69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC Rimini, 27

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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC Rimini, 27
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Organizzato da
EV Soc Cons ARL è una Società con
sistema qualità certificato ISO 9001:2008
69°
CONGRESSO INTERNAZIONALE
MULTISALA SCIVAC
Rimini, 27-29 Maggio 2011
Palacongressi di Rimini
Atti congressuali • Comunicazioni brevi • Poster
Congress proceedings • Short communications • Poster
In collaborazione con
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La SCIVAC ringrazia le Aziende sponsor per il sostegno e il contrib uto
prestati alla realizzazione del 69° Congresso Internazionale .
SCIVAC wishes to thank all the f ollowing key sponsors for their
generous support for the 69th SCIVAC International Congress in 2011.
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in collaborazione con
SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI
PER ANIMALI DA COMPAGNIA
SOCIETÀ FEDERATA ANMVI
69°
CONGRESSO INTERNAZIONALE
MULTISALA SCIVAC
Rimini, 27-29 Maggio 2011
Palacongressi di Rimini
Atti congressuali • Comunicazioni brevi • Poster
Congress proceedings • Short communications • Poster
QUESTO VOLUME DI ATTI CONGRESSUALI RIPORTA FEDELMENTE QUANTO FORNITO DAGLI AUTORI
CHE SI ASSUMONO LA RESPONSABILITÀ DEI CONTENUTI DEI PR OPRI SCRITTI.
THESE PROCEEDINGS REPORT FAITHFULLY ALL ABSTRACTS PROVIDED BY THE AUTHORS
WHO ARE RESPONSIBLE OF THE CONTENT OF THEIR WORKS.
Organizzato da
EV Soc Cons ARL è una Società con
sistema qualità certificato ISO 9001:2008
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CONSIGLIO DIRETTIVO SCIVAC
FEDERICA ROSSI - Presidente
DEA BONELLO - Presidente Senior
ALBERTO CROTTI - Vice Presidente
GUIDO PISANI - Tesoriere
WALTER BERTAZZOLO - Segretario
DAVID CHIAVEGATO - Consigliere
BRUNO PEIRONE - Consigliere
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COMITATO SCIENTIFICO
Anestesia - Luca Zilberstein
Animali esotici - Vittorio Capello
Cardiologia - Marco Poggi
Chirurgia - Guido Pisani
Citologia/Patologia Clinica - Walter Bertazzolo
Dermatologia - Fabia Scarampella
Diagnostica per Immagini - Giliola Spattini
Endoscopia - Davide De Lorenzi
COMMISSIONE SCIENTIFICA
MASSIMO BARONI
FEDERICA ROSSI
FULVIO STANGA
Fisioterapia - Ludovica Dragone
Gastroenterologia - Paola Gianella
Medicina Comportamentale - Marzia Possenti
Medicina Interna - Federico Fracassi
Neurologia - Mariateresa Mandara
COORDINATORE SCIENTIFICO
CONGRESSUALE
FULVIO STANGA
Med Vet, Cremona
Nutrizione - Liviana Prola
Oftalmologia - Alberto Crotti
Oncologia - Giorgio Romanelli
Ortopedia - Bruno Peirone
Practice Management - Marco Viotti
RESPONSABILE SEGRETERIA
SCIENTIFICA
MONICA VILLA
Tel: +39 0372 403504
E mail: [email protected]
CHAIRMEN
Anestesia - Adriano Lachin, Luca Zilberstein, Federico Corletto
Animali Esotici - Vittorio Capello, Giordano Nardini
RESPONSABILE UFFICIO
MARKETING
ILARIA COSTA
Tel: +39 0372 403538
E mail: [email protected]
Cardiologia - Marco Poggi, David Chiavegato
Chirurgia - Guido Pisani, Daniela Murgia
Citologia - Walter Bertazzolo
Dermatologia - Fabia Scarampella, Alessandra Fondati
Diagnostica per Immagini - Federica Rossi, Giliola Spattini
Endoscopia - Roberta Caccamo
RESPONSABILE SEGRETERIA
ISCRIZIONI
PAOLA GAMBAROTTI
Tel: +39 0372 403508
Fax: +39 0372 403512
E mail: [email protected]
Oftalmologia - Nunzio D’Anna
Fisioterapia - Ludovica Dragone, Francesca Cazzola
Gastroenetrologia - Paola Gianella
Medicina Comportamentale - Raimondo Colangeli
Medicina Interna - Federico Fracassi
Neurologia - Donatella Lotti, Stefania Gianni
Nutrizione - PierPaolo Mussa, Liviana Prola
ORGANIZZAZIONE CONGRESSUALE
EV - Eventi Veterinari
Via Trecchi 20 - 26100 CREMONA (I)
Oncologia - Paolo Buracco
Ortopedia - Filippo Maria Martini, Bruno Peirone
Practice Management - Marco Viotti, Marco Serreri
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CURRICULA VITAE DEI RELATORI
logie presso l’Univ. di Berna. Attualmente è Professore Associato presso il dip. di Scienze Cliniche Vet. dell’Univ.
degli Studi di Padova ed esercita la libera professione come referente di casi neurologici presso l’Ospedale
Vet.
“Portoni Rosssi” di Zola Predosa (BO). È Past-president
SINVet. Relatore a numerosi corsi e congressi in Italia e all’estero, è autore di articoli e del libro “Neurologia del cane e del gatto” (Poletto Editore, Milano).
MASSIMO BARONI
Med Vet, Dipl ECVN, Monsummano Terme (PT)
Laureato in Medicina Veterinaria con Lode nel 1987 presso l’Università di Pisa. Dal 1992 al 1995 ha compiuto un
Non Conforming Residency Programme in Neurologia
presso l’Istituto di Neurologia, facoltà di Berna. Diplomato al College Europeo di Neurologia. Attualmente svolge la
propria attività specialistica presso la Clinica Veterinaria
“Val di Nievole”, Monsummano Terme, Pistoia. È stato
membro dell’Education Commitee del College Europeo di
Neurologia (ECVN) e Presidente della Società e del College Europeo di Neurologia Veterinaria. È inoltre Past President SCIV AC e vicepresidente della Società Italiana di
Neurologia Veterinaria (SINVET). Coordinatore dell’Itinerario di Neurologia SCIVAC. Autore di pubblicazioni e di
oltre 100 relazioni congressuali, in Italia ed all’estero.Aree
di interesse: Neurodiagnostica per immagini, neurochirurgia spinale ed intracranica.
DIANA BERTONCELLO
Med Vet, Padova
Laureata con il massimo dei voti presso l’Università di Padova nel 2002. Ha svolto un periodo di aggiornamento
presso la Clinica Universitaria della Facoltà di Medicina
Veterinaria di Bristol. È coautrice di varie pubblicazioni su
riviste indexate, la metà circa delle quali internazionali,
inerenti endoscopia diagnostica e interventistica e citologia
applicata alle malattie respiratorie. È stata relatrice e istruttrice al corso di Endoscopia respiratoria SCIV AC ed ha
presentato regolarmente case reports negli ultimi congressi della medesima società scientifica. Lavora presso la Clinica Veterinaria Privata San Marco di Padova, dove è responsabile della degenza e si occupa inoltre di endoscopia
diagnostica e interventistica degli apparati respiratorio, digerente e urinario.
MARCO BEDIN
Med Vet, Dr Ric, Monselice (PD)
Laureato presso l’Università di Camerino, consegue il Dottorato di Ricerca nel 2010 presso l’Università di Padova
dove è stato Professore a Contratto per corsi di Chirur gia
degli Animali Esotici. Da sempre appassionato di Animali
Esotici e Selvatici, se ne occupa subito dopo la laurea e
collabora con progetti di conservazione. Attualmente è il
Veterinario Ufficiale del Progetto Capovaccaio. Autore di
pubblicazioni su riviste scientifiche Internazionali di Medicina e Chirurgia degli Animali Esotici e Selvatici, è stato
relatore a congressi Nazionali ed Internazionali. Svolge la
Propria professione presso la Clinica Veterinaria Euganea
di Monselice (PD) occupandosi quasi esclusivamente di
Animali Esotici e Selvatici. È responsabile dell’area di Medicina e Chirurgia degli Animali Esotici anche all’Ospedale Veterinario I Portoni Rossi di Zola Predosa (BO). È Vicepresidente SIVAE.
GERLDINE BLANCHARD
Dr Vet, PhD, Dipl ECVCN, Alfort (F)
Ha ottenuto un PhD, diplomate ECVCN e attuale Presidente dell’European College of Veterinary and Comparative Nutrition. Interessi di ricerca: nutrizione clinica, metabolismo lipidico, nutrizione e crescita equina. Responsabile della Nutrizione Clinica presso la Scuola Veterinaria di
Alfort (Francia) fino al 2006, poi Senior Lecturer presso
l’Università di Queensland (Brisbane, Australia) nel 2007.
Consulente in alimentazione animale, nutrizionista clinico
in una clinica a Parigi, e nutrizionista sul sito www.cuisinea-crocs.com
MARCO BERNARDINI
Med Vet, Dipl ECVN, Padova
BARBARA BOCKSTAHLER
Priv Doz Dr, habil FTA, CCRP, Vienna (A)
Laureato presso l’Univ. di Bologna nel 1988. Nel 1994-95
effettua un Residency in Neurologia Vet. presso l’Università di Berna. Nel 1995 consegue il diploma dell’European
College of Veterinary Neurology (ECVN). Dal 1997 al
2001 è docente di Neurologia Veterinaria presso l’Università di Barcellona e responsabile del Servizio di Neurologia e Neurochirur gia presso l’Ospedale Veterinario della
stessa facoltà. Dal 2002 al 2003 è Oberassistent in Neuro-
Specialist for Physiotherapy and Rehabilitation Medicine
Certified Canine rehabilitation practitioner (CCRP). Head
of the Section of Physiotherapy and Acupuncture. Clinic
for Surgery and Ophthalmology University of Veterinary
Medicine Vienna. Education 1987-1994: University of
Veterinary Medicine Vienna, Austria. Diploma Pro13
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gramme of Veterinary Medicine (MVM); 1994-1995: University of Veterinary Medicine Vienna, Austria; Doctoral
Programme of Veterinary Medicine (Dr .med.vet.); Numerische und strukturelle Chromosomenanomalien in
soliden Tumoren der Katze“ (‘Numerical and structural
chromosomal anomalies in solid tumours in cats’); January 2004 Specialist for Physiotherapy and Rehabilitation
Medicine, Member of the examination board; September
2007 Certified Canine rehabilitation practicioner (CCRP).
Member of the examination board; April 2009 Habilitation for Surgery with special remarks on physical therapy
and rehabilitation; Career progression; October - December 1995 Veterinary clinic Katzensteiner , Vienna; 1996 –
September 2002 Joint partner of an animal ambulatory
clinic, Vienna; September 1999 – November 2000
Acupuncture and Physical Therapy Outpatient Clinic University of Veterinary Medicine Vienna Buildup and establishment of outpatient clinic Acupuncture; Physiotherapy
in ambulant and stationary patients; November 2000 –
November 2003 Clinic for Sur gery and Ophthalmology
University of Veterinary Medicine Vienna Head of the
Acupuncture and Physical Therapy Outpatient Clinic;
November 2003 – current Movement Science Group University of Veterinary Medicine Vienna; Leader of the project team ‚Motion Analysis in Dogs’. Establishment of the
laboratory for motion analysis; Performance of kinetic
and kinematic motion analysis; Supervision of doctoral
students; Scientific guidance and performance of studies
within the frame of motion analysis. In the course of her
clinical and scientific career Dr. med. vet. Bockstahler has
held numerous lectures in Austria and abroad. Dr . med.
vet. Bockstahler has conducted intensive research on gait
analysis in dogs since 2003.
DEA BONELLO
Med Vet, Spec Rad Vet, Dipl EVDC, Torino
Si laurea nel 1989 alla Facoltà di Medicina Veterinaria di
Torino, dove poi si specializza nel 1997 in Radiologia Veterinaria e nel 2000 consegue il titolo di Dottore di Ricerca in Medicina Interna Veterinaria. Ha lavorato come ricercatore a contratto presso il Dipartimento di Patologia
Animale della Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino
dal 2001 al 2003. Dal 1989 si dedica all’odontostomatologia veterinaria ed in questo settore svolge attività di consulenza per i piccoli ed i grossi animali. Nel 1996 e nel 1998
si è recata, a scopo di aggiornamento, presso l’Università
di Davis, California.
Nel 1998 consegue il Diploma dell’European College of
Veterinary Dentistry. Relatore a numerosi congressi in Italia ed all’estero e autore di pubblicazioni inerenti l’odontostomatologia veterinaria e comparata. Dal 1998 al 2002 è
stata Segretario dell’EVDC e Coordinatore del Gruppo di
Studio di Odontostomatologia della SCIVAC. È Past President del College Europeo di Odontostomatologia Veterinaria, Presidente della SIODOV (Società Italiana di Odontostomatologia Veterinaria) e Presidente SCIVAC nel consiglio neoeletto.
ENRICO BOTTERO
Med Vet, Cuneo
Si laurea in Medicina Veterinaria presso l’università di Torino nel 1997 con una tesi sulle periodontopatie nel cane.
Vicepresidente della Siciv (Società Italiana di Citologia
Veterinaria) dal 2006. Dal 2010 è presidente Siciv. Relatore dal 2003 al corso Scivac di citologia. Relatore nel 2006,
2007 e 2008 nel percorso di gastroenterologia della Performat. Relatore al corso Scivac di endoscopia applicata alle
malattie respiratorie nel 2009 e 2010. Relatore al corso di
gastroenterologia della Unisvet nel 2009. Relatore al congresso nazionale Scivac del 2006, 2007, 2008, 2009 e
2010. Direttore del corso Scivac di endoscopia dell’apparato gastroenterico nel 2009 e nel 2010. Direttore e responsabile scientifico del percorso di gastroenterologia
Scivac nel 2010. È autore e coautore di articoli su riviste
nazionali ed internazionali.
PAOLO BOGONI
Med Vet, Ghedi (BS)
Laureato a Parma nel 1991. Dal 1994 lavora presso l’ambulatorio “Bogoni, Pasotti” sito in Ghedi, Brescia, dedicandosi soprattutto all’attivita chirur gica e oftalmica. Dal
2008-2010 ha ricoperto la carica di segretario nel consiglio
direttivo SCVI.
È socio SCIVAC, SOVI, SCVI, SIOVET, ESVOT. Ha partecipato a diversi corsi e congressi nazionali ed internazionali. In qualità di istruttore o relatore a partecipato a diversi corsi e congressi in ambito nazionale.
Ha presentato diversi case reports e free comunication ai
meeting di SCIV AC, SCVI, SOVI, SIOVET . Coautore di
un articolo comparso su Veterinary Surgery, di un case reports, comparso su Veterinaria e uno comparso su Open
Veterinary Journal.
I suoi campi di interesse sono la chirur gia generale, con
particolare riferimento alle patologie delle gh. salivari e
perineali, e l’ortopedia con particolare riferimento alla
traumatologia.
FABRIZIA CANEPA
Med Vet, Novara
Laureata con lode nel 1978 presso l’Università degli Studi
di Torino, si è specializzata in Clinica delle Malattie dei
Piccoli Animali presso l’Università degli Studi di Milano
nel 1985. Direttore Sanitario della Clinica San Martino, si
occupa di chirur gia dei tessuti molli e dei piani di marketing della struttura, fornendo anche consulenza a strutture
esterne ed aziende.
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VITTORIO CAPELLO
Med Vet, Dipl ECZM-Small Mammal,
Dipl ABVP-ECM, Milano
GIOVANNI CARDINI
Med Vet, Pisa
Giovanni Cardini è Professore Ordinario di Clinica Medica Veterinaria, Direttore della Scuola di Specializzazione
in Patologia e Clinica degli Animali d’Affezione e Presidente del Consiglio di Corso di Laurea in Tecniche di Allevamento del cane di Razza ed Educazione Cinofila presso l’Università di Pisa.
È stato Membro della Commissione Consultiva del Ministero della Salute per l’accertamento dei requisiti tecnici
del farmaco veterinario ed Esperto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali nella Commissione
Tecnica
Centrale del Libro Genealogico del cane di razza dell’Ente
Nazionale Cinofilia Italiana. È autore di 180 pubblicazioni
scientifiche.
Nato a Asti il 2/7/1963, ha conseguito la laurea a pieni voti con lode in Medicina Veterinaria presso la Facoltà di
Milano nell’A.A. 1988/89.
La tesi di laurea è stata insignita di dignità di stampa sia
nazionale che internazionale, ed è stata premiata con la
Borsa di Studio Friskies, in collaborazione con SCIV AC.
È stato ideatore, coautore e regista del
programma video: “Impiego dei fissatori esterni nel cane
e nel gatto”, edito da SCIVAC nell’ottobre 1992. Nel 1993
ha conseguito a pieni voti il diploma di specializzazione in
Malattie dei piccoli animali presso la Facoltà di Medicina
Veterinaria di Milano discutendo la tesi dal titolo: “Approccio alla medicina e chirur gia del criceto domestico.”
Nel periodo maggio/giugno 1994 ha frequentato il Dipartimento di Chirur gia presso il Veterinary Medical Teaching Hospital di Davis (University of California). Nell’ottobre 1995 ha frequentato il 4° corso di Italiano di base AO-VET presso il Centro studi S.C.I.V.A.C. di Cremona. Dal 1990 al 1996 ha svolto il ruolo di collaboratore
presso la clinica Veterinaria S.Siro di Milano.
Dal 1997 lavora, a Milano, presso la Clinica Veterinaria
S.Siro e la Clinica Veterinaria Gran Sasso occupandosi di
medicina e chirur gia degli animali esotici, con particolare riferimento al coniglio, ai piccoli roditori e ai piccoli
mammiferi.
Ha collaborato alla traduzione in lingua italiana del testo:
Birchard S.J., Sherding R.G.: “Saunders Manual of Small
animal practice (1994) edito da Piccin (Padova, 1996),
per quanto concerne la sezione Animali esotici (Furetto,
Coniglio domestico e Piccoli roditori). Dal 1995 al 2001
ha pubblicato 10 articoli scientifici sulla rivista “V eterinaria”, su argomenti relativi al coniglio, ai piccoli roditori e al furetto.
Nell’ottobre 1998 è stato relatore sul tema: “Medicina e
chirurgia del coniglio e dei piccoli roditori da compagnia” presso l’Ordine dei medici veterinari di Brescia.
Dal 1996 al 1999 ha collaborato con riviste del settore
(ArgosTrend, ArgosVet) pubblicando mensilmente articoli di divulgazione veterinaria relativi ad animali esotici e
da compagnia, e nel 1998 è stato direttore scientifico della rivista “Argos”.
È autore del manuale: “Il cincillà”, edito da De
Vecchi
(Milano, 1998). Dal 2000 è relatore presso le Delegazioni Regionali SCIV AC. Nel 2001 ha pubblicato il “T esto
Atlante di Medicina e chirurgia del criceto domestico” in
CD-rom; è autore di alcuni articoli pubblicati sulla rivista
americana “Exotic DVM magazine” ed ha tenuto una serie di relazioni dedicate alla medicina e chirur gia del coniglio, dei piccoli roditori e dei piccoli mammiferi presso
l’Ordine dei medici veterinari di Milano e Lodi. È membro della AEMV (Association of Exotic Mammal Veterinarians).
MARIA CHIARA CATALANI
Med Vet, Comportamentalista, Senigallia (AN)
Laurea in Medicina Veterinaria all’Università degli Studi
di Perugia, nel 1999.
Presso lo stesso Ateneo consegue il Perfezionamento in
Educazione Sanitaria nel 2001. All’Università di Pisa, Facoltà di Medicina Veterinaria – consegue il Perfezionamento in Scienze Comportamentali Applicate, nel 2003 e il
Diploma di Master in Medicina comportamentale degli
animali d’Affezione, nel 2006.
È membro del Consiglio Direttivo SISCA dal 2005, docente e nella Commissione Scientifica SIUA, tecnico ed istruttore cinofilo CSEN-Cinofilia.
Dottoranda di Ricerca in Fisiopatologia e Medicina degli
Animali d’Affezione, presso il Dip.to di Scienze Biopatologiche, Igiene delle Produzioni Animali e Alimentari –
Università degli Studi di Perugia– Facoltà di Medicina Veterinaria, dal 2008, dove sta realizzando un’attività di ricerca sul benessere dei cani in canile e il miglioramento del
livello di adottabilità.
È autore e co-autore di numerosi articoli scientifici e saggi, tra i quali “Valutazione dei cani, categorie di attribuzione e protocolli di testaggio” in “Il canile come presidio
zooantropologico” a cura di Roberto Marchesini, Edizioni
Medico Scientifiche, dicembre 2007 e “T eorie esplicative
della pet-relationship. Cosa spinge l’uomo verso la relazione con l’animale?” in “Nuove prospettive nelle attività e
terapie assistite dagli animali” a cura di Roberto Marchesini, Edizioni EV srl, Marzo 2004.
Traduttore e curatore dell’edizione italiana di “Emotional
lives of animals” di Marc Bekof f, Edizioni Alberto Perdisa, Aprile 2010. È Referente SISCA per la ESVCE e per la
Partnership con Mars Italia nell’ambito della zooantropologia applicata.
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bera professione occupandosi prevalentemente di anestesiologia e terapia del dolore nel paziente ortopedico. Nel
2007 partecipa al corso base ed al corso avanzato di Fisioterapia Veterinaria organizzati da Scivac. Nel 2008 si reca
negli Stati Uniti presso la University of Tennessee College
of Veterinary Medicine per frequentare i corsi del Master in
riabilitazione del cane e per svolgere un periodo di tirocinio. Nel 2009 consegue il titolo di CCRP (Certified Canine Rehabilitation Practioner) presso l’Università del Tennessee. Ha partecipato a numerosi congressi in Italia e all’estero riguardanti la fisioterapia, l’ortopedia e la neurologia. È stata relatore a corsi ed incontri sulla fisioterapia veterinaria. Dal 2007 svolge la propria attività professionale
presso il Centro Veterinario Fisioterapico di Roletto (T O)
di cui è direttore sanitario occupandosi esclusivamente di
riabilitazione.
FRANCO CECCHI
Med Chir, Centro Cardiomiopatie,
Università Firenze
Prof. Franco Cecchi ha acquisito la sua laurea in medicina
nel 1974 e la specializzazione in cardiologia nel 1977 presso l’Università di Firenze. Attualmente è Professore associato per malattie cardiovascolari all’Università degli Studi di Firenze ed è responsabile al Centro di Riferimento
Regionale per le Cardiomiopatie, Cardiologia 1, Dipartimento Cuore e Vasi dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi dove più di 2000 pazienti sono stati seguiti per
oltre 20 anni. Inoltre insegna “Malattie Apparato Cardiovascolare” per il Corso di Laurea “Medicina e Chirur gia”
alla Facoltà di Medicina e Chirur gia. Ha pubblicato oltre
100 lavori in riviste internazionali.
Ha recentemente focalizzato la sua ricerca nella epidemiologia, clinica e genetica nei pazienti con cardiomiopatia
ipertrofica.
FEDERICO CORLETTO
Med Vet, PhD, CertVA, Dipl ECVAA, MRCVS,
Six Mile Bottom (UK)
ROSARIO CERUNDOLO
Med Vet, CertVD, Dipl ECVD, MRCVS,
Six Mile Bottom (UK)
Laureato con lode in medicina Veterinaria presso la Facoltà di Padova nel 1997. Ha compiuto un residency in Anestesia Veterinaria presso l’Animal Health Trust (Newmarket, UK). Nel 2002 ha conseguito il Certificate in Anestesia veterinaria, rilasciato dal Royal College of veterinary
Surgeons e nel 2003 il Diploma di specializzazione rilasciato dal College Europeo di Anestesia ed Analgesia Veterinaria (Dipl. ECVAA). È stato ricercatore presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Padova, Clinical Anaesthetist
presso l’Animal Health Trust e Research Fellow presso la
divisione di anestesia dell’ospedale di Addenbrooke’s, finanziato dal Wellcome Trust. Attualmente è responasible
del serivizio di anestesia presso la referral practice del
Prof. Dick White, a Six Mile Bottom, in Suf folk.
Laureato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli nel 1987. Dopo aver trascorso circa tre anni in un ambulatorio per animali da compagnia, è entrato nel 1990 a
far parte dell’Istituto di Clinica Medica Veterinaria della
Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli. Nel 1990 ha
conseguito il titolo di Specialista in “Malattie Infettive,
Profilassi e Polizia Veterinaria”. Nel marzo del 1995 si è
trasferito al Royal Veterinary College di Londra per ef fettuare un Residency in Dermatologia. Nel 1997 ha ottenuto
il “Certificate in Veterinary Dermatology” dal Royal College of Veterinary Sur geons (UK) e nel 1998 il Diploma
dell’European College of Veterinary Dermatology . Nel
2000 ha ottenuto il titolo del Royal College of Veterinary
Surgeons di “Specialist in Veterinary Dermatology”. Nel
1999 è ritornato alla sezione di Clinica Medica della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli dove è rimasto fino
a gennaio del 2002. Nel febbraio 2002 si è trasferito negli
Stati Uniti all’Università di Pennsylvania, Facoltà di Medicina Veterinaria dove ha ricoperto il ruolo diAssociate Professor of Veterinary Dermatology . Da gennaio 2009 si è
trasferito in Inghilterra dove lavora come specialista in dermatologia presso l’ospedale veterinario DickWhiteReferral
a Six Mile Bottom, Cambridge. Da settembre 2010 collabora con l’Universita di Nottingham ricoprendo il ruolo di
Honorary Associate Professor of Veterinary Dermatology.
LUISA CORNEGLIANI
Med Vet, Dipl ECVD, Milano
Laureata in Medicina Veterinaria presso l’Università di Milano nel 1991, con il massimo dei voti, lavora come libero
professionista nel settore dei piccoli animali dove si occupa di dermatologia dal 1995. Ha frequentato periodi d’aggiornamento ad indirizzo dermatologico all’estero presso
strutture private ed universitarie; è relatore ed istruttore a
corsi e congressi di aggiornamento dedicati alla dermatologia. Full member dell’ESVD (European Society of Veterinary Dermatology) dal 1996, ha conseguito il diploma
ECVD (European College of Veterinary Dermatology) nel
2006. È inoltre autore di numerosi articoli su riviste nazionali ed internazionali, nonché coautore ed autore di monografie, atlanti illustrati e di cd multimediali dedicati alla
dermatologia veterinaria. Attualmente lavora eseguendo
visite dermatologiche di referenza a Milano e Torino.
CHIARA CHIAFFREDO
Med Vet, CCRP, Roletto (TO)
Si laurea nel 2001 in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Torino. Dal 2001 al 2007 svolge la li18
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Diploma examinations and is currently the Head of the
Equine Ophthalmology Unit at the AHT. Whilst spending
most of his time dealing with ocular disease in domestic
species David has also been involved in the management of
ocular disease in a wide spectrum of species including
Koalas, Kangaroos, Tigers, Lions, Bears, Dolphins and
Seals. David’s current interests include equine intraocular
surgery and research into canine ocular neoplasia.
SERENA CROSARA
Med Vet, Torino
Laureata presso l’Università degli studi di Torino nel 2003.
Dopo la laurea ha effettuato un periodo di tirocinio pratico
presso la Clinica Gran Sasso, sotto la supervisione del dott.
Claudio Bussatori (DM, DVM, Dipl. ECVIM-Ca). Dal
2003 ha lavorato presso il Dipartimento di Patologia Animale di Grugliasco (To). Nel 2005 ha completato un anno
di internship presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di
Torino sotto la supervisione del Dr Michele Bor
garelli
(DMV, Dipl. ECVIM-Ca). Dal 2006 al 2009 ha completato il residency program in cardiologia (ECVIM) presso la
Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino e la Kansas State Univeristy (Kansas, USA). È attualmente titolare di una
borsa di dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Patologia Animale di Grugliasco, con una ricerca dal titolo
“funzione sistolica e diastolica, e rimodellamento cardiaco
in corso di malattia valvolare cronica”, svolta in collaborazione con l’Univeristà di Uppsala, Svezia. Ha pubblicato
su riviste nazionali ed internazionali. Ha partecipato a congressi nazionali ed internazionali in qualità di relatrice.
CRISTIAN FALZONE
Med Vet, Dipl ECVN, MRCVS, Perugia
Nel 2001 consegue la laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università di Perugia. Fino al 2003 conduce attività di
libero professionista nella provincia di Perugia ed Arezzo e
collabora con il dipartimento di chirur gia della facoltà di
medicina veterinaria di Perugia,. Dal 2004 al 2007 svolge
un Residency in Neurologia presso la Clinica Veterinaria
Valdinievole, Monsummano Terme (PT), sotto diretta supervisione del dr. Massimo Baroni. Nel 2006 si reca all’estero per periodi di diversa durata di continuing education.
Nel settembre 2007, dopo aver sostenuto l’esame tenutosi
a Berna, si diploma al College Europeo di Neurologia Veterinaria. È autore di relazioni e pubblicazioni nazionali ed
internazionali, riguardanti la neurologia veterinaria. Dal
2004 è membro della Società Europea di Neurologia Veterinaria (ESVN) e della Società Italiana di Neurologia Veterinaria (SINVet), della quale è consigliere dal 2007. Dal
2007 a Febbraio 2010 svolge attività neurologica specialistica presso la Clinica Veterinaria Valdinievole con particolare interesse per la Risonanza Magnetica (RMI) applicata alla neurologia. Attualmente lavora in qualità di neurologo clinico e neurochirurgo presso il centro di referenza
Davies Veterinary Specialists, in UK.
DAVIDE DE LORENZI
Med Vet, SMPA, Dr Ric, Dipl ECVCP, Padova
Laureato con lode presso l’Università di Bologna nel 1988,
Specializzato in Clinica e Patologia degli animali da compagnia presso l’Università di Pisa nel 1992. Diplomato nel
2005 al College Europeo di Patologia Clinica, Dottore di
Ricerca presso l’Università di Perugia nel 2010. Ha scritto
(come autore unico o coautore) oltre trenta articoli e comunicazioni pubblicate da riviste italiane e internazionali
su ar gomenti di citologia diagnostica, chirur gia ed endoscopia e presenta regolarmente relazioni su queste materie
a congressi veterinari nazionali ed internazionali. Ha curato la versione italiana di testi di citologia diagnostica, ed ha
scritto capitoli ad ar gomento endoscopico e citologico su
testi nazionali e internazionali. Lavora attualmente a Forlì,
Padova e Bologna occupandosi di malattie respiratorie e
ORL, endoscopia e citologia diagnostica.
LUCA FORMAGGINI
Med Vet, Dormelletto (VA)
Si laurea a Milano nel Febbraio 1991. Dal 1996 lavora
presso la Clinica Veterinaria “Lago Maggiore” di cui è socio fondatore. È relatore SCIVAC per argomenti di chirur gia, medicina d’urgenza e terapie postoperatorie; ha tenuto
relazioni a diversi congressi e seminari in Italia e all’estero; è autore e co-autore di vari testi scientifici pubblicati in
Italia e su riviste internazionali.
È stato accettato a sostenere l’esame dello European College of Veterinary Surgeons. Dal 2008 è Presidente della Società di Chirur gia Veterinaria Italiana (SCVI). I principali
campi d’interesse sono rivolti alla chirur gia mini-invasiva
laparoscopica e toracoscopica, alla chirur gia dei tessuti
molli e a tutti gli aspetti della traumatologia (pronto soccorso, chirurgia e terapia intensiva).
I suoi hobbies comprendono la corsa, la pesca e lo snowboard. Da osservatore ama il basket e il calcio.
DAVID DONALDSON
BVSc (Hons) Dipl ECVO, MRCVS,
Newmarket (UK)
David qualified from the University of Sydney in 1989
with first class honours and the University medal. For 10
years David worked in small animal, livestock and equine
practice in both Australia and the United Kingdom. Whilst
in general practice he obtained the RCVS Certificate in Veterinary Ophthalmology (2000) and in 2002 was appointed
as Resident in Veterinary Ophthalmology at the Animal
Health Trust (AHT). In 2007 David completed the ECVO
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Anaesthesia). Autore di 2 comunicazioni ai congressi ISVRA 2006 e 2007. Relatore nel 2009 nella sessione diAnestesia organizzata da ISVRA presso il Congresso Nazionale Merial. Istruttore al Corso ISVRA di anestesia loco regionale del 2007, è attualmente relatore ed istruttore ai corsi nazionali organizzati dal Dott. Stefanelli.
FEDERICO FRACASSI
Med Vet, Dr Ric, Bologna
Laureato con lode in Medicina Veterinaria presso l’Università di Bologna nel 2001. Nel 2005 ha conseguito il titolo
di Dottore di Ricerca.
Dal 2006 è Ricercatore Universitario presso l’Università di
Bologna svolgendo attività di docenza e clinico assistenziale nel settore di Medicina Interna.
Sta portando a termine un residency in medicina interna
per il college europeo ECVIM-CA, superando nel 2009 la
General Examination.
Dal 2007 è componente del consiglio direttivo della Società Italiana di Medicina Interna Veterinaria e dal 2009 anche
dell’European Society of Veterinary Endocrinology.
È inoltre membro e dell’European Society ofVeterinary Internal Medicine. Autore di pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali e relatore a congressi nazionali e internazionali.
Il suo principale campo di ricerca è la medicina interna ed
in particolare l’endocrinologia dei piccoli animali.
GUALTIERO GANDINI
Med Vet, Dipl ECVN, Bologna
Il Prof. Gualtiero Gandini si è laureato con lode presso la
Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi
di Bologna nel 1990, dove attualmente ricopre il ruolo di
professore associato presso il Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie.
Nel 1996 ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca. Nel
2003 ha acquisito il titolo di “Diplomate of the European
College of Veterinary Neurology (DECVN).
Dal 2000 ad oggi è stato membro dell’Executive Committee ella European Society of Veterinary Neurology (ESVN)
e dello European College of
Veterinary Neurology
(ECVN), di cui è stato presidente nel biennio 2008-2010.
È iscritto alla Società Italiana di Neurologia
Veterinaria
(SINVet) dal 1998, di cui è stato membro del Consiglio Direttivo nel periodo 2004-2007.
È autore e coautore di circa 75 pubblicazioni scientifiche,
di cui 25 su riviste internazionali peer -reviewed.
PAOLO FRANCI
Med Vet, Padova
Laureato nel 1996 presso l’Università degli Studi di Pisa.
Ha lavorato presso la Clinica Veterinaria Europa di Firenze nei primi anni di professione.
Nel 2002 è stato anestesista-rianimatore freelance in varie
strutture del Nord Italia prima di iniziare una standard residency in anestesia presso l’Animal Health Trust Newmarket UK(2003-2006). Nel 2006 ha lavorato presso Davies Veterinary Specialist Manor Farm Business Park –
Bedfordshire UK, per poi essere responsabile dell’anestesia e terapia intensiva presso l’Ospedale I Portoni Rossi
Zola Predosa – BO.
Dopo aver vinto un concorso per ricercatore universitario,
dal Settembre del 2007 insegna presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Padova. Ha
presentato lavori originali a congressi nazionali ed internazionali ed è relatore invitato a molti congressi e corsi.
FREDERIC GASCHEN
Dr Med Vet, Dipl ECVIM (CA),
Dipl ACVIM (Sa Int Med), Louisiana (USA)
Al termine della sua tesi di dottorato, il Dr . Gaschen intraprende una internship nei piccoli animali presso l’Università di Guelph, Ontario Veterinary College e una residency
in medicina interna presso l’Università della Florida. E
‘stato uno dei fondatori diplomati delL ’European College
of Veterinary Internal Medicine.
Ha trascorso oltre 13 anni presso la facoltà dell’Università
di Berna, in Svizzera, dove è diventato professore e capo
della Divisione di Medicina dei Piccoli Animali. Attualmente è capo del Servizio di Medicina Animali da Compagnia presso la Louisiana State Università. Negli ultimi 8
anni ha focalizzato i suoi sforzi nella ricerca sulla patogenesi delle enteropatie croniche del cane, sulla valutazione
della motilità gastrointestinale nei cani, e su una varietà di
altri argomenti di gastroenterologia per piccoli animali.
DAVIDE GAMBA
Med Vet, Bergamo
Nato nel 1979 ad Alzano Lombardo (Bg), si laurea a Parma nel 2004. Si interessa subito di anestesia e terapia del
dolore, partecipa a numerosi corsi specialistici di ISVRA e
della SCIVAC. Nel 2005 diventa responsabile del servizio
di anestesia della Clinica Veterinaria Baioni di Ber gamo.
Dal 2007 lavora come anestesista presso l’Ospedale Veterinario Gregorio VII di Roma. Nel 2006 e 2007 partecipa
come uditore a corsi teorico-pratici di anestesia loco regionale periferica or ganizzati da ESA (European Society of
Anesthesiology) ed ESRA (Europen Society of Regional
LORRIE GASCHEN
PhD, Dr Habil, DVM, Dr Med Vet, Dipl ECVDI
Dr. Gaschen graduated from the University of Florida and
after 2 years in private equine and small animal practice in
Florida undertook training for the European College of
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Veterinary Diagnostic Imaging. She has a special interest
in ultrasound and cross-sectional imaging and her PhD
work investigated vascular changes in renal allograpft rejection. Her current research involves ultrasonic investigation of splanchnic blood flow in dogs with chronic enteritis. She has supervised the training of many residents in diagnostic imaging.
si sierologica” che sarà poi oggetto di una pubblicazione su
una rivista scientifica nazionale. Nel 1989 fonda con due
soci una struttura veterinaria per la cura dei piccoli animali dedicandosi prima alla medicina interna ed alla chirurgia
poi alla neurologia, all’ortopedia ed alla chirur gia. Dal
1994 inizia periodi di soggiorni formativi in neurologia in
Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Nel 1997 e nel 1998 sostiene presso l‘Istituto di Neurologia dell’Università di
Berna un “ Training program in Veterinary Neurology” alla European School for Advanced Veterinary Studies. Partecipa a diversi congressi nazionali, seminari o corsi in
qualità di relatore. Dal gennaio 2008 ricopre la carica di
consigliere nella Società Italiana di Neurologia Veterinaria.
Attualmente è Direttore Sanitario della Clinica Veterinaria
Città di Voghera, responsabile del Servizio di referenza di
Neurologia e co-fondatore del Centro Diagnostico Veterinario Iriense interno alla clinica e dotato di TC e Risonanza magnetica.
NICOLA GASPARINETTI
Med Vet, Vicenza
Laureato all’Università di Bologna nel 1985 con Lode. Si
specializza nel 1991 in Clinica dei Piccoli Animali presso
l’Università di Milano con il massimo dei voti. Si dedica
alla neurologia dei piccoli animali dal 1989, da allora ha
trascorso periodi di aggiornamento in Italia e all’Estero.
Socio fondatore della Società Italiana di Dermatologia Veterinaria (SIDEV) e socio della Società Italiana di Neurologia Veterinaria (SINVET) dal 2000, ha partecipato, anche
come relatore, a numerosi seminari, corsi e giornate di approfondimento inerenti la neurologia e neurochirur gia dei
piccoli animali. Svolge esclusivamente, attività di referenza in neurologia clinica, neurochirur gia e traumatologia
della colonna vertebrale del cane e del gatto. Attualmente è
responsabile, presso la Diagnostica Piccoli Animali srl di
Zugliano (VI), della sezione di Neurologia e Risonanza
magnetica.
SABRINA GIUSSANI
Med Vet, Dipl Comportamentalista ENVF,
Busto Arsizio (VA)
Si laurea cum laude presso la facoltà di Medicina Veterinaria di Milano. Dal 1998 si occupa di Medicina Comportamentale. È diplomato DVMC presso l’Ecole Nationale
Française (2002). È autore, insieme al Dott. Colangeli, del
libro”Medicina comportamentale del cane e del gatto” (Poletto, 2004). Consegue nel 2004 il Master di specializzazione di 2° livello organizzato dall’Università di Medicina
Veterinaria di Padova in “Etologia applicata al benessere
animale”.
È Professore a contratto nel Master inerente la Medicina
Comportamentale organizzato dall’Università di Medicina
Veterinaria di Torino (2005). È professore a contratto dal
2007 nel corso di laurea breve Tutela e Benessere Animale
presso l’Università di Medicina Veterinaria di Teramo. È
socio di Zoopsy e di ESVCE.
GIOVANNI GHIBAUDO
Med Vet, Samarate (VA)
Laureato presso l’Università di Milano nel 1994, dal 1996
si occupa di dermatologia, otologia e citopatologia veterinaria frequentando numerosi congressi, seminari e corsi di
dermatologia veterinaria in Italia ed all’estero. È full
member dell’ESVD dal 1997 e della SIDEV dalla sua fondazione.
Relatore ai Congressi Nazionali e Internazionali. Lavora
come referente per la dermatologia presso diverse strutture veterinarie In Lombardia, Emilia Romagna e Marche.
Traduttore del libro “Dermatologia del cane e del gatto” di
Medleau e Hnilica 2° Ed. 2007.
Autore, insieme alla
Dr.ssa Noli, del libro “Dermatologia clinica e microscopica del cane e del gatto” Poletto Editore 2009. Autore del
libro “Principi di Video-otoendoscopia nel cane e nel gatto” Poletto Editore 2010. Autore di oltre 60 articoli su riviste veterinarie nazionali ed estere.
CRAIG E. GRIFFIN
DVM, Dipl ACVD, California, USA
Il Dr Griffin ha conseguito il titolo di Doctor of Veterinary
Medicine nel 1977 presso la Cornell University, College of
Veterinary Medicine, e poi ha portato a termine un periodo
di internato in medicina e chirurgia dei piccoli animali alla
University of Missouri, College, ed uno di residenza in
dermatologia ed allergia alla University of California, Davis, Veterinary Medicine. Nel 1981 ha ottenuto il diploma
dall’American College di dermatologia veterinaria. È stato
anche insignito dello Stanford University School of Medicine Outstanding Veterinary Dermatologist Award nel 1995
e dell’American College of Veterinary Dermatology Award
of Excellence nel 2001.
RAFFAELE GILARDINI
Med Vet, Voghera (PV)
Si laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università Statale di Milano nel 1988 con una tesi sperimentale dal titolo
“Peritonite Infettiva Felina: la tecnica ELISA nella diagno23
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Dal 1981 il Dr . Griffin ha esercitato la libera professione
nella California meridionale ed è stato il fondatore delle
cliniche di dermatologia veterinaria, ospedali specializzati
che si dedicano esclusivamente ai settori della dermatologia, allergia e otologia. Queste cliniche oggi servono quattro sedi a tempo pieno della California meridionale e parecchie cliniche satellite negli Stati Uniti occidentali. Presso queste strutture operano 8 diplomati dell’American College of Veterinary Dermatology, 3 associati e 2 residenti.
Il Dr. Griffin ha più di 45 pubblicazioni come autore principale o coautore. Fra i libri, è stato co-editor di Current
Veterinary Dermatology the Science and Art of Therapeutics e coautore di Muller & Kirk’s Small Animal Dermatology, V e VI edizione.
HANS S. KOOISTRA
Dvm, Phd, Dipl ECVIM-CA, Utrecht (NL)
S, Glasgow (UK)
Hans Kooistra followed an internship and a residency in internal medicine of companion animals at the Department of
Clinical Sciences of Companion Animals, Faculty of Veterinary Medicine, Utrecht University (from 1991-1994).
After the residency he became Assistant Professor (19942003) and Associate Professor (2004- now) at the same department.
Duties include patient care, education (to students, post
graduate training and training of interns and residents) and
research in internal medicine of companion animals, with
special emphasis on endocrinology and reproduction. In
1997 he became Diplomate of the European College of
Veterinary Internal Medicine-Companion
Animals
(ECVIM-CA).
He successfully (“cum laude”) defended his PhD thesis entitled “Adenohypophyseal function in healthy dogs and in
dogs with pituitary disease” in December 2000. Hans is
(co-)author of more than 100 peer -reviewed articles and
several book chapters.
LINDA J.I. HORSPOOL
BVMS, PhD, Dipl ECVPT, MRCVS, Glasgow (UK)
Dr. Horspool received her veterinary degree from the University of Glasgow Veterinary School, Scotland, in 1988.
She completed a Ph. D. program in veterinary pharmacology at the same university in 1992. Dr . Horspool is also a
Diplomate of the European College of Veterinary Pharmacology and Toxicology.
She spent six years in companion animal practice and a
year teaching veterinary pharmacology before joining Intervet International bv in Boxmeer, The Netherlands as the
Global Technical Lead for companion animal pharmaceutical products at Intervet. She has published more than 90
peer-reviewed articles, abstracts and book chapters as well
as reviewing articles for a number of journals. In her spare
time she enjoys horse riding and dog agility training with
her Belgian Shepherd (Groenedaeler) dog.
FEDERICO LEONE
Med Vet, Senigallia (AN)
Nel 1995 ha ef fettuato uno stage di dermatologia in Francia presso il Dr Eric Guaguère. Nel biennio 1998-1999 ha
frequentato la 5a sessione del Certificat d’Etude Superieures en Dermatologie Vétérinaire.
È full member dell’ESVD ed è attualmente Vicepresidente della SIDEV. È stato relatore a Congressi nazionali SCIVAC, AIVPA, docente per la Performat e dell’Itinerario di
Dermatologia della SCIVAC.
È autore di pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali, coautore dei libri “L’otite del cane e del gatto” (ed.
Poletto 2001), “Manuale pratico di parassitologia cutanea
del cane e del gatto” (ed. Pfizer 2003, 2007) e ha partecipato alla traduzione del libro “Guida pratica di Dermatologia Canina” (ed. Merial 2007). Dal 1998 lavora presso la
Cinica Veterinaria Adriatica di Senigallia (Ancona).
I suoi settori di interesse sono la parassitologia cutanea e
l’otologia.
HILARY JACKSON
BVM&S DVD Dipl ACVD MRCV
Hilary graduated from Edinbur gh University and spent
several years in general practice before specialising in veterinary dermatology. She is specialty boarded in the United Kingdom and the United States of America.
She has held academic positions at the University of Bristol and North Carolina State University and now works at
Dermatology Referral Practice in Glasgow and is an honorary teacher at the University of Glasgow
Veterinary
School.
Her research interests include food aller gy and atopic dermatitis. She is a current member of the International Committee of Atopic Disease of Animals (formerly the International Task Force on Canine Atopic Disease).
She has published widely and is co-editor of the 3rd edition
of the BSA VA Manual of Small Animal Dermatology (in
press).
CHIARA LOCATELLI
Med Vet, Dr Ric, Milano
Laureata con lode in Medicina Veterinaria presso la Facoltà di Milano nel febbraio del 2003.
Da maggio dello stesso anno collabora con il servizio di
cardiologia della clinica veterinaria Gran Sasso (Milano,
Italia), in particolare per la cardiologia interventistica, sotto la supervisione del Dr Claudio Bussadori. Nel Marzo
2008 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Scien24
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ze Cliniche Veterinarie presso l’Università degli Studi di
Milano. Ha trascorso periodi di formazione all’estero,
presso l’Hospital Clinico Veterinario di Murcia (Spagna),
reparto cardio respiratorio, sotto la supervisione della Prof.
MJ Fernandez Del Palacio. Attualmente ha un contratto di
ricerca presso la Sezione di Clinica Medica Veterinaria dell’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato articoli
su riviste nazionali ed internazionali ed è stata relatrice ed
esercitatrice a corsi di cardiologia ed ecocardiografia del
cane e del gatto.
LAURA MARCONATO
Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Oncology),
Hunenberg (Zug) (CH)
Laureata a Milano in Med Vet. Dopo la laurea si trasferisce
a Philadelphia (USA) presso il Veterinary Oncology Service and Research Center, occupandosi di oncologia medica.
Nel 2001-2003 è fellow visitor a UPenn (Dip. Patologia
Vet). Nel 2003-2009 lavora a Napoli, dove si occupa di oncologia. Nel 2003-2004 è professore a contratto presso l’Università di Napoli Federico II. Nel 2007-2009 è docente al
Master di Oncologia (Università di Pisa). Nel 2007-2009 è
professore a contratto presso l’Università di Bologna. Nel
2008 consegue il diploma del College Europeo di Medicina Interna- Oncologia. Dal 2009 al 2011 collabora con Animal Oncology and Imaging Center , Hunenberg, CH, dove
è co-responsabile dell’oncologia medica. Attualmente lavora al Centro di Oncologia di Sasso Marconi (BO). È stata relatrice a diversi seminari, congressi e corsi di oncologia. È autrice di vari testi (Poletto editore) e di numerosi
articoli. Fonda la SIONCOV e dal 2011 ne è presidente.
MARCO MAGGI
Med Vet, Voghera (PV)
Laureato a Milano nel 1996, inizia la sua esperienza professionale nel 1997 come Responsabile Sanitario del Centro Cinofilo del Biancospino, sede nel 2011 del primo corso riconosciuto Enci per Allevatori cinofili, corso di cui il
Dr. Maggi ne è relatore. Consigliere dell’Ordine dei Medici Veterinari della provincia di Pavia, gestisce il primo studio professionale nel 1997 di cui ne è unico socio. Cede tale struttura nel 2002 dopo aver fondato, in società con una
Collega, il proprio ambulatorio che gestisce dal 1999. Dal
2002 al 2007 svolge attività di consulenza scientifica per il
Breeder Club Nestlè Purina partecipando nel 2004 come
Responsabile Veterinario per la Delegazione Italiana Purina al Campionato del Mondo di Esposizione (Rio de Janeiro, Brasile). Dal 2004 al 2006 è consulente per l’ANMVI
(Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani) presso
il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano, Milano) per la definizione della Normativa Nazionale vigente in materia di
“ strutture veterinarie” e dal 2007 è responsabile perANMVI SERVIZI per il programma di gestione delle Strutture
Veterinarie “Servizio Chiavi in mano”. Consulente per il
canale Veterinario Nestlè Purina dal 2007 sino al 2010.
Collabora nel 2008 con Merial per la realizzazione di eventi sul MKTg e partecipa nel 2010 al Corso di Vet Manager
organizzato da Virbac presso la sede Francese di Nizza.
Dal 201 1 consulente esterno per Virbac sul progetto Vet
Manager Italiano.
CARLO MASSERDOTTI
Med Vet, Dipl ECVCP, Brescia
Si è laureato col massimo dei voti presso l’Università di
Milano nel 1990. Dal 1993 si occupa di patologia clinica
con particolare riferimento alla citopatologia diagnostica,
curando l’aggiornamento permanente in Italia ed all’estero.
È autore di pubblicazioni inerenti la citopatologia e l’ematologia ed è relatore a meeting nazionali ed internazionali.
Dal 1998 è istruttore e relatore al corso di Citologia or ganizzato dalla SCIVAC. Dal 2001 al 2004 ha ricoperto la carica di presidente della SICIV (Società Italiana di Citologia
Veterinaria).
Nel 2005 ha conseguito il diploma presso l’European College of Veterinary Clinical Pathology. Dal 2003 al 2006 ha
ricoperto la carica di vice-presidente dell’ESVCP (European Society of Veterinary Clinical Pathology). Nel 2008
ha conseguito il diploma di specializzazione in Biochimica
Clinica, presso l’Università degli Studi di Brescia.
VERONICA MARCHETTI
FRANCESCO MIGLIORINI
Med Vet, Dr Ric, Pisa
Med Vet, Roma
Laureata con lode presso la Facoltà di Medicina Veterinari
di Pisa nel 1996, ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca nel 2000. Nel 2003 si specializza a Pisa in Patologia
e Clinica degli Animali d’Af fezione con indirizzo Gastroenterologia. Autrice e coautrice di circa 30 pubblicazioni e relatrice a congressi nazionali, dal 2002 lavora come Ricercatore presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria dell’Università di Pisa dove si occupa di medicina interna con particolare interesse per la gastroenterologia,
l’oncologia e la citopatologia diagnostica.
Dicembre 1995: Consegue la laurea in medicina veterinaria discutendo una tesi dal titolo: “Ultrasonografia vascolare dell’aorta addominale nel cane” relatore Chiar .mo Prof.
Mario Fedrigo. Votazione 1 10/110 e lode. Giugno 1996Novembre 1996: borsista “Leonardo” presso l’”Animal
Medical Centre Referral Services”, Manchester UK. Durante questo periodo si occupa di ultrasonografia diagnostica applicata alla medicina interna e di cardiologia. Dicembre 1996: Practice observer presso il “Royal Veterinary
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College”, London UK. Il tirocinio è svolto nel dipartimento di radiologia con il Dr . Chris Lamb e il Dr . Finton Mc
Evoy.Febbraio 1998: partecipa al “The Animal Medical
Center’s Graduate Veterinarian Clinical Practices Program” New York U.S. Segue con particolare interesse l’attività del Service di Cardiologia coordinato dal Dr P. Fox e
dal Dr. B. Bond. Dal Gennaio 1997: svolge la libera professione a Roma con particolare riferimento alla diagnostica ecografica in medicina interna e alla clinica cardiologica. Dall’Agosto 1998: collabora in modo continuativo con
il Centro Veterinario Gregorio VII in Roma occupandosi
esclusivamente di diagnostica per immagini e cardiologia.
Autore e coautore di cinque pubblicazioni scientifiche su
riviste nazionali, internazionali e su atti di congressi riguardanti principalmente la diagnostica per immagini (ecografia), la cardiologia e la medicina interna.
STEFANO NICOLI
Med Vet, Modena
Laureato presso l’università di Bologna nel 1994, fino al
2004 ha svolto attività libero-professionale presso la Casa
di cura veterinaria S. Geminiano di Modena; dal 2004 ad
oggi collabora alcune strutture tra cui la Clinica Veterinaria Pirani di Reggio Emilia occupandosi di chirur gia dei
tessuti molli con particolare interesse per la chirurgia delle
alte vie urinarie, la chirur gia dell’apparato endocrino, la
chirurgia vascolare, la microchirurgia e la radiologia interventistica.
È socio della Società Italiana di Microchirur gia.
Dal 1 Ottobre 2008 è chirurgo a contratto presso l’ospedale didattico della facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Torino; sta seguendo il percorso per il conseguimento del titolo di Dottore di ricerca. Ha presentato numerose relazioni in congressi nazionali ed internazionali ed è
coautore di alcune pubblicazioni su riviste indicizzate.
DAVID MORGAN
BSc, MA, VetMB, CertVR, MRCVS, P&G Pet Care,
Geneva (CH)
GAETANO OLIVA
La prima laurea, in Biochimica, conseguita da David Morgan presso l’Università di Cardif f, è stata seguita nel 1986
da quella rilasciata dalla Facoltà di Medicina Veterinaria
dell’Università di Cambridge. Dopo brevi esperienze di lavoro con diversi ruoli, ha operato per sette anni nel settore
degli animali da compagnia, indirizzando i propri interessi
principalmente sulla chirurgia e sulla radiologia.
Nel 1990 ha ottenuto il Certificato in Radiologia Veterinaria. Nel 1993 ha iniziato a lavorare in una società privata,
fornendo consulenze tecniche nel Regno Unito, nei Paesi
Scandinavi ed in Sud Africa. È frequentemente coinvolto
in attività di informazione ed aggiornamento rivolta alla
classe medico veterinaria, docenti universitari e studenti.
Ha tenuto conferenze in tutta l’Europa ed in Sud Africa, in
occasione di congressi sia nazionali che internazionali.
Med Vet, Napoli
Si è laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università
degli Studi di Napoli Federico II, il 31/07/1984. Dal 1984
al 1987 ha trascorso un periodo di formazione presso l’Istituto di Clinica Medica Veterinaria della Facoltà di Napoli. È stato borsista per tre mesi (novembre 1990- febbraio 1991) presso il Department of Clinical Sciences of
Companion Animals, dell’Università di Utrecht, Olanda.
Dal 1987 al 1991 è stato Funzionario
Tecnico Laureato
presso l’Istituto di Clinica Medica Veterinaria della Facoltà di Med Vet, Napoli.
Dal 1991 al 2001 è stato Professore Associato di Terapia
Medica Veterinaria presso la stessa Facoltà. Dal 2001 è
Professore Ordinario; attualmente ricopre la cattedra di
Clinica Medica Veterinaria. Dal 2001 il Prof Oliva è il Presidente del Corso di Laurea Specialistica in Medicina Veterinaria della Facoltà di Napoli. I suoi interessi didattici e
di ricerca sono nel campo della Medicina Interna degli animali da Compagnia, con particolare riguardo agli aspetti
diagnostici, clinici e terapeutici delle malattie trasmesse da
vettori. È autore di 110 lavori a stampa, su riviste nazionali ed internazionali.
DANIELA MURGIA
Med Vet, Dipl. ECVS, MRCVS Zugliano (VI)
Newmarket (UK)
Si laurea con lode a Milano nel 1998. Intraprende un Internship seguito da un Residency in chirurgia presso la LMU
di Monaco di Baviera (D). Integra il suo training con diversi stages esteri. Diplomata ECVS dal 2006, ricopre cariche
di docenza presso la facoltà di medicina veterinaria di Monaco di Baviera. Rientra in Italia nel 2007 esercitando la libera professione. Dal 2008 è responsabile della chirurgia dei
tessuti molli e collabora con la sezione di neurologia presso
la Clinica Veterinaria “Diagnostica Piccoli Animali”, Zugliano (VI). Da novembre 2010 collabora part time con l’Animal Health Trust, Newmarket (UK) ricoprendo la posizione di chirurgo dei tessuti molli. È responsabile del 2° itinerario di chirurgia (2009-2011) per conto di SCIVAC e direttore del II e IV corso pratico di chirurgia.
VALENTINA PAPA
Med Vet, Dr Ric, Roma
Laureata presso la facoltà di medicina veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo nel 2001 con la tesi “Manifestazioni neurologiche associate alle sindromi paraneoplastiche del cane”. Dopo un periodo di formazione presso la
Klinik für kleine Haustiere, Tierärztliche Hochschule (Università di Hannover, Germania) e presso il Departement für
klinische Veterinarmedizin, Abteilung fur Neurologie
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(Università di Berna, Svizzera) ha svolto un residency in
neurologia veterinaria, un dottorato in medicina e terapia
d’urgenza veterinaria e un post-dottorato di due anni presso l’Università degli Studi di Teramo.
ANTONIO POZZI
Med Vet, MS, Dipl ACVS, Florida (Usa)
Alla laurea in medicina veterinaria, conseguita a Milano
nel 1997, segue una intership in medicina e chirur gia dei
piccoli animali presso l’Università dell’Ohio dal 2001 al
2002 e un Residency in chirur gia dei piccoli animali che
termina nel 2005. Si diploma all’American College of Veterinary Surgery nel 2006. Nel 2007, ha co-fondato il Comparative Orthopaedic Biomechanical Laboratory all’Università della Florida, coinvolgendo l’Università di Medicina, di Medicina Veterinaria e di Ingegneria. Dal 2006 è Assistant Professor in chirur gia ortopedica veterinaria e Adjunct Professor in chirurgia ortopedica (umana) all’Università della Florida. I suoi interessi clinici sono la chirur gia
mini-invasiva ortopedica, la chirur gia del ginicchio e la
chirurgia protesica. Ha ricevuto numerose awards per i
suoi lavori sulla biomeccanica delle osteotomie tibiali, sui
trattamenti meniscali e sulla fissazione delle fratture per
via mini-invasiva.
ANNA PASQUINI
Med Vet, Pisa
La dott.ssa Anna Pasquini si è laureata in Medicina Veterinaria presso l’Università di Pisa. Si è specializzata in Patologia e Clinica degli Animali d’Af fezione dell’Università
di Pisa, con indirizzo “Ematologia”.
Ha svolto un progetto di ricerca sull’influenza dell’alimentazione sul metabolismo lipidico nel cane finanziato con
Assegno di Ricerca biennale dall’Università di Pisa. Vincitrice di un posto di Dottorato di Ricerca finanziato dall’Università di Pisa su un progetto riguardante la valutazione
dello stress ossidativo nel cane. È autore e coautore di 28
pubblicazioni e comunicazioni scientifiche.
LIVIANA PROLA
MARCO POGGI
Med Vet, Imperia
Med Vet, Torino
Laureata in Medicina Veterinaria nel 2001 presso la facoltà di Torino. Dal 2002 al 2005 ha esercitato la libera professione in strutture private. Nel 2003 ha svolto attività di
ricerca presso la Ludwig Maximilians Universität – Muenchen (Germania) occupandosi di alimentazione del gatto.
Nel 2005 ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Produzioni Animali lavorando in modo specifico sull’alimentazione.
Dal 2005 è Ricercatrice presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino. Dal 2005 è docente, presso la stessa facoltà, dei corsi: “Allevamento ed Alimentazione degli Animali da compagnia non convenzionali” e “Zootecnia speciale” e dal 2010 del corso “Dietetica clinica del cane e del
gatto”.
Nel 2006 ha svolto attività di ricerca presso il Linus Pauling Institute della Oregon State University (USA) sul progetto “Nuovi marker dello stress ossidativo”.
Laureato in Medicina Veterinaria nel 1989 (1 10/110). Ha
conseguito nel 1994 Specializzazione in Sanità Animale
(70/70) con lode. È stato istruttore poi relatore ai Corsi di
Cardiologia SCIVAC dall’1996 è attualmente vice presidente della Società italiana di Cardiologia. Docente al Master di Cardiologia presso la Facoltà di Torino. Autore e coautore di 30 pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali e atti congressi, relatore a seminari sulla Leishmaniosi
e l’ipertensione sistemica i suoi principali campi di interesse. Esercita la libera professione presso il Centro Veterinario Imperiese dove in qualità di Direttore Sanitario si
occupa di Cardiologia e Medicina Interna.
MARZIA POSSENTI
Med Vet Comport., Cassano D’Adda (MI)
Nel 1996 si laurea in Medicina Veterinaria con una tesi sui
marcatori di benessere e vince la borsa di studio S.I.S. Vet.
Dal 1996 esercita la libera professione occupandosi di medicina del comportamento, di animali esotici e di patologie
del comportamento in cane, gatto ed animali esotici. È socia SISCA e SIVAE dal 1996. Fornisce consulenze via internet sul comportamento del coniglio per diverse associazioni. Ha pubblicato articoli su riviste scientifiche e divulgative. È stata relatrice a seminari, corsi ed eventi formativi sisca, scivac e sivae.
È formatore ai corsi per volontari dell’ENP A e di alcune
ASL. È relatore al corso per istruttori cinofili della SIUA.
È stata coordinatrice del gruppo di studio SISCA nord est,
dal 2008 è segretario-tesoriere della SISCA e dal 2007 gestisce il sito della società.
TIM PUDDLE
Direttore Responsabile della Consulenza in Clinica, UK
Dopo essersi laureato a pieni voti in Scienze Economiche
(Contabilità e Finanza), Tim ha lavorato come dirigente
commerciale e marketing presso “l'università del marketing” - Procter e Gamble. Dopo 7 anni lascia la Procter e
Gamble per allar gare le sue esperienze e lavorare per due
società di consulenza gestionale, per poi mettersi in proprio nel 1993. In qualità di Direttore della Smart In Corporates Ltd, Tim ha prestato la sua consulenza a clienti di primo piano quali Kraft Foods, Pepsi-Cola, Sony , Colgate,
Nielsen e Hilton Hotels. Dal 1995 Tim ha lavorato con Hil29
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65° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
l's Pet Nutrition, azienda leader nel settore dell'alimentazione del cane e del gatto, per sviluppare le vendite dei suoi
prodotti attraverso negozi e cliniche veterinarie. Questa
esperienza ha portato Tim a creare la Consulenza In Clinica quale attività dedita specificamente alla consulenza per
cliniche veterinarie. La Consulenza in Clinica (IPC) fornisce alle cliniche veterinarie suggerimenti, assistenza pratica e contatti per lo sviluppo del marketing ed incremento
delle vendite. La società fornisce consulenza a singole cliniche e tiene seminari per numerosi gruppi di cliniche veterinarie in tutta Europa.
Sassari, e nello stesso anno partecipa ai corsi del 17th Annual Veterinary Dental Forum di San Diego. Nel 2005 è relatore ed istruttore al master di 2° livello in gastro-enterologia dell’Università di Teramo e relatore al 14° European
Congress of veterinary dentistry di Ljubljana. Nel 2006 effettua una stage presso il J. R yan Vet.Hospital of Pennsylvania. Attualmente è direttore sanitario di DENT ALVET e
vicepresidente della SIODOV.
ANTONELLA RAMPAZZO
Med Vet, Dipl ECVO, Torino
Laurea in Medicina Veterinaria presso la Facoltà di Torino,
2000. Internship all’Ospedale Veterinario dell’Università
di Torino, 2000-02. PhD in Scienze Cliniche Veterinarie
presso l’Università di Torino, 2004. Residency Program in
Oftalmologia presso l’Università di Torino e l’Università
di Zurigo, Svizzera, 2004-2006. Oftalmologa libera professionista e per l’Università di Torino, 2006. Clinical instructor presso il Servizio di Oftalmologia, Università di
Zurigo, Svizzera, 2007. Responsabile del Servizio di Oftalmologia Veterinaria dell’Università di Berna, Svizzera,
2007-2009. Diplomata del College Europeo di Oftalmologia Veterinaria, 2009. Libera professionista dedicata all’oftalmologia, Torino, 2009-ad oggi.
ROBERTO RABOZZI
Med Vet, Vasto (CH)
Laureato con il massimo dei voti in Medicina Veterinaria
nel 2002. Dopo numerosi periodi di formazione in Italia ed
all’estero è attualmente direttore sanitario di una propria
struttura. Dal 2008 svolge attività di ricerca con borsa presso la Cattedra di Cardiochirurgia della Facoltà di Medicina
dell’Università di Chieti. Dal 2009 collaborazione saltuaria
con la cattedra di medicina legale dell’Università di Foggia
per la ricerca su modelli animali. Dal 2010 è uno degli
Study Coordinator dello studio randomizzato internazionale RED-CABG (Reduction in Cardiovascular Events by
AcaDesine in Subjects Under going CABG) promosso da
Schering-Plough Research Institute.
Autore o coautore di numerose pubblicazioni su importanti riviste sia umane (Heart, Atherosclerosis, European Journal of Cardio-Thoracic Sur gery, Interact Cardiovasc Thorac Sur g) che veterinarie (V eterinary Sur gery, Veterinary
Anaesthesia and Analgesia), è autore inoltre di comunicazioni congressuali sia in ambito umano (Società Italiana di
Chirurgia Cardiaca-Roma 2008, Asian Society Cardiovascular and Thoracic Sur gery-Taipei 2009) che veterinario
(AVA-PARIS 2007, SCIV AC-Rimini 2007-2008, WSAVA
2010). Attuale campo di ricerca la flussimetria coronarica
nell’uomo, l’applicazione clinica dei calcolatori del rischio
cardiochirurgico nell’uomo, lo studio della funzione cardiovascolare in corso di anestesia nel cane e gatto, la farmacocinetica (PK) e farmacodinamica (PD) degli anestetici intravenosi nel cane e gatto.
GIORGIO ROMANELLI
Med Vet, Dipl ECVS, Milano
Laureato in Medicina Veterinaria nel 1981 presso l’Istituto
di Clinica Chirurgica della Facoltà di Medicina Veterinaria
dell’Università di Milano, relatore il Prof. Renato Cheli.
Subito dopo la laurea partecipa ad un programma di chirurgia sperimentale sul trapianto di cuore e di pancreas. Libero professionista lavora in provincia di Milano occupandosi totalmente di casi di riferimento di oncologia e chirurgia dei tessuti molli. Charter Member e, dal luglio 1993,
diplomato all’European College of Veterinary Sur geons.
Presidente SCIV AC nel periodo 1993-1995. Presidente
SCVI nel periodo 1998-2004. Segretario SIONCOV . Ha
presentato relazioni ad oltre 85 congressi e meeting nazionali ed internazionali. Editor e coautore del testo “Oncologia del cane e del gatto” edito da Elsevier-Masson. Ha soggiornato per periodi di studio presso le università di Cambridge (UK), North Carolina (USA) e Purdue-Indiana
(USA) I suoi hobbies sono la pesca a mosca e la coltivazione di alberi bonsai.
MIRKO RADICE
Med Vet, Milano
Diplomatosi come odontotecnico lavora in campo umano
per poi dedicarsi alla veterinaria, laureandosi a Milano nel
1996. Consegue l’attestato del 1°corso di odontostomatologia scivac nel 2000. È autore e coautore di pubblicazioni
su riviste nazionali ed estere.
Dal 2002 svolge l’attività di istruttore e relatore nei corsi di
odontoiatria scivac. Nel 2003 è relatore ed istruttore al corso teorico-pratico di odontostomatologia dell’università di
FEDERICA ROSSI
Med Vet, SRV, Dipl ECVDI, Sasso Marconi (BO)
Laureata nel 1993 a Bologna, con lode, ha ricevuto il “Premio Rotary Corsi di Laurea” per il miglior Curriculum di
Laurea nell’Anno 92/93. Dopo diversi periodi di formazio32
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ne all’estero, ha conseguito nel 1997 il Dipl di Spec. in Radiologia e nel 2003 il Dipl del College Europeo in Diagnostica per Immagini (ECVDI). È autrice di oltre 40 pubblicazioni nazionali ed internazionali, revisore e coautore di
testi scientifici.
È Presidente della Soc. Italiana di Diagnostica per Immagini (SVIDI) e Past-President della Società Europea (EAVDI). Ha lavorato come Ober -assistent alle Univ. di Berna,
Philadelphia e Murdoch. Dal 2008-2009 è Prof. a contratto
e consulente per la TC per la Facoltà di Med. Vet. dell’Univ. di Torino. Dal 1994 lavora a Sasso Marconi (BO),
svolgendo attività di referenza in Radiologia, Ecografia e
TC. Dal 2010 è Presidente SCIVAC.
DIEGO SAROTTI
Med Vet, Cuneo
Nato a Fossano il 24/01/1975, si laurea a pieni voti in Medicina Veterinaria a Torino il 24/09/1999 con una tesi sull’Indice di replicazione cellulare del linfoma canino e prognosi ad essa correlata. Effettua sei mesi di tirocinio a Roma presso la Clinica Gregorio VII con particolare interesse verso l’anestesia e la medicina d’ur genza. Da 10 anni si
occupa principalmente di anestesia in alcune strutture per
piccoli animali della provincia di Cuneo ed in modo continuativo presso il Centro Veterinario Fossanese e il Centro
Veterinario Saluzzese. È cofondatore del Centro Veterinario Fossanese. È stato relatore della Società Italiana di
Anestesia loco regionale veterinaria dal 2005-2008 e Direttore dei Corsi di anestesia Epidurale ef fettuati nel 2008
sempre per la stessa società. Relatore del corso di anestesia
locoregionale SCIVAC 2010 del 14-15 Marzo. È autore di
numerose comunicazioni congressuali in merito allo sviluppo delle tecniche di anestesia loco regionale alcune delle quali in corso di pubblicazione.
