lhundrup dhechen - Estro
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DIRITTI RISERVATI - SIAE LHUNDRUP DHECHEN (GRANDE BENEDIZIONE) Romanzo Elisabetta Errani Emaldi SOTTOTITOLO L'esperienza di tre amici nell'esplorazione di Kathmandu e dei suoi incantevoli templi, a contatto con misteriosi monaci tibetani ed eventi esoterici, nel monastero di Kopan sulla collina del sole, alla ricerca dell'illuminazione. Quando il Dharma si trasforma in una spada di diamante che apre i cuori e vi semina luce. Nell'inquieto mondo della personale ricerca di quella verità che ci appartiene, - ma che non ci è dato conoscere se non per fede, - una donna, con alcuni suoi amici, si imbatte in un mondo in cui la consapevolezza del bene si confonde con filosofie orientali che inducono alla meditazione e alla pace interiore. La naturale aspirazione della persona ad elevarsi si incontra non con astratti concetti di vita, bensì con realtà concrete che si manifestano in un susseguirsi di eventi. Da dove nascono questi momenti di trascendenza se non dalla stessa fonte che, nonostante sia da noi trascurata, resta l'unico deposito della verità: La nostra coscienza? L'incontro del messaggio onirico con il desiderio personale di elevare se stessi oltre la soglia del materialismo massacrante dei nostri tempi, induce la persona narrante a scalzare dalla sua mente l'idolo imperante: il dio denaro. Solo dopo questa comprensibilmente dolorosa operazione, si libera, nella sua coscienza, quel posto che la aiuta a ritrovarsi, a riconoscersi creatura, in umana comunione con la sua originale immagine. L'immagine del Bene Eterno. L'immagine di quel Dio che è sempre e dovunque dentro ciascuno di noi. Dogimer -----------------------------------Nota dell’autrice. Il romanzo “Lhundrup Dhechen” è una storia vera, accaduta all'autrice nei mesi di novembre e dicembre del 2001 nel monastero di Kopan a Kathmandu in Nepal. I personaggi della sceneggiatura sono reali. I luoghi descritti esistono. Il grande Tagore ha detto: - "Il Buddha, meditando sul modo di liberare l'umanità dall'oppressione del dolore, giunse a questa verità: quando l'uomo consegue il suo fine più alto, dissolvendo nell'universale tutto ciò che è individuale, si libera dalla servitù del dolore". Il saggio Inayatkhan ha detto: - "L'anima del Cristo è la vita dell'universo. La coscienza dell'unità è il corpo di Cristo, il soffio dell'amore il suo sangue". INDICE PRIMO CAPITOLO: RISPOSTE ALLE PREGHIERE SECONDO CAPITOLO: PARTENZA PER IL NEPAL TERZO CAPITOLO: KOPAN MONASTERY QUARTO CAPITOLO: LA SORPRESA QUINTO CAPITOLO: LA VOCE DEL SILENZIO (MESSAGGI ATTRAVERSO IMMAGINI MENTALI) SESTO CAPITOLO: LE QUATTRO NOBILI VERITÀ SETTIMO CAPITOLO: I MONACI CHE “SPARANO” IN CIELO LA PREGHIERA OTTAVO CAPITOLO: CHARO, IL LAMA BAMBINO E LA SUA PROMESSA A LAMA YESHE DURANTE LA SUA VITA ANTERIORE NONO CAPITOLO: LA PREGHIERA DEI MONACI DEL MONASTERO DI KOPAN DECIMO CAPITOLO: LAMA YESHE E LA PRINCIPESSA ZINA RACHEVSKY UNDICESIMO CAPITOLO: VAJRASATTVA, IL CRISTO E L'ENERGIA DEL TERZO OCCHIO DODICESIMO CAPITOLO: LA VOCE E LA LACRIMA DEL BUDDHA TREDICESIMO CAPITOLO: LEZIONE SULLA MORTE E LA SOFFERENZA DI JOLANDA QUATTORDICESIMO CAPITOLO: SERENA E LA SUA REMINISCENZA DI VITA PRECEDENTE DURANTE LA MEDITAZIONE QUINDICESIMO CAPITOLO: LA MIA GUARIGIONE DA PARTE DI UN MAESTRO INDIANO SEDICESIMO CAPITOLO: MESSAGGIO PER SERENA, JOLANDA E WILLY DAL MIO MAESTRO INTERIORE DICIASSETTESIMO CAPITOLO: LE PILLOLE PREZIOSE DICIOTTESIMO CAPITOLO: IL RIFUGIO NEL BUDDHA E LHUNDRUP DHECHEN DICIANNOVESIMO CAPITOLO: PUJA (CERIMONIA RELIGIOSA DI OFFERTA) IN ONORE DEL QUARANTANOVESIMO GIORNO DEL BARDO DI LAMA KONCHOK VENTESIMO CAPITOLO: ELISABETTA E L'INIZIAZIONE DI CENREZIG VENTUNESIMO CAPITOLO: PARTENZA DAL MONASTERO DI KOPAN DURANTE LA CERIMONIA E RITORNO AL MANASLU HOTEL. VENTIDUESIMO CAPITOLO: SWAYABUNATH STUPA E I RICORDI DI FRANCO A TASHILHUMPO IN TIBET VENTITREESIMO CAPITOLO: L'INVITO DI GOPAL EPILOGO PRIMO CAPITOLO RISPOSTE ALLE PREGHIERE Un mattino dei primi giorni del mese di maggio del 2001 mi alzai verso le otto, aprii l'armadio per prendere la vestaglia, ma poi decisi di indossare un magnifico kimono giapponese e andai a sedermi sulla mia sedia indonesiana bianca di vimini; osservai distratta la mia stanza ampia di colore bianco, con il grande letto in ottone, sulla cui spalliera cadeva una tenda di raso color avorio, raccolta in cima da un drappo in batik a fantasia bordeaux e avorio. Sulla tenda di raso era fissata in posizione centrale un'icona greca con Madonna e Bambino. I tendaggi al finestrone del balcone erano dello stesso tessuto. Di fronte a me stavano l'armadio in smalto bianco dalle specchiere celesti e un tavolino sopra cui poggiava una grossa Bibbia bordeaux.. Mi alzai per andare a prendere la candela sul comò e, mentre passavo davanti agli specchi dell'armadio, ammirai il kimono di seta che indossavo, color argento con ricami cinesi in nero e arancione, poi fissai la mia immagine: altezza media, longilinea, viso rotondo, occhi e capelli neri a caschetto. In quel mentre mi ritornò in mente il bel volto dell'artista giapponese che conobbi una decina di anni prima a bordo della nave Danae. Una sera costei bussò alla porta della mia cabina con un pacco e mi disse sorridendo che sarebbe sbarcata l'indomani mattina e non avrebbe mai più lavorato su un palcoscenico, poiché sarebbe tornata in Giappone, dove aveva aperto una scuola per artisti; aveva scelto tra tutte le donne dell'equipaggio me, per regalare il suo prezioso chimono di seta argentata. Io, stupita, la invitai ad entrare, ringraziandola di cuore. Mi insegnò come indossarlo, poi mi fece un inchino e se ne andò. Riflettendo, presi il piattino con la candela dal comò, ritornai al tavolino davanti alla sedia e la posai sopra la grande Bibbia e l'accesi: mi sedetti giungendo le mani e recitando la mia preghiera mattutina. - “Gloria al Padre, al figlio e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora, e sempre, nei secoli dei secoli. Amen. Prego il Cristo, la Madonna, il Buddha e tutta la gerarchia divina affinché io possa compiere la mia parte nel Lavoro Unico, con abnegazione, innocuità e giusta parola. Prego per la pace nel mondo e la felicità dell'umanità...Om many padme hum! Om many padme hum! Om many padme hum! Nam-miohorenghe- chio! Nam-miohorenghe-chio! - Nam-mioho-renghe-chio!” All'improvviso squillò il telefono sul comodino dall'altra parte del letto, mi alzai e andai a rispondere: - Pronto! - Ciao, Elisabetta, sono Serena! - Ciao. Ringrazia tuo marito e digli che ho ricevuto i fogli per l'iscrizione - Allora, - domandò lei - ti iscriverai al corso di studi e meditazione al monastero di Kopan per il mese di novembre? - - Si, certo, ero pronta a unirmi a voi anche l'anno scorso, se non aveste dovuto partire per la Cina.- risposi felice. - Franco é curioso di conoscere questa misteriosa Elisabetta., che scrive sceneggiature sulle sue esperienze paranormali. - Serena, anche tu hai sogni premonitori - dissi - quindi prima di partire dovremo consultarci per vedere se avremo previsto qualche disavventura.- Sono d'accordo - concluse Serena - a presto! Felice agganciai la cornetta e andai a vestirmi, pensando che non vedevo l'ora di partire per il Nepal, vivere nel monastero di Kopan fra i monaci tibetani e poi visitare la mitica città di Kathmandu. Il mattino del diciassette maggio 2001 , dopo aver recitato la mia preghiera mattutina, davanti al tavolino che mi faceva da piccolo altare, mi alzai e andai a sdraiarmi sul letto, mi misi le mani sul cuore, chiusi gli occhi, mi rilassai, poi pensai: - Caro maestro interiore, vuoi dirmi se troverò mai un produttore per le mie sceneggiature? Poco dopo ebbi una visione: centinaia di campi di grano maturo che si estendevano all’orizzonte, e un piccolo spazio di erba verde brillante. Appariva il Cristo in una lunga veste bianca che sorrideva, mentre dalle Sue mani alzate verso il cielo azzurro spiccavano il volo due colombe bianche. Sorpresa mi sedetti sul letto a riflettere e pensai: - Caro Gesù, ti amo tanto, grazie di cuore per il tuo prezioso messaggio e per aver affermato: “Chiedete e otterrete; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto”. Alcune lacrime di gioia mi rigarono il volto e pensai: - Probabilmente Gesù intende dirmi che ho seminato bene, quindi avrò un buon raccolto, anche se immagino che dovrò avere pazienza e pregare molto. Il cinque giugno 2001, uscii di casa con il cordless in mano, attraversai il giardino e andai a sedermi sotto il gazebo, su uno dei quattro sgabelli che stavano intorno al tavolino in stile neoclassico, mentre di fronte a me avevo un lampione e un grosso pino che innalzava i suoi rami verso il cielo. Il sole era alto, gli uccelli cinguettavano nel silenzio del pomeeriggio. Preoccupata digitai il numero di telefono di Serena: - Pronto Serena. - Ciao Elisabetta, dimmi!- Serena,- domandai - hai saputo della strage della famiglia reale del Nepal nel palazzo reale di Kathmandu? - Già, io e Franco siamo preoccupati per la rivolta popolare che è in corso, da quando Birendra, il fratello del re, è andato al potere. - Speriamo - brontolai - che questa guerriglia finisca prima di novembre, altrimenti dovremo rinunciare al nostro viaggio.- - Lo voglio sperare - rispose Serena sospirando - noi abbiamo degli amici nepalesi, quindi siamo in ansia anche per loro. - Immagino! Ma, dal momento che entro il15 di giugno dobbiamo pagare la prenotazione al monastero di Kopan, che cosa avete deciso di fare? - Prenotiamo comunque - rispose Serena decisa - sperando che nei prossimi tre mesi la situazione in Nepal si normalizzi. - D'accordo, ora ti lascio, salutami Franco e digli che non vedo l'ora di conoscerlo. - Sarà fatto, un abbraccio! - concluse Serena. Posai il cordless sul tavolo e pensai inorridita alla strage degli otto componenti della famiglia reale, riflettendo sul fatto che il popolo nepalese accusava dell'orrenda strage il fratello del re, con il movente di salire al trono. Se tutto ciò era vero, mi domandai, chi poteva essere Birendra, se non un mostro che osava dopo tale orrendo delitto salire al trono? Il quindici ottobre stavo leggendo un libro stesa su una sdraio nel giardino e ogni tanto osservavo il sole autunnale distribuire i suoi raggi intorno e fra i rami degli alberi, mentre le foglie colorate cadevano danzando lentamente dietro la spinta di leggere folate di vento. Ovunque sotto cascate di luci brillavano le foglie morte sul tappeto verde del giardino. All'improvviso udii il cigolio del cancello davanti a casa che si apriva. Mi alzai e andai incontro a chi stava entrando e, mentre giravo l'angolo della casa, vidi mia madre e dissi felice: - Ciao mamma, vieni che andiamo a sederci al tavolo, sotto il gazebo. Mia madre Rosina aveva settantasei anni, media altezza, robusta, viso rotondo, occhi scuri, capelli mossi e castani, indossava un vestito a giacca scuro con una maglietta giallo limone. Mi seguì in silenzio e, quando ci sedemmo sotto il gazebo, mi fissò preoccupata e brontolò: - Non ti capisco, dopo l'attentato alle Torri Gemelle avresti dovuto rinunciare ad un viaggio così rischioso. - Senti mamma - risposi decisa - per il momento la guerriglia maoista in Nepal si è calmata, poi dopo l'undici settembre i controlli negli aeroporti sono raddoppiati. - Ma insomma Elisabetta, - sbraitò mia madre nervosa - se il mondo intero ha smesso di viaggiare in aereo, ci sarà un motivo! - Non devi preoccuparti, non ho sognato niente di cui allarmarmi, vedrai che andrà tutto bene. Mentre mia madre rifletteva pensierosa, continuai: - Ti ricordi l'anno scorso quando prima di partire per l'Australia per ben due volte ho sognato che sarei rimasta bloccata all'aeroporto di Sydney e così è successo perché Ornella perse il passaporto? - Ma si, tanto non mi ascolti. - sospirò mia madre arrabbiata. - Senti mamma, si sa che i Lama tibetani hanno poteri di veggenza. - Allora? - domandò mia madre con voce stanca. - Il sei ottobre ho ricevuto una e-mail dal monastero di Kopan, con cui i monaci assicuravano che, dopo i gravi attentati all'America, hanno interpellato il loro Maestro spirituale, Lama Zopa Rimpoche, a proposito della sicurezza del viaggio in Nepal e lui ha risposto di riferirci che tutto andrà bene. La mamma mi fissò tranquillizzata, poi concluse: - Speriamo bene! - Mentre ella mi fissava con un mezzo sorriso, mi alzai in piedi e l'abbracciai felice. Se ne andò sorridendo. La notte del diciotto ottobre 2001 stavo dormendo quando mi svegliai piena di gioia, perché avevo sognato che, mentre camminavo in un campo verde, vedevo il Cristo che, insieme a un gruppo di persone, mi veniva incontro sorridendo. Mi sedetti sul letto e mi venne in mente una serie di sogni flash che avevo avuto nei mesi precedenti: il ventiquattro giugno nel dormiveglia avevo visto la Madonna che lavorava nel mio campo di grano; il sedici settembre sognai Padre Pio che mi fissava serio, poi si mise la tunica e andò all'altare a pregare; il quindici ottobre sognai due grandi elefanti che procedevano uno davanti all'altro con grossi carichi, poi la scena cambiava e vedevo Padre Pio che raggiungeva ansimando la cima di una montagna; infine alcuni monaci tibetani che volavano via da me, lasciandomi la sensazione di avermi dettato qualcosa nel sonno. Raggiante mi alzai in piedi e andai a sedermi sulla sedia indonesiana a riflettere sui messaggi di quegli stupefacenti sogni flash. SECONDO CAPITOLO PARTENZA PER IL NEPAL Il mattino del primo novembre faceva un pò freddo, quindi indossai un paio di pantaloni e maglietta color ruggine, sciarpa e giacca a vento neri con cappuccio. Mi feci portare dal mio amico Silverio alla stazione di Lugo e partii per Verona. Nel pomeriggio, quando raggiunsi Verona, il sole splendeva alto. Depositai i bagagli e andai a visitare la famosa Arena, prima di incontrare Serena e Franco. Più tardi, quando ritornai alla stazione, ritirai la mia valigia e la borsa dal deposito, le caricai su un carrello e, mentre lo spingevo, vidi Serena che mi veniva incontro sorridendo allegramente. Mi ricordò subito il personaggio famoso di un serial televisivo, “Pippicalzelunghe”, una ragazzina che faceva la parte di una monella che ne combinava di tutti i colori. Anche Serena portava i suoi capelli biondi legati in due codini, aveva occhi azzurri, il volto rotondo era pieno di lentiggini, non era molto alta ma longilinea e i suoi cinquantacinque anni non li dimostrava affatto. Indossava pantaloni rossi, camicetta bianca e gilet sportivo scuro. - Ciao, Elisabetta!! - esclamò felice. Bloccai il carrello e dissi: - Ciao Serena, non ci vediamo da sette anni, ma tu non sei cambiata affatto: mi sembri una ragazzina. Ci abbracciammo commosse. - Complimenti, anche tu sei la stessa di sette anni fa, ma dove ti sei cacciata, io e Franco ti aspettavamo fuori dalla stazione. - Ricominciai a spingere il carrello, poi risposi: - Hai ragione, ma da quando ci sono stati gli attentati alle Torri Gemelle, tutto è diventato più complicato al deposito bagagli. - Già dimenticavo, ci sono due poliziotti che controllano tutto e hai dovuto fare la fila - rispose Serena, mentre raggiungevamo Franco fuori dalla stazione. - Senti Serena, io non ho sognato niente che riguardi il nostro viaggio in Nepal, e tu?- Nemmeno io, quindi credo che potremo stare tranquille: non dovremo subire le minacce di qualche terrorista - rispose Serena sorridendo, mentre ci avvicinavamo al pullman. Intanto vidi venirmi incontro un uomo alto, magro, capelli brizzolati, volto lungo, occhi scuri, sui settant'anni, che mi sorrideva. Indossava pantaloni e maglione scuro con giacca a vento rossa. - Ciao Elisabetta! - esclamò l'uomo. - Ti presento mio marito. - disse Serena. Gli strinsi la mano: - Finalmente ho l'onore di conoscerti, so che sei stato un giudice importante! - Adesso sono in pensione - mormorò Franco sorridendo - e mi dedico a tutt'altro. - Poi prese la mia valigia e la passò all'autista del pullman, che la sistemò nel portabagagli e chiuse lo sportello. Salimmo e poco dopo si partì. Raggiungemmo l'aeroporto prima del tramonto. Quando l'aereo fece le prime manovre per il decollo, un sole invernale scendeva all'orizzonte spargendo i suoi colori pallidi ovunque, poi l'aereo prese velocità sulla pista e s'alzò verso il cielo rosa argento. Il giorno dopo, il due novembre, verso le sette, a bordo dell'aereo entrava dagli oblò aperti la luce del giorno e la maggior parte dei passeggeri dormivano ancora, quando la voce di un hostess annunciò in varie lingue: - Gentili signore e signori, il capitano e l'equipaggio vi augurano un buon giorno, fra poco verrà servita la colazione. L'arrivo a Kathmandu è previsto per le ore undici e trenta. Temperatura prevista venti gradi. Alcuni passeggeri si svegliarono sbadigliando. Serena e Franco erano seduti alcune fila di sedili davanti a me Le luci all'interno dell'aereo si accesero all'improvviso e Serena mezza addormentata mi raggiunse sorridendo e chiese: - Allora, hai dormito bene? - Certo, e voi? - domandai sbadigliando. - Non c'è male! - Ti dispiace se più tardi ti farò compilare i miei moduli per lo sbarco in Nepal? - Ah, già è vero: hai grossi problemi alla vista - rispose Serena seria non preoccuparti ti farò da scrivano quando ne avrai bisogno. - - Ti ringrazio di cuore - dissi felice - cercherò di sdebitarmi in qualche modo. - Figurati- sussurrò Serena - ora devo tornare al mio posto, le hostesses hanno iniziato a distribuire la colazione.- Buona colazione allora! - Ella si affrettò a raggiungere il suo posto per non intralciare il lavoro delle hostesses. Verso le 11,30 l 'aereo atterrò all'aeroporto di Kathmandu. Dopo aver presentato i passaporti alle autorità doganali nepalesi, prendemmo le nostre valigie, le caricammo su due carrelli e verso mezzogiorno uscimmo dall'aeroporto e attraversammo la strada. All'improvviso cinque ragazzi tutti sudati, con ciabatte, pantaloncini corti, magliette sporche e stinte, piombarono veloci sui carrelli, afferrarono le valigie e s'avviarono ad un taxi gridando: - Taxi, taxi! Non ci fu nemmeno il tempo di protestare, lasciammo i carrelli vuoti e seguimmo i cinque monelli, che già stavano caricando i bagagli su un taxi, poi allungarono le mani e implorarono in coro: - Rupie! Rupie! Franco ed io distribuimmo delle rupie ai ragazzi, che poi corsero via gridando e urlando nella loro lingua. Franco si avvicinò all'autista e chiese in inglese: - How much does it cost to go to Manaslu Hotel? - (Quanto costa andare all'Hotel Manaslu?) L'uomo, mal vestito e sudato, rispose: - Only three hundred rupie! - (Solo trecento rupie) Franco salì davanti dicendo: - Andiamo! Serena ed io saltammo sul taxi tutto scassato e sporco, che partì rombando, tra strade di campagne arate, con poca vegetazione. Rallentò la corsa mentre entrava nella città di Kathmandu, per strade strette e affollate, piene di negozi, mercati, animali, poi procedette lento fra un gruppo di donne nepalesi che vestivano stupendi sari colorati. Infine svoltò in alcuni vicoli stretti ed entrò nel magnifico giardino del Manaslu Hotel, che m'apparve come un magnifico palazzo: era tutto bordeaux con rifiniture in bianco, sul davanti si estendeva un prato verde quadrato, circondato di piante tropicali e statue orientali, in fondo al giardino un tempio indù con altre statue sacre. All'entrata dell'hotel c'era una tettoia con un rampicante e magnifiche piante in fiore. Il taxi entrò nel giardino del Manaslu Hotel, e girò davanti all'entrata; si fermò mentre due guardie in divisa verde con cappello uscirono e ci aprirono gli sportelli dell'auto sorridendo. Franco estrasse il portafoglio dalla tasca dei pantaloni e pagò il tassista. Mentre noi scendevamo ringraziando, le due guardie chiusero gli sportelli e andarono a scaricare i nostri bagagli trasportandoli davanti all'ufficio informazioni. Franco scese dal taxi e disse: - Faccio portare i bagagli nelle nostre stanze, poi andiamo a pranzare! Poi entrò nell'hotel, mentre io incantata osservavo il giardino. - Bello, vero? - domandò Serena sorridendo. - Incantevole! - ammisi sorpresa. - Il giardino posteriore dell'hotel Manaslu è ancora più bello, c'è anche un pollaio con galline, fagiani e uccelli dalle penne colorate - aggiunse Serena, mentre il tassista mise in moto e gridò salutando: - By, by! Salutammo agitando le mani, mentre l'autista s'apprestò a fare marcia indietro. Quando ci avvicinammo alla porta per entrare, le due guardie ce la aprirono sorridendo. Il salone, di fronte all'ufficio informazioni, era uno splendore: soffitti bianchi rifiniti in oro, salotto in legno con i divani in pelle, sul pavimento ricoperto di tappeti e sui mobili grandi e piccole statue dorate, indù e buddiste; appesi alle pareti quadri con pitture sacre dai colori vivaci, sul muro di fronte al salotto un grande quadro con il Re e la Regina che sorridevano felici. La tristezza mi colse quando ricordai che erano stati giustiziati con tanta crudeltà insieme a tutta la famiglia reale. Attraversammo il bar tutto in legno nero, poi entrammo nel ristorante, alle cui pareti erano alcune antiche finestre tipiche nepalesi, lavorate a mano, come il soffitto e le lampade. Alternati alle finestre quadri dai colori splendenti, sempre con divinità indù e buddiste. Raggiungemmo Franco seduto ad un tavolo vicino ad un camino spento. Serena aveva appena finito di leggermi il menù, quando si presentò un cameriere in tipica divisa nepalese. Ordinammo tre zuppe di verdure e un secondo a base di pesce. Poco dopo il cameriere ci servì e se ne andò. Spostai il vaso con fiori dal centro del tavolo e lo sostituii col cestino del pane. - Elisabetta, oggi ti aspetto in giardino, così berremo un tè in compagnia del mio amico Gopal- disse Franco, mentre spezzava un pezzo di pane. - Sai Franco - dissi - sarà un onore incontrare il tuo amico Gopal e mi addolora pensare che è stato picchiato e rinchiuso più volte nelle galere nepalesi. - È un bravo avvocato che rischia la sua vita per delle buone cause, poi insegna anche diritti umani all'università di Kathmandu! - disse Franco. - Franco ha incontrato Gopal parecchi anni fa a Strasburgo, proprio durante un corso sui diritti umani. - spiegò Serena. - Pensa - aggiunse Franco - che Gopal era di casta bramina, ma è stato escluso, quando ha sposato una fanciulla di casta inferiore.- Ha mandato il figlio e la moglie in America, per proteggerli, poi ha dichiarato “il mio paese ha bisogno di me, quindi io resto in Nepal” - disse Serena seria, spostando la scodella della zuppa vuota - Poco tempo fa l'hanno picchiato e abbandonato sanguinante con le ossa rotte in mezzo alla strada! - Franco preoccupato raccontò: - Sta per uscire un libro che Gopal ha scritto sui diritti umani, per insegnare al suo popolo come difendersi dalle ingiustizie. Ho paura che, per questo, finisca ancora una volta in galera. - Trovo sia un uomo straordinario! - esclamai convinta. Dopo pranzo io e Serena andammo a disfare le valigie. Quando entrai nella mia stanza, la osservai con interesse: c'erano due letti con abat-jours attaccati sopra i comodini, un quadro alla parete con le campagne sconfinate del Nepal, una grande finestra che dava sullo splendido giardino posteriore dell'hotel con tendaggi dello stesso colore arancione dei copriletti, un salottino composto da due poltrone comode e un tavolino, un grande abat-jour sulla scrivania. Attorno ai muri vicino al soffitto rami fioriti dipinti a mano. La stanza era accogliente e mi misi a disfare la valigia. Verso le quindici Serena venne a bussare alla mia stanza e domandò: - Franco e Gopal ci aspettano in giardino per il tè, vieni? Chiusi la porta e la seguii. Nel giardino posteriore dell'Hotel Manaslu il sole del pomeriggio illuminava le splendide piante e il grande prato verde al cui centro si erigeva una piramide nera di ferro a gradini, con sopra la statua di Ganesh, la divinità indù con testa di elefante. C'erano tavolini e sedie in ferro battuto, Franco e Gopal erano seduti a chiacchierare. Gopal era un bell'uomo alto, robusto, capelli e barba nera riccia, viso rotondo, occhi scuri, piccoli occhiali da vista, indossava pantaloni neri con maglione verde, camicia chiara. In fondo al giardino, una tettoia al cui centro stavano un grande tavolo rettangolare con sedie di legno scolpite, festoni rossi e gialli, ad ogni angolo statue sacre indù, a sinistra della costruzione il pollaio, a destra un tempio Indù con fontane e statue suggestive: tra canne e alberi tropicali uccelli di ogni tipo volavano e cinguettavano indisturbati. Serena ed io uscimmo dall'hotel, da una antica porta di legno tutta lavorata a mano. - Serena - chiesi - la statua di Ganesh cosa rappresenta? - Il dio della conoscenza e della prosperità. Quando Gopal ci vide, si alzò in piedi e strinse la mano a Serena affermando: - Sono felice di rivederti in Nepal, Serena! - Tu devi essere Elisabetta, Franco mi ha parlato di te nell'ultima e.mail che mi ha spedito da Verona. Gli strinsi la mano emozionata e risposi: - Franco e Serena mi hanno raccontato tante cose straordinarie su di te, perciò conoscerti è un grande onore. Gopal sorrise felice: - Figurati! Ci sedemmo sotto il sole caldo del pomeriggio, gli uccelli cinguettavano, corvi e cornacchie volavano sul prato verde gracchiando incuranti della nostra presenza. - Come va la situazione politica al momento? - domandò Franco curioso. - Il mese scorso ha avuto luogo, in un clima cordiale, il primo incontro tra esponenti del governo nepalese e dei ribelli maoisti. – rispose Gopal. - Da quello che ho trovato in internet - disse Franco - pare che sia il primo incontro da quando il partito maoista ha scatenato una cruenta rivolta nel paese. - Già - rispose Gopal - tra le richieste dei maoisti figurano l'abolizione della monarchia costituzionale e l'approvazione di una costituzione repubblicana. - Ci saranno altri incontri? - domandò Serena. - Si - rispose Gopal - da quando il primo ministro Sher Boahadur Demba e il leader maoista Kamal Dalil si sono accordati nei colloqui di pace, i guerriglieri si sono astenuti da attacchi massicci contro le forze di sicurezza. Franco fissò Gopal serio: - Speriamo che questa tregua duri! Gopal sospirando brontolò: - La situazione in Nepal è grave. Ho paura che la pace non duri a lungo. All'improvviso una cornacchia volò sull'albero vicino alla piramide gracchiando nervosa e dibattendo le ali contro i rami, Gopal ci fissò serio e sibilò: - Una leggenda nepalese afferma che, quando una cornacchia si comporta così, ci saranno notizie poco piacevoli. Io preoccupata mormorai: - Speriamo che sia solo una leggenda. Serena ebbe un sussulto sulla sedia, poi sbraitò: - E sarebbe meglio, viste le prospettive.Ci fissammo preoccupati, poi per sdrammatizzare scoppiammo in una risata. In quel mentre si presentò un cameriere con cabaret, teiera, tazze, biscotti e alcune bibite che posò sul tavolo e se ne andò sorridendo. Trascorremmo un pomeriggio delizioso in compagnia di Gopal, che ci lasciò con la promessa di incontrarci a dicembre, dopo il ritiro nel monastero di Kopan. Il giorno successivo, il tre novembre, dopo colazione prendemmo un taxi con cui raggiungemmo il centro di Kathmandu, e andammo a visitare Durbar Square. Il sole splendeva illuminando la favolosa piazza dove discorrevano turisti e nepalesi spensierati e allegri. Indossavo un paio di pantaloni attillati neri, con una maglietta rossa e occhiali neri. Serena portava un paio di pantaloni e corpetto sportivo verde malva con camicetta bianca, aveva i capelli stretti in due codine come al solito, Franco pantaloni neri e maglione verde. Era una giornata tiepida, faceva quasi caldo. - Andiamo a visitate la Kumari Chowk - propose Serena - dimora della dea vivente, la bambina che è stata scelta da una particolare casta indù. per il suo coraggio e altre qualità - - Ho visto un documentario tempo fa - dissi - che parlava della Kumari Devi! Mentre stavamo attraversando la piazza, Franco spiegò: - Le Kumari vengono scelte dall'età di quattro anni alla pubertà e devono avere 32 qualità fisiche, incominciando dal colore degli occhi, dalla forma dei denti, dal suono della voce, ecc. - Su questo personaggio - aggiunse Serena - vengono fornite due interpretazioni: secondo la prima, si tratterrebbe dell'incarnazione della dea vergine, Kanya Kumari.- Secondo l'altra interpretazione - continuò Franco - più verosimile, non saremmo di fronte ad una incarnazione, ma ad una “rappresentazione vivente” della dea Taleju o di Durga… Sorridendo interruppi Franco aggiungendo: - I nomi di queste tre dee fanno parte dei 72 nomi di Parvati, sposa di Shiva. Poi m'incantai a guardare i templi di Shiva e Vishnu, quindi mi girai e mi trovai di fronte al palazzo della dea vivente, ne ammirai le sculture lignee delle finestre e le porte di rara finezza architettonica sulla facciata laterale. Serena mi spiegò: - Il palazzo della dea vivente fu costruito nel 1757 per desiderio del Re, Jaya Prakash Malla. La Kumari è ritenuta la protettrice della dinastia dei Malla. Ribattei, mentre m'avviavo all'interno del palazzo: - So che agli occhi dei buddisti appare come la personificazione del “principio femminile della Conoscenza o del Potere”. Franco mi seguì spiegando: - Il palazzo è un gioiello dell'architettura e dell'artigianato nevari. La corte interna, di dimensione ridotte, è ornata di numerose finestre scolpite a merletti di legno lavorato. All'improvviso apparve la Kumari alla finestra, il suo volto era truccato, la fronte quasi interamente coperta di uno strato di simrik rosso, gli occhi allungati con tratti neri di khol. Il suo sguardo era fisso, l'espressione impassibile, non sorrise mai. Veloce, presi la macchina fotografica e stavo per scattare una foto, quando la Kumari se ne andò in tutta fretta. - Elisabetta, non lo sai che è proibito fotografarla? - brontolò Serena. - Scusate, - borbottai - non lo sapevo! Ma ditemi, la Kumari non è un personaggio di origine buddhista? Mentre uscivamo dal palazzo, Franco rispose: - Certo, esempio stupefacente della compenetrazione delle due religioni e della tolleranza in materia, caratteristica della popolazione e dei dirigenti nepalesi.Mentre mi ero incantata ad ammirare la splendida Durbar Square, esclamai sorpresa: - Magnifico esempio di fratellanza. - Mentre passeggiavamo tra i templi di Durbar Square, circondati da uomini, donne e bambini nepalesi che giocavano rumorosi e felici, io scattavo delle foto. - Con i gravi problemi che hai alla vista, - domandò Serena - come fai a inquadrare gli oggetti? - Vado ad intuito - risposi sorridendo - e riesco a scattare comunque delle belle foto. - Mi domando come fai a scrivere sceneggiature al computer. - chiese Franco curioso. Mi fermai a fotografare un tempio, poi risposi: - Riesco a vedere la tastiera, ma posso leggere sul monitor solo con l'aiuto di una lente di ingrandimento facendo una certa fatica. Essi mi fissarono preoccupati e sdrammatizzai dicendo: - Non soffro per questo, la vedo come un'esperienza che mi serve per evolvere più in fretta, quindi non mi arrendo di fronte alle difficoltà, ma le affronto e le supero. - Complimenti! - esclamò Serena. - Elisabetta, ma di cosa trattano le tue sceneggiature? - domandò Franco curioso. Serena intervenne: - Descrive le sue esperienze paranormali. Franco mi fissò stupito e sorridendo ordinai: - Avanti, mettetevi in posa, che vi faccio una foto in mezzo a questi magnifici templi. - Franco e Serena si abbracciarono teneramente e io li immortalai. Scherzando borbottai seria: - Con quello che ci vedo spero di non avervi tagliato fuori la testa.Mi fissarono preoccupati, esplosi in una risata fragorosa che contagiò anche loro e ci trovammo con gli occhi dei passanti puntati addosso, mentre ci osservavano curiosi. La notte tra il tre e il quattro novembre, verso le quattro, ero nel mio letto, con indosso la mia camicia da notte color salmone, rilassata tra il sonno e la veglia, quando vidi due monaci tibetani, con teste rasate e tuniche bordeaux e arancioni che volavano via sopra di me alzandosi verso il soffitto e sparivano. Stupita, mi sedetti sul letto a riflettere e pensai: - Santo cielo, anche ieri notte ho avuto la visione dei monaci che volavano via da me e svanivano verso il soffitto, la stessa che mi è capitata per alcune notti anche a casa. - Mi alzai in piedi, andai alla finestra, spostai la tenda e vidi i lampioni accesi che illuminavano il magnifico giardino. Lasciai andare la tenda e borbottai sotto voce: - Santa Maria, mi sta ritornando in mente un sogno flash, dove ho visto un gruppo di persone che mi sorridevano, tra cui ricordo un giovane uomo alto, magro, dai lunghi capelli neri e un monaco, magro, dal volto lungo, occhi vispi. - Rividi, con la mente, il flash back della visione del gruppo di persone che mi sorridevano. Stupita andai a sedermi sulla poltrona a riflettere sullo strano sogno. TERZO CAPITOLO KOPAN MONASTERY Il mattino del quattro novembre, verso le dieci, le guardie in divisa verde ci caricarono i bagagli sul taxi. Franco ed io ringraziammo ed elargimmo la mancia, poi il nostro autista partì facendo rombare il suo taxi mezzo scassato. Dopo aver attraversato la caotica città di Kathmandu, raggiungemmo le splendide vallate di Swayambunath che splendevano sotto il sole. Il nostro taxi sgangherato attraversò alcuni villaggi degradati e sporchi, lasciando dietro di sé una scia di polvere, su strade piene di buche che portavano sulla collina, dove si ergeva il monastero di Kopan. Guardavo l'autista e i miei amici che sobbalzavano in continuazione sotto le tremende scosse provocate dalle buche sulla strada, mentre tentavo di tenermi in equilibrio aggrappandomi dove potevo, ma purtroppo era peggio che stare seduti sulla schiena di un toro infuriato, allora sghignazzai: - Siamo sicuri di arrivare al monastero con tutte le ossa a posto? Serena rise divertita, mentre Franco brontolò serio: - Me lo auguro, anche perché voi dovrete stare tutti i santi giorni del mese nella posizione del fior di loto.- Perché tu no!!? - interrogai curiosa. Franco sghignazzò: - A me una comoda sedia per la mia povera schiena non me la toglie nessuno. Infine il taxi imboccò una strada asfaltata e salì sbuffando intorno alla collina di Kopan. - A quanto pare incominciamo bene!