimensionata per la massima portata oraria del giorno di
massimo consumo, la condotta adduttrice, grazie alla presenza del serbatoio, potrà essere
dimensionata per il valore medio giornaliero del giorno di massimo consumo. Ciò
comporta dimensionare questa condotta per portate assai minori di quelle della
distributrice e tale risparmio compensa ampiamente il costo di realizzazione del serbatoio.
La capacità necessaria per questa funzione dipende dalla forma del diagramma
giornaliero dei consumi ed è pari a circa il 15-25% del fabbisogno giornaliero.
Non è viceversa conveniente fare una regolazione annuale, e cioè alimentare il
serbatoio con la portata media annua accumulando durante l'inverno la differenza tra la
portata media annua ed il consumo invernale ed utilizzando tale volume durante il periodo
estivo di consumi più elevati. Anche a prescindere dagli ovvi problemi di potabilità legati ad
una lunga permanenza dell’acqua nel serbatoio, l'enorme capacità necessaria e l’elevato
costo del serbatoio confrontato con il modesto risparmio nel dimensionamento delle
condotte, rende infatti in questo caso antieconomico il provvedimento.
Riserva a fronte d'interruzioni di servizio dell'adduttrice. La capacità necessaria per far
fronte alle interruzioni di servizio dell'adduzione dipende dal tempo richiesto per
l’individuazione del guasto, l'intervento manutentivo ed il riavvio del sistema e questi fattori
dipendono a loro volta dal tipo di materiali delle condotte, dai diametri, dalle caratteristiche
del tracciato e, negli acquedotti con sollevamenti, dalle interruzioni della alimentazione
elettrica delle pompe. Questa funzione richiede una capacità di 1/3 -1/4 del fabbisogno
giornaliero.
Riserva per lo spegnimento degli incendi. Non esistono al proposito precise indicazioni
legislative. Per piccoli centri il volume di riserva viene valutato sulla base del consumo di
due idranti con portata di 8 l/s cadauno in funzione per 5 ore, che corrisponde a circa 300
m3. Per centri di maggiori dimensioni viene ancora adottata l'espressione suggerita da
Conti, che considera una portata pari a 6 P1/2 l/s da erogare per 5 ore, dove P è la
popolazione espressa in migliaia di abitanti. In questo caso, un centro di 30.000 abitanti
richiederebbe un volume di circa 600 m3. Per grandi città si suggerisce di considerare
portate dell'ordine di 200 l/s, equivalenti a 4 idranti da 50 l/s in funzione contemporanea.
In considerazione delle elevate incertezze nelle determinazioni dei volumi per la
regolazione e la riserva, è diffusa la prassi di fissare direttamente la capacità complessiva,
commisurandola all'entità del fabbisogno del giorno di massimo consumo. In particolare, il
PRGA della Sardegna suggerisce di adottare i valori riportati nella tabella seguente:
Tabella 5.1 – Capacità dei serbatoi urbani previste nel PRGA della Sardegna.
popolazione (ab)
capacità (mc)
popolazione (ab)
capacità (mc)
< 287
100
da 10.001 a 30.000
3.000+0.450 (ab-10.000) 0.75
da 287 a 2.000
100+0.350 (ab-286) 1.00
da 30.001 a 100.000
9.750+0.550 (ab-30.000) 0.50
da 2.001 a 5.000
700+0.350 (ab-2.000) 0.75
oltre 100.000
29.000+0.600 (ab-100.000) 0.50
da 5.001 a 10.000
1.500+0.400 (ab-5.000) 0.75
zone turistiche sino a 10.000
ab e raggio servizio < 3 km
50% della dotazione turistica
35
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
5.2. Il sistema di approvvigionamento con torrino piezometrico e
serbatoio d'estremità
Allorquando le alture atte ad ospitare un serbatoio di tipo interrato si trovano, rispetto al
centro urbano, dalla parte opposta alla direttrice d'avvicinamento dell'acquedotto esterno,
lo schema di approvvigionamento costituito da un serbatoio di testata comporta elevati
costi di realizzazione. In questo caso, infatti, occorre aggirare con la condotta adduttrice il
territorio urbanizzato e ritornare quindi indietro verso il centro, affrontando i costi derivanti
dalla maggiore lunghezza delle condotte e dai numerosi manufatti d'attraversamento della
rete viaria, di regola assai densa in prossimità agli insediamenti urbani. Se invece si
prevede l'impiego di un serbatoio pensile ubicato nel lato d'arrivo dell'adduttrice si evitano
questi oneri ma occorre realizzare una struttura d'accumulo di costo più elevato.
In tali situazioni viene talvolta adottato, in alternativa, uno schema costituito da un
torrino piezometrico, posto dal lato d'arrivo della condotta foranea e da essa alimentato,
ed un serbatoio d'estremità ubicato nel lato opposto ove l'altimetria offre siti favorevoli,
collegato al torrino attraverso la stessa rete di distribuzione (vedi figura 5.3).
Figura 5.3 – Alimentazione di un centro mediante torrino piezometrico e serbatoio d’estremità.
Il funzionamento di questo schema è intuitivo. Il torrino, posto all'estremità della
adduttrice, è alimentato dalla portata media giornaliera e, non avendo una significativa
capacità d'accumulo, eroga sempre verso la rete una portata pari a quella entrante. Nelle
36
E. Piga
ore con consumo inferiore alla portata media giornaliera (ore notturne), una parte della
portata uscente dal torrino viene distribuita lungo la rete alle utenze mentre la restante
parte viene immessa nel serbatoio. Nelle ore con consumo superiore alla media (ore
diurne), la portata erogata dal torrino non è sufficiente a coprire l'intero consumo e viene
integrata dalla portata proveniente dal serbatoio, che viene corrispondentemente svasato.
Per esaminare l'andamento delle piezometriche nelle diverse condizioni di
funzionamento sopra indicate, conviene fare riferimento ad una rete di distribuzione
semplificata, consistente in una unica condotta equivalente lunga L, con diametro D e con
caratteristiche uniformi lungo tutta la condotta, la cui cadente in una generica sezione con
portata Q, espressa mediante la relazione monomia del Contessini, risulta J = K.Q2/Dn.
Per semplicità, inoltre, si supponga di trascurare le condotte d'avvicinamento al torrino ed
al serbatoio, come se l'insieme di condotte d'avvicinamento e rete di distribuzione
consistessero in una unica tubazione che collega i due manufatti ed effettua servizio di
distribuzione lungo tutta la sua lunghezza. Tale condotta viene considerata equivalente
alla rete di distribuzione effettiva nella misura in cui, a parità di portata erogata, determina
la stessa perdita di carico (o la stessa differenza delle quote piezometriche) tra i due
manufatti. Ovviamente, occorre che i parametri D, L e K che governano le perdite della
condotta equivalente abbiano degli opportuni valori, o meglio, come sarà più chiaro nel
seguito, che abbia un corretto valore l'aggruppamento K L / Dn , dal quale dipende l’entità
delle perdite.
In un generico istante della giornata nel quale il consumo P del centro è inferiore o
uguale alla portata Q uscente dal torrino, l'altra estremità della condotta è interessata da
una portata pari alla differenza Q - P diretta verso il serbatoio. Considerando un'asse delle
ascisse lungo la condotta con origine nel torrino ed orientato verso il serbatoio, la portata
qx e la cadente Jx in una generica sezione x risultano:
qx = Q - p . x ;
Jx = K . (Q - p . x)2 / Dn
,
dove si è indicato con p la portata erogata per unità di lunghezza della condotta, pari a
P/L. Indicando con Ht ed Hs le quote dei peli liberi nei due manufatti (figura 5.4), la quota
piezometrica Hx nella sezione considerata si ottiene integrando lungo il tratto di lunghezza
x la perdita di carico infinitesima Jx. dx . Il suo valore è espresso dalla parabola cubica:
H x = Ht −

K ⋅ x  2 p2 ⋅ x 2
Q +
− Q ⋅ p ⋅ x  ,
n 
3
D 

Figura 5.4 – Andamento della piezometrica lungo la condotta equivalente.
37
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
mentre la perdita di carico complessiva della condotta, pari ad Ht - Hs , risulta:
Ht − Hs =

K ⋅L  2 P2
Q +
− Q ⋅ P  .
n 
3
D 

In particolare, quando il consumo P è nullo la condotta effettua servizio di solo trasporto
e la piezometrica presenta un andamento rettilineo. In queste condizioni la perdita di
carico complessiva è rappresentata dalla relazione:
K ⋅ L ⋅Q2
.
Ht − Hs =
Dn
Al crescere di P la piezometrica presenta una curvatura sempre più marcata e le perdite di
carico della condotta diminuiscono progressivamente. Allorquando il consumo P è pari alla
portata immessa Q, la condotta effettua servizio di sola distribuzione e la linea
piezometrica ha tangente orizzontale al suo estremo di valle (JL=0). Le perdite di carico
complessive sono ora pari ad un terzo di quelle di solo trasporto e valgono:
Ht − Hs =
K ⋅ L ⋅Q 2
.
3⋅ Dn
All’aumentare del consumo P da zero a Q, le piezometriche tracciate a partire da uno
stesso livello nel serbatoio e le corrispondenti quote del pelo libero nel torrino risultano
quindi sempre meno elevate (figura 5.5).
Figura 5.5 – Andamento della piezometrica con consumo P inferiore o uguale alla portata media giornaliera Q.
Allorquando invece il consumo P è superiore a Q, la portata erogata dal torrino
alimenta solo quella parte del centro più prossima al manufatto il cui consumo
complessivo è pari alla portata media giornaliera mentre la restante parte del centro è
alimentato da una portata pari a P - Q derivata dal serbatoio. La sezione della condotta
che separa le due zone (sezione neutra) è ubicata ad una distanza dal torrino pari a L' =
L.Q/P e ad una distanza dal serbatoio pari ad L'' = L (P-Q)/P, proporzionali al rapporto tra
la portata entrante in condotta dalla estremità corrispondente ed il consumo complessivo
P. In questo caso la linea piezometrica presenta un andamento decrescente dal torrino
sino alla sezione neutra, ove ha cadente nulla, ed un andamento crescente da questo
punto sino al serbatoio. Entrambi gli andamenti sono descritti dalle equazioni di terzo
grado sopra illustrate.
38
E. Piga
Indicando con Hc la quota piezometrica nel punto neutro, la perdita di carico
complessiva nel tratto di condotta dal torrino al punto neutro è pari a:
Ht − Hc =
K ⋅ L' ⋅Q 2 K ⋅ L ⋅ Q 3
,
=
3 ⋅ Dn
3 ⋅ P ⋅ Dn
mentre, nel tratto dal serbatoio al punto neutro, essa vale:
K ⋅ L" (P − Q )
K ⋅ L ⋅ (P − Q )
=
n
3⋅D
3⋅ P ⋅ Dn
2
Hs − Hc =
3
.
La differenza tra le quote dei peli liberi nei due manufatti risulta pertanto espressa dalla
relazione:
(
K ⋅ L ⋅ Q 3 − (P − Q )
Ht − Hs =
3⋅ P ⋅ Dn
3
)
.
Al crescere del consumo P, la portata P - Q immessa in condotta dal lato del serbatoio
aumenta e la posizione del punto neutro si sposta verso il torrino piezometrico;
contemporaneamente aumentano le perdite di carico nel tratto dal serbatoio al punto
neutro e diminuiscono quelle verso il torrino. In particolare, in corrispondenza ad un
consumo P < 2 Q il livello del pelo libero nel torrino è superiore a quello del serbatoio,
allorquando P = 2 Q i livelli nei due manufatti sono uguali mentre allorquando P > 2 Q il
livello del pelo libero nel serbatoio è superiore a quello nel torrino. Come indicato nella
figura 5.6, a parità di quota del pelo libero nel serbatoio, la linea piezometrica ed il pelo
libero nel torrino si abbassano all'aumentare del consumo.
Figura 5.6 – Andamento della piezometrica con consumo P pari o superiore alla portata media giornaliera Q.
Sulla base di quanto esposto, è immediato individuare le due piezometriche estreme
che si possono determinare nel sistema: la più alta si presenta in condizioni di minimo
consumo notturno Pmin e serbatoio completamente pieno mentre la più bassa si verifica
con serbatoio vuoto e massimo consumo diurno Pmax (vedi figura 5.7). Qualunque
condizione di consumo e di livello nel serbatoio dà luogo a linee piezometriche comprese
tra questi due estremi.
Poiché la progettazione dell'acquedotto esterno comprende anche, come già detto
precedentemente, il dimensionamento del serbatoio e del torrino piezometrico, occorre
determinare la posizione planimetrica e la quota di sfioro dei due manufatti. A questo
scopo, conviene fare sempre riferimento allo schema semplificato rappresentato dalla
39
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
condotta equivalente, determinando il valore del termine K.L/Dn da cui dipendono le
dissipazioni di energia nella condotta.
A questo scopo, consideriamo il sistema rappresentato nella figura 5.7, dove sono
state indicate con Ht, H't , Hs e H's rispettivamente i livelli massimi e minimi nel torrino
piezometrico e nel serbatoio.
Figura 5.7 – Determinazione dei livelli massimi del pelo libero nel torrino e nel serbatoio.
Sulla base di quanto detto sopra, le differenze di livello idrico nelle due strutture sono
espresse dalle relazioni:

K ⋅ L  2 P min 2
H t − H s = n  Q +
− Q ⋅ P min 
3
D 

H t' − H s' =
(
K ⋅L
3
Q 3 − (P max − Q )
3 ⋅ D ⋅ P max
n
;
)
.
La differenza tra le due relazioni fornisce l'espressione:
(H
t
) (
)
− H t' − H s − H s' =
 Q 3 − (P max − Q )3 
K ⋅ L  2 P min 2
 −