FABIO SANGION
Med Vet, Padova
Laureatosi presso La Facoltà di Veterinaria dell’Università
degli Studi di Bologna nel 1985, si è dedicato da allora alla cura degli animali d’af fezione, con particolare attenzione a chirurgia e ortopedia del cane e gatto, presso la Clinica Veterinaria Strada Ovest di Treviso. Dal 1987 al 1992 ha
svolto vari periodi di aggiornamento presso il Centro Veterinario Gregorio VII di Roma. Nel 1992 è stato ospite dell’Istituto di Clinica Chirur gica della Colorado State University. Coordinatore del Gruppo di Studio di Chirurgia dei
Tessuti Molli dal 94 al 98, è stato relatore presso vari corsi e convegni nazionali.
Dal 2004 al 2009 ha collaborato con la Facoltà di Medicina Veterinaria di Padova con lezioni durante i corsi di Patologia Chirurgica e Clinica Chirur gica. Da Gennaio 2010
fa parte dello staf f chirurgico presso la Clinica Veterinaria
San Marco di Padova.
NICO J. SCHOEMAKER
DVM, Phd, Dipl ABVP-AVIAN, Dipl ECZMAVIAN, Dipl ECZM-Small Mammal, Utrecht (NL)
Nico Schoemaker graduated from the Faculty of Veterinary
Medicine in Utrecht 1994. This was directly followed by
an internship in Companion Animal Medicine at the Department of Clinical Sciences of Companion Animals and
a Residency in Avian Medicine and Sur gery at the same
University. His residency led to certification as an avian
specialist in the Netherlands, Europe (Diplomate of the European College of Avian Medicine and Surgery [ECAMS])
and the USA (Diplomate of the American Board of Veterinary Practitioners [ABVP] – certifi ed in Avian Practice).
In 2003 he defended his PhD entitled; Hyperadrenocorticism in ferrets. He has never left the university and is still
working at the Division of Zoological Medicine. Since
April 2009 the ECAMS was incorporated into a broader
specialist college named European College of Zoological
Medicine (ECZM). Within this college he is a founder
diplomate of the small mammal specialty. As it is only possible to hold one specialist title in Europe he has chosen to
become a specialist in small mammal medicine.
ROBERTO SANTILLI
Med Vet, Phd, Dipl ECVIM-Ca (Cardiology),
Samarate (VA)
Laureato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano nel 1990. Si è diplomato al E.C.V .I.M.-C.A. (Cardiology) nel 1999.
Nel 2010 consegue il dottorato di ricerca presso la facoltà
di medicina veterinaria di Torino. Lavora presso la Clinica
Veterinaria Malpensa in Samarate (Varese) come referente
per la cardiologia. È stato professore a contratto in cardiologia per l’anno 1997-1998 l’Università degli Studi di Milano e per l’anno 2003-2004 e 2005-2007 presso l’Università degli Studi di Torino.
Negli anni 2004-2006 ha seguito il Master in elettrofisiologia ed elettrostimolazione presso la facoltà di medicina
dell’Università dell’Insubria. È autore di numerose pubblicazioni di cardiologia su riviste nazionali ed internazionali. Il suo principale settore di ricerca sono la diagnosi e la
terapia delle aritmie nel cane.
MARCO VIOTTI
Med Vet, Torino
Laureato a Torino nel 1994 con una tesi sperimentale sull’embriogenesi cardiaca,si occupa esclusivamente di piccoli animali. Ha frequentato numerosi corsi di aggiornamento scivac, nonché congressi e seminari. Attualmente vicecoordinatore del Gruppo di Studio di Practice Management, membro del consiglio direttivo di Amnvi Piemonte,
si occupa esclusivamente di medicina interna e practice
management.
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ANNEMARIE VOORBIJ
DVM, Utrecht (NL)
LUCA ZILBERSTEIN
Med Vet, PhD, Dipl ECVAA, Maison Alfort, (F)
After she graduated from Utrecht University in March
2009, Annemarie undertook a one year Internship in Small
Animal Medicine, after which she started her Residency in
Small Animal Internal Medicine in 2010. Annemarie is a
PhD-candidate and is (co)-author of several articles and
abstracts and she presented her work at dif ferent international congresses.
Her work on pituitary dwarfism was rewarded with the first
prize for the best poster of the Tissue Repair program presented at the Veterinary Science Day and with the Intervet
International Award, for the best endocrine abstract presented at the European College of Veterinary Internal Medicine Congress.
Laureato a Napoli con lode nel 1998. Ha conseguito il PhD in
Anestesia dei piccoli animali in collaborazione tra l’Università di Napoli (2001) e quella di Maisons-Alfort (2002 Francia). Diplomato del collegio europeo in anestesia ed analgesia (ECVAA), dal 2002 è Professore associato in anestesiologia e rianimazione all’Università di medicina Veterinaria di
Parigi (Maisons-Alfort) e ne dirige il dipartimento di anestesiologia piccoli animali dal 2008. È stato relatore a numerosi
congressi internazionali ed è autore di numerose pubblicazioni. Attivo membro di diverse associazioni di anestesia e rianimazione europee, il suo campo di ricerca è focalizzato
sulla rianimazione e ventilazione nei piccoli animali.
ERIC ZINI
Med Vet, PD, PhD, Dipl ECVIM-CA
(Internal Medicine), Novara
GIORDANA ZANNA
Med Vet, Dipl ECVD, PhD, Bari
Laureata all’Università di Bari nell’anno 2000, ha lavorato come libero professionista presso cliniche veterinarie e
seguito programmi di externship in dermatologia veterinaria presso le Università di Liverpool e Bristol (UK). Nel
2005 ha iniziato un Residency di specializzazione in dermatologia veterinaria presso l’Universitat Autònoma de
Barcelona con il conseguimento del Diploma del College
Europeo di Dermatologia Veterinaria (ECVD) nel 2010.
Presso la medesima istituzione universitaria ha completato nel novembre del 2010 anche un programma di PhD
sulla patogenesi della mucinosi-ialuronosi cutanea nei cani di razza shar-pei. Autrice di articoli pubblicati su riviste
internazionali, ha come area di interesse lo studio dell’acido ialuronico e delle patologie cutanee e sistemiche ad
esso correlate.
Il Dr. Eric Zini si è laureato presso la Facoltà di MedicinaVeterinaria di Torino con lode e dignità di stampa nel 1999. Nel
2005 si è diplomato al College Europeo di Medicina Interna
(Dipl. ECVIM-CA, Internal Medicine) presso la Facoltà di
Medicina Veterinaria di Zurigo (Svizzera) e nel 2006 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca (PhD) presso la Facoltà
di Medicina Veterinaria di Torino. Dal 2005 è leader del
gruppo di ricerca di Diabetologia ed Endocrinologia della Facoltà di Medicina Veterinaria di Zurigo. Nel 2010 è “Privat
Dozent” (PD) presso la medesima Facoltà. Attualmente lavora ed è direttore scientifico presso l’IstitutoVeterinario di Novara. È autore e coautore di oltre 60 articoli scientifici su riviste internazionali. Le maggiori ricerche scientifiche sono
svolte nell’ambito della diabetologia ed endocrinologia, oncologia e nefrologia dei piccoli animali.
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ATTI CONGRESSUALI
Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del r elatore e quindi in ordine cronologico di presentazione.
CONGRESS PROCEEDINGS
The abstracts are listed in alphabetical order by surname and then in c hronological order of presentation.
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Neurologia clinica e neuroanatomia funzionale:
cosa c’e’ di nuovo
Massimo Baroni
Med Vet, Dipl ECVN, Monsummano Terme (PT)
L’avvento della diagnostica per immagini avanzata ha provocato una vera e propria rivoluzione nell’approccio al paziente neurologico consentendo diagnosi e conseguenti approcci
terapeutici fino a pochi anni fa impensabili, soprattutto in
ambito veterinario. La letteratura è tuttavia pressoché unanime
del dimostrare che solo una stretta correlazione tra dati clinici
e risultati derivati dagli esami collaterali può consentire diagnosi accurate limitando gli errori interpretativi. In particolare
in Neurologia la localizzazione neuroanatomica della lesione
continua ad essere centrale nella valutazione del paziente e
l’affinamento interpretativo della neuroanatomia funzionale
continua ad essere di fondamentale importanza.
Scopo della presentazione è quello di fornire un aggiornamento di neuroanatomia funzionale derivante sia dall’esame
della recente letteratura sia dall’esperienza clinica maturata
dall’autore. I concetti di base ormai patrimonio culturale
consolidato per chi si occupa di neurologia veterinaria vengono dati per acquisiti e non verranno trattati e l’autore si
soffermerà su alcuni punti che contengono elementi di novità e di importanza ai fini clinici
Una domanda che spesso i clinici si pongono è relativa al
lato di lesione rispetto ai segni clinici. In altri termini: Quale punto neuroanatomico delimita la tendenza di una lesione
lateralizzata a manifestarsi ipsilateralmente o controlateralmente? Tale punto può essere identificato al passaggio tra
mesencefalo e ponte. Lesioni caudali al mesencefalo provocano deficit dell’andatura, emiparesi ipsilaterale e deficit
delle reazioni posturali sullo stesso lato.
È stato detto che lesioni al cervello anteriore non provocano paresi. Ciò è vero nella maggioranza dei casi. È però da
rimarcare che lesioni emisferiche estese ad insor genza iperacuta (soprattutto di origine vascolare o traumatica) possono
causare una emiparesi controlaterale che si risolve nei 2-3
giorni successivi all’evento patogeno. Tale evenienza è molto rara ed è stata documentata dall’autore di queste note in
un solo caso nell’ambito di una attività clinica ventennale.
TIPI DI ATASSIA
L’atassia è un deficit di andatura di tipo sensoriale. Distinguiamo tre tipi di atassia: vestibolare, cerebellare e propriocettiva generale. L’atassia propriocettiva generale deriva da
una lesione alle vie ascendenti della propriocezione cosciente: fascicolo gracile e cuneato, nucleo gracile e cuneato, fibre
arcuate profonde, lemnisco mediale). Quest’ultimo tipo di
atassia viene classicamente definito come atassia sensoriale,
spinale, motoria. Questi termini sono tuttavia inadeguati
e l’unico termine che dovrebbe essere usato è quello di atassia propriocettiva. L’atassia è il risultato della perdita del
senso della posizione del corpo nello spazio.
L’atassia di tipo cerebellare è caratterizzata da dismetria,
la manifestazione più evidente della quale è l’ipermetria,
ossia movimenti degli arti più ampi del dovuto. L’ipermetria
si può riscontrare sia in corso di lesioni cerebellari sia in corso di lesioni spinali che provochino lesione ai fasci spinocerebellari ascendenti. L’ipermetria di origine spinale è particolarmente frequente in caso di lesioni cervicali alte (C1C5). Spesso è clinicamente possibile distinguere l’origine
cerebellare da quella spinale. Infatti nelle lesioni spinali l’ipermetria si somma alla rigidità da lesione UMN, per cui ne
deriva un movimento ampio con arto rigido. Nelle lesioni
cerebellari l’andatura è scoordinata con movimenti ampi non
associati ad ipertono muscolare. Inoltre per localizzare a
SISTEMA MOTORIO E GENESI
DELL’ANDATURA
È comune evidenza clinica che il sistema corticospinale e
comunque le strutture prosencefaliche siano poco importanti ai fini di una corretta andatura. A differenza dei primati,
negli animali di nostra osservazione l’integrità del tronco encefalico garantisce una andatura normale, ovvero in
assenza di segni paresi od atassia. I fasci motori discendenti
importanti per l’andatura appartengono al sistema extrapiramidale ed hanno origine dalla sostanza reticolare del ponte
(tratto pontino reticolospinale) e del midollo allungato
(tratto midollare reticolo spinale). In passato si sono creati equivoci sulla funzione del nucleo rosso mesencefalico e
sul connesso fascio discendente rubrospinale. Alcuni autori hanno considerato il fascio rubrospinale come la più
importante via motoria negli animali. In realtà è stato visto
sperimentalmente che l’ablazione del nucleo rosso non interferisce con l’andatura. Si può quindi af fermare che, almeno
da un punto di vista clinico, solo lesioni acute o croniche
riguardanti il mesencefalo caudale, il ponte e il bulbo causano alterazioni motorie di tipo paretico.
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
livello cerebellare devono essere presenti importanti segni
clinici concomitanti di cui il tremore intenzionale è il caposaldo.
la fase rapida. Il nistagmo può essere orizzontale, rotatorio,
verticale, posizionale, con cambio di direzione al variare
della posizione della testa.
In prima istanza occorre una precisazione sul nistagmo
posizionale, spesso non correttamente interpretato: si definisce posizionale il nistagmo spontaneo che insorge quando si
cambia la posizione del soggetto (es. si posiziona il paziente in decubito dorsale). Il nistagmo posizionale deve essere
distinto dal nistagmo che varia di direzione al variare della
posizione della testa. Quest’ultima forma di nistagmo è
associata alle sindromi vestibolari centrali.
Classicamente anche il nistagmo verticale era associato alle
sindromi centrali. Attualmente tale concetto è stato parzialmente rivisto. È molto difficile riscontrare clinicamente un
nistagmo verticale puro. Spesso, ad una attenta e prolungata
osservazione viene riscontrata una componente rotatoria anche
in quei pazienti che sembrano mostrare ad un primo esame un
nistagmo verticale. Di conseguenza il nistagmo verticale non
è più considerato tra i parametri da prendere in considerazione per tipizzare la natura centrale del problema.
Il nistagmo patologico si caratterizza solitamente per la
direzione opposta al lato sede di lesione.
È stato recentemente riportato, anche se non è esperienza
dell’autore, che in alcune sindromi vestibolari centrali la direzione del nistagmo è verso il lato di lesione.
In sintesi gli elementi clinici che possono orientare verso
una sindrome centrale piuttosto che periferica sono costituiti da: deficit propriocettivo, nistagmo che varia al variare
della posizione della testa, nistagmo con direzione verso il
lato di lesione. Ovviamente la concomitanza di altri segni
clinici come presenza di tetra paresi può ulteriormente orientare il clinico verso la corretta localizzazione.
SEGNI VESTIBOLARI IN CORSO
DI LESIONI DIENCEFALICHE
O AI NUCLEI DELLA BASE
Il diencefalo e nuclei della base fanno parte a tutti gli
effetti del cervello anteriore. I segni clinici riscontrati in caso
di lesioni a queste strutture sono quelli tipici e ben conosciuti. In caso di coinvolgimento dell’ipotalamo, segni clinici di tipo neuroendocrino possono essere più caratterizzanti
da un punto di vista neuroanatomico.
Occasionalmente e sempre in associazione a lesioni iperacute di tipo infartuate (infarti lacunari), sono stati riscontrati segni clinici di tipo vestibolare (testa ruotata, in alcuni
casi nistagmo). Tali segni sono stati descritti sia per lesioni
al nucleo caudato, sia per lesioni talamiche o subtalamiche.
I segni clinici sono solitamente controlaterali alla lesione.
Tale sindrome clinica è stata inizialmente riportata come
“cervical distonia” dagli autori che l’hanno descritta.
Anche il sistema vestibolare deve avere una via ascendente per la percezione cosciente dell’equilibrio. Tale via è
poco definita negli animali, anche se si ipotizza che potrebbe essere strettamente associata alla via cosciente del sistema uditivo. La via partirebbe dai nuclei vestibolari per
decorrere in direzione rostrale attraverso il mesencefalo e
terminare nel nucleo genicolato mediale controlaterale del
talamo. Dal talamo fibre ascendenti attraverso la caspula
interna giungerebbero a livello della corteccia temporale. Un
compartecipazione delle vie striatopallido talamocorticali è
altresì ipotizzata.
MIOSI
La miosi bilaterale è spesso legata a patologia prosencefalica acuta (spesso traumi cranici od estese vasculopatie).
Da un punto di vista neuro anatomico tale segno può essere
spiegato con la perdita dell’azione inibitoria del motoneurone superiore (MNS) sui nuclei dell’oculomotore con iperattività dell’azione parasimpatica di quest’ultimo. Miosi, di
solito monolaterale, è presente anche per lesioni delle vie
neuro anatomiche simpatiche che innervano la pupilla e si
inquadra nella sindrome di Horner . Tale via simpatica comprende una parte centrale (ipotalamo,via tetto tegmentale,
sostanza grigia da T1 a T4) e una parte periferica (radici ventrali T1-T4, simpatico cervicale acsendante, ganglio cervicale craniale, innervazione della pupilla). Nella sindrome di
Horner solitamente la lesione è periferica a livello del neurone di secondo o terzo ordine. Tuttavia, seppur raramente,
lesioni della via tettotegmentale possono causare sindrome
di Horner (soprattutto miosi).
Sono state segnalate miosi bilaterali in associazione a
lesioni estese midollari C1-C5 causate da incidenti automobilistici e legate a danno delle vie tettotegmentali. In tali
situazioni si impone una attenzione particolare per distinguere la sede di lesione in rapporto alla miosi stessa (lesione prosencefalica acuta o lesione delle vie tettotegmentali).
SINDROMI VESTIBOLARI CENTRALI E
PERIFERICHE
I segni clinici caratterizzanti la sindrome vestibolare sono
estremamente facili da riconoscere. Più difficile, anche per
clinici esperti, è distinguere tra sindrome vestibolare periferica e centrale.
La valutazione della propriocezione conscia è classicamente l’elemento più discriminante: deficit della propriocezione conscia in lesioni centrali, assenza di deficit in lesioni
periferiche. Spesso, in testi anche di recente pubblicazione,
si parla non tanto di deficit della propriocezione conscia
quanto di deficit delle reazioni posturali. Secondo l’autore
delle presenti note ciò può indurre in errori clinici. Nell’esecuzione di reazioni posturali più complesse della propriocezione conscia, gioca infatti l’integrità di vie neuro anatomiche (es. fascio vestibolo spinale), compromesse funzionalmente sia nelle sindromi centraline periferiche. In particolare l’ipotono ipsilaterale tipico di ogni sindrome vestibolare
può causare difficoltà interpretative sia nella valutazione del
saltellamento che della spinta posturale estensoria.
In corso di sindrome vestibolare può essere presente nistagmo. La direzione del nistagmo è, per convenzione, quella del-
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Solitamente la miosi da lesione simpatica non abolisce la
risposta agli stimoli luminosi, a dif ferenza di quanto avviene nelle lesioni prosencefaliche.
che la perdita improvvisa di sinapsi da parte del motoneurone superiore sui motoneuroni alfa dell’intumescenza lombosacrale possa causare un danno funzionale al corpo neuronale stesso tale da impedirne la funzione per un certo tempo.
Un’altra ipotesi è costituita dalla constatata abnorme presenza di glicina, neurotrasmettitore inibitorio, nell’intumescenza lombosacrale dei pazienti affetti.
Lo shock spinale potenzialmente può essere riscontrato in
tutte le sindromi iperacute, indipendentemente dalla causa.
Tuttavia è evidenza clinica che sia più frequente nei disturbi
di origine vascolare. Il neurologo clinico dovrebbe tenere in
seria considerazione questa possibilità onde non incorrere in
errori di localizzazione.
SINDROME DEL SENO CAVERNOSO?
Segni clinici riportabili a lesione concomitante dei nervi
cranici III, IV, VI e dei nervi oftalmico e mascellare (V) possono essere riscontrati in caso di patologie localizzate a
livello della fossa media, lateralmente alla ghiandola pituitaria. Tale situazione clinica viene spesso definita “sindrome
del seno cavernoso” nella maggioranza dei testi di neurologia. Tale termine è comunque scorretto poiché i nervi coinvolti decorrono adiacenti al seno cavernoso ma tale struttura
non è necessariamente coinvolta nella patogenesi di tale
patologia. Da un punto di vista neuro anatomico la sede di
lesione andrebbe indicata come “fossa media”.
ANDATURA SPINALE?
Soprattutto nelle mielopatie toracolombari da estrusione
discale acuta con paziente plegico ed assenza della nocicezione profonda, può capitare che ci sia una certa ripresa funzionale con ritorno ad una deambulazione efficace in persistenza dell’assenza della sensibilità profonda. In questi casi
classicamente si parla di “andatura spinale”. Si sa che a
livello di intumescenza esiste una rete di interneuroni correlati all’interno della sostanza grigia (central pattern generator) in grado di modulare l’attività dei motoneuroni al fine
dello sviluppo di un’andatura efficace sebbene non coordinata dai centri superiori.
È stato tuttavia visto che in questi pazienti la sezione sperimentale del midollo nel punto della lesione iniziale provoca una nuova ed irreversibile paraplegia.
In realtà in buona parte dei pazienti classificati come “spinali” persistono delle fibre periferiche midollari che passano
a ponte sul sito di lesione e che garantiscono quel minimo di
funzione sufficiente per un ripristino dell’andatura. È quindi
improprio parlare di andatura spinale.
Tipicamente questi soggetti hanno assenza della sensibilità dolorifica profonda e mantengono incontinenza urinaria.
A COSA SERVONO I COLLICOLI
ROSTRALI?
I collicoli rostrali, facenti parte del tetto mesencefalico
assieme ai collicoli caudali, fanno parte del sistema visivo
ed hanno organizzazione laminare. Attraverso il braccio dei
collicoli si connettono con il nucleo genicolato laterale.
Ricevono assoni dalla corteccia cerebrale soprattutto visiva
e dal midollo spinale. Dai collicoli fibre efferenti raggiungono i nuclei dei nervi cranici III, IV e VI (fasci tettonucleari),
il midollo spinale (fasci tettospinali), il cervelletto (fasci tetto cerebellari). L’attività efferente dei collicoli è importante
per l’attivazione dei muscoli deputati all’orientamento della
testa e del collo in rapporto agli stimoli visivi. È comunque
clinicamente poco identificabile una sindrome caratterizzata
lesioni esclusive a livello dei collicoli.
IPOREFLESSIA NELLE LESIONI
MIDOLLARI TORACOLOMBARI
I pazienti con lesioni midollari toracolombari (T3-L3)
presentano solitamente un grado variabile di disfunzione
motoria degli arti posteriori in associazione a riflessi spinali
posteriori intatti od aumentati. Nelle sindromi iperacute gravi, soprattutto di origine vascolare (emboli fibrocartilaginei),
nelle prime ore dall’insor genza della paraplegia, si può
riscontrare uno stato di ipotono e di iporeflessia posteriore,
in presenza di lesioni focali a localizzazione T3-L3. Tale stato di iporeflessia perdura per alcune ore, mentre la diminuzione del tono muscolare persiste per 10-14 giorni.
Tale
fenomeno paradosso è stato attribuito al cosiddetto “shock
spinale”, fenomeno clinicamente molto più evidente nei primati. Lo shock spinale non è ben spiegato da un punto di
vista neuroanatomico, al di là di alcune ipotesi. Si ipotizza
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Leggenda e realtà sull’encefalitozoonosi del coniglio
Marco Bedin
Med Vet, PhD, Padova
infiltrazione perivascolare o quelle di encefalite granulomatosa (meningoencefalite) non suppurativa focale o multifocale prevalentemente a carico della corteccia cerebrale. Le
lesioni renali sono rappresentate da nefrite granulomatosa
focale con cellule mononucleari. Sono stati documentati
anche casi di grave nefrite interstiziale cronica, con formazione di tessuto cicatriziale conseguente a fibrosi, e granulomi multifocali. Il contagio intrauterino determina tipicamente uveite facoclastica, che si manifesta con maggiore
incidenza nei giovani. L’uveite, alla quale può conse guire
cataratta, è caratterizzata dall’infiltrazione del cristallino di
granulociti, macrofagi e cellule giganti, e conseguente rottura della capsula. La lesione è di solito monolaterale, senza
apparente perdita della visione.
In corso di encefalitozoonosi sono descritti anche processi infiammatori a livello di altri tessuti e or gani (polmoni,
fegato, cuore), in particolar modo durante la fase cronica.
La flogosi sembrerebbe causata da una risposta infiammatoria generalizzata, piuttosto che dall’invasione delle cellule dell’ospite da parte del parassita. L’immunosoppressione
accentua la comparsa di lesioni negli animali infestati in
modo sperimentale.
ENCEFALITOZOON
E IL SUO CICLO BIOLOGICO
L’agente eziologico dell’encefalitozoonosi è Encefalitozoon cuniculi, un parassita intracellulare obbligato appartenente al Phylum dei microsporidi. È un microrganismo eucariota che per le sue caratteristiche specifiche e secondo studi molecolari recenti sembra essere più simile ai procarioti,
quindi più ai funghi che ai protozoi.
Le spore sono eliminate nell’ambiente attraverso le urine
(e probabilmente le feci) di animali infetti, le quali una volta ingerite da un nuovo ospite arrivano all’intestino dove,
attraverso un filamento polare, trasferiscono il loro protoplasma negli enterociti dando inizio all’infestazione. Nelle
cellule infestate si vengono quindi a formare delle nuove
spore (sporogonia) che, crescendo, determinano la rottura
della cellula ospite con la loro liberazione nell’organismo. A
questo punto le possibilità di dif fusione sono essenzialmente due: le spore possono dif fondere nello stesso or ganismo
attraverso il sistema circolatorio, raggiungendo altri or gani
come l’encefalo o il rene (ma anche polmone, fegato e cuore), oppure possono rappresentare fonte di contagio per altri
animali nel momento in cui sono eliminate attraverso le urine. L’eliminazione delle spore avviene in modo intermittente. L’infestazione è possibile anche per via verticale dalla
madre infetta al feto per via transplacentare.
SINTOMI E SEGNI CLINICI
L’infestazione da E. cuniculi ha decorso cronico, e la sintomatologia clinica può apparire a distanza di diverse settimane o mesi. I sintomi caratteristici sono di tipo neurologico o renale, ma possono anche essere presenti segni riferibili a uveite facoclastica. Sintomi e segni possono comparire
singolarmente oppure in concomitanza fra loro, in tempi analoghi oppure diversi. I sintomi predominanti che inducono il
proprietario a portare a visita il proprio coniglio sono di natura neurologica. L’insorgenza dei sintomi è spesso acuta ed è
conseguente ad un evento stressante, di qualsiasi natura.
I sintomi neurologici riferibili ad encefalitozoonosi sono
di tipo vestibolare, quali inclinazione della testa, ata ssia,
movimenti in circolo, nistagmo, e movimenti di rotolamento. Anche in conigli con gravi deficit neurologici (quali inclinazione laterale della testa, nistagmo, strabismo, ipermetria, atassia, movimenti in circolo e di rotolamento, incapacità di mantenere la stazione quadrupedale) lo stato generale è buono e il paziente continua ad alimentarsi. Sono fre-
SPETTRO D’OSPITE
L’ospite naturale di Encefalitozoon cuniculi è il coniglio.
Negli ultimi anni, questo parassita è stato frequentemente
isolato in altre specie di mammiferi (cane, gatto, cavallo,
bovino e in circostanze particolari anche nell’uomo, rappresentando una potenziale zoonosi) e in alcune specie di uccelli (rapaci e psittaciformi).
FISIOPATOLOGIA
Dopo circa tre mesi dall’infestazione, le alterazioni più
significative avvengono a livello del sistema nervoso centrale (SNC) e al rene. Le lesioni caratteristiche a livello del
SNC possono essere di entità variabile, da quadri di liev e
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quenti anche tremori della testa e barcollamento, mentre più
raramente si osservano convulsioni e paresi.
La maggior parte dei pazienti affetti da nefrite cronica interstiziale possono essere subclinici. Tali nefropatie non sono
quindi facili da diagnosticare. La diagnosi di grave insuf ficienza renale è tutt’altro che frequente e i conigli che ne sono
affetti mostrano sintomi clinici aspecifici come disoressia,
perdita di peso, letargia e disidratazione.
terapia sintomatica per il controllo delle crisi convulsive
(quando presenti), dei tremori o del rotolamento, somministrando benzodiazepine (Diazepam 1-5 mg/Kg IM o IV ,
Midazolam 1-2 mg/Kg IM o IV). Basandosi sulla considerazione per cui i sintomi clinici neurologici derivano da
una risposta infiammatoria dei tessuti in seguito alla rottura delle cellule del SNC, alcuni colleghi utilizzano i corticosteroidi a dosaggi non immunosoppressivi per periodi
limitati allo scopo di ridurre la reazione infiammatoria,
così come viene eseguito in altre specie di animali per trattare la meningoencefalite granulomatosa. Il trattamento
mediante corticosteroidi è controverso a causa degli ef fetti
immunosoppressivi.
Horvath et al (1998) hanno dimostrato come, basse
dosi di ciclofosfamide ripetute nel tempo, siano in grado di modificare la risposta immunitaria dei soggetti trattati nei confronti di E. cuniculi. A causa della stretta correlazione tra azione del parassita e sistema immunitario dell’ospite, e per la mancanza di studi specifici, è bene essere cauti nella somministrazione di questi farmaci a pazienti sieropositivi ma asintomatici.
La terapia causale prevede la somministrazione di farmaci quali l’albendazolo e il fenbendazolo. Nonostante
l’albendazolo sia ben tollerato ed ef ficace nel cont rollo
dell’infestazione, è embriotossico e teratogeno. Il fenbendazolo invece, al dosaggio di 20 mg/Kg die PO per 28 giorni, non solo è privo di ef fetti collaterali ma è in grado sia
di controllare che di prevenire l’infestazione in conigli sieronegativi. Suter et al nel 2001 hanno dimostrato, infatti,
che conigli infestati naturalmente durante terapia con fenbendazolo, al dosaggio sopra indicato, non solo sono risultati sieronegativi ma non è stato possibile isolare il parassita dal tessuto cerebrale.
Hanno altresì dimostrato come dopo la terapia con fenbendazolo, in conigli sieropositivi infettati naturalmente
non è stato possibile isolare il parassita dal tessuto cerebrale. La terapia di supporto consiste nel sostenere le funzioni organiche e nel migliorare le condizioni di vita dell’animale. Alcuni pazienti possono avere dif ficoltà alla
prensione del cibo e per ciò vanno aiutati; altri possono
presentare anoressia e devono essere alimentati di conseguenza; altri possono mostrare disidratazione o sintomi di
lieve insufficienza renale e richiedono un trattamento specifico.
ITER DIAGNOSTICO
L’iter diagnostico prevede la raccolta dell’anamnesi e l’esecuzione della visita clinica completa. Le indagini collaterali sono rappresentate dalla diagnostica di laboratorio e per
immagini. L’esecuzione di radiografie del cranio, in particolar modo la proiezione ventro-dorsale, permette di
valutare la presenza di otite media e/o interna con empiema delle bolle timpaniche, spesso determinato da Pasteurella multocida, che può essere responsabile della sintomatologia vestibolare. L ’analisi ematologica del siero è il
metodo diagnostico più importante ai fini della diagnosi
intra vitam d’infestazione da E. cuniculi. Sono stati sviluppati diversi test sierologici come l’IF A e il test ELISA.
Secondo Booth et al (2000) e Jordan et al (2006), le due
metodiche mostrano una buona correlazione tra i risultati.
Nei conigli da laboratorio, gli anticorpi sono identificabili
nel siero tre settimane dopo l’infestazione. La sieroconversione può essere dimostrata almeno due settimane prima della
localizzazione intracellulare dell’organismo, e almeno quattro
settimane prima della comparsa delle lesioni istologiche a
livello renale o dell’identificazione dell’or ganismo nelle urine. Le lesioni cerebrali si riscontrano solo circa otto settimane dopo l’inizio della risposta anticorpale. Di conseguenza, il
titolo anticorpale rimane elevato anche dopo diversi mesi dall’esposizione ad E. cuniculi poi diminuisce leggermente e può
persistere per anni con livelli fluttuanti.
Uno studio recente ha documentato che l’analisi del liquido cefalo rachidiano (LCR) può essere d’aiuto nella diagnosi clinica di encefalitozoonosi, nonostante la complessità della sua esecuzione. Tuttavia, la pleocitosi linfomonocitaria e l’aumento delle proteine totali del LCR sono
riscontri caratteristici anche di altre encefaliti, virali, protozoarie o immunomediate.
L’immunità passiva è trasmessa dalla madre infetta al piccolo, e gli anticorpi materni possono essere individuati fino
all’età di quattro settimane. Dopo un periodo di sieronegatività, la sieroconversione come risposta a un’infestazione attiva
si sviluppa nei giovani tra le otto e le dieci settimane di vita.
Nelle urine, è possibile identificare la presenza delle spore mediante PCR (Polymerase Chain Reaction) dopo 3-5 settimane dalla sieroconversione. Tale metodica è possibile
anche post mortem a carico di altri tessuti.
E. CUNICULI COME POTENZIALE
ZOONOSI
Encefalitozoon cuniculi è stato segnalato per la prima
volta da Wright e Craighead nel 1922 in alcuni conigli da
laboratorio, che presentavano atassia non locomotoria. Successivamente, sono stati condotti molti studi al fine di indagare il potenziale zoonotico nei confronti dell’uomo, nel
quale E. cuniculi è in grado di determinare infezioni opportunistiche in particolar modo in soggetti af fetti da HIV , e
potenzialmente in soggetti non immunocompetenti. Nel
genere Encefalitozoon sono state riconosciute altre specie
in grado di infettare l’uomo: E. hellem ed E. intestinalis.
TERAPIA E CONTROLLO DELLA MALATTIA
Non esiste un protocollo terapeutico standard, ma poiché
la sintomatologia è variabile, si può mettere in atto una
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Indirizzo per la corrispondenza:
Marco Bedin
Clinica Veterinaria Euganea - Dipartimento di Medicina e
Chirurgia degli Animali Esotici - Via Tiziano 6,
Monselice (PD), Italy
Ospedale Veterinario i Portoni Rossi s.r.l. - Reparto di Medicina e
Chirurgia degli Animali Esotici - Via Roma 57/a,
Zola Predosa (BO), Italy
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Tutto quello che può succedere tra atlante
ed epistrofeo
Marco Bernardini
Med Vet, Dipl ECVN, Padova
Daiana Marabese, Med Vet, Bologna
La regione atlanto-epistrofea presenta alcune peculiarità
anatomiche che la rendono unica rispetto al resto del rachide cervicale e, in generale, della colonna vertebrale:
• assenza di un disco intervertebrale;
• presenza del processo odontoide dell’epistrofeo;
• presenza della cisterna magna;
• presenza di strutture articolari con il contiguo osso occipitale del neurocranio.
• presenza di strutture legamentose uniche: legamenti trasverso, apicale, alari ed atlantoassiale dorsale.
Le connessioni funzionali con la porzione più aborale del
neurocranio sono così importanti, che spesso ci si riferisce
alla regione “occipito-atlanto-assiale” come un insieme funzionale, sede spesso di complessi meccanismi patogenetici.
Le patologie che si possono presentare a livello atlantoassiale possono quindi essere suddividibili in tre classi:
1. riscontrabili solo in questa regione;
2. comuni ad altri tratti del rachide cervicale, ma statisticamente più frequenti in questa regione;
3. riscontrabili a questo livello come in qualsiasi altro tratto del rachide cervicale.
Al contrario, in questa sede non potranno presentarsi e
quindi non verranno tr attate tutte le patologie che coinvolgono il disco intervertebrale (ernie, discospondiliti), che statisticamente costituiscono la classe di problemi più frequenti del rachide cervicale.
to ad un evento minore che destabilizzi l’equilibrio raggiunto. La diagnosi è radiografica. In proiezione laterolaterale si evidenzia un’eccessiva distanza tra lamina dell’atlante ed estremità craniale del processo spinoso dell’epistrofeo, evidenziabile con una minima flessione del collo.
L’assenza o la frattura del processo odontoideo può essere
evidenziata effettuando proiezioni oblique, ventrodorsali o
a bocca aperta. La risonanza magnetica (RM) fornisce ulteriori informazioni ed è utile per evidenziare il grado di sofferenza midollare.
ALTERAZIONI CONGENITE
Le alterazioni congenite del rachide cervicale craniale non
sono frequenti, se si escludono le già citate alterazioni del
dente dell’epistrofeo. Solo in alcuni casi hanno ripercussioni sul midollo spinale e a volte esse sono rilievi occasionali
durante studi radiologici ef fettuati per la diagnosi di altre
patologie. Difetti di segmentazione possono coinvolgere l’epistrofeo, che tende a costituire un blocco con le vertebre più
caudali. L’atlante può essere interessato da incomplete ossificazioni.
SINDROME DA MALFORMAZIONE
OCCIPITALE CAUDALE (COMS SINDROME SIMIL-CHIARI DI TIPO I)
SUBLUSSAZIONE ATLANTOASSIALE
Patologia riscontrabile principalmente nel Cavalier King
Charles Spagnel (CKCS), questa sindrome è segnalata anche
in altre razze di piccole dimensioni. Nel CKCS la COMS è
dovuta a fattori ereditari ed è secondaria a modificazioni dei
rapporti anatomici tra le strutture nervose situate in fossa
posteriore. Lungo la linea sagittale mediana si assiste ad
una dislocazione verso il forame magno della componente
ventro-aborale del verme cerebellare, che tende ad erniare.
Ciò provoca una riduzione del sottostante spazio subaracnoideo, fino ad un certo grado di compressione della giunzione tra midollo allungato e midollo spinale. Queste alterazioni in fossa posteriore sono causa di turbolenze nel flusso del LCR, che possono portare ad alterazioni pressorie
locali e che, con il tempo, possono causare ipertrofia e
fibrosi meningea. Contemporaneamente è comune un qua-
L’articolazione C1-C2 può essere af fetta da malformazioni congenite, che impediscono una corretta relazione tra
le parti: la più frequente è l’assenza o l’ipoplasia del dente
dell’epistrofeo, mentre l’assenza di uno o più legamenti è
molto più rara. Anche se normalmente presente, il dente può
essere malformato, con una certa angolazione verso il canale vertebrale. La patologia acquisita più frequente è la frattura traumatica del dente dell’epistrofeo. Il risultato finale è
una sublussazione atlantoassiale con secondaria mielopatia
compressiva.
Le lesioni congenite interessano generalmente le razze
toy nel primo anno di vita, ma sono state segnalate anche in
soggetti di taglia grande e nel gatto. Alcune possono rimanere asintomatiche per lungo tempo e manifestarsi in segui-
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dro di idrosiringomielia del midollo spinale cervicale o cervicotoracico.
Il quadro clinico compare fra i tre e i sei anni di età e può
variare da sintomi cervicali a quadri cerebellari, vestibolari
ed epilettici. Nella maggior parte dei casi si registrano dolore cervicale e frequenti grattamenti del collo e della regione
della spalla. Possono anche comparire deficit a livello di arti
anteriori, raramente negli arti posteriori, alterazioni della
reazione alla minaccia, strabismo posizionale, paresi del nervo facciale. Per la diagnosi di COMS è fondamentale uno
studio RM, che permette di evidenziare le alterazioni anatomiche della fossa posteriore e i quadri di idrosiringomielia.
il tratto cervicale è il più interessato, di solito caudalmente al
secondo segmento. Nei problemi cervicali craniali si nota
tetraparesi spastica con dolore, eventualmente accompagnate da torcicollo e rigidità muscolare. Per una diagnosi definitiva in vitam si deve ricorrere alla RM o alla TC.
CISTI ARACNOIDEE
La calcinosis circumscripta consiste nel deposito di cristalli di calcio, in genere a carico dei tessuti connettivi; generalmente idiopatica, si manifesta per lo più a livello articolare. A livello spinale, la patologia riguarda cani generalmente nel primo anno di vita, coinvolge i tessuti connettivali
interposti tra le lamine dorsali di atlante ed epistrofeo e può
arrivare a comprimere il midollo spinale.
Formazioni ad eziologia dubbia, di cui è stata ipotizzata
un’origine congenita, vascolare, traumatica o infiammatoria.
A seconda del singolo caso, più di una di queste teorie è plausibile. La definizione di cisti è fuorviante, sia perché le pareti
che la delimitano mancano di un vero epitelio, sia perché tale
struttura non è completamente delimitata, presentando ampie
comunicazioni con lo spazio subaracnoideo. I soggetti colpiti
a livello cervicale sono generalmente cani di taglia grande e di
età giovane. I cani di razza Rottweiler sono particolarmente
esposti al problema. La cisti si forma più facilmente a carico
dello spazio subaracnoideo dorsale e la regione della seconda
vertebra cervicale è interessata non di rado. La sintomatologia
è cronica focale e di solito non causa dolore. La diagnosi delle forme spinali si ottiene tramite mielografia o RM.
FRATTURE
MIELOPATIA ISCHEMICA
Le fratture vertebrali del rachide cervicale in seguito a
cadute o incidenti automobilistici sono frequenti nella clinica
dei piccoli animali. L ’atlante e l’epistrofeo sono le vertebre
più frequentemente interessate. La sintomatologia è ovviamente acuta, ma può non riflettere la gravità della lesione. La
radiologia convenzionale, la TC e la RM permettono di evidenziare le diverse caratteristiche della lesione.
Tale patologia si manifesta frequentemente nel cane. Sono
colpiti generalmente i soggetti di razze medio-grandi o
giganti. Non esiste una chiara predisposizione di età: di solito, tale patologia colpisce soggetti con più di 2 anni di vita.
Si tratta di un’ischemia necrotizzante focale e spesso lateralizzata del midollo spinale, dovuta nella maggior parte dei
casi all’occlusione di un vaso da parte di materiale fibrocartilagineo proveniente dal nucleo polposo del disco intervertebrale. A seconda della distribuzione degli emboli, il processo può interessare maggiormente la sostanza grigia, la
sostanza bianca o ambedue in egual misura. Questa patologia può coinvolgere qualsiasi tratto del midollo spinale e la
localizzazione cervicale non è tra le più frequenti. La sintomatologia è quasi sempre estremamente lateralizzata e
insorge durante intensa attività fisica. Fino all’avvento della
RM, la diagnosi di mielopatia ischemica era per esclusione,
formulata in base alla sintomatologia, all’assenza di forme
compressive del midollo spinale alla mielografia e all’assenza di alterazioni significative del LCR. La RM permette di
effettuare una diagnosi più diretta di mielopatia ischemica.
CALCINOSIS CIRCUMSCRIPTA
IDROMIELIA - SIRINGOMIELIA
Per siringomielia s’intende la presenza di una o più cavità neoformate all’interno del midollo spinale. Tale condizione dovrebbe essere distinta dall’idromielia, che definisce
un’ectasia di un tratto più o meno lungo del canale centrale
del midollo spinale. In entrambe le condizioni, il LCR riempe le cavità. Poiché le due malformazioni causano una sintomatologia simile ed è dif ficile dif ferenziarle in vitam,
anche utilizzando i metodi diagnostici più avanzati, talvolta
i due termini sono usati assieme: “idrosiringomielia”.
Dal punto di vista patogenetico, l’idromielia, congenita od
acquisita, è causata da squilibri pressori intracanalari, solitamente dovuti ad ostruzioni che impediscono il normale flusso craniocaudale del LCR. La siringomielia verosimilmente
consiste nel riempimento con LCR di cavità formate da ematomi, necrosi o infiammazioni del tessuto nervoso (sarebbe
necessaria una comunicazione con lo spazio subdurale o con
il canale centrale), oppure si può ipotizzare una rottura nella
parete del canale centrale, con fuoriuscita nel parenchima
nervoso di LCR che, per la sua pressione, ampierebbe progressivamente la cavità iniziale. Tali malformazioni si possono verificare in tutta la lunghezza del midollo spinale, ma
NEOPLASIE
Qualsiasi tipo di neoplasia può interessare il primo tratto
del rachide cervicale. Tra i tumori extradurali si possono
elencare quelli metastatici e neoformazioni che si sviluppano primariamente a carico delle strutture che circondano il
rivestimento durale: osteosarcomi, mielomi multipli, emangiosarcomi sono fra i più frequenti.
Tra i tumori intradurali-extramidollari, frequenti a livello
atlantoassiale, si annoverano principalmente i menigiomi. A
livello cervicale essi sono generalmente benigni. Comprimendo il midollo spinale, essi causano una sintomatologia
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quentemente in cani che in gatti. Colpiscono prevalentemente il tratto cervicale e toracico.
I tumori intramidollari sono i più rari e di solito non causano dolore. Per la loro diagnosi la RM costituisce l’esame
di elezione. È l’unica metodica che permette di evidenziare
masse intramedullari di dimensioni ancora ridotte e caratterizzate da assenza di captazione del m.d.c.
cronica e progressiva; tuttavia, non sono infrequenti casi
acuti. Il dolore è spesso presente, sia per il coinvolgimento
delle meningi sia per la compressione di strutture ossee circostanti, che possono andare incontro a fenomeni di lisi e di
riassorbimento; quest’ultimo aspetto non è tipico dei meningiomi, ma è comune ad altre neoplasie. Radiologicamente, i
meningiomi appaiono come masse intradurali-extramidollari. I maschi sono più soggetti delle femmine secondo un rapporto di 2:1. A volte, l’immagine radiografica può simulare
una compressione extradurale. Con la RM si può evidenziare la localizzazione intradurale e un aspetto a “tee golf” nelle immagini dorsali pesate in T2, non dissimile da quello
evidenziato nelle immagini mielografiche. Altre caratteristiche sono un ampio contatto meningeo ed eventualmente la
classica coda durale. I tumori dei nervi periferici spinali
sono relativamente frequenti nel cane e presentano una
nomenclatura parecchio confusa. Oggigiorno si tende a d
usare il termine di “tumore maligno della guaina del nervo
periferico” (MPNST), anche se in realtà non tutti queste
neoplasie sono istologicamente maligne. Queste neoplasie
sono di solito segnalati in soggetti > 4-5 anni di età e più fre-
Address for correspondence:
Marco Bernardini
Servizio di Neurologia - Ospedale Veterinario “I Portoni Rossi”
Zola Predosa (BO) - Tel. +39.051.755233
E-mail: [email protected]
Dip. Scienze Cliniche Veterinarie
Università degli Studi di Padova
Tel. +39.049.8272609 - E-mail: [email protected]
Daiana Marabese
Servizio di Neurologia - Ospedale Veterinario “I Portoni Rossi”
Zola Predosa (BO) - Tel. +39.051.755233
E-mail: [email protected]
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Aspetti endoscopici non comuni, rari e unici
di malattie tracheali
Diana Bertoncello
Med Vet, Padova
La trachea è un organo tubiforme che si estende dalla cartilagine cricoide fino alla biforcazione bronchiale ed è costituita da una serie, da 35 a 45,di anelli di cartilagine ialina incompleti dorsalmente. Le estremità dorsali degli anelli sono unite
fra loro dal muscolo tracheale dorsale liscio e da connettivo,
mentre i vari anelli sono uniti fra di loro dal legamento tracheale anulare. L’endoscopia ha lo scopo di valutare l’integrità della trachea, il colore e l’aspetto della mucosa respiratoria,
che deve risultare di aspetto umido e colore rosa fra gli anelli
tracheali e più chiara al di sopra degli stessi, con presenza di
minime secrezioni di aspetto limpido; si deve inoltre evidenziare una fine trama capillare sottomucosa e deve essere possibile distinguere la successione degli anelli.
Le alterazioni tracheali descritte in questa presentazione
sono: tracheite, ipoplasia tracheale, stenosi, traumi, corpi
estranei e neoformazioni.
diametro ridotto. L’esame endoscopico consente di evidenziare l’assenza di muscolo tracheale dorsale e l’eventuale
sovrapposizione degli anelli cartilaginei; con l’endoscopia è
importante valutare la presenza eventuale di altre anomalie
dell’apparato respiratorio. Non esiste una terapia specifica,
se non tenere sotto controllo le infezioni respiratorie ricorrenti, con terapie antibiotiche per periodi lunghi.
STENOSI TRACHEALE
È una patologia poco comune dovuta alla riduzione segmentaria e non dinamica (ovvero non si modifica in relazione alla fase respiratoria) del diametro tracheale; fra le
cause ricordiamo: reazione cicatriziale esuberante da trauma, anomalie vascolari, neoplasia intra- ed extratracheale,
necrosi da pressione causata da cuf fiatura del pallone del
tracheotubo. Il cane mostrerà dif ficoltà inspiratoria e/o
espiratoria. L’endoscopia è fondamentale per identificare
localizzazione del tratto stenotico, diametro, estensione e
natura della stenosi.
La terapia delle stenosi tracheali è spesso complessa e a
volte impossibile; possono essere ef fettuate resezioni segmentali se la lesione è a livello di trachea cervicale mentre è
possibile applicare stent se è presente una compressione dall’esterno.
TRACHEITE
La tracheite rappresenta un problema comune nel cane e
meno frequente nel gatto. Le cause di tracheite sono prevalentemente infettive; nel cane forme virali (Adenovirus di
tipo 2, Parainfulenza, Herpesvirus), batteriche (Bordetella
bronchiseptica) e parassitarie (Filaroides osleri); mentre nel
gatto raramente Herpesvirus e Calicivirus possono determinare tracheite. I rilevi endoscopici comprendono eritema
mucosale, edema con perdita della definizione della trama
vascolare sottomucosa e della lucentezza mucosale, essudato, fino a erosioni mucosali, irregolarità della superficie
mucosa e lesioni multiple micro nodulari.
TRAUMA TRACHEALE
Fra le cause più frequenti di lesioni tracheali ricordiamo
le ferite da morso, le lesioni da impropria cuf fiatura del pallone del tracheotubo e, nel gatto, traumi non penetranti del
torace. Il quadro clinico è dato da dispnea e pneumoderma,
mentre l’esame radiografico permette di evidenziare pneumomediastino associato o meno a pneumotorace. Nel gatto,
è descritta l’avulsione tracheale intratoracica come conseguenza di un forte trauma (in genere da investimento) con
forzata e violenta iperestensione del collo. Il quadro radiografico mostra una sorta di “dilatazione tracheale” in corrispondenza del mediastino craniale, associato a pneumotorace ed eventuale pneumoderma.
L’endoscopia evidenzia l’estensione della lesione, la mancata integrità degli anelli tracheali, la presenza eventuale di
IPOPLASIA TRACHEALE
È frequente nelle razze brachicefale, nella quale il diametro tracheale risulta uniformemente diminuito. A differenza
della trachea normale, dove gli anelli tracheali hanno forma
a C, nell’ipoplasia tracheale gli anelli risultano completamente chiusi e le parti terminali possono essere addirittura
sovrapposte, con scomparsa del muscolo tracheale dorsale.
Il cane avrà dispnea inspiratoria ed espiratoria, diminuita
resistenza all’attività fisica e infezioni respiratorie ricorrenti. L’esame radiografico mostra la trachea uniformemente di
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richiede necessariamente un endoscopia. La terapia varia a
seconda della presentazione clinica, e risulta indispensabile
identificare e correggere ogni causa secondaria in grado di
scatenare la sintomatologia respiratoria.
In caso di presentazione acuta, il cane deve essere stabilizzato, sedato e quindi trattato con antiinfiammatori, supplementazione di ossigeno, ed abbassamento della temperatura corporea se ipertermico.
In caso di presentazione cronica la terapia si basa sul controllo farmacologico della tosse con sedativi oppioidi. Il
controllo dei fattori complicanti, come l’obesità, le patologie
cardiache, le infezioni concomitanti, le polveri e gli irritanti
ambientali è indispensabile. In presenza di grave sintomatologia è possibile l’applicazione chirurgica di protesi ad anello extratracheali. Recentemente sono state impiegati stent a
rete non ricoperta di acciaio o nitinolo. I pazienti devono
essere selezionati con cura, ed è importante escludere quelli
che presentano cause aggiuntive di tosse cronica (bronchite
cronica, polmonite, cardiopatie congestizie, neoplasie polmonari, filariosi cardiopolomonare). Il proprietario dovrà
sapere che anche con uno stent il cane dovrà ricevere terapie
farmacologiche a vita.
strutture erniate a livello intra-tracheale (esofago) e di collasso dinamico, e permette di decidere l’approccio terapeutico. Le lacerazioni tracheali possono essere trattate conservativamente o chirurgicamente.
CORPI ESTRANEI
I corpi estranei (CE) tracheali sono più rari dei bronchiali.
La mancanza di una anamnesi compatibile rende spesso dif ficile sospettare la presenza di CE tracheali e l’esame radiologico può non mettere in evidenza ostruzioni causate da elementi
radiotrasparenti. In generale il contenuto d’aria della trachea
consente una buona visualizzazione di elementi intratracheali
e possono essere evidenziati segni secondari di sub occlusione
tracheale rappresentati da intrappolamento d’aria a livello polmonare. L’esame endoscopico consente una precisa identificazione del CE ed una sua rapida estrazione.
COLLASSO TRACHEALE
Il collasso tracheale (CT) è caratterizzato da un appiattimento in senso dorso ventrale degli anelli tracheali, associati a notevole lassità della membrana tracheale dorsale.
Le cause non sono completamente note: si ritiene dipenda
dall’associazione di una anomalia primaria della cartilagine, con conseguente indebolimento degli anelli, associata
ad una o più cause secondarie “scatenanti” che aggravano
il problema primario.
È una patologia dinamica ed il diametro della trachea
varia durante le varie fasi del respiro; quando il collasso è
presente a livello di trachea cervicale lo schiacciamento
dell’organo si manifesta in inspirazione mentre se il collasso è a livello intratoracico la riduzione del diametro si
evidenzia in espirazione. Colpisce quasi esclusivamente
razze toy e cani di piccola taglia; come lo yorkshire terrier,
il barboncino toy , il pinscher , il chihuahua, mentre occasionalmente in animali di taglia medio-grande. L ’età alla
quale i cani vengono portati a visita è 6-7 anni anche se la
tosse è progressivamente ingravescente da anni. Non vi è
predilezione di sesso.
La tosse è il segno clinico principale, con episodi parossistici, scatenati da eccitazione, attività fisica anche molto
modesta, trazione del guinzaglio sul collare; è una tosse secca, aspra e sonora, a volte simile al verso di un’anatra. Il CT
viene diviso in 4 livelli, a seconda della riduzione di diametro del lume tracheale. La diagnosi può essere eseguita con
varie tecniche, ma la conferma e la precisa “stadiazione”
TUMORI TRACHEALI
Sono rari nel cane e nel gatto. Le neoplasie benigne sono
generalmente proliferazioni osteocartilaginee in pazienti
giovani con centri di ossificazione osteocondrali ancora attivi (condromi, osteocondromi, encondromi), oncocitomi e
leiomiomi; fra i tumori maligni, i più frequenti sono il linfoma nel gatto e il carcinoma nel cane. Non vi è prevalenza di
razza e sesso, e in genere colpiscono animali adulti/anziani.
I sintomi sono: tosse, dif ficoltà inspiratoria con stridore,
dispnea grave di tipo espiratorio. L ’endoscopia risulta indispensabile per valutare la lesione (base d’impianto, colore,
compattezza) e per eseguire campionamenti. È possibile eseguire una chirurgia con resezione di un tratto tracheale, una
rimozione con ansa da polipectomia, o un’ablazione laser
sotto controllo endoscopico.
BIBLIOGRAFIA
Venker-van Haagen A.J. The trachea and bronchi. In Ear , nose, throat, and
tracheobronchial diseases in dogs and cats. Schlutersche Hannover ,
2005 pag 167-208.
Clifford CA, Soremno KU Tumors of the larynx and the trachea. In King
LG ed. Textbook of respiratory disease of dogs and cats. Saunders St
Louis MI 2004: 339-345.
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Dietary Management of Food-Responsive Enteropathy
(FRE)
Géraldine Blanchard
DVM, PhD, Dipl ECVCN, Antony (F)
Food intolerance include various conditions, and may
have various consequences, including enteropathy with diarrhea, colitis, but also vomiting… (dermatology troubles are
not considered here).
Food-responsive enteropathy may include intolerance/
allergy/hypersensitivity… all terms used here equally even
discussable.
In case of suspected FRE, an elimination diet can be implemented (Figure 1). The objective is to propose a diet containing only ingredients that the animal has never eaten before.
A compendium of food history is a prerequisite to get an
idea, as accurate as possible, of food that the animal may
have consumed earlier in its life, and possibly those with
whom he would react more specifically (eg, a cat who vomits systematically when eating canned food “with duck” or
“with salmon” or a dog with diarrhea and scratching every
time he is given beef, etc..).
Once this history has been carefully made, the ingredients
of the elimination diet can be chosen. It usually takes horse
meat as a source of animal protein, because few animals
have ever used. But if the patient belongs to a horse-butcher, he may need to turn first to the beef, etc..
Figure 1 - Decision tree for the conduct of an elimination diet.
* If the first elimination diet is selected industrial, change to a home made elimination diet
* If the suspect food is a petfood, it completely replaces the elimination diet If it is an ingredient such as beef, it replaces only
horse meat in the elimination diet.
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After 4 to 8 weeks, if clinical signs have disappeared with
the elimination diet, one must practice a test of provocation,
first to expose the animal to the suspected food (so far skin
tests have no interest in the cats and dogs to search for food
allergens). If the test is positive, that is to say, if clinical
signs, even light, reappear , then return to the food tolerated
(the elimination diet).
Then suspect ingredients, usually a protein source like
meat or fish, or eggs, can be tested one by one by replacing
the meat in a home-made elimination diet unless clinical
signs recurred between time.
If the tolerated diet is a balanced petfood (“hypoallergenic”,” low aller gen”…), and is well tolerated, it is possible to add a protein source (like a small quantity of meat or
fish or egg) by 4 to 8 weeks also in addition to the industrial diet. However , this can lead to intolerance or allergies.
This is not the gold standard.
The disadvantage of an elimination diet has long been its
imbalance, since it is most often made of meat (horse) and
baked potatoes (with skin). But the situation may be greatly
improve through by the provision of raw rapeseed oil, which
reduces the amount of potatoes and bring essential fatty acids.
One can also provide an adapted vitamin and mineral supplement with no flavoring or preservatives. The calcium, vitamins and trace elements supplement can be added at first, as
an ingredient, or after 2 weeks of the elimination diet, as a
new ingredient. If the supplement is well tolerated, the elimination diet is balanced, and so the all test can be longer and
more complete. The amount recommended (see Tables 1) is
based on optimal weight of the animal and not according to its
actual weight if not appropriate. The owner must also be
aware only this diet and water, preferably spring water, go into
the mouth of the dog or cat. Drugs, bones, and biscuits are
totally stopped and chewable toys removed alongside.
TABLE 1A - Example of Elimination Diet for Adult dog
If the dog is sedentary or neutered, the amount of potatoes must be reduced by 30%; the oil may also be reduced if necessary .
Optimal body
weight (kg)
Lean meat
(g/d)
Baked
potatoes (g/j)
Rapeseed
Oil
Vit’i5 Canine *
Dose (g/d)
5
130
200
10 ml
¾ (6g)
10
230
350
12.5 ml
1 ¼ (10g)
12
250
450
12.5 ml
1 ½ (12g)
15
275
500
15 ml
1 ½ (12g)
20
300
650
20 ml
2 (16g)
25
350
700
20 ml
2 ½ (20g)
30
400
700
30 ml
2 ½ (20g)
35
530
800
30 ml
3 (24g)
40
600
800
35 ml
3 (24g)
45
630
900
35 ml
3 ½ (28g)
50
700
900
40 ml
3 ½ (28g)
* Mineral and vitamin supplement (1 dose = 8g): amount calculated using the following content.
Growing and young adult dogs 15% Ca & Ca/P = 3; Older dogs: 15% Ca (no phosphorus).
TABLE 1B - Example of Elimination Diet For neutered indoor cats
Optimal body
weight (kg)
Lean meat
(g/d)
Baked
potatoes (g/j)
Rapeseed
Oil
Vit’i5 Canine *
Dose (g/d)
2
50
25
2.5 ml
1
3
75
25
5 ml
½ (2g)
4
90
50
5 ml
¾ (3g)
5
100
70
7.5 ml
¾ (3g)
6
125
60
10 ml
1 (4g)
7
150
60
12.5 ml
1 (4g)
8
160
80
15 ml
1 1/4 (5g)
* Mineral and vitamin supplement: amount calculated using the following content.
Growing and young adult cats 15% Ca & Ca/P = 3; Older cats: 10% Ca (no phosphorus).
50
/3 (1,5g)
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After the elimination diet in place (nothing else but spring
water must come into the mouth of the dog or cat), it takes 6
to 8 weeks to improve without medical treatment (after discontinuation of corticosteroid therapy or any other drug if
applicable) and review the animal:
• If no clinical signs reappeared during this period, a
provocation test with the old food suspected can be performed, expecting for the return of clinical signs. Once clinical signs return, even less intense, the provocation test is
stopped, back to the tolerated elimination diet;
• If no clinical signs reappear during the provocation test
within a 6 weeks duration, it is likely that we should look
elsewhere for the origin of the disorder;
• To specify the components to which the dog or cat is
allergic, from the elimination diet, the next step, is to replace
a single ingredient (horse meat with chicken, for example)
for 6 weeks. If the animal does not respond, this meat is considered tolerated by the animal and can be changed again. If
it reacts (return of clinical signs, even discrete), the animal
can be considered aller gic or at least food-intolerant to this
food, and returned immediately to the tolerated elimination
diet;
• After testing the main protein sources (beef, chicken,
turkey, fish, eggs, etc), a complete diet (dry or canned) with
fixed formula (detailed list of ingredients) that do not contain the allergens identified can be recommended.
About 15% of the animals can not return to any complete
petfood and will remain under a home made diet, which
must be continuously balanced with vitamins and mineral
supplementation.
Comments on ingredients
• Lean meat = meat (muscle) of horse, beef (5% fat),
chicken, turkey, pork, white fish. The lamb is fat (15% fat).
An egg is not equivalent to its weight in any meat.
There are cross-reactions (all fish between them, meat and
milk from the same origin), that must be considered before
interpreting any reaction.
• Potatoes: Selected non-green, washed, water baked and
distributed with the skin.
A source of starch must be chosen to provide energy. Potatoes are also rarely found in processed foods, and
rather rarely given to the dog or cat. Cooked, they are very
well tolerated. There is no need to peel them before or after
cooking, the skin is a source of fiber . Just recommend to
wash them and then steam or cook in water .
• Rapeseed oil: distributed raw.
We have added rapeseed oil to the animal protein source
and starch source for years. Adverse food reaction to rapeseed oil is scarce if not (yet?) described, and this addition
can provide a source of ener gy as lipid, what means less
potatoes, and essential fatty acids.
• Vit’i5: vitamin mineral supplement with no flavoring or
preservatives or animal protein (but brewer’s yeast protein)
to balance the elimination diet.
Recently in Europe, a vitamin and mineral supplement
specifically designed to balanced home-made diet and containing brewer’s yeast as the sole source of protein, became
available, which helps to balance totally an elimination diet
for dogs as for cats
In case of doubt about the safety of rapeseed oil and mineral and vitamin supplement, start the first 6 weeks of diet
meat + potatoes, then add the mineral and vitamin supplement and observe, then add canola oil and observe. Note
however that, in the examples of elimination diet, replacing
oil with an addition of potatoes (45 g per 1 teaspoon of oil,
135 g per 1 tablespoon of oil).
References upon request.
Address for correspondence:
Dr. Géraldine Blanchard
Animal Nutition Expertise sarl, Antony, France
[email protected]
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Non-Food Responsive Enteropathy:
Food is not Involved, but a Part of the Treatment
Géraldine Blanchard
DVM, PhD, Dipl ECVCN, Antony (F)
sciousness, water access should not be deleted even if the animal is perfused. It is particularly true in the presence of diarrhea, which induces massive loss of water and electrolytes.
Some diseases, including and primarily gastro-intestinal
diseases due to the major role of the GI tract in the nutrition function, require an adaptation of the diet to support
the condition, to improve the condition and sometimes to
expand the life expectancy , and certainly to improve the
animal’s welfare.
Refeeding after a period of fasting / anorexia
Following a period of fasting/anorexia,a progressive
refeeding with a highly digestible balanced diet, to avoid
diarrhea, enterotoxemia and sepsis, by fermentation of undigested food, multiplication of pathogenic bacteria, toxin production and bacterial translocation.
After a period of fasting or anorexia, estimation of the
energy requirement (ER) and a gradual refeeding is the rule,
providing about 1 / D x ER (with ER D the number of days
of fasting and anorexia combined).
1. HOW TO FEED AFTER ANOREXIA OR
PROLONGED VOMITING?
Fasting or not fasting?
A fast is (too) often imposed upon a gastroenterological
disorder, either by the owner himself, or by the veterinarian.
With the exception of cases of occlusion and hyperemesis, a
fasting can be justified only if it is short (maximum 24
hours, and if the animal is not already anorexic.
The value of a fast is to ensure the emptiness of the digestive tract, to remove any toxins, what do not require more
than 24hours. Beyond 24 hours, the gut is empty, but fasting
has a deleterious ef fect on the gut itself. It is now clear that
prolonged fasting is deleterious to the animal‘s digestive
health and healing.
In addition, the longer the fasting period is, the longer it
will take to cover fully the nutritional requirements. Indeed,
after a period of under-nutrition, gastro-intestinal secretions
are reduced, and the supply must be resumed more gradually to avoid overloading.
Two exceptions to the amounts indicated:
• Gastrointestinal surgery: dietary intake is desirable since
the animal is awake. A highly digestible food, but in modest
amount (1/10th of the energy requirement) is provided, even
if the animal ate the day before surgery. The very next day,
the general rule with the number of days of fasting/anorexia
applies.
• Pancreatitis: dogs and cats must be considered separately:
- in dogs, per os water and solid food is suspended during
intense hyperemesis. During this period, avoid any visual or
olfactory contact between the dog and the food. This means
that an anti-emetic (or any other drug) is administered by
injection only . In the absence of hyperemesis, a small
amount of wet food with normal or low protein and normalor low-fat content may be offered. The next day, the general
rule applies, always with the same food type (Figure 1);
• Fasting and Water
With the exception of hyperemesis, upper obstruction of the
gastrointestinal tract, coma or poor body position or con-
TABLE 1 - Refeeding after a period of fasting and/or anorexia
Duration of fasting/anorexia
24-48h
2 to 7 days
> 7 days
½ ER
1/D ER
1/10 ER
Energy supply for the entire day
First day
Days after
per meal (and per day): maximum of twice the day before,
up to the covering of the ER
ER = energy requirement; D = number of days of fasting and/or anorexia
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Antiemetic (IV or IM)
+ 1 spoon of water per os
Figure 1 - Decision Tree of refeeding after hyperemesis (eg acute pancreatitis).
PER protein:energy ratio
- in cats, vomiting is less frequent but anorexia is more
widespread, and the risk of hepatic lipidosis is high if the cat
is overweight or obese. Stimulation of the pancreas is less
dependent on nutrient intake. Cats should therefore be fed
by an enteral feeding (forced tube feeding if necessary), following the general quantitative rule according to the duration of anorexia. The food will be chosen with an average
protein and fat content for cats, even with pancreatitis, as
cats are more tolerant to protein and lipids than to high-carbohydrate foods (Simpson and Michel, 2000).
2. THE ANIMAL EATS
SPONTANEOUSLY…
WHAT FOOD AND WHAT FEEDING?
Once the previous precautions considered, the food would
be chosen with regards to the pathology.
Feeding includes the food (composition and form), and its
distribution.
The composition of the food is dictated by the individual
characteristics of the animal, including pathology.
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2a. What texture?
Given the role of different segments of the digestive tract,
it may be necessary to change this partition in some gastrointestinal disorders or diseases.
It should nevertheless bear in mind that whenever one
chooses to reduce an energy source, this means that, mechanically, the other 2 sources are increased.
Another point is to be made for protein: protein are essential as sources of amino acids. That means that, when the
energy requirement is diminished (by sedentarity for
instance), to provide enough protein may require to increase
the energy provided by protein. Another criteria may be to
provide about 3,5 g protein/kg body weight in adult dogs and
5 to 6 g protein/kgBW in cats.
Some disorders of the proximal digestive tract (from
mouth to the stomach) may require preferable a moist or
moisturized food, mainly for mechanical reasons, for being
less abrasive than dry food:
• disorders of the oropharyngeal;
• inflammation or surgery of the esophagus;
• gastric disease: gastritis, cardiac surgery, gastric dilatation-volvulus;
A liquid or smooth texture, is preferable in this case, as
after surgery of the pylorus (pyloromyotomy).
In the case of an intestinal disorder, the shape of the food
distributed is irrelevant.
2.b What food? Nutritional adaptations
One can chose a diet designed for a GI disorder . But all
diets are fortunately not similar . The choice of one or the
other can be made considering the ener gy source partition
(protein/lipid/carbohydrate), or on their fiber content…
Whatever the diet chosen, the ener gy requirement of the
animal must to be estimated considering the optimal body
weight, and the amount of food (grams/day) and the mode of
distribution (N meals/day) indicated clearly on the prescription form.
Energy Sources
The food must meet the nutritional needs of the animal,
first energy. But energy has 3 possible sources: fat, carbohydrates (starch and sugars) and proteins. According to pathology, the choice of ener gy sources will turns more willingly
towards one or the other.
In the healthy adult, the energy distribution is the following:
• Dog (100%): fat (30-50%) + protein (20 to 30%)
+ carbohydrate (20 to 40% *)
• Chat (100%): fat (30-60%) + protein (30 to 45%)
+ carbohydrate (20 to 40% *)
* Higher values are encountered, but they are not desirable
Fiber
The roles of fibers in the digestive tract is major and to be
known.
• Insoluble fibers merely pass through the digestive tract
from beginning to end without being modified, mechanically stimulating the transit. They increase the volume and give
structure to the feces. Schematically , we can consider that
these so-called non-fermentable fiber or insoluble fiber ,
mainly represented by cellulose. They are found in many
plants, but usually associated with soluble fiber. To bring
some specifically, cooked leek but also wheat bran can be
used. Attention spinach are full of fiber, but also of oxalic
acid, which is eliminated in the urine…to avoid.
• Soluble fibers are more or less fermentable, fermented in
the colon by bacteria, releasing gases, acids volatile fatty
(VFAs) of trophic role for mucosal colic. These VFA induce
an acidification of the medium causing inhibition of bacterial growth of pathogenic like clostridia. Soluble fiber is so
called prebiotic, favoring beneficial bacteria. The presence
of VFA also induces a call for water, hence the laxative
effect of fermentable fibers. Before reaching the colon and
being fermented, some of these fibers adsorb water, thus
TABLE 2 - Adjustment of lipid and carbohydrates
Lipid
When?
Comments
Average (about 30% of energy)
• stasis after gastric dilation-volvulus
• Acute pancreatitis in dogs
• enteritis with maldigestionmalabsorption
- as fat slows the emptying of the stomach
- as lipids stimulate pancreatic secretions
- to limit the use of fatty acids and bile acids by
bacteria in the small intestine, which produces
irritating catabolites and may cause diarrhea
Lowered (< 30% of energy)
• problem of bile secretion,
cholestatasis, cholecystectomy;
• chylothorax;
• hypertriglyceridemia
Attention, deficiencies in essential fatty acids
and fat soluble vitamins may be associated with
low fat diets and may require specific supplementation or injections of fat soluble vitamins.
Lower (about 20% energy)
Enteropathy
As disaccharidases are secreted by enterocytes
Input (sucrose)
Lymphangiectasia
1 to 5 g/kg BW/d
Carbohydrates
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forming a gel of variable viscosity in the small intestine,
interesting to regulate transit through the gut.
