Via da mediano o da campione? Sta scritto nel DNA

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Via da mediano o da campione? Sta scritto nel DNA
Pianeta scienza
MARTEDÌ 18 MARZO 2014 IL PICCOLO
Sotto stress l’uomo diventa egocentrico, mentre la donna no
Sotto stress i maschi tendono a
diventare più egocentrici e meno capaci di distinguere le loro
emozioni e intenzioni da quelle degli altri. Per le donne invece è tutto il contrario. Questo è
quello che emerge in una ricerca alla quale ha collaborato la
Sissa di Trieste, pubblicato su
Psychoneuroendocrinology.
Lo stress, questo nemico che
ci assilla quotidianamente, oltre che la nostra salute potrebbe minare anche i nostri rapporti con gli altri, specialmente
se siamo maschi. Le donne
stressate infatti, a quanto pare,
diventano più “prosociali”. Lo
dice lo studio coordinato dalla
Social Cognitive Neuroscience
Unit dell’Università di Vienna
e che vede partecipare anche
l’Università di Friburgo.
«C’è un confine sottile fra la
capacità di identificarsi e prendere la prospettiva degli altri,
ed essere dunque empatici, e
quella di non sapere distinguere fra sé e l’altro, agendo in maniera egocentrica» spiega Giorgia Silani. «Per essere davvero
empatici e agire in maniera
prosociale è importante mantenere la capacità di distingue-
re fra sé e l’altro, e lo stress in
questo sembra avere un ruolo
importante».
Lo stress è un meccanismo
psicobiologico che può avere
una funzione positiva: serve infatti a raccogliere risorse in più
in situazioni particolarmente
impegnative. L’individuo può
affrontarlo in due modi: cercando di ridurre il carico interiore di risorse “extra” impiegate, o, banalmente, cercando
aiuto all’esterno.
«La nostra ipotesi di partenza era che in condizioni di
stress gli individui sarebbero
diventati più egocentrici. Adottare una prospettiva centrata
sul sé infatti riduce il carico
emotivo/cognitivo. Ci aspettavamo dunque che nelle condizioni sperimentali le persone
fossero meno empatiche»,
spiega Claus Lamm, dell’Università di Vienna fra gli autori
del paper.
La sorpresa è stata che questa ipotesi di partenza era vera,
ma solo per gli individui maschili. Negli esperimenti venivano create in laboratorio condizioni di stress moderato (i
soggetti dovevano per esem-
AL MICROSCOPIO
pio tenere un discorso pubblico, eseguire calcoli matematici
a mente, ecc.). I partecipanti
poi dovevano imitare dei gesti
(condizione motoria), oppure
riconoscere le emozioni proprie o altrui (condizione emotiva) o, ancora, dare un giudizio
prendendo la prospettiva di
un’altra persona (condizione
cognitiva). Metà del campione
sperimentale era composto da
uomini, l’altra metà da donne.
«Quel che abbiamo osservato è che per gli uomini la condizione di stress peggiora la prestazione in tutti tre i tipi di
compito. Per le donne succede
il contrario», spiega Silani. Il
perché non è ancora chiaro.
La minaccia di quelle piante invasive
“Sissi” è un sistema di monitoraggio realizzato a Trieste per indicare la loro presenza sul territorio
di Simona Regina
L’ailanto, l’ambrosia e il senecio
sudafricano sono tre delle più
dannose specie vegetali invasive
presenti in Italia. Piante che provengono da altre aree geografiche e costituiscono un serio problema per la conservazione della biodiversità.
«La loro presenza può ostacolare la sopravvivenza delle piante indigene, oltre a causare danni economici e costituire, in alcuni casi, una minaccia per la salute», spiega Pier Luigi Nimis,
professore di Botanica all'Università di Trieste. L’ailanto, per
esempio, conosciuto anche come albero del Paradiso, è originario della Cina ed è considerata la specie invasiva con il più alto potenziale distruttivo del patrimonio archeologico, «inoltre
le sue radici possono provocare
non pochi danni alle infrastrutture, rompendo per esempio
l’asfalto e insinuandosi in pozzi
o canalizzazioni».