Q
+
−
Q
⋅
P
min

 ,
3
3 ⋅ P max
D n 


nella quale i due termini a sinistra del simbolo di uguaglianza rappresentano
rispettivamente la massima oscillazione tra le due piezometriche e l'escursione di livello
nel serbatoio mentre il termine a destra è pari al prodotto di K.L/Dn per una funzione nota
della portata media giornaliera Q e dei consumi massimi e minimi Pmax e Pmin del centro
urbano. Come già discusso a proposito della definizione della quota di sfioro di un
serbatoio di testata, alla massima oscillazione si assegnano valori di circa 12-15 m mentre
all'escursione di livello nel serbatoio valori pari a circa 4-5 m. Essendo noti (o facilmente
ipotizzabili) i massimi e minimi valori dei consumi del centro, la relazione precedente
consente di calcolare il termine K.L/Dn, che caratterizza le perdite di carico della condotta
equivalente. Il calcolo dei massimi livelli delle due strutture è ora banale. Con riferimento
alla figura 5.7, per ottenere la massima quota del pelo libero nel torrino si sommano alla
quota del filo di gronda della casa più critica il franco, le perdite di carico del tratto
compreso tra il punto neutro ed il torrino e la massima oscillazione Ht - H't mentre, per
ottenere il massimo livello nel serbatoio, si sommano la quota del filo di gronda, il franco,
40
E. Piga
le perdite di carico nel tratto di condotta dal punto neutro al serbatoio e l'escursione di
livello Hs - H's in quest’ultima struttura.
41
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
6. LO STUDIO DEL TRACCIATO
Lo studio del tracciato di un acquedotto, come peraltro tutta la progettazione, si articola
solitamente in fasi successive di maggior dettaglio e viene sempre rappresentato mediante
due elaborati grafici, la planimetria ed il profilo, che ne indicano rispettivamente
l'andamento planimetrico e l'andamento altimetrico. La planimetria identifica sulla
cartografia il percorso prescelto mentre il profilo rappresenta l'andamento altimetrico del
terreno e della condotta nonché le principali caratteristiche idrauliche dell'opera. Nel profilo
le scale delle lunghezze e delle altezze sono differenti; la prima è pari a quella della
planimetria mentre la seconda si assume di solito 10 volte maggiore, al fine di esaltare
l'andamento altimetrico naturale.
Nel progetto preliminare vengono stabilite le caratteristiche più significative dell’opera
al fine di assicurare la fattibilità dell’intervento in ordine ai vincoli di qualunque natura
(ambientali, geologici, idraulici, idrologici, artistici, archeologici) interferenti sulle aree
interessate. In particolare il tracciato di massima dell’acquedotto viene definito sulla base
delle indicazioni cartografiche integrate da specifici sopralluoghi in campagna e viene
rappresentato mediante una planimetria in scala 1:5000 ed un profilo in scala
1:5000/1:500.
Il progetto definitivo deve contenere tutti gli elementi richiesti per il rilascio delle
autorizzazioni necessarie alla esecuzione delle opere. In questa fase deve essere
individuata la soluzione definitiva, anche apportando giustificate variazioni alle indicazioni
contenute nel progetto preliminare. Il tracciato deve essere individuato sul terreno
mediante strumenti topografici e con l’ausilio di restituzioni aereofotogrammetriche e deve
essere rappresentato mediante una planimetria in scala 1:2000 e un profilo in scala
1:2000/1:200. Per redigere il Piano particellare degli espropri con l’elenco delle ditte da
espropriare, il tracciato deve essere identificato anche sulle mappe catastali.
Il progetto esecutivo definisce compiutamente ed in ogni particolare architettonico,
strutturale ed impiantistico l’intervento da realizzare nel pieno rispetto del progetto
definitivo e delle prescrizioni dettate in sede di rilascio delle autorizzazioni e dei pareri di
conformità. In assenza di specifiche indicazioni, il tracciato previsto nel progetto definitivo
non subirà in generale variazioni e gli elaborati che lo rappresentano saranno conformi a
quelli della fase progettuale precedente.
Il fine dello studio del tracciato è quello di identificare la soluzione di minore costo, a
parità di fattibilità tecnica; quindi, in generale, quella di minor lunghezza dell'acquedotto.
Non succede però pressoché mai di poter adottare per l'acquedotto il tracciato rettilineo
che congiunge la risorsa con il punto di consegna in quanto gli ostacoli posti dal territorio
attraversato impongono di regola deviazioni anche rilevanti al percorso di minima
lunghezza.
42
E. Piga
Figura 6.1 – Tracciato e profilo di un acquedotto.
43
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
6.1. I fattori che influenzano la scelta del tracciato
Il fattore più importante che condiziona la scelta del tracciato è costituito dall'altimetria
del territorio attraversato dalle condotte. Ad esempio, se in un acquedotto a gravità il
percorso più diretto interessa un territorio montuoso di quota pari o superiore a quella di
partenza, le alternative possibili consistono in:
• realizzare una galleria a quota tale da consentire un funzionamento in pressione
della condotta;
• disporre una stazione di sollevamento che sollevi l'acqua ad una vasca di carico
ubicata ad una quota opportuna;
• aggirare lateralmente la zona ad elevata altimetria passando in terreni a quota
minore ma aumentando la lunghezza del tracciato.
Dei tre possibili provvedimenti, il più oneroso è sicuramente quello di realizzare una
galleria, cosicché tale soluzione viene adottata solamente in situazioni particolari, dopo
avere escluso la fattibilità e la convenienza delle altre alternative. Più comune è la
soluzione di ricorrere ad un sollevamento, che presenta tuttavia l'inconveniente di costi di
gestione elevati, legati al consumo di energia elettrica delle pompe. La soluzione più
conveniente è usualmente rappresentata da un aggiramento dell'ostacolo, che spesso
comporta un limitato incremento della lunghezza complessiva del percorso.
L'andamento altimetrico condiziona la scelta del tracciato anche per un'altra ragione. E'
imperativo negli acquedotti evitare situazioni di depressione anche lieve nelle condotte,
che potrebbero comportare, a causa delle inevitabili lesioni della tenuta dei giunti,
l'introduzione di acqua di falda entro le tubazioni. A questo scopo la quota piezometrica
deve essere superiore al piano di campagna di almeno 2-3 m, garantendo che la
pressione in condotta sia sempre maggiore di quella della falda. Questo vincolo può
comportare situazioni piezometriche inaccettabili anche a fronte di andamenti del terreno
sempre decrescenti da monte a valle, come indicato nell'esempio di figura 6.2.
Figura 6.2 – Possibili situazioni di condotte in depressione negli acquedotti a gravità.
Un secondo fattore da considerare nello studio del tracciato è costituito dalla natura del
suolo. In particolare, le principali cause che possono richiedere allungamenti del percorso
per evitare di attraversare terreni sfavorevoli alla posa di un acquedotto consistono in:
• formazioni rocciose. La presenza di formazioni rocciose affioranti comporta un
aggravio significativo dei costi, specialmente in prossimità dei centri urbani ove è
vietato l'uso di mine. Uno scavo in roccia da mina presenta un costo a metro cubo
2-3 volte superiore a quello in terreno sciolto, mentre raddoppia ulteriormente nel
caso di roccia dura senza l'uso di esplosivi. In tali condizioni è di regola giustificato
un allungamento anche sensibile del percorso che consenta di evitare queste zone.
44
E. Piga
•
•
•
•
zone franose. L'attraversamento di zone franose è di regola da evitare. La condotta,
posata su terreno instabile sarebbe soggetta a continue rotture e richiederebbe
continui ed onerosi interventi manutentivi.
terreni cedevoli. Sono ancora da evitare i percorsi in terreni cedevoli. In questi casi,
infatti, il maggior costo risiede nella necessità di dotare le condotte, soprattutto se di
grande diametro, di adeguate strutture di fondazione.
terreni acquitrinosi. Anche i terreni acquitrinosi comportano spesso oneri costruttivi
legati alla presenza di acqua ed ai conseguenti provvedimenti da adottare durante
lo scavo e la posa delle condotte. In queste situazioni si ricorre talvolta a pose
superficiali, tumulando in rilevato le tubazioni per conferire loro un minimo di
protezione termica e meccanica.
terreni aggressivi. Una caratteristica spesso associata alle zone acquitrinose, ma
presente anche in altre formazioni, è l'aggressività del terreno. La presenza di
terreni molto aggressivi condiziona la scelta del materiale costituente le condotte e,
allorquando si debbano adottare condotte in materiali metallici, comporta l'adozione
di accorgimenti costosi sia nella fase di costruzione che in quella di gestione
dell'acquedotto.
Nello studio del tracciato occorre tenere inoltre conto dell'uso del suolo, sia in relazione
all'esistenza di vincoli di tipo ambientale, paesaggistico, artistico, archeologico o di
destinazione d'uso (per esempio le aree cimiteriali), sia in relazione agli oneri d'esproprio.
E' sempre preferibile allungare il percorso per evitare gli alti costi d'esproprio di terreni
destinati ad aree fabbricabili o interessati da colture pregiate, ed è buona norma, in fase
definitiva, studiare dei tracciati che passino lungo i confini aziendali al fine di limitare il
danno alle aziende interessate.
Poiché l'attraversamento di corsi d'acqua, di strade con forte traffico veicolare e di
ferrovie comporta la realizzazione di opere di costo elevato, occorre limitare al massimo il
loro numero: se il tracciato più diretto richiede, ad esempio, un doppio attraversamento di
una ferrovia è di regola economicamente più conveniente allungare anche
significativamente il percorso piuttosto che realizzare i due manufatti. Per la stessa
ragione, dovendo realizzare un partitore in prossimità di un attraversamento, è
conveniente disporre il manufatto di ripartizione dopo quello di attraversamento.
Figura 6.3 – Tracciato con un partitore ubicato dopo l’attraversamento.
Allorquando il tracciato è prossimo a percorsi stradali, soprattutto se rettilinei, è
conveniente affiancare l'acquedotto al tracciato della strada. Con tale disposizione si
45
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
conseguono più vantaggi: si espropria una fascia di terreno adiacente al confine limitando
il danno alle aziende agricole, si possono spesso utilizzare direttamente i ponti stradali per
attraversare corsi d'acqua sospendendo con apposite mensole le condotte all'esterno delle
spallette e si rende più agevole sia la costruzione che la successiva gestione, grazie alla
possibilità di utilizzare per gli accessi le strade invece che la pista aperta durante la
costruzione, che dopo pochi anni risulta sovente di difficile percorribilità.
Figura 6.4 – Tracciato affiancato ad una strada.
Nelle linee di rilevante lunghezza (alcune decine di km), può essere utile inserire lungo
il tracciato delle vasche di disconnessione a pelo libero. Ovviamente, affinché sia possibile
la realizzazione di manufatti di costo limitato, occorre che il tracciato sia studiato in modo
tale che in questi punti la quota del terreno sia prossimo alla quota piezometrica. Questa
disposizione offre alcuni vantaggi, consistenti in una più facile regolazione delle portate
trasferite ed in un minor carico a cui sono sottoposte le condotte delle tratte di valle in
condizioni idrostatiche, il che consente l'impiego di tubazioni di caratteristiche meccaniche
inferiori e di minor costo. A fronte di questi vantaggi, tuttavia, l'inserzione di peli liberi lungo
il percorso limita l’elasticità di funzionamento del sistema e rende più complessa la
possibilità di trasferire portate superiori a quelle di progetto, come talvolta si rende
necessario a causa i imprevisti sviluppi dell’utenza servita. Nell’esempio riportato nella
figura 6.5, l’ultima tratta dell’acquedotto in prossimità del serbatoio è sottoposta, in
assenza di vasche di disconnessione, ad un maggior carico pari ad bγ.
Figura 6.5 –Andamento delle piezometriche con e senza disconnessioni lungo il percorso.
46
E. Piga
6.2. Il tracciato degli acquedotti con sollevamenti
Nel caso in cui l’andamento altimetrico del terreno richieda l’adozione di un impianto di
sollevamento, nello studio del tracciato occorre considerare oltre i fattori precedentemente
illustrati anche i problemi legati alla presenza dell’impianto ed alla sua localizzazione lungo
la linea. Per illustrare i principali aspetti consideriamo il caso elementare di un acquedotto
al servizio di un solo centro urbano, il cui serbatoio abbia una quota del pelo libero
superiore a quella di partenza.
Distinguiamo innanzi tutto due casi:
• nel percorso dal punto di approvvigionamento a quello di consegna il terreno
presenta un andamento con quote sempre crescenti;
• il terreno presenta quote dapprima decrescenti e poi crescenti.
11
0
0
10
12
110 0
0
80
10
70
80
90
V asca di
carico
90
Nel primo caso, per evitare che la piezometrica intersechi il terreno e la condotta sia in
depressione, è ovviamente necessario disporre la stazione di sollevamento all'inizio del
tracciato. Se la lunghezza della condotta premente è contenuta (sino a qualche km),
l'adozione di tale soluzione non presenta particolari problemi. Se invece la condotta
premente risultasse di lunghezza elevata, sarebbe conveniente deviare il tracciato in modo
da raggiungere un punto a quota più elevata del serbatoio d'arrivo e posizionarvi una
vasca di carico dalla quale alimentare a gravità il serbatoio (figura 6.6). Il costo più elevato
dovuto alla maggiore lunghezza complessiva delle condotte sarebbe compensato dalle
economie risultanti dalla costruzione di una premente più corta, che deve essere
realizzata in materiali di migliori caratteristiche meccaniche, e quindi più costosi, a causa
delle sovrappressioni di colpo d'ariete.
S erbatoio
70
60
50
Im pianto di
sollevam ento
90
V asca di
carico
S erbatoio
Im pianto di
sollevam ento
Figura 6.6 – Sollevamento ubicato all’inizio del tracciato.
47
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Nel secondo caso, esemplificato nella figura 6.7, disporre l’impianto di sollevamento
all’inizio della linea comporterebbe una condotta premente inutilmente lunga e costosa ed
elevate pressioni lungo tutta la linea. Conviene invece realizzare un primo tratto
dell'acquedotto a gravità, sino alla sezione in cui la piezometrica è prossima al terreno e
ubicare in quel punto la stazione di sollevamento. La localizzazione esatta della stazione
di sollevamento potrà essere definita solo dopo aver determinato il diametro della tratta a
gravità ed avere riportato nel profilo l’andamento della relativa piezometrica sino
all’intersezione con il terreno. In tal modo si contiene la lunghezza della condotta premente
e si limitano corrispondentemente gli oneri legati al contenimento delle sovrappressioni di
colpo d'ariete. Come nel caso precedente, inoltre, se la premente fosse ancora troppo
lunga, conviene ridurla ulteriormente disponendo una vasca di carico in un punto elevato,
secondo la disposizione illustrata precedentemente.
Figura 6.7 – Sollevamento ubicato lungo il tracciato.
48
E. Piga
7. IL DIMENSIONAMENTO DELLE CONDOTTE
7.1. Impostazione del problema
Nei problemi di verifica di una rete già dimensionata, costituita da L lati ed N nodi
interni, sono interamente note le caratteristiche del sistema (lunghezze L, diametri D e
coefficienti di scabrezza K) mentre sono incognite le L+N grandezze idrauliche, costituite
dalle L portate nei lati e dalle N quote piezometriche dei nodi. Queste variabili sono legate
da L+N relazioni: L equazioni di moto lungo i lati ed N equazioni di continuità nei nodi. Il
numero di equazioni disponibili è pari a quello delle incognite ed il sistema è quindi
determinato.
Nei problemi di progetto, invece, sono di regola note le portate, le lunghezze ed i
coefficienti di scabrezza delle condotte mentre sono incogniti gli L diametri e le N quote
piezometriche dei nodi interni. Questa volta però, essendo note le portate, le equazioni di
continuità si riducono a relazioni tra i dati del problema e non contengono alcuna delle
incognite: il sistema è costituito dalle sole L equazioni di moto nelle L+N incognite ed è
quindi indeterminato.
Consideriamo ad esempio il semplice schema acquedottistico riportato in Figura 7.1.
Le quattro incognite sono i tre diametri D1, D2 e D3 ed il carico piezometrico Hn mentre le
equazioni disponibili sono solamente le tre equazioni di moto:
H a − H n = K 1 ⋅ L1 ⋅ Q12 ⋅ D1− n1 ,
H n − H b = K 2 ⋅ L2 ⋅ Q22 ⋅ D2− n2 ,
H n − H c = K 3 ⋅ L3 ⋅ Q32 ⋅ D3− n3 .
Il sistema presenta quindi una infinità di possibili soluzioni. Nel caso più generale di una
rete più complessa, costituita da L lati ed N nodi interni, le incognite sono L+N (L diametri
ed N carichi piezometrici) mentre possiamo scrivere solamente L equazioni di moto, una
per ogni lato: in questo caso il sistema presenta una infinità elevata N di differenti
soluzioni.
Figura 7.1 – Schema di un acquedotto.
49
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Nei problemi di dimensionamento, a fronte di una pluralità di soluzioni tecnicamente
realizzabili viene spontaneo ricercare quella economicamente più conveniente. Per
identificarla occorre formulare N relazioni di tipo economico contenenti le grandezze
incognite, le quali, aggiunte alle L equazioni di moto, rendano determinato il sistema.
E’ facile riconoscere che la soluzione economicamente più conveniente non coincide
necessariamente con quella di minimo costo costruttivo, ma deve tenere anche conto della
vita media delle opere e del tasso d’interesse, che rappresenta il costo annuo di
remunerazione del capitale.
A questo scopo, nella progettazione degli acquedotti si seguono tradizionalmente due
approcci alternativi:
si considera un piano di ammortamento a rate annue costanti del costo di
realizzazione, assumendo la sua durata pari alla vita media delle opere. La
soluzione più conveniente è quella caratterizzata dalla minima rata annua
d’ammortamento (minima passività).
si attualizzano tutti i costi differiti nel tempo, necessari ad assicurare nelle diverse
soluzioni confrontate una vita media dell’acquedotto di uguale durata. La soluzione
più conveniente è quella di minimo costo attualizzato.
Quest’ultimo approccio viene spesso utilizzato nel caso in cui lo schema considerato
debba subire modifiche strutturali nel corso della vita dell’opera (ad esempio con
l’inserimento di un sollevamento), mentre la scelta dei diametri più economici di uno
schema definito è normalmente basata sulla minima passività. Nel seguito verrà illustrato
in dettaglio quest’ultimo procedimento.
7.1.1. Minima passivita' nelle condotte a gravita'
Il procedimento fa riferimento ad uno scenario economico proprio di un'attività
imprenditoriale nel quale l’importo C0 per la realizzazione delle opere viene erogato da un
ente finanziario e viene rimborsato con rate annuali costanti, comprensive della
restituzione del capitale e della remunerazione degli interessi. Se si fissa la durata del
periodo di ammortamento pari alla vita delle opere, al termine dell'ultimo anno saranno
stati interamente ripagati il prestito contratto ed i relativi interessi, ma l'opera dovrà essere
ricostruita. Si dovrà quindi attivare un secondo prestito e fare ripartire un secondo periodo
d'ammortamento, che, in condizioni di mercato stabile, comporterà l'esborso di una rata
annua uguale alla precedente. In definitiva, erogando una rata annua sempre costante si
potrà mantenere in esercizio l'acquedotto indefinitamente nel tempo. La soluzione più
conveniente sarà quindi quella relativa alla minima rata annua da erogare (minima
passività).
L'entità della rata necessaria per rimborsare capitali ed interessi in un periodo di n anni
con un tasso d'interesse i, è fornita dall'espressione:
A = C0 . ra ,
nella quale A indica l'annualità, C0 il finanziamento contratto per la costruzione e ra il tasso
d'ammortamento, espresso dalla relazione:
ra =
(1 + i )n ⋅ i
(1 + i )n - 1
.
Per completezza concettuale, nell’annualità A vengono spesso considerati anche i
costi annui di manutenzione nonché gli oneri annui relativi agli interessi passivi maturati
durante il periodo di costruzione. Questi ultimi tengono conto del fatto che il periodo
50
E. Piga
d'ammortamento si fa decorrere usualmente dalla data di completamento dell'opera
mentre il finanziamento deve essere erogato anticipatamente, per fare fronte alle spese di
progettazione e costruzione. Entrambi i due costi annui possono essere espressi come
aliquote del costo costruttivo mediante i due tassi rm ed ri. Complessivamente,
l'ammontare della rata annua risulta pertanto:
A = C0 ⋅ (ra + rm + ri ) = C0 ⋅ r ,
dove si è indicato con r la somma dei tre tassi relativi all’ammortamento, alla
manutenzione ed agli interessi passivi.
Il costo C0 di costruzione di un acquedotto si può esprimere come prodotto della
lunghezza L della condotta per il costo per unità di lunghezza ed è ben rappresentato dalla
relazione:
(
)
C0 = L ⋅ a0 + a ⋅ D ε ,
dove a0 tiene conto dei costi unitari fissi (es. lo scavo di minime dimensioni, il costo
d'esproprio ecc.) mentre a ed ε sono due coefficienti che definiscono la dipendenza del
costo unitario dal diametro D della condotta. Nel caso generale di un acquedotto costituito
da tratte di differente diametro, il costo C0 è ovviamente pari alla somma dei costi dei
singoli lati e la corrispondente annualità risulta:
[
(
A = Σ i r i ⋅ Li ⋅ a0 ,i + ai ⋅ Di
εi
)] .
Le relazioni di tipo economico da aggiungere alle equazioni di moto al fine di rendere
determinato il problema di progetto sono ottenute imponendo il minimo valore della
annualità A.
Consideriamo il caso di due centri urbani alimentati da una stessa risorsa, riportato
nella Figura 7.1. Indicando con i pedici 1, 2 e 3 le varie grandezze (portata, lunghezza,
diametro, tasso annuo e coefficienti della funzione costo) relative ai tre lati, l'espressione
della passività A risulta:
(
)
(
)
(
)
A = r1 ⋅ L1 ⋅ a0 ,1 + a1 ⋅ D1ε1 + r2 ⋅ L2 ⋅ a0 ,2 + a2 ⋅ D2ε 2 + r3 ⋅ L3 ⋅ a0 ,3 + a3 ⋅ D3ε 3 .
Sostituendo in questa relazione ai diametri D le loro espressioni ottenute dalle
equazioni di moto:
1
 L ⋅ K ⋅Q2
D1 =  1 1 1
 Ha − Hn
 n1
 ,


 L2 ⋅ K 2 ⋅ Q22
D2 = 
 Hn − Hb
 n2
 ,


 L ⋅ K ⋅Q2
D3 =  3 3 3
 Hn − Hc
 n3
 ;


1
1
si ottiene una equazione in cui l'unica incognita che compare è costituita dal carico Hn nel
nodo intermedio.
Derivando questa relazione rispetto a Hn ed uguagliando a zero si ottiene, dopo
semplici passaggi, la nota espressione di minima passività:
51
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
r1 ⋅ a1 ⋅ ε 1
n1 ⋅ K 1 ⋅ Q12
⋅ D1 n1 +ε1 =
r2 ⋅ a2 ⋅ ε 2
n 2 ⋅ K 2 ⋅ Q 22
⋅ D2n2 +ε 2 +
r3 ⋅ a3 ⋅ ε 3
n 3 ⋅ K 3 ⋅ Q 32
⋅ D3n3 +ε 3 ,
che costituisce, nel caso in esame, la relazione mancante da associare alle tre equazioni
di moto.
Nel caso di più condotte sia entranti che uscenti dal nodo, l'equazione di minima
passività assume la forma più generale:
Σi
r i ⋅ ai ⋅ ε i
n i ⋅ K i ⋅ Qi2
⋅ Dini +ε i = Σ j
rj ⋅aj ⋅ε j
n j ⋅ K j ⋅ Q 2j
n +ε j
⋅Dj j
,
dove la prima sommatoria raccoglie le i condotte con portata entrante nel nodo mentre la
seconda raccoglie le j condotte che derivano acqua dal nodo.
Nel caso di reti più complesse dell’esempio riportato, costituite da N nodi interni, si
potranno scrivere N equazioni di minima passività, rendendo così determinato il sistema.
7.1.2. Minimo onere nelle condotte con sollevamento
Nelle condotte nelle quali sia inserito un impianto di sollevamento, il problema di
dimensionamento viene tradizionalmente chiamato problema di minimo onere. In questo
caso, oltre la passività della condotta occorre considerare anche il costo annuo per la
fornitura dell'energia elettrica di alimentazione delle macchine. Infatti, adottando un
diametro D’ molto piccolo, il costo annuo per la realizzazione della condotta sarà
contenuto ma, a causa delle forti perdite di carico, sarà necessario adottare una pompa
che fornisca una grande prevalenza ∆H’, la quale comporterà elevati consumi energetici
ed elevati costi annui. Assumendo il diametro D’’ molto grande, si ridurrà la prevalenza
necessaria e quindi il costo dell'energia elettrica, ma aumenterà il costo annuo per la
realizzazione della condotta. La condizione economica ottimale è quindi rappresentata da
quel diametro D* per il quale la somma della passività della condotta e del costo annuo
per l'energia elettrica risulta minima (figura 7.2). Nell’esaminare le diverse situazioni
faremo riferimento, per semplicità, a stazioni di sollevamento dotate di una sola macchina.
Costo
annuo
Hv'
Costo annuo
totale
D'
Hv
D*
D''
Hb
Passività condotta
H''
H
H'
Hv''
Ha
Costo annuo
energia
Q,L
P
D'
D*
D''
L
D
Figura 7.2 – Schema di una condotta con sollevamento.
Sollevamento a portata costante. Per definire il costo annuo dell'energia elettrica,
consideriamo dapprima il caso di un acquedotto che debba alimentare un centro con una
52
E. Piga
portata costante durante tutto l'anno. Con riferimento alla figura 7.2, la potenza W in kW
assorbita dal motore elettrico risulta dalla relazione:
W =
9.81 ⋅ Q ⋅ ∆h
η
,
nella quale η è il rendimento della elettropompa mentre ∆h rappresenta la prevalenza della
pompa, pari alla somma delle perdite di carico nella condotta (Hv - Hb) e del dislivello
geodetico (Hb - Ha) tra il pelo libero della vasca di presa e quello della vasca di carico.
Corrispondentemente l'energia in kWh assorbita in un anno sarà pari al prodotto della
potenza W per il numero di ore di funzionamento T, il cui valore, sulla base dell'ipotesi di
funzionamento a portata costante durante tutto l’anno, è pari a 8760. Indicando con CkWh il
costo del chilowattora, il costo annuo dell'energia Ce risulta dalla relazione:
Ce =
9.81 ⋅ Q ⋅ ∆h ⋅ T ⋅ C kWh
η
.
L'onere annuo complessivo O da minimizzare è pari, come già detto, alla somma della
passività della condotta e del costo annuo dell'energia:
(
)
O = r ⋅ L ⋅ a0 + a ⋅ D ε +
9.81 ⋅ Q ⋅ ∆h ⋅ T ⋅ C kWh
η
,
Sostituendo, come fatto precedentemente, al diametro D la sua espressione ricavata
dall'equazione di moto ed alla prevalenza ∆h la somma (Hv - Hb) + (Hb - Ha) sopra indicata,
si ottiene una funzione della sola variabile Hv. Derivando questa espressione rispetto ad
Hv ed uguagliando a zero, dopo semplici passaggi si ottiene:
9.81 ⋅ Q ⋅ T ⋅ C kWh
r ⋅a ⋅ε
,
⋅ D n +ε =
2
η
n ⋅ K ⋅Q
che rappresenta la condizione di minimo onere.
E' opportuno rilevare che, a seguito dell'operazione di derivazione, è scomparso il
termine (Hb - Ha) che rappresenta la differenza di quota tra la vasca di presa e la vasca di
carico. Ciò significa che il valore del diametro di massima economia non dipende
dall'entità del dislivello geodetico tra le due vasche, ma unicamente dalle dissipazioni
d'energia (Hv - Hb) lungo la condotta premente. In un sistema complesso tale fatto
consente, come più ampiamente illustrato nel seguito, di dimensionare per prime le
condotte prementi inserite nello schema anche senza conoscere ancora i diametri e le
quote piezometriche del resto del sistema.
Sollevamento a portata variabile. Nel caso dei sistemi d'acquedotto, la portata da
addurre ai centri urbani non è costante durante l'anno. Non è tuttavia conveniente
modulare la portata sollevata dalla stazione mediante la parzializzazione di una valvola di
regolazione posta subito dopo la pompa. Infatti, come illustrato schematicamente nella
Figura 7.3, la valvola dovrebbe dissipare parte dell'energia conferita alla corrente a spese
dell'energia elettrica assorbita ed inoltre la pompa opererebbe in condizioni non ottimali di
rendimento, con un ulteriore aggravio del costo di gestione della stazione.
53
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Figura 7.3 – Parzializzazione della valvola di regolazione della portata e curva caratteristiche del sollevamento.
La soluzione usualmente adottata per trasferire al serbatoio urbano il volume
giornalmente necessario consiste semplicemente nel far funzionare la pompa in modo
continuo (24 ore al giorno) solamente durante i giorni di massimo consumo ed in modo
intermittente (alternando periodi di funzionamento con periodi d’arresto della macchina)
nei giorni nei quali sia richiesta una portata inferiore a quella massima. In un giorno
invernale nel quale sia richiesta, ad esempio, una portata media giornaliera pari alla metà
di quella del giorno di massimo consumo, la pompa funzionerà alternando, per esempio,
un'ora di funzionamento con un'ora di arresto. In queste condizioni la pompa lavorerà
sempre in condizioni di massimo rendimento e non dissiperà nella valvola l’energia
conferita alla corrente. Questo tipo di funzionamento è peraltro facilmente realizzabile
mediante automatismi di costo non elevato. Ovviamente, l’adozione di un funzionamento
intermittente comporta la necessità di realizzare adeguati volumi di compenso sia nella
vasca di presa che in quella di carico.
In queste condizioni, la portata e la potenza assorbita durante l'anno sono o costanti o
nulle, e la condizione di minimo onere è sempre rappresentata dalla relazione:
9.81 ⋅ Q ⋅ T ⋅ CKWh
r ⋅a ⋅ε
.
⋅ D n +ε =
2
η
n ⋅ K ⋅Q
L'unica differenza rispetto al caso precedente risiede nel valore di T, numero di ore di
funzionamento nell'anno, che questa volta è inferiore a 8760. Il suo valore si ricava
immediatamente dividendo il volume annuo V da addurre al serbatoio del centro per la
portata del giorno di massimo consumo Q. Se si esprime il volume V in m3 e la portata Q
in m3/s, il tempo di funzionamento T in ore risulta:
T =
V
.
Q ⋅ 3600
Consideriamo ora il sistema illustrato nella Figura 7.4, più complesso del precedente,
nel quale la condotta di aspirazione sia di lunghezza non più trascurabile. Indicando col
pedice 1 le grandezze della condotta a gravità e col pedice 2 quelle della condotta
premente, le incognite nel problema di dimensionamento sono i diametri D1 e D2 delle
condotte e le quote piezometriche Hm ed Hv in corrispondenza alle flange di attacco della
54
E. Piga
Figura 7.4 – Schema di un acquedotto con sollevamento lungo la linea.
pompa mentre sono note la portata Q, le lunghezze L1 ed L2 dei lati e le quote
piezometriche Ha ed Hb delle due vasche di estremità.
L'equazione di minimo onere deve in questo caso contenere, oltre al costo annuo per
l'energia elettrica, la passività di entrambe le condotte:
(
)
(
)
O = r1 ⋅ L1 ⋅ a0 ,1 + a1 ⋅ D1ε1 + r2 ⋅ L2 ⋅ a0 ,2 + a2 ⋅ D2ε 2 +
9.81 ⋅ Q ⋅ ∆h ⋅ T ⋅ C kWh
η
= min imo ,
dove ∆h rappresenta ora la differenza (Hv - Hm).
Sostituendo nella precedente le espressioni dei diametri ottenute dalle equazioni di
moto:
 L1 ⋅ K1 ⋅ Q 2
D1 = 
 Ha − Hm

