Marsciano Media Fior di parole giocare con le

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Marsciano Media Fior di parole giocare con le
Anno scolastico 2004/2005
AVIS
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IL LABORATORIO DI SCRITTURA CREATIVA
FIOR DI PAROLE: giocare con le parole per fabbricare storie, è stato portato avanti per due ore
settimanali ogni mercoledì dall'8-11-2005 all'8-2-2006.
In questo laboratorio, come previsto, si sono analizzati,
manipolati e creati testi narrativi.
Gli alunni, provenienti da tutte e quattro le sezioni della
sede centrale della Scuola Media Moneta, erano
inizialmente 25 e ad essi, dopo due lezioni, se ne sono
aggiunti altri 3 provenienti dagli altri laboratori.
Il laboratorio di scrittura creativa era aperto a chiunque
desiderasse esercitarsi nell'arte dello scrivere testi di
narrativa.
Il laboratorio e' un'esperienza comune attorno alla
letteratura nella doppia veste dello scrivere e del
leggere.
L'obiettivo era di favorire lo sviluppo delle capacità espressive dei partecipanti attraverso
l'approfondimento dei principali aspetti del processo creativo e degli elementi costitutivi della
narrazione.
Il lavoro all'interno del laboratorio ha offerto ai partecipanti la possibilità di:
- Acquisire una maggiore consapevolezza della propria scrittura e della propria voce
narrante
- Migliorare la propria scrittura (in termini di accuratezza, coerenza e profondità
dell'espressione)
- Sviluppare la propria capacità di invenzione
- Accrescere la sensibilità necessaria a gustare e a valutare testi di narrativa
- Sviluppare la propria capacità di ascolto e di visione della realtà
A ciascun partecipante è stata proposta la scrittura di racconti la cui progressiva elaborazione è
stata condivisa e analizzata criticamente dal gruppo di lavoro.
Il percorso di formazione si fondava sulla convinzione che il talento si costruisce attraverso un
costante e paziente lavoro sul proprio modo di scrivere attuato attraverso:
1. L'ascolto e l'analisi di testi di narrativa
2. L'ascolto e l'analisi di modelli di narrazione prodotti attraverso altri linguaggi (cinema,
musica e pittura)
3. Esercizi di scrittura
4. L'ascolto della propria e altrui scrittura
5. La verifica periodica del racconto breve che rappresenta il testo principale di lavoro di
ciascun partecipante
6. La lettura di riflessioni, consigli di scrittura e di altri testi di approfondimento di autori noti e di
insegnanti di scrittura creativa sul senso e sulle tecniche dell'arte dello scrivere
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L’ANELLO
La bara era coperta da un drappo nero, quando all’improvviso delle ragazze si avvicinarono per profanare la tomba.
Guardarono dentro e spuntò fuori Undertaker che le uccise tutte succhiandogli il sangue. Undertaker aveva un punto
debole: se guardava la luna piena moriva. Aveva un nemico di nome Spike: egli era l’unico che poteva ucciderlo.
Undertaker lo andò a cercare in tutte le gallerie sotterranee che conosceva.
Una notte, quando il cielo era oscurato dalle nubi i due si incontrarono. I due si guardarono attentamente come per
studiarsi. Poi decisero il luogo e la data del duello: si sarebbero scontrati la settimana seguente a mezzanotte al
cimitero.
Nel corso della settimana Undertaker e Spike si allenarono molto duramente. Arrivò così il giorno del duello: i due
avversari erano pronti per la sfida. I due si trovavano faccia a faccia. Spike si lanciò verso il suo avversario e così il
duello ebbe iniziò. Undertaker e Spike erano stesi al suolo stanchi per il lungo combattimento.
Le nubi coprivano ancora la luna anche se non molto bene; ma non ce n’era bisogno perché Undertaker portava il suo
anello protettivo. Oramai Spike stava per essere sconfitto: pensò che l’unico modo per sconfiggere il suo avversario
fosse quello di farlo colpire dai raggi della luna. Così escogitò un piano e con un inganno prese l’anello dalle dita di
Undertaker. Finalmente era spuntata la Luna e Undertaker senza più il suo anello preso da Spike fu colpito dai raggi
lunari e morì.
Hendry Alessandri
LA NEVE COPRE TUTTO
Dopo il pranzo il padrone dell’albergo ci venne a chiamare per la nostra consueta passeggiata.
Io, che avevo 28 anni, facevo parte di un gruppo di persone sulla trentina alle quali ero molto affezionata; infatti erano
tutti simpatici, dolci e sempre disposti a tutto, tranne due: Edoardo e Raffaele che dicevano di avere 32 anni, ed
avevano un aspetto, entrambi, di confabulare qualcosa, ma non so che cosa.
Erano le tre e mezzo del pomeriggio ed ero abbastanza lontana dall’ albergo, ben 3 km!!. Io credevo che sottosotto,
c’era qualcosa di strano, perché, noi non avevamo mai camminato più di 1,5 km, ma comunque a me piaceva
camminare e quindi, non dissi nulla, ma feci caso che Raffaele e Edoardo non c’erano.
Dopo, il padrone, che noi chiamavamo con il nomignolo Giova, ci disse: “Andiamo così lontano perché voglio che voi,
siate in ottima forma, e poi voglio che……” e interruppe il discorso con un colpo di tosse forzata. Si erano fatte le cinque
e mezzo e Giova decise che dovevamo ritornare all’ albergo. Quando arrivammo, disse di cambiarci perché dovevamo
essere belli.
Arrivò il fatidico momento della cena e, quando ci passarono la pasta, capii subito che c’era qualcosa di strano, troppo
strano.
Non avevo molta fame anche perché avevo mangiato troppo a pranzo e non avevo ancora ben digerito, e quando vidi
Joe, un amico del gruppo, che si stava sentendo male per aver mangiato la pasta ricollegai tutte le informazioni che
avevo raccolto: Raffaele ed Edoardo alla passeggiata non c’erano e poi il cibo avvelenato!!
Mi ricordai che al telegiornale avevano detto che due persone, sulla quarantina si aggiravano e si travestivano da
ventenni e ammazzavano le persone.
E così, successe. Tirarono fuori mitragliatrici, pistole, mazze e tutto ciò che poteva ferire qualcuno.
Giova, gli diede il segnale di iniziare a far piazza pulita di tutti noi; ma a me non mi trovarono perché ero nascosta molto
bene: ero nella cucina, dentro una botola che avevo trovato dei giorni prima. Non so a che cosa servisse, ma mi ci misi
dentro. Sentivo grida, urla e pianti disperati, spari. Gente che usciva fuori nel cortile in cerca di un nascondiglio. Oltre a
me non vi fu nessun altro sopravvissuto: tutti erano morti e nello stesso istante tutto taceva e aveva cominciato a
nevicare.
Uscii dal mio nascondiglio e vidi tutto quell’ orrore: mitragliatrici sparse su tutto il prato e i miei amici morti in un mare di
sangue.
Poco dopo la neve abbondantemente caduta aveva coperto tutto.
Neliana Scali 2° B
COME SARÀ IL MONDO TRA MILLE ANNI
Spesso mi domando sarà il mondo tra mille anni. Non oso pensare a cosa accadrà perché mi prende il dolore allo
stomaco.
Apro la televisione su Canale 5 e vedo un’edizione straordinaria del TG5. “Buonasera! Siamo qui perché proprio
adesso è arrivata una notizia dalla Nasa, molto importante. Nel 2036 cadrà un asteroide proprio sul nostro
Paese…” A me prende un colpo perché fino a quell’anno io sarò ancora vivo. Vado a dirlo a mia madre e lei mi
risponde: “Non ti preoccupare tesoro mio, va’ a lavarti le mani che la pasta è pronta!”