L’ambrosia, invece, di origine
nordamericana, causa forti allergie - «produce infatti quantità
elevatissime di polline, considerato tra i più allergenici» - oltre a
infestare i terreni su cui attecchi-
DOMANI
Teorie scientifiche
e fantascienza
Domani alle 19 al Caffè San Marco, a
Trieste, si terrà un “caffè
scientifico” organizzato dalla
Sissa. La fantascienza propone
estrapolazioni azzardate di teorie
scientifiche, si spinge ai limiti
dell’impossibile. Ma sviluppa anche
riflessioni profonde e inattese sulle
relazioni dell’umanità con la
scienza e con la tecnologia, sui
rapporti sociali, sull’essenza stessa
dell’umano, proponendo
l’immagine di un futuro specchio
del presente. Ne parleranno Gianni
Zanarini e Daniele Terzoli, critico
cinematografico e direttore di
Cappella Underground. Introduce
Leo Brattoli.
Alcune delle piante maggiormente invasive: una minaccia per l’ambiente
sce. Il senecio sudafricano è in
grado di insediarsi anche nei pascoli, risultando particolarmente dannosa sia perché tossica
per il bestiame, sia per il fatto
che le sue sostanze tossiche sono in grado di passare al latte e
persino al miele.
«È indispensabile comprendere e valutare con attenzione la distribuzione geografica di queste
specie invasive, adottando dei
provvedimenti tempestivi mirati a ostacolarne o addirittura impedirne l’insediamento e la propagazione», aggiunge Nimis,
che coordina il progetto Interreg
SiiT (Strumenti interattivi per
l’identificazione della biodiversità: un progetto educativo in
un’area transfrontaliera), ideato
per permettere a cittadini scuole
di contribuire a mappare il fenomeno.
«Abbiamo sviluppato infatti –
aggiunge – un sistema di segnalazione per monitorare la loro
presenza sul territorio: si chiama Sissi (sissi.divulgando.eu).
Consente di imparare a distinguere le piante in questione da
altre piuttosto simili con cui è
possibile fare confusione e di segnalare, direttamente sul sito,
eventuali avvistamenti, al fine di
realizzare delle mappe di distribuzione, che potranno poi essere fornite alle autorità comunali
o alla forestale, e diventare quindi strumenti importanti per
qualsiasi campagna di eradicamento».
«Finora - conclude il professore - la risposta dei cittadini è stata entusiastica: le segnalazioni
pervenute permettono già di delineare una mappa preliminare
della distribuzione delle tre specie nella provincia di Trieste. Ed
è stata anche individuata una
notevole popolazione di Ambrosia, una delle più pericolose
piante allergeniche, a pochi passi da piazza Unità. Con la primavera le segnalazioni riprenderanno, per cui a fine estate dovrebbe essere disponibile una mole
di dati ancor più consistente».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
“Big data”, alleanza fra web e vecchi strumenti
Un’azienda friulana ha messo a punto un sistema che permette di arrivare al “prodotto perfetto”
Big Data. L'evoluzione della Business Analytics mette insieme
i dati del web con quelli aziendali per realizzare il “prodotto
perfetto”. Oggi è possibile conoscere in tempo reale i gusti
dei clienti attraverso il web, ma
anche confrontare questi dati
con quelli già disponibili in
azienda, come sondaggi e indagini di mercato, per creare soluzioni su misura, facilitare le decisioni dei manager e migliorare l'efficienza aziendale.
Twitter, Facebook, Linkedin,
blog, web. Ma anche dati provenienti da documenti elettronici
(xls, pdf, word), applicazioni di
business (crm, erp, portali intranet), sensori pubblici e priva-
ti (meteo, gps), log di sistema
(da server, dispositivi mobili).
Insieme, rappresentano il concetto di “Big Data”, una mole di
dati provenienti da fonti diverse che non “parlano” la stessa
lingua (ci sono immagini, testi,
audio) ma che, opportunamente interpretati, permettono di
capire il presente e “prevedere
il futuro”, aiutando un'azienda
a migliorare un prodotto e ottimizzare la produzione.
«Fino a ieri le aziende potevano contare solo sui dati che
possedevano già, come sondaggi, indagini di mercato o transazioni, e che analizzavano grazie
alla Business Intelligence. Oggi, grazie alla molteplici possi-
bilità di analisi offerte dai Big
Data, e in particolare dalla Social Bi, diventa possibile conoscere il gusto delle persone, il
loro umore e le caratteristiche
delle loro ricerche in tempo reale, monitorando social network
e rete. Quello che mancava e
che abbiamo sviluppato, era la
congiunzione fra questi due tipi di dati per ottenere informazioni ancora più accurate e per
avere una visione più attendibile di quello che succederà», afferma Fabiano Benedetti, ad di
beanTech, azienda friulana
specializzata in soluzioni It che
ha messo a punto una piattaforma di Business Analytics basata su tecnologia Microsoft che
Galileo. Koch. Jenner. Pasteur. Marconi. Fleming...