Soluble fiber is found naturally in many plants such as
plum, citrus pulp, the artichoke base, beans, grains, psyllium
seed, apple and banana. Nondigestible simple sugars such as
lactulose and fructo-oligosaccharides (FOS) act as
fermentable fiber. Manno-oligosaccharides (MOS) schematically bind to pathogenic bacteria, preventing them from
adhering to the gut wall, what decrease their pathogenic ity.
Their consumption may positively enhance the local immunity, particularly when combining FOS and MOS.
To increase the proportion of insoluble fiber ( Table 2):
chose a fiber rich diet, or add wheat bran (1 to 2 teaspoons =
2 to 4 g per day for a cat or small dog or 5 kg body weight),
or add fruits (30 to 50kcal/100g like apple) or cooked veggies
(16lcal/100g zucchini to 30kcal/100g carrots or pumkin).
To add soluble fiber (Table 2), to promote non-pathogenic flora and stimulate intestinal mucosa, or soften the stools
(in case of sur gery of perineal hernia for example), use of
lactulose (Duphalac ®, start with 1 mL per 5 kg weight per
day, increasing gradually if necessary) or SOF. The increase
doses provides a laxative effect. Any large addition of soluble fiber may lead to diarrhea (osmotic diarrhea due to the
rapid fermentation of such fiber in the gut), caution in addition of such fiber is recommended.
Very few (if any) information allows the practitioner to
know the actual content of soluble and insoluble fiber in
foods. In contrast, the crude fiber content reflects grossly the
insoluble fiber content of food. Attention, it is sometimes
said total fiber, while it is the crude fiber content. The total
fiber content is actually 2-4 times greater , according to the
source of fiber.
Conventional amounts found in dogs and cats diets are
between 15 to 30 grams of TDF (total dietary fiber) per 1000
kcal. In average, TDF represents about 6 to10% and Crude
fiber 2 to 4% of the dry matter of most foods for adult at
maintenance. Please note this is only an approximation.
Probiotics
Probiotics are live microorganisms which, after ingested,
survive in the gut with beneficial role for the host. The
contribution of probiotics has been shown beneficial to
promote the beneficial intestinal flora in many species. In
Europe, only strains approved by the European Authorities, as a proof of their safety and their effectiveness, can
claim the term of “probiotics” in dogs and cats. With the
exception of known allergies to milk, the intake of yogurt
(containing only milk and ferments as Lactobacillus acidophilus) may improve the situation, during episodes of
diarrhea during and after a treatment with oral antibiotic,
and more generally during periods of stress.
Minerals and vitamins
Requirements for vitamins and minerals are not changed
by gastro-intestinal disorders, except for electrolytes in case
of diarrhea or vomiting, and vitamins in some cases.
Vitamins supplements, in addition to a complete diet may
be necessary in some cases: proven vitamin B12 deficiency
(, no absorption of fat soluble vitamins (A, D, E, K) associated with cholecystectomy of lymphangiectasia with fat-free
diets, etc... These deficiencies can be compensated by oral
intake or parenteral provision on a case by case basis.
TABLE 3 - When to promote the intake of fermentable soluble fiber (SF) and insoluble fiber (IF)?
Transit rate disorder
Soluble Fiber
Insoluble Fiber
Hypo-
+
+
Lazy or slow colon
+
+
First hyperdigestible
+
diet
+
Hyper
+
-
Small intestine diarrhea
+
-
First hyperdigestible
N/+
diet
N/+
Constipation
Megacolon
secondary
Large ine diarrhea
Acute colitis
Chronic colitis
then
+
Depending on the origin:
hyperdigestible, hypoallergenic
(elimination diet)
N as at maintenance
N / + as maintenance or increased depending on the case,
+ or - more or less than at maintenance
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desirable to try adjustments, to raise the protein intake, to get
closer to the coverage of the requirements.
Given that the liver is the storage organ for copper, copper toxicity accumulated, and the inability to remove copper
during liver failure, and in some Bedlington terrier breeds
like where this disease is genetic, copper intake may be
reduced in the presence of chronic liver disease without
reducing the intakes of zinc. In case of genetic accumulation
of hepatic copper, zinc intake is increased to further limit the
absorption of copper.
In cats: protein requirement is maintained, and the preferred energy sources are fats and proteins. In fact, carbohydrates are less well tolerated than the other two cats, even
when liver disease. In all cases, the nutritional quality, especially proteins, must be as perfect as possible (food highly
digestible protein of high quality with low levels of collagen, muscle and whole egg preferred).
Splitting in 3 to 5 meals is the rule to limit exceeding the
residual liver function and postprandial liver overloading.
Number of meals
In case of GI trouble, a split of the daily intake of 2 or 3
meals can optimize digestibility and can usually be recommended...except specific disorder (see y pathology)
2.c What food?
Nutritional adaptations by pathology
Ø Esophagus
A smooth texture is the main change in case of esophagus
disorders, usually to be adapted based on common sense. A
food rather dense in ener gy (more ener gy from fat, less
starch, and protein-calorie ratio maintained) is usually chosen to reduce the total amount of food consumed.
Ø Stomach
In case of gastric disorders (gastritis or dilation-volvulus),
diet is preferably chosen with a moderate level of lipid, to
reduce the residence time in the stomach (gastric emptying
is slowed by fat). In contrast, when partial gastric resection,
or after removal of the pyloric functionality, rather it seeks a
food of high ener gy density so high in fat, and with a minimum content of fiber.
When the volume of the stomach is reduced by a gastrostomy / gastrectomy or in case of anorexia lasting for
more than 2 weeks, split the daily intake into 4 or 5 meals,
with at least 3 hours between two meals, to allow gastric
emptying before the next meal. When the pyloric function
is deficient (pylorectomie, gastrectomy , etc..), the daily
intake should be split into 8 to 10 meals per day. However,
in that situation, the
interval between 2 meals can be
reduced to 1 hour. Splitting can be gradually reduced, as
appropriate, down to 4 meals per day. In case of diarrhea
despite the split, it is possible to add to each meal exogenous digestive enzymes to aid digestion and compensate the
short transit time.
Ø Small intestine / large intestine
The composition of the food can be modified due to various factors:
• diarrhea, chronic inflammation, sur gery, tumors generate losses or protein catabolism, and protein intake must be
large (minimum +20%);
• insoluble fiber intake is to modulate: increased during
constipation, decreased during diarrhea, but never totally
abolished (in the total absence of fibers was observed alternating constipation and diarrhea);
• Soluble fiber intake is increased when it is desired softening of stool, or in chronic constipation;
• Fat intake is generally maintained in cats in general,
and limited to reasonable values in the dog especially in
enteropathy and with bacterial over growth in the small
intestine.
Ø Pancreas
• Pancreatitis
In dogs (see also Figure 5.1 above), the amount of protein
(CPP minimum is 55 to 60 gProt / Mcal) and fat (10% DM)
must be slightly decreased in the acute phase, and then limited to cover stricly the minimal nutritional requirement in
chronic phase. In pancreatitis the distribution may be limited to 2 meals per day in dogs to prevent frequent and intense
stimulation of the pancreas.
In cats: food must still cover the nutritional requirements
from the outset (70 gProt CPP / Mcal), as the composition of
the diet has a reduced ef fect on pancreatic secretion in cats.
Cats can easily receive 3 or 4 meals per day.
• Exocrine pancreatic insuf ficiency (EPI): to bring a high
digestibility maintenance diet, and exogenous enzymes capable of digesting the entire ration distributed with each meal.
Splitting the daily amount in 3 meals is the general rule.
Ø Resections (enterectomy)
Depending on the length and part removed, the removalof
a part of the intestine must be interpreted in terms of functionality that may have disappeared, and any necessary compensation.
- removal of the jejunum means the disappearance of the
greatest absorption area. The distal duodenum and ileum can
compensate but gradually. And splitting the daily amount in
several meals is necessary, because this removal also means
a reduction of the transit time of the chyme in the intestine.
Additionally, the amount of insoluble fiber in the diet will be
reduced to a minimum, to not boost the transit rate. Eventually, the proportion of fat (by reducing the starch) is
increased, because fats provide more energy per gram, and it
reduces the volume of the diet.
Apart the fat content, these rules are the same when a significant portion of the ileum is removed. But in that latest
case, as fat absorption and reabsorption of bile acids can be
reduced, a more moderate fat content may be desirable.
- If the transit time is so short or the intestine length so
short that there is not enough contact time for digestion and/or
absorption, even with the consumption of a high digestibility
Ø Liver
In dogs, the diet is usually primarily chosen poor in fat
and protein, especially the latter
where signs of hepatic
encephalopathy (portacaval shunt; hepatitis; signs of cephalic encephalopathy). But, when possible appropriate, it is
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(like the skin of potatoes). The intake of essential fatty acids,
especially omega-3 seem interesting, but in a second time
(fish oil…comes from fish). (see presentation on Foodresponsive enteropathy). Pre-and probiotics are interesting
because of their action on the microflora.
Chronic inflammation can have many causes, not always
identified. The change of diet often improve temporarily the
clinical signs, and it is tempting to change the diet as soon as
the slightest sign is back. But repeated changes may themselves induce disorders, and even increase the risk of sensitization.
diet, it can be necessary to add exogenous enzymes to predigest ration at each meal.
- When a portion of the colon is removed, then efficiency
of the reabsorption of water and electrolytes is reduced, and
the time of stool formation is reduced. A diet with the highest digestibility will be chosen to leave the least residue. The
fiber content has to to be modulated on a case by case basis,
always starting with little, but as the insoluble fibers have a
very good ability to adsorb water, and to structure the stool,
the amount may gradually be increased.
Splitting into 3 meals per day is the rule in case of intestine trouble, except in case of massive enterotomy/enterectomy where 4-5 meals can be preferable.
Ø Gluten intolerance
The so called gluten-sensitive enteropathy of Irish setter
dogs requires a diet with no gluten (i.e. no wheat, no corn,
no cereals), either manufactured or home-made. In this last
case, the diet has to be balanced, composed for exemple of
meat/fish + raw oil + veggies + potatoes (or rice if tolerated)
+ adapted mineral vitamin supplement.
Ø Megacolon
When megacolon is suspected, it is usually recommended
to start with a highly digestible food, leaving the least
residue, with a bit of soluble fiber, to soften the faeces by
stimulating fermentations. Then, if a motor function is recovered, the addition of insoluble fiber can help boost transit.
The adaptation is a case by case basis.
Address for correspondence:
Dr. Géraldine Blanchard
Animal Nutition Expertise sarl, Antony, France
[email protected]
Ø Colitis
In colitis, if a food aller gy is suspected, it is best to go
through an elimination diet, but keeping a small part of fiber
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How to feed without inducing a problem
Géraldine Blanchard
DVM, PhD, Dipl ECVCN, Antony (F)
Due to the major role of the GI tract in the nutrition function, and to the fact that the major source of nutrient for the GI is the
GI tract’s lumen, nutritional errors quite may lead to GI disorders. The first step of nutrition is to feed quantitatively or qualitatively properly to avoid inducing any trouble by any inadequate diet (Table 1).
TABLE 1 - Nutritional deficiencies and imbalances at the origin of gastroenterological troubles (only!)
Situation of occurrence
Gastroenterological troubles
Water
• Insufficient watering, bowl
or distributor not filled or dirty
water or bad taste
• High heat
• Losses associated with
diarrhea
• Dehydration
• Constipation
Global (dysorexia or
anorexia)
• Varied
• No stool or rare small and hard stools
(not to be confused with constipation!)
• Atrophy of the intestinal mucosa and villi, and
susceptibility to bacterial translocation and sepsis
Proteins (chronic or subacute
but massive deficiency)
• Dysorexia, anorexia
• Poor quality food (not
enough protein, or poor
digestibility proteins or lacking
some essential amino acids)
• Dog Food given to a cat
• Mix of complete food with
rice or pasta
• Home made diet with too
little meat, meat of poor
quality, unwise choice of
ingredients
* Muscle wasting, decreased immune and healing
capacity
* Decreased mucosal (ulcers, abdominal pain,
increased risk of infection) and enzymatic
(maldigestion, malbsorption, diarrhea) digestive
secretions
* Slower transit (smooth muscle wasting) with:
- Gastric stasis (duodenal reflux, gastritis, ulcers)
- Intestinal stasis, diarrhea, enterotoxemia (bacterial
translocation)
Lipids and essential fatty
acids
• Low quality food
• Home made diet without
source of essential fatty acids;
use of very low fat foods
• Anorexia
• Dysorexia by low palatability
• Poor healing (absence of inflammatory reaction)
Fibers
• inappropriate food, removing
of any fiber (the famous
“chicken and rice »)
• Transit idle
• Constipation
• Flatulence
• Diarrhea
• Enterotoxemia
• Gastrointestinal fermentations + cutaneous reactions
associated with low transit
Deficiency
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Calcium
• Home made diet without
mineral vitamin supplement,
foods unsuitable for the dog’s
or puppy’s format or status
• Mix of complete food and
meat in uncontrolled amount
leading to Ca/P<1
• Musculoskeletal disorders may include the jaws
(osteodystrophy and secondary hyperparathyroidism)
Electrolytes (usually K+)
• Losses caused by diarrhea or
vomiting.
• Dehydration
• hydroelectric disorders and hypokalemia possible
Vitamins A, D
• Low quality food, Home
made diet without mineral
vitamin supplement
• Fat maldigestion or
malabsorption (chronic
steatorrhea, cholestasis,
impaired hepatobiliary
function)
• Dysorexia
• Healing troubles
• Lake of calcium absorption
Trace elements (Zn, Cu, Fe)
• Low quality food (very rich
in calcium)
• Unbalanced diet (unwised
mix of domestic ingredients +
petfood
• Home made diet without
mineral vitamin supplement
• Atrophy of intestinal villi, diffuse lymphoplasmacytic
infiltration of the lamina propria
Selenium-Vitamin E
• unbalanced/deficient food,
low end + high fat, low quality
food rich in fat
• Muscular weakness
• subcutaneous oedema
• Anorexia
• Depression
• Dyspnea, coma (VanVleet 1975)
Vitamin K
• Poisoning by rodenticides
• Enteritis and malabsorption
• Exercise intolerance
• Haemorrhage of nasal and oral cavities
• Dyspnea, pale coloration of mucosa (Brooth 1989;
Edwards, 1987)
Vitamin B12
• Diarrhea
• small intestine bacterial
overgrowth
• Lethargy
• Dysorexie
• Aregenerative anemia
Global (overnutrition)
• overconsumption (accidental
or inadequate prescription)
• Diarrhea
• Enterotoxemia, associated skin disorders
Starch (excessive amount or
insufficient cooking)
• Low range food
• Sensitivity of the animal (low
active amylase)
• Too much rice / pasta /
potatoes (in addition to a food
already complete or
improperly cooked)
• Diarrhea
Lipids (brutal excess,
unrelated to energy coverage)
• Accidental consumption of
fat (lump of butter, bottom of
the baking dish ...)
• Pancreatitis
Excess
continued
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Protein overcooked
• Low quality food
• Incorrect preparation (meat
boiled for hours, given in
extremely high amount)
• Diarrhea by putrefaction of proteins (sulfur smell)
Minerals (food with more
than 12% ash / dry matter)
• Low range food
• Excessive bone consumption
• Constipation, hard + / - white stool
• Zinc and copper secondary deficiency
Insoluble fiber (cellulose)
• High fiber diet (low calorie
or light) provided to a
young/growing pup
• Animal sensitive to diets very
rich in fiber
• Colitis
• Constipation with high faecal volume
Soluble fiber (sudden intake
of pectins, psyllium, FOS,
lactulose)
• overdose or inappropriate
dosage of nutritional
supplements
• Diarrhea
Sugar (cats more sensitive
than dogs)
• Tube feeding with unadapted
diet or food designed for humans
• Excess of lactose (unusual
consumption over 40 ml of
milk / kg body weight)
• Diarrhea
In any case, in order to provide a nutritional advice, and enhance the compliance of the owner , a good knowledge of habits of the
animal and its owner, as well as a clinical and nutritional evaluation of the status of the patient must be considered. This requires a
complete food history (Table 2), the assessment of the body weight, body condition score and optimal body weight of the animal.
TABLE 2 - How and why food history?
The idea is to ask the more questions to allow a proper assessment of nutritional status, and so provide the best feeding recommendations.
Question on
In order to
Individual characteristics
• Species, breed, sex, sterilization, activity (habitual and current in
case of change)
• Be able to estimate the nutritional need
• Bodyweight current / recent weight change (since when, any known
cause?) / ideal weight (if different from current weight)
• Be able to estimate the energy requirement (always based on the
optimal body weight)
The usual diet
• Form (Dry/Moist/Home-made/any mix)
• Do not change the usual food shape / texture, except medical
requirement, and in this case provide an explanation and a transition
• Label of petfood provided or specific name, if identifiable
• Estimate the energy density (kcal / g) and protein-to-energy ratio
(P:ER gProt/1000 kcal) from the nutritional information
• Quantity consumed per day
• Deduce the approximate amount of calories (or other nutrients)
consumed and confront it with the requirements (a mismatch is
sufficient to explain weight loss, etc.).
• Number of meals
• Adapt the patterns to increase compliance
• Sides, treats, goodies ...
• Anything that is ingested into the digestive tract and may affect the
clinical
The previous diets
• Type of food already received in the past
• In case of suspicion of intolerance / allergy, take into account past
experiences that may have been sensitizing
• Changes noticed as associated with clinical events
• Assist in the identification of risk situations
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To avoid the induction of a GI trouble, an cover properly the basic requirements of the animal, 4 questions have to be answered:
•
•
•
•
How much energy for this animal?
Once the diet is chosen, how much diet (in grams) to cover this ener gy requirement?
How many meals per day?
How to change for this new diet (dietary transition)?
How much food?
This effectively is to first ask how many calories to bring. It depends on:
• the species, and the breed;
• the optimal body weight;
• the physiological status (age, sex, neutering, reproduction, etc.).
• lifestyle (indoor / outdoor / activity);
• pathology
A change of weight is common in cases of gastrointestinal disturbance. It can have many causes. The first one is a mismatch
between the amount of food (and energy) consumed and the caloric needs of the animal.
It is essential to estimate, at least briefly, the energy requirement of the animal, and, given the energy density of the food and
the quantity ingested, make sure it receives just enough.
Tables 3 and 4 allow this estimate by optimal weight and individual factors for dogs and cats.
TABLE 3A. Estimated Daily Energy Requirements (ER) of dogs
ER (kcal / d) = MER x k1 x k2 x k3 x k4
(see under the table, next page for details of the coefficients). ER and MER (Maintenance Energy Requirements) are expressed in kcal metabolizable energy (ME)
Optimal BW
Maintenance
MER
MER
MER
x0.8
x0.8
x0.8
Optimal BW
Maintenance
MER
MER
(kg)
(MER)*
x0.8
x0.8
x0.8
2
219
175
4
368
5
(kg)
(MER)*
x 0.8
x0.8
x0.8
140
112
30
1508
1206
965
772
294
235
188
40
1827
1461
1169
935
435
348
278
223
50
2120
1696
1357
1085
10
730
584
467
374
60
2394
1915
1532
1226
15
950
760
608
486
70
2653
2123
1698
1359
20
1151
920
736
589
80
2901
2320
1856
1485
* MER = 130 x BW^0.75 up to 10kg, then MER = 156 x BW^0.67
61
MER
x0.8
x0.8
x0.8
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TABLE 3B. Conversion factors of maintenance energy requirement of dogs
Breed
k1
Lifestyle
k2
Retriever
0.8
Sedentary or indoor walks on a leash
0.8
Nordic
0.8
Sedentary or indoor free walks >1h/d or outdoor activity once a wk
0.9
Spaniel, Bealge
0.9
Day in the garden / night inside(tempered climate): Normal
1
Greyhounds, Great Dane
1.1
Day in the Garden
to 1.2
+ interactions with dog or outdoor activity (bike, jogging)
1.1 to 1.2
Others
1
Others
1
Physiology
K3
Pathology
K4
Neutering
0.8
Weight loss
0.8
Gestation (5-9 wks)
1.1 to 1.5
Hypothyroidism, Cushing syndrome
0.8 to 0.6
Lactation
2 to 4
Osteosarcoma (before amputation, then k4 = 1)
1.2
Aged (same lifestyle)
0.9
Lymphoma
0.8
Growth
2 to 1.2
Other cancer
?
Others
1
Cachexia
1.1 to 2
TABLE 4. Estimated Daily Energy Requirements (ER) of the cat
ER (kcal / day) = K x Optimal Body Weight (kg) x k2 x k3 x k4
The cat is:
K
• Intact adult
70
• The cat lives
• Female in
Gestation
80 to 100
Lactation
200
• Growing kitten
k2
Indoor
0.8
Outdoor
1
Indoor/Outdoor
0.9
• The cat is also
K3
Neutered
0.8
• Pathology
K4
0 to 10 wks
250
10 to 20 wks
130
Weight loss
0.8 to 0.7
20 to 30 wks
100
Diabetes mellitus
1
30 to 40 wks
80
Lymphoma
0.8
60-70
Advanced cancer
1 to 2
• Aged (depending on activity)
Examples:
• Bibi is an adult male neutered cat living indoor; his optimal BW is 4.5 kg.
His ER is 70 x 4.5 x 0.8 (neutered) x 0.8 (indoor) = 202 kcal.
• Bobo is a 6 month (24 weeks) old kitten weighing 3 kg.
His ER is 3.5 x 100 = 350 kcal / d
Bobo is neutered: its ER goes to 100 x 3.5 x 0.8 (neutering) = 280 kcal / d.
In adulthood (about 10-12 months), Bobo weighs 4 kg, lives indoor, with access to a small balcony.
His BE is 70 x 4 x 0.8 x 0.8 = 179 kcal/d.
Obviously it is better to know the energy density of the food consumed by the animal. If this is not a food delivered by the
clinic, with energy density shown on the sheets, it can be either asked to the manufacturer or estimated as follows (T able 5).
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TABLE 5. Table 5. Quick estimation of the energy density* (kcal/g) and calculation of the protein-energy ratio
of a food for a dog or a cat from the mandatory label
The method, based on the analytical composition mandatory the label is as follows:
Label
Energy
Protein
24%
x 3.5 kcal/g
Fat
16%
x 8.5 kcal/g
Ash
9%
Crude fiber
3%
Moisture
9%
Total
100 – total = Nitrogen free extract
71%
29%
Energy density of the food
x 3.5 kcal/g
321.5 kcal/ 100g = 3.21 kcal/g
Protein:Energy ratio = 24/321 * 1000 = 74g protein/Mcal ME
* Warning: this is a simple method, easily applied. Other more complex and more accurate equations are available
(NRC, 2006).
A dry food usually contains between 3.5 to 4 kcal per gram. A wet food, canned, pouch, tray, etc.. or homemade balanced diet
contains between 0.75 and 1 kcal per gram.
On a prescription form:
………… Grams/day = ……… kcal/day / ………. kcal/gram
………… meals / day
Fasting and refeeding: see presentation Non Food responsive enteropathy
Address for correspondence:
Animal Nutrition Expertise sarl, Antony, France
E-mail [email protected] - www.Cuisine-a-crocs.com
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Biomechanics
Barbara Bockstahler
PD, DVM, FTA, CCRP, Vienna, Austria
Biomechanics is the application of mechanical principles
to biological systems. This scientific field often uses traditional engineering methods to analyze the mechanics of living organisms.
Early in the 19 th century researchers started to investigate
the biomechanics of living or ganisms. Especially the gait
analysis underwent a rapid evolution within the last decades
and the technological advances in computer assisted gait
analysis enable the researchers to perform sophisticated
kinetic and kinematic research in animals. In canine gait
analysis, researchers usually focus on the following types of
analyses:
Kinematics is the science of describing the motion of
objects. Kinematics therefore describe the movement of
joints or segments in terms of the positions, accelerations,
angles etc. in space. Therefore kinematical data can be used
to evaluate the physiological and pathological gait, the function of the musculoskeletal systems or the ef fectiveness of
medical or surgical treatments. Usually two- or three dimensional video assisted systems are used; obviously the threedimensional kinematic analysis provides the most accurate
information. On the other hand, these analyses systems are
very expensive and only highly specialized institutions are
able to perform these analyses. Nevertheless, during the last
20 decades numerous studies have been performed to
describe the gait of dogs and horses.
Each of the joints describes a specially movement pattern
during the gait cycle. The shoulder shows its highest extension at the transition between swing- and stance phase and
its highest flexion in the middle of the swing phase.
The
elbow is in maximal extension at the transition between
stance- and swing, maximal flexed during swing an again
extended in the late swing and early stance. The carpal joint
is like the other joints maximal flexed during swing. It starts
the stance phase in extension and remains stable extended
during the whole stance. The hip joint reaches its maximal
flexion in swing and starts the stance phase in a flexed position. The maximal extension of the hip occurs at the end of
the stance phase. The stifle joint is maximal extended at the
end of the swing phase. This extension is slightly reduced
during the stance phase, the maximal flexion occurs during
swing. The hock shows its maximal extension at the transition of stance to swing and reaches a second extension maximum at the end of the swing phase.
In a kinematic study it was shown that in dogs with
osteoarthritis of the hip the af fected hip joint revealed
an increase in extension and velocity at the end of the stance
phase. The stifle showed an increased flexion throughout the
stance phase and early parts of the swing phase; and the tarsal
joint was more flexed during early stance as wells as in early and middle parts of the swing phase 1. In another study 2
investigators found additional kinematic va riables such as a
greater joint adduction, range of abduction-adduction and
greater lateral pelvic movement, compared with controls. In
dogs suffering from mild hip OA we found 3 that the af fect
hip joint is earlier extended than in sound dogs, also the stifle joint shows an earlier extension.
The hock shows a
decreased and earlier extension of the hock in the late
stance/early swing phase, an earlier flexion in the swing
phase, an earlier extension at the end of the swing phase and
a decreased flexion in stance phase.
KINETICS
Kinetic-analyses are used to describe the forces which act
during stance phase. Usually , the measurements are performed with the use of force plates. Three orthogonal forces
can be described: vertical, medio-lateral and cranio-caudal.
Different force plate systems are used: single ground mounted force plates, serial systems and treadmills with integrated
force plates. Each of these systems has it unique advantages
and disadvantages. But in summary , ground reaction forces
are objective and reproducible data which are the “Gold
standard” in orthopedic research.
In dogs with OA of the elbow we could show that the load
was reduced on the lame limb and increased on the contralateral hindlimb 4. The naturally occurring osteoarthritis
resulted in a compensatory gait pattern to reduce the stress
on the affected limb. The load was reduced on the lame limb
and increased on the contralateral hindlimb. The symmetry
index indicated a weight-shift to the contralateral forelimb
and diagonal hindlimb, which resulted in a more balanced
weight distribution than in normal dogs. Dogs with induced
lameness showed comparable but less pronounced alterations. These results suggested that forelimb lameness could
lead to overload on non-af fected extremities and the vertebral spine.
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In contrast in dogs with hip OA the load was shifted to the
contralateral hind leg. Using Fourier analysis an subtle effect
on the force-time patterns of the front legs was detected 5.
In dogs with hip OA the biceps shows its maximum later
than in sound dogs, the gluteus medius has a decreased maximal activity at the transition of stance to swing phase bit an
increased activity in the early stance 3.
Lauer at al.9 investigated the hamstrings and the quadricpes
during walking inclines/declines. In the beginning of the
stance phase, activity of the hamstring muscle group was significantly increased when walking at a 5% incline versus a 5%
decline.
In the end of the stance phase, that activity was significantly increased when walking at a 5% incline versus at a
5% decline or on a flat surface. Activity of the gluteal and
quadriceps muscle groups was not af fected when treadmill
inclination changed.
ELECTROMYOGRAPHY
Electromyography (EMG) is a technique for evaluating
and recording the electrical activity produced by skeletal
muscles. For this purpose the use of e.g. needle or surface
electrodes is possible. The use of needle EMG enables the
exact measurement of the activity of a muscle but is an invasive method; in contrast the use of surface electrodes is noninvasive but can suf fer from so called “cross-talks” which
are generated by nearby muscles. Nevertheless it has been
shown, that surface EMG is a suf ficient method to describe
the activity of muscles. Some studies have been performed
using invasive needle EMG 6. Using surface EMG, only two
papers have been published 78.
The quadriceps shows a 2- peak activity pattern. The 1st
maximum can be seen in the early stance together with the
lift-off of the contralateral pelvic limb.At this time the weight
bearing pelvic limb accepts the weight of the hindquarter and
brakes forward movement. The 2nd peak occurs together
with the ground contact of the contralateral pelvic limb. The
muscle contributes to stifle extension and prevents flexion,
leading to stabilizing ef fect during the stance phase 7,8. The
maximal activity of the biceps femoris is found at the transition of the swing in the stance phase, the lowest activity in the
late stance 9. The maximal activity of the gluteus medius is
found at the transition stance/swing phase together with the
maximal extension of the hip. A second peak can be seen at
the beginning of the stance phase together with the start of the
hip extension10.
Bibliografia
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
KINEMATICS DURING SPECIAL
MOVEMENTS
During stair up ambulation, dogs show an increased flexion of the stifle and the hock, the extension of the stifle is
increased and occurs earlier than during normal walk. Walking stairs down results in an increased flexion of all joints of
the hind legs and a decreased extension of the hip joint 10.
During Cavaletti work, we found, compared to normal walk
a higher flexion of the hock and stifle as well an increased
extension of the stifle joint. During incline (1 1%) we found
an increased flexion of the hip and decreased extension of
the stifle, going decline (11%) the hock is less extended than
during level walking and the hip is less flexed. 11
In dogs suffering from hip OA it was shown in a doctoral
thesis that the hip joint showed a lower extension of the hip
as well of the lame as the contralateral leg compared to
sound dogs during walking declines. Walking incline we
found a higher flexion of the lame side compared to the contralateral side. The stifle of the lame leg showed during
incline walking a decreased extension and lower ROM. The
hock of the lame leg revealed during cavaletti work an
increased flexion and increased ROM 12.
8.
9.
10.
11.
12.
Bennett RL, DeCamp CE., Flo GL, et al: Kinematic gait analysis in
dogs with hip dysplasia. Am J Vet Res 57:966-71, 1996.
Poy NS, DeCamp CE, Bennett RL, et al: Additional kinematic variables to describe differences in the trot between clinically normal dogs
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Bockstahler, B., Vobornik, A., Müller, M., & Peham, C. (2009).
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12.025.
Katic, N., Bockstahler, B., Mueller, M., & Peham, C. (2009). Fourier
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Bockstahler, B. B., Gesky , R., Mueller , M., Thalhammer, J. G.,
Peham, C., Podbregar, I., et al. (2009). Correlation of Surface Electromyography of the Vastus Lateralis Muscle in Dogs at a Walk with
Joint Kinematics and Ground Reaction Forces. Veterinary Sur gery,
38(6), 754-761. doi: 10.1111/j.1532-950X.2009.00561.x.
Lauer, S. K., Hillman, R. B., Li, L., & Hosgood, G. L. (2009). Effects
of treadmill inclination on electromyographic activity and hind limb
kinematics in healthy hounds at a walk. American journal of veterinary research, 70(5), 658-64. doi: 10.2460/ajvr.70.5.658.
Elisabeth Levy (2010), doctoral thesis.
Richards, J., Holler, P., Bockstahler, B., Dale, B., Mueller , M., Burston, J., et al. (2010). A comparison of human and canine kinematics
during level walking, stair ascent, and stair descent. Veterinary Medicine, 97, 92 - 100.
Kinematic motion analysis of the joints of the fore- and hind limbs of
dogs during walking exercise regimens. Peter J. Holler, Verena Brazda, Barbara Dal-Bianco, Elisabeth LewyMarion C. Mueller, Christian
Peham, Barbara A. Bockstahler (2010) in press.
Bettina Prickler (2010), doctoral thesis.
Address for correspondence:
Barbara Bockstahler
Clinic for Surgery and Ophtalmology, Section for Physical
Therapy and Movement Science Group Vienna,
University of Veterinary Medicine, Vienna, Austria
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
L’utilizzo del robenacoxib nel periodo intra e post
operatorio di sterilizzazione, castrazione e
mastectomia nel cane e nel gatto
Paolo Bogoni
Med Vet, Ghedi (BS)
a MST e ovarioisterectomia e il secondo composto da un
soggetto già sterilizzato anni prima e da 3 sottoposti a MST
bilaterale operate sulla seconda fila.
INTRODUZIONE
Il controllo del dolore e dell’infiammazione nel periodo
post operatorio, oltre ad essere un obiettivo etico al quale
ogni medico deve mirare, previene una serie di complicazioni post operatorie potenzialmente pericolose. Infatti, con
gradi diversi, la presenza di dolore e dell’infiammazione può
portare a ritardi o interferenze nella cicatrizzazione delle
ferite, aumento dell’ospedalizzazione, alterazioni comportamentali, anoressia/disoressia, aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, abbattimento e scadimento delle condizioni generali. Tali condizioni si traducono nel peggioramento, magari temporaneo, dello stato di salute del nostro
paziente e in un aumento delle cure e dei costi che i proprietari devono sostenere. Al contrario un buon controllo del
dolore e dell’infiammazione oltre ad essere eticamente fondamentale aumenta la compliance del paziente e del proprietario aumentando, di fatto, la stima e la fiducia del proprietario nel medico veterinario. Lo scopo di questo studio è
di riportare l’esperienza dell’autore circa l’uso del robenacoxib (Onsior ®) nel periodo peri e post operatorio in cani e
gatti sottoposti a interventi di routine, al fine di comprendere se l’uso di tale molecola è sovrapponibile all’esperienza
fatta con altri antiinfiammatori non steroidei (F ANS) disponibili in commercio.
Protocollo anestesiologico e analgesico
Nei soggetti maschi la premedicazione è avvenuta
mediante la somministrazione di un oppioide [butorfanolo o
eptadone (EPT)] plus medetomidina (MDT) E.V. Nelle femmine da sottoporre a sterilizzazione elettiva l’EPT era sempre associato a MDT . Per le MST , in considerazione delle
diverse categorie anestesiologiche (ASA) dei pazienti,
l’EPT è stato utilizzato da solo o in associazione a MDT o
ad acepromazina. L’induzione è stata eseguita con propofolo E.V. ed il mantenimento con una miscela di ossigeno e
isofluorano. All’induzione e ogni 90 minuti di chirur gia è
stato somministrata cefazolina sodica. Nei maschi è sempre
stata eseguita un’analgesia loco-regionale utilizzando della
lidocaina al 2% iniettata nel parenchima testicolare e sulla
linea d’incisione.
Nella gatta il fentanil è stato somministrato all’atto dell’incisione in singolo bolo, mentre nella cagna al bolo di
carico è seguita un’infusione continua. In tutti i casi non è
stato prescritto antibiotico nel periodo postoperatorio (PO) e
solo nei soggetti sottoposti a MST l’analgesia PO è continuata mediante la somministrazione intramuscolo di una singola dose al risveglio e poi per via orale di buprenorfina cloridrato ogni 12 ore per 48-72 ore. A tutti i soggetti è stato
somministrato nel periodo perioperatorio robenacoxib (2
mg/kg sc). Il momento di somministrazione (all’induzione
vs al risveglio) è stato scelto dall’anestesista sulla base della pressione arteriosa rilevata. La terapia con robenacoxib è
poi continuata per via orale nel PO (1mg/kg ogni 24 ore al
pasto principale) per 4 giorni in caso di orchiectomia (ORC)
del gatto e 7- 8 giorni nei rimanenti casi.
MATERIALI E METODI
Sono stati inclusi in questo studio un totale di 75 pazienti
da sottoporre a interventi elettivi di sterilizzazione/ castrazione e soggetti femmina di specie canina da sottoporre a
mastectomia (MST) regionale o monolaterale. Nel caso di
MST bilaterale la rimozione della fila contro laterale è avvenuta sempre con una seconda seduta chirurgica a distanza di
20-30 giorni dalla prima e i due interventi sono stati considerati come eventi distinti. Nel caso il soggetto fosse intero
contestualmente alla prima MST si è sempre abbinata la sterilizzazione. Sulla base dell’intervento eseguito e della specie i pazienti sono stati suddivisi in 5 gruppi di 15 pazienti
per un totale di 78 procedure chirur giche, poiché 3 cagne
sono state sottoposte a MST bilaterale. Il gruppo delle
mastectomie è stato poi suddiviso in due sottogruppi: il primo costituito da 14 cagne intere sottoposte contestualmente
Protocollo di preparazione e tecniche
chirurgiche
Le tecniche chirurgiche utilizzate sono state: ORC a testicolo scoperto nel gatto con incisione unica sul rafe mediano dello scroto ed esecuzione di 2-3 nodi quadrati utilizzando il dotto deferente e i vasi spermatici annodati fra loro,
ed ORC prescrotale o scrotale a testicolo coperto o scoperto nel cane ed ovariectomia standard (OVE) sia nella specie
canina che felina. Nel corso di MST, se il paziente risultava
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intero, dapprima si eseguiva l’ovarioisterectomia e poi si
eseguiva l’asportazione del tessuto mammario. In tutti i casi
sono state utilizzate suture riassorbibili in materiale monofilamento. La sintesi della cute è avvenuta mediante sutura
intradermica o con skin stapler (nelle mastectomie), mentre
nel gatto maschio non sono state poste suture. Nelle mastectomie non è stato mai previsto l’uso di drenaggi ed è sempre stato applicato un bendaggio lievemente compressivo
per 2-4 giorni PO.
non oltre 12 ore dalla chirur gia e deambulazione normale.
Buono se almeno uno dei valori rilevati era oltre quelli stabiliti o se il soggetto era disoressico nelle 24 ore PO. Soddisfacente se i valori anomali erano due o se il soggetto era
disoressico oltre le 24 ore PO. Sufficiente se i valori anomali erano tre. Insufficiente se i valori anomali erano quattro o se il soggetto era completamente anoressico dopo 12
ore PO o presentava sintomi gastroenterici. Nei controlli
successivi si considerava Eccellente quando tutti i valori
erano fisiologici, Buono se un valore era considerato anomalo, Soddisfacente se i valori anomali erano due, Sufficiente se i valori erano tre o se era presente, per le MST ,
una lieve raccolta sierosa e Insufficiente se i valori alterati erano quattro o se erano presenti sintomi riconducibili a
SIRS o a infezione o se erano presenti raccolte sierose sottocutanee, di qualsiasi entità per interventi diversi dalla
MST o per le mastectomie di entità tale da necessitare la
centesi.
Valutazioni post-operatorie
Nel periodo PO i soggetti venivano controllati il primo
giorno PO (giorno 1), poi in terza, quinta e, con esclusione
dei gatti maschi, in decima giornata. I parametri clinici
considerati erano: temperatura corporea, tempo di riempimento capillare, colore delle mucose, dolorabilità addominale (valutata mediante palpazione), aspetto e dolorabilità
a livello della ferita e presenza di raccolte sierose (spt. per
le mastectomie). Ai proprietari è stato chiesto, per i primi
quattro giorni, di monitorare la temperatura corporea e di
annotare la ripresa dell’alimentazione spontanea, della normale attività fisica e la facilità o dif ficoltà di somministrare il robenacoxib. In giorno 1 è stato considerato Eccellente quando tutti i valori rilevati rientravano tra quelli da noi
definiti nella norma. Per normalità si considerava temperatura sino a 39,1 °C, un lieve arrossamento limitato ai soli
bordi della ferita, possibilità di eseguire la palpazione in
assenza di dolore o solo con lieve fastidio, se il soggetto si
era alimentato normalmente o si presentava disoressico
RISULTATI
I risultati clinici rilevati dall’autore in prima giornata sono
riportati nella tabella 1.
In terza, quinta e decima giornata tutti i parametri clinici
erano fisiologici. In nessun soggetto si è dovuto ricorrere
all’uso di antibiotico-terapia nel PO, né sono stati registrati
sintomi riferibili a SIRS o sono state rilevate raccolte sierose.
I risultati riportati dai clienti sono riportati in Tabella 2.
TABELLA 1
Gruppo
Eccellente
Buono
Soddisfacente
Sufficiente
Insufficiente
ORC gatto
14
1
0
0
0
ORC cane
13
2
0
0
0
OVE gatta
14
1
0
0
0
OVE cane
14
1
0
0
0
MST primo gruppo
12
2
0
0
0
MST secondo gruppo
3
1
0
0
0
TABELLA 2
Gruppo
Alimentazione
entro 12 h
Alimentazione
entro 24 h
Ripresa
normale
attività
entro 12 h
Ripresa
normale
attività
entro 24 h
Assunzione
spontanea
del farmaco
Assunzione
mascherata
del farmaco
Assunzione
forzata
del farmaco
ORC gatto
15
0
15
0
10
4
1
ORC cane
14
1
15
0
14
1
0
OVE gatta
15
0
15
0
9
4
2
OVE cane
14
1
15
0
14
1
0
MST primo gruppo
13
1
13
1
13
1
0
MST secondo gruppo
4
0
3
1
3
1
0
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una sensazione di risparmio e di un miglior rapporto fra il
costo per l’acquisto del farmaco ed il costo giornaliero della
terapia.
DISCUSSIONE
I limiti di questo studio sono principalmente costituiti dal
numero esiguo dei pazienti e dal fatto che mancano dati raccolti in doppio cieco. Comunque i risultati ottenuti evidenziano che il robenacoxid riesce, al pari di altri F ANS disponibili in commercio, a determinare un livello di analgesia e
d’infiammazione tale da assicurare una qualità di vita PO
ottima/buona e sovrapponibile a quella che il paziente aveva
nella fase preoperatoria. I proprietari riportano come sensazioni positive la facilità di somministrazione del farmaco
(anche nel gatto), la facilità di divisione delle compresse e il
fatto che essendo le confezioni composte di sette compresse
non si richiede l’acquisto di compresse “superflue” rispetto
a quelle necessarie per la terapia PO, avendo in questo modo
La bibliografia, i dosaggi dei farmaci e i dati dettagliati
raccolti nello studio sono disponibili su richiesta presso
l’autore.
Address for correspondence:
Paolo Bogoni
c/o Ambulatorio Veterinario Bogoni & Pasotti
Via Montegrappa 7/9, 25016, Ghedi (BS)
Tel. 0309033105; mail: [email protected]
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Malattia parodontale e conseguenze sistemiche:
dalla placca al cuore… e non solo
Dea Bonello
Med Vet, PhD, SRV, Dipl.EVDC, LP, Torino
umana che veterinaria. Nel cane, in particolare, è stata evidenziata l’associazione tra la gravità della parodontopatia
(es. profondità delle tasche parodontali) e le anomalie istopatologiche a carico di or gani come rene, miocardio e
parenchima polmonare ed epatico 9,10. Studi recenti hanno
inoltre dimostrato come nel piccolo animale, oltre che nell’uomo, la malattia parodontale è associata a significative
modifiche dei parametri sistemici di infiammazione (es.
conta leucocitaria, proteina C reattiva), a conferma del suo
impatto diretto sul carico flogistico generale 11,12. Tale evidenza risulta peraltro supportata dal riscontro della regressione di questi parametri aspecifici di flogosi a seguito di
terapia parodontale 11.
Scopo della presente comunicazione è quello di rassegnare le principali evidenze scientifiche che dimostrano l’associazione tra malattia parodontale e patologie sistemiche nel
cane e nel gatto.
L’obiettivo è quello di enfatizzare l’importanza della prevenzione e della cura delle malattie del cavo orale, a tutela
dello stato di salute generale, del benessere e della qualità
della vita dell’animale da compagnia 13.
INTRODUZIONE
Malattia parodontale o parodontopatia è un termine ad
ombrello che comprende quelle condizioni infettivo-infiammatorie del cavo orale, dapprima localizzate alle gengive
(gengivite), ma, se lasciate a sé, destinate ad interessare il
parodonto dei denti (parodontite) 1. Nella clinica dei piccoli
animali, la malattia parodontale rappresenta il primo motivo
di consulto veterinario, con una prevalenza superiore al 70%
nei gatti e all’80% nei cani, specie dopo i 3 anni di età 2,3.
Da un punto di vista eziopatogenetico, un ruolo fondamentale è rivestito dalla placca dentale: un concentrato di
circa 500 specie di batteri Gram+ e Gram-, che aderiscono al
biofilm proteico che riveste lo smalto dei denti, e che rappresentano un vero e proprio focolaio latente di infezione.
Infatti, se non quotidianamente rimossi attraverso le comuni
pratiche di igiene orale, i batteri della placca aumentano di
numero in modo incontrollato e, penetrando negli spazi gengivali profondi verso gli apici radicolari, incrementano
anche il loro potenziale patogeno distruttivo. Una volta
superate le risposte immunitarie difensive dell’organismo, si
avvia un’infiammazione cronico-ricorrente, che progressivamente si estende a tutti i tessuti periodontali, legamento
parodontale ed osso alveolare inclusi 4.
Gli esiti di questa “spirale di danno parodontale” 5 sono
innanzitutto locali. Gengiviti e parodontiti rappresentano,
infatti, la prima causa della perdita dei denti nel cane e nel
gatto, in seguito ai fenomeni di riassorbimento alveolare ed
osteomielite generati dal perdurare della flogosi locale. Fino
ad arrivare alle temibili complicanze di una malattia parodontale trascurata ed ormai irreversibile, come la frattura
patologica della mandibola e le fistole oro-nasali 6.
Nell’arco di tempo, tipicamente lungo, che va dall’inizio
di una gengivite alla caduta finale del dente, non è però
un’eventualità improbabile che i batteri adiacenti ai capillari della mucosa orale entrino nel circolo ematico. La batteriemia che ne consegue è alla base dell’insediamento e
della colonizzazione dei patogeni parodontali in or
gani
lontani dalla cavità orale e, dunque, della loro potenzialità
di avviare, specie nei soggetti anziani o defedati, infezioni
sistemiche importanti, quali ascessi cerebrali, infezioni
cardiache e polmonari 7,8.
Il nesso causale tra malattia parodontale e patologie
sistemiche è oggi ampiamente dimostrato in medicina sia
MALATTIA PARODONTALE E
RISCHIO CARDIOVASCOLARE
Nel cane, specie di età geriatrica, è stato dimostrato che la
malattia parodontale può aumentare il rischio di patologie
cardiache come endocarditi, miocardiopatie degenerative,
valvulopatie atrio-ventricolari e fibrillazioni atriali 9,10,12,14.
Nell’endocardite, in particolare, il rapporto causale con la
malattia parodontale è avvalorato non solo dall’isolamento
degli stessi batteri del solco gengivale a livello di valvole
mitrali infette 9, ma anche da studi epidemiologici su lar ga
scala che hanno dimostrato la correlazione diretta tra gravità dell’infiammazione orale e danno cardiaco 13. Circa i possibili meccanismi con cui la malattia parodontale può esporre al rischio di patologie cardiovascolari, sono stati invocati
non solo l’ef fetto diretto della dif fusione batterica dal cavo
orale ai tessuti cardiaci, ma anche gli elevati livelli sistemici di mediatori pro-infiammatori (es. IL-1, IL-6) e pro-ossidanti (es. NO) che, iper -rilasciati dalle cellule della mucosa
orale (es. mastociti), svolgono un ruolo anche nella genesi di
cardiopatie di varia natura 15-17.
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sulla genesi di stati infiammatori a carico di or gani distanti dal cavo orale. Ma dimostrano altresì un contributo indiretto della malattia parodontale, anche in fase precoce, al
carico infiammatorio sistemico, stante la capacità di gengiviti e parodontiti di determinare il rilascio massivo e prolungato di mediatori pro-infiammatori, pro-ossidanti e
citolesivi, in grado di entrare in circolo e peggiorare danni
a distanza già in atto.
Infine, la quantità di evidenze a favore del nesso tra
malattia parodontale e conseguenze sistemiche motiva fortemente il medico veterinario ad intraprendere la strada
della cura, ma, soprattutto, della prevenzione delle malattie
del cavo orale, come sistema di tutela dello stato di salute
generale dell’animale. Si tratta di un percorso volto soprattutto a controllare/ritardare l’accumulo di placca e tartaro,
sopprimendo gli ef fetti, locali e sistemici, della risposta
infiammatoria secondaria a tale accumulo. Il metodo più
efficace consiste sicuramente nell’abbinare alla periodica
profilassi parodontale (detartrasi sopra- e sotto-gengivale e
lucidatura dei denti) una costante prevenzione domiciliare.
Realizzabile, quest’ultima, solo con il coinvolgimento e
l’educazione dei proprietari riguardo le quotidiane norme
di igiene e salute orale da riservare all’animale da compagnia: spazzolatura, possibilmente quotidiana, dei denti,
controllo della dieta e della naturale masticazione, utilizzo
di prodotti utili nel rallentare la deposizione della placca
e/o nell’ottimizzare gli effetti di una saltuaria spazzolatura
dei denti.
MALATTIA PARODONTALE E
INSUFFICIENZA RENALE
Esiste un vasto repertorio di evidenze che suf fragano il
ruolo della batteriemia cronica “low grade” associata alla
malattia parodontale nella genesi di nefropatie infiammatorie come le glomerulonefriti, le nefriti interstiziali e le pielonefriti18.
Nel cane, analisi istopatologiche hanno dimostrato che la
parodontite si associa ad evidenti alterazioni strutturali sia
del mesangio glomerulare (fibrosi) che dell’interstizio corticale9,10. Più di recente, uno studio clinico prospettico ha
riportato la correlazione esistente tra gravità della malattia
parodontale ed alterazioni degli indici ematici di funzionalità renale (es. BUN) 11.
Un’indagine retrospettiva su lar ga scala ha inoltre confermato nel cane l’associazione tra gravità della parodontopatia ed aumentato rischio di insufficienza renale cronica 19.
Il trattamento della malattia parodontale determinava inoltre una significativa riduzione percentuale (23%) del rischio
di andare incontro ad azotemia associata alla nefropatia cronica19. Analoghi studi nel gatto sono attualmente in corso
(Glickman LT, personal communication).
MALATTIA PARODONTALE E
ALTRE MALATTIE SISTEMICHE
Specificatamente nel cane, la batteriemia cronica “ low
grade” tipica della malattia parodontale è stata chiamata
in causa nell’eziopatogenesi di disordini epatici di varia
natura, dall’epatite 9 alla colestasi intra- ed extra-epatica 20.
La cavità orale è peraltro considerata anche nell’animale
da compagnia un vero e proprio reservoir di contaminazione batterica per il tratto respiratorio, con il rischio che,
specie nei pazienti geriatrici e/o immuno-depressi, le
malattie parodontali trascurate rappresentino un importante fattore di rischio per infezioni rino-faringee e broncopolmonari9,10.
BIBLIOGRAFIA
1.
2.
3.
4.
5.
6.
CONCLUSIONI
7.
Nel settore dentistico umano, una grande mole di dati,
pubblicati durante gli ultimi 50 anni, sostanzia lo stretto
legame esistente tra malattia parodontale e patologie
sistemiche. Tant’è che di recente sono nati progetti specificatamente finalizzati allo studio sistematico dei rapporti esistenti tra parodontopatie, da una parte, e malattie
a forte impatto socio-sanitario, come le cardiopatie, il
diabete e le complicanze ostetriche (es. nascita di bambini pre-maturi e sotto peso), dall’altra (maggiori info su
www.periomedicine.it).
In Odontostomatologia veterinaria, nonostante le evidenze scientifiche siano più limitate, l’interesse per gli
effetti oro-sistemici della malattia parodontale è molto forte ed in continua crescita. I dati precedentemente rassegnati comprovano, infatti, un ef fetto diretto (legato, cioè, alla
disseminazione sistemica dei batteri) della parodontopatia
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Occuparsi di Odontoiatria di base:
cosa serve e quanto mi costa?
Dea Bonello
Med Vet, PhD, SRV, Dipl.EVDC, LP, Torino
ca, a cominciare dalla linea mediana 4. Per prima cosa, la
mobilità dentaria viene valutata con una scala da 0 a 3, premendo lievemente in direzione bucco-linguale sull’apice del
dente. In seconda battuta, si procede alla misurazione della
profondità delle tasche parodontali e delle perdita di osso a
livello delle forcazioni, in base ad un punteggio da 0 a 3 della profondità di penetrazione della sonda in direzione buccolinguale. Nei pazienti felini, è necessario valutare anche la
presenza di lesioni da riassorbimento, facendo passare la
punta della sonda esploratrice sulla zona cervicale di ogni
dente. Nei cani, le carie vengono invece solitamente individuate all’interno delle superfici occlusali del primo e secondo molare mascellare e dei molari mandibolari. Da indagare
anche la presenza di abrasioni e/o attriti e di dentina terziaria o di riparazione, più o meno accompagnata da esposizione della polpa. La registrazione completa di tutti i dati raccolti nella scheda clinica odontostomatologica è una procedura che richiede pochi minuti, ma aggiunge valore alla qualità della prestazione odontoiatrica erogata 5,6.
STRUMENTI DI BASE: SONDE
PARODONTALI E DA ESPLORAZIONE
Per eseguire un corretto esame intraorale, valutando in
modo attento e completo tutti i denti e le loro strutture di
sostegno (parodonto), la prima cosa da fare è dotarsi di
attrezzature e strumenti idonei 1. Solitamente, si utilizzano
strumenti combinati, dotati di sonda parodontale da una parte, e di una da esplorazione (explorer) dall’altra2,3. La sonda
parodontale ha una punta smussa ed è disponibile in diversi
calibri millimetrati, in modo tale da misurare la profondità
del solco gengivale e/o delle tasche parodontali. La sonda
serve anche a registrare la distanza tra giunzione cementosmalto e margine gengivale, in caso di migrazione apicale di
quest’ultimo e recessione della gengiva; come è indispensabile a valutare la migrazione coronale del mar gine gengivale libero, in caso di iperplasia gengivale. Questo tipo di sonda viene altresì utilizzata per valutare la mobilità dei denti,
il sanguinamento gengivale e la perdita di osso nelle zone di
forcazione, solitamente a carico dei denti pluriradicolati.
Quella più comunemente utilizzata è la sonda Williams con
tacche fino a 10 mm. In Medicina veterinaria si usano anche
sonde UNC 15, graduate fino a 15 mm, e particolarmente
utili per cani di grossa taglia o pazienti con tasche parodontali profonde; sonde Michigan “O”, il cui diametro molto
stretto consente un inserimento più facile nel solco gengivale dei gatti; e sonde di Nabers a forma ricurva per valutare la
perdita di osso nelle forcazioni. Le sonde explorer (es. Shepherd’s Hook, 11/12 ODU, Pig-Tail, Orban) vengono utilizzate per ispezionare la topografia della superficie dentaria.
Dotata di punta estremamente tagliente e flessibile, questa
sonda è in grado di trasmettere delle vibrazioni quando
incontra accumuli di tartaro o difetti dentari di superficie
come carie, esposizioni della polpa ed ipoplasia dello smalto. Le sonde da esplorazione sono altresì utilizzate per valutare l’esito finale di alcune procedure odontoiatriche conservative (es. restauro dei margini) o la levigatezza della superficie dentaria dopo detartrasi e lucidatura dei denti.
CURETTAGE PERIODONTALE
A partire dagli anni Ottanta, gli ultrasuoni rappresentano
anche in medicina veterinaria il primo strumento per l’ablazione di placca e tartaro (curettage periodontale). Conoscerne il funzionamento è la base per saperli usare con perizia e
sicurezza. Gli ablatori più comuni vengono suddivisi in
sonici ed ultrasonici, a seconda della frequenza impiegata 7.
In generale, gli apparecchi ad ultrasuoni convertono l’energia elettrica in energia meccanica tramite un trasduttore che,
a sua volta, produce delle vibrazioni della punta dell’apparecchio stesso comprese tra 18.000 e 36.000 cicli per secondo. Poiché il trasduttore elettrico produce anche calore, un
sistema di raffreddamento ad acqua affianca sempre il manipolo e l’inserto a punta. Quando il flusso d’acqua attraversa
la punta lavorante, si crea una cavitazione di minute bollicine d’aria: fenomeno per cui le particelle d’aria presenti
all’interno dell’acqua di raffreddamento implodono e liberano energia sotto forma di onde d’urto nel liquido, che a loro
volta favoriscono la disgregazione del biofilm batterico. Le
punte ultrasoniche creano anche una turbolenza acustica
(streaming), con ulteriore effetto disgregante su placca e tartaro. Esistono degli ablatori ad ultrasuoni che consentono la
VALUTAZIONE DEI DENTI E
DEL PARODONTO
I denti ed il parodonto vanno valutati, sia visivamente che
con l’utilizzo di sonde, per ogni singolo quadrante della boc-
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contemporanea infusione di soluzioni di chemioterapici, con
il risultato di ottenere, oltre alla detartrasi, anche una riduzione più accentuata delle tasche parodontali. Importante
tenere sotto controllo il volume e la temperatura dell’acqua,
per evitare effetti indesiderati come la necrosi pulpare8. L’uso dell’acqua durante le manovre parodontali deve inoltre
essere accompagnato da misure precauzionali, volte a proteggere da inquinamenti batterici (aerosol) sia gli operatori
che il paziente: disinfezione pre-intervento della bocca del
paziente, protezione e lubrificazione dei suoi occhi per
impedire la contaminazione batterica ed evitare ulcere corneali, uso di guanti, occhiali o maschere di protezione. La
misura di sicurezza più importante durante le procedure
parodontali rimane comunque intervenire su pazienti intubati, al fine di evitare temibili complicanze extra-orali (es. polmonite da aspirazione) 9.
LUCIDATURA DEI DENTI
Lo stadio finale del trattamento parodontale è la lucidatura dei denti, finalizzata a rimuovere qualsiasi residuo di placca o colorazioni esterne, nonché levigare le rugosità, anche
microscopiche, dei denti.
Per evitare di surriscaldare il dente e creare danni termici
alla polpa, è necessario utilizzare il manipolo alla velocità più bassa possibile e con rotazione costante solitamente intorno ai 2000-3000 rpm (rivoluzioni al minuto). La coppetta contenente la pasta abrasiva deve essere passata per
pochi secondi su tutte le porzioni del dente precedentemente trattate con l’ablatore ad ultrasuoni.
Durante le procedure di detartrasi e lucidatura dei denti, è
necessario proteggere gli occhi sia del medico veterinario
che del paziente, oltre che aver cura di usare guanti e
maschera, e controllare periodicamente la cuf fia endotracheale dell’animale intubato.
Una misura cautelativa potrebbe essere quella di posizionare una garza o un pezzetto di spugna nella parte posteriore della gola, in modo tale da creare un filtro al passaggio di
batteri e/o residui di varia natura. Chiaramente, risulta
necessario ricordarsi di rimuovere il filtro alla fine della procedura di profilassi parodontale.
ABLATORI AD ULTRASUONI
Gli ablatori ad ultrasuoni usati in Odontoiatria sono di due
tipi: magnetostrittivi e piezoelettrici, tra loro diversi per la
direzione del movimento della punta lavorante ed il tipo di
trasduttore impiegato per generare le vibrazioni. I trasduttori degli ablatori piezoelettrici sono dischi di ceramica o cristalli di quarzo che determinano un movimento lineare delle
punte; per questo, la loro azione si esercita solo sulle due
superfici laterali. Grazie alla proprietà di “magnetostrizione”
(proprietà dei materiali ferromagnetici di modificare le proprie dimensioni se sottoposti a campi magnetici), il trasduttore degli ablatori magnetostrittivi consente alla punta lavorante di compiere movimenti ellittici od orbitali, che raggiungono tutte le superfici da trattare. La scelta del tipo di
ablatore e di punta dipende dalla localizzazione dei depositi
di placca/tartaro, piuttosto che dagli obiettivi desiderati
(semplice rimozione della placca, detartrasi di imponenti
quantità di tartaro, levigatura radicolare). Le punte fin
i
impiegate per un miglior accesso a tasche parodontali profonde o forcazioni hanno un diametro di circa 30°-40° più
stretto rispetto a quelle standard utilizzate per la detartrasi.
La punta dello strumento si adatta lateralmente al dente e
viene mossa ripetutamente in modo tale da toccare ogni mm2
della superficie dentaria. Attenzione a non imprimere pressioni eccessive laterali che potrebbero ridurre le vibrazioni
e, dunque, la loro efficacia. L’angolo tra la punta ed il dente
deve essere mantenuto < 15° e la punta deve rimanere sempre in movimento. In considerazione del minor impegno
manuale per il professionista e dell’accorciamento dei tempi
dell’anestesia per il paziente, l’ablazione ad ultrasuoni si
configura come la metodica d’elezione per le procedure di
curettage del paziente odontoiatrico veterinario.
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Collasso bronchiale e broncomalacia
Enrico Bottero
Med Vet, Cuneo
Per broncomalacia (BM) s’intende un indebolimento congenito o acquisito della parete dei bronchi che collabisce con
gli atti del respiro. Essa è dovuta ad una debolezza intrinseca degli anelli cartilaginei che diventano meno rigidi e meno
competenti da un punto di vista funzionale (AdamamaMoraitou et al. 2010). Se è presente contemporaneo coinvolgimento di trachea e bronchi si parla di tracheobroncomalacia (TBM) (Carden et al., 2005). In medicina umana la TBM
è definita come una condizione nella quale l’indebolimento
delle pareti tracheali e bronchiali è dovuto ad un indebolimento della cartilagine di supporto e ad un’ipotonia degli
elementi fibroelastici (Baxter JD, 1963; Nuutinen, 1976).
Come risultato di questo processo la trachea e i bronchi principali perdono la loro usuale rigidità e le pareti delle vie
respiratorie si avvicinano; questo comporta una riduzione del
lume respiratorio e causa uno stato continuo o intermittente
di dispnea, difficoltà nella clearance delle secrezione, tosse,
bronchiti ricorrenti, polmoniti (Murgu D., 2006). L’eziologia
della BM non è chiara: infiammazioni e infezioni potrebbero avere un ruolo determinante o potrebbero essere una conseguenza della broncomalacia (Adamama-Moraitou et al.,
2010). Negli animali giovani con ostruzione delle vie aeree
superiori, ad esempio nei cani con sindrome bachicefalica,
che causano un’alterazione delle pressioni e delle resistenze
al flusso, si può avere una perdita di rigidità delle vie aeree
di minor calibro (Marolf et al., 2007; De Lorenzi et al.,
2009). La frequente e contemporanea presenza di BM e collasso tracheale potrebbero far ipotizzare che le medesime
alterazioni strutturali ed istologiche siano presenti in entrambe le condizioni patologiche. Ad esempio la diminuzione dei
glicosaminoglicani e dell’acqua, la presenza di matrice
amorfa carente in condrociti ed a trama porosa e la presenza
di fibre cartilaginee più piccole sono alterazioni rilevate in
corso di collasso tracheale. Ad oggi non esistono studi esaustivi che abbiano indagato tali anomalie in corso di BM.
Anche in medicina umana questo tipo di studi ha portato a
conclusioni non definitive ed il termine broncomalacia ha
racchiuso e racchiude condizioni considerate, attualmente,
differenti da un punto di vista fisiopatologico e clinico. Viene definito eccessivo collasso dinamico delle vie aeree
(EDAC) una condizione in cui la riduzione del lume bronchiale è secondaria all’invaginamento della membrana bronchiale posteriore, mentre la bronco malacia è riferita ad un
indebolimento e collasso della struttura cartilaginea dei
bronchi. Esistono poi diverse sottocategorie nell’ambito di
queste definizioni sia su base morfologica che fisiopatologica. In medicina veterinaria la bronco malacia nel cane è stata riportata solo recentemente come un’entità clinica isolata
(Johnson and Pollard, 2010), ma molto poco si conosce circa l’epidemiologia, gli aspetti clinici e clinico patologici
associati. Questa condizione può essere associata o meno al
collasso tracheale. La broncomalacia è un disturbo comune,
seppur poco conosciuto, nei pazienti anziani con problemi
respiratori. L ’incidenza della BM nel cane sembra essere
maggiore della tracheobroncomalacia acquisita negli adulti
in medicina umana (<5%) (Jokinen et al., 1977) e della tracheobroncomalacia congenita nei bambini (34%) (Master et
al., 2002). Dai pochi studi condotti in letteratura emer ge che
la BM può colpire cani di qualsiasi razza (Johnson and Pollard, 2010) e sesso; anche se tipicamente si rileva in cani
anziani di piccola e media taglia, in sovrappeso o obesi. I
cani con broncomalacaia appartengono quindi alla stessa
nicchia epidemiologica dei pazienti af fetti da collasso tracheale e da patologia mitralica geriatrica. La tosse è il principale sintomo della BM, tipicamente si rileva una tosse profonda e ad accessi, ma la presentazione può essere variabile
in base alle patologie bronco-polmonari concomitanti. Gli
autori presumono che molti pazienti in cui la tosse viene considerata e trattata terapeuticamente come conseguenza della
cardiopatia, siano in realtà af fetti da patologie respiratorie e
seganatamente da BM. La radiografia viene considerata un
metodo diagnostico poco sensibile per la broncomalacia sia
in medicina umana (Finder, 1997; Austin and Ali, 2003) che
in medicina veterinaria (Johnson and Pollard, 2010; Adamama-Moraitou et al., 2010). Non esiste un quadro radiografico patognomonico di BM e la frequente associazione della
BM con altre patologie delle vie aeree o del parenchima polmonare esita in un ampio range di pattern radiografici possibili. La broncoscopia rappresenta il gold-standard per la diagnosi di collasso tracheale e bronco malacia sia nell’uomo
che nel cane. Non esistono però né un metodo di classificazione né un metodo di stadiazione endoscopica della broncomalacia nel cane. Nel lavoro di Johnson e Pollard del 2010
il collasso delle vie aeree viene identificato come una riduzione maggiore al 25% del diametro bronchiale statico o
dinamico e vengono indicati i singoli bronchi colpiti. De
Lorenzi invece nel suo lavoro sui cani con sindrome brachicefalica che presentano collasso bronchiale statico individua
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Figura 1 - Collasso dinamico di due bronchi sub-segmentari.
Figura 2 - Collasso statico di un bronco lobare.
tre gradi di collasso in base alla riduzione del lume bronchiale rispettivamente del 30, 60 e 100% del diametro. L ’obiettivo preliminare di questo lavoro è di descrivere una
serie di pazienti affetti da BM, caratterizzandone meglio l’aspetto clinico, epidemiologico ed endoscopico. In futuro la
valutazione del follow-up e dell’esame istopatologico dei
polmoni affetti da BM avranno come obiettivo una migliore
conoscenza dell’eziologia, della fisiopatologia, della prognosi e della risposta alla terapia. Vengono valutati 59
pazienti, scelti nell’ambito di 102 soggetti sottoposti a endoscopia delle vie aeree per tosse cronica nel periodo compreso tra Ottobre 2009 e Dicembre 2010. Questo primo dato è
già significativo in quanto evidenzia una prevalenza del
57,8% della BM nell’ambito dei pazienti affetti da tosse cronica, il cui iter diagnostico porta all’esecuzione di un approfondimento endoscopico. Per tutti i soggetti vengono raccolti: segnalamento, anamnesi ambientale, anamnesi clinica,
riscontro radiografico, esame emocromocitometrico, profilo
biochimico di base, valutazione delle funzionalità cardiaca,
presenza e stadiazione del collasso tracheale, quadro endoscopico e follow-up a 3 e 6 mesi (quando possibile). Quando presenti vengono inseriti anche i dati relativi a malattie
infettive ed i risultati del lavaggio bronco-alveolare. La tosse è stata classificata sia come durata che come gravità in 4
classi. La durata è stata divisa da 2 a 3 mesi, da 3 a 6 mesi,
da 6 mesi ad un anno e a più di un anno. La gravità è stata
classificata come moderata con accessi, grave, grave ad
accessi e grave in peggioramento. La valutazione endoscopica prevede la distinzione in due grandi categorie macroscopiche e cioè: collasso dinamico e collasso statico. Il collasso dinamico consiste in una diminuzione del diametro
bronchiale solo durante gli atti espiratori e conseguentemente durante la tosse. Il collasso statico consiste in una riduzione costante del lume bronchiale che non viene influenzata o viene al limite peggiorata durante l’espirazione e/o la
tosse. Il collasso statico viene caratterizzato per gravità in tre
gradi. Grado 1: Diminuzione del diametro non superiore al
25%, grado 2: diminuzione del diametro del 50%, grado 3:
diminuzione del diametro uguale o superiore al 75%. Il collasso dinamico, anche definito EDAC (excessive dynamic
airway collapse) viene classificato per gravità in 3 gradi:
GRADO I: Diminuzione del diametro in fase dinamica inferiore o uguale al 50% del lume bronchiale. GRADO II:
Diminuzione del diametro in fase dinamica superiore a l
50%, senza che ci sia contatto della mucosa della porzione
bronchiale dorsale e ventrale, GRADO III: Diminuzione del
lume superiore al 50% con costante contatto della mucosa
della porzione bronchiale dorsale e ventrale. Per entrambe le
tipologie di collasso viene classificata anche l’estensione:
Estensione A: alterazioni presenti in 3 o meno di 3 bronchi.
Estensione B: alterazioni presenti in almeno 3 fino a 5 bronchi. Estensione C: alterazioni presenti in più di 5 bronchi. Se
il collasso dinamico o statico è presente in almeno 2 bronchi
lobari l’estensione viene sempre classificata come C. Tutti
questi dati vengono valutati statisticamente.
BIBLIOGRAFIA
1.
2.
3.
4.
Tracheal collapse and bronchomalacia in dogs: 58 cases (7 /2001-1
/2008). Johnson LR, Pollard RE. J Vet Intern Med. 2010 Mar -Apr;
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A retrospective study of the relationship between tracheal collapse
and bronchiectasis in dogs. Marolf A, Blaik M, Specht A. Vet Radiol
Ultrasound. 2007 May-Jun;48(3):199-203.
Canine bronchomalacia: A clinicopathological study of 18 cases diagnosed by endoscopy. Adamama-Moraitou KK, Pardali D, Day MJ,
Prassinos NN, Kritsepi-Konstantinou M, Patsikas MN, Rallis TS. Vet
J. 2010 Dec 20.
Indirizzo per la corrispondenza:
Enrico Bottero - E mail: [email protected]
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Dental Tricks: piccoli trucchi e strategie per offrire
un servizio odontoiatrico nella tua pratica di base
Fabrizia Canepa
Med Vet, Novara
Dea Bonello
Med Vet, PhD, SRV, Dipl EVDC, LP, Torino
di dire una sola parola, cerchiamo di usare al massimo quelle espressioni posturali e del viso che rendano chiaramente
al proprietario le nostre impressioni. Se siamo attrezzati, trasferiamo sul monitor del computer alcune foto intraorali del
paziente, in modo da mostrare la situazione al proprietario e
coinvolgerlo visivamente, facilitando la comprensione di
quello che stiamo spiegando. A tal fine, può rivelarsi molto
utile anche lasciare del materiale (un opuscolo ad esempio),
che illustri le principali malattie del cavo orale, e che il proprietario possa leggere con calma una volta tornato a casa1,2.
INTRODUZIONE
Nella gestione efficiente di una struttura veterinaria si
devono individuare nuovi servizi da offrire alla clientela. Per
proporre il nuovo servizio è consigliabile seguire alcuni criteri generali: si renderà necessario creare, o rendere manifesto, il bisogno con materiale informativo.
