Carbone - Energialab
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Scheda monografica di sintesi: Produzione di energia da fonti convenzionali Carbone A cura di: Via Mirasole 2/2 40124 Bologna (BO) ORIGINE DEL CARBON FOSSILE [1] Il carbone fossile è noto come combustibile fino dall'antichità, come è accaduto per il petrolio, ma è solo dal 1700 che è divenuto una fonte primaria di energia, sostituendo il legno soprattutto in Gran Bretagna con la famosa Rivoluzione Industriale. I carboni sono delle vere e proprie rocce sedimentarie e sono costituiti dai resti di accumuli vegetali, modificati dalle pressioni e temperature che si trovano in profondità nella crosta, e come nel caso del petrolio, anche il carbone nasce attraverso una progressiva eliminazione, dai resti vegetali, di componenti come idrogeno e ossigeno con un conseguente arricchimento indiretto di carbonio che lo portano a diverse litologie a seconda della percentuale di carbonio presente. Quindi le zone più favorevoli per la formazione di depositi organici vegetali sono le pianure costiere, le lagune, gli acquitrini delle alte latitudini, come in Russia, Canada, Nord Europa, dove il clima freddo rallenta la decomposizione, ma anche in regioni calde umide che favoriscono la crescita di vegetali. Quando questi accumuli vengono sepolti, inizia la fase di formazione del carbone che inizialmente sarà un fitto intreccio di resti vegetali chiamato torba dove le condizioni anaerobiche dell'ambiente impediscono l'ossidazione e la decomposizione batterica. Possiamo anche avere la formazione del sapropel, cioè una fanghiglia originata da depositi di organismi planctonici, materiali argillosi e resti di piante superiori in acque stagnanti come nel Mare Nero; solitamente contiene più del 10% di materia organica e può essere finemente laminato. Con l'aumentare della profondità aumenta anche la temperatura e il materiale organico subisce una maturazione, cioè una eliminazione graduale dei componenti, aumentando sempre più la quantità di carbonio passando dalle torbe alle ligniti, ai litantraci fino alle antraciti dove il contenuto di carbonio raggiunge il 95% e quindi il suo potere calorifico è molto più alto; è per questo che le antraciti sono il tipo di carbone più pregiato. Se il materiale subisce una ulteriore eliminazione delle particelle rimarrà solo carbonio puro che da vita alla grafite che non trova un impiego come combustibile. Il processo che porta dalla pianta vegetale alla formazione di antracite naturalmente è lunghissimo e può richiedere diversi milioni di anni, se non centinaia di milioni per la sua attuazione. Nel caso che movimenti tettonici riportino il materiale in superficie, il processo di maturazione del carbone si arresta immediatamente e il materiale inizia a degradarsi. Questo rappresenta infatti un problema nelle cave a cielo aperto o in miniere a bassa profondità. La relazione fra la distribuzione dei vari tipi di carbone e le età delle rocce che lo contengono è molto regolare. Lo stadio di lignite si ritrova infatti sempre in depositi di età Cenozoica, mentre le antraciti si trovano in terreni del Paleozoico. Questa distribuzione è ovviamente in relazione al tempo necessario perché le varie fasi di maturazione si completino. Si è notato anche una correlazione molto interessante fra sito geografico e gli EOA, cioè eventi anossici (diminuzione dell'ossigeno). Infatti si incontrano tre distinti e ben definiti intervalli temporali: Barremiano-Aptiano (da 120 a 110 milioni di anni fa), Cenomiano-Turoniano (da 97 a 90 milioni di anni fa), e Coniaciano-Santoniano (86 a 83 milioni di anni fa) in cui si ritrovano sedimenti neri e bituminosi ricchi di materia organica chiamati black shale. Secondo recenti ricerche (Jenkyns 1980) questi intervalli individuano degli eventi durante i quali le acque dei mari erano impoverite di ossigeno con un conseguente arricchimento nella deposizione di materia organica; questi eventi sarebbero anche in relazione con i grandi eventi di trasgressione marina. Un innalzamento del mare infatti provocherebbe l'invasione delle pianure da parte www.energialab.it 2 dell'acqua e quindi un aumento di materiale organico disponibile, e la conseguente consuzione batterica favorirebbe lo sviluppo di acque poco ossigenate. In quest'ottica si capisce che la distribuzione di questo materiale è avvenuta in quei grandi bacini dove l'età delle rocce è molto antica e che adesso sono emersi, come in Australia o come in Antartide che un tempo doveva essere molto ricca di vegetali e animali e che ora si ritrovano in depositi di carbone o petrolio. In Italia si trovano solo modesti giacimenti di lignite e apparentemente la causa va ricercata nella giovane età delle nostre rocce e delle continue sollecitazioni tettoniche che avvengono nella zona mediterranea, essendo posta tra la zolla Euroasiatica e quella Africana. Come per il petrolio, anche il carbone è una fonte di energia non rinnovabile, ma i depositi di questo materiale sono molto superiori a quelli di petrolio e si stima che fino ad ora si sia sfruttato solo il 10% delle scorte iniziali. IMPORTANZA DEL CARBONE[2] Il carbone è il combustibile fossile più abbondante, sicuro sulla terra, inoltre è anche pulito ed economico. 