NEWSLETTER DEGLI ARCHIVI DELL`IRTEM

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NEWSLETTER DEGLI ARCHIVI DELL`IRTEM
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NEWSLETTER
DEGLI ARCHIVI DELL'IRTEM
Anno 1 – Numero 1. Febbraio/Marzo 2008
La Newsletter
Parte con questo numero una nuova iniziativa dell'Istituto di Ricerca per il Teatro Musicale, la Newsletter degli archivi
dell'Irtem. Si tratta di un'idea nata fondamentalmente dall'esigenza di diffondere e promuovere in modo più capillare le
attività dell'Irtem. Con la nascita della Newsletter degli archivi dell'Irtem, l'Istituto non intende comunque interrompere la
pubblicazione di Notizie dall'Archivio Sonoro della Musica Contemporanea e Notizie dal Videoarchivio dell'Opera e del
Balletto, i due notiziari dell'Irtem che potremmo definire "storici" dal momento che hanno superato i venti anni di vita e che
continueranno ad uscire con un unico numero annuale.
La Newsletter degli archivi dell'Irtem avrà periodicità bimestrale.
La sezione principale è costituita dalle notizie sulle attività dell'Istituto (manifestazioni pubbliche, convegni, ecc.) e dalle
nuove accessioni dell'archivio. Un altro elemento portante della Newsletter degli archivi dell'Irtem è costituita dalla
pubblicazione delle conferenze che negli anni sono state realizzate dall'Istituto. Saranno ripubblicate quelle conferenze
più "antiche", presenti in numeri ormai esauriti, ma anche le conferenze più recenti ad oggi non ancora pubblicate. Infine
una sezione è riservata alle novità nell'archivistica internazionale dell'audiovisivo. L'Irtem infatti è fondatore e capo della
sezione italiana della IASA-Associazione internazionale degli archivi audiovisivi e da anni si occupa delle problematiche
relative alla digitalizzazione, al salvataggio degli archivi audiovisivi, ecc.
L'iscrizione alla Newsletter è gratuita, ma è necessario inviare una e-mail di adesione all'indirizzo [email protected] nel
rispetto dell'attuale legislazione sulla privacy.
Chiunque ne facesse esplicita richiesta, potrà ricevere le copie ancora disponibili di Notizie dall'Archivio Sonoro della
Musica Contemporanea e Notizie dal Videoarchivio dell'Opera e del Balletto, inviandoci i francobolli necessari per la
spedizione. L'aumento delle tariffe postali è infatti all'origine della sospensione della spedizione dei due notiziari.
Carlo Marinelli
In questo numero:
1. L'Irtem partecipa alla X Settimana della Cultura.
2. La prossima assemblea della IALM-International Association of Music Libraries a Napoli.
3. Le Conferenze del Videoarchivio dell'Opera e del Balletto.
La Traviata nella Regia di Franco Zeffirelli. A cura di Carlo Marinelli (8 novembre 1987).
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1. L'Irtem partecipa alla X Settimana della Cultura
Anche quest'anno l'Irtem presenta un ricco programma di eventi in
occasione della X Settimana della Cultura che si terrà dal 25 al 31
Marzo.
Martedì 25 marzo 2008 - ore 17,30
Sala Margana, Palazzo Margani
piazza Margana 41 – Roma
Vienna città eletta. Guida alla città
Conferenza con musiche di Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert
a cura di Corrado Nicola de Bernart
Anna Aurigi soprano, Corrado Nicola de Bernart pianoforte.
Mercoledì 26 marzo 2008 - ore 17,00
Biblioteca Vallicelliana
piazza della Chiesa Nuova 18 – Roma
Lo 'sguardo lieto' di Guido M. Gatti sul Novecento musicale
Presentazione degli Atti del Convegno internazionale
Università degli studi Gabriele d'Annunzio 26-28 marzo 2004.
A cura di Carlo Marinelli e Giancarlo Rostirolla. Con la partecipazione di Giovanni Carlo Ballola e Alberto
Mammarella
Sabato 29 marzo 2008 - ore 11,30
Sala Margana, Palazzo Margani
piazza Margana 41 – Roma
Mozart a orologeria
La produzione per strumento musicale meccanico di Wolfgang Amadé Mozart.
Percorso multimediale guidato su come Mozart incontrò la musica meccanica e come si trovò a comporre per
piccolo organo a cilindro negli ultimi anni della sua vita.
A cura di Ermelinda Gambardella e Anita Pesce, pianoforte a 4 mani.
Sabato 29 marzo 2008 - ore 17,30
Sala Margana, Palazzo Margani
piazza Margana 41 – Roma
La voce nella musica italiana del Novecento
Un itinerario della lirica da camera italiana del Novecento attraverso le musiche di Respighi, Pizzetti, Zandonai,
Berio e altri.
A cura di Nicolò Iucolano pianoforte, Laura Di Marzo soprano, Dario Ciotoli baritono.
Lunedì 31 marzo 2008 - ore 17,30
Sala Margana, Palazzo Margani
piazza Margana 41 – Roma
La musica pianistica francese fra Ottocento e Novecento
Il panorama della musica pianistica francese a cavallo del XIX e XX secolo presentata attraverso le
composizioni degli autori più rappresentativi di quel periodo: Franck, Fauré, Ravel e Debussy.
A cura di Andrea Baggioli, pianoforte.
In collaborazione con
ARAM - Associazione romana amici della musica
Biblioteca Vallicelliana
IBIMUS - Istituto di bibliografia musicale
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2. Assemblea della IALM - International
Association of Music Libraries. Napoli, 20 25 luglio 2008
Dopo 12 anni si svolgerà di nuovo in Italia il Congresso internazionale della IAML- l'International Association of Music Libraries. L'ultima volta in Italia infatti era
stato nel 1996, anno in cui il Congresso si era svolto
a Perugia in concomitanza con quello della IASA-International Association of Audiovisual Archives. Questa volta la scelta è caduta su Napoli quale riconoscimento dell'enorme lavoro svolto per il riordino e la digitalizzazione della Biblioteca del Conservatorio di
Musica di S. Pietro a Maiella. Il progetto diretto da
Agostina Zecca Laterza, già direttore della Biblioteca
del Conservatorio "Giuseppe Verdi" di Milano, ha visto la realizzazione di un vero e proprio "salvataggio"
di una delle biblioteche musicali più importanti a livello mondiale per la particolarità dei fondi musicali ivi
custoditi, che da vari decenni versava in uno stato di
semiabbandono. In seguito ad un progetto speciale
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Biblioteca è stata oggetto di un importante restauro e della
informatizzazione della catalogazione, rendendo così
disponibili on-line i suoi cataloghi in SBN. In effetti la
comunità scientifica internazionale da anni reclamava
allo Stato italiano un intervento per salvare questa biblioteca, chiusa al pubblico da oltre un decennio e
rendere consultabili i materiali in essa custoditi. Il progetto di natura "ciclopica" data l'enorme consistenza
dei fondi librari, ha rispettato i tempi previsti ed oggi la
Biblioteca è aperta al pubblico quasi tutti i giorni della
settimana.
La Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella
conserva un patrimonio inestimabile di manoscritti,
documenti, stampe rare musicali e libretti d’opera,
quali ad esempio gli autografi di Alessandro e Domenico Scarlatti, di Giovan Battista Pergolesi, Giovanni
Paisiello, Domenico Cimarosa, Gioachino Rossini,
Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti, per citare solo
qualche nome. La formazione di questo patrimonio
unico al mondo era stata possibile grazie ad un regio
decreto del 1795 ordinato dal re Ferdinando IV di Borbone, in cui si ordinava agli impresari di teatri napoletani un vero e proprio "deposito legale", strumento
fortemente innovativo per l’epoca; si pensi infatti che
la prima forma di deposito legale sarà realizzata nel
Regno sabaudo solo con un regio decreto del 1848.
L’arricchimento della biblioteca è dovuto poi alla donazione da parte della regina Maria Carolina della
sua collezione di partiture a stampa e all’instancabile
opera di Francesco Florimo, che ne fu il bibliotecario
dal 1826 al 1888. Oggi la biblioteca conserva complessivamente circa 27.000 manoscritti musicali,
300.000 stampe musicali, 20.000 libri, 10.000 libretti
d'opera, 10.000 lettere e 1000 periodici.
La Conferenza Annuale dell’International Association
of Music Libraries si terrà a Napoli, dal 20 al 25 luglio
2008, presso il Conservatorio di musica “S.Pietro a
Majella” e presso l’“Expo Centro Congressi Terminal
Napoli”.
L’Irtem presenta in questa occasione tre relazioni di
cui riportiamo gli abstract.
ODE – Opera Discography Encyclopaedia (Bibliography Commission)
a cura di Carlo Marinelli
Presentazione del progetto in corso di pubblicazione
sulla rete internet della 1a enciclopedia totale delle incisioni e registrazioni audio di opere e di ogni tipo di
teatro musicale. Il progetto, ideato e curato da Carlo
Marinelli (in collaborazione col Laboratorio Nestor dell’Università di Roma “Tor Vergata” e con l’Irtem - Istituto di Ricerca per il Teatro Musicale), comprenderà
circa 4000 opere per un totale di circa 12.000 registrazioni audio e costituisce un riferimento bibliografico unico al mondo per tutte le biblioteche che abbiano
anche archivi sonori.
Salvataggio di documentari italiani degli anni Sessanta e Settanta (Commission on Audio-Visual
Materials)
a cura di Tiziana De Santis
Dal 1994 l’Irtem ha dato avvio al progetto di salvataggio dei documentari che negli anni Sessanta e Settanta videro la collaborazione di registi e compositori
italiani per la realizzazione di opere di alto rilievo artistico e di chiara denuncia sociale. I musicisti che collaborarono a questi documentari cercarono di proporre nuove soluzioni e nuovi linguaggi, attraverso i quali
si tentava di creare un differente rapporto tra immagini e musica. Si ritrovano in quelle colonne sonore
esempi di linguaggi musicali contemporanei (atonalismo, serialità, uso di materiali concreti, primi esperimenti di musica elettronica) quasi del tutto assenti
nella musica per il cinema di quello stesso periodo.
Per il reperimento delle copie dei documentari si è utilizzato l'archivio privato dei registi, prima e ultima fon-
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te, se si esclude la Cineteca Nazionale, a cui attingere. Le copie, le cui condizioni erano nella maggior
parte dei casi pessime, sono state dapprima visionate
per controllarne l'integrità della durata e poi avviate
alle operazioni di pulizia del supporto prima di affrontare la fase del telecinema (cioè il riversamento da
pellicola e da nastro Betacam a sistema Videodisco
digitale Sony).
Salvataggio archivi del Novecento (Archive and
Music Documentation Centres Branch)
a cura di Cecilia Montanaro
L’Irtem, con il suo Archivio Sonoro della Musica Contemporanea, opera da anni come centro di documentazione attraverso il disco, anche attraverso il salvataggio di archivi di musica contemporanea altrimenti a
rischio di oblio, perdita e deterioramento. A tale proposito particolare rilievo ha il riversamento su supporto rigido (compact disc) dei nastri registrati durante le
pubbliche esecuzioni delle stagioni di concerti e dei
festival di “Nuova Consonanza” e di quelli dell’archivio
sonoro del Gruppo di Ricerca e Sperimentazione Mu-
sicale di Roma, testimonianza preziosa del clima culturale romano di sperimentazione durante gli anni
Settanta e Ottanta. È inoltre stato completato il riversamento e la catalogazione dei nastri delle musiche
di Domenico Guaccero (1927-1984) conservati nell’archivio della famiglia. Dal 2006 è stata predisposta
all’interno dell’Istituto una postazione dedicata al riversamento dei salvataggi finora effettuati su harddisk esterni (sistema RAID) ed è in progetto il salvataggio dell’intero Archivio Sonoro secondo gli standard internazionali della IASA – International Association of Sound and Audiovisual Archives al fine di migliorare la fruizione da parte del pubblico.
Conference Informations: Conference Office IAML
2008 - Casella Postale 490, 80133 Napoli – Italia.
Tel.: +39 081 5644425 - Fax.: +39 081 211929.
[email protected]
www.iamlnapoli2008.it
3. Le Conferenze del Videoarchivio dell'Opera e del Balletto
La Traviata nella regia di Franco Zeffirelli
Conferenza del Videoarchivio dell'Opera e del Balletto a cura di Carlo
Marinelli (8 novembre 1987).
Pubblicata in “Notizie dal Videoarchivio dell'Opera e del Balletto”. Anno II, n. 2 –
Marzo/Aprile 1989
Oggi inizia l'attività il Videoarchivio dell'Opera e del
Balletto, martedì comincerà il secondo anno di attività
dell'Archivio Sonoro della Musica Contemporanea,
con manifestazioni che intendono rivolgersi ad un
pubblico di invitati che sono scelti tra persone interessate all'uno o all'altro settore (per ovvie ragioni, perché la sala è piccola e non è possibile aprirla al pubblico esterno).
L'Irtem, che è nato per occuparsi di teatro musicale, si
è trovato di fronte ad un problema: come viene oggi
diffuso il teatro e quali sono le forme attraverso cui
raggiunge il pubblico più vasto?
L'avvento della televisione ha creato un mezzo di comunicazione e anche di informazione che prima non
esisteva. Direi che ha capacità di raggio infinitamente
superiori a quelle del cinema. Di questa realtà bisogna che prendiamo atto, ma bisogna anche che la
studiamo a fondo, che non ci limitiamo a subirla pas-
sivamente, ma che cerchiamo di capire che cosa significa, come può essere volta a fini positivi e depurata degli eventuali elementi negativi, che ci sono innegabilmente, ma non direi che ci sono per insita pravità
del mezzo, perché i mezzi tecnici non sono mai pravi
in sé o per sé, tali li rendono gli uomini, che non li
sanno adoperare o li adoperano a fini sbagliati, consapevolmente o inconsapevolmente.