- esclamai felice. In quel mentre alcuni scoppi rumorosi esplosero dal motore del taxi, che fortunatamente continuò a salire intorno al monastero di Kopan sulla collina, sotto la quale splendevano terrazze di campagna arata che si estendevano in lontananza, costellate di casette con orti e giardini. Finalmente il taxi raggiunse l'entrata principale del monastero, dove due guardie nepalesi, vestite con le solite divise militari verdi e il cappello, intimarono l'alt; l'autista disse qualcosa in nepalese e le guardie si spostarono lasciando entrare il taxi, che proseguì e si fermò davanti al bar. Scendemmo, l'autista andò ad aprire il portabagagli, quindi noi l'aiutammo a scaricare le valigie: Franco lo pagò e quello sorridendo salì sul taxi e partì a marcia indietro verso l'uscita. Io guardai davanti a me un gruppo di monaci che scendevano dalle scale scherzando tra di loro. Le scale erano circondate da enormi mura, sopra le quali si ergeva il gompa dei monaci, dipinto in bianco bordato di bordeaux (come tutte le altre costruzioni sulla collina). Ad ogni angolo del tetto del gompa si trovavano statue e oggetti sacri in oro. La costruzione aveva grandi finestre con un balcone in legno bordeaux, ricoperto da una tettoia in oro. Appeso sotto il balcone si stendeva un drappo bianco con tre simboli uguali in blu. Sulla destra, al fianco della costruzione, si ergeva una tettoia con di fronte un'enorme pipal, il famoso albero del Buddha, dalle foglie a forma di cuore. Sotto le mura, di fronte a me, c'era una costruzione con un tetto bianco a punta. La parte inferiore del muro era giallo e quello superiore lavorato in bordeaux e arancione, all'interno un'enorme ruota della preghiera, in metallo dorato, con migliaia di grosse scritte del famoso mantra “Om mani Padme hum” che continuava a girare lentamente su se stessa e ad ogni giro si udiva un trillo di campanello. Attaccata alla costruzione della ruota della preghiera ce n'era un'altra più bassa, adibita ad infermeria. Tutto intorno altre costruzioni. Noi lasciammo le valigie davanti al bar e andammo all'ufficio che si trovava di fronte alle mura sopra le quali si ergeva il grande albero. Un monaco tibetano sui quarant'anni, di media altezza, robusto, occhi scuri, viso rotondo, capelli rasati a zero, con indosso una tunica bordeaux e arancione, uscì dall'ufficio sorridendo e disse: - Benvenuti a Kopan, sono Thubten Khedup, l'addetto all'ufficio accoglienza. Noi rispondemmo: - Buon giorno! Il monaco indicò un pacco di moduli su un tavolo contornato da panchine in legno scuro aggiungendo: - Per favore, ciascuno di voi compili uno di quei fogli, poi venite in ufficio a pagare e vi farò accompagnare nelle vostre stanze.Mentre il monaco rientrava, noi ci sedemmo di fronte alle mura, poi Franco prese un modulo e cominciò a compilarlo. Serena ne prese due dicendo: - Elisabetta, dammi il tuo passaporto, così, mentrecompilo questi fogli, tu mediti sul pipal, il famoso albero dalle foglie a forma di cuore, sotto il quale il Buddha ha raggiunto l'illuminazione Io fissai il grande albero di fronte a lei sopra le mura, poi presi il passaporto dalla mia borsa da viaggio, lo posai sul tavolo e dissi: - Si chiama anche fico delle pagode e, dal momento che niente succede per caso, il Buddha ha scelto le fronde del maestoso albero per qualche ragione.Serena smise di scrivere, mi fissò e io aggiunsi: - Probabilmente, intendeva suggerire all'umanità di meditare per portare il cuore alla maturazione. Franco, ridendo con sarcasmo, disse: - Non male come interpretazione. Entrammo nell'ufficio con i nostri moduli compilati, pagammo l'importo al monaco che, domandò al suo assistente di chiamare alcuni monaci per farci accompagnare ai nostri alloggi. Serena ed io, con i nostri bagagli a mano, seguimmo due giovani monaci che trasportarono le nostre valigie lungo una salita che costeggiava a destra il gompa dei monaci, a sinistra una fila di nove piccoli stupa, sovrastante una magnifica vallata, che si estendeva per chilometri di campi, terrazze e villaggi splendenti sotto il sole. Grossi alberi e canneti circondavano la collina intorno al monastero. - Serena, dove hanno portato Franco? - domandai curiosa. - Dall'altra parte del monastero, nella stessa costruzione dove andremo a mangiare. Pensa, sono in quattro in una stanza. Io m'incantai a guardare le migliaia di bandierine della preghiera sulla collina, alla mia destra dietro al gompa, che volavano sotto la spinta leggera del vento. Serena, vedendomi assente, esclamò: - Suggestiva la collina dove sventolano le bandierine della preghiera, vero? - Molto! - risposi sorridendo. I due monaci scesero con le valigie giù per una scala che costeggiava una vecchia costruzione di fianco ad una nuova. Serena m'indicò la vecchia raccontando: - Guarda, Franco ed io abbiamo dormito in quella vecchia costruzione per quindici giorni, anni fa.La osservai, poi m'affrettai a seguire i monaci che nel frattempo stavano salendo su una scala che entrava nella nuova costruzione. Entrammo nel lungo e largo corridoio, in fondo al quale, sotto una grande vetrata che si specchiava sulla vallata sottostante, c'era un bel salotto in legno ricoperto di un tessuto color rosso e oro. Intanto i due monaci posarono le valigie accanto alla seconda stanza sulla sinistra, poi uno di loro mise nella toppa la chiave, aprì la porta e disse: - Ecco, questa è la vostra stanza. Il corso inizia domani alle ore 17,00. Mentre i due monaci se ne andavano sorridendo, noi rispondemmo: - Grazie di cuore! Mentre entravamo nella stanza, esclamai: - Carini questi monaci ! Serena non rispose e osservò la stanza: c'erano due letti con piumini a fantasia dai colori vivaci, separati da un comodino, sotto una grande finestra con inferriata, che si specchiava sulla vallata; il terzo letto era vicino alla porta, con dietro una scrivania, non c'erano armadi, ma una credenza.Tutti i mobili erano in legno. Serena aprì la porta del bagno e, come vide la caldaia, raggiante di felicità esclamò: - Magnifico, ero preoccupata che non ci fosse l'acqua calda! Trascinai le valigie all'interno della stanza: - Già, pensa che hai insistito tanto perché portassi il sacco a pelo, ora per fortuna non ne avremo bisogno. Serena uscì dal bagno: - Meglio essere previdenti, piuttosto che patire il freddo. Aprii i tre sportelli inferiori della credenza, uno era occupato da una piccola valigia e domandai: - Serena, quale vuoi dei due? Serena mise una valigia sul letto vicino all'entrata rispondendo: - Occupali tu, la mia roba la lascio nelle valigie.Dopo pranzo decidemmo di andare a fare una passeggiata fino allo stupa Boudhanath. Scendemmo lungo una strada sterrata piena di buche, fra case sporche e degradate, tra colline con terrazze arate e campi sotto il sole di novembre. Franco ci faceva da cicerone e Serena camminava davanti a me con il suo zainetto argentato sulle spalle: i suoi codini si muovevano ad ogni passo tra le buche sul sentiero. Lungo la strada alcuni bambini mal vestiti e sporchi giocavano allegramente, mentre le donne e gli uomini osservavano curiosi i tre stranieri passare. Alcune anatre bevevano in un rigagnolo d'acqua putrefatta, che costeggiava la strada nel villaggio degradato e puzzolente. Brontolai seria: - Quanta povertà e degrado regna in questo villaggio! Serena ammise: - Purtroppo non vedo miglioramenti rispetto a sette anni fa, tutto mi si presenta come allora. - Che tristezza! - borbottai delusa. Franco sbraitò: - Per me è una grossa delusione, spero di riuscire a far approvare alcuni piani per aiutare i bambini orfani. - Franco - dissi felice - sono orgogliosa di avere un amico come te e so che tu riuscirai a fare approvare quei progetti di assistenza. - Per quale motivo credi che i miei progetti saranno approvati? domandò curioso. - Tutti i progetti che non si fanno per fini egoistici, ma per il bene della comunità sono destinati ad avere successo - risposi felice. Serena intervenne: - Elisabetta crede nell'aiuto della Provvidenza, vero? - Certo - ammisi sicura di me - credo che quando ci si impegna per il bene comune, la Provvidenza interviene a realizzare il sogno dell'uomo. Franco sorrise scettico, poi esclamò: - Speriamo bene! - Scusa Franco - domandai - quanto tempo si impiega a piedi per raggiungere Boudhanath? - Circa trequarti d'ora. - rispose Franco. In quel mentre vedemmo ad alcuni metri, sopra la strada, su una collinetta, una fontana, dove tre contadine nepalesi, che indossavano magnifici sari colorati, stavano lavando indumenti in catini e riempiendo d'acqua otri di metallo. - Guardate - esclamò Serena - che belle quelle tre contadine! Mentre io prendevo la macchina fotografica dalla borsa per scattare una foto, Franco domandò: - Elisabetta, perché non ti metti gli occhiali da vista, quando scatti le foto? - Non ne ho bisogno - risposi seria - porto sempre lenti a contatto.Stavamo percorrendo una strada stretta, che portava alla piazza di Boudhanath, costeggiata ai due lati da case, quando dietro una curva apparve la parte centrale dello stupa, in tutto il suo splendore. - Che meraviglia! - esclamai estasiata. Raggiungemmo la piazza e ci fermammo ad ammirare lo stupa bianco, che puntava verso il cielo con il suo pinnacolo in oro, sulla cui parte inferiore erano disegnati gli occhi celesti del Buddha, immersi nello sfavillio dorato, che brillava sotto i raggi del sole. Migliaia di bandierine della preghiera danzavano al vento sopra lo stupa. Bambini, pellegrini e turisti gli giravano intorno spingendo le ruote della preghiera che cigolavano rumorose. Tutto intorno alla piazza c'erano centinaia di negozietti pieni di souvenir. Da un negozio di cassette si udiva una musica orientale con voce cinese che cantava il famoso mantra “ Om mani padme hum”. Noi entrammo all'interno dello stupa, fra fedeli che andavano e venivano. Di fronte all'entrata, al secondo piano di scale alla base della cupola, due elefanti bianchi splendevano sotto i raggi del sole, ciascuno portava un manto ricamato in oro sormontato da statue di uomini a colori. Mi fermai nel piccolo tempio, pieno di ruote della preghiera; sulla sinistra vidi i disegni sul muro del Buddha e delle varie divinità, feci girare alcune ruote delle preghiere, uscii e raggiunsi gli amici chiedendo: - Lo stupa non è anche un monumento che racchiude reliquie, oltre a simboleggiare la mente divina degli essere illuminati? Mentre salivamo le scale, Franco disse: - Certo, ma Boudhanath è costruito anche nella forma di un mandala, simbolo dell'universo… Serena interruppe Franco dicendo: - La forma dello stupa rappresenta anche i cinque elementi: la base rappresenta la terra, la cupola l'acqua, il pinnacolo il fuoco, la crescente cima del pinnacolo la luce, e la forma della fiamma sulla cima del pinnacolo l'etere. Mentre passeggiavamo intorno alla cupola spiegai: - Ho letto in una guida che, secondo una leggenda, questo stupa è stato costruito da una vecchia signora, che ha chiesto un pezzo di terreno al re per costruirci un santuario per il Buddha. - Il re promise di darle quel pezzo di terra che lei avesse coperto con la pelle di un bufalo d'acqua. - disse Franco sorridendo. - La donna - concluse Serena - tagliò la pelle del bufalo in piccole strisce e le unì l'una all'altra formando un grosso circolo, che diventò la circonferenza dello stupa. Verso sera, tornando da Boudhanath, Serena ed io entrammo nel grande corridoio, io bussai alla porta della nostra stanza, e udii una voce con accento spagnolo che diceva in inglese: - Come in! - (entrate!) Aprii la porta, e vidi sul letto appoggiato al muro, sotto la grande finestra, seduta nella posizione del fior di loto con una corona in mano, Jolanda. Indossava blue-jeans e maglietta bianca, era di altezza media, magra, viso lungo, occhi chiari, gonfi e lucidi. Si capiva che aveva pianto e i capelli castani le cadevano sulle spalle. Sul comodino un bastoncino d'incenso acceso bruciava lasciando una scia di fumo profumato. Come ci vide, Jolanda scese dal letto sforzandosi di sorridere. Le andai incontro e le strinsi la mano dicendo: - Hello, I am Elizabeth, it is a pleasure to meet you! - (Ciao, sono Elisabetta, è un piacere conoscerti) Jolanda mi strinse la mano, poi la strinse anche a Serena: - I am Jolanda, from Spain ! - (Sono Jolanda, vengo dalla Spagna) - I am Serena! We are Italien. - (Sono Serena, siamo italiane). Jolanda, rattristandosi in volto, raccontò: - Scusatemi, stavo pregando per mio figlio, spero che il profumo dell'incenso non vi dia fastidio.- Io e Serena ci fissammo serie e Jolanda aggiunse: - È morto in agosto in un incidente stradale. Noi fissammo Jolanda addolorate, poi io esclamai: - Santo cielo, appena tre mesi fa! - Terribile, immagino quando devi aver sofferto. - brontolò Serena seria. Mi sedetti accanto a Jolanda e perplessa cercai di confortarla con parole gentili mentre Serena preparava un caffè solubile. Alle ore 19,00 ci recammo assieme a cena al refettorio del monastero. Il refettorio era una grande sala con enormi finestre che davano sulla vallata sottostante, con tavoli e panchine dello stesso colore verde. All'interno c'erano due tavoli, su cui spiccavano cesti pieni di ciotole di ferro, grandi pentole piene di zuppa di verdura bollente e canestri di pane con vasetti di marmellata e burro. Vicino all'uscita che dava sul balcone, c'erano due grandi recipienti d'acqua bollente con cesti pieni di tazze di ferro e scatole che contenevano tè verde e di gelsomino. La sala era piena di gente di tutte le nazionalità, alcuni si servivano zuppa ecc., altri erano seduti a mangiare, tutti parlavano e discorrevano allegramente. Fuori trovammo un tavolo libero, Franco e Serena si sedettero davanti a me e a Jolanda. Il nostro tavolo era in fondo al balcone che s'affacciava sulla vallata di Kathmandu, in cui erano visibili campi arati, verdi e alcune case di contadini; sullo sfondo la catena montuosa dell'Himalaya al tramonto. Nel cielo gli ultimi bagliori dai colori delicati venivano lentamente inghiottiti dall'oscurità, un leggero vento caldo sibilava intorno, mentre si udivano i rumori dei cucchiai che sbattevano dentro le ciotole di ferro. Franco guardò la magnifica catena montuosa esclamando: - Che meraviglia la catena montuosa dell'Himalaya, è illuminata dagli ultimi bagliori del tramonto, osservate! Io e Jolanda ammirammo il panorama, poi domandai: - Allora, Jolanda, che lavoro fai a Valencia? Ella posò il cucchiaio dentro la ciotola, spezzò un pezzo di pane e rispose: - Faccio la cuoca in un ristorante! - Per una vegetariana come te - chiese Serena - non è imbarazzante dover cucinare carne per i clienti? Jolanda masticò un pezzo di pane, poi sorridendo rispose: - No! - Franco fissò Elisabetta dicendo: - Jolanda, lo sai che Elisabetta ha smesso di mangiare carne da cinque mesi per prepararsi alla vita monastica di Kopan? - Non è la sola ragione per cui ho smesso di mangiare carne - precisai. - E quale sarebbe l'altra ragione? - domandò Serena curiosa. Sorrisi e, mentre i tre amici aspettavano curiosi, dissi: - Per sviluppare il mio terzo occhio. Serena rise divertita, Jolanda mi fissò pensierosa, Franco stupito sghignazzò: - Ho capito bene, vuoi sviluppare il terzo occhio? Fissai Franco e ribattei: - Dovresti leggere il “Trattato del fuoco Cosmico” dettato dal Tibetano per mezzo telepatico alla scrittrice inglese Alice A. Bailey. Serena curiosa domandò: - Cosa suggerisce di fare il Tibetano, per sviluppare il nostro terzo occhio? - Prima di tutto dobbiamo pensare e agire bene - spiegai - quindi smettere di fumare, bere alcolici e mangiare carne. I tre amici mi osservarono in silenzio, poi Serena sbraitò: - Come potrei stare senza un grappino ogni tanto e una bella braciola!? Franco sghignazzò: - Figuratevi, se non era per me sarebbe venuta al monastero con una bottiglia di grappa, quando invece è proibito! Scoppiammo in una risata fragorosa, poi conclusi: - Non dimenticate che il pensiero è energia, quindi noi esseri umani siamo dei piccoli creatori e, quando pensiamo male, diventiamo martiri delle nostre stesse creazioni. Jolanda e Serena rifletterono serie e Franco mi fissò scettico. Quella sera verso le 21,00 Jolanda ci propose di andare con lei ad accendere alcune candele agli stupa di fronte alla vallata, ma Serena stava scrivendo una lettera alla scrivania e preferì restare a terminarla. Presi la torcia e seguii Jolanda. Raggiungemmo la strada che costeggiava il gompa dei monaci, osservai le miriadi di luci che splendevano come brillanti nei villaggi sottostanti e a Kathmandu. Accesi la torcia a batteria, mentre scendevo giù per le scale che portavano alla fila degli stupa, seguita da Jolanda, che stringeva in ogni mano tre candele colorate. - Elisabetta - pregò Jolanda - teniamo un occhio all'orologio, lo sai che alle ventidue dobbiamo essere a letto e spegnere le luci. Mentre stavamo raggiungendo gli stupa risposi: - Meglio così, altrimenti come faremmo ad essere pronte tutte le mattine alle 5.30? Davanti agli stupa c'era una lunga vetrina con tanti sportelli dove bruciavano candele colorate. Jolanda mi porse tre candele dicendo: - Queste candele sono per te, accendile perché i tuoi desideri possano avverarsi. Sorpresa, presi le candele affermando: - Ti ringrazio di cuore, la bianca la offro per la pace nel mondo, la verde perché possa trovare un produttore per le mie sceneggiature, la gialla perché la mia vista non cali, poiché sono già al limite. - Jolanda sorrise e s'apprestò ad accendere le sue candele, che aveva posto dentro la vetrina, poi mi passò l'accendino. A mani giunte recitammo il mantra “Om mani padme hum!”. Scendemmo ai piedi degli stupa a far girare le ruote della preghiera che nel silenzio della notte udimmo cigolare una dopo l'altra e risuonare nella valle sottostante. Tornammo nella nostra stanza per andare a letto e alle dieci in punto spegnemmo la luce, rispettando così il regolamento. La notte tra il quattro e il cinque novembre, verso le tre, dopo essermi rigirata più volte nel letto riuscii a rilassarmi e nel dormiveglia udii una voce dolce di donna che esclamava: - Tre colombe! Poi vidi il Cristo in una lunga veste celeste, piegato su un campo di grano intento al lavoro. Mi svegliai e aprii gli occhi, mentre alcuni raggi lunari entravano dalla grande finestra e delineavano i corpi delle mie amiche dormienti. Mi sedetti sul letto e pensai: - Caro Gesù, grazie per il tuo messaggio e per il prezioso aiuto! Raggiante di felicità mi raggomitolai sotto le coperte e mi addormentai. Alle cinque in punto il trillo della sveglia ci colse all'improvviso. Serena prese la sveglia da sotto il letto e la spense, io sbadigliando mi aggiustai la mia camicia da notte color salmone, mi sedetti sul letto ed eccitata raccontai il sogno alle amiche. Poi osservai la reazione di Jolanda di fronte a me: era seduta sul suo letto in un pigiama bianco. Mi girai verso Serena, che mi fece ridere vedendola in un pigiama rosa con dei fiori, sopra il quale indossava un maglione e una sciarpa. - Interessante il tuo sogno con le tre colombe e il Cristo che lavora nel campo! - esclamò Jolanda. Serena si alzò in piedi e, mentre si toglieva la sciarpa e la gettava sul letto, disse: - Tu mi hai raccontato anche che per ben due volte a distanza di anni hai sognato il Cristo che ti insegnava alla lavagna, prima di sapere che avresti frequentato un corso di filosofia buddista. - Certo, sia nel 1997 che nel 1999, una ventina di giorni prima che Roberta mi chiedesse se volevo frequentare i corsi, ho sognato di essere sola col Cristo in un aula vuota, dove mi insegnava alla lavagna. - È certamente incredibile - aggiunse Serena - che per ben due volte a distanza di alcuni anni, tu sogni il Cristo che ti insegna alla lavagna e, guarda caso, ti si presenta l'occasione di frequentare un corso di filosofia buddhista. - Ora che sono qui nel monastero di Kopan - risposi pensierosa - per fare un altro corso, il Cristo mi fa capire che sta lavorando nel mio campo di grano. Mentre Jolanda ascoltava sbigottita, Serena aggiunse: - Immagino che ti stia aiutando perché tu possa apprendere il più possibile per una buona semina. - Penso sia proprio così! - ammisi felice. - Probabilmente - continuò Serena - sarà con le tue sceneggiature che domani, quando diventeranno dei film, seminerai luce, quindi avrai un buon raccolto. Riflettei un attimo, poi ammisi: - Ormai ho capito che il Cristo ed il Buddha provengono dalla stessa fonte divina. - Interessante! - esclamò Jolanda. - Dobbiamo ammettere - continuai - che tutte le religioni, quando insegnano l'amore e la fratellanza, provengono dalla stessa fonte. - Purtroppo - aggiunse Serena - le divisioni sono prodotte dai limiti umani. - Sono d'accordo e credo che un giorno, quando l'uomo sarà abbastanza evoluto, ci sarà una religione sola per l'intera umanità. - Speriamo! - esclamò Jolanda fissandoci seria. QUARTO CAPITOLO LA SORPRESA Alle ore 17,00 il sole splendeva alto nel cielo. Tutto attorno al gompa c'erano boschetti di bambù, grossi alberi tra cui alcuni di frangipane in fiore, che innalzavano i loro rami e fronde verso un cielo azzurro e limpido. Migliaia di cinguettii risuonavano sulla collina di Kopan. Serena, Jolanda ed io, con il nostro pacco di libri racchiuso in una custodia arancione, come tutti quelli che entravano nel gompa, ci affacciammo per un attimo dal balcone che dava sulla valle di Kathmandu che splendeva sotto i raggi dorati del sole. Indossavo una tuta bordeaux, Serena pantaloni verdi con maglione chiaro ricamato, Jolanda blue-jeans e maglione blu. All'entrata ci togliemmo le scarpe come tutti gli altri e le lasciammo fuori dalla porta rimanendo in calzini, in silenzio entrammo e ci fermammo sulla soglia ad osservare incantate il soffitto del gompa di un verde - blu, sorretto da sei colonne bordeaux. La grande sala era ornata da disegni in oro, arancione, verde, blu, marrone, giallo. Sul pavimento c'erano cuscini quadrati bordeaux con sopra altri più piccoli rotondi, dove già molte persone sedevano in attesa. In fondo alla sala, su un piano rialzato sopra un reliquario, stavano le fotografie di Lama Zopa Rinpoche, Lama Yeshe e dell'attuale Dalai Lama, con statue del Buddha e altre divinità: al centro spiccava un bellissimo trono dipinto negli stessi colori vivaci del gompa, poco lontano si trovava un magnifico gong, ai due lati del gompa c'erano fila di finestre con tende gialle dai disegni in oro. Quando mi girai verso l'uscita, vidi Franco seduto su una sedia vicino ad una finestra con il suo pacco di libri dentro la custodia sulle ginocchia. Quando lo indicai a Serena e a Jolanda, risero divertite; ci avviammo fra le persone e andammo a sederci nella posizione del fior di loto, sul lato sinistro del gompa, vicino al piano rialzato, dove vidi sei donne francesi che stavano preparandosi ad usare delle radio con cuffie, per ascoltare la traduzione. Mentre la gente entrava numerosa, la mia attenzione si posò sul monaco francese Jean Francois, che stava provando il microfono di fronte alle francesi. Venni distratta dall'arrivo di quattro uomini che mi passarono davanti sorridendo. Il primo era Willy con i suoi lunghi capelli, poi Alain, Denis e Frank. Sorpresa pensai: - Santo cielo, le donne, il monaco e questi quattro uomini sono gli stessi che ho incontrato nel sogno flash, l'ultima notte al Manaslu Hotel . Rabbrividii ed ebbi un flash back del sogno. Sul palco di fianco al trono c'era una porta aperta, entrò Karen, una monaca svedese, d'altezza media, magra, coi capelli rasati, il viso lungo, di occhi chiari, sui quarant'anni, seguita dal monaco Neil, il maestro australiano, alto, robusto, il viso lungo, dagli occhi scuri, sui quarantacinque anni. Tutte le 176 persone presenti, provenienti dal mondo intero, si alzarono in piedi, mentre i due monaci si prostrarono davanti alla statua del Buddha, tre volte; la maggior parte degli ospiti, inclusa Jolanda, seguirono l'esempio. Io e Serena osservammo in silenzio e non ci scomponemmo. ILa monaca Karen prese il microfono e disse: - Benvenuti al monastero di Kopan, sono Karen, noi faremo la meditazione e le preghiere della sera insieme. Se sarà il caso, vi informerò anche sui movimenti dei maoisti in Nepal e sulla guerra in Afghanistan. Poi si girò verso il maestro Neil, gli sorrise e riprese a parlare: - Noi siamo stati soddisfatti dell'insegnamento del venerabile Neil l'anno scorso, quindi l'abbiamo chiamato dall'Australia, anche per voi. Il maestro s'inchinò e tutti applaudimmo vigorosamente. Gli ultimi bagliori vennero coperti dal buio della sera, alcune luci attorno al monastero si accesero. Dal gompa dei monaci, che si trovava di fronte al refettorio, si udirono recitazioni di mantra, canti rauchi, suoni di corni e cembali. Verso le 19,30 Serena ed io uscimmo dal refettorio con altri ospiti, che s'allontanavano in altre direzioni; mentre ci avviavamo al piazzale del gompa, presi la torcia dalla borsa e l'accesi. - Mi hai detto che hai quasi finito la terza sceneggiatura - esordì Serena ma chi te lo fa fare, con i problemi gravi che hai alla vista? - Purtroppo ho raggiunto il limite minimo di un totale di tre decimi con lenti a contatto, nei due occhi. Mentre ci avviavamo alla scala che scendeva alla ruota della preghiera, tra i canti dei monaci, Serena sbraitò: - Dovresti smettere di scrivere al computer, rischi quel pò di vista che ti è rimasta. Mi appoggiai al muretto vicino alle scale, con il grande albero di pipal alle spalle, diedi un'occhiata alla vallata sottostante, dove splendevano in lontananza miriadi di luci; ad intervallo si udiva il campanello della ruota della preghiera sotto di me tra il coro dei monaci e risposi: - Non sarà la vista che m'impedirà di raccontare le mie esperienze paranormali e di dare un messaggio d'amore all'umanità, attraverso gli insegnamenti del Cristo e del Buddha. - Complimenti, lady di ferro! - esclamò Serena sorridendo. Scoppiammo in una risata fragorosa e dissi: - Non mi sono mai sentita una vittima per il mio handicap visivo, ma l'ho sempre accettato come un'esperienza che mi serve per crescere. Serena mi fissò pensierosa e dopo una pausa affermò: - Quindi intendi dire che l'handicap visivo c'è, ma per te è come se non ci fosse, perché l'accetti. - Indovinato. - Stai mettendo in pratica l'insegnamento buddista! - Certo - ammisi - comunque ho costatato che gli insegnamenti del Cristo e del Buddha sono simili. - Cosa intendi? - domandò curiosa. - Cristo, sacrificando se stesso sulla croce, ha indicato la via che l'uomo deve percorrere per amore dell'umanità. - Intendi affermare che ognuno di noi, per raggiungere l'illuminazione, deve sacrificarsi per il bene dell'umanità. - Esatto! - esclamai staccandomi dal muretto. Mentre alcune persone ci passavano accanto sorridendo, noi scendemmo le scale che portavano alla ruota della preghiera. Sulla soglia osservammo i muri e il soffitto pieni di dipinti dai colori vivaci, con il Buddha e altre divinità; entrando notammo appesa al muro centrale una mensola con dozzine di scodelle di ferro piene d'acqua. - Quando vorrai fare delle offerte al Buddha - osservò Serena - verrai qui a riempire le tazze d'acqua. Sorrisi, poi seguii la ruota che continuava a girare su se stessa. Serena mi seguì, mentre recitavo sottovoce l'Om mani padme hum, come si usa fare quando si gira intorno alla ruota. Il sei novembre, alle cinque e un quarto, la stanza era quasi buia, perché la tenda copriva una parte della finestra. Mentre alcuni raggi lunari argentati risplendevano sul letto di Serena, la sveglia sul comodino sotto la finestra squillò all'improvviso, Jolanda si svegliò di scatto e la spense, Serena ed io ci girammo nel letto. Jolanda prese la torcia dal cassetto del comodino e l'accese, poi se ne andò in bagno. Si udì il suono di una campanella che continuava a suonare sempre più forte. Mmii sedetti sul letto sbadigliando e tirai la tenda, i colori dell'alba mi apparvero in tutto il loro splendore in fondo alla vallata tra gli alberi, avvolti nell'oscurità. Jolanda uscì dal bagno, al buio si tolse la camicia da notte, si infilò un paio di blue-jeans e una maglietta colorata e uscendo in tutta fretta sussurrò: - Buon giorno, Elisabetta! Tra un sbadiglio e l'altro la salutai con la mano, dal gompa dei monaci risuonarono misteriose recitazioni di mantra, canti rauchi, suoni di corni e cembali, ecc. Serena scese dal letto, con calzamaglia, maglione e sciarpa, e accese la luce brontolando: - Accidenti, quel campanello mi ha svegliato! - Questa è la ragione per cui l'hanno suonato! - esclamai sorridendo. Serena sbadigliò,e andava a preparare del caffè solubile, domandò: - Come mai non sei andata a prostrarti ai trentacinque Buddha con Jolanda? - Con i problemi che ho avuto alla retina, rischio di peggiorare la situazione, ma tu perché non vai? Serena mise del caffè in due tazze: - Non ci credo nelle prostrazioni. Piuttosto, quando sono incominciati i tuoi problemi alla vista? Intanto l'acqua bolliva e Serena la versò nelle due tazze. Le risposi: - Sono nata con una grave miopia, che a trentatre anni è degenerata, provocando una lesione al centro dei due occhi. - Santo cielo, che cosa terribile! - brontolò Serena addolorata. Mentre Serena mi porgeva una tazza di caffè, raccontai: - Purtroppo per molto tempo, finché il sangue non si è riassorbito, ho visto un mondo deforme. - Deve essere stato tremendo! - sbraitò Serena inorridita. - Già, quando guardavo in faccia alla gente, vedevo dei visi deformi, mi pareva di vedere dei mostri. - Bevvi un pò di caffè, mentre Serena mi chiedeva: - Come hai fatto a superare quei momenti? - Se non avessi letto gli insegnamenti del Cristo e del Buddha, da cui ho imparato molto, probabilmente mi sarei suicidata.Serena sorseggiò del caffè, poi esclamò: - Ma tu mi hai anche detto che poco tempo fa ti hanno fatto due laser nell'occhio sinistro, perché nell'altro non si può più intervenire. - Già, dopo tutto, a causa della degenerazione sotto la retina, si sono formate delle macule, che mi avrebbero portato alla cecità, se non fosse arrivato un laser speciale dall'America. - Per fortuna. - esclamò Serena. Diedi un'occhiata alla sveglia sul comodino che segnava le 6,15 e conclusi: - Serena alle 6,30 abbiamo la meditazione, sarà meglio che ci vestiamo. Quel pomeriggio verso le ore 15,00, Serena, Jolanda ed io entrammo nel gompa e andammo a sederci al nostro solito posto. Dalle finestre aperte i raggi del sole danzavano intorno agli studenti seduti sui cuscini sopra il pavimento, intenti ad ascoltare la lezione del maestro Neil. Solo una decina di ospiti, incluso Franco, erano seduti su sedie appoggiate al muro vicino all'entrata. Karin sedeva di fianco al maestro vicino alla colonna. Il Venerabile Neil era seduto sul suo trono, maneggiava alcuni fogli a cui diede un'occhiata, rimase un attimo in silenzio, sfogliò un libro, poi disse: - La storia di Shakyamuni inizia in Paradiso, dove il grande Bodhisattva esaminò il mondo sottostante, per scegliere il momento e il luogo opportuni per la sua ultima nascita. Si decise per la città di Kapilavastu, capitale del clan Sakya. Il re capo del clan Sakya, Suddhodana e sua moglie Maya furono scelti quali genitori adatti. Allora il grande Bodhisattva discese dal Paradiso Tusita, pienamente conscio e consapevole ed entrò nel grembo di Maya. Certi resoconti riferiscono come il grande Bodhisattva assunse le sembianze di un grande elefante bianco che apparve alla regina Maya in sogno e le entrò in grembo dal fianco. Il principe crebbe nel lusso e nell'abbondanza: una sola cosa gli era proibita, uscire dal palazzo per non doversi trovare a contatto con la povertà, la malattia e la sofferenza. Siddharta si sposò ed ebbe dei figli. Tutti i piaceri delle arti e dei sensi erano a sua disposizione. Avvenne che il principe cominciò a sentirsi irrequieto, relegato nei suoi palazzi da suo padre a causa della predizione di un asceta di nome Asita: qquesti disse al re che suo figlio aveva soltanto due destini possibili; se fosse rimasto in famiglia sarebbe diventato un sovrano universale, se invece avesse intrapreso una vita di vagabondaggio sarebbe diventato un Buddha pienamente illuminato, che avrebbe condotto alla salvezza innumerevoli esseri. Iil re permise al principe di uscire, ma si assicurò preventivamente che tutti gli storpi, i mendicanti e gli afflitti fossero allontanati dalle strade. Viaggiando sulla carrozza di Stato e accompagnato dal suo auriga, il principe uscì dal palazzo e percorse le strade per la delizia della popolazione A quel punto gli dei disposero che uno di loro assumesse le sembianze di un vecchio decrepito. Mentre la carrozza attraversava la città, questa apparizione giunse alla vista del principe e dell'auriga. Siddharta vide la figura curva e tremolante, dai capelli grigi e dall'andatura zoppicante, che si sosteneva con un bastone. Il principe rimase sbalordito e da quel giorno volle sapere tutto sulla sofferenza, le malattie, la morte ecc.. I suoi pensieri cominciarono a rivolgersi all'idea di abbandonare tutto per cercare un rimedio a questa afflizione universale. Per la quarta volta si avventurò in città con l'auriga e in questa occasione gli dei inflissero il colpo di grazia. Provocarono la visione di un mendicante vagabondo che si avvicinò alla carrozza e, interrogato, magnificò le virtù della vita di vagabondaggio, senza averi, intento solo a raggiungere il fine supremo della liberazione definitiva. Siddharta prese la decisione di abbandonare la vita familiare, prima che il figlio, appena nato, venisse ad accrescere i legami d'affetto e coinvolgimento. A quel punto due poteri celesti opposti esercitarono contemporaneamente la loro influenza. Prima venne Mara, dio del desiderio e della morte, il quale promise che entro sette giorni il principe sarebbe diventato imperatore del mondo se solo fosse rimasto dov'era. In breve e con impazienza Siddharta rifiutò. Mara allora promise che da allora in avanti l'avrebbe seguito come un'ombra, aspettando il primo momento di debolezza per confonderlo. Altri dei fecero addormentare tutte le guardie, e attutirono gli zoccoli del cavallo e silenziosamente aprirono le porte del palazzo, lasciando andare il principe verso quella che divenne nota come la grande rinuncia. Siddharta aveva 29 anni quando si rase il capo, indossò la veste gialla dell'asceta e si diede alla vita del monaco itinerante. A trentacinque anni, a Uruvela, in una notte di meditazione sotto un albero, ricevette l'illuminazione piena attraverso tre visioni: nella prima rivide tutte le sue nascite e trasmigrazioni e comprese pertanto che il ciclo della vita è infinito, nella seconda vide le condizioni attuali del mondo come risultato, costituito di luci e ombre, delle azioni precedenti, nella terza visione colse come il dolore derivi da questo perpetuo movimento di causa ed effetto. Dopo una pausa il maestro raccolse i fogli sul suo trono, fissò gli studenti e disse: - Bene, ora Karen ha qualcosa da proporvi. Karen si alzò in piedi con alcuni fogli in mano e andò dal maestro che le allungò il suo microfono ed esordì: - È raccomandato a tutti di partecipare alle attività di Karma Yoga, cioè lavare i piatti, pulire i bagni comuni ecc. Una lista dove saranno scritti i nomi per i turni di ognuno, sarà appesa fuori dal refettorio. Abbiamo anche bisogno di medici volontari e assistenti per l'infermeria del monastero. Serena alzò la mano: - Io sono una dottoressa e mi presto volentieri. - Anch'io alzai la mano dicendo: - Non sono infermiera, ma se Serena è d'accordo, sarò molto felice di farle da assistente. Altre persone alzarono la mano, allora Karen affermò: - Bene, presentatevi all'infermeria e compilate una lista con i turni dei medici e degli assistenti. L'infermeria, per chi avesse bisogno, sarà aperta tutti i giorni dall'una alle due. - Karen guardò un attimo i fogli che teneva in mano, poi continuò: - Ora, insieme, cercheremo di comporre i vari gruppi di discussione sulle lezioni che vi farà il Maestro Neil, che si svolgeranno dalle ore 14,00 alle15,00. Incominciamo con Jean Francois che sarà il capo gruppo dei francesi. Serena alzò la mano: - Io, mio marito Franco e la mia amica Elisabetta parliamo francese, quindi potremmo entrare nel loro gruppo. Tutti si girarono a fissarci curiosi, una signora accanto a Serena domandò: - Ma quante lingue parlate? Noi sorridemmo senza rispondere, mentre Karen esclamò: - Ok, molto bene! - Diede un'altra occhiata ai fogli che aveva in mano poi aggiunse: - Ora vorrei proporre, a capo di altri gruppi, studenti ben preparati dell'anno scorso. - Serena Jolanda ed io uscimmo dal gompa, mentre Karen nominava i capi degli ultimi gruppi degli studenti. Serena e Franco mi raccontarono che, dopo la lezione del pomeriggio, stavano salendo le scale per raggiungerci, quando udirono un insistente miagolio; entrarono nel corridoio e trovarono un gatto tigrato che andò loro incontro miagolando, dando la sensazione di voler loro comunicare qualcosa, ma sfortunatamente non capivano il linguaggio dei gatti. Verso le ore 17,30 Jolanda ed io eravamo sedute sul nostro letto, a parlare, quando lei mi confidò angosciata: - Purtroppo, da come è andato l'incidente, so che mio figlio ha sofferto molto e questa consapevolezza non mi dà pace. Mentre Serena si avvicinava in silenzio, tentai di rasserenare Jolanda: - Puoi non credermi se vuoi, ma so che l'anima scossa dallo shock d'un incidente mortale, esce in fretta dal corpo e non ha il tempo di soffrire. Jolanda, con occhi gonfi e sofferenti, rifletté un attimo sorpresa, poi mormorò: - Mi hanno raccontato che durante l'incidente mio figlio si è rannicchiato per proteggersi, ma nell'impatto un ginocchio gli si è piantato nel cuore. Serena ed io shockate riflettemmo per un attimo, poi continuai: - Mia sorella Rossana ha un'amica d'infanzia che si chiama Katia, a cui è morto il figlio Luca di ventidue anni, carbonizzato in un incidente stradale. Rossana non sapeva come aiutarla, perché non si dava pace pensando alla terribile sofferenza di Luca morto tra le fiamme. Katia però fu risollevata da un sogno che fece l'amica del cuore di Luca. Lo sognò che le andava incontro sorridendo, lei sorpresa gli disse di correre da sua madre che soffriva terribilmente per lui. Luca rispose che non poteva andarci perché c'era troppo dolore. L'amica gli chiese se aveva sofferto molto e Luca rispose felice di no, perché era uscito dal corpo prima dell'incendio. - Quindi lo spirito di Luca - borbottò Serena pensierosa - avrebbe visto il suo corpo bruciare tra le fiamme, dall'alto, senza soffrirne! Jolanda fissò Elisabetta toccata ed esclamò: - Straordinario il messaggio di Luca. - Sono sicura che anche tuo figlio non ha sofferto, ma se vuoi che dall'alto dei cieli sia sereno, pensalo con amore e accettane il trapasso. - Ho letto che, se vogliamo che vivano in pace - aggiunse Serena dobbiamo accettare il loro trapasso con amore e non soffrire. - Credetemi, ora mi sento meglio. - assicurò Jolanda. Serena ed io ci fissammo felici, mentre sul volto di Jolanda si disegnò un sorriso. QUINTO CAPITOLO LA VOCE DEL SILENZIO (MESSAGGI ATTRAVERSO IMMAGINI MENTALI) Il sette novembre, alle 6,30 del mattino, noi tre ci recammo al morning meditation nel gompa. Tutti gli ospiti erano seduti per terra sui loro cuscini nella posizione del fior di loto e stavano meditando, il gompa era semibuio. Io stavo fra Jolanda e Serena. Karen era seduta nella stessa posizione, al piano rialzato in fondo al gompa, davanti al microfono e dirigeva la meditazione: - Visualizzate la luce e il nettare irradiante, di colore bianco, sgorgare dal cuore del Guru Shakyamuni Buddha. Questi entrino nel vostro corpo, nella vostra mente, purificando malattie, spirito, sofferenza, karma negativo e oscurità. Immaginate che tutto ciò sia portato via da voi, esattamente come lo sporco lascia i panni quando vengono lavati. Stavo meditando, quando all'improvviso con gli occhi della mente vidi il Dalai Lama che mi veniva incontro sorridendo e poi mi abbracciava affettuosamente. ISorpresa e distratta dall'evento, riflettei sulla magnifica visione, mentre Karen continuava a parlare. Infine un colpo di gong che segnalava la fine della sessione di meditazione mi distolse dalla mia riflessione, tutti ci alzammo e stirammo le membra rilassandole. Quel mattino, uscendo dal gompa, vidi sotto un grosso albero che protendeva i suoi rami verso la vallata alcune persone che guardavano, discorrendo sottovoce con Jean Francois, lo splendente paesaggio sotto il sole del mattino. Aspettai un attimo, poi quando Jean Francois se ne andò, gli andai incontro esclamando: - Bonjour, Francois! Egli mi sorrise ricambiando, e dissi: - Mi scusi se la disturbo, ma questa mattina, mentre facevo meditazione, sono rimasta colpita da una visione che non mi aspettavo. Francois curioso domandò: - Mi racconti, l'ascolto! Fissai il monaco negli occhi e dissi: - Veramente ero concentrata su ciò che diceva Karen, perciò sono rimasta molto sorpresa, quando con gli occhi della mente ho visto il Dalai Lama che mi abbracciava affettuosamente. Francois sorpreso esclamò: - Ne sia felice, è certamente un buon segno.Rggiante di felicità borbottai: - Grazie Francois, grazie! Poi Francois sorrise felice per me e se ne andò affermando: - Buona giornata e auguri! Col cuore in tumulto, mi fermai ed osservai la vallata sottostante che splendeva sotto il sole del mattino come un diamante. Verso le 13,00 Serena ed io andammo in ufficio a chiedere la chiave per aprire l'infermeria. Un monaco, sorridendo, prese una chiave e ci venne ad aprire la porta, attraversammo il cortile del monastero e raggiungemmo l'infermeria di fianco alla ruota della preghiera, che ad ogni giro faceva suonare il trillo della campanella. Il monaco aprì il lucchetto, poi la porta ed entrammo. In fondo alla stanza c'erano una grande finestra che s'affacciava sulla vallata, un lettino, alcuni sgabelli, due armadietti di vetro pieni di medicine, un lavandino. Ai due lati delle pareti erano appesi scaffali di legno, pieni di medicinali in disordine e di libri di medicina in varie lingue; sopra uno degli scaffali si vedevano due quadri, uno del Dalai Lama e l'altro del Buddha. Di fianco all'entrata, sotto una finestra che dava sul cortile, si trovava una scrivania con una sedia. Il monaco con un sorriso sulle labbra esordì: - Di solito sono io che mi occupo dell'infermeria, quindi per qualunque cosa chiamatemi. Serena s'avvicinò agli scaffali e guardò le medicine. Il monaco aggiunse: - Come vede, le medicine sono tutte in vista, basta un'occhiata per trovarle. - Va bene, grazie! - disse Serena sorridendo. Il monaco se ne andò e suggerii: - Prima che arrivi qualche paziente, cerchiamo di organizzarci. Serena controllò la data di scadenza di alcune medicine, poi si guardò intorno e brontolò: - Quanta polvere, questa infermeria ha bisogno anche di una pulita.