METROCUBO finalisti-testi e immagini

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METROCUBO finalisti-testi e immagini
METROCUBO 2011 Concorso per artisti e designers under 40 >>“Dreams & Migrations”
COMUNICAZIONE DEI FINALISTI
Dopo essersi riunita per lo svolgimento della prima fase dei lavori, la giuria ha ritenuto di selezionare 11
finalisti (anziché 8 come annunciato dal bando) che prenderanno parte alla collettiva che verrà
inaugurata domenica 27 novembre 2011 ore 17.00.
La giuria sceglierà il progetto vincitore tra gli 11 finalisti.
Il vincitore verrà comunicato in occasione della inaugurazione della collettiva, di cui verrà data
comunicazione in prossimità della data indicata.
La giuria è composta da
Franco Marconi _ PRESIDENTE DI GIURIA Gallerista e curatore
Andreina De Tomassi Giornalista
Riccardo Lisi Curatore e critico
Sabrina Maggiori Curatore
Federica Mariani Curatore e giornalista
MAC Manifestazioni Artistiche Contemporanee
White.fish.tank Associazione Culturale [galleria]
Quattrocentometriquadri Associazione Culturale [galleria]
Con la partecipazione di Angela Pezzuto Partner Sponsor
FINALISTI
Lorenzo Bartolucci e Pietro Baldoni; Marco Bernacchia; Alice Bescapè; Mara Di Giammatteo;
Daniela Di Maro; Giorgio Dursi; Massimiliano Grandoni; Elena Gridneva; Floriana Pastore;
Michela Pozzi; Punta_Spillo (Chiara Ludolini e Serenella Tomassini).
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raffaela coppari 3934522197 | cristina m. ferrara 3382430040 | maila catani 3383374246 | m.francesca nitti 3403034297
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Lorenzo Bartolucci e Pietro Baldoni
Casa dolce casa (2011)
Telaio in legno rivestito con confezioni in tetrapak cucite tra loro e composizione audio
50x75x98 cm
“Sogni in tetrapak, di Daniele De Angelis
«Stavano lì, ad incurvarsi o sdraiarsi, su panche e tavolini nel parco. Di cartone in cartone, al sole, evaporavano il
proprio odore in vino. Parlavano molto, nei suoni della propria lingua, poi, con il passare del giorno, smettevano e nel
fissare appannavano gli occhi, che per vedersi non servono specchi».
Quante volte un oggetto possiede la capacità di riassumere un'esistenza: dalla ventiquattrore del professionista al
cappello del cuoco, dalla maglia di una squadra di un tifoso al ciuccio di un neonato. Eppure, per evitare lo
stereotipo, l'oggetto deve evitare ogni sorta di tautologia, così da scardinare il didascalismo insito nella simbiosi
cosa-possessore. L'oggetto riassumerà, allora, la vita del proprio referente non in quanto semplice feticcio ma quale
suo alter ego, presenza a sé stante capace di amplificare il risultato di un'interazione drammatica. Il cartone di vino,
materiale scelto da Lorenzo Bartolucci per realizzare la sua opera, smette di essere raffigurazione di una passione o
di un vizio, di uno status sociale o di un'identità culturale e si carica di significati ulteriori, diventando specchio di chi
con esso interagisce.
Un semplice oggetto in tetrapak si fa emblema attivo, con la sua presenza, del fallimento di un desiderio, di
un'attesa, di una speranza: poter cambiare vita. In modo semplice e diretto Bartolucci e Baldoni spingono sotto i
nostri occhi il dramma attuale dell'alcolismo tra molti immigrati che, arrivati nel nostro paese dopo viaggi estremi e
violenti, non riescono o non hanno la possibilità di poter vedere concretizzata la propria voglia di una vita migliore e
più giusta. I cartoni di vino a buon mercato e di scadente qualità diventano, così, la medicina buona ad alleviare una
condizione di completa disperazione, quella di chi senza nulla si ritrova in un paese straniero e spesso estraneo,
esterno, perché chiuso nelle proprie feroci diffidenze, dove risulta impossibile affermare la propria individualità.