1. Abbondante in quanto enormi riserve di carbone sono presenti in molti paesi; inoltre è estratto in più di 50 paesi; 2. Sicuro in quanto è stabile e pertanto il trasporto, lo stoccaggio e l’uso non implica grossi rischi; 3. Affidabile in quanto le abbondanti riserve significano approvvigionamento garantito a un prezzo competitivo, con la certezza di avere energia elettrica per i fabbisogni domestici ed industriali; 4. Pulito perché l’attuale tecnologia consente di bruciarlo con ridotto impatto ambientale; 5. Economico perché globalmente è un combustibile competitivo per la generazione di elettricità, senza la quale l’attuale tipo di vita sarebbe virtualmente impossibile. Il carbone è la maggiore fonte energetica nella generazione di elettricità nel mondo (vedi fig. 1). www.energialab.it 3 Fig. 1 Aliquota di generazione elettrica per tipo di combustibile nel mondo Il carbone è stato usato come fonte energetica per centinaia di anni e il commercio di carbone esisteva già durante l’Impero Romano. Inoltre fornì non solo l’energia alle industrie nel diciannovesimo secolo durante la rivoluzione industriale, ma ha lanciato l’era elettrica nel ventesimo secolo. Attualmente il 37% dell’energia elettrica è prodotta dal carbone, e l’industria metallurgica si basa sul suo uso (è il principale riducente in questo settore). Fino al 1960 il carbone era l’unica più importante fonte di energia primaria mondiale. Negli ultimi anni del 1960, il petrolio lo ha superato, ma si prevede che ritornerà ad essere la fonte leader entro la metà del ventunesimo secolo. L’importanza di altri combustibili fossili come l’olio combustibile e il gas e di fonti energetiche alternative come l’energia nucleare e rinnovabile non può essere ignorata. Tuttavia nessuna di loro si presenta come una fonte energetica priva di problemi e conveniente nel lungo periodo. Si stima che le riserve carbonifere dureranno per almeno altri 200 anni (l’olio combustibile e il gas dureranno sicuramente meno). La limitatezza delle riserve dei combustibili fossili impone uno sfruttamento efficiente e non sconsiderato. Le energie rinnovabili rappresentano un’alternativa che però comportano una serie di problematiche economiche. Infine l’aumento della popolazione mondiale determina l’aumento della domanda energetica a cui il carbone può rispondere in maniera soddisfacente. ESTRAZIONE E PREPARAZIONE[2] L’estrazione del carbone è stata effettuata per oltre 1000 anni ma solo dal diciottesimo secolo su scala industriale. Esistono due metodi di estrazione: 1. dalla superficie o “strip mining” 2. e dal sottosuolo o “deep mining”. La scelta del metodo è determinata dalla geologia del deposito carbonifero: la maggior parte delle riserve mondiali sono recuperabili con un’estrazione dal sottosuolo. A sua volta l’estrazione da sottosuolo si divide in: 1. estrazione “room and pillar” 2. e in “longwall”. Il primo metodo prevede che il carbone venga estratto disegnando una serie di camere o pannelli all’interno del filone carbonifero e lasciando dietro dei pilastri di carbone per sostenere il tetto della miniera. Inizialmente i recuperi si attestano intorno al 5060%, a causa del carbone usato nei pilastri che può essere comunque recuperato successivamente. Il secondo metodo prevede invece l’uso di macchine da taglio per tagliare e per rimuovere frontalmente il carbone che può raggiungere di 100-250 m. Puntelli idraulici autoavanzanti sostengono il tetto finché il carbone viene estratto. Il tetto che si trova sul lato posteriore, da cui il carbone è stato rimosso, viene lasciato collassare. Oltre il 75% del carbone presente in un giacimento può essere estratto usando questo metodo. L’estrazione da superficie assicura il recupero di una maggiore porzione del deposito carbonifero rispetto ai metodi da sottosuolo e risulta conveniente solo quando il filone di carbone è nei pressi della superficie. L’equipaggiamento usato include: gru che rimuovono il sovraccarico (il termine indica gli strati fra i filoni di carbone e la www.energialab.it 4 superficie); escavatori a cucchiaia e grandi camion che trasportano il sovraccarico e il carbone; convettori di alta capacità. Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento di dimensione dell’equipaggiamento, e gli elevati costi per importarli hanno spinto verso la scelta dell’estrazione da sottosuolo. Il mercato richiede che il carbone possegga un’elevata qualità e purezza. Subito dopo l’estrazione, il carbone è una miscela di frazioni di diversa grandezza contenenti impurezze come roccia e sporcizia. Dunque è necessario uno stadio di preparazione noto anche come “beneficiation”, in cui il carbone grezzo è suddiviso in una serie di prodotti puliti, uniformi e classificati pronti per la vendita. In alcuni casi il carbone grezzo possiede un’elevata qualità tale da soddisfare le richieste dei consumatori: dunque non è necessaria la “beneficiation” e il carbone può essere semplicemente frantumato e setacciato affinchè si ottenga il prodotto specifico. Una serie di separazioni fisiche sono applicate nel lavaggio e nella preparazione del carbone. Dopo la sua frantumazione viene separato in varie frazioni in base alla grandezza: il materiale più