Lavandomi le mani penso che questi giorni indagherò su questa cosa. Ora vado a tavola e subito dopo sempre su
Canale 5 vedo “Amici” di Maria de Filippi.
“Eldi, vieni a tavola!”
“Arrivo mamma. Bè, ora è il momento di andare a tavola: la pastasciutta si sta raffreddando.
Anche tra mille anni ci saranno sempre problemi di pastasciutta?!!
Eldi Sota
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IL MIO FEDE...
Ci lasciammo all’angolo della via: lui si voltò e mi fece un cenno di saluto con la mano.
Niente poteva rovinare quella bellissima giornata d’estate; il sole scottava sulla mia pelle
abbronzata, il leggero vento accarezzava i miei capelli lunghi e soffici, gli uccelli felici cinguettavano
nel cielo azzurro, i bambini giocavano e correvano nel verde parco, le persone e i ragazzi
passeggiavano e gli anziani giocavano a carte!
Era tutto splendido, soprattutto quel momento.
Non vedevo l’ora che arrivasse sabato, dovevo correre a casa per dire la bellissima notizia alla
mamma.
Appena arrivata corsi subito in camera per preparare le cose che avrei indossato sabato, poi andai
da mia madre e le dissi che sabato sarei andata al cinema e poi dopo in discoteca con Federico e i
nostri amici.
E poi!!!…BOOH…!!! DISASTRO TOTALE, mia madre
mi ricordò che sarebbe stato il compleanno di mia
nonna, che festeggiava i suoi 65 anni, mi toccava
andarci e io che mi metto sempre troppe idee in testa,
CHE STUPIDA!
Ma poi mamma mi tranquillizzò: non andrò al cinema
ma potrò andare in DISCOTECA!!!.EVVAI.!!!
Ed io felice della bella notizia riempii di baci mia madre,
poco dopo lessi il messaggio che mi era appena
arrivato da FEDE “Angelo: c’è chi nasce per sognare…
e chi come te per essere un SOGNO!!!”
Allora io gli rimandai “Il mondo è difficile da capire …
alcune volte vorresti mollare tutto ma poi ti accorgi che
esistono persone come te e allora ricominci a vivere!!!”
E così abbiamo cominciato a smessaggiare.
E’ SABATO la grande serata è arrivata, il compleanno di mia nonna è stato uno sballo, mi sono
divertita molto, ma ora vediamo e pensiamo a questa sera!
Ci sono tutti i miei amici e pure Federico, ma prima di entrare in disco…io gli posi una curiosa
domanda: “Ma tu mi vuoi bene?”
“No.”
”Mi trovi carina?”
“No.”
“Mi tieni nel tuo cuore?”
“No.”
“Se vado via tu piangi?”
“No.”…
…Allora io andai via triste; lui mi fermò, mi abbracciò e mi disse: “Io non TVB, io ti amo; io non ti
trovo carina, sei stupenda; non sei nel mio cuore, tu sei il mio cuore, io non piango per te, io muoio!!!
In quel momento mi sentivo rinata, all’inizio mi sentivo uno straccio, ma ora mi sento un angelo!!!
“Allora mi ami davvero? Ogni volta che sei a casa mi pensi?”
“Se fosse per me, non mi muoverei mai di casa” rispose, ci rimarrei sempre per pensare a te.
Sonia Nottoli
IL MAGO BIANCO
Un uomo giunse in città in un’alba d’inverno. Era molto strano, sembrava un anziano; portava un
lungo mantello bianco e per camminare si appoggiava ad un lungo bastone che sulla punta aveva
un cristallo enorme. Aveva il viso coperto da un cappuccio con la punta ripiegata della stesso colore
bianco come la neve. Aveva una lunga barba molto folta che gli arrivava fino alla cintura dei
pantaloni.
" Narra una leggenda, che un giorno arriverà un potentissimo mago che potrà salvarci, vedrai ",
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disse Bornor, un anziano signore sempre allegro che sapeva sempre cosa fare per passare il suo
tempo, a suo nipote Mellon, un ragazzo che a differenza del nonno, a volte restava a guardare fuori
dalla finestra per ore e ore. Egli rispose:
“ Ma ne sei proprio sicuro nonno? E’ solo una leggenda, non mi fiderei poi tanto. E’ da quando sono
nato, da quindici anni, che la neve non si scioglie e mi sarebbe piaciuto vedere un’estate in tutta la
mia vita! ”.
La famiglia di Bornor e Mellon era una di quelle tante che, passavano il loro tempo in casa e
uscivano di nascosto solo per prendere qualcosa da mangiare nella Foresta Nera. Tutto questo
per colpa di una perfida Strega che poteva vivere solo in presenza di molta neve, perché il suo
cuore era gelido, come la brezza che un tempo smuoveva le foglie degli alberi ora spogli più che
mai. La Strega Bianca aveva però un punto debole: possedeva un cristallo simile a quello
dell'anziano che era arrivato a Gandra, detta anche " La città bianca ", aveva una forma appuntita e
squadrata.
Il vecchio aveva bisogno di un riparo, perché era stato cacciato via dalla città in cui abitava prima, a
causa dei suoi poteri magici, di cui tutti avevano un’incredibile paura. A Gandra, pensava di trovare
delle persone che lo avrebbero ospitato e che gli avrebbero offerto cibo e acqua, ma purtroppo per
lui non fu così. Bussava ad ogni porta, ma la risposta era sempre quella: “ Mi dispiace ma ora non
posso ” oppure “ Se ne vada subito via ” e cose del genere, seguite poi da una bella porta chiusa in
faccia. L’anziano mago aveva raggiunto la casa di Bornor, senza speranza poi bussò e venne
subito trascinato dentro la piccola baracca. Subito Bornor gli domandò: “ Chi sei? Una spia della
Strega Bianca? Che cosa vuoi da noi? ” Con voce calma ma forte rispose: “ Sono Paramir della
Terra dei Draghi e faccio parte dell’Antico Ordine dei Maghi Bianchi, istituito dai miei antenati, di cui
hanno fatto parte alcuni dei maghi più potenti al mondo. Vedete, il vostro regno è al confine tra il
Mondo dei Maghi e quello degli umani e avevo pensato di trovare una migliore accoglienza qui ”.
Mellon, che non credeva molto alla magia gli chiese: “ E perché stai cercando aiuto proprio qui? Noi
non possiamo fare niente per te, non possiamo neanche uscire di casa per prendere qualcosa da
mangiare se non di nascosto… Un momento, hai detto che sei un potentissimo mago, non è forse
così? ” Paramir annuì “ Potresti aiutarci tu, in cambio noi ti ospiteremo per tutto il tempo che vorrai ”
disse Mellon ironicamente. “ Sentiamo un po’, cosa dovrei fare di preciso? ” Bornor rabbrividì al solo
pensiero di rivelargli la storia della Strega Bianca ma Paramir non sembrava stupito, anzi aveva
l’aria di conoscere quella storia meglio di chiunque altro. Si sedette e respirò ansiosamente, poi aprì
la bocca cercando di parlare ma non riuscì a dire nemmeno una parola; si fece coraggio e disse: “
Ebbene, sedetevi e vi racconterò la mia storia. Quando sono entrato a far parte del Ordine dei
Maghi Bianchi non ero solo, con me c’era mia sorella che aveva degli enormi poteri. Quando
eravamo piccoli, nostro padre ci regalò un cristallo ciascuno che poteva ampliare i poteri di chi lo
possedeva. Beh, mia sorella cominciò ad obbedire a ciò che le diceva il cristallo, che lei aveva tanto
desiderato, non per ampliare i suoi poteri, ma per dominare l’intero pianeta. Il cristallo la ridusse ad
una strega che per il potere avrebbe fatto qualsiasi cosa, persino vendere la sua anima al demone
delle nevi. Ora può vivere solo con il suo cristallo e in presenza di tanta neve. ” Mellon si alzò in piedi
e disse con voce arrabbiata:
“ Vorresti dire che la strega che ci tiene prigionieri nelle nostre case….” “ Sì, è mia sorella. ” rispose
Paramir con un’aria afflitta come non mai. “ Immagino quindi, che tu non vorrai sconfiggerla, vero? ”
chiese Bornor preoccupato. “ No, e anche se avessi voluto, non avrei potuto fare niente per voi.