Precursori dell’odierna schiera di ricercatori
che con impegno strenuo e generoso (e spesso oscuro)
profondono ogni giorno scienza, intelletto e fatica
imprimendo svolte decisive al vivere civile.
Incoraggiare la ricerca significa
optare in concreto per il progresso del benessere sociale.
La Fondazione lo crede da sempre.
consente di analizzare e di mettere in correlazione i dati già
presenti in azienda (strutturati)
con quelli dei social e della rete
(non strutturati).
«Si tratta di uno strumento di
Business Analytics molto potente che, se interrogato in modo opportuno, può consentire
di realizzare il “prodotto perfetto”, in linea con i desideri ed i
bisogni dei consumatori, ma
anche, più semplicemente,
può permettere alle aziende di
rimanere in costante ascolto
dei propri consumatori e di essere proattiva qualora le preferenze cambino - aggiunge Benedetti -. Comparando i risultati che emergono dalla rete con i
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dati aziendali e uniformando il
loro “linguaggio”, è possibile
verificare se c'è coerenza tra
quello che la gente sostiene (attraverso ricerche, sondaggi,
ecc) e quello che la gente desidera davvero (attraverso commenti e preferenze sui social e
sulla rete); questo aiuta a capire se le scelte aziendali sono
quelle giuste o meno. La soluzione che abbiamo realizzato è
verticalizzabile per tipologia e
per settore: la complessità sta
sempre nel collegare fonti molto eterogenee, esterne ed interne all'azienda, e saperne tradurre il significato in informazioni a supporto del processo
decisionale».
QUESTA PAGINA È REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON
Vita da mediano
o da campione?
Sta scritto nel Dna
di MAURO GIACCA
A
l Congresso annuale della Società Tedesca di Fisiologia, che si è tenuto
a Mainz la scorsa settimana, si è
parlato a lungo di genetica e
sport. In cosa consiste il talento
sportivo? Cosa contraddistingue i fuoriclasse da coloro che
sono destinati a una vita da mediano? Ecco che le moderne tecniche di indagine genomica,
compreso il massivo sequenziamento del Dna e l’analisi dei livelli di espressione dei geni,
consentono ora di affrontare
queste domande come mai prima era stato possibile. Diverse
le novità, molte per certi versi
sorprendenti. Primo, è stato sfatato il mito dei benefici agonistici dell’allenamento in altitudine. Un gruppo di ricercatori
svizzeri ha tenuto per 3 settimane una serie di atleti di elite in
un albergo in cui alcune delle
stanze erano state pressurizzate in modo da mimare le condizioni che si trovano a oltre 2000
metri, mentre altri atleti alloggiavano e si allenavano in stanze normali. Nessuna differenza
significativa è stata riscontrata
nei due gruppi in termini di
espressione di geni o di prestazioni agonistiche.
Conclusione: quella delle preparazione atletica in montagna
è una credenza largamente
ascrivibile a un effetto placebo.
Una seconda novità ha riguardato lo studio genetico delle
prestazioni di eccellenza. Una
componente ereditaria nel successo sportivo è innegabile:
non è un caso che i 10 recordman nella corsa di resistenza
nel 2013 vengano tutti dagli altopiani di Kenya, Etiopia e
Uganda, o che più del 90% dei
giocatori di basket dell’Nba siano di colore. Ora sappiamo che
sono circa 220 le variazioni genetiche associate alle prestazioni di elite. Una di queste è comune a tutti gli atleti: si tratta di
una variante della proteina alfa-actinina-3, coinvolta nella
contrazione muscolare. Se uno
non c’è l’ha, difficile che diventi
un campione. La terza rivoluzione riguarda la possibilità di
usare i geni stessi per migliorare le prestazioni sportive. Topi
dopati geneticamente per esprimere alti livelli di eritropoietina
o del fattore pro-ipertrofico Igf1
corrono e nuotano 3-4 volte più
intensamente dei topi normali.
Il doping genetico più efficace si basa sull’uso di virus modificati - gli stessi che all’Icgeb utilizziamo per la cura delle malattie cardiache -, per trasferire nei
muscoli i geni dopanti. Questo
trattamento sfugge completamente alle attuali tecniche di indagine, perché la proteina dopante, anziché essere assunta
dall’esterno, viene prodotta
dall’organismo. Riuscirà la Wada, l’organismo che controlla il
doping a livello internazionale,
a sviluppare un test in grado di
svelare il doping genetico prima che questa pericolosa pratica, oggi ancora sperimentale
negli animali, si diffonda tra gli
atleti?