grande (pezzi da 10 a 150 mm) è di solito sottoposto ad una separazione mediamente densa, durante la quale il carbone è separato dalle altre impurità facendolo flottare in un serbatoio contenente un liquido di adatta gravità specifica (solitamente una sospensione di magnetite finemente macinata). Il carbone, essendo più leggero, flotta e viene separato, mentre la roccia più pesante e le altre impurezze affondano e sono rimosse come residui. Una parte della magnetite mescolata al carbone viene separata usando spruzzi d’acqua e recuperata con cilindri magnetici e riciclata. Le frazioni più piccole sono sottoposte a diversi trattamenti basati di solito sui differenziali di gravità (per esempio in canali di scarico a spirale). Metodi alternativi si basano sulle diverse proprietà superficiali del carbone e dei residui. Nella “froth flotation” le particelle di carbone sono rimosse in una schiuma prodotta dall’aria insufflata in un bagno d’acqua contenente reagenti chimici. Le bolle attirano il carbone e non i residui e vengono scremati per recuperare le particelle fini di carbone. Dopo il trattamento le varie frazioni sono setacciate, seccate e rimescolate prima delle procedure di campionamento finale e di controllo di qualità. Alcuni impianti sono alimentati da carbone proveniente da una singola fonte, mentre altri utilizzano delle miscele. Il mescolamento consente l’acquisto selettivo di diverse miscele di carbone. Una buona preparazione del carbone, prima della combustione, aumenta l’omogeneità e l’efficienza dell’utilizzazione del carbone alimentato, riduce i costi di trasporto e il suo spostamento all’interno dell’impianto produce meno polveri e fa diminuire le emissioni di ossido di zolfo. PRINCIPALI APPLICAZIONI INDUSTRIALI[2, 4] Le principali applicazioni industriali del carbone sono la generazione di energia elettrica, la produzione di acciaio e cemento e il riscaldamento nei processi industriali. Nei paesi in via di sviluppo ha rilevanza nel riscaldamento domestico e nell’attività di cucina. Circa la metà della produzione di carbone fornisce il 37% dell’elettricità mondiale; in particolare molti paesi dipendono fortemente dal carbone per soddisfare il fabbisogno energetico nazionale: Polonia 96%, Sud Africa 90%, Australia 86%, Cina 81%, India 75%, Repubblica Ceca 74%, Grecia 70%, Danimarca 59% e gli USA 56%. www.energialab.it 5 Il carbone è indispensabile nei processi produttivi di acciaio e di ferro; il 70% dell’acciaio è proviene da ferro prodotto in altiforni che usano carbone e coke. Si ricorda che per definizione un acciaio è una lega ferro-carbonio, in cui il tenore del carbonio è inferiore al 2,06%, limite massimo di solubilità del carbonio nell’austenite; negli acciai comuni solitamente la percentuale di carbonio non supera l’1%. L’acciaio è fondamentale nell’industria moderna, in quanto le automobili, i treni, le navi, i grattacieli, gli strumenti chirurgici e le macchine dei raggi X sono composti dall’acciaio. Il cemento è invece fondamentale per la costruzione degli edifici, degli stabilimenti, delle strade, delle dighe e moltissimi impianti di cemento usano il carbone come combustibile. Fig. 2 Utilizzazione mondiale del carbone (1997-produzione totale 3.775 Mt). Produzione di energia: fino a pochi anni fa gli impianti producevano energia elettrica bruciando sulla griglia di un forno pezzi di carbone per generare vapore. Impianti moderni sono più efficienti, in quanto utilizzano carbone macinandolo con un polverizzatore in polvere finissima aumentando così la sua superficie specifica e di conseguenza la velocità di combustione. Il carbone macinato viene successivamente insufflato nella camera di combustione di un forno, dove viene bruciato a circa 1400°C. I gas caldi e l’energia termica prodotta per irraggiamento opera un passaggio di fase dell’acqua contenuta nei tubi all’interno del forno, facendola evaporare. Il vapore ad alta pressione passa in una turbina a vapore che contiene migliaia di pale simili a quelle di un propulsore. L’espansione del vapore provoca la sua accelerazione, che viene sfruttata per imprimere un moto rotatorio alle pale della turbina, alla fine della quale è montato un generatore provvisto di una serie di bobine di fili avvolti con cura. Questi sono in grado di generare energia elettrica quando sono in rapida rotazione all’interno di un forte campo magnetico. Il vapore dopo aver attraversato la girante della turbina, viene prima condensato e poi inviato al ribollitore per essere di nuovo riscaldato. L’energia elettrica viene trasformata in voltaggi più elevati (oltre 400000 volts) per economizzare la trasmissione sulla rete elettrica. L’energia elettrica prima di essere inviata all’utenza, viene nuovamente trasformata in voltaggi più bassi e più sicuri (100-250 volts). Produzione di acciaio: la produzione mondiale di acciaio grezzo nel 1998 è stata di oltre 770 milioni di tonnellate utilizzando circa 600 Megatonnellate di carbone. Circa il 67% della produzione totale è basata sulla fusione del minerale di ferro in altiforni e www.energialab.it 6 sulla successiva trasformazione del ferro in acciaio in convertitori a ossigeno. Un altoforno utilizza il minerale di ferro, il coke, piccole quantità di