Vedete, il fatto è, che solo la Spada di Luce, può distruggere i poteri di mia sorella, e solo il mago più
potente di tutti, è in grado di usare il suo magico potere. Io purtroppo non sono il mago più potente di
tutto il mondo e non ho la più pallida idea di chi sia. Forse però posso aiutarvi a rubare il cristallo;
senza di esso mia sorella perderebbe i suoi poteri, anche se non morirebbe del tutto. ” Bornor che
era rimasto seduto, si alzò di scatto e disse con voce squillante: “ Bene, ti aiuterò io; non ho mai fatto
niente di così importante per il mio paese e voglio rendermi utile ”. “ NO, prenderò io il tuo posto, tu
sei troppo anziano, non resisteresti neanche al viaggio per raggiungere la Strega ”.
A quelle parole, Paramir sorrise e pensò Il ragazzo ha un grande animo e magari possiede anche
dei poteri che non conosce; mi domando se sia lui il portatore della Spada di Luce .
Il giorno dopo partirono per il castello di ghiaccio situato nella Gola della Morte, protetti dallo scudo
invisibile di Paramir. Il viaggio durò tre lunghi giorni che essi passarono al freddo, senza mai
fermarsi a dormire, con il poco cibo che trovarono lungo il tragitto e con l’acqua che avevano fatto
scongelare dalle sorgenti ghiacciate.
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Il castello era enorme e si slanciava verso il cielo con appuntite torri di ghiaccio da cui provenivano
le urla di tutti i prigionieri della maga. Mellon, cercò un’entrata attraverso i sotterranei del castello
mentre Paramir si riposava e riacquistava tutti i poteri che aveva speso per la barriera. Mellon
chiamò Paramir e gli disse di seguirlo perché aveva trovato una strada breve e sicura che portava
direttamente alla sala dove la Strega Bianca stava ammirando il suo cristallo (come se non lo
avesse mai visto prima). Non avevano un piano per entrare senza essere visti perciò Paramir uscì
allo scoperto mentre Mellon rimaneva nascosto, e si presentò al cospetto della malvagia sorella: “
Jisa, ti ricordi di me? ”
“ Come potrei scordarmi, fratellino. Tu eri sempre il migliore ma ora le carte si sono rovesciate e,
vedi ora io ho tutto questo e tu, guarda come sei ridotto. A mala pena ti reggi in piedi. Ma ora dimmi,
sei venuto ad invocare la mia grazia ”.
“ No Jisa, sono venuto per distruggere i tuoi … straordinari poteri magici ”. “ Oh, ma davvero, io non
credo proprio ”. E detto questo, lo attaccò con un gesto della mano e lo scaraventò a dieci metri di
distanza. In quel momento Mellon si sentì un brivido di rabbia dietro la schiena e iniziò a farfugliare
una lingua che non conosceva e disse : “ Esna ualmi knosos scima ” poi si riprese da una specie di
trans e si sentì strano, molto strano; poi quando Jisa fece volare Paramis fuori dalla finestra, Mellon
cominciò a ripetere la frase che aveva detto inconsapevolmente e all’improvviso, gli cadde una
spada sulle mani. Proprio nel punto della lama vicino all’elsa c’era scritto: “ Esna ualmi knosos
scima, la Spada di Luce. ” Subito Mellon si sentì investito da un’ondata di coraggio e uscì dal suo
nascondiglio con la spada sguainata contro la perfida Strega.
" Ah, Paramir ha chiesto i rinforzi e ha scelto un pivellino come te che non riesce nemmeno a tenere
la sua spada. Bene, vorrà dire che non soffrirai più di tanto. "
Ma Mellon non si lasciò impressionare da quelle parole e partì all’attacco, ma non fece in tempo ad
agitare la Spada che ne uscì subito un raggio di luce accecante, così intenso che costrinse la Strega
a ripararsi gli occhi con le mani; mentre Mellon le puntava la Spada contro per impedirle di vedere, si
spostò verso il cristallo, lo prese, lo gettò in aria e subito lo colpì con il raggio di luce. La preziosa
gemma si frantumò in mille pezzi e una nuvola nera ne uscì fuori; fluttuava in cielo e si spostava
verso il raggio di luce emanato dalla spada, all’improvviso la nuvola divenne bianca ed entrò nel
corpo di Jisa che sembrava morta: quella era la sua anima che si era purificata. Essa si rialzò e vide
Mellon che correva a guardare dalla finestra e gli chiese:
“ Giovane ragazzo, chi sei? ”
Ma Mellon non l’ascoltava e si precipitò fuori dal castello a soccorrere l’amico; intanto la neve, si
era quasi sciolta del tutto. Gli uccellini, cominciavano a mettere i loro beccucci fuori dalle loro
tane per annusare di nuovo il profumo della primavera e gli alberi si stavano svegliando dal loro
lungo sonno, come tutti gli animali del bosco.
Fortunatamente Paramir stava bene e quando vide che la sorella era tornata normale, l'abbracciò e
si incamminarono tutti insieme verso la casa di Bornor che sicuramente era preoccupato per suo
nipote. Durante il tragitto Paramir affidò il suo cristallo a Mellon e gli disse: " Questo è meglio che lo
tenga tu, io e mia sorella abbiamo deciso di tenerci alla larga da quel cristallo. " Mellon lo accettò con
immenso piacere.
Da quel momento non parlarono più: si udiva soltanto il rumore dei loro passi.
Elisa Pizzichini
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DOPO IL PRANZO
Dopo il pranzo il padrone ci venne chiamare…….
-Ragazzi seguitemi!Vedete, ho ritrovato il corpo di questa persona. Dai documenti ho visto che si
chiama Alberto Paliani detto il Titano per la sua abilita di leader. Penso che…. Ah sì,ora mi
ricordo!Era il famoso leader dei Carta Strappa, una grande organizzazione mafiosa.
Il corpo era lì, steso, e per quanto mi riguarda mi faceva meno paura prima che adesso !!!!!!
“Ora non dobbiamo far altro che chiamare la polizia” disse Gio , uno dei miei impiegati.
Io subito dissi di sì, e che l’avrei fatto io.
Loro rientrarono tutti sconvolti, ma non sapevano che io avevo commesso due crimini: uno aver
ucciso quell’uomo, quello spietato uomo, due, di non aver chiamato la polizia, ma di essermi
sbarazzato del corpo.
Non potevo permettermi di rischiare!
Però avevo commesso uno stupidissimo errore.
Colui che avevo ucciso non era il Titano, ma il suo gemello e sapevo che me l’avrebbe fatta pagare.
Infatti mandò subito i suoi scagnozzi ad uccidermi.
Mi colpirono con un pugnale. Negli ultimi dieci secondi della mia vita mi dissi: “Fortuna che ora
nevica , così non incolperanno quelli del mio albergo per la mia uccisione.
La neve abbondantemente caduta aveva coperto tutto.