1
 n1
 ;


1
n
 2
 L2 ⋅ K 2 ⋅ Q

D2 = 
 Hv − H b 


2
,
si ottiene una relazione in cui compaiono le due grandezze incognite Hm ed Hv. Derivando
tale relazione rispetto a Hm e rispetto a Hv ed uguagliando a zero le due derivate, si
ottengono dopo semplici passaggi le due espressioni:
r1 ⋅ a1 ⋅ ε 1
9.81 ⋅ Q ⋅ T ⋅ C kWh
n +ε
⋅ D1 1 1 =
2
η
n1 ⋅ K 1 ⋅ Q
r2 ⋅ a2 ⋅ ε 2
9.81 ⋅ Q ⋅ T ⋅ C kWh
n +ε
⋅ D2 2 2 =
2
η
n2 ⋅ K 2 ⋅ Q
che, unite alle due equazioni di moto:
H a - H m = K 1 ⋅ L1 ⋅ Q 2 ⋅ D1− n1
;
H v - H b = K 2 ⋅ L2 ⋅ Q 2 ⋅ D2− n2 ,
rendono determinato il sistema.
55
;
,
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Le due equazioni di minimo onere contengono ognuna una sola incognita e possono
quindi essere risolte indipendentemente dal resto del sistema consentendo di determinare
immediatamente i diametri delle due condotte. Inoltre, poiché i due secondi membri delle
equazioni di minimo onere sono identici, risulta ovviamente:
r1 ⋅ a1 ⋅ ε1
n1 ⋅ K1 ⋅ Q
2
⋅ D1
n1 +ε1
=
r 2 ⋅ a2 ⋅ ε 2
n2 ⋅ K 2 ⋅ Q
2
⋅ D2n2 +ε 2 ,
che rappresenta l'equazione di minima passività scritta per il nodo "pompa", dove
convergono le due condotte. A differenza della situazione a gravità vista
precedentemente, questa volta i due termini non soltanto sono uguali tra loro ma ognuno
di essi è uguale a 9.81 ⋅ Q ⋅ T ⋅ C kWh / η . Anche in questo caso il valore del tempo di
funzionamento T risulta pari al rapporto tra il volume annuo e la portata massima.
7.1.3. Una osservazione sulle condizioni di massima economia
L’approccio di massima economia illustrato nei precedenti paragrafi è basato su ipotesi
schematiche di funzionamento del sistema e su espressioni necessariamente semplificate
delle funzioni di costo, che non possono tenere conto in modo preciso di tutti i differenti
fattori che intervengono nel dimensionamento.
Le soluzioni che derivano dall’applicazione degli algoritmi sono pertanto approssimate
e devono essere modificate, a volte anche sostanzialmente, per tenere conto dei vincoli
non considerati nella formulazione del problema. A titolo d’esempio, basti ricordare che il
procedimento non tiene conto dell’altimetria del terreno lungo il tracciato e può fornire
soluzioni inaccettabili, nelle quali l’andamento delle linee piezometriche determinerebbe
locali condizioni di depressione.
I metodi descritti non hanno quindi valore assoluto, ma costituiscono un utile
riferimento che consente di inquadrare la soluzione del problema e di organizzare i
tentativi da sottoporre a verifica al fine di pervenire ad una soddisfacente definizione dei
diametri e dei carichi incogniti.
7.2. La risoluzione del sistema di equazioni per il dimensionamento di
un acquedotto
La soluzione del sistema di equazioni illustrato nel paragrafo precedente può essere
affrontata con diversi procedimenti risolutivi. Negli schemi d'acquedotto più complessi,
costituiti da molti lati e molti nodi, l'elevato numero delle equazioni e delle incognite
consiglia l'impiego di specifici algoritmi e sono ormai disponibili commercialmente
numerosi applicativi di varia complessità e prestazioni. A titolo d’esempio, nel paragrafo
che segue viene illustrato un metodo tradizionale, il metodo di bilanciamento dei costi
detto anche metodo di Cross, che è stato utilizzato per lungo tempo per la soluzione delle
reti in pressione.
Sovente, tuttavia, occorre dimensionare schemi di limitata estensione, per i quali è
spesso più agevole e rapido affrontare la ricerca della soluzione predisponendo dei
semplici codici di calcolo facilmente implementabili anche su di un foglio elettronico. Alcuni
esempi di queste procedure dirette di dimensionamento sono illustrati nel successivo
paragrafo 7.2.2.
56
E. Piga
7.2.1. Il metodo di bilanciamento dei costi (metodo di Crosss)
Il metodo di Cross perviene alla soluzione esatta del sistema per successive
approssimazioni. In particolare il metodo prevede che vengano fissate delle quote
piezometriche di tentativo congruenti col verso del moto negli N nodi interni. Queste quote
piezometriche vengono successivamente corrette con un procedimento iterativo,
ricercando i valori che soddisfano oltre che le equazioni del moto anche le equazioni di
massima economia.
Acquedotto a gravità. Consideriamo uno schema a gravità costituito da L lati ed N nodi
interni. Il numero di incognite è pari a L+N, ed è costituito da L diametri D, uno per lato, ed
N quote piezometriche H, una per nodo. Le equazioni disponibili sono pari anch'esse a
L+N e sono costituite da L equazioni di moto (una per lato) ed N equazioni di minima
passività (una per nodo) del tipo:
H m − Hv = K ⋅ L ⋅ Q 2 ⋅ D −n ;
Σi
r i ⋅ ai ⋅ ε i
n i ⋅ K i ⋅ Qi2
⋅ Dini +ε i = Σ j
rj ⋅aj ⋅ε j
n j ⋅ K j ⋅ Q 2j
n +ε j
⋅Dj j
.
Nelle espressioni sopra scritte è stata indicata con (Hm - Hv) la differenza tra le quote
piezometriche del nodo di monte e del nodo di valle di un generico lato mentre le
sommatorie in i e j dell’equazione di minima passività sono estese, rispettivamente, alle
condotte in ingresso nodo ed a quelle in uscita dal nodo.
Introducendo, per ognuno dei lati, la variabile δ con valore +1 per le condotte entranti
nel nodo e -1 per quelle uscenti e sostituendo nella equazione di minima passività al
diametro D la sua espressione ricavata dall'equazione di moto, l’equazione di minima
passività diventa:
r ⋅a ⋅ε
Σ iδ i ⋅ i i i 2
ni ⋅ K i ⋅ Qi
 K ⋅ L ⋅Q2 
⋅  i i i 
 H m ,i − Hv ,i 
ni + ε i
ni
=0
dove la sommatoria in i enumera questa volta tutte le condotte, entranti ed uscenti,
collegate al nodo.
Indicando, per brevità, con ∆y la differenza di quota piezometrica (Hm - Hv) tra i due
estremi di ogni condotta e con λ l'aggruppamento:
λ=
r ⋅a ⋅ε
⋅ K ⋅ L ⋅Q 2
2
n ⋅ K ⋅Q
(
)
n +ε
n
,
l'equazione di minima passività si scrive:
−
Σ i δ i ⋅ λi ⋅ ∆y i
ni +ε i
ni
=0.
Con le sostituzioni effettuate, il sistema è ora costituito da N equazioni di minima
passività nelle quali figurano come incognite, tramite le differenze ∆y, le sole N quote
piezometriche dei nodi interni; da queste è immediato determinare mediante le equazioni
di moto i diametri di tutti i lati.
L'applicazione del metodo di Cross prevede, come già accennato, di fare una
sostituzione di variabile fissando in ogni nodo un valore di tentativo H 0 ,i della quota
piezometrica, congruente col verso del moto. La quota piezometrica incognita Hi sarà
57
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
quindi pari alla somma del valore di tentativo H 0 ,i e di una correzione dhi, che rappresenta
la nuova incognita da determinare:
Hi = H 0 ,i + dhi .
Corrispondentemente, le N equazioni del nuovo sistema assumono la forma:
Σ i δ i ⋅ λi ⋅ (∆y 0,i + dhm ,i − dhv ,i )−
ni + ε i
ni
=0
dove si è indicato con ∆y0,i la differenza tra le quote piezometriche di tentativo delle
estremità di monte e di valle del lato i-esimo e con dhm,i e dhv,i le loro correzioni.
In ognuna delle equazioni compaiono pertanto numerose variabili, rappresentate delle
correzioni delle quote piezometriche di tentativo sia del nodo per il quale è stata scritta
l'equazione che di tutti i nodi contigui, a lui collegati dai lati.
La prima approssimazione introdotta consiste nel trascurare tutte le correzioni dei nodi
contigui a quello centrale, per cui nell'equazione compare unicamente la correzione di
quest'ultimo. Poiché dh rappresenta la correzione della quota piezometrica del nodo di
valle per i lati in ingresso al nodo e la correzione della quota di monte per quelli in uscita
dal nodo, essa deve avere segno negativo nel primo caso e positivo nel secondo. Per
tenere conto del segno conviene far uso ancora della variabile δ, pervenendo alla
relazione:
Σ i δ i ⋅ λi ⋅ (∆y 0,i − δ i ⋅ dh )−
ni + ε i
ni
=0 ,
dove l'unica incognita è ora dh, che rappresenta la correzione da apportare alla quota
piezometrica di tentativo del nodo per il quale è stata scritta l'equazione.
Si consegue così il vantaggio computazionale di risolvere un sistema di equazioni
indipendenti, in ognuna delle quali compare una sola incognita, le cui soluzioni forniscono
però valori approssimati delle correzioni dh. E' pertanto necessario applicare più volte il
procedimento, calcolando in tutti i nodi le correzioni dh ed aggiornando
corrispondentemente le quote piezometriche di tentativo. Se il processo iterativo è
convergente, come si verifica nella maggior parte dei casi, le successive correzioni di uno
stesso nodo si riducono ad ogni passo e la quota piezometrica corretta tende al valore
incognito soluzione del sistema. Ai fini del dimensionamento di uno schema
acquedottistico, può essere sufficiente arrestare il procedimento allorquando tutte le
correzioni sono contemporaneamente abbastanza piccole in tutti i nodi.
Poiché dh compare nelle equazioni in forma implicita, è conveniente introdurre una
ulteriore approssimazione che consenta il calcolo diretto dell'incognita. Essa consiste nello
sviluppare in serie di Taylor l'espressione precedente, trascurando i termini di grado
superiore al primo:
f(dh) = f(dh=0) + f'(dh=0).dh
che conduce, dopo semplici passaggi, alla relazione esplicita:
Σ i δ i ⋅ λ i ⋅ ∆y
dh = −
Σi
ni + ε i
ni
i ,0
n +ε
− i i −1
ni
i ,0
−
ni + ε i
⋅ λi ⋅ ∆y
ni
58
E. Piga
Ovviamente, l'introduzione di quest'ultima approssimazione richiederà un maggior
numero di iterazioni per conseguire la precisione richiesta nella determinazione delle
quote piezometriche, ma il calcolo delle correzioni sarà assai più spedito.
Acquedotto con sollevamenti. Nel caso in cui alcuni dei lati che convergono in un nodo,
sia in ingresso che in uscita, contengano delle stazioni di sollevamento, i corrispondenti
r ⋅a ⋅ε
termini
⋅ D n +ε che compaiono nella equazione di minima passività hanno un
2
n ⋅ K ⋅Q
valore noto, definito dall'equazione di minimo onere:
r ⋅a ⋅ε
n ⋅ K ⋅Q
2
⋅ D n +ε =
9.81 ⋅ Q ⋅ T ⋅ C kWh
η
.
Pertanto, la sommatoria a numeratore della espressione di dh potrà essere suddivisa in
due: una prima sommatoria che raccoglie le sole i condotte a gravità che convergono nel
nodo, formalmente identica a quella vista precedentemente, ed una seconda sommatoria
che raccoglie le sole p condotte con sollevamenti, costituita da termini noti di valore pari a
9.81 ⋅ Q p ⋅ T p ⋅ C kWh
. Al denominatore comparirà invece unicamente la derivata della prima
ηp
sommatoria, in quando la seconda, costituita da termini costanti, ha derivata nulla.
In definitiva, la correzione dh risulta:
ni +ε i
Σ i δ i ⋅ λi ⋅ Λy i ,0 ni
−
dh = −
+Σp
9.81 ⋅ Q p ⋅ T p ⋅ C kWh
ηp
ni +ε i
−
n + εi
Σi i
⋅ λi ⋅ Λy i ,0 ni
ni
−1
⋅δ p
,
dove δp ha valore +1 nelle condotte con portata entrante nel nodo e –1 in quelle che
derivano acqua dal nodo.
E' stato proposto un metodo duale di quello sopra descritto, conosciuto col nome di
metodo di bilanciamento dei carichi, che assume dei diametri di tentativo che rispettino le
equazioni di minima passività, e li corregge per successive approssimazioni in modo da
rispettare anche le equazioni di moto. La convenienza nell'uso dell'uno o dell'altro
approccio dipende dalla struttura dello schema considerato.
7.2.2. Metodi diretti di soluzione del sistema
Come accennato precedentemente, allorquando lo schema acquedottistico presenta
un limitato numero di lati e di nodi, il sistema di equazioni può essere risolto direttamente
senza ricorrere ad algoritmi generali di soluzione.
Acquedotto a gravità. Consideriamo ad esempio il sistema a gravità riportato nella
Figura 7.5. Lo schema è costituito da 7 lati e 3 nodi interni e sono pertanto incogniti 7
diametri e 3 carichi piezometrici. Per semplicità di scritturazione delle equazioni, si
supponga che tutte le condotte siano realizzate con il medesimo materiale e,
conseguentemente, i coefficienti delle equazioni di passività e di moto siano gli stessi per
tutti i lati.
59
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Figura 7.5 – Acquedotto a gravità.
Con riferimento ai simboli indicati nella figura, il sistema di equazioni è costituito da 7
equazioni di moto e da 3 equazioni di minima passività:
H a - H b = K ⋅ L1 ⋅ Q12 ⋅ D1− n ;
H b - H c = K ⋅ L2 ⋅ Q22 ⋅ D2− n ;
H b - H d = K ⋅ L3 ⋅ Q32 ⋅ D3− n ;
H d - H e = K ⋅ L4 ⋅ Q42 ⋅ D4− n ;
H d - H f = K ⋅ L5 ⋅ Q52 ⋅ D5− n ;
H f - H g = K ⋅ L6 ⋅ Q62 ⋅ D6− n ;
H f - H h = K ⋅ L7 ⋅ Q72 ⋅ D7− n ;
r ⋅a ⋅ε
r ⋅a ⋅ε
r ⋅a ⋅ε
⋅ D1n +ε =
⋅ D2n +ε +
⋅ D3n +ε ;
2
2
2
n ⋅ K ⋅ Q1
n ⋅ K ⋅ Q2
n ⋅ K ⋅ Q3
r ⋅a ⋅ε
r ⋅a ⋅ε
r ⋅a ⋅ε
⋅ D3n +ε =
⋅ D4n +ε +
⋅ D5n +ε ;
2
2
2
n ⋅ K ⋅ Q3
n ⋅ K ⋅ Q4
n ⋅ K ⋅ Q5
r ⋅a ⋅ε
r ⋅a ⋅ε
r ⋅a ⋅ε
⋅ D5n +ε =
⋅ D6n +ε +
⋅ D7n +ε .
2
2
2
n ⋅ K ⋅ Q5
n ⋅ K ⋅ Q6
n ⋅ K ⋅ Q7
Se si fissa il valore di una delle incognite, risolvendo con un'opportuna sequenza nove
delle dieci equazioni disponibili, si possono determinare immediatamente i valori delle altre
nove variabili. La decima equazione può quindi essere utilizzata per verificare il valore
assegnato alla prima incognita e, per successive approssimazioni, consente risolvere il
sistema.
Ad esempio, assegnando alla quota dell'ultimo nodo incognito un carico H' f di
tentativo, la sequenza di equazioni da risolvere risulta:
• dall'equazione di moto del lato 6 si determina il diametro D6, che è l'unica incognita
presente;
• dall'equazione di moto del lato 7 si determina il diametro D7;
60
E. Piga
•
•
•
•
•
•
•
•
dall'equazione di minima passività del nodo f si può ora determinare l'unica
incognita D5,
con l'equazione di moto del lato 5 è possibile determinare la quota piezometrica
H d del nodo d;
dall'equazione di moto del lato 4 si determina il diametro D4;
dall'equazione di minima passività del nodo d si può ora determinare l'unica
incognita D3
con l'equazione di moto del lato 3 è possibile determinare la quota piezometrica
H b del nodo b
dall'equazione di moto del lato 2 si determina il diametro D2
dall'equazione di minima passività del nodo b si può ora determinare l'unica
incognita D1
con l'equazione di moto del lato 1 è possibile determinare un valore della quota
piezometrica del nodo di partenza, corrispondente al carico di tentativo H' f
assegnato al nodo f.
Se tale quota è differente dal valore effettivo, occorre iterare il procedimento fissando
un nuovo valore di tentativo nel nodo f, più alto o più basso di quello iniziale. Il
procedimento può essere facilmente automatizzato sia implementando un codice di
calcolo che usando direttamente un semplice foglio elettronico.
Con piccole varianti nella sequenza di equazioni da risolvere, il procedimento può
essere utilizzato fissando come valore di tentativo la velocità o il diametro in uno dei lati di
estremità.
Acquedotto con sollevamento. Nel caso di acquedotti con sollevamenti, il procedimento
di calcolo è reso più semplice dal fatto che le equazioni di minimo onere contengono come
unica incognita il diametro di una condotta (premente o di aspirazione), il che consente di
determinare direttamente il valore esatto di alcune delle variabili. Consideriamo ad
esempio il caso di un impianto di rilancio lungo linea senza vasca di presa illustrato nella
Figura 7.6, nel quale si supponga già assegnata l’ubicazione della stazione di
sollevamento e quindi le lunghezze L1 ed L2 delle condotte di aspirazione e di mandata.
Figura 7.6 – Acquedotto con sollevamento lungo linea.
In questo schema sono incogniti i diametri delle tre condotte D1, D2 e D3, la quota Hb
della vasca di carico e le quote piezometriche Hm ed Hv a monte ed a valle della pompa.
Le equazioni disponibili sono le tre equazioni di moto lungo i tre lati, l'equazione di minima
61
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
passività al nodo corrispondente alla vasca di carico e le due equazioni di minimo onere
nelle condotte di aspirazione e di mandata:
H a − H m = K 1 ⋅ L1 ⋅ Q 2 ⋅ D1− n1 ;
H v − H b = K 2 ⋅ L2 ⋅ Q 2 ⋅ D2− n2 ;
H b − H c = K 3 ⋅ L3 ⋅ Q 2 ⋅ D3− n3 ;
r 2 ⋅ a2 ⋅ ε 2
n2 ⋅ K 2 ⋅ Q
2
r1 ⋅ a1 ⋅ ε1
n1 ⋅ K1 ⋅ Q 2
r 2 ⋅ a2 ⋅ ε 2
n ⋅2 K 2 ⋅ Q 2
r 3 ⋅ a3 ⋅ ε 3
⋅ D2n2 +ε 2 =
⋅ D1
n1 +ε1
⋅ D2
n2 +ε 2
n3 ⋅ K 3 ⋅ Q
=
2
⋅ D3n3 +ε 3 ;
9.81 ⋅ Q ⋅ T ⋅ C kWk
=
η
9.81 ⋅ Q ⋅ T ⋅ C kWk
η
;
.
Il sistema si risolve senza dover ricorrere a procedimenti iterativi, determinando in
sequenza:
• il diametro D1 dalla equazione di minimo onere delle condotta di aspirazione,
nella quale esso è l'unica incognita;
• il diametro D2 dalla equazione di minimo onere delle condotta premente, nella
quale esso è l'unica incognita;
• il diametro D3 dall'equazione di minima passività nel nodo b;
• la quota Hb della vasca di carico dalla equazione di moto del lato 3;
• le quote piezometriche Hm ed Hv dalle altre due equazioni di moto.
Consideriamo ora il caso in cui l’ubicazione di una stazione di sollevamento dotata di
vasca di presa non sia nota a priori e siano quindi incognite le lunghezze L1 ed L2 delle
condotte in arrivo ed in partenza dalla stazione (figura 7.7). Per non dissipare inutilmente il
carico, la vasca di presa dovrà essere ubicata lungo il tracciato in corrispondenza alla
sezione nella quale la piezometrica presenta una quota di alcuni metri sopra il terreno, pari
a quella del pelo libero della vasca di presa.
Figura 7.7 – Acquedotto con sollevamento e vasca di presa.
In queste condizioni, conviene determinare:
• dalla equazione di minimo onere del tratto 1 il diametro D1 della condotta di
alimentazione della vasca;
62
E. Piga
•
•
•
•
•
•
l’andamento della linea piezometrica sino alla sezione con quota piezometrica
superiore di alcuni metri rispetto al suolo, nella quale ubicare la vasca di presa;
la lunghezza L1 ed L2 delle due condotte a gravità e di mandata;
il diametro D2 dalla equazione di minimo onere delle condotta premente, nella
quale esso è l'unica incognita;
il diametro D3 dall'equazione di minima passività nel nodo b;
la quota Hb della vasca di carico dalla equazione di moto del lato 3;
le quote piezometriche Hm ed Hv dalle altre due equazioni di moto.
Consideriamo infine un caso più complesso del precedente, nel quale si dipartano dalla
vasca di carico due linee che alimentano due serbatoi urbani (vedi Figura 7.8).
In questo schema sono incogniti i quattro diametri D1, D2, D3 e D4, le quote
piezometriche Hm ed Hv a monte ed a valle della pompa e la quota Hb della vasca di carico
e, come precedentemente, l’ubicazione lungo il tracciato della stazione di sollevamento.
Le equazioni disponibili sono le quattro equazioni di moto, le due equazioni di minimo
onere e l'equazione di minima passività nel nodo rappresentato dalla vasca di carico:
H a − H m = K 1 ⋅ L1 ⋅ Q12 ⋅ D1− n1 ;
H v − H b = K 2 ⋅ L2 ⋅ Q12 ⋅ D2− n2 ;
H b − H d = K 3 ⋅ L3 ⋅ Q32 ⋅ D3− n3 ;
H b − H c = K 4 ⋅ L4 ⋅ Q42 ⋅ D4− n4 ;
r ⋅a ⋅ε
r ⋅a ⋅ε
r2 ⋅ a2 ⋅ ε 2
⋅ D2n2 +ε 2 = 3 3 3 2 ⋅ D3n3 +ε 3 + 4 4 4 2 ⋅ D4n4 +ε 4 ;
2
n 3 ⋅ K 3 ⋅ Q3
n 4 ⋅ K 4 ⋅ Q4
n 2 ⋅ K 2 ⋅ Q1
r1 ⋅ a1 ⋅ ε 1
9.81 ⋅ Q1 ⋅ T ⋅ C kWk
n +ε
⋅ D1 1 1 =
;
2
η
n1 ⋅ K 1 ⋅ Q1
r2 ⋅ a2 ⋅ ε 2
9.81 ⋅ Q1 ⋅ T ⋅ C kWk
n +ε
⋅ D2 2 2 =
;
2
η
n 2 ⋅ K 2 ⋅ Q1
Figura 7.8 – Acquedotto con sollevamento.
63
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Questa volta si possono determinare direttamente il diametro della condotta premente
e di quella d'aspirazione ed inoltre, riportando sul profilo la linea piezometrica di
quest’ultima, si può definire la localizzazione della stazione di sollevamento, le lunghezze
L1 ed L2 e la quota piezometrica di monte Hm. Occorre invece procedere per tentativi per
trovare i valori delle altre grandezze.
In particolare, fissato un valore di tentativo per la quota piezometrica della vasca di
carico b, si possono determinare i diametri D3 e D4 mediante le due equazioni di moto
nelle quali essi sono l'unica incognita, e verificare quindi che sia soddisfatta l'equazione di
minima passività al nodo rappresentato dalla vasca. Anche questo procedimento è
facilmente automatizzabile con semplici schemi di calcolo automatico.
7.3. I diametri teorici e commerciali
I valori dei diametri teorici di massima economia ottenuti dalla risoluzione del sistema
di equazioni non coincideranno, in generale, con i diametri commerciali disponibili sul
mercato, tra i quali occorre scegliere quelli da adottare nella progettazione. Come meglio
illustrato nel seguito, questa scelta è basata su considerazioni eminentemente pratiche ma
è verificata controllando che la velocità nelle condotte rientri entro limiti prefissati e che la
quota piezometrica sia sempre superiore alla quota del terreno.
In generale è conveniente assegnare ad ogni lato un diametro prossimo a quello
teorico, immediatamente inferiore o superiore, in modo da ottenere un andamento della
linea piezometrica vicino a quello di massima economia e pervenire ai serbatoi ubicati alle
estremità della rete con quote piezometriche non inferiori a quelle di sfioro dei manufatti.
Nel caso in cui le quote piezometriche al termine delle linee siano superiori a quelle dei
serbatoi, occorre ovviamente inserire una valvola di regolazione che dissipi il carico
eccedente. L’installazione di opportune valvole di regolazione lungo la linea è resa
comunque necessaria dal fatto che la determinazione dei diametri viene fatta assumendo
valori dei coefficienti di scabrezza che si verificheranno dopo più anni di esercizio a causa
di incrostazioni o di corrosioni delle superfici interne delle condotte mentre, nei primi anni
di funzionamento, essi saranno sicuramente inferiori ed occorrerà quindi dissipare il carico
in eccesso.
Se alle estremità delle diramazioni si vogliono ottenere quote piezometriche uguali a