Le quattro presentazioni che verranno fatte, due da
me e due da Mauro Mariani, si distinguono nettamente, perché le due cose che presenterò io sono due cosiddetti film-opera mentre le due che presenterà il
prof. Mariani sono riprese di spettacoli teatrali. Sono
quindi due modi di presentare l'opera completamente
diversi fra di loro.
Le teleripresa di uno spettacolo teatrale, e dirò solo
questo, poi non mi ci soffermerò ulteriormente, è la ri-
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presa di un qualcosa che già esiste, è nato con un
suo fine specifico in teatro, e nell'essere riprodotto
deve auspicabilmente restituire il più possibile il clima
del teatro, la posizione dello spettatore di fronte al
palcoscenico.
L'intento del film-opera, cioè del cinema che affronta
l'opera, è diverso: non è quello di ricreare il rapporto
spettatore-palcoscenico, ma di instaurare all'interno di
un esistente (l'opera) un rapporto spettatore-cinema,
che è un rapporto diverso.
Diverso, perché il cinema non ha profondità come il
teatro, però ha una maggiore capacità di movimento;
il cinema è soprattutto immagine, non ha carnalità,
non ha concretezza, non ha spessore, però consente,
con la fantasia, di allargare gli orizzonti assai più di
quel che consenta un palcoscenico teatrale, quali che
possano essere le invenzioni delle macchine, se ci riferiamo al teatro barocco, o la fantasia dei registi di
oggi.
Probabilmente da un punto di vista scientifico il filmopera non dovrebbe rientrare nell'ambito di uno studio
sull'opera teatrale riprodotta per essere diffusa, non
soltanto presso il pubblico che può comprare il biglietto e recarsi a quel teatro, ma anche presso il pubblico
che attraverso o la diretta televisiva o la differita privata, com'è quella della videocassetta, può assistere a
quello spettacolo.
Un elemento comune è indubbiamente il fatto che,
nell'uno e nell'altro caso, un evento, che è nato originariamente con lo scopo di essere esclusivamente
passeggero, transeunte, sostituito da un evento successivo che lo riproduce ex-novo ogni volta, viene fissato una volta per tutte nel tempo.
Lo shock, diciamo così, è maggiore di quello che possa essere dato dal disco, per una ragione molto semplice: il disco ha una dimensione sola, quella sonora;
la videocassetta o la trasmissione televisiva hanno
due dimensioni, quella sonora e quella visiva.
Dimensioni che nell'opera sono originali, perché il
compositore, quando scrive per un palcoscenico, scrive una musica che è destinata ad essere anche vista
e non solo ascoltata. E di questo dobbiamo tener conto come di un elemento positivo, cioè il fatto di poter
teletrasmettere uno spettacolo teatrale significa poter
far partecipare a quell'avvenimento complesso che è
il teatro musicale, che è composto di elementi auditivi
e visivi strettamente intersecati, anche un pubblico
che non si potrebbe mai permettere, vuoi per ragioni
finanziarie, vuoi per ragioni logistiche, di entrare in un
teatro.
Detto questo, vediamo un momento di affrontare molto rapidamente il problema del rapporto tra cinema e
opera.
Il cinema si trova nei confronti dell'opera a dover usare un linguaggio completamente diverso. Il linguaggio
del cinema è un linguaggio che assume su di sé un'espressione con mezzi propri.
Il cinema non intende riprodurre i mezzi del teatro, il
cinema intende essere una forma di arte, di comunicazione, di informazione diversa dal teatro, diversa
dalla musica, diversa dalla letteratura, diversa da ogni
altra forma. Si trova però di fronte ad un grosso problema: quando un film riprende un romanzo, un'opera
di teatro di prosa, un fatto storico, non lavora nel così
detto tempo reale.
Faccio un esempio, che probabilmente non darebbe
mai occasione a un film, ma lo faccio perché è facile
ed immediato, ed e quello della Divina Commedia di
Dante Alighieri.
Un film in tempo reale sulla Divina Commedia sarebbe un film che cominciasse con la recitazione del primo verso, «Nel mezzo del cammin di nostra vita», e
andasse avanti fino a che colui che recita non ha finito l'ultima cantica del Paradiso, seguendo esattamente con l'immagine la recitazione (o meglio, il «tempo»
della recitazione) delle terzine dantesche.
Quando un'opera diventa film, il cinema fa esattamente questa operazione: La Traviata in film inizia con il
preludio, con la prima battuta del preludio, finisce con
la morte di Violetta, con l'ultima battuta della partitura
della Traviata.
Cioè il film-opera non è il film sull'opera, cioè non è il
film che prende il soggetto della Traviata e ne fa una
descrizione puramente cinematografica con attori che
recitano, usando eventualmente (ma non è necessario) anche spezzoni musicali che possano richiamarne alla memoria del pubblico l'origine, considerati
però semplicemente come citazioni, citazioni più o
meno appropriate, più o meno collocate, ma che restano esclusivamente citazioni.
Si ha una vera e propria «sceneggiatura»: ed è su
questa che è basata la recitazione degli attori, che
può essere parlata e può essere solo mimata, ma non
è cantata.
Questo del canto (e conseguentemcnte del tempo
reale) è il grosso problema che si trova ad affrontare il
film-opera od è un problema che non è stato ancora
risolto.
A mia conoscenza esiste un solo film che lo abbia
tentato, ed è il Parsifal di Syberberg, che è in tempo
reale rispetto all'opera originaria musicale dì Wagner,
ma presenta molti e complessi problemi di simbologia
nella rappresentazione visiva.
In genere i film-opera, più o meno, sono come quello
che vedremo stasera di Zeffìrelli, il quale in realtà non
mette l'opera in film, ma fa un film sull'opera utilizzando la musica di Verdi. Tra l'altro neanche rispettando
del tutto il tempo reale dell'opera, perché Zeffìrelli si
prende tutte le libertà possibili con la musica di Verdi.
Taglia, riduce e aggiunge, con ripetizioni di pezzi che
non esistono nell'originale, di modo che noi assistiamo a qualcosa di molto singolare.
Vediamo attori, che recitano come se si trattasse di
un film (cioè non stanno su un palcoscenico, e non si
vedono spettatori), ma cantano invece di recitare.
È un film in cui nessuno recita ma tutti cantano. Coloro che non cantano, sono dei mimi cioè dei personaggi muti.
Un primo problema cui si trova di fronte un regista è
quello dei titoli di testa. Zeffìrelli lo risolve molto brillantemente con carrellate su Parigi, si vede poi un al-
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bero, poi Notre-Dame, poi il rosone di Notre-Dame, si
sente il campanone. Poi l'Ile de France, la Senna, il
castello, un palazzo, si vede un cavallo, si sentono
versi di animali, si sente il galoppo di un cavallo e poi
si vede un ponte, la Senna, una strada della vecchia
Parigi e una finestra e la casa di Violetta.