Luca Rosi 2B
L'AMICA SVOGLIATA
Ci lasciammo all'angolo della via: lei si voltò e mi fece un cenno di saluto con la mano. Io invece,
continuai ad andare dritta verso casa mia. Caterina, mia sorella era partita da casa e io ero rimasta
sola, avevo paura, mi annoiavo e quindi decisi di andare a fare una piccola passeggita. Durante il
cammino, incontrai mia madre che stava lavorando nel campo del nonno e capivo che faticava
molto. Siamo nel 1940 e esistono poche macchine per lavorare la terra. Alcuni giorni fa, andai ad
aiutarla, ma oggi, non ne ho la minima voglia, voglio stare con Anna che però è partita poco fa, mi ha
detto che doveva andare da sua nonna, quella che si trova dietro al famosa angolo "spuntato". Non
volevo passare in via Fontanelle, sapevo che c'era mia madre, ma non sapevo dove andare e
quindi quella era la strada migliore. Appena la vidi, mi nascosi subito, ma lei mi adochiò e mi chiamò
dicendomi:" Ehi Sara, vieni un po' qui ad aiutarmi! Oggi sono rimasta sola! Lo sai che tuo nonno
parte sempre prima!"
"Mamma ma oggi è una bella giornata e voglio giocare un po’!"
"Ma dai vieni che dopo ti do qualche lira per comprare il panino, quello che ti piace tanto!"
E allora io, visto che avevo fame accettai. Il campo era veramente molto grande non me lo sarei mai
aspettata, infatti mia madre, mi fece lavorare molto, mi fece vendemmiare, zappare e tagliare
l'erba, ma la cosa più faticosa in assoluto è che mi fece annaffiare tutte le piante, una a una! Appena
arrivata a casa, mi infilai nel mio letto insieme a mia sorella, e mi addormentai immediatamente.
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Dormii a lungo e il giorno seguente, mi venne a svegliare Anna. "Sara!" mi disse " perché hai
dormito così tanto sono le undici della mattina! e tu sei andata a dormire alle nove e mezzo! È ora
che ti svegli!!"
"Ieri dopo che tu sei andata via, mia madre mi ha detto che la dovevo aiutare!"
"Tutto qui! Ecco il motivo?"
"No, ma mi ha fatto faticare molto e io sono pigra non sono abituata a questi lavori pesanti!" "Anche
io ho lavorato con mia madre, però ho fatto l'uncinetto e la maglia e non era pesante per niente!"
disse Anna
"Secondo me ho faticato di più io, non è vero!?"
"Se fosse per me non mi muoverei mai di casa!" Rispose.
Francesca Baccarelli 2A
LA GUERRA
Questa guerra sembra ormai interminabile.
A Todi vive un bambino di nome Alessio. Lui ha perso i genitori durante la guerra.
Alessio vive con un suo amico che si chima Mirko. Adesso è triste perche’ il suo amico ha i
genitori e lui non ha nessuno.
Alessio un giorno si ricorda come erano i suoi genitori e lo racconto’ al suo amico.
Suo padre si chiamava Claudio e aveva 37 anni.
Un giorno Berlusconi diceva un soldato per vedere come lavorava di nessuna parte e lui i dice a
Berrlusconi per ucidere. Soldato prendeva l'arma e lo ucide.
Mamma di Alessio si chemava Ana aveva 35 anni. Lei e stata ucisa di un soldato americano.
Mirko mi rispose: cosi è finita la storia di genitotri tuoi.
"tu non sai come sono andate veramente le cose" gli ho risposto.
Alessandro Novac
GLI ALIENI
Silenziosamente, l’astronave aliena atterrò nel bosco. Dal grande disco volante nero scesero due
alieni, alti, la faccia ovale come un pallone da rugby, il collo lungo e due grandi orecchie a punta.
Indossavano una tuta verde e una volta premuto un bottone diventarono umani, o almeno
sembravano, un uomo ed una donna.
L’astronave si mimetizzò fra gli alberi e i due alieni con
aria innocente si avviarono verso la città, con loro c’era
anche un cagnolino.
I due marziani erano stati inviati dalla Regina Frippol III
dello Stato indipendente di Plutone per rapire un umano
e studiarlo nei laboratori del loro pianeta.
In una missione precedente avevano rapito un cane per
riprodurre in laboratorio miliardi e miliardi di cani con una
mentalità diversa dal normale.
Non più di affetto verso gli umani ma di disprezzo.
Praticamente volevano conquistare il mondo con l’aiuto
del migliore amico dell’uomo.
Ma il piano non funzionò.
Il giorno dopo Jessica come tutti i giorni andò a scuola, lei era una appassionata di libri e film sugli
UFO e credeva che da qualche parte dell’universo potessero esistere e che un giorno o l’altro li
avrebbe visti.
Tornata a casa pranzò e poi fece i compiti. Oltre ai marziani, a Jessica piaceva molto giocare a
pallavolo e così ogni giorno andava a giocare dietro a casa sua dove c’era un campetto e lì giocava
con le sue amiche.Finito di giocare, andava a casa e si faceva una bella doccia, poi prendeva
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l’ultimo numero della sua rivista preferita di extraterrestri, correva al parco e si metteva a leggerla
sulle panchine. Con la sua fantasia viaggiava e viaggiava e sognava di scoprire gli UFO grazie al
telescopio da lei inventato e vedeva che gli extraterrestri cercavano di attaccare il pianeta Terra e
grazie alla sua scoperta salvava il mondo intero e veniva dichiarata eroe mondiale.
Finito il suo sogno di gloria vide un piccolo cagnolino che si trovava solo e sperduto e così lo seguì.
Finì dritta nella trappola dei marziani che la catturarono e la portarono su Plutone e la studiarono.
Vide per prima i marziani anche se era felice di averli visti non era contenta di finire male per colpa
dei loro stupidi esperimenti.
La sua permanenza durò sette giorni. In quei giorni scoprì il precedente esperimento sul cane che gli
fece tanta pena e così disse ai marziani:- Voi fate degli esperimenti su di me e poi mi liberate; ma mi
dovete anche promettere che libererete il cane con me. I marziani parlarono un po’ tra di loro e poi
accettarono.
Dei sette giorni non si ricordò niente. In quel momento stava riabbracciando sua madre e pensava
se qualcuno le avrebbe creduto.
Jessica si avvicinò al cagnolino :-Qua la zampa!. Gli disse.
Valerio Trotta
FOLLETTI DEL BOSCO
La casetta dei minuscoli abitanti del bosco non era più
grande di una monetina. Io la chiamavo “Cir la casa dei
folletti” , ma in realtà per la loro minuscola altezza era una
villa gigante, la più gigante del loro mondo; la cosa più
bella è che io li riuscivo a vedere e gli altri no.
Tutti dicevano che io, essendo sempre con la testa tra le
nuvole, entravo talmente tanto nella fantasia, che sognavo
anche di giorno, ma invece, mi sentivo del tutto nella
realtà…
Questa dote di vedere i folletti del bosco che gli umani
chiamano fantasia, era iniziata dal giorno del mio settimo
compleanno.
Stavo giocando a nascondino con tutti i miei compagni di
scuola, era la giornata più bella e più calda di quella estate,
quando ci venne in mente di giocare nel bosco… Sara, la
mia amica del cuore, stava contando, era arrivata quasi a
50 ed io, non avevo ancora trovato un nascondiglio!
Attraversai il fiume pensando che lei non mi vedesse, corsi
per un po’ e, non accorgendomi di un ramo, inciampai e
svenni.
Appena mi svegliai mi trovai in un campo di papaveri,
proprio uguale alla figura del mio nuovo libro intitolato
“Shopy la regina del bosco” che mi aveva regalato Sara.
Intorno a me c’erano tanti folletti ed io appena li vidi, cominciai ad urlare. Ma uno di loro, di nome
Waldo mi disse:
“Stai calma ragazzina, noi siamo tuoi amici se lo vuoi, e non devi avere paura di noi, siamo dei
folletti”.