quelle previste nel calcolo teorico, ogni lato più vallivo della rete dovrà essere suddiviso in
due tratte alle quali assegnare rispettivamente il diametro commerciale D1
immediatamente superiore ed il diametro D2 immediatamente inferiore al diametro teorico.
Le relative lunghezze L1 ed L2 possono essere determinate imponendo che la loro somma
sia pari alla lunghezza totale L del lato e che la somma delle perdite di carico nelle due
tratte sia pari alla differenza ∆H che si vuole conseguire tra le quote piezometriche alle
estremità del lato.
Più in particolare, indicando con J1 la cadente della tratta a diametro D1 e con J2 quella
della tratta a diametro D2, e con L la lunghezza complessiva del lato, le due relazioni sopra
indicate risultano:
L = L1 + L2 ;
∆H = J1 ⋅ L1 + J 2 ⋅ L2 .
che, dopo semplici sostituzioni fornisce le relazioni:
64
E. Piga
L1 =
L2 =
∆H − J 2 ⋅ L
J1 − J 2
∆H − J1 ⋅ L
J 2 − J1
;
.
Volendo rispettare rigorosamente anche nei nodi interni le quote piezometriche di
massima economia risultanti dalla soluzione del sistema, occorre ripartire la lunghezza
complessiva di ogni lato in due tratte con differente diametro. Non è tuttavia conveniente
applicare sistematicamente questa procedura in quanto l’acquedotto sarebbe costituito da
un eccessivo numero di differenti diametri, in che comporterebbe la necessità di disporre
di una adeguata scorta di tubi, apparecchiature e pezzi speciali per ogni diametro e tipo di
materiale utilizzato, con un conseguente aggravio dei costi.
Come accennato precedentemente, nel definire i diametri commerciali da adottare
occorre verificare che i valori della velocità siano compresi tra 0,5 e 2,0 m/s circa. Infatti
velocità troppo basse comportano eccessivi tempi di percorrenza nelle condotte, che
possono peggiorare le caratteristiche organolettiche dell’acqua mentre velocità troppo
elevate determinano eccessive vibrazioni nei tubi e possono contribuire a compromettere
la tenuta dei giunti ed esercitare inoltre azioni erosive nei confronti dei rivestimenti interni
delle condotte.
Ai due ordini di problemi si pone rimedio aumentando o diminuendo in diametro della
condotta nella quale la velocità fosse rispettivamente troppo elevata o troppo bassa.
L’aumento di alcuni dei diametri potrà comportare la necessità di ridurre quelli delle tratte
contigue o di adottare eventuali valvole di dissipazione mentre la loro riduzione, se non
compensata da incrementi dei diametri di altre tratte, potrà anche richiedere l’inserimento
di una stazione di sollevamento.
Un ultimo controllo da effettuare riguarda infine l’andamento delle linee piezometriche.
Come già detto, infatti, occorre evitare che vi siano tratte in depressione imponendo che la
quota piezometrica sia sempre superiore di almeno due metri alla quota del terreno.
Anche questo controllo potrà richiedere ulteriori variazioni dei diametri e, talvolta, la scelta
di un percorso alternativo a quello inizialmente previsto.
65
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
8. LE TUBAZIONI PER ACQUEDOTTO
I principali materiali attualmente impiegati per la produzione dei tubi per acquedotto si
possono classificare nelle tre seguenti categorie:
•
materiali metallici (ghisa ed acciaio);
•
materiali lapidei (cemento armato ordinario, cemento armato precompresso e
cemento-amianto, attualmente non più prodotto);
•
materiali plastici (cloruro di polivinile, polietilene, vetroresina).
Essi presentano caratteristiche assai differenti per quanto riguarda la resistenza
meccanica, il peso, il tipo di giunto, il rivestimento, la scabrezza interna, la resistenza alla
corrosione ed il costo, per cui la scelta del materiale più idoneo richiede, caso per caso,
una attenta analisi delle condizioni di posa, delle pressioni d’esercizio e delle
caratteristiche dei terreni attraversati.
I procedimenti di costruzione, le principali dimensioni e le prove cui debbono essere
sottoposti i tubi in stabilimento sono definiti dalle Norme UNI, CEI ed ISO mentre la
progettazione, la posa ed il collaudo delle linee d’acquedotto sono regolate dalle
“Normative tecnica sulle tubazioni” riportate nel Decreto del Ministero dei LL.PP. del
12.12.1985.
8.1. Le tubazioni metalliche
Tubazioni in ghisa. Sino alla metà del ‘900 le tubazioni in ghisa erano realizzate
unicamente in ghisa grigia di seconda fusione, ottenuta a partire da una mescolanza di
rottami di ghisa e di ghisa d’altoforno. In questa lega il carbonio cristallizza sotto forma di
sottili lamelle disperse nella matrice ferrosa che conferiscono al materiale una limitata
resistenza alla trazione ed una certa fragilità. A fronte di queste caratteristiche, tuttavia, le
tubazioni in ghisa grigia presentano una ottima resistenza alla corrosione, che assicura
una vita media delle condotte del tutto ragguardevole: era ancora in servizio sino a pochi
anni or sono un acquedotto realizzato intorno alla metà del XVII secolo per l’alimentazione
idrica delle fontane di Versailles.
Nel 1948 è stato messo a punto un differente processo di produzione: l’aggiunta di una
piccola quantità di magnesio, pari a circa 0,1 per mille, permette al carbonio di
cristallizzare sotto forma di noduli sferoidali migliorando enormemente le caratteristiche
meccaniche del materiale (figura 8.1). In particolare, la ghisa sferoidale presenta una
resistenza alla trazione circa doppia di quella della ghisa grigia raggiungendo valori
analoghi a quelli dell’acciaio, possiede una minore fragilità e conserva una buona
resistenza all’usura ed alla corrosione.
Le principali caratteristiche delle tubazioni in ghisa sferoidale attualmente prodotte sono
una elevata resistenza alla pressione interna (sino a oltre 60 kgf/cm2), un limitato spessore
66
E. Piga
Figura 8.1 – micrografie: a) della ghisa grigia; b) della ghisa sferoidale.
della parete, un peso contenuto, una buona resistenza alla corrosione interna ed esterna,
che costituisce il punto di debolezza delle tubazioni d’acciaio, una elevata durata ed
affidabilità ed un basso coefficiente di scabrezza, che ne hanno determinato il largo
impiego negli acquedotti.
Il processo costruttivo attualmente utilizzato per la produzione dei tubi in ghisa
sferoidale è quello per centrifugazione: la ghisa fusa viene sversata all’interno di una
forma cilindrica orizzontale (conchiglia) che riproduce la superficie esterna del tubo ed è
mantenuta in rapida rotazione intorno al suo asse. Grazie alla forza centrifuga la ghisa
liquida si distribuisce uniformemente lungo tutta la conchiglia e solidifica a contatto della
parete, che è raffreddata dall’esterno mediante getti d’acqua. I tubi vengono quindi ricotti
in forno a 900 °C per decomporre la cementite ed eliminare le tensioni interne conseguenti
al rapido raffreddamento. La lunghezza standard dei tubi di ghisa sferoidale è di 8 metri.
Il rivestimento esterno dei tubi è normalmente costituito da una zincatura e da uno
strato di vernice bituminosa di protezione mentre il rivestimento interno è costituito da un
sottile stato di malta cementizia, applicato anch’esso per centrifugazione. Gli spessori di
questo rivestimento vanno da un minimo di 3 mm per le tubazioni di minore diametro ad
un massimo di 12 mm per i diametri superiori a 2000 mm.
I tipi di giunti più diffusi per le tubazioni in ghisa sferoidale sono il giunto elastico a
bicchiere, adottato di regola per le tubazioni interrate, ed il giunto a flangia, che trova
applicazione nelle pose all’aperto ed all’interno dei manufatti per la maggiore facilità di
montaggio e smontaggio. Per applicazioni specifiche vengono spesso adottati giunti a
manicotto tipo Gibault.
I giunti elastici a bicchiere più diffusi sono il giunto rapido ed il giunto express. Nel
giunto rapido la tenuta è realizzata mediante una guarnizione anulare di gomma sintetica
alloggiata in una sede praticata nel bicchiere, che viene fortemente compressa tra il
bicchiere e la canna cilindrica del tubo successivo, mentre nel giunto express la
compressione della guarnizione anulare è ottenuta mediante una controflangia serrata
contro il bicchiere stesso mediante dei bulloni (figura 8.2).
Figura 8.2 – Giunto rapido e giunto express.
67
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
In questo tipo di giunzioni è anche possibile inserire un anello metallico che viene
impegnato in una sede praticata in parte nel bicchiere ed in parte nella canna ed
impedisce lo sfilamento della tubazione. Entrambi questi giunti consentono limitate
deviazioni angolari tra gli assi dei tubi contigui.
Il giunto a flangia è costituito da una corona circolare fissata all’estremità della canna
cilindrica e munita di fori per l’accoppiamento mediante bulloni. Tra le flange dei due tubi
da unire viene inserita una guarnizione piana in gomma che viene compressa dal
serraggio dei bulloni (figura 8.3). Per facilitare il corretto posizionamento dei tubi e la
corrispondenza dei fori delle due flange vengono talvolta usate delle flange mobili, libere di
ruotare rispetto al tubo, che scaricano lo sforzo di serraggio contro un bordino sagomato
con cui termina la canna cilindrica del tubo.
Figura 8.3 - Giunto a flangia fissa e giunto tipo Gibault.
Il giunto tipo Gibault (figura 8.3) è costituito da un manicotto con diametro interno di
poco superiore al diametro esterno della condotta, che viene posizionato a cavallo tra i
due tubi da giuntare. Due flange mobili poste ai lati del manicotto e collegate da bulloni
comprimono contro quest’ultimo e contro la superficie esterna dei tubi due guarnizioni ad
anello che realizzano la tenuta idraulica. Questo tipo di giunto viene spesso impiegato
come giunto di montaggio all’interno dei manufatti in quanto consente di realizzare nella
tubazione i laschi necessari per montare e smontare i giunti a flangia adiacenti. Nelle
tabelle 8.1 e 8.2 sono riportate le principali caratteristiche delle tubazioni commerciali di
ghisa sferoidale prodotte dalla ditta Saint-Gobain.
Tabella 8.1 – Tubo NATURAL a giunto rapido prodotto dalla SAINT-GOBAIN
DN
L
S
DE
DI
P
B
Massa
PFA
mm
mm
Mm
mm
mm
mm
Mm
kg
bar
60
6
4.8
77
80
87
145
58.8
64
80
6
4.8
98
101
90
168
76.5
64
100
6
4.8
118
121
92
189
93.2
64
125
6
4.8
144
147
95
216
115.0
64
150
6
5.0
170
173
98
243
141.3
62
200
6
5.4
222
225
104
296
198.3
50
250
6
5.8
274
277
104
353
261.1
43
300
6
6.2
326
329
105
410
329.8
40
68
E. Piga
Tabella 8.2 – Tubo a giunto RAPIDO ed EXPRESS prodotto dalla SAINT-GOBAIN
DN
L
S
DE
DI
P
B
Massa
PFA
mm
mm
Mm
mm
mm
mm
mm
kg
bar
350
6
7.7
378
381
108
465
482
45
400
6
8.1
429
432
110
517
573
42
450
6
8.6
480
483
113
575
676
40
500
6
9.0
532
535
115
630
781
38
600
6
9.9
635
638
120
739
1018
36
700
7
10.8
738
741
145
863
1517
34
800
7
11.7
842
845
145
974
1862
32
900
7
12.6
945
948
145
1082
2235
31
1000
7
13.5
1048
1051
155
1191
2641
30
1100
8
14.4
1151
1154
160
1300
3605
1200
8
15.3
1258
1258
165
1412
4155
Tubazioni in acciaio. Le tubazioni in acciaio sono anch’esse utilizzate da tempo negli
acquedotti per le ottime caratteristiche meccaniche del materiale. In raffronto alle tubazioni
in ghisa sferoidale, quelle in acciaio presentano i vantaggi di un minore peso, che rende
più economiche le operazioni di trasporto e posa, una maggiore lavorabilità anche in
opera, che agevola gli interventi di manutenzione, ed una più elevata resistenza alla
pressione interna, che ne impone l’impiego in presenza di pressioni di esercizio molto
elevate. A fronte di queste caratteristiche, le tubazioni in acciaio sono assai più soggette
delle tubazioni in ghisa sferoidale alla corrosione elettrochimica e richiedono l’adozione di
adeguati rivestimenti e, nei terreni più aggressivi, di costosi provvedimenti di protezione
catodica.
Mediante i due principali processi di fabbricazione attualmente impiegati vengono
prodotti tubi senza saldatura e tubi saldati; esiste inoltre una limitata produzione di tubi per
estrusione destinati ad impieghi particolari. I tubi senza saldatura presentano di norma
caratteristiche meccaniche e costi superiori ai tubi saldati. Essi vengono realizzati a partire
da lingotti riscaldati in forno a 1200 °C mediante una prima laminazione ottenuta con
laminatoi obliqui continui ed una laminazione di finitura effettuata mediante laminatoi
discontinui a passo di pellegrino. I tubi saldati di piccolo diametro sono ottenuti a partire da
nastri di lamiera di larghezza pari alla circonferenza del tubo, che vengono
progressivamente curvati sino ad assumere una forma cilindrica e vengono saldati
longitudinalmente all’interno ed all’esterno. La saldatura interna ed esterna viene eseguita
con differenti procedimenti: a gas d’acqua, per induzione, ad arco con apporto di
materiale. Il tubo viene quindi sottoposto a lavorazioni successive che consistono
nell’asportazione del cordone di saldatura, nella calibratura e taglio del tubo e
nell’ispezione della saldatura mediante ultrasuoni e radiografie. Nei tubi di grande
diametro il nastro di lamiera viene calandrato avvolgendolo a spirale mediante rulli obliqui
e viene saldato elicoidalmente all’interno ed all’esterno. Il processo di finitura consiste
sempre nel taglio del tubo, nell’eliminazione del cordone di saldatura e nel controllo
radiografico e ad ultrasuoni della saldatura. La lunghezza della canna è usualmente
superiore a quella dei tubi in ghisa e può arrivare ad oltre 12 metri.
Il rivestimento esterno più comune dei tubi d’acciaio è costituito da uno o più strati di
feltro e tessuto di vetro impregnati con mastici bituminosi ed applicati su di uno strato di
69
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
vernice bituminosa che funge da primer. Il rivestimento interno è normalmente costituito da
uno strato di vernice bituminosa. Per impieghi con liquidi trasportati e terreni di posa
particolarmente aggressivi vengono adottati rivestimenti speciali costituiti da resine
poliammidiche ed epossidiche.
Il principale tipo di giunzione delle tubazioni in acciaio è quella per saldatura ad arco.
Le saldature possono essere di testa, a bicchiere cilindrico, che facilita le operazioni di
centramento del tubo da giuntare, a bicchiere sferico, che consente di realizzare delle
deviazioni angolari di alcuni gradi, ed a bicchiere sferico con camera d’aria, che preserva il
rivestimento interno dall’azione del calore dovuto alla saldatura (figura 8.4). Specialmente
all’interno dei manufatti sono sovente adottati i giunti a flange mobili e fisse, nonché i giunti
a manicotto tipo Gibault già descritti per le tubazioni in ghisa. Nei tubi con rivestimenti in
resine, sono sovente utilizzati i giunti rapidi a bicchiere con anello di tenuta in gomma.
Nelle tabelle 8.3 sono riportate, a titolo d’esempio, le principali caratteristiche di tubazioni
prodotte dalla ditta DALMINE.
a)
b)
c)
d)
e)
f)
Figura 8.4 – Giunti dei tubi d’acciaio: a) per saldatura di testa, b) a bicchiere cilindrico per saldatura, c) a bicchiere sferico
per saldatura, d) a bicchiere sferico per saldatura con camera d’aria, e) a flangia mobile, f) a flangia fissa.
Tabella 8.3 – Tubi d’acciaio senza saldatura con giunto per saldatura di testa prodotti dalla DALMINE.
Diametro mm
spessore mm
pressione max. esercizio kgf/cm2
Peso con rivestimento kg/m
nominale DN
esterno d
S
UNI 1285-68
Circ. 2136
normale
pesante
80
88.9
3.2
97
86
8.37
8.85
100
114.3
3.6
85
75
11.9
12.5
125
139.7
4
115
103
16.3
17.0
150
168.3
4
95
85
19.7
20.5
200
219.1
5
91
82
31.3
32.3
250
273.0
5.6
82
73
42.9
44.2
300
323.9
5.9
72
65
53.4
55.0
350
355.6
6.3
70
63
63.2
64.9
400
406.4
6.3
61
55
72.4
74.3
450
457.2
6.3
54
49
82.5
85.8
500
508.0
6.3
49
44
91.8
95.4
600
609.6
6.3
44
37
104
108
70
E. Piga
8.2. La corrosione delle tubazioni metalliche
La corrosione delle condotte metalliche è, in generale, la conseguenza di un processo
elettrochimico nel quale una zona della tubazione ha un comportamento anodico e diventa
sede di una reazione di ossidazione con formazione di ioni metallici positivi e cessione di
elettroni verso un catodo, nel quale avviene la reazione di riduzione e la formazione di ioni
ossidrili. Affinché il processo posa instaurarsi occorre la continuità elettrica tra anodo e
catodo e la presenza di un elettrolita a contatto con entrambi. Nell’anodo gli ioni metallici si
combinano con gli ioni ossidrili dando luogo a composti idrati che, nel caso dell’acciaio,
sono solubili e vengono facilmente asportati determinando la formazione di crateri
progressivamente più profondi, che possono arrivare alla perforazione della parete. A
differenza di quanto avviene nelle tubazioni in acciaio, in quelle in ghisa i prodotti della
corrosione rimangono interclusi fra i composti ferrosi e la grafite dando luogo alla
grafitizzazione del tubo. Le tubazioni in ghisa, anche completamente grafitizzate, a basse
pressioni di esercizio non causano perdite ma diventano fragili e non sono in grado di
resistere a brusche sollecitazioni meccaniche esterne ed interne (colpo d’ariete).
Un fattore determinante per l’instaurarsi del processo di corrosione è la resistività del
terreno, che costituisce l’elettrolita a contatto con le zone anodica e catodica. Sono
considerati molto aggressivi i terreni con resistività inferiore a 2000 ohmXcm, mediamente
aggressivi quelli con resistività compresa tra 2000 e 5000 ohmXcm, debolmente aggressivi
quelli con resistività fra 5000 e 12000 ohmXcm mentre è trascurabile l’aggressività dei
terreni con resistività superiore a 12000 ohmXcm.
Oltre alla corrosione specifica dei singoli terreni, la tubazione è soggetta alla corrosione
da pila geologica. Essa si presenta allorquando la condotta mette a contatto formazioni a
potenziale elettrico differente che causano il passaggio di deboli correnti e l’insorgere di
corrosioni nella zona anodica (figura 8.5).
Figura 8.5 – Pila geologica.
Una ulteriore causa di fenomeni di corrosione, spesso più importanti di quelli sopra
indicati, è costituita dalla presenza nel terreno di campi elettrici a corrente continua
generati da impianti di trazione e, in generale, da impianti industriali che usano la terra
come conduttore di ritorno. Una tipica situazione di corrosione dovuta a correnti vaganti si
presenta nelle condotte metalliche disposte parallelamente ed a poca distanza da una
ferrovia elettrificata a corrente continua. Poiché il conduttore di ritorno verso la
sottostazione è costituito dalle rotaie e dal terreno, parte della corrente interessa anche la
tubazione creando in prossimità della sottostazione una zona anodica soggetta a rapida
corrosione (figura 8.6).
71
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Figura 8.6 – Correnti vaganti dovute ad un impianto di trazione.
La difesa dalla corrosione delle tubazioni può essere attuata mediante protezioni
passive e protezioni attive o catodiche. Le prime consistono semplicemente nell’isolare i
tubi dal contatto con il terreno mediante adeguati rivestimenti isolanti mentre le seconde
sono basate sul principio di abbassare il potenziale elettrico della tubazione rispetto ad
altri dispersori a contatto con il terreno: questi diventano gli anodi del sistema
elettrochimico e sono quindi soggetti alla corrosione mentre la condotta, che costituisce il
catodo, ne viene salvaguardata.
Le tubazioni in ghisa sferoidale sono di norma protette dalla corrosione mediante
sistemi passivi. Infatti, oltre alla buona resistenza alla corrosione caratteristica di questo
materiale ed al maggiore spessore della parete rispetto ai tubi in acciaio, l’impiego del
giunto elastico con anello di gomma isola elettricamente ogni tubo da quelli adiacenti ed
interrompe la continuità elettrica della linea che costituisce una condizione necessaria in
molti meccanismi di corrosione. Peraltro, come più ampiamente illustrato nel seguito,
l’adozione di provvedimenti di protezione attiva, che richiedono appunto la continuità
elettrica della condotta, nelle tubazioni in ghisa imporrebbe di realizzare appositamente un
collegamento elettrico tra tutti i tubi. Nelle tubazioni in acciaio la protezione passiva è
considerata adeguata nei terreni con resistività superiore a 5000 ohmXcm mentre occorre
adottare sistemi di protezione attiva nei terreni con resistività inferiore o in presenza di
correnti vaganti.
La protezione catodica può essere attuata o mediante anodi sacrificali o mediante
alimentatori a corrente continua. La prima tecnica consiste nel collegare elettricamente
alla condotta degli anodi sacrificali di un metallo più attivo nella scala dei potenziali
galvanici (figura 10.7). Questi anodi, usualmente costituiti in lega di magnesio, vengono
interrati ad una distanza di 4-6 m dalla tubazione alla quale sono collegati mediante un
conduttore isolato dal terreno. A causa della differenza di potenziale, la corrosione si
sviluppa elettricamente nell’anodo che viene corroso e deve essere sostituito dopo una
decina di anni. La dimensione ed il numero di anodi vengono determinati sulla base delle
caratteristiche della condotta e della resistività del terreno.
Figura 8.7 – Protezione catodicacon anodi sacrificali
72
E. Piga
La protezione catodica mediante alimentatore si realizza collegando il polo negativo di
un alimentatore a corrente continua alla condotta ed il polo positivo ad un dispersore
metallico interrato (figura 8.8). La corrente impressa mantiene la condotta ad un potenziale