Un'individualità ricercata e voluta quale base necessaria affinché il confronto possa essere alla pari, e che Bartolucci
esemplifica icasticamente assemblando con i cartoni del vino una piccola casa, ossia il simbolo di una necessità
primaria. Una casa in tetrapak, rifugio e dannazione insieme, costruita con il marchio della propria sconfitta; eppure
indispensabile, vitale, protettiva anche nella sua fragilità, inseparabile da chi la abita, tanto che l'artista la munisce di
quattro piccole ruote, facendo sì che il luogo del riparo tanto atteso sia, per l'emigrante, nel medesimo tempo
desiderio di cambiamento e patrimonio culturale ereditato. Ma è anche mobilità che cova in sé incertezze, tensioni,
paure e ambiguità dolorose, come sottolineano sia il tappeto sonoro realizzato da Pietro Baldoni, risultato di
differenti intonazioni ottenute dal suono di alcuni calici di cristallo, sia l'ammiccamento italico dei colori. Dal rosso, al
verde, al grigio/bianco della parte interna del tetrapak, la casa sembra assumere le caratteristiche di un antimonumento nazionale, per un'Italia nella quale concrete politiche per l'immigrazione latitano e il provincialismo della
popolazione trasforma gli averi, come ad esempio un alloggio, in un effimero baluardo a salvaguardia di un vuoto
concetto di italianità e nazione. Non volendo comprendere l'importanza del saper accogliere e condividere, ci si
trincera dietro sterili sigle quali DOC e Made in Italy, mentre in modo ipocrita si lascia che i nostri scarti avvelenino
l'altro, l'estraneo.
La Casa dolce casa di Lorenzo Bartolucci e Pietro Baldoni, spiazzando con l'apparente innocenza di una costruzione
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per bambini, conduce l'osservatore dentro un dramma che, su quattro ruote, tutti ci portiamo dietro e verso il quale il
nostro cinismo e i nostri irrazionali timori devono cedere.
«E provò a fuggire; e quando fu molto, molto lontano, si guardò attorno: non c'era più nulla. Nulla di triste: non la
casa con il breve portico, non la stradicciola tortuosa tra i fossi, non le croci coperte di muschio. Nulla, proprio nulla:
e l'uomo si mise a piangere». (Giorgio Manganelli)
Pietro Baldoni è nato nel 1980 ad Ancona. Vive ad Offagna (AN).
Chitarrista, compositore polistrumentista e sound designer. Musicista poliedrico, suona costruendo musiche ed
ambienti sonori elettroacustici fondendo tra loro trame melodiche e rumoristiche. Suona in diverse formazioni,
compone soundtracks e musiche di scena.
Lorenzo Bartolucci è nato nel 1979 aTortona (AL). Vive ad Ancona.
Diplomatosi all’Accademia di belle Arti di Macerata ha cominciato ad affacciarsi al mondo dell’arte contemporanea
con diverse mostre nel panorama regionale tra le quali ricordiamo: MARE MOSTRUM per il festival ADRIATICO
MEDITERRANEO, POP–up ad Ancona, ARTIKA a Recanati. Nel 2009 è selezionato per partecipare al WORKSHOP
con l'artista cubana TANIA BRUGUERA. L’installazione è il modo con cui preferisce realizzare i suoi lavori sempre
intrisi di un’amara ironia!
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Marco Bernacchia
Portable tree (2007)
Legno e ganci metallici
200x300x200 cm
Un albero smontabile, sezionato e ricomposto da ganci metallici è posizionato al centro di una stanza vuota .
La natura, in questo lavoro, si piega alle volontà ed alle esigenze dell’uomo.
Un albero portatile, privato delle radici diventa un oggetto senza più una funzione .
Si trasforma in un totem senza passato, un oggetto della memoria , un monito favorevole/contrario alla
delocalizzazione mentale prima che fisica. .
Pur mantenendo la propria identità e connotazione geografica è un corpo senza significato.
Questo albero spoglio privo di radici non è altro che una rappresentazione insensata del vero oggetto di riferimento
e pur spostandosi e vivendo nuovi luoghi non vive, .
È lontano il suo vero luogo di origine a cui è stato strappato.
Questo luogo, come un cortocircuito, ri-vive solo nelle nostre menti.
noi associamo la sua immagine al suo vero essere e al suo luogo di origine, ma oramai lui è altro.
davanti a noi ha perso il suo senso iniziale, ha lasciato il suo ruolo e ne a trovato uno nuovo. . ora rappresenta la
nostra e la sua solitudine.