Io mi ero tranquillizzata, ma dalla paura nella mia testa si formarono solo domande e così chiesi:
“Dove sono?, chi siete voi, e i miei genitori dove stanno?”
Rispose sempre quel folletto e mi disse:
“Tu sei nel Regno dei Folletti. I tuoi genitori sono oltre il fiume, ma se tu ci andrai, quando tornerai
qui, ci potrai solo dire addio perché saremo spariti. Ah , dimenticavo, io sono il capo dei folletti, mi
chiamo Waldo”
Io risposi: “Piacere Waldo, credo di aver capito quello che mi hai detto e ho deciso che rimarrò tre
giorni con voi.”
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Per me quei tre giorni furono i più divertenti perché in qualche modo anch’io ero una di loro… Però
quando furono trascorsi, e sentivo sempre più la mancanza dei miei genitori, dissi loro:
“E’ arrivato per me il momento di andare, grazie per avermi ospitata ed essere stati miei amici. Non
vi dimenticherò mai, addio…”
Waldo con prepotenza mi fermò e mi disse:Non addio ma arrivederci!” e tutti in coro aggiunsero:
“ARRIVEDERCI!”.
Quando tornai a casa i miei genitori mi chiesero piangendo dove fossi stata ed io raccontai tutti i
fatti, ma loro non ci credettero e così passarono molti mesi fino a quando un giorno, mi svegliai e
decisi di portare i miei genitori nel Regno dei Folletti così, intorno le 3 del pomeriggio partimmo e,
attraversato il ponte sul fiume, anche loro poterono vedere i folletti. Ma era l’ora di dire addio e di
non rivederli mai più. Così Waldo si avvicinò e gli dissi: “Addio Waldo” mi disse . “Non è un addio
:… è un arrivederci” risposi .
Lucia Alunni
LA PICCOLA FIORDILUNA
La piccola Fiordiluna era appena entrata nella capanna del capo Grande Orso deve era solito,
ormai da anni, riunirsi ogni sera tutti i componenti del villaggio che ognuno si dedicava a raccontare
storie più o meno fantastiche che riguardavano le vicende dei loro antenati.
Fiordiluna essendo ancora giovane, non prendeva parte alla narrazione, ma ogni sera era presente
nella capanna del capo a sentire raccontare quelle storie che tanto le piacevano e che sperava un
giorno, di poter raccontare ai suoi figli. Gli argomenti che più degli altri venivano citati erano: le
battaglie tra gli Indiani e i Pelle bianca, le lotte tra le tribù indiane e sugli uomini che rimanevano
nelle menti di tutti per aver salvato il villaggio. Ma la storia che le era rimasta più impressa era quella
che aveva raccontato suo nonno sui pelle bianca che sterminarono senza pietà i pelle rossa.
I giorni passavano e Fiordiluna era sempre più preoccupata che i Pelle bianca attaccassero il
villaggio, infatti la sera stessa mentre tutti si ritiravano nella capanna del capo si sentirono delle urla
e dei cani che si dirigevano verso di loro. Tutti quanti scapparono verso il fiume ma a Fiordiluna un
cane l ' addentò a una gamba buttandola a terra. I pelle bianca arrivavano al fiume e presero la
ragazza. I soldati curarono la gamba e la calmarono. Fiordiluna si innamorò di Smit un soldato della
truppa e così si sposò mettendo in pace le proprie famiglie.
Nel bosco ora si sentiva soltanto il rumore del fiume.
Raffaele Ceroni
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GLI ZOOMBIE
La bara era coperta da un drappo nero, i pipistrelli erano appollaiati sugli alberi e io ero rimasto
chiuso in un cimitero. I gufi comunicavano tra di loro, i pipistrelli mi svolazzavano sopra e io mi ero
rifugiato dentro una cappella. Come se non bastasse si mise a piovere e i tuoni illuminavano le
tombe grigie e scure che avevano un’aria spettrale. Un tuono rischiarò il cimitero e una figura
umana apparve nella luce. I cancelli si aprirono, i pipistrelli volarono via e i gufi tacquero. Silenzio di
tomba. La figura avanzava lentamente, illuminata dai lampi, io cercavo di nascondermi, ma….
L’uomo mi aveva già puntato. Avevo paura. Non riuscivo a credere che proprio io ero in quel
cimitero. L’individuo era sempre più vicino, incominciavo a vedergli il volto. Una cosa orrenda. Gli
occhi erano spalancati, il viso era pieno di sangue e le mani erano distese verso me. Avevo già visto
quella faccia da qualche parte. Ma certo, era uno ZOOMBIE, ma non uno qualsiasi, era il più
potente del mondo, ma poteva uccidere le sue prede solo fino a mezzanotte, perché, al contrario
degli altri, alle ventiquattro spariva. Ora lo ZOOMBIE era sopra di me, lui mi vide e mi alzò, poi
incominciò a torcermi il collo. Incominciai ad urlare e gli animali corsero in mio aiuto,così lo tennero
impegnato per un po’ di tempo. Io ne approfittai per andarmene, ma appena mi avvicinai al cancello,
questo si chiuse e altri ZOOMBIE, tutti della stessa specie uscirono dalle loro lapidi e avanzavano
verso me. Ero circondato, non riuscivo a tenere gli occhi aperti, non vedevo l’ora che fosse
mezzanotte. Guardai l’orologio. Undici e cinquantotto. Gli ZOOMBIE mi erano sempre più vicino.
Undici e cinquantanove,mi avevano circondato. Ormai ero finito. Per non vederli mi coprii gli occhi
con le mani. Il campanile rintoccò MEZZANOTTE e….. Aprii gli occhi e quegli esseri non c’erano
più. Finalmente era spuntata la luna.
Montorro Teresa
COSA SUCCEDERÀ FRA MILLE ANNI?
Spesso mi domando, come sarà il mondo fra mille anni, cosa succederà a noi esseri umani. Cosa
succederà? Certe volte ci piango pure, perché penso che possa accadere il peggio e altre invece
non so cosa pensare. Mio fratello Luca mi dice sempre che sono un po’ troppo ripetitiva, penso
sempre e solo a quello che potrebbe succedere. Questa mattina la professoressa ci ha dato per
compito un tema a piacere e io appena ho finito di mangiare mi sono messa a pensare come potevo
farlo, ma pensando e ripensando non mi veniva in mente niente. Ad un tratto agitando la matita mi è
preso uno scatto di rabbia perché non sapevo
che scrivere e l’ ho lanciata, ma non è caduta per
terra era rimasta a mezza aria e, da un libro, che
odiavo profondamente perché secondo me non
diceva la verità, usci un vortice di colore verde
acqua, che mi risucchiò e mi portò in un posto a
me sconosciuto a me sconosciuto, dove le
macchine volavano, le persone viaggiavano
trasportate tramite tubi che fluttuavano a mezza
aria e la gente che passeggiava per strada
aveva un occhio solo o erano dei robot,
perfettamente autonomi che e per nutrirsi
dovevano bere birra. Non sapevo cosa fare,
dove andare, ero del tutto disorientata quando
ad un certo punto si avvicinò a me un vecchio
con degli occhiali molto spessi, una pelle
aggrinzita, una schiena curva e indossava un camice bianco lungo fino alle ginocchia e una
cravatta celeste. Io gli chiesi:- Ehm… salve! Sa dirmi dove mi trovo? E in che anno siamo? Ehh…
chi è lei?- Lui mi rispose:- Siamo nel 3006 e io sono il professor Porten. Non so se ti interessa ma io
te lo dico lo stesso, oggi dovrò andare ad un’asta dove venderanno anche l’ultima scatoletta
d’acciughe e ci sarà la mia peggior nemica, la così detta “Mamma dei robot”. Devi sapere che un
anno fa…- Lui continuò a raccontarmi la sua storia, mentre camminando arrivammo alla casa
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d’aste. Eravamo i primi, poi entrò un ragazzo di una bellezza abbagliante, con i capelli brizzolati, gli
occhi verdi, una faccia da far vedere i cechi e chiamò zio il professore; io mi spaventai, perché
credevo che era impossibile che un così bel ragazzo fosse il nipote di un vecchio che tiene alle
acciughe che ad ogni altra cosa. Chiusi la bocca per non sbavare e mi rigirai dall’altra parte. Arrivò
la “Mamma dei robot”, era una signora con la pelle rugosa, degli occhi sempre allerti, una bocca
rifatta, era un po’ grassottella e sembrava portasse un parrucchino con due corna. Iniziò l’asta e ci
fu un combattimento tra il Professore e Mamma, e alla fine vinse il signor Porten. Passò qualche
settimana e mi fidanzai con il nipote del Professore che si chiamava Jeremy e mi dimenticai del mio
presente. La sera ripresi il libro che mi aveva portato nel 3006 e gli dissi:- Ci ho ripensato hai proprio
ragione! E rividi quel vortice color verde acqua che spuntava fuori dal libro, cercai ci allontanarmi
ma mi risucchiò lo stesso e… sentii cadere la matita che avevo lanciato e riprendendola in mano
cominciai a scrivere ed era talmente facile perché io, nel futuro, c’ero già stata. Beh, ora è il
momento di andare a tavola: la pastasciutta si sta raffreddando.