inferiore di circa un volt rispetto al terreno, impedendo l’insorgere di processi anodici. Le
lunghezze di tubazione che possono essere efficacemente protette da un alimentatore
sono dell’ordine di una decina di chilometri e dipendono dalla superficie esterna della
condotta, dalla potenza dell’alimentatore e dalla resistività del terreno. Nelle tratte di
maggiore lunghezza occorre disporre di più centraline di alimentazione isolando
elettricamente tra loro i tratti di condotta protetti da ciascuna di esse.
Figura 8.8 – Protezione catodica con alimentatore.
8.3. Le tubazioni in materiale lapideo
Tubazioni in cemento-amianto. Tra le tubazioni in materiale cementizio occorre innanzi
tutto citare i tubi in cemento amianto i quali, pur non essendo più prodotti, sono ancora in
servizio in molti acquedotti. I tubi di cemento amianto sono costituiti da un impasto di
acqua, cemento ed amianto (quest’ultimo in percentuale del 20%), le cui fibre formano una
armatura diffusa in grado di assorbire gli sforzi di trazione. I vantaggi di questo materiale,
che ne hanno determinato una larga diffusione nel secolo scorso, consistevano nel basso
costo di produzione, nella elevata resistenza alla corrosione e nel basso coefficiente di
scabrezza.
A seguito di specifiche ricerche, nei primi anni ’90 è stata riconosciuta la nocività del
materiale per la salute umana e con la legge 257 del 1992 sono state vietate
l’importazione, l’estrazione, la lavorazione e la commercializzazione dell’amianto e dei
prodotti contenenti amianto. Occorre tuttavia osservare che la accertata pericolosità del
materiale riguarda unicamente la sua inalazione, che può avvenire soprattutto nelle fasi di
lavorazione e a causa del degrado dei composti contenenti amianto, mentre l’ingestione di
fibre d’amianto eventualmente rilasciate dalle tubazioni e presenti nell’acqua potabile non
determina effetti nocivi, cosicché le tubazioni d’acquedotto in cemento amianto esistenti
possono essere mantenute in servizio senza pericolo.
A seguito di questa legislazione, la produzione di tubi in cemento-amianto è totalmente
cessata e sono stati proposti sul mercato dei materiali alternativi (Composti Polimeri e
Cemento CPC) nei quali le fibre d’amianto sono state sostituite da fibre sintetiche. La
resistenza alla trazione di queste fibre è tuttavia assai inferiore a quella dell’amianto ed i
tubi in CPC trovano attualmente applicazione nelle sole reti fognarie funzionanti a pelo
libero.
Tubazioni in calcestruzzo armato. Nonostante i vantaggi derivanti dal basso costo,
l’impiego del calcestruzzo armato per la costruzione di tubazioni d’acquedotto ha tardato a
73
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
diffondersi a causa delle particolari caratteristiche del materiale. La limitata resistenza a
trazione del calcestruzzo richiede infatti che gli sforzi derivante dalla pressione interna
vengano interamente assorbiti dalla armatura, la quale però, per evitare fenomeni di
fessurazione del calcestruzzo, non può essere sottoposta a trazioni troppo elevate. Inoltre,
per contenere gli sforzi di trazione nel calcestruzzo ed assicurare nel contempo un
adeguato rivestimento all’armatura, occorre adottare grossi spessori della parete, per cui i
tubi risultano assai più pesanti di quelli metallici e comportano alti costi di trasporto e di
posa. Tra gli ulteriori svantaggi del materiale, infine, occorre ancora ricordare la fragilità e
la non completa impermeabilità alle pressioni interne.
A fronte di questi difetti, che sono stati parzialmente eliminati nell’arco degli anni
migliorando le tecniche di confezionamento, le tubazioni in calcestruzzo armato
presentano i vantaggi di una buona resistenza alla corrosione, di una lunga durata, di una
stabilità delle caratteristiche idrauliche oltre che del basso costo di produzione già
ricordato.
Un deciso miglioramento delle caratteristiche delle tubazioni in calcestruzzo si è
raggiunta adottando il pretensionamento dell’armatura, che porta il calcestruzzo a lavorare
in condizioni di compressione anche sotto le normali pressioni di esercizio e consente di
sfruttare appieno le caratteristiche meccaniche dell’acciaio. Attualmente le tubazioni in
cemento armato ordinario e cemento armato precompresso risultano spesso
economicamente convenienti rispetto alle condotte metalliche nei grandi diametri e con
pressioni di esercizio di poche atmosfere. La loro convenienza economica è tuttavia legata
al costo del trasporto dallo stabilimento di produzione al punto di posa, la cui entità può
modificare il campo di economicità sopra indicato.
I tubi in cemento armato ordinario vengono prodotti con due differenti procedimenti. Nel
primo il calcestruzzo viene sversato gradualmente nell’intercapedine tra due forme
concentriche verticali che riproducono le superfici interna ed esterna del tubo e vengono
fatte vibrare per assicurare la compattazione del materiale. L’armatura, che viene inserita
tra le due forme prima del getto, è costituita da una gabbia di ferri longitudinali destinati ad
assorbire le sollecitazioni flessionali e da una staffatura elicoidale che deve assorbire
integralmente gli sforzi di trazione dovuti alla pressione interna. Il secondo procedimento,
attualmente più diffuso, è per centrifugazione: la forma esterna viene disposta
orizzontalmente e messa in rotazione intorno al suo asse. Dopo aver installato la gabbia
dell’armatura viene distribuito entro la forma il calcestruzzo, che viene compattato grazie
alla forza centrifuga. Una volta che l’impasto ha raggiunto una sufficiente presa, viene
sfilato dalla forma e la sua maturazione viene completata in acqua o in ambiente saturo di
vapore. I tubi in cemento armato precompresso vengono di solito prodotti per
centrifugazione. L’armatura metallica, sempre costituita da ferri longitudinali ed elicoidali,
può essere messa in tensione o prima di effettuare il getto o durante la fase di presa, dopo
circa sette giorni di stagionatura. Talvolta viene inserita anche una armatura ordinaria, che
serve ad assicurare la resistenza necessaria durante le operazioni di fabbricazione.
a)
b)
Figura 8.9 – Giunti a bicchiere in tubi di cemento armato ordinario a) e precompresso b).
74
E. Piga
I giunti dei tubi in cemento armato sono di norma a bicchiere con anello di gomma a
sezione circolare. Per garantire una buona tenuta durante l’esercizio, sia il bicchiere che
l’altra estremità del tubo sono sottoposti a lavorazioni per ricavare la sede ed i risalti che
consentano un corretto posizionamento della guarnizione durante il montaggio (figura 8.9).
Il rivestimento dei tubi in cemento armato riguarda usualmente la sola superficie esterna e
viene adottato soprattutto per pose in terreni aggressivi al fine di proteggere l’armatura
dalla corrosione. Esso è costituito da un primer di vernice bituminosa e da uno o più strati
di tessuto di vetro impregnato di mastici bituminosi.
8.4. Le tubazioni in materiali plastici
I tubi in materiale plastico, le cui prime utilizzazioni risalgono alla metà del secolo
scorso, dopo aver scontato per alcuni decenni una certa diffidenza da parte dei progettisti,
dovuta anche alle particolari caratteristiche del materiale, si vanno attualmente sempre più
diffondendo. A seconda del comportamento all’aumentare della temperatura, i materiali
plastici si distinguono in termoplastici e termoindurenti. Le resine termoplastiche più
diffuse per la produzione dei tubi d’acquedotto sono il policloruro di vinile (PVC) ed il
polietilene a bassa ed alta densità (PEBD e PEAD) mentre quelle termoindurenti più usate
sono le resine poliestere ed epossidiche rinforzate con fibre di vetro (PRFV). Mentre nelle
resine termoindurenti un aumento di alcune decine di gradi non determina apprezzabili
variazioni delle caratteristiche meccaniche, nei materiali termoplastici essa provoca il
rammollimento della resina consentendo di plasmarla. Una volta raffreddata essa
conserva la forma impressa e riassume le proprietà meccaniche del materiale freddo.
I materiali plastici, ed in misura particolare il PVC, presentano un comportamento
viscoelastico noto col nome di fluage o scorrimento plastico. Applicando ad un provino del
materiale uno sforzo di trazione costante, anche nettamente inferiore a quello che provoca
la rottura istantanea, ad una prima deformazione elastica fa seguito una deformazione
permanente che aumenta progressivamente al passare del tempo sino a determinare la
rottura del provino. Le relazioni tra la tensione, la deformazione ed il tempo non sono però
di semplice proporzionalità: a carico costante gli allungamenti sono crescenti col tempo
ma non ad esso proporzionali, a parità di tempo gli allungamenti non sono proporzionali al
carico e il tempo necessario per giungere alla rottura aumenta al diminuire del carico ma
non è inversamente proporzionale al carico stesso. Questo comportamento è inoltre
influenzato dalla temperatura, al cui aumentare diminuisce, a parità di altre condizioni, la
resistenza meccanica del materiale. A seguito di numerose sperimentazioni, si è arrivati a
definire in termini quantitativi il comportamento a rottura del materiale. Ad esempio, dopo
50 anni la resistenza a rottura del PVC ad una temperatura di 20 °C risulta pari a circa un
terzo del valore di rottura istantanea mentre quella del polietilene si riduce a circa il 60%. A
questi valori ridotti le Norme prescrivono di commisurare il carico di sicurezza e le
pressioni nominali da considerare per il dimensionamento statico delle tubazioni.
I principali vantaggi dei materiali plastici consistono nel basso costo di produzione,
nella leggerezza, che comporta limitati oneri di trasporto e posa, nella ottima resistenza
alla corrosione dovuta al terreno ed al liquido trasportato e nel basso coefficiente di
scabrezza, che consente di considerare i tubi come idraulicamente lisci. A fronte di queste
caratteristiche, i tubi in materiali plastici hanno però una contenuta resistenza meccanica,
che ne limita l’impiego a condizioni di pressione non elevata, una elevata deformabilità,
che richiede una particolare cura nella posa ed un attento compattamento del materiale di
rinterro al fine di contenere l’azione dei carichi esterni.
Tubazioni in PVC e PEAD. Il policloruro di vinile (PVC) è ottenuto dalla
polimerizzazione del cloruro di vinile mediante l’aggiunta di un catalizzatore. Il materiale,
75
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
che si presenta allo stato puro sotto forma di polvere biancastra, viene riscaldato sino ad
assumere una consistenza pastosa e viene estruso sotto forma di tubi cilindrici. Poiché il
trattamento termico può provocare una degradazione del prodotto, la resina viene
additivata con sostanze stabilizzanti, sostanze lubrificanti e pigmenti. Mediante successive
lavorazioni una delle estremità viene usualmente foggiata a bicchiere. Attualmente i tubi in
PVC vengono distinti in PVC60 e PVC100 a seconda del carico di sicurezza a 20 °C (60 o
100 kgf/cm2) e vengono prodotti con pressioni nominali sino a PN 16.
I tubi in PVC possono essere giuntati a bicchiere e a manicotto con anello di gomma o
incollati (figura 8.10); sono anche disponibili giunzioni a flangia fissa e libera. Nei tubi di
piccolo diametro e spessore di parete adeguato è talvolta utilizzata la giunzione per
filettatura.
Tabella 8.4 – Spessori, diametri e pesi unitari dei tubi in PVC.
PN 6
diam. est.
Mm
spessore
mm
PN 10
diam int.
Mm
peso
kg/m
50
spessore
mm
diam int.
mm
PN 16
peso
kg/m
spessore
mm
diam int.
mm
peso
kg/m
2.4
45.2
0.56
3.7
42.6
0.87
63
2.0
59.0
0.57
3.0
57.0
0.87
4.7
53.6
1.40
75
2.3
70.4
0.72
3.6
67.8
1.25
5.6
63.8
1.75
90
2.8
84.4
1.10
4.3
81.4
1.80
6.7
76.6
2.60
110
2.7
104.6
1.70
4.2
101.6
2.70
6.6
96.8
4.00
125
3.1
118.8
2.20
4.8
115.4
3.30
7.4
110.2
5.10
140
3.5
133.0
2.70
5.4
129.2
4.30
8.3
123.4
6.60
160
4.0
152.0
3.60
6.2
147.6
5.60
9.5
141.0
8.20
180
4.4
171.2
4.40
6.9
166.2
7.00
10.7
158.6
10.5
200
4.9
190.2
5.60
7.7
184.6
8.50
11.9
176.2
13.0
225
5.5
214.0
6.70
8.6
207.8
11.0
13.4
198.2
13.3
250
6.2
237.6
8.50
9.6
230.8
13.3
14.8
220.4
16.4
280
6.9
266.2
10.7
10.7
258.6
16.7
16.6
246.8
20.6
315
7.7
299.6
13.2
12.1
290.8
21.2
18.7
277.6
26.1
355
8.7
337.6
17.0
13.6
327.8
26.9
400
9.8
380.4
22.2
15.3
369.4
34.3
a)
b)
c)
d)
Figura 8.10 – Giunti dei tubi in PVC: a) a bicchiere con anello di gomma; b) manicotto con anello di gomma; c) a
bicchiere incollato; d) a flangia mobile.
76
E. Piga
Il polietilene è una resina termoplastica ottenuta dalla polimerizzazione del monomero
dell’etilene sottoposto ad elevate temperature e pressioni. Durante la polimerizzazione si
formano delle catene molto lunghe con ramificazioni laterali, all’aumentare delle quali
diminuisce la densità e le proprietà meccaniche del materiale. Per la produzione di tubi per
acquedotto sottoposti a pressioni elevate è preferito il polietilene ad alta densità (PEAD)
che consente, a parità di resistenza, minori spessori della parete. Come il PVC, anche i
tubi in polietilene vengono prodotti per estrusione del materiale riscaldato a temperature
prossime alla fusione. A difesa dai raggi ultravioletti, che determinano un decadimento
delle caratteristiche meccaniche, il polietilene viene additivato con nerofumo sino ad una
percentuale del 2%. A differenza del PVC, il polietilene è assai flessibile ed elastico, il che
consente di produrre tubi molto lunghi (sino a 200 m per i diametri minori) avvolti in rotoli.
I tubi in polietilene sono usualmente giuntati per saldatura senza apporto di materiale.
Nella saldatura di testa i due tubi da saldare vengono ammorsati in una apparecchiatura
che consente di traslare assialmente i tubi e di forzare le due testate contro una piastra
riscaldata a circa 200 °C per il tempo necessario a provocare la fusione superficiale del
materiale. La piastra viene quindi estratta e le due testate vengono comprese una contro
l’altra sino al completo raffreddamento. Sono inoltre disponibili in commercio manicotti
elettrosaldabili, nei quali è incorporata una resistenza elettrica che determina le fusione
superficie del manicotto e del tubo consentendo una completa unione dei due pezzi. Per
giuntare i tubi di piccolo diametro sono molto usati dei giunti a serraggio meccanico, sia
metallici che in materiale plastico (figura 8.11).
Tabella 8.5 – Spessori, diametri e pesi unitari dei tubi in PEAD.
diam.
est. Mm
PN 6 – SDR 26
spessore
diam
peso
mm
int. mm
kg/m
PN 10 – SDR 17
spessore
diam
peso
mm
int. mm
kg/m
40
PN 16 – SDR 11
spessore
diam
peso
mm
int. mm
kg/m
PN 25 – SDR 7,4
spessore
diam
peso
mm
int. mm
kg/m
3.7
32.6
0.43
5.5
29.0
0.61
50
3.0
44.0
0.45
4.6
40.8
0.67
6.9
36.2
0.95
63
3.8
55.4
0.72
5.8
51.4
1.06
8.6
45.8
1.49
75
4.5
66.0
1.01
6.8
61.4
1.47
10.3
54.4
2.12
90
5.4
79.2
1.45
8.2
73.6
2.13
12.3
65.4
3.03
110
6.6
96.8
2.17
10.0
90.0
3.17
15.1
79.8
4.54
125
7.4
110.2
2.76
11.4
102.2
4.11
17.1
90.8
5.85
140
8.3
123.4
3.47
12.7
114.6
5.12
19.2
101.6
7.35
160
6.2
147.6
3.05
9.5
141.0
4.53
14.6
130.8
6.73
21.9
116.2
9.58
180
6.9
166.2
3.80
10.7
158.6
5.74
16.4
147.2
8.50
24.6
130.8
12.11
200
7.7
184.6
4.71
11.9
175.2
7.09
18.2
163.6
10.48
27.4
145.2
14.98
225
8.6
207.8
5.92
13.8
197.4
8.98
20.5
184.0
13.28
30.8
163.4
18.95
250
9.6
230.8
7.34
14.4
22.12
11.03
22.7
204.6
16.34
34.2
181.6
23.38
280
10.7
258.6
9.15
16.6
24.68
13.85
25.4
229.2
20.48
38.3
203.4
29.32
315
12.1
290.8
11.65
18.7
277.6
17.55
28.6
257.8
25.94
43.1
228.8
37.12
355
13.6
327.8
14.73
21.1
312.8
22.32
32.2
290.6
32.92
48.5
258.0
46.38
400
15.3
369.4
18.68
23.7
352.6
28.25
36.3
327.4
41.61
450
17.2
415.6
23.61
26.7
396.6
35.80
40.9
368.2
52.99
500
19.1
461.8
29.13
29.7
440.6
44.24
45.4
409.2
65.36
560
21.4
517.2
36.51
33.2
493.6
56.39
630
24.1
581.8
46.27
37.4
555.2
70.19
710
27.2
655.6
58.81
42.1
625.8
89.05
800
30.6
738.8
74.49
47.4
705.2
113.0
77
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
a)
b)
c)
Figura 8.11 – Giunti dei tubi in polietilene: a) per saldatura di testa, b) con manicotto elettrosaldabile, c) a serraggio
meccanico.
Tubazioni in vetroresina PRFV . Il PRFV è un materiale composito costituito da una
matrice di resine termoindurenti, usualmente poliestere o epossidiche, che ingloba una
armatura formata da fili di vetro avvolti a spirale che costituisce la parte strutturalmente
resistente del materiale. Le buone caratteristiche meccaniche delle fibre di vetro e la
possibilità di variare il numero di strati e l’angolo di avvolgimento delle fibre consentono di
ottenere tubi di elevata resistenza (sino a 40 kgf/cm2). I tubi in PRFV presentano tutti i
vantaggi già elencati per gli altri materiali plastici: sono molto leggeri, sono impermeabili,
sono idraulicamente lisci e non sono soggetti a fenomeni di corrosione. Soprattutto nei
grandi diametri essi sono però assai deformabili e richiedono molta cura nelle operazioni
di posa e di rinterro.
Il processo produttivo più comune è per avvolgimento delle fibre di vetro impregnate di
vetroresina su di un mandrino rotante. Quest’ultimo può essere costituito direttamente da
un tubo in PVC che rimane inglobato nella parete. I tubi in PRFV sono prodotti anche per
centrifugazione, immettendo le fibre, la resina e gli eventuali inerti silicei entro stampi
rotanti intorno ad un asse orizzontale. Usualmente lo strato più interno del tubo, detto liner,
è costituito da una resina debolmente vetrificata che presenta, a contatto col fluido, una
superficie impermeabile ed estremamente liscia. Gli strati successivi sono costituiti da
resina e fibre di vetro, che rappresentano oltre il 70% in peso del materiale. Lo strato più
esterno è costituito da sola resina con funzioni protettive dagli agenti esterni. Per
migliorare le caratteristiche meccaniche e, soprattutto, la rigidezza del tubo, viene talvolta
aggiunto alla resina un inerte costituito da sabbia silicea.
a)
b)
c)
d)
e)
f)
Figura 8.12 – Giunti dei tubi in PRFV: a) a bicchiere con anello di gomma; b) a bicchiere con incollaggio; c) di testa; d)
a bicchiere con fasciatura interna, e) a bicchiere con fasciatura esterna; f) a flangia.
78
E. Piga
Sulla base delle Norme UNI, i tubi in PRFV possono arrivare a diametri sino a 4000
mm e canne di lunghezza sino a 12 metri. I tubi non vengono usualmente rivestiti né
internamente né esternamente; allo strato più esterno vengono talvolta aggiunte alla
resina degli additivi che preservano il materiale dall’azione dei raggi ultravioletti durante le
operazioni precedenti la posa. I giunti più comuni sono a bicchiere ed a manicotto, sia
incollati che con anello di tenuta in gomma. Per pressioni elevate, l’incollaggio può essere
accompagnato da una fasciatura con tessuto di vetro impregnato di resina, che nei grandi
diametri può essere applicato anche all’interno del tubo. Sono anche prodotti tubi con
giunti a flangia sia fissa che mobile (figura 8.12).
Tabella 8.6 - Spessori, diametri e pesi unitari dei tubi in PRFV prodotti per centrifugazione.
PN 6
spessore
peso
mm
kg/m
PN 10
spessore
peso
mm
kg/m
PN 16
spessore
peso
mm
kg/m
PN 20
spessore
peso
mm
kg/m
PN 25
spessore
peso
mm
kg/m
DN mm
diam. est.
mm
300
315
7.8
13
7.6
13
7.4
11
7.3
11
8.0
16
350
376
9.1
18
8.8
18
8.6
16
8.5
15
8.6
18
400
427
10.2
23
9.8
23
9.6
20
9.5
20
9.5
20
500
512
12.0
34
11.6
33
11.4
29
1.7
29
11.3
30
600
616
14.1
47
13.7
46
13.4
41
13.1
40
13.0
41
700
718
16.3
64
15.7
62
15.4
55
15.1
57
14.9
55
800
818
18.4
83
17.8
81
17.4
71
17.0
73
16.8
70
900
922
20.6
105
19.9
100
19.5
89
19.0
93
18.6
89
1000
1024
22.8
130
22.0
125
21.5
110
21.0
113
20.6
109
1100
1129
24.4
151
23.6
146
2.9
125
23.0
131
22.6
125
1200
1254
27.1
186
26.1
181
25.5
155
24.7
162
24.5
156
1400
1436
31.5
250
30.4
240
29.1
229
28.7
221
28.3
211
1600
1638
35.7
330
34.4
320
33.0
296
32.5
285
1800
1842
40.0
410
38.5
402
37.0
373
36.3
358
2000
2047
44.2
510
42.7
496
41.0
460
40.2
441
8.5. La scelta delle tubazioni
La scelta del tipo di tubazione da adottare per le varie tratte di una determinata opera
deve essere basata su di un attento esame della resistenza alle sollecitazioni cui i tubi
sono sottoposti, delle caratteristiche dei terreni attraversati e delle acque trasportate, delle
condizioni di posa, dell’esistenza di specifiche situazioni locali e, non ultimo, dei costi di
fornitura, trasporto e posa in opera.
La pressione nominale pn da considerare nel dimensionamento statico dei tubi è
definita dalla Normativa tecnica per le tubazioni riportata nel Decreto del Ministero del
LL.PP. del 12.12.1985. Questa pressione è pari alla somma della massima pressione di
esercizio pE all’asse della condotta, valutata per il più gravoso funzionamento idraulico e
comprensiva della sovrappressione ∆p conseguente alle manovre del sistema, e di una
pressione equivalente p0 che conferisca al tubo uno stato di trazione uguale a quello
causato dalle azioni esterne:
pn = pE + p0
79
.
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Mentre per la pressione ∆p le Norme indicano il valore di 2.5 kgf/cm2, da adottare in
mancanza di specifici calcoli e comunque per diametri non superiori a 350 mm, il valore
della pressione equivalente p0 deriva invece da un’analisi del comportamento statico della
tubazione sottoposta a tutte le azioni esterne: il peso del rinterro, i sovraccarichi statici e
dinamici, le variazioni termiche, le reazioni d’appoggio, la spinta laterale della terra, la