Marco Bernacchia è nato a Senigallia (AN) nel 1979, dove vive e lavora
Frequenta e si laurea presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino.
Mostre personali:
2006 “GINNASIO PROJECT WINDOW” (Trevi Flash Art museum, un progetto di Maurizio Coccia)
2007 “segue dibattito” a cura di Matilde Martinetti. Presso la pinacoteca comunale di Città di Castello.
2008 “WRONG VERSION” presso la galleria FUORI ZONA di Sandro Acquaticci a Macerata.
2008 “ABOVEtheTREE” a cura di Ulrich Bemmann, presso lo sazio Alte Feuerwache Lpschwitw a Dresda
(germany)
2009“THE PROBABLY GROUP” presso la galleria Franco Marconi a cura di Elvira Vannini.
2010 “RECYCLE RACING” presso la galleria white project di pescara.
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Alice Bescapè
Andata senza ritorno? (2010)
Installazione audio-video.
Ideazione: Alice Bescapè; riprese e montaggio: Fatima Bianchi; installazione sonora: Attila Faravelli
Schermo di 300x200 cm, 2 casse audio e tavoli per materiale sonoro e cartaceo
Video, registrazioni sonore, disegni originali e immagini della vita di giovani Italiani residenti all’estero, raccolti
durante una
serie di viaggi organizzati per incontrarli ed intervistarli creativamente, restituiscono frammenti di
emozioni, ricordi, sensazioni, sogni, dolori e desideri sul futuro. Una mappatura esistenziale della nuova migrazione
impressa in una stanza che risuona di un eco di domesticità a memoria dell’intimità degli incontri.
Andata senza ritorno è l’installazione esito di un ciclo di interviste performative. Fare un’intervista performativa
significa lasciare traccia delle testimonianze relative al tema della nuova emigrazione italiana, su supporto cartaceo,
audio, video e fotografico. Ognuno di questi supporti è stato processato per interrogare gli intervistati secondo una
forma precisa che orientasse la testimonianza, favorendo anche per chi non è un tecnico del fare arte, una domanda
oltre che su cosa comunicare -il contenuto- anche sul come -la forma- giocando sul rapporto tra limite e libertà
espressiva. Nel passare dei giorni queste testimonianze hanno creato una mostra in fieri ad uso della comunità
italiana all'estero che si è trovata e conosciuta nel parteciparvi e nel visitarla.
Teatri di Migrazione ha viaggiato per tre importanti città europee (Parigi, Berlino, Barcellona) interrogando
creativamente giovani italiani dai 25 ai 40 anni. Il taglio delle interviste insiste sull’esperienza esistenziale, il vissuto
personale: il set insiste sul tracciare una mappa emotiva, sensoriale ed esperienziale relativa alle persone incontrate.
Alice Bescapè è nata a Milano nel 1979. Vive a Padova. Laureata in Filosofia con una tesi sulla poieticità del gesto
teatrale, si interessa di teatro sotto il profilo teorico e pratico studiandolo con diversi pedagoghi italiani e
stranieri. E’ costantemente attratta dalla polimorficità dell’evento “teatro”, interessata ad indagare la zona di confine
tra le discipline artistiche dal vivo, con particolare attenzione alla performance orientata all’interazione con il pubblico
nella ricerca di esperienza e produzione di significati comuni.
La ricerca artistica di Fatima Bianchi nasce da un percorso trasversale tra il campo delle arti visive, grafiche e della
comunicazione multimediale-interattiva.
Nata a Milano nel 1981 compie i suoi studi alla Nuova Accademia di Belle Arti, si dedica alle arti visive collaborando
a vari progetti con Isabella Bordoni, Lucy Orta, la Fondazione Forma, l’Agenzia Contrasto. Dal 2009 fonda Studio
Itutu dove lavora quotidianamente a fianco di Nicola Ratti, musicista.