Giorgia Sannella
FIORDILUNA
La piccola Fiordiluna era appena entrata nella capanna del Grande Orso. Lui era un capo molto
potente, abitava nel bosco e tutti gli abitanti del villaggio dovevano sottomettersi a lui. Quando vide
Fiordiluna, le disse con un vocione “Tu che ci fai nella mia capanna?” Fiordiluna rispose:”Io? Io ero
stanca e così mi sono fermata qui per riposarmi. Ma non ti arrabbiare!”
“Non voglio nessuno nella mia capanna!!!”
“Va bene, me ne vado!”
Mentre Fiordiluna usciva dalla capanna, il capo le disse:”Aspetta!!!Ci ho ripensato. Io desideravo
passare un giorno con una bambina e ti porterò al di là del fiume.”
Camminando camminando, arrivarono al paese e qui c’erano una giostra e una osteria. Prima si
divertirono con la giostra e poi entrarono nell’osteria e chiesero un tè fresco e, dopo essersi
dissetati iniziarono a parlare e a ridere.
Arrivò la sera e decisero di ritornare a casa. Appena arrivati, il capo disse a Fiordiluna: ”Vorrei dire
alla gente che io mi dimetto dal mio ruolo”: Così il capo radunò il suo popolo e fece un discorso.
Appena la gente seppe che potevano essere liberi, iniziarono a festeggiare fino a notte fonda e
ringraziarono Fiordiluna perché aveva fatto intenerire il cuore del capo. La mattina dopo la bambina
disse addio a Grande Orso..
“Siamo stati bene insieme, ma tutte le belle avventure finiscono. Addio.
Così Fiordiluna uscì dalla capanna e si incamminò seguendo la strada nel bosco e si udiva soltanto
il rumore del fiume.
Gianluca Corbezzoli
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STRANA COINCIDENZA
Dopo il pranzo il padrone dell’albergo ci venne a chiamare.“Correte, correte!” disse trafelato “una
macchina ha preso fuoco!”. I ragazzi si alzarono dal tavolo spaventati e uscirono sulla piazza.
La macchina di Jenny era avvolta dalle fiamme e tre metri più in là, un uomo con barba e pantaloni
rotti, piangeva disperato. Jenny corse verso di lui e in ansia lo scosse da un braccio: “Che è
successo? Chi è lei? Cosa ha fatto alla mia auto?”.
L’uomo era solo in grado di fare cenni con la mano e farfugliava parole.Jenny lo strattonò
spingendolo verso l’entrata dell’albergo.“O parli o chiamo la polizia!”, gli urlò.
L’uomo la guardò negli occhi mentre la neve cominciava ad imbiancare le strade.La sirena dei
pompieri si sentiva urlare. Il proprietario dell’albergo aveva chiamato aiuto.
“Come ti chiami?”, gli chiese Jenny.“Mi chiamo Tom”, le rispose più calmo.“E vivo nel parco qui
vicino”, aggiunse. “Io non so nulla!”, concluse. “Quei ragazzi laggiù mi hanno preso a sassate!”
L’uomo tremava dal freddo e non riusciva a spiegarsi. I pompieri, arrivati di corsa, scesero dal loro
camioncino. Si avvicinarono al gruppo e
dissero che, pochi minuti prima, avevano
spento l’incendio di altre tre macchine e che da
qualche mese, si ripetevano questi fatti.
“La cosa strana”, disse uno dei pompieri, “è
che i proprietari delle auto, alloggiano tutti
nello stesso albergo.” “Quale?”, domandò
incuriosita Jenny.“L’hotel Oleandro, dove
stiamo noi?”.
Sì, proprio questo, signorina”, rispose il
pompiere.
Gli amici di Jenny si guardarono perplessi.
“Che strana combinazione!”, disse uno di loro.
La neve adesso scendeva copiosa; Tom
aveva smesso di piangere ma il suo tremare
era sempre più evidente.Il freddo tagliava la
faccia.Le fiamme furono spente, ma la
macchina di Jenny era ridotta un catorcio. L’agente di polizia, arrivato sul posto, ordinò che tutti i
presenti entrassero
nell’ hotel, poi esclamò: “Qualcuno, adesso, dovrà darmi spiegazioni!”.
Il barbone fu fatto entrare assieme agli altri e gli fu offerta una tazza di latte caldo.
“Tom!”, gli disse il poliziotto mentre tutti allibiti lo stavano ad ascoltare,
“Cominciamo da capo. Dicci cosa è successo!”.
“Quei ragazzi mi hanno preso a sassate quando hanno capito che avevo sentito tutto. Ripassavano
il piano per incendiare certe auto. “Venivano assoldati da una persona che aveva tutte le intenzioni
di prolungare la permanenza dei suoi clienti in questo albergo”.
Tutti cercarono con lo sguardo il signor De Paolis, ma il titolare dell’albergo si era tenuto fuori dal
gruppo. Due poliziotti uscirono dalla stanza e tornarono nella hall.
“Signor De Paolis”, disse uno di loro “lei è in arresto!”.
La macchina della polizia si diresse alla centrale con l’integerrimo Signor De Paolis, mentre la neve
abbondantemente caduta aveva coperto tutto.
Joelle Fanelli
LA PRINCIPESSA CINDY
Un uomo giunse a palazzo in un’ alba d’ inverno. Dalla mia camera si udivano i passi di quello strano
giullare al quanto invaghito della figlia dell’ arciduca. Ma come poteva uno come lui ambire alla
mano di una nobil donna?
Aprii la porta per essere al corrente della situazione, ma non vidi che il corridoio deserto e alquanto
freddo. Mi misi così al lavoro: dovevo sbrigare alcune commissioni. Ah, quasi dimenticavo,
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l’arciduca mi aveva ordinato di sistemare il vestito da sposa di Miledi Cindy, sua figlia.
Quella sera sarebbe dovuto essere tutto perfetto, non capita tutti i giorni di sposarsi.
Dopo aver adornato con profumatissime rose appena sbocciate la sala delle cerimonie, per il gran
banchetto, corsi in cucina per accertarmi che il menù venisse rispettato. Poi, come mi era stato
ordinato, curai personalmente la cottura del pezzo forte della serata: il falcone.