Sarà altresì necessario valutare gli aspetti pratici del nuovo servizio, istruendo sia i collaboratori che il personale, ed
esaminando gli aspetti economici. Questi includono i costi
di avvio e il previsto ritorno economico dell’investimento.
IL PUNTO DI VISTA DEL PROPRIETARIO
GUADAGNARE LA COMPLIANCE
DEL PROPRIETARIO
È importante prendere in considerazione il punto di vista
del proprietario: gli stimoli che determinano l’esigenza di
usufruire di un servizio (sentito dire, pubblicità, input dati
dal veterinario); raccolta delle informazioni (possibili alternative alle proposte del vet, prezzi, rapporto qualità/prezzo)
e loro valutazione. Soprattutto in fase di avviamento del programma dentale, proponiamo una visita odontoiatrica gratuita, oppure uno sconto sulla prima visita 3-5.
La nostra professione di Veterinari è per certi versi paragonabile a quella dei Pediatri, nel senso che entrambi i professionisti interfacciano il proprio paziente tramite la mediazione obbligatoria di un terzo: il proprietario per noi Veterinari; il genitore per il Pediatra.
Come ben sappiamo, questo “elemento in più” è assolutamente cruciale per il successo di qualunque procedura, terapia o consiglio scaturisca da una nostra visita.
Se ciò è vero per tutti i settori della Medicina Veterinaria,
in odontoiatria assume un’importanza assolutamente cruciale. Guadagnare e mantenere la compliance del proprietario è
allora il primo obiettivo da perseguire.
LA COMPLIANCE … DOMICILIARE
Qualunque sia la diagnosi e la terapia che avremo indicato, non potremo certo ignorare l’importanza di tutte quelle
procedure cosiddette domiciliari, assolutamente necessarie al
buon esito della terapia, e la cui responsabilità grava totalmente sulle spalle del proprietario. Molta parte del successo
della terapia e del benessere del nostro paziente dipendono
proprio dalla compliance del proprietario. Prendiamo il tempo che serve per spiegare cosa significhi in termini pratici, di
impegno e di costanza la parte domiciliare del piano terapeutico, sia essa la spazzolatura quotidiana o qualunque altro
intervento che veda il proprietario nella veste di dispensatore
delle cure necessarie 6-8. Impariamo a tarare i nostri consigli
rispetto alle sue caratteristiche e a quelle del paziente 8 e non
dimentichiamo di fissare il successivo appuntamento.
COMUNICARE BENE
È importante imparare a comunicare nel miglior modo
possibile: con le parole, certo, ma anche con il tono di voce,
la gestualità, la mimica facciale, e, non ultima, la capacità di
restare in silenzio, quando serve. Facciamo un esempio. Nell’aprire la bocca di un paziente ci troviamo davanti ad un
imponente accumulo di tartaro, un arrossamento zonale delle gengive intorno ai premolari inferiori, il canino superiore
sinistro rotto ed un alito assolutamente insopportabile. Prima
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Avendo riscontro positivo si passa alla seconda fase, che
comporta: (1) istruire i colleghi e il personale della clinica
adottando approcci e strategie comuni; (2) occuparsi della
redazione di opuscoli, starter kit; (3) programmare visite
preventive gratuite; (4) of frire a tutta la clientela il nuovo
servizio; (5) analizzare i costi di partenza (acquisti dell’apparecchiatura, metodi di pagamento, ecc); (6) decidere quale livello di servizio offrire.
Gli ostacoli nell’of frire un servizio di qualità sono da
ricercare principalmente nell’inadeguato training, nella
mancata individuazione delle patologie dentali, in attrezzature inadeguate o nei limiti dello staf f nella comunicazione/offerta/diagnosi.
Dopo sei mesi dall’inizio del servizio ne valuteremo il
risultato con schede di soddisfazione cliente appositamente
approntate.
SUPERARE LE PAURE
Tre sono le principali paure da superare, per cominciare
ad occuparsi con successo di odontoiatria. 1. Non temiamo di affrontare un piccolo investimento per acquistare o
migliorare l’attrezzatura occorrente. 2. Non temiamo di suggerire un controllo odontoiatrico ai clienti 3. Non abbiamo
paura di perdere tempo prezioso impegnandoci di odontoiatria. È un guadagno, non un perdita 4!
PREPARARSI BENE E FARE UNA SCELTA
DI LIVELLO
Per entrare nel settore dell’odontoiatria è necessario
attrezzarsi per of frire un servizio di elevata qualità. Per far
questo, bisogna innanzitutto curare la propria preparazione.
Gli studi universitari, purtroppo, non aiutano in tal senso.
Sarà, dunque, necessario individuare gli strumenti più idonei
di educazione e aggiornamento (corsi, stage, ecc…). Altro
elemento decisivo è individuare con chiarezza il livello di
offerta per il quale ci si vuole preparare, ricordando che esistono 3 possibili livelli di prestazione odontoiatrica:
(A) Livello base = pulizia dei denti (detartrasi e lucidatura) e qualche facile estrazione. Bastano attrezzature specialistiche di base (es. ablatore ad ultrasuoni e micromotore),
ricordandosi, però, che l’indagine radiografica è sempre
necessaria per diagnosticare correttamente le lesioni dentali.
(B) Livello intermedio = esecuzione di diagnosi più accurate (radiologia intraorale), trattamento di parodontopatie
complesse, estrazioni chirur giche complicate e gestione dei
traumi maxillo-facciali più semplici.
(C) Livello avanzato = prestazione altamente specialistica
(chirurgia maxillo-facciale,
anche oncologica, endodonzia e protesi). Se non si è estremamente motivati ad acquisire questo tipo di competenze, è
consigliabile riferire i casi più complicati agli specialisti di
zona4.
CONCLUSIONI
Nel nostro Paese, l’odontoiatria veterinaria è un settore
ancora agli esordi. Per questo è destinato a crescere nei prossimi anni e sarà foriero di soddisfazioni per tutti coloro che,
con costanza, impegno ed un piano strategico ben chiaro,
vorranno dedicarsi a questa neonata disciplina. La sensibilità del proprietario nei confronti della salute e dell’igiene orale, oggi è forse più alta della nostra stessa sensibilità di professionisti, anche alimentata dall’importante sforzo messo in
atto in questi ultimi decenni dai nostri colleghi di medicina
odontoiatrica umana. Usiamo bene questo volano e traduciamolo in una opportunità di crescita professionale e, perché no, anche economica.
BIBLIOGRAFIA
1.
2.
3.
4.
5.
AVVIO DI UN NUOVO SERVIZIO
Quando si decide di far partire un nuovo servizio odontoiatrico bisogna stabilire una successione di eventi: (1)
decidere gli obiettivi istruendo lo staff e informando i clienti; (2) spiegare che il nuovo servizio è un valore aggiunto per
l’animale da compagnia; (3) adottare tra i collaboratori un
unico tipo di comunicazione; (4) selezionare la clientela e il
target o decidere di proporre il servizio a tutti; (5) preparare
il lancio del servizio; (6) promuovere il servizio, ad esempio
con “starter kit”.
Possiamo valutare l’interesse della clientela nei confronti
della pratica odontoiatrica con schede per conoscere l’interesse dei clienti.
6.
7.
8.
Camilo P, (2011), Open wide: Getting clients to "YES", FirstLine,
DVM360.com, Feb: 26-29.
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Harvey CE, (2005), Management of periodontal disease: understanding the options, Vet Clin North Am Small Anim Pract, 35:
819-836.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dea Bonello - E-mail: [email protected]
Fabrizia Canepa - E-mail: [email protected]
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Tecniche chirurgiche per il trattamento
delle patologie surrenali del furetto domestico
Vittorio Capello
Med Vet, Dipl ECZM (Small Mammal), Dipl ABVP (Exotic Companion Mammals), Milano (I)
La sindrome relativa alle patologie delle ghiandole surrenali è un evento piuttosto frequente nell’ambito della medicina del furetto domestico. Il trattamento chirur gico rappresenta l’opzione terapeutica causale, ed è spesso messo in
atto in concomitanza con la terapia medica.
ghiandola surrenale sinistra patologica può essere di dimensioni notevoli, adesa al polo craniale del rene omolaterale.
La ghiandola surrenale destra è situata in posizione craniomediale rispetto al rene omolaterale, caudale al lobo caudato del fegato, e dorsomediale alla vena cava caudale, adiacente alla parete della vena cava stessa. Sebbene non sia
avvolta da tessuto adiposo, la visualizzazione diretta può
essere difficile o incompleta per via della posizione parzialmente dorsale alla vena cava caudale, che la nasconde parzialmente o completamente alla vista. L’ispezione completa
prevede una delicata retrazione o spinta in posizione lateroventrale rispetto alla vena cava, vale a dire -considerando la
posizione del paziente in decubito dorsale- verso l’alto in
direzione della vista del chirurgo. Questa manovra, in genere eseguita con la punta del dito indice, consente anche la
palpazione della ghiandola. L’omissione di questa manualità può determinare una valutazione incompleta e sottostimata della ghiandola surrenale destra, sia in termini di dimensioni, forma e consistenza; sia per la scelta della tecnica chirurgica più adeguata.
Durante l’ispezione laparotomica è possibile reperire tessuto surrenalico ectopico. Quando presente, è praticamente
impossibile individuare aree microscopiche di tessuto normale, tuttavia noduli di tessuto patologico separati dalla
ghiandola possono essere facilmente identificati. In questo
caso, non devono essere confusi con la ghiandola vera e propria, e i punti di repere della surrenale destra rappresentano
un valido aiuto dal punto di vista topografico.
L’ispezione laparotomica può riguardare altri or gani
addominali (fegato, pancreas, intestino, linfonodi, prostata)
e prevedere altre manualità chirur giche, a seconda del singolo paziente. Al termine delle manualità chirur giche, la
parete addominale e i tessuti molli superficiali sono suturati
secondo routine.
LAPAROTOMIA ESPLORATIVA E
TERAPEUTICA
Poiché le patologie delle ghiandole surrenali sono spesso
associate ad altre malattie concomitanti, un corretto esame
ispettivo della cavità addominale in toto previa laparotomia
è molto importante ai fini del trattamento chirur gico.
L’approccio tradizionale ventrale mediante incisione della linea alba rappresenta la prassi chirur gica per questo tipo
di intervento. In caso di intervento esplorativo completo
l’incisione addominale deve essere ampia, estesa dall’appendice xifoidea dello sterno, alla regione pubica. La visualizzazione e l’esposizione sono molto importanti sia per l’ispezione completa della cavità addominale, sia per le
manualità chirurgiche di surrenectomia, in modo particolare
a destra. Il “Lone Star Retractor” ® è un divaricatore estremamente versatile, ef ficace, e facile da usare. È piuttosto
leggero poiché è costituito di materiale plastico completamente autoclavabile.
Le ghiandole surrenali normali sono di forma ovoidale,
poco più grandi di un chicco di riso. L ’asse maggiore misura circa 5-8 mm, e l’asse minore 2-3 mm. Il colore normale
è rosa pallido, e la superficie è liscia e regolare.
La ghiandola surrenale di sinistra è normalmente avvolta
dal tessuto adiposo perirenale, e può essere difficile o impossibile da visualizzare direttamente. Le ghiandole surrenali
patologiche sono spesso aumentate di volume, e presentano
forma e superficie irregolari. Il colore può essere rosa più
intenso tendente al rosa salmone o al giallo; più rotondeggianti, più dure alla palpazione, e circondate da un supporto
vascolare più evidente. Alcune di esse possono presentare
pigmentazione scura, e/o cisti macroscopicamente visibili. È
molto importante ricordare che non tutte le ghiandole surrenali patologiche sono aumentate di volume, e sebbene alcune di esse protrudano attraverso il tessuto adiposo perirenale, in molti casi è necessaria un’accurata dissezione del grasso stesso per una visualizzazione corretta. In alcuni casi la
CONSIDERAZIONI GENERALI IN MERITO
ALLA SURRENECTOMIA
In letteratura sono descritte diverse tecniche chirur giche
per l’escissione delle ghiandole surrenali. Tuttavia, non sono
disponibili studi clinici relativi alla comparazione degli esiti
post-chirurgici, a possibili complicanze, e ai tempi di
sopravvivenza. Nella maggior parte dei casi, la scelta della
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tecnica dipende dalla valutazione e dall’esperienza del chirurgo. Altri elementi molto importanti sono rappresentati
dagli strumenti chirurgici disponibili, e dalla consapevolezza e accettazione del livello di rischio chirurgico da parte del
proprietario.
L’escissione chirurgica completa rappresenta l’unica terapia causale. Tuttavia, l’asportazione chirur gica parziale
(subtotale) della ghiandola surrenale destra può essere presa
in considerazione nei casi in cui si sospetti o sia evidente
l’interessamento della vena cava; oppure per prevenire possibili crisi addisoniane conseguenti ad ipoadrenocorticismo
iatrogeno. Mentre nelle altre specie animali la surrenectomia
totale bilaterale richiede la somministrazione cronica di steroidi, nel furetto questa necessità non è certa. Segnalazioni
aneddotiche di escissione totale non seguite da ipoadrenocorticismo anche senza somministrazione di steroidi suggeriscono una possibile escissione subtotale, metastasi locali
attive dal punto di vista ormonale, o presenza di tessuto surrenalico ectopico.
Oltre all’utilizzo di divaricatori leggeri e versatili, sono
essenziali alcuni altri strumenti e materiali: occhialini per
l’ingrandimento della visione, strumenti chirurgici molto
piccoli, clip emostatiche e applicatore dedicato; pinze vascolari e garze ad azione emostatica a base di cellulosa ossidata. Per eseguire l’occlusione temporanea della vena cava
caudale in corso di surrenectomia destra, le pinze vascolari
sono preferibili a quelle emostatiche. La pinza vascolare di
Satinsky è applicata temporaneamente alla vena cava caudale attorno alla ghiandola surrenale. Tecniche particolari possono richiedere altri materiali, quali gli anelli ameroidi.
ghiandola surrenale destra, il sottile legamento epatorenale
viene scontinuato per sollevare il lobo caudato del fegato.
L’isolamento per via smussa della porzione della vena cava
caudale al fegato e craniale all’ilo renale è necessario per
l’emostasi temporanea della vena cava stessa.
Escissione subtotale
ESCISSIONE CHIRURGICA DELLA
GHIANDOLA SURRENALE SINISTRA
L’escissione subtotale è una tecnica chirurgica da prendere in considerazione quando, indipendentemente dalle
dimensioni della ghiandola surrenale patologica, non è presente invasione della vena cava. Può essere eseguita utilizzando la tecnica di applicazione delle clip emostatiche,
oppure mediante “debulking” in seguito ad incisione. Nel
primo caso, una o più clip emostatiche vengono applicate fra
la ghiandola surrenale patologica e la vena cava, tangenzialmente alla parete. La stretta adiacenza con la vena cava consente l’asportazione di gran parte del tessuto patologico, ma
non completamente.
La tecnica del “debulking” prevede l’incisione longitudinale della ghiandola surrenale, seguita dall’escissione della
porzione midollare e di parte della corticale utilizzando una
pinza chirur gica o emostatica. Per prevenire una possibile
emorragia dovuta ad un’eventuale comunicazione vascolare
diretta fra la ghiandola e la vena cava, si applicano clip emostatiche tangenziali alla vena stessa subito dopo l’incisione
della capsula.
Quando gran parte della ghiandola patologica (molto più
del 50%) viene asportata, l’escissione subtotale può considerarsi adeguata. Questa tecnica chirur gica palliativa è più
efficace se associata all’escissione della ghiandola surrenale
sinistra (se patologica), e consente un miglioramento clinico
a medio o lungo termine. La prognosi è invece meno positiva quando l’analisi istologica rivela la presenza di adenocarcinoma della ghiandola stessa.
Escissione completa
Escissione totale
L’escissione chirurgica completa (o totale) della ghiandola surrenale sinistra è nella maggior parte dei casi fattibile e
relativamente semplice. Può essere particolarmente dif ficile
nel caso in cui la ghiandola patologica assuma dimensioni
notevoli, oppure in caso di adesioni e metastasi locali.
L’escissione per via smussa viene eseguita utilizzando
forbici di dimensioni adeguate, oppure tamponcini di cotone. L’emostasi dell’arteria e della vena frenicoaddominale
che ne rappresentano il supporto vascolare è eseguita con
materiale riassorbibile 5-0 USP o con clip emostatiche. La
ghiandola è quindi liberata dal tessuto adiposo adiacente, e
rimossa.
In alcuni casi eccezionali, quando la ghiandola patologica
non è intimamente adesa alla vena cava, l’escissione completa è possibile attraverso una dissezione per via smussa
estremamente accurata, e sempre sotto controllo emostatico
della vena cava. Dato che una comunicazione vascolare
diretta con la vena cava può essere presente, una o più clip
emostatiche vengono applicate tangenzialmente alla vena
cava prima di completare l’escissione.
Quando è presente invasione della parete e di parte della
vena cava, e la scelta dell’escissione subtotale non viene
presa in considerazione, è necessaria una flebectomia parziale della vena cava. La porzione della vena cava viene
asportata insieme alla ghiandola surrenale patologica, e
suturata con materiale monofilamento riassorbibile di calibro da 6-0 a 8-0 USP.
In caso di coinvolgimento esteso della vena cava, è segnalata la resezione parziale e l’anastomosi della vena cava stessa.
La legatura della vena cava caudale finalizzata all’escissione totale della ghiandola surrenale destra è legata al
rischio di complicanze post-chirur giche significative, associate a ipertensione portale e infarti intestinali. Nella specie
umana e nel cane, la legatura della vena cava fra la vena
renale e il fegato è associata ad un tasso di mortalità del
ESCISSIONE CHIRURGICA DELLA
GHIANDOLA SURRENALE DESTRA
La surrenectomia destra è tecnicamente più dif ficile. Per
questo motivo, a seconda dei casi può essere eseguita sia l’escissione chirur gica totale che subtotale, tenendo presente
che solamente la surrenectomia completa della ghiandola/e
interessata/e rappresenta la terapia chirurgica causale e completamente curativa. Per ottimizzare l’esposizione della
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25%. Segnalazioni aneddotiche sembrerebbero indicare un
rischio simile anche nel furetto. In realtà, esistono significative dif ferenze individuali, relative alle dimensioni della
ghiandola surrenale patologica. Una ricerca condotta nel
furetto ha dimostrato la presenza di circolo vascolare collaterale dalla vena cava caudale obliterata al seno venoso vertebrale, vena azigos, fino alla vena cava craniale. È stato ipotizzato che la sopravvivenza dei furetti alla legatura della
vena cava caudale è dovuta allo sviluppo del circolo collaterale determinato dalla compressione della neoformazione
nei confronti della vena cava. Un esame contrastografico
venoso può aiutare a stabilire se il paziente ha già sviluppato un circolo collaterale ef ficiente, ed essere un candidato
chirurgico per la legatura della vena cava caudale.
Il riscontro parafisiologico della presenza di circolo collaterale ha reso possibile la messa a punto di una tecnica chirurgica in due fasi a distanza di tempo. L’utilizzo degli anelli vascolari ameroidi è mutuato dal trattamento chirur gico
degli shunt portosistemici nel cane. La parte interna dell’anello (ameroide) è un colloide sintetico che aumenta di volume gradualmente a contatto con i fluidi tissutali. L ’anello
ameroide viene posizionato caudalmente alla ghiandola surrenale destra patologica durante il primo intervento di laparotomia. La legatura della vena cava, l’escissione totale della ghiandola surrenale patologica e la rimozione dell’anello
ameroide vengono eseguiti da 1 a 3 mesi più tardi, durante il
secondo intervento chirur gico. Sia il posizionamento, sia la
rimozione dell’anello ameroide, non devono danneggiare il
supporto vascolare del rene destro.
La legatura dif ferita nel tempo della vena cava caudale
può anche essere eseguita applicando una benderella di cellophane o di gomma attorno alla vena. La benderella non
viene stretta attorno alla vena, ma la reazione perivascolare
esita nell’occlusione della vena cava.
bisturi, la chirur gia laser, la criochirur gia, e l’iniezione di
alcool all’interno della ghiandola. Tuttavia, queste tecniche
non consentono l‘esecuzione di una biopsia tissutale e di
un esame istologico.
Inoltre, l’ef fettiva distruzione del tessuto surrenalico
patologico può essere dif ficile da valutare macroscopicamente. Il danno termico nei confronti della vena cava o dei
tessuti adiacenti, oppure un residuo di tessuto necrotico
potrebbero condurre a possibili complicanze.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Vittorio Capello
Clinica Veterinaria S. Siro;
Clinica Veterinaria Gran Sasso
Milano, Italy
TECNICHE NON ESCISSIONALI
Esistono tecniche alternative per il trattamento delle
ghiandole surrenali patologiche, quali l’utilizzo del radio-
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Il gioco della mente: basi cognitive dell’attività ludica
Maria Chiara Catalani
Med Vet, Comportamentalista, Dr Ric, Perugia
co, in corso di pubblicazione). Inoltre, ci of fre approfondite
conoscenze sulla mente animale e su come opera nella definizione di un individuo e del suo comportamento.
Affrontando l’analisi delle dotazioni intellettive di una
Specie, le scienze cognitive studiano le caratteristiche dei
problemi che ogni animale deve af frontare nel suo contesto
di vita, valutano le performance cognitive di cui necessita e
le caratteristiche delle situazioni problema che gli si presentano e degli strumenti che ha per risolverle quotidianamente
(Marchesini R., 2008).
In questa ottica possiamo distinguere dif ferenti forme di
intelligenza, adattative per ogni Specie, e avvalerci di queste
conoscenze per strutturare il processo educativo del cane,
programmando e proponendo le attività evolutive migliori,
sulla base della fase di sviluppo, delle caratteristiche individuali, delle aree di interesse e gratificazione (motivazioni)
che possiamo individuare (Tabella 1).
Il gioco, in questi termini, può essere utilizzato non solo
come attività distraente e ricreativa ma come vera e propria
“attività evolutiva”, inserita nel progetto pedagogico per
ridurre i problemi legati all’impulsività, favorire la riflessività, alimentare l’adattabilità del soggetto, promuovere
il
miglioramento dell’integrazione del cane nel contesto sociale umano.
Gli obiettivi pedagogici di base dell’attività ludica prevedono una promozione di fiducia, la marcatura emozionale
positiva del momento interattivo, l’acquisizione di autocontrolli, il miglioramento della comunicazione. Attraverso il
gioco possiamo rinsaldare i legami affiliativi e af fettivi e
dare al cane delle competenze operative specifiche, delle
regole da rispettare e da applicare in molti ambiti di interazione, lavorando anche sulla possibilità di evocare situazioni in cui sia necessario un continuo scambio di ruoli tra proprietario e animale, in una cornice espressiva piacevole, gratificante e divertente per tutti.
Il gioco cognitivo consiste in una serie di attività finalizzate ad aumentare la flessibilità del cane, a diminuireil comportamento impulsivo, ad accrescere la capacità di adattarsi
ai mutamenti e alle fluttuazioni ambientali e si fonda sulla
conoscenza delle capacità sensoriali, comunicative e mentali dell’animale. Attraverso giochi cognitivi possiamo favorire un forte arricchimento delle conoscenze dell’animale e
delle sue competenze in dif ferenti situazioni di vita e,
ampliando questo suo bagaglio, possiamo raggiungere l’o-
“Il gioco sociale è un esempio eccellente di un comportamento che nel contempo fa sentire bene ed è importante per
la sopravvivenza. La gioia che viene condivisa durante un
gioco connette gli individui e regola le interazioni. Il gioco
è facilmente distinguibile da altri comportamenti: gli individui appaiono profondamente presi dall’attività e attraverso
i loro movimenti acrobatici, le vocalizzazioni gioiose e i sorrisi mostrano divertimento. Gli studi sulla chimica del gioco
supportano l’idea che il gioco sia divertimento. Il neuroscienziato Steve Siviy ha dimostrato che la dopamina (e probabilmente serotonina e norepinefrina) sono importanti nella regolazione del gioco, e che ampie regioni del cervello si
attivano durante il gioco[]. Il neuro scienziato Jaak Panksepp sostiene che la ricerca sulle sedi rudimentali del gioco
nei mammiferi, che siano esperti o meno, indica chiaramente che le fonti del comportamento ludico così come del ridere, a livello cerebrale, sono entrambe istintive e sotto-corticali. La dopamina, un neuro mediatore chimico, è implicata, inoltre, nella ilarità sia dell’uomo che del ratto”
(Marc Bekoff, 2010)
INTRODUZIONE
Educare, scrive Roberto Marchesini, è “portare a compimento il progetto cane” (Marchesini R., 2007). Il progetto
pedagogico, in un approccio analogo alla pedagogia umana,
prevede di indirizzare la crescita di un individuo valorizzandone le qualità soggettive e rispettando quelle speciespecifiche.
L’intervento educativo, pertanto, implica un adeguamento
degli interventi alle diverse tappe dello sviluppo comportamentale del cucciolo o del gattino. Diversamente, in un contesto di patologia comportamentale, è necessario intervenire
sulle problematicità adottando strategie applicabili per il
proprietario e che possano favorire il processo terapeutico,
aumentando gli ambiti di gratificazione di entrambi i soggetti coinvolti.
L’approccio cognitivo zooantropologico prevede la valutazione del contesto relazionale in cui l’animale è inserito e,
quindi, di strumenti diagnostici completi che ci aiutino a comprendere il milieu contestuale e relazionale in cui si trova ad
agire un soggetto, per conoscere il suo “qui ed ora” (Marchesini R., Psicoterapia. L ’approccio cognitivo-zooantropologi-
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TABELLA 1 - Le diverse forme di intelligenza animale (da Marchesini R., 2010, modificata)
INTELLIGENZA
DEFINIZIONE
sociale o relazionale
capacità di muoversi correttamente nelle sistemiche del gruppo sociale e affiliativo
enigmistica o solutiva
tendenza/capacità di risolvere problemi da solista, af frontando la natura del problema e visualizzando i
requisiti strutturali dello stesso facendo affidamento sulle proprie sole doti solutive
orientativa o mappale
capacità di muoversi nel mondo avvalendosi non solo del monitoraggio sensoriale ma utilizzando coordinate geografiche per visualizzare mentalmente il contesto nelle sue dimensioni spazio-temporali
astrattiva
proprietà di estrarre dal mondo dei concetti generali come i prototipi rappresentativi – partner sociali, pericoli, oggetti utili, ecc.
operativa
capacità di agire sul mondo e di piegarlo alle proprie coordinate di utilizzo cioè vederlo come un orizzonte
di lavoro ed utilizzo
referenziale
capacità di acquisire nuove conoscenze o perfezionarle attraverso la relazione referenziale con enti/soggetti
che vengono accreditati capaci in un particolare ambito
riflessiva
capacità di fare riferimento alla mente come mondo interno e quindi allo stato mentale che si vive, alla propria biografia, all’approccio simpatetico ed empatico all’altro
comunicativa
interscambiare contenuti con altri referenti negli ambiti funzionali (pragmatica della comunicazione – serve
a), differenti e specifici in correlazione alle caratteristiche etografiche
biettivo di adattamento e adattabilità di ogni soggetto,
offrendogli degli strumenti cognitivi ed esperienziali adeguati ad una condizione di benessere etologico anche in un
contesto non propriamente naturale.
significativi – si manifestano in ciò che questo tende a proporre e in quanto per lui rappresenta qualcosa di interessante e significativo per esprimere un comportamento e trarne
piacere.
Dall’osservazione dei comportamenti che ogni cane esprime con maggior frequenza e coinvolgimento, dei target a cui
dà interesse, dei suoi interessi e dalla valutazione di ciò da
cui ricerca e ciò da cui trae soddisfazione e gratificazione,
possiamo definire il profilo motivazionale individuale.
Le motivazioni sono set neurobiologici, Specie-specifici,
derivanti da un percorso filogenetico selettivo di Specie e
quindi rappresentano il risultato della selezione dei comportamenti/interessi più funzionali alla sopravvivenza individuale e al successo riproduttivo della Specie (Marchesini R.,
2007). Ad esempio, la motivazione collaborativa, nel cane
così come in altre specie sociali, ha permesso l’attuazione di
comportamenti predatori più efficaci perché gestiti in gruppo. In questa Specie, inoltre, è stata operata una ulteriore
diversificazione del profilo motivazionale, attraverso il processo selettivo, finalizzato anche ad una nuova definizione
delle caratteristiche comportamentali di razza. La selezione
di razza, infatti, prevede non solo il criterio morfologico ma
anche quello funzionale ovvero la scelta di soggetti che
esprimono con maggiore interesse ed enfasi alcune delle
motivazioni Specie-specifiche (T abella 2). Nei cani cacciatori, ad esempio, la selezione ha operato per caratterizzare
un profilo motivazionale spostato sulla collaborazione, la
perlustrazione, la predazione, mentre nei guardiani è stata
prediletta la territorialità, l’affiliazione, ecc.
Nella selezione di razza, quindi, la definizione del profilo
motivazionale ha operato sul volume espressivo di alcune
delle motivazioni di Specie cioè sul grado di evocabilità dei
vari comportamenti che scaturiscono dalle diverse motivazioni e sul livello di gratificazione che ogni individuo trae
nell’espressione delle varie motivazioni Specie-specifiche.
LA MENTE DEL CANE
L’evoluzione degli studi sul comportamento animale ha
offerto importanti strumenti per cambiare l’approccio al training del cane e alle terapie comportamentali.
Riconosciute a molte Specie animali funzioni cognitive
complesse, oggi sappiamo che la mente del cane, intesa
come mondo interno e mezzo d’interazione attiva dell’individuo col mondo, è organizzata in strutture anatomo-funzionali che vengono ereditate come bagaglio genetico Speciespecifico ma evolvono e si modificano sulla base delle stimolazione e delle esperienze che ogni individuo vive sin dal
periodo pre-natale.
Sono stati delineati due gruppi fondamentali di componenti che caratterizzano la mente e le sue funzioni: le componenti posizionali e quelle elaborative.
Le prime definiscono il modo di stare nelle situazioni, l’aspetto emozionale, il grado di interesse che il soggetto ha per il
presente, il livello di sollecitazione che riceve, ciò che è portato a proporre, ciò che elegge a tar get di un comportamento.
Le componenti posizionali sono adattative per ogni individuo poiché strutturano il modo generale di stare nelle
situazioni (il suo carattere) ed il valore positivo o negativo che ogni esperienza assume (marcatura emozionale)
(Marchesini R., 2011).
Queste componenti includono: le motivazioni – elementi
pro-attivi – le emozioni e l’arousal – elementi reattivi.
Le motivazioni sono disposizioni Specie-specifiche che
influiscono sull’individuo definendone gli interessi e i target
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TABELLA 2 - Le motivazioni Specie-specifiche del cane (da Marchesini R., 2007 – modificata)
MOTIVAZIONE
ESPRESSIONE COMPORTAMENTALE
PREDATORIA
Volgersi verso piccoli oggetti in movimento, inseguirli e raggiungerli
TERRITORIALE
Difendere un territorio o un ambiente circoscritto
PROTETTIVA
Difendere un affiliato o un cucciolo
PERLUSTRATIVA
Esplorare un ambiente e mapparlo
ESPLORATIVA
Analizzare un oggetto nei dettagli
EPIMELETICA
Aiutare e accudire un compagno
COMPETITIVA
Confrontarsi o gareggiare con un compagno
DI RICERCA
Cercare oggetti nascosti
DI CORTEGGIAMENTO
Attirare un partner sessuale
CINESTESICA
Fare movimento, correre, saltare
SOMESTESICA
Esplorare il proprio corpo
COLLABORATIVA
Fare un’attività con un partner, concertarsi in un’attività di gruppo
POSSESSIVA
Mantenere il possesso di un oggetto
COMUNICATIVA
Esprimere uno stato o indicare qualcosa
ET-EPIMELETICA
Chiedere l’aiuto o lasciarsi curare da un altro soggetto
AFFILIATIVA
Far parte di un gruppo ristretto
Pertanto, se la motivazione definisce gli interessi Speciespecifici e soggettivi, il lavoro sul processo evolutivo del
cane avrà lo scopo di creare, attraverso le giuste attività ludiche, una cornice espressiva ai comportamenti proposti dal
soggetto, dando loro un target, un modo di espressione ed un
contesto (Marchesini R., 2007).
L’attività ludica dovrà poggiare sulla funzione educativa del
processo relazionale ed evolutivo diventando, così, uno strumento efficace per indirizzare la crescita ed operare attraverso
attività gratificanti rispetto alle motivazioni del cane ma anche
conformi alle relazioni con l’uomo, per facilitare l’adeguamento del cane alla società e l’inserimento in famiglia.
Altro elemento appartenente alle componenti posizionali
della mente è il profilo emozionale ovvero la disposizione reattiva che caratterizza le risposte individuali e che si manifesta
nel modo in cui un individuo tende a rispondere alle situazioni, a ricordarle ma anche quali risposte fisiologiche evocano le
diverse situazioni in cui si trova (Marchesini R., 2007). Anche
le emozioni traducono dei set neuro-biologici innati, Speciespecifici e relativi alle tendenze di razza selezionate dall’uomo.
Nei cani guardiani, ad esempio, in funzione della mansione
difensiva, è stato selezionato un approccio tendenzialmente
chiuso e diffidente verso il mondo, più di quanto non sia stato
ricercato nei soggetti destinati alla collaborazione con l’uomo,
come i cani cacciatori da ferma o da seguita. Un soggetto che
ha la possibilità di sperimentare nel percorso evolutivo interazioni ludiche, caratterizzanti la stessa età evolutiva, avrà modo
di vivere una prevalenza di emozioni positive e di marcare con
esse molte esperienze (Tabella 3).
Le strutture neuro-biologiche che costituiscono le motivazioni, infatti, possono essere ampliate e quindi enfatizzate o
interconnesse ad altre strutture mentali e quindi generalizzate, disciplinate o depresse. Ciò accade sulla base delle proposte ludiche, interattive, relazionali che l’individuo riceve
nella vita quotidiana e si traduce in un cambiamento del grado di evocabilità cioè della facilità, del modo e della frequenza con cui saranno proposte da quel soggetto (Roonay
N. et Al, 2000). Ciò spiega, ad esempio, perché l’apprendimento del cane non risponde al modello psico-ener getico
proposto dall’etologia classica, dato che il comportamento
di un soggetto non si modera attraverso l’esercizio della
motivazione ad esso correlata. Un cane con un alto interesse
per la predazione, al contrario, non farà che ampliare tale
interesse attraverso il gioco del lancio/riporto di una pallina
poiché in questa proposta ludica non c’è un consumo di
energia e un esaurimento dell’interesse ma una sollecitazione e l’ampliamento del set neuro-biologico corrispondente
alla motivazione esercitata (motivazione predatoria). Inoltre,
le diverse strutture anatomo-funzionali che costituiscono i
set motivazionali del cane sono interconnesse ad altre componenti mentali, in particolare quelle elaborative che vedremo in seguito, e l’esercizio di una motivazione determina
l’accrescimento del livello di efficacia che un soggetto percepisce nel realizzarla, aumenta le occasioni di marcatura
emozionale positiva per quella attività e consolida le sinapsi
sollecitate, in definitiva, determina un aumento del volume
espressivo di quella motivazione piuttosto che una riduzione
del comportamento.
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TABELLA 3 - Le emozioni del cane (Marchesini R., 2007, modificata)
EMOZIONE
ESPRESSIONE COMPORTAMENTALE
GIOIA
Atteggiamento festoso e di apertura relazionale
OMBROSITÀ
Disposizione alla chiusura e scarsa tendenza ricercare e ad accettare l’interazione
ALLERTA
Atteggiamenti di fissità, attenzione, preoccupazione e tropismo negativo
STUPORE
Atteggiamenti di fissità ma senza preoccupazione e tendenza al tropismo positivo
SICUREZZA
Disposizione assretiva e vigore nelle situazioni
PAURA
Senso di pericolo incombente, tendenza a fuggire o a immobilizzarsi
Il gioco, se costruito in accordo con le motivazioni che
socialmente hanno la funzione di integrare (affiliativa, epimeletica, et-epimeletica, comunicativa, cinestesica, collaborativa, ecc.) e se realizzato in condizioni di sicurezza, diventa uno strumento fondamentale per la costruzione di un profilo emozionale aperto, sicuro, curioso poiché ci permette di
offrire al cane e al gatto molte esperienze marcate da emozioni positive, il cui ricordo evoca le stesse emozioni e lo
apre a nuove esperienze (Miklòsi A., 2000).
Un altro elemento importante relativo alle componenti
posizionali e strettamente correlato al profilo emozionale,
inoltre, è il volume espressivo delle emozioni, il profilo di
arousal, ovvero il livello con cui l’emozione vissuta viene
manifestata. Un soggetto che vive in condizioni fluttuanti,
passando dall’apatia alla sovra-eccitazione, difficilmente
troverà un buono stato di benessere e altrettanto difficilmente potrà avere un buon processo evolutivo e di apprendimento. Le interazioni ludiche tendenzialmente sollecitano
emozioni positive ma rischiano di farlo su “toni” eccessivamente alti. In particolare, i giochi nuovi, che prevedono
movimento e fatti in contesti aperti, sicuri, luminosi, ecc.
possono sollecitare molto il tono emozionale, ancor più se
costruiti in accordo con le motivazioni di maggior peso per
quel soggetto.
È fondamentale, perciò, che l’attività ludica, così come
ogni esperienza che un animale vive, si accordi con i suoi
interessi, consentendogli di essere partecipe, attento, divertito ma concentrato, e ciò è possibile esclusivamente quando
si creano le condizioni per il mantenimento di un livello
intermedio di attivazione emozionale.
A fianco delle componenti posizionali, la mente è caratterizzata anche dalle componenti elaborative. Elaborare significa sottoporre i dati di ingresso a diverse tipologie di trattamento (processazione) in modo tale da renderli fruibili
rispetto alla fitness del soggetto (Marchesini R., 2010).
Attraverso le componenti elaborative che sono le funzioni logiche, le rappresentazioni e le metacomponenti cognitive, ogni individuo può valutare la realtà ed interpretarla sulla base della coerenza, della pertinenza, dell’intersezione o,
al contrario, dell’opposizione, l’irrilevanza e il non-legame
col principio di piacere e col principio di fitness (Marchesini R., 2010). Questi principi regolano anche i parametri
fisiologici e le componenti posizionali di ogni soggetto e gli
permettono di operare scelte comportamentali che siano
adattative ma anche piacevoli, poco dispendiose e favorevoli alla sopravvivenza di sé e della Specie.
Le funzioni logiche, elementi cognitivi elaborativi,
permettono alla mente del cane di attivare delle operazioni
cognitive sugli input provenienti dal mondo (stimoli e
report) e di aggiungere, disgiungere, correlare, ecc. le varie
informazioni ricevute per dar loro un significato. Le funzioni logiche, pertanto, sono strumenti elementari di elaborazione che consentono di operare attività cognitive più complesse come il comprendere, valutare, decidere sulla base di
ciò che si sta vivendo in quell’istante e in quella situazione.
Per fare ciò la mente si avvale di una ulteriore componente
elaborativa of ferta dalle rappresentazioni, che sono degli
schemi elaborativi capaci di definire in modo specifico un
input attribuendogli significato, fornendo una mappa, dando
regola per affrontare la realtà (Miklòsi et Al., 2004). Le funzioni logiche definiscono quindi il “tipo” di operazione
cognitiva da compiere mentre le rappresentazioni indicano il
“modo” in cui compiere l’attività cognitiva. Ad esempio, se
propongo ad un cane due tipi di giocattolo, una palla e un
peluche, chiedendogli di portarmi la palla, la funzione
cognitiva chiamata in causa sarà la distinzione (tra due
oggetti), le rappresentazioni necessarie lo guideranno per
distinguerlo sulla base della forma e della consistenza ma
anche dell’utilizzo che può farne e delle azioni necessarie
per usare tale oggetto.
Ogni individuo, alla nascita, possiede un insieme di rappresentazioni di Specie, ovvero di strumenti che gli consentono di decifrare la realtà e l’esperienza interiore e che proviene dal mondo (Tabella 4).
Infine, esiste una terza categoria di elementi elaborativi
data dalle metacomponenti cognitive ovvero la memoria,
l’attenzione e la concentrazione. Queste sono entità che
sovrintendono a più processi elaborativi, affinché il soggetto possa utilizzare liberamente le proprie dotazioni cognitive, in modo flessibile (Tòth L et Al., 2008).
Nell’attività ludica possiamo incentivare o meno la flessibilità cognitiva lavorando su tutti questi elementi. Se, ad
esempio, presentiamo al cane una pallina – immagine che
prevede l’attivazione di una rappresentazione percettiva –
possiamo evocare sempre la stessa rappresentazione orientativa ovvero “questo è il target”, evocando la rappresentazio-
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TABELLA 4 - Le rappresentazioni mentali del cane (da Marchesini R., 2007 – modificata)
RAPPRESENTAZIONI
SIGNIFICATO
Percettive
gestalt sensoriali che fanno emergere dallo sfondo alcune figure significative
Cinestesiche
schemi coreografici di movimento e postura
Somestesiche
immagini del proprio corpo e possibilità di auto-tranquillizzazione
Mappali
modalità del muoversi nel mondo con punti di riferimento spaziali
Orientative
target di tropismo comportamentale, focus di interesse, elementi prototipici (che hanno una rilevanza
in sé) o segnali-chiave (che hanno la capacità di muovere il comportamento)
Referenziali
vocabolario d’uso del mondo che il soggetto incontrerà, sia per l’aspetto strumentale
(serve a, è utile per) sia per l’aspetto predittivo (indica che, predice che)
Solutive o euristiche
modi operativi per risolvere problemi e scacchi
Comunicative
semiotiche (segni), semantiche (significati), pragmatiche (funzioni) comunicative
Sociali
modi di interpretare il gruppo, stare in relazione, costruire l’affiliazione
Del sé
propria continuità e proiezione nel tempo Referenziali: significato d’uso del mondo in termini
strumentali (serve a) e predittivi (vuol dire che)
ne cinestesica che indirizza un comportamento “è un tar get
da inseguire e af ferrare”. Inoltre, tale sollecitazione induce
l’evocazione di diverse componenti posizionali che variano
con l’esperienza dando una marcatura motivazionale ed
emozionale (nello specifico esempio “un’azione predatoria
espressa con gioia ed eccitazione”) che daranno un tono al
comportamento e che, se si accordano con le motivazioni
importanti per quel soggetto, possono offrire una forte gratificazione e partecipazione.
Grazie alle metacomponenti cognitive, infine, un oggetto
come la pallina può prendere differenti strade di elaborazione e non evocare necessariamente questa cascata di comportamenti. Così, ad esempio, presentando attività ludiche che
richiedono l’apprendimento di modi dif ferenti di interagire
con un oggetto, situazioni e contesti diversi, marcature emozionali positive ed espresse con toni intermedi, potremo
ampliare le conoscenze e le competenze e con l’apporto
mnemonico, di attenzione e concentrazione (metacomponente cognitiva) favorire lo sviluppo di un individuo dotato
di grande flessibilità cognitiva.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Maria Chiara Catalani - Dip.to di Scienze Biopatologiche ed Igiene delle Prod. Animali e Alimentari
Facoltà di Medicina Veterinaria - Perugia - E-mail: [email protected]
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Lesioni cutanee perioculari:
dermatologia od oftalmologia?
(casi clinici a cura del dermatologo)
Rosario Cerundolo
Med Vet, CertVD, Dipl ECVD, MRCVS, Six Mile Bottom, UK
Le lesioni cutanee perioculari possono essere il risultato
di malattie dermatologiche od oftalmologiche. L’iter diagnostico al fine di individuare la causa predisponente prevede la
valutazione della razza (predisposizione genetica a malattie
dermatologiche od oftalmologiche ad es. delle palpebre), età
(ad es. follicoliti da Demodex, dermatofiti) ed un’accurata
anamnesi remota, familiare ed ambientale. Infine informarsi
sull’evoluzione delle lesioni, la risposta a terapie topiche o
sistemiche puo aiutarci nello stilare una lista di diagnosi differenziali più probabili che ci consentiranno di decidere i
test diagnostici più utili.
Le lesioni cutanee perioculari possiamo classificarle sulla
base della presentazione clinica in 4 gruppi: 1) quelle caratterizzate dalla presenza di alopecia; 2) quelle caratterizzate
dalla presenza di scaglie/croste; 3) quelle caratterizzate dalla presenza di erosioni/ulcere; 4) quelle caratterizzate dalla
presenza di papule-noduli. Di seguito è riportato un esempio
delle 4 presentazioni cliniche. Per ogni caso vi è stato fornito: segnalamento, anamnesi, esame obiettivo generale e particolare (dermatologico). Le informazioni fornite dovrebbero essere sufficienti a farvi stilare un elenco di diagnosi differenziali, di esami collaterali e di laboratorio più adeguati a
confermare la vostra diagnosi più probabile. Insieme discuteremo ogni caso valutando la diagnosi più probabile e gli
esami collaterali più utili, la prognosi, l’approccio terapeutico topico e/o sistemico ed il follow up.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dick White Referrals, Veterinary Specialist Centre
Station Farm, London Road
Six Mile Bottom, Suffolk, CB8 0UH - UK
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
CASO CLINICO DI ALOPECIA PERIOCULARE IN UN KEESHOND
SEGNALAMENTO: Kira - Keeshond, femmina sterilizzata di 12 anni.
ANAMNESI: vive in appartamento, è portata al parco due volte al giorno dove passeggia libera e gioca con altri cani. In casa non
sono presenti altri animali, non è stata lasciata in canile, viaggia con i proprietari durante le vacanze o finesettimana.
È alimentata con una dieta commerciale per cani anziani,
Kira è stata sempre in buona salute a parte occasionali episodi di vomito/diarrea imputabili a intolleranze alimentari. I tratt amenti antipulci/zecche sono ef fettuati ogni mese. I proprietari non presentano lesioni dermatologiche che possano far pensare
ad un problema zoonosico.
MOTIVO DELLA VISITA: da circa 2 mesi ha presentato una progressiva perdita di pelo nell’area perioculare che si è progressivamente diffusa sul dorso del naso. Le lesioni non sono pruriginose.
L’alopecia è stata lenta ma progressiva al punto da ritardare la consultazione con il veterinario nella speranza che l’alopecia si
risolvesse spontaneamente.
ESAME OBIETTIVO GENERALE: Kira è in apparente buono stato di nutrizione anche se il proprietario riferisce che ha perso due chili negli ultimi mesi. Le mucose apparenti sono leggermente pallide. I linfonodi esplorabili sono normali a parte quelli mandibolari che sono lievemente ingrossati. T,P,R sono nella norma così come le grandi funzioni or ganiche.
ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome
ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: alopecia perioculare bilaterale, del dorso del naso e delle labbra superiori. La cute si presenta
lievemente eritematosa.
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:
alopecia bilaterale perioculare e nasale con dermatite eritematosa.
DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
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CASO CLINICO DI DERMATITE PERIOCULARE CON PRESENZA
DI SCAGLIE/CROSTE IN UN SIBERIAN HUSKY
SEGNALAMENTO: Tim – Siberian Husky, maschio intero di 2 anni.
ANAMNESI: vive all’aperto in una fattoria con libero accesso a campi coltivati e boschi. Sono presenti animali da cortile ed un
altro cane che non presenta lesioni dermatologiche. Entrambi i cani sono alimentati con un’alimentazione casalinga.
Tim è stato sempre in buona salute ed è stato portato dal veterinario per le vaccinazioni di routine. I trattamenti antipulci/zecche
sono effettuati all’incirca ogni due mesi mentre quello per la prevenzione della filariosi è ef fettuato mensilmente. Nessuno dei
proprietari sembra presentare lesioni dermatologiche anche se i contatti con il cane non sono molto frequenti.
MOTIVO DELLA VISITA: da circa 1 mese ha presentato una progressiva perdita di pelo nell’area perioculare che si accompagna alla
presenza di scaglie e croste. Le lesioni non sono pruriginose.
ESAME OBIETTIVO GENERALE: Tim è in apparente buono stato di nutrizione. Sembra che da qualche giorno sia meno vivace del
solito. Le mucose apparenti sono rosee. I linfonodi esplorabili sono normali. T,P,R sono nella norma così come le grandi funzioni organiche.
ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome
ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: dermatite perioculare bilaterale eritematosa con presenza di scaglie/croste, dei padiglioni
auricolari, dorso del naso e delle labbra superiori.
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:
dermatite eritematosa, non pruriginosa, esfoliativa/crostosa
DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
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CASO CLINICO DI EROSIONE/ULCERAZIONE PERIOCULARE
IN UN CANE CHIHUAHUA
SEGNALAMENTO: Ollie – Chihuahua, maschio castrato di 1.5 anni.
ANAMNESI: vive in casa con libero accesso al giardino recintato ma dove occasionalmente incontra animali selvatici (ricci, topi).
È presente un altro cane, Setter inglese, in buona salute. Entrambi i cani sono spesso lasciati in un canile mentre i proprieta ri
sono in vacanza durante il finesettimana. Entrambi i cani sono alimentati con una dieta commerciale.
Ollie è stato più o meno sempre in buona salute. A 7 mesi aveva ingerito un corpo estraneo di plastica che gli aveva procurato
diarrea per qualche giorno ma si era risolta con un trattamento di amoxicillina-acido clavulanico per 1 settimana. A 9 mesi era
stato castrato e durante il decorso post-operatorio gli furono somministrati una dose iniettabile di meloxicam ed amoxicillinaacido clavulanico. A 11 mesi aveva mostrato difficoltà a reggersi sugli arti posteriori ma una terapia con meloxicam per 10 giorni aveva risolto il problema. Non erano state ef fettuate in quell’occasione indagini radiografiche o una visita specialista neur ologica. A 18 mesi aveva presentato congiuntivite bilaterale, forse dopo aver giocato con un altro cucciolo ed è stato trattato con
gocce oftalmiche a base di cloramfenicolo per 10 giorni ed una terapia di 7 giorni con meloxicam ed amoxicillina-acido clavulanico. Dopo circa 3 giorni dall’inizio della terapia per la congiuntivite ha presentato una dermatite eritematosa perioculare ed
intorno al prepuzio. Il veterinario fà un tampone dalle lesioni perioculari per un esame colturale ed antibiogramma. Infine inietta una dose di cefovecin.
I proprietari non presentano lesioni dermatologiche che possano far pensare ad un problema zoonosico.
MOTIVO DELLA VISITA: I proprietari hanno notato che oltre alle lesioni cutanee, Ollie è letar gico ed inappetente. Le lesioni non
sono pruriginose ma Ollie mostra fastidio/dolore se si toccano le aree cutanee colpite.
ESAME OBIETTIVO GENERALE: Ollie è in buono stato di nutrizione, sensorio depresso. Le mucose apparenti sono rosee/rosse. I linfonodi esplorabili sono normali. È presente live rialzo termico (39° C), frequenza circolatoria (90/min), frequenza respiratoria
(20/min). Le grandi funzioni or ganiche (appetito, urinazione e defecazione erano nella norma ma ora l’appetito è molto diminuito cosi come la frequenza dell’urinazione e defecazione.
ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome
ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: La regione perioculare mostra aree focali di eritema con erosione/ulcerazione e presenza di
croste. Sono presenti altre piccole lesioni cutanee identiche a quelle perioculari intorno al prepuzio ed all’ano.
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:
dermatite eritematosa erosiva/ulcerativa.
DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________
PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________
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CASO CLINICO DI DERMATITE PAPULO-NODULARE PERIOCULARE
IN UN IRISH WOLFHOUND
SEGNALAMENTO: Harley – Irish Wolfhound, maschio castrato di 3 anni.
ANAMNESI: vive in un casa con libero accesso al giardino. Vive con altri 2 cani (1 Pastore tedesco ed 1 Jack Russell terrier). Non
è stato lasciato in canile o ha partecipato a mostre nell’ultimo anno.
È alimentato con una dieta commerciale per cani di grossa taglia. Riceve trattamenti antiparassitari per ecto ed endoparassiti
quasi regolarmente.
Harley è stato sempre in buona salute a parte un igroma al gomito destro che è stato trattato chirur gicamente due anni fà ed un
testicolo ritenuto rimosso chirurgicamente un anno fà. I proprietari non presentano lesioni dermatologiche che possano far pensare ad un problema zoonosico.
MOTIVO DELLA VISITA: da circa 2 settimane ha presentato diverse lesioni papulo-nodulari nella regione perioculare sinistra, dorso del naso e labbro inferiore che sembrano aumentare in numero di giorno in giorno. Le lesioni non sono pruriginose.
ESAME OBIETTIVO GENERALE: Harley è in apparente buono stato di nutrizione. Le mucose apparenti sono rosee. I linfonodi esplorabili sono normali. T,P,R sono nella norma così come le grandi funzioni or ganiche.
ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome.
ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: presenza di lesioni papulo-nodulari di colore rosa-rosso leggermente alopeciche nella regione perioculare sinistra, del dorso del naso e delle labbra inferiori. La cute circostante si presenta normale.
Non sono presenti
altre lesioni cutanee.
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:
dermatite papulo-nodulare.
DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Algoritmo diagnostico concordato in caso di lesioni
cutanee perioculari nel cane e gatto
Rosario Cerundolo
Med Vet, CertVD, Dipl ECVD, MRCVS, Six Mile Bottom, UK
Antonella Rampazzo
Med Vet, Dipl ECVO, Torino
Nell’approccio al paziente con una lesione cutanea perioculare, vanno combinate le competenze di oculistica e di
dermatologia per poter effettuare un iter diagnostico-terapeutico completo ed accurato.
È sempre necessario eseguire una visita completa che
includa: segnalamento, anamnesi (ambientale, remota e
recente per capire l’evoluzione del problema), esame obiettivo generale, esame oculistico e dermatologico. Non esiste una priorità nell’ef fettuazione dell’esame oculistico o
dermatologico, l’importante che gli occhi, strutture perioculari e la cute vadano esaminate nell’ambito della stessa
visita per evitare di non individuare elementi fondamentali ai fini diagnostico-terapeutico. Infine è necessario stilare
l’elenco delle diagnosi dif ferenziali ed esami complementari che possono esserci utili al raggiungimento della diagnosi definitiva che ci consentirà poi una scelta terapeutica topica e/o sistemica mirata.
L’esame oculistico valuta gli annessi oculari ed il globo.
In corso di patologie perioculari si possono verificare alterazioni della motilità o della forma delle palpebre e della nittitante. Ad esempio, una diminuita motilità palpebrale o la
presenza di una blefarite essudativa con formazione di molte croste potrebbero causare delle erosioni corneali secondarie. Vanno valutate la motilità palpebrale tramite il riflesso
palpebrale e il riflesso corneale, la conformazione palpebrale per escludere entropion/ectropion/trichiasi, e la pervietà
delle vie lacrimali tramite test del passaggio della fluoresceina e lavaggio del canale lacrimale. Quest’ultimo può
essere effettuato, previo uso di un anestetico locale (ossibuprocaina- Novesina), anche senza sedazione se il paziente è
cooperativo. Può essere cannulato sia il punto lacrimale
superiore che quello inferiore. Si utilizza una siringa da 2 0
5 ml di fisiologica, Ringer o BSS con un apposito ago smusso per lavaggio dei canali lacrimali. È necessario l’uso di
una buona illuminazione e di occhiali da ingrandimento di
almeno 2.5x.
Il globo deve essere valutato in maniera completa in quanto le patologie perioculari possono indurre problemi della
superficie del globo (ulcere/erosioni corneali secondarie a
sfregamento di una palpebra alterata) ma possono anche
essere parte di patologie sistemiche che causano uveite o
corioretinite. Quindi vanno valutate la camera anteriore e l’iride per escludere un’uveite anteriore, il vitreo e la retina per
escludere un’uveite posteriore (corioretinite). Va inoltre
valutata la pressione intraoculare.
Infine, se necessario va eseguita la citologia congiuntivale o corneale. In oculistica si preferisce utilizzare, previa
somministrazione di un anestetico locale, degli spazzolini
ideati per la citologia ginecologica detti cytobrush, che ben
si adattano al fornice congiuntivale, sono atraumatici e consentono di ottenere prelievi altamente cellulari.
L’esame dermatologico prevede l’esame del pelo e della
cute dell’area perioculare, anche se va ef fettuato un esame
completo del paziente per escludere la presenza di altre lesioni
dermatologiche sul resto della superficie cutanea ed orecchie.
Le caratteristiche morfologiche delle lesioni cutanee, la
loro evoluzione insieme ad un’anamnesi accurata, sono fondamentali per la diagnosi delle malattie perioculari. La loro
identificazione consente di fare una lista di diagnosi dif ferenziali ed esami complementari adeguati.
L’esame del pelo va ef fettuato valutando la densità (normale vs ipotricosi vs alopecia), aspetto della punta (normale vs spezzato), colore (ipopigmentato vs colorazione anomala). L ’effettuazione degli esami dermatologi dovrebbe
comprendere i seguenti test diagnostici: 1) esame microscopico del pelo (tricogramma). Esaminarlo a 10X e 40X per
valutarne la struttura. Presenza di peli rotti suggerisce traumatismo autoindotto, mentre la presenza di materiale cheratino sebaceo intorno al fusto può indicare la presenza di spore o ife fungine o acari del genere Demodex. La presenza di
tutte le radici in fase telogena rende meno probabile la presenza di un’infezione fungina, dal momento che i dermatofiti necessitano di peli in fase attiva di crescita per sopravvivere. Se tutte le punte e i fusti sono ben conservati è invece
difficile pensare che l’alopecia sia dovuta alla frattura del
fusto pilifero (ad esempio in caso di alopecia autoindotta o
di infezione follicolare da dermatofiti); 2) lampada di Wood,
tenendo chiuse le palpebre, per valutare la presenza o meno
di peli fluorescenti suggestivi di una dermatofitosi; 3) esame
colturale per miceti che va sempre effettuato anche se l’esame con la lampada di Wood è positivo ed è utile per identificare i miceti.
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L’esame della cute sarà facilitato se manca il pelo. Esaminare la cute valutando variazioni di colore (ipopigmentazione vs eritema vs iperpigmentazione) spessore (atrofia vs
lichenificazione), presenza di lesioni primarie e/o secondarie
quali papule/pustole, scaglie/croste, o erosioni/ulcere. L ’effettuazione degli esami dermatologi dovrebbe comprendere
i seguenti test diagnostici: 1) esame citologico per apposizione o con l’uso del nastro adesivo per valutare la presenza
di microor ganismi, cellule epiteliali anomale e la risposta
infiammatoria (presenza di neutrofili e/o eosinofili); 2)
raschiato profondo per valutare la presenza del Demodex,
necessari solo se il tricogramma è negativo; esame batteriologico con antibiogramma nel caso di lesioni ulcerative o
purulente; agoaspirato se in presenza di lesioni papulo-nodulari in cui si sospetta un processo infettivo o neoplastico;
biopsia cutanea nel caso di lesioni erosive/ulcerative per
escludere malattie immuno mediate o autoimmuni e solo
dopo aver escluso le principali malattie follicolari.
Eventuali esami complementari quali il profilo ematologico e biochimico, esami ormonali o indagini sierologiche
vanno effettuate in base al sospetto clinico.
Indirizzo per la corrispondenza:
Rosario Cerundolo
Dick White Referrals, Veterinary Specialist Centre, Station Farm,
London Road, Six Mile Bottom, Suffolk, CB8 0UH
Antonella Rampazzo
Istituto Veterinario di Novara, Strada Provinciale 9,
Granozzo con Monticello (NO), Italia
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Segni clinici cutanei e sistemici suggestivi di
un’endocrinopatia: dermatologia o medicina interna?
(casi clinici)
Rosario Cerundolo
Med Vet, CertVD, Dipl ECVD, MRCVS, Six Mile Bottom, UK
L’alopecia è dovuta all’arresto del ciclo follicolare in
fase telogena. I peli presenti con il passare del tempo si
spezzano o cadono e non vengono rimpiazzati da altri nuovi. Per questo motivo la mancanza di pelo inizia nelle zone
del corpo soggette a maggiore frizione, come la parte caudale delle cosce, il tronco e la regione del collo. A livello
del fusto dei peli rimasti spesso sono visibili rotture e alterazioni apicali provocate dalla lunga esposizione agli agenti atmosferici. Il sospetto di endocrinopatia ed i risultati
delle indagini ematocliniche suggerirà i test ormonali più
appropriati da effettuarsi.
Di seguito sono riportati esempi delle 3 endocrinopatie
più frequentemente viste nel cane. Per ogni caso vi è stato
fornito: segnalamento, anamnesi, esame obiettivo generale
e particolare (dermatologico).
Le informazioni fornite dovrebbero essere sufficienti a
farvi stilare un elenco di diagnosi differenziali, di esami collaterali e di laboratorio più adeguati a confermare la vostra
diagnosi più probabile. Insieme discuteremo ogni caso valutando la diagnosi più probabile e gli esami collaterali più utili, la prognosi, l’approccio terapeutico topico e/o sistemico
ed il follow up.
Le endocrinopatie sono una causa frequente di problemi
dermatologici e sistemici nel cane. L’iter diagnostico per
una endocrinopatia dovrebbe prevedere la valutazione della
razza (iperadrenocorticismo più frequente in cani di piccola taglia, ipotiroidismo più frequente in cani di grossa
taglia), sesso (anomalie legate agli ormoni sessuali più frequenti in cani e cagne non sterilizzati), età (iperadrenocorticismo più frequente in cani anziani, ipotiroidismo più frequente in cani adulti di media età, anomalie legate agli ormoni
sessuali più frequenti in cani e cagne adulti/anziani) ed un’accurata anamnesi remota e presente (individuare la presenza di
segni clinici sistemici), familiare ed ambientale. Infine informarsi sull’evoluzione delle lesioni, la risposta a terapie topiche o sistemiche e l’esame del paziente valutando i segni clinici e sistemici puo aiutarci nello stilare una lista di diagnosi differenziali più probabili.
Tra i segni clinici dermatologici l’alopecia di tipo simmetrica/diffusa non pruriginosa è la presentazione clinica più
frequente. Altri segni clinici cutanei segnalati in cani con l’iperadrencorticismo sono la calcinosis cutis, la piodermite
superficiale ricorrente, la presenza di comedoni, anomalie di
colorazione del mantello, l’atrofia cutanea, la cute secca. In
cani con ipotiroidismo è frequente anche la presenza di una
dermatite esfoliativa, comedoni, piodermite superficiale,
mixedema, mancata riscrescita del mantello dopo la tosatura ed otite ceruminosa. In cani con anomalie degli ormoni
sessuali è frequente anche la presenza di iperpigmentazione
cutanea, cute grassa ed otite ceruminosa.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dick White Referrals, Veterinary Specialist Centre
Station Farm, London Road
Six Mile Bottom, Suffolk, CB8 0UH - UK
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CASO CLINICO DI MANCATA RICRESCITA
DEL MANTELLO POST-TOSATURA IN UN CANE INCROCIO
SEGNALAMENTO: Max – cane incrocio, maschio di 13 anni, kg 11.
ANAMNESI: vive in appartamento, è portato a spasso due volte al giorno per il centro della città raggiungendo i giardini pubblici dove gioca con altri cani. In casa è presente anche un gatto persiano che partecipa a mostre feline regolarmente.
È alimentato con una dieta commerciale per cani anziani anche se spesso mangia un po’ del cibo del gatto.
Max è stato sempre in buona salute a parte ricorrenti infestazioni da pulci. Infatti i trattamenti antipulci/zecche sono ef fettuati
saltuariamente. I proprietari non presentano lesioni dermatologiche che possano far pensare ad un problema zoonosico.
MOTIVO DELLA VISITA: dal momento della tosatura (5 mesi fà) il mantello non ha accennato a ricrescere. I proprietari sono alquanto sorpresi perché era stato tosato varie volte durante la stagione estiva negli anni precedenti ed il mantello era sempre ricr esciuto nell’arco di alcune settimane. La mancata ricrescita del pelo non aveva richiesto fino ad ora la consultazione con il vete rinario perché i proprietari speravano che prima o poi sarebbe ricresciuto, ma dopo 5 mesi e con l’inverno alle porte si sono
finalmente decisi a rivolgersi al veterinario. Max non ha prurito.
ESAME OBIETTIVO GENERALE: Max è in buono stato di nutrizione. Le mucose apparenti sono rosee. I linfonodi esplorabili sono
normali. T,P,R sono nella norma così come le grandi funzioni or ganiche.
ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome sebbene quest’ultima non sia facile da ef fettuarsi per la tensione della parete addominale.
ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: presenza di pelo anche se corto nelle aree cutanee precedentemente tosate. C’è alopecia del
dorso del naso con iperpigmentazione cutanea.
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:
pigmentazione cutanea.
mancata ricrescita del mantello “alopecia” generalizzata, alopecia focale (dorso del naso con iper-
DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
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CASO CLINICO DI ALOPECIA GENERALIZZATA
IN UN IRISH WATER SPANIEL
SEGNALAMENTO: Pippa – Irish Water spaniel, femmina sterilizzata di 6 anni.
ANAMNESI: vive in casa con libero accesso al giardino. Sono presenti altri due cani della stessa razza in quanto la proprietaria è
un’allevatrice. Gli altri due cani non presentano lesioni dermatologiche. Tutti i cani sono alimentati con un’alimentazione commerciale per cani da lavoro.
Pippa è stata sempre in buona salute ed è stata sempre portata dal veterinario per le vaccinazioni di routine. I trattamenti anti pulci/zecche sono effettuati mensilmente. La cagna ha avuto due cucciolate prima di essere sterilizzata due anni fà. Nessuno dei
proprietari sembra presentare lesioni dermatologiche.
MOTIVO DELLA VISITA: da circa 6 mesi ha presentato una progressiva perdita di pelo sul dorso che si è poi dif fusa sui fianchi. Le
lesioni non sono pruriginose. Nonostante l’uso di integratori alimentari ed il cambio della dieta la proprietaria non ha notato dei
miglioramenti anzi l’alopecia è progredita.
ESAME OBIETTIVO GENERALE: Pippa è in buono stato di nutrizione anche se sembra meno vivace del solito. Le mucose apparenti sono rosee. I linfonodi esplorabili sono normali. T,P,R sono nella norma così come le grandi funzioni or ganiche.
ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome.
ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: alopecia dorso-lombare che si estende su entrambi i lati del corpo. Ci sono aree all’interno
dell’area alopecica dove c’è ancora presenza di pelo corto e rado.
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:
alopecia generalizzata.
DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________
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CASO CLINICO DI ALOPECIA CON DERMATITE ERITEMATOSA
E PRESENZA DI SCAGLIE/CROSTE
SEGNALAMENTO: Rocky – Yorkshire terrier, maschio di 8 anni.
ANAMNESI: vive in casa anche se viene portato spesso a spasso in campagna e nei boschi dove sono presenti anche animali selvatici. È alimentato con una dieta casalinga.
Rocky è stato sempre in buona salute a parte ricorrenti infestazioni di pulci soprattutto durante il periodo estivo. I trattame nti
antiparassitari sono sporadici ma se il proprietario nota la presenza di pulci applica imidacloprid ogni 2-3 settimane che riso lve
rapidamente l’infestazione. Rocky ha anche una lussazione bilaterale della rotula che gli crea qualche problema quando corre.
Se mostra dolore e difficoltà alla deambulazione il proprietario somministra carprofen per qualche giorno come suggeritogli dal
veterinario.
I proprietari non presentano lesioni dermatologiche che possano far pensare ad un problema zoonosico.
MOTIVO DELLA VISITA:
Il proprietario ha notato che, oltre alle lesioni cutanee, Rocky è letar gico anche se l’appetito è conservato. Le lesioni sono lievemente pruriginose ed il problema non si è risolto con 3 applicazioni di imidacloprid.
ESAME OBIETTIVO GENERALE: Rocky è in buono stato di nutrizione, sensorio eccitato. Le mucose apparenti sono rosee/rosse. I
linfonodi esplorabili sono aumentati di volume. È presente lieve rialzo termico (38.5° C), frequenza circolatoria (120/min), frequenza respiratoria (30/min). Le grandi funzioni or ganiche (appetito, urinazione e defecazione) sono nella norma anche se il
cane è alimentato costantemente ogni volta che il proprietario mangia e negli ultimi tempi ha avuto degli “incidenti” con perdi ta di urina in casa.
ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e la palpazione dell’addome risulta
alquanto difficoltosa per la tensione della parete addominale.
ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: Alopecia generalizzata con eritema e presenza di cute ispessita con materiale cheratinosebaceo aderente alla cute soprattutto nella regione ventrale del corpo. Sono presenti altre piccole lesioni cutanee con croste suipadiglioni auricolari.
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:
alopecia generalizzata con dermatite eritematosa esfoliativa.
DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________
ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________
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CASO CLINICO DI ALOPECIA ED IPERPIGMENTAZIONE
IN UN GOLDEN RETRIEVER
SEGNALAMENTO: Bruno – Golden retriever, maschio di 11 anni.
ANAMNESI: vive in casa. Viene spesso lasciato per qualche giorno in un canile quando i proprietari sono in vacanza o fuori per
lavoro.
È alimentato con una dieta commerciale secca per cani anziani che viene “integrata” con pollo per renderla più appetibile. Riceve trattamenti antiparassitari per ectoparassiti regolarmente anche se non è stato sverminato o ef fettuato un controllo delle f eci
da qualche anno.
Bruno è stato sempre in buona salute a parte un emangiosarcoma rimosso chirur gicamente dal fianco destro all’età di 7 anni.
Due mesi fà aveva presentato una dermatite pruriginosa con presenza di alopecia e croste sul muso. Un trattamento con antibiotico ed un trattamento con moxidectina hanno risolto il prurito anche se l’alopecia ha progredito ed il cane continua a perdere il pelo a ciuffi. Esami dermatologici di base ef fettuati dal veterinario riferente non avevano evidenziato alcun ectoparass ita ma sospettando una follicolite batterica aveva prescritto un altro corso di antibiotico. Alla visita di controllo l’alopecia è progredita coinvolgendo collo, parte del tronco, arti posteriori, la coda e la parte ventrale del corpo.
Il proprietario non presenta lesioni dermatologiche che possano far pensare ad un problema zoonosico ma poiche è in terapia
con farmaci immunosoppressivi per un lupus eritematoso preferisce individuare la causa del problema di Bruno al più presto nel
caso fosse un problema zoonotico.
MOTIVO DELLA VISITA: alopecia progressiva con perdita di pelo a ciuffi e lieve presenza di prurito.
ESAME OBIETTIVO GENERALE: Bruno è in apparente buono stato di nutrizione. Le mucose apparenti sono rosee. I linfonodi esplorabili sono normali. T,P,R sono nella norma così come le grandi funzioni or ganiche.
ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome.
ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: presenza di aree di alopecia localizzate intorno al collo, parete laterale del torace, arti posteriori, coda, parte ventrale del corpo. In alcune aree alopeciche sono presenti piccole croste. La cute in tutte le aree alopeci che si
presenta iperpigmentata. Sono presenti 2 masse sottocutanee nella regione ventrale del corpo che secondo il proprietario sono
lì da diversi mesi.
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:
alopecia multifocale con iperpigmentazione cutanea.
DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________________________________
PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________
FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________
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Algoritmo diagnostico “concordato” in caso di segni
clini suggestivi di endocrinopatia nel cane
Rosario Cerundolo
Med Vet, CertVD, Dipl ECVD, MRCVS, Six Mile Bottom, UK
Eric Zini
Med Vet, PD, PhD, Dipl ECVIM-CA, No vara
Nel cane la diagnosi delle malattie endocrine quali l’iperadrenocortisimo, l’ipotiroidismo può risultare alquanto difficoltosa. Più semplice è invece la diagnosi di malattie legate ad anomalie degli ormoni sessuali. Talvolta anche nei casi
con un quadro clinico classico l’esito di alcune indagini diagnostiche risulta essere di difficile interpretazione. Purtroppo non esiste ancora un test che sia sensibile e specifico al
100% per diagnosticare con certezza una malattia endocrina.
Pertanto, é necessario saper combinare le informazioni ottenute dal segnalamento, l’anamnesi, la visita clinica, i risultati del profilo ematologico e biochimico e delle urine, i
risultati della diagnostica per immagini con l’esito delle
indagini ormonali. I relatori, pur avendo competenze specialistiche diverse, condividono e sottolineano l’importanza di
un iter diagnostico accurato e completo per poter diagnosticare con precisione e trattare adeguatamente un’endocrinopatia. Qualsiasi algoritmo diagnostico proposto deve essere
considerato come d’ausilio e non può sostituirsi al processo
logico e scientifico ma anche quello dettato dal buon senso
del veterinario.
con ACTH sintetico (che ha una sensibilità del 60-85% ed
una specificità prossima all’80-90%) è ormai stato abbandonato quale test per la diagnosi dell’iperadrenocorticismo in
quanto valutando la riserva funzionale delle ghiandole surrenali è usato principalmente nelle forme di ipoadrenocorticismo o durante il corso della terapia per valutare la risposta
al farmaco. I test di differenziazione quali quello di soppressione con desametasone ad alto dosaggio e la determinazione della concentrazione plasmatica endogena di ACTH sono
poco usati 1. Le indagini diagnostiche per immagini rivestono ur ruolo fondamentale nell’iter diagnostico. L’esame ecografico delle ghiandole surrenali è d’aiuto per dif ferenziare
la forma ipofisaria da quella surrenalica. La variabilità della
mole somatica esistente nei cani è un limite per la definizione corretta degli intervalli di riferimento relativi alle dimensioni delle ghiandole surrenali. TAC e RM sono utili per
caratterizzare le dimensioni della ghiandola ipofisaria e riconoscere eventuali masse ivi presenti. Tuttavia, la sensibilità
diagnostica differisce molto, in base alla performance degli
strumenti ed all’uso di mezzi di contrasto.
IPERADRENOCORTICISMO
IPOTIROIDISMO
Secondo la letteratura scientifica corrente, nei cani af fetti
da iperadrenocorticismo i problemi dermatologici sono presenti nella grande maggioranza dei casi. Un 10% dei cani
con iperadrenocorticismo può manifestare solamente alterazioni cutanee (alopecia, calcinosi), in assenza di altri segni
clinici. Uno o più segni clinici quali poliuria e polidipsia,
polifagia, addome pendulo, oltre ad alterazioni a carico dei
globuli bianchi quali il leucogramma da stress, all’aumento
dell’attività degli enzimi epatici o alla diminuzione del peso
specifico delle urine sono rilevabili nella grandissima maggioranza dei cani af fetti. I test di screening diagnostici più
utilizzati sono rappresentati dal rapporto cortisolo-creatinina
urinarie (il test è sensibile quasi al 100% ma presenta una
specificità del 20%), e dal test di soppressione con desametasone a basso dosaggio (il test ha una sensibilità dell’8595% ed una specificità del 70-75%) 1. Il test di stimolazione
Secondo la letteratura scientifica corrente, nei cani af fetti
da ipotirodismo le lesioni dermatologiche sono riscontrabili
nel 60-80% dei casi. Spesso i cani ipotiroidei sono sovrappeso o presentano ipofertilità. Le alterazioni neurologiche
sono descritte ma sono poco frequenti quelle clinicamente
rilevabili. Il profilo ematologico e biochimico mostrano
spesso anemia, ipercolesterolemia ed l’ipertrigliceridemia
che sono osservabili in circa il 75-90% dei cani. Le determinazioni delle concentrazioni plasmatiche o sieriche di
T4
totale o libero e di TSH endogeno sono utilizzate di routine
da molti clinici. Nonostante ci siano falsi positivi e falsi
negativi sia con il T4 totale che con quello libero, quest’ultimo risulta più affidabile 2. La determinazione del TSH
endogeno presenta una sensibilità limitata nei cani ipotiroidei, dal momento che circa un terzo presenta concentrazioni
normali3. Il test di stimolazione con TSH bovino o ricombi-
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nante umano ha dei limiti di praticità, dal momento che
entrambi non sono facilmente reperibili o sono costosi. Il
test di stimolazione con TSH è ancora considerato da molti
autori il “meno inconcludente” (2). La determinazione dei
titoli anticorpali anti-tiroglobulina, -T4 o -T3 presenta una
sensibilità del 50-60%. Tuttavia il 5-10% dei cani sani o con
sick euthyroid syndrome presenta titoli anticorpali positivi.
risultati del profilo ematologico, le indagini ecografiche delle gonadi sono spesso diagnostiche. La misurazione degli
ormoni sessuali può non aiutare nella diagnosi in quanto le
concentrazioni ormonali di testosterone o estradiolo possono
fluttuare durante l’arco della giornata (4).
BIBLIOGRAFIA
ANOMALIE DEGLI ORMONI SESSSUALI
1.
Anomalie degli ormoni sessuali sebbene infrequenti sono
spesso associate a lesioni cutanee e alterazioni ematologiche.
Attualmente si riconoscono 2 sindromi in cui il coinvolgimento degli ormoni sessuali è stato confermato: l’iperestrogenismo e l’iperandrogenismo che sono entrambe spesso
dovute a tumori secernenti del testicolo o ovaio.
L’iperestrogenismo della cagna può essere causato da una
cisti o neoplasia ovarica o iatrogenico in cagne trattate con
estrogeni per prevenire la fecondazione o in quelle con
incontinenza urinaria. L ’iperestrogenismo del cane è frequentemente associato ad un tumore delle cellule del Sertoli o interstiziali o un seminoma del testicolo. L ’ipertestosteronismo può essere associato ad un tumore delle cellule
interstiziali del testicolo o in cagne sterilizzate con un iperadrenocorticismo ipofisario. Il quadro clinico dermatologico, le alterazioni dei genitali, i disturbi comportamentali, i
2.
3.
4.
Reusch CE. Hyperadrenocorticism. In: Textbook of Veterinary Internal Medicine. Eds. Ettinger S., Feldman E. pp: 1562-1612.
Diaz Espineira MM, Mol JA, Peeters ME, et al.
Assessment of
thyroid function in dogs with low plasma thyroxine concentration. J
Vet Intern Med, 2007; 21: 25-32.
Boretti FS, Reusch CE. Endogenous
TSH in the diagnosis of
hypothyroidism in dogs. Schweiz Arch Tierheilkd, 2004; 146: 183188.
Cerundolo R. Bensignor E., Guaguere E. Sex hormone related dermatoses. In Prelaud P . & Guaguere E. (eds.) Canine Dermatology .
Merial Publications. 363-372, 2008.
Indirizzo per la corrispondenza:
Rosario Cerundolo Dick White Referrals, Veterinary Specialist
Centre, Station Farm, London Road, Six Mile Bottom,
Suffolk, CB8 0UH
Eric Zini Clinic for Small Animal Internal Medicine, University
of Zurich (Switzerland), Dipartimento di Scienze Cliniche
Veterinarie, Università di Padova, e Istituto Veterinario di Novara
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Analisi stabilometrica e cinematica del movimento:
un confronto con la medicina umana
Chiara Chiaffredo
Med Vet, CCRP, Roletto (TO)
In medicina umana l’analisi cinematica o biomeccanica
con sistemi computerizzati rappresenta oggigiorno ciò che in
cardiologia è rappresentato dall’elettrocardiogramma. A partire dagli anni 80 grande interesse è stato dedicato non più
solo alle analisi di tipo statico ma soprattutto allo studio della dinamica del movimento. Tale interesse è scaturito dal fatto che durante la meccanica del cammino si creano delle
compensazioni di tipo posturale e di tipo biomeccanico di
grande significato clinico-diagnostico. Con il termine biomeccanica si intende in medicina umana un’analisi della
meccanica del paziente durante la locomozione. La biodinamica in medicina umana viene considerata una sorta di analisi pluridisciplinare,infatti offre a chi la utilizza una descrizione completa dei movimenti degli arti inferiori e del tronco del paziente, delle compensazioni articolari e muscolari.
La biodinamica ha preso spunto dalla fisica quantistica e lo
studio dei movimenti si basa sul teorema di Lagrange, per
cui si tengono in considerzione l’energia cinetica potenziale
ed I movimenti dei vari segmenti ossei. Da tale osservazione si può dedurre che l’analisi del movimento inteso come
camminata terrà conto di due diversi capitoli: da un lato
abbiamo l’analisi del movimento delle varie parti del corpo
secondo le possibilità articolari; dall’altro lato abbiamo l’analisi delle variazioni di forza e dell’azione muscolare
secondo le variazioni dell’accelerazione. Ogni analisi di tipo
biomeccanico deve essere supportata da un preciso protocollo, inoltre il primo step è comprendere quale parte del
corpo ef fettuerà il movimento durante la nostra analisi e
intorno a quale asse; il secondo step invece sarà comprendere quali muscoli determinano quei movimenti. Nel momento in cui l’analisi biomeccanica viene abbinata all’utilizzo di
una pedana di forza allora si riuscirà ad analizzare il movimento del passo sul piano sagittale in relazione alle variazioni di pressione ed in funzione del tempo (movimento
muscolare ed articolare, carico pressorio, durata del carico);
inoltre, sempre grazie all’ausilio di una pedana di forza si
potrà analizzare il movimento sul piano frontale, tenendo
conto della linea di gravità per poter così valutare il comportamento articolare sotto il carico del peso corporeo. In
medicina umana ogni movimento fa riferimento ad un punto fisso ed in biomeccanica tale punto è astratto e considera
i tre piani dello spazio. Ad ogni piano corrisponde un asse
attorno al quale avvengono i movimenti e quindi asse frontale per il piano sagittale, asse sagittale per il piano frontale
ed asse longitudinale per il piano trasversale. Per ciò che
riguarda il piede umano il piano sagittale permette movimenti di dorsiflessione e di plantaflessione; il piano frontale
permette movimenti di inversione e di eversione; il piano
trasversale permette movimenti di abduzione e di adduzione.
Diventa chiaro che l’analisi della marcia è complessa poiché
bisogna abituarsi a considerare insieme I tre piani dello spazio ed il tempo. Il movimento umano bipodalico è instabile,
ciascun piede passa da una fase di ricezione del peso corporeo ad una fase di propulsione del peso corporeo. Nella prima parte del passo il piede assorbe l’onda di choc, riceve il
peso del corpo, rallenta i movimenti. In questa fase le articolazioni interessate vengono tutte rilassate per assorbire
l’impatto e ricevere il peso del corpo. Questa fase termina
quando il piede è posizionato perpendicolarmente al suolo
considerando l’asse della tibia. La seconda fase invece, le
strutture articolari devono irrigidirsi completamente per
consentire ai muscoli flessori di contrarsi e di spingere il
peso corporeo in avanti. In questa fase tutto il peso corporeo
è su di un unico piede, inoltre questo carico determinerà il
modo in cui atterrerà l’altro piede. Un passo umano è un
ciclo composto da 2 fasi: la fase d’appoggio (stance phase)
e la fase di oscillazione (swing phase). La fase di appoggio
si divide in: contatto (heel strike), appoggio (midstance),
propulsione (heel lift). Anche in medicina veterinaria un
ciclo di movimento si compone di una fase di contatto e di
una di oscillazione. Nella stance phase intervengono du e
diverse forze: le braking forces che assorbono l’impatto e le
propulsion forces per garantire la spinta per alzare l’arto dal
suolo. La fase di oscillazione si compone di tre parti: dapprima l’arto oscilla caudalmente, poi cranialmente ed infine
ritorna caudale per poi essere appoggiato al suolo.Per ciò
che riguarda l”analisi biomeccanica nel cane, il trotto a
media velocità rappresenta l’andatura più idonea per ef fettuare una gait analysis. Si tratta di un’andatura diagonale che
vede coinvolti un arto anteriore e il posteriore controlaterale
nello stesso momento. Tale andatura risulta essere la più
naturale per molti cani e questo è un fattore positivo per condurre una gait analysis. In medicina umana le pedane baropodometriche e stabilometriche consentono di analizzare le
pressioni esercitate al suolo dal piede sia durante la camminata sia durante la stazione bipodalica. Grazie agli appositi
softwares si possono valutare: la distrubuzione delle pressioni, la posizione del baricentro del paziente e dei baricen-
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rema di Lagrange. Per questo si ritiene che l’equilibrio meccanico si verifica quando i movimenti e l’attività muscolare
sono bilanciati nei tre piani x,y ,z. In medicina umana per
poter confrontare in maniera scientifica piede destro e piede sinistro si ricorre all’utilizzo di pedane molto lunghe o di
solette da utilizzare dentro le calzature in grado di rilevare i
dati durante il movimento, e di trasmetterli, via wireless al
computer. Anche in medicina veterinaria i sistemi che utilizzano pedane di forza sono considerati validi strumenti
diagnostici in relazione al fatto che non sono invasive sono
di semplice utilizzo e sono caratterizzati da elevate sensibilità e specificità. Sia in medicina umana che in medicina
veterinaria i sistemi che danno il maggior numero di informazioni sono quelli che consentono di ef fettuare un’analisi
cinematica in 3-D. Tali sistemi integrano la pedana di forza
con i markers e le videocamere, rendendo possible il rilevamento di molte più informazioni. Tali sistemi a causa degli
elevati costi sono utilizzati prevalentemente da istituti di
ricerca e da università sia in medicina umana che in medicina veterinaria, ma in ogni caso rapprsentano il futuro della gait analysis.
tri dei singoli piedi, la percentuale di carico in rapporto al
peso corporeo, l’immagine tridimensionale del piede. Il vantaggio di tale tecnica sta nel fatto che i dati acquisiti sono
oggettivi. Il mercato oggi mette a disposizione della medicina umana vari dispositivi: pedane di forza, pedane con
matrici di sensori, solette da utilizzare dentro la calzatura,
sistemi integrati nel treadmill.
I sistemi che misurano le pressioni vengono classificati in
base alle caratteristiche dei sensori. Questi possono essere
capacitivi, resistivi, piezoelettrici. La pedana di forza è un
tappeto formato da una moltitudine di sensori che registrano,
nel momento di contatto con il piede, la forza, la superficie
e il tempo di appoggio. Tale strumento è ampiamente utilizzato anche in medicina veterinaria e rappresenta un valido
strumento di analisi.
Durante l’analisi dinamica il computer registra gli stessi
dati che registra durante un’analisi statica ma, poiché la forza applicata si muove durante il pass oil computer tiene
conto degli spostamenti di forza antero-posteriore e mediolaterale. Qualsiasi analisi cinematica o dinamica sia in
medicina umana che in medicina veterinaria si basa sul teo-
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
L’anestesia in soggetti con ostruzione
o rottura delle vie urinarie
Federico Corletto
Med Vet, PhD, CertVA, Dipl ECVAA, MRCVS, Six Mile Bottom, UK
Il paziente presentato per rottura od ostruzione delle vie
urinarie rappresenta un notevole challenge dal punto di vista
anestesiologico. I reperti più comuni sono notevoli alterazioni dell’equilibrio acido-base (acidosi, iperpotassiemia),
azotemia (generalmente postrenale), dilatazione della pelvi
renale. Dal punto di vista clinico il paziente può presentare
sensorio normale o depresso, fino ad uno stato di stupore o
coma. Il sistema cardiocircolatorio può essere normale o
profondamente alterato nella funzione, fino allo shock emodinamico decompensato. In caso di ostruzione cronica di
entità significativa o blocco di un uretere da parte di un calcolo, la funzione renale può inoltre risultare parzialmente
compromessa, pertanto è possibile riscontrare un’azotemia
renale e postrenale contemporaneamente. La condizione fisica del paziente è di solito IV o V, secondo la classificazione
dell’American Society of Anesthesiology. Il paziente è,
quindi, in costante pericolo di vita.
La caratteristica peculiare e particolarmente rilevante per
quanto riguarda la gestione perioperatoria del paziente è che
la patologia continua a progredire in modo inesorabile fino
alla risoluzione del problema o la morte del paziente, rendendo la stabilizzazione preoperatoria particolarmente
impegnativa. Il quadro può essere notevolmente complicato
dalla presenza di altre patologie, per esempio è questo il caso
di un paziente politraumatizzato, con frattura della pelvi,
trauma addominale e toracico e rottura delle vie urinarie.
Poiché un intervento tempestivo e mirato è fondamentale
più che in altri casi nel determinare l’outcome, è necessario
identificare rapidamente il problema che più probabilmente
sarà la causa della morte del paziente, e quindi instaurare
una terapia adeguata nel risolverlo, almeno parzialmente,
consentendo l’esecuzione dell’anestesia e di un intervento
chirurgico che potrebbe salvare il soggetto.
Mentre nel caso dell’ostruzione delle vie urinarie (tipica
del gatto maschio castrato), è spesso possibile inserire un
catetere urinario e trattare in modo conservativo il problema
o almeno stabilizzare il paziente in modo adeguato, nel caso
della rottura delle vie urinarie, con presenza di uroaddome è
necessario stabilizzare rapidamente il paziente per consentire la riparazione del difetto, a meno che non si disponga dei
mezzi e di sufficiente famigliarità con la procedura della dialisi peritoneale o con l’emodialisi.
È pertanto importantissimo identificare a quale delle
seguenti categorie il soggetto appartenga:
- animale con ostruzione acuta o cronica (urolitiasi o neoplasia) delle vie urinarie nel quale si ritiene plausibile la
cateterizzazione della vescica urinaria;
- animale con ostruzione acuta o cronica (urolitiasi o neoplasia) delle vie urinarie nel quale la cateterizzazione della vescica urinaria non è possibile;
- soggetto con rottura dell’uretra;
- soggetto con rottura di vescica, rene o uretere.
Mentre nel primo caso il soggetto può essere gestito in
modo conservativo ed è relativamente facile correggere le alterazioni ematobiochimiche, negli altri casi è spesso necessario
stabilizzare il più rapidamente possibile il paziente per anestetizzarlo e procedere con l’intervento chirurgico.
La stabilizzazione del soggetto mira al rapido conseguimento di una condizione fisica accettabile per procedere
con l’anestesia. In pazienti con shock emodinamico, l’espansione del volume circolante è prioritaria, ed i fluidi
consigliati sono la soluzione fisiologica (NaCl 0.9%) o un
colloide (gelatine o amidi). Mentre la somministrazione di
un colloide consente di ripristinare rapidamente la volemia,
la somministrazione di volumi elevati di soluzione fisiologica è storicamente ritenuta avere un benevolo ef fetto di
diluizione sulla potassiemia ed azotemia. Un recente studio
in condizioni sperimentali ha, tuttavia, suggerito che la
somministrazione di Ringer lattato è vantaggiosa rispetto
alla somministrazione di soluzione fisiologica, poiché risulta in un migliore equilibrio acido-base, non riduce la calcemia, non causa ipernatriemia ed ha ef fetto simile alla soluzione fisiologica per quanto concerne la potassiemia (Cunha et al, AJVR 2010, 71(7):840-6). È necessario ricordare
che le più probabili ragioni della decompensazione acuta di
un paziente con problema alle vie urinarie sono l’ipovolemia e l’iperpotassiemia. In presenza di shock ipovolemico è
necessario non focalizzare eccessivamente l’attenzione sulla correzione di un’eventuale iperpotassiemia, in quanto
questa può essere meglio gestita nel paziente dopo la correzione della volemia.
Una volta esclusa la presenza di o corretta l’ipovolemia
(relativa o assoluta) è necessario correggere l’iperpotassiemia. La gravità dei segni clinici e delle alterazioni elettrocardiografiche dipendono dalla cronicità del disordine elettrolitico e, quindi, dall’instaurarsi di meccanismi compensatori. Le tipiche alterazioni elettrocardiografiche causate dall’iperpotassiemia (bradicardia, aumento della dimensione
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dell’onda T, allargamento del complesso QRS, accorciamento dell’intervallo QT, assenza dell’onda P) non sono sempre
evidenti e la loro assenza non esclude la presenza di iperpotassiemia anche grave. L ’autore ha osservato tracciati ECG
non particolarmente entusiasmanti in soggetti con grave
iperpotassiemia. L ’effetto sul tracciato ECG dipende non
solo dalla potassiemia, ma anche dalla concentrazione di
altri elettroliti e dalla quantità di catecolamine circolanti. Le
catecolamine, per esempio, hanno effetto protettivo sul miocardio per quanto concerne gli ef fetti dell’iperpotassiemia.
La diminuzione delle catecolamine circolanti determinata
dall’induzione dell’anestesia potrebbe spiegare l’improvvisa
decompensazione di pazienti iperpotassiemici, ed in precedenza stabili.
L’iperpotassiemia altera il potenziale di membrana, facilitando la ripolarizzazione membranaria. La rapida ripolarizzazione determina l’aumento dell’altezza dell’onda T, mentre allo stesso tempo impedisce la normale funzione dei
canali per il sodio, che si chiudono troppo rapidamente,
risultando in un rallentamento della depolarizzazione e della conduzione (allargamento dell’onda QRS, scomparsa dell’onda P). L’effetto dell’iperpotassiemia è un profondo rallentamento dell’attività pace-maker del nodo senoatriale e
della conduzione, risultando in asistole o fibrillazione ventricolare.
L’iperpotassiemia può essere definitivamente risolta solo
con l’instaurarsi della diuresi o, nel caso ciò sia impossibile,
con la dialisi (emodialisi o dialisi peritoneale). È possibile
somministrare fluidi e ripetere la cistocentesi ogni qualvolta
la vescica è distesa, tuttavia i rischio legati alle molteplici
punture della parete vescicale devono essere considerati.
Esistono, tuttavia, altri interventi mirati a diminuire la
potassiemia ed i suoi ef fetti sulla conduzione cardiaca, consentendo l’induzione dell’anestesia.
La somministrazione di bicarbonato
di sodio (0.5-1
mEq/L) causa alcalosi metabolica che determina fuoriuscita
di protoni dal comparto intracellulare e conseguente movimento di potassio in direzione opposta. Il paziente deve
essere in grado di eliminare la CO 2 prodotta dal tamponamento del bicarbonato. Il bicarbonato, inoltre si lega la calcio, limitando quindi la possibilità di intervenire successivamente con la somministrazione di calcio gluconato. Per tali
motivi, e per l’imprevedibilità dell’ef fetto, la somministrazione di bicarbonato non è la prima scelta dell’autore.
La somministrazione di insulina e glucosio determina una
riduzione significativa e prevedibile della potassiemia. Inizialmente, in casi non ur genti, la sola somministrazione di
soluzione glucosata può ridurre lentamente la potassiemia,
mentre in casi in cui il soggetto è in pericolo di vita a causa
dell’iperpotassiemia, è indicata la somministrazione di insulina ad azione rapida (0.2 I.U./kg per volta, IV) e di un bolo
di glucosio 50% (1-2 ml/kg, lentamente IV). La glicemia e
la potassiemia devono essere monitorate frequentemente
durante la terapia.
La rapidità della correzione dell’iperpotassiemia dipende
dalla durata e gravità del problema. Nel caso di ostruzione
acuta in un soggetto sintomatico, la potassiemia deve essere
rapidamente abbassata, mentre nel caso di iperpotassiemia
cronica è controindicato abbassare la potassiemia troppo
rapidamente, per evitare il rischio di indurre alterazioni del
potenziale di membrana riferibili ad ipopotassiemia.
10% (0.5-1
La somministrazione di calcio gluconato
ml/kg) è una misura transitoria nella gestione del paziente
iperpotassiemico con alterazioni importanti del tracciato
ECG. Il calcio somministrato altera il potenziale di eccitazione, ripristinando temporaneamente la normale eccitabilità delle membrane cellulari senza alterare la potassiemia.
Per facilitare la cateterizzazione della vescica è possibile
ricorrere all’utilizzo dell’anestesia neurassiale
(anestesia
epidurale e spinale) che, tuttavia, non può risolvere lo spasmo uretrale indotto e mantenuto a livello locale dalla presenza di uroliti. Nei pazienti più depressi è talvolta possibile eseguire tali tecniche senza previa sedazione od anestesia,
e l’analgesia conseguita può essere sufficiente, in caso di
successo, ad eseguire interventi chirurgici nell’area perineale o a livello dell’addome caudale.
La scelta dei farmaci per la premedicazione, l’induzione e
il mantenimento dell’anestesia deve essere basata sulle condizioni del paziente, piuttosto che sul problema specifico
delle vie urinarie. Non esiste, infatti, farmaco sicuro in tale
situazione, tuttavia è bene ricordare che la ketamina, nel gatto ma non nel cane, è escreta per via renale in forma attiva.
La somministrazione di una singola dose induttiva non è
controindicata in modo assoluto, dal momento che l’ef fetto
cessa per ridistribuzione e l’instaurarsi della diuresi postostruttiva elimina il farmaco in modo efficiente, mentre
invece è relativamente controindicato il mantenimento dell’anestesia o l’infusione di ketamina, per il rischio di accumulo. L’autore preferisce la somministrazione di fentanyl
associato a un agente induttore (propofol o, meglio, alfaxalone), semplicemente per il vantaggio emodinamico che
deriva dall’utilizzo di tale protocollo. In modo simile, alcuni metaboliti della morfina, della petidina, del remifentanil
sono escreti per via urinaria, tuttavia l’importanza di tale via
di eliminazione è relativa per la scarsa attività o quantità di
tali metaboliti in condizioni cliniche “normali” (somministrazione di bolo singolo o infusione per poche ore). Come
già precedentemente menzionato, l’utilizzo di tecniche neurassiali deve essere considerato per i notevoli vantaggi che
ne derivano. Il monitoraggio durante l’anestesia deve essere
mirato ad identificare le possibili complicazioni, pertanto la
valutazione continua dell’ECG è di fondamentale importanza. La valutazione dell’equilibrio elettrolitico ed acido-base
non deve essere trascurata, sebbene nella maggior parte dei
casi in cui la funzione renale non è compromessa, alla risoluzione dell’ostruzione corrisponde la correzione graduale
delle alterazioni elettrolitiche e dell’equilibrio acido-base. Il
monitoraggio emodinamico (pressione arteriosa invasiva o
non invasiva) è essenziale per assicurarsi che la perfusione
renale sia adeguata e per il rischio di ipovolemia ed ipotensione. Nel paziente con rottura delle vie urinarie e uroaddome l’equilibrio elettrolitico può variare con rapidità estrema,
risultando in cambiamenti rapidi della potassiemia, che possono alterare profondamente il tracciato ECG e l’emodinamica.
Nel postoperatorio, oltre alle normali attenzioni (temperatura, analgesia), è necessario considerare che la risoluzione del blocco urinario è legata a due possibili outcome:
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- oliguria o anuria, causate da un danno renale durante la
fase ostruttiva
- diuresi post-ostruttiva, caratterizzata da notevole kaliuresi, pertanto con il rischio di sviluppare ipopotassiemia.
In tali pazienti, pertanto, è indicato mantenere un catetere urinario nel postoperatorio, per valutare la produzione
urinaria ed ef fettuare, se indicata, l’analisi fisico-chimica
dell’urina prodotta. In caso di oliguria o anuria, l’azotemia
non migliora ed il paziente deve essere gestito come nel
caso di insufficienza renale postanestetica, la cui trattazione
esula da questa presentazione. In caso di diuresi post-ostruttiva, è necessario supplementare la soluzione utilizzata per
la fluidoterapia (solitamente Ringer lattato) con cloruro di
potassio (30 mEq/L), e misurare la potassiemia, nel caso
fosse necessario aumentare l’integrazione con potassio. Il
catetere urinario può essere rimosso quando la produzione
urinaria e l’equilibrio elettrolitico ed acido-base sono normalizzati.
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L'anestesia in caso di disendocrinia:
il paziente affetto da diabete, Cushing o Addison
Federico Corletto
Med Vet, PhD, CertVA, Dipl ECVAA, MRCVS, Six Mile Bottom, UK
L’anestesia del soggetto affetto da endocrinopatie non può
prescindere dalla conoscenza delle alterazioni legate alla
patologia stessa. L’effetto finale delle alterazioni endocrine è
una ridotta capacità di far fronte alle modificazioni omeostatiche indotte dall’anestesia e talvolta ciò è complicato dall’effetto dell’anestesia sull’efficacia dei farmaci normalmente somministrati per controllare la patologia stessa.
idratazione nel periodo perioperatorio. Le neuropatie sembrano essere più frequenti nel gatto piuttosto che nel cane,
mentre fortunatamente i nostri pazienti non sono soggetti, al
contrario degli esseri umani diabetici a patologia coronarica.
Lo scopo della gestione perioperatoria nel paziente diabetico è il controllo dei problemi risultanti dalle alterazioni
metaboliche indotte dal periodo di digiuno pre e postoperatorio, l’alterazione del regime alimentare e gli ef fetti metabolici della chirurgia. È necessario assicurarsi che il paziente riceva una quantità adeguata di glucosio, insulina e calorie con l’alimentazione, per ridurre il rischio di sviluppare
uno stato catabolico caratterizzato da lipomobilizzazione,
proteolisi e ketoacidosi. L ’ipoglicemia deve essere evitata,
pertanto è necessario misurare frequentemente la glicemia
soprattutto durante l’anestesia, quando i segni clinici dell’ipoglicemia (depressione, confusione, debolezza, crisi convulsive) non possono essere individuati.
La valutazione del controllo glicemico preoperatorio può
essere effettuata con il dosaggio delle fruttosamine. La chirurgia elettiva deve essere rinviata fino a quando il controllo glicemico è giudicato soddisfacente. Nel caso di soggetti con
insoddisfacente controlo glicemico che devono essere sottoposti ad interventi chirurgici urgenti, è necessario cercare di controllare la glicemia e ripristinare il normale stato metabolico,
somministrando insulina, glucosio e potassio sotto stretto
monitoraggio di elettroliti, equilibrio acido-base e glicemia.
Per quanto riguarda la procedura è necessario pianificare
l’anestesia in modo che la normale routine giornaliera (alimentazione, somministrazione di insulina) sia alterata nel
modo minore possibile. Generalmente è consigliabile pianificare la procedura al mattino presto, cosicché la normale alimentazione e dose di insulina può essere somministrata il prima possibile dopo il risveglio, minimizzando il digiuno. La
glicemia deve essere controllata al mattino, prima della premedicazione e dell’anestesia, quindi una dose di insulina
appropriata può essere somministrata al momento della premedicazione. Uno studio (Kronen et al, 2001,
Veterinary
Anaesthesia and analgesia, 28(3); 146-155) ha comparato
l’effetto della somministrazione di ¼ oppure di tutta la dose di
insulina in cani diabetici prima dell’anestesia, concludendo
che in entrambi i casi gli animali erano iper glicemici durante
l’anestesia e nel postoperatorio e in metà dei prelievi l’iperglicemia era particolarmente grave. È interessante notare che,
paradossalmente, la glicemia era più elevata, durante l’aneste-
IL PAZIENTE DIABETICO
Per ridurre i rischi legati all’anestesia e soprattutto al periodo perioperatorio nel paziente diabetico, è necessario fare
quanto possibile per stabilizzare, se necessario, il paziente
controllando nel modo migliore possibile la glicemia. Lo
stress legato all’ospedalizzazione, al cambio del regime alimentare, all’anestesia ed all’intervento chirurgico complica il
controllo della glicemia, pertanto il rischio di sviluppare
ketoacidosi e profonde alterazioni della glicemia è tanto maggiore quanto il paziente è instabile. L’instabilità, inoltre, complica notevolmente la ges tione farmacologica della glicemia,
rendendo necessarie continue variazioni della dose di insulina e quindi ripetuti prelievi di sangue per verificarne l’effetto. In medicina umana è stato identificato un maggior rischio
di sviluppare infezioni postoperatorie legato alla compromissione dell’attività chemotassica e fagocitica dei globuli
bianchi. In pazienti diabetici con ottimale controllo della glicemia il rischio di infezione è significativamente minore. In
medicina veterinaria l’ef fetto del controllo glicemico sulle
complicazioni postoperatorie non è stato ben caratterizzato,
tuttavia il meccanismo immunodepressivo riscontrato negli
umani e la sua antagonizzazione da parte della somministrazione di insulina è stato dimostrato già nel 1959 da Sherstneva (Bullettin of experimental biology and medicine,
47(5); 582-585). È noto, inoltre, che gli animali diabetici
sono generalmente maggiormente a rischio di infezioni. Talvolta il difficile controllo glicemico è, inoltre, legato alla
presenza di patologie concomitanti, quali per esempio, pancreatite, o ipertiroidismo, condizioni che complicano notevolmente la gestione dell’anestesia. L ’insufficiente somministrazione di insulina è legata non solo a persistente iperglicemia, ma anche ad un generale stato catabolico, che
influenza negativamente il processo di guarigione. La persistente poliuria e polidipsia, inoltre, aumenta il rischio di dis-
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sia, nei cani che avevano ricevuto la dose completa di insulina rispetto a quelli che avevano ricevuto la dose più bassa,
mentre nel postoperatorio accadeva il contrario. L’autore preferisce somministrare metà dose di insulina al momento della
premedicazione (la dose completa è somministrata in caso di
glicemia>14 mmol/l), quindi misurare la glicemia immediatamente dopo l’induzione dell’anestesia e quindi ogni 30 minuti. La somministrazione di soluzioni contenenti glucosio è
riservata ai soggetti nei quali la glicemia è inferiore a 6
mmol/l, mentre la somministrazione di insulina cristallina
(0.1-0.2 IU/kg) è indicata in caso di grave e persistente iperglicemia. Il protocollo anestetico è scelto in modo da facilitare un rapido risveglio, cosicché l’animale può essere alimentato il prima possibile e ricevere, se necessario, il resto della
dose di insulina. Nel postoperatorio, dopo che l’animale si è
alimentato, l’insulina è controllata meno frequentemente fino
alla somministrazione della dose serale. Se l’animale non si
alimenta, è somminstrata una soluzione elettrolitica bilanciata
supplementata con glucosio 2.5% e potassio 20 mmol/l. La
somministrazione di destrosio 5% per periodi prolungati è
sconsigliabile poiché può determinare iponatriemia, pertanto
nel caso tale soluzione sia utilizzata, è necessario monitorare
gli elettroliti. L’anestesia è gestita in modo da minimizzare la
risposta allo stimolo chirurgico, poiché ipercortisolemia e elevate concentrazioni di catecolamine favoriscono l’iper glicemia. Se non controindicata, l’esecuzione di tecniche locoregionali presenta il notevole vantaggio di migliorare il controllo del dolore perioperatorio.
Per quanto riguarda l’effetto dei singoli farmaci, una nota
a parte meritano gli alfa-2 agonisti, in particolare il loro
effetto iperglicemizzante, che è dose-dipendente nell’animale normale ed è legato all’inibizione della secrezione di insulina da parte del pancreas. Nel paziente diabetico l’importanza di tale effetto collaterale è relativa, dal momento che il
controllo glicemia dipende dalla somministrazione di insulina, inoltre dosi basse (3-5 mcg/kg di medetomidina o dosi
equivalenti di dexmedetomidina) hanno ef fetto trascurabile
sulla glicemia anche nel paziente non diabetico.
La gestione del gatto diabetico è simile, tuttavia la presenza di patologie concomitanti e la maggior suscettibilità
del gatto agli effetti del digiuno e della ketoacidosi possono
complicare notevolmente la gestione del paziente.
attenzione nella scelta dei farmaci utilizzati. L ’ipertensione
arteriosa è, inoltre, un reperto relativamente frequente (86%)
nel cane affetto da morbo di Cushing (Ortega et al, JA VMA,
1996, 209; 724-1729), pertanto ciò deve essere considerato
durante il monitoraggio intraoperatorio e nella valutazione
preanestetica: in conseguenza dell’adattamento all’ipertensione, una pressione arteriosa “normale” potrebbe avere lo stesso effetto di un evento ipotensivo e risultare in insufficiente
perfusione d’organo. È importante ricordare che l’ipertensione spesso non è risolta con la somministrazione di farmaci che
inibiscono la secrezione surrenalica, pertanto è un reperto frequente anche nel paziente “stabilizzato”. Considerata la notevole variabilità nella gravità della patologia al momento della
presentazione per l’anestesia, è consigliabile ef fettuare una
stadiazione accurata, cosicché sarà possibile identificare i
pazienti a maggior rischio. In caso di iperadrenocorticismo,
inoltre, il rischio di infezioni e di deiescenza delle suture è
maggiore rispetto al paziente con normale funzione surrenalica, e ciò deve essere considerato nella pianificazione della
gestione perioperatoria e dell’intervento. Una nota a parte
merita il rischio di ipercoagulabilità in soggetti affetti da iperadrenocorticismo. Mentre tale rischio è riconosciuto anche nel
cane, non vi è unanimità di opinione per quanto riguarda la
necessità di somministrare una tromboprofilassi nel periodo
perianestetico. Se si decide di somministrare eparina, è interessante ricorda che un lavoro relativamente recente (Skott et
al, J Vet Emerg Crit Care, 2009, 19(1); 74-80) ha suggerito
che la delteparina, alla dose di 100 IU/kg, somministrata ogni
12 ore non riesce, nel cane, a ridurre l’attività del fattore antiXa a livelli ritenuti terapeutici. Pertanto alcuni autori ritengono che nel cane la tromboprofilassi dovrebbe essere effettuata
con eparina non frazionata a dosi di 100-200 IU/kg, somministrata da 2 a 3 volte al dì. Nel caso sia pianificato un intervento mirato a correggere l’iperadrenocorticismo (ipofisectomia
o adrenalectomia secondo la causa), è necessario assicurarsi
che la secrezione di gluco e mineralcorticoidi sia adeguata nel
periodo perioperatorio ed eventualmente integrarli fino a
quando necessario. L ’esecuzione di un test di stimolazione
con ACTH può fornire utili informazioni sulla funzione della
surrenale rimasta in caso di adrenalectomia ed è possibile
anche dopo aver somministrato desametasone per assicurare
al paziente la capacità di far fronte allo stress perioperatorio.
La gestione del paziente con insufficienza surrenalica è
sotto certi aspetti, più semplice, dal momento che consiste
nella preventiva stabilizzazione con mineral (fludrocortisone)
e glucocorticoidi (idrocortisone o prednisolone). I segni clinici e le alterazioni ematobiochimiche della crisi addisoniana,
sono, inoltre caratteristi e facilmente identificabili (debolezza,
collasso, diarrea, vomito, iperpotassiemia con alterazioni
ECG relative, ipotensione). In tali pazienti è consigliabile somministrare una dose soprafisiologica di steroidi prima
dell’intervento chirurgico, per consentire al’or ganismo di far
fronte allo stress legato alla procedura. Il rischio di crisi addisoniana rimane elevato nel postoperatorio, pertanto potrebbe
essere necessario modificare la dose di steroidi somministrata
per trattare la patologia. Nel paziente in crisi addisoniana,
oltre alla somministrazione di steroidi (idrocortisone), è
necessario trattare lo stato di ipotensione, e in questo caso
è indicata a somministrazione di soluzione fisiologica.
IL PAZIENTE CON ALTERAZIONI
DELLA FUNZIONE SURRENALICA
(IPER ED IPOADRENOCORTICISMO)
Come per il paziente diabetico, anche nel caso delle alterazioni della funzione surrenalica è indicato posticipare l’anestesia e la chirurgia fino a quando la disendocrinia è sotto
controllo. La gestione anestesiologica del paziente af fetto da
iperadrenocorticismo deve tener conto dell’aumento del tessuto adiposo intraddominale, che può compromettere l’escursione diaframmatica e che, insieme alla miopatia tipica della
patologia potrebbe risultare in una notevole compromissione
della ventilazione. L’uso della ventilazione a pressione positiva intermittente è, pertanto, indicato. La funzione epatica può
essere, in alcuni casi, alterata, richiedendo quindi particolare
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Quando pensare alle dermatiti solari:
dal segno clinico alla terapia
Luisa Cornegliani
Med Vet, Dipl ECVD, Milano (I)
COSA SONO LE DERMATITI SOLARI
QUANDO PENSARE ALLA DERMATITE
SOLARE
La dermatite solare è una reazione fototossica e interessa
principalmente le aree glabre e/o a pelo corto. La sua gravità dipende dal tempo d’esposizione ai raggi UV: si ha la formazione di cheratinociti vacuolizzati dell’epidermide superficiale, cheratinociti apoptotici, dilatazione dei vasi, incremento dei componenti vasoattivi, delle citochine infiammatorie e dell’ossigeno reattivo.
Questa serie di eventi induce un’alterazione del DNA con
possibile trasformazione cellulare neoplastica. L ’elastosi è
un altro evento importante che implica una diminuzione dell’elasticità cutanea1,2,3,4,5.
Negli animali, i peli costituiscono una naturale barriera
all’esposizione ai raggi solari e in condizioni fisiologiche
sono sufficienti per la protezione della cute. Esistono tuttavia alcune aree glabre del muso o dell’addome che restano
esposte. Il cambiamento dello stile di vita degli animali da
compagnia ed l’abitudine a renderli partecipi alle attività del
proprietario li rende maggiormente esposti a malattia “da
benessere”.
Cani e gatti viaggiano spesso con il proprietario e frequentano posti di villeggiatura adottando le stesse abitudini,
compresa quella di fare bagni di sole.
Esistono differenze tra le manifestazioni cliniche della
malattia nel cane e nel gatto. È utile ricordare che in dermatologia non esistono le diagnosi visive e che sempre, prima
di emettere una qualsiasi diagnosi, è necessario raccogliere
l’anamnesi, eseguire l’esame obiettivo generale e particolare dermatologico, gli esami complementari.
I cani possono sviluppare follicoliti e cisti follicolari attiniche su tronco e arti. Clinicamente queste lesioni possono
essere indistinguibili dalla classica forma di follicolite batterica, anche perché spesso l’infezione microbica è una complicanza della malattia. Nei maschi si può avere un interessamento dello scroto con eritema, follicolite e foruncolosi
attinica, lesioni secondarie all’autotraumatismo. Spesso la
dermatite scrotale può essere confusa con una dermatite da
contatto e trattata erroneamente. Alcuni cani possono presentare eritema diffuso nelle aree glabre con secondario prurito e clinicamente ricordare una forma di dermatite atopica
(eritema e prurito), reazione aller gica al cibo e dermatite da
contatto. In tutti questi casi l’anamnesi favorisce la diagnosi, anche se spesso questa si ottiene definitivamente solo
attraverso l’esame istopatologico. L ’esclusione di tutte le
altre cause di malattia e la mancata risposta alle eventuali
terapie empiriche per le infezioni microbiche possono rafforzare l’ipotesi diagnostica. Le lesioni sul dorso del naso,
rappresentate da eritema, vescicole, escoriazioni ed alopecia
secondaria, croste e talvolta depigmentazione (lesioni profonde), molte volte sono sovrapponibili clinicamente alle
malattie immunitarie di lupus cutaneo, dermatomiosite,
pemfigo like. In questi casi può essere più complicato raggiungere la diagnosi perché la dermatite solare può essere
fattore scatenante o peggiorativo della malattia immunitaria1,2,3,4,5. Da ricordare che alcune forme iniziali di linfoma
cutaneo possono mimare una dermatite solare per eritema,
esfoliazione e prurito localizzato. Le lesioni foto indotte
possono essere presenti su tutto il corpo, anche se principalmente restano localizzate a muso, arti e parti ventrali.
Nel gatto bianco o a cute glabra, si può avere inizialmente, come nel cane, eritema e prurito sul muso. Questo è però
un evento piuttosto transitorio e dif ficile da valutare. Nella
maggior parte dei casi gli animali che sono portati alla visita clinica presentano dermatite attinica sui margini dei padi-
COSA SONO LE RADIAZIONI
ULTRAVIOLETTE (UV)
I raggi ultravioletti (UV) sono radiazioni elettromagnetiche con lunghezza d’onda inferiore alla luce visibile ma
maggiore dei raggi X; sono più piccole e rapide della luce
visibile colorata, che ha una lunghezza d’onda da 400 a
700 nm (nanometri), e costituiscono meno del 5% della
radiazione solare.
La gamma delle lunghezze d’onda UV è suddivisa in:
UVA (400-320 nm), UVB (320-290 nm) e UVC (inferiore a
290 nm).
La maggior parte dei raggi nocivi è assorbita dallo strato
d’ozono, dalle impurità atmosferiche e dai vetri delle finestre. È importante ricordare che l’esposizione ai raggi solari
aumenta al crescere dell’altitudine e per ogni 1000 metri si
ha un incremento del 10-12% 1,2,3. Le ore centrali del giorno
andrebbero evitate per le passeggiate (ore 10-16).
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glioni auricolari e dorso del naso. Alcuni proprietari non
identificano questa lesione dermatologica come tale, pensando semplicemente che l’animale abbia naso ed orecchie
“sporche”, soprattutto se il gatto è a mantello bianco e ha l’abitudine di uscire in giardino.
Nei casi più gravi la malattia progredisce in carcinoma
squamocellulare. Le lesioni in questo caso possono essere
erosive-ulcerative e mimare le malattie erpetiche virali per
topografia lesionale. Con il tempo localmente si forma il
carcinoma squamocellulare, neoplasia localmente invasiva,
la cui gravità varia con possibile esito chirur gico invasivo
(amputazione). Diversamente che nel cane, le dermatiti solari interessano principalmente il capo 1,2,3,4,5.
dotti a base di acido paraminobenzoico (P ABA) e derivati
del benzofenone. Il PABA è un buon assorbente degli UVB,
ma sono state segnalate reazioni aller giche all’applicazione
e non protegge la cute già lesionata. La maggior parte dei
dati sull’applicazione deriva dalla medicina umana e dagli
studi di laboratorio. In generale vanno applicati ogni 2-3 ore
e si ha una migliore protezione mettendoli 20-30 minuti prima dell’esposizione e 15-30 dopo 6.
Se sono presenti lesioni dermatologiche foto indotte poco
gravi (es. eritema), il trattamento farmacologico consiste
nella protezione dai raggi solari nei giorni successivi e l’idratazione cutanea; alcuni autori suggeriscono beta-carotene
a 30 mg/kg/die per os.
Se presenti lesioni di maggiore gravità è preferibile
aggiungere corticosteroidi per via sistemica a dosi antinfiammatorie (prednisolone 1 mg/kg/die) per 7-10 giorni; in
alcuni casi può essere utile acitretina 0.5-1 mg/kg/die nel
cane e 5-10 mg/gatto.
Negli animali con infezione batterica si utilizzano antibiotici sistemici mirati secondo l’esito dell’antibiogramma
(durata secondo la gravità dell’infezione). Alla presenza di
neoplasie cutanee è meglio consultare il veterinario oncologo per la terapia più idonea, soprattutto quando sono interessate le palpebre ed il naso 4,5.
Negli animali con malattie immunomediate, dove gli UV
abbiano indotto peggioramento o recrudescenza della sintomatologia, è utile consultare il dermatologo che segue il
paziente per modificare la terapia. L ’evoluzione clinica,
escluse per le neoplasie, è generalmente buona.
APPROCCIO DIAGNOSTICO
In dermatologia si seguono sempre delle tappe prefissate,
come accennato in precedenza. In particolare raccolta un’anamnesi completa su abitudine e stile di vita dell’animale, si
esegue l’esame obiettivo generale e particolare. Identificate
le lesioni dermatologiche primarie e secondarie si può stilare la lista delle diagnosi dif ferenziali e procedere alla scelta
degli esami complementari. Quelli di maggiore utilità sono
l’esame citologico ed istopatologico, ma è bene ef fettuare
anche i raschiati, scotch test, ecc per escludere comunque
altre malattie concomitanti. Tendenzialmente l’esame citologico può essere utile per identificare la presenza di infezioni
secondarie e consentire di valutare la popolazione cellulare.
In molti casi si ha presenza di cheratinociti dismorfici e/o
neoplastici che suggeriscono la diagnosi. L’esame istologico
è di conferma. Nei casi dubbi, quando vi è abbondante presenza di granulociti neutrofili e macrofagi, è necessario eseguire prima un wash out dalle infezioni secondarie (es. piodermite superficiale)4,5.
L’esame istopatologico consente di identificare la presenza o meno cheratosi follicolare, dermatite attinica, neoplasia
squamocellulare, elastosi ecc, oltre ad escludere altre malattie in modo definitivo 1,2,3,4,5.
BIBLIOGRAFIA
1.
2.
3.
4.
TERAPIA
5.
La prevenzione è sempre la migliore terapia. Bisognerebbe evitare lunghe passeggiate nelle ore più calde e, nella stagione estiva, tra le 10 e le 16. Nei casi la dove non è possibile limitare le attività del cane o del gatto (animali con
accesso al giardino) è necessario utilizzare protettivi solari 6.
I protettivi solari sono divisi in fisici e chimici. I primi
sono pigmenti organici che proteggono la cute impedendo ai
raggi solari di penetrarla attraverso la formazione di una barriera opaca che li riflette, mentre gli altri assorbono i raggi
UV. I protettivi solari fisici sono l’ossido di zinco ed il diossido di titanio. I protettivi chimici sono una famiglia di pro-
6.
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1- ef fects des raynnements solaires sur les structures cutanées, Le
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247: 2344-2359.
Indirizzo per la corrispondenza:
Luisa Cornegliani
Clinica Veterinaria S. Siro, Milano
E-mail: [email protected]
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La cardiomiopatia ipertrofica nel gatto.
Punti di incontro con l’uomo
Serena Crosara
Med Vet, Torino
Franco Cecchi
Med Chir, Centro Cardiomiopatie, Università Firenze
La Cardiomiopatia Ipertrofica (CMI) è la patologia cardiovascolare geneticamente determinata più comune nella specie felina. Gli studi condotti in Veterinaria hanno messo in
luce diversi aspetti della malattia che rispecchiano, sia dal
punto di vista epidemiologico che fisiopatologico, la CMI
nell’uomo. La CMI viene definita come una malattia del miocardio caratterizzata da ipertrofia del ventricolo sinistro, raramente estesa anche al ventricolo destro, dif fusa o segmentaria, in assenza di cause locali o sistemiche che possano spiegare l’ipertrofia riscontrata. Nell’uomo la malattia è determinata nella maggioranza dei casi da una mutazione di geni
codificanti proteine del sarcomero, e si trasmette con carattere autosomico dominante. Una mutazione a carico del gene
codificante la Myosin Binding Protein C-3 (MyBPC3) è stata dimostrata nel Ragdoll e nel Maine Coon, in quest’ultimo
con modalità di trasmissione autosomica dominante.
In entrambe le specie la penetranza è variabile. Nel gatto,
individui portatori della stessa mutazione possono manifestare la malattia in epoche diverse e con gravità variabile.
Nell’uomo la penetranza dipende dal tipo di mutazione, con
manifestazioni cliniche precoci fin dall’infanzia, a sviluppo
dell’ipertrofia anche in tarda età, fino alla V e VII decade, in
particolare nelle donne.
Nell’uomo, con una prevalenza stimata nella popolazione
generale di circa 1:500, la CMI è la più frequente cardiopatia geneticamente determinata. È quindi meno rara di quanto precedentemente creduto e secondo questa stima in Italia
ci sarebbero oltre 110 mila soggetti affetti. Di questi, la grande maggioranza non è ancora diagnosticata, perché la cardiopatia è in fase subclinica, asintomatica. La diagnosi
avviene solitamente in occasione della comparsa dei sintomi
o di complicanze cardiovascolari indotte dalla cardiopatia,
durante una valutazione cardiologica occasionale o nel corso di uno screening cardiologico. La reale prevalenza della
CMI nella specie felina non è conosciuta. Esistono diversi
studi, condotti su popolazioni relativamente ristrette, che
forniscono percentuali estremamente variabili. Tale variabilità è probabilmente da imputare al fatto che le popolazioni
esaminate sono sottopopolazioni ospedaliere, e quindi non
rappresentative della popolazione generale. Inoltre in alcune
razze feline la prevalenza è sicuramente maggiore, ed una
spiccata presenza di tali razze in uno studio epidemiologico
può indurre ad una sovrastima della prevalenza della malattia nella popolazione generale.
Nell’uomo la CMI viene ancora percepita come una patologia molto insolita, e sof fre diverse limitazioni tipiche delle malattie rare: mancanza di studi prospettici numericamente adeguati e randomizzati, scarsa dimestichezza dei medici
con le problematiche tipiche della malattia, percorsi gestionali poco chiari, carenza di fondi devoluti alla ricerca. In
campo Veterinario, l’assenza di studi randomizzati e numericamente adeguati è oltremodo sentita, rendendo la diagnosi clinica e la gestione terapeutica spesso difficili.
Nelle persone af fette da CMI il rischio più catastrofico è
rappresentato dalla morte improvvisa ed inattesa, che costituisce circa il 50% delle cause di morte per questa patologia,
ed è l’esclusiva causa di morte nei soggetti diagnosticati in
giovane età. Le altre cause di morte prematura comprendono lo scompenso cardiaco congestizio e l’ictus; resta inoltre
sostanziale la disabilità a lungo termine legata alla limitazione funzionale, alle aritmie, allo scompenso congestizio
cronico, agli esiti di ictus. Nella specie felina, la morte
improvvisa è stata descritta come possibile conseguenza di
CMI, ma l’incidenza di tale evento non è conosciuta. La
principale causa di morte nel gatto è lo scompenso cardiaco
congestizio, seguita dall’insorgenza acuta di tromboembolismo arterioso che può portare a morte per compromissione
di organi vitali o, in molti casi, ad eutanasia del paziente.
PREVENZIONE DELLA MORTE
IMPROVVISA NELL’UOMO
La CMI rappresenta una delle cause più frequenti di morte improvvisa cardiaca nel giovane e anche nell’età adulta.
Questo dato da solo è sufficiente per illustrare l’impatto
sociale della malattia, e per lungo tempo la ricerca scientifica nel settore della CMI si è focalizzata in modo quasi univoco sulla prevenzione della morte improvvisa. Tale evento,
sebbene devastante, è fortunatamente non frequente. Tuttavia, dei circa 110 mila individui affetti da CMI stimati in Italia, circa il 7% è ad alto rischio di aritmie ventricolari mali-
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ne micro vascolare ed episodi sincopali, oltre, ovviamente,
alla familiarità per morte improvvisa.
gne, arresto cardiaco e morte improvvisa ed inattesa (pari a
circa 700 pazienti all’anno). L ’identificazione precoce dei
pazienti a rischio più elevato è un compito fondamentale,
anche se molto difficile, per il cardiologo, in quanto la disponibilità del Defibrillatore impiantabile consente un’efficace prevenzione della morte improvvisa aritmica in questi
pazienti, in particolare nei giovani, oligo-asintomatici.
LO SCOMPENSO CARDIACO NEL GATTO
Nel gatto lo scompenso cardiaco spesso coincide con il
momento della diagnosi. Secondo i dati riportati in letteratura il 50% circa dei gatti viene riferito in seguito allo scompenso, mentre l’altro 50% in fase preclinica. La fase asintomatica può passare inosservata per l’assenza di segni clinici
evidenti al proprietario o di reperti auscultatori rilevabili nel
corso della visita ambulatoriale di routine. L ’insorgenza dei
sintomi avviene in epoca variabile in base alla gravità della
patologia, con un’età media di 1-3 anni nelle forme moderate-gravi, fino a 7-10 anni nelle forme lievi. Il tromboembolismo arterioso è un evento acuto e devastante, che compare
nel 50% circa dei gatti af fetti da CMI. In questi pazienti la
prognosi è grave a causa della possibile compromissione di
organi vitali, o delle frequenti recidive in seguito alla risoluzione del primo episodio. Inoltre, la criticità dell’episodio
spinge frequentemente il proprietario ad optare per l’eutanasia del proprio animale. L’evidenza ecocardiografica di ecocontrasto spontaneo in atrio sinistro è indicativa di uno stato
protrombotico che può aiutare ad individuare i pazienti più a
rischio di sviluppare tromboembolismo arterioso. Dal punto
di vista diagnostico, anche per il gatto la dilatazione atriale
sinistra rappresenta un indice predittivo di ridotta sopravvivenza. Contrariamente all’uomo, nel gatto la fibrillazione
atriale è un evento raro. Come nell’uomo, anche nei gatti
affetti da CMI sono state descritte alterazioni a carico delle
coronarie intramurali e fibrosi, tuttavia non esistono al
momento studi in grado di definire una correlazione tra tali
alterazioni istopatologiche ed i dati clinici.
LO SCOMPENSO CARDIACO NELL’UOMO
Un problema molto più frequente della morte improvvisa,
e che presenta un costo sociale elevato nelle popolazioni con
CMI, è rappresentato dalla progressione di malattia verso lo
scompenso cardiaco avanzato. Come riportato sopra, ogni
anno circa l’1% dei pazienti con CMI ha mostrato un aumento della limitazione funzionale (passaggio in classe funzionale NYHA III-IV). Come per tutte le altre cardiopatie, la fase
di scompenso ed il cosiddetto “end stage” rappresentano
situazioni croniche di difficile gestione, caratterizzate da
ricoveri ospedalieri ripetuti, da una pesante riduzione della
qualità della vita, e da un aumento significativo dei costi sanitari. Data l’età media relativamente giovane dei pazienti con
CMI, questa evoluzione ha conseguenze sociali ed economiche particolarmente severe. Molto più che nel caso della morte improvvisa, la progressione della malattia nella CMI può
essere prevista e controllata, ad esempio, con l’abolizione
dell’ostruzione all’efflusso, documentabile in circa i 2/3 dei
pazienti, con l’individuazione della fibrillazione atriale, precedentemente sottovalutata, e del suo elemento determinante,
cioè la dilatazione atriale sinistra. Quest’ultima, è uno dei più
importanti fattori predittivi del successivo decorso clinico. La
dilatazione atriale sinistra costituisce quindi un fattore di
rischio importante, facilmente evidenziabile in ecocardiografia, per la progressione di malattia, per lo scompenso ed
anche per la morte improvvisa. Altri fattori di rischio importanti comprendono l’ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro, l’ischemia miocardica a coronarie indenni da disfunzio-
Bibliografia disponibile presso i relatori:
[email protected]
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Aspetti endoscopici non comuni, rari e unici
di malattie laringee
Davide De Lorenzi
Med Vet, Dipl ECVCP, SCMPA, Dr Ric, Padova (I)
Molto spesso, in presenza di sintomi e segni clinici riferibili ad una patologia respiratoria, l’indagine ispettiva clinica e strumentale tende a valutare approfonditamente i
distretti nei quali più frequentemente si possono identificare alterazioni di vario genere: in particolare le cavità
nasali per le vie aeree superiori e le strutture intra-toraciche per le vie aeree inferiori sono regolarmente ispezionate con procedure di esame dirette ed indirette (ispezione,
auscultazione, palpazione, endoscopia, radiologia, TC,
risonanza, citologia, etc).
Molto più di rado, o per lo meno non routinariamente,
la stessa accuratezza di indagine viene applicata alla laringe: a causa della sua localizzazione “di passaggio” fra vie
aeree superiori ed inferiori i sintomi ed i rumori respiratori prodotti da patologie laringee vengono spesso erroneamente attribuiti ora ad un distretto più craniale ora ad un
distretto più caudale. Non è raro, ad esempio, che cani con
paralisi della laringe vengano trattati per patologie tracheo-bronchiali oppure che in pazienti brachicefali l’indagine ispettiva si limiti alla valutazione della lunghezza
eccessiva del palato molle ed alla stenosi delle narici
dimenticando completamente di valutare la presenza di un
possibile collasso laringeo.
La frase riportata all’inizio di questo testo è, in questo
senso, emblematica: ben il 30% dei pazienti sottoposto ad
indagine broncoscopica presentava in associazione o unicamente alterazioni a livello della laringe, alterazioni che
sarebbero state completamente ignorate se la broncoscopia
non fosse stata preceduta da una attenta e metodica valutazione dell’anatomia e funzionalità laringea.
Lo scopo di questa relazione è quello di sottolineare l’importanza di una routinaria valutazione della laringe attraverso la presentazione degli aspetti di normalità endoscopica e
dei principali quadro patologici che possono coinvolgere
questa struttura.
L’anatomia della laringe è particolarmente complessa e
risulta spesso di dif ficile comprensione; l’esame endoscopico consente di evidenziare solamente alcune parti di questo organo mentre gran parte delle cartilagini e dei rapporti fra laringe e strutture circostanti non può essere endoscopicamente ispezionato.
Nonostante questo una valutazione accurata della laringe non può prescindere dalla conoscenza accurata di tutte
le strutture che la compongono, anche se non ispezionabi-
li con l’endoscopio. Per questo motivo di seguito tratteremo brevemente le caratteristiche anatomo-funzionali della
laringe.
La laringe è un or gano tubulare semirigido costituito in
prevalenza da cartilagini, muscoli e mucosa.
L’impalcatura dell’organo è costituita da tre cartilagini di
grandi dimensioni (epiglottide, tiroide e cricoide) e due cartilagini più piccole (le aritenoidi). L ’epiglottide è la cartilagine posizionata più oralmente ed è seguita dalla tiroide e
dalla cricoide; la tiroide e la cricoide sono fortemente connesse fra di loro attraverso le articolazioni cricotiroidee e
questa rigida impalcatura rappresenta la base che consente i
movimenti delle altre cartilagini.
L’epiglottide ruota in senso rostro-caudale sulla sua base
che è a contatto con la cartilagine tiroidea mentre le piccole
cartilagini aritenoidi si articolano sulla loro parte mediale
con la cartilagine cricoide e possono compiere movimenti in
senso latero-mediale. Le cartilagini aritenoidi sono mantenute unite nella loro parte dorsale grazie ad una piccola cartilagine interaritenoidea.
La laringe è poi collegata cranialmente all’apparato ioideo
e caudalmente al primo anello tracheale.
La laringe è ricoperta da mucosa squamosa stratificata;
questa forma delle pieghe che ricoprono sia
i legamenti
vocali (che vanno dai processi vocali delle aritenoidi medialmente sul pavimento laringeo) formando le corde vocali che
i legamenti vestibolari formando le pieghe vestibolari. Fra le
corde vocali e le pieghe vestibolari si formano delle cripte
chiamate ventricoli laringei, mancanti nel gatto.
L’apertura romboidale all’interno della laringe delimitata dorsalmente dalle cartilagini aritenoidi e ventralmente dalle corde vocali prende il nome di glottide ed è il
punto di passaggio più stretto fra le vie aeree superiori ed
inferiori. L’apertura della glottide non è costante e dipende dalla posizione delle corde vocali, a sua volta determinata dalla posizione delle cartilagini aritenoidi: il movimento in senso dorso laterale delle aritenoidi allontana le
corde vocali fra di loro ampliando il lume della glottide
mentre il movimento in senso contrario riduce il diametro
glottideo.
Cranialmente alla glottide vi è una apertura più ampia
delimitata dai processi cornoculati delle aritenoidi, dalle
epiglottidi e dalle pieghe ari-epiglottidee chiamata adito
laringeo.
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Tutte le strutture sopra elencate devono essere identificate e valutate per alterazioni anatomiche (forma, rapporti anatomici, aspetto della mucosa) e funzionali (movimento).
In particolare, per la mucosa laringea devono essere valutati il colore, che deve essere rosa intenso ma più chiaro nelle zone sovrastanti le cartilagini corniculate e cuneiformi, la
lucentezza e la trasparenza che deve consentire la valutazione della trama vascolare sottomucosa. Non devono inoltre essere presenti essudati o altri liquidi ad esclusione di
saliva schiumosa o raro muco limpido e filante. Di particolare importanza risulta la valutazione dei movimenti di
abduzione (inspirazione) ed adduzione (espirazione) delle
cartilagini aritenoidi eseguita, come già ricordato, con piano anestesiologico basso. Devono essere valutate il sincronismo dei movimenti e la corrispondenza con gli atti respiratori del paziente.
In presenza di erosioni o neoformazioni è necessario eseguire prelievi per le valutazioni cito-istologiche: possono
essere impiegate spazzoline ed agoasprazione per i prelievi
citologici e prelievi con pinza endoscopica per l’istologia.
Nel corso della presentazione verranno mostrati vari filmati relativi agli aspetti patologici poco comuni identificabili in corso di ispezione laringea del cane e del gatto; di
seguito troverete una serie di letture consigliate utili nell’approfondire l’argomento.
INDICAZIONI
La laringoscopia è indicata nella valutazione diagnostica
di pazienti con stridore inspiratorio, modifiche nella fonazione, disfagia, intolleranza all’esercizio fisico oppure che
hanno respiro rumoroso o tosse. In generale l’osservazione
accurata della laringe deve essere eseguita ogni volta che il
paziente viene sottoposto ad indagini per sintomi e segni clinici riferibili ad una patologia dell’apparato respiratorio; l’esame deve essere eseguito prima dell’intubazione e prima di
rinoscopia, faringoscopia, broncoscopia e lavaggi tracheobronchiali e broncoalveolari.
STRUMENTAZIONE E TECNICA
Anche se una fonte luminosa ed un abbassalingua consentono l’osservazione della laringe, l’esame eseguito con
una ottica rigida (2.7 mm di diametro e 18 cm di lunghezza)
permette una eccellente visione dell’organo e del primo tratto della trachea; l’impiego di una telecamera collegata all’ottica consente di registrare e riguardare i movimenti laringei,
magari rallentandone la velocità per consentire uno studio
migliore. Particolarmente importante risulta la scelta dell’anestesia: il paziente deve sempre essere esaminato ad un piano anestesiologico leggero, per evitare un falso giudizio di
paralisi laringea. Una leggera anestesia utilizzando propofol
o barbiturico ev ad azione rapida rappresenta una buona
scelta nel cane mentre nel gatto ketamina a diazepam usati
in combinazione sono ritenuti adatti allo scopo.
Il paziente viene posizionato con il collo esteso, la bocca
mantenuta aperta con un apribocca e la testa tenuta fissa da
un assistente. La lingua viene tirata fuori dalla bocca in mezzo ai canini e l’ottica viene quindi inserita fra i canini e sopra
la lingua; a questo punto si esaminano le cripte tonsillari, l’epiglottide ed il suo rapporto con il palato molle, le pliche ariepiglottiche, le cartilagini aritenoidi, le corde vocali, i ventricoli laringei (solo cane) e le pieghe vestibolari. L ’endoscopio procede quindi fino ai primi anelli di tracheali.
LETTURE CONSIGLIATE
Noone K.E. Rhinoscopy, pharingoscopy and laringoscopy . In Mendelez L
The Veterinary Clinics of North America, Small Animal Practice:
Endoscopy, Saunders. Luglio 2001, 671-687.
Jakubiak MJ et al Laryngeal, laryngotracheal, and tracheal masses in cats:
27 cases (1998-2003). JAAHA, sett-ott 2005, vol 41, 310-316.
Address for correspondence:
Davide De Lorenzi
Clinica Veterinaria S.Marco - Via Sorio 114/C, Padova
Tel 0498561098 - [email protected]
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Opzioni mininvasive nel collasso tracheale del cane:
esperienze acquisite
Davide De Lorenzi
Med Vet, Dipl ECVCP, SCMPA, Dr Ric, Padova (I)
Fabio Sangion
Med Vet, Padova (I)
Il collasso tracheale (CT) è una patologia caratterizzata da
un appiattimento in senso dorso-ventrale degli anelli tracheali, associato a notevole lassità della membrana tracheale dorsale.
L’anomalia primaria consiste nella diminuzione, evidenziabile istologicamente, delle glicoproteine e del contenuto
in glicosaminoglicani della cartilagine ialina; questo si traduce in una diminuita capacità della cartilagine di trattenere
acqua con conseguente diminuzione della sua rigidità funzionale. L’idea che alla base sia presente una predisposizione genetica e che il difetto sia congenito è sostenuta dal fatto che in alcuni animali il problema si manifesta in giovanissima età, entro l’anno di vita. Fra i possibili fattori scatenanti si citano l’obesità, la cardiomegalia, i traumi al collo,
l’intubazione, l’inalazione di allergeni irritanti.
Il CT è una patologia dinamica, quando il collasso è confinato al tratto cervicale lo schiacciamento tracheale si manifesta in fase inspiratoria mentre se il collasso è presente a
livello intratoracico, la riduzione del diametro si evidenzierà in fase espiratoria. Quando tutta la trachea è interessata, vi
sarà sempre un tratto tracheale collassato, sia in inspirazione
che in espirazione. La membrana tracheale dorsale contribuisce ad aggravare i segni clinici, venendo risucchiata
durante il collasso degli anelli e determinando ulteriore
ostruzione del lume tracheale; sia la maggiore velocità dell’aria attraverso la struttura deformata che il contatto della
membrana con gli anelli e della parte superiore ed inferiore
degli anelli stessi determina infiammazione mucosale con
sua conseguente iperplasia e aumentata secrezione.
Il CT colpisce quasi esclusivamente razze toy e cani di
piccola taglia; fra le razze più colpite ricordiamo lo yorkshire terrier, il barboncino toy , il pinscher , il chihuahua. L ’età
alla quale i cani vengono portati a visita per CT è 6-7 anni
anche se l’indagine anamnestica evidenzia presenza di tosse
progressivamente ingravescente già presente anche da anni.
In circa il 25% dei pazienti la tosse era già presente entro il
primo anno di vita.
La tosse rappresenta il segno clinico principale: episodi
parossistici, scatenati da eventi quali eccitazione, attività fisica anche molto modesta, trazione del guinzaglio sul collare. È
presente tosse secca, aspra e sonora, a volte simile al verso di
un’anatra anche se questa caratteristica non è presente che in
una piccola percentuale di casi. In casi gravi agli accessi di
tosse seguono episodi di grave dispnea fino alla cianosi.
Comunque pazienti con collasso tracheale anche grave possono essere quasi completamente asintomatici: è importante sottolineare come il quadro clinico non sempre si correla con la
gravità della deformazione tracheale e che, per questo, la classificazione in gradi del collasso è di limitata utilità.
Il collasso tracheale viene diviso in 4 gradi, a seconda della riduzione di diametro del lume tracheale: il primo grado
non presenta in realtà una deformazione degli anelli, ma
piuttosto un prolasso della membrana tracheale dorsale; gli
altri gradi sono associato ad un sempre più evidente schiacciamento degli anelli.