presenza di acqua di falda. In relazione alla varietà delle situazioni da considerare ed alla
complessità del comportamento statico delle tubazioni, che richiede l’adozione di severe
semplificazioni, in questa sede ci si limita alla sola enunciazione del problema, rinviando
per gli approfondimenti e le metodologie di calcolo da applicare ai testi indicati nella
Bibliografia. In merito alle pressioni massime nelle tubazioni, occorre ancora segnalare
che le Norme sopra citate prescrivono, durante il collaudo, di sottoporre le condotte ad una
pressione pari al maggiore tra i due valori 1.5 pE e pE +2 kgf/cm2.
Tra le caratteristiche dei terreni attraversati occorre citare soprattutto l’aggressività e la
stabilità ai carichi esterni. La prima può richiedere l’impiego di adeguati rivestimenti,
imporre l’adozione di protezioni catodiche con i corrispondenti aggravi dei costi di
costruzione e gestione o sconsigliare direttamente la scelta di tubazioni metalliche
soggette a corrosione elettrochimica. La seconda può richiedere l’impiego di materiali e
giunti atti a sopportare le sollecitazioni provocate da assestamenti degli appoggi dovuti al
peso delle condotte ed ai carichi esterni o anche la realizzazione di strutture di fondazione.
In relazione alle loro proprietà incrostanti o aggressive, le acque trasportate
influenzano la scelta del tipo di materiale e del tipo di rivestimento interno. Entrambi questi
fattori, a loro volta, determinano il grado di scabrezza della condotta, l’entità delle perdite
di carico e, conseguentemente, la capacità di trasporto della condotta.
Le modalità di posa e, in particolare, il peso del rinterro e l’azione dei carichi esterni
determinano, come già detto precedentemente, l’insorgere di uno stato di tensione che
viene messo in conto attraverso la pressione aggiuntiva p0 , che può essere rilevante nelle
condotte flessibili in materiali plastici e richiedere una adeguata compattazione del
materiale di rinfianco.
Infine, a prescindere dagli altri fattori sopra elencati, il tipo di materiale e di giunto da
adottare può essere richiesto dalle condizioni di posa esistenti in particolari punti del
tracciato. Ad esempio, negli attraversamenti aerei è consigliato l’uso di condotte metalliche
mentre all’interno dei manufatti è usuale l’impiego di condotte in acciaio giuntate a flangia.
Figura 8.13 – Simboli grafici di alcuni pezzi speciali.
80
E. Piga
9. LA POSA DELLE CONDOTTE E LE APPARECCHIATURE DI
REGOLAZIONE
9.1. La posa in fossa interrata ed allo scoperto
Come già visto nello studio del tracciato, tranne i brevi tratti all’aperto o in cunicolo
descritti nell’esame dei manufatti d’attraversamento, la grande parte dell’acquedotto è
posata in fossa interrata. Questo tipo di posa presenta infatti i vantaggi di assicurare una
protezione termica e meccanica alle tubazioni evitando nel contempo che l’acquedotto
costituisca un impedimento alla percorribilità del territorio ed al libero deflusso delle acque
di pioggia.
La profondità media della trincea di posa è dell’ordine di 2-3 metri al fine di assicurare,
a seconda del diametro delle condotte e del loro andamento altimetrico rispetto al terreno,
una altezza di ricoprimento delle tubazioni non inferiore a circa 1-1,5 metri (figure 9.1 e
9.2). In queste condizioni, la coibentazione dovuta allo strato di terreno sovrastante
annulla pressoché integralmente le oscillazioni termiche giornaliere e riduce a circa la
metà l’entità di quelle annuali di lungo periodo. Anche le sollecitazioni meccaniche indotte
nella tubazione dai carichi fissi e da quelli mobili transitanti sulla superficie del suolo
vengono attenuate dalla profondità di posa. In particolare, nei tubi di piccolo diametro in
materiale rigido l’altezza di ricoprimento sopraindicata assicura di regola una sufficiente
protezione. E’ comunque necessario, in particolar modo nei grandi diametri, verificare
l’entità delle tensioni cui sono sottoposti i tubi sotto l’azione dei carichi esterni.
Figura 9.1 – Posa in fossa interrata in tracciati extraurbani.
81
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Figura 9.2 – Posa di condotte in tracciati urbani.
La larghezza del cavo di posa deve essere pari al diametro della condotta aumentato
di circa 0,4 m (0,2 m per parte), al fine di consentire un corretto allineamento dei tubi e
facilitare le operazioni di formazione del giunto, che vengono effettuate dalla squadra di
operai sul fondo dello scavo. Per quest’ultimo motivo, anche a fronte di piccoli diametri, la
larghezza dello scavo non scende mai al di sotto di 0,6 - 0,7 m.
Il fondo dello scavo deve essere preventivamente spianato e regolarizzato eliminando
le asperità che possano danneggiare il rivestimento o la condotta stessa. Sul fondo viene
disposto uno strato di almeno 10 cm di materiale sciolto (terra vagliata, sabbia, pietrisco)
che costituisce il letto di posa della tubazione ed assicura un contatto continuo lungo tutta
la generatrice inferiore del tubo. Il rinfianco ed il rinterro sino a 0,3- 0,5 m dalla generatrice
superiore della tubazione viene usualmente fatto con la terra dello scavo, opportunamente
vagliata per eliminare sassi, radici ed altro materiale grossolano. Il rinfianco deve essere
effettuato per strati successivi di piccola altezza (circa 0,2 m) compattando con cura il
materiale di riempimento in modo da assicurare un buon ammorsamento laterale della
condotta. Nelle tubazioni flessibili soggette ad ovalizzazione, quali quelle in materiali
plastici, il livello di compattazione è prescritto nei capitolati speciali d’appalto e costituisce
un requisito indispensabile per una buona riuscita dell’opera. La restante parte della
trincea sino alla superficie del suolo può essere riempita senza particolari accorgimenti
con il materiale di risulta dello scavo. Talvolta, per esigenze legate alle operazioni di
collaudo, si procede ad un primo rinterro parziale lasciando temporaneamente scoperti
durante il collaudo i giunti, che costituiscono i più probabili punti di perdita dell’acquedotto.
In questo caso il rinterro viene completato successivamente al collaudo della tratta.
La posa delle condotte allo scoperto, utilizzata negli attraversamenti aerei, richiede
l’adozione di alcuni accorgimenti richiesti dalla maggior vulnerabilità della tubazione e
dagli effetti dell’esposizione agli agenti atmosferici. In particolare, sono di regola adottate
tubazioni in acciaio che uniscono la facilità di giunzione in opera mediante saldatura ad
una ottima resistenza alle sollecitazioni meccaniche anche accidentali. L’escursione
termica alla quale sono sottoposte le condotte determina contrazioni ed allungamenti della
tubazione che deve essere dotata di giunti di dilatazione. Poiché anche la struttura di
sostegno è sottoposta alle stesse sollecitazioni termiche, per evitare movimenti relativi con
la condotta è opportuno posizionare i giunti di quest’ultima in corrispondenza a quelli del
82
E. Piga
supporto. Sempre per la medesima ragione, è buona norma interporre tra la tubazione e le
selle d’appoggio uno strato di materiale liscio (neoprene o altro materiale sintetico) che, in
caso di scorrimento relativo, eviti o limiti le lesioni al rivestimento esterno ed al tubo
stesso. Nelle zone sottoposte a forti insolazioni è buona norma proteggere termicamente
la condotta per limitare il riscaldamento dell’acqua. Come riportato nelle figure dei
manufatti, è necessario disporre alle due estremità dell’attraversamento dei blocchi
d’ancoraggio, la cui funzione è quella di contrastare con il peso proprio le spinte che
insorgono nelle curve poste alle estremità dell’attraversamento. In corrispondenza a
queste estremità sono usualmente ubicati dei pozzetti dotati di saracinesche e di scarichi.
Nel punto più alto della condotta è invece disposto uno sfiato automatico.
9.2. Le tecnologie no-dig
In alternativa ai metodi di posa tradizionali, nell’ultimo decennio si sono sviluppate e
diffuse in misura sempre maggiore le tecniche dette no-dig o trenchless, che consentono
di posare nuove condotte e di riabilitare o sostituire le condotte esistenti senza ricorrere
all’apertura di trincee lungo il tracciato.
Queste nuove tecniche risultano particolarmente vantaggiose in ambiente urbano in
quanto riducono drasticamente sia l’inquinamento acustico ed atmosferico che l’impatto
sul traffico veicolare e pedonale in corrispondenza ai cantieri e consentono inoltre di
contenere o evitare una serie di costi diretti ed indiretti. Tra i primi si eliminano infatti quelli
della demolizione e del ripristino della pavimentazione stradale in corrispondenza ai cavi di
posa nonché il costo del rifacimento dell’intero manto stradale, la cui integrità viene
anticipatamente compromessa dai cedimenti del rinterro che si verificano inevitabilmente
dopo pochi anni, mentre tra i costi indiretti vengono evitati quelli legati al maggior tempo di
percorrenza ed al maggior consumo di carburante sopportati dagli utenti e, in generale, ai
rallentamenti ed alle limitazioni del traffico urbano.
Anche in ambito extra urbano l’impiego delle tecniche no-dig presenta dei vantaggi
rispetto alle pose in trincea, sia pure limitatamente a specifiche parti del tracciato, come ad
esempio i percorsi in zone boschive e di elevato valore paesaggistico o gli attraversamenti
sotterranei di corsi d’acqua e di rilevati stradali e ferroviari. In alcuni casi queste tecniche
costituiscono l’unica possibilità consentita per l’adozione dei tracciati prescelti.
Occorre infine segnalare che, grazie ai continui miglioramenti tecnologici, i costi delle
tecniche no-dig stanno progressivamente riducendosi e diventando sempre più competitivi
con quelli delle pose tradizionali su cavi a cielo aperto.
9.2.1. Le pose no-dig
Le principali tecniche no-dig attualmente adottate per la posa di nuova condotte si
possono raccogliere nelle tre seguenti categorie:
•
il directional drilling (perforazione orizzontale teleguidata);
•
il microtunnelling (scavo di microtunnel);
•
il pipe ramming e l’ impact moling (infissione nel terreno per battitura).
Il directional drilling. Sotto il nome di directional drilling sono indicate alcune tecnologie
di perforazione direzionale teleguidata le quali, agendo sull’orientazione dell’utensile di
scavo, consentono l’esecuzione di tracciati curvilinei con raggio di curvatura anche assai
ridotto, sino a valori di circa 20 metri. Queste tecniche sono particolarmente adatte in
tracciati che, per aggirare ostacoli superficiali o sotterranei, partendo dalla superficie
83
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
raggiungono e mantengono la profondità prevista risalendo successivamente al piano di
campagna o arrivando in un pozzo di estremità appositamente praticato. Le varie tecniche
di directional drilling si differenziano tra loro principalmente per il sistema di guida utilizzato
e per il tipo di fluido impiegato sia come lubrificante che per allontanare dal fronte di
avanzamento il materiale di risulta della perforazione.
Dopo aver praticato un foro pilota di piccolo diametro, al posto dell’utensile di
perforazione viene montato un alesatore di diametro pari alla condotta da installare,
collegato ad essa tramite un raccordo girevole che eviti di mettere in rotazione l’intera
tubazione. Il sistema di aste di perforazione viene quindi richiamato all’indietro verso la
macchina perforatrice allargando il foro e trascinando in posizione la nuova tubazione
(figura 9.3).
perforazione foro pilota
perforatrice
rotativa
utensile di perforazione
alesatura e tiro nuova condotta
giunto girevole
nuova condotta
colonna di aste
alesatore
aste
perforatrice
rotativa
nuova condotta
Figura 9.3 – Directional drilling: perforazione del foro pilota e alesatura e tiro della nuova condotta
I tipi di materiale più adatti alla posa mediante directional drilling sono i materiali
plastici e l’acciaio, caratterizzati da una elevata flessibilità e da giunti non sfilabili, in grado
di resistere agli sforzi di trazione dovuti al trascinamento della condotta nel foro.
Con le tecniche attualmente disponibili il directional drilling può essere adottato
praticamente in tutti i tipi di terreno e roccia ed in presenza di acqua, come avviene negli
attraversamenti sotterranei di corsi d’acqua, e consente di posare condotte di diametro
anche superiore ai 1000 mm e lunghezze sino a 1.5 km.
Il microtunnelling. Con il nome di microtunnelling vengono indicate quelle tecniche di
posa basate sulla progressiva infissione per spinta nel terreno di una colonna costituita da
un gruppo di perforazione munito di una testa fresante, detto microtunneller, e da tronchi
di condotta successivamente aggiunti man mano che l’avanzamento procede. Lo smarino
può essere di tipo meccanico, con sistemi a coclea, o di tipo idraulico, nel quale il
materiale di risulta viene trascinato verso il pozzo di partenza dal fluido iniettato in
corrispondenza alla testa fresante. Queste tecniche sono molto simili alle classiche pose
con spingitubo. Più in particolare, a partire da un pozzo di spinta il microtunneller viene
infisso nel terreno mediante un gruppo di spinta costituito da quattro pistoni idraulici che si
appoggiano su di un muro di contrasto in calcestruzzo realizzato sulla parete del pozzo
opposta a quella di avanzamento. Una volta che il microtunneller è completamente inserito
84
E. Piga
nel terreno, i pistoni vengono ritratti e viene interposto tra il microtunneller ed il gruppo di
spinta un primo concio di condotta munito di incastri. Man mano che l’avanzamento dello
scavo procede vengono aggiunti successivi conci di tubazione sino al raggiungimento del
pozzo di arrivo (figura 9.4).
conci di
condotta
circuito di
ricircolo fanghi
pozzo di arrivo
pozzo di spinta
gruppo di spinta
muro di controspinta
nuova condotta
microtunneler
Figura 9.4 – Posa di un tubo guida mediante microtunnelling.
La tubazione risultante costituisce usualmente un tubo guida entro il quale viene
successivamente inserita la condotta dell’acquedotto. I pistoni del gruppo di spinta sono
controllati singolarmente e, potendo esercitare sulla colonna spinte differenti, possono
sviluppare una risultante non assiale che consente di controllare, sia pure limitatamente, la
direzione dell’avanzamento e realizzare tracciati anche debolmente curvi. Attualmente
possono venire installate tubazioni anche di grande diametro, sino a 3000 mm, con
lunghezze sino a circa 1 km.
In microtunnelling richiede l’uso di tubazioni rigide in acciaio o cemento armato
mentre è escluso l’impiego di tubazioni flessibili quali quelle in materiali plastici che non
sopporterebbero le sollecitazioni di compressione del gruppo di spinta . Il microtunnelling
può essere adottato in presenza di terreni, formazioni rocciose e in generale materiali
omogenei anche di elevata durezza, comprese strutture in calcestruzzo armato
eventualmente presenti lungo il tracciato.
Il pipe ramming e l’ impact moling. Entrambe le due tecniche di pipe ramming e impact
moling sono basate sulla infissione nel terreno di una condotta mediante battitura.
Il pipe ramming consiste nell’infiggere la tubazione in acciaio mediante battitura
esercitata da un gruppo di percussione azionato a fluido, che agisce sulla estremità della
condotta nel pozzo di partenza. Poiché non consente di controllare e modificare la
direzione di avanzamento impostata, questa tecnica viene utilizzata unicamente per brevi
percorsi rettilinei quali ad esempio gli attraversamenti sotterranei di rilevati stradali e
ferroviari. Per impostare la direzione dell’avanzamento, la parte della condotta fuori terra è
vincolata a muoversi su di un binario di guida lungo alcuni diametri. L’installazione del tubo
in acciaio viene eseguita aggiungendo alla tratta già infissa nel terreno successivi conci di
condotta, che vengono saldati di testa (figura 9.5). Al fine di evitare dislocazioni del
materiale che possano propagarsi sino alla superficie del suolo, nella posa di condotte con
diametri superiori ai 150 mm l’estremità anteriore viene lasciata aperta, come con lo
spingitubo, consentendo che durante l’avanzamento la terra occupi l’interno del tubo.
Anche con questa tecnica lo smarino può essere meccanico o idraulico. Il pipe ramming
consente la posa di condotte in acciaio di lunghezza contenuta entro i 30 metri e diametro
85
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
anche superiore a 1000 mm. L’impiego del pipe ramming è limitato all’attraversamento di
terreni omogenei di granulometria fine.
gruppo
compressore
nuova condotta
pozzo
di arrivo
pozzo
di spinta
binario di guida
percussore
Figura 9.5 – Pipe ramming: infissione di una condotta mediante battitura dal pozzo di spinta
La tecnica di impact moling è ancora basata sull’infissione per battitura ma si
differenzia dal pipe ramming per la posizione dell’elemento di percussione, che è ubicato
questa volta in testa alla colonna ed avanzando trascina lungo il cavo aperto la tubazione
da installare. Per facilitare l’avanzamento, il sistema di percussione determina un
movimento rototraslatorio della testa di perforazione. Con questa tecnica vengono
usualmente installate tubazioni in materiale plastico (figura 9.6).
testa battente
condotta
gruppo
compressore
nuova condotta
Figura 9.6 – Posa di una condotta mediante impact moling
L’impiego del impact moling presenta le stesse limitazioni del pipe ramming: i
tracciati debbono essere rettilinei e di breve lunghezza ed il terreno deve essere
omogeneo di tipo argilloso o sabbioso. Poiché la tasta di percussione apre direttamente un
cavo di dimensioni pari al diametro della condotta e durante l’avanzamento disloca il
terreno, il suo impiego è limitato a diametri non superiori ai 150 mm.
9.2.2. La riabilitazione e la sostituzione delle condotte
La riabilitazione delle condotte comprende tutti quegli interventi tesi a ripristinare la
funzionalità delle tubazioni (capacità di deflusso, impermeabilità, resistenza meccanica e
chimica) compromesse da lunghi periodi d’esercizio o da specifiche cause di origine
meccanica e chimica. Questo tipo di provvedimenti risultano in genere economicamente
convenienti allorquando occorre ripristinare solo alcune delle caratteristiche funzionali
delle condotte mentre in presenza di condotte completamente ammalorate conviene
procedere direttamente alla sostituzione ex novo delle tubazioni. Entrambi questi interventi
costituiscono il principale campo di applicazione delle tecniche no-dig.
86
E. Piga
Gli interventi di risanamento possono consistere in semplici operazioni di pulizia e nel
ripristino del rivestimento interno, nell’inserimento di guaine impermeabili o di nuove
tubazioni entro le condotte esistenti e nella sostituzione di queste con altra tubazione.
La pulizia delle condotte (pipe cleaning) costituisce un efficace provvedimento di
riabilitazione nei casi in cui la tubazione sia integra ma la sua capacità di deflusso sia
ridotta a causa delle incrostazioni che ne aumentano la scabrezza e ne riducono la luce
libera. Le più diffuse tecniche di pulizia sono di tipo idraulico e meccanico e consistono
nell’introdurre nelle tubazioni una speciale unità semovente (pig) che percorre la condotta
e rimuove le incrostazioni e le eventuali ostruzioni per mezzo di spazzole metalliche, frese
o altri attrezzi abrasivi (figura 9.7 a e b) o mediante getti d’acqua in forte pressione (figura
9.7 c). I pig possono essere mossi da motori propri o trascinati da cavi di traino e sono
dotati di telecamere per l’ispezione visiva della superficie interna e per il controllo
dell’intervento (figura 9.7 d).
a)
b)
c)
d)
Figura 9.7 –Pig con spazzole metalliche (a , b); con getti d’acqua in pressione (c); con telecamere (d).
Il ripristino del rivestimento interno (spray lining) viene effettuato mediante pig
semoventi dotati di spruzzatori che applicano sulle pareti interne delle condotte uno stato
di resina epossidiche (epoxi lining) o di malta cementizia (cement mortar lining). In
quest’ultimo caso il pig è dotato di palette finitrici che durante l’intervento compattano e
lisciano lo strato di malta.
87
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
L’applicazione di guaine impermeabili è una delle tecnologie più diffuse ed efficaci di
risanamento, che consente di conferire alle tubazioni delle caratteristiche idrauliche
(scabrezza e impermeabilità) pari o superiori a quelle originarie. Questo provvedimento
può contribuire a migliorare sensibilmente anche la resistenza meccanica delle tubazioni e
viene adottato efficacemente anche in presenza di lesioni diffuse delle pareti dei tubi.
Il procedimento consiste nell’inserire nella tubazione (host pipe) una calza di tessuto in
poliestere o lana di vetro impregnato di resina e fare avvenire la polimerizzazione dopo il
posizionamento. L’inserimento può avvenire per trazione o per inversione. Nel primo caso
la calza viene trascinata entro la condotta mediante un cavo di trazione e quindi riempita di
aria o acqua calda in pressione che la fanno aderire alla parete dei tubi e determinano
contemporaneamente la polimerizzazione della resina (figura 9.8). Nel procedimento per
inversione la calza di tessuto viene predisposta rivoltata e presenta all’esterno la superficie
che diventerà dopo posizionamento la superficie interna a contatto col fluido. Dopo aver