Mi recai così, nella stanza di Miledi Cindy. Quando le feci indossare il vestito che suo padre aveva
scelto, la vidi titubante e piuttosto insoddisfatta.
-Mio padre vuole che indossi questo straccetto che ha solo venti diamanti sullo strascico?-mormorò
la ragazza che sembrava essere sempre infelice.
Io le risposi: -Non disperate, vostro padre ha detto che questo vestito è stato indossato dalla
vostra trisnonna. In fondo c’è una sorpresa per lei. Tenga!-e le diedi il regalo del padre.
Quando lo aprì vide un collier di diamanti e disse: - Che bel regalino, certo che si è sciupato!!In quel momento ebbi ancora la conferma che i ricchi sono così viziati. Ebbi anche la tentazione
di dirle se lo avesse dato a me. Finalmente arrivò il momento della cerimonia.
La principessa stava di fronte al suo sposo pronta a dire Sì, ma ecco lo straniero che da qualche
giorno, si aggirava a palazzo, correre verso la principessa e prenderla per mano...
da quel momento non parlarono più: si udiva solo il rumore dei loro passi.
Sacchei Zaccheo Lucrezia
LA TENDA
Un signore arrivò in città in un’alba d’inverno. Lo scrutavo da lontano e riconoscevo in lui un viso
noto. Ma chi poteva essere? Di una cosa ero certa: quell’uomo lo avevo già visto da qualche parte.
Aveva una camminata accentuata da passi felpati e marcati, come un ritmo scandito dai battiti di un
tamburo. Insomma, non capita tutti i giorni, di vedere un turista vestito con abiti neri particolarmente
eleganti e con degli occhiali dello stesso colore che gli oscurano gli occhi!
Sembrava quasi uno di quei buttafuori che si
posizionano davanti all’ingresso dei locali con
le gambe divaricate e le braccia conserte.
Provavo una strana sensazione, come se
avessi avuto il presentimento che quella fredda
mattina si sarebbe macchiata di sangue. Mi
tremavano le gambe e le braccia non dal
freddo, ma dalla paura.
Intanto, continuavo a ragionare sull’identità di
quel tipo losco dall’accento milanese, che
continuamente, rispondeva a delle chiamate
che io definirei sospette.
Non è un indizio sufficiente il parlare spesso al
telefono e per di più a bassa voce, ma era l’
unica prova, se così si può definire, che avevo
contro di lui.
Forse mi sbagliavo ad accusare una persona per così poco, ma sentivo di dover arrivare fino in
fondo. Insomma, ormai mi conoscete, non sono certo il tipo che si tira indietro e che lascia che il
destino scriva la sua storia; io mi ritengo un compositore che nota dopo nota compone la melodia
della sua vita. Così, ancora una volta, decisi di non far finta di niente.
Quella notte non riuscivo a chiudere occhio, quasi ossessionata dal pensiero che mi tormentava.
Così mi affacciai alla finestra per scrutare le stelle quando, vidi nella piazza, ancora quell’uomo.
Spostai la tendina color aragosta, quel poco che serviva per riuscire a intravedere il paesaggio
notturno. La piazza era quasi deserta: gli unici turisti erano il freddo e il gelo che sembravano voler
cacciare tutti con loro ira funesta.
Consapevole di essermi sbagliata, mi rimisi a letto, con la speranza di poter dormire.
Era scoccata la mezzanotte, le campane del duomo avevano appena compiuto l’ultimo rintocco,
quando finalmente riuscii a prender sonno. D’improvviso, udii un rumore provenire dai piani
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inferiori. Balzai giù dal letto in un secondo, infilai le pantofole che erano finite sotto il letto e presi a
correre per le scale con la speranza di trovare l’assassino.
Trascorsi il resto della notte vigile, certa di non essermi sbagliata, cercai in ogni possibile
nascondiglio quello che secondo me doveva essere il colpevole di….di cosa?
Il mattino seguente mi alzai, anche se a dire la verità ero già in piedi. Mi sembrava tutto così strano,
come mai io ero in cucina?!!
Non avevo mai sofferto di sonnambulismo,
questa doveva essere la prima volta. Erano
circa le sei, quando, pur essendo affannata e
stanca andai a fare colazione. Mi recai come
sempre nel bar di Rossella davanti casa mia.
Ordinai la quotidiana colazione: cappuccino
con schiuma e cornetto alla marmellata
d’albicocca. Non pensavo più alle mie sciocche
indagini, ero finalmente decisa a mettere da
parte il lavoro e godermi il primo momento della
giornata con serenità e rilassamento.
Avevo abbandonato il mio spirito poliziesco,
quando ecco apparire uno strano personaggio
con il cappello da anni ’70. Tutto quello che
pochi secondi prima, avevo abbandonato,
adesso mi era tornato alla mente. Questa volta
lo strano personaggio, che sembrava perseguitarmi, non era solo.
Aveva fatto combriccola con altri due tipi, che sembravano alquanto intimoriti dalla sua presenza.
Le cose cominciavano a mettersi male.
Forse mi stavo occupando di qualcosa più grande di me… cosa dovevo fare?
Chiudere ancora la tendina color aragosta o aprire la finestra che mi trovavo di fronte? A volte
fuggire via serve ad evitare il pericolo…ma andrò avanti. Cosa mai avrebbero potuto escogitare
quei due ingenui in mano ad uno sbruffone?
C’era un tassello che mi mancava, anzi a dire la verità mi mancavano quasi tutti i pezzi….
Ma mentre mi arrovellavo in questi pensieri,ecco che li vidi avvicinarsi verso il bancone.
Dopo aver fatto la loro ordinazione, il tizio con le sopracciglia aggrottate, diede uno sguardo quasi
malefico alla persona che era al suo fianco.
Quest’ultima, senza esitare, infilò la mano nella tasca dei pantaloni che indossava e tirò fuori il
portafoglio. Io, decisa a non perdermi un momento di quella scena che potrebbe essere stata
fatale, intravidi una pistola infilata nella cinta che gli stringeva la vita. Furono momenti di panico.Vidi
il giovane prender fuori qualche cosa. Avrei desiderato non assistere a quella scena,quando sentii
uno strano rumore provenire dall’ interno del locale.
Quando entrai non vidi altro che la commessa con un viso quasi divertito. Basta, la tendina
aragosta della finestra, mi impedisce di poter aprire gli occhi.
Ho deciso di togliere tutte le tende, così da poter vivere la mia vita. Chiudo questa porta con la
speranza di poter aprire un portone. Addio vecchia vita! Addio vecchi sogni!
D’improvviso vidi i tipi sospetti allontanarsi lentamente …..di loro si sentirono solo i passi.
Caciotto Giulia 2D
LA MATRIGNA
La bara era coperta da un drappo nero. Matilde sapeva che avrebbe dovuto passare tutta la
giornata a far compagnia alla sua matrigna che l’aveva sempre odiata, fin da quando si era sposata
con suo padre. Era l’una del pomeriggio dentro la sala dell’obitorio dell’ospedale di Milano.
Quella stanza non faceva che incutere timore alla povera ragazza, e dopotutto non si poteva dire
altro. Le mura erano d’un cupo grigio tomba, con qualche macchia di muffa sulle quattro piccole
pareti circostanti. In un angolo era appostato un vecchio lucernario stile cinese che emanava odore
di muffa e che mandava una fioca luce per tutta la stanza. Da una piccola finestrella si poteva a
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malapena intravedere il cielo che rispecchiava l’animo di Matilde: grigio, cupo e pieno di dolore.
La nostra ragazza se ne stava seduta su una sedia contemplando la sagoma della matrigna,
quando ad un tratto ci fu come una scossa di terremoto. Tutto intorno a lei iniziò a tremare e la luce
d’un colpo partì, lasciando la stanza priva di luce e Matilde completamente stordita e piena di paura.