Attila Faravelli ha studiato composizione elettronica con Alvise Vidolin e Michele Tadini. Il suo primo lavoro solista
(Underneath The Surface, pubblicato l’anno scorso dall’etichetta Die Schachtel) è stato realizzato dopo diverse
esperienze come compositore per teatro, danza, film muti, audiolibri e installazioni artistiche. La sua musica è
prevalentemente basata su assemblaggi organici di suoni raccolti in tempi e luoghi diversi e prodotti con tecniche
varie, piuttosto che il risultato di un principio architettonico. I suoni sono liberi di attrarsi o respingersi in accordo al
loro proprio carattere. Suona con Andrea Belfi nelduo Tumble (il loro debutto For Tumbling è stato recentemente
pubblicato da Die Schachtel all’interno della collana di musica improvvisata italiana Musica Improvvisa).
Suona inoltre con Nicola Ratti nel duo Faravelliratti (Lieu - Coriolis Sounds/Boring Machines). Ha collaborato con
Claudio Sinatti, Cineteca Italiana Museo Del Cinema, Antonio Latella, Augusto Contento, Andrea Caccia, Nicola
Martini, Alessandro Scandurra. Ha recentemente sonorizzato il Padiglione Italiano all’interno dell’ultima Biennale
Architettura di Venezia.
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Mara Di Giammatteo
Selfish (2011)
Video (di performance) e 4 foto.
Il progetto del video è nato da un0idea dell’artista di elaborare attraverso la video-proiezione l’idea di un iter artistico,
racchiuso come in una “scatola chiusa”. “Selfish”, che prende in prestito alla lingua inglese il termine ‘egoista’, che
nel suo significato intitola il modus operandi dell’artista. In questa ricerca l’artista, chiusa da sola in una stanza di un
palazzo dell’ottocento, ha messo in scena per se stessa la performance, auto-filmandosi con una telecamera,
decidendone il rapporto di distanza – inquadratura – tempo di ripresa.
Lo stesso montaggio del video è stato scelto, tagliato e montato dall’artista.
Selfish è la lotta quotidiana del fare arte, metaforicamente la continua lotta dell’andare oltre I limiti e I canoni del giàè
conosciuto, già intrapreso, del trovare nuove soluzioni che diano svolte al proprio lavoro.
Selfish è anche la rappresentazione della condizione in cui spesso gli artisti si ritrovano ad operare, costretti nella
solitudine dei propri spazi, dei propri egoismi e delle difficoltà economiche che limitano sempre più investimenti e
luoghi adibiti all’arte.
Selfish è la migrazione di un corpo verso una mutazione di un sogno o di una realtà di fatto rielaborata, dal punto di
vista semantico, in una mappatura di gesti e movimenti legati alla memoria dell’uomo
Mara di Giammatteo è nata a Teramo nel 1973, dove si diploma al Liceo Artistico Stat. , prosegue i suoi studi
trasferendosi a Bologna dove entra nell’Accademia di Belle Arti, nella scuola di Concetto Pozzati. Nel 1996 si
diploma in Pittura con una ricerca di tesi dal titolo “Percorsi di Memoria-nell’opera artistica di Christian Boltanski”,
Artista con il quale ha collaborato nell’allestimento di una sua retrospettiva dal titolo “Pentimenti”, nel Maggio 1997 a
Villa delle Rose Bologna.
Ha partecipato a numerose mostre nazionali ed intern. vincendo anche Concorsi di Grafica e di Illustrazione.
E’ presente nella Collezione del 1° Museo della Donna in Arte in Italia, Scontrone AQ; è citata nel volume 900’ Artisti
ed Arte in Abruzzo, di A.G. Zimarino.
Collabora attualmente con la MLB Gallery di Ferrara e con la Baut’Arte di Montorio al V.(TE).
Pubblica libri di illustrazione per l’infanzia come Le Leggende della Montagna Addormentata (anno 2001)che ha
vinto il 1° Premio Nazion.Narrazione Valsecchi, La Ricetta Favolosa (anno 2008) ediz.Media, Lucio e l’Aquila (anno
2010) e Caterina e Kupe (inedito).
Vince 1° Premio per la realizzazione d’immagine pittorica del Concorso Naz. IDEAIDS per la giornata mondiale di
sensibilizzazione sull’AIDS, Palazzo Notai 1 Dicembre 1998.
Il suo talento la porta a realizzare scenografie per spettacoli teatrali e di danza, in Italia ed all’estero e nel 2009 per
Cortometraggio di Pietro.A. Di Pasquale , “Tutto questo tempo!”
Fonda nel 1996 Compagnia di Teatro danza TEATRI de le Rùe, con i quali prosegue le sue ricerche nelle discipline
delle espressività corporee e teatrali.