calcare e, nel caso di iniezione del carbone polverizzato, carbone termale granulato o polverizzato. Il minerale di ferro contiene ossidi di ferro, che commercialmente sono presenti almeno al 58%. La maggior parte del minerale alimentato negli altiforni è finemente macinato, miscelato e riscaldato con polveri fini di coke per formare il sinter. Quantità più piccole di pellets di minerale naturale sono aggiunte successivamente. Il coke è quella porzione del litantrace che rimane allo stato solido, quando questo venga riscaldato per qualche tempo a 900-1000°C in assenza di aria. Il litantrace è suddiviso in cinque gruppi in base al potere cokificante e al tenore di sostanze volatili presenti ed eliminate col riscaldamento, che determinano la lunghezza della fiamma: magri a fiamma lunga e corta, grassi a fiamma lunga e corta, grassi propriamente detti. I litantraci grassi danno un coke compatto e coerente con elevato potere cokificante, quelli magri danno un coke pulverulento e incoerente con basso potere cokificante. Il coke siderurgico è formato dai grassi a fiamma corta e dai grassi propriamente detti, con caratteristiche di bassa porosità, elevata resistenza meccanica alla compressione e basso tenore di zolfo e di fosforo. Il carbone è carbonizzato in batterie di forni di coke, miscelato, frantumato in dimensione massime di 3 mm, versato in cima ai forni e riscaldato per 18-20 ore ad oltre 1200°C. I componenti volatili del carbone sono recuperati come gas di coke, che è prima purificato per rimuovere le impurità e i coprodotti di valore come catrame e benzolo e in seguito usato come alimentazione per i forni o come combustibile in qualche attività d’acciaieria. Il coke incandescente è estratto dai forni, raffreddato e setacciato per rimuovere le particelle più piccole, mentre le più grandi (oltre 30 mm) vanno nell’altoforno dove: · Fornisce il carbonio che serve per ridurre gli ossidi di ferro, rimovendo l’ossigeno dal minerale; · Fornisce il calore per fondere il ferro; · Funge da strato permeabile e allo stesso tempo resistente ai carichi, in quanto sopporta il peso facendosi anche attraversare dai gas riducenti. Minerale, coke e calcare sono alimentati al top dell’altoforno, invece l’aria calda insufflata e il carbone polverizzato sono iniettati attraverso degli ugelli alla base dell’altoforno. L’iniezione di carbone polverizzato comporta un’economia di carbone e di combustibile. Il ferro fuso o il metallo caldo sono periodicamente prelevati dalla base dell’altoforno e inviati direttamente al convertitore ad ossigeno. Frammenti d’acciaio e altro calcare vengono addizionati in questa fase; inoltre l’ossigeno è insufflato nel metallo liquido che è composto per il 95% da ferro puro. L’ossidazione innalza la temperatura di reazione a 1600-1650°C e ossida le impurezze lasciando acciaio liquido quasi puro. Gli altiforni con Iniezione di Carbonio Polverizzato (PCI) richiedono per ogni tonnellata di metallo caldo 350-400 Kg di coke, che a sua volta richiede circa 700 Kg di carbone (525-600 Kg di carbone da coke più 100-200 Kg di carbone da PCI più economico). Le fornaci senza PCI richiedono più coke e sono meno economici. Poiché ogni tonnellata di acciaio necessita di circa 90% di metallo fuso e 10% di frammenti, si stima un consumo di 630 Kg di carbone per tonnellata di acciaio. Il 33% della produzione mondiale d’acciaio avviene in forni ad arco elettrico, che fondono frammenti di ferro e acciaio. L’approvvigionamento elettrico di questi forni è effettuato da centrali a carbone. Nuovi processi per la diretta riduzione del ferro (DRI) sono in via di sviluppo, comportando l’eliminazione degli altiforni, dei forni di coke e le spese del carbone da coke. Tuttavia gli impianti DRI utilizzeranno ancora il www.energialab.it 7 carbone sia come combustibile che come agente riducente e garantiranno solo una piccola percentuale dell’output mondiale d’acciaio per molti anni. Per l’immediato futuro comunque il carbone rimarrà un componente indispensabile nella produzione dell’acciaio. Produzione del cemento: il cemento è il principale componente del calcestruzzo e il più comune materiale da costruzione nel mondo. Esso è un legante idraulico e le sue principali applicazioni sono la costruzione di edifici commerciali e residenziali, di infrastrutture come strade, aeroporti, ponti e dighe. Si stima che attualmente la quantità di cemento usata nel mondo sia superiore a 1350 milioni di tonnellate all’anno. Il cemento è formato da una miscela di carbonato di calcio (generalmente in forma di calcare), silicio, ossido di ferro e allumina. Secondo le norme di legge attualmente in vigore in Italia, si distinguono quattro tipi di cemento: · Cemento Portland ottenuto per cottura sino ad incipiente scorificazione di miscele di calcare e di argilla di opportuna composizione (76-78% di calcare, 22-24% di argilla). Il Portland è il più diffuso ed impiegato fra i cementi, e deve il suo nome al fatto che dopo la presa, la massa assume un aspetto assai simile alla pietra naturale da costruzione di Portland, in Inghilterra; · Cemento pozzolanico ottenuto mescolando insieme all’atto della macinazione clinker di Portland e pozzolana con l’aggiunta di piccole quantità di