fissato alla tubazione l’estremità della calza, essa viene progressivamente introdotta e
contemporaneamente invertita iniettando aria o acqua calda in pressione (figura 9.9).
Sono anche utilizzate tecniche di polimerizzazione a freddo, basate sull’azione di lampade
a raggi ultravioletti che vengono trascinate dentro la condotta dopo il posizionamento della
calza. Con queste tecniche possono essere risanate condotte sino a 2500 mm.
Figura 9.8 – Applicazione di una guaina impermeabile per trazione
Figura 9.9 – Applicazione di una guaina impermeabile per inversione.
L’inserimento di nuove tubazione (liner) entro le condotte esistenti viene attualmente
eseguita con due tecniche alternative, note sotto il nome di sliplining e close fit lining. Nello
sliplinig il liner ha un diametro esterno leggermente inferiore a quello interno della
tubazione ospite e viene inserito per spinta o mediante cavi di trazione. Una volta
posizionato, lo spazio anulare tra le due condotte viene riempito iniettando malta
cementizia o resina epossidica (figura 9.10 a).
Nel close fit lining il liner presenta invece un diametro leggermente superiore a quello
della tubazione preesistente e richiede quindi di ridurne l’ingombro per consentire
l’inserimento. Ciò viene ottenuto ripiegando il liner in forma di C (folded liners) o
riducendone il diametro a caldo prima dell’inserimento grazie alla trazione ed al passaggio
attraverso una luce calibrata (figura 9.10 b e 9.10 c). Dopo l’introduzione il liner viene
88
E. Piga
messo in pressione e riprende la forma originaria aderendo perfettamente alla parete della
tubazione ospite.
a)
b)
c)
Figura 9.10 - Inserimento di un liner di diametro inferiore alla tubazione (a), ripiegato ad C (b) o con una riduzione del
diametro (c) .
La sostituzione delle condotte esistenti con nuove tubazioni costituisce uno specifico
campo di applicazione delle tecniche no-dig. Le principali tecnologie attualmente adottate
sono denominate pipe splitting, pipe bursting e pipe reaming e consistono nella
demolizione della condotta esistente e nella contemporanea introduzione della nuova
tubazione. Tutte e tre le tecniche prevedono l’inserimento da una delle estremità della
tratta da sostituire di un sistema di trazione formato da aste o cavi, che vengono fatti
fuoriuscire dalla estremità opposta. A questo sistema viene collegata una testa demolitrice
a sua volta collegata alla nuova tubazione. Mettendo in trazione il sistema di aste o cavi,
viene fatta avanzare la testa demolitrice che rompe la vecchia condotta, allarga la cavità e
trascina in posizione la nuova tubazione. Con queste tecniche vengono messe in opera
tubazioni di diametro anche superiore (sino a due volte) a quello originario.
Le diverse tecniche si differenziano tra loro per le differenti modalità operative della
testa demolitrice, che variano a seconda delle caratteristiche del terreno di posa e del
materiale costituente la condotta.
Nella tecnica pipe splitting la testa dirompente è dotata di lame che tagliano la vecchia
condotta secondo una generatrice e divaricano durante l’avanzamento i lembi del taglio
mediante dei cunei di espansione. Questa tecnica è particolarmente adatta per la
sostituzione di condotte duttili, come l’acciaio ed i materiali plastici. Il pipe bursting
contiene nella testa demolitrice a forma di cuneo una massa battente mossa ad aria
compressa. Tirando mediante il sistema di trazione la testa demolitrice contro la vecchia
condotta, questa viene frammentata progressivamente e viene contemporaneamente
allargata la cavità e trascinata in posizione la nuova tubazione. Il pipe bursting viene
adottato in presenza di materiali fragili tipo la ghisa ed i materiali lapidei, mentre è inadatta
alla sostituzione di tubi di acciaio e materiali plastici (figura 9.11). Entrambe queste due
tecniche determinano un dislocamento del terreno circostante la condotta, che può
interessare, a seconda della comprimibilità del suolo, sia eventuali sottoservizi interrati in
prossimità della condotta sia, nel caso di pose superficiali, la stessa pavimentazione
stradale.
89
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
a)
b)
Figura 9.11 – Sostituzione della condotta esistente mediante pipe splitting (a) e pipe bursting (b).
La terza tecnica, il pipe reaming, è assai simile al directional drilling. In questo caso il
foro pilota è già esistente ed è costituito dalla condotta da sostituire. Dopo aver inserito il
sistema di aste di tiro entro la vecchia condotta, viene collegato all’estremo opposto della
colonna di aste un alesatore al quale è anche agganciata la nuova tubazione. Mettendo in
rotazione e in trazione la testa alesatrice, viene distrutta la condotta esistente e tirata in
posizione la nuova tubazione (figura 9.12). Questa tecnica è particolarmente adatta per la
sostituzione di condotte in materiali lapidei.
alesatore
giunto girevole
nuova tubazione
aste
pozzetto
nuova condotta
vecchia tubazione
perforatrice
rotativa
pozzetto
vecchia condotta
colonna di aste
Figura 9.12 – Sostituzione della condotta esistente mediante pipe reaming.
Le nuove tubazioni posate con queste tecnologie sono usualmente in materiali plastici,
e prevalentemente in PEAD che per i piccoli diametri viene fornita in rotoli evitando la
necessità di giunzioni. Con i diametri maggiori, laddove vi sia sufficiente disponibilità di
spazio in superficie, i singoli tubi sono giuntati fuori terra man mano che l’avanzamento
procede mentre in zone urbane o con limitati spazi per il cantiere le giunzioni vengono
fatte direttamente sul fondo dello scavo (o del pozzetto) di introduzione. In questo caso,
ovviamente, la nuova tubazione viene preparata in conci di piccola lunghezza e il numero
di giunzioni (ed il costo complessivo dell’intervento) aumentano corrispondentemente.
90
E. Piga
9.3. L’aria nelle condotte
Nelle tubazioni degli acquedotti è sempre presente una certa quantità d’aria libera, la
cui origine deriva da più cause: viene aspirata in condotta da sezioni in depressione a
tenuta imperfetta o da imbocchi con insufficiente battente, è emulsionata con l’acqua già
nel manufatto di origine dell’acquedotto, riassume la forma gassosa dallo stato di
soluzione nell’acqua per effetto di diminuzioni della pressione ed aumenti della
temperatura.
L’arie è inizialmente presente sotto forma di piccole bolle diffuse in seno al fluido le
quali, trascinate dalla corrente, entrano in contatto tra loro riunendosi e formando
dapprima delle bolle più grandi e quindi delle lunghe sacche che si raccolgono contro il
cielo della condotta. Le sacche d’aria sono soggette all’azione di trascinamento della
corrente diretta verso valle, alla componente assiale della spinta di galleggiamento, diretta
verso valle nei tronchi acclivi e verso monte in quelli declivi ed alle forze di adesione alla
parete, che tendono a mantenerle ferme. A seconda di quali forze prevalgano, le sacche
d’aria saranno trascinate verso valle, risaliranno la corrente verso monte o rimarranno
aderenti alla parete della tubazione.
In tutti i casi, la presenza dell’aria in condotta provoca molti inconvenienti: determina
oscillazioni di pressione e vibrazioni nelle tubazioni e, soprattutto, provoca una
diminuzione della portata convogliata a causa della riduzione della sezione libera per il
deflusso e delle perdite di carico concentrate per brusco restringimento ed allargamento.
Nei casi estremi, a fronte di particolari andamenti del profilo, il progressivo accumulo
dell’aria può portare la condotta a funzionare come un manometro differenziale ad aria
causando la totale interruzione del deflusso (figura 9.13).
Ha
h
Hb
h
ARIA
ACQUA
Figura 9.13 – Accumulo d’aria con interruzione del deflusso.
Per eliminare l’aria dalla tubazione occorre assegnare alla condotta un profilo costituito
da una alternanza di livellette acclivi e declivi, ubicando degli apparecchi di sfiato nei punti
alti del tracciato, ove l’aria tende a raccogliersi, e realizzando degli scarichi nei punti più
bassi, che consentano il completo vuotamento delle tubazioni. Mentre nei tracciati in zone
collinari o, in genere, con altimetria variabile, lo stesso andamento del terreno suggerirà le
livellette da adottare per minimizzare i volumi di scavo, nei percorsi in pianura sarà
necessario variare lungo il tracciato la profondità di posa e realizzare un andamento della
condotta a dente di sega che crei artificialmente una successione di punti alti e bassi, ove
saranno ubicati gli sfiati e gli scarichi. Assegnando ai tratti acclivi una pendenza del 0,20,3 % e valori dieci volte superiori a quelli declivi, nei primi le sacche d’aria
raggiungerebbero i punti di sfiato per l’azione concorde delle spinte di galleggiamento e di
91
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
trascinamento mentre nei tratti declivi il prevalere della spinta di galleggiamento
consentirebbe la loro risalita contro corrente verso il punto più elevato del tracciato.
Adottando queste pendenze, tuttavia, la distanza tra un pozzetto di sfiato e quello di
scarico successivo sarebbe di poche decine di metri, il che richiederebbe la realizzazione
di un grande numero di manufatti con aggravio dei costi di costruzione. Ad esempio,
adottando pendenze rispettivamente del 0,25 e 2,5% e variando di un metro la profondità
di posa tra i punti più elevati e quelli più bassi, la distanza tra un pozzetto di scarico e
quello di sfiato successivo sarebbe di 400 metri mentre la distanza tra il pozzetto di sfiato
e quello di scarico sarebbe solo di 40 metri (figura 9.14). In alternativa, è stato suggerito
da Marchetti di adottare anche nelle tratte declivi la stessa pendenza di quelle acclivi, in
quanto la velocità media normalmente adottata negli acquedotti dovrebbe garantire il
trascinamento delle sacche verso valle sino al successivo punto di sfiato. In questo modo
il numero di pozzetti sarebbe di poco superiore alla metà di quelli necessari nel caso
precedente, riducendo corrispondentemente il costo complessivo dell’opera.
0.0025
400m
0.
02
5
40m
2m
1m
0.0025
2m
1m
0.0025
0.0025
400m
400m
POZZETTO DI SFIATO
400m
POZZETTO DI SCARICO
Figura 9.14 – Possibili andamenti delle livellette in territori pianeggianti.
9.4. Le apparecchiature di sfiato e regolazione
Nella loro forma più semplice, impiegata unicamente in quei rari casi nei quali la
piezometrica sia prossima al suolo, gli apparecchi di sfiato sono costituiti da un semplice
tubo di piccolo diametro che si dirama verticalmente dalla condotta elevandosi al di sopra
del terreno sino a oltre la quota piezometrica. Per evitare l’ingresso in condotta di piccoli
animali, insetti o in generale di sostanze inquinanti, l’estremità libera del tubo è ripiegata
verso il basso ed è munita di una rete di protezione.
Quando invece la quota piezometrica supera di molto la quota del terreno, occorre
adottare degli sfiati automatici in pressione. Essi sono costituiti da una camera entro la
quale è alloggiato un galleggiante sferico, provvista nella parte superiore di una luce in
comunicazione con l’esterno e nella parte inferiore di una flangia di collegamento con la
condotta (figura 9.15 a). Nelle normali condizioni d’esercizio la spinta di galleggiamento
forza il galleggiante contro la luce di spurgo occludendola. Allorquando arriva allo sfiato
una certa quantità d’aria proveniente dalla condotta, il pelo libero entro la camera e la
valvola sferica si abbassano liberando la luce e consentendo la fuoriuscita dell’aria; il
livello nella camera quindi risale e porta il galleggiante a chiudere nuovamente la luce
d’uscita. Per poter consentire oltre il normale spurgo anche il flusso dei grandi volumi
d’aria legati alle operazioni di vuotamento e riempimento della condotta, gli sfiati
automatici sono spesso a doppio corpo e la camera presenta oltre la piccola luce di
spurgo una seconda luce di dimensioni molto maggiori dotata di una propria valvola
sferica che si apre allorquando la prima valvola non riesce ad eliminare l’aria proveniente
92
E. Piga
dalla condotta ed il livello del pelo libero nella camera continua ad abbassarsi (figura 9.15
b).
a)
b)
Figura 9.15 – Sfiati automatici: a) a corpo semplice; b) a doppio corpo.
Le saracinesche sono degli organi di regolazione ed intercettazione della portata. Esse
sono costituite da un corpo metallico flangiato alle estremità e dotato di un otturatore
(cuneo) che può occludere totalmente o parzialmente il passaggio dell’acqua (figura 9.16).
1 corpo
2 cappello
3 cuneo
4 camera a stoppa
5 premistoppa
6 albero
7 madrevite
8 anelli del corpo
9 anelli del cuneo
10 bussola del premistoppa
11 bulloni del corpo
12 bulloni camera a stoppa
13 bulloni premistoppa
14 guarnizione del corpo
15 guarnizione premistoppa
16 guarnizione camera a stoppa
Figura 9.16 – Saracinesca in ghisa.
In condizioni di completa apertura il cuneo è totalmente contenuto nella parte superiore
del corpo e nel cappello cosicché le perdite di carico determinate dalla apparecchiatura
risultano trascurabili mentre, in condizioni di chiusura, la completa aderenza tra gli anelli
del cuneo e del corpo garantiscono una ottima tenuta a pressioni anche elevate. E’
ritenuto sconsigliabile utilizzare le saracinesche parzializzate per regolare le portate in
quanto il contatto solo parziale tra gli anelli di tenuta del cuneo e del corpo può deteriorarli
compromettendone la tenuta a saracinesca chiusa. La saracinesca può essere manovrata
direttamente a mano tramite il volantino o può essere azionata, anche a distanza,
mediante motori elettrici. Per basse pressioni d’esercizio le saracinesche sono a corpo
93
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
piatto mentre al crescere della pressione si passa a quelle a corpo ovale e quindi a corpo
cilindrico, caratterizzate da ingombri, pesi e costi crescenti.
Le valvole a farfalla sono costituite da un tronchetto di tubazione munita di flange entro
il quale è posizionato un disco circolare di diametro pari al diametro interno del tubo, libero
di ruotare intorno ad un asse trasversale. Inizialmente usate solo come organi di
regolazione, grazie ai miglioramenti della tenuta in condizioni di completa chiusura le
valvole a farfalla vengono attualmente utilizzate anche come organo di intercettazione.
Sono spesso preferite alle saracinesche per il limitato ingombro ed il costo più contenuto
(figura 9.17), ma presentano perdite di carico non trascurabili anche in condizioni di
completa apertura.
a)
b)
Figura 9.17 – Valvole di regolazione. a) valvola a farfalla; b) idrovalvola
Le valvole automatiche di regolazione (idrovalvole), illustrate anch’esse nella figura
9.17, sono costituite da un corpo valvola entro il quale un setto interno, dotato di una luce
di passaggio e di un organo otturatore, separa una camera di monte da una camera di
valle. Il movimento dell’otturatore dipende dalle pressioni nelle due camere di monte e di
valle e dalla pressione in una terza camera delimitata da un pistone o da una membrana
elastica solidali con l’otturatore. In quest’ultima camera la pressione è controllata dal flusso
in un circuito idraulico che collega le camere di monte e di valle e consente di realizzare
funzionamenti che mantengano costanti la pressione di monte, quella di valle o la
differenza tra le due.
Oltre a quelle sopra descritte, esistono in commercio molti altri tipi di valvole. A scopo
illustrativo nella figura 9.18 e 9.19 sono riportate le sezioni di valvole di ritegno a fuso ed a
clapet, di valvole a galleggiante e di valvole di fondo.
a)
b)
Figura 9.18 – Valvole di ritegno a fuso (a) ed a klapet (b).
94
E. Piga
c)
d)
Figura 9.19 – Valvola a galleggiante (c) e valvola di fondo (d).
9.5. I blocchi d’ancoraggio
Le condotte in pressione sono sottoposte alle sollecitazioni trasmesse dal fluido
trasportato, che possono richiedere l’adozione di blocchi d’ancoraggio per evitare
movimenti della tubazione che poterebbero comprometterne l’integrità e la tenuta dei
giunti.
Nei tratti rettilinei a pendenza non elevata le sollecitazioni sono di modesta entità; in
particolare, nelle condotte interrate l’ammorsamento del terreno è di regola sufficiente ad
assicurare la stabilità della tubazione. In corrispondenza alle curve sia planimetriche che
altimetriche ed a punti singolari quali le estremità cieche, i cambiamenti di diametro, le
diramazioni e gli organi di intercettazione e regolazione, queste sollecitazioni possono
invece assumere valori assai elevati e, anche nel caso di posa in trincea, rendere
indispensabile l’ancoraggio della condotta. Poiché i blocchi devono contrastare queste
spinte grazie al peso proprio ed alla reazione vincolare del terreno, il loro
dimensionamento deve soddisfare le verifiche allo scorrimento ed al ribaltamento nonché
quelle sulle massime tensioni ammissibili nel calcestruzzo e nel terreno.
Per determinare l’entità delle sollecitazioni occorre fare riferimento alle condizioni più
critiche, che si verificano in fase di collaudo durante il quale la condotta viene sottoposta a
pressioni superiori a quelle d’esercizio. A favore della sicurezza, inoltre, non si tiene conto
dell’eventuale ricoprimento del blocco e si considera una tensione ammissibile nel
calcestruzzo di piccola entità, in considerazione del fatto che le prove di collaudo vengono
spesso eseguite prima della completa maturazione del getto.
La varietà delle situazioni nelle quali è richiesto l’impiego di un blocco d’ancoraggio non
consente l’illustrazione di tutti i casi possibili. A titolo d’esempio, viene considerata nel
seguito una curva in un piano orizzontale, riportata nella figura 9.20.
La spinta S esercitata dall’acqua sulla curva e da questa trasmessa al blocco
d’ancoraggio e quindi al terreno risulta dalla applicazione dell’equazione globale
dell’equilibrio al volume compreso tra le due sezioni 1 e 2:
S = − Π 0 = Π 1 + M1 + Π 2 − M 2 + G A ,
dove Π 0 rappresenta la spinta esercitata dalla parete solida sul volume liquido
compreso tra le due sezioni, G A è il peso di questo volume mentre Π 1 , M1 , Π 2 ed M 2
sono rispettivamente le spinte e le quantità di moto nelle due sezioni. Poiché M1 ed M 2
95
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
sono di entità trascurabile rispetto a Π 1 e Π 2 ed inoltre G A è diretto perpendicolarmente
al piano della curva, la componente orizzontale So della spinta risulta dalla composizione
di Π 1 ed Π 2 .
2
2
H1
H2
L
S0
RP
RP
S0
Ra
GT D
GB
L1
1
GA
1
Ra
D
Figura 9.20 – Pianta e sezione di un blocco di ancoraggio per una curva planimetrica.
Indicando con D il diametro esterno della condotta, con γ a il peso specifico dell’acqua, con
α l’angolo descritto dalla curva e con h il carico massimo sull’asse della condotta
(corrispondente alla pressione di collaudo), la componente orizzontale So risulta:
So = γ a ⋅ h ⋅
π ⋅D2
4
⋅ 2 ⋅ sen
α
2
.
Questa spinta deve essere contrastata dall’attrito R a tra il blocco ed il terreno e, se le
condizioni di posa lo consentono, dalla spinta passiva R p della terra in corrispondenza
alla parete posteriore dello scavo a contatto con il blocco. Il suo dimensionamento deve
soddisfare la verifica allo scorrimento sul piano di base, la verifica degli sforzi massimi cui
è sottoposto il calcestruzzo e la verifica della resistenza del terreno alla sollecitazione
esercitata dal blocco. Nel caso esaminato la verifica al ribaltamento è usualmente
soddisfatta in quanto la coppia ribaltante, dovuta alle diverse linee d’azione di So , R a ed
R p , è equilibrata dai pesi del blocco, del tubo e dell’acqua.
Per l’equilibrio allo scorrimento la spinta So deve essere inferiore alla somma della
reazione d’attrito R a sulla superficie di base e della spinta passiva R p della parete dello
scavo. La reazione d’attrito R a è espressa dalla relazione:
R a = f ⋅ ( GB + GT + G A ) ,
dove f è il coefficiente d’attrito tra il terreno ed in calcestruzzo, che assume valori tra 0.3 e
0.7 a seconda dell’angolo di attrito interno ϕ del terreno, mentre GB , GT e G A sono
rispettivamente il peso del blocco d’ancoraggio, quello del tubo e quello dell’acqua nel
tronco considerato. La spinta passiva R p può essere valutata mediante l’espressione:
96
E. Piga
Rp =
1
⋅ γ t ⋅ K p ⋅ L ⋅ ( H 22 − H12 ) ,
2
nella quale γ t rappresenta il peso specifico del terreno, L la larghezza della faccia
posteriore del blocco, H 2 ed H1 la profondità di posa e l’altezza di rinterro del blocco
mentre K p è il coefficiente di spinta passiva dato da:
K p = tg 2 ( 45 o +
ϕ
2
).
Lo sforzo massimo nel calcestruzzo si presenta in corrispondenza alla superficie di
contatto tra il blocco ed il tubo e deve essere inferiore alla massima tensione ammissibile
σ amm.cs nel calcestruzzo che, per quanto detto precedentemente, si può assumere pari a
200 N/cm2. Con riferimento allo schema riportato nella figura 9.20, la verifica delle tensioni
massime nel calcestruzzo σ cs sarà soddisfatta se risulterà:
σ cs =
So
≤ σ amm.cs
L1 ⋅ D
.
Allorquando, come si verifica sovente, il peso del tronco di tubazione e quello
dell’acqua contenuta sono assai inferiori al peso del blocco, in prima approssimazione si
può trascurare l’eccentricità della risultante dei pesi e valutare lo sforzo di compressione
massimo σ terr trasmesso dal blocco al terreno mediante l’espressione:
σ terr =
GB + GT + G A
≤ σ amm.terr
A
,
dove A rappresenta la superficie di base del blocco. Ovviamente il valore di σ terr deve