A questo punto, partiti dalla prospettiva panoramica,
sempre più restringendo la prospettiva stessa, si arriva alla strada e alla finestra della casa di Violetta e
tutto è virato in bleu-verde.
Zeffìrelli usa moltissimo i contrasti cromatici ed usa
moltissimo il cosiddetto flou, cioè il modo di mettere
una specie di parete trasparente, di velo davanti all'immagine, che gli serve evidentemente per dimostrare che si tratta non di una vicenda reale, ma di una vicenda della memoria, di una vicenda del ricordo.
Ciò è accentuato dal fatto che Zeffirelli usa la musica
del preludio del I° atto per creare quello che si chiama
in gergo cinematografico il flash-back, un immenso
flash-back.
L'opera non parte, come in Verdi, dalla festa in casa
di Violetta ma parte dalla morte di Violetta.
Vediamo un facchino, addetto allo sgombero della
casa, il quale scorge il ritratto di Violetta, si incanta
davanti ad esso e ad un certo momento compare, e
viene avanti, inquadrata in un modo che potrebbe
sembrare un'alcova sul palcoscenico, Violetta a letto
che, malata, tossisce.
Questa inquadratura verrà poi ripresa alla fine dell'opera in modo che sia ben chiaro che Zeffirelli ha cominciato dalla fine.
Lo autorizza a questo la musica di Verdi? No, non lo
autorizza, ma Zeffirelli si disinteressa completamente
di questo fatto.
A Zeffirelli interessa realizzare un proprio film sulla
musica di Verdi, non di realizzare in film la musica di
Verdi.
Così vediamo un prete e una vecchia che lo accompagna, simboli concomitanti della morte.
Vediamo in Violetta una figura distrutta, consunta:
tale è anche l'interpretazione del soprano canadese
Teresa Stratas, molto spinta in senso espressionistico, come risulterà poi anche dal canto.
Quando Violetta esce dal corridoio si cominciano a
vedere dei rosso-arancio che a poco a poco si mescolano con i blu e i verdi fino a trionfare completamente.
È il momento in cui comincia il pezzo che nell'opera si
chiama introduzione, cioè la festa in casa di Violetta.
Finisce il preludio, c'è un breve silenzio riempito da risate, i rossi e gli arancio fanno scomparire i venditori,
fanno scomparire il senso di sgombero (sgombero
della casa che corrisponde allo sgombero dalla vita)
e, attraverso una sorta di vetrino, entra la festa, poi
nel momento in cui Violetta entra nella festa anche il
vetrino scompare, il velo scompare, però sempre tutto
è virato in rosso e arancio e questo colore non abbandonerà mai il 1° atto finché dura la festa.
Noteremo una straordinaria cura nei costumi e nelle
acconciature, anche se ci sono errori, stranissimi in
un uomo come Zeffirelli.
Per esempio, sulla tavola ci sono bottiglie, mentre in
una festa come si deve (tanto più nell'800) il vino va
versato in caraffe e in esse servito, e non direttamente nelle bottiglie ancorché d'annata e sia pure polverose e così via.
Cito un fatto che può sembrare addirittura ridicolo,
perché la cura di Zeffirelli cade soprattutto sui particolari, con estrema minuzia.
Zeffirelli è angosciato dalla necessità di riempire lo
schermo di movimento e di particolari in continuazione, andando dietro la musica quando la musica è incalzante, ma anche non andando dietro la musica
quando la musica non è incalzante.
Si può dire che il movimento esteriore in Zeffirelli soffoca il movimento interiore.
Zeffirelli ha anche il senso della composizione figurativa: le candele che illuminano la scena della festa
servono da quinta, come se si fosse in un teatro, da
quinta per dare rilievo ai personaggi che vengono inquadrati con angolature diverse dalle candele stesse.
Nei particolari Zeffirelli a volte rasenta il ridicolo; non
si comprende bene quali funzioni possano avere una
vecchia che si ingozza di cibo o, in un momento successivo, un'altra vecchia che ruba alcuni oggetti su
una mensola.
Sono notazioni assolutamente estranee che confermano l'esteriorità di fondo della concezione di Zeffirelli, il quale non coglie mai il significato interno della
musica di Verdi. Anche quando il canto di Alfredo è riflesso nel viso di Violetta, si sente che siamo su un livello di riflesso banale, non profondo.
Il canto espressionista della Stratas, a cui accennavo
prima, non trova alcun riflesso nel modo in cui la Stratas stessa è vista dallo spettatore.
C'è una frenesia di rumori, di gesti, di movimenti, tutto
portato in primo piano, tutto spinto fuori.
Notiamo dal punto di vista del colore, questa è una
delle cose più felici invece di Zeffirelli, che nel momento in cui Violetta rientra nella propria camera,
quando si sente male e poi Alfredo canta «Un dì felice, eterea», si ritorna ai blu; c'è una composizione in
cui i blu sembrano riavere il predominio, ma, man
mano che Alfredo dichiara il proprio amore a Violetta
(Alfredo che è tutto vestito di nero, Plácido Domingo),
emerge e comincia a dominare il bianco del vestito di
Violetta e a poco a poco il bianco del vestito di Violetta si estende, si allarga nel bianco della tappezzeria.
Il blu diventa bianco, diciamo perché rappresenta così
in questo modo la vita, la vita di Violetta, non soltanto
la vita esterna del rosso e dell'arancio della festa.
Andato via Alfredo il coro serve da vero e proprio siparietto. Nel passaggio dalla fine del coro che chiude
la festa alla grande scena di Violetta che chiude il 1°
atto, riemerge la paura del vuoto di Zeffirelli, la sua
necessità di riempire la scena: allora cavalli, carrozze,
pioggia, ombrelli, tutto quel che è immaginabile viene
ammucchiato su questo fondo di musica senza voci.
Felice è il ritorno in interno (ma nell'originale Violetta
resta in scena): lo spettatore è uscito fuori con i cavalli e le carrozze, ora rientra in casa con Violetta che resta sola; ed ecco di nuovo le «quinte», non più con le
candele, ma con le tende che inquadrano Violetta una
prima volta, poi una seconda volta in un'inquadratura
che si allarga. Abbiamo così la sensazione di una
Violetta che dal fondo del palcoscenico viene avanti
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nel palcoscenico, tutta sola, una figura bianca al centro di un grande spazio vuoto: è l'illusione, l'immagine
del palcoscenico portata all'interno della casa di Violetta.
Ma anche durante l'aria di Violetta, Zeffirelli non riesce a star fermo e quindi la fa muovere, le fa, per così
dire, spicciare le faccende di casa.