- Un'assistente ce l'hai, devi solo dare gli ordini. - dissi sorridendo. Serena rise divertita, poi prese la lista dei turni dei medici sulla scrivania, ci diede un'occhiata e osservò: - Sono pochi i medici volontari iscritti in questa lista; se sei d'accordo, quando ce ne sarà bisogno, verremo noi. Io, che in quel momento stavo dando un'occhiata in giro, risposi: - Se lei, mia cara dottoressa, si accontenta di una assistente cieca come una talpa, sono d'accordo. Serena scoppiò in una risata, poi osservò: - Non avrò problemi, ormai tu sei in grado di usare il terzo occhio. Mentre scoppiavo a ridere divertita, entrò barcollando una giovane negra con capelli ricci che le cadevano sulle spalle, di media altezza, robusta, con pantaloni verdi sopra le ginocchia e maglietta gialla. Addolorata esordì: - Dottoressa, le ginocchia mi si sono gonfiate, non posso piegarle, mi fanno male. Mentre prendevo uno sgabello, aiutai la ragazza che si sedette piegando lentamente le ginocchia. Serena andò a rovistare in uno scaffale tra le medicine e disse: - Guarda, sei fortunata, c'è una medicina omeopatica molto efficace. In quel mentre un giovane attraente, alto, magro, con capelli lunghi, s'affacciò alla porta; lo invitai ad entrare e lo feci sedere su un altro sgabello. Lui mi fece vedere un ascesso sul braccio con del pus, mentre Serena prendeva una penna per scrivere alcune cose sulla scatola della medicina omeopatica dicendo alla ragazza: - Ho scritto sulla scatola le modalità d'uso, vedrai che andrà meglio, ma ritorna a farti vedere, ok! La ragazza si alzò lentamente dallo sgabello e, mentre se ne andava barcollando, disse: - La ringrazio di cuore, dottoressa.Mi avvicinai ad uno scaffale e presi della tintura dicendo a Serena: - Il signore ha un ascesso sul braccio. Serena osservò l'ascesso dicendo: - Mi dispiace, ma dovrò farle una piccola operazione. Assistetti Serena che si apprestò ad incidere, mentre il giovane ci disse che egli era australiano ed era venuto al monastero con suo fratello gemello, che poco dopo l'intervento entrò in infermeria chiedendo come era andata. Serena rispose: - Molto bene, ma suo fratello dovrà tornare tutti i giorni a farsi medicare finché sarà guarito. I due bei giovani se ne andarono sorridendo felici, mentre Serena ed io ci fissammo soddisfatte. Quella sera, alle 20,00, entrando nel gompa, le luci erano accese; arrivarono il Maestro e Karen che si prostrarono davanti al Buddha insieme ai presenti. Gli studenti si sedettero nella posizione del fior di loto, con il libro delle preghiere tra le mani. Jolanda, Serena ed io ci sedemmo nel nostro solito posto. Karen e il Venerabile Neil iniziarono subito a cantare in coro con gli studenti il mantra “Om mani padme hum”! Mentre cantavo rilassata, osservavo Jean Francois, che sereno cantava insieme al gruppo dei francesi di fronte a me, sul piano rialzato, di fianco a Karen e al Venerabile Neil; per un attimo smisi di cantare e chiusi gli occhi, visualizzando con gli occhi della mente Jean Francois che si caricava sulle spalle un enorme e pesante zaino bianco. Riaprii gli occhi e riflettendo sulla visione pensai che probabilmente Jean Francois aveva deciso di prendersi sulle spalle alcune grosse responsabilità per aiutare il suo prossimo, poi ripresi a cantare in coro. Quando le preghiere finirono, Karen si alzò in piedi e, mentre prendeva il microfono in mano, fuori dal gompa si udì un gatto miagolare, insistentemente. Karen non si scompose e disse: - Bene, devo informarvi che da questa sera fino alla fine del corso, dalle ventidue al pranzo di ogni giorno, si dovrà stare in silenzio. La pratica vi aiuterà a focalizzare l'attenzione sullo sviluppo della vostra consapevolezza esteriore e interiore. - Intanto il gatto tigrato entrò nel gompa miagolando sempre più forte e passò tra gli studenti. Scoppiammo in una risata collettiva. Seccata, Karen brontolò, mentre tutti continuavamo a ridere divertiti: - Per favore, qualcuno metta fuori il gatto e chiuda la porta.Qualcuno prese al volo il gatto, che protestò con alcuni miagolii nervosi e ciò provocò un'ennesima risata generale. Karen riprese a parlare: - Prima di augurarvi la buona notte, devo informarvi che nessuno, durante il corso, può lasciare il monastero e siete pregati di frequentare tutte le sessioni. Vi ringrazio per la comprensione. Buona notte. Mentre uscivamo tra gli ospiti, Serena ridendo raccontò: - Ho sentito dire che l'anima di quel gatto è l'incarnazione di un monaco condannato a girovagare per il monastero, per essersi comportato male in una sua vita precedente. Jolanda ed io ridemmo di gusto, poi dissi seria: - Povero animale, sembrava volesse davvero comunicarci qualcosa. Fuori dal gompa, Serena aggiunse rivolgendosi a Jolanda: - Sono preoccupata, Jolanda, mi chiedo come faremo a tappare la bocca a quella chiacchierona di Elisabetta, adesso che dovremo stare in silenzio. Scoppiammo a ridere divertite: - Senti chi parla! L'otto novembre era un mattino soleggiato, quando verso le ore otto ci recammo a colazione. Il refettorio era pieno di gente. Ognuno si serviva la colazione tra pentole fumanti di porridge (zuppa di avena) e ceste di piadine fritte e pane. Tutti facevamo colazione in silenzio, si udivano solo i rumori dei cucchiai sbattere contro le scodelle di ferro. Franco, Serena, Jolanda ed io eravamo seduti al solito tavolo sotto la finestra, che s'affacciava sulla vallata illuminata dal sole del mattino. Divorammo le ultime cucchiaiate di porridge e lasciammo da parte le nostre ciotole vuote, passammo alle piadine fritte che avevamo posato sul tavolo e ci demmo delle occhiate, mentre le spezzavamo con fatica. Serena stava cercando di fare lo stesso, ma il primo tentativo fallì, la piadina si allungò. Mentre Serena Jolanda ed io cercavamo di trattenere le risa, Franco, che avrebbe voluto rispettare il silenzio, non ci riuscì e sbraitò: - Santo cielo Serena… Poi si tappò la bocca con una mano, rendendosi conto di aver attirato l'attenzione delle persone ai tavoli vicini. Mentre sghignazzavo, con un colpo secco Serena strappò la piadina fritta e la mangiò. Jolanda ci guardò preoccupata, mentre noi stavamo per riprendere a ridere, ma con uno sforzo riuscimmo a soffocarla in tempo. In quel mentre si udì la campanella che ci ricordò la lezione delle 8.30. Terminammo di masticare la nostra piadina fritta, fissandoci in silenzio. Infine prendemmo la nostra scodella e la portammo in riposteria dove i volontari che si erano iscritti al karma yoga le avrebbero lavate. SESTO CAPITOLO LE QUATTRO NOBILI VERITÀ Ci avviammo verso il gompa per la lezione, sotto un sole caldo e luminoso. Passammo tra gli studenti e ci sedemmo sui cuscini ai nostri soliti posti. Dalle finestre aperte entravano i raggi dorati del sole che illuminarono gli ospiti e il Maestro, che dal pulpito del suo trono colorato, sfogliava un libro, mentre qualcuno tossiva, altri si soffiavano il naso. Karen era seduta poco lontano dal Venerabile che ci osservò per un attimo, chiuse il libro e ne aprì un altro, poi diede inizio alla preghiera che di solito recitavamo prima della lezione: - Come sapete, il Dharma è l'insegnamento spirituale del Buddha Shakyamuni, che diede il primo giro di ruota della dottrina a Benares, con la formula fondamentale delle Quattro Nobili Verità, le quali sono: Prima: l'esistenza nell'universo sofferenza e dal dolore. fenomenico è inseparabile dalla Seconda: la causa della sofferenza è il desiderio di esistere nel mondo dei fenomeni. Terza: la cessazione della sofferenza si ottiene sradicando ogni desiderio di esistere nel mondo dei fenomeni. Quarta: per cessare di soffrire occorre percorrere il Nobile Ottuplice Sentiero, i cui principi sono: Retta Opinione, Retto Movente, Retta Parola, Retta Azione, Retti Mezzi di Sussistenza, Retto Sforzo, Retta Attenzione e Retta Meditazione.Appena il maestro ebbe finito di leggere le Quattro Nobili Verità, si udì fuori del gompa il miagolio del gatto, che si avvicinava sempre più alla porta; esplosero alcune risate, poi il gatto smise all'improvviso di miagolare e il maestro continuò: - Ecco dunque la formula in forma concisa: 1. Tutta l'esistenza è dolore. 2. La vera origine del dolore è stata scoperta. 3. L 'estinzione di tale dolore è possibile. 4. La via che conduce all'estinzione del dolore è ottuplice. Considerate alla luce della metafora del Buddha Grande Medico, queste Quattro Verità sono definite così: La prima verità del dolore specifica la malattia. La seconda verità dell'origine mostra la causa della malattia. La terza verità dell'estinzione è la cura. La quarta verità della Via o del Sentiero è la medicina che cura. La formula fondamentale riassume la vera situazione come viene vista da un Buddha Illuminato. Viene espressa con l'intento di convincere le persone non illuminate della malattia prevalente, indicando i mezzi per ristabilire la piena salute.All'improvviso si udì per l'ennesima volta il gatto che miagolava insistentemente dietro la porta chiusa del gompa; mentre scoppiavamo in una risata generale, il maestro sorrise divertito e affermò: - Insiste perché vuole entrare anche lui ad ascoltare le Quattro Nobili Verità. Scoppiammo in un ennesima risata fragorosa. Verso le ore 12.30 Marie ed io uscimmo dal refettorio. Marie era una giovane donna del gruppo dei francesi, sempre sorridente e gentile, di statura bassa, magra, dai capelli biondi a caschetto, il viso lungo e magro, gli occhi scuri e vispi, con indosso un paio di pantaloni neri e una giacca sportiva verde. Mentre costeggiavamo il gompa dei monaci, verso la piazza, domandò: - Hai mangiato bene? - Certo! Devo ammettere che il cuoco del monastero è molto bravo! - Elisabetta, lo sai - aggiunse Marie - che nelle ultime due settimane del mese dovremo digiunare per una dozzina di giorni? - Si lo so e credo mi farà bene, anche se so già che mi si abbasserà la pressione. Mentre attraversavamo il cortile del gompa, dissi: - Trovo siate fortunati ad avere François come capo gruppo. - François è un monaco speciale - ammise Marie - tempo fa al monastero di Nalanda si è impegnato a trovare i fondi per costruire uno stupa e c'é riuscito, ora sta costruendo anche un nuovo monastero. - Straordinario - risposi sorpresa - però non è facile trovare tanto denaro. - - Per il momento ha avuto una donazione consistente da un suo amico svizzero - sospirò Marie - ma speriamo bene, perché ce ne vuole ancora molto! - Ora capisco! - esclamai pensierosa, mentre scendevamo le scale che portavano al negozio- bar. - Che cosa capisci? - domandò Marie curiosa. - L'altra sera, durante la preghiera, ho avuto una visione di Francois che si caricava sulle spalle un enorme e pesante zaino bianco. - Marie rifletté un attimo e, avvicinandosi al negozio, specificò: - Certo, un fardello pesante materialmente, ma anche spiritualmente, se si considera l'impegno che François ha come monaco verso gli uomini. - Sicuro! - esclamai mentre entravamo nel negozio- bar per comprare l'acqua. Verso le 14,00 Serena ed io uscimmo dalla nostra stanza e andammo all'appuntamento con il gruppo dei francesi, per la discussione sulla lezione del Venerabile Neil, nel salotto di fronte alla vetrata che dava sulla vallata nel nostro corridoio. Il salotto era elegante, in legno scuro, con due poltrone piccole e due grandi, ricoperte di tessuto rosso - oro e con un tavolino basso. Sulle pareti erano appesi alcuni quadri con divinità buddiste. Davanti al salotto c'era una grande vetrata con due finestre che davano sulla vallata, mentre attorno alla costruzione alcuni alberi enormi puntavano i loro rami immobili verso il cielo azzurro. Il gruppo dei francesi era seduto sulle poltrone, una di fronte all'altra, con tavolino al centro. Ci raggiunse anche Franco, mentre Serena ed io esclamavamo: - Bonjour à tout le monde! Si udì un altro coro di “bonjour” da parte del gruppo. Scelsi una poltrona all'ombra, Serena e Franco si sedettero al sole, vicino a Alain, su un divano dove rimase un posto libero. Appeso ad un'anta della finestra di vetro aperta c'era un paio di blue-jeans stesi ad asciugarsi. Qualche minuto dopo arrivò François in tutta fretta e andò a sedersi vicino a Serena nell'unico posto libero, al sole, dicendo: - Bene, possiamo incominciare la discussione sulle Quattro Nobili Verità. François prese un lembo del cappuccio della veste che scendeva sulle sue spalle e con una mano, per proteggersi dal sole, se lo tenne appoggiato alla testa. Mentre osservavo la scena, mi alzai in piedi dicendo: - François, ti prego, vieni a sederti nella mia poltrona all'ombra, è un sacrificio che faccio molto volentieri per te! François sorpreso rispose: - Non ti preoccupare per me, Elisabetta, stai seduta! - Insisto, François, è la terza volta che finisci al sole, tu sei qui per aiutarci a capire il Dharma, quindi alzati da quel divano bollente e vieni all'ombra. - Il gruppo scoppiò a ridere. François si alzò e andò a sedersi sulla poltrona, mentre andavo a sedermi al sole. François domandò: - Allora, chi è il coraggioso che fa la prima domanda? Willy chiese: - Possiamo parlare del significato conciso delle Quattro Nobili Verità? - Bene, che cos'è la Nobile Verità del Dolore? - chiese François fissando il gruppo e aspettandosi una risposta da qualcuno. Dopo una breve riflessione Franco rispose: - La nascita è dolore, la decadenza è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore; trovarsi in situazioni che non piacciono è dolore; la separazione da ciò che piace è dolore; non ottenere ciò che si desidera è dolore. Franco rifletté un attimo e François aggiunse: - Insomma, i cinque gruppi di personalità dell'attaccamento all'esistenza sono dolore! In quel mentre l'anta della finestra a cui erano appesi i blu jeans si chiuse lentamente ed io rimasi all'ombra, mentre tutti mi fissavano incantati. - Già, - dissi - come vedete, la Provvidenza interviene sempre, quando qualcuno si sacrifica per il proprio fratello. - Ben detto! - esclamò felice François - Ora qualcuno mi spieghi che cos'è la Nobile Verità dell'origine del dolore. Catherine rispose titubante: - È la sete di bramosia che provoca la rinascita, insieme con il piacere e l'avidità che cercano delizie qua e là; è la sete di bramosia di piacere sensuale; é la sete di bramosia di un'ulteriore esistenza; è la sete di bramosia di non esistenza. François soddisfatto chiese ancora: - Che cos'è allora la Nobile Verità dell'estinzione del dolore? - È l'estinzione di tale sete di bramosia, il rinunciarvi, l'abbandonarla, la liberazione e il distacco da essa. - rispose Isabelle sorridendo. François domandò: - E infine, che cos'è allora la Nobile Verità della Via che conduce all'estinzione del dolore? - È il Nobile Ottuplice Sentiero, - risposi seria - vale a dire Retta Opinione, Retta Risoluzione, Retto Parlare, Retto Agire, Retto Modo di Sostentarsi, Retto Sforzo….e gli altri quali sono? Il gruppo scoppiò a ridere divertito. François sorrise, poi aggiunse: - Retta Concentrazione, Retta Meditazione. Franco osservò la finestra che non si era mossa e sghignazzò: - Elisabetta ha dimenticato una parte degli Otto Fattori del Sentiero, ma la Provvidenza non l'ha abbandonata ai cocenti raggi del sole. - Una risata collettiva risuonò nel salotto. Osservai la finestra che era rimasta immobile, non c'era un filo di vento che scuotesse i rami degli alberi, poi udii la voce di Serena che osservò: - Franco si prende gioco di Elisabetta, ma il vento, oggi, sembra non esserci mai stato. Il 15 novembre verso le 5.10, dall'interno della nostra stanza da letto udimmo il suono della solita campanella che continuava a suonare sempre più forte. Mentre Serena ed io cercavamo di dormire, Jolanda si sedette sul letto sbadigliando e tirò la tenda. Anch'io mi alzai e ammirai i colori dell'alba che mi apparvero in tutto il loro splendore in fondo alla vallata, tra gli alberi avvolti dall'oscurità. Jolanda si vestì in tutta fretta e andò in bagno. Intanto dal gompa dei monaci risuonavano le solite recitazioni di mantra, canti rauchi, suoni di corni e cembali, mentre il suono continuo della campanella diminuva sempre più fino ad estinguersi. Poco dopo Jolanda uscì dal bagno, aprì la porta della stanza, mi salutò con un cenno di mano e se ne andò a prostrarsi ai trentacinque Buddha. La sveglia che Serena teneva sotto il letto squillò, lei allungò una mano e la spense. Io in camicia da notte, tra i suoni e i canti dei monaci, mi misi a fare il letto dicendo: - Serena, queste recitazioni di mantra, i canti rauchi e i suoni mattutini di corni e cembali non rendono tutto più misterioso? Serena, sbadigliando, scese dal letto, si tolse la calzamaglia, il maglione e la sciarpa con cui aveva dormito e rimase in pigiama, poi arrotolò il sacco a pelo che aveva sopra le coperte e brontolò: - Senti, chiacchierona, ti sei dimenticata che bisogna fare silenzio? Scusa - borbottai - mi dimentico, non essendo abituata a queste cose. Serena consigliò: - Se vuoi possiamo parlare, ma vediamo di non disturbare Jolanda, lei ci tiene a rispettare le regole e fare silenzio. Mentre aggiustavo la coperta, dal fondo del letto scivolò per terra il mio libretto della preghiera. Serena lo prese, lo sfogliò e domandò: - Ma questo non è il libretto del sutra del loto della Soka Gakkai? Mentre finivo di fare il letto, risposi: - Si! Io penso che l'umanità è un'anima sola con Dio, quindi tutte le religioni, quando insegnano l'amore e la fratellanza, portano alla stessa fonte. Mentre mi sedevo sulla poltrona, Serena sorridendo esclamò: - Interessante! - La penso come Alice A. Bailey che ha affermato: “Il Cristo venne per dare alla vita un senso e un valore, proprio come il Buddha venne per mostrarci chiaramente i falsi valori su cui è edificato il nostro mondo moderno”. Serena rifletté un attimo e ammise: - Chiaro il messaggio! - - La Bailey ha anche affermato che il Buddha diede le regole per i discepoli in preparazione ai Misteri, mentre Cristo indicò le tappe successive e mostrò i processi d'iniziazione del momento della nuova nascita nel Regno fino a quello della risurrezione finale alla vita. Tra i canti e i suoni dei monaci Serena si alzò in piedi e andò a preparare il caffè dicendo: - Ma il sutra del loto cosa c'entra con tutto ciò? - Il sutra del loto è il mantra donato al mondo dal Buddha Shakyamuni, la cui essenza è stata rivelata da Nichiren Daishonin, il Buddha originale dell'Ultimo giorno della Legge. All'improvviso udimmo dei passi avvicinarsi alla stanza e Serena sussurrò: - Silenzio, sta arrivando Jolanda. La porta si aprì, entrò Jolanda che sorrise, perché intorno non si udiva una mosca volare. SETTIMO CAPITOLO I MONACI CHE “SPARANO” IN CIELO LA PREGHIERA Alle 6.30 ci recammo al Morning meditation. Tutti gli ospiti erano seduti nella posizione del fior di loto. Jolanda, Serena ed io indossavamo delle tute comode da ginnastica, mentre meditavamo al nostro solito posto. Ogni tanto Jolanda e Serena si soffiavano il naso, con qualche colpo di tosse, ma anche molti studenti furono colti dagli stessi sintomi. Le tende coprivano le finestre, l'oscurità regnava sovrana fra alcuni raggi di luce che danzavano qua e là all'interno del gompa. Karen stava dirigendo la meditazione e diceva al microfono: - Ognuno di voi mediti: devo raggiungere velocemente l'illuminazione, per poter liberare gli innumerevoli tipi di esseri umani dall'inimmaginabile oceano di sofferenza del samsara, che é causa di dolore che porta ad una totale impareggiabile illuminazione. Quindi medito per progredire sul sentiero per l'illuminazione. Ero immobile, avevo gli occhi chiusi, mi sentii così rilassata che domandai al mio maestro interiore: - Troverò un produttore per le mie sceneggiature? Davanti alla mia mente vidi un gruppo di monaci che sparavano in cielo. Aprii gli occhi confusa, poi riflettendo cercai di captare il messaggio, mentre Karen continuava a parlare lentamente. Poco dopo sorridendo pensai che, sicuramente, il messaggio era chiaro, anche se appariva in chiave comica: dovevo domandare ai monaci di “sparare” in cielo una preghiera per le mie sceneggiature. Quel pomeriggio alle 17.00 Jolanda, Serena ed io uscimmo dal gompa fra gli studenti, dopo la lezione del pomeriggio del Venerabile Neil. Era una giornata nuvolosa. Serena si soffiò il naso e Jolanda tossì, io presi dalla borsa una scatola di caramelle per la gola che avevo portato dall'Italia e dissi: - Ho una scatola di caramelle per la gola, la divido per tre, ecco prendete e guarite presto. Serena e Jolanda accettarono felici, ringraziandomi. Mentre giravamo intorno al gompa, Serena osservò: - Purtroppo, domani davanti all'infermeria avremo la fila, ce ne sono parecchi di influenzati, soprattutto tra quelli che dormono nelle tende. - Di notte fa freddo - disse Jolanda - dovremo incominciare a chiudere la finestra, altrimenti ti raffredderai anche tu Elisabetta. Mentre salivamo su per la rampa verso gli stupa, risposi: - Non vi preoccupate per me, resisto, ho la pelle dura. Serena sghignazzò: - Ho paura che, se non hai la pelle resistente di un bufalo, sarà difficile che tu possa passare indenne attraverso questa ondata di virus. Jolanda ed io scoppiammo in una risata. - Ci vediamo dopo al refettorio per il the, ora devo andare un attimo in ufficio, ciao! - dissi scendendo lungo la rampa che portava alla piazza. Raggiunsi l'ufficio e quando m'affacciai sulla porta vidi che il monaco Thubten Khedup stava parlando con una signora robusta di media altezza, sui quarant'anni. Mentre stavo per andarmene, il monaco disse: - Entri pure, stiamo solo facendo quattro chiacchiere. - La donna sorrise affermando: - Si, quando posso vengo a fargli perdere del tempo. Il monaco con un sorriso luminoso domandò: - In cosa posso esserle utile? Intanto la signora che era seduta davanti alla scrivania mi indicava una sedia vicino a lei e io mi sedetti rispondendo: - Dovrei fare recitare una preghiera ai monaci, quindi volevo sapere chi devo pagare e se si deve partecipare alla cerimonia.- La donna eccitata disse: - Signora, la prego, vada alla cerimonia, altrimenti non sa che cosa si perde. Il monaco sorrise, poi intervenne dicendo: - Non è obbligatorio, se preferisce andare a meditazione faccia lei, perché la preghiera di solito si svolge dalle 6,00 alle 6.45. - Veramente ero indecisa, - affermai - ma la signora mi ha convinta. La donna sorrise compiaciuta, mentre il monaco aggiungeva: - Senta, parlerò coi monaci e le farò sapere la data in cui si farà la preghiera, il costo si aggira sulle settantamila rupie.- Mi alzai in piedi e felice dissi: - Bene, vi ringrazio tutti e due, buona serata. - Buona serata anche a lei! - rispose il monaco, mentre la signora mi sorrideva felice. Verso le 21.10 tenevo in mano la torcia accesa, mentre scendevo con Jolanda lungo la rampa che dava sulla vallata, là dove i villaggi brillavano sotto le danzanti miriadi di luci accese nel buio della sera. - Ogni volta che chiediamo a Serena di fare una passeggiata con noi, dice che ha freddo, come mai? - esordì Jolanda seria. - Dice sempre che il suo sangue scorre più lento del nostro, quindi lei sente il freddo anche quando non lo è. - Jolanda, mentre raggiungevamo le scale del gompa, osservò: - Tutte le sere prima di andare a letto si veste come fosse al Polo Nord. Mentre salivamo le scale per raggiungere il gompa dei monaci, scoppiai a ridere divertita e aggiunsi: - Al mattino non viene a colazione, perché trema soltanto al pensiero di dover uscire. - Jolanda osservò: - Che terribile sentirsi così condizionati dal freddo. Mentre attraversavamo il piazzale del gompa risposi: - Già, come vedi ognuno di noi porta la sua croce, ragion per cui bisogna mettere in pratica il Dharma, per uscire in fretta da questo labirinto di rinascita e sofferenze. Mentre Jolanda rifletteva, raggiungemmo l'entrata del gompa, ci togliemmo le scarpe, le lasciammo accanto ad altre vicino alla porta ed entrammo. Il soffitto del gompa dei monaci era pieno di disegni e divinità buddiste dai colori sgargianti, in fondo al gompa erano collocati tre Buddha. Uno grande era affiancato da due piccoli, in oro con vesti arancioni, contornati da disegni suggestivi. All'interno del gompa c'erano alcuni ospiti che osservavano le varie fotografie di Lama Yeshe e di altri defunti, riposte ai piedi del Buddha. Seguii Jolanda che si fermò e mi sussurrò all'orecchio: - Ora ti faccio vedere dove devi lasciare il mala (rosario), così quando sarà benedetto, andrai a riprenderlo. - Oggi Serena e Franco mi hanno detto di aver visto un bellissimo mandala - sussurrai curiosa. - Si! Adesso ti ci porto! Proseguimmo sul lato sinistro del gompa e raggiungemmo un tavolino pieno di oggetti sacri, di fronte a uno dei piccoli Buddha. Jolanda mi indicò il tavolo dicendo: - Ecco, metti il tuo mala in mezzo a quegli oggetti sacri, così domani durante la funzione, Lama Lhundrup Rigsel lo benedirà . Presi dalla borsa il mala e lo misi sul tavolo tra gli oggetti, poi passammo davanti al grande Buddha e lo ammirammo interessate. Ci fermammo davanti al terzo ad osservare il grande e suggestivo mandala multicolore, sorretto da una base quadrata ricoperta di carta colorata in rosso e blu. Dal soffitto scendevano fin quasi sul mandala grossi festoni variopinti. Mentre l'osservavamo, spiegai sottovoce a Jolanda: - Ho letto nel libro di Victoria Le Page, intitolato “Shambhala”, che il mandala trasmette conoscenza esoterica a menti iniziate, illuminando i tre piani della realtà : lo spirituale, lo psichico e il fisico. Jolanda curiosa domandò: - Sarei curiosa di sapere che cosa trasmette a noi che non siamo delle iniziate. Risi divertita, poi risposi: - Poiché il mandala viene costruito e poi distrutto, ci ricorda che niente dura in eterno. La sua forma, i suoi colori e la sua bellezza ci trasmettono buona energia. - Interessante! - esclamò Jolanda. - Comunque - conclusi - il mandala, oltre a rappresentare la casa del Buddha, è anche un diagramma che simboleggia l'intero universo ed è usato nelle pratiche meditative. Il giorno dopo, alle 8,30, quando entrammo nel gompa per la lezione, le tende erano aperte; dalle finestre si vedeva un cielo nuvoloso, il vento soffiava scuotendo i rami degli alberi contro un cielo variabile che a tratti lasciava filtrare raggi di sole che illuminavano l'interno del gompa. Gli studenti erano seduti sui loro cuscini, intenti ad ascoltare la lezione del maestro Neil, seduto sul suo trono colorato, che ogni tanto sfogliava un libro e continuava a parlare al microfono. Il virus dell'influenza aveva ormai contagiato la maggior parte degli ospiti, quindi eravamo in compagnia di una solfa di colpi di tosse e soffiate di naso che risuonavano di continuo nel gompa. Karen assisteva alla lezione, osservandoci triste e preoccupata. Serena, Jolanda ed io ascoltavamo attente il Venerabile Neil che spiegava: - Sappiamo che samsara, nel Buddismo, significa esistenza ciclica, cioè l'involontario e continuo ciclo di nascita e morte causato dall'ignoranza che non comprende la vera natura della realtà. - Il maestro rimase un attimo in silenzio, sfogliò un libro, poi continuò tra lo stupore impresso sui volti degli astanti: - Il Buddha, nella sua intuizione, percepì che tutti, anche coloro che risiedevano nelle più elevate dimore della beatitudine, erano soggetti a ripetute rinascite. Il samsara era pertanto quanto di peggio potesse esistere. L'inondazione è una similitudine molto azzeccata per la tempesta tumultuosa e avanzante del samsara. Il Buddha a volte definiva il suo insegnamento un passaggio sicuro verso l'altra sponda su una forte zattera. In altre occasioni fece riferimento alla necessità per i suoi monaci di essere isole per se stessi. Indubbiamente il primo insegnamento ai suoi primi discepoli riguardava il modo in cui porre fine definitivamente al processo di rinascita, il modo in cui sfuggire in maniera conclusiva e sicura all'inondazione del samsara. I suoi primi cinque convertiti, dopo la predicazione iniziale al Parco dei Cervi di Benares, divennero tutti Arhat. Erano tutti alla loro ultima nascita, quando il substrato di rinascita venne distrutto. Il samsara, allora, composto da una struttura a tre livelli con cinque o sei regni di esseri viventi, è in un costante stato di travaglio, angoscia e flusso tumultuoso avanzante. Senza sosta, gli esseri attraversano i regni, umano, divino o infernale, perlopiù senza alcuna idea di ciò che sta loro accadendo. L'ignoranza della propria condizione e delle cause che ne stanno alla base alimenta il processo e impedisce a tali esseri di riconoscere la loro terribile situazione. Osservato in tutta la sua lunghezza e profondità, il samsara è una gigantesca inondazione cosmica di eventi, di esseri che si sollevano e precipitano in un pandemonio perpetuo. Eppure, all'interno dell'apparente confusione, tutto è rigidamente governato da misteriose forze interne che determinano i cicli ripetuti di crescita, declino e dissoluzione. Molte volte il Buddha parlò ai suoi monaci di questo argomento, e il tenore delle sue osservazioni era sempre lo stesso; sottolineava l'enormità del fardello che ciascuno di noi inconsapevolmente trasporta. Una volta disse ai suoi monaci che il samsara è un mondo senza fine e senza principio. Neanche tutti i bastoni e i ramoscelli del continente indiano potrebbero eguagliare il numero di madri e padri che un uomo ha avuto nella sua lunga serie di esistenze. Un'altra volta disse che non era facile trovare un essere che non fosse stato in precedenza madre, padre, fratello, sorella, figlio o figlia di qualcuno. Poi per mettere in risalto il concetto disse che ciascuno dei suoi monaci aveva versato fiumi di lacrime per disperazione e malattia, un volume di lacrime maggiore delle acque di tutti gli oceani. Infine, disse, il cumulo di ossa risultante delle innumerevoli morti di un uomo sarebbe stato altrettanto alto della montagna chiamata Picco dell'Avvoltoio a Rajagrha. Il maestro ci osservò tutti in silenzio, poi disse: - Ora riflettete un attimo su ciò che ho detto e, se ci sono domande, sarò lieto di rispondere. Alcuni studenti fecero delle domande, io non ne feci, avevo letto molto e quindi avevo trovato le risposte a tutti i miei interrogativi. Recitammo la preghiera di ringraziamento per il cibo, come si faceva di solito al termine della lezione del mattino, poi il maestro ci augurò un buon appetito e se ne andò. OTTAVO CAPITOLO CHARO, IL LAMA BAMBINO E LA SUA PROMESSA A LAMA YESHE DURANTE LA SUA VITA ANTERIORE Nel refettorio una coda di persone stava facendo la fila per il pranzo. Franco, Serena ed io raggiungemmo lentamente i due tavoli all'entrata del refettorio, dove c'erano i piatti di ferro, ne prendemmo uno ciascuno e li asciugammo con uno strofinaccio, passammo davanti alla fila di pentole fumanti e ci servimmo i vari tipi di cibo vegetariano. Andammo a sederci al nostro solito tavolo. Di fianco a noi c'era il tavolo riservato ai monaci, dove stavano pranzando il Venerabile Neil, Karen e Francois. Poi vedemmo arrivare sorridendo il solito bambino di nove anni vestito da monaco, dai capelli rasati, il viso lungo e gli occhi vispi e intelligenti, con il suo piatto pieno, che andava a sedersi fra i monaci, accolto da un coro di saluti. Il bambino felice si sedette e incominciò a mangiare. Serena lo fissò: - Lui è il Lama bambino Charo. - Già - dissi - l'altra sera Karen ci ha raccontato che Charo Lama è un chiaroveggente e ricorda le sue vite precedenti! Serena era raffreddata, si soffiò il naso e poi raccontò: - Charo Lama é nato nel villaggio sotto il monastero. Appena in grado di muoversi o parlare, portò sua madre dall'altra parte del villaggio, entrò con aria sicura in una casa e le presentò la famiglia della sua vita anteriore affermando: “Questa donna e questi due ragazzi sono stati mia moglie e i miei figli nella mia vita precedente”. Per convincere la madre e la famiglia anteriore, raccontò storie e aneddoti noti soltanto a loro. Franco posò la forchetta sul piatto e aggiunse: - Serena, hai omesso di raccontare che Charo Lama si fece poi accompagnare al monastero di Kopan e raccontò che lui aveva promesso a Lama Yeshe, nella sua vita precedente, che sarebbe diventato monaco per aiutarlo ad insegnare il Dharma e l'inglese, quindi doveva entrare in monastero per diventare monaco. - Già, - aggiunse Serena - ma i monaci gli spiegarono che doveva aspettare fino a nove anni per iniziare la vita monastica. - Il monastero di Kopan non è stato fondato da Lama Yeshe e Lama Zopa? - domandai interessata. - Si, certo! - rispose Serena - Lama Zopa avremo l'onore di conoscerlo alla fine del corso, invece Lama Yeshe è morto in California a soli 49 anni nel 1984. - Avrai sentito parlare di Osel Hita Torres, il bambino nato da un'ordinaria famiglia spagnola. - mi chiese Franco. - Certo, a quanto pare Osel Hita Torres è stato riconosciuto la reincarnazione di Lama Yeshe. In quel mentre arrivò Jolanda con il suo piatto pieno, che posò sul tavolo accanto a me, poi le sfuggì uno starnuto, e noi esclamammo: - Salute! - Speriamo bene! - rispose Jolanda sorridendo. Verso le 13,00, mentre Serena ed io ci recavamo all'infermeria, il tempo era nuvoloso. Raggi del sole sparivano e riapparivano fra nuvole grigie, lanciando scie bianche come laser che colpivano e trapassavano le nuvole nel cielo minaccioso. Fuori dall'infermeria c'erano otto persone tra cui due monaci di nove o dieci anni, la ragazza negra e il ragazzo con i capelli lunghi; alcuni starnutirono, altri si soffiarono il naso, ci occupammo subito di due pazienti con l'influenza; poco dopo, mentre uscivano dall'infermeria con le medicine, mi affacciai sulla porta dicendo: - Il prossimo per favore! - Mentre Serena stava registrando su un registro la visita precedente, entrarono i due monaci bambini, li feci sedere sugli sgabelli, gli sorrisi stringendo loro una guancia e mentre essi ridevano felici, domandai: - Allora bei fanciulli, che problemi avete? I due monaci gesticolando mi fecero capire che parlavano solo tibetano, uscii in tutta fretta dicendo a Serena: - Vado in ufficio a cercare un monaco tibetano che parli inglese! Mentre uscivo, chiesi alla ragazza negra: - Come stanno le tue ginocchia? La ragazza sorridendo rispose: - Molto meglio, grazie! Misi una mano sulla spalla del giovane australiano e chiesi: - E il tuo braccio sta guarendo? Il ragazzo raggiante di felicità esclamò: - Benissimo, grazie! In ufficio, Thubten Khedup inviò il suo assistente per la traduzione, il quale ci disse che uno dei fanciulli aveva male ad un dente e l'altro problemi alla gola. Dopo esserci prodigate ad aiutare i pazienti, andammo all'appuntamento con il gruppo dei francesi per la discussione sulla lezione del Venerabile Neil. Tutto il gruppo dei francesi era in attesa, compresi Francois e Franco. Aprimmo il portone del corridoio, entrammo e raggiungemmo il gruppo, poi Serena, con la sua valigetta del pronto soccorso sotto il braccio, spiegò: - Scusate per il nostro piccolo ritardo, ma oggi avevamo molti pazienti. Mentre Francois sorrideva comprensivo, Willy sghignazzò: - Non tolleriamo ritardi, noi, la prossima volta sarete date in pasto ai cani randagi di Kopan. Una risata generale esplose intorno, noi ci sedemmo ridendo. - Caro Willy, - esordii - devo ammettere che hai la generosità del monaco, infatti quei poveri cani sono talmente vecchi, che fanno fatica a stare in piedi. Un'ennesima risata esplose intorno, mentre Francois diceva: - Bene, è ora della discussione sul samsara, chi vuole fare la prima domanda? Tutto ad un tratto non si udì una mosca volare. Isabelle intervenne dicendo: - Mi ha paralizzato di paura la prospettiva di un passaggio futuro attraverso i regni inferiori. Siccome alzai la mano, Francois mi fece cenno di parlare: - In questo caso credo che la paura ti possa servire a spronarti ad agire bene, per poter così rompere le catene del samsara . - Alain domandò: - Elisabetta, che cosa intendi con “in questo caso credo che la paura ti serva”? - Sono del parere che la paura non serva ad altro che ad impedire la crescita interiore dell'uomo, quindi sarebbe bene eliminarla. Denis brontolò: - Non è facile con la prospettiva che la vita é in un costante stato di travaglio, in un ciclo continuo di sofferenza, malattia, morte, rinascita. Fissai il gruppo che pareva depresso, poi sghignazzai: - Probabilmente state pensando che a questo punto sarebbe meglio spararsi un colpo in testa. Un'ennesima risata esplose intorno. Allora Francois fra le risa ammonì: - Sarebbe una buona occasione per cadere nella ruota delle rinascite nei regni inferiori e aggravare la nostra situazione. Franco suggerì serio: - Se riflettiamo, la via c'è per sparire per sempre dalla faccia della terra e dalla rinascita. Serena intervenne: - È possibile soltanto se diventiamo dei Buddha. Denis ammise: - Il Buddha ci ha donato il Dharma, la spada di diamante, con cui combattere l'ignoranza e trionfare verso la luce. Francois sorpreso applaudì: - Bravo Denis, così si fa ! Allora tutti fissammo Denis eccitati e tra urla e grida applaudimmo. NONO CAPITOLO LA PREGHIERA DEI MONACI DEL MONASTERO DI KOPAN Verso le 17,30 arrivai davanti all'enorme ruota della preghiera dorata che brillava sotto il sole del pomeriggio, la quale girava continuamente su se stessa e ad ogni giro faceva suonare una campanella. Mentre i raggi del sole esplodevano luci bianche sulla ruota in movimento, entrai, ci girai intorno tre volte ed uscii nel cortile, dove tre monaci, tra cui Thubten Khedup, stavano parlando tra di loro in tibetano. Quando quest'ultimo mi vide, lasciò il gruppo e mi venne incontro esordendo: - Signora, mi segua in ufficio, per favore. Seguii il monaco, che mi fece segno di accomodarmi sulla sedia davanti alla scrivania, mentre anch'egli andò a sedersi affermando: - Allora, domani alle 6,00 ci sarà la funzione. Ma dovremmo sapere se la preghiera sarà per i morti o per il successo di qualche buona causa. Sorridendo spiegai: - Veramente non avrei mai pensato di fare recitare una preghiera, ma durante la meditazione ho avuto una visione che mi suggeriva di farlo. Il monaco mi fissò sorpreso esclamando: - Davvero? - Ho quasi terminato la mia terza sceneggiatura, due le ho già spedite a dei produttori, quindi durante la meditazione chiedevo se ne avessi trovato qualcuno interessato. Il monaco domandò: - Di cosa trattano le sue sceneggiature? - Sono storie vere, basate su esperienze paranormali e ispirate a concetti filosofici buddisti, per dare un messaggio.Il monaco stupito esclamò: - Bene, interessante! - Volevo dirle che durante la meditazione ho visto un gruppo di monaci che sparavano in cielo, con dei fucili.Il monaco scoppiò in una risata fragorosa, poi disse: - Ora capisco il concetto. Sorrisi divertita, poi ribattei: - Trovo che il messaggio significhi che è difficile trovare un produttore, perciò devo far “sparare” in cielo dei mantra dai monaci. Scoppiammo a ridere insieme, poi il monaco esclamò: - Interpretazione molto calzante! Mi alzai in piedi sorridendo e dissi: - Buona sera e grazie.Mentre uscivo dall'ufficio, udii il monaco rispondere: - Grazie a lei, signora! Il mattino del 17 novembre, alle ore 5.55, uscii sbadigliando dalla stanza da letto e aprii la porta del grande corridoio. Indossavo un paio di pantaloni e maglione nero, con scialle rosso vino che mi arrotolai sulle spalle, perché a quell'ora del mattino faceva freddo. Scesi le scale in tutta fretta, salii quelle che portavano ai piedi della collina e m'avviai verso il gompa. Sulla rampa diedi un'occhiata ai bagliori del sole che sorgeva lentamente all'orizzonte, dietro le colline nella valle, con pallidi colori rosa argento e giallo - arancione. Raggi bianchi sbucavano tra nebbie vaganti sopra la valle addormentata, poi si udì il canto di un gallo echeggiare lontano. Raggiunsi il gompa dei monaci, mi tolsi le scarpe e le misi vicino ai loro sandali, entrai in silenzio e mi trovai di fronte a quattro lunghe file di monaci, compresa una decina di bambini monaci, tra cui Charo Lama, seduti nella posizione del fior di loto, con cembali, corni e altri strumenti. Le quattro file di monaci si erano divise in due, una di fronte all'altra, separate da un tappeto che portava ai tre Buddha. IMMi sentii gli occhi dei monaci puntati addosso, fui colta all'improvviso dall'emozione, poi mi prostrai tre volte al centro del gompa davanti ai tre Buddha e andai a sedermi su un cuscino vicino al muro, poco lontano dall'entrata. Un monaco mi indicò un cuscino di fronte ad un tavolo nella parte sinistra del gompa; mentre andavo a sedermi sul cuscino nella posizione del fior di loto, i monaci incominciarono le recitazioni di mantra, tra canti rauchi, suoni di corni e cembali, che durarono circa tre quarti d'ora. Finita la funzione, un monaco venne da me e mi invitò a seguirlo al centro delle due file di monaci, mi mise una kata (sciarpa bianca di seta, che viene di solito offerta ai lama in segno di omaggio e rispetto) intorno al collo, poi suggerì: - Ora si prostri tre volte, per favore! Lo feci, poi il monaco mi passò due grosse mazzette di rupie spiegandomi: - Questo è il denaro che ha pagato per la funzione, ora passerà da tutti i monaci e distribuirà a ciascuno di loro dieci rupie e il resto li restituirà a me; serviranno per l'insegnamento. Imbarazzata esclamai: - D'accordo! Poi lo seguii tra le file dei monaci e distribuii il denaro ringraziando e sorridendo a tutti. Il monaco mi guidò davanti alle foto dei due lama defunti e mi disse di offrire pure dieci rupie, un secondo monaco portò due kate e me le donò da offrire ai due lama. Le misi sotto la loro foto, vicino al denaro offerto. Di fronte a tutti i monaci, restituii le due mazzette di rupie rimaste, ringraziando. Venni accompagnata al mio posto mentre entravano alcuni monaci con anfore di metallo piene di latte e riso caldo, che distribuirono a tutti. Vennero anche da me e mi servirono una tazza di latte e un piatto pieno di riso; mentre tutti mangiavano, bevvi il latte, ma non mangiai perché ero molto emozionata e non avevo fame. Terminata la preghiera, ritornai nella mia camera. Erano passate le 7,30, stavo lavando la mia camicia da notte color pesca nel lavandino del bagno, la porta era aperta, quando tornarono dal morning meditation Serena e Jolanda. - Elisabetta - domandò Jolanda - sei andata a ritirare il tuo mala? Mentre strofinavo la camicia insaponata, risposi: - Sì, l'ho ritirata dopo la preghiera dei monaci! - A proposito, com'è andata?- domandò Serena curiosa. Stringendo la camicia, raccontai: - Una funzione stupenda, c'erano tutti i monaci del monastero, compreso i bambini monaci. Che meraviglia, pregherò per ringraziarli tutti! - Venite a far colazione? - domandò Jolanda avvicinandosi alla porta. Io aprii il rubinetto e, mentre con l'acqua fresca sciacquavo la camicia, risposi: - Stendo la camicia e vengo subito! - Serena incominciò a camminare avanti e indietro strofinandosi le mani, mentre Jolanda domandava seria: - Scommetto che hai freddo come al solito e non vieni, vero? - Già! Scusatemi! - sussurrò Serena.Stesi la camicia sul filo nel bagno e dissi: - Va bene Serena, quando torniamo ti portiamo qualcosa da mangiare, altrimenti ti dovremo raccogliere con il cucchiaio. Quel pomeriggio, verso le 14.00, Serena ed io raggiungemmo il gruppo dei francesi per la discussione. Il sole splendeva, mentre dalle finestre aperte si udivano i canti degli uccelli risuonare nella valle sottostante. Noi ci sedemmo e insieme al gruppo aspettammo Mireille che era in ritardo. In quel momento si aprì la porta vicino al separé, sulla destra del corridoio, ed uscì Mireille che sorreggeva uno sgabello. Lo posò accanto a me e, mentre si sedeva, sussurrò: - Scusatemi. Francois le sorrise, mentre mi rivolsi al gruppo e domandai: - Che ne direste se, dal momento che alcuni giorni fa abbiamo parlato della formula concisa delle Quattro Nobili Verità, oggi parlassimo di quella amplificata? Si udì un coro di si, mentre Franco scherzando sghignazzò: - Perché no, futura Lama Tenzin! Mentre Francois, Willy e Serena scoppiavano a ridere, fissai Franco con sguardo severo e Francois spiegò: - Per chi non lo sa, Lama Tenzin significa un maestro detentore degli insegnamenti. Una risata collettiva esplose intorno. Feci finta di arrabbiarmi brontolando: - Mi prendi in giro, ma fa in modo che non ti incontri, quando, nelle prossime vite, prima possibile, sarò davvero un Lama Tenzin! Un'ennesima risata esplose intorno, poi Francois intervenne: - Bene, ora parliamo dei sedici aspetti delle Quattro Nobili Verità! Che ne dici di incominciare tu, Willy ? Willy fece una smorfia, gettò un pò dei suoi lunghi capelli neri dietro le spalle, e rispose: - Ciascuna della Quattro Nobili Verità ha quattro generi di significato sussidiario. La prima è la verità del dolore. Poi Willy si girò verso Denis e disse ridendo: - Caro Denis, a te ora l'onore di continuare! Allora Denis domandò a Francois: - Cosa dici Francois, devo obbedire a quello scarica barile? Una risata generale esplose intorno, Francois annuì, perciò Denis spiegò: - La natura stessa dell'esistenza è dolorosa; per via della dipendenza di tutte le cose da cause; per via del vuoto; niente è duraturo; perché è impersonale; non si può trovare nessun vero sé. - Chi mi parla del secondo significato amplificato - domandò Francois la verità dell'origine? - È la causa - spiegò Serena - perché i semi delle azioni passate diventano cause; è l'origine perché la manifestazione è dovuta a cause immediate; è produzione per via di una serie di apparizione successive; è condizione per via del concorrere di varie condizioni. - Bene - disse Francois - ora qualcuno mi spieghi il terzo significato della verità dell'Estinzione. Marie rispose: - È cessazione perché i gruppi di personalità si estinguono; è tranquillità perché avidità, odio e illusione si estinguono; è sublime perché non può avvenire nessuna calamità; è via di fuga perché non vi sono ulteriori cause di dolore.- Magnifico! - esclamai felice. - Allora futura Lama Tenzin, - domandò Francois sorridendo - qual é il quarto significato della verità del Sentiero? Si udirono alcune risate, mentre spiegavo: - È la via perché la si percorre verso il nirvana; è il metodo corretto perché è efficace e provvisto di mezzi; è sicurezza perché conduce al nirvana; è liberazione perché produce un'uscita finale verso l'aldilà. Francois diede un'occhiata all'orologio, poi disse: - Benissimo, per oggi abbiamo terminato. Domani parleremo della definizione di ciascuno degli otto fattori del Sentiero. Mentre tutti si alzavano in piedi, scherzando assicurai: - Signori, il futuro Lama Tenzin augura un buon pomeriggio a tutti. Il gruppo ricambiò il saluto urlando e gridando, mentre Serena Franco ed io ce ne andammo ridendo. DECIMO CAPITOLO LAMA YESHE E LA PRINCIPESSA ZINA RACHEVSKY Verso le 17,30, Franco, Serena ed io uscimmo dal refettorio, mentre Charo ci passava davanti correndo; poi si girò, salutò allegramente e se ne andò, seguito da Karen che ci passò davanti a passi svelti.. - Che simpatico Lama Charo, è sempre così allegro. - dissi sorridendo. - Prima - esordì Serena - quando ha raggiunto il Maestro al tavolo con la sua tazza di the, era così buffo che tutti sono scoppiati a ridere affascinati. Ci avviammo intorno alla collina, dove incontrammo una coppia di americani, con cui scambiammo un sorriso. - Serena, hai parlato ad Elisabetta del libro della giornalista Vickie Mackenzie “ Reincarnazione. Il Piccolo Grande Lama” ? - chiese Franco. - Già - rispose Serena - è un libro di estremo interesse sulla reincarnazione e sulla vita di Lama Yeshe. La giornalista lo conobbe nel 1976 qui a Kopan durante un mese di meditazione. - Cosa racconta a proposito della reincarnazione di Lama Yeshe? domandai interessata, mentre raggiungevamo la scala che portava sulla collina. Allora Franco raccontò: - Pare che Lama Yeshe nella sua vita precedente fosse una badessa in un monastero di monache. Durante quella vita divenne famosa come grande yoghini, radunando attorno a sé molte monache dotate di realizzazioni spirituali.Mentre salivamo la scala che portava sulla collina, Serena aggiunse: - Si diceva che la badessa avesse pregato intensamente per rinascere, in modo da portare il Buddhismo a persone che dimoravano nell'oscurità spirituale. Franco intervenne: - Anche Lama Zopa, che divenne poi l'allievo di Lama Yeshe, fu riconosciuto come la reincarnazione del famoso meditatore Lawudo Lama, che trascorse gli ultimi anni della sua vita in una caverna dedicandosi interamente alla vita spirituale, dando consigli ed insegnamenti non solo a coloro che si recavano da lui in cerca di una guida, ma anche agli altri yoghi delle vicine caverne. Anche lui prima di morire promise che sarebbe ritornato per continuare ad aiutare la sua gente. Mentre raggiungevamo la cima della collina e migliaia di bandierine della preghiera multicolori sventolavano al vento, Serena raccontò: - Nel 1965, mentre i due Lama si trovavano al campo rifugiati di Buxaduar, nella loro stanza irruppe la bella e famosa principessa di origine russa, Zina Rachevsky, che si fece avanti e chiese audacemente come si potevano ottenere la pace e la liberazione. - Personaggio fuori del comune la principessa - ammisi - qualcuno mi ha raccontato che la sua vita era stata in un certo senso straordinaria. Suo padre era un principe Romanov sfuggito alla rivoluzione, la madre una ricca ereditiera americana. Zina crebbe ad Hollywood e diventò un'attrice famosa. Mi hanno anche riferito che la collina di Kopan la comprò lei. Sulla cima della collina, Franco spiegò: - Già, i due Lama diedero a Zina l'insegnamento che tanto desiderava ed ella decise di diventare una monaca, quindi acquistò un appezzamento di terra sulla collina di Kopan.Mi girai attorno ad ammirare il magnifico panorama, che aveva come sfondo la catena montuosa dell'Himalaya. - Lama Yeshe - raccontò Serena - sapendo che per Zina la miglior soluzione era continuare a fare ritiri di meditazione, la inviò in una grotta sull'Himalaya, dove doveva trascorrere tre anni recitando tre milioni e seicentomila mantra oltre alle altre pratiche meditative. Ammirai incantata le migliaia di bandierine della preghiera che volavano al vento sopra le nostre teste, poi ammisi: - Zina doveva veramente essere fuori dell'ordinario; sono molto coraggiosa, ma non so se potrei fare una cosa del genere. - Figurati - ribatté Serena sorridendo - per noi è già un grosso sacrificio restare con le gambe incrociate, che subito si gonfiano le ginocchia, poi alzarci così presto al mattino è un'altra tragedia. - Ho saputo che Zina è morta giovanissima, è vero?- domandai seria. - Fino alla fine la sua fu una vita drammatica. - proseguì Franco - Morì all'improvviso all'età di 42 anni, quando era giunta quasi alla metà del periodo di ritiro nella grotta dell'Himalaya. Alcuni dicono a causa dell'epatite, altri sostengono che avesse mangiato del cibo avvelenato.Riflettei un attimo, poi dedussi: - Credo fosse giunta la sua ora, quindi in qualche maniera doveva morire. Serena si incantò a guardare il panorama, mentre Franco aggiunse: - Lama Yeshe si svegliò una mattina alle sei dopo aver sognato che sarebbe morta e quella stessa mattina si fece portare all'aeroporto. Trascorse dieci giorni con lei nella grotta. - Dopo la morte di Zina, - ribatté Serena - Lama Yeshe la sognò vestita di abiti smaglianti e piena di vita. Lui disse che lei voleva fargli sapere che era andata in un reame puro e che avrebbe avuto una rinascita molto fortunata. - Toccante questa storia! - esclamai commossa. Serena diede un'occhiata al suo orologio e brontolò: - Oh, santo cielo, è già l'ora della meditazione, diamoci una mossa e continuiamo a martirizzare le nostre ginocchia. Così scendemmo in tutta fretta dalla misteriosa collina e ci dirigemmo al gompa. Alle 18,00 noi studenti eravamo quasi tutti seduti nella solita posizione del fior di loto per la meditazione serale, altri cercavano di trovare la posizione per potersi rilassare. Io avevo gli occhi semichiusi, mentre Karen dava inizio alla meditazione guidata con un colpo di gong e, dopo un breve silenzio, esordì: - Inspiriamo ed espiriamo nove volte chiudendo con un dito la narice destra, poi ripetiamo la stessa cosa con la narice sinistra, fino a quando la nostra mente si è liberata da ogni pensiero, poi riflettiamo sul fatto che soltanto il Dharma aiuta nel momento della morte. Non sarà il denaro ad aiutarci. Nudi e senza niente lasceremo questa vita. Il re e il mendicante vivranno la stessa esperienza nella morte… Non seguii Karen nella meditazione, mi estraniai e finii per non udirla più. All'improvviso ebbi un flash back dei monaci nel gompa, mentre pregavano per me tra canti, mantra e suoni dei cembali e altri strumenti; rividi i volti dei monaci bambini con i loro sorrisi pieni d'amore durante la preghiera. Pensai commossa: - Ringrazio con tutto il cuore i monaci di Kopan e prego con tutta me stessa che essi siano sempre felici e raggiungano velocemente l'illuminazione, diventino dei Buddha e aiutino l'umanità ad uscire in fretta dal samsara. Inaspettatamente ebbi la visione di un magnifico fior di loto bianco socchiuso che girava su se stesso, mentre si apriva lentamente sul mio cuore e brillava di luce intensa. Raggiante di felicità aprii gli occhi e sorrisi.. Poi udii Karen che concludeva: - ….potremmo morire in ogni momento, quindi solo il Dharma da oggi in avanti può risolvere il problema della sofferenza, morte, rinascita. Il 19 novembre alle 5.50, nella nostra stanza la tenda della grande finestra era aperta, i raggi del sole che sorgeva illuminavano la stanza. Dal gompa, come tutte le mattine a quell'ora, si udivano i monaci recitare mantra, suonare trombe, cembali, corni, altri strumenti, che si mescolavano ai canti degli uccelli e a quello di un gallo che risuonò più volte nella vallata. Indossai un paio di pantaloni neri, camicia arancione e corpetto imbottito nero, Serena si mise un paio di pantaloni e giacca a vento blu e bianca e ci sedemmo nel salottino della stanza a bere un caffè. - Ieri sera ho incontrato Francois - esordì Serena - e mi ha fatto vedere il suo dente del giudizio che gli duole, ma sfortunatamente nell'infermeria non c'è l'antibiotico che gli serve. - Non ti preoccupare, - risposi - ce l'ho io, purtroppo alcuni giorni prima di partire mi è stato devitalizzato un dente. - E se dopo dovesse farti male, che cosa farai? - Non credo mi farà male. - dissi sicura di me, poi continuai: - Ma piuttosto, come sta Lama Lhundrup dopo le tue cure e quelle della dottoressa Eva ? - Adesso sta bene! - esclamò Serena orgogliosa. - Era da un pò che aveva la tosse, tutte le sere, quando veniva nel gompa a rispondere alle nostre domande sul Dharma, tossiva. - Già! - rispose Serena - Una settimana fa siamo andate a comprare due kate di seta, poi abbiamo preso dall'infermeria la cassetta del pronto soccorso e siamo andate da lui. Come da rito, gli abbiamo offerto le rispettive sciarpe, facendogli un inchino, e lui ce le ha restituite mettendocele intorno al collo. Si è dimostrato amabile e sorridente, poi l'abbiamo visitato. Aveva una forte tosse e gli abbiamo dato degli antibiotici. Per un attimo pensai a Lama Lhundrup Rigsel: era d'origine tibetana, non troppo alto, magro, un viso rotondo, occhi piccoli neri e vispi a mandorla, sempre sorridente, una persona semplice e alla mano, che insegnava il Dharma ai monaci del monastero. Serena mi distolse dai miei pensieri aggiungendo: - Pensa che stavo per dirgli che l'antibiotico avrebbe ucciso tutti i virus, poi mi sono trattenuta, pensando che avrei fatto una brutta figura. - Per quale motivo avresti dovuto fare brutta figura? - domandai curiosa. Serena rise divertita, poi spiegò: - Come dire a un Lama tibetano che l'antibiotico che deve prendere gli ucciderà migliaia di virus per ristabilirgli la salute, quando il buddismo insegna che non bisogna uccidere neanche un insetto? - Complimenti, molto acuto il tuo pensiero. Se tu glielo avessi ricordato, forse non avrebbe preso l'antibiotico ammisi sorridendo, poi ci preparammo per andare alla meditazione. Uscii in fretta senza aspettare Serena, avevo qualcosa da fare prima della meditazione. Mentre scendevo le scale, diedi un'occhiata all'orologio, erano le 6,20; udii il gatto miagolare, sorrisi, lo vidi nel corridoio sotterraneo che attraversava il gompa venirmi incontro miagolando insistentemente, perciò lo raggiunsi e lo accarezzai sussurrando: - Mi sembra che ti lamenti un pò troppo, non hai ancora imparato ad accettare la tua condizione di gatto? Il gatto smise di miagolare e se ne andò in silenzio, riflettei un attimo stupita, poi mi alzai mormorando: - Povero gatto infelice, probabilmente ha solo bisogno d'affetto. Infine me ne andai a cercare Francois, sorpassando gruppi di persone che s'avviavano al gompa e, mentre una giovane donna mi passava accanto suonando il campanello di richiamo per la meditazione mattutina, udii: - Elisabetta! Mi girai per vedere chi chiamava e vidi Jolanda che mi veniva incontro dicendo: - Oggi verso l'una si può andare a visitare la stanza con le reliquie di Lama Konchok, informa anche Franco e Serena. - Già, il lama che ha vissuto per molti anni in una caverna recitando un numero impressionante di mantra e prostrandosi un'infinità di volte. - Pare che tra le sue reliquie vedremo decine di perle e un pezzo di lingua dove è impressa l'immagine di Tara, che hanno trovato tra le ceneri, dopo la cremazione del suo corpo - concluse Jolanda. Riflettei un attimo, poi me ne andai dicendo: - Non ti nascondo che sono molto curiosa. Raggiunsi il balcone del gompa, era pieno di studenti che si toglievano le scarpe e s'accingevano ad entrarvi. Mi guardai attorno, vidi Francois appoggiato nell'angolo della balaustra del balcone, assorto a fissare sofferente, con una mano su una guancia, la vallata sottostante avvolta dai raggi del sole mattutino. Lo raggiunsi e mi appoggiai alla balaustra accanto a lui, presi dalla borsetta l'antibiotico e glielo porsi: - Francois, questo è l'antibiotico di cui hai bisogno, a me non serve, ti prego prendilo, te lo offro con tutto il cuore, a patto che ti passi subito il dolore. Francois sorrise e con riconoscenza esclamò: - Grazie Elisabetta! - Alle 6,30 in punto entrai nel gompa e, mentre tutti gli studenti erano pronti per la meditazione mattutina, mi inserii tra Jolanda e Serena, aprii la borsetta, presi la mia corona benedetta dal Lama Lhundrup Rigsel e me la misi intorno al collo; Serena e Jolanda mi videro, sorrisero, mentre esclamavo sotto voce: - Mediterò con la mia corona benedetta al collo! Intanto Karen ci osservava tutti e, vedendoci pronti, diede inizio alla meditazione con un colpo di gong; dopo un breve silenzio, scandendo le parole, disse: - Meditate sulle seguenti parole di Maitreya Buddha che ha affermato: “La sofferenza deve essere conosciuta, la causa deve essere abbandonata, la salute deve essere conquistata e la medicina deve essere presa”. Poi fece una lunga pausa. Ero immobile, avevo gli occhi semichiusi, iniziai a dondolare lentamente avanti e indietro. All'improvviso, con gli occhi della mente, vidi sul mio cuore la corona trasformarsi in un magnifico mandala, al cui centro appariva una rosa bianca radiante di luce che danzava lentamente su sé stessa. Non mi scomposi, sorrisi e il mio corpo continuò a dondolare lentamente, mentre Karen riprese a ripetere: - La sofferenza deve essere conosciuta, la causa deve essere abbandonata, la salute deve essere conquistata e la medicina deve essere presa. Verso le 13.30, Serena, Jolanda, Franco ed io scendemmo lungo un sentiero stretto che portava ad una casetta, sotto il gompa, a strapiombo sopra la vallata sottostante che splendeva al sole del pomeriggio. Mentre scendevamo in silenzio, Jolanda esordì: - Abbiamo dieci minuti di tempo, poi dovremo lasciare il reliquario, per un altro gruppo in visita. - Ci basteranno! - rassicurò Serena. - Ricordatevi che oggi la discussione con i francesi si farà sotto gli ombrelloni del bar - informò Franco. - D'accordo, grazie! - esclamai. All'improvviso ci trovammo davanti a un muro con un'entrata che portava in un cortile, al cui interno c'era un piccolo giardino con piante in fiore. Da una porta con una tenda colorata uscì un monaco a piedi scalzi, che sorridendo esclamò: - Prego, entrate! Ci togliemmo le scarpe ed entrammo in un piccolo corridoio, poi nella stanza semibuia che conteneva le reliquie. Sul muro sinistro una grande foto di Geshe Lama Konchok che sorrideva, sotto una poltrona piena di Kate, al centro una finestra chiusa che dava sulla valle. Appoggiato al muro destro c'era un tavolo con decine di piccole ampolle di vetro dentro cui si vedevano centinaia di perle, una lingua sopraimpressa con l'immagine di Tara, un occhio ecc.... Il monaco accese una torcia a pila, illuminò la foto del Lama affermando: - Quella è la foto di Geshe Lama Konchok, che ha lasciato il suo corpo il 15 ottobre scorso. Domandai: - Il tre dicembre festeggerete con una puja il 49° giorno del bardo di Lama Konchok, cioè l'ultimo giorno in cui potrebbe essersi reincarnato, vero? Il monaco annuì, poi passò al tavolo delle reliquie e le illuminò con la torcia affermando: - Tutte queste ampolle contengono centinaia di perle e altre reliquie trovate nelle ceneri di Lama Konchok, dopo la cremazione.- Straordinario! - esclamai eccitata. - Nello stupa funerario - aggiunse il monaco - tra le ceneri, oltre alle perle abbiamo trovato alcuni capelli neri, il cuore, la lingua e un occhio. Di solito tali organi di alta pratica tantrica non bruciano. Mentre Serena, Jolanda ed io ascoltavamo stupite, Franco aggiunse: - So che avete trovato anche dei resti di ossa, su cui alcune settimane dopo sono cresciute molte piccole perle.Il monaco rispose serio: - Certo! In fila passammo lentamente davanti alle ampolle di vetro e osservammo curiosi. Poi il monaco spiegò: - Molte delle perle si sono moltiplicate e si sono riprodotte in una grande quantità. - Incredibile! - esclamò Jolanda colpita. Il monaco indicò poi delle ampolle affermando: - In quelle due ampolle ci sono rispettivamente l'occhio e la lingua, dove l'immagine di Tara sta emergendo lentamente. - Tara - dissi - è la madre di tutti i Buddha del passato, del presente e del futuro! Mentre Serena osservava curiosa, aggiunse: - Qualcuno mi ha raccontato che durante la cremazione sono apparsi alcuni arcobaleni, che poi si sono dissolti lentamente tra le nuvole. Il monaco sorrise, poi raccontò: - Khenrimpoche Geshe Lhundup ha sentenziato “È come se il corpo di Geshe Lama Konchok fosse un gioiello prezioso”. Tutti osservammo stupiti il monaco che agganciava la torcia sopra il tavolo, poi andò ad aprire un cassetto e prese un pacco di foto dicendo: - Ecco, se vi mettete intorno a me, vi faccio vedere delle foto di Lama Konchok. - Osservammo interessati tutte le foto del Lama, poi ce ne andammo per lasciare il posto ad un altro gruppo di visitatori. Di fianco al bar di Kopan, con vista sulla vallata, c'erano due grandi tavoli quadrati con panchine verdi e rispettivi ombrelloni rossi a frange bianche che volavano al vento. Noi e quasi tutto il gruppo eravamo seduti a discorrere, quando Willy si incantò a guardare davanti a lui stupito, tutti noi ci girammo a guardare curiosi, e vedemmo giungere Catherine e Letizia con i capelli rasati: esplodemmo in grida e urla di consenso. Willy eccitato esclamò: - Coraggiose le fanciulle! Le fissai stupita e dissi sorridendo: - Complimenti ragazze, questo è davvero un buon esempio per Willy; se vuole davvero diventare un monaco, dovrà darsi una mossa. In quel frastuono di grida eccitate, ci raggiunse Francois che suggerì: - Bene, ora mi sembra il caso di ricordare le definizioni di ciascuno degli otto fattori del Sentiero. Che ne dite? Denis scherzando brontolò: - Ma Francois, lasciaci ammirare le nostre future monache, ti prego, facci respirare un attimo, prima che ci venga un collasso. Un'altra risata echeggiò nella vallata, Francois sorridendo disse: - Serena, per favore, corri a prendere una bombola d'ossigeno, perché se mi muoiono, sarà complicato recuperarli dall'inferno. Un'ennesima risata esplose intorno. - Francois - dissi - non ho avuto il tempo di chiederti come va il mal di denti, ma dall'energia che sprigioni si direbbe che stai bene, vero? Felice rispose: - Per merito tuo, Elisabetta, grazie per l'antibiotico! Tutti applaudirono tra grida e urla di gioia, poi Francois ribatté: - Bene, la nostra risata giornaliera l'abbiamo fatta, adesso qualcuno mi spieghi che cosa si intende per Retto Parlare. - Il Retto Parlare è l'astenersi dalla falsità, dal discorso malvagio, duro o frivolo. - rispose Letizia. Catherine continuò: - Il Retto Agire è astenersi dal togliere la vita, dal rubare e dalla cattiva condotta sessuale. Franco aggiunse ridendo: - Complimenti alle nostre future monache! Si udirono alcune risate, poi Franco continuò: - Il Retto Modo di Sostenersi è guadagnarsi da vivere con mezzi appropriati. Proseguì Lena: - Il Retto Sforzo è impedire la formazione di cattivi pensieri e dissipare quelli già presenti. È produzione di buoni pensieri non ancora sorti e sostentamento di quelli già presenti. Isabella continuò: - La Retta Concentrazione é una grande attenzione al corpo, alle sensazioni, alla mente e al Dharma.Alain aggiunse: - La Retta Meditazione è raggiungere e dimorare nelle Quattro Profondità Meditative. Intervenne Willy: - Mi pare che abbiate perso due degli otto diamanti dell'Ottuplice Sentiero! - Francois sorridendo esclamò: - Bravo Willy, il tranello c'era, ma solo il tuo orecchio vigile se n'è accorto, complimenti. Ora però mi devi dire quali sono, per favore. Willy rifletté un attimo, poi concluse: - Allora avete dimenticato il primo e il secondo diamante dell'Ottuplice Sentiero, i quali sono: Retta Opinione e Retta Risoluzione. Esplose un applauso fragoroso, mentre Willy sorrodeva felice. UNDICESIMO CAPITOLO VAJRASATTVA, IL CRISTO E L'ENERGIA DEL TERZO OCCHIO Alle 20.00 ritornammo nel gompa per la sessione di meditazione dove avremmo visualizzato Vajrasattva e la consorte, per purificare la mente. Le luci nel gompa erano accese. Karen e il Venerabile Neil cantavano insieme agli studenti il mantra di Vajrasattva “The Power of the Remedy” (Il potere del rimedio) in tibetano (Vajrasattva è la principale divinità utilizzata dai praticanti di ogni livello del tantra per purificare la mente). Noi eravamo tutti seduti nella solita posizione del fior di loto, tutti tranne me sorreggevano il libro delle preghiere tra le mani e cantavano. Ero in mezzo a Serena e Jolanda, il mio libro era chiuso sul cuscino, mentre ascoltavo il delizioso coro, estasiata. Quando finirono di cantare, Karen disse al microfono: - Come sapete, Vajrasattva è la principale divinità utilizzata dai praticanti di ogni livello del tantra per purificare la mente. Ora mettete da parte il libro della preghiera e concentratevi sulla meditazione. Karen ci osservò , poi quando vide che eravamo tutti immobili, diede un colpo sul gong per dare inizio alla sessione di meditazione: - Immaginate che sulla corona della vostra testa, seduti su un fior di loto, ci siano Vajrasattva Padre e Madre. I loro corpi sono bianchi, ognuno ha una faccia e due braccia. Vajrasattva tiene nella mano destra un dorge, simbolo di compassione che distrugge ogni ignoranza, e nella sinistra una campana, simbolo della saggezza; lei ha un coltello curvo e una tazza a forma di scheletro. Si stanno abbracciando. Il padre é adornato con sei grandi sigilli, lei con cinque. Lui è seduto nella posizione di vajra, lei in quella del loto. Pensate che Vajrasattva é il vostro guru, la mente santa di tutti i Buddha, che con la sua grande compassione abbraccia voi insieme a tutti gli esseri senzienti e vi purifica. In questo modo la vostra mente è trasformata dalla devozione al guru, che è la radice di tutte le benedizioni e la realizzazione del sentiero dell'illuminazione.Non avendo mai visto la rappresentazione di Vajrasattva, lo credetti un personaggio femminile; ero distratta e non udii quando Karen disse di visualizzare Vajrasattva, il padre che abbracciava la madre, sulla corona della nostra testa. Visualizzai solo la madre che immaginai essere Vajrasattva. Sulla corona della mia testa visualizzai la madre che, io credevo essere Vajrasattva, seduta su un fior di loto, che all'improvviso con gli occhi della mente vidi precipitare dalla mia testa e la scena mi preoccupò profondamente. Sorprendentemente mi apparve il volto del Cristo addolorato con la corona di spine sulla testa, poi, con la velocità di un fulmine, apparve dall'alto un filo di luce bianca che scese a spirale intorno al mio corpo e con la stessa velocità risalì e mi colpì il centro della fronte, tra gli occhi, dove si esaurì dopo aver avvertito una leggera pressione. Aprii gli occhi di colpo, mentre il cuore mi batteva forte nel petto. Poi perplessa riflettei sull'accaduto fino alla fine della seduta di meditazione. Quando Serena, Jolanda ed io uscimmo dal gompa, raccontai la mia esperienza e mentre raggiungevamo la porta del grande corridoio, Jolanda aprì la porta sghignazzando: - Santo cielo Elisabetta, soltanto a te può capitare di visualizzare la madre senza il padre Vajrasattva, non puoi lamentarti se poi essa precipita giù dalla tua testa. Entrammo nel corridoio e, mentre mettevo la chiave nella toppa della nostra stanza da letto, scoppiammo in una risata fragorosa; quando entrammo nella stanza, Serena continuando a ridere disse: - Come hai potuto Elisabetta concentrarti solo sulla consorte di Vajrasattva, quando avresti dovuto meditare sulla coppia? Un'altra risata esplose nella stanza, poi brontolai: - Smettetela di prendermi in giro, mi sono distratta, quindi non ho capito, ma sarà meglio piuttosto riflettere su quello che si è verificato successivamente. - Poiché - disse Jolanda - Vajrasattva è la principale divinità utilizzata dai praticanti di ogni livello del tantra per purificare la mente, si suppone che la mente di Elisabetta sia stata purificata. Dopo una pausa Serena ammise: - Sulla collina di Kopan c'è una forte energia, già immaginavo che tu avresti vissuto esperienze eccezionali, ma mi chiedo, cosa c'entra il Cristo con Vajrasattva? - Il Cristo e il Buddha provengono dalla stessa fonte, come tutti i rappresentanti delle altre religioni che insegnano l'amore e la fratellanza. Serena si sedette alla scrivania esclamando: - Non vedo altra spiegazione! - Jolanda ed io ci sedemmo sul nostro letto. - Mi chiedo che significhi - domandò Jolanda curiosa - questo filo di luce bianca che scende a spirale intorno al tuo corpo e risale nello stesso modo finendo al centro della fronte. Serena si rivolse a Jolanda sghignazzando: - Probabilmente la pressione esercitata sulla sua fronte da quel filo di energia bianca, le ha aperto il terzo occhio e purificato la mente. Un'ennesima risata esplose all'interno della stanza, poi Jolanda ridendo spiegò: - Anche il Buddha, in molte raffigurazioni, è rappresentato con il terzo occhio al centro della fronte. - Ho letto nel “Trattato del Fuoco Cosmico”, - raccontai - il libro dettato per mezzo telepatico ad Alice Bailey dal Tibetano, che il terzo occhio sarebbe un'energia che si crea al centro della fronte, quando l'uomo ha raggiunto un certo grado d'evoluzione. Serena scherzando si burlò di me per l'ennesima volta affermando: - Jolanda ci siamo, abbiamo tra di noi un essere molto evoluto. Scoppiammo in un ennesima risata, poi scherzando mi avvicinai a Serena con fare minaccioso e brontolai: - Serena, se continui ti riduco in una polpetta! - Non fare una cosa del genere - sbraitò Serena - altrimenti sono costretta a ritirare le mie parole e pensare piuttosto che sei un'involuta. Scoppiammo a ridere ancora una volta, poi decidemmo di prepararci per andare a dormire e spegnere la luce alle dieci come da regolamento. ...Un gruppo di monaci con tuniche bordeaux e arancione e dai capelli rasati sorreggeva un grosso tronco d'albero, appuntito, e s'avvicinò ad una porta spalancandola con un colpo solo... Mi svegliai di colpo e mi sedetti sul letto, la stanza era in penombra, poi udii il canto di un gallo echeggiare nella valle; mi guardai attorno, Serena e Jolanda stavano dormendo immobili nel loro letto, riflettei un attimo sul sogno e pensai: - Santo cielo, questo sogno è una risposta alla preghiera che ho fatto fare ai monaci del monastero. Dal messaggio capisco che con la preghiera “sparata” in cielo, i monaci probabilmente mi apriranno una porta. Eccezionale! Ma non devo farmi illusioni, chissà quanti anni dovrò aspettare prima che si apra questa benedetta porta. Si sa che il tempo per gli esseri