Vive a Pietracamela (TE).
Hanno scritto di lei: Nerio Rosa, Laura Fabbri ,V. Lilla E A. Marini, A. G. Zimarino , M. Malaspina, Dimitri Bosi, M.
Livia Brunelli, S. Gambacorta , F. Lanci.
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DDM [Daniela Di Maro]
Migrations (2011)
Video DV/PAL – 640x480 durata 5’13’’
Migrations racconta il delicato momento della partenza degli uccelli verso luoghi della Terra a loro più favorevoli.
Compiendo, nel cielo, spettacolari evoluzioni dettate da molteplici fattori biologici, gli uccelli, come gli uomini, vanno
alla ricerca delle condizioni ideali per “generare e rigenerarsi”. Nonostante la conflittuale presenza dell’uomo che
spesso destabilizza il loro orientamento, gli uccelli hanno l’atavica capacità di prefigurarsi, nella mente, delle vere e
proprie mappe geografiche del territorio.
Le rotte migratorie, però, non risultano costanti ma si modificano in modo più o meno marcato: spesso questo è
dovuto appunto a fattori di disturbo antropici, come la presenza di forti illuminazioni che alterano l'orientamento
notturno offuscando la percezione delle stelle o operazioni di bonifica che eliminano superfici palustri su cui gli
uccelli sostavano e traevano informazioni per l'orientamento.
I gruppi esaminati e in movimento, sono composti da migliaia di volatili che si trasformano e si stagliano come piccoli
punti grigi sul fondo bianco del cielo. Ancora una volta, le immagini rarefatte e dotate di pochi elementi di riferimento,
creano un’ambiguità percettiva che trasforma queste creature in altri organismi microscopici e in continuo
movimento.
DDM [Daniela Di Maro] è nata a Napoli nel 1977. Vive e lavora a Milano.
Personali: 2010 IN_Sonora, IED Madrid. Rumore Bianco#04DDM, Quattrocentometriquadri gallery, Ancona. 2009
Linfa Sintetica, Ciocca Arte Contemporanea, Milano. Ivy Noise, Akneos, Napoli.
Collettive: 2011 2Video, Rassegna trasversale di video d'artista, Undo.Net. Start Forum Arteambiente,
Roccagloriosa (SA). Videoart Yearbook, sedi varie. Home_nature-Front of Art (TV). 2010 Venduto1-31 Artisti Vs 20
mq (MI) a cura di Visualcontainer. Premiata Officina Trevana, Palazzo Lucarini (PG). 2009 Finalista Premio Celeste,
Fabbrica Borroni (MI).
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Giorgio Dursi
House Sweet House (2011)
installazione 65bx180hx45p cm; 3 stampe a colori, 70x50 cm; 1 stampa a colori, 50x70 cm;
Di Valentina Urriani
Secondo lo psicologo junghiano Papadopoulos, “la casa non è soltanto un luogo, ma anche il fascio di sentimenti
associato a esso”. Analizzando le generazioni immediatamente precedenti alla nostra, possiamo affermare che i
nostri nonni migravano all’estero per lavorare e tornare con i fondi sufficienti alla costruzione di un futuro in patria. Il
loro sogno era semplice, pratico e realizzabile con integra fatica. La nostra generazione si scontra ogni giorno con la
ricerca affannata di una propria identità individuale e sociale. La buona volontà e le skills sembrano non essere mai
adeguate alla costruzione del proprio futuro, così da far riporre le nostre belle speranze quotidiane in craigslist e
affini. House Sweet House è una casa dall’architettura primitiva che indaga sull’equilibrio, tra il desiderio di stabilità e
l’aspirazione di mettersi alla prova in un mondo le cui distanze sono sempre più brevi. È una casa individuale che
trae ispirazione dal modello proporzionale dell’Uomo Vitruviano, destrutturandolo. Il titolo dell’opera è la
rielaborazione del modo di dire Home Sweet Home, per rafforzare il concetto di abitativa portata all’estrema sintesi.
È costruita ad hoc intorno all’individuo contemporaneo, che ha con sé il proprio bagaglio culturale di esperienze e il
peso di esigenze sempre più complesse. L’artista si interroga su quali siano oggi le differenze reali tra nomadismo e
cosmopolitismo.