gesso, nelle seguenti proporzioni: 55-70% di clinker, 30-45% di pozzolana, 2-4% di gesso. La pozzolana è una roccia sedimentaria piroclastica formatasi in seguito all’accumulo e alla parziale cementazione di particelle, ceneri e lapilli emesse in forma incoerente nel corso di eruzioni vulcanica. Chimicamente la pozzolana è costituita da silice libera, silicati e silico alluminati, in parte cristallini e in parte allo stato vetroso o semiamorfo; · Cemento d’altoforno ottenuto macinando insieme clinker di Portland e scoria basica granulata d’altoforno con l’aggiunta di piccole quantità di gesso. Le proporzioni sono assai variabili (dal 30 al 70% di scoria) a seconda delle caratteristiche della scoria, del clinker e delle resistenze meccaniche che si desidera ottenere dal cemento; · Cemento alluminoso o cemento fuso ottenuto per cottura sino a fusione quasi completa di una miscela di calcare e bauxite raggiungendo temperature di 1600°C. La bauxite è costituita da ossidi di alluminio idrati con presenza di ossidi anidri o idrati di ferro, di silice, di silicati idrati di alluminio e di piccole percentuali di diossido di titanio. L’industria del cemento necessita di notevoli quantitativi energetici, nonostante la fonte di questa energia non abbia molta rilevanza. Pertanto l’industria del cemento, come qualsiasi altra industria, cerca di minimizzare i costi di produzione. Se esiste una fonte energetica che soddisfa questo criterio, la logica e le motivazioni economiche dettano il suo utilizzo, aldilà del fatto che sia carbone, coke di petrolio (petcoke), gas o prodotti di scarto utilizzabili per scopi energetici. Il carbone sarà sicuramente una fonte di riferimento e un’opzione energetica competitiva per l’industria del cemento, a tal punto che alcuni produttori di carbone e proprietari di impianti di cemento, hanno instaurato delle relazioni di collaborazione a lungo termine per soddisfare tutte o parte dei fabbisogni energetici degli impianti, fermo restando che il settore del cemento continuerà a cercare sempre altre fonti energetiche più economiche. www.energialab.it 8 PRODOTTI DI COMBUSTIONE DEL CARBONE E COAL BED METHANE[2] I prodotti di combustione del carbone sono residui solidi ottenuti negli impianti di produzione di energia durante la combustione del carbone e come materiale di scarto durante la desolforazione degli effluenti gassosi uscenti dalle caldaie degli impianti. I principali prodotti di combustione del carbone sono: 1. Cenere di combustibile polverizzata; 2. Cenosfere (galleggianti); 3. Polvere uscente dalla base dei forni; 4. Scoria di caldaie; 5. Gesso ottenuto dalla desolforazione dei gas di camino. I primi quattro prodotti sono derivati dei componenti minerali del carbone, mentre il gesso è un derivato del contenuto solforico del carbone. L’utilizzazione di questi prodotti preserva le risorse minerarie primarie, riduce sia la richiesta energetica che le emissioni di gas serra nell’atmosfera. Le loro applicazioni sono continuamente in espansione: agricoltura, attività di miniera e di cava, costruzione di strada, sostituzione o aumento della percentuale di cemento nel calcestruzzo, prodotti di gesso e molte altre applicazioni nel campo delle costruzioni. I prodotti di combustione del carbone, pertanto, sono vantaggiosi per l’ambiente, l’industria e il carbone stesso. In generale il termine Coal Bed Methane (CBM) è improprio. L’uso comune del termine CBM è applicato a tutti i gas contenuti o prodotti dai filoni di carbone,che dovrebbero invece chiamarsi Coal Bed Gas. Si usa il termine CBM in quanto il componente più importante di questa miscela gassosa è il metano, che ha importanti implicazioni nella sicurezza delle miniere, nell’impatto ambientale (gas serra) e nelle opportunità commerciali. Il CBM e il Coal Mine Methane (CMM) sono in effetti la stessa cosa; la differenza fra i due è che il CMM è il metano rilasciato dai filoni di carbone durante la sua estrazione, mentre il CBM è il metano prelevato dai filoni di carbone che non devono o non saranno estratti. Nel gergo tecnico i due termini vengono spesso confusi. Il gas nasce durante la “coalification”, che è il processo geologico con cui si forma il carbone. La quantità di gas dipende dal materiale presente nel momento in cui si forma il carbone e dalle condizioni geologiche. Esso trova applicazione in tutte le normali applicazioni del gas naturale; oltre il 6% del gas naturale negli USA proviene da fonti del CBM. La presenza di metano durante le operazioni di estrazione del carbone ha rappresentato un serio problema di sicurezza da superare. I più grandi disastri avvenuti in passato nelle miniere sono imputabili all’incapacità di rimuovere le infiltrazioni di gas contenente metano dall’area di estrazione. Le esplosioni del gas dovute ai lavori di estrazione del carbone avvengono spesso senza alcun preavviso di fuoriuscita di metano nell’area interessata all’estrazione. La sicurezza nelle miniere deve essere ai massimi livelli, a causa del potenziale pericolo di esplosione dovuto al metano: pertanto era prevista la ventilazione delle aree di ventilazione, per favorire il rilascio nell’atmosfera del metano sprigionatosi. Sono previste anche operazioni di rimozione del