spirituali non è lo stesso di quello per gli uomini. Sorridendo felice mi stesi nel letto a riflettere, poi mi riaddormentai. DODICESIMO CAPITOLO LA VOCE E LA LACRIMA DEL BUDDHA Il ventinovembre, verso le 6.20, eravamo leggermente in ritardo, indossai in fretta un maglione blu con un paio di pantaloni attillati gialli e scialle intonato, Serena mise pantaloni neri con giacca a vento bianca. Uscimmo per la sessione di meditazione e, mentre raggiungevamo il gompa, Serena disse: - Divertente questo sogno con i monaci che ti spalancano una porta con il tronco appuntito di un albero. - Già, soprattutto molto significativo! - esclamai felice. Raggiungemmo la porta del gompa e, mentre alcune persone entravano a piedi nudi, Serena brontolò: - Guardali, e poi vengono da noi a farsi curare. Mentre ci toglievamo le scarpe rimanendo in calzini, ammisi: - Hai ragione, dovrebbero essere più saggi! Entrammo passando tra le persone già sedute nella posizione del fior di loto e raggiungemmo il nostro posto accanto a Jolanda che si era coperta con un enorme scialle celeste e bianco. Osservai il gruppo dei francesi e notai che Willy, Frank e Denis erano assenti. Dalle finestre i primi raggi del sole irradiarono l'interno di luci. Il coro degli uccelli come al solito risuonò fuori dal gompa, disturbato dai soliti colpi di tosse e soffiate di naso. All'improvviso Karen suonò il gong che echeggiò per tutto l'interno segnalando l'inizio della sessione meditativa, ed esordì dicendo: - Chiudete una narice e inspirate - espirate tre volte, ripetete la stessa operazione con l'altra narice finche vi sarete rilassati e avrete liberato la vostra mente da ogni negatività. Karen, seguita da molti e anche da me, si chiuse una narice, inspirò ed espirò tre volte, ripeté la stessa operazione con l'altra narice e continuò così più volte; riprese: - Bene, ora meditate sulle seguenti parole: prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma, fino a quando sarò illuminato. Per il merito che creo facendo meditazione, possa io diventare un Buddha per salvare tutti gli esseri senzienti. Meditai intensamente ripetendo dentro di me le seguenti parole: - Possa diventare un Buddha per salvare tutti gli esseri senzienti. Possa io diventare un Buddha per salvare tutti gli esseri senzienti. - Mentre ripetevo per la terza volta le prime due parole della frase: - Possa io... - una voce maschile continuò dicendo: … vuoi diventare un Sakyamuni ? Presa alla sprovvista, risposi scioccata: - No! Io non so se posso chiedere tanto! Davanti agli occhi della mia mente mi apparve il volto del Buddha addolorato, con una lacrima che gli scendeva dall'occhio sinistro. Cercai di riprendermi dallo stupore e, addolorata, mentre l'immagine del Buddha scompariva, promisi: - Dolce Sakyamuni, ti prometto che mi impegnerò con tutta me stessa per diventare come te e salvare tutti gli esseri senzienti dal ciclo della rinascita. - Aprii gli occhi sorridendo commossa. Il giorno dopo, verso le 8.00, mentre Serena e Franco scendevano dalla collina, io camminavo dietro di loro a una certa distanza e senza volerlo udivo ciò che si dicevano. - Domani è il ventuno novembre - diceva Franco - inizierà il digiuno che durerà dodici giorni, quindi faremo solo un pasto al giorno. - Serena brontolò: - Non so se ce la farò a resistere tanti giorni con un pasto solo. - Bene - borbottò Franco - ci proviamo; però andiamo al bar a farci una scorta di cioccolato, biscotti, salatini ecc., poi vedremo. Serena scoppiò a ridere: - Facciamo bene, perché sarebbe imbarazzante andare al bar a comprare cibo, quando si sa che c'è il digiuno. Sorridendo mi fermai agli stupa sopra la valle, mentre essi si avviavano verso il bar. TREDICESIMO CAPITOLO LEZIONE SULLA MORTE E LA SOFFERENZA DI JOLANDA Verso le 8.35, vidi Franco e Serena entrare all'ultimo minuto e avviarsi in punta di piedi tra gli studenti già seduti nei loro cuscini, mentre recitavano insieme al maestro la preghiera che precedeva la lezione del mattino. Franco andò a sedersi sulla sua sedia, mentre Serena si accomodava tra me e Jolanda. Il sole illuminava l'interno, mentre il numero degli influenzati sembrava essere aumentato, per i frequenti colpi di tosse e gli starnuti che disturbavano la recitazione. Altri ritardatari entrarono in tutta fretta, il maestro li fissò attento con sguardo severo e contrariato, mentre continuava a recitare: ….così devo evitare azioni sbagliate, come togliere la vita ad altri. Possa io velocemente ottenere illuminazione e possano gli esseri umani che esperimentano le varie sofferenze essere liberati dall'oceanico ciclo delle esistenze. Quando finì la preghiera il Venerabile Neil rimproverò severo: - Raccomando ai ritardatari di essere puntuali, in modo da recitare la preghiera tutti insieme prima di iniziare la lezione. Grazie. Dopo averci osservato per un attimo, il maestro aprì un libro e riprese a parlare dicendo: - Bene, ora vi parlerò della morte, perché possiate ricordare che nulla dura in eterno e che essa può arrivare da un momento all'altro. ... Non c'è nessun potere nell'universo che possa fermare la morte. Ogni persona nata dovrà morire, anche i grandi bodhisattvas e gli Yogis, perfino Buddha. Fra cent'anni, quasi tutti quelli che sono in vita oggi saranno morti. Non possiamo sfuggire alla morte, non c'è nessun posto dove possiamo andare. Anche se siamo molto ricchi, non possiamo corrompere la morte. Anche se siamo molto forti e pieni di potere, non possiamo sconfiggere la morte. Anche se abbiamo poteri miracolosi e chiaroveggenza, non possiamo evitare la morte.Il maestro ci fissò tutti per un attimo, per capire la nostra reazione a ciò che aveva appena detto. Sorridendo osservai i volti degli studenti che mi stavano vicini e ne vidi alcuni tranquilli, altri cupi e tristi, tra cui quello di Jolanda in lacrime, mentre Serena fissava il maestro contrariata. Poi il Venerabile Neil riprese a parlare assicurando: - L'uomo non può allungare la propria vita, s'avvicina alla morte in ogni momento. Dal momento della nascita in avanti, corriamo incontro alla morte. Mentre il maestro continuava a parlare, Serena s'accorse del pianto convulso e silenzioso di Jolanda, che cercava di trattenere i lamenti, ma di tanto in tanto era costretta a soffiarsi il naso. Addolorata mi sussurrò: - Hai visto Jolanda come piange? - Poverina! - brontolai - Immagino che il maestro le abbia ricordato la morte del figlio. Intanto il maestro insisteva: - Anche quando stiamo dormendo o siamo distratti, ci avviciniamo alla morte. Mentre siamo ancora in vita, il tempo libero per praticare il Dharma è estremamente limitato. Se viviamo settant'anni, metà li passiamo dormendo, il resto lavorando, mangiando, arrabbiandoci, comprando, viaggiando, guardando la televisione, ecc. Molto poco tempo è usato attualmente per praticare il Dharma, però ricordiamoci che solo il Dharma ci potrà aiutare in tempo di morte. Quando finì la lezione, Jolanda stava ancora piangendo. Serena per l'ennesima volta fissò il maestro contrariata. Molti uscirono sconvolti dal gompa e io dissi a Serena: - L'uomo un giorno dovrà abbandonare i falsi valori su cui è edificato questo mondo, per diventare come il Cristo e il Buddha, come afferma un frammento estratto da un antico catechismo esoterico, dove un maestro domanda al suo discepolo che ha raggiunto l'illuminazione: - Cosa vedi , o liberato? - Serena mi prese di sorpresa quando rispose: - Vedo molti che soffrono, Maestro, che piangono e chiedono aiuto. Allora sorridendo felice continuai con le domande del maestro al discepolo e Serena rispose alle domande: - Che farai, o uomo di pace? - Tornerò là donde vengo. - Donde vieni, Divino pellegrino? - Dal profondo delle tenebre, sono salito alla luce. - Dove vai, o viandante? - Torno fra le tenebre, lascio la luce del giorno. - Perché o figlio di Dio? - Vado a raccogliere quelli che incespicano all'oscuro, a illuminare loro la via del ritorno. - - Quando avrà termine il tuo servizio, o Salvatore? - Non lo so; finché qualcuno soffre, starò con lui a servirlo. Quando finimmo di recitare il bellissimo colloquio del maestro e dell'illuminato, ci fissammo felici e scoppiammo in una risata, mentre gli studenti ci passavano accanto osservandoci curiosi. Entrando nella nostra stanza, dopo pranzo verso le 12,50 ,trovammo Jolanda sdraiata sul letto, con gli occhi gonfi e tristi, che si soffiava il naso. Noi la scrutammo preoccupate. - Jolanda- esordii seria - non ti abbiamo visto a pranzo, come mai? Jolanda si soffiò il naso rispondendo nervosa: - Scusate, ma non avevo fame, me ne starò tutto il pomeriggio in stanza, non andrò alla discussione e neanche alla lezione. Serena ammise seria: - Mi sembra una buona idea, perché si discuterà sullo stesso argomento e, conoscendo il Maestro, nella lezione del pomeriggio ritornerà sul discorso della morte.- Jolanda - suggerii - dedicati alla lettura di quel misterioso libro che hai preso nella libreria del monastero alcuni giorni fa. Serena scosse la testa brontolando: - Comunque non capisco perché il maestro debba continuare a ripeterci gli stessi insegnamenti, anche Franco si è lamentato per questo. Sorridendo spiegai: - Immagino che il Buddha sapesse che noi esseri umani abbiamo la testa dura, infatti egli stesso ripeteva ai suoi monaci gli insegnamenti più volte. Serena prese dalla scrivania la valigetta del pronto soccorso e avviandosi verso la porta disse: - Elisabetta, andiamo a curare i nostri pazienti e lasciamo Jolanda riposare in pace! Uscimmo chiudendo la porta dietro di noi e udimmo Jolanda scoppiare in un pianto dirotto. Ci fermammo un attimo, non sapendo come agire, poi decidemmo di lasciarla sola a sfogare il suo dolore. Raggiunta l'infermeria, Serena si mise a controllare le scadenze dei medicinali, mentre iniziavo a spolverare gli scaffali. - Vedrai che in pochi giorni l'infermeria sarà in ordine - assicurai. - Qui a Kopan vola tanta di quella polvere, che poi bisognerà ricominciare da capo. In quel mentre entrarono due operai nepalesi di statura media, magri, dai visi rotondi, gli occhi scuri e tristi; uno sorreggeva l'altro che zoppicava e indossavano caschi gialli, camicie e pantaloncini corti da lavoro, erano sporchi e impolverati. Preoccupata andai loro incontro con uno sgabello; l'operaio ferito si sedette lentamente, aiutato dall'altro, poi con dei gesti ci indicarono il gonfiore, con grossi lividi neri, sulla gamba sinistra. Serena si piegò ad esaminare la ferita, tesa. Frattanto arrivarono due anziane donne nepalesi vestite con sari colorati da lavoro sopra cui portavano giacche di lana. Una delle due donne si fece avanti e parlò in palì (lingua nepalese) all'uomo ferito, poi disse traducendo: - Dice che lavora all'ospedale che stanno costruendo i monaci qua sotto e, mentre scaricava dei massi, uno gli è caduto sulla gamba. Osservai la gamba gonfia con grossi lividi; poi fissai l'esile uomo che mi fece tanta pena. - Pover'uomo, cosa si può fare per lui, Serena? - domandai addolorata. Serena si alzò e andò a cercare dei medicinali nello scaffale brontolando: - Non molto, purtroppo! Ritornò dall'uomo, si abbassò, lo disinfettò e gli spalmò delicatamente una crema sulla ferita, dicendo alla donna: - Gli dica di farsi portare all'ospedale a fare una radiografia. - Mentre la donna traduceva, Serena chiuse il tubetto della crema e prese una scatola di antidolorifici da uno scaffale e li porse all'uomo dicendo: - Per favore, gli dica di prendere una compressa al mattino e una alla sera, finché finirà la scatola.Mentre la donna traduceva, Serena mormorò seria: - Pover'uomo, qui non hanno assicurazione che copra l'infortunio. Dispiaciuta borbottai: - Sicuramente avrà anche molti figli da sfamare! Che tristezza! Poi intervenne la traduttrice riferendo: - Ha detto che ha capito e ringrazia. Aiutai l'uomo ad alzarsi, mentre l'altro operaio aiutava a sostenerlo. Li accompagnai fuori dall'infermeria, dove c'erano quattro persone in fila che si soffiavano il naso e a tratti tossivano; salutai i due uomini e dissi ai pazienti di attendere che uscissero le due signore che si trovavano all'interno dell'infermeria. Quando entrai una delle due donne era stesa sul lettino e Serena le stava mettendo una mano sullo stomaco domandando: - Qui ha male? Serena ed io finimmo di occuparci dei nostri pazienti e, quando chiudemmo l'infermeria, ci accorgemmo di avere qualche minuto di ritardo per la discussione delle 14,00. Quindi ci affrettammo a raggiungere il gruppo che era seduto sotto l'ombrellone del bar, in un magnifico giorno di sole. Il gruppo ci accolse gridando e urlando eccitato, mentre Willy ridendo azzardò: - Adesso che le ultime due ruote del carro sono arrivate, possiamo procedere. Un'esplosione di risate echeggiò nella valle, mentre ridendo dicevo: - “Ancora tu…” ma non è il caso che ti tappi la bocca? Serena ed io abbiamo lavorato, mentre tu ti sei rilassato. - Mentre ci sedevamo negli ultimi due posti rimasti sulla panchina al sole, un'ennesima risata esplose intorno. Intervenne Francois affermando: - Ben detto, ora però fate silenzio e qualcuno dia inizio alla discussione.Marie suggerì: - Che ne dite di meditare sull'insegnamento di Sakyamuni, su come fermare la morte? Alain intervenne dicendo: - Il Buddha è partito da casa per trovare le condizioni in cui non vi fossero vecchiaia, malattia e morte. Willy spiegò: - A quanto pare scoprì che una tale condizione esisteva, ma era una condizione che precludeva assolutamente una nascita di qualunque genere. Alain aggiunse: - Infatti la nascita, di qualunque genere, mette in moto il suo arco incorporato di declino e morte. Quando avviene la nascita, ne segue la morte, inevitabilmente. - Quindi - disse Willy - senza la nascita niente morte. Pertanto se si arresta la nascita, tutto il resto si arresta per sempre. Intervenni domandando: - Permettetemi una parentesi, non pare anche a voi che i due aspiranti monaci, Alain e Willy, si stiano meritando il nobile titolo? Un coro di urla eccitate e applausi echeggiò nella valle. Alain e Willy sorrisero soddisfatti. Francois fece finta di sgridarmi dicendo: - Elisabetta, ora però continui tu, dal momento che ti sei presa la libertà di fare una parentesi nel bel mezzo del discorso. Altre urla e grida esplosero intorno, poi risposi: - D'accordo, pago sempre volentieri i miei debiti. Franco intervenne affermando: - Meglio così, perché, che tu lo voglia o no, con la legge di causa effetto non potresti comunque sfuggire ai tuoi debiti! Francois sorridendo esclamò: - Ben detto! Allora come si arriva alla non nascita? Riflettei un attimo, poi risposi: - Eliminando ciascuno dei dodici anelli a turno, finché si arriva a quello della nascita. Franco intervenne suggerendo: - Che ne direste se ora ripetessimo tutti assieme le denominazioni dei dodici anelli, nell'ordine prestabilito? - Si udì un coro di consensi echeggiare intorno, poi Franco incominciò e tutti lo seguirono: - Per eliminare la nascita, bisogna estinguere i dodici anelli: Ignoranza, Composti, Coscienza, Mente e Corpo, Sei Facoltà, Contatto, Sensazione, Desiderio, Attaccamento, Divenire, Nascita o Ricomparsa, Declino o Morte. Willy preoccupato ammise: - Ragazzi, per abbandonare questo mondo di dolore, dobbiamo affrontare una difficile battaglia e abbattere questi dodici anelli maledetti, altrimenti l'illuminazione ce la possiamo anche scordare Un altro boato di grida e urla euforiche, poi François concluse: - Il tempo a nostra disposizione è finito, andate in pace! QUATTORDICESIMO CAPITOLO SERENA E LA SUA REMINISCENZA DI VITA PRECEDENTE DURANTE LA MEDITAZIONE Il venticinque novembre, verso le 6.00 del mattino, tra le solite recitazioni di mantra, canti, suoni di corni, cembali, vidi le luci dell'alba che si riflettevano nella stanza dalla grande finestra. Stavo seduta sulla poltrona di vimini, mentre Serena sorseggiava un caffè sullo sgabello davanti alla scrivania. - Tu e Jolanda siete guarite, - brontolai io seria - ora è il mio turno, ho la parte sinistra della gola che mi fa male. Serena brontolò: - Con un pasto al giorno e con tutti i raffreddati che spargono miriadi di microbi in giro, neanche un elefante ci sarebbe passato indenne. Scoppiai a ridere divertita, poi domandai: - Serena, il mio spirito di ricerca mi spinge a chiederti se anche tu hai avuto esperienze paranormali durante le meditazioni. - No - rispose Serena pensierosa - di nessun tipo! - Tu però mi hai raccontato che, dall'ultima volta che sei stata a Kopan, sei diventata più intuitiva e hai incominciato ad avere sogni premonitori. Serena sorrise, poi spiegò: - Certo, ti racconto un'interessante esperienza che ho avuto in meditazione, durante quel ritiro. Con grande sorpresa ho ricordato un episodio del mio battesimo, quando avevo appena cinque mesi, che rimanda alla reincarnazione. - Interessante! - esclamai. Serena raccontò: - Nella visione vedevo un gruppo di parenti e intorno al prete i miei genitori; mia madre mi teneva in braccio, ero una bimba di circa cinque mesi, tutta vestita di pizzo bianco. Fissai il gran faccione del prete che si avvicinò a me con la ciotola dell'acqua benedetta e preoccupata pensai: “Non me la butterà negli occhi spero, altrimenti mi metto a piangere, ma se piango che cosa penseranno i parenti di me”? Il prete mi gettò l'acqua benedetta sugli occhi, scoppiai a piangere a dirotto e quello per calmarmi prese un libro in mano. Lo notai subito, smisi di piangere e sorridendo pensai: “Che gioia, i libri esistono anche qui, sono salva”! Il prete, vedendo l'interesse che avevo per il libro, lo avvicinò alle mie manine, ed io raggiante di felicità lo sfogliai delicatamente, pensando: “Che meraviglia, ora provo a leggere”! Poi mi fermai su una pagina, fissai la scrittura e addolorata pensai: “Accidenti, non conosco il carattere di questa scrittura”! Disperata per la delusione, scoppiai in un pianto dirotto sotto gli occhi stupiti dei presenti. - Davvero straordinaria la tua esperienza, Serena! - esclamai entusiasta. Serena mi fissò seria e aggiunse: - Quando più tardi ho interrogato i parenti superstiti, hanno confermato tutto asserendo che il prete, vedendomi sfogliare con tanta venerazione il libro, disse “Diventerà una letterata”. Scoppiai a ridere divertita: - Interessante, la tua anima ricordava i libri e anche che sapeva leggerli, quindi non può essere stato che il ricordo di una vita precedente. Serena mi fissò e prendendomi in giro sghignazzò: - Sfortunatamente il mio terzo occhio non è sviluppato come il tuo, quindi non posso ricordare le mie vite precedenti attraverso i sogni come fai tu. - Se non la smetti di prendermi in giro, ti picchio! - conclusi scherzando. Quel mattino, verso le 8.00, Franco ed io salimmo le scale per raggiungere il terrazzo, con una tazza di cioccolata calda in mano. - Serena dopo la meditazione si è chiusa in camera, dicendo che era troppo freddo per andare in giro - brontolai io seria, mentre Franco rallentò il passo per non fare cadere la cioccolata. - Nessuno riesce a farla uscire al mattino - rispose Franco conoscendola, fa già troppo se esce per fare meditazione. Quando raggiungemmo il terrazzo, alcuni tavoli erano occupati da persone che bevevano la loro cioccolata calda in silenzio, ammirando la catena montuosa dell'Himalaya illuminata dal sole del mattino. Franco mi indicò l'ultimo tavolo sulla vallata, lontano dalle persone, sussurrando: - Noi vogliamo parlare, basta con il silenzio, quindi appartiamoci là in fondo, di fronte al panorama. Ci sedemmo e sorseggiammo in silenzio la cioccolata. Franco m'indicò un villaggio sotto nella valle affermando sottovoce: - Oggi, durante l'intervallo, vado laggiù in quel villaggio a comprare delle uova fresche, ne vuoi anche tu? - - Ti ringrazio Franco, - risposi sorridendo - ma ho deciso che farò il digiuno fino in fondo. Sai, dopo alcuni giorni che lo facevo, ho sognato che tornavo a casa con la valigia vuota e alcuni libri sul Dharma. Franco curioso domandò: - E che cosa significa secondo te?- I precetti e le preghiere servono per purificarci e liberarci dal Karma negativo, quindi la valigia vuota indica che, con il digiuno e il Dharma, mi libererò dal mio fardello. - Continui ad avere esperienze paranormali durante la meditazione? Fissai Franco, poi risposi: - Stamattina con gli occhi della mente ho avuto una visione, osservavo il mondo dall'alto e vedevo campi e montagne verdi. Franco curioso interrogò: - Che cosa significa?- Per me è un messaggio importante, significa che probabilmente vivrò le esperienze terrene guardandole dall'alto, con distacco. Franco mi osservò pensieroso, allora domandai: - Ma ora ti dispiace recitarmi l'ultima poesia che hai scritto? Serena mi ha detto che è molto divertente. Franco sorrise, poi recitò sottovoce: - Sulla porta del tempio un gatto chiede di entrare. Scoppiai a ridere: - L'anima sofferente di quel povero gatto reincarnato che si sgola inutilmente per entrare nel tempio a studiare il Dharma, ha ispirato un poeta. Franco scoppiò in una risata fragorosa, ed io contagiata lo imitai, mentre i presenti si giravano verso di noi a guardare scandalizzati chi aveva osato disturbare il loro silenzio. Quel pomeriggio alle 13,00 avevo un appuntamento con il Venerabile Neil. Quando raggiunsi il balcone, mi fermai e lo attesi davanti alla porta del suo salotto. In quel mentre arrivò un giovane seguito da una donna, ci guardammo e domandai: - Ci deve essere un equivoco, non credo che il Venerabile Neil ci abbia dato l'appuntamento alla stessa ora. Prima che i due rispondessero, uscì il maestro e fissandomi esclamò: - Mi scusi signora, poiché molti studenti desiderano parlarmi, devo avere fatto un pò di confusione con gli orari. - Dovrei fare una domanda veloce al maestro - dissi - permettete che entri un attimo, per favore? - Le due persone gentilmente annuirono, il maestro entrò nel salotto ed io lo seguii. Mi fece segno di sedermi sul divano, mentre si sedeva su una sedia di fronte al tavolino. - Durante una lezione - chiesi - lei ha affermato che tutti i trapassati si reincarnano entro il quarantanovesimo giorno; com'è possibile che mio padre, morto nel 1989, possa ancora oggi darmi messaggi attraverso i sogni, che diventano premonitori? Il maestro mi fissò: - Per caso suo padre era un uomo aggressivo, che non aveva fede, che spesso bestemmiava? Ffissai il maestro sorpresa, poi risposi: - Mio padre non era cattivo, ma non aveva fede, si arrabbiava spesso con me e mia madre quando raccontavamo i nostri sogni premonitori, affermando che eravamo due pazze e che le nostre erano solo fantasie. Il maestro serio rispose: - Suo padre per i suoi errori è rimasto transitoriamente nello stato di spirito, deve riparare ai suoi debiti karmici e aiutare le persone che ama, come lei e la sua famiglia. Mi alzai in piedi: - Molto spesso mio padre, in sogno, mi ha rivelato cose che poi si sono realizzate. Non potevo sapere che i trapassati dovessero reincarnarsi tutti entro il quarantanovesimo giorno.- Già capisco - aggiunse il maestro - altrimenti sarebbe stato difficile spiegarsi come possa suo padre ancora oggi inviarle messaggi attraverso il sogno, se si fosse già reincarnato. Sorrisi felice e prima di uscire dal salotto dissi: - Con l'esperienza che ho nel campo, capivo che c'era un equivoco e sono venuta a chiarirlo. Grazie ! Buon giorno! Il maestro mentre uscivo: - Ha fatto bene, buon giorno anche a lei! Sul balcone, quando passai accanto ai due in attesa, ricambiai il sorriso: - Vi ringrazio di cuore! Buon giorno! QUINDICESIMO CAPITOLO LA MIA GUARIGIONE DA PARTE DI UN MAESTRO INDIANO Alle 18, 10 gli studenti sedevano nella posizione del fior di loto in meditazione. Dalle finestre la luce del sole illuminava l'interno del gompa. In lontananza si udivano alcuni latrati di cani e il miagolio di un gatto avvicinarsi e poi allontanarsi. Serena Jolanda ed io eravamo in profonda meditazione. Karen, seduta nella posizione del fior di loto, scandiva le parole al microfono dicendo: … Un altro modo, oltre le quattro Nobili Verità, per capire la natura sofferente del Samsara è meditare sulla graduale evoluzione dei Dodici Anelli Indipendenti, come il Guru Shakyamuni ci ha mostrato. Questo è rappresentato dal disegno simbolico della ruota della vita, chiamata anche i Dodici Anelli di origine dipendente. È tenuto nella bocca del Lord della morte, mostrando come tutti gli esseri umani che vivono nei sei reami del samsara sono controllati dalla non permanenza e morte. La ruota è anche tenuta dalle sue mani e piedi, simbolizzando gli esseri umani intrappolati dalla vera sofferenza e la causa di sofferenza - delusione e Karma…Mentre meditavo sulle parole di Karen, davanti agli occhi della mente vidi il volto di un affascinante indiano: un uomo sui cinquant'anni, con turbante e magnifica barba bianca, viso rotondo, occhi scuri, che mi sorrideva. Cambiò espressione, mi fissò serio e aprì la sua bocca come per fare ohoo!!! Intuii che il maestro indiano mi stava chiedendo di aprire la bocca, stupita l'aprii e subito sentii un leggero pizzicore sulla parte sinistra della gola infiammata, che all'improvviso non mi fece più male; il volto dell'indiano sparì con un sorriso. Stupita pensai : - Santo cielo, il mal di gola è sparito, l'indiano mi ha guarito! Rimasi a riflettere sulla guarigione dell'affascinante indiano, finché il colpo del gong che segnalava la fine della meditazione mi portò fuori da quella visione. Mentre uscivamo dal gompa, raccontai a Serena e a Jolanda la mia ennesima esperienza. - Avresti dovuto implorare l'indiano per il miracolo alla vista! - disse Serena seria. Jolanda insistette: - Già sarebbe stato meglio restare col mal di gola, ma vederci bene! - Non vi nascondo che la proposta gliel'ho fatta - confessai seria - ma poi mi sono vergognata, ho capito che il mio karma non mi permette quel miracolo. Salimmo le scale riflettendo in silenzio, poi Serena domandò: - Per quale motivo non dovresti meritarti il miracolo? - L'indiano ha voluto farmi capire che lui è intervenuto come provvidenza, perché ho generosamente offerto le mie medicine a chi ne aveva bisogno, senza pensare a me stessa. Entrammo nel corridoio e Serena ammise: - Interessante, chi aiuta gli altri , in realtà aiuta se stesso, ma tu non hai risposto alla mia domanda. Intanto Jolanda metteva la chiave nella toppa ed aprì la porta della stanza. - Ho accettato da sempre il mio handicap e non soffro per questo ammisi serena - ma credo che un miracolo, uno se lo deve guadagnare. Mentre entravamo nella stanza, Jolanda chiese: - Come, secondo te? - Impegnandosi ad aiutare il prossimo con amore - sentenziai - senza però aspettarsi nulla in cambio. Serena pensierosa andò a sedersi alla scrivania, poi disse: - Già, è così che si espia il proprio karma. - Jolanda si sdraiò sul suo letto dicendo: - Non solo, ma anche con il digiuno e la preghiera! - Brave, siete delle ragazze colte, quindi avete fatto bingo. - ammisi allegramente. Serena e Jolanda scoppiarono in una risata. Poi mi accostai alla porta: - Vado a bere un the caldo, ciao! Verso le 19,15 stavo costeggiando il tempio dei monaci, illuminandomi la strada con una torcia; mentre li udivo cantare, accompagnati da suoni di corni e cembali, raggiunsi il refettorio e mi accodai alla fila di persone che attendevano il loro turno per servirsi dal rubinetto della grossa tanica il the bollente. Nel refettorio, quasi pieno, tutti ridevano e discorrevano allegramente, mentre bevevano il loro the. Presi anch'io una tazza di ferro dal grosso paniere, aprii il rubinetto e la riempii; mentre stavo cercando un posto per sedermi, vidi Willy, Catherine, Marie e Alain seduti ad un tavolo che mi salutavano pieni di gioia. Li raggiunsi e mi sedetti accanto a Willy domandando: - Allora come va il digiuno? Catherine esclamò: - Speriamo di resistere fino in fondo! Willy aveva la barba incolta, gli occhi lucidi, ed era un pò raffreddato. - Willy, - domandai - ti vedo un pò giù, come mai? Bevve un sorso del suo the, poi brontolò: - Non sono abituato a questo tipo di vita, è troppo duro per me dovermi alzare alle cinque e trenta del mattino con le ginocchia indolenzite, e poi adesso c'è anche il digiuno! Bevvi un sorso del mio the, poi ridendo dissi: - Ma senti questo dormiglione, ho notato che spesso non ci sei alla meditazione del mattino. Willy serio sbraitò: - Già, io protesto, ma il mio corpo è stanco, quindi si ribella e non si alza. Catherine, Marie, Alain ed io scoppiammo a ridere divertiti, poi Marie esclamò: - Belle prospettive, per un cuoco aspirante monaco! Un'altra risata esplose intorno, mentre domandavo: - Willy, sei davvero un cuoco? - Si,- rispose Alain - fa il cuoco nel monastero di Nalanda! Fissai Willy per un attimo, poi ridendo ribattei: - Comunque sono convinta che, con i capelli rasati e una bella tunica bordeaux arancione, riusciresti a condurre molte anime dalle tenebre alla luce. Esplosero alcune risate, poi Willy concluse: - Vorrei tanto crederti, ma devi sapere che ho ancora molti dubbi che mi assillano.Alle 20,00, raggiungemmo il gompa per la sessione della sera, all'interno le tende coprivano le finestre e il tessuto in broccato giallo con ricami dorati brillava sotto le luci accese. Raggiungemmo il nostro posto, mentre gli studenti stavano terminando le prostrazioni al Buddha insieme a Karen. Una volta seduti nella posizione di meditazione, seguimmo in coro Karen che al microfono cantò per sette volte: - Om mani padme hum! Om mani padme hum! Om mani padme hum! Om mani padme hum! Om mani padme hum! Om mani padme hum!. Om mani padme hum! Finita la preghiera Karen ordinò: - Aprite il libro della preghiera a pagina settantaquattro e cantiamo in tibetano il mantra di Vajrasattva “Il potere del rimedio” per 21 volte. Tutti gli studenti aprirono il loro libro della preghiera alla pagina richiesta, poi Karen diede inizio al canto del mantra. Non potendo leggere lasciai il mio libro chiuso sul cuscino, mentre ascoltavo estasiata il coro; avevo gli occhi aperti, ero rilassata, guardavo gli studenti davanti a me; all'improvviso vidi, sopra ognuno dei loro libri, fluttuare il volto etereo di Vajrasattva (trasparente, con occhi a mandorla, rotondo, pieno di pace e dolcezza, sopra alla testa portava una corona dello stesso colore etereo, trasparente e bianco - azzurrino del volto). Sorpresa osservavo incredula, e pensavo: - Che meraviglia, probabilmente se mi giro a guardare nel lato opposto, l'incanto svanisce! Poi decisi di girarmi a guardare gli studenti nel lato opposto, la scena non cambiò affatto, vidi lo stesso volto di Vajrasattva che danzava lentamente sui libri della preghiera, perciò sussurrai estasiata: - Che spettacolo incantevole! - Alla fine della sessione tutta eccitata raccontai l'accaduto alle mie amiche che mi ascoltarono stupite. Poi io e Jolanda decidemmo di andare agli stupa ad accendere alcune candele. Ci illuminavamo la strada con la torcia, in un buio fitto che avviluppava tutta la collina e la valle, poi raggiungemmo le scale e ci avviammo agli stupa. - Cosa ha detto Franco a proposito delle notizie che ha ascoltato alla radio sul Nepal? - domandò Jolanda. - La tregua è finita, il governo nepalese ha dichiarato lo stato di emergenza in seguito alla serie di sanguinosi attentati che hanno causato la morte di circa trecento persone. Quando raggiungemmo gli stupa, nella lunga vetrina di fronte ardevano decine di candele colorate. - Ho sentito dire che i maoisti combattono anche nelle colline vicino al monastero! - brontolò Jolanda. Posai la torcia sulla lunga vetrina dove ardevano le candele, poi rassicurai: - Non ti preoccupare, per il momento non ho sognato niente di cui allarmarci.Jolanda sorrise; mentre estraevo dalla borsa sei candele gliene porsi tre affermando: - Prendi queste, sono per te! Jolanda felice le prese esclamando: - Grazie, ne offrirò una per la pace in Nepal! Mentre posavo le tre candele dentro la vetrina, dissi: - Già, preghiamo per la pace nel mondo e la felicità dell'umanità! Jolanda posò le tre candele accanto alle mie, dentro la vetrina, estrasse dalla tasca della sua giacca un accendino e le accese. Infine ci girammo verso gli stupa e a mani giunte pregammo sottovoce. Il ventisei novembre, alle 6.30, la luce del mattino entrava ad illuminare il gompa semibuio. Eravamo tutti in piedi, ad attendere l'arrivo di Karen che aveva alcuni minuti di ritardo; si udirono i sintomi influenzali di alcuni che starnutirono, altri che continuavano a soffiarsi il naso. Dalla porta sul piano rialzato, in fondo al gompa, apparve Karen che, in tutta fretta, andò a prostrarsi davanti al Buddha seguita dagli studenti. Finite le tre prostrazioni di rito, tutti si sedettero nella posizione del fior di loto. Mi girai verso il gruppo dei francesi e mi resi conto che erano presenti solo le donne e Francois nella sua posizione per la traduzione simultanea. Karen aprì il libro della preghiera ordinando: - A pagina ventuno. Poi ci osservò tutti, ed iniziò la preghiera in inglese: - May the supreme jewel Bodhichitta, that has not arisen, arise and grow; and may that which has arisen non diminish but increase more and more… Dopo di che Karen chiuse il libro, ne aprì un altro e continuò: - Bene, oggi mediteremo sul karma, ma prima di iniziare, riflettiamo un attimo su alcune sentenze; la prima è di Padmasambbava che ha affermato: “Niente esiste nel modo che appare, tutto dipende dal nostro Karma”. Karen ci osservò per un attimo, poi diede un'occhiata nel libro dicendo: - Najrjuna ha affermato: “Tutte le azioni del corpo, del discorso e della mente creati con un'intenzione d'ingordigia, d'attrito e d'ignoranza portano alla sofferenza. Tutte le azioni create invece con le intenzioni opposte, amore, compassione e saggezza, portano solo felicità”. - Lama Yeshe ha detto: “Più uno si convince della legge interiore di causa effetto, più energia prende per cambiare e migliorare se stesso e la sua vita” - Karen osservò tutti noi con occhi indagatori, poi aggiunse: - Ora vi spiegherò i quattro schemi del Karma: - 1) Il Karma basato su azioni virtuose porta alla felicità, non virtuose porta alla sofferenza. - 2) Le impronte karmiche aumentano; il risultato è più grande della causa. D'un tratto non udii più Karen, il mio corpo era immobile, gli occhi chiusi. Con il mio corpo etereo mi trovai all'improvviso all'interno di una grotta; ebbi la sensazione che la mia mente galleggiasse ai piedi di un gruppo di saggi seduti nella posizione del fior di loto: galleggiavo a pochi centimetri da terra; indossavano lunghe vesti, portavano lunghe barbe bianche e mi osservavano dall'alto in silenzio. Notai su piani di roccia rialzati nella grotta alcuni oggetti e libri antichi, poi tutto sparì all'improvviso. Aprii gli occhi, mi guardai intorno e pensai: - Ho la strana sensazione di essere volata con la mente nella frazione di un istante all'interno di quella grotta. Poi udii Karen concludere: - 3) Uno non sperimenterà mai il risultato di un Karma senza aver creato la causa. - 4) Le cause karmiche create non saranno mai perdute Karen per l'ennesima volta ci osservò tutti con spirito indagatore, poi con un colpo di gong chiuse la seduta di meditazione. Durante il pranzo io e Franco convincemmo Serena a venire con noi fuori dal monastero per andare a visitare un villaggio nella valle sottostante. Così aspettammo Franco di fronte al bar del monastero. Serena indossava un paio di pantaloni e corpetto blu con camicia bianca e portava sulle spalle uno zainetto, io invece un paio di pantaloni e corpetto neri con camicetta fucsia). Lei diede un occhiata all'orologio dicendo: - È mezzogiorno, ce la faremo a tornare per le quattordici in modo da non perdere la discussione coi francesi? Mentre ci raggiungeva Franco, sghignazzai: - Se non ci faranno fuori i maoisti, dovremmo tornare in tempo! Franco sorrise e Serena brontolò, mentre ci avviavamo all'uscita del monastero: - Tu scherzi, ma Mireille si è rifiutata di venire con noi al villaggio, affermando che Francois glielo ha sconsigliato, dicendo che era rischioso. - Io mi sento tranquilla! - ammisi serena. Franco rivelò: - Comunque vi do una buona notizia, in Afganistan i talebani sono vicini ad una resa totale. - Ah - esclamai felice - finalmente quei trogloditi sono stati sconfitti! - Serena e Franco scoppiarono in una risata, mentre uscivamo dal monastero per poi avviarci lungo la strada che scendeva a valle io ribattei: - Se non fossero dei trogloditi non ucciderebbero con tanta crudeltà, saprebbero interpretare il Corano nella maniera giusta, e non si permetterebbero di fare il lavaggio del cervello a degli ignoranti che poi si trasformano in kamikaze.Il sole splendeva sul magnifico paesaggio illuminando le alte vette piene di neve dell'Himalaya. Il mio sguardo spaziava lontano fra campagne e terrazze, costellate di casette e campi verdi, dai contorni poco chiari a causa dei miei problemi alla vista. Quando raggiungemmo la valle sottostante, ci incamminammo lungo una strada polverosa, sul cui bordo osservammo una casetta con il tetto ad angolo acuto, un piccolo portico di legno, un'aia davanti al portico, un orto con grandi verdure. Sotto il portico due donne setacciavano il grano chiacchierando tra loro, una culla di bambù dondolava all'ombra. Sull'aia era disteso il raccolto dove alcuni bambini scorrazzavano, dietro la casa stava immobile un bufalo nero. Mentre noi camminavamo lungo la strada polverosa e piena di buche, si udirono echeggiare tra le colline le raffiche di un mitra, al