Alfredo compare quando ancora non canta fuori scena, poi compare vicino a lei come la reificazione di
un'immagine della mente: sembra uno di quei film dell'orrore o di fantascienza, in cui figure compaiono all'improvviso dal vuoto e dal nulla: e lo spettatore resta
frastornato, se non addirittura disturbato da tutto ciò.
E qui finisce il primo atto. La visione avverrà atto per
atto, anziché in continuità, come Zeffirelli ha pensato
il film, per avere un riferimento più diretto all'opera originale di Verdi.
(Visione).
Nel secondo atto viene maggiormente in luce un'altra
ossessione di Zeffirelli (che non è però sua
esclusiva): non c'è momento in cui il testo (più che il
canto) non richiami qualche immagine pensata, ricordata, presagita, che Zeffirelli non senta il bisogno immediato di concretizzarla, di farla diventare davanti
agli occhi dello spettatore un fatto reale, un'entità esistente e non soltanto immaginata, distruggendo così
quella che è la magia fondamentale dell'immagine
stessa, che è quella di non essere reale, di non essere concreta, ma di vivere esclusivamente nella mente
del personaggio che la evoca.
Non direi che c'è bisogno di insistere molto su quest'altra ossessione di Zeffirelli, che raggiunge livelli di
banalità e di volgarità assoluta appunto nel secondo
atto, quando fa apparire in carne ed ossa un personaggio che nell'opera non esiste, che è la sorella di
Alfredo, e ci costruisce sopra tutta una piccola vicenda filmata, con il fidanzato, la rottura del fidanzamento, la scenetta familiare della madre e della figlia che
cuciono, e così via.
L'ossessione di cui ho già parlato, è quella del vuoto.
Vuoto inteso in tutti i sensi, come occupazione dello
spazio e come movimento.
La macchina da presa si muove in continuazione, lo
spazio è sempre occupato da un'infinità di cose, l'attenzione dello spettatore è sempre distratta.
Perché? Questo distrarre continuamente l'attenzione
dello spettatore significa volere che lo spettatore non
ascolti la musica ma la senta come un sottofondo,
come la ripetizione di qualcosa di già noto che aiuta e
viene sfruttato a tal fine ma non deve essere ascoltato.
Il dramma è stemperato in una dislocazione continua
dei personaggi, una serie di figure quasi da belle statuine, come nell'antico gioco della sciarada, in cui
quello che viene in primo piano non è il personaggio
ma l'ambiente.
Nella scena tra Germont e Violetta, a parte i tagli giganteschi operati da Zeffirelli che distruggono la possibilità di maturazione del personaggio di Violetta attraverso l'impatto col padre di Alfredo, il protagonista
è in fondo la sedia bianca al centro, non sono né Germont né Violetta. Il protagonista è cioè l'ambiente, un
ambiente che è studiato in ogni minimo particolare
per essere una serra e non un salotto, per cui sembra
di essere nel romanzo À rebours di Huysmans o nel
«Vittoriale» di D'Annunzio.
Zeffirelli propone con forza un'immaginazione, e soprattutto una composizione delle figure, tipicamente
floreale.
È quindi un'ambientazione che colloca la vicenda all'inizio di questo secolo, anche fuori tempo sia rispetto
all'epoca in cui si dovrebbe svolgere secondo il libretto sia rispetto all'epoca in cui Verdi ha scritto l'opera.
Tutto si stempera: morbidezza di tinte, collocazione di
figure bianche, gite in barca, cadute nell'acqua, gite in
carrozzino, sempre con una totale mancanza di corrispondenza tra movimenti e musica.
Tutto è esplicitato, nulla è lasciato all'immaginazione.
Perché?
Perché lo spettatore non deve essere libero ma prigioniero di quello che gli viene offerto; consumare un
prodotto finito senza parteciparvi.
Le spiegazioni sono già date e sono le più banali e le
più fumettistiche possibili. Infatti se noi guardiamo
bene le composizioni figurative, gli incontri dei due innamorati ricordano molto certe figure dei fumetti.
Sembra che Zeffirelli ci voglia dire che il vero erede
del melodramma dell'ottocento non è il cinema, come
si è sempre sostenuto, ma il fumetto.
Il fumetto inteso nel senso del romanzo a fumetti. Non
per nulla è stato detto che Zeffirelli è colui che ha rivalutato nel cinema il famoso «Grand Hotel».
E questo è il lato negativo di Zeffirelli ma anche quello
che spiega il suo successo. Zeffirelli è un uomo che
non si preoccupa di offrire al pubblico l'originaria opera lirica, l'originario teatro in musica.
Si preoccupa solamente di offrire un grosso fumettone che risponda in tutto e per tutto a quelli che sono i
canoni della comunicazione di massa: rutilanza spettacolare in technicolor, mancanza di nessi nel dialogo
e anche nelle motivazioni dei personaggi, che sono
tutte estremamente, non semplici, ma semplicistiche,
private di ogni ragione interiore, ridotte a puri gesti
esterni, senza peraltro avere la capacità di farle diventare (come succede spesso nel teatro, dandogli
così una forza diversa da quella della concretezza
realistica) marionette o maschere.
Proprio la volontà di fare dei personaggi persone di
tutti i giorni porta Zeffirelli ad un irrealismo totale.
E veniamo alla famosa, celebrata scena della festa in
casa di Flora.
Nel primo quadro del secondo atto prevalgono i toni
verdi, marrone, lillà, quasi una posizione di equidistanza tra i colori arancio-rosso della vita e i colori
blu-verde della morte.
Nella scena in casa di Flora si comincia con l'arancio,
poi entra il vestito di Flora rosso e dal vestito di Flora
fiammeggia di rosso tutta la scena.
Le due danze, delle zingarelle e dei mattadori, sono
dilatate attraverso una moltiplicazione all'infinito delle
cellule motiviche usate da Verdi per i due cori rispettivi.
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Si tratta in realtà di una grande scena che non ha nulla a che fare con l'opera di Verdi e, a mio parere, ha
anche poco a che fare con lo stesso film di Zeffirelli. È
un qualche cosa che è assolutamente fine a sé stesso, senza aver nessun riferimento, non soltanto col
dramma verdiano, non soltanto col dramma dei protagonisti, ma neanche con quello che è successo prima
e quello che è successo dopo nello stesso film di Zeffirelli.
Questa grande scena della festa mi conferma nella
mia opinione che Zeffirelli sia veramente l'interprete
del consumismo più banale: tutto sommato, piuttosto
che la festa in casa di un ricco signore francese, ci
viene presentata la festa "parigina" di un americano
ricco, un qualcosa visto da lontano, come un sogno
mal riprodotto (Parigi era il punto di riferimento obbligato per gli americani ricchi dell'Ottocento e dei primi
anni del Novecento, ma era una Parigi "fumettizzata",
certamente non ripresa dal vero).
Si ponga attenzione alla volgarità del passo di danza
sul tavolo verde da gioco nel ballo delle zingarelle,
mentre nel ballo dei mattadori la sala centrale della
casa di Flora diventa una vera e propria "plaza de toros", un'arena.