gas da zone interessate all’estrazione in futuro, così da rendere le successive operazioni più sicure. Per evitare la perdita di questa potenziale fonte di energia e un aumento dell’impatto ambientale dovuto alla dispersione del metano, si è cercato di raccogliere questo gas per usi commerciali. Il CBM oggi è una fonte energetica disponibile per l’approvvigionamento. Infatti molte compagnie che si occupano di estrazione del carbone, hanno affiancato alla loro principale attività di estrazione anche quella di vendita del CBM, utilizzabile per generare energia o per un consumo diretto. La www.energialab.it 9 raccolta del CBM pertanto può ridurre sensibilmente le emissioni di gas serra (soprattutto di metano) e incrementare la sicurezza delle future operazioni di estrazione. PULVERISED COAL COMBUSTION (PCC) [4, 5] Col termine Clean Coal Technology si intende una tecnologia finalizzata all’utilizzo del carbone, in qualità di combustibile, in modo efficiente e allo stesso tempo nel rispetto dell’ambiente: pertanto l’obiettivo principale è quello di rispettare i vincoli normativi vigenti sulle emissioni inquinanti in modo più stringente rispetto ad altre tecnologie. Il PCC è una metodologia largamente utilizzata negli impianti di produzione energetica, e la sua affidabilità si basa sull’esperienza maturata in molti decenni. La pressione operativa è all’incirca quella atmosferica, in modo da facilitare il passaggio dei materiali attraverso i vari stadi dell’impianto. Le principali innovazioni ottenute sono le seguenti: · Miglioramento dell’efficienza termica dell’impianto, grazie all’aumento della temperatura e della pressione del vapore in uscita dalla caldaia ed in ingresso alla turbina a vapore; · Alimentazione supplementare delle varie unità presenti nel ciclo tecnologico; · Rispetto dei limiti sulle emissioni e dei requisiti ambientali. Di seguito è riportata una breve descrizione del ciclo tecnologico. Il carbone è macinato ad una granulometria molto fine (per il carbone bituminoso una aliquota inferiore al 2% supera i 300 µm e il 70-75% è inferiore ai 75 µm); il polverino di carbone è insufflato assieme ad una parte dell’aria comburente all’interno della caldaia attraverso gli ugelli del bruciatore. E’ possibile aggiungere aria secondaria e terziaria. La combustione avviene a circa 1300-1700 °C, in base alla tipologia di carbone. Il vapore generato nella caldaia è alimentato all’ingresso di una turbina. Il tempo di permanenza delle particelle nella caldaia varia dai 2 ai 5 secondi e le loro dimensioni devono essere sufficientemente piccole per ottenere una efficiente combustione: infatti è noto che ciò accade se si verifica un intimo contatto e un appropriato mescolamento tra combustibile e comburente. Il PCC è un processo molto diffuso nel mondo e ben si adatta alle diverse tipologie di carbone, sebbene sia penalizzato quando si utilizzino varietà di carbone ad elevato contenuto di cenere. L’aumento dell’efficienza termica rappresenta il metodo più brillante per ridurre le emissioni inquinanti. Nel caso specifico si possono adottare alcuni accorgimenti per conseguire il suddetto risultato: · La riduzione del rapporto dell’aria in eccesso dal 25 al 15% comporta un leggero aumento di efficienza · La riduzione di 10°K della temperatura relativa al gas in uscita dal camino, e il conseguente recupero di calore sensibile, comporta un leggero aumento di efficienza · L’aumento della pressione e della temperatura del vapore di processo da 25 MPa/540°C a 30 MPa/600°C determina un aumento dell’efficienza pari a circa 2 punti percentuali · L’utilizzo di un secondo stadio di riscaldamento determina un aumento dell’efficienza pari a circa 1 punto percentuale · La riduzione della pressione del condensatore da 0.0065 MPa a 0.003 MPa comporta un leggero aumento di efficienza www.energialab.it 10 Come spesso succede quando ci si trova dinanzi a scelte tecniche tra loro competitive, anche in questo caso è necessario trovare un compromesso (ottimizzazione) tra i costi previsti (costi di investimento iniziale e costi operativi), il rischio connesso a ciascuna alternativa e la quantità supplementare di energia recuperata. Molti dei suddetti metodi sono noti da alcuni decenni. In alcuni casi essi sono stati oggetto di ripensamento negli anni ’50 e ’60 e furono addirittura abbandonati o per mancanza di adeguati materiali da costruzione o per i modici prezzi di acquisto dell’energia. Ciò determinò la mancanza di stimoli e di incentivi a ricercare nuove metodologie per l’incremento dell’efficienza termica. Negli anni ’50 furono costruiti piccoli impianti a carica minima, i quali sfruttavano il vapore a 35 MPa e 650°C. Il preriscaldamento rigenerativo dell’acqua di alimentazione fu introdotto molto tempo fa, nel 1920. il riscaldamento ripetuto del vapore risale agli anni ’50, mentre il doppio riscaldamento ripetuto agli anni ’60. Le opzioni più costose cominciarono ad essere trascurate nei periodi in cui il petrolio aveva un prezzo basso, e successivamente quando l’energia nucleare sostituì in molti paesi quella prodotta dagli impianti di piccola taglia. L’aumento della pressione e della temperatura del vapore richiede l’utilizzo di acciai austenitici in varie