che Franco esclamò: - I maoisti si danno da fare anche di giorno! - Alla radio non hanno detto che i guerriglieri attaccano soltanto durante la notte? - domandai io curiosa. - Come hai sentito, - rispose Franco sorridendo - qualcuno si fa notare anche di giorno! Intanto proseguivamo accanto alle terrazze sulle quali si vedeva spuntare qualche filo verde. Mezz'ora dopo raggiungemmo un piccolo ponte che attraversava un torrente, ci appoggiammo alla ringhiera ad osservare alcune donne e uomini che lavavano accuratamente due bufali sdraiati in mezzo alla corrente, poi li risciacquavano con acqua pulita finché i loro mantelli non divennero di un nero splendente. I due bufali avevano uno sguardo placido e dolce. Poco più sopra due donne, che indossavano sari colorati, lavavano i panni e li stendevano sulle pietre al sole, mentre alcuni bambini sguazzavano nudi nelle acque del fiume. - Che spettacolo, - esclamai colpita - mi sembra di essere tornata indietro nel tempo! - Già - sbraitò Serena - se non fosse per la minaccia dei maoisti che incombe, sarebbe un paradiso. Riprendemmo a camminare e ci avviammo per una strada in salita, che portava ad un villaggio su una collina. Giunti sulla collina ci inoltrammo lungo le strette vie del villaggio, aggirandoci fra le case di pietra, dove donne affaccendate in sari colorati levavano il capo sorprese al passaggio di noi tre stranieri; quasi ogni casa aveva un vitello davanti alla porta; cani pacifici erano sdraiati al sole; da un interno ci giunse il rumore di un telaio, dalla finestra si vedeva un uomo girare a mano una ruota e un lungo filo di lana si dipanava nella stanza scura. La viuzza si aprì su uno spiano dove troneggiavano grandi covoni tra cui becchettavano galline e pulcini; due vecchiette rugose e sdentate sorridevano, poi con le mani giunte esclamavano in coro al nostro passaggio: - Namaste! Noi ci inchinammo con le mani giunte e ripetemmo all'unisono il saluto: - Namaste! - Franco - dissi - mi pare che mi hai detto che Namaste significa “Saluto il dio che è in te!” Giusto? - Certo! - rispose Franco sicuro di sé. - È ammirevole udire un saluto così profondo da gente tanto semplice.ammisi stupita. Serena rispose, mentre entravamo in una grande cortile comune: - Credo sia un saluto che deriva dalla loro religione induista. Nel grande cortile comune le case erano antiche, sbiadite, ma l'insieme era accogliente e pieno di vita; mi sembrava di entrare in una scena ben fatta di un film sul Medio Evo. C'era la piccola statua di un dio indù, scura, molto consunta, con qualche traccia di giallo zafferano e rosso; sullo schienale era accovacciata un'anatra, altre passeggiavano in fila. Accanto a un altro piccolo tempio alcuni bufali. Due bambine attingevano acqua alla fontana, una donna filava davanti a casa, su un vecchio telaio all'aperto. Ad una porta comparve una ragazza con un sari colorato, un'altra si affacciò a una finestra incorniciata da legno scuro traforato con arte. Dentro un grande catino una mamma versava da una brocca lucente l'acqua con cui lavava un bambino. Serena ed io scattammo una foto, allora il bimbo e la donna risero felici, poi dissi: - Dai volti delle donne e dei bambini traspaiono una tranquillità e una gioia inimmaginabili. - Sono poveri - rispose Serena - ma felici! Raggiungemmo un piccolo tempio di fronte ad un grande albero e osservammo un vecchio e un bambino sulla porta del tempio di Shiva che esclamarono giungendo le mani: - Namaste! Anche noi giungemmo le mani e, inchinandoci, ricambiammo il saluto incantati. Dalla valle, dalla parte di Kathmandu, giunse l'eco dì una raffica di mitra. Franco serio esclamò: - I maoisti stanno sparando contro il Medio Evo! Infine ci avviammo lungo la strada del ritorno al monastero di Kopan. SEDICESIMO CAPITOLO MESSAGGIO PER SERENA, JOLANDA E WILLY DAL MIO MAESTRO INTERIORE Il ventotto novembre, alle 5.40 del mattino, osservavo dalla finestra i bagliori dell'alba illuminare il cielo nero tra i soliti canti e recitazioni dei mantra accompagnati da suoni di corni e cembali, che echeggiavano intorno. Intanto Serena indossò dei pantaloni verdi con un maglione bianco e mise a scaldare l'acqua per il caffè solubile. Mi tolsi la camicia da notte e indossai pantaloni bianchi con maglione rosso a ricami bianchi, poi mi misi a fare il letto: - Ho un messaggio per te, Jolanda e Willy da parte del mio maestro interiore. Serena sorpresa sghignazzò: - Da quando in qua hai il maestro interiore? - Se è per questo ce l'abbiamo tutti! Serena ridendo domandò: - Come mai che il mio non si fa vivo? Risi di gusto, poi risposi: - La sera, quando vai a letto, dovresti provare a contattarlo. Però devi stare attenta perché spesso le risposte provengono anche da fonti maligne o dalle tue illusioni. - Spiegami come devo fare - domandò Serena curiosa - a cogliere solo il messaggio del mio maestro. Finii di fare il letto, mi sedetti sulla poltrona di vimini e risposi: - All'inizio devi rilassarti, poi gli farai delle domande, vedrai che prima o dopo, sempre che tu riesca a rilassarti davvero, ti risponderà con delle immagini. Serena stupita mi porse una tazza di caffè, esclamando: - Interessante! - Quando avrai stabilito un contatto e saprai rilassarti bene, vedrai che sarà lui ad inviarti i messaggi, se lo riterrà opportuno. Serena si sedette alla scrivania, sorseggiò il caffè pensierosa, poi chiese: - Ma come fai a capire che il messaggio non arriva da fonti maligne o dalle tue illusioni? - Ci vuole molta esperienza e pazienza. All'inizio sarebbe bene che tu ti scriva le immagini che ti vengono trasmesse e ci creda solo quando si realizzano. Serena sbraitò nervosa: - Accidenti, non è mica facile! - Niente è facile nella vita, ma quando avrai imparato a purificare i tuoi pensieri, il maligno e le illusioni saranno eliminate, le risposte verranno solo dal tuo maestro spirituale. - Il tuo maestro interiore - domandò Serena - che messaggio ti ha dato per me? - Mi ha fatto vedere che tu scendevi le scale! - Che cosa significa? - domandò preoccupata. - Scendere le scale indica che, se non fai attenzione, andrai incontro a problemi di salute. Poi udimmo dei passi in corridoio, entrò Jolanda e Serena sghignazzò: - Jolanda, Elisabetta ha un messaggio per te, dal suo maestro interiore. - Qual è il messaggio? - chiese Jolanda curiosa. - Nell'immagine che mi ha inviato - spiegai - tu tenevi un cane nero al guinzaglio, quindi significa che sai controllare i tuoi istinti negativi. Complimenti! Jolanda raggiante di felicità esclamò: - Ringrazia il tuo maestro per me. Ma come fai a interpretare così bene le immagini che ti manda? - È il frutto di molti anni di riflessione, studio ed esperienza sui messaggi che mi ha inviato per mezzo delle immagini. - Jolanda, ti prego - sghignazzò Serena - vedi di non farti sfuggire quella bestia dal guinzaglio. Serena e Jolanda esplosero in una risata fragorosa. - C'é poco da sghignazzare - brontolai - ricordatevi che quando siamo pronti, la verità viene da dentro di noi. Mi alzai in piedi ed uscii dalla stanza concludendo: - Vi saluto bambine, vado a prendermi un latte caldo. Alle 6,20, quando entrai, il refettorio era quasi vuoto. Presi una tazza di ferro dal grande cesto, mi avvicinai al bollitore d'acqua, la riempii aggiungendovi del latte in polvere. Quando andai per sedermi ad un tavolo, vidi Willy che mi faceva segno di andare a sedermi al suo tavolo di fronte alle finestre; mentre lo raggiungevo, lo scampanellio della campanella che ci chiamava per l'ora della meditazione risuonò nel refettorio. Io mi sedetti di fronte a Willy ricordandogli: - Dobbiamo muoverci se vogliamo arrivare in tempo per la seduta di meditazione! Poi notai che Willy era trasandato, con la barba lunga, gli occhi stanchi e infossati, e per giunta anche raffreddato. - Elisabetta - rispose Willy con voce rauca - non sto bene, ho anche il mal di gola e non ho la fortuna di trovare un maestro indiano che mi guarisce. Sorrisi, posai la tazza sul tavolo e cercai delle pastiglie per la gola nella mia borsa, che donai a Willy dicendo: - Grazie all'affascinante maestro indiano mi sono rimaste queste caramelle per il mal di gola, che ora serviranno a te. Willy le prese felice - Fantastico, della buona causa effetto creata dal guru indiano raccolgo i frutti anch'io. Rimanemmo soli nel refettorio, le luci si spensero, la sala venne illuminata dalle luci dell'alba che entravano dalle finestre. Diedi un'occhiata all'orologio da polso e per l'ennesima volta brontolai: - Siamo in ritardo per la meditazione! - Non me la sento di andare - rispose Willy serio - ti prego, rimani qui e parlami delle tue vite precedenti, come mi hai promesso. Bevvi un sorso del mio latte: - Senti Willy, stanotte ho avuto un messaggio per te dal mio maestro interiore. - Racconta! Sono curioso. - Nella visione, tu salivi tentennando su per una scala pericolante, ma poi raggiungevi una scala di cemento armato ed entravi in un tempio. - Che significa? Bevvi ancora un pò di latte, poi spiegai: - La prima parte della visione rispecchia la tua situazione momentanea, cioè l'indecisione, aggravata dai problemi di salute, dal digiuno, ... Willy impaziente domandò: - E la seconda parte del messaggio? - Salire in cima alla scala di cemento e entrare nel tempio sulla collina significa raggiungere il tuo scopo. Willy sorrise felice, poi domandò: - Intendi dire che abbatterò tutti i dubbi e infine diventerò monaco?- Il messaggio è chiaro - ammisi - i tuoi dubbi derivano dall'insicurezza provocata dalla tua debolezza fisico-mentale attuale e dalle varie difficoltà aggiunte. Willy raggiante di felicità, si alzò in piedi: - Interessante! Ma ora mi sento stanco, devo andare a stendermi sul letto.Mi alzai in piedi e, mentre ci avviavamo all'uscita, Willy chiese: - Elisabetta, hai veramente ricordato alcune delle tue vite precedenti? Mentre raggiungevamo l'uscita, risposi: - Veramente non le ho ricordate, ma le ho sognate. Willy curioso interrogò: - Interessante, ma come fai a riconoscere una vita precedente in sogno? All'uscita ci appoggiammo un attimo alla osservavamo la valle che s'illuminava, risposi: balaustra e, mentre - È molto semplice, di solito in sogno hai un corpo femminile o maschile diverso da quello attuale, ma dentro di te sai con certezza che dentro quel corpo ha abitato il tuo spirito. Riprendemmo a camminare in silenzio, poi Willy esclamò stupito: - Straordinario! Scendemmo le scale, mentre Willy domandò: - Posso chiederti quante vite precedenti hai sognato? Mentre raggiungevamo il piazzale che dava sulla valle, risposi: - Come minimo una dozzina! Ci avvicinammo alla balaustra che dava sulla valle. - Posso sapere alcuni dei periodi in cui sei vissuta? - All'età della pietra ero un uomo molto robusto e selvaggio, ho poi vissuto due vite nel periodo romano, in una delle quali ero una schiava, nell'altra la moglie di un ricco mercante…In quel mentre si udirono alcune raffiche di mitra echeggiare nella valle. Willy brontolò: - Santo cielo, i maoisti si stanno avvicinando! Fissai Willy affermando: - Spero che questi maoisti abbiano il buon senso di non attaccare il monastero. Willy mi fissò serio: - Scusami ma mi sento così stanco che bisogna che vada a riposarmi. Rimasi ad osservarlo mentre si allontanava con passo stanco, poi mi sedetti sul muretto di fronte alla valle ad ammirare il sole che spargeva i suoi raggi colorati all'orizzonte accompagnato dai misteriosi canti e suoni che provenivano dal gompa dei monaci. Alle 8.30, iniziò la lezione. Noi studenti eravamo tutti intenti ad ascoltare il Venerabile Neil che si agitava sul trono affermando al microfono: - La vita è sofferenza, anche quando siamo felici sappiamo che la cosa non durerà a lungo e quindi non siamo contenti del tutto. Tutti siamo alla ricerca della felicità. Questa non si trova in un'auto nuova, un nuovo abito, una nuova moglie o al supermercato. Ci aspettiamo troppo da queste cose e dopo un pò ci deluderanno come le precedenti. Il buddismo, a differenza delle altre religioni, ha un metodo per la ricerca della felicità: la saggezza che dà il giusto valore alle cose grazie al fatto che possiamo vedere la loro vera natura di non permanenza. Per il principio di causa effetto tutto ciò che nasce o si crea è destinato a morire o finire. Quindi, come prima regola, non dobbiamo affezionarci troppo alle cose, alle persone, a noi stessi. Pensiamo invece a coltivare la nostra mente sottile che resterà dopo la morte. Per metterla in luce e permetterle di esprimersi bisogna meditare per cercare di controllare la mente grossolana, la “scimmia ubriaca” dei nostri pensieri, e farla tacere. È davvero imbarazzante e frustrante che noi, che ci consideriamo fini intelletti, capaci di studi difficili, di usare il computer ecc., non riusciamo a meditare più di tre minuti senza che ci si affaccino alla mente mille pensieri sciocchi. Il lavoro dell'anima in meditazione consiste nel renderla tanto positiva da impressionare la mente e in tal modo condurre l'uomo a uniformarsi al piano eterno. Quindi meditiamo sul Dharma, sulle vite precedenti che qualcuno ricorda, sulla morte e su ciò che verrà subito dopo per non essere impreparati. Il maestro ci osservò per un attimo, diede un'occhiata al suo orologio da polso, poi disse: - Bene, abbiamo pochi minuti per alcune domande, prego! Mentre il maestro attendeva qualcuno che facesse una domanda, Serena sotto voce mi chiese: - Elisabetta, ti è mai capitato che il maestro, mentre faceva lezione, rispondesse a una domanda che ti eri fatta mentalmente in quel momento? - Certo, alcune volte e sono arrivata a pensare che il Venerabile Neil riesca a leggere nel pensiero. Serena sorrise divertita, poi rispose: - Non ci crederai, ma è quello che ho pensato anch'io! Intanto Franco seduto sulla sedia in fondo vicino al muro, alzò la mano e il maestro esclamò: - Prego! - Vorrei, se fosse possibile, fare una domanda non attinente con la lezione di oggi! - Mi dica - esortò il maestro. - Mi sono chiesto spesso per quale motivo molti si prostrano davanti al Buddha, quando credo che egli non si aspetti questo da noi. Il maestro rispose: - Vede, la prostrazione non si fa al Buddha, ma al suo insegnamento, al Dharma.Il maestro diede un'occhiata all'orologio e disse: - Bene, é l'ora di pranzo, terminiamo con la recitazione della preghiera dell'offerta del cibo. Tutti aprirono il libro della preghiera e, mentre recitavano, mi preparai per uscire. A mezzogiorno, all'uscita del refettorio stavo aspettando Serena che si era intrufolata tra un gruppo di persone che stavano leggendo un foglio in inglese appeso alla bacheca. Quando Serena uscì dal gruppo, vidi Franco che le stava andando incontro. - Serena - esordì Franco - hai letto le notizie dell'ambasciata americana? Mentre uscivamo dal rumoroso corridoio, dove si udivano il rumore di piatti, cucchiai e gente che parlava provenire dal refettorio, Serena preoccupata rispose: - La situazione si sta aggravando, purtroppo, anche a Kathmandu! Franco brontolò: - Già, i ribelli maoisti hanno distrutto una fabbrica di coca-cola, assalito due emittenti radio televisive e due caserme, provocando morti e feriti.Riflettevo in silenzio preoccupata, mentre ci avviavamo verso la collina della preghiera. - Che peccato! - esclamò Serena addolorata. - Elisabetta - domandò Franco - lo sai che hanno dato il permesso di telefonare a casa, per tranquillizzare i parenti, che probabilmente saranno in allarme dopo le notizie sulla guerriglia in Nepal? - Si, grazie! Questa sera telefonerò a mia madre. Mentre camminavamo intorno alla collina, Franco domandò: - Allora, domani andiamo con Willy e Denis a Boudhanath a comprare le pillole preziose che fanno i monaci a Dharamsala in India? - Si! Si! Andiamo! - risposi eccitata. - Ma se andiamo, siamo costretti a marinare la seduta di discussione! brontolò Serena. - Willy ha già chiesto il permesso anche per noi a Francois! - rispose Franco sorridendo. - Fantastico - conclusi - con queste belle giornate di sole ci farà bene una bella camminata fino a Boudhanath. Alle tredici, quando entrammo in infermeria, Serena mi misurò subito la pressione, poi mi fissò preoccupata brontolando: - Insomma , sei sull'orlo di un collasso, devi riprendere a mangiare, è la seconda volta che ti provo la pressione, ce l'hai sempre a settanta, e la minima non si vede. Mi tirai giù la manica del maglione affermando: - Figurati, adesso faccio come te e Franco che vi scambiate le merendine di nascosto con l'aria di cospiratori carbonari. Serena scoppiò a ridere divertita, poi sghignazzò: - Questa battuta non è tua! Risi divertita, poi ammisi: - Ci credo bene che non è mia, ti ho sentito che la dicevi a Franco, mentre ti passava delle barrette energetiche.- Elisabetta - ribatté Serena - non sto scherzando, stai rischiando di brutto! Mi misi a spolverare uno scaffale affermando: - Guarda che mi sento appena un pò intontita e mi chiedo come mai, perché, se avessi fatto un digiuno a casa, a quest'ora avrei terribili giramenti di testa. In quel mentre entrò una giovane monaca, di circa vent'anni, alta, magra, rasata a zero, dagli occhi chiari, che teneva fra le mani un lungo rosario di turchese e borbottò seria: - Scusate, ho trentanove di febbre e mal di gola. - Serena prese un vaso dallo scaffale, lo mise sulla scrivania, ne estrasse delle pillole che mise in un fazzoletto di carta, poi gliele diede affermando: - Ingerisci tre pillole dopo i pasti principali, finché le hai finite. Smisi di spolverare lo scaffale e domandai: - Sei svedese, vero? La monaca annuì sorridendo. Serena domandò: - Da quanti anni manchi da casa?- Da tre anni - rispose la monaca - da quando sono rimasta colpita dagli insegnamenti del Buddha, quindi sono diventata monaca. - Mi chiedo come possano aver reagito i tuoi genitori di fronte alla tua scelta - interrogai curiosa. La monaca sorrise, poi rispose: - Veramente ho informato mia madre solo dopo. - Oh, santo cielo - esclamò Serena - e come ha reagito di fronte al fatto compiuto? - Ho telefonato dicendo:“Mamma, indovina che cosa ho fatto?” e lei mi ha risposto che, qualunque cosa avessi fatto, poiché si trattava di una mia scelta, andava bene. Serena colpita aggiunse: - Carina tua madre, probabilmente un'altra si sarebbe arrabbiata. - Sapete - spiegai - anche Karen venne al monastero con il fidanzato e fu attratta dal Dharma, lasciò il fidanzato e si fece monaca. - Pare che molti monaci siano accomunati dallo stesso destino, poiché anche il Venerabile Neil ha raccontato che andò in un monastero per dissuadere un amico dal diventare monaco, ma rimase folgorato dagli insegnamenti. - Già - suggerii - il Dharma ha un grande potere, anche Willy è andato al monastero per fare il cuoco, e adesso è un aspirante monaco. In quel mentre entrarono tre monaci bambini, andai loro incontro, uno di essi aprì la bocca indicandomi un dente che gli doleva, mentre gli altri due lo avevano semplicemente accompagnato. La monaca se ne andò ringraziando e noi ci occupammo dei tre fanciulli. Dopo la lezione del pomeriggio, verso le 17,00, entrai nell'ufficio del telefono: sotto la finestra c'era una poltrona ricoperta di broccato arancione con ricami in oro, di fronte una scrivania, dove un monaco stava lavorando ad un computer, alle pareti alcune immagini sacre, di fronte all'entrata in fondo all'ufficio una tenda gialla con tre rombi rossi in perpendicolare. - Mi scusi - domandai - posso fare una telefonata in Italia? Il monaco mi indicò la tenda affermando: - Prego signora, si accomodi dietro quella tenda! Entrai, mi sedetti davanti al telefono e osservai con interesse il bellissimo mandala dai colori sgargianti appeso alla parete, poi alzai la cornetta e digitai un numero. Dopo alcuni squilli mia madre rispose: - Pronto! - Ciao mamma, come stai? - Che sorpresa, mi avevi detto che avresti telefonato solo il cinque di dicembre dopo l'uscita dal monastero. - Hai ragione, di solito non si può telefonare dal monastero, ma poiché al momento in Nepal ci sono focolai di guerriglia, volevo dirti di non preoccuparti, perché io sono al sicuro. - D'accordo! Sai, ho sognato che lavoravi nel monastero: tutti affermavano che eri brava, ma stai davvero lavorando? - Si - dissi sorridendo - sto facendo un pò di volontariato all'infermeria con Serena .- Sei davvero brava allora! - Mi raccomando - aggiunsi - se senti delle notizie sulla guerriglia in Nepal, non allarmarti, perché se dovesse aggravarsi, torno a casa. Ti abbraccio, ciao! Mmiia madre concluse: - Ti abbraccio anch'io, a presto! Riattaccai sorridendo, pagai la telefonata al monaco e me ne andai a fare una passeggiata sulla collina, donde ammirai uno splendido panorama, poi mi sdraiai sul prato verde ad osservare centinaia di bandierine della preghiera multicolori sventolare al vento contro un sole pallido. Quella sera, alle 21,00, Jolanda ed io decidemmo di andare a fare una passeggiata prima di andare a letto; quando raggiungemmo la ruota della preghiera ci girammo intorno tre volte pregando sotto voce l'Om Mani Padme Hum, accompagnate dallo strimpellare della campanella che alla fine di ogni giro suonava. Mentre passeggiavamo sotto le mura del gompa dei monaci, udimmo le loro urla e grida in dibattito. - Jolanda - domandai - ti andrebbe di salire al gompa ad osservare i monaci in dibattito? Jolanda s'avviò direttamente su per le scale che portavano al piazzale del gompa affermando: - Andiamo pure, ma dovremo accontentarci di osservarli, poiché il dibattito sul Dharma lo fanno nella loro lingua. - Interessanti questi dibattiti - ammisi - una maniera intelligente per imparare l'uno dall'altro l'insegnamento del Buddha. Infine ci trovammo di fronte a decina di gruppi di monaci che, gridavano, urlavano, ridevano, discutevano, gesticolavano ecc.; alcuni erano seduti per terra nella posizione del fior di loto, altri in piedi. Jolanda mi indicò un gruppo dicendo: - Se osservi quel gruppo, ti accorgerai che qualcuno fa la domanda e il più preparato risponde per primo. - Immagino che - osservai - se qualcuno dà una risposta sbagliata, gli altri intervengono e discutono sull'errore. - - Una maniera molto efficace per imparare in fretta e memorizzare i testi sacri - concluse Jolanda. DICIASSETTESIMO CAPITOLO LE PILLOLE PREZIOSE Il ventinove novembre, verso le 12,30, Serena, Franco,Willy, Denis ed io scendemmo a piedi giù per la collina di Kopan e, dopo una lunga passeggiata su una strada piena di buche, raggiungemmo Boudhanath. Poiché dovevamo andare a comprare delle pillole preziose all'Hotel Tibet, dove c'era una farmacia che vendeva solo medicine tibetane, girammo attorno alle mura dello stupa ed uscimmo su una strada laterale piena di traffico rumoroso. Quando entrammo, la farmacista ci informò che, se eravamo interessati, c'era anche il medico tibetano che visitava e faceva la prescrizione. Quando decidemmo di farci fare la visita, ci distribuirono dei numeri per entrare uno alla volta. Poiché io e Willy eravamo gli ultimi, egli mi chiese di entrare con lui per fargli da interprete. Quando entrammo, la dottoressa ci stupì, perché attraverso i battiti del polso di Willy diagnosticò i suoi problemi di salute, che egli stesso confermò e altrettanto fece con me quando venne il mio turno. Quindi, oltre alle pillole preziose, ci prescrisse anche delle medicine. Quando uscimmo dalla farmacia, ci avviammo lungo la strada rumorosa e trafficata da pedoni e automobili che suonavano il clacson senza controllo; appena raggiungemmo l'entrata dello stupa di Boudhanath, domandai a Willy: - Quando tu sei uscito dall'ambulatorio, la dottoressa mi ha assicurato che le pillole preziose fanno molto bene, è vero? - Certo - rispose Willy - però devi ricordarti che vanno preparate in una notte di luna piena e si beve l'intruglio un'ora prima dell'alba, dopo aver recitato un mantra. - Interessante! - esclamai affascinata. Serena spiegò: - Nelle indicazioni c'è scritto che si schiacciano e, dopo averle messe in un piccolo recipiente, si aggiunge un pò d'acqua bollente e poi si copre. - Ricordatevi che le pillole preziose vanno schiacciate al buio, e ricoperte, perché non devono vedere la luce - disse Denis. - Misteriose queste pillole - disse Serena - sono più laboriose dell'intruglio di una strega! Una risata esplose intorno, mentre ci fermavamo davanti alla strada trafficata, ad osservare l'arco della porta di Boudhanath di fronte a noi: c'erano disegni del Buddha, del fior di loto e di animali sacri multicolori in rilievo. Al di là della porta emergeva in lontananza lo stupa bianco con un pinnacolo dorato che brillava sotto il sole del pomeriggio, tra centinaia di bandierine della preghiera che danzavano al vento. Infine Denis fermò il traffico e ci fece attraversare la strada, quindi passammo sotto la splendida porta e raggiungemmo il grande stupa, dove i turisti nepalesi si fermavano a mercanteggiare, nei vari negozi; alcuni bambini giocavano allegri , mentre altri facevano girare le centinaia di ruote della preghiera che circondavano le mura dello stupa, fra note di musiche sacre che echeggiavano. - Andiamo a bere qualcosa nel piccolo bar sotto lo stupa? - domandò Denis. Franco seguì Serena che si allontanò dicendo: - Noi dobbiamo comprare qualcosa, ci incontriamo alle quattordici e trenta sotto l'arco, così torneremo al monastero tutti assieme in taxi. Seguii Willy e Denis che si avviarono intorno allo stupa. Poi Denis entrò in un negozio stretto dove vendevano delle bibite; mentre noi attendevamo fuori, Denis prese in mano una coca cola e domandò: - Vi offro io da bere, cosa volete? Willy ed io esclamammo: - Coca-cola, grazie! Denis uscì con tre bottiglie di coca cola aperte e ce ne offrì una a ciascuno. Dopo aver pulito la bottiglia con un fazzoletto, bevemmo. Mentre bevevo vidi due bambini scalzi, sporchi e vestiti con pantaloni corti e maglietta sudicia: uno di circa sette anni, l'altro più o meno di cinque, che fissavano la coca cola, con le mani sui fianchi,; smisi di bere e domandai: - Volete una bibita? Essi annuirono seri, passai la bottiglia della coca-cola quasi piena al più piccolo dicendo: - Un pò ciascuno, ok! Il piccolo bevve avidamente, poi passò la bottiglia al più grande che ingurgitò il resto della bibita in un secondo, poi domandò con una mano tesa: - Money! Money!! Mossa da compassione, aprii la borsa e offrii a ciascuno di loro dieci rupie, di colpo strapparono il denaro dalle mie mani con avidità, sorrisi, seguii gli amici che intanto si erano allontanati. Mentre li raggiungevo, sentii qualcuno che mi tirava il maglione; quando mi girai, vidi il bambino più grande che mi fissava gridando: - More money! - Sorry, no more! - esclamai severa. Mentre noi osservavamo stupiti il ragazzo che insisteva seguendoci con la mano tesa, arrivò anche il piccolo che brontolò allungando la mano: - Money! Money ! Money! Noi scoppiammo in una risata fragorosa, che non intimidì i due bambini. Denis sghignazzò: - Ho paura che, se non gli diamo altro denaro, non molleranno l'osso. Willy e Denis donarono alcune monete a ciascuno, poi andammo all'appuntamento con Franco e Serena e ritornammo sulla collina di Kopan in taxi. Il trenta novembre, alle 8.30, dall'interno del gompa vedevo un cielo luminoso, con un vento leggero che soffiava tra i rami degli alberi che danzavano dolcemente, mentre i raggi del sole irradiavano l'interno del gompa. Intanto gli ultimi studenti arrivarono in tutta fretta, si tolsero le scarpe ed entrarono, mentre il maestro stava annunciando: - Sono spiacente di dovervi informare che, purtroppo, Lama Thubten Zopa Rinpoche non può tornare al monastero come vi era stato promesso. Un coro di proteste echeggiò intorno, poi il Venerabile Neil disse: - Bene, per ottenere velocemente tutte le realizzazioni nel sentiero verso l'illuminazione, si incomincia con il generare la Bodhicitta e, per farlo, prima di tutto si deve riconoscere ogni essere senziente come nostra madre. Proprio perché la natura della mente è senza fine, la trasmigrazione involontaria del ciclo di nascita e morte causato dall'ignoranza è senza fine e le nostre vite precedenti non si contano; è necessario fare uno sforzo per spezzare questo ciclo infinito di sofferenza, morte e rinascita, meditando sulle qualità che genereranno il Bodhicitta e metterle in pratica. Una volta maturata la motivazione altruistica che aspira a liberare tutti gli esseri dalla sofferenza, si mediterà sulle qualità del Bodhisattva: letteralmente, colui la cui coscienza è diventata intelligenza o buddhi; colui al quale manca solo un'incarnazione per divenire buddha perfetto. Una volta messe in pratica, ci si impegnerà a ottenere l'illuminazione, unicamente per liberare tutti gli esseri senzienti dal samsara. Meditando sulle qualità del Buddha e messele in pratica, si diventerà un risvegliato, un essere completamente illuminato che ha superato tutti i difetti mentali e ha realizzato l'onniscienza unita all'infinita compassione. Il Venerabile Neil ci fissò tutti con sguardo indagatore, poi muovendosi e gesticolando dal suo trono ammonì: - Mi pare che, per raggiungere l'illuminazione e diventare un Buddha, ci sia una mole di lavoro infinito da portare a termine sul lungo sentiero, quindi vi auguro un buon lavoro e vi invito a non perdere tempo e a mettervi immediatamente all'opera fin da ora, auguri! Noi studenti scoppiammo in una risata fragorosa, per l'enfasi con cui il maestro aveva dato il suo messaggio. Allora il Venerabile Neil rimase un attimo in silenzio e ci osservò con sguardo severo, perciò noi scoppiammo in un'ennesima risata; il maestro sorpreso sorrise divertito, poi chiuse il libro e affermò: - Ora, se ci sono domande, sarò lieto di rispondere. Alle 13.50, Serena ed io girammo intorno alla collina salendo su per la scala che portava in cima. - Non mi sento bene oggi - esordì Serena - dovrò misurarmi la pressione, forse è aumentata. Mi fermai a metà scala raccontando: - Questa notte il mio maestro interiore mi ha mostrato che stavo in piedi su un precipizio! - Ti sta avvisando che, se non fai qualcosa, precipiterai nel vuoto brontolò Serena. Mi girai e diedi un'occhiata al panorama, poi risposi: - Tra alcuni giorni il digiuno è finito! Mentre riprendevo a salire, Serena affermò: - Stanotte ci sarà la luna piena, quindi prepareremo l'intruglio con la pillola preziosa. Mentre raggiungevamo la cima della collina, risposi: - Hai letto che strani ingredienti contengono quelle pillole preziose? - Si, mi pare che ci siano oro purificato, estratto di turchese e di perla, e tra erbe e minerali cinquanta ingredienti diversi. - Sarà meglio avvisare Jolanda - dissi - nel caso che domani mattina ci scopra a dare i numeri. Scoppiammo in una risata, mentre raggiungevamo la collina e ci sedevamo sul prato verde sotto un pallido sole ad attendere il gruppo dei francesi per la discussione. Poco dopo il gruppo dei francesi, incluso Franco, si sedette in cerchio sul prato accanto a noi, sotto centinaia di file di bandiere della preghiera, che sventolavano spinte da un leggero vento, sotto un sole pallido ma tiepido. Una leggera foschia invadeva la valle sottostante. Francois disse: - Allora, chi vuole dare inizio alla discussione? Presi dalla borsa un libro dicendo: - Che ne direste se ognuno di noi leggesse dal Dhamma-Pada un versetto della Legge? Mentre un coro di urla e grida di consenso echeggiavano intorno, Francois ci osservò tutti e acconsentì affermando: - D'accordo! Mi alzai e passai il libro ad Alain affermando: - Voglio dare la possibilità al più timido del gruppo di dare inizio alla lettura. Mentre il gruppo gridò e urlò eccitato, Alain con un timido sorriso aprì il libro, sfogliò alcune pagine, poi cercando di nascondere l'emozione, lesse: - “Egli mi ha ingiuriato, egli mi ha vinto, egli mi ha derubato”: coloro che accolgono tali pensieri, in costoro l'odio non si placa. Noi tutti applaudimmo eccitati, mentre Alain passò il libro a Willy che lesse: - “Egli mi ha ingiuriato, egli mi ha battuto, egli mi ha vinto, egli mi ha derubato”: coloro che non accolgono tali pensieri, in costoro si placa l'odio. Willy passò il libro a Frank: - L'attenzione è il sentiero conducente all'immortalità, la distrazione è il sentiero della morte; gli attenti non muoiono, i disattenti sono già come morti. Mireille: - Costoro che sono esperti nell'esercizio dell'attenzione, avendo ciò chiaramente riconosciuto, gioiscono di essere attenti, rallegrandosi di appartenere agli eletti. Marie: - Cresce la gloria dell'uomo attento, che ha realizzato se stesso, che è raccolto in sé, le cui azioni sono pure, che opera con ponderazione, che vive continente e secondo la Legge. Serena: - Mediante l'elevazione interiore, il controllo e il dominio di sé, il saggio edifichi un'isola che l'alluvione non sommerga. Serena mi fissò sorridendo poi mi tirò il libro che mi cadde sulle ginocchia, lo sfogliai e lessi con una lente d'ingrandimento: - L'uomo accorto, allorché con l'attenzione scaccia la disattenzione, salito sull'alta terrazza della saggezza, sereno, contempla gli stolti, gente turbata dal dolore, come chi è salito in cima alla montagna guarda la gente giù in pianura. Passai il libro a Franco che era seduto accanto a me dicendo: - Franco, fatti onore! Esplose una risata collettiva, mentre Franco leggeva: - Attento fra i disattenti, ben sveglio tra gli addormentati, egli, giudizioso, procede distanziando gli altri come un corsiere distanzia il ronzino. Isabelle: - Non badi ai torti altrui, non a ciò che altri avrebbero dovuto fare o non fare: osservi, piuttosto, ciò che egli ha fatto o non ha fatto. Lena: - Come si possono intrecciare molte collane da un mucchio di fiori, così pure molte buone cose possono essere compiute da un mortale, una volta che sia nato. Catherine: - Fintanto che il male compiuto non giunge a maturazione (non dà frutto), lo sciocco lo considera come se fosse miele, ma, quando esso matura, allora lo sciocco soggiace al dolore. Mentre Catherine passava il libro a Denis, Willy sghignazzò: - Che ne dite di fare un applauso di incoraggiamento all'ultima ruota del carro? Esplose un'altra risata che echeggiò intorno, mentre Denis osservò tutti severo, poi sfogliò alcune pagine e affermò ridendo: - Fate attenzione, perché questo versetto che leggerò è dedicato a un gruppo di stolti. Un'ennesima esplosione di risa, urla e grida di proteste risuonò intorno, poi Denis si schiarì la gola e lesse: - Gli sciocchi, privi di intendimento, vanno con se stessi come un nemico, compiendo azioni cattive che portano loro frutti amari. - Tutti noi protestammo ridendo, gridando e facendo schiamazzo. Poi Francois concluse: - La discussione è finita, preparatevi per la lezione del Venerabile Neil. Alle 21.10, Serena spense la luce, nella stanza buia alcuni raggi luminosi entrarono dalla finestra. Ero seduta sulla sedia di vimini, quando udii un colpo secco, poi un urlo, preoccupata domandai: - Avanti Serena, non mi dire che ti sei schiacciata un piede, al posto della pillola preziosa. Udii un ennesimo colpo e un altro grido, saltai in piedi gridando preoccupata: - Santo cielo, Serena, vuoi dirmi cosa stai combinando? Serena brontolò, mentre trafficava nel buio: - Ma cosa rompi anche tu, queste pillole preziose sono durissime, per romperle ho dovuto usare un sasso. Scoppiai a ridere divertita, poi sghignazzai: - Dal grido che hai fatto, ho pensato che avessi sbagliato il bersaglio e ti fossi schiacciata un piede. Mentre Serena continuava a trafficare, brontolò: - La vuoi finire di prendermi in giro, la prossima volta la pillola te la prepari da sola. Udii dei rumori di tazze, l'acqua bollire, poi Serena accese la luce. In terra accanto al suo letto c'erano un fazzoletto di carta e un sasso; mentre Serena li raccoglieva, brontolò: - In quelle pillole ci sarà dell'oro, del turchese e non so che altro ben di Dio, ma erano più dure del cemento. Chiusi gli occhi, poi li aprii e mi alzai in piedi brontolando: - Santo cielo Serena, ho appena chiuso gli occhi e ho avuto la visione di un cane bianco che stava bevendo il mio intruglio. Serena scoppiò in una risata, mentre andavo a controllare e notavo che il fazzoletto di carta che lei aveva messo sopra la mia tazza si era imbevuto del liquido. Presi un altro fazzoletto asciutto e spensi la luce dicendo: - Tu sghignazzi, ma il mio maestro interiore con quel messaggio mi ha avvisata in tempo, prima che tutto l'intruglio fosse assorbito dal fazzoletto. Accesi la luce e mostrai il fazzoletto con una grossa chiazza marrone al centro a Serena. - Guarda un pò tu! - sbottai. Serena, mentre fissava il fazzoletto, osservò: - Ora capisco il messaggio, il fazzoletto bianco caduto nell'intruglio era rappresentato dal cane che beveva. - Interessante, vero? - Eccezionale, piccola strega! - esclamò Serena pensierosa. - Pensa che questo tipo di messaggio simbolico - conclusi - il Tibetano lo chiama la voce del silenzio. Il primo dicembre, verso le ore 12.30, il sole illuminava la collina di Kopan e le valli che la circondavano. Franco, Serena ed io all'uscita del refettorio ci fermammo sul terrazzo di fronte alla valle. - Franco - domandai - vuoi recitarmi il tuo ultimo haiku? - Sul sentiero di Kopan un nibbio e foglie d'acero. Colori d'autunno! recitò Franco sorridendo. Intanto alcune persone andavano e venivano. - Complimenti, molto carino! - esultai sorpresa, mentre Franco sorridendo sghignazzò: - Veramente ho saputo che all'alba, dopo aver ingurgitato l'intruglio, hai avuto un lampo di genio che ti ha ispirata a scrivere un pensiero. Scoppiai a ridere divertita, poi risposi: - Credo che la pillola preziosa mi abbia alzato la pressione, perché mi sento forte come un leone. I miei amici scoppiarono a ridere, poi Franco brontolò: - Non cambiare discorso e declamami il tuo pensiero, per favore! - Dall'universo infinito scaturisce un mandala di luce, il Dharma che illumina l'umanità addormentata, strappandola alla corsa senza fine della ruota del samsara! Franco sorpreso esclamò: - Prezioso il tuo pensiero! In quel mentre arrivò Jolanda dall'interno che, in un evidente stato di eccitazione, disse: - Sapeste cosa mi è successo? - Racconta! - esclamò Serena curiosa. - Ero sulla terrazza a pranzare e, mentre stavo per addentare una fetta di pizza, un nibbio è sceso in picchiata su di me e me l'ha strappata via, terrorizzandomi per lo spavento, sotto lo sguardo stupito di alcune persone. - Anche ai nibbi di Kopan piace la pizza! - esclamò Serena sorridendo. - Sei stata fortunata che non ti abbia strappato via un dente! - dissi scherzando. Mentre Serena ed io scoppiavamo in una risata, Franco sbraitò: - Sì figurati, fra un pò il nibbio le strappava la lingua! Serena ed io uscimmo verso le tredici dal bar - negozio dove avevo comprato una kata. - Elisabetta - domandò Serena - allora domani prenderai rifugio nel Buddha Dharma e il Lama Lhundrup Rigsel ti darà un nome in tibetano? - Già, gli offrirò questa kata, che egli poi mi restituirà mettendomela intorno al collo. - Non prenderò il rifugio, però verrò a vedere la cerimonia. - Intanto raggiungemmo l'infermeria e Serena aprì la porta. - Elisabetta - disse Serena - prepara il braccio che ti misuro la pressione, sono curiosa di vedere se la pillola preziosa te l'ha alzata. - Mi tirai su la manica del giaccone del braccio destro e Serena mi provò la pressione. - Vedo con piacere che da settanta ti è salita a novanta. - L'avevo immaginato, ma ora vediamo come va la tua, prima che arrivi qualche paziente! Mentre l'aiutavo a misurarla, Serena confessò: - Mi sono sentita male per alcuni giorni, ma oggi, dopo la pillola preziosa, mi sento bene. - Spesso hai il problema della pressione alta, probabilmente non avresti dovuto prendere la pillola preziosa. - mormorai preoccupata. Serena diede un'occhiata ed impallidendo esclamò: - Santo cielo, ho la pressione altissima, e non me ne sono accorta! - Quanto hai? - domandai nervosa. Serena si tolse la fascia brontolando: - Centottanta! Se viene qualcuno, fallo aspettare che ritorno subito, il tempo di andare in stanza a prendere una pillola per abbassarla. Serena uscì in tutta fretta dall'infermeria. Il due dicembre, verso le 12.30, Franco ed io uscimmo dal monastero e, mentre ci avviavamo lungo un sentiero che costeggiava un burrone, Franco sbraitò: - Sono un pò contrariato, perché, ogni volta che desidero fare una passeggiata con Serena, non ne ha voglia, poi avrei voluto incontrare Lama Zopa, che purtroppo non può tornare. Diedi un'occhiata allo splendido panorama sotto di me dicendo: - Beh, Tolstoj ha affermato: “La felicità non dipende dagli avvenimenti esteriori, ma dalla maniera con la quale li consideriamo”. Mentre proseguivamo sul sentiero tortuoso sopra la valle piena di alture e colline con terrazze arate e casette di contadini riscaldate da un sole luminoso, Franco rispose sorpreso: - Complimenti Elisabetta, molto significativa questa massima di Tolstoj.