E questa arena verrà riprodotta nella scena finale
dove il toro ucciso sarà Violetta. (C'è una precisa corrispondenza, però la plaza de toros in cui Violetta viene spiritualmente uccisa è piena zeppa di gente).
La voglia dì Zeffirelli di ripetere, di farcire, di aggiungere, di fare tutto il possibile per farci sfuggire Verdi il
più lontano che sia consentito a lui di ottenere, raggiunge il culmine, diciamo così, del ridicolo, quando
non si accorge che, facendo ripetere le frasi del coro
dei mattadori, queste non corrispondono più all'azione
del ballo.
Infatti il coro dei mattadori finisce con i tori già uccisi e
l'eroe che impalma la sua bella, ma nel film, arrivato il
coro a questo punto, i tori sono ancora in piedi e l'eroe ancora non ha impalmato la bella, anzi, appena è
finita questa frase, la bella fa il gesto in cui gli dice
«no, no, se non uccidi i tori non sarò tua», mentre nel
canto del coro lo ha già detto e sarebbe già tutto finito. E Zeffirelli ricomincia da capo, senza neanche
avere l'accorgimento di far ripetere le strofe precedenti e lasciare per ultima, e ripetere, magari per due
o tre volte di seguito, la strofa finale. No, prima fa
sentire tutto il coro, poi lo riprende da capo fino in fondo, quindi c'è una totale disattenzione per la musica.
Un film-opera così fatto non può certo essere considerato una rappresentazione dell'opera, un mezzo di
diffusione del melodramma, dell'opera lirica, del teatro
in musica.
È caso mai un mezzo di distorsione, un mezzo di negazione della realtà originaria dell'opera, per sostituirla con qualcosa di diverso che l'opera non è. L'operazione è pericolosa perché il risultato viene spacciato
per l'opera originale. Se, a parte le volgarità e le banalità intrinseche, Zeffirelli si limitasse a dire: «io faccio — come ha detto per l’Otello — un film in cui la
musica di Verdi è soltanto una colonna sonora che io
utilizzo liberamente, per altro neanche per intero, ma
in parte», allora si potrebbe fare tutt'altro discorso.
Le musiche di Verdi sono di pubblico dominio, la «Signora delle camelie» di Dumas anche, la storia d'Otello, poi, è addirittura uno dei miti della cultura dell'Europa occidentale: niente da dire se qualcuno se
ne fa oggetto o strumento di proprie creazioni; ma il
fatto è che questa Traviata viene spacciata per La traviata di Verdi.
(Visione).
Dove gli interventi sull'originale diventano assolutamente micidiali è nel terzo atto. Qui Zeffirelli salta dal
cosiddetto preludio, che tale non fu chiamato da Verdi, alla lettura della lettera di Germont che precede
«Addio del passato». L'arrivo di Alfredo è precipitato
senza la scena intermedia dell'annunzio di Annina.
Opera poi altri tagli nel duetto tra Alfredo e Violetta, e
infine si arriva alla morte.
Una simile operazione chirurgica proprio nel terzo
atto è indice di una totale incomprensione non solo
della drammaturgia ma anche della musica di Verdi.
Ma il modus operandi zeffirelliano è insito nell'economia del film, è intrinseco all'averne fatto un gigantesco «flash-back», il che rende evidentemente impossibile a Zeffirelli ricollocare al suo giusto posto qualcosa che aveva spostato altrove. Lo spettatore, la morte
di Violetta l'ha già vista, bisogna quindi che ci si arrivi
alla svelta, altrimenti questa Violetta non riesce mai a
morire e lo spettatore finisce per stancarsi.
Quindi tagli, tagli, tagli, in modo che a questa morte ci
si arrivi il più precipitosamente possibile.
Naturalmente tornano i blu e tornano i verdi, ritorniamo ai colori della morte. E riappare anche brevemente, evidentemente con intenzioni simboliche e significative, il facchino, il giovane facchino che era stato in
muta ammirazione del quadro e della figura di Violetta
morente all'inizio, a suggellare proprio questa circolarità zeffirelliana, per cui tutto è morte e la vita è stata
soltanto un sogno del morente.
(Visione).
Carlo Marinelli
Voce dal pubblico. A me il finale è piaciuto, mi è sembrato una buona cosa.
Carlo Marinelli. La Traviata è indubbiamente un film
che si presta ad infinite discussioni, veramente emblematico della poetica zeffirelliana, assai più dell'Otello, che è fallito completamente, è uno zibaldone
spaventoso, in cui lo stesso Zeffirelli non è che si sia
molto impegnato; mentre nella Traviata indubbiamente si è impegnato.
Riaffermo comunque la mia convinzione che Zeffirelli
sia forse la persona che più di ogni altra rappresenta
un certo tipo di mondo, anche come regista di teatro
musicale. L'avvento del mezzo consumistico, del
mezzo di comunicazione di massa inteso come semplificazione dell'informazione al livello elementare, deprivandola di ogni suo contenuto, di ogni possibile significato, di ogni capacità di molteplicità, laddove uno
dei fatti fondamentali della musica è la sua capacità di
molteplicità di informazione, di dare in un solo dato, in
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un solo «input», diciamo, più informazioni contemporaneamente.
Quello che per esempio sfugge completamente nella
trasposizione cinematografica è il fatto che la stessa
frase musicale viene cantata contemporaneamente
da più personaggi nei concertati e per ciascun personaggio significa una cosa diversa. Noi percepiamo
questa diversità contemporanea, vuoi per le sfumature di diversità tra le voci, vuoi per la posizione che
ciascuna di esse ha nel contesto dell'insieme, e per
tante altre ragioni che adesso non sto ad elencare
perché sarebbe troppo lungo.
Questo nel cinema inevitabilmente si perde, e purtroppo non sempre si conserva neanche nella ripresa
televisiva di spettacoli teatrali, perché spesso anche i
registi di televisione tendono ad inquadrare in primo
piano, a riprendere una parte del palcoscenico invece
che a riprendere il palcoscenico nel suo insieme, e
così via.
Il teatro mantiene invece questa capacità di informazione molteplice, questa messe di informazioni che
vengono continuamente proiettate verso lo spettatore-ascoltatore.
A me sembra molto importante il discorso su Zeffirelli
sotto questo profilo di esempio di una società.
Zeffirelli è un po' come la Cappella Sistina ridotta in
tecnicholor: a forza di essere abituati a vedere i capolavori alla giapponese, cioè fotografandoli o guardandoli in fotografia (mi si è fatto giustamente osservare
che i giapponesi, quando visitano dei luoghi, non si
fermano a guardare, fotografano e si voltano, quindi
non vedono, guardano soltanto per essere sicuri di
aver fotografato tutto, poi rivedono tutto a casa, in fotografia, e vedono per forza di cose un qualcosa di alterato, di ridotto, ricevono un messaggio semplificato
all'elementare, in cui è soppressa tutta la ricchezza
del messaggio originale).