parti del sistema. L’uso di tubazioni in acciaio austenitico a parete sottile per la costruzione del surriscaldatore e dello scambiatore di calore a doppio scambio determina una elevata flessibilità operativa. In alcuni impianti vecchi l’utilizzo di tubazioni e di giunzioni in acciaio austenitico a parete spessa ha però determinato l’aumento dei tempi di avviamento, con le perdite ad esso connesse. Il controllo dell’aria in eccesso è molto importante nel funzionamento della caldaia, ma richiede un’ottimizzazione fra elementi contrastanti. Le caldaie di solito sono tarate in modo da operare col minimo eccesso di aria comburente, ma bisogna tenere conto dell’aria necessaria alla completa combustione di tutto il carbone alimentato. Oggi i modelli moderni di caldaie e una pratica operativa diffusa spingono verso un controllo della portata di aria , al fine di minimizzare la formazione degli ossidi di azoto. Le considerazioni qualitative illustrate finora sono fortemente legate alla tipologia ed alla qualità del carbone utilizzato. Per esempio attualmente sono in fase di costruzione alcuni impianti in Germania, i quali saranno alimentati da lignite: l’efficienza massima prevista è intorno al 42%, minore del 45% ottenibile con un impianto equivalente ma alimentato con carbone bituminoso. Si prevede di raggiungere efficienze intorno al 45-47%, con l’utilizzo di vapore al di sopra del punto critico, di materiali di ultima concezione e di carbone bituminoso. Per punto critico di una sostanza pura si intende la massima temperatura e la massima pressione a cui essa si trova all’equilibrio liquido-vapore (per l’acqua la temperatura critica è pari a 647,3°K e la pressione critica pari a 220,5 bar). Al di sopra del punto critico, non può più esistere l’equilibrio liquido-vapore e si entra nel campo di esistenza dei gas, i quali non condensano per semplice compressione. Nuove leghe resistenti alle alte temperature sono in fase di studio, al fine di consentire l’utilizzo di vapore a 700°C, con un conseguente aumento dell’efficienza fino al 50%. Per quanto riguarda i residui, essi sono formati per l’80-90% di ceneri volanti sottili a basso tenore di carbonio (in media lo 0,5%). www.energialab.it 11 IMPATTO AMBIENTALE[3] Nel quinquennio 1996-2000 sono stati effettuati oltre 5.000 miliardi di investimenti per l'ambientalizzazione delle centrali a carbone. Questo processo ha portato la produzione di energia elettrica da carbone in Italia a standard di eccellenza ambientale, con un rendimento del 39% rispetto al 35% della media europea ed al 25% dell'Europa continentale. Gli ultimi studi dell'Agenzia internazionale dell'energia prevedono nel 2020 un rendimento medio europeo del 40%: si può dire che le centrali italiane hanno raggiunto questo obiettivo con ben 20 anni di anticipo. Per un'effettiva riduzione delle emissioni di anidride carbonica devono essere migliorate le efficienze energetiche e in questa direzione vanno le attuali tecnologie di combustione del carbone applicate in Italia, offrendo un contributo importante al recupero dell'efficienza e della competitività nella produzione di energia elettrica. Le nuove tecnologie di combustione del carbone: le tecnologie innovative utilizzate per il "carbone pulito" sono: combustione a letto fluido (FBC), polverizzazione del carbone (PCF), combustione a letto fluido pressurizzato (PFBC), gassificazione del carbone (IGCC), polverizzazione pressurizzata del carbone (PPCC), gassificazione del carbone "Fuel cell systems" (IGFC). Le emissioni di CO2: -7,6% rispetto al 1990. Per quanto riguarda l’anidride carbonica, le centrali a carbone italiane, con ben 10 anni di anticipo rispetto agli obiettivi della Conferenza di Kyoto, hanno ridotto le emissioni del 7,6% rispetto al 1990, così come evidenziato dalla relazione dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (30/04/1999). Le emissioni di CO2 da centrali elettriche a carbone in Italia rappresentano lo 0,10% del totale delle emissioni mondiali. I consumi italiani di carbone: 0,5% del totale mondiale. Infatti, in Italia i consumi di carbone risultano molto trascurabili con solo lo 0,5% di quota sul totale dei paesi consumatori di carbone a livello mondiale. Con queste percentuali, contenere l'uso del carbone in Italia non darebbe alcun contributo alla riduzione delle emissioni globali di anidride carbonica nel mondo. La riduzione delle emissioni inquinanti: gli investimenti in "tecnologie pulite" hanno consentito una rapida e significativa riduzione di tutte le emissioni inquinanti rispetto al 1987 e per il 2003 permetteranno di conseguire i seguenti obiettivi: · 80% in meno di emissioni di anidride solforosa; · 75% in meno di emissioni delle polveri; · 60% in meno di ossidi di azoto; recupero del 100% delle ceneri e dei gessi. Ma il principale impatto ambientale causato dalla combustione del carbone è costituito dalle emissioni di anidride solforosa (SO2), di ossidi di azoto (NOx) e di polveri presenti nei fumi della combustione. Per questo, negli ultimi anni, i sistemi per ridurre le emissioni si sono profondamente evoluti rispetto al metodo iniziale che si basava sulla dispersione dei fumi con alti camini. www.energialab.it 12 Oggi si interviene su due