- Sai, Franco, nella libreria del monastero ho trovato il libro “Reincarnazione. Il piccolo grande Lama” di cui mi avete parlato tu e Serena. Franco si fermò un attimo sul sentiero, diede un'occhiata alla valle che splendeva sotto il sole di mezzogiorno e poi domandò: - Hai letto come Lama Zopa ha trovato la reincarnazione di Lama Yeshe? Seguii Franco che aveva ripreso a camminare rispondendo: - Lama Yeshe aveva promesso a Lama Zopa di ritornare sulla terra, per continuare la sua grande opera, volta a guidare gli esseri senzienti al di fuori del ciclo incontrollato di nascita e morte. - Franco si fermò ancora sul sentiero e si girò verso di me affermando: - Proprio per questo, Lama Zopa faceva molta attenzione ai suoi sogni,: in uno particolarissimo e vivido, gli era apparso Lama Yeshe che affermava che stava per prendere un'altra forma umana. - Già - ammisi - perché aveva udito i lamenti dei discepoli afflitti, quindi non poteva più restare nel reame della beatitudine, ignorando le loro suppliche. Riprendemmo a camminare, mentre Franco aggiunse: - In un sogno successivo, Lama Yeshe gli mostrò una piccola creatura dagli occhi luminosi e penetranti, che camminava carponi sul pavimento di una sala di meditazione, era un maschio ed era un occidentale. Mentre lasciavamo il sentiero sulla valle ed entravamo in un boschetto di pini, raccontai: - Quando si recò in Spagna all'Osel-Ling nell'autunno del 1985, vide Osel che si muoveva carponi sul pavimento del gompa, il suo viso era esattamente uguale a quello del bimbo visto in sogno. - Ed era un occidentale come aveva visto nel suo sogno premonitore ribatté Franco sorridendo. - Toccante questa storia tra Lama Zopa e il suo prezioso Guru, vero? - Straordinaria direi! - concluse Franco entusiasta. DICIOTTESIMO CAPITOLO IL RIFUGIO NEL BUDDHA E LHUNDRUP DHECHEN Il due dicembre, verso le 15.00, il gruppo dei francesi, Serena ed io eravamo seduti sotto un enorme albero di frangipane di fianco al gompa che dava sulla valle di Kathmandu e, mentre parlavamo e ridevamo tra di noi nell'attesa di entrare nel gompa per il voto, cioè il rifugio nel Buddha, sopraggiunse Franco che serio domandò: - Scusate, ma volevo sapere se vi siete preparati per il voto, perché ho saputo che Lama Lhundrup vi interrogherà sulla definizione di “pilastro”, secondo la Verità Relativa e la Verità Assoluta. Willy ed io costernati ci alzammo in piedi e domandammo: - Cosa? Mentre Franco ci fissava serio, brontolai: - E cosa c'entra il pilastro con la Verità Relativa e la Verità Assoluta? Mentre una risata collettiva esplose intorno echeggiando nella valle, Franco serio ribatté: - Non c'é niente da ridere, se volete la risposta, bene, altrimenti me ne vado e farete brutta figura con il Lama Lhundrup. Un coro di urla e grida spinse Franco a rivelare la risposta: - Allora, secondo la Verità Relativa, il pilastro è una colonna che regge il soffitto. Secondo la Verità Assoluta non esiste nessun pilastro e il soffitto crollerà da un momento all'altro. - Un'altra risata collettiva esplose intorno, poi Willy si sedette tranquillizzato, mentre Franco continuava a ridere divertito e brontolai: - Franco, vatti a far friggere, mi hai quasi fatto venire una sincope con i tuoi scherzi balordi. Poco dopo entrammo nel gompa, in tutto eravamo circa una cinquantina di persone. Jolanda, Willy, Serena ed io ci sedemmo insieme sotto le colonne. Il Lama Lhundrup Rigsel entrò e, dopo le solite prostrazioni al Buddha, seguito dai presenti andò a sedersi sul trono, accompagnato da un monaco assistente, poi spiegò: - Le ragioni per cui bisogna prendere il rifugio nel Buddha - Dharma sono: 1) Paura della sofferenza nei tre reami bassi e in tutto il samsara. 2)Convinzione che il Buddha, il Dharma e il Sangha hanno il potere di proteggerci. 3) Compassione per tutti gli esseri che trasmigrano. Il Buddha mostra la via, il Dharma è il vero rifugio, il Sangha sono i seguaci. Voi dovreste guardare a voi stessi come pazienti che cercano il consiglio di tutta la conoscenza medica del Lord Buddha, il suo insegnamento come medicina. Quando si prende rifugio nel Dharma, si deve evitare di ferire gli altri intenzionalmente. I cinque rami dei voti di un completo upasika sono l'evitare di: 1. uccidere; 2. prendere ciò che non è stato dato; 3. avere una condotta sessuale scorretta; 4. dire bugie; 5. bere alcolici. Il Lama ci osservò tutti, poi disse: - Bene, ora recitiamo insieme la preghiera di rifugio e generazione di Bodhicitta: Fino all'illuminazione prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha. Per i meriti accumulati grazie alla pratica della generosità e delle altre perfezioni, possa io ottenere lo stato di un Buddha per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Poi il Lama recitò una preghiera in tibetano, prese nella mano destra un dorge e nella sinistra una campana e agitò i due oggetti in aria pronunciando parole sacre in tibetano; Serena mi disse sottovoce: - Elisabetta, il Lama sta agitando un dorge, sai è uno strumento rituale a forma di scettro a cinque raggi che simbolizza la compassione. - Interessante - risposi - ma sento anche il suono di una campana. - Già, la campana é uno strumento rituale che simbolizza la vacuità, la saggezza suprema, la vera natura dell'esistenza. - Molto interessante! - esclamai. Seguito dagli studenti, il Lama iniziò a recitare una serie di preghiere in tibetano, mentre un monaco passava tra le persone con un porta incenso sorretto da tre catene, che fece dondolare, avanti e indietro, lasciando scie di fumo e profumo d'incenso. Finito il giro con l'incenso, il monaco ritornò con un contenitore pieno di riso e ne distribuì un pò a tutti i presenti. Il Lama ripeté il rituale, prese ancora nella mano destra il dorge e nella sinistra la campana e agitò i due oggetti in aria pronunciando parole sacre in tibetano. Ad un certo punto tutti all'unisono ci gettammo il riso sopra la testa, che cadde sulle nostre spalle e per terra, come una cascata. Poco dopo l'assistente del Lama passò ancora tra di noi a distribuire foglietti con i nomi che erano stati a noi assegnati. Mentre davo un'occhiata al mio, Serena, curiosa, sottovoce domandò: - Allora che nome ti è stato dato? Le passai il foglietto dicendo: - Non leggo il tibetano, dopo la cerimonia andrò da Thubten Khedup per farmelo tradurre e perché mi insegni la pronuncia. Serena mi restituì il foglietto dicendo: - Lhundrup Dhechen: Lhundrup è il nome del lama, ma Dhechen è arabo per me! Sorrisi, mi alzai in piedi e, insieme a Willy, seguii gli studenti che andavano a mettersi in fila per offrire la kata al Lama. Intanto Serena e altri con la macchina fotografica avevano raggiunto la posizione migliore per scattare foto. Willy ed io eravamo tra i primi, quindi egli si inginocchiò davanti al Lama sorridendo tra i flashes delle foto che scattavano Serena e gli altri, gli porse la kata e, dopo che il Lama gliela restituì mettendogliela intorno al collo, si alzò e se ne andò, lasciando il posto a me e alla lunga fila di studenti che mi seguiva. Emozionata mi inginocchiai davanti al Lama porgendogli la kata, egli la prese sorridendo e me la mise intorno al collo. Infine raggiunsi Serena, che mi restituì la mia macchina fotografica, così scattai alcune foto al Lama Lhundrup durante il rituale del dono della Kata. Dopo il voto, esattamente verso le 17.10, mentre raggiungevo l'ufficio, vidi il monaco Thubten Khedup assieme al suo assistente uscire dall'ufficio. Li raggiunsi e porsi il foglietto con il mio nuovo nome a Thubten Khedup dicendo: - Mi scusi se la disturbo, mi farebbe la cortesia di tradurmi il nome che mi ha dato il Lama Lhundrup durante la cerimonia del rifugio nel BuddhaDharma? Il monaco prese il foglietto, sorridendo, e ritornò nell'ufficio; l'assistente ed io lo seguimmo, poi i due monaci si accomodarono dietro la scrivania e lessero il foglio, infine Thubten Khedup spiegò: - Si pronuncia Digein,, in tibetano significa Grande Benedizione! - Davvero significa Grande Benedizione? - domandai euforica. - Certo!- esclamò il monaco sorridendo. - Voi non ci crederete, quand'ero a casa ho invocato spesso una benedizione per le mie sceneggiature, ma adesso sono io che addirittura divento la Grande Benedizione!! I due monaci la fissarono con sguardi radiosi, poi Thubten Khedup rispose allegramente: - Questo è un buon segno, deve essere felice! - Ho scritto tre sceneggiature con insegnamenti buddisti, non so se troverò mai un produttore…Thubten Khedup mi interruppe affermando: - Secondo me, lei ce la farà! - Volevo dirle che, quando tornerò a casa, scriverò una sceneggiatura sul Buddismo e sulle esperienze che ho vissuto qui al monastero, dal titolo Lhundrup Dhechen (Grande Benedizione). Tutti e tre ci fissammo sorridendo, poi Thubten Khedup concluse: - Sono sicuro che avrà davvero grandi benedizioni! Quella sera alle 17.55, mentre Serena, Jolanda ed io uscivamo dalla nostra stanza, udimmo la campanella che ci richiamava nel gompa per la meditazione delle 18.00. - Senti, Grande Benedizione - esordì Jolanda sorridendo - sarà meglio che ti imprima bene nella mente il nome Lhundrup Dhechen e bada bene a non dimenticarlo. Mentre scendevamo le scale e Serena rideva, esclamai: - Non credo che lo dimenticherò! - Meglio così perché, - aggiunse Jolanda - quando sarai morta e ti troverai nel bardo per la rinascita, qualcuno ti chiamerà: Lhundrup Dhechen! Lhundrup Dhechen! - Che cosa dovrei fare allora? - domandai curiosa. Jolanda ridendo continuò: - Dovrai affrettarti a seguire colui che ti chiama, così ti aiuterà a rinascere nei reami superiori. - Grazie, Jolanda, - dissi con riconoscenza - è un'informazione d'estrema importanza, ti sono debitrice! Ma ora sono preoccupata per Serena e Franco. Mentre ci inoltravamo nel sottopassaggio, Serena domandò curiosa: - Per quale motivo sei preoccupata per me e Franco? Scherzando sghignazzai: - Voi due non avete preso il rifugio nel Buddha, quindi nessuno vi aiuterà e probabilmente cadrete nei reami bassi. Mentre uscivamo dal sottopassaggio e giravamo intorno al gompa, esplodemmo in una risata fragorosa. - Non ti preoccupare Serena - assicurò Jolanda - sarò io l'eroina che verrà col bardo a tirarti fuori dall'inferno. - Scoppiammo in un'ennesima risata che echeggiò intorno. - Sempre che Jolanda sia nel mondo delle anime, quando giungerà il vostro momento - sghignazzai, mentre ci preparavamo ad entrare nel gompa. Lasciammo le nostre scarpe vicino alla ringhiera del balcone ed entrammo in punta di piedi tra gli studenti che in quel momento si stavano prostrando insieme a Karen. Infine ci sedemmo sui nostri cuscini, in posizione di meditazione e, quando udimmo il gatto passare sotto la finestra miagolando, noi tre ci fissammo sorridendo, poi io sussurrai: - Sta arrivando il gatto all'attacco! Intanto il gatto girò intorno al gompa miagolando sempre più forte, mentre Karen era in piedi davanti al microfono e stava dicendo: - Ringraziamo di cuore tutti i volontari che hanno dato molto e che continueranno a farlo fino all'ultimo giorno del corso. Un grosso applauso si levò echeggiando all'interno del gompa. Karen riprese a parlare dicendo: - Sono spiacente di comunicarvi che, purtroppo, la guerriglia dei maoisti si sta avvicinando sempre di più al monastero, quindi il corso di meditazione previsto dopo questo è stato cancellato. Mentre sorpresi vociferavamo tra di noi preoccupati per la notizia, il gatto entrò nel gompa miagolando insistentemente e Karen brontolò seccata: - Per favore qualcuno metta fuori il gatto e chiuda la porta. Mentre il gatto sembrava protestare miagolando ancora più forte, si udì la porta del gompa chiudersi di colpo tra alcune risate. Karen riprese a parlare affermando: - Purtroppo dal sette all'otto di dicembre, ci sarà anche uno sciopero generale a Kathmandu, quindi per quelli che devono fissare le loro partenze, verrà al monastero un agente di viaggio a risolvere i vostri problemi. Ricominciammo a vociferare concitati, Karen intervenne ordinando: - Ora facciamo silenzio e meditiamo sul vuoto. Poi Karen colpì il gong e, mentre il suono echeggiava nella sala dando inizio alla seduta di meditazione, disse: - Atisha ha affermato: “Qualunque cosa voi percepiate, qualunque cosa voi proclamiate, non c'é niente che non provenga dalla vostra mente”. Capite che questa realizzazione di mente è vuoto. Comprendendo la non dualità della realizzazione di mente e di vuotezza è saggezza. Meditazione è la continua concentrazione in questa saggezza senza nessuna distrazione. Mentre Karen parlava, meditavo riflettendo sul nome Lhundrup Dhechen e dicevo dentro di me: “Ringrazio di cuore la Gerarchia Divina per avermi donato il meraviglioso nome Lhundrup Dhechen ossia Grande Benedizione”. All'improvviso con gli occhi della mente vidi apparire un bellissimo angelo che risplendeva di luce e mi sorrideva, aveva un volto da bambino, con occhi chiari, riccioli d'oro e grandi ali bianche, che svanì un attimo dopo. Mentre riflettevo sulla espressione dolcissima del viso di quel magnifico angelo, udii Karen che concludeva la sessione di meditazione dicendo: - Buone azioni accumulano meriti e saggezza, mentre voi realizzate, dal punto di vista di questa meditazione, che ogni cosa è come un'illusione. Il tre dicembre, verso le 5. 50 del mattino, quando Jolanda uscì dalla stanza, mi alzai dal letto, indossai una tuta da ginnastica blu e bianca, feci il letto e infine tirai la tenda e diedi un'occhiata fuori dalla finestra: i bagliori dell'alba esplodevano nel cielo nero del mattino, tra le solite recite di mantra e litanie dei monaci accompagnate dai suoni di cembali e corni. Di tanto in tanto, si udivano anche latrati di cani e canti di galli che echeggiavano nella valle sotto la collina di Kopan. Serena, che stava sonnecchiando con il sacco a pelo sopra le coperte e una sciarpa al collo, aprì gli occhi dicendo: - Buon giorno! - Come stai, dormigliona? - domandai sorridendo. Serena si sedette sul letto rispondendo: - Non troppo bene, oggi non verrò a meditazione! - Ultimamente ne hai saltate parecchie di meditazioni! - brontolai. Poi Serena si alzò e, in pigiama, andò a preparare il caffè affermando: - Cosa ci vuoi fare, la mia pressione non smette più di salire. - Ti darò un colpo in testa - sghignazzai - così te l'abbasso di colpo. Serena rise divertita, poi rispose: - Se fosse così facile, ti direi di farlo, ma ho paura che mi ritroverei con un brutto bernoccolo e un problema in più da risolvere. Serena mi portò un caffè domandando: - Tu, piuttosto, non hai sognato che risalivo le scale? Mi sedetti nella sedia di vimini, sorseggiai un pò di caffè e risposi: - No, mi dispiace, però ho sognato che mi veniva consegnato un vestito dello stesso colore bordeaux delle monache e una kata arancione. - Santo cielo Elisabetta - brontolò Serena scandalizzata - non significherà che diventerai una monaca? - No, per carità, non sono pronta a rinchiudermi in un monastero, posso dirti che si tratta di un sogno simbolico, che si interpreta da solo, quindi non mi pronuncio. Serena mi fissò curiosa, poi protestò: - Ah, brava, così mi lasci da sola a spremermi le meningi! Diedi un'occhiata all'orologio sul comodino, segnava le 6,25, era già l'ora di andare alla sessione di meditazione, quindi mi avviai verso la porta concludendo: - Rifletti e capirai il significato del sogno, è così che si impara a interpretare. - DICIANNOVESIMO CAPITOLO PUJA (CERIMONIA RELIGIOSA DI OFFERTA) IN ONORE DEL QUARANTANOVESIMO GIORNO DEL BARDO DI LAMA KONCHOK Il tre dicembre, alle 13,30, sotto il sole tiepido e luminoso del pomeriggio, iniziò la puja in onore di Lama Konchok. La puja aveva richiamato centinaia di monaci e monache dai monasteri vicini. Una lunga fila di pellegrini, tra cui anche dei nepalesi, si snodava dalle scale davanti al monastero fino all'entrata secondaria. Mentre la gente entrava lentamente, Jolanda ed io avevamo raggiunto l'entrata secondaria, che dava direttamente ai tre Buddha. Ci togliemmo le scarpe e restammo in attesa di entrare accompagnate da canti e suoni dei monaci che provenivano dall'interno del gompa. Jolanda domandò sotto voce: - Con questi problemi di guerriglia maoista, ritornerete subito in Italia? - Se non sarà rischioso, resteremo a Kathmandu fino all'undici di dicembre, poi Franco e Serena partiranno per remote spiagge tailandesi, ed io tornerò in Italia. La fila proseguì, noi entrammo nel gompa che era pieno di monaci e monache seduti nella posizione del loto che cantavano e suonavano cembali, corni, eccetera. Al centro del gompa, ai due lati del corridoio, due file di monaci indossavano cappelli con grandi pennacchi gialli, in fondo c'era un enorme gong variopinto. Andammo ad offrire la nostra kata, che deponemmo sul mucchio davanti alla foto di Lama Konchok , poi ci inchinammo davanti ai tre Buddha e seguimmo lo stretto passaggio tra le monache e le finestre del lato sinistro del gompa che ci condusse all'uscita. Il quattro dicembre, verso le 13.30, mentre Franco, Serena ed io giravamo intorno alla collina della preghiera, Serena riferì: - Mireille ci ha appena detto che Francois ci aspetta sulla collina della preghiera, per l'ultimo incontro e per salutarci. - Già - suggerì Franco - sarà meglio salutarci oggi perché domani Francois deve andare a Kathmandu, per fissare la partenza del suo gruppo per l'India. Mentre salivamo le scale che portavano sulla collina, ricordai: - Non dimentichiamoci che oggi alle 15.00 ci sarà anche l'iniziazione di Cenrezig.Serena aggiunse: - Domani mattina ci sarà anche una preghiera organizzata dagli studenti, che durerà parecchie ore, per supplicare lunga vita al Lama Lhundrup Rigsel e al Lama Zopa. Franco concluse: - Sarà bene salutare tutti gli amici oggi, perché domani partiremo appena troveremo un taxi per scendere a Kathmandu. - Quando raggiungemmo il gruppo dei francesi, questi erano seduto in cerchio sul prato, sotto centinaia di file di bandiere della preghiera che sventolavano, spinte da un leggero vento sotto un sole pallido. Andammo ad inserirci nel cerchio sedendoci a gambe incrociate. All'interno del cerchio, sul prato verde, c'erano bevande, biscotti, cioccolato, caramelle, eccetera. Francois ci salutò sorridendo, poi prese dalla tasca della sua tunica delle rupie affermando: - Bene, vi ringrazio tutti di cuore per l'offerta che avete fatto a favore della costruzione del monastero a Nalanda in Francia. Poi Francois iniziò a distribuire cinquanta rupie ad ognuno. Le presi domandando: - Francois, per quale motivo ci distribuisci questo denaro? Mentre Francois continuava a distribuire, rispose: - Con questo gesto simbolico, intendo affermare che il denaro offerto col cuore, in qualche modo ritorna indietro al mittente. - Francois, posso restituirtelo? - domandai sorridendo. - Se ti fa piacere. Allungai la banconota a Francois, mentre qualcun altro seguì il mio esempio. - Francois - aggiunsi - quello che hai appena affermato per me è una grande verità! Il gruppo mi fissò, Francois mi sorrise compiaciuto, poi ribatté: - Donate sempre ai bisognosi e vedrete che, in qualche modo, ciò che avete donato vi sarà restituito dalla provvidenza con gli interessi. - Purché sia fatto col cuore e senza aspettarsi niente in cambio, altrimenti l'offerta non ha lo stesso valore - aggiunsi sorridendo. - Certamente! - assicurò Francois. - Posso, se volete, raccontarvi uno dei tanti esempi che mi sono capitati e che mi hanno convinta di questa eccezionale realtà. Alcuni gridarono: - Racconta. Racconta! - Premetto che non mi sono quasi mai rifiutata di fare la carità a un mendicante. Tempo fa, in un ristorante spagnolo, mi alzai dal tavolo con alcuni amici per uscire, mentre una religiosa si avvicinava con la mano tesa. I miei amici la ignorarono, io le offrii un pugno di monete. La donna per ringraziarmi, mi mise al collo una croce di pietra bianca e se ne andò sorridendo. Fissai il gruppo per un attimo senza parlare, poi continuai: - Quella sera i miei amici mi costrinsero a seguirli al casinò, dove avevo deciso di non giocare. Mentre mi aggiravo tra i tavoli da gioco, uscirono più volte i miei numeri fortunati, decisi di giocare e vinsi parecchio denaro. Al ritorno pagai il taxi, perché i miei amici avevano perso tutto il denaro che avevano in tasca. - - Il Buddha ha affermato: “Chi parli oppure operi con mente serena, lui segue la felicità, come l'ombra che non si diparte” - disse Willy sorridendo. Francois aggiunse: - Chi parli oppure operi con mente corrotta, lui segue la sventura come la ruota segue il piede dell'animale che traina il veicolo.Tutti eccitati applaudimmo esultanti e iniziammo a festeggiare mangiando e bevendo allegramente. Verso le 14,45 Francois fece un commovente discorso d'addio e concludemmo l'incontro con un boato di urla, grida, abbracci e auguri. VENTESIMO CAPITOLO ELISABETTA E L'INIZIAZIONE DI CENREZIG Quando entrai nella stanza, Jolanda stava leggendo un libro sdraiata sul letto; vedendomi lo chiuse e domandò: - Elisabetta, non vai a fare l'iniziazione di Cenrezig? - Non me la sento, mi hai detto che dopo l'iniziazione si deve recitare una preghiera due volte al giorno per sempre, con la responsabilità che, se non la si fa, il Lama Lhundrup potrebbe ammalarsi o anche morire.- Così dicono! - Jolanda, sai dirmi chi rappresenta Cenrezig? - Cenrezig è una divinità, un'emanazione di Buddha che rappresenta la compassione universale. - Interessante! Andrò comunque a vedere la cerimonia, ma tu non la fai l'iniziazione? - L'ho già fatta in Spagna! - Vado di fretta - aggiunsi, mentre mi avviavo alla porta - devo andare a comprare i biglietti per partecipare all'estrazione della copia in miniatura dello stupa che Francois ha fatto costruire a Nalanda. Uscii dalla stanza e, quando raggiunsi l'entrata posteriore del gompa, un vecchio monaco, magro, basso, con la schiena curva, dal viso rotondo, con gli occhi scuri e vispi, che non parlava inglese, mi fermò con un gesto, cercando di offrirmi dell'acqua, che teneva in una caraffa, ma sussurrai sorridendo: - Sei molto gentile, ma anche se volessi bere, senza bicchiere come farei? Mentre il monaco insisteva per offrirmi l'acqua muovendo la caraffa verso di me e facendone cadere un pò per terra, io me ne andai verso l'entrata principale del gompa dicendo: - Grazie, non ho sete! Il monaco rattristato mi guardò allontanarmi puntando la caraffa verso di me per l'ennesima volta. Entrai nel gompa, dove c'erano una trentina di persone, feci un giro guardandomi intorno, ma non trovando la persona che cercavo, uscii. Quando l'anziano monaco mi vide ritornare, sorridendo felice mi venne incontro con la caraffa e mi versò un pò d'acqua, d'istinto unii le mani velocemente e le avvicinai al recipiente e riuscii appena in tempo a prendere l'acqua prima che mi cadesse sui piedi. Poi arrivò Catherine che andò dal monaco e si fece versare l'acqua nelle mani, e la sorseggiò, poi andò sul prato a sputarla. Stupita con l'acqua nelle mani domandai: - Scusami Catherine, per quale motivo sorseggi quell'acqua e la sputi fuori? - Serve per purificarci! - esclamò Catherine. - Ah, ma allora è acqua benedetta! - esclamai sorridendo. Sorseggiai l'acqua benedetta e la sputai sotto l'albero, poi fissai il monaco che mi stava sorridendo felice e gli dissi: - Ah, finalmente ci siamo capiti! Ormai era tardi per cercare la persona che vendeva i biglietti, quindi ritornai sui miei passi e andai ad assistere alla iniziazione di Cenrezig. Quando entrai nel gompa, le persone erano raggruppate davanti al Lama Lhundrup Rigsel e recitavano tutte assieme un mantra in tibetano. MMi sedetti come tutti nella posizione del loto. Un monaco passò con un portaincenso che continuò a dondolare avanti e indietro tra le persone, lasciando una scia di fumo grigio e profumo d'incenso. Il Lama Lhundrup teneva nella mano destra il dorge e nella sinistra la campana e, mentre recitava un mantra in tibetano, agitava i due oggetti. Sentii un gran desiderio di fare l'iniziazione, ma avrei dovuto comprare una kata da offrire al Lama. Mentre il monaco ritornava con una ciotola di riso e ne distribuiva a tutti, mi rivolsi a Cenrezig chiedendo: - Cenrezig, se vuoi che faccia l'iniziazione, fa in modo che trovi una kata da offrire al Lama Lhundrup Rigsel. Intanto il monaco si avvicinò e mi offrì del riso, al che tutti se lo gettarono sopra la testa e anch'io feci altrettanto. All'improvviso si udì lo scricchiolio della porta del gompa che si apriva, mi girai a guardare e vidi Serena che entrava lasciando la porta aperta. Venne a sedersi accanto a me sussurrando sottovoce: - Ho un gran mal di testa, ma sono venuta comunque! Intanto il Lama, dal suo trono, finì la preghiera in tibetano e disse al microfono: - Ora prendete un chicco di riso e mettetelo sulla testa visualizzandolo come se fosse un fiore. Raccolsi un chicco di riso e lo misi in testa a Serena e lei fece lo stesso con me. Mentre il Lama riprendeva a recitare dei mantra in tibetano seguito dagli studenti, Serena borbottò: - Non ne posso più di questo terribile mal di testa, adesso mi alzo e vado a prendere un'aspirina. In quel mentre il Lama disse: - Con questo gesto vi libero dai mali fisici. Il Lama riprese a recitare in tibetano e Serena sorpresa sussurrò: - Strani poteri che ha il Lama Lhundrup, bravo, mi ha mandato via l'orribile mal di testa!. La fissai sorpresa e incredula. Mentre il Lama Lhundrup continuava a recitare in tibetano sempre seguito dagli studenti, il monaco versò nelle mani dei futuri iniziati acqua e zafferano benedetti: la sorseggiarono per un attimo, poi sputarono l'intruglio nelle loro mani e infine se lo misero in testa. Anch'io seguii l'esempio. Confessai a Serena: - Sai, se avessi una kata farei l'iniziazione di Cenrezig .Serena sorpresa si mise una mano nella tasca dei pantaloni e prese una kata affermando: - Eccotela, l'ho appena comprata! Sorpresa e felice, esclamai sottovoce: - Santo cielo, è un miracolo di Cenrezig! - Per quale motivo? - chiese Serena. - Prima ho chiesto a Cenrezig di farmi avere una kata, se voleva che prendessi l'iniziazione. Serena mi fissò stupita e ammise: - Anch'io ho qualcosa d'incredibile da raccontarti dopo l'iniziazione. Mentre il Lama continuava a recitare i mantra in tibetano, ritornò il monaco con una statua di Cenrezig bianca dicirca mezzo metro. La posò sulla testa di tutti i presenti, andò per posarla in testa a Serena, che gli fece segno di no, ma il monaco non l'ascoltò e gliela posò sulla testa spingendoci lievemente sopra; Serena contrariata fece una smorfia, il monaco non ci fece caso, poi posò la statua sulla mia testa e io sorrisi. Serena brontolò sottovoce: - Per fortuna che quella statua di Cenrezig non è in marmo, ma in burro di jak, altrimenti adesso avrei un bernoccolo. Divertita trattenni le risa, poi risposi sorridendo: - Sicuramente ti avrebbe soltanto abbassato le corna. Serena si grattò la testa e mi fissò facendomi due occhiacci, poi rise. Infine il Lama Lhundrup agitò in aria il dorge e la campana. Tutti i presenti ed io, eccetto Serena, ci mettemmo in fila indiana per offrire la nostra kata al Lama. Terminata l'iniziazione verso le ore 17.30, mentre Serena ed io salivamo su per le scale che portavano sul balcone intorno al gompa, lei disse: - Credimi Elisabetta, il mio mal di testa era terribile, è bastato che il Lama Lhundrup pronunciasse quelle parole per farmelo andare via. - Si sa che i Lama e i monaci, dopo una vita di rinunce, sacrifici e meditazioni, possono fare e vedere cose che l'uomo normale non si sogna nemmeno. - Purtroppo l'uomo spesso è scettico - ammise Serena - non crede neanche ai suoi occhi. - - So che mentre l'essere umano evolve, le sue capacità interiori si sviluppano sempre più, ma se regredisce, così avverrà anche per i suoi poteri paranormali . - Già, ogni cosa si deve guadagnare a duro prezzo - brontolò Serena, mentre passeggiavamo sul balcone sopra la valle, di fronte ad un magnifico panorama. - Solo lavorando seriamente sulla nostra mente, scacciando i cattivi pensieri e coltivando quelli altruistici, possiamo salire verso la luce ammisi, mentre Serena si appoggiava al muretto del balcone e contemplava la valle illuminata da un sole pallido sopra nuvole bianche. Mentre scendevamo lungo le scale, Serena ricordò: - Già, anche il Tibetano ha affermato: “Ogni gradino della via deve essere scavato nella roccia dall'uomo stesso e non vi è via breve o facile per passare dalle tenebre alla luce.” VENTUNESIMO CAPITOLO PARTENZA DAL MONASTERO DI KOPAN DURANTE LA CERIMONIA E RITORNO AL MANASLU HOTEL Il mattino del cinque dicembre, Serena Jolanda ed io ci avviammo verso il gompa dei monaci ad assistere alla cerimonia per la suprema immortalità del Lama Lhundrup e del Lama Zopa, organizzata da tutti noi 176 studenti del corso. All'entrata del gompa, fra monaci e monache che andavano e venivano, tra canti e suoni, Serena disse: - La cerimonia durerà parecchie ore, quindi non potremo restare fino alla fine. - Per me va bene! Ci togliemmo le scarpe e le lasciammo accanto ad altre. Poi entrammo e andammo a sederci su tre cuscini nella parte sinistra del gompa riservata agli studenti, che già occupavano i loro posti. Di fianco a noi c'erano alcune file di monaci bambini, tra cui Charo Lama, e adulti che raggiungevano il corridoio, seduti nei loro cuscini. Sulla destra, dall'altra parte del corridoio, altre file di monaci e monache. Dal soffitto del gompa pendevano centinaia di festoni luccicanti. Mentre tutti cantavano un mantra in tibetano, entrarono tre monaci, tra cui il Venerabile Neil, che indossavano tuniche gialle, avevano sulle spalle un manto luccicante blu a quadri multicolori, una sciarpa bianca legata dietro la testa che copriva il mento e la bocca, cappelli gialli con pennacchio. I tre andarono a rendere omaggio al Lama Lhundrup seduto sul suo trono, poi si sedettero sulla sinistra nella posizione del fior di loto. Tra recite, canti e suoni di cembali, corni ecc. entrarono danzando lentamente cinque monaci mascherati, con tuniche sgargianti, stesso modello, stessa fantasia, ma dai colori diversi, maschere e cappelli formati da rombi, con al centro un cono di fili colorati. Mentre danzavano sembravano marionette che si muovevano a scatti e si avvicinavano lentamente al Lama suonando piccoli tamburi multicolori con lunghe frange. Si udirono i suoni dei corni risuonare all'interno del gompa, poi notai accanto a me un gruppo di monaci bambini che suonavano sorridendo anche grosse conchiglie che emettevano forti suoni. I cinque monaci raggiunsero, danzando e suonando i loro piccoli tamburi, il Lama Lhundrup a cui si inchinarono davanti rendendogli onore, poi uno alla volta uscirono danzando dal gompa. Quando questo spettacolo finì, verso le 11,30, ricordai che la cerimonia sarebbe continuata per ore. Serena ed io decidemmo di andare a preparare le nostre valigie e Jolanda decise di venire con noi. In stanza prendemmo le nostre valigie da sotto il letto ed iniziammo a riempirle. Nel frattempo Jolanda si era seduta alla scrivania e stava sfogliando un libretto dal titolo “The Bodhisattva Vows” - Jolanda - domandai - quando parti? - Ho il volo prenotato per il sette e sono un pò preoccupata per lo sciopero. - Non devi preoccuparti - intervenne Serena - Karen ha detto che, se ci saranno dei problemi, i monaci ti porteranno all'aeroporto. - Speriamo bene!- esclamò Jolanda. - Elisabetta - disse Jolanda agitando il libretto - questo è il libretto con la preghiera che devi recitare per tutta la vita. - “Il voto del Bodhisattva” - osservai sorridendo - bene dopo vado a comprarlo, grazie! - Elisabetta - disse Serena - la libreria apre dopo la cerimonia della suprema immortalità in onore del Lama Lhundrup e il taxi ci sta aspettando all'uscita del monastero. - Elisabetta - disse Jolanda - intanto ti regalo il mio, poi andrò a comprarmene un altro, però mi devi promettere di non dimenticare di recitare la preghiera .- Puoi starne certa, Jolanda! - esclamai felice. - Già - aggiunse lei - sarebbe una cosa da irresponsabile! Seria ammisi, mentre stavo terminando la valigia: - Diventare un Bodhisattva è un'impresa ardua, senza preghiera è ancora peggio. Se non la recito, rischio la vita del Lama, quindi non c'è via di scampo! Jolanda si alzò in piedi e venne a mettere il libretto dentro la mia valigia dicendo: - Lo credo bene, per diventare un Bodhisattva ci vogliono molte vite di sacrificio, egli rappresenta il Capo di tutte le Religioni, il Maestro dei Maestri e degli Angeli.