Giorgio Dursi è nato nel 1982 a Nereto (TE). Vive a Martinsicuro (TE)
Laurea triennale in Storia dell’Arte Contemporanea (La sapienza, Roma). Corso in Comunicazione e Creatività
Pubblicitaria (Accademia di Comunicazione, Milano).
Internship presso Saatchi&Saatchi, MIlano.
-Il gatto di Schroedinger, a cura di Valentina Urriani. Monteprandone (AP).2011
-Viaggio2, Fermo (FM).2011
-H, Macerata (MC).2010
-Radical EveryDay, Grottammare (AP).2010
-zZzleeping, con la collaborazione di Poliarte Ancona. San Benedetto del Tronto (AP). 2010
-Stanze Aperte, Altidona (FM).2009
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Massimiliano Grandoni
Giovane occidentale (2011)
Collage digitale, matita; stampa giclée su tela
60x42,5 cm
Storicamente le motivazioni che spingono le grandi migrazioni di un popolo o di un solo individuo sono quelle solite,
quelle che si conoscono da sempre: carestie, guerre, fame, lavoro.
L’essere umano che si trova a fronteggiare cause che minacciano i suoi bisogni primari e la sua stessa
sopravvivenza spesso ha una sola possibilità, fuggire, allontanarsi, migrare in un altro paese o continente, poco
importa della distanza da percorrere, ciò che muove l’azione è la speranza, il sogno di una terra promessa, o ancora
meglio è la disperazione che innesta nell’individuo l’idea che rimanere non lo risparmierà alla disgrazia imminente.
La disperazione quindi più di ogni altra cosa ha mosso milioni di essere umani da una parte all’altra del nostro
pianeta, come grande forza motrice salvifica, capace di suggerire e di pianificare sopra ogni paura una via di fuga.
Oggi milioni di giovani nel nostro mondo occidentale e globalizzato si trovano in assenza di quella disperazione,
un’intera generazione orfana di “Padri”, di sogni e forse sempre più consapevoli che la terra promessa sia solo un
miraggio, un’utopia minacciata da un realtà cieca e decadente, capace soltanto di mostrare il suo limite: il mondo è
uno e il sistema è al collasso.
Forse non è più tempo di partire, per andare dove poi… restiamo, possiamo ancora sognare.
Massimiliano Grandoni è nato nel 1979 a Camerino (MC). Vive e lavora ad Ancona
Istitito Statale d’Aarte di Fabriano, Centro Sperimentale di Design, Ancona. Esposizione a “Cartacanta ‘11” di
Civitanova Marche, per la Mediateca delle Marche. Donazione di 10 illustrazioni, omaggio al film “OSSESSIONE” di
Visconti, al MUSINF, Museo dell’Informazione e Arte Moderna di Senigallia, durante una lezione da me tenuta allo
stesso museo, sulla mia opera e sulla tecnica del collage digitale. Publicazione nella rivista inglese “Twofold”
magazine che si occupa di arte digitale.
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Elena Gridneva
Ad astram per aspera (2011)
Otto stampi di piedi alati in argilla
120x75 cm
L’opera “Ad astram per aspera” consiste in 8 stampi di piedi alati disposti in una leggera curva. Sia il materiale
scelto, sia il numero dei componenti, sia la loro disposizione non sono casuali. L’argilla richiama il mito della
creazione dell’uomo che s’incontra in diverse culture, da quella sumera fino ad arrivare a quella cristiana e
mussulmana. L’altro richiamo mitologico può essere visto nel soggetto stesso, il piede alato che è uno dei simboli di
Mercurio, dio dei viaggiatori.
L’opera rappresenta in realtà un percorso individuale, tortuoso, di una persona che “rischia la certezza per
l'incertezza per inseguire un sogno”. Molto spesso, però, non ha neanche quel poco di cui rischiare, alle spalle non
lascia che penuria, guerra, distruzione. “Ad astram“ non è solo un cammino verso terre nuove e una vita nuova, ma
anche un viaggio verso se stesso, verso la dignità e la libertà, un viaggio difficile, dove non si sa né il punto né il
tempo di arrivo, né, molto spesso, la strada da seguire. Ma nonostante, o forse proprio grazie a tutte queste
difficoltà, questo viaggio rende la persona migliore, più completa, capace di unire in sé diverse realtà. Questo
viaggio, così profondamente intimo e personale, in realtà tende ad essere universale, perché comincia con i nostri
lontani avi che osarono andare “oltre”. Infine l’opera è il simbolo stesso del percorso dell’umanità, fatto di grandi
sogni e dai tentativi di inseguirli.