È la stessa ragione per cui è più «ricco» parlare che
non comunicare visivamente per ideogrammi. E questo, direi, è un fatto su cui bisognerebbe discutere a
lungo e profondamente. Quanto all'osservazione sul
finale, è vero, è molto bello, perché segna il ritorno
sul palcoscenico.
All'inizio della morte Zeffirelli concentra l'immagine in
quello strettissimo spazio dell'alcova, dove ci sono il
bianco e il blu, sia del letto, sia dell'alcova, sia di Violetta.
E poi quando Violetta ha l'ultimo soprassalto, l'ultimo
rigurgito di vita, la proietta, la spedisce con violenza
quasi, la scaglia all'interno di quest'enorme palcoscenico che torna ad essere il teatro, con la finestra che
dà luce sullo sfondo e i candelabri in primo piano.
È un ritorno al teatro, che contraddice quanto ha fatto
fino ad allora, tra l'altro.
Contraddittorio, perché il terzo atto era ancora iniziato
con lo sgombero, con quei due signori che sembrano,
non so, degli antiquari, dei rivenditori, dei battitori d'asta, con gli operai, con il giovane facchino che torna
anche, subliminalmente, ad un certo momento, per
una brevissima inquadratura, quando Alfredo e Violetta si incontrano, e poi invece improvvisamente si torna a quel teatro che era stato negato quasi sempre
fino ad allora.
È proprio questo ritorno al teatro che rende il finale
così appariscente, con questo scagliare Violetta in
mezzo al palcoscenico per la sua morte.
Voce dal pubblico. Ho notato in alcuni momenti un'esasperazione delle intenzioni del canto.
Carlo Marinelli. Si tratta in effetti di un'interpretazione
volutamente espressionista. Non per nulla Teresa
Stratas è stata una grande Lulu a Parigi quando hanno ripreso la Lulu di Berg con il terzo atto rifatto da
Cerha.
Il vero nome di Teresa Stratas è Anastasia Stratakis:
è greca di origine, ma è nata in Canada.
La bellezza della Stratas è negli occhi, e sono gli occhi che Zeffirelli ci ammannisce in tutte le salse, giocandoli estremamente bene dal punto di vista espressivo.
Resta peraltro il difetto fondamentale della mancanza
di corrispondenza: ci sono momenti in cui ad un canto
esasperato, violento, fa riscontro un viso dall'espressione dolce. In altri momenti il viso esprime corruccio
ed invece il canto è spianato.
A questo punto può entrare in gioco il discorso sul
montaggio. L'evento teatrale è un evento in divenire
che non si monta, o meglio si monta da solo man
mano che procede. Il film è soggetto al montaggio finale, che consente di sistemare tutto quello che è stato girato, e in definitiva anche di modificarlo; è in sede
di montaggio che il regista diventa definitivamente autore. Nel caso del film-opera è nel montaggio che si
evidenzia il conflitto tra l'autore della musica e l'autore
del film, conflitto che è inevitabilmente vinto dall'autore del film (come se un carroarmato si scontrasse con
un automobile). I mezzi a disposizione del regista del
film sono infinitamente più forti, più icastici, più di immediato effetto su chi guarda.
Nel caso della Traviata si aggiunge il fatto che, tra le
varie opere in film che sono state finora realizzate,
sotto il profilo dell'esecuzione musicale questa è veramente una delle più scialbe, per colpa di James Levine, direttore che gli americani amano molto ma che,
in tutte le occasioni in cui ho avuto modo di sentirlo,
mi ha sempre fatto l'impressione di un «routinier».
Serenella Isidori. Comunque, il distacco tra l'espressione vocale e l'espressione mimica dell'attrice nasce
anche dal fatto che la ripresa non è diretta, per cui
non cantano, ma fingono di cantare: perciò lo spettatore resta piuttosto sconcertato nel constatare che la
mimica facciale non risponde in nulla a quella propria
della cantante.
Carlo Marinelli. Si, è vero. Ma ciò dipende fino a un
certo punto dall'uso del playback. Nulla vieterebbe al
regista di pretendere che gli attori cantino anche nelle
riprese visive. Ad esempio, nel Parsifal di Syberberg,
l'attenzione massima del regista è proprio sul movimento della bocca e del viso nel canto, tanto che si
ha l'impressione che, ancor più che alla musica, sia
attento all'effetto fisico del cantare.
Serenella Isidori. Resterebbe comunque un'operazio-
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ne in vitro, perché una voce va giudicata nel suo spazio. Il risultato è in ogni caso un allontanamento dalla
ricerca della verità dell'espressione teatrale.
Carlo Marinelli. L'attore, e quindi anche il cantante, in
teatro è fondamentalmente una maschera.
È una maschera sotto tutti i profili, anche sotto il profilo dell'aspetto fisico; ed è come maschera che è fortemente espressivo e suscettibile di un'infinità di comunicazione, perché diventa simbolo individuale di una
realtà molteplice, di una realtà collettiva. Ed è questo
che qui viene meno completamente; anche l'attore cinematografico è maschera in certi film, ma non lo è
certamente in questo.
Serenella Isidori. Se qui gli occhi della Stratas sono
riusciti espressivi è perché sono stati ripresi in un certo modo. In teatro il gesto è molto più grande e l'espressione nasce da tutto il corpo.
Carlo Marinelli. Certo, perché si guarda da lontano,
mentre nel film si guarda di vicino. Ciò è però comune
anche alla ripresa televisiva dello spettacolo teatrale
originale: lo spettatore è enormemente avvicinato, è
collocato sul palcoscenico, non più nei palchi o in platea o nelle gallerie. Ma anche questo è un errore dei
registi, che dimenticano la necessità di mantenere
alle riprese una prospettiva teatrale.
Serenella Isidori. Molte volte la regia teatrale viene
completamente vanificata: cose che, viste da lontano,
hanno un gesto, un impatto molto forte, viste da vicino perdono proprio il significato magico che la distanza dà a certe cose; tutto diventa troppo semplice e
troppo spiegato.
Voce dal pubblico. Inoltre lo spettatore viene privato
della libertà, nel senso che in teatro lo spettatore osserva ciò che più lo incuriosisce, ha maggior respiro
di osservare. Alla televisione o al cinema è costretto a
vedere quello che gli vuoi far vedere il regista.
Carlo Marinelli. Infatti. Lo spettatore è costretto a seguire quello che ha già scelto il regista, cioè il regista
sceglie per lui, mentre noi, quando andiamo a teatro,
scegliamo da soli, anche se generalmente anche in
teatro c'è un regista, il quale cerca in ogni modo di attirare la nostra attenzione su una cosa piuttosto che
su un'altra.
Ma, se siamo forti, possiamo anche ribellarci al regista e spostare la nostra attenzione su un altro punto.