La diagnosi di collasso tracheale può essere eseguita con
varie tecniche: l’esame radiografico consente di sospettare il
problema ma sono possibili falsi positivi e falsi negativi; in
particolare non di rado l’esofago e la muscolatura del collo si
sovrappongono in posizione laterolaterale alla silhouette tracheale, in corrispondenza dell’ingresso del torace dando un
quadro radiografico simile a quello del CT . La diagnosi
radiografica di vero CT deriva dal confronto fra larghezza
tracheale in fase inspiratoria e fase espiratoria. L ’esame
radiografico risulta fondamentale per evidenziare altri problemi concomitanti quali alterazioni polmonari, masse, cardiomegalia, megaesofago. La fluoroscopia permette di
ovviare a questi limiti dando una visione dinamica e abbastanza precisa del difetto sia cervicale che toracico. L’esame
ecografico può mettere in evidenza un’alterazione dinamica
della trachea; si tratta di un esame comunque poco utilizzato
e non utile se il problema risulta essere intratoracico. L ’esame endoscopico rappresenta la tecnica di scelta, eseguito con
il paziente anestetizzato e non intubato, collo esteso, testa
leggermente sollevata e apribocca applicato. Può essere utilizzato sia uno strumento rigido che un’ottica flessibile.
La terapia del CT varia a seconda della presentazione clinica:
Presentazione acuta: il cane che si presenta con distress
respiratorio acuto deve essere considerato un’emer genza
medica ed ogni indagine deve essere rimandata dopo la sua
stabilizzazione;
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applicare uno stent è necessario definire bene con il proprietario le aspettative sulla qualità di vita del proprio animale
ed è bene ricordare che comunque si tratta di animali che
dovranno essere sottoposti a terapia farmacologica spesso
nell’arco della loro vita.
Al loro posto, nei pazienti umani, vengono routinariamente utilizzate protesi siliconiche, applicate sotto visione
endoscopica diretta e con appositi introduttori rigidi a stantuffo.
La protesi di Dumon, in medicina umana, è la più usata al
mondo ed è costituita da silicone morbido con rilevatezze
regolarmente distribuite sulla sua superficie esterna, che ne
facilitano l’ancoraggio. È presente in diverse lunghezze
variabili fino a 7 cm e in diametri da 10 a 18 mm (diametro
esterno) e con diversi gradi di rigidità. Ne esiste inoltre un
modello radiopaco. Gli speroni prevengono la migrazione e
limitano il contatto con la mucosa respiratoria. La superficie
interna è ricoperta da un rivestimento antiaderente per ridurre il ristagno di secrezioni. I bordi alle estremità sono levigate per evitare sbavature che, avendo azione irritante,
potrebbero causare granulomi. Tale protesi, rispetto alle precedenti al nitinolo non ricoperte, possono essere facilmente
rimosse e riposizionate con pinze da corpo estraneo. Le principali complicanze, riportate in medicina umana, nell’utilizzo delle Dumon sono: la migrazione (2.8%-18.6%), la formazione di granulomi (1%-18.9%) e l’ostruzione da secrezioni (1%-30.6%). I dati riportati in letteratura dimostrano
ampie variazioni legate alla diversa tipologia di patologie
trattate. Complicanze rare sono l’ostruzione da tumore, l’infezione, lo shock settico e l’afonia. Le complicanze sono più
frequenti nei pazienti con stenosi benigne rispetto a quelli
con patologia neoplastica. Le protesi siliconiche hanno, a
differenza delle metalliche auto espandibili, un diametro fisso e pertanto possono migrare soprattutto in presenza di una
mucosa liscia; in genere la migrazione è un evento precoce
dopo il posizionamento.
Presentazione cronica: il problema clinico principale dei
cani con collasso tracheale è la tosse e la terapia si basa sul suo
controllo farmacologico e le sostanze più efficaci sono sedativi oppioidi. L’impiego di broncodilatatori è controverso.
I cortisonici vanno usati con estremo giudizio e solamente per ridurre l’eventuale infiammazione presente a livello
laringeo e tracheo-bronchiale.
Altre possibili cause scatenanti che devono essere controllate sono le patologie cardiache, le infezioni concomitanti, le polveri e gli irritanti ambientali ed il collare che
deve essere sostituito con una pettorina.
L’uso di Stanozololo (Star gate®) non è mai stato supportato da lavori scientificamente rigorosi e deve essere considerata, fino a prova contraria, destituita di ogni fondamento.
In presenza di grave sintomatologia che non risponde alle
terapie sopra descritte, è possibile attuare procedure chirurgiche che possiamo definire come “salvavita”. L’applicazione chirurgica extratracheale di protesi ad anello risulta utile
solo in casi selezionati e per il CT cervicale.
Recentemente sono state impiegate tecniche di dilatazione intraluminale con l’impiego di stent a rete non ricoperta
di acciaio o nitinolo (lega di nichel e titanio). Il vantaggio di
questa procedura risiede nella facile applicazione, che non
richiede un intervento chirurgico e nell’immediato miglioramento clinico che segue l’applicazione dello stent. I principali svantaggi stanno nella relativa fragilità e nella impossibilità di una loro rimozione dopo l’applicazione; complicazioni secondarie alla non corretta scelta delle misure dello
stent e ad un suo non adeguato posizionamento sono date da
iperplasia mucosale fino alla formazione di granulomi con
conseguente ulteriore riduzione del diametro tracheale. I
pazienti devono essere selezionati con cura, è importante
escludere quelli che presentano bronchite cronica, polmonite, cardiopatie congestizie, neoplasie polmonari, filariosi
cardiopolomonare; in questi casi la tosse determinata da
queste patologie può causare la rottura dello stent. Prima di
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Il corpo estraneo esofageo: approccio endoscopico
e/o chirurgico nella gestione di casi complessi
Davide De Lorenzi
Med Vet, Dipl ECVCP, SCMPA, Dr Ric, Padova (I)
Fabio Sangion
Med Vet, Padova (I)
In generale, i CE esofagei possono essere trattati conservativamente monitorandone il transito, rimossi endoscopicamente o chirurgicamente. La scelta dipende da dimensioni e
tipo di CE, evidenza o sospetto radiografico e/o endoscopico di ostruzione o perforazione. Vi sono numerosi vantaggi
nella rimozione endoscopica di un CE: la procedura è minimamente invasiva, generalmente rapida, ha costi inferiori se
paragonati alla chirurgia, le dimissioni sono generalmente in
giornata. I fattori che determinano l’incarcerazione di un CE
nell’esofago sono dati da: dimensioni, caratteristiche lisce o
rugose della superficie del corpo estraneo, presenza di margini acuminati o appuntiti e presenza di stenosi esofagee
patologiche pre-esistenti.
L’esofago presenta 4 zone di restringimento: lo sfintere
esofageo superiore, l’ingresso nel torace, a livello della base
cardiaca, la parte dell’esofago prossimale alla giunzione
gastro-esofagea.
I segni clinici sono in genere acuti anche se frequentemente questi non vengono subito riconosciuti come conseguenti ad un’ostruzione completa o parziale dell’esofago,
piuttosto vengono attribuiti a una generica patologia gastrica; molto spesso, infatti, manca il reperto anamnestico.
I segni clinici più frequenti sono dati da deglutizioni a
vuoto, scialorrea a volte con striature ematiche, tosse, atteggiamenti di vomito, anoressia, depressione, expirium fetido;
in caso di perforazione esofagea possono associarsi ipertermia e dispnea grave.
Quando il CE determina un’occlusione parziale la sintomatologia può essere molto più lieve e l’animale può addirittura alimentarsi mostrando rigur gito solo in presenza di
ingesta di dimensioni maggiori.
La diagnosi risulterà semplice e rapida se l’anamnesi dà
indicazioni precise; in questo caso il passaggio successivo è
rappresentato da valutazione radiografica.
La presenza di consolidamento dei lobi ventrali rende
sospetta una concomitante polmonite “ab ingestis” mentre la
presenza di pneumomediastino e pneumotorace rappresentano un indizio di possibile perforazione e un eventuale contrasto con mezzo iodato liquido può consentire di confermare il sospetto, rendendo controindicata la procedura endoscopica e inviando il paziente in chirur gia.
Come regola generale, in assenza di perforazione, ogni
corpo estraneo incastrato a livello esofageo deve essere
rimosso il prima possibile. In ogni caso l’estrazione deve
essere tentata 4-6 ore dalla diagnosi e l’endoscopia rappresenta la scelta iniziale migliore.
L’estrazione deve essere eseguita con il paziente in anestesia generale e posizionato sul fianco sinistro con apribocca; nel corso del tentativo di estrazione, specialmente
nei casi più complessi, il paziente viene spesso ruotato per
consentire un ottimale impiego degli strumenti viavia
impiegati.
L’endoscopio viene inserito sotto visione diretta fino al
CE, insufflando nel contempo l’esofago così da consentire la
dilatazione delle pareti e una più facile progressione dello
strumento. Particolare attenzione deve essere posta nel non
sovradistendere lo stomaco con insuf flazioni eccessive e
valutando la possibilità che una perforazione esofagea possa
determinare un pneumotorace acuto.
Una volta individuato il CE il primo tentativo, dopo
un’accurata ispezione e lavaggio dell’area circostante il CE,
vede l’impiego di un’ansa o una pinza inserita nel canale di
lavoro dello strumento con lo scopo di agganciare una protuberanza del CE e saggiarne il movimento. Raramente questa tecnica consente di rimuovere il CE, generalmente è
necessario l’impiego di pinze più forti, come quelle da laparoscopia. Spesso si utilizzano dei dilatatori che permettono
di spostare e staccare il CE dalla parete esofagea: questi strumenti vengono lubrificati e inseriti coassialmente all’endoscopio contemporaneamente alla pinza che trattiene e fa
compiere dei piccoli movimenti all’osso mentre il dilatatore
viene inserito alternativamente in punti dif ferenti fra CE e
parete esofagea. A questo scopo possono essere impiegati
dilatatori pneumatici ma l’eventualità che si forino divenendo così inutilizzabili ne limita notevolmente l’impiego.
Una volta tentata la mobilizzazione del CE è possibile
applicare forze traenti progressivamente più intense, facendo però attenzione che le pinze da presa laparoscopiche sono
in grado di sviluppare una trazione estremamente ener gica,
sicuramente in grado di lacerare l’esofago. Se il CE è molto
vicino allo sfintere esofageo inferiore è possibile tentare la
sua dislocazione nella stomaco.
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La rimozione del CE esofageo permette di evidenziare
eventuali lesioni mucosali. Nonostante l’aspetto delle lesioni sia a volte drammatico, la guarigione risulta spesso rapida anche se possono rilevarsi, a distanza di tempo, stenosi
cicatriziali anche di notevole entità, mentre decisamente più
rare sono fistole che mettono in comunicazione esofago e
trachea o bronchi.
È importante eseguire un controllo radiografico subito
dopo la rimozione del CE per escludere la presenza di pneumomediastino e/o pneumoperitoneo; in caso di dubbio il
radiogramma deve essere ripetuto dopo 12 e 24 ore.
Le terapie post-estrazione comprendono antibiotici ad
ampio spettro, farmaci ad azione analgesica intensa e
sospensione di acqua (almeno 12 ore) e cibo (almeno 24
ore); se sono state evidenziate gravi lesioni mucosali è consigliato un controllo endoscopico a 3 e 10 giorni per valutare l’eventuale presenza di stenosi.
Se si decide di ricorrere all’intervento chirur gico l’approccio varia a seconda di dove si debba intervenire. Possiamo suddivire l’esofago in due parti principali, esofago cervicale e toracico: la prima va dallo sfintere esofageo superiore all’ingresso nel torace e in questo tratto l’esofago si
trova inizialmente dorsalmente alla trachea fino a portarsi
dorso-lateralmente a sinistra della stessa. Nel suo attraversare il torace viene suddiviso in esofago toracico craniale, alla
base del cuore e caudale fino ad attraversare il diaframma
attraverso lo iato esofageo.
L’approccio chirurgico avviene per la parte cervicale con
un’incisione mediana, cui fa seguito lo spostamento laterale della trachea che permette una completa visione ed esplorazione dell’organo. Se è necessario intervenire sull’esofago cervicale e sulla sua parte toracica craniale, è possibile
estendere l’accesso attraverso una sternotomia mediana. Per
l’accesso all’esofago toracico si ricorre ad una toracotomia
laterale destra o sinistra, attraverso il 3° o 4° spazio per la
parte craniale, 5° o 6° per la porzione alla base del cuore e
7°, 8° o 9° per l’esofago toracico caudale. Il posizionamento di uno spessore, asciugamano o traversa, specie per gli
accessi caudali, rende più agevoli le manualità sul campo
operatorio avvicinando l’esofago al chirurgo. Strumenti utili a questo tipo di chirurgia sono: divaricatore autostatico di
Finochietto, divaricatori manuali Senn-Miller o
ArmyNavy, pinze vascolari e pinze toraciche angolate. Il tratto
esofageo su cui intervenire viene evidenziato e delimitato
da garze laparotomiche inumidite per prevenire contaminazioni iatrogene, trattandosi di ferita chirurgica pulita-contaminata vs contaminata, a seconda dei casi. A questo punto
viene usata la maggior cautela possibile nel manipolare i
tessuti in considerazione del fatto che da una parte l’irrorazione vascolare è segmentale e può essere compromessa da
mobilizzazioni forzate e dall’altra che all’esofago manca la
tonaca sierosa, così importante per i successivi processi di
cicatrizzazione. Questo, unito al costante movimento dato
da peristalsi e atti respiratori, fa sì che la deiscenza della
sutura sia una delle complicazioni più frequenti di questa
chirurgia. L’esofagotomia si esegue sia longitudinalmente
che perpendicolarmente, dipende da natura e posizione del
CE o della lesione, cercando di incidere una porzione della
parete non lesionata.
La chiusura dell’incisione esofagea si esegue con uno o
due piani di sutura: se si decide per due piani il primo comprende mucosa e sottomucosa con punti semplici staccati il
cui nodo è posto nel lume, il secondo interessa la tonaca
muscolare a punti semplici staccati o a materassaio. Se si
propende per un solo piano viene eseguita una sutura a punti semplici staccati a tutto spessore Il filo è un monofilamento a lento assorbimento, generalmente 4-0 USP . Se la
parete risulta molto lesionata si ricorre a patch omentali o
muscolari. È indicato posizionare un drenaggio toracico che
andrà tolto appena possibile. Vengono poi ricostruiti i piani
anatomici e controllato l’esofago per via endoscopica. In
questa sede molto spesso risulta utile il posizionamento di
un catetere gastrostomico percutaneo che permette di alimentare il paziente bypassando l’or gano. Il protocollo postchirurgico ricalca quello utilizzato dopo rimozione con
endoscopio.
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Red blood cell data, dots and morphology: How to
maximize the value of an in-house complete CBC
Dennis B. DeNicola
DVM, PhD, Dipl ACVP, Maine, USA
Evaluation of the red blood cell picture, the erythron, has
changed quite dramatically over the last 25 years. We have
evolved greatly from just running a manual packed cell volume with the microhematocrit centrifuge technique to a
rather sophisticated 24 parameter test profile from the newer reference laboratory and in-house hematology analyzers.
With the current technology, a tremendous amount of useful
data is provided and there are many checks and balances in
place to assure quality results. In addition, there are new
tools available with the information provided by the newer
analyzers that our veterinary professionals need training on
how to use and interpret. There are three major components
of the erythron evaluation and they consist of 1) evaluation
of the actual data generated by the hematology analyzer , 2)
evaluation of the dot plots or cytograms provided by the
newer analyzers, and 3) evaluation of the blood film. Each
of these components of the erythron interpretation is important and is discussed below.
The numerical data generated relative to the erythron can
include up to nine dif ferent results. These are the data that
are extremely valuable to determine severity of an alteration
from baseline values on a particular patient that provide
direction on possible causes for the changes or for further
diagnostic testing. Following trended data while treating or
monitoring a patient provides the veterinarian with a very
sensitive method of determining improvement or progression
of the disease state or to determine if there is ongoing stable
disease. Even during wellness examinations, it is always
important to evaluate numerical data in comparison to previously generated data during health since most of the erythron
parameters do not vary much during health. Again, subtle
changes can prove to be very sensitive indicators of subclinical problems. This is especially true for the erythron since so
many inflammatory, infectious, metabolic, endocrine and
neoplastic diseases may have dir ect and indirect ef fects on
the red blood cell compartment.
Different components of the erythron numerical data provide different information. The RBC, HCT, and HGB parameters provide objective information relative to the red blood
cell mass. This in particular can be af fected by many dif ferent disease situations. The most common “mass” change we
see in veterinary medicine is that of a decrease or anemia.
Increase or polycythemia may occur since we see dehydration and relative increases in “mass” commonly and we may
see the uncommon absolute increase in “mass” associated
with either primary or secondary polycythemia. The r ed
blood cell indices MCV, MCH and MCHC provide insight in
the size of the cells (MCV) and the degree of hemoglinization (MCH and MCHC) of the red blood cells.
Trended
changes or absolute changes outside of the reference intervals for the different species provide valuable objective information that can help limit the diagnostic investigation into a
red blood cell abnormality . The RDW or red blood cell distribution width is a relatively new parameter provided by the
newer in-house hematology analyzers and this is an objective
measure of the degree of anisocytosis in the red blood cell
population. Finally, the percent and absolute reticulocyte
counts now provided by the newest instruments even for the
in-house hematology laboratory provides the most objective
measure of bone marrow responsiveness when there is a
peripheral demand for red blood cells. Typically this is used
in cases where there is an anemia; however, an absolute reticulocyte count is highly valuable for even the non-anemic
patient. This scenario will be discussed in detail during the
presentation.
Evaluation of the dot plots or cytograms and evaluation of
the peripheral blood film provide both methods to help validate the numerical data generated and additional information
not supplied in the numerical data. With the advancement in
technology over the years, the accuracy and precision of the
hematology analyzers is quite impressive; however , no analyzer should ever be considered fool proof. That is why, in
addition to internal quality checks by the analyzer, we utilize
external quality control programs to assure our analyzers are
operating properly. A good quality control program can provide information on general analyzer performance; however,
we utilize the dot plots and blood film microscopic review
partially as a quality check on each individual sample run.
Pre-analytical problems with sample collection or handling
as well as patient-associated hematologic abnormalities can
impact hematology analyzer performance. The dot plots and
blood films help avoid any potential incorrect interpretation
of just the numerical data. In many cases, the hematology
analyzers provide “flags” or “message codes” when sample
processing challenges are encountered. Oftentimes this is
directly related to some of the potential pre-analytical issues
such as platelet clumping on an improperly handled sample
or dif ficult collection as well as potential sample-based
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issues such as agglutination of red blood cells or abnormal
circulating cells. Many times, the dot plots and blood films
can provide enough information to assure incorrect results
are not generated or used for interpretation.
Dot plots or cytograms provided by the newer laser
based hematology systems are relatively new to most veterinarians. These contain a tremendous amount of information and one of the most powerful values of these new tools
is that they provide the veterinarian or technician with
immediate pictorial information about the actual cellul ar
analysis that has taken place even before a blood film is prepared for microscopic evaluation. These dot plots consist of
a series of “dots” arranged into variably colored clouds of
different densities. Each dot represents a single cellular
event and the graphic representation of how the hematology
analyzer completed its analysis. With the laser -based systems, with or without fluorescent dyes, a laser beam of light
is passed through a stream of cells and as the light hits each
cell, light (or fluorescence) is scattered. Multiple photoreceptors positioned at specific locations capture this scattered
light and the dots on the dot plot represent the analysis of the
various morphologic aspects of these cells being analyzed.
Information regarding size of the cell, amount of cytoplasm,
granularity of the cytoplasm, nuclear/cytoplasmic ratios,
density of the cytoplasm, presence of internal organelles like
RNA in reticulocytes, etc are collected and visually presented in the dot plot. In the case of the red blood cell run, information about red blood cells and platelets is presented. If
a patient’s erythron has a thrombocytopenia, immediate
examination of the platelet portion of the dot plot can be
used to validate that finding. If a reticulocytosis is reported,
a very rapid examination of the dot plot immediately confirms the presence of high numbers of cells with the pattern
demonstrating numerous “dots” in the region where reticulocytes are located. An example of a red blood cell dot plot
is shown in Figure 1.
Microscopic evaluation of the peripheral blood film cannot be replaced totally by the evaluation of the dot plots. For
selected evaluations such as recognizing the presence or
absence of any significant numbers of reticulocytes, the dot
plot does an extremely good job. This is especially true if
there is any difficulty in preparing a well stained peripheral
blood film. Many people find simple hematology stains such
as Diff Quik difficult to assure consistency in staining and if
all red blood cells have too bluish a tint, dif
ferentiating
mature red blood cells from immature red blood cells (reticulocytes) essentially impossible. Something that the dot
plots cannot do related to the red blood cell analysis is predicting or identifying significant red blood cell morphologic
abnormalities. Any red blood cell morphologic abnormality
is highly valuable to the veterinarian because these morphologic changes provide essential clues to the suggestion of an
underlying cause of something like an anemia or the presence of underlying occult disease. A complete blood count
(CBC) should now include a thorough evaluation of the data
Figure 1 - Red blood cell and platelet dot plot generated on the
IDEXX ProCyte Dx®. The red dots each represent individual cellular analyses of mature red blood cells. The purple dots represent
individual cellular analyses events of reticulocytes or immature red
blood cells. The blue dots represent individual cellular analyses of
platelets. There are more than 60,000 digitized cellular analyses
represented in this graph.
generated by the hematology analyzer , the dot plot or
cytograms provided and a peripheral blood film microscopic
evaluation. In the case where screening of relatively healthy
patients (pre-anesthetic patients, wellness examinations, etc.)
are being evaluated, only extremely short amounts of time
are required for the complete analysis and even with the most
difficult hematologic cases, less than three minutes should be
spent on data analysis.
BIBLIOGRAPHY
Knoll JS: Clinical automated hematology systems, in Feldman BF , Zinkl
JG, Jain NC (eds.): Schalm’ s Veterinary Hematology (fifth edition).
Philadelphia, PA, Lippincott, 2000.
Moritz A, Becker M: Automated hematology systems in Weiss DJ, Wardrop
KJ (eds.): Schalm’s Veterinary Hematology (sixth edition). Ames, IO,
Wiley-Blackwell, 2010, pp. 1054-1066.
Tvedten H, Scott M, Boon GD. Interpretation of cytograms and histograms
of erythrocytes, leukocytes and platelets in Bonaguara JD (ed.): Kirk’s Current Veterinary Therapy XIII, St. Louis, MO, WB Saunders,
2000.
Address for correspondence:
Dennis B. DeNicola
Chief Veterinary Educator at IDEXX Laboratories,
Westbrook, ME USA
Adjunct Professor at Purdue University
School of Veterinary Medicine, West Lafayette, USA
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White blood cell data, dots and morphology: How to
maximize the value of an in-house complete CBC.
Dennis B. DeNicola
DVM, PhD, Dipl ACVP, Maine, USA
Evaluation of the white blood cell picture, the leukon has
changed quite dramatically over the last 25 years. We have
evolved greatly from just evaluating a total white blood cell
count to a total white blood cell count and manual 100 cell
leukocyte differential to currently available total white blood
cell counts with totally automated five-part leukocyte differentials. With the current technology , a tremendous amount
of useful data is provided and there are many checks and
balances in place to assure quality results. In addition, there
are new tools available with the information provided by the
newer analyzers that our veterinary professionals need training on how to use and interpret. There are three major components of the leukon evaluation and they consist of 1) evaluation of the actual data generated by the hematology analyzer, 2) evaluation of the dot plots or cytograms provided
by the newer analyzers, and 3) evaluation of the blood film.
Each of these components of the leukon interpretation is
important and is discussed below.
The numerical data generated in a complete blood count
(CBC) is relatively straight forward. Most in-house and reference laboratory analyzers provide a total white blood cell
count along with a partial or complete leukocyte differential.
In most cases, the dif ferential is presented in both relative
numbers (percent of each leukocyte type) and absolute number for each of the leukocyte type per microliter . You will
note that some laboratories and in-house CBC reports only
report reference intervals for the absolute numbers of individual leukocytes and not for the relative counts. It is always
recommended to make interpretation of potential leukocyte
changes through the evaluation of the absolute numbers to
avoid incorrect interpretations. From the reference laboratory, a complete five-part leukocyte dif ferential is provided;
this complete leukocyte profile is essential to assure correct
interpretation. Even simple dif ferentiation between three of
the most common leukocyte abnormalities, inflammation,
“stress” (glucocorticoid influence) and “excitement” (epinephrine influence) requires having the knowledge of the
complete five-part leukocyte differential.
The five leukocytes in question include the neutrophil,
lymphocyte, monocyte, eosinophil and basophil. Many of
the more basic impedance hematology analyzers only provide a three-part leukocyte dif ferential, which is lacking in
some critical cell type information to allow proper assessment. In the past we used to rely on a 100 leukocyte manu-
al dif ferential on the microscopic to obtain this leukocyte
information In many cases, this manual differential has been
replaced by the much more precise automated dif ferential
provided by the newer hematology analyzers utilizing laser
flow cytometry with and without fluorescent enhancement.
The information collected following light scatter as the laser
beam is focused on individual leukocytes as they pass by the
beam in a single row stream is quite voluminous and this
information allows quite accurate characterization of the different cell types.
Accuracy and precise leukocyte measurements are
required for the veterinarian to properly assess any leukocyte changes numerically. Even if the total white blood cell
count is within reference interval limits, changes in numbers of individual leukocyte type numbers can be observed
and recognition of various disease states is possible. Again,
this is only possible when the data collected is both highly
accurate and precise. These numerical data provide valuable information not only related to the presence or absence
of basic abnormalities like the presence of inflammation,
“stress” and “excitement”, but they also provide information about the severity of the change based on the degree of
change observed. In addition, following serial leukogram
changes during management or monitoring of a disease
state can provide information relative to the progression
or regression of a disease process. In some cases as with
severe inflammatory disease, monitoring leukogram
changes every 12-24 hours may be required to follow the
disease process accurately. Unlike with the erythron, leukocyte numbers are more variable during health because of
various physiologic influences; however , comparing baseline results during periods of known health will be still
valuable in detecting deviations from health even with the
absence of clinical signs associated with disease. One must
just be cautious to not over interpret subtle changes in individual leukocyte type numbers.
Evaluation of the dot plots or cytograms and evaluation of
the peripheral blood film provide both methods to help validate the numerical data generated and additional information
not supplied in the numerical data. With the advancement in
technology over the years, the accuracy and precision of the
hematology analyzers is quite impressive; however , no analyzer should ever be considered fool proof. That is why, in
addition to internal quality checks by the analyzer, we utilize
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external quality control programs to assure our analyzers are
operating properly. A good quality control program can provide information on general analyzer performance; however,
we utilize the dot plots and blood film microscopic review
partially as a quality check on each individual sample run.
Pre-analytical problems with sample collection or handling
as can impact hematology analyzer performance even when
the analyzer is performing to its peak capability . The dot
plots and blood films help avoid any potential incorrect
interpretation of just the numerical data. In many cases, the
hematology analyzers provide “flags” or “message codes”
when sample processing challenges are encountered. Oftentimes this is directly related to some of the potential pre-analytical issues such as difficult sample collection or partial
clotting prior to proper anticoagulation or the presence of
abnormal circulating cells. Many times, the dot plots and
blood films can provide enough information to assure incorrect results are not generated or used for interpretation.
Dot plots or cytograms provided by the newer laser-based
hematology systems are relatively new to most veterinarians, but they are powerful tools that assist data assessment.
These dot plots consist of a series of “dots” arranged into
variably colored clouds of dif ferent densities. Each dot represents a single cellular event and the graphic representation
of how the hematology analyzer completed its analysis.
With the laser-based systems, with or without fluorescent
dyes, a laser beam of light is passed through a stream of cells
and as the light hits each cell, light (or fluorescence) is scattered. Multiple photoreceptors positioned at specific locations capture this scattered light and the dots on the dot plot
represent the analysis of the various morphologic aspects of
these cells being analyzed. Information regarding size of the
cell, amount of cytoplasm, granularity of the cytoplasm,
nuclear/cytoplasmic ratios, density of the cytoplasm, presence of internal or ganelles like RNA, etc are collected and
visually presented in the dot plot. In the case of the white
blood cell run, information about the dif ferent leukocytes is
presented. If a patient’ s leukon has a significant increase or
decrease in any particular leukocyte type, immediate examination of that respective region of the dot plot can be used
to validate that finding. An example of a white blood cell dot
plot is shown in Figure 1.
Microscopic evaluation of the peripheral blood film cannot be replaced totally by the evaluation of the dot plots.
Morphologic information relative to the presence of immature neutrophil forms (band neutrophils), the presence of
neutrophil toxicity or the presence of reactive or abnormal
cells in circulation cannot currently be attained with automation. All of these changes are critical to proper interpretation
of the leukogram; therefore, minimally a very rapid (less
than three minutes) microscopic evaluation of the blood film
Figure 1 - White blood cell dot plot generated on the IDEXX ProCyte Dx®. The different colored dots in various clouds of similar
dots represent individual cellular analyses of leukocytes. Neutrophils are purple, lymphocytes are blue, monocytes are red,
eosinophils are green and basophils are light blue. Depending on
the total white blood cell count, variable numbers of digitized cellular events are represented; however, in the majority white blood
cell runs as many as 10-20 thousand events are characterized.
is recommended. Each component of the CBC, the numerical data, the dot plot and the blood film microscopic evaluation are highly valuable in accurate leukon interpretations.
BIBLIOGRAPHY
Knoll JS: Clinical automated hematology systems, in Feldman BF , Zinkl
JG, Jain NC (eds.): Schalm’ s Veterinary Hematology (fifth edition).
Philadelphia, PA, Lippincott, 2000.
Moritz A, Becker M: Automated hematology systems in Weiss DJ, Wardrop
KJ (eds.): Schalm’s Veterinary Hematology (sixth edition). Ames, IO,
Wiley-Blackwell, 2010, pp. 1054-1066.
Tvedten H, Scott M, Boon GD. Interpretation of cytograms and histograms
of erythrocytes, leukocytes and platelets in Bonaguara JD (ed.): Kirk’s Current Veterinary Therapy XIII, St. Louis, MO, WB Saunders,
2000.
Address for correspondence:
Dennis B. DeNicola
Chief Veterinary Educator at IDEXX Laboratories,
Westbrook, ME USA
Adjunct Professor at Purdue University
School of Veterinary Medicine, West Lafayette, USA
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Corneal Disease: from Clinical Case
to Diagnosis and Therapy
David Donaldson
BVSc (Hons) DipECVO MRCVS, Animal Health Trust, Newmarket, Suffolk, UK
• The cornea as part of the ocular surface
•
•
•
•
•
•
The cornea cannot be considered in isolation from the other components of the “ocular surface”
The modern view of the “ocular surface” is that of a morphofunctional unit comprising the pre-corneal tear film, lacrimal
glands, cornea, limbus, conjunctiva, mucocutaneous junction, meibomian glands, and the subepithelial corneal nervous
plexus.
Corneal innervation has a trophic ef fect on the epithelial cells and is responsible for the normal blinking and lacrimal
reflexes
It is evident that compromise of the reflex arc involving corneal sensation – lacrimation / blinking can lead to further ocular
surface disease and therefore can be seen as self perpetuating
For example in keratoconjunctivitis sicca (KCS) the reduced aqueous tear secretion is typically viewed as the major factor
leading to ocular pathology . When the above reflex is considered it is apparent that the pathology of the epithelium and
subepithelial innervations will cause:
I
reduced reflex lacrimation
II
reduced blinking and tear film distribution
III reduced trophic effect from subepithelial innervations
This leads to further corneal pathology and a negative loop perpetuating the progression ocular surface disease.
• An approach to cases of ocular surface disease
•
•
•
In all cases of surface ocular disease it is imperative that attempts are made to establish an underlying CAUSE for the disease.
This may seem daunting due to the number of potential “causes” of surface ocular disease - to simplify ones approach to these cases, following Roman adage of “Divide and Conquer” is useful
The possible differential diagnoses for all cases of surface ocular disease may be divided as follows:
FAT TIM Eyelid Tumour
F
A
T
Foreign body
Allergic (pollen, spores, food)/ irritants (dust, soaps, wind, fumes, meds)
Trauma / toxic reactions
T
I
I
I
M
Tear film deficienciesAqueous: quantitative or poor distribution
Mucin: tear film instability
Meibum: chronic blepharitis
Infections (bacterial, fungal and viral)
Infection – dacryocystitis
Immune mediated disease (e.g. superficial punctuate keratitis-MLHD)
Mechanical irritations (entropion/ distichia /ectopic cilia etc)
Eyelid
eyelid disease (blepharitis) extending to conjunctiva
Tumour
conjunctival infiltration
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FAT TIM Eyelid Tumour – specific investigations:
F
Foreign body
- close visual inspection including conj fornices & under TEL (Bennett’s)
A
Allergic
- history, seasonal, itchy, dermatological signs and cytology of conunctivaj
T
Trauma / toxic reactions
- hx exposure – severe acute signs
T
Tear film deficiencies
- Aqueous:
- Mucin:
- Meibum
- STT1, corneal sensitivity and the palpebral reflex
- TBUT normally 20-25- affected < 5 s, conj biopsy fornices for goblet cells
- visual inspect meibomian glands
I
Infections
- cytology, culture
I
Infection – dacryocystitis
- reflux from punctae, N-L flush, cytology, culture, dacryocystorhinography
I
Immune mediated disease
M
Mechanical irritations
- close visual inspection with magnification for distichia and ectopic cilia
Eyelid
Eyelid disease
- hair plucks &, sticky tape samples micrsoscopy,culture and histopath
Tumour
conjunctival infiltration
- thickening/corrugation – biopsy
•
•
By remembering the mnemonic “FAT TIM has an EYELID TUMOUR” and using it as a checklist when you are investigation an individual case visual cause will greatly increase the thoroughness in approaching such cases and confidence
that potential causes have not been overlooked.
n.b. contrary to cats, most canine conjunctivitis are secondary (KCS, euryblepharon, entropion-ectropion etc…) in cats,
most conjunctivitis cases are primary due to viral, or bacterial infections (e.g. FHV -1, Chlamydophila felis)
• A clinical approach to surface ocular disease: interactive examination
•
•
•
•
•
•
•
•
Investigation of surface ocular disease
History
Physical examination
Dermatological examination
Ophthalmological examination
Patients presenting with surface ocular conditions (i.e. affecting the cornea or conjunctiva) often have concurrent disease
affecting the eyelids / periocular skin
Part of the initial assessment should be aimed at determining if the condition is primarily ocular with secondary eyelid
disease (i.e. allergic conjunctivitis leading to secondary trauma/ eyelid maceration etc), or primarily an eyelid disease
This distinction is not always obvious (generally the more severe the eyelid disease the more likely this is the primary disease process)
•
•
•
•
•
•
Investigation of eyelid disorders & periocular skin disease (specialist session)
Identify eyelid disorders causing mechanical irritation of the eye (conformational eyelid disorders, distichia, trichiasis etc )
Search for parasites and dermatophytes
Determine if eyelid infection is present
Consider irritant / allergic disease last
Biopsy eyelid when there is ulceration, mass lesions or persistence despite diagnostics/ treatments
•
•
•
Identify eyelid disorders causing mechanical irritation of the eye (conformational eyelid disorders, distichia, trichiasis etc)
Gross evaluation of the patient’s eye and adnexa – once the patient is relaxed and without restraint
Best to perform initial assessment on the floor
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CLINICAL CASE
CASE 1: 5yo MN ECS discharging eye (OS)
CLINICAL CASE
CASE 2: 2yo ME G Dane disc harging eye (OS)
•
•
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•
•
Investigation of surface ocular disease
History
Physical examination
Dermatological examination
Ophthalmological examination
•
•
•
•
Investigations should include ALL of the following
STT1 measurement:
Perform before any other ocular manipulation/close examination
It should be carried out before any drops or stains are instilled in the eye
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•
In dogs a reading of <12 mm is suspicious while <8-10 mm is diagnostic tear underproduction (when signs consistent KCS
present)
Cats tend to have lower normal values than dogs, especially when stressed – comparison between eyes is useful. Interpret in
combination with clinical signs
Assess other ocular reflexes
Corneal reflex
Palpebral reflex – also assess “completeness” of the palpbral reflex
Examination in light with focal illumination +/- magnification
Circular pattern of inspection
Eyelids
Bulbar conjunctiva (rule out deep perilimbal hyperaemia)
Palpebral conjunctiva and third eyelid
Upper and lower punctae
Cornea
Ophthalmological signs associated with surface ocular disease:
Superficial (conjunctival) hyperaemia is superficial corneal vascularisation are indicative of surface ocular disease
Superficial (conjunctival) hyperaemia and may involve the bulbar and / or palpebral hyperaemia) and is often more severe
towards the fornices
Other signs of surface ocular disease include:
Discomfort (lacrimation/ blepharospasm)
Chemosis
Ocular discharge
- Serous
- brown/black staining of hair
- mucoid
- normal response to ocular irritation (conj. goblet cells)
- purulent
- bacterial infection (n.b. bacteria are present in
most conjunctival sacs so a positive culture does
not infer direct disease causation)
Superficial (conjunctival) hyperaemia is superficial corneal vascularisation are indicative of surface ocular disease
Visible as they cross the limbus
Branching pattern
Indicative of …. surface ocular disease
Blood vessels tortuous, branching & bright red
Vessels move with conjunctiva
Indicative of …. surface ocular disease
•
•
Remember - always examine the palpebral conjunctiva!!!
Hyperaemia of the palpebral conjunctiva may occur in combination with superficial bulbar hyperaemia or in isolation in certain surface ocular conditions e.g. aller gic conjunctivitis
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CLINICAL CASES
6yo MN Leonberger discharging eye (OS)
POH: cataract sx 6 m pre vious – receiving chronic
topical NSAID therapy
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•
•
Rule out foreign bodies
Bennett’s cilia forceps used to examine the conjunctival fornices and behind the third eyelid (TEL)- when examining the bulbar aspect of the TEL never “hold” the leading edge of the TEL and ensure the limbus under the TEL is visualised
•
•
•
cytology
“cytobrush”and “Diff Quik®” staining
This is simple to perform and provides useful information which can guide initial treatments
SUMMARY
•
Investigations for ALL cases with surface ocular disease
•
Examination without restraint
•
STT1 measurement
•
Assess other ocular reflexe
•
Examination in light with focal illumination +/- magnification
•
Rule out foreign bodies
•
Cytology
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• Investigations for SPECIFIC cases of surface ocular disease
•
Testing for infectious agents
•
Bacterial culture & sensitivity, viral culture or PCR (FHV-1)
•
•
Fluorescein dye test (Jone’s test)
Fluorescein dye is applied to the eye – if the nasolacimal duct is patent the dye normally appears at the nose within 5-10
minutes
If uniocular pathology do the af fected initially – otherwise fluorescein from other eye may obscure test
n.b. some dogs have openings into the nasopharynx
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Nasolacrimal cannulation & flushing
Cannulation of the nasal ostium is possible in dogs and horses
Cannulation of the upper NL punctae
Conscious canine (general anaesthesia for cats)
Local anaesthesia
Cannulate the upper puncta with a 2G nasolacrimal cannula and gentle irrigate with BSS which should exit the lower puncta
Gentle digital pressure over lower punctae and continue flushing until BSS visible at nose or gagging occurs
DO NOT FORCE FLUID IF RESISTANCE- CAN RUPTURE NLD
•
•
•
•
•
Skull radiographs – dacryocystorhinography – plain & contrast
Plain films initially
Cannulate the upper puncta (as explained before)
Inject small amount iodine based contrast (0.5ml) into the upper puncta whilst occluding the lower puncta
Lateral and dorsoventral views are most useful
• Corneal ulceration – a subset of corneal pathology
•
•
Simple – superficial – heal
Complicated – persist
•
•
•
Classified by depth: superficial, deep stromal, and descemetocoele
Superficial corneal ulcers or erosions can further be classified as uncomplicated, or complicated (progressive, or refractory)
Uncomplicated superficial ulcers can resolve with topical antibiotic therapy e.g. poly-pharmacy -neomycin, bacitracin, &
polymixin B
As with other forms of surface ocular disease it is imperative that any underlying CAUSE for the ulceration is established
Differentials for corneal ulceration “FAT TIM has an EYELID TUMOUR”
•
•
< 7 days
> 7 days
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
CLINICAL CASE
Jack 4 yo MN Border Collie – 1 week pain OD
Outline your initial approach to the examination of this eye: (i.e. investigations for all cases of surface ocular disease):
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………….……………
Outline your initial approach to the examination of this eye:
* perform in all cases of surface ocular disease
1.… Examination without restraint
Mild blepharospasm but no evidence of entropion or trichiasis
2.… STT 1 measurement (and other ocular reflexes)
STT 30mm/minute (OS) 20mm/min (OD) – other reflexes normal
3.… Examination with focal illumination and magnification
Eyelid margins NAD
Bulbar conjunctiva (superficial hyperaemia)
Palpebral conjunctiva (hyperaemia but no follicular reaction)
Third eyelid – hyperaemia of overlying conjunctiva
Nasolacrimal punctae – NAD
Cornea – superficial ulcer (central ovoid and elongated horizontally)
with loose non adherent edges. Mild corneal oedema in region of corneal ulceration
4…. Rule out foreign bodies
Examination with Bennett’s forceps reveals no foreign bodies in the conjunctival fornices– foreign body on bulbar surface of TEL
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
5…. Cytology: Scant population of coccoid bacteria and neutrophils
Jack 4 yo MN Border Collie – 1 week pain OD: FB - posterior aspect of thir d eyelid
CLINICAL CASE
Canine – superficial ulcer OS
1.… Examination without restraint
Mild blepharospasm but no evidence of entropion or trichiasis
2.… STT 1 measurements (and other ocular reflexes)
STT 25mm/minute (OS) 15mm/min (OD) – other reflexes normal
3.… Examination with focal illumination and magnification
Cornea – superficial ulcer with loose non-adherent edges.
Mild corneal oedema in region of corneal ulceration
4…. Rule out foreign bodies
Examination with Bennett’s forceps reveals no foreign bodies
5…. Cytology: scant population of neutrophils
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Scenario 1: hx ulceration < 7 days
Treatment plan: …………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
Scenario 2: hx ulceration > 7 days
Treatment plan: …………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………
•
•
•
Spontaneous chronic corneal epithelial defects (SCCEDs) i.e. indolent ulceration
Most refractory ulcers in the dog are primary , but they may be secondary:
Rule out underlying conditions:
⇒ Eyelash abnormalities
⇒ Entropion & poor eyelid func tion with CNVII paralysis or lagophthalmos
⇒ Abnormalities of the pre-ocular tear film (KCS & tear mucin defi ciencies)
⇒ Neurotrophic keratitis (CNV dysfunction) → refractory ulcer without associated pain
⇒ Stromal edema may impair epithelial adherence → severe or chronic stromal oedema, subepithelial bullae → may rupture or lift the epithelium of f the stroma
⇒ Generalized corneal oedema may result from glaucoma, chronic uveitis, and primary endothelial dystrophy or degeneration
•
•
•
•
•
•
Typically middle-aged dogs of all breeds
Boxers are over-represented
Superficial, non-infected erosions surrounded by a zone non-adherent epithelium
Fluorescein stain often leaks beneath the non adherent epithelium resulting in a less intense ring of staining around the ulcer
No loss of corneal stroma
Oedema localized to the region of the defect
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•
•
•
Histopathological findings
Include loss of the corneal epithelial basement membrane & formation of a superficial stromal hyalinized zone with abnormal nerve plexus
These distinct stromal suggest that stromal abnormalities are crucial to the pathophysiology of this disease and may act as a
barrier to the formation of normal adhesion complexes (hemidesmosomes)
•
•
•
Management
Medical (often combined with corneal epithelial debridement)
Given hat the defects are likely to be the result of a stromal defect medical therapy alone is often unrewarding
•
•
•
Broad spectrum antibiotics
SCCEDS are by definition NOT INFECTED
Antibiotic prophylaxis is needed - intensive treatment with frequent application of antibiotics may delay wound healing
•
•
Atropine 1%
Cycloplegic: to reduce intraocular pain (T O EFFECT) – be careful with KCS cases!
•
•
•
Topical hyperosmotic agents
e.g., 2- 5% sodium chloride ointment
May reduce epithelial and subepithelial oedema & improve epithelial adherence to stroma - have been used in treatment of
refractory corneal erosions with limited response
Hyperosmotic agents irritate the eye & may require more frequent application because of their short duration of action
Only used in cases were the ulceration is secondary to an underlying corneal oedema (e.g. endothelial dystrophy/ degeneration) i.e. not true SCCEDs
•
•
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•
•
•
•
Autogenous serum
Source of fibronectin
plasma glycoprotein → stimulates cell adhesion / migration, & protein synthesis
It has been used in treatment of refractory ulcers and been shown to promote epithelial attachment & healing in humans &
rabbits
Studies have shown that fibronectin is already present in SCCED patients so benefit of its use is uncertain
•
•
•
Tetracyclines
doxycycline shown to inhibit MMP’s (matrix metalloproteinases) enzymes that degrade basement membranes and collagen
Recent work suggests that MMP 2 and 9 levels are not associated with SCCED
•
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•
Bandage soft contact lens (SCL)
Maintain apposition of epithelium to stroma and protect the new epithelium
Disadvantages include an occasional poor fit, retention times & cost
Contact lens retention time may be improved by partial temporary lateral canthorrhaphy using horizontal mattress sutures
SCLs should be removed every 7 to 10 days, cleaned, disinfected, and reinserted until corneal re-epithelialisation is complete
•
Management
•
Surgical
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•
•
Mechanical debridement
Removal of loose epithelium +/- contact lens
Topical anaesthetic (proxymetacaine) and then using a cotton swab or Kimura spatula, or cilia forceps remove flaps of epithelium by pulling their edges toward the center
The defect is usually significantly increased in size
Edges should be firmly attached
Debridement → repeated every week – expect gradual reduction in ulcer size
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
Mechanical debridement with Bennett’s Cilia forceps
Mechanical debridement with a “stick” swab
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Procedures that involve modification of the corneal stroma have a higher success rate than epithelial debridement alone
Chemical debridement
Remove abnormal epithelium, basement membrane (BM), & altering the anterior stroma
Agents used:
⇒ trichloracetic acid
⇒ Phenol
⇒ tincture of iodine
Flushing post cautery is very important
grid keratotomy (GK)
Topical anaesthetic and sedation or general anaesthesia
A cross-hatched pattern of incisions over the ulcer bed (usually extending slightly beyond the ulcer margin) using a 22 g needle, a set depth knife or knife with a micrometer
Incisions should just breach the junction of the epithelial basement membrane and the normal corneal stroma
Post operative topical antibiotics 5-7 days
~90% success within 2 weeks (longer for horses)
Grid keratotomy – 22 g needle (be vel facing up) 10 days post- operatively
•
MPK: multiple punctate keratotomy (multiple anterior stromal punctures 0.2 mm) with a 20- to 23-gauge needle into the
exposed stroma and 1-2 mm of healthy cornea surrounding the ulcer
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
CLINICAL CASES
•
•
Tenacious adherent mucoid/mucopurulent discharge
Corneal neovascularisation/pigmentation with chronicity- STT1=3
•
Tenacious adherent mucoid/mucopurulent discharge/recurrent erosions/‘punched-out’ corneal ulceration - STT1 = 5
•
Tenacious adherent mucoid/mucopurulent discharge / corneal thickened irregular and pigmentation- STT1 = 0
•
What other investigations would you perform?
•
What investigations would you perform?
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
Investigations for ALL cases with surface ocular disease
* ………………………………………………………………………………………………………………………………
* STT1 measurement + ………………………………………………………….…………………………………………
* ………………………………………………………………………………………………………………………………
* ………………………………………………………………………………………………………………………………
* ………………………………………………………………………………………………………………………………
* ………………………………………………………………………………………………………………………………
• KCS (keratoconjunctivitis sicca)
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The aqueous portion makes up the bulk of the tear film and is produced by the lacrimal and third eyelid glands
A STT 1 measurement of 10mm wetting/minute or less is consistent with KCS, but must always be considered in conjunction with clinical signs:
Congenital – usually unilateral, reported more frequently in the small breeds
KCS in conjunction with a curly/rough coat (ichthyosis)
Neurological (interruption of parasympathetic supply to lacrimal gland)
Drug-induced (atropine, sulphonamides, anaesthesia)
Distemper (viral lacrimal adenitis)
Obstruction of lacrimal ductules by chemosis or cicatrisation.
Iatrogenic (excision of the third eyelid gland)
Secondary to metabolic disease (hypothyroidism, diabetes mellitus)
Trauma to the orbit (direct lacrimal gland damage)
Irradiation (e.g. radiotherapy)
Immune mediated adenitis – most important cause of canine KCS.
Immune-mediated cases:
Bilateral although frequently one eye precedes the second clinically .
Marked breed predisposition leading to the common assumption that the disease is at least in part inherited
West Highland White Terrier represents the most commonly af fected breed (UK)
Histopathology of lacrimal tissue taken from affected cases demonstrates a progressive fibrosis and atrophy of glandular tissue.
Therapy
Medical
Topical Cyclosporine A (Optimmune®) twice daily lifelong
Immunomodulating drug that acts to reduce cytokine release and activation of T helper lymphocytes
Treatment is most successful when initiated early and lacrimal tissue can recover some secretory function
Improved tear production can take 4-8 weeks to be evident
Oral pilocarpine – a parasympathomimetic - numerous side-ef fects including hypersalivation, abdominal cramps and diarrhoea
Topical pilocarpine False tears (hypromellose, carbomer polymer, hyaluronate, paraffin-based)
Autologous serum – used frequently in man -contains epithelial growth factors.
Surgical
Punctal plugs – plugs are placed in the lower nasolacrimal punctum to prevent drainage of tears (only really useful where
some tear secretion remains)
Puntal ablation (cautery)
Permanent partial tarsorrhaphy
Parotid duct transposition – used as a last resort
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
•
•
Superficial keratectomy if severe visual deficits associated with corneal scarring/pigmentation
Only possible if KCS is controlled medically
•
Neurogenic KCS
•
•
Results from interruption in the parasympathetic innervation of the lacrimal gland
It is usually seen in conjunction with an ipsilateral dry nose as the innervation to the lateral nasal gland shares the same preganglionic parasympathetic fibres proximal to the pterygopalatine ganglion.
•
•
•
•
•
Treat underlying cause (e.g. otitis media, osteomyelitis of petrous temporal bone)
Neurogenic KCS will not respond to cyclosporine A
False tear preparations need to be given very frequently (as tear production is often zero)
Oral pilocarpine or topical pilocarpine is useful in a few cases
Parotid duct transposition is frequently required.
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69° CONGRESSO INTERNAZIONALE MULTISALA SCIVAC
RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Uveal Disease: from Clinical Case to Diagnosis
and Therapy
David Donaldson
BVSc (Hons) DipECVO MRCVS, Animal Health Trust, Newmarket, Suffolk, UK
• What is the uvea?
→ vascular tunic of the eye – choroid(c), ciliary body (cb) & iris (i)
→ contains large capillary beds
→ major site of ocular lymphoid tissue
→ intimate association of choroid and retina
These characteristics help explain the pathogenesis of disease af fecting the uvea:
→ blood borne elements trapped within the uveal capillary beds (e.g. micro – organisms, neoplastic cells) may initiate uveitis
→ the uvea is the location of both specific and non specific immunological reactions involving the eye
→ inflammation of the choroid is always associated with inflammation of the retina i.e. chorio-retinitis
• What is the blood – ocular barrier?
•
•
•
A set of structures which prevents lar ge, high-molecular-weight proteins from entering the intra-ocular fluid
The capillaries of the iris are non fenestrated and are an important part of the blood ocular barrier
Disruption of this barrier (e.g. uveitis, neoplasia) leads to lar ge molecules such as lipoproteins entering the normally clear
fluid of the eye
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16-05-2011
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
Lipid aqueous in a cat – lar ge lipoproteins cannot normally pass into the anterior c hamber due to the non-f enestrated
structure of iris capillaries – the presence of lipid aqueous indicates breakdo wn of this barrier.
•
•
•
In contrast to the iris the capillaries of the choroid are considered to be more “leaky”. Leakage from the choroidal vessels
will lead to fluid accumulating under the retina, which may lead to detachment of the retina.
The fluid may be serous, transudate or exudate or if the capillaries are severely disrupted blood - some idea of the type of
fluid present is usually possible if it is visible through the semitransparent retina
the intimate contact between the choroid and retina means inflammation of the choroid will always be associated with concurrent inflammation of the retina
Serous retinal detachments in a dog – the retina (x) is detached and coming anterior into the
vitreous, (note deviation of the blood vessels).
UVEITIS
•
•
•
•
Uveitis may be classified on the basis of:
Anatomical location (e.g. anterior vs. posterior)
Duration (acute vs. chronic) (chronic > 3 months)
Aetiopathogenesis (exogenous vs. endogenous)
•
In the context of this discussion division of uveitis based on pathogenesis is useful in determining which diagnostic tests
should be considered.
→ exogenous uveitis - causes include trauma (blunt or penetrating) and corneal ulceration
→ endogenous uveitis - develops from within the eye or from the bloodstream
The initial assessment of a uveitis patient includes taking a thorough history , physical and ophthalmic examinations.
•
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
•
•
•
•
•
Exogenous causes of uveitis including trauma (blunt or penetrating) and corneal ulceration, are usually diagnosed on ophthalmic examination.
It is worth noting that occasionally penetrating injuries are not obvious, especially if the wound has occurred through the
conjunctiva/sclera rather than the cornea or has involved the posterior aspects of the globe.
These cases are unilateral and frequently present with severe panuveitis. In such cases the history may be suggestive (e.g.
recent maxillary molar tooth extraction followed by severe unilateral uveitis, or recent history of a cat fight or gunshot
wounds in which adnexal injury may have been noted but no overt corneal penetration was apparent.
In such cases the ocular media are frequently opaque preventing examination of the posterior segment.
Initial investigations are therefore usually directed towards imaging the ocular , orbital and adnexal structures; radiography
and ultrasonography being the most commonly utilized in the primary setting.
CLINICAL CASE: 5yo MN X bred
•
•
•
•
•
History
painful right eye after walk
something protruding from eye
previous medical history (PMH) – nothing significantl
previous ophthalmic history (POH) - nothing significantl
What is your diagnosis?
…………………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
Will uveitis be present in this case and if so would you classify it as endogenous or exogenous uveitis?
…………………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
What other ocular structures may have been damaged with this injury and how significant are they to the management and prognosis of the condition?
…………………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
Outline your approach to investigation and management of this case?
…………………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
What is your diagnosis?
Penetrating corneal foreign body
Will uveitis be present in this case and if so would you classify it as endogenous or
exogenous uveitis?
Yes - uveitis will be present in any situation where the globe is perforated due to breakdown of the blood ocular barrier
Exogenous uveitis will be present.
.
What other ocular structures may have been damaged with this injury and how
significant are they to the management and prognosis of the condition?
Lens & posterior segment damage (ciliary body, retina, posterior ocular coats)
If the lens capsule has been ruptured phacoclastic lens induced uveitis (LIU) will develop.Antigenic lens protein is released
causing intense uveitis. In cases suf fering from LIU secondary to cat scratch intensive medical systemic and topical antiinflammatory has been shown to have a better outcome than intraocular sur gery. This has not been showed in intraocular
foreign bodies. Retinal damage associated with perforation or tearing is likely to lead to retinal detachment. Inoculation of
bacteria and or fungi into the posterior segment increases the risk of intractable endophthalmitis
Outline your approach to investigation and management of this case?
Assessment of intraocular damage- some assessment may be possible if the patient is calm and co-operative, in this case
general anaesthesia is needed for FB removal
For examination mydriasis (tropicamide or atropine – preservative free)
Focal light and magnification - assess intraocular damage / rule out other foreign bodies
If it is not possible to assess these structures due to opacity of the ocular media ocular ultrasound should be used. Do not
use ultrasound gel if globe is not intact, a temporal approach to the globe in these cases might be useful.
Medical treatment
Small wounds which have sealed may be treated medically with cage rest
All cases → assume intraocular microbial inoculation and cover for endophthalmitis and secondary uveitis
Systemic broad spectrum antibiotics e.g. amoxicillin – clavulanic acid
Systemic non-steroidals anti-inflammatories
Cyclopegic/ mydriatic → topical 1% atropine → ↓ ciliary spasm & to prevent synechiae
Topical broad spectrum with antibiotics with good corneal penetration
Surgical treatment
Direct corneal suturing – only used if the defect is very small – otherwise tension on the sutures is likely to lead to wound
breakdown and excessive astigmatism
Rotational conjunctival pedicle
Lens capsule rupture - lens extraction needs to be considered depending on the size of the lesion
Endogenous uveitis develops from within the eye or from the bloodstream. The known and proposed causes of canine and
feline uveitis are listed in Table 1 and Table 2 respectfully.
• Feline uveitis
•
•
•
The majority of feline uveitis cases will have no history or clinical findings suggestive of an exogenous cause and consideration of the endogenous causes of uveitis (T able 1) will be necessary.
Excluding cases of uveitis associated with intraocular neoplasia, lens disease, lipid aqueous or the rare situation where an
intraocular parasite is directly visualized (e.g. ophthalmomyiasis interna), there are no pathognomonic clinical ophthalmic
changes associated with endogenous uveitis in the cat.
Independent of aetiology, aqueous flare, iritis, keratic precipitates, hyphaema and hypopyon commonly develop in the anterior chamber, whilst posterior uveitis presents with signs of choroidal and retinal inflammation including exudates, haemorrhage and retinal detachment.
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
TABLE 1 - Feline Uveitis: Known or Proposed Causes
INFECTIOUS
PROTOZOAL
TOXOPLASMA GONDII
LEISHMANIA DONOVANI
VIRAL
FELINE LEUKEMIA VIRUS (FELV)
FELINE IMMUNODEFICIENCY VIRUS (FIV)
FELINE INFECTIOUS PERITONITIS VIRUS (FIP)
FELINE HERPESVIRUS 1 (FHV-1))
BACTERIAL
BARTONELLA HENSELAE
MYCOBACTERIUM SPP
BACTERIAL INFECTIONS CAUSING SEPTICAEMIA, ENDOTOXAEMIA,
EXOTOXAEMIA OR IMMUNE COMPLEX DEPOSITION
(E.G. ENDOCARDITIS, PYELONEPHRITIS AND DISCOSPONDYLITIS)
MYCOSES
CRYPTOCOCCUS NEOFORMANS
HISTOPLASMA CAPSULATUM
BLASTOMYCES DERMATITIDES
COCCIDIOIDES IMMITIS
CANDIDA ALBICANS
PARASITIC
OPHTHALMOMYIASIS INTERNA POSTERIOR (DIPTERA SP.)
OCULAR FILARIASIS (DIROFILARIA IMMITIS)
OCULAR LARVAL MIGRANS (TOXOCARA SPP)
IMMUNE-MEDIATED
POORLY DEFINED GROUP LIKELY TO INCLUDE MANY AUTOIMMUNE
DISEASES TO A VARIETY OF ENDOGENOUS ANTIGENS
(E.G. RETINAL-S ANTIGEN) THAT EITHER INITIATE OR PERPETUATE UVEITIS
LENS
CATARACTS (LENS-INDUCED UVEITIS, PHACOLITIC UVEITIS)
LENS RUPTURE (PHACOCLASTIC UVEITIS)
NEOPLASIA
PRIMARY (MELANOMA)
SECONDARY NEOPLASIA (LYMPHOSARCOMA MOST COMMON)
NON-OCULAR NEOPLASIA (PARANEOPLASTIC SYNDROMES)
METABOLIC
HYPERLIPIDAEMIA
VASCULAR
HYPERTENSION
TOXAEMIA
ANAEMIA
HYPERVISCOSITY SYNDROMES
BLEEDING DIATHESIS
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
TABLE 2 - Canine Uveitis: Known or Proposed Causes
INFECTIOUS
PROTOZOAL
LEISHMANIA DONOVANI
TOXOPLASMA GONDII
RICKETTSIAL
EHRLICHIA CANIS OR PLATYS
VIRAL
ADENOVIRUS INFECTION (INCLUDING POSTVACCINAL “BLUE-EYE”)
DISTEMPER VIRUS
HERPES VIRUS
RABIES
BACTERIAL
BRUCELLA CANIS
BORRELIA BURGDORFERI (I.E., LYME DISEASE)
LEPTOSPIRA SP.
SEPTICEMIA OF ANY CAUSE
MYCOSES
BLASTOMYCES DERMATITIDIS
COCCIDIOIDES IMMITIS
CRYPTOCOCCUS NEOFORMANS
HISTOPLASMA CAPSULATUM
OTHER MYCOSES
PARASITIC
OPHTHALMOMYIASIS INTERNA POSTERIOR (DIPTERA SP.)
OCULAR FILARIASIS (DIROFILARIA IMMITIS)
OCULAR LARVAL MIGRANS (TOXOCARA AND BALISASCARIS SP.)
ALGAL
PROTOTHECA SPP.
IMMUNE-MEDIATED
IMMUNE-MEDIATED THROMBOCYTOPENIA
IMMUNE-MEDIATED VASCULITIS
UVEODERMATOLOGIC SYNDROME (SIMILAR TO HUMAN VOGTKOYANAGI-HARADA)
LENS
CATARACTS (LENS-INDUCED UVEITIS)
LENS RUPTURE (PHACOCLASTIC UVEITIS)
NEOPLASIA / PROLIFERATIVE
HISTIOCYTIC PROLIFERATIVE DISEASE
GRANULOMATOUS MENINGOENCEPHALITIS (FORMERLY RETICULOSIS)
PRIMARY (MELANOMA)
SECONDARY NEOPLASMS (LYMPHOSARCOMA MOST COMMON)
METABOLIC
DIABETES MELLITUS (PARTICULARLY DIABETIC CATARACT-INDUCED UVEITIS)
HYPERLIPIDEMIA
VASCULAR /HAEM
HYPERTENSION
TOXAEMIA
ANAEMIA
HYPERVISCOSITY SYNDROMES
BLEEDING DIATHESIS
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
• Cases where the cause of an endogenous uveitis may be apparent in the cat
→ intraocular neoplasia
→ lens disease
→ lipid aqueous
•
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•
•
Feline diffuse iris melanoma is the most common primary neoplasm of cats and usually presents as a dif fuse darkening of
the entire iris although nodular forms may occur .
Ophthalmic signs which increase the index of suspicion that an iridal pigmentary change represents a diffuse iris melanoma,
rather than benign melanosis include: the presence of iridal thickening or mass lesions, dyscoria, anisocoria, concurrent
uveitis or intra-ocular haemorrhage, and free pigment in the anterior chamber or pigment accumulation in the iridocorneal
angle (+/- secondary glaucoma).
In the early stages, diffuse iris melanoma differentiation from benign melanosis may be difficult, and close monitoring of the
ophthalmic changes is advised (serial photographs useful).
Fine needle aspiration biopsy (FNAB) from the iris is usually unrewarding in distinguishing iris melanoma from melanosis
but small “snip” biopsies may be useful if the pigmentary change af fects the pupillary zone of the iris.
•
Primary post traumatic intraocular sarcoma is thought to originate from lens epithelial cells following lens trauma. The
intraocular mass lesion may be visible ophthalmoscopically , or ultrasonographically in cases where uveitis or intra-ocular
haemorrhage obscures examination. These tumours may invade locally, (e.g. optic nerve/ chiasma) or metastasize to distant
sites. Therefore pre-operative imaging to determine any local and/or systemic involvement of the tumour is indicated if there
is an index of suspicion for this disease (e.g. elderly cat with chronic unilateral uveitis, evidence of an intra-ocular mass and
a history or clinical evidence of previous ocular trauma (e.g. corneal scar , synechia)).
•
Ocular involvement in feline lymphoma is common and often precedes systemic manifestations. These cases may present
with pale intra-ocular mass lesions or in the earlier stages, more subtle nodular iris lesions may be evident. Cytology on aque
ocentesis samples or FNAB from an anterior uveal mass may be rewarding in these cases although the diagnosis is usually
achieved by sampling of other af fected organs or lymph nodes.
•
The presence of large capillary beds within the uveal tract makes it a potential site for haematogenous metastasis from any
distant neoplasia. One particular neoplasm which appears to have a characteristicophthalmic presentation is bronchogenic
carcinoma.
An ischaemic chorioretinopathy occurs due to invasion of the choroidal vasculature leading to wedge shaped areas of tan
discolouration within the tapetal fundus and serous sub-retinal exudation.
These cats present with unilateral or bilateral blindness and may also have painful ischaemic necrosis of the distal extremities.
Diagnosis in such cases relies on biopsy of the primary or non- ocular metastatic lesions.
The discussion so far has considered causes of feline uveitis in which the clinical presentation either identifies, or is highl y
suggestive of, a particular causation.
In other cases further investigation of causes of endogenous uveitis including infectious, immune- mediated and vascular disease, is indicated.
The minimum data base obtained should be a complete blood count, serum biochemistry profile, urinalysis, thoracic radiography and abdominal ultrasound.
Selection of additional diagnostic tests may be af fected by other clinical findings (e.g. coagulation studies and blood pressure assessment if intra-ocular haemorrhage is present or vessel tortuosity is identified) and knowledge of the diseases
endemic in a given region (e.g. blastomycosis, histoplasmosis and leishmaniasis not reported in the U.K. (?Italia) but could
occur in a cat which has traveled from endemic areas).
•
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•
•
•
In the UK, testing for Toxoplasma gondii, feline leukemia virus (FeLV), feline immunodeficiency virus (FIV), feline coronavirus and Bartonella henselae are recommended.
Aqueocentesis and vitreocentesis may be considered in cases in which granuloma formation is evident (e.g. mycotic or
mycobacterial infection).
Vitreocentesis is more likely to yield a diagnosis even if there is anterior chamber involvement.
Cryptococcus neoformans is the most commonly reported feline mycotic infection.
Frequent sites of infection are the nasal passages, skin, and central nervous system: granulomatous uveitis may also be a feature.
The diagnosis of cryptococcosis can be established on the basis of cytological identification of the or ganism aspirated from
affected tissue (non-ocular in most cases), and detection of cryptococcal antigen in serum, aqueous or vitreous using latex
agglutination
kits.
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CLINICAL CASE: EB 29 mo FE exotic
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History
Vaccinated (FHV-1, FIE, FCV and FeLV)
flea-tick control good,
indoor/outdoor, single cat household
hunts and fights
has not travelled away from Italia
previous medical history (PMH) – no abnormalities
previous ophthalmic history (POH) – no abnormalities
•
Physiclal examintion –no abnormalities
What abnormalities can you see?……………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
What is your clinical diagnosis?……………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
What other ophthalmic findings could be seen with this condition?………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
Is this likely to represent a case of endogenous or exogenous uveitis?……………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
What initial investigations would you recommend?………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
What infectious diseases would you test for in ITALIA?…………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
What is the most frequently reported feline mycotic infection, at what sites does it often cause disease and how is it
diagnosed?……………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………………………
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
What abnormalities can you see? Keratic precipitates, iritis, rubeosis irides
What is your clinical diagnosis? Anterior uveitis
What other ophthalmic findings may occur with this disease?
Anterior changes: aqueous flare, ciliary flush, iris swelling (and darkening), miosis, corneal oedema, hyphaema and hypopyon
Posterior changes: choroidal and retinal inflammation including exudates, haemorrhage and retinal detachment.
Is this likely to represent a case of endogenous or exogenous uveitis?
Endogenous: the majority of feline uveitis cases will have no history or clinical findings suggestive of an exogenous cause and
consideration of the endogenous causes of uveitis including infectious, immune-mediated and vascular diseases (T able 1).
What initial investigations would you recommend?
Minimum data base:
• complete blood cell count
• serum biochemistry profile
• urinalysis
• thoracic radiography
• abdominal ultrasound
Selection of additional diagnostic tests may be af fected by other clinical findings (e.g. coagulation studies and blood pressure assessment if intra-ocular haemorrhage is present or retinal vascular tortuosity?) and knowledge of local endemic diseases.
What infectious diseases would you test for in Italia? Toxoplasma gondii, feline leukemia virus (FeLV), feline immunodeficiency virus (FIV), feline infectious peritonitis virus (FIP) and Bartonella henselae are recommended.
Aqueocentesis and vitreocentesis may be considered in cases in which granuloma formation is evident (e.g. mycotic or
mycobacterial infection).
Vitreocentesis is more sensitive even if there is AC involvement.
What is the most frequently reported feline mycotic infection, at what sites does it often cause disease and how is it
diagnosed?
Cryptococcus neoformans is the most commonly reported feline mycotic infection. Frequent sites of infection are the nasal
passages, skin, and central nervous system: granulomatous uveitis may also be a feature.
The diagnosis can be established on the basis of cytology (aspirates from af fected tissue (non-ocular in most cases)), and
detection of cryptococcal antigen in serum, aqueous or vitreous using latex agglutination kits.
•
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Toxoplasmosis
Causally linked with feline uveitis: uveitis has been induced in cats following inoculation with T. gondii.
Pathology may occur due top replication within retina (direct cytotoxicity → necrosis & granulomata)
OR
Immune mediated mechanisms → T gondii + immune complex deposition
Within uvea or antigenaemia stimulating T. gondii specific intraocular lymphocytes
•
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Clinical disease
In people typical retino-choroiditis lesions = most common
This occurs following reactivation of dormant tissue phase (bradyzoites)
In cats the entire uvea may be involved - usually anterior uveitis
? Role of reactivation of dormant phase
•
•
Serological testing of cats for T. gondii should include:
T gondii -specific IgM
↑ by approximately ~ 2wk post infection
Negative by 16 wk but may persist longer in some cases
Not all cases develop IgM
•
T gondii –specific IgG
IgG may not ↑ until ~ 4 wk post infection
May remain elevated for years
•
•
Serological evidence of recent of reactivated infection?
High T. gondii-specific IgM titres (ELISA for IgM > 256)
Titres vary between labs i.e. for lab (x) an IgM > 64 may indicate active infection
Narrow window for detection ↑ IgM titre so failure to show ↑ doesn’t rule out recent infection
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OR
Increasing (4 fold or greater) T. gondii-specific IgG titres in the serum over 2-3 wk
However since seropositivity to, T. gondii-specific IgM / IgG can occur in clinically normal cats they may not correlate to
clinical ocular disease in an individual cat
Aqueous humour testing has been used to try and improve the specificity of testing for ocular toxoplasmosis
Calculation of indices which indicate evidence of intra-ocular T. gondii-specific immunoglobulin production (e.g. Goldmann–Witmer coefficient (C-value))
→ c values > 1 suggestive of local Ab production
→ c values > 8 strong evidence
BUT
→ ocular T gondii -specific Ig increased in experimentally inoculated healthy cats
and chronically infected cats by non-specific immune stimulation (c values > 1)
→ therefore the “c” value may not improve the positive predictive value (PPV) of testing for
T. gondii involvement in feline ocular disease
→ Intraocular T. gondii specific IgM may be a better marker for clinical disease
Molecular tests for T. gondii antigens or DNA in the aqueous humour assist in the diagnosis of T. gondii induced uveitis
Feline leukaemia virus (FeLV)
Initial testing for FeL V is usually performed using an “in-house” ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay) or ICGA
(immunochromatographic assay) to detect soluble protein (FeLV – p27) in the plasma or serum.
This indicates FeLV viral infection but does not distinguish transient or permanent viraemia.
A confirmatory test such as a dif ferent type of ELISA or ICGA testing kit or an IFA (immunofluorescent antibody assay) is
necessary to confirm the positive result.