Elena Gridneva è nata nel 1989 a Cerkessk (Russia). Vive a Napoli.
2010 Iscrizione all’Accademia di Belle Arti di Napoli
2010 Partecipazione alla performance “Prove di resistenza” di Peppe Cappasso (Nola)
2011 Mostra “Altri corpi” (Galleria del giradino dell’Accademia di Belle Arti di Napoli)
2011 Land Art al lago d’Averno
2011 Extemporanea di scultura al Kinky Klub (Napoli)
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Floriana Pastore
Cuore d’Italia (2011)
Coperta in tessuto di lana rosso.
Stesa 170x115x3 cm, piegata 42,5x57,5 x 24 cm
L’emigrazione continua da e verso tutte le regioni d’Italia, portando con sé cumuli di nostalgia, costretti a scegliere
tra ambizioni ed affetti. L’emigrazione arriva anche da luoghi lontani che nel nostro Paese cercano la vita e trovano
difficoltà nell’integrazione.
Cuore d’Italia nasce da una riflessione sul valore affettivo, di accoglienza, di protezione che oggi giorno si fatica a
trovare. Si traduce attraverso il calore il ruolo immateriale e iconico che l’Italia nel nostro presente
dovrebbe avere. Il lato superiore della coperta appare semplice: rettangolo in tessuto di lana rosso 170x115 cm.
Ci si accorge però che nella parte centrale è leggermente rialzato. Quasi a nascondere qualcosa. Giriamolo.
La parte in rilievo è una calda trapunta in piuma d’oca con le cuciture che ripercorrono i confini delle rricompone in
cuore umano.
Breve curriculum dell’artista
Floriana Pastore è nata nel 1984 a Policoro (MT) in Basilicata. Si è poi trasferita prima a Firenze, conseguendo la
laurea triennale in Disegno Industriale nel 2007, poi a Milano, laureandomi alla Magistrale al Politecnico nel 2010.
Parallelamente all’università ho lavorato in studi e aziende, creandomi una preparazione oltre che nei prodotti anche
nel design di eventi e interni.
Attualmente sono assistente alla progettazione di allestimenti di showroom Cassina in Italia e all’estero.
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Michela Pozzi
Aree di confine (2011)
2 videoinstallazioni “E’ stato passato il confine” e “Terra di confine” con proiezione su muro e video;
dittico fotografico “Gente di confine”, 50x70 cm, ognuno con cornice
Il territorio italiano preso in considerazione è quello confinante con la Repubblica di San Marino. Essendo cittadina di
entrambi gli Stati e confrontandomi continuamente con i due territori, ho sentito la necessità di frequentare e
indagare queste aree di confine e ricercare il senso del luogo. I confini sono zone marginali, spazi multiculturali, aree
della biodiversità, che mettono in contatto persone, culture e identità.
Nel video E’ stato passato il confine, il confine tra territorio italiano e territorio sammarinese viene occupato e abitato
con l’intenzione di rivendicare uno spazio ma anche un’identità, che allo spazio è strettamente legata. Questo modo
di stare al margine richiama la scelta consapevole di manifestare la mia identità vagante tra uno Stato e l’altro.
Nel video Terra di confine si vuole evidenziare come il concetto di confine sia radicato nella terra. Il vomere,
trascinato dall’aratro, segna il solco territoriale tra i due Stati. Rompe la terra, strappa le radici e sradica tutto ciò che
incontra.
Il lavoro diventa fortemente antropologico nel dittico fotografico Gente di confine dove ho coinvolto una famiglia che
abita tra il territorio sammarinese e quello italiano in quanto la loro abitazione è divisa da un’immaginaria linea tra i
due Stati. Nel muro dove “simbolicamente” si trova il confine, è stato progettato e creato un altarino dove gli abitanti
hanno scolpito gli stemmi dei due Paesi e installato degli oggetti significativi.