Quando tutto d’un colpo il terremoto finì e la luce
ricomparve illuminando la povera fanciulla distesa per
terra in un mare di lacrime. Quando Matilde si rimise in
sesto e si risedette sulla seggiola, le parve di vedere
qualcosa muoversi; forse era un topo pensò
impaurita, ma quando si accostò alla bara per
scacciare via l’animale si accorse che qualcos’altro
non andava per il verso giusto: gli occhi della perfida
matrigna si erano di colpo aperti. Matilde si allontanò
con uno scatto con il cuore che impazziva e con il
sudore che gli scendeva dalla fronte.
Il corpo dentro la bara si alzò all’improvviso e la
creduta defunta iniziò a dire, con un tono
agghiacciante: “ Cara Matilde, pensavi di liberarti
facilmente di me, eh? Invece non è così. Sono stata
rimandata dagli inferi per poterti portare là sotto con me. Ho tempo fino al tramonto del sole, ma
non ti preoccupare, per me basta e avanza!” e dentro la stanza echeggiò una risata malefica.
Matilde del tutto consapevole che si trovava davanti ad uno zombi, iniziò a correre fuori dalla stanza
chiedendo aiuto, ma pareva che l’ospedale fosse deserto.
Così la ragazza si fermò a riflettere e iniziò a pensare che fosse tutto uno scherzo, o almeno
sperava.
Ma si accorse che non era niente di tutto ciò quando all’ improvviso le apparve davanti il corpo della
matrigna che le fece un profondo graffio che iniziò a sanguinare violentemente.
Stupita del fatto accaduto Matilde iniziò a correre verso lo sgabuzzino delle scope con il braccio che
stava perdendo molto sangue e quando arrivò li si rinchiuse dentro con quattro giri di chiave.
Accese la luce e si fermò a riflettere: si trovava dentro un ospedale, luogo in cui si salvano le vite,
mentre lei stava rischiando la sua senza che nessuno facesse nulla; alquanto strano! Subito dopo
la ragazza guardò l’orologio: erano le sei e mezza del pomeriggio e fra circa mezz’ora sarebbe
sorta la luna. Già la luna, Matilde si chiedeva se ancora avrebbe rivisto quel romantico cerchio
luminoso risplendere nel cielo tappezzato di stelle.
Ma mentre Matilde era avvolta nei suoi
pensieri, ad un tratto dalla porta sbucarono
due mani tutte raggrinzite e piene di vene che
cercavano di prenderla per il collo e strozzarla.
Subito la giovane si allontanò dalla porta
munendosi di una scopa per eventuale
protezione.
Matilde si fece forza, dantronde mancava
solo mezz’ora, cosa sarebbero stati quei
trenta minuti in confronto delle cinque ore
che aveva appena trascorso, così si fece
coraggio, si avvicinò alla porta e inziò a
girare la chiave.
Molto probabilmente la matrigna la stava
aspettando là fuori a braccia aperte con la
bava alla bocca per quanto desiderava
ammazzarla.
Matilde fece fare il primo giro alla chiave, ancora un altro e la sua vita sarebbe anche potuta finire o
perché no, anche continuare, ma tutto questo dipendeva solo esclusivamente da lei.
In quegli istanti Matilde si vide passare davanti a lei tutti i momenti belli della sua vita….il diploma
dell’asilo….la prima comunione…..il primo bacio con il suo fidanzato…. il primo giorno del liceo
scientifico….il suo primo dieci….il giorno del suo diciottesimo.
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Quando Matilde fece fare il secondo giro alla chiave, la porta ormai in pessime condizioni si aprì
scricchiolando e facendole trovare davanti quel mostro della sua matrigna.
Ormai con il cuore in gola, ma con un coraggio da leonessa, la nostra protagonista infilò il manico di
scopa dentro il bacino dello zombi e iniziò a correre verso l’obitorio; se fosse morta almeno lo
avrebbe fatto sotto la luce del sole.
Quando arrivò nella sala i suoi occhi si illuminarono di gioia: il sole stava calando dietro una collina e
al suo posto stava sorgendo la luna.
Infatti, quando la matrigna arrivò nella stanza e capì che orma la sua missione era conclusa, iniziò
ad urlare mentre pian piano stava squagliando.
Quando sorse la luna ormai l’antagonista era completamente squagliata e la nostra ragazza
finalmente era salva e iniziò a guardare verso la piccola finestrella: nel cielo finalmente era spuntata
la luna.
Federica Cavallett
WALDO E I FOLLETTI
La casetta dei minuscoli abitanti del bosco non era più grande di una monetina. Invece gli abitanti
non erano più grandi di uno spillo, e non arrivavano a dieci. Io mi sentivo decisamente molto
grande. Ero un bambino di dieci anni, dieci e mezzo per la precisione, e per la prima volta ero il più
grande (visto che nella mia classe ero il più basso).
Quando mi ero svegliato avevo visto dei minuscoli
esseri simili a mosche e mi ero domandato come
ero finito lì; ma tutto quello che mi ricordavo era
quando ero in piazza con mia madre, davanti ad una
bancarella di dolciumi, il commerciante non
sembrava un vero uomo, aveva il viso da bambino e
dentro i suoi occhi si poteva vedere un ragazzo puro
e sempre sorridente. Ero attirato da una striscia di
liquirizia che sembrava chiamarmi per essere
mangiata, era lucida e nera. Appena il venditore
aveva visto che stavo prendendo proprio quella, il
suo sorriso arrivò fino alle orecchie, non so perché
ma mi disse che era un’ottima scelta. Mia madre mi
si avvicinò e pagò quella striscia di liquirizia 1,50
euro. Ed eccomi qua. Quando avevo totalmente
aperto gli occhi avevo visto un piccolo essere, che
assomigliava sorprendentemente al commerciante
e quando gli avevo chiesto spiegazioni lui mi disse:”
Ciao, come va? So che sei rimasto un pò scioccato
al vedermi, ma ora ti spiegherò tutto!”avevo provato
ad alzarmi per sentire meglio, visto che era alto
come il più piccolo chiodo al mondo, ma mi fece
stare giù. “ Io mi chiamo Artemis, sono il generale
incoronato dal re in persona, sono la persona più
importante dopo il re e il grande saggio. Da molto tempo il grande saggio ha perso i suoi poteri a
causa della strega che vuole impossessarsi di noi per concludere una pozione magica a fine di
conquistare il mondo”mi aveva detto Artemis. ” E cosa centro io?” Artemis disse che io li dovevo
salvare, lui era il commerciante e avrebbe scelto il loro salvatore attraverso quella bancarella, ecco
perché quando presi la liquirizia lui era contento.
Poi mi aveva portato al banchetto del re, in cui discutemmo sul da farsi.
Decidemmo che ci saremmo intrufolati nel tugurio della strega, rubando le varie pozioni per
eliminarla.
Arrivammo davanti all’entrata della strega dove salutai Artemis Tito (il grande saggio) e il re Lares.
Per entrare fu più facile del previsto, ed entrato percorsi un lungo corridoio dove c’erano tutte
ragnatele ben curate, topi sott’olio e altissimi scaffali dove vi erano riposti libri e varie boccette con
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Il Sangue:
Stampa
Comunale di Marsciano
P.zza C. Marx, 23
Tel. 075 8748916
Perugia
un diritto trovarlo
un dovere donarlo
un bisogno riceverlo
una gioia poterlo donare
Provinciale di Perugia
Via Caduti del Lavoro, 31/a
tel. 075 5838141
Regionale dell’Umbria
Via Caduti del Lavoro, 31/a
tel. 075 5838141
Istituto di istruzione secondaria di primo grado
“Brunone Moneta”