A positive IFA detects FeLV p27 antigen within WBCs and is likely to signify permanent FeLV infection.
Testing should be repeated at 12 weeks to confirm a positive viraemia.
A direct causal link between FeLV and uveitis has not been established.
Therefore even in a persistently viraemic patient, direct causation between FeL V and feline uveitis cannot be assumed.
Ocular involvement in feline lymphoma is common and probably represents metastasis of neoplastic cells to the uveal tract
(haematogenously).
Feline immunodeficiency virus (FIV)
Causal link? - uveitis associated with FIV in both experimentally & naturally infected cats although direct causation not
proven
Proposed mechanisms: direct viral damage to tissue, immune mediated disease and predisposing to opportunistic infection
and a possible association with ocular lymphoma
As with FeLV, initial testing for FIV is usually performed using an “in-house” ELISA or ICGA to detect antibodies to FIV
in the serum.
Positive results need to be confirmed using an alternative testing methodology such as IFA or western blot (which also detect
antibodies to FIV) or PCR.
In one study all FIV -seropositive cats with uveitis were also seropositive for T. gondii emphasizing the need to screen for
multiple infectious agents.
CLINICAL CASE: 29 mo FE exotic – 2 wk hx of cloudiness affecting the right eye
FeLV ELISA “Snap®” test
TEST +
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Using an “in house” ELISA for the P27 antigen the patient tests + for FeLV.
Does this result mean the cat is persistently infected with FeLV?
…………………………………………………………………………………………………………………………………
Does serological evidence mean FeLV is the cause of the uveitis in this cat?
…………………………………………………………………………………………………………………………………
How would you confirm persistent infection in this case?
…………………………………………………………………………………………………………………………………
Using an “in house” ELISA for the P27 antigen the patient tests + for FeLV…
Does this result mean the cat is persistently infected with FeLV?
Initial serological testing for FeLV using an “in-house” ELISA or ICGA detect soluble protein (FeLV p27) in the plasma or
serum.
This does not distinguish between transient or permanent viraemia
Furthermore no test has a 100 % sensitivity and specificity , and the reliability of a test (i.e. its predictive value) decreases
as the prevalence of the disease in the population decreases.
Does serological evidence mean FeLV is the cause of the uveitis in this cat?
No - serological tests for infectious diseases indicate exposure (as may occur in healthy cats) to an infectious agent but do
not definitively establish a direct causal link between the infectious agent & uveitis in an individual cat.
Furthermore a direct causal link between FeLV and uveitis has not been established.
FeLV is reported to occur at a higher prevalence in cats with anterior uveitis suggesting some role in some of these cases
BUT FeLV replication within the uveal tract has not been demonstrated. Therefore even in a persistently viraemic patient,
direct causation between FeLV & feline uveitis cannot be assumed.
How would you confirm persistent infection in this case?
A confirmatory test such as a different type of ELISA or ICGA testing kit or an IFA (immunofluorescent antibody assay) is
necessary to confirm the positive result. (but this needs to be done after 6? Weeks between both to confirm infection, right?)
A positive IFA detects FeLV p27 antigen within WBCs and is likely to signify permanent FeLV infection
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•
Feline Herpes Virus (FHV)
In a study of naturally exposed cats, FHV-1 ocular antibody production was not detected in FHV-1 seropositive normal cats
In cats for which the cause of uveitis was unknown, 22 of 44 (50%) had FHV -1 C-values >1 documenting ocular antibody
production.
Recently, we have detected FHV -1 in 11 of 44 (25%) However , FHV-1 (one of 13; 7.8%), DNA can be detected by polymerase chain reaction in the aqueous humour of some healthy cats.
Thus, detection of organism DNA in aqueous humour does not always correlated to clinical disease.
Feline infectious peritonitis (FIP)
Diagnosis of FIP induced feline uveitis is hindered because serology does not distinguish between enteric and FIP-inducing
strains of feline coronavirus.
It is therefore important to interpret the serological findings in conjunction with other parameters to increase the accuracy of
testing.
In one report a combination of a coronavirus antibody titre >1:160, with concurrent lymphopaenia and hyper gammaglobulinaemia had a positive predictive value of 88.9% in cases with suspected systemic FIP .
Bartonella spp.
The cat is the major persistent reservoir host for numerous Bartonella spp including B. henselae and B. clarridgeiae. There
is increasing evidence that these agents may be involved with feline uveitis, but interpretation of serological findings is difficult due to the frequency of asymptomatic carriers (in one study 41% of cats were persistently bacteraemic but showed no
clinical signs). In the future testing for Bartonella spp antigens or DNA in the aqueous humour may potentially assist in the
diagnosis of feline bartonellosis.
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
•
When performing serological tests for infectious diseases it is important to remember that they indicate exposure to an infectious agent (as may occur in healthy cats) and therefore do not definitively establish a direct causal link between the infectious agent and uveitis in an individual cat. Furthermore no test has a 100 % sensitivity and specificity , and the reliability of
a test (i.e. its predictive value) decreases as the prevalence of the disease in the population decreases.
•
In many cases a causal relationship with an infectious agent is not established and immune mediated disease uveitiides are considered
•
Immune-mediated (including autoimmune) uveitiides, although probably common in cats (as in other species) are poorly
defined and are likely to represent a significant percentage of cases which are classified as idiopathic.
The diagnosis is largely one of exclusion.
In human medicine there are strong associations between an increasing numbers of uveitiides with specific MHC haplotypes;
responses to specific endogenous ocular antigens are now recognized to either initiate or perpetuate uveitis.
An example of this is cancer -associated retinopathy (CAR) in people, which is thought to be driven at least in part by antibodies against the retinal protein recoverin.
Feline uveitis may occur in association with non-ocular tumours and some of these may represent immune-mediated paraneoplastic uveitiides akin to the human CAR syndrome.
•
•
•
•
•
Treatment of uveitis: early - aggressive and prolonged treatment required
•
•
Medical
Symptomatic topical anti-inflammatory therapy instituted immediately even in those patients with suspected multisystem
disease
Even if a diagnosis of an infectious agent is eventually made initial anti-inflammatory treatment is still mandatory to save
the integrity of the eye
Failure to institute prompt therapy may result in numerous adverse sequelae of uveitis, including synechiae, cataract, glaucoma and phthisis bulbi.
Systemic therapy includes various combinations of anti-inflammatory , antimicrobial, and specific therapy as determined by
the multisystemic disease
Topical therapy alone may suffice for mild anterior uveitis, but for severe anterior uveitis and posterior uveitis, systemic th
erapy is also indicated
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Mydriatic-cycloplegic drugs
Parasympathetic agents such as atropine induce mydriasis, post synechiae & provide cycloplegia (relieving pain) n.b.more
frequent therapy may be required to induce cycloplegia compared to mydriasis - this explains why ciliary body spasm (pain)
may still exist after the pupil is dilated
Non-specific anti-inflammatory effect by stabilizing the blood—aqueous barrier , therefore reducing uveitis and facilitating
re-establishment of normal lOPs
In complicated uveitis cases they must be administered with caution because of chance producing SECONDAR Y GLAUCOMA
Mild uveitis may require therapy with atropine 1% once or twice daily , whereas more severe cases may require more frequent application (e.g., 4-6 times daily)
Atropine 1% ointment is the treatment of choice for cats
Side effects of frequent treatment with topical atropine may include decreased tear production, tachycardia, gut motility, &
the potential to precipitate acute glaucoma
Decreased tear production is a common side effect in the dog and is significant when ulcerative keratitis coexists with uveitis
10% phenylephrine can be used for recalcitrant cases when pupillary dilation is difficult to achieve especially if extensive
synechiae have formed
10% phenylephrine is not particularly ef fective in cats compared to dogs and may cause systemic toxicity
Scopolamine/phenylephrine solution (Murocoll2) may break fibrous adhesions and dilate pupils that are unresponsive to
atropine, because it combines the additive ef fects of parasympatholytic and sympathomimetic agents
Efficacy in domestic animals has not been consistently documented
Suppress Inflammation
Corticosteroids: TOPICALLY, SUBCONJUNCTIVALLY, SYSTEMICALLY
Increase cellular membrane integrity, inhibit lysozyme release / reduce the amount of exudate
Topical corticosteroids -are the primary therapy for patients with anterior uveitis, including those with suspected infectious
disease in an attempt to prevent the possible blinding sequels of uveitis (synechiae, cataract & glaucoma)
1% prednisolone acetate and 0.1% dexamethasone acetate penetrate are recommended as they penetrate the intact cornea
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better and are more potent than other steroid preparations
An initial application frequency of q 1 to 6 hours may be required with solutions
When being used longer term in small dogs (toy) and cats – e.g. prednisolone acetate 0.5% may reduce risk of adrenal axis
suppression
*Gentle shake suspension at least 20 times before use
*Elevate the nose ~ 2 minutes after application
Subconjunctival corticosteroids
May be administered in select cases as an adjunct to topical therapy
Triamcinolone acetonide (Vetalog), methylprednisolone acetate (Depo-Medrol), betamethasone (Betasone), and dexamethasone (Azium) may be used for subconjunctival injection
Subconjunctival injection in cases that cannot be treated routinely or chronic cases where treatment difficult or contraindicated
Systemic corticosteroids
Much greater caution is required before beginning systemic corticosteroid therapy (esp. when bacteraemia or systemic
mycoses are suspected)
Corneal ulceration is a contraindication to topical or subconjunctival steroid therapy , but not necessarily to systemic therapy
Start with high doses → e.g. prednisolone 2mg/kg SID – for SEVERE cases or
1 mg/kg for moderate cases and wean slowly as the inflammation subsides
•
NSAIDS
•
•
Topical NSAIDS:
When combined with corticosteroids their therapeutic ef fects are additive and combination therapy may be beneficial in
refractory cases.
NSAIDs that have been used topically on the eye include indomethacin (Indocid), flurbiprofen (Ocufen), suprofen (Profena)
and diclofenac (Voltarol)
Experimental study → 1% suspensions of each drug, the relative blood-aqueous barrier— stabilizing efficacy was:
diclofenac > flurbiprofen > suprofen
Experimental study using commercially available drug concentrations, the stabilizing efficacy was: 0.03% flurbiprofen >
0.1% diclofenac > 1 % suprofen
however, in both these studies, the anti-inflammatory ef fects of diclofenac and flurbiprofen were similar , and both drugs
would appear to be acceptable choices for clinical use in the dog
the indications and contraindications for topical NSAIDs are suggested to be similar to those for corticosteroids
flurbiprofen may delay corneal wound healing, but unlike corticosteroids, it does not appear to potentiate collagenase
activity
flurbiprofen has been safely used to treat eyes with concurrent uveitis and corneal ulceration BUT is contraindicated in animals with co-existing herpesvirus keratitis.
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Systemic NSAIDs:
NSAIDs → contraindicated when hyphaema or bleeding tendencies
Dog → aspirin dosages for uveitis are as high as 20 to 40 mg/kg two times a day , but 10 to 15 mg/kg orally two or three
times a day appears to be ef fective
Carprofen has been shown to be an ef fective at 2 mg/kg orally two times a day
Carpofen seems to have minimal ef fect on platelets compared with that of other NSAIDs but hepatotoxicity has been recognized, particularly in the Labrador retriever
Aspirin advocate by some as a good option for long-term management of uveitis
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Cats- 10 mg/kg orally every 52 hrs
Dogs- 10-25 mg/kg orally every 12 hrs
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
CLINICAL CASE: 29 mo FE exotic – 2 wk hx of cloudiness affecting the right eye
FeLV ELISA “Snap®” test
TEST +
Scenario 1: only anterior chamber signs are present
What medication would you prescribe at what dose and for how long?
…………………………………………………………………………………………………………………………………
What is the prognosis for the eye?
…………………………………………………………………………………………………………………………………
Scenario 2: vitritis is present and it is difficult to see the retina
What medication would you prescribe at what dose and for how long?
…………………………………………………………………………………………………………………………………
What is the prognosis for the eye?
…………………………………………………………………………………………………………………………………
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Immunosuppressive drugs
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Azathioprine (Imuran®)
Mainly in those cases unresponsive to conventional therapy .
Imuran® → most commonly used in therapy for uveodermatological syndrome in the dog
Frequent blood, platelet counts & liver enzyme determinations are recommended with initial therapy because of the potential hepatotoxic / myelosuppressive effects of this drug.
Initial dosage is 2mg/kg per day for 3 to 5 days, followed by reduction on the basis of blood parameters and response to therapy.
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Cyclosporine
Immunosuppressive agent that primarily affects T-lymphocyte functions.
The topical formulation has gained popularity for the treatment of external ocular diseases in the dog (e.g., keratoconjunctivitis sicca), but its relatively poor intraocular penetration after topical application
0.2% ophthalmic (Optimmune ®).
1 or 2% solution prepared in corn oil with the oral solution (Sandimmune ®)
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
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Systemic cyclosporine (Atopica ®)
can be used in order to control inflammation within the eye
cyclosporine inhibits the IL-2 that stimulates T lymphocytes and has been used as immunomodulator +/- anti-inflammatory
in dif ferent diseases such as: uveodermatologic syndrome, idiopathic uveitis, complicated uveitis post-phacoemulsification…
Should be used with caution in dogs with hepatic and renal disease
CsA metabolism is reduced (hence plasma concentration increase) with the use of ketoconazol and other izoles, cimetidine,
doxycycline…and also with the use of allopurinol.
•
Antimicrobial
•
•
Topical antimicrobial
antibiotics found in most ophthalmic preparations (i.e., aminoglycosides, bacitracin, polymyxin) do not penetrate the intact
cornea readily; therefore, they would have minimal benefit in therapy for bacterial-mediated uveitis.
Tetracycline may achieve therapeutic levels in the eye
chloramphenicol and many topical quinolone antibiotics (e.g. ofloxacin (Exocin ®)) penetrate the cornea well
•
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Systemic antimicrobial
may be indicated as prophylaxis or specific causative agent
the blood-aqueous barrier is normally impermeable to many antibiotics, but during active uveitis, the blood aqueous barrier
is compromised and drug permeability enhanced.
Some drugs penetrate the normal blood—aqueous barrier; these drugs are recommended for empirical therapy:
Amoxicillin
Trimethoprim/ sulfadiazine
Cephalosporin
Particular antibiotic may be indicated – for example…
→ doxycylcine for ehrlichiosis
→ clindamycin for azithromycin for toxoplasmosis
→ doxycycline and azithromycin for bartonellosis
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69° CONGRESSO INTERNAZIONALE MULTISALA SCIVAC
RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Eyelid Disease… Medical and Surgical Management
David Donaldson
BVSc (Hons) DipECVO MRCVS, Animal Health Trust, Newmarket, Suffolk, UK
•
•
•
•
differentiating patients with primary disease affecting the eyelids / periocular skin rather than surface ocular conditions (i. e.
affecting the cornea or conjunctiva) is often difficult
these conditions are often concurrent
part of the initial assessment should be aimed at determining if the condition is primarily an eyelid disease or an ocular with
secondary eyelid disease (i.e. allergic conjunctivitis leading to secondary trauma/ eyelid maceration etc), or
this distinction is not always obvious (generally the more severe the eyelid disease the more likely this is the primary disease process)
•
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•
Investigation of eyelid disorders & periocular skin disease
history
physical examination
dermatological examination
ophthalmological examination
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•
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•
diagnostic approach to eyelid disease
identify eyelid disorders causing mechanical irritation of the eye (conformational eyelid disorders, distichia, trichiasis etc)
search for parasites and dermatophytes
determine if eyelid infection is present
consider irritant / allergic disease last
biopsy eyelid when there is ulceration, mass lesions or persistence despite diagnostics/ treatments
•
diagnostic approach to eyelid disease
1. identify eyelid disorders causing mechanical irritation of the eye (conformational eyelid disorders, distichia,
trichiasis etc)
•
•
•
gross evaluation of the patient, once relaxed and without restraint
best to perform initial assessment on the floor
gross examination of the eye and adnexa
CASE 1: 5yo MN ECS discharging eye (OS)
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
CASE 2: 2yo ME G Dane disc harging eye (OS)
•
Diagnostic approach to eyelid disease
2. search for parasites and dermatophytes
•
tape strip cytology (Sellotape impression of the eyelid skin)
•
•
•
•
rapid evaluation of cells, bacteria and Malassezia on the periocular skin surface
clear adhesive tape* pressed onto af fected skin to gather squames and micro-or ganisms
stained with a small volume of methylene blue or Dif f Quik® stain on a microscope slide
examined at low power to identify areas where inflammatory cells may be present then high power under oil immersion to
look for micro-organisms and the inflammatory cells in more detail
*Scotch® tape: as some others dissolve or go cloudy in stains
more than 5 Malassezia per hpf: is often stated in text books as the magic number when they cause disease, but this is controversial– if there are lesions plus yeast present on cytology treatment should be considered
large numbers of bacteria especially if associated with PMN’ s (intracellular bacteria)
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•
•
152
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
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hair plucks
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assess for the presence of pruritus (trichogram) look for chewed or broken hairs
initial examination for demodex spp (LP) and dermatophyte arthrosprores (X 40)
rapid and easy to perform BUT false negative may occur
cases of suspected dermatophytosis or demodicosis should be followed up by fungal culture or skin scrapes respectively .
•
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skin scrapes
care around eye
guard blade to avoid serious injury if patient moves can also use the blunt end of the blade or a curette
useful for demodex spp: n.b. study indicates that they are as sensitive as skin scrapes if the hair plucks are performed over 1 cm 2
•
•
•
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•
fungal culture
may perform “in house” but carefully read instructions as non pathogenic fungi can also induce the colour change considered diagnostic
fungal growth with an appropriate appearance and the colour change must be seen simultaneously
cultures need to be checked daily
“McKenzie toothbrush technique” useful around the eye (any new toothbrush is mycologically sterile)
•
diagnostic approach to eyelid disease
3. determine if eyelid infection is present
•
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clinical appearance
sticky tape impression cytology: all cases
culture and sensitivity: esp. if rods present or failure to respond to appropriate antibiotic treatment
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
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diagnostic approach to eyelid disease
4. consider irritant / allergic disease last
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º
º
º
º
allergy work-up
history and clinical signs - may be suggestive
rule out other causes of pruritus & periocular excoriation
control secondary infections - treating for bacterial infection may improve but not resolve the condition
cytology
typically small plasma cells, lymphocytes and some eosinophils
typical mast cell & eosinophil populations seen in man not seen in domestic animals
conjunctival biopsy
may be useful in cases of suspected atopic blepharitis / conjunctivitis
biopsies reveal goblet cell production, eosinophil & mast cell infiltration and mononuclear infiltration (predominately T cell
subsets)
in man there can be extensive mast cell proliferation
elimination diet
atopic dermatitis (consider last as this is a diagnosis of exclusion)
intradermal tests
changing environment and making a link with environmental exposure
•
diagnostic approach to eyelid disease
º
º
º
º
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º
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5. biopsy eyelid when there is ulceration, mass lesions or persistence despite diagnostics/ treatments
•
•
•
biopsy
indicated when there is ulceration, mass lesions or persistence despite diagnostics/ treatments
biopsies including the lid margin if possible as this allows assessment of the mucocutaneous junction & meibomian glands
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
CASE 4: 5yo MN WHWT (Jammy Dodger)
discharging eye (OS) and periocular dermatopathy
CASE 5: 5yo MN X bred
discharging eye (OS) and periocular dermatopathy
• INVESTIGATION & MANAGEMENT OF EYELID DISORDERS & PERIOCULAR SKIN DISEASE
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•
anatomy and physiology
Meibomian glands are modified sebaceous glands that produce “meibum” a viscous oil/wax secretion
Zeiss glands are sebaceous glands associated with the cilia
Moll’s glands are modified epitrichial sweat glands associated with the cilia
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bacteria commonly isolated from the eyelid skin:
•
blepharitis / dermatitis
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•
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clinical signs
redness
oedema
hair loss
chronically – lichenification, hyperpigmentation and sometimes scarring
•
aetiology of eyelid disease
•
•
•
infections (bacterial, fungal (dermatophytes, Malassezia), viral)
parasites
allergic skin disease (cutaneous adverse food reactions, atopic dermatitis and contact dermatitis)
•
other
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•
•
•
•
immune mediated
neoplasms
endocrine
nutritional
idiopathic ……
•
•
•
LOCALIZED EYELID DISEASE
DIFFUSE EYLID DISEASE
MARGINAL EYELID DISEASE (see canine pre-corneal tear film disorders)
•
LOCALIZED EYELID DISEASE
•
inflammatory lesions
•
•
internal hordeolum
inflammation meibomian gland
•
•
external hordeolum
inflammation involving the gland of Zeiss or Moll
•
•
chalazion
chronic inspissation of meibomian gland with meibum
•
•
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treatment
early cases antibiotics and hot compresses
recalcitrant cases - excision or curettage
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neoplastic disease
primary eyelid tumours common in dogs- usually benign
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sebaceous gland tumours
melanomas
papillomas
account for approximately 80% eyelid neoplasms
•
•
•
treatment
excision with full thickness wedge resection usually curative
other eyelid plastic surgery techniques when more than a third of the eyelid mar gin is affected
º Staphylococcus intermedius (recently re-classified as Staphylococcus pseudintermedius)
º Staphylococci spp (coagulase-negative)
º Corynebacterium spp
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squamous cell carcinoma
adenocarcinoma
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treatment
excision + ancillary treatment (Sr 90 plesiotherapy or cryotherapy)
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DIFFUSE EYLID DISEASE
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bacterial pyoderma
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•
90% of superficial pyodermas are caused by Staphylococcus intermedius.
this is a gram positive coagulase positive Staphylococcus
primary pyodermas are rare and there is usually always an underlying cause for pyoderma
•
surface pyoderma
•
this is when the infection is limited to the stratum corneum and examples include: skin fold infection (intertrigo) or pyotraumatic dermatitis (hot spots)
•
•
•
•
•
intertrigo
typically seen in the brachycephalic breeds and the Sharpei due to their skin folds
pruritus, erythema, alopecia, greasy exudate within the fold.
facial rubbing especially when there is secondary infection
causes discomfort to the patient
•
•
•
•
•
•
pyotraumatic dermatitis
this is an exudative and extremely pruritic lesion, which usually occurs secondary to scratching around the eye
other causes can include: poor ventilation and skin humidity i.e the environment often created by skin folds
clinical signs: alopecia, erosion of the skin, intense pruritus
this may develop into a superficial folliculitis if not treated promptly
if satellite papules and pustules are seen in conjunction with thick crusting then this is a superficial pyoderma (see below)
•
•
•
•
treatment
identify the underlying problem
topical medications
aim of topical treatment is to remove debris and reduce bacterial load
•
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•
superficial pyoderma
this is when the infection involves the infundibular portion of the hair follicles and epidermis
bacterial folliculitis is the most common type seen around the eyes
clinical signs: erythema, papules, follicular pustules, crusting, patchy alopecia.
•
•
papules are the most commonly observed sign, although these may be difficult to visualize around the eye
common causes around the eyes: demodicosis, dermatophytosis. Exclude these by hair plucks and fungal cultures
•
•
•
•
treatment
topical therapy if possible
systemic antibiotics always required in addition to topical therapy
choose appropriate antibiotic: for example
– cefalexin 15-25mg/kg BID
– clindamycin (11mg/kg uid or 5.5mg/kg BID). This is not always a good choice for a recurrent infection as resistance can
develop
– potentiated sulphonamides
minimum of three weeks and one week beyond clinical resolution
•
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local treatments for blepharitis
warm compresses followed by eyelid scrubs
removes the eyelid debris, reduces the bacterial load and helps stabilize the tear film by releasing oily secretions from the
meibomian glands
warm compresses –
soak gauze swabs in water (warm as tolerable) -
placed on closed eyelids with gentle pressure for 5 minutes BID
eyelid scrubs Johnson’s baby shampoo – diluted one-to-one with water
applied to eyelid using a gauze swab wrapped around a finger or cotton
tipped applicator to gentle scrub the eyelids for 1 minute
soap flushed away using 1:50 povodine iodine solution (diluted in 0.9% saline solution)
topical steroid and antibiotic preparations
•
deep pyoderma
•
•
this is when the infection af fects the whole hair follicle, dermis and sometimes subcutis
sometimes furunculosis (the rupture of a hair follicle) is seen which can be seen as a progression of superficial pyoderma, or
secondary to demodicosis and dermatophytosis
clinical signs: ulcerative crusted lesions, swelling, purulent to haemorrhagic exudate
PAIN!
the causal agent and antibiotic sensitivity is not as predictable in deep pyoderma as in cases with superficial pyoderma and
so culture and sensitivity should be performed, especially if rods are present on cytology
•
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treatment
identify underlying cause
systemic antibiotics
extended course and continued at least 2 weeks beyond complete clinical cure
suitable antibiotics include:
– cephalexin (15-25 mg/kg bid)
– amoxicillin and clavulanic acid
– fluoroquinolones
n.b. fluoroquinolones should be reserved for cases in which there is a clear indication for their use following bacteriology
and/or cytology (with involvement of Gram – rods being demonstrated)
topical treatment is also useful
sometimes analgesia may be required if the patient is very painful: NSAIDS, Tramadol can be useful
•
chronic bacterial blepharitis
•
•
Staphylococcus spp. and their toxins implicated in most cases of canine bacterial blepharitis
both topical and systemic treatment may be required
•
demodicosis
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Demodex canis
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this is a cigar shaped mite with 4 pairs of short stubby legs and a long abdomen
long and short forms of the mite are reported
the entire life cycle is spent on the skin
transmission appears to occur from the bitch to her pups
predisposition: certain breeds appear to be more at risk of developing demodicosis: West Highland White Terrier, Shar Pei
small numbers of the mite are present in normal canine skin and hair follicles.
demodicosis is a skin disease caused by excessive proliferation of these mites.
it is unknown why in some cases this mite proliferates excessively to cause skin disease, but it is suspected that the condition is linked to an immunodeficiency
•
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adult dogs that develop demodicosis often have an underlying neoplastic condition, endocrinopathy and/or are receiving
immunosuppressive therapy
there are 2 forms of the disease:
localized demodicosis
generalised demodicosis
the generalised disease can also be classified according to the age of onset
•
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localised demodicosis:
can develop at any age, but is often seen in young animals
most cases will spontaneously resolve without any treatment
alopecia, erythema and scaling are most commonly seen
NON-PRUITIC – unless secondarily infected
face especially around the eyes are commonly af fected
rarely spreads to become generalized
•
generalised demodicosis
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juvenile onset
between 3 – 18 months old
multiple areas of alopecia, erythema, scaling, crusting, hyperpigmentation.
often have secondary infection
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adult onset
over 4 years of age
usually dog has underlying problem: neoplasia, endocrinopathy, or is receiving immunosuppressive treatment
poor prognosis
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diagnosis
skin scrape
hair plucks – much easier to perform around the eyes. Mount hairs on liquid paraffin and examine under low power
you should be able to identify eggs (lemon shaped), juvenile and adult forms of the mites
finding one adult may not be significant
•
•
treatment
most are non-pruritic but bacterial infection & self-trauma may create moist, erythematous lesions, antibiotic treatment is
often required
•
•
AVOID STEROIDS! even if they are itchy
localized demodicosis: does not usually require acaricidal treatment as they will spontaneously regress, but should be monitored closely
generalised demodicosis
require acaricidal treatment
amitrax (ALUDEX) and Advocate are the only licensed products in the UK.
treatment course is long and should be continued until 2 negative scrapes/ plucks are obtained 4 weeks apart
the animal is only classed as cured if it remains free of disease for 12 months
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dermatophytosis
Microsporum canis is the most commonly isolated dermatophyte from dogs and cats
in dogs other species of Dermatophyte may also be isolated. For example Trichophyton mentagrophytes and Microsporum
gypseum & M.persicolor.
highly contagious disease
young animals are particularly at risk
zoonosis
clinical signs:
areas of alopecia (often circular) +/- erythema and scale.
folliculitis
can be diffuse hair loss
in cats the lesions are so variable with dermatophytosis that a fungal culture should form the baseline of any investigation
for skin disease
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diagnosis
Wood’s Lamp examination
NB only 50% of Microsporum canis isolates will fluoresce, so it can’ t be used to rule out dermatophytosis.
false positives are often seen: topical treatments and scale will often fluoresce
MUST SEE FLUORESCENCE OF THE HAIR SHAFT , it will be bright and apple green in colour
the wood’s lamp must warm up for 10 minutes before the examination, otherwise it will not emit the correct frequency of
light to cause fluorescence
positive hairs can then be plucked for fungal culture
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trichogram
arthrospores can be seen on the hair shaft under direct microscopy with some species of dermatophyte.
arthrospores are evident under high power, to the experienced clinician.
•
•
fungal culture
can use the McKenzie tooth brush technique. This is especially useful for sample around the eye. Brush the af fected area
with a clean and unopened or sterilized toothbrush, then submit this to the lab for culture
hair plucks for fungal culture
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treatment
a combination of topical and systemic treatment is best.
topical treatment will hasten resolution of clinical signs and reduce environmental contamination.
miconazole: chlorhexidine (Malaseb ®) containing shampoo is useful and licensed as an adjunctive treatment for dermatophytosis. Use with care around the eyes
enilconazole (Imaverol®); licensed for use in dogs as a topical treatment
systemic treatment:
Itraconazole (Itrafungol®) is licensed for use in cats.
no systemic anti-fungal agents are licensed for use in the dog: ketoconazole and itraconazole can be used
•
Malassezia dermatitis
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Malassezia pachydermatis - most commonly isolated species from canine skin
Malassezia is rarely seen in cats
it is a single cell yeast with a thick cell wall
on cytological preparations they often appear to be a snowman or peanut shape, because they are often budding
certain breeds are predisposed to Malassezia dermatitis: Bassett hounds, WHWT, Cocker spaniels, English setters
•
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clinical signs: pruritus, erythema and greasy exudate on the skin, if the problem is chronic then lichenification, hyperpigmentation and alopecia may be seen
this is a common problem af fecting the ears, muzzle and is often in facial folds
try to identify and underlying cause
•
diagnosis: cytology from affected areas
•
treatment: there are many licensed antifungal preparations available, but as these products may potentially damage the eye
Canesten® cream is the preferred treatment option in this area
in severe cases systemic anti-fungal therapy may need to be considered with itraconazole and ketoconazole, although currently there is no licensed systemic anti-fungal agent for dogs
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canine juvenile cellulitis
synonyms: juvenile pyoderma, puppy strangles
this is an uncommon granulomatous disorder af fecting the face, pinnae and submandibular lymph nodes of puppies
cause: unknown, but the response to glucorticoids, negative cultures and failure to identify causal agents on histopathology
suggests an underlying immune dysfunction
usually affects young puppies 3-16 weeks, but adult onset cases have been reported
clinical signs: acute onset swelling of the face, especially the eyelids and muzzle
many start with localised conjunctivitis and blepharitis
marked submandibular lymphadenopathy
within 48 hours the dogs develop pustules and papules on the face and especially the peri-ocular area. The lesions will then
progress to fistula.
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this is a painful condition, but is not generally pruritic
addition signs: pyrexia, anorexia, lethargy, joint pain in some cases
lesions may also be seen on the trunk
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diagnosis
differential diagnoses include: angioedema (early stages), cutaneous adverse drug reaction, staphylococcal infection, demodicosis
cytology from purulent exudate reveals pyogranulomatous inflammation with no evidence of microor ganisms
clinical signs are very suggestive
negative tissue culture
biopsy
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treatment
early and aggressive treatment is required to minimise scarring
immunosuppressive doses of corticosteroids prednisolone (2 mg/kg daily initially) normally at least 14 days of treatment. If
the case is severe and there are trunk lesions longer courses of treatment may be required.
if there is cytological evidence of infection then antibiotics should also be given simultaneously .
this condition generally has a good prognosis although some cases will be left with scarring.
allergic blepharitis and conjunctivitis
may be associated with cutaneous adverse food reaction or atopic dermatitis
difficult to determine if conjunctivitis is caused by primary aller gic disease or is secondary to trauma associated with facial
or eyelid pruritus
IgE was rarely found in tear samples from atopic dogs with suspected “aller gic conjunctivitis”
atopic blepharitis and conjunctivitis
atopy - inherited predisposition to develop a type 1 hypersensitivity (immediate) to environmental aller gens
immediate - type 1 hypersensitivity reaction - mediated by IgE
allergens absorbed percutaneously and bound to epidermal Langerhan’ s cells (LC’ s) are APC’s- antigen presenting cells,
which present allergen to T lymphocytes
this leads to activation of Th2 cells that secrete cytokines favouring the production of allergen specific IgE which are bound
to the surface of circulating basophils and tissue mast cells.
When aller gen crosslinks the surface bound IgE antibodies degranulation of the cells occurs with subsequent release of
inflammatory mediators.
results in overall increased numbers of mast cells, LC’ s coated with IgE and CD4+ T cells (perivascular distribution),
increasing sensitivity to antigen dramatically (1000 X)
clinically
variable severity
conjunctivitis - chemosis/ serous ocular dischar ge/ conj. follicle formation
blepharitis - eyelid erythema / excoriation / secondary bacteria infection with Staphylococcus spp. most commonly isolated
Score for discomfort
Score 1.
Score 2.
Score 3.
Score 4.
Score 5.
•
•
no apparent ocular discomfort
occasional slight rubbing, no blepharospasm
frequent rubbing, occasional blepharospasm
frequent rubbing, blepharospasm, increased blink
(ƒ >20/min)
constant blepharospasm
treatment
whichever the cause, topical steroids, NSAIDs and antihistamines have been used with some success when used locally
whilst many dogs will improve when the skin disease is treated through the traditional means of aller
gen avoidance and
reduction of inflammation using medication and/or aller gen injection immunotherapy
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avoiding and reducing offending antigens
desensitization (immunotherapy)
pharmacological modification
the use of topical antihistamines combined with weak sympathomimetic decongestants may provide symptomatic relief
pheniramine/napthazoline (Naphcon-A®)
topical weak corticosteroids
prednisolone acetate 0.5 % (Predsol ® drops)
betamethasone sodium phosphate 0.1% (Betnesol ® Eye Drops)
mast cell stabilisers
used extensively in people for forms of aller gic conjunctivitis to prevent mast cell degranulation
mast cells not thought to play as major a role in aller gic reactions in animals’ eyes
NSAID’s
ketorolac – (Acular ®)
•
immune mediated disease
•
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pemphigus foliaceus
pemphigus erythematosus
pemphigus vulgaris
will cause various clinical signs including: crusting, ulceration, erosion, erythema, pustules and vesicles.
region is often affected
bullous pemphigoid
SLE
uveodermatological syndrome
canine familial dermatomyositis
medial canthal ulcerative blepharitis
•
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•
The periocular
•
diagnosis is based on clinical signs, response to treatment, cytology and histopathology often now supported by immunohistopathology
•
most reliable results are obtained if biopsies are obtained after an appropriate antibiotics to clear secondary bacterial infe ctions – the pathology associated with chronic secondary pyoderma can complicate the interpretation of the histopathology .
•
treatment is based on the use of immunosuppressive doses of steroids, azathioprine or ciclosporine
•
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medial canthal ulcerative blepharitis
breed predisposition: GSD, LH dachshund, poodle (toy and miniature)
usually bilateral
histopathology reveals lymphoplasmacytic infiltrates
usually responsive to topical steroids which may be needed long term
•
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deep bacterial pyoderma can have a similar appearance
histopathology (± bacteriology) – to establish if pyoderma is present
non responsive to antibiotic therapy if medial canthal ulcerative blepharitis
•
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zinc responsive dermatosis
zinc responsive dermatosis presents as alopecia, scale, erythema in the periocular area, but the extremities can also be af fected.
there are 2 syndromes:
– syndrome 1: occurs in northern breed dogs such as the Siberian Husky and Alaskan Malamute. in this syndrome the deficiency is a genetic defect which leads to decreased absorption of zinc from the gastrointestinal tract
– syndrome 2: this is less common and occurs usually in lar ge breed puppies. This is usually due to reduced zinc bioavailablity. Excessive calcium supplementation in lar ge breeds affects zinc absorption as do diets high in cereals.
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secondary skin infection is common
treatment
correct dietary problems if present
zinc supplementation
essential fatty acid supplementation.
treat bacterial infection
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Investigation & management of structural eyelid disorders
Eyelid anatomy
The eyelids are formed by two laminae. The anterior lamina consists of the skin and a muscle layer principally containing the
orbicularis oculi muscle, which is responsible for eyelid closure.The posterior lamina consists of the fibrous layer, which gives
the eyelid its support and the innermost conjunctiva. In people the fibrous layer is dense and referred to as the tarsal plate o r
tarsus. This structure is poorly developed in the dog and as such the eyelid lacks the same degree of rigid mechanical support
as is evident in people. The tarsal or meibomian glands lie within the fibrous tarsus and open onto the eyelid mar gin at the
“gray line”.
The orbicularis oculi muscle encircles the globe in concentric bands and is responsible for eyelid closure. The opening of the
normal palpebral fissure is not circular but ovoid due to the lateral and medial forces on the eyelids as illustrated below . The
support for the eyelids is provided by the medial and lateral canthal ligaments, orbital septum and the retractor oculi angular is
muscle in the dog. The medial canthal ligament is generally well formed, providing good support for the medial canthus, and
preventing excessive lateral movement. In contrast the lateral canthal stability is much more variable and often poorly support ed. The lateral canthus is supported by the lateral canthal ligament and by the lateral retractor anguli oculi muscle. The lateral
retractor anguli oculi muscle lies extends from the crest of the zygomatic arch to the lateral part of the orbicularis ocular m uscle. Deep to this muscle the poorly formed lateral canthal ligament extends from the lateral canthus to the orbital ligament.
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Entropion
Entropion is an eyelid malposition in which the eyelid margin is rolled in and subsequently contacts the ocular surface. In dog s
most entropion is developmental and associated with conformational defects in purebred dogs. Given the extreme variation in
the range of canine head conformations it is not surprising that the specific anatomical features leading to entropion in a part icular case are so varied. Understanding the evolution of the disease is central to correcting the many variants of the disease s een
in the dog.
A simplistic but useful way to consider eyelid conformation in the dog is to view the globe and eyelid as a unit in which the
globe “supports” the eyelids, holding them in the correct position. The globe needs to be of the correct size and position to support the eyelids. This is particularly true for dogs in which the eyelid lacks significant internal support in the form of the w ell
developed rigid tarsal plate. In contrast the poorly formed tarsus of the dog of fers little support leaving the eyelid rather “ floppy”. It is understandable that if the globe is too small or set too far back in the orbit (enophthalmos) the eyelids will not b e adequately supported. There will as a result be a tendency for the lower eyelid mar gin to rotate inwards over the orbital rim and
contact the globe at an abnormal angle.
In dogs with normal conformation the eyelids lie “flat” against the surface on the globe with the meibomian gland openings at
the leading edge of the eyelid being visible; in this situation there is no entropion. When considering the anatomical position ing (between globe and eyelids) it is evident that many clinically normal dogs have some degree of entropion. In breeds such as
the Chow Chow and Shar Pei the lower eyelid is often positioned at 90 degrees to the surface of the globe. Although clinically
inapparent these dog has a 90 degree entropion.
If the globe is normal size and position then the defective anatomical positioning of the eyelid may be the result of eyelids w
hich
are too long or short, poorly supported (the medial and lateral canthal ligaments), or due to the overwhelming af fects of excessive facial skin. Given the number of variables involved clinicians need a logical approach to the assessment of entropion cases. This allows the surgeon to choose corrective procedures, which address the specific factors leading to entropion in an individual patient.
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The following steps are a guide with regards to the approach to an individual case.
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Globe size and the degree of exophthalmos or enophthalmos
Eyelid length
Lateral canthal laxity
Relation of lateral canthus to the insertion of the lateral canthal ligament
Effects of facial skin on eyelid position
Globe size and degree of exophthalmos or enophthalmos
The average axial length of the canine globe is approximately 19 to 21 mm with B scan ultrasound. Microphthalmia may be
secondary to the arrest of development of the eye at various stages of growth of the embryonic optic vesicle. Interestingly
in some breeds such as collies and the Shetland sheep dog there seems to have been selection towards smaller eyes. In contrast numerous inherited microphthalmic syndromes have been described in purebred dogs. Microphthalmia in these cases
is invariable associated with multiple ocular defects (MOD) which may include cataract, colobomas (lack of ocular tissues
e.g. eyelid, iris and sclera), and retinal dysplasia (retinal folds/detachment). Reduction in globe size may also be acquired
(phthisis bulbi) and usually is the sequel to chronic intraocular inflammation or following severe trauma
Enophthalmos may be primary (i.e. developmental/conformation) or follow orbital disease including… Conformational
enophthalmos is often present in breeds with lar ge broad skulls such as the mastif f breeds, St Bernard, Newfoundland and
Rottweiler with large orbital spaces. The globe tends to relatively enophthalmic in these dogs, being positioned more posterior relative to the orbital rim. In some dolichocephalic breeds such as the Doberman pinscher and collies conformational
entropion may also be seen. These dogs often have protrusion of the third eyelid and a “pocket syndrome” in which mucous
and debris from the tear film tends to accumulate at the medial canthii, which may predispose to recurrent conjunctivitis.
•
•
•
In dogs with microphthalmia or conformation enophthalmos the globe is either too small or posterior to support the eyelids
properly. Although there is no specific treatment for microphthalmia or conformational enophthalmos, recognition of their
contribution to entropion is important. In both instances the eyelids are poorly supported by the globe and subsequently
become inverted towards the globe. Whether or not this leads to clinical problems is dependant upon the degree of inversion
and whether or not eyelid cilia are secondarily contacting the cornea.
•
Surgical correction in these cases involves resection of the anterior lamella of the eyelid to induce outward rotation of the
eyelid margin. This is challenging to correct without exposing the ventral conjunctival sac, which may predispose to ongoing conjunctival inflammation or be considered cosmetically unacceptable by the owners.
•
Surgical options: Hotz-Celsus procedure
•
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Exophthalmos is commonly seen in brachycephalic dogs that have shallow orbits.
The relatively anterior position of the globe creates many problems for eyelid function.
This tight apposition of the globe and medial lower eyelid leads to functional problems relating to tear drainage.
Close observation of the completeness of blinking in these breeds often reveals that complete eyelid closure is infrequent or non existent (lagophthamos).
The medial canthus is relatively fixed by the medial canthal tendon so as the medial eyelids are displaced anteriorly by
the globe the tension on the medial eyelids becomes directed posteriorly i.e. in the direction of the bony medial orbital
rim.
This abnormal force vector results in involution or the medial canthus and in-rolling of the medial lower eyelid which
is invariable in brachycephalics.
This leads to the common exposure related corneal pathology seen in these breeds with pigmentation and vascular keratitis often extending from the medial cornea towards the corneal axis.
It is important to ask owner to observe whether or not eyelid closure occurs during when the dog is asleep as this may
not be complete in dogs with more severe degrees of brachycephalia.
Surgical treatments attempt to address the medial canthal entropion, medial lower lid entropion and other disorders
encountered in brachycephalic dogs including lagophthalmos, hairy caruncle, nasal skin fold trichiasis and functional
nasolacrimal system obstruction will be dealt with in the section
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Eyelid length
• assess eyelid length: normal length to 33-35 mm
•
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Surgical options:
surgeries to shorten lids normally involve lateral canthus (less complicated – avoid lacrimal ducts / third eyelid)
– simple wedge excision
– Kuhnt – Szymanowsky technique- modified by blastovics: further modified by Fox and Smith – described in the dig by
Munger and Carter
Lateral canthal laxity
• The medial canthus of the dog is typically firmly fixed by the medial canthal ligament to the medial bony orbital rim. This
is readily appreciated by attempting to pull the lower eyelid laterally from the medial canthus; the medial canthus will normally not displace more than several millimeters laterally .
• In contrast the lateral canthal stability is much more variable and often poorly supported. The lateral canthus is supported by
the lateral canthal ligament which extends from the lateral canthus to the orbital ligament and by the lateral retractor anguli
oculi muscle. Without this support the opening between the eyelids (palpebral fissure) is not drawn into the normal ovoid
shape
•
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Surgery in these cases involves creation of addition lateral canthal support.
Surgical options:
Wyman’s lateral canthoplasty
Lateral canthoplasty with suture
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•
Relation of lateral canthus to the insertion of the lateral canthal ligament
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Assessment should be made as to whether or not there is involution (inward rolling) of the lateral canthus.
The lateral canthus should be visible as illustrated below
•
Cases of mild lateral canthal involution can easily be overlooked on cursory inspection. In such cases the presence of involution may only become fully apparent when the lateral canthus is “rolled out” so the true junction of the upper and lower
eyelids can be visualized.
When considering the pathogenesis of lateral canthal involution the direction of lateral canthal tension that is acting on the
lateral canthus needs to be considered. Ideally the lateral canthus should be “pulled” in the same plane as the eyelids.
•
•
•
•
Along with conformational enophthalmos, breeds with large broad based skulls such as the Rottweiler and Golden retriever
may also be predisposed to lateral canthal involution. This may be explained by the abnormal force vectors placed on the
lateral canthus as examined in the anatomical studies performed by Robertson 1991
Assessment is made by palpating the orbital ligament and assessing its relationship to the lateral canthus in the conscious
patient.
Surgical options:
– Robertson’s lateral canthal tendonectomy
– Arrowhead modification of the Hotz-Celsus procedure
– Wyman’s lateral canthoplasty
– Lateral canthoplasty with suture
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Effects of facial skin on eyelid position
Surgical assessment
Assess for the presence or absence of entropion
• Close observation
• Inducible entropion
Close observation: the patient is viewed with good illumination without restraint at the start of the examination.This can be time
consuming and frustrating especially in unruly or excitable patients. It is important to assess the patient with the head and n eck
in different degrees of flexion and extension. This is particularly important for patients with excessive loose facial skin, whi ch
may only induce entropion when the head and neck is flexed and the head down leading to the rostral sliding of the skin of the
head. Having the patient on the table and viewing the eyes from below , as the head is lowers can help with this assessment
If the dog is uncomfortable local anaesthesia drops should be instilled over a few minutes to remove the “spastic” component
to the entropion, allowing a more accurate assessment of the degree of anatomical entropion.
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Inducible entropion: In some cases a history of intermittent ocular discomfort (blepharospasm, epiphora, facial rubbing
and sometimes corneal ulceration) is present but no mechanical cause for the irritation can be identified. These are often
unilateral and are associated with excessive periocular tear staining or secondary blepharitis due to chronic skin maceration
and trauma. Pigmented skin at the eyelid margin may also have a whitish appearance due to hydration of the skin and depigmentation in the region of the entropion. To confirm the presence of inducible entropion the lower eyelid is pinched approximately 1 cm from the eyelid margin and gentle pulled up causing the eyelid margin to roll onto the surface of the eye.When
released a normal eyelid will self correct within several blinks but patients suf fering inducible entropion will not auto-correct with the eyelid remaining inwardly rolled and obvious ocular irritation. If the entropion does not correct itself within 3
to 4 blinks the entropion would be reversed by once again pinching the skin of the lower eyelid and manipulating the tissue
so the eyelid margin is outwardly rolled.
General Surgery tips
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Measure the eyelid with skin under minimal tension and mark with sur gical pen. If measurements are used at sur gery
when skin stretched across the lid plate (i.e. eyelid skin is very elastic) this leads to inaccuracies in the assessment of
the amount of skin to be excised
Realistic outcomes – there is a pressure or expectation that the entropion sur gery should correct the defects at one surgery. This is often unrealistic as the entropion may be complex and involve multiple – needing multiple surgeries. Furthermore there may be pressure not to char ge the appearance of the dog – in which the facial folds and excessive skin
are primary to the pathogenesis of the problems
Use the simplest surgical procedure to address the factors contributing to the entropion. In reality a combination of several simple procedures will allow satisfactory outcomes in the majority of entropion cases.
Treat eyelid surgery as microsurgery- use magnification and appropriate instruments. Be fastidious in your attention to
haemostasis, tissue handling and apposition of wounds
Stabilize lid with finger inserted under lid – the finger is inserted into the conjunctival sac (fornix) holding the eyelid
completely taunt. Alternatively a Jaeger lid plate may be used.
When you do this you tend to loose your bearings i.e. where was the entropion centred? – where will my first incision
be? – to overcome this let the lid go and observe it in a relaxed fashion – this is when you want to mark the eyelid to
delineate your first incision e.g. for a Celsus Hotz procedure mark the incision close to the eyelid mar
gin – make a small
skin “nick” with a No. 15 blade at the ends of the proposed incision and in the middle.
Surgical procedures
Depending on the anatomical components contributing to the entropion an appropriate sur gical plan can be made. Various scenarios will be considered along with the recommended sur gical interventions. It will become apparent that many permutations
of commonly used surgical techniques can be adapted to correct eyelid function in the vast majority of entropion cases.
Entropion secondary to microphthalmia or conformational enophthalmos
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•
•
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•
The pathophysiological mechanisms leading to the entropion involves a lack of adequate eyelid support by a globe, which
is too small or located to posterior to the eyelids.
The globe position and size cannot be altered so correction of the entropion relies on eyelid eversion.
The Hotz-Celsus procedure is the most commonly performed sur gery for this form of entropion.
Determining the amount of skin to be removed is critical to the success of the sur gery
Ideally this should be performed without sedation and on multiple occasions (admitting the patient the day before sur gery
allows multiple assessments to be made without the time restrains present during clinics)
The following technique is recommended:
So dog’s head is restrained with a hand under the chin minimizing any tension on the facial skin
A finger is placed on the inverted eyelid 2 mm away from the surface of the eye.
The eyelid is then gentle everted so the eyelid mar gin is visible (the eyelid skin is very elastic and excessive tension durin g
eversion will lead to stretching of the eyelid skin and subsequent over -estimation of the amount of skin which needs to be
removed)
The distance from the finger tip to the eyelid mar gin is measured
The amount of skin to be removed will equal to this measurement minus 2 mm
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•
Hotz-Celsus procedure – surgical tips
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Get these as close as possible to the eyelid mar gin (i.e. <3mm) you only need enough space between the incision and the
eyelid margin to place your sutures – and these will only be between 1-2 mm form the wound mar gin.
Once these localizing nicks are made get the finger back in place so the eyelid is taunt and immobile- then joint the incisions- just go through the skin – no need to take muscle. This is the critical part of sur gery (most of these fail because the
initial incision is to far from the eyelid mar gin) - the rest in more standard – use the finger under the lid to taunt it for th e
second incision which is elliptical and joins the ends of the first incision usually ~ 3-4 mm at widest point depending on
severity of entropion.
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Sutures – the first should be placed in middle of sur gical wound. Use 6-0 Vicryl® or similar – I usually cut these flush with
skin at 10 days rather than worrying too much about removal
Use split thickness cutaneous sutures- better apposition ~ 1-2 mm from wound edge passing through he epidermal-dermal
junction
In dogs where u are concerned about blepharospasm post op (e.g. ulcerated painful eyes or certain breeds such as the Rottweiler then a few temporary tacking sutures which will be left in place for about a week can be very ef fective
If there is a lot of eye pain / spasm after sur gery this will be still encouraging spastic changes so use topical lubricants- Viscotears® frequently – maybe systemic NSAIDS and even a couple of doses of Ophthaine ® for first 24 hrs (but no more)
•
Clinical case: 6 m red setter with entropion af fecting the lower eyelid
•
A finger onto the lower eyelid 2 mm from the surface of the eye. The finger should be centered on the area of greatest eyelid inversion, which in this case represents the centre of the eyelids. This takes a great deal of patience as the dog’ s protective reflexes will try and avoid such contact. Approaching from a ventral position will assist achieving this. This finger is
held against the eyelid in this position. Note in this figure the finger appears greater than 2 mm away from the surface of the
globe, which reflects the passive eversion of the eyelid due to the pressure of holding the eyelid in this position.
• appearance following gentle eversion of the eyelid.
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Quando il caso clinico diventa una sfida
Cristian Falzone
Med Vet, Dipl ECVN, Hertfordshire, UK
Come neurologi veterinari ci troviamo non di rado a dover
affrontare casi clinici complessi, che talvolta rappresentano
delle vere e proprie sfide. Quest’ultime possono giocarsi sul
piano puramente clinico, ma anche diagnostico e quindi
terapeutico.
Localizzare il problema con l’esame clinico-neurologico è
di fondamentale importanza, in primis per poter definire la
lista delle diagnosi dif ferenziali e quindi per decidere quale
delle indagini collaterali è più indicata. In generale, pazienti
con difficili/dubbie localizzazioni del problema neurologico
sono: 1)pazienti con sintomatologia neurologica comune e/o
simile a diverse aree del sistema nervoso, 2)pazienti con sintomatologia episodica e 3) pazienti non cooperativi. Nel caso
di pazienti poco trattabili o aggressivi, l’esame neurologico si
limita alla sola osservazione, che diviene pertanto di cruciale
importanza: un’attenta valutazione di postura, andatura e
comportamento può già da sola suggerire una localizzazione
del problema al sistema nervoso, dif ferenziare tra periferico
e centrale, spinale e intracranico, toracolombare e cervicale,
indirizzando infine la scelta di successive indagini diagnostiche. Nei gatti più frequentemente che nei cani, l’osservazione è talvolta l’unica cosa su cui è possibile ipotizzare una
neuro-localizzazione e definire l’iter diagnostico.
Le cose si complicano ancor più in tutti quei pazienti con
sintomatologia episodica. In tali soggetti l’esame neurologico è molto spesso nella norma al momento della visita clinica e l’unico elemento su cui formulare l’iter diagnostico e/o
la diagnosi rimane unicamente l’anamnesi, che per tale
motivo deve essere quanto più scrupolosa e dettagliata. In
queste circostanze è fondamentale, quando possibile, ricreare le condizioni che possano scatenare tali eventi parossistici o richiedere al proprietario di filmarli. Grazie ai filmati si
può in primis stabilire se realmente si tratta di un problema
neurologico, quindi si possono mettere in evidenza sintomi,
che potrebbero altrimenti sfuggire al proprietario. Infine, il
video può essere condiviso ed inviato ad altri colleghi per
raccogliere ulteriori opinioni.
Quanto ai casi con sintomatologia dubbia, è sufficiente
pensare a quei pazienti con interessamento multifocale del
sistema nervoso, centrale e/o periferico. In questi casi la
localizzazione clinica del problema può essere particolarmente difficoltosa e dobbiamo ricorrere agli esami collaterali, i quali possono fornirci elementi utili per la localizzazione e la diagnosi corrette.
Le metodiche diagnostiche di cui disponiamo attualmente
in neurologia veterinaria sono molteplici ed all’avanguardia.
Nei “casi sfida” può essere necessario eseguire anche più di
un test per il raggiungimento della corretta diagnosi (es.,
risonanza magnetica, elettromiografia, esame del liquido
cefalorachidiano, ecc.); ciononostante, alcuni casi possono
rimanere irrisolti. In quest’ultima evenienza, la risposta ad
una determinata terapia potrebbe indirettamente aiutare nel
raggiungimento di una diagnosi di sospetto. Va comunque
aggiunto che in neurologia veterinaria mancano talvolta
linee guida comuni nella scelta della terapia: ciò contribuisce potenzialmente a rendere ancor più problematico l’approccio al “caso sfida” (terapia medica vs terapia chirurgica,
quale terapia medica, quale terapia chirur gica ecc.).
Verranno presentati diversi casi clinici con esami neurologici e/o indagini diagnostiche (es., Risonanza Magnetica) di
dubbia/articolata interpretazione, come spunto di discussione e riflessione. Si riportano di seguito alcuni casi a scopo
esemplificativo:
1) Luna, Cavalier King Charles Spaniel (CKCS) femmina
di quasi 2 anni, veniva riferita alla nostra attenzione per episodica incapacità a camminare, presente da circa 4 mesi.Tali
episodi duravano da qualche minuto fino anche a mezz’ora,
con frequenza in progressivo peggioramento: 2-3 episodi al
giorno, 3-5 giorni alla settimana, al momento della visita.
Luna era altresì normale lontano da questi episodi. In anamnesi remota non si segnalavano altre alterazioni significative
ed il collega riferente aveva eseguito in più di un’occasione
esami di laboratorio completi (esami sangue ed urine), che si
erano rivelati sempre nei limiti della norma. Sospettando crisi algiche o di tipo epilettiforme, erano state prescritte in precedenza terapie con farmaci anti-infiammatori non steroidei
e quindi con Fenobarbital, con scarsi/nulli risultati. Al
momento dell’esame neurologico non si riscontravano particolari deficit. Si ponevano pertanto in diagnosi dif ferenziale
crisi di tipo epilettico o più verosimilmente, disturbi parossistici motori, quali l’ipertonicità del CKCS e si suggeriva al
proprietario di filmare tali episodi, consideratane anche l’elevata frequenza. Il video fornitoci dalla proprietaria rilevava una rapida/progressiva incapacità a camminare sulle 4
zampe, con rigidità diffusa, evidente soprattutto a carico delle zampe posteriori; le zampe anteriori venivano spesso portate al di sopra della testa. La schiena risultava arcuata e lo
stato del sensorio era inalterato.
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Sulla base di tali sintomi si emetteva diagnosi di sospetto
di ipertonicità del CKCS, anche nota come iperexplexia o
più comunemente come sindrome da caduta episodica. Tale
disturbo si pensa abbia base genetica ed è stato riportato in
soggetti di età variabile tra pochi mesi e pochi anni, anche se
di solito i primi sintomi insorgono nel corso del primo anno
di vita. Soggetti affetti da tale sindrome sembrano rispondere positivamente alle benzodiazepine ed in particolare al
Clonazepam, alla dose di 0.5 mg/kg, ogni 8 ore.
Luna è stata pertanto sottoposta a tale terapia con iniziale e importante miglioramento, tanto da indurre il proprietario a diminuire le somministrazioni del farmaco da tre a
due al giorno. Purtroppo Luna ha sviluppato resistenza al
Clonazepam in 4 mesi circa; tale farmaco resistenza è
comunemente riportata in cani in terapia con benzodiazepine per diversi motivi. Il successivo incremento del dosaggio
del clonazepam controllava solo parzialmente la severità
degli episodi di Luna, che invece sembrava sempre più dormiente tra tali episodi, forse proprio per ef fetto collaterale
del farmaco. Si interrompeva pertanto il Clonazepam e si
instituiva una terapia con Acetazolamide al dosaggio di circa 10 mg/kg due volte al giorno. La risposta a tale terapia è
stata sorprendente con riduzione quasi assoluta delle “crisi”
e nessun deterioramento a distanza di circa un anno e mezzo. Non è ben chiaro il meccanismo di azione dell’acetazolamide in tale disturbo, anche se uno degli ef fetti potrebbe
essere ricercato nell’incremento di insulina e glucagone che
promuove lo spostamento di ioni potassio nelle cellule
muscolari, con conseguente ripolarizzazione delle fibrocellule muscolari stesse e cessazione della attività muscolare
prolungata.
2) Mac, Springer Spaniel di 6 mesi, veniva riferito per
insorgenza acuta di zoppia al posteriore sinistro che perdurava da circa 5 giorni. Un esame radiografico delle zampe
posteriori eseguito in anestesia generale non aveva evidenziato significative alterazioni. Una terapia a base di farmaci
anti-infiammatori (Carprofen) istituita dal collega riferente
aveva dato solo un lieve/parziale miglioramento. Al momen-
to dell’esame clinico-neurologico si rilevava una zoppia senza appoggio dell’arto posteriore sinistro con significativo
dolore alla manipolazione/palpazione del piede. I cuscinetti
plantari di tale zampa risultavano parzialmente più freddi e
scuri dei controlaterali; la palpazione del polso femorale e
metatarsale evidenziava un polso notevolmente debole a
sinistra. Un problema neuromuscolare conseguente ad un
disturbo vascolare a carico dell’arteria femorale sinistra
veniva sospettato e si suggeriva ai proprietari un iter diagnostico consistente in un esame ematobiochimico completo di profilo coagulativo, esame delle urine, esame delle feci
per ricerca parassiti, radiografie del torace, ecocardiografia,
ecografia addominale e della zampa sinistra.Tutti i test effettuati risultavano nei limiti della norma, ad eccezione di un
moderato incremento della creatinchinasi (CK) e dell’ecografia/eco-color doppler dell’arteria femorale sinistra: si evidenziava una marcata riduzione del flusso ematico nella porzione dell’arteria femorale in corrispondenza del terzo prossimale del femore. Due giorni più tardi si procedeva con esame di Tomografia Computerizzata (CT) ed angio-CT dell’arto af fetto: ne risultava una quasi-completa assenza di
flusso sanguigno nella porzione medio-prossimale dell’arteria femorale sinistra. In assenza di evidenti patologie concomitanti, si instituiva terapia medica sintomatica a base di
Eparina e Clopidogrel rispettivamente per 15 e 30 giorni;
veniva inoltre continuata la terapia anti-infiammatoria non
steroidea ed iniziata terapia analgesica a base di Tramadolo.
Si rivalutava quindi Mac a 15 giorni: al momento della visita di controllo si riscontrava un netto miglioramento con lieve zoppia e minima algia a carico dell’arto posteriore sinistro. A distanza di 11 mesi dall’esordio della sintomatologia,
i proprietari riferiscono che Mac ha avuto una remissione
completa della zoppia.
Indirizzo per la corrispondenza:
Cristian Falzone
Davies Veterinaty Specialists, Hertfordshire, UK
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Il cane/gatto ha un’ostruzione delle basse vie urinarie:
la gestione chirurgica dell’emergenza
e la terapia chirurgica
Luca Formaggini
Med Vet, Dormelletto (I)
Cateteri: DePezzer (terminale a fungo) oppure Foley (terminale a palloncino).
Accesso alla vescica: sulla linea mediana in caso di celitomia oppure sul fianco in caso di procedura in emer genza
oppure tramite tecnica laparoscopica.
Il concetto è quello di inserire un catetere attraverso la
parete addominale e la parete ventro-laterale della vescica
in modo da drenare il flusso di urina verso l’esterno attraverso una via che non sia quella naturale dell’uretra. A termine dell’intervento si esegue una cistopessi alla parete
addominale per stabilizzare il catetere e la vescica stessa e
prevenire i danni (es uroaddome) derivanti da una prematura (auto-traumatismo) rimozione del catetere. Il catetere
viene poi collegato ad un sistema chiuso di raccolta urine e
mantenuto in sede finché necessario o fino ad intervento
chirurgico definitivo.
ANAMNESI E VISITA CLINICA
Gli animali colpiti da ostruzione urinaria vengono presentati
per oliguria, stranguria e disuria da ore o giorni. Questi sintomi
possono essere accompagnati o meno da emissione di urine. Più
frequentemente nel gatto, il paziente viene presentato alla visita
clinica per letargia, debolezza e shock. La visita clinica riflette il
grado di compromissione cardio-vascolare e la presenza di una
vescica distesa (dura o flaccida) alla palpazione addominale. Dal
punto di vista metabolico questi pazienti possono essere in acidosi metabolica, ipovolemici e iperazotemici.
ESAMI COLLATERALI E STABILIZZAZIONE
Nella prima fase gli esami necessari sono: microematocrito,
proteine totali glicemia ed elettroliti (un occhio particolare al
potassio). In seguito l’ideale sarebbe ematologia completa, biochimica ed esame delle urine. L’elettrocardiogramma potrebbe
risultare molto utile nei pazienti con elevata concentrazione di
potassio. La terapia medica in emergenza comprende:
• fluidoterapia adeguata
• correzione delle anomalie cardiache (se presenti)
• correzione degli squilibri elettrolitici
• rimozione dell’ostruzione
Inizialmente una cistocentesi può aiutare la stabilizzazione rendendo in questo modo migliore lo stato metabolico del
paziente che “sopporterà” meglio una eventuale successiva
sedazione/anestesia. La maggior parte delle ostruzioni uretrali può essere by-passata con una cateterizzazione vescicale trans-uretrale con idro-retropulsione dei calcoli/tappi uretrali se presenti. Raramente, l’ostruzione richiede una risoluzione chirurgica in emer genza (cistostomia). Una volta che
il flusso di urina viene ristabilito, il GFR (filtrazione glomerulare) aumenterà, si verificherà una diuresi post-ostruttiva e
qualsiasi anomalia dell’acido-base ed elettrolitica ritornerà
entro i limiti normali rendendo il paziente un buon candidato all’anestesia/chirurgia di solito entro le 24 ore.
TECNICHE CHIRURGICHE Cistotomia
Indicazioni: quando calcoli uretrali sono stati spinti (idroretroplusione) in vescica. Sia nel cane sia nel gatto
Commenti: preparare asetticamente anche prepuzio e
pene; approccio per via celiotomica ed eseguire una cistotomia ventrale; lavaggi uretrali dalla punta del pene verso la
vescica e non vice versa; contare i calcoli e (se troppi o troppo piccoli) eseguire una radiografia di controllo port-chirurgia con o senza contrasto; inviare i calcoli per analisi della
composizione e colturale.
TECNICHE CHIRURGICHE Uretrotomia/stomia nel cane
Indicazioni: l’uretrotomia è frequentemente utilizzata nei
casi in cui l’ostruzione sia localizzata alla base dell’os penis;
questa procedura utilizzata a livello di os penis spesso esita
in stenosi, per cui non è consigliata a questo livello; l’incisione può essere lasciata guarire per seconda intenzione in 710 giorni o suturata con polidiossanone 4-0 o 5-0; si possono verificare emorragie nel post-operatorio che diventano
più evidenti in caso di eccitazione sessuale o durante l’urinazione. L’uretrostomia permanente è indicata quando i cal-
TECNICHE CHIRURGICHE Cistostomia su tubo
Indicazioni: diversione urinaria temporanea a seguito di
riparazione uretrale, o in caso di stabilizzazione del paziente con ostruzione uretrale.
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coli sono a livello della doccia peniena e non si riesce a spostarli in vescica, in caso di stenosi secondarie a trauma, o in
caso di gravi rotture uretrali e/o del pene.
Scelta della sede per l’uretrostomia: nel cane, l’uretrosto mia scrotale è la procedura di scelta quando il desiderio è
quello di ottenere un’apertura permanente. La castrazione e
l’oschectomia accompagnano questa procedura nel cane
maschio; l’uretra scrotale è più lar
ga e più distensibile
rispetto a quella peniena e permette in questo modo l’eliminazione di calcoli ed evita la formazione di stenosi. Inoltre a
questo livello l’uretra è più superficiale e meno circondata
da tessuto cavernoso rendendo più semplice il controllo delle emorragie.
Altre sedi di uretrostomia sono la prescrotale, la perinea le, la sub-pelvica e la pre-pubica: queste sono indicate quando prossimalmente all’uretra scrotale si verificano lacerazioni irreparabili, stenosi o patologie neoplastiche.
Punti chiave della tecnica: 1) oschectomia e castrazione
con o senza cateterizzazione dell’uretra il più prossimale
possibile 2) spostamento laterale del muscolo retrattore del
pene e incisione sulla linea mediana del corpo spongioso
dell’uretra e dell’uretra stessa (1-2 cmm di stoma a seconda
della taglia del paziente) 3) sutura della mucosa uretrale alla
cute con materiale monofilamento riassorbile (o non riassorbibile) 4-0 (raramente 3-0).
Complicanze: forse un aumento delle infezioni ascendenti; emorragie fino a 10 giorni nel post-operatorio; infiltrazione di urina nel sottocute con cellulite localizzata e risentimento generale (SIRS/SEPSI).
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TECNICHE CHIRURGICHE Uretrostomia nel gatto
Indicazioni e commenti in generale: ostruzione che non
possono essere risolte con la cateterizzazione (in questo
caso si parla di chirurgia d’emergenza); stenosi secondarie
a trauma o ostruzione prolungata; neoplasie (rare); traumi.
In generale la frequenza dell’intervento di uretrostomia
nel gatto è diminuita drasticamente negli ultimi 10-15
anni, probabilmente per i progressi verificatasi nella conoscenza della patologia, nella diagnostica e nella terapia
medica e dietetica; inoltre sono ben note le complicanze a
breve e lungo termine legate a questa procedura chirur gica (emorragie, incontinenza legata al danneggiamento del
nervo pelvico durante la dissezione, stenosi, infezioni subcliniche croniche).
Per la descrizione della tecnica si rimanda al filmato
mostrato durante la relazione o a testi specifici.
Address for correspondence:
Luca Formaggini - Clinica Veterinaria Lago Maggiore
C.so Cavour, 3 - 28040 Dormelletto (NO)
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Aggiornamenti nella terapia del diabete mellito
Federico Fracassi
DVM, PhD, Ozzano dell’Emilia (BO)
cataratta, evitare l’ipoglicemia e trattare le eventuali patologie concomitanti.
La terapia si basa su tre punti fondamentali: il trattamento di patologie concomitanti (es. infezioni delle vie urinarie,
piodermiti, ecc.), la terapia insulinica (o ipoglicemizzanti
orali) e la dieta.
Dal momento che gli elevati livelli di progesterone durante il diestro nella cagna portano ad una intensa insulinoresistenza, tali soggetti dovranno essere sottoposti ad ovarioisterectomia nel più breve tempo possibile.
La prima causa di morte nei cani e gatti con diabete mellito non è la patologia di per se bensì la frustrazione del proprietario dell’animale diabetico. Una buona comunicazione
con il proprietario è quindi di fondamentale importanza.
Dopo aver stabilito la diagnosi è importante chiarire al proprietario di che malattia si tratti, come effettuare le iniezioni
di insulina, come conservare l’insulina, quale tipo di alimento debba essere somministrato, in che quantità e con
quale frequenza, come riconoscere i segni di ipoglicemia e
come comportarsi nel caso questa si verifichi. Il proprietario
deve essere messo in grado di monitorare i segni clinici con
particolare riferimento alla quantità di acqua assunta (misurandola nelle 24 ore) e alla quantità di urine prodotte.
Un’ottima procedura consiste nel fornire al proprietario
delle istruzioni scritte che chiariscano tutti i punti fondamentali nella gestione del paziente diabetico. Il proprietario
deve sentirsi coinvolto e motivato nel trattare il proprio animale.
L’obbiettivo della terapia consiste nell’eliminare i segni
clinici di diabete, prevenire o rallentare la formazione di
PATOLOGIE CONCOMITANTI
Al fine di trattare adeguatamente il paziente diabetico è di
fondamentale importanza riconoscere eventuali patologie concomitanti. Tali patologie possono infatti fortemente influenzare negativamente la risposta alla terapia insulinica.Anche semplici problemi, quali infezioni del tratto urinario, sono in grado
di far rilasciare gli ormoni dello stress e determinare insulino-
TABELLA 1 - Cause riconosciute di inefficacia o resistenza insulinica in cani e gatti diabetici
Cause legate all’insulina
Insulina inattiva
Insulina diluita (glargine)
Somministrazione non corretta
Dose inadeguata
Effetto Somogyi
Inadeguata frequenza di somministrazione
Alterato assorbimento dell’insulina, specialmente
con insuline ultralente
Anticorpi anti-insulina
Cause legate a patologie concomitanti
Farmaci diabetogeni (corticosteroidi!!)