- Già sarà una dura battaglia! - borbottai. - Comunque , ti ringrazio con tutto il cuore per il libretto, però vorrei pagartelo. - Non ti ci provare mica! - brontolò. Mentre Serena chiudeva la valigia, esclamai: - D'accordo, grazie! - Mi sedetti sulla valigia piena zeppa e la chiusi, poi mettemmo le nostre valigie fuori dalla porta ed indossammo la giacca a vento. - Jolanda - disse Serena a malincuore - è arrivato il momento del fatidico addio! Ci abbracciano commosse, poi noi uscimmo in silenzio dalla stanza e ci affacciammo sulla porta dicendo insieme: - Jolanda, buona fortuna! - Anche a voi! - esclamò Jolanda con gli occhi lucidi, mentre il suo viso si rabbuiava di colpo. Commosse chiudemmo la porta e ce ne andammo angosciate, trascinando le nostre valigie lungo il corridoio e, mentre scendevamo per le scale, incontrammo un monaco, l'assistente d'ufficio di Thubten Khedup, con una coppia di nepalesi. - Mi scusi - dissi - posso disturbarla? - Sii, mi dica! - rispose il monaco. - Per cortesia mi saluti Thubten Khedup, purtroppo non posso aspettare la fine della cerimonia per salutarlo personalmente. - Molto volentieri - rispose sorridendo - ma chi devo dire che lo saluta? - Gli dica che lo saluta Lhundrup Dhechen, l'italiana che scrive sceneggiature, sono sicura che ricorderà chi sono. Il monaco ci strinse la mano dicendo: - D'accordo, buon viaggio! Quando raggiungemmo il bar, c'era già Franco e il pulmino che ci aspettavano. Passammo le valigie all'autista che le mise dietro nel portapacchi. Serena ed io andammo a salutare Isabelle e Alain che erano seduti nelle panchine sotto gli ombrelloni. - Alain - dissi - ti faccio tanti auguri per la tua carriera da monaco! - Voglio diventare monaco, ma sono spesso assillato da dubbi - rispose Alain indeciso. - In queste cose non ci vuole fretta, quando il tuo cuore sarà pronto, ti farà un fischio e allora non ci saranno più dubbi! - risposi sorridendo. Una risata collettiva esplose intorno, poi arrivò Franco dicendo: - Il taxi ci sta aspettando! Isabelle e Alain si alzarono in piedi, ci abbracciammo commossi, poi Serena disse: - Salutateci Francois e il resto del gruppo! Franco concluse: - Buona permanenza in India! Salimmo sul pulmino e chiudemmo le portiere; mentre il taxi andava a marcia indietro, i nostri amici ci salutarono con la mano e noi li ricambiammo fin quando il pulmino uscì dal portone del monastero. Il pomeriggio del sette dicembre, nel giardino del Manaslu Hotel, sotto un sole caldo e splendente, alcuni uccelli volavano cinguettando tra gli alberi, mentre Franco ed io bevevamo the e mangiavamo biscotti seduti ad un tavolino. - Fortunatamente oggi è il secondo e ultimo giorno di sciopero - sospirò Franco - che ci costringe in hotel, domani ci faremo una lunga passeggiata fino allo Swayabunath stupa. - Che solfa - brontolai posando la tazza del the sul tavolino - restare qui segregati, ma meglio che rischiare la pelle. In quel mentre Serena uscì dall'hotel sbuffando nervosa, e Franco le domandò: - Allora, hai telefonato a tuo padre? Serena si servì del the e sbraitò preoccupata: - Papà sta meglio, ma c'è Alba, la moglie, che ha dei problemi. Franco preoccupato brontolò: - Santo cielo, che cos'ha? - Purtroppo nel giro di alcune settimane è dimagrita una decina di chili, si sospetta un tumore, le hanno trovato una grossa macchia scura allo stomaco.- Povera Alba - sbraitò Franco nervoso - se non c'é lei a sostenere tuo padre con tutti gli acciacchi che ha, voglio sapere cosa potremo fare noi. - Ma chi è che sospetta il tumore - dissi sospirando - il dottore? - Si! - esclamò Serena - però non hanno ancora finito di fare gli accertamenti, infatti solo il ventotto di dicembre ci saranno i risultati delle analisi. - Allora ci sono ancora delle speranze! - esclamai fiduciosa. Serena pensierosa bevve un sorso di the, poi posò la tazza: - Spero di non dover interrompere le nostre vacanze in Tailandia. - Speriamo bene! - concluse Franco. VENTIDUESIMO CAPITOLO SWAYABUNATH STUPA E I RICORDI DI FRANCO A TASHILHUMPO IN TIBET Il mattino del giorno dopo, esattamente l'otto dicembre, verso le nove, uscii dalla mia stanza da letto e bussai alla porta accanto. - Avanti! - esclamò Franco; come entrai vidi Serena a letto, allora sbraitai: - Santo cielo Serena, che fai a letto? Dopo due giorni chiusi in hotel a causa dello sciopero, dovresti aver voglia di uscire! - Voi andate a visitare the Monkey Temple e divertitevi a salire i 365 gradini, io l'ho già visto e poi non sto bene! Mentre Franco si metteva la giacca a vento, spiegò: - Elisabetta, se tu avessi la diarrea, te la sentiresti di salire 365 scalini, con le scimmie che ti rincorrono fino in cima allo Swayabunath stupa? - Povera Serena, ora capisco il problema! - esclamai preoccupata. - Senti dottoressa - domandò Franco - non vuoi che ti chiami un medico? Serena abbozzò un sorriso dicendo: - Avanti, toglietevi di mezzo, prima che perda la pazienza. Uscimmo in fretta dalla stanza sorridendo e decidemmo di farci una lunga passeggiata attraverso la città di Kathmandu, poi saremmo saliti sulla collina e avremmo raggiunto lo Swayabunath stupa a piedi. Camminammo per più di un'ora tra viuzze affollate, piene di negozietti di ogni tipo, nel caotico traffico nepalese e infine salimmo lungo la strada in salita, con lo stupa di Swayabunath che splendeva in lontananza sotto il sole del mattino in cima alla collina. Sostammo ai piedi della collina sotto un grande albero in mezzo alla strada, nel traffico, ed ammirammo la magnifica porta che si ergeva davanti a noi: due colonne rettangolari, con disegni in bassorilievo di fior di loto e occhi del Buddha. Le due colonne sostenevano una tettoia dorata che sorreggeva due statue di cerbiatti sdraiati, con al centro la ruota della Legge. Due animali erano sdraiati sotto la tettoia al cui centro stava un Buddha in oro che vestiva una tunica arancione. Poco lontano dalla porta, si ergeva una costruzione colorata con una grande ruota della preghiera, che ad ogni giro emetteva il suono di una campanella. Al di là della porta, sotto alle fronde di grandi alberi spiccavano tre grandi Buddha vivacemente pitturati, e leoni bianchi in pietra. Attorno alla porta e lungo la scalinata c'erano statue di animali colorate e centinaia di piccoli stupa bianchi. Passammo poi sotto la suggestiva porta e proseguimmo verso i tre Buddha. - Visione incantevole! - esclamai estasiata. - Davvero suggestiva! - ammise Franco felice. Mi avvicinai alla statua del leone, di fronte al Buddha vestito di rosso, e spiegai: - Sai, il Leone delle nevi rappresenta il coraggio e l'assenza di paura dell'illuminato. Mentre iniziavamo a salire i 365 scalini che portavano allo Swayabunath stupa sulla collina, Franco disse: - Il Buddha viene raffigurato con otto leoni, tra cui due per ogni angolo del trono. Durante la salita, osservammo alcune donne tibetane nel loro costume tradizionale, mentre scendevano. - Franco - domandai - mi racconteresti l'incredibile storia del contatto con Tara che ti è capitata in Tibet, nella città di Shigatse, all'interno del grandioso complesso monastico di Tashilhumpo? - Tara era una principessa indiana che raggiunse l'illuminazione in giovane età.- Già - interruppi - nella religione buddhista Tara è colei che libera, rappresenta l'espressione femminile della compassione attiva del Buddha.- - Tara è la principale manifestazione femminile dell'illuminazione - ribatté Franco. - È anche la madre di tutti i Buddha del passato, del presente e del futuro. - ammisi soddisfatta. Intanto Franco si appoggiò al muretto e, mentre osservava lo splendido panorama, raccontò: - Durante la visita nel tempio di Tashilhumpo, ho ammirato con grande stupore le colossali tombe d'oro dei Panchen Lama, incastonate da mille gioielli e pietre preziose; poi sono passato nell'enorme sala davanti a centinaia di Buddha del futuro in oro, tra cui uno enorme, alto sedici metri, in rame laminato d'oro, quindi sono uscito in un cortile che dava in una buia sala di preghiera, dove ho scoperto una piccola cappella con tre statue di Tara, due verdi e al centro una bianca. Franco si fermò per l'ennesima volta a fissare lo splendido panorama di Kathmandu che splendeva sotto un sole brillante, poi continuò, mentre pendevo dalle sue labbra. - All'improvviso, mentre osservavo le tre statue di Tara sentii una forte energia percorrermi tutto! In quel mentre notai su una delle due statue di Tara verdi un sorriso pieno di simpatia, poi sentii una voce femminile dentro il mio cervello che diceva: “Ben arrivato, sono contenta che tu sia qui, sapevo che saresti venuto”. Incredulo e nello stesso tempo commosso, vidi che anche l'altra Tara verde mi sorrideva, ma con una espressione meno felice, poi udii ancora dentro la mia mente la stessa voce che diceva: “Povero ragazzo, sei stato bravo a venire fin qui, ma quanta strada hai ancora da fare”. Guardai la Tara bianca che mi apparve assorta in una dimensione remota e poi sussurrò: “Non puoi capire, io non sono qui, ormai sono andata al di là.” Quindi ritornai a fissare la Tara verde col cuore in tumulto, pieno di gratitudine ed affetto.Stupita esclamai: - Hai vissuto una straordinaria esperienza mistica! Mentre riprendevamo a salire le scale, Franco aggiunse: - Profondamente colpito al cuore, sentivo che dovevo offrire qualcosa a Tara. Sono ritornato col taxi al mio albergo a prendere la kata che mi avevano donato al monastero di Sara. - Serena mi ha raccontato che, quando sei ritornato, il monastero era chiuso, vero?- domandai curiosa. Franco mi fissò e continuò: - Già, ma un monaco, quando gli ho spiegato che dovevo offrire la kata a Tara, si è commosso e mi ha aperto. - Tara ha parlato ancora alla tua mente? - domandai curiosa. Franco sorrise: - Sono entrato nella cappella, Tara continuava a sorridermi, mi sentivo avvolto da una forte energia, il mio cuore batteva, ho posato la kata ai suoi piedi, ho provato una grande tensione e sono uscito. Mentre scendevo le scale deserte tra i tetti del monastero, invisibili corni hanno incominciato a suonare, forse chiamavano i monaci a qualche funzione, ma a me è sembrato il saluto di Tara. - Franco - domandai - se tu me lo permetterai, scriverò questa tua straordinaria esperienza nella mia prossima sceneggiatura dal titolo “Lhundrup Dhechen”. - Certo - acconsentì Franco felice - quando tornerò in Italia ti spedirò una fotocopia del racconto che ho scritto nel mio diario. - “L’esperienza massima è l’incontro con il mistero”. Così ha affermato Albert Einstein. So che ha ragione - ammisi felice. Franco sorrisementre la sua attenzione cadeva su alcune scimmie che con il sedere scivolavano giù verso di noi sopra lo scorrimano che portava allo stupa: - Elisabetta, guarda quelle scimmie che scendono dallo scorrimano! Mentre osservavo divertita, esclamai: - Se continueranno a scendere in quel modo, qualche volta si vedranno le scintille sotto il loro sedere spelacchiato. Franco scoppiò a ridere divertito, poi la nostra attenzione fu rapita dal maestoso stupa sulla collina, che splendeva sotto il sole brillante del mattino. Ci trovammo sugli ultimi scalini, di fronte a un piedistallo rotondo di pietra, intorno al quale erano scolpiti in rilievo elefanti, su cui stava un enorme dorge in oro; ad ogni lato c'erano due statue di leone, dipinte di bianco con rifiniture in oro e colori sgargianti; dietro sorgeva il grande stupa, composto dal duomo bianco e dal pinnacolo dorato che era visibile da tutta Kathmandu. I misteriosi occhi del Buddha guardavano fuori dai quattro lati del cubo dorato, che sormontava il bianco emisfero del duomo. In mezzo ad ogni paia d'occhi, dove ci dovrebbe essere il naso, c'era quello che sembra essere un punto interrogativo, sopra questo stava il terzo occhio. La parte superiore del pinnacolo consisteva in tredici dischi dorati che rappresentavano i tredici scalini dell'illuminazione, simboleggiata dall'ombrello che sorreggevano. L'ombrello era circondato da un tessuto rosso arancione, dal quale scendevano decine di file di bandierine della preghiera, che volavano al vento. Attorno allo stupa pullulavano decine di negozi di souvenir, piccoli templi e reliquari, dove s'aggiravano turisti e nepalesi che offrivano cibo alle divinità, pregavano e spingevano le ruote della preghiera. Ovunque scimmie, cani e colombi combattevano per il cibo offerto alle divinità nei templi e reliquari, attorno allo stupa. Di fronte al Swayabunath stupa, mentre osservavamo l'enorme dorge, esclamai: - Magnifico dorge! Franco lo toccò, affermando: - Questo strumento simbolizza il fulmine che distrugge l'ignoranza, un importante simbolo nel Buddhismo Tibetano. - Bene, speriamo che distrugga anche la nostra. - osservai speranzosa. Franco sorrise mentre ci avviavamo intorno allo stupa fra voli di colombi, scimmie e cani randagi. Si fermò ad osservare gli occhi del Buddha, che spiccavano sul cubo d'oro sopra il duomo, sotto i raggi del sole, poi spiegò: - Gli occhi del Buddha, pitturati su tutti i lati del cubo d'oro, si affacciano ai quattro punti cardinali. - Come vedi, in mezzo ad ogni paia d'occhi, dove ci dovrebbe essere il naso, c'è quello che sembra un punto interrogativo, che è attualmente il carattere nepalese per il numero uno, che simbolizza l'unità. - È l'unica via per raggiungere l'illuminazione attraverso l'insegnamento del Buddha - ribatté Franco. Poi indicai il punto in rilievo d'oro, situato sopra gli occhi del Buddha: - Ora guarda sopra gli occhi del Buddha al centro della fronte, c'è disegnato, in rilievo, il terzo occhio. Franco si avviò verso il muretto che dava sulla valle di Kathmandu dicendo: - Già, che rappresenta tutta la visione e saggezza del Buddha. Lo seguii e mentre si appoggiava al muretto e guardava il panorama di Kathmandu, domandai: - Franco, sapevi che la parte superiore del pinnacolo consiste in tredici dischi che rappresentano i tredici scalini dell'illuminazione? - Che è rappresentata dall'ombrello che i dischi sorreggono! - rispose Franco orgoglioso, poi si fermò ad osservare i tredici dischi che sorreggevano l'ombrello d'oro. - Ah, ma allora sai tutto! - ammisi sorridendo. Mentre mi appoggiavo al muretto per osservare una frotta di colombi che all'improvviso s'alzarono in volo da sopra lo stupa, Franco esclamò: - Tutto no, ma molto si! Mi girai a guardare il panorama di Kathmandu raccontando: - Lo sapevi che molto tempo fa, così la storia dice, la valle di Kathmandu era un vasto lago, sopra il quale fluttuava un gigantesco fior di loto risplendente della luce di Swayambhu, il primordiale Buddha, dal quale emanò tutta la creazione? Franco mi fissò sorridendo poi ammise: - Sei riuscita a beccarmi in castagna, questo non lo sapevo! - Ah, finalmente! - esclamai, mentre scoppiammo in una risata fragorosa, poi ci avviammo a terminare la visita dello stupa. Verso le ore 22.00 ero nella mia stanza all'Hotel Manaslu, sul tavolo c'era il mio libretto della preghiera del Bodhisattva, al centro una bottiglia d'acqua con due bicchieri; le tende coprivano le finestre, dal giardino note di musica romantica echeggiavano intorno, presi la corona tra le mani e iniziai a recitare: - Om mani padme hum!. Om mani padme hum! Om mani padme hum! - In quel mentre udii qualcuno bussare alla porta, lasciai cadere la corona sul tavolo e andai ad aprire la porta. - Apri, sono Serena! Girai la chiave nella toppa e aprii la porta. Serena entrò con una bottiglia di vino bianco in mano. - Oggi - raccontò Serena - mentre voi eravate al Swayabunath stupa, sono andata a comprare una bottiglia di vino. - Bene, se ti è venuta voglia di bere del vino, vuol dire che stai meglio! - Avanti - aggiunse Serena - prendi un bicchiere, dopo cena ti fa bene bere un pò di vino! Presi un bicchiere dal tavolo e Serena avrebbe voluto riempirmelo, ma brontolai: - Basta così, grazie! Serena insistette allungando la bottiglia, ma coprii il bicchiere con una mano. - Ma quante storie fai per un pò di vino! - brontolò seria. - Buono! Però basta, grazie! - esclamai gustandolo. - Volevo dirti che domani andremo a visitare Bhaktapur e pranzeremo al Café di fronte ai favolosi templi Nyatapola e Bhairab - aggiunse mentre si avviava alla porta. - Programma approvato! - esclamai felice. - Hai guardato gli sposi e le donne nepalesi dai favolosi sari che stanno festeggiando nel giardino? Accompagnai Serena all'uscita rispondendo: - Si, da quando siamo all'hotel Manaslu, quasi ogni sera si festeggiano matrimoni, ormai è diventata una solfa! - Già, buona notte! - concluse Serena sorridendo, mentre io chiudevo la porta. Il nove dicembre, il sole di mezzogiorno splendeva nel cielo, quando Franco, Serena ed io entrammo nella suggestiva piazza di Taumadhi. Mi fermai incantata ad ammirarla: sulla destra il Tempio Bhairab, rettangolare con tre tetti, uno sopra l'altro; di fronte il Nyatapola, che era quadrato, con scale che salivano su fino alla porta, passando sopra i cinque quadrati che si restringevano uno sopra l'altro, formando la base su cui si ergeva il tempio, con cinque tetti a pagoda, uno sopra l'altro che si restringevano salendo verso il cielo; a terra, ai due lati delle scale due statue di lottatori, con un bastone nella mano destra e l'altra su una palla, sul secondo piano due elefanti, sul terzo due leoni, sul quarto due grifoni, sul quinto due dee. - Il Nyatapola Temple è il più bel tempio che si trovi nel Nepal! - disse Serena. - Infatti è favoloso! - ammisi convinta. Franco lesse sulla guida: - Il Nyatapola Temple è induista, fu costruito nel XVIII secolo dal Re Bupathindra Malla e dedicato alla Dea tantrica Siddhi Laxmi. Ci avvicinammo al tempio e, mentre ammiravamo le file di statue che salivano fino alla porta del tempio, Franco aggiunse: - Le prime due statue rappresentano due lottatori molto famosi, Jaya Mal e Patta, i quali si supponeva che avessero la forza di dieci uomini. Serena salì vicino alla seconda statua che rappresentava un elefante e disse: - Gli elefanti superano di dieci volte la forza dei lottatori, i leoni superano di dieci volte gli elefanti, e cosi fino alle due dee. Osservai le file di statue su per le scale fino alla porta del tempio: - Ci sarà una ragione, immagino. - Questa progressione di forza vuole indicare che le due dee di fronte alla porta del tempio devono essere molto potenti - suggerì Franco. Mentre ci avviavamo verso il tempio Bhairab, raccontai: - Ho letto che il Tempio Bhairab è stato costruito nel XVIII secolo, poi crollò durante il terremoto del 1934, quindi fu ricostruito. Entrammo nel Café di fronte al Tempio Nyatapola da cui prende il nome. Salimmo al secondo piano e ci sedemmo nel balcone affollato, di fronte al Nyatapola Temple. Ordinammo del riso fritto con del the. Mentre stavamo mangiando, Serena mi chiese: - Elisabetta, racconta a Franco quello che hai sognato durante la notte, dopo aver bevuto il vino che ti ho offerto. - Quando Serena è entrata nella mia stanza con il vino, avevo completamente dimenticato che al monastero avevo fatto il voto di non bere alcolici. - Avanti - sbraitò Serena - benedetta Lhundrup Dhechen, ti ho versato due dita di vino! Franco con tono canzonatorio esclamò: - Intanto però ha trasgredito il voto! - Infatti - brontolai, mentre bevevo un pò di the - quando Serena è uscita dalla stanza, ho bevuto il vino e con la testa che mi girava ho finito di recitare la preghiera. - Non mi dire, per due dita di vino? - sghignazzò Franco. - Elisabetta ha di solito la pressione bassa, quindi è possibile! - assicurò Serena. - Durante la notte ho avuto un messaggio di rimprovero dal mio maestro interiore. - Davvero? - domandò Franco interessato. - Mi ha fatto notare che ero seduta nella posizione del fior di loto, con le mani giunte e una botte di vino su uno scaffale sopra la mia testa. Franco e Serena, che in quel mentre stavano mangiando, lasciarono cadere la forchetta sul loro piatto e scoppiarono in una risata fragorosa. - Guardate che non c'è niente da ridere! - brontolai seria. Continuarono a ridere divertiti, allora sbraitai: - Ugo Foscolo ha affermato: “L'anima del saggio nutrita nella verità è, nelle tempeste del mondo, un cielo sereno che vede le nuvole sotto di se”. - Ah, forte il nostro Ugo Foscolo! - esclamò Serena sorridendo. Poi la nostra attenzione cadde sulla piazza dove una cinquantina di monache che vestivano lunghe gonne bianche e tuniche rosse stavano salendo fino alla porta del Nyatapola Temple e ci girarono attorno. Nel frattempo spuntò da un vicolo della piazza la banda che suonava allegramente e accompagnava una coppia di sposi seguiti da una lunga fila di parenti e amici. - Senti Lhundrup Dhechen - chiese Franco, distogliendo la mia attenzione dalla piazza - spiegami per quale motivo credi nella preghiera. - L'energia segue il pensiero - risposi posando la forchetta - quindi l'uomo diventa un piccolo creatore quando prega, desidera, pensa e, mentre cresce interiormente, darà vita a forme pensiero sempre più potenti. - Da qui la ragione per cui bisogna dirigere il pensiero verso il positivo aggiunse Serena convinta. - Certo - ammisi - altrimenti l'uomo che crea forme pensiero negative diventerà martire delle sue stesse creature. - Interessante! - esclamò Franco convinto. - Quando l'uomo avrà compreso che il male che fa agli altri, in realtà lo fa a se stesso, allora i mali del mondo verranno sconfitti - aggiunsi. - Anche il Cristo ha affermato che raccoglieremo ciò che semineremo ammise Serena. Franco ci scrutò pensieroso e, facendo finta di essere preoccupato, disse: - Santo cielo, non c'è via di scampo, dobbiamo pensare ed agire bene, altrimenti sono cavoli amari. Scoppiammo in una risata collettiva e conclusi: - Poiché l'energia segue il pensiero, come un uomo pensa tale egli é. Parole del Tibetano. VENTITREESIMO CAPITOLO L'INVITO DI GOPAL Verso sera, rientrando all'Hotel Manaslu, le solite due guardie in divisa verde ci aprirono la porta sorridendo; mentre passavamo davanti all'ufficio informazioni, il receptionist chiamò Franco dicendo: - Excuse me Sir, I have got a message for you, from Mr. Gopal! - (Mi scusi signore, ho un messaggio per lei da parte del Signor Gopal). L'uomo passò una busta a Franco che la prese sorridendo e rispose: - Thank you! - Poi ci raggiunse, mentre noi l'aspettavamo vicino alle scale, prese dalla busta il foglio, ci diede un'occhiata e disse: - Gopal domani mattina ci accompagnerà a visitare Patan, poi a pranzo. - Che gentile Gopal - osservai - mantiene le promesse. Alcuni giorni fa nel ristorante nepalese si é offerto di accompagnarci a visitare Patan. - Gopal è un buon amico - concluse Franco - pensa, è stato ospite da noi nella nostra villa all'isola d'Elba. Il mattino dopo verso le nove, stavo aspettando i miei due amici all'ufficio informazioni, quando mi venne incontro solo Franco dicendo: - Serena non viene, si sente poco bene, ieri sera ha telefonato al padre, il quale le ha detto che Alba stava a letto depressa. Mentre ci avviavamo all'uscita dall'hotel, borbottai preoccupata: - Mi dispiace molto, tra l'altro domani dovete affrontare anche il viaggio per la Tailandia.- L'ho lasciata - disse Franco nervoso - mentre stava telefonando a Gopal per scusarsi e salutarlo. Attraversando il giardino, allungò il passo dicendo: - Muoviamoci, Gopal ci sta aspettando! Raggiungemmo l'ufficio di Gopal al terzo piano di un edificio al centro di Kathmandu. Egli ci accolse con calore e con i suoi collaboratori, ci fecero visitare anche gli uffici; scendemmo in strada, salimmo su un taxi e circa un'ora dopo raggiungemmo Patan. Il taxi si fermò di fronte alla piazza Durbar, davanti al tempio ottagonale dedicato a Krishna. Mentre Gopal pagava l'autista, scendemmo dal taxi e andammo ad osservare la splendida piazza, fra turisti e nepalesi che andavano e venivano tra i magnifici templi. Quando Gopal ci raggiunse, disse: - Questa è la Patan's Durbar Square, magnifica, vero? - Incantevole - esclamai estasiata - qui sono state girate alcune scene del film Il Piccolo Buddha” di Bertolucci! Il mattino era illuminato da un pallido sole invernale. A Patan, la piazza Durbar e i suoi templi splendevano sotto il sole pallido di dicembre. Sulla destra c'erano il Sundari Chowk, il Teleju Temple e il palazzo Reale, con la sua famosa Porta d'Oro, dietro la quale c'era il museo. La Porta d'Oro ha ai due lati due grossi leoni in pietra. La scintillante porta è incoronata da un intricato bassorilievo che rappresenta il dio Indù Shiva e la sua consorte Parvati. Sulla sinistra della piazza ci sono otto magnifici templi, tra cui alcuni rettangolari, altri quadrati, con tetti a due o tre pagode e centinaia di colombi appollaiati sopra. Il Krishna Temple è ottagonale, ha due piani con magnifici archi e cupola; dedicato al dio Krishna, era stato costruito agli inizi del diciottesimo secolo dalla figlia del Re Yoganendra Malla. Il tempio era uno dei pochi in sasso, costruito nella valle di Kathmandu ed era disegnato nello stile indiano Shikhara: due leoni di sasso guardano l'entrata del tempio. Accanto al tempio di Krishna la grande campana di Patan. Di fronte al Narsimha Temple la statua in bronzo del Re Yoganendra Malla su una colonna. La statua del re è in ginocchio con le mani giunte e guarda il tempio Taleju, dove si trovano le Dee dei Re Malla. Un cobra con il suo collo sollevato sopra la cui testa siede un piccolo uccello è situato dietro la statua del re eretta circa trecento anni fa. Il Krishna Mandir è un altro tempio dedicato a Krishna e alla consorte Radha. Il tempio è stato costruito in sasso e integrato con differenti stili di architettura indiana. Era stato eretto nel diciassettesimo secolo dal re Siddhi Narsimba Malla. È alto quattro piani, intorno al secondo e al terzo c'erano padiglioni decorati in oro. Tutto il Krishna Mandir è ornato da bassorilievi, disegni e ricami finissimi, al centro dell'ultimo piano si trova una torre in stile Shikhara. Quattro leoni di pietra costeggiano le scale che portano all'entrata principale al primo piano. In ginocchio su un pilone di pietra, di fronte al tempio, una statua di bronzo di Garuda eretta nel diciassettesimo secolo. Mi affrettai a raggiungere Gopal e Franco che stavano raggiungendo il Narsimha Temple, poi Gopal ci indicò la statua in bronzo del re Yoganendra Malla su una colonna spiegando: - La statua è la sorgente di numerose leggende; si dice che il Re fosse in grado di parlare con gli Dei. Pare che sia scomparso una notte dicendo che non sarebbe morto finché il piccolo uccello di metallo sulla statua non fosse volato via - Personaggio interessante il Re Yoganendra Malla! - esclamai interessata, mentre passavamo davanti al Narsimba Temple, poi al Charnaryan. - A causa di quella leggenda - ribatté Gopal - una finestra e una porta del palazzo sono lasciate aperte ogni notte, così il Re potrà entrare in caso decida di ritornare. Sostammo di fronte ai quattro leoni di pietra. - Che splendore il Krishna Mandir Temple! - esclamai estasiata da tanta bellezza. - Un altro tempio dedicato a Krishna e alla consorte Radha - spiegò Gopal. Ci dirigemmo verso la statua di bronzo di Garuda, l'uomo uccello, sopra un pilone di pietra di fronte al Krishna Mandir. - Le statue di Garuda si trovano di solito fuori dai templi dedicati a Vishnu, dato che Krishna è un incarnazione di Vishnu - spiegò Gopal. Fissai la statua di Garuda, inginocchiata con le mani giunte e le misteriose ali, dicendo: - Garuda, l'uomo uccello veicolo di Vishnu! Di fronte al tempio, al di là della strada, c'era il palazzo reale con la famosa Porta d'Oro. Mentre attraversavamo la strada per raggiungerla, Franco esclamò: - Affascinanti gli dei della religione indù! Ci fermammo davanti alla Porta d'Oro per ammirarla. - Magnifico il palazzo Reale, con la sua Porta d'Oro! - esclamai incantata. - Bene, ora visiteremo il museo - disse Gopal sorridendo - poi andremo a pranzo.Visitammo il magnifico museo, poi attraversammo la favolosa piazza ed entrammo in un ristorante, salimmo sul terrazzo e ci sedemmo ad un tavolo di fianco alla Durbar Square. Assaggiammo specialità nepalesi e bevemmo the, sotto il sole pallido di mezzogiorno. Davanti alla ringhiera della terrazza c'erano vasi di fiori fioriti, oltre i quali si vedevano alcuni templi e il Krishna Mandir. A tratti frotte di colombi spiccavano il volo e roteavano intorno ai tetti a pagoda garrendo. Accanto al nostro tavolo c'era un gruppo di uomini nepalesi che pranzavano, chiacchierando e ridendo tra di loro. - Allora Gopal - domandai - hai già fatto distribuire il tuo libro sui diritti umani alla popolazione nepalese? - Si, - rispose Gopal - da alcuni giorni. Nnel giro di una settimana sarà distribuito in tutto il Nepal.- Dopodomani dalla Tailandia ti spedisco il mio nuovo e.mail - assicurò Franco - così mi informerai sulla reazione delle autorità nepalesi. - Certo - assicurò Gopal - comunque ho già informato le più importanti organizzazioni umanitarie mondiali, che interverranno in caso io venga arrestato. - Meno male, però guardati le spalle - mi raccomandai - soprattutto di notte, non vogliamo avere brutte notizie su altre aggressioni. - Speriamo bene!- esclamò Gopal serio. - Stai attento Gopal - raccomandò Franco - io e te dobbiamo lavorare ai progetti per aiutare i bambini resi orfani da questa guerriglia maledetta. - Purtroppo la situazione in Nepal peggiora sempre di più, ma non vi preoccupate per me, ho la pelle dura - concluse Gopal sorridendo. Dopo pranzo ci aggirammo per l'ultima volta nella Durbar Square, poi salimmo su un taxi e partimmo. Raggiungemmo in fretta le strade di periferia, poi ci addentrammo nel caotico traffico di Kathmandu. Franco era seduto accanto all'autista, Gopal invece dietro accanto a me. - Gopal - dissi - voglio che tu sappia che sono orgogliosa di avere un amico come te che rischia la sua vita per il bene del popolo. Gopal sorrise commosso, poi rispose: - Potrei fare di più, ma purtroppo la situazione politica è un disastro, quindi è molto difficile operare quando si è anche perseguitati. - Gopal, scriverò una sceneggiatura sulle mie esperienze in Nepal, posso dare il tuo vero nome al tuo personaggio? Gopal sorrise, poi prese dalla tasca un biglietto da visita dicendo: - Si, certo, se avrai bisogno di informazioni, spediscimi un e.mail, ecco il mio biglietto da visita. Intanto l'autista rallentò e si fermò vicino ad un marciapiede al centro di Kathmandu. Noi scendemmo dal taxi, poi Gopal mi baciò sulla guancia. - Buona fortuna, Gopal ! - esclamai commossa. - Fai un buon viaggio domani e salutami l'Italia! - Sarà fatto! - assicurai. Franco gli strinse la mano: - Noi ci sentiamo dopodomani dalla Tailandia. Mentre Franco ed io salivamo sul taxi e l'autista metteva in moto, Gopal ci salutò con la mano augurando: - Buon viaggio! Il taxi partì e Gopal commosso continuò ad agitare la mano. Durante la notte tra il dieci e l'undici dicembre 2001 feciqquesto sogno: ero all'aeroporto di Kathmandu, portavo un bagaglio a mano e stavo raggiungendo la saletta d'attesa per la partenza, quando mi resi conto di camminare su un tappeto rosso, mi girai e guardai dietro di me. Stupita, mi accorsi che il tappeto mi si arrotolava dietro, al mio passaggio. Mi svegliai con le immagini di quel sogno nella mia mente, mi sedetti sul letto, mi guardai attorno e mi resi conto di essere nella mia stanza del Manaslu Hotel, riflettei un attimo sul sogno, poi pensai: - Che strano sogno, di solito i tappeti rossi vengono stesi al passaggio di personaggi importanti. Sorrisi felice e ringraziai il mio maestro interiore per l'onore riservatomi con quel messaggio. Il giorno dopo, l'undici, il sole splendeva alto: verso le dieci del mattino il taxi si fermò davanti all'entrata dell'aeroporto, scendemmo, fra il via e vai di altri turisti, l'autista andò ad aprire il portabagagli, mentre Serena ed io prendevamo due carrelli abbandonati vicino all'entrata. Franco aiutò l'autista a scaricare i bagagli e li caricò sui carrelli, infine pagò l'autista, che sorridendo borbottò: - Thank you! Quindi l'uomo salì sul taxi e partì. All'interno dell'aeroporto imbarcammo i nostri bagagli. Quando raggiungemmo la sala d'imbarco, era piena di passeggeri in partenza che chiacchieravano tra di loro, di tanto in tanto si udivano annunci in nepalese ed inglese. Eravamo seduti accanto ad una giovane donna italiana sui trent'anni, che portava capelli corti e neri, aveva occhi scuri, un viso rotondo e statura media e robusta. Indossava pantaloni arancioni, maglione nero, aveva un bagaglio a mano con grossi rotoli di carta. Dagli altoparlanti le hostesses annunciarono un'ora di ritardo all'imbarco del mio aereo: - A causa di questo ritardo perderò la coincidenza in Austria. Serena sorrise: - Bene, invece che a Verona, pernotterai a Vienna a spese della compagnia aerea, così ti risparmierai anche quelli. - Già - ammisi sorridendo - non tutto il male viene per nuocere. - - Elisabetta - disse Franco - probabilmente il nostro aereo partirà prima del tuo. - Per fortuna che lasciamo il Nepal - aggiunse Serena - gli attacchi notturni dei maoisti sono diventati più frequenti e agguerriti.La ragazza accanto a me intervenne raccontando: - Purtroppo hanno iniziato ad attaccare anche di giorno, ieri un elicottero si è abbassato sopra una folla sparando alla cieca con mitragliatrici, ferendo centinaia di persone e uccidendone una dozzina.Noi ascoltammo atterriti, poi esclamai addolorata: - Che pazzie! - Ho trascorso tre mesi in una organizzazione laica - raccontò la ragazza - per farmi un'esperienza come volontaria architetto, e vi assicuro che ne ho viste di tutti i colori, con questa guerriglia maledetta. - Mi dispiace molto - sbraitò Franco nervoso - di questo passo sarà difficile vedere la pace in questo paese. In quel mentre dall'altoparlante si udì in inglese: - Attention please, all passengers in departure to Vienna are kindly requested to wait by gate one. (Attenzione prego, tutti i passeggeri in partenza per Vienna sono pregati di attendere vicino all'uscita numero uno).Una parte dei passeggeri nella saletta d'attesa si alzò in piedi e si diresse di fronte all'uscita numero uno. - Buone vacanze - borbottai commossa abbracciando Serena - sono sicura che in Thailandia ti rimetterai, in quanto ad Alba, speriamo che non sia un tumore. - Me lo auguro con tutto il cuore. - ammise Serena seria. Mentre abbracciavo Franco, dall'altoparlante si udì: - Attention please, all passengers in departure to Thailand are kindly requested to wait by gate two. (Attenzione prego, tutti i passeggeri in partenza per la Tailandia sono pregati di attendere vicino all'uscita numero due). - Buon viaggio e manda un bacio all'Italia per me! - concluse Franco. Presi il mio bagaglio a mano e mi misi in fila, dicendo: - Sarà fatto , buon viaggio anche a voi. Le uscite numero uno e due si aprirono nello stesso momento, quindi due file di passeggeri seguirono le hostess per raggiungere a piedi gli aerei che si trovano nelle direzioni opposte. Mi girai un attimo a guardare Franco e Serena che si allontanavano e mi salutarono per l'ultima volta, commossa ricambiai agitando la mano. Il mattino del ventuno dicembre, ero a casa mia e stavo terminando di addobbare l'albero di Natale, quando squillò il telefono; presi il cordless dal ricevitore sul mobiletto: - Pronto! - Dall'altra parte del filo: - Sono Serena dalla Thailandia, volevo dirti che ho fatto un sogno molto incoraggiante a proposito di Alba! - Che cosa hai sognato? - domandai curiosa. - Ho sognato che Alba, raggiante di felicità, mi diceva che il tumore sospettato non c'era. - Speriamo sia un sogno premonitore. - dissi felice - Comunque il ventotto dicembre lo sapremo. - Me lo auguro, ma dimmi come va con la vista? - Purtroppo in gennaio devo fare il terzo ed ultimo laser all'occhio sinistro - sospirai - ma come vanno le vacanze e la salute? - Siamo su un'isola con una spiaggia stupenda e sto molto meglio. - Molto bene! E a proposito di Gopal - domandai curiosa - com'è andata la distribuzione del libro sui diritti umani? - Franco ha ricevuto una e.mail incoraggiante in cui Gopal lo informa che non ha avuto ritorsioni. Ti abbraccio forte, tanti saluti da Franco e buon Natale. - Ricambio con affetto, ciao! - dissi, poi felice posai il ricevitore. EPILOGO Il mattino del ddue gennaio 2002 , mentre entravo nel salotto per controllare il fuoco che ardeva nel caminetto, squillò il telefono. Serena mi chiamava per informarmi che purtroppo lei e il marito avevano dovuto interrompere le vacanze, perché suo padre doveva subire un intervento. Mi disse anche che il sogno che aveva avuto in Thailandia si era rivelato premonitore, infatti Alba le aveva riferito le stesse parole del sogno. Fortunatamente la macchia che le avevano trovato allo stomaco si era rivelata essere soltanto una grossa ulcera. Quando Serena concluse la telefonata, riflettendo sulla sua situazione, pensai che dopo tutto la paura era passata, perché tutto il resto era risolvibile; felice tornai nel soggiorno, misi un pezzo di legno sul fuoco e mi sedetti ad osservare le fiamme che sfumavano dal rosso all'arancione, mentre si allungavano danzando tra le miriadi di scintille che fuggivano e sparivano insieme al fumo su per la cappa del camino. Un anno dopo, esattamente il trentuno gennaio 2003 , ricevetti una lettera di Serena e Franco dal Nepal . Entusiasta l'aprii e lessi: Pokhara, 15 gennaio 2003 Cara Elisabetta, Franco è molto felice e orgoglioso di essere riuscito a far approvare i suoi due progetti, ma anche deluso per la mancata realizzazione di uno, perché Gopal al momento opportuno si trovava all'estero. Ieri, 14 gennaio 2003 , abbiamo concluso il primo ciclo di controllo generale dello stato di salute dei 385 bambini inclusi nel progetto, che faranno parte dei 20 asili di prossima apertura. Per l'occasione c'è stata un'interminabile cerimonia. Oggi ne hanno organizzata un'altra in mio onore; dopo un lungo discorso mi hanno messa una ghirlanda di fiori intorno al collo, spiaccicato un intruglio di polvere rossa sulla fronte, poi tutti i collaboratori hanno intinto fiori di ibisco nella polvere rossa e me li hanno messi in mano; alla fine, mentre Franco rideva divertito, una stupenda nepalese mi ha spiaccicato per l'ennesima volta l'intruglio sulla fronte. Abbiamo affittato una bella villetta sul lago, con alcune stanze per gli ospiti; se vorrai farmi da assistente volontaria come stiamo facendo noi, sei benvenuta. Alcuni giorni fa siamo saliti al monastero di Kopan per fare una visita ai monaci. Ho saputo che Jolanda ha lasciato il suo lavoro da cuoca ed è partita per il monastero di Dharamsala, in India, per studiare il tibetano; fra alcuni anni diventerà un'interprete del Dalai Lama. Namastè da Serena e Franco Orgogliosa dell'opera dei miei amici piegai la lettera e sussurrai entusiasta: - Quando ci si sente uniti all'umanità, tutte le menti divengono stazioni trasmittenti su cui si può agire a volontà. Il maestro Babaji La maggior parte degli insegnamenti Buddisti del Venerabile Neil sono stati ricostruiti anche con l'ausilio del libro “Sul Sentiero del Buddha” di Eric Cheetham