Qui no, perché non si ha proprio lo spazio, non c'è
niente al di fuori di quello che il regista ti fa vedere,
non è che tu ti puoi mettere a guardare cosa stanno
facendo dietro una quinta per sbirciare magari il lavoro dei macchinisti, che può essere anche quello un
elemento teatrale.
Serenella Isidori. Ci sono intere riprese televisive che
arrivano a non farti vedere per tutto l'atto il totale del
palcoscenico.
Carlo Marinelli. Questo significa non saper fare la ri-
presa televisiva, che dovrebbe essere sempre, diciamo così, globale, dovrebbe conservare sempre nel telespettatore la sensazione di essere in un teatro.
Il problema non è se si possa o non si possa trarre un
film da un'opera di teatro in musica, liberamente impiegando la vicenda, la trama ed anche la musica.
Il problema di fondo resta quello che ho posto all'inizio, è cioè il problema del tempo reale della musica
utilizzato filmicamente dal principio alla fine.
Ripeto quanto ho già detto: ritengo che a nessuno
verrebbe in mente di filmare I promessi sposi dalla
prima riga all'ultima, seguendo il tempo di un lettore
del romanzo. E non è una questione di durata. Lo
stesso discorso vale anche per una novella breve. A
nessuno verrebbe in mente di filmare Carmen di Prosper Mérimée, leggendo la novella dal principio alla
fine.
Secondo me l'equivoco è qui, cioè nel credere che sia
possibile usare la musica per intero come si usa un
canovaccio, come se fosse la trama di un romanzo, di
un poema e simili. La musica può essere usata come
un canovaccio se si fa il lavoro che hanno fatto Peter
Brook e Marius Constant in Tragédie de Carmen (che
tra l'altro è nata per il teatro e poi è stata anche filmata): Brook e Constant hanno mantenuto soltanto alcune parti della musica scritta da Bizet per Carmen, altre parti le hanno riscritte, altre le hanno spostate da
un punto all'altro della vicenda, altre ancora ne hanno
scritte appositamente, insomma hanno messo insieme una cosa del tutto nuova.
Per quanto mi riguarda personalmente, resto sempre
fedele a quanto ha scritto quel grandissimo regista
che è Walter Felsenstein: «Il regista che credesse di
dover rielaborare o ammodernare un'opera di qualche
pregio se ne faccia comporre una appositamente, anziché manomettere a proprio vantaggio l'esistente».
Il concetto espresso da Felsenstein può essere esteso per me addirittura fino alla manipolazione dell'esistente, purché sia dichiarata e palese. Può esistere
un problema giuridico di diritti d'autore. Il mio parere
personale è che non esista invece un problema morale. L'esistente può essere manipolato, può essere «rifatto», può essere ridotto a cosa propria. Ma non si
può riprodurre l'esistente com'è e poi sovrapporgli
qualcosa che è totalmente diverso e pretendere che
ad un certo punto le due cose non cozzino disperatamente l'una contro l'altra, creando uno stridore che è
inevitabile.
È questo, a mio parere, l'equivoco di fondo del filmopera, cioè dell'opera filmata (altro è, lo ripeto ancora
una volta, un film «su» un'opera). Personalmente ritengo che uno studio approfondito del linguaggio musicale potrebbe superarlo, ma suppongo che il futuro
per la diffusione dell'opera sia nella ripresa dal vivo di
spettacoli teatrali, piuttosto che nel fare film con la
musica per intero.
Non è assolutamente questione di «sacralità» della
musica, foss'anche una Passione di Bach. Se è dichiaratamente usata come una colonna sonora, non
ho nulla da dire, perché nessuno ha preteso di farmi
credere che si trattasse dell'opera originale.
Tanto per fare un esempio, non mi sono affatto sentito dissacrato perché un famoso film western finiva
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con la musica della Cavalcata delle Walkirie. Era bellissimo ed era una trovata geniale da parte del regista
aver montato il finale di quel western con la Cavalcata
delle Walkirie, proprio in quanto non c'erano le Walkirie e non c'era il tempo reale dell'opera originale e la
musica di Wagner veniva utilizzata per un contesto
completamente diverso da quello per cui era stata
scritta, per cui si potrebbe dire che non era più neanche musica di Wagner, bensì una riuscitissima colonna sonora cinematografica (tralascio di proposito tutti
i problemi di referenza all'inconscio, o addirittura al
conscio, dello spettatore).
C'è un terzo caso, oltre quelli del film sull'opera e dell'opera in film, l'opera in musica scritta per il film, destinata fin dall'origine ad essere filmata. Ne conosco
un solo esemplare, Les parapluies de Cherbourg, un
film interamente suonato e cantato, nato come tale,
con musica appositamente scritta per essere filmata.
A rapporto invertito, il processo di interazione ha funzionato perfettamente. Ricordo che era un'opera, o
meglio un'operetta, deliziosa ed era un film delizioso,
perfettamente riuscito.
Voce dal pubblico. Ritengo che il cinema abbia possibilità che sono negate al teatro. Può permettersi di
sperimentare di più. Può lasciare maggiore spazio all'immaginazione. Può mettere a disposizione di un regista che abbia intelligenza e fantasia mezzi altrimenti
impensabili, consentendogli anche se vuole di rispettare l'originale.
Carlo Marinelli. Ritengo anch'io che sia possibile, ma
richiede la capacità di mettere in essere un processo
di analogia delle componenti interne, delle strutture,
delle fibre intime delle due lingue, la cinematografica
e la musicale. Bisogna che il regista pensi la musica
come una serie di movimenti, di linee etc. e sia in grado di trasporre gli stessi movimenti, le stesse linee, gli
stessi tempi, le stesse cadenze, le stesse scansioni,
le stesse alternanze di pause e di non pause, di velocizzazioni e di rallentamenti, di assoli e di cori, di articolazioni di voci diverse sovrapponendosi, succedendosi, etc., etc. nel corrispondente analogo del film.
L'operazione a questo punto diviene possibile, ma
fino ad oggi non l'ha mai tentata nessuno. Per la qual
ragione io seguito a domandarmi che bisogno ci sia di
usare tutta la musica di Verdi, dalla prima all'ultima
nota della Traviata (a parte i tagli, che del resto si fanno anche in teatro), per fare un film che con quell'opera ha ben poco a che fare, quando si potrebbe fare un
film sullo stesso soggetto, che abbia anche la musica
di Verdi come colonna sonora, ma con attori che parlino, e non con cantanti che cantano, o meglio come è
stato già osservato fanno finta di cantare (perché cantano tutti in play-back né più né meno come i cantanti
di canzonette). In pratica si tratta di una registrazione,
fatta allo stesso modo in cui si fanno i dischi (e infatti
sono stati anche pubblicati i dischi, dalla «WEA»).
Voce dal pubblico. Un'ultima cosa a proposito di Zeffirelli: non credo che questo sia l'unico luogo in cui il
suo lavoro abbia dato adito a polemiche; come si è difeso lui?
Voce dal pubblico. Ha detto che gli italiani non capiscono niente e lui deve andare a lavorare all'estero.
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