essere inferiore alla massima tensione ammissibile σ amm.terr nel terreno.
9.6. Il collaudo delle opere
Le prove di tenuta dell’acquedotto sono di regola eseguite durante il collaudo, secondo
le prescrizioni del capitolato d’appalto. Usualmente vengono sottoposte a prova tratte di
lunghezza pari a circa 500-1000 metri, portandole, come già accennato, ad una pressione
pari al maggiore tra i due valori 1.5 Pe e Pe+2 kgf/cm2. Viene effettuata una prima prova
a giunti scoperti della durata di 6 ore, ed una seconda prova di 2 ore dopo il completo
rinterro della condotta, durante le quali la pressione rilevata mediante un manometro
registratore deve rimanere costante. Nelle condotte in materiali lapidei le prove vengono
eseguite alcuni giorni dopo il loro riempimento in modo da non considerare le perdite
dovute all’iniziale assorbimento di acqua da parte del materiale costituente la tubazione.
Nelle condotte posate in cunicolo o in galleria, non essendovi interventi successivi alla
posa della condotta, viene effettuata solamente la prima prova. La norma dà facoltà al
collaudatore di accettare i risultati di prove di pressione effettuate e verbalizzate dalla
direzione dei lavori.
97
LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
10. LE OPERE LUNGO LINEA
Come accennato nell’introduzione, lungo l’acquedotto esterno sono presenti numerosi
manufatti e opere d’arte, necessari per l’esercizio ed il controllo del sistema. Nel seguito
sono sommariamente descritti alcuni di questi manufatti, rinviando per maggiori
approfondimenti e per il disegno delle opere non illustrate ai numerosi testi tecnici
esistenti.
10.1. I pozzetti di scarico e di sfiato
I pozzetti di scarico e di sfiato, riportati nelle figure 10.1 e 10.2, sono dei manufatti in
calcestruzzo di piccole dimensioni ubicati in corrispondenza ai punti più bassi e più alti del
profilo allo scopo di ospitare gli scarichi, gli sfiati ed eventuali altre apparecchiature di
regolazione e di intercettazione. La condotta che attraversa il pozzetto è posata su selle
d’appoggio di calcestruzzo o d’acciaio ed è posizionata in prossimità ad una delle pareti;
essa è usualmente realizzata in acciaio con giunti a flangia ed è dotata di giunti di
smontaggio. L’impiego dell’acciaio non dipende dall’esistenza di particolari sollecitazioni
meccaniche, ma è legato alla facilità di realizzare e modificare in opera i pezzi speciali che
costituiscono l’arredamento interno del manufatto. I pozzetti hanno una altezza interna di
circa 2 metri e dimensioni in pianta adeguate a contenere la condotta e consentire agevoli
interventi di manutenzione. L’accesso avviene da un chiusino in acciaio o in ghisa ubicato
sulla copertura, in corrispondenza al quale è murata in parete una scala metallica. Il fondo
del manufatto presenta una debole pendenza verso un piccolo pozzetto di drenaggio
ubicato in un angolo, che raccoglie le eventuali perdite dei giunti.
Figura 10.1 – Pozzetto a scarico forzato.
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E. Piga
Nei pozzetti di scarico la condotta principale presenta una diramazione laterale con
uguale quota del fondo tubo, munita di saracinesca. Nei pozzetti detti a scarico libero,
rappresentati nella figura 1.6 del primo capitolo, la tubazione di scarico collega il pozzetto
con la sezione più prossima della rete di dreno naturale, ove viene immessa la portata
scaricata. Nei pozzetti a scarico forzato (figura 10.1) la tubazione di scarico è collegata ad
un tronco di tubo verticale posto fuori dal pozzetto, che viene vuotato mediante una pompa
di esaurimento.
Nei pozzetti di sfiato, la tubazione presenta una diramazione verso l’alto munita di
saracinesca, alla quale viene collegato mediante flange l’apparecchio di sfiato automatico.
In questo manufatto il pozzetto di drenaggio disperde direttamente nel terreno le piccole
perdite che possono manifestarsi dai giunti e dall’apparecchiatura di sfiato.
Figura 10.2 – Pozzetto di sfiato.
Nelle condotte di maggiori dimensioni gli sfiati e gli scarichi vengono spesso realizzati
inglobando in un blocco di calcestruzzo un pezzo speciale costituito da un corto tronco
della condotta principale dotato di una diramazione laterale o verso l’alto a seconda che si
tratti di scarichi o di sfiati. A queste diramazioni sono collegate le apparecchiature di sfiato
o gli scarichi forzati (figura 10.3).
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LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Figura 10.3 – Scarichi di grandi condotte.
10.2. I partitori
La diramazione laterale da una linea principale di un acquedotto viene realizzata con
un manufatto ripartitore, mediante il quale la portata complessiva in arrivo al nodo viene
ripartita nelle due portate previste per le due condotte in uscita. A seconda della altezza
piezometrica in corrispondenza al nodo, la partizione può avvenire a pelo libero mediante
un sistema di vasche collegate da luci a stramazzo o in pressione mediante una semplice
condotta che si dirama dalla linea principale. L’impiego di partitori a pelo libero comporta
l’inserzione di una disconnessione tra le piezometriche in ingresso e in uscita, che
assicura, come già accennato, minori carichi massimi nelle condotte a valle ma presenta
l’inconveniente di rendere meno elastica la gestione del sistema.
I partitori a pelo libero sono costituiti da una vasca d’arrivo nella quale viene sversata la
portata in ingresso, dotata di un setto forato con funzioni di calma della corrente (figura
10.4). Attraverso delle luci a stramazzo di adeguata larghezza, la portata viene ripartita
nelle proporzioni richieste e sversata nelle vasche di presa dalle quali si dipartono le
tubazioni in partenza. Le vasche sono dotate di sfioratori di troppo pieno e di scarichi di
fondo. Tutte le tubazioni, con l’eccezione di quella di sfioro, sono dotate di saracinesche.
Per garantire la conservazione dei requisiti di potabilità, il sistema di vasche è usualmente
inserito in un manufatto non finestrato, per evitare che l’illuminazione naturale favorisca la
crescita di alghe.
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E. Piga
Figura 10.4 – Partitore a pelo libero.
Come indicato nella figura 10.5, nei partitori in pressione le condotte, i pezzi speciali e
le apparecchiature sono ubicati in un cunicolo interrato, accessibile da una camera fuori
terra. Le due condotte a valle della diramazione sono dotate di saracinesche, di valvole di
regolazione e di misuratori di portata. Per garantire la precisione delle misure, questi
strumenti devono essere preceduti e seguiti da tratti di condotta rettilinea privi di
componenti che disturbino la corrente, il che richiede la realizzazione di cunicoli di una
certa lunghezza. Nel partitore viene spesso ubicato uno sfiato o uno scarico, a seconda
dell’andamento altimetrico della condotta. Per le ragioni già precedentemente illustrate, la
tubazione entro il manufatto è usualmente realizzata in acciaio.
Figura 10.5 – Partitore in pressione – a) pianta.
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LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Figura 10.5 – Partitore in pressione – b) sezione.
10.3. I manufatti d’attraversamento
I manufatti d’attraversamento vengono realizzati laddove il tracciato dell’acquedotto
incrocia corsi d’acqua, canali, strade e ferrovie. Essi debbono essere progettati in funzione
della duplice esigenza di difendere la condotta dalle sollecitazioni indotte dalla corrente
idrica o dal traffico stradale e ferroviario nonché, per un altro verso, di proteggere il rilevato
stradale e ferroviario dai possibili cedimenti dovuti a perdite dalle tubazioni. In particolare,
gli attraversamenti ed i parallelismi dell’acquedotto con le linee ferroviarie, tranviarie, di
funivia e simili impianti extraurbani sono regolati dal D.M. del 23 febbraio 1971.
10.3.1. Attraversamenti di corsi d’acqua e di canali
Attraversamenti sotterranei. Negli attraversamenti dei corsi d’acqua, non è mai
conveniente posare la condotta direttamente sopra il fondo dell’alveo, anche se è protetta
con calcestruzzo o mediante altri provvedimenti, in quanto i fenomeni di erosione del
fondo e le sollecitazione indotte dalla stessa corrente ne comprometterebbero in breve
tempo la stabilità.
Per l’attraversamento di fossi, compluvi minori e, in genere, di piccoli corsi d’acqua
asciutti nella maggior parte dell’anno, può essere ancora adottata l’ordinaria posa in fossa
interrata, che risulta assai più economica delle altre alternative. In questo caso è tuttavia
opportuno adottare una profondità di posa maggiore del normale e proteggere
eventualmente l’alveo dall’erosione mediante interventi di stabilizzazione.
Laddove serva una maggiore protezione della condotta, l’attraversamento può essere
effettuato disponendo un tubo guida di lamiera zincata protetta da un getto di calcestruzzo
in un cavo di posa praticato trasversalmente all’alveo. Entro il tubo guida viene
successivamente inserita la tubazione, spesso dotata di collari distanziatori (figura 10.6).
In alternativa, allorquando la sistemazione del corso d’acqua richieda la realizzazione di
un sistema di briglie, la condotta può essere posata direttamente in un cunicolo ricavato
nel corpo della briglia stessa (figura 10.7).
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Figura 10.6 – Attraversamento di un piccolo corso d’acqua.
Figura 10.7 – Attraversamento in briglia.
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LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Attraversamenti aerei. Nei corsi d’acqua maggiori si adottano di regola degli
attraversamenti aerei. Essi possono essere realizzati in differenti modi: sospendendo le
condotte a ponti esistenti, adottando tubazioni autoportanti o realizzando strutture di
attraversamento indipendenti destinate a sostenere la tubazione.
L’utilizzo di ponti stradali esistenti necessita dell’autorizzazione dell’ente gestore della
strada e viene solitamente adottato nel caso di condotte di piccolo diametro. La
disposizione più frequente è quella di sospendere la tubazione all’esterno della spalletta
del ponte mediante apposite mensole.
Nella soluzione con tubi autoportanti (ponte-tubo) la tubazione viene direttamente
ancorata a due blocchi di calcestruzzo realizzati sulle due sponde e, negli attraversamenti
di lunghezza superiore ad una decina di metri, viene anche sostenuta da pile intermedie.
Lo spessore della tubazione deve essere in grado di sopportare sia le sollecitazioni legate
alla pressione interna che quelle, di tipo flessionale, dovute al peso proprio (figura 10.8).
Per migliorare la resistenza a queste ultime, la tubazione è spesso dotata di corniere
d’irrigidimento e di sistemi di tiranti.
Figura 10.8 – Ponte tubo.
La soluzione con strutture di sostegno indipendenti viene usualmente adottata in
presenza di grandi luci. Essa consiste in un sistema di travi in acciaio (figura 10.9) o in
cemento armato sia ordinario che precompresso, che poggiano sulle spalle e sulle pile
intermedie e sostengono una passerella sulla quale è posata mediante selle d’appoggio
(boggioli) la tubazione. Alcune soluzioni prevedono l’impiego di travi con sezione ad U
chiuse superiormente da lastre amovibili, nel cui cavo viene sistemata la condotta (vedi
primo capitolo, figura 1.5).
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Figura 10.9 – Attraversamento aereo in acciaio.
10.3.2. Attraversamenti stradali
Gli attraversamenti stradali sono di regola sotterranei e la condotta può essere posata
in fossa interrata, entro un tubo guida o in un cunicolo.
Il primo tipo di attraversamento viene adottato unicamente nelle strade rurali, con
traffico veicolare assente o assai modesto. Come negli attraversamenti dei fossati, anche
in questo caso è opportuno aumentare la profondità di posa e proteggere eventualmente
la tubazione con un ricoprimento in calcestruzzo.
Nelle strade di maggiore traffico è invece indispensabile posare la condotta in un tubo
guida o in un cunicolo, che la sottragga alle sollecitazioni indotte dal traffico stradale
(figura 10.10). Per la posa del tubo guida è sempre più utilizzata la tecnica dello spingitubo, la quale consente di evitare l’apertura di una trincea trasversale alla strada ed il
conseguente costo di realizzazione di deviazioni temporanee che aggirino l’interruzione.
Essa consiste nel praticare a distanza di pochi metri dal bordo stradale uno scavo a partire
dal quale mediante un sistema di martinetti idraulici viene progressivamente infisso sotto il
rilevato stradale un tubo guida costituito da anelli di acciaio o di calcestruzzo dotati di
incastri di collegamento (vedi figura 10.11). Man mano che l’avanzamento procede,
vengono aggiunti nuovi elementi anulari di tubo e viene eliminata la terra al loro interno.
Entro il tubo guida viene successivamente inserita la tubazione dell’acquedotto munita di
collari distanziatori. Alle due estremità dell’attraversamento vengono realizzati due
pozzetti dotati di saracinesche, destinate ad isolare il tratto di condotta in caso di perdite
che possano pregiudicare la stabilità del rilevato. Il pozzetto più profondo è inoltre dotato
di uno scarico. Anche in questi attraversamenti vengono spesso utilizzati tubi in acciaio,
che facilitano la realizzazione in opera della linea.
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LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
Figura 10.10 – Attraversamento strada secondaria mediante tubo guida.
Figura 10.11 – Attraversamento strada principale mediante spingi-tubo.
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10.3.3. Attraversamenti ferroviari
Gli attraversamenti ed i parallelismi di acquedotti con linee ferroviarie sono regolati,
come già accennato, dal DM del 23 febbraio 71, “Norme tecniche per gli attraversamenti
ed i parallelismi di condotte e canali convoglianti liquidi e gas con ferrovie ed altre linee di
trasporto”.
Gli attraversamenti vengono distinti in interrati, superiori e inferiori, a seconda che la
condotta sia interrata al di sotto dei binari, attraversi la linea ferrata dall’alto mediante
strutture portanti proprie o altri manufatti o sia posata in corrispondenza alle luci libere al di
sotto dei ponti ferroviari. Negli attraversamenti interrati le condotte debbono essere posate
entro un tubo di protezione, ad eccezione delle tubazioni in cemento armato di diametro
superiore a 800 mm. Il tracciato dell’attraversamento deve essere per quanto possibile
rettilineo e perpendicolare all’asse dei binari. Il decreto citato fissa la lunghezza
dell’attraversamento esternamente ai binari estremi, la distanza di rispetto da opere e
manufatti ferroviari e l’altezza di ricoprimento sull’estradosso del tubo di protezione (figura
10.12).
Figura 10.12 – Attraversamento ferroviario con spingitubo.
Anche negli attraversamenti superiori la tubazione deve essere contenuta in un tubo di
protezione, che si può omettere solo nel caso in cui la condotta sia contenuta in un cavo di
posa foggiato a canale in grado di trasportare l’intera portata. Nel caso di attraversamenti
superiori su manufatti esistenti, la condotta deve essere inserita in un tubo guida
posizionato all’interno di spallette continue e stagne nei confronti della ferrovia sottostante;
in particolare è fatto esplicito divieto di posare le condotte su mensole ed appoggi esterni
al manufatto. Norme analoghe prescrivono con dettaglio la posa delle condotte negli
attraversamenti inferiori, sia che la condotta venga interrata, posata allo scoperto o
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LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
disposta in cunicolo. In tutti i casi la condotta deve presentare una pendenza non inferiore
al due per mille verso una estremità, dove deve essere ubicato un pozzetto di scarico.
Nel decreto sono indicate, per i diversi materiali, le caratteristiche delle tubazioni, le
pressioni di dimensionamento e collaudo nonché i carichi da considerare per il
dimensionamento del tubo di protezione.
10.4. I serbatoi
I tipi costruttivi più comuni dei serbatoi urbani sono i serbatoi interrati o seminterrati ed i
serbatoi pensili. In particolari situazioni morfologiche e di stabilità delle formazioni rocciose
vengono talvolta realizzati serbatoi in caverna.
Serbatoi interrati e seminterrati. Come già illustrato nei capitoli precedenti, questi
serbatoi hanno un costo dell’ordine della metà di quello di un serbatoio pensile di pari
capacità e vengono di regola adottati non appena esiste in prossimità del centro urbano un
sito favorevole, che presenti una quota del terreno circa pari o poco inferiore alla quota di
sfioro. Sono costituiti da due o più vasche indipendenti in cemento armato a pianta
rettangolare o più raramente circolare, con altezza dell’acqua di circa 4 m (figura 10.13).
Nei serbatoi interrati le vasche vengono realizzate in uno scavo di profondità circa pari
all’altezza d’acqua nel serbatoio, cosicché la quota di sfioro risulta prossima a quella del
piano di campagna. Nei serbatoi seminterrati lo scavo è meno profondo e la struttura è
parzialmente fuori terra.
Sul solaio di copertura viene disposto uno strato di terra di circa un metro, che assicura
sia la protezione termica all’acqua che la protezione meccanica del manto di
impermeabilizzazione. A difesa dall’erosione dovuta alla pioggia, il terreno di copertura
viene di regola inerbato con essenze vegetali dotate di apparati radicali superficiali. Tra le
pareti perimetrali del sistema di vasche e le pareti dello scavo viene realizzato un vespaio,
che ha la funzione di drenare sia l’acqua piovana proveniente dalla copertura delle vasche
che le eventuali perdite dal serbatoio, recapitandole ad un punto di scarico.
Solamente i serbatoi di piccola dimensione vengono realizzati con strutture
monolitiche. In alternativa, le pareti e la copertura sono semplicemente poggiate alla
struttura sottostante e l’impermeabilità è conseguita tramite degli elementi di tenuta in
materiale sintetico (water stop) inglobati nel getto. I serbatoi di maggiori dimensioni
presentano giunti di dilatazione con tenute idrauliche anche sulla platea, sulle pareti e
sulla copertura (figure 10.14).
Entro le vasche sono disposti dei setti in calcestruzzo con interasse di circa 4-5 m, che
svolgono la duplice funzione di assicurare la circolazione ed il ricambio dell’acqua e di
fornire degli appoggi intermedi alla copertura, riducendone la luce libera ed il costo. Il
fondo delle vasche presenta una pendenza di poche unità per mille verso un pozzetto per
facilitare il completo vuotamento durante le operazioni di pulizia.
L’accesso alle vasche avviene attraverso la camera di manovra che si estende fuori
terra, nella quale passano tutte le tubazioni in ingresso ed in uscita dal serbatoio e sono
ubicate le apparecchiature di controllo e regolazione. Ogni vasca è dotata di uno scarico di
fondo, di uno sfioratore di troppo pieno, di una tubazione di alimentazione e di una
tubazione di presa, tutte dotate di saracinesche eccetto quella di sfioro. Le tubazioni di
presa e di arrivo sono collegate inoltre da un by-pass che consente di alimentare
provvisoriamente il centro urbano in caso di disservizio dell’intero serbatoio. Per le ragioni
già viste, tutte le tubazioni della camera di manovra sono di norma realizzate in acciaio
con giunti a flangia.
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Figura 10.13 – Serbatoio interrato: pianta, sezione e particolari costruttivi.
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a)
b)
c)
Figura 10.14 – Giunti di dilatazione water stop in parete (a) e sul fondo (b); giunti di scorrimento tra parete e fondo in un
serbatoio a pianta circolare in cemento armato precompresso (c).
Serbatoi pensili.
I serbatoi pensili sono usualmente costituiti da un’unica vasca di pianta circolare, con
fondo e copertura di forma troncoconica (vedi Figura 10.15). Lo stelo di sostegno della
vasca è costituito da una canna cilindrica in cemento armato, entro la quale trovano
alloggio le diverse tubazioni e le scale di accesso alle vasche.
La realizzazione dei serbatoi pensili viene affidata sempre più frequentemente
mediante un appalto concorso, nel quale le imprese partecipanti presentano sia il progetto
che l’offerta economica per la costruzione dell’opera. Poiché una delle voci di costo più
rilevanti è costituita dagli oneri dei ponteggi e delle cassaforme da realizzare in quota, le
tecniche messe a punto dalle varie imprese sono spesso basate su elementi prefabbricati
realizzati in stabilimento o a piè d’opera. In alcuni casi vengono realizzati in cantiere dei
settori di superficie conica, i quali vengono successivamente issati in cima allo stelo ed
uniti a costituire il fondo e la copertura delle vasche. Altri procedimenti prevedono la
costruzione a terra intorno allo stelo dell’intera vasca, che viene successivamente issata in
quota mediante un sistema di sollevamento con cavi in acciaio.
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Figura 10.15 – Tipi di serbatoi pensili.
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LE OPERE DI ADDUZIONE – Appunti di Costruzioni Idrauliche – a.a. 2006-2007
BIBILIOGRAFIA
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