Michela Pozzi (San Marino, 1980). Frequenta l’Istituto d’Arte e l’Accademia a Urbino. Vince il concorso Pagine
Bianche d’Autore 2008/2009 conquistando la copertina dell’elenco telefonico della regione Marche, è finalista al
Premio Celeste 2009 per le sezioni fotografia e video.
Tra le principali esposizioni recenti: Invasion one, Altomonte (Cs), a cura di Giovanni Viceconte; Strategie di
Sopravvivenza, Cremeno (LC) a cura di Nila Shabnam Bonetti; Il Gatto di Schroedinger,Monteprandone (AP), a cura
di Valentina Urriani; Nemeton, perdersi nel bosco iniziatico, Magenta (MI), a cura di Nila Shabnam Bonetti;Premiata
Officina Trevana 2011, Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi (Pg), a cura di Maurizio Coccia e Matilde Martinetti;
Border Transit, galleria 91 mQ, Berlino e Paratissima,Torino, a cura di Valeria De Simoni e Massimiliano Messieri;
Ad-dress, Sponge Arte Contemporanea, mostra personale, Sponge Living Space, Pergola (Pu), a cura di Stefano
Verri; Godart 2010, Museo Laboratorio, Città Sant’Angelo (PE), a cura di Enzo De Leonibus; Videoart Yearbook
2009.
※
QUATTROCENTOMETRIQUADRI gallery
via magenta 15, ancona
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Punta_Spillo (Chiara Ludolini e Serenella Tomassini)
Di giovinezza si muore (2011)
proiezione video su muro di cuscini
350x280x20 cm
“Di giovinezza si muore” è un’istallazione modulare e polimorfa che si struttura dall’interconnessione di un numero
variabile di multipli a partire dal modulo del cuscino. Se l’esposizione di un oggetto così privato è intesa come
sineddoche del sogno ( luogo dove esso accade), l’accumulazione della serie di multipli cuciti l’un l’altro traccia una
mappa metaforica del rapporto d’interconnessione tra sogno intimo/sogno collettivo, individuo/massa, desiderio
utopico/reale. La forma derivante da questo accumulo è polimorfa nella misura in cui la qualità di morbidezza del
modulo viene declinata nell’installazione: tesa, strizzata, appesa, schiacciata o calpestata. I multipli assemblati
occupano uno spazio che definisce inevitabilmente un limite al tempo stesso reale e immaginario. Il cuscino come
modulo assume allora la stessa forma-funzione di un mattone per un muro, un sacco per una trincea, una maglia per
una rete. Il limite taglia spazialmente la realtà in due territori, e si carica di significanti come identità, proprietà,
protezione, difesa e attacco:è una linea doppia che genera due sistemi di prospettiva. L’installazione traccia uno
spazio liminale che estremizza il rappoto tra sogno e realtà e tenta di decifrare quali siano le interconnessioni tra il
diritto del singolo a realizzare il proprio desiderio e la realtà del luogo/territorio in cui nasce o migra; quali siano le
interconnessioni tra i metodi e i dispositivi per proteggere e salvaguardare il sogno realizzato di qualcuno e la
sofferenza di qualcun altro; quali siano le interconnessioni di responsabilità tra gli individui per la creazione e la
realizzazione di un sogno comune. Un limite è però anche una soglia che, come il sogno, apre a nuovi spazi.
Prendere coscienza del legame indissolubile tra sogno individuale e quello collettivo, significa sapere che se
quest’interconnessione da un lato può trasformarsi in conflitto, dall’altro può invece creare una nuova forma di
resistenza, e portare un nuovo e rigenerato potere alle masse.
Breve curriculum del collettivo
Punta_Spillo, è un collettivo artistico che nasce a Manchester (UK) dall’unione della scenografa Chiara Ludolini, nata
ad Ancona nel 1984, e dalla pittrice Serenella Tomassini, nata nel 1983 ad Amandola (AP).
Muove i suoi primi passi nell’ambiente artistico inglese e dopo l’iniziazione e la contaminazione del panorama
oltremanica decide di trasferirsi in Italia.
Con uno sguardo curioso ed incisivo sulla società e su ciò che lo circonda, unito ad un' innata attitudine alla
provocazione, intreccia diversi linguaggi con la volontà di andare alla ricerca delle disfunzioni e dei cortocircuiti che
muovono il desiderio.
Ancona, 7 novembre 2011
Associazione Culturale Quattrocentometriquadri
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