fronti: 1. l'abbattimento delle emissioni di inquinanti, con sistemi di trattamento dei fumi sempre più sofisticati, quali i desolforatori, i denitrificatori, i depolverizzatori; 2. la prevenzione della loro formazione, per abbattere all'origine la produzione di emissioni inquinanti con tecniche e processi innovativi che migliorano le efficienze energetiche. Relativamente alla normativa comunitaria sugli impianti termoelettrici, l'Italia ha recepito la Direttiva 88/609/CEE "concernente la limitazione delle emissioni nell'atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione" introducendo limiti più severi di quelli previsti dalla Direttiva, che prevede solo un limite alle emissioni complessive dell'insieme dei grandi impianti di combustione. Ciò sia per gli impianti nuovi, sia soprattutto per gli impianti esistenti (D.M 8 maggio 1989 "Limitazione delle emissioni nell'atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione" e D.M. 12 luglio 1990 "Linee guida per il contenimento delle emissioni inquinanti degli impianti industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione"). Per quanto riguarda l'anidride solforosa, nel 1997 i produttori di energia termoelettrica hanno ridotto le proprie emissioni complessive del 63% e oggi si è arrivati a superare un abbattimento del 70% rispetto al 1980 (Relazione annuale dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas). Il risultato è notevolmente più avanzato di quanto prescritto dalla legge, che prevedeva una riduzione del 39% per il 1998. L'ulteriore obiettivo di riduzione di questo gas è dell'80% per il 2003 -a fronte del 63% richiesto dalla normativa- nonostante sia previsto un aumento della produzione termoelettrica. Per gli ossidi di azoto, nel 1997 le emissioni complessive sono diminuite del 37% rispetto al 1980 a fronte di un obbligo legislativo del 30% previsto per fine 1998. L'ulteriore obiettivo di riduzione di questo gas è del 60% per il 2003, laddove per legge basterebbe il 30%. Inoltre, le emissioni di polveri, il cui abbattimento complessivo non è disciplinato dal legislatore, si sono ridotte del 63% rispetto al 1987 (primo anno per il quale è disponibile una stima completa) ed è comunque prevista una riduzione del 75% entro il 2003. Attualmente, il 100% delle ceneri e dei gessi da carbone viene riciclato. Essi, infatti, trovano un facile riutilizzo nell'ambito della produzione di calcestruzzo, di cemento, della pavimentazione stradale e nella produzione di manufatti da impiegare nelle costruzioni. La certificazione EMAS: entro il 2000 in Italia, saranno certificate EMAS (la certificazione ambientale di standard europeo, più severa rispetto alla certificazione ISO 14001) 8 centrali a carbone su 11 (contro nessuna certificazione in Europa), pari all'84% della potenza installata a carbone, nonostante i consumi di carbone siano molto trascurabili. CONFRONTO TRA I COSTI DI PRODUZIONE ENERGETICA[3] Il carbone, il combustibile più conveniente: Lit./kWh 41,02. Da un punto di vista economico il carbone è il più conveniente dei combustibili per produrre elettricità ed è anche per questo che negli USA ed in Europa viene utilizzato in percentuali così alte, rispettivamente 52% e 34%. Secondo quanto stabilito dalla stessa Autorità per l'energia elettrica, nel 1999 produrre 1 kWh costava circa 53,5 lire alle aziende elettriche, ma questa media risultava dal paniere dei tre combustibili, di cui il carbone è il meno utilizzato . www.energialab.it 13 Costi più che doppi per l'olio combustibile ed il gas, rispettivamente Lit./kWh 87,85 e 92,89: oggi che il costo medio del kWh alla produzione è salito ulteriormente a 81,1 lire a causa dell'olio combustibile (derivato del petrolio) e del gas, la convenienza del carbone è ancora più marcata, perché il prezzo è rimasto quasi invariato (Lit./kWh 41,02). Ciò spiega perché le tariffe elettriche italiane sono le più alte d’Europa. Il costo dell’approvvigionamento è per l’Italia più che doppio rispetto al resto dell’Europa che va a carbone e nucleare. La struttura della tariffa: un kWh corrisponde a 2.200 Calorie alla produzione e nel 1999 alle aziende elettriche costava 53,5 lire, mentre gli utenti domestici con un consumo medio di 300 kWh mensili lo pagavano, al netto delle imposte, 287 lire, ovvero quasi il quintuplo. Anche se oggi il costo di produzione nelle centrali è un po' aumentato e varia continuamente, il rapporto non è cambiato, perché la tariffa al consumo varia di conseguenza. Per produrre 1 kWh nelle centrali elettriche con uno dei tre combustibili utilizzati occorrono: 1. per il metano: 0,250 metri cubi; 2. per l'olio combustibile: 0,221 kg; 3. per il carbone: 0,355 kg. Tali rapporti sono stati fissati dall'Autorità per l'energia elettrica, con delibera 16/98, (Gazzetta Ufficiale n. 82 del 8 aprile 1998), in base al procedimento di "verifica a consuntivo dei parametri per la determinazione dell'onere termico", che l'Autorità effettua periodicamente. FONTI E RIFERIMENTI [1]: http://www.geologia.com/area_raga/carbone/carbone.html [2]: http://www.wci-coal.com/ [3]: http://www.consumatori.it/energia/ [4]: energialab (ingg. Doria, Forni, Andretta, Puglioli) [5]: http://www.iea-coal.co.uk/site/index.htm www.energialab.it 14