Ipercortisolismo
Diestro (cagna)
Acromegalia
Infezioni (soprattutto del cavo orale e delle basse vie
urinarie)
Ipotiroidismo (cane)
Ipertiroidismo (gatto)
Insufficienza renale
Insufficienza epatica
Insufficienza cardiaca
Glucagonoma (cane)
Feocromocitoma
Infiammazioni croniche (soprattutto pancreatite)
Insufficienza pancreatica esocrina
Grave obesità
Iperlipidemia
Neoplasia
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resistenza. In tabella 1 vengono riportate le principali cause di
inefficacia o resistenza insulinica nel cane e nel gatto.
(NIDDM). Nonostante in commercio ve ne siano di molti
tipi, in medicina veterinaria gli studi sono pochi e riguardano per lo più le sulfuniluree (glipizide). Nel cane il diabete è
sempre insulino-dipendente (IDDM) con totale assenza di
produzione insulina da parte del pancreas. Gli ipoglicemizzanti orali per funzionare necessitano di una residua funzionalità pancreatica e pertanto non sono indicati nella specie
canina. Il glipizide è in grado di migliorare i segni clinici da
iperglicemia in circa il 30% dei gatti diabetici. Il glipizide
(da considerarsi sempre una seconda scielta) deve essere
somministratato alla dose di partenza di 2,5 mg/gatto PO,
SID con il pasto. Il monitoraggio terapeutico è simile a quello della terapia con insulina.
TERAPIA INSULINICA
Negli ultimi anni le ditte farmaceutiche hanno progressivamente tolto dal commercio le insuline di origine animale
(prevalentemente insuline suine o bovine) per sostituirle con
insuline ricombinanti umane. Dal 2000, l’insulina umana è
disponibile unicamente alla concentrazione di 100/U/ml.
Solo il Caninsulin® è ancora formulato in 40 U/ml. È quindi
essenziale utilizzare le siringhe adeguate al tipo di insulina.
Le insuline possono essere ad azione rapida, intermedia o
lenta. L’insulina rapida (es. Humulin R ®) è in soluzione e
può essere somministrata per via sottocutanea, intramuscolare o endovenosa. Questa viene riservata esclusivamente al
trattamento della chetoacidosi diabetica attraverso la somministrazione endovenosa in infusione o in piccoli boli intramuscolari. Generalmente, nella terapia del diabete non complicato, si utilizzano insuline a lunga durata d’azione (glargine) o a intermedia durata d’azione (NPH, insulina isofano)
o miste (Caninsulin ®) con somministrazione sottocutanea.
Caninsulin® è l’unica insulina registrata per uso veterinario.
Si tratta di un’insulina mista di origine suina. Il 30% è ad
azione rapida e il 70% ad azione ultralenta (PZI). Sia nel
cane che nel gatto questa insulina deve essere somministrata ogni 12 ore. Si consiglia di iniziare con un dosaggio
di 0,25-0,5 U/Kg BID, SC. Nel gatto si somministrano 1
U/gatto BID per soggetti <4kg e 2U/gatto BID per quelli >4
kg. L’insulina glargine (Lantus®) è una nuova insulina di sintesi. Glargine ha un pH di circa 4 e quindi poco solubile a pH
fisiologico. Ciò permette la formazione di microprecipitati
sottocutanei. Ciò consente un tardivo, prolungato e relativamente costante assorbimento di insulina dal sito di iniezione. La formazione dei microprecipitati dipende fortemente
dal pH e la glargine non deve quindi essere diluita. Da studi
su gatti sani e diabetici appare come la somministrazione
ogni 12 ore permetta di ottenere un ottimo controllo glicemico. La dose raccomandata è la stessa della Caninsulin®. In
uno studio condotto in Australia, l’utilizzo di questa insulina
in associazione con una dieta a basso tenore di carboidrati e
alto tenore proteico ha determinato la remissione del diabete in tutti gli 8 gatti in cui è stata utilizzata. Questa insulina,
pur ottima nella specie felina, nel cane presenta un’efficacia
terapeutica lievemente inferiore rispetto alla Caninsulin ®
(Fracassi et al 2010).
Dopo aver istruito il proprietario è possibile dimettere l’animale con la terapia insulinica; in alternativa è possibile
ospedalizzare il soggetto nel primo giorno di terapia misurando 3 volte la glicemia (ad esempio alle 1 1 a.m., alle 2
p.m. e alle 17 p.m.) al fine di rilevare un eventuale stato ipoglicemico (la glicemia non deve scendere al di sotto degli 80
mg/dl, altrimenti il dosaggio deve essere ridotto). Il soggetto andrà poi rivalutato settimanalmente.
Dieta (cane)
Molti studi dimostrano che diete a basso tenore lipidico e
alto tenore di fibra e carboidrati sono molto utili nel controllare la patologia nel cane. L ’utilizzo di tali tipi di diete permette di ridurre il dosaggio di insulina, di abbassare i livelli
glicemici nonché delle fruttosamine e dell’emoglobina glicata. I carboidrati di tali diete sono carboidrati complessi. È fondamentale evitare zuccheri semplici, infatti in tal caso gli zuccheri vengono assorbiti molto rapidamente, prima che l’insulina possa agire. Tali diete diminuiscono gli acidi grassi liberi, aumentano il numero di recettori per l’insulina, migliorano
l’azione della stessa e fanno diminuire il colesterolo. L’elevato contenuto di fibra diminuisce l’iper glicemia postprandiale.
Effetti collaterali di diete ad alto tenuto di fibra possono essere un aumento del numero delle defecazioni, costipazione e
flatulenze. Uno studio condotto da Fleeman e coll (2009) mette in dubbio l’utilità di diete ad alto tenore di fibra, sostenendo che rispetto a una normale dieta di mantenimento l’elevato tenore di fibra non mostri particolari vantaggi nella gestione del diabete mellito canino.
Dieta (gatto)
Solo negli ultimi anni è stata scoperta quale sia la dieta
ottimale per i gatti diabetici. Recenti studi indicano infatti
che nel gatto diete commerciali con alto tenore proteico e
basso tenore di carboidrati (es. Diabetic Royal Canin ®, m/d
Hill’s® o DM Purina ®) hanno ef fetti estremamente positivi
sul controllo glicemico del gatto diabetico. Il gatto è infatti
un carnivoro obbligato e quindi utilizza di preferenza le proteine rispetto ai carboidrati come fonte glucidica. È stato
dimostrato come tali diete permettano di ridurre notevolmente l’utilizzo di insulina e siano associate con un elevato
tasso di remissione del diabete.
Esercizio fisico
L’esercizio fisico risulta importante nel mantenere un
buon controllo glicemico e nel perdere peso nei soggetti
obesi. L’esercizio fisico migliora inoltre l’assorbimento
insulinico dal sito di iniezione, migliora la vascolarizzazione stimolando l’utilizzo di glucosio a livello muscolare. Nel
cane l’esercizio deve essere preferibilmente ef fettuato negli
stessi orari della giornata. L ’esercizio fisico regolare permette di ridurre la dose di insulina. Il proprietario deve essere informato che durante l’attività fisica si può sviluppare
ipoglicemia, pertanto, una fonte glucidica (ad es. miele)
Ipoglicemizzanti orali
Gli ipoglicemizzanti orali vengono utilizzati nell’uomo
per le forme di diabete mellito non insulino dipendente
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deve sempre essere a disposizione. Nel caso in cui il cane
debba essere sottoposto ad un notevole esercizio improvviso
(ad es. caccia) la dose di insulina di quel giorno deve essere
ridotta del 50%.
tiroidismo danno valori di fruttosamine falsamente bassi e
l’ipotiroidismo valori falsamente elevati. Il normale range
va da 225 a 375 μmol/l. Molti proprietari sono soddisfatti
della terapia quando le fruttosamine stanno in un range che
va dai 350 ai 450 μmol/l. Valori >500 μmol/l indicano un
inadeguato controllo glicemico e >600 μmol/l una grave
carenza di controllo glicemico. Valori <300 μmol/l indicano
episodi persistenti di ipoglicemia. Nel casi in cui i sintomi
clinici persistano e le fruttosamine siano <400 μmol/l deve
essere sospettato un effetto Somogyi.
VALUTAZIONE DEL TRATTAMENTO
Nel primo periodo l’animale deve essere rivalutato settimanalmente fino alla determinazione del giusto dosaggio
insulinico (solitamente circa 1 mese). Il proprietario andrà
informato che grazie a tali controlli sarà possibile arrivare al
controllo glicemico adeguato.
Effetto Somogyi
L’effetto Somogy è il risultato della somministrazione
troppo elevata di insulina che determina ipoglicemia (in
genere glicemia <40mg/dl). Vengono allora attivati dall’organismo alcuni meccanismi di contro-regolazione (aumento
della glicogenolisi, secrezione di catecolamine, glucagone,
cortisolo e GH) che provocano un rialzo della glicemia per
un aumento della produzione di glucosio (principalmente a
livello epatico) e determinano una insulinoresistenza periferica. L’insulinoresistenza indotta può persistere fino a 3 giorni. Una volta constatato l’ef fetto Somogyi è importante
ridurre il dosaggio insulinico del 30-50%.
Valutazione clinica
La risoluzione della poliuria-polidipsia (PU/PD), un peso
corporeo stabile, una conservazione dell’appetito e un buono stato generale si traducono clinicamente nel buon controllo del diabete mellito. I sintomi da ipoglicemia (abbattimento, anomala affaticabilità, tremori, convulsioni) devono
essere ricercati sistematicamente.
Tecniche per il monitoraggio del controllo
glicemico
L’indice più importante nel valutare il controllo glicemico
è rappresentato dal grado di soddisfazione del proprietario in
termini di risoluzione dei segni clinici e condizione generale di salute dell’animale. Il controllo è adeguato quando il
proprietario è soddisfatto del trattamento, l’esame clinico
risulta nella norma e il peso dell’animale è stabile.
Misurazione del glucosio urinario
La periodica misurazione della glicosuria e della chetonuria risulta utile soprattutto in animali con tendenza alla chetosi o all’ipoglicemia. L ’entità della glicosuria non deve
essere utilizzata come criterio per stabilire o variare la dose
di insulina. L’assenza di glicosuria indica un dosaggio insulinico eccessivo e la chetonuria un controllo non adeguato
del diabete.
Misurazione della glicemia
Il momento migliore della giornata per valutare la glicemia risulta essere il mattino, prima della somministrazione
dell’insulina e del pasto. Si esegue un prelievo ematico per
la misurazione della glicemia (si può utilizzare un glucometro portatile validato per la specie nel quale andiamo ad utilizzarlo) e delle fruttosamine. Nella maggior parte dei soggetti ben controllati la glicemia risulta essere compresa fra i
150 e i 250 mg/dl. Una glicemia <150 mg/dl deve far sospettare la presenza di una possibile ipoglicemia nelle ore di
massima azione dell’insulina. Se poi tale reperto è associato
a un basso valore di fruttosamine (<350μmol/l) la dose insulinica deve essere ridotta. Solitamente gli incrementi e
decrementi della dose insulinica devono essere del 10-20%
della dose totale. Nel caso in cui la glicemia risulti elevata è
di indubbia utilità l’esecuzione di una curva glicemica possibilmente associata al monitoraggio delle fruttosamine.
Nell’animale andrà inoltre sempre valutata la presenza di
possibili patologie concomitanti e il proprietario andrà interrogato per assicurarsi che somministri e conservi l’insulina
in modo adeguato.
Curva glicemica
L’esecuzione di una curva glicemica rappresenta uno
degli elementi più importanti del controllo del paziente diabetico. La curva glicemica permette al clinico di giudicare
l’efficacia della terapia insulinica attraverso la valutazione
del calo della glicemia, del nadir (glicemia più bassa della
giornata) e della durata d’azione della stessa. Se possibile, la
curva glicemica dovrebbe essere eseguita ad ogni rivalutazione del paziente e soprattutto negli animali con scadente
controllo glicemico o che sviluppano ipoglicemia. La curva
glicemica può essere ef fettuata in clinica o a casa dal proprietario. La curva viene solitamente iniziata misurando la
glicemia del mattino prima del normale pasto. Dopo il pasto
e la somministrazione di insulina la glicemia viene nuovamente misurata ogni 2 ore fino al pasto della sera (un totale
di 5-6 misurazioni). La glicemia viene misurata attraverso
l’utilizzo di glucometri portatili. In commercio esistono
numerosi tipi di glucometri che richiedono una piccola
quantità di sangue (0,3-0,6μl) per la valutazione della glicemia. Tali glucometri sono prodotti per la medicina umana e
solo alcuni sono stati validati nel cane e nel gatto. La maggior parte dei glucometri attualmente in commercio tendono
a sottostimare i valori di glicemia. Il metodo da preferire per
ottenere una goccia di sangue è quello della puntura della
porzione interna del padiglione auricolare. Al fine di ottenere una goccia di sangue suf ficiente alla determinazione del-
Fruttosamine
Le fruttosamine sono proteine glicate e la loro concentrazione riflette la glicemia delle ultime 2-3 settimane. Più alta
è stata la media glicemica nelle ultime settimane più elevato
sarà il valore di fruttosamine. Il livello di fruttosamine non è
influenzato dall’iperglicemia da stress. Ipoprotidemie e iper-
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la glicemia deve essere utilizzato un sistema che oltre a pungere permetta di creare il vuoto in contatto con la cute. Tale
strumento viene utilizzato nell’uomo per prelievi alternativi
al polpastrello ed è commercializzato dalla Bayer con il
nome di MicroletTM Vaculance®. La maggior parte dei cani
e dei gatti tollera molto bene tale tipo di procedura.
Tale
metodica di prelievo permette di eseguire curve glicemiche
senza problemi in cani e gatti, sia in clinica che a casa, dopo
aver istruito il proprietario. Il protocollo che normalmente
viene seguito all’Università di Zurigo e all’Università di
Bologna consiste nell’eseguire le prime 2-3 curve glicemiche in clinica per poi far fare le stesse a casa dal proprietario. Nelle curve glicemiche eseguite a casa l’animale è solitamente molto meno stressato, permettendo di ottenere valori glicemici molto più attendibili. Il proprietario porta o invia
quindi la curva al veterinario per l’interpretazione della stessa. In clinica il sangue per l’esecuzione della curva glicemica può essere ottenuto anche dalla vena giugulare, dalla vena
cefalica o dalla safena. Nella curva glicemica ideale la glicemia dovrebbe mantenersi in un range che va da 100 a 250
mg/dl. Solitamente (ma non sempre) il valore di glicemia
più elevato è quello prima del pasto del mattino. Se il nadir
risulta essere >150 mg/dl la dose deve essere aumentata
mentre quando il nadir è <80 mg/dl la dose diminuita.
Studi preliminari dimostrano che sia possibile monitorare la
glicemia nell’arco della giornata in modo continuativo attraverso un sensore posizionato sotto cute. Al momento tali rilevatori risultano piuttosto costosi e ulteriori studi saranno necessari per dimostrarne i potenziali vantaggi clinici.
quenti sono solitamente rappresentate da errori del proprietario o da patologie concomitanti non riconosciute.
Prognosi
La prognosi dipende dalla presenza e dalla reversibilità
delle patologie concomitanti, dalla capacità dell’insulina nel
far regredire i segni clinici ma soprattutto dalla collaborazione del proprietario. Se il diabete viene ben controllato il
tempo di sopravvivenza non è molto dif ferente rispetto a
quello di un soggetto sano.
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Complicazioni nella terapia insulinica
• Ipoglicemia. L’ipoglicemia è la più comune complicazione della terapia insulinica. Normalmente si verifica in
seguito all’aumento improvviso della dose, soprattutto in
soggetti trattati con un’unica somministrazione giornaliera di insulina. Il proprietario deve essere istruito nel
riconoscere tali sintomi (vedi sopra). Nel caso di ipoglicemia il proprietario deve somministrare del miele o dell’acqua zuccherata per bocca e contattare al più presto il
veterinario. Non è prevedibile a quale livello glicemico
si comincino a osservare i sintomi da ipoglicemia, dal
momento che questo varia molto da soggetto a soggetto
e dipende soprattutto da quanto velocemente si è instaurata l’ipoglicemia. Per fare un esempio, basti pensare che
soggetti con insulinoma, perennemente ipoglicemici,
possono essere asintomatici con valori glicemici di 20
mg/dl. Nel caso di episodi ipoglicemici la terapia insulinica deve essere sospesa fino a quando non ricompaiono
iperglicemia e glicosuria. La terapia deve quindi essere
ripresa con un dosaggio ridotto dal 25 al 50%.
• Ricomparsa dei segni clinici. Nel caso in cui i segni clinici
ricompaiano o non regrediscano bisogna tenere in considerazione i problemi riportati in tabella 1. Le cause più fre-
Address for correspondence:
Federico Fracassi
Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie,
Università degli Studi di Bologna
Via Tolara di Sopra 50, 40064 Ozzano dell’Emilia (BO)
Tel 051 2097590
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La terapia della pancreatite acuta attraverso
la valutazione di casi clinici
Federico Fracassi
DVM, PhD, Ozzano dell’Emilia (BO)
eventuali perdite con vomito e diarrea. Particolare attenzione andrà prestata al mantenimento dello stato elettrolitico
dal momento che i soggetti con pancreatite tendono facilmente ad avere ipopotassemia.
INTRODUZIONE
La pancreatite acuta è una comune patologia del cane che
può manifestarsi in forma lieve o estremamente grave con
potenziale esito letale. Nelle forme lievi possono venir meno
i classici sintomi clinici quali il vomito e il dolore addominale, rendendo pertanto la diagnosi piuttosto dif ficile. La
diagnosi si basa sull’individuazione della sintomatologia clinica in associazione ai reperti laboratoristici di base, sugli
aspetti ecografici caratteristici e sulla misurazione della PLI.
La valutazione delle concentrazioni di amilasi e lipasi è di
poca utilità nella diagnosi di pancreatite dal momento che
presenta una bassa sensibilità e specificità. L’esame ecografico è operatore dipendente e deve essere eseguito con uno
strumento adeguato e da un ecografista esperto. Uno studio
riporta una sensibilità di questa tecnica pari al 68%. Il TLI è
un ottimo test per la diagnosi di insuf ficienza pancreatica
esocrina ma non è un buon test per la diagnosi di pancreatite. Recentemente è stato messo a punto un test in grado di
valutare la lipasi pancreatica specifica (PLI). Questo test è
specie specifico (PLI canino cPLI e PLI felino fPLI) e sembra essere il più sensibile e specifico nella diagnosi di pancreatite.
Alimentazione
Fino a poco tempo fa l’indicazione era quella di non alimentare l’animale per diversi giorni al fine di “far riposare”
il pancreas. Non esiste evidenza scientifica che questo sia
corretto e pertanto le indicazioni sono quelle di alimentare
da subito i soggetti. L ’unica controindicazione è rappresentata dai soggetti con vomito; tuttavia, dopo 12 ore di assenza di vomito è indicato iniziare ad alimentare il soggetto con
un alimento a bassissimo tenore lipidico. Nei casi di anoressia prolungata (2-4 giorni) è indicata una nutrizione enterale
(sondino nasale, esofageo o gastrico). Alcuni autori sostengono l’utilità di posizionare un sondino digiunale al fine di
bypassare il pancreas.
Analgesia
Nell’uomo la dolorabilità addominale viene riportata nel
90% dei soggetti con pancreatite. Nei nostri animali vengono indicate percentuali più basse (58% nel cane e 25% nel
gatto). Nei nostri animali questi dati sono molto probabilmente falsati dal fatto che non siamo in grado di discriminare se vi sia o meno dolore addominale e molto probabilmente queste percentuali sono decisamente più alte. È opportuno considerare che ciascun cane e gatto abbia dolore addominale e dovrebbe essere trattato di conseguenza. Possono
essere utilizzati differenti protocolli di analgesia. È possibile utilizzare butorfanolo (0,2-0,4 mg/kg IM o IV o SC q24h) fentanyl (inizialmente 4-10 mcg/kg IV e quindi 4-10
mcg/kg/h in infusione continua), lidocaina (via endovenosa
o intraperitoneale), buprenorfina ed altri.
TERAPIA
Al pari di quanto avviene per molte patologie, la terapia
dovrebbe essere finalizzata alla rimozione dell’eventuale
causa sottostante. Per tale motivo risulta di fondamentale
importanza l’indagare la presenza di potenziali fattori di
rischio quali la presenza di ipertrigliceridemia, ipercalcemia,
ingestione di rifiuti, tossici o alimenti fortemente ricchi di
lipidi, anestesie recenti o somministrazione di farmaci. Nel
caso in cui l’animale risulti in terapia con farmaci in grado
di indurre pancreatite, quando possibile, tali farmaci andrebbero sospesi o quantomeno sostituiti. Purtroppo molto spesso non è possibile identificare la causa scatenante.
Antiemetici
L’utilizzo di antiemetici è controverso. Il bloccare il
vomito può mascherare lo stato di evoluzione della patologia, privando il clinico di un importante mezzo di monitoraggio terapeutico. Nel caso in cui il soggetto, nonostante la
terapia fluida e il gastroprotettore, continui a vomitare è
opportuno somministrare un antiemetico. Farmaci quali il
maropitant (Cerenia ®), un antagonista della neurkinina 1
(NK1) somministrato SC alla dose di 1 mg/kg SC q24h o il
Terapia di supporto
Un’adeguata fluidoterapia rappresenta il punto cardine
nella terapia della pancreatite acuta. La fluidoterapia deve
essere individualizzata secondo le esigenze del singolo
paziente e la quantità calcolata sulla base dello stato di disidratazione, aggiungendo la quota di mantenimento e le
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Dolasetron (0,3-0,6 mg/kg IV, SC q12-24h) risultano solitamente estremamente ef ficaci nel controllo del vomito nei
pazienti con pancreatite acuta. Nonostante non esista un’evidenza scientifica, alcuni autori sconsigliano l’utilizzo della metoclopramine. La metoclopramide è infatti un antagonista dopaminer gico ed essendo la il flusso ematico pancreatico regolato da recettori dopaminer gici questo tipo di
terapia potrebbe non risultare indicata.
indicazioni chirurgiche riguardano soltanto gli ascessi pancreatici o le pseudo cisti che non tendono a regredire.
TRATTAMENTO DELLE FORME
LIEVI-CRONICHE
Forme lievi di pancreatite sono solitamente associate ad
assenza di necrosi e minimi ef fetti sistemici con completa
guarigione. Molti animali, probabilmente guariscono spontaneamente dopo qualche giorno di abbattimento e disappetenza, senza alcun intervento terapeutico. Altri soggetti possono presentare vomito, disappetenza e fastidio all’addome.
Queste forme tendono a cronicizzare. Sfortunatamente sono
pochissime le informazioni terapeutiche riguardanti la terapia di tali forme. Come nelle pancreatiti acute è opportuno
cercare di eliminare l’eventuale causa sottostante. Nei soggetti con ipertrigliceridemia è opportuno utilizzare diete a
basso contenuto lipidico. Un problema comune nelle persone con pancreatite cronica è rappresentato dal dolore addominale. Un possibile approccio terapeutico può essere quello di somministrare con l’alimento degli estratti di enzimi
pancreatici (es. Triplase®). Nonostante questi soggetti non
abbiano un’insufficienza pancreatica la somministrazione di
questi enzimi può determinare un ef fetto feedback riducendo le secrezioni pancreatiche e probabilmente riducendo il
fastidio addominale.
Somministrazione di plasma
Il plasma contiene numerose sostanze quali fattori della
coagulazione, inibitori delle proteasi (es α1-PI, α 2-macroglobulina) e albumina che possono essere benefici in un soggetto con pancreatite. Nonostante la somministrazione di
plasma venga suggerita da molti autori né in medicina umana né in medicina veterinaria è stato provato che la terapia
abbia un’influenza sull’outcome dei pazienti con pancreatite acuta. È tuttavia un’opzione che va sicuramente tenuta in
considerazione nei pazienti con concomitante/secondaria
coagulazione vasale disseminata.
Antibiotici
Raramente i cani con pancreatite presentano complicazioni infettive e pertanto non vi è evidenza che la terapia antibiotica sia utile nel management di questa patologia. La terapia antibiotica può eventualmente risultare utile nelle forme
più gravi al fine di evitare una traslocazione batterica dall’intestino.
Antinfiammatori
BIBLIOGRAFIA
Non vi è indicazione che vi siano dei benefici riguardanti
l’utilizzo di corticosteroidi o antinfiammatori non steroidei
(FANS) nella terapia della pancreatite. Molti F ANS sono
stati inoltre riconosciuti come possibile causa di pancreatite
e vanno pertanto evitati.
Caroline S. Mansfield, Fleur E.James, Ian D. Robertson (2008) Development of a clinical severity index for dogs with acute pancreatitis.
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Inibitori delle proteasi
Nonostante siano in corso studi sull’utilizzo degli inibitori delle proteasi quali ad esempio l’aprotinina, ad oggi non
vi è evidenza che questi siano utili nel trattamento della pancreatite.
Antiossidanti
Esiste un unico studio sperimentale che ha dimostrato l’utilità del selenio nella gestione della pancreatite. È pertanto
probabile che gli antiossidanti possano risultare utili nella
gestione della pancreatite, tuttavia è ancora presto per poter
considerare standard questo tipo di terapia.
Address for correspondence:
Federico Fracassi
Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Università degli Studi di Bologna
Via Tolara di Sopra 50, 40064 Ozzano dell’Emilia (BO)
Tel. 051 2097590
Fax 0512097593
E-mail: federico.fracassi @unibo.it
Intervento chirurgico
Numerosi protocolli chirur gici sono stati proposti nel
management della pancreatite acuta e cronica quali il lavaggio peritoneale, la pancrectomia parziale e la necrosectomia.
Non esistono studi sistematici che dimostrino l’ef ficacia di
tali procedure nel cane e nel gatto. Attualmente le eventuali
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Una gara contro il tempo:
l'anestesia del politraumatizzato
Paolo Franci
Med Vet, Padova
lesioni, non tralasciando, magari tramite l’aiuto di collaboratori, un’anamnesi essenziale del paziente dal proprietario o
da osservatori che forniscano informazioni sulla dinamica
del trauma (Orsi 1996).
In linea generale per la valutazione perioperatoria dovrebbero essere adottati indagini collaterali, che permettano di
avere un esito nel più breve tempo possibile, implicando il
minor spostamento e stress al paziente. In questa ottica l’utilizzo dell’ecografia, quando appropriata, dovrebbe essere
sempre preferita alla radiologia. Oltre alle tecniche F AST
per l’assessment addominale, l’ecografia può essere vantaggiosamente usata anche per il torace, consentendo accertamenti rapidi di versamento pleurico e pericardico, se non la
verifica della contrattilità e della volemia cardiaca. Tuttavia
le Rx toraciche possono rappresentare un’indagine necessaria che comunque deve avvenire in condizioni accettabili per
il soggetto traumatizzato. Troppi cani e gatti muoiono nelle
nostre radiologie per decisioni af frettate, prese in scenari in
cui molto si sarebbe potuto ancora fare per stabilizzare il
soggetto, rimandando il riscontro radiografico, che, ricordiamolo, non è mai terapeutico.
Altro aspetto da mettere in evidenza, è che in soggetti
instabili la pressione arteriosa è uno dei parametri peri-operatori più importanti. Considerando che in queste situazione,
la pressione arteriosa rilevata con metodo non invasivo non
è affidabile per molti motivi, l’ottenimento della pressione
arteriosa con metodo diretto, previo cateterismo arterioso
sarebbe grandemente raccomandabile. Purtroppo in veterinaria l’arteria normalmente coinvolta nel cateterismo è l’arteria dorsale del piede, che in soggetti piccoli e/o ipotesi può
risultare difficilmente sfruttabile. In tal caso potrebbe essere
necessario incannulare l’arteria femorale, il cui cateterismo
è possibile con polso debole anche per via mininvasiva. La
diffusione dell’uso dell’ecografia, da parte dell’anestesista
veterinario, potrebbe in futuro permettere il cateterismo arterioso anche di altre arterie.
Il paziente con trauma cerebrale è tra i più dif ficili e frustranti d’affrontare. Benché la dif fusione di TAC e risonanze magnetiche, permetta di avere delle armi in più nella terapia d’urgenza.
INTRODUZIONE
Un evento traumatico determina il ferimento di moltissimi animali ogni anno, parte di questi possono essere salvati
solo da un pronto intervento chirur gico. L’anestesia per un
paziente coinvolto in un trauma, è forse la sfida più alta della nostra specialità.
La popolazione coinvolta in traumi di vario genere, si divide normalmente in 3 sottogruppi, coloro che muoiono immediatamente dopo il trauma, coloro che muoiono o morirebbero a distanza di qualche ora e, in fine, quelli che muoiono o
morirebbero a distanza di giorni o settimane (Orsi 1996). In
molti casi, quindi, la tempestività è il requisito fondamentale affinché questi soggetti non periscano.
Per definizione il politraumatizzato è un soggetto che ha
subito un trauma simultaneo di più regioni del corpo, mentre
una di questi o la loro combinazione, mettono la vita del soggetto a repentaglio immediato (Krettek et al., 1998). D’altra
parte ogni paziente che ha subito un trauma dovrebbe essere
considerato un politraumatizzato, fino a che non siano state raccolte sufficienti evidenze che lo escludano (Orsi 1996).
VALUTAZIONE PRE-OPERATORIA E
PREPARAZIONE
Valutazione
In emer genza non dovremmo af fidarci all’approccio
medico classico, che prevede una fase dedicata alla diagnosi ed una alla terapia. La valutazione del soggetto e la terapia, non solo dovrebbero essere contemporanee, ma la risposta agli iniziali interventi terapeutici dovrebbe essere utilizzati anche come strumento diagnostico.
Altro concetto fondamentale in medicina d’ur genza, è
”l’emergency cicle”. Cioè non solo, la valutazione del
paziente è contemporanea alla terapia, ma deve essere anche
ripetuta ciclicamente. Perché il soggetto instabile, può avere
variazioni anche notevoli, dei propri parametri in tempi molto brevi (Orsi 1996).
La valutazione del paziente coinvolto in un trauma inizia
con il triage e prosegue con l’ABC (vie aeree, respirazione,
circolazione). È necessario garantire che queste funzioni siano adeguate prima di procedere alla fase successiva, dove si
stabilirà (con il chirur go) la natura e la portata di tutte le
Fluido-terapia
Soggetti coinvolti in traumi importanti, sono quasi
costantemente ipovolemici. Un catetere di grossa dimensio-
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ne dovrebbe essere posizionato in una vena di grosso calibro. Se le vene risultassero dif ficilmente localizzabili,
anche tramite cut down della cute, potremo procede re
all’inserzione di un ago di grosso calibro a livello della tibia
prossimale. Tuttavia il catetere ideale in questi pazienti è
quello posizionato in vena giugulare, ben fissato alla cute e
di ampio calibro che permetta, tra l’altro, di monitorare la
pressione venosa centrale. Le linee guida europee (Spahn et
al., 2007), per il trattamento dei pazienti umani con emorragie maggiori conseguenti a trauma, consigliano di mantenere la normotermia in questi soggetti, con evidenze 1C
(strong recommendation, low-quality or very low-quality
evidence). Qualche autore ricorda l’importanza di somministrare fluidi riscaldati, in animali spesso ipotermici. Le
linee guida sopracitate, suggeriscono, con evidenze scientifiche 2C (weak recommendation, low-quality or very lowquality evidence), che i pazienti con grave emorragia interna, siano solo parzialmente rianimati. Il tar get pressorio
sistolico in questi soggetti sarebbe 80-100mmHg. Con lo
stesso livello di evidenza scientifica è suggerito l’uso iniziale dei cristalloidi rispetto ai colloidi, anche se la letteratura è contraddittoria in questo campo.
In medicina umana molta enfasi viene data alla correzione nei disturbi della coagulazione, conseguente al trauma e
alle sue sequele (Spahn et al., 2007). In veterinaria la trasfusione di piastrine, plasma fresco congelato o di altri derivati
del sangue non è attualmente dif fusa. Quindi nella maggior
parte dei casi la trasfusione di sangue intero è l’unico intervento di facile accesso.
essere una buona opzione, sia perché ben conosciuto in veterinaria, sia perché in recenti pubblicazioni ha mostrato di
causare limitata depressione cardiovascolare, almeno nel
paziente stabile (Silva et al., 2011). Qualora la situazione sia
estremamente grave, con perdita di sangue > del 25% del
volume circolante e pressione sistolica inferiore a 90mmHg,
in letteratura umana si suggerisce di somministrare un anestetico in dosi necessarie a causare incoscienza e poi intubare semplicemente con un bloccante neuro-muscolare (Dutton 1998).
Pazienti con prevalente instabilità
respiratoria.
La sopravvivenza di questi soggetti dipende dalla capacità di rendere le vie aeree pervie e la respirazione efficace. La
necessità di riconoscere prontamente i segni d’ostruzione
delle vie aeree richiede una costante attenzione. Qualora un
immediato controllo delle vie aeree sia indispensabile, la
soluzione di prima scelta è l’intubazione diretta previa laringoscopia. Se l’intubazione non è possibile, l’inserimento in
trachea di un ago-cannula di diametro opportuno, connessa
ad una sorgente di ossigeno a 2,5-3,5 bar permetterà l’ossigenazione e anche la ventilazione del paziente, il tempo
necessario a eseguire una tracheotomia d’ur genza.
I protocolli farmacologici possono essere i più vari, il
fine comune è quello di ridurre al minimo il tempo tra somministrazione dell’anestetico e controllo delle vie aeree
(Dutton 2011).
Pazienti con trauma cranico
L’anestesia deve causare la minima riduzione dell’ossigenazione del sangue, della perfusione cerebrale ed in generale impedire variazioni improvvise dei parametri cardiovascolari dovuti per esempio all’intubazione e allo stimolo chirurgico.
INDUZIONE E MANTENIMENTO
DELL’ANESTESIA
Per comodità potremmo dividere i soggetti traumatizzati,
che necessitano d’immediato intervento chirur gico, in tre
categorie: i soggetti con prevalente instabilità cardiovascolare, coloro che presentano prevalente instabilità respiratoria e
coloro che hanno un trauma cranico. È ovvio che per sua
natura il politraumatizzato presenta spesso, stati patologici
complessi che possono coinvolgere molti apparati. Quindi la
semplificazione sopra enunciata deve essere adattata alle
esigenze del singolo soggetto.
BIBLIOGRAFIA
Dutton RP 1998. “Anesthesia for trauma“ in Miller ’s Anesthesia (6th edition) pp 2451-2459.
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Krettek C, Simon RG, Tscherne H 1998. Management priorities in patients
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Orsi L, 1996 Il Politraumatizzato Elsevier Milano.
Silva L, Ribeiro LM, Bressan N, et al., 201 1. Dogs mean arterial pressure
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Spahn DR, Cerny V, Coats TJ, et al., 2007. Management of bleeding following major trauma: a European guideline. Critical Care 1 1, R17.
Pazienti con prevalente instabilità
cardiovascolare
In soggetti traumatizzati con funzione cardiovascolare
instabile, può essere vantaggioso che l’induzione dell’anestesia avvenga a ef fetto, tramite infusione lenta come
descritto in letteratura (Kazama et al., 2001). Il propofol può
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Cateteri extradurali: indicazioni, complicazioni,
controindicazioni e problemi
Davide Gamba
Med Vet, Bergamo
Il dolore è un’esperienza fisica e psichica spiacevole
dovuta ad un danno reale o potenziale dei tessuti o descritta
in termini di tale danno (International Assosatiion for the
Study of Pain, 1979).
Indipendentemente dal suo successo o dalla tecnica, ogni
intervento chirurgico provoca un danno dei tessuti e il rilascio di potenti mediatori dell’infiammazione e del dolore.
Le sostanze rilasciate dal tessuto leso inducono nel
paziente risposte ormonali da stress che favoriscono il deperimento dei tessuti (catabolismo), la coagulazione del sangue, la ritenzione idrica, immunosoppressione e stimolano
un ipertono simpatico (tachicardia, centralizzazione del circolo e aumento di consumo di ossigeno).
È ormai risaputo che le tecniche di anestesia locoregionale in particolare quelle in continuo sono le maggiormente
efficaci per il controllo della risposta allo stress chirur gico
durante l’intervento e per il dolore postoperatorio.
Per la realizzazione dell’anestesia generale l’anestesista
introduce il farmaco nel torrente ematico direttamente oppure
facendolo passare prima attraverso la via respiratoria. In un
caso o nell’altro egli ha la certezza matematica che l’anestetico raggiungerà il SNC dove ef fettuerà la sua azione. Invece
nell’anestesia loco-regionale la certezza di aver posto l’anestetico proprio sul nervo o intorno al midollo spinale non è matematica. Infatti, rispetto all’anestesia generale dove la manualità occupa solo una minima parte del bagaglio culturale e di
esperienza professionale, nell’anestesia loco-regionale, invece,
una manualità ben consolidata e la perizia tecnica occupano un
ruolo senz’altro maggiore e preminente.
Quindi risulta chiaro come una grande percentuale di insuccessi e di fallimenti di ogni tipo di tecnica di anestesia locoregionale dipenda dall’esperienza dell’anestesista. A volte questa percentuale può essere diminuita quando l’anestesista,
anche se esperto, viene indotto, durante la visita, a rinunciare
ad una tecnica dopo attenta valutazione del paziente. Sicuramente è più facile rinunciare ad una tecnica quando esiste
un’alternativa che offre risultati paragonabili. Da qui l’importanza di conoscere bene più di una tecnica loco-regionale.
commercio separatamente o in forma di vassoio completo. Il
materiale minimo necessario prevede:
• siringa per l’individuazione dello spazio peridurale;
• ago peridurale appropriato;
• catetere peridurale adeguato all’ago;
• filtro antibatterico/antiparticelle.
Due tipi di siringhe rispondono perfettamente allo scopo.
Da una parte le siringhe in vetro, tradizionalmente le prime
ad essere usate e le più recenti siringhe di plastica specialmente destinate a questo scopo, molto af fidabili. Il vetro ha
il difetto che se lo stantuf fo viene imbrattato dal talco dei
guanti ne può ridurre lo scivolamento. Le migliori sono
quelle studiate e prodotte appositamente per la tecnica della
perdita di resistenza. Sono dette LOR (acronimo inglese di
“loss of resistance”) ed hanno un coefficiente di attrito interno bassissimo.
Gli aghi debbono soddisfare alcune caratteristiche obbligatorie. Debbono avere buona capacità di penetrazione per
poter attraversare strutture dense, come i legamenti interspinosi ed i legamenti gialli, senza traumatizzarli eccessivamente. Gli aghi particolarmente taglienti ed acuminati non
sono indicati in quanto non permetterebbero di percepire
facilmente i piani attraversati e possono facilmente forare la
dura. Gli aghi a bisello corto evitano meglio questa evenienza. Il mandrino è anch’esso indispensabile e deve calzare
bene nel lume occludendo perfettamente la punta; la punta
dell’ago non deve trasportare materiale estraneo, come cellule epidermiche, negli spazi perimidollari, con “ef fetto
biopsia”.
L’ago più usato è quello di Tuohy, a bisello curvo, in
quanto permette il facile inserimento di un catetere nello
spazio peridurale. Poiché il foro del bisello si trova in un piano perpendicolare all’asse del rachide, l’ago deve essere
introdotto più in profondità nello spazio peridurale con
minor mar gine di sicurezza rispetto all’ago di Crawford.
Questi aghi sono graduati in centimetri, per permettere la
misurazione della profondità raggiunta.
Il calibro dell’ago è essenziale. Il diametro interno deve
essere suf ficiente da permettere la libera progressione del
catetere peridurale. Lo spessore della parete e la qualità dell’acciaio devono essere suf ficienti ad assicurare un’adeguata rigidezza all‘ago. Ovviamente il rapporto tra diametro
esterno e quello interno deve essere tale da sposare anche le
esigenze del minimo traumatismo dei tessuti attraversati.
MATERIALE
Il materiale necessario per la realizzazione un blocco peridurale prevede l’uso di diverse componenti, sterili, messi in
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I cateterini devono essere trasparenti per il vantaggio di
una pronta identificazione di una puntura vascolare o subaracnoidea accidentale, in quanto il sangue o il liquor
defluendo nel cateterino, possono essere identificati.
Deve essere suf ficientemente resistente ad evitare piegamenti o rotture all’interno dello spazio peridurale, senza
essere traumatizzante per i vasi e per la dura madre. La sua
estremità deve essere smussa, arrotondata e chiusa per facilitare l’avanzamento. Deve presentare delle centimetrature
anulari colorate e radiopache per poterne valutare la profondità e controllare la posizione sia durante l’applicazione che
dopo. Il calibro interno è inversamente proporzionale allo
spessore della parete: più è sottile e maggiore esso sarà.
Il posizionamento del catetere si ef fettua per via mediana
(L7-S1), e per via paramediana. La scelta della via di
approccio non modifica la tecnica. Passato il legamento giallo, il foro dell’ago viene orientato in un piano trasversale,
abitualmente in direzione cefalica, in modo da permettere,
almeno per i primi millimetri, la progressione del catetere
lungo l’asse maggiore del rachide.
La profondità di inserzione è evidenziata dalle marcature
sul catetere, distanziate di 1 cm. Il catetere è quindi fatto
avanzare di 2-3 cm ancora e nessuna ulteriore resistenza
deve essere percepita. Una volta oltrepassato il foro dell’ago, non si deve ritirare mai il catetere in quanto esiste il
rischio di recidere il catetere. Se occorre ritirarlo, per qualunque ragione, è l’insieme ago-catetere che deve essere
ritratto in blocco.
Se si desidera raggiungere un livello spinale lontano dal
sito della puntura è inutile e controindicato sospingere il
catetere ulteriormente: bisogna cambiare sito della puntura.
L’ago peridurale viene poi ritirato delicatamente dalla
mano dominante dell’anestesista, mentre l’altra mano tiene fermo in situ il catetere per evitarne ogni dislocazione.
Il raccordo-connettore viene allora collegato all’estremità
distale del catetere ed un ulteriore test di aspirazione viene effettuato. Un filtro antibatterico deve essere applicato
sul connettore.
Le complicanze regionali sono la conseguenza diretta dell’interruzione della conduzione nervosa e sono tipiche dei
blocchi midollari. La più frequente è l’ipotensione che può
conseguire in genere ad un blocco del simpatico indotto
dagli anestetici locali, ma può ugualmente essere il risultato
di una depressione bulbare dovuta a sedativi ed anestetici
locali o generali.
Un’altra complicanza regionale è la paralisi respiratoria
che può esser causata da volumi eccessivi di anestetico locale, specie nell’approccio epidurale toracico o ad una iniezione subaracnoidea accidentale (spinale totale) in corso di anestesie epidurali, ma anche di blocchi dei plessi prossimali, in
particolare blocchi diretti del plesso lombare e i blocchi dei
plesso brachiale.
Un ritardo minzionale o una franca ritenzione urinaria, si
può osservare dopo anestesia epidurale. Anche gli oppioidi
dati per via intratecale o epidurale, provocano frequentemente ritenzioni urinarie, anche a basse dosi.
Un altro degli errori umani più frequenti è l’iniezione
intravasale accidentale di anestetico locale. È un’incidente
che in alta percentuale capita se non si osserva la norma di
sicurezza di aspirare, durante il blocco, per controllare che la
punta dell’ago non sia capitato nel lume di un vaso. Ma è
un’evenienza che può capitare anche in mani esperte: un frustolo tessutale o un coagulo possono operare un meccanismo
a valvola e mascherare l’iniezione intravasale. Forti concentrazioni plasmatiche di anestetici locali provocano principalmente manifestazioni nervose centrali e complicanze cardiovascolari.
BIBLIOGRAFIA
COMPLICANZE
Naganobu K, Maeda N, Miyamoto T, Hagio M, Nakamura T, Takasaki M.
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Anaesth Analg, 36(5):485-94. Epub 2009 Jun 5.
Molte sono le complicanze locali che possono riguardare
una anestesia loco-regionale. La causa di tali complicanze è
da ricercarsi spesso nell’errore umano o nell’utilizzo di
materiale non appropriato, insuf ficiente asepsi, scambio di
soluzioni, mancato rispetto delle regole di sicurezza.
Indirizzo per la corrispondenza:
Davide Gamba
Tel. 349/8310474
E-mail: [email protected]
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Blocchi periferici nella chirurgia ortopedica
nell’arto posteriore
Davide Gamba
Med Vet, Bergamo
In questi ultimi cinque anni si è registrato un enorme sviluppo delle tecniche di anestesia loco-regionale, soprattutto
nell’ambito della chirurgia ortopedica, con crescente interesse per i blocchi nervosi periferici.
Una cospicua mole di evidenze scientifiche, infatti, ha
dimostrato che i blocchi periferici sono in grado di garantire
la stessa ef ficacia analgesica dei blocchi centrali, durante e
dopo l’intervento chirurgico, ma con un controllo del dolore
più specifico e selettivo e, soprattutto, con minori sequele
indesiderate o complicanze.
Basti pensare, in proposito, alla possibilità di utilizzare le
tecniche di infusione perineurale continua per prolungare
l’azione analgesica dei blocchi periferici nel periodo postoperatorio, senza quegli effetti collaterali che la somministrazione di farmaci analgesici o i blocchi centrali continui inevitabilmente comportano. Pertanto, l’elevato livello di sicurezza e la migliore analgesia garantiti da tali tecniche ne
spiegano il crescente utilizzo.
Questa relazione vuole chiarire quali sono le tecniche per
ottenere un blocco dei nervi efficace per la chirurgia dell’arto pelvico evidenziando diversi approcci secondo il distretto
anatomico interessato.
La base fondamentale di partenza per iniziare con l’anestesia locoregionale è l’anatomia ed a maggior ragione i
blocchi periferici necessitano di una conoscenza della stratigrafia delle strutture che l’ago del neurostimolatore attraverserà durante la ricerca del nervo da bloccare. La trattazione
si concentrerà sull’elettrostimolazione, ma alcuni cenni
all’utilizzo dell’ecografia non mancheranno.
L’elettrostimolazione si basa sulla ricerca della componente motoria (Aα) di nervi con componente sensitiva
(Aδ-C) e l’intensità di corrente (mA) è direttamente proporzionale alla distanza dal nervo. Non bisogna mai accontentarsi di una stimolazione non adeguata (mA sopra 0,3 o
twitches non corretti) si deve iniettare tra 0,2-0,3 mA previo test di aspirazione ed avendo avuto l’accortezza di
abbassare i mA fino a perdere lo stimolo evitando così
un’accidentale iniezione intravascolare nel primo caso ed
intraneurale nel secondo.
Il nervo femorale io lo approccio posteriormente con il
cane in decubito laterale prendo come repere l’ala dell’ileo e
l’articolazione sacroiliaca. Passo lateralmente al corpo vertebrale di L7 cranialmente all’articolazione fino ad ottenere
la classica contrazione del quadricipite.
Lo sciatico in maniera analoga viene approcciato sempre
posteriormente con il cane in decubito laterale; si unisce con
una linea ideale l’ala dell’ileo con la parte mediale della
tuberosità ischiatica si incrocia poi la linea proveniente dal
grande trocantere lungo l’asse del femore. La prima linea
viene così divisa in due segmenti pressapoco uno il doppio
dell’altro, il maggiore (segmento più craniale) viene diviso a
metà e in quel punto medialmente all’ala dell’ileo si trova il
nervo ancora con le componenti tibiale e peroneale accoppiate. Otterremo una estensione o flessione del tarso.
Per quanto riguarda l’otturatorio la tecnica è analoga al
femorale, va solamente cercato più medialmente ottenendo
l’adduzione della coscia.
I vantaggi di questa tecnica sono enormi: l’analgesia
che otteniamo è paragonabile ai blocchi neuroassiali, analogamente la durata e l’intensità del blocco sono dettate
dalla scelta dell’anestetico locale e dalla sua concentrazione che ci permette tra le altre cose di ottenere un’ottima
miorisoluzione, particolare che rende molto gradita la tecnica all’ortopedico.
Il blocco selettivo di un solo arto, il pronto recupero della
deambulazione ed una curva di apprendimento relativamente veloce completano il quadro.
A differenza dei blocchi centrali i blocchi periferici non
hanno impatto emodinamico rendendoli così indipendenti
dalla premedicazione; ad un cane premedicato con acepromazina non si potrà ef fettuare un’epidurale, ma un blocco
sciatico-femorale si.
Conoscere quindi più tecniche risulta fondamentale per
poter aderire al meglio alle necessità del caso clinico che
comprendono le volontà del chirurgo, il benessere dell’animale e la soddisfazione del proprietario che si vede riconsegnare il proprio cane perfettamente deambulante e con
appetito.
Come ogni tecnica non è scevra da complicazioni: danni
neurologici diretti da trauma, iniezione vascolare accidentale, ematomi, tossicità da anestetico locale (cardio e neurotossicità) ed ultimo ma non meno importante lo spread epidurale.
I blocchi periferici rispetto ad una anestesia generale classica danno una miglior analgesia nell’immediato post operatorio inoltre diminuiscono l’incidenza di nausea e vomito a
fronte del tempo necessario per eseguirli, tempo che in mani
esperte diventa trascurabile.
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
Se paragoniamo i blocchi periferici a quelli neuroassiali i
vantaggi sono quelli di non avere blocco motorio bilaterale,
non abbiamo il rischio di ematomi o ascessi epidurali, evitiamo il rischio di ipotensione perioperatoria con qualità di analgesia paragonabile. Di contro abbiamo che con i blocchi periferici siamo costretti a punture multiple che aumentano il
rischio di ef fetti collaterali e che le tecniche in continuo con
catetere sono ancora da sviluppare in medicina veterinaria.
L’Anestesia Locoregionale è un arte e, come tale, ha tra i
suoi cultori chi è dotato di naturale talento e chi di volenterosa operatività. Ambedue necessitano di indispensabili
conoscenze teoriche che supportino una felice manualità
È dovere dell’anestesista diminuire il più possibile la
risposta allo stimolo chirur gico e il dolore postoperatorio
finché sia necessario.
La tecnica è sicura se eseguita seguendo semplici accorgimenti, economica, adattabile a tutte le chirur gie dell’arto
pelvico e di facile esecuzione.
È bagaglio importante per migliorare la qualità dell’anestesia e del controllo del dolore postoperatorio. L ’avvento
delle tecniche in continuo sono il futuro.
BIBLIOGRAFIA
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Indirizzo per la corrispondenza:
Davide Gamba
Tel. 349/8310474
E-mail: [email protected]
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69° CONGRESSO INTERNAZIONALE MULTISALA SCIVAC
RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Dolore e malattie del Sistema Nervoso:
aspetti clinici e diagnostici
Gualtiero Gandini
DVM, Dr Ric, DECVN
che quali la febbre, anche molto alta, con conseguente disoressia, ma soprattutto dalle modificazioni imposte dal dolore. L’algia si manifesta in modo violento e dif fuso, anche se
a volte raggiunge una criticità espressiva a livello della
regione cervicale: di qui l’atteggiamento di marcato emprostotono e falsa cifosi toracolombare. Il cane si presenta
abbattuto ed estremamente riluttante al movimento. Quando
costretto, si muove con estrema cautela, con passi corti e
rigidi; la deambulazione è spesso accompagnata da tremori
generalizzati o da veri e propri guaiti.
Qualsiasi manipolazione da parte del veterinario è resa
estremamente dif ficoltosa dalle reazioni di anticipazione e
difesa, a volte anche molto intense. Il collo è mantenuto
abbassato e rigido, il tono muscolare è aumentato e la palpazione o manipolazione della parte produce spesso evidenti reazioni di dolore.
Nel cane le meningiti batteriche sono relativamente poco
rappresentate, e sono la conseguenza di una dif fusione
embolico-metastatica sovente da altri focolai di infezione
(ad esempio infezioni urinarie, prostatiche, dell’endocardio)
o dall’estensione diretta da regioni adiacenti (seni; orecchie)
o per ferite penetranti.
Molto più frequente nella pratica clinica, è il riscontro della Meningite- arterite rispondente agli steroidi (Steroid
responsive meningitis-arteritis; SRMA). Questa malattia è
tuttora ad eziologia sconosciuta ma riconosce una patogenesi quasi certamente legata a fenomeni di iperreattività immunomediate. La SRMA è una malattia ad esordio tipicamente
acuto/iperacuto che colpisce soprattutto i cani giovani (8-18
mesi di età), con predilezione per alcune razze (Boxer ,
Bovaro del Bernese, Beagle). La conferma del sospetto diagnostico, effettuato sulla rilevazione dei segni clinici precedentemente descritti, si basa sui risultati dell’ esame del
liquido cerebrospinale, caratterizzati da una marcatissima
pleocitosi pressoché esclusivamente polimorfonucleata nelle fasi acute. Altra caratteristica della malattia è la pronta
risposta alla terapia immunosoppressiva con corticosteroidi.
La terapia deve essere mantenuta per diversi mesi, riducendo progressivamente le dosi del farmaco mentre il soggetto
viene attentamente monitorizzato per valutare la comparsa
di eventuali recidive. La SRMA riconosce infatti, soprattutto se trascurata dal punto di vista terapeutico (terapie con
dosaggi non immunosoppressivi o mantenuti per brevi
periodi), una spiccata tendenza alla recidiva. In letteratura
DOLORE E VISITA NEUROLOGICA
Il cane o il gatto portati alla visita perché af fetti da una
sindrome algica diffusa (o da un dolore a difficile localizzazione), rappresentano sovente una sfida di non facile risoluzione per il veterinario.
Il dolore è una condizione di grave disagio e sof ferenza
che produce una serie di rilevanti modificazioni fisiche e
comportamentali. Per questo motivo, può essere estremamente difficile esaminare adeguatamente un animale in preda a sintomi algici perché il dolore, presente o evocato, produrrà reazioni di difesa e anticipazione che rendono pressoché impossibile una adeguata valutazione sintomatologica.
Il dolore spesso sovrasta e cancella altri segni di utilità diagnostica. Di qui la dif ficoltà ad emettere una adeguata diagnosi clinica e impostare il successivo protocollo diagnostico e terapeutico. Situazioni di dif ficoltà interpretativa si
manifestano non solo in presenza di dolore dif fuso, ma
anche in tutte quelle condizioni in cui il dolore è talmente
marcato da essere di difficile localizzazione.
Svariate patologie responsabili di sindromi algiche sono
riferibili a branche della medicina veterinaria molto diverse
tra loro per cui, in un corretto protocollo diagnostico, si
impone la necessità di considerare ipotesi diagnostico-differenziali che debordano la conoscenza specialistica di un singolo settore.
IL DOLORE DIFFUSO – MENINGITI E
MENINGOENCEFALOMIELITI
Dal punto di vista del neurologo, le malattie che più frequentemente si manifestano con marcato dolore diffuso sono
le meningiti. Le infiammazioni meningee “pure” sono riconosciute pressoché esclusivamente nel cane. Proprio perché
il corredo sintomatologico si “limita” spesso alla manifestazione di una drammatica algia, non è sempre facile riconoscere i segni di un’af fezione meningea. Più facile orientare
la scelta quando, oltre ai sintomi dolorifici, sono presenti
anche segni neurologici di diversa gravità, come nel caso
delle meningomieliti, delle meningoencefalomieliti, delle
estrusioni discali.
I segni dell’ infiammazione meningea, tipicamente ad
esordio acuto, sono rappresentati da manifestazioni sistemi-
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sono descritti casi protratti, definiti forme croniche, in cui
possono essere apprezzati anche segni neurologici. La prognosi è comunque generalmente favorevole.
Altre patologie che devono essere poste in diagnosi differenziale con le meningiti sono le meningomieliti, gruppo di
malattie caratterizzate dal contemporaneo interessamento
delle meningi e del midollo spinale. La forma più conosciuta e più frequente è la Meningoencefalomielite granulomatosa (Granulomatous meningoencephalomyelitis; GME),
anch’essa ritenuta la risultante di una risposta infiammatoria
aberrante immunomediata. Al presente, dal momento che la
diagnosi di GME è solo neuropatologica, si preferisce definire da un punto di vista clinico questo gruppo di malattie
infiammatorie non sostenute da agenti infettivi “meningoencefalomieliti ad eziologia sconosciuta” (Meningoencephalomyelitis of unknown etiology; MUE) Forme sporadiche di
meningoencefalomieliti sono rappresentate dalle forme
micotiche (sostenute soprattutto da Criptococcus spp) e protozoarie (Toxoplasma e Neospora spp.).
Infine, in diagnosi differenziale non devono essere trascurate quelle forme ad interessamento più localizzato, come ad
esempio le discospondiliti o le paratopie del disco intervertebrale che, rendendosi alle volte responsabili di una drammatica sintomatologia algica, rendono molto dif ficile riconoscere la caratteristica focale della patologia.
brale, le neoplasie del corpo vertebrale, delle radici nervose e del midollo spinale. Importanti malattie da porre in diagnosi differenziale sono anche i traumi della colonna vertebrale e le meningomieliti, che speso si accompagnano a
vivace dolore. Il protocollo di indagine, se si eccettuano le
forme infiammatorie meningomielitiche per le quali si rende
necessario l’esame del liquor, chiama principalmente in causa la diagnostica per immagini
Le discospondiliti sono infezioni del disco vertebrale e
delle limitanti dei corpi vertebrali (“endplates”). L ’infezione, raramente primaria, è spesso la conseguenza della diffusione ematogena di batteri provenienti da altre sedi, quali la
vescica, la bocca e le valvole cardiache. La discospondilite
di norma si presenta come lesione singola, ma non è infrequente trovare lesioni multiple che colpiscono più dischi
intervertebrali. Questa è la condizione con cui si presentano
le rare discospondiliti micotiche. Oltre alla tipica sintomatologia algica, molto variabile per entità e dipendente nelle
sue manifestazioni anche dalla sede della lesione, in una
ridotta percentuale di casi è presente febbre, dimagrimento
e anoressia. La radiografia del rachide, se non ef fettuata
troppo precocemente, tipicamente mette in evidenza alterazioni delle limitanti dei corpi vertebrali, consistenti in lesioni vieppiù radiotrasparenti a mar gini irregolari circondate
da una osteosclerosi reattiva periferica. Queste lesioni testimoniano il processo di lisi ossea e di distruzione del disco
intervertebrale. Possono essere presenti concomitanti processi spondilosici.
Il cane, specie se di razza condrodistrofica, è spesso
oggetto di processi degenerativi del disco intervertebrale
che esitano in estrusioni con conseguente interessamento
compressivo delle strutture adiacenti. La sintomatologia che
ne deriva è estremamente variabile per gravità, e va dalla
sola iperestesia del tratto del rachide colpito fino alla paraplegia per gravi lesioni del midollo spinale. Le forme caratterizzate dalla sola iperestesia sono spesso le più dif ficili da
diagnosticare e trattare con successo. Ancor oggi, troppo
spesso i sintomi di una incipiente estrusione discale (tipicamente: falsa cifosi e addome retratto) sono scambiati per i
segni di un problema gastroenterico e non adeguatamente
trattato. La conseguenza è sovente un peggioramento drammatico delle condizioni cliniche per successiva compressione del midollo spinale. La diagnosi di iperestesia toracolombare da paratopia del disco intervertebrale rimane sovente
una diagnosi clinica. La radiografia senza mezzo di contrasto non permette la conferma diagnostica e, agli occhi di
molti proprietari, le condizioni cliniche non giustificano
l’impiego di costose tecniche di diagnostica per immagini
avanzata. Il trattamento di queste forme clinicamente lievi di
estrusioni discali è la marcata limitazione del movimento
dell’animale, eventualmente associata a terapia analgesica e
antinfiammatoria. È assolutamente da scoraggiare l’impostazione di una terapia volta a ridurre la sintomatologia algica se non accompagnata da una importante riduzione della
capacità di movimento del paziente.
Le neoplasie che interessano il distretto toracolombare
della colonna vertebrale, si differenziano dalle forme precedenti per una maggior sporadicità e per presentare esordi
insidiosi e decorsi tendenzialmente progressivi. Le neoplasie
CIFOSI E ADDOME RETRATTO:
L’APPROCCIO DEL NEUROLOGO
La falsa cifosi e la retrazione dell’addome sono espressioni antalgiche di risposta ad uno stimolo dolorifico di
diversa provenienza. Anche in questo caso, la medesima
manifestazione sintomatologica può sottendere malattie che
interessano apparati molto diversi, quali ad esempio l’apparato nervoso e l’apparato digerente.
L’approccio clinico del neurologo all’animale che viene
presentato per la summenzionata sintomatologia (ancora una
volta molto più frequente nella specie canina), deve essere
mirato a identificare la sede del dolore e a scoprire l’eventuale presenza di deficit neurologici, anche modesti. A questo fine, deve essere posta grande attenzione nella valutazione dell’andatura e della risposte propriocettive e posturali.
Queste valutazioni non devono essere disgiunte da una
attenta palpazione della regione del rachide lombare e toracico. Questa deve essere operata in modo attento, ordinato e
sequenziale. È fondamentale mantenere il soggetto in posizione rilassata e non particolarmente costretta, appoggiando
una mano sulla parte ventrale della parete addominale e
effettuando con l’altra una delicata palpazione delle strutture adiacenti alla sommità dei processi spinosi, procedendo di
norma in senso caudo-craniale. La palpazione deve essere
effettuata dapprima applicando pressioni estremamente delicate: la mano sull’addome è volta a percepire repentine contratture addominali qualora la mano esplorante passi su un
punto dolente.
Diverse patologie di interesse neurologico possono produrre dolore toracolombare: tra le più frequenti è opportuno
citare le discospondiliti, le paratopie del disco interverte-
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del corpo vertebrale sono diagnosticate sulla base dei reperti radiografici o di diagnostica per immagini avanzata (tomografia computerizzata [TC] o risonanza magnetica nucleare
[RMN]) associati possibilmente ad una biopsia della parte.
Nella specie felina le neoplasie, ed in particolare il linfoma
e i tumori vertebrali, sono percentualmente più rappresentate rispetto al cane come causa di patologia spinale.
Va infine sottolineato che anche le forme infiammatorie,
quali ad esempio la GME, possono rendersi responsabili di
severo dolore toracolombare. Per questi ultimi casi la diagnosi si ottiene accoppiando i risultati della diagnostica per
immagini (in particolare della RMN, in grado di rilevare
alterazioni compatibili con lesioni infiammatorie del tessuto
nervoso) con quelli dell’esame del liquido cerebrospinale.
conseguente perdita di integrità della barriera ematoencefalica. Alterazioni del liquido cerebrospinale si ritrovano
anche nelle forme di meningomielite. Il sospetto di GME è
avvalorato dal reperto di una pleocitosi mista, da moderata a
marcata, con prevalenza di elementi mononucleati.
Non è scopo di questo breve sunto descrivere nel dettaglio
le caratteristiche delle diverse patologie documentate con le
differenti tecniche di diagnostica per immagini. Si ritiene
invece opportuno riepilogare sinteticamente i limiti e le
potenzialità diagnostiche insite in ciascuna tecnica.
La radiografia convenzionale offre buone possibilità diagnostiche nei confronti delle discospondiliti e delle neoplasie vertebrali. Tipicamente, le discospondiliti producono le
lesioni precedentemente descritte a livello dello spazio intervertebrale e delle adiacenti limitanti (endplates) dei corpi
vertebrali. Le neoplasie dei corpi vertebrali non sempre presentano alterazioni radiograficamente apprezzabili. Queste
sono evidenti soprattutto per le neoplasie primarie del tessuto osseo, quali gli osteosarcomi, e consistono in alterazioni
della densità ossea, con aree radiotrasparenti alternate a
regioni più radiopache per la reazione ossea circostante, e
soprattutto in una perdita della definizione della corticale
ossea, della demarcazione tra osso compatto e osso spugnoso ed eventuale invasione dei tessuti circostanti. La conferma del sospetto diagnostico di neoplasie del midollo spinale, delle meningi e delle radici dei nervi periferici, necessita
invece sempre di tecniche di diagnostica per immagini avanzata. Un analogo ragionamento deve essere considerato per
la diagnosi delle estrusioni e delle protrusioni del disco
intervertebrale. La radiografia convenzionale dimostra solo
segni indiretti di paratopia discale, purtroppo non utili ai fini
della decompressione chirur gica della parte lesa. La sola
radiografia convenzionale non è quindi in grado di confermare un sospetto diagnostico di paratopia discale.
La mielografia per decenni ha rappresentato la tecnica ottimale per la documentazione di lesioni compressive del midollo spinale e ancor oggi è una tecnica lar gamente diffusa nel
mondo veterinario. La mielografia consiste nella iniezione di
un mezzo di contrasto iodato a livello di spazio subaracnoideo
che produce una opacizzazione dello stesso e la visione, per
contrasto, del midollo spinale. Tramite la mielografia è possibile documentare adeguatamente la presenza di compressioni
extradurali, intradurali-extramidollari o intramidollari. Una
paratopia discale è dimostrata dalla dislocazione dorsale dei
binari del mezzo di contrasto e dal loro assottigliamento (fino
alla totale scomparsa), a livello delle adiacenze dello spazio
intervertebrale. Le neoplasie che interessano il canale vertebrale possono produrre lesioni con modalità compressive che
comprendono i tre modelli precedentemente citati.
È ormai generalmente accettato che Tomografia Computerizzata (TC) e Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) possiedano una sensibilità maggiore della mielografia nel dimostrare la presenza di lesioni a carico delle strutture poste
all’interno del canale vertebrale. In particolare, la TC possiede una risoluzione ottimale per la visualizzazione dei tessuti duri, mentre la RMN è in grado di visualizzare al meglio
le strutture dei tessuti molli, in particolare del tessuto nervoso. Un altro elemento che deve essere sottolineato è che la
TC è in grado di produrre immagini per sezioni tagliate su
MENINGITE, MENINGOENCEFALITE,
DISCOPATIE: COME ARRIVARE
ALLA DIAGNOSI
La diagnostica collaterale e per immagini riveste un ruolo
fondamentale nel protocollo di lavoro impostato per individuare la causa responsabile della sindrome algica.
Per il neurologo, la lista delle possibili diagnosi dif ferenziali cliniche a giustificazione della sintomatologia dolorifica è relativamente nutrita. Fondamentalmente, sono chiamati in causa processi infiammatorio/infettivi della colonna
vertebrale, delle meningi e del midollo spinale, nonché
lesioni compressive sulle meningi e sulle strutture adiacenti
operate da processi degenerativi, traumatici o neoplastici.
Nel protocollo di lavoro rivestono quindi una importanza
fondamentale la diagnostica per immagini, volta ad individuare tutte le alterazioni morfologiche a carico delle strutture vertebrali e di quelle contenute all’interno del canale vertebrale, e l’esame del liquido cerebrospinale (LCS), elemento insostituibile per la conferma di lesioni infiammatorie
altrimenti non evidenziabili con altre modalità diagnostiche.
Di norma, gli esami del sangue (esame emocromocitometrico e profilo biochimico) non mostrano significative alterazioni, eccetto che per la presenza di leucocitosi anche marcata per le forme infiammatorie meningee e per le discospondiliti. L’acquisizione dei dati relativi ai parametri ematici si rivela però indispensabile ai fini di una corretta procedura anestesiologica, richiesta per il prelievo del liquido
cerebrospinale, la mielografia o la diagnostica per immagini
avanzata.
Se il sospetto diagnostico indirizza fortemente verso una
forma di infiammazione meningea, può essere opportuno
anteporre ad altre indagini il prelievo e l’esame del liquido
cerebrospinale. Questo viene di norma prelevato in anestesia generale dalla cisterna magna e, se alterato, può mostrare una imponente pleocitosi polimorfonucleata (anche 5000
cellule/μl; valore normale 0-5 cellule/μl) e un sensibile
aumento del contenuto proteico. L ’esame del liquido cerebrospinale non permette di dif ferenziare adeguatamente la
presenza di una SRMA o di una meningite batterica. L ’esame colturale, per essere attendibile, richiede quantitativi di
LCS che di norma non si riescono a prelevare. Queste modificazioni rispecchiano l’infiammazione delle meningi e la
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un solo piano dello spazio (di norma la sezione trasversa),
mentre la rielaborazione dei dati per ottenere immagini sui
piani sagittale e dorsale comporta una notevole perdita di
qualità e di dettaglio. Al contrario, la RMN è in grado di elaborare immagini delle strutture indagate in sezioni trasverse,
dorsali e sagittali. In particolare, alcune immagini ottenute
con particolari sequenze (ad esempio sequenze T2-pesate)
sono in grado di produrre una visualizzazione secondo un
asse sagittale della colonna e del canale vertebrale con effetti simili (e a volte superiori) a quelli di una mielografia, evitando i rischi connessi all’iniezione del mezzo di contrasto a
livello di spazio subaracnoideo. Non va infine dimenticato il
grandissimo vantaggio della RMN di poter rappresentare
con sufficiente dettaglio anche le strutture intramidollari. La
RMN si rivela pertanto utile anche nella visualizzazione di
lesioni infiammatorie e vascolari intraparenchimatose. La
RMN si rivelerà quindi estremamente utile per confermare i
sospetti diagnostici di paratopia discale, di GME e di neoplasie del midollo spinale, delle radici nervose e delle
meningi. Di converso la TC mostra le sue migliori potenzialità nella conferma diagnostica delle lesioni ossee, siano esse
di natura infiammatorio/infettiva, degenerativa o neoplastica. È opinione di chi scrive che la diagnosi delle paratopie
discali effettuata tramite TC debba avvenire dopo iniezione
del mezzo di contrasto iodato (mielo-TC) a livello di spazio
subaracnoideo, al pari di quanto avviene in mielografia.
Diversamente da quanto avviene con la RMN, lo spazio subaracnoideo non viene adeguatamente visualizzato con la TC
senza l’ausilio del mezzo di contrasto: ne consegue che solo
la mielo-TC offre la possibilità di apprezzare adeguatamente il livello di compressione sul midollo spinale operato da
una paratopia discale.
Al presente, il fattore limitante l’impiego di tecniche di
diagnostica per immagini avanzata è rappresentato più dalla
disponibilità sul territorio di centri diagnostici che dispongano di tali strumenti piuttosto che non da motivazioni legate
al costo dell’indagine.
peso del corpo. Subito dopo, nella sequenza del movimento,
l’arto controlaterale si fa invece carico del sostegno del peso
e l’animale quasi ci af fonda sopra. Nei casi più gravi, l’arto
è tenuto addirittura sollevato dal suolo e non è in grado quasi di poggiare al suolo.
Il deficit neurologico si esprime invece con una limitazione del movimento volontario di grado variabile. Se è relativamente facile riconoscere una monoplegia, caratterizzata
dalla totale assenza di movimento volontario e dall’atteggiamento di dorsoflessione della mano, più dif ficile è cogliere
la dif ferenza tra una monoparesi di entità moderata e una
zoppia. L’arto paretico non tende a sottrarre l’appoggio e il
carico del peso: viceversa, specie se è colpito il nervo radiale, tende a cedere sotto il peso del corpo e a mantenere una
postura con la mano dorsoflessa. Il passo è caratteristicamente ipometrico e può mostrare accenni di deficit propriocettivi, conclamantisi nella dorsoflessione spontanea del
dorso della mano. L’arto colpito da monoparesi può presentarsi con masse muscolari ridotte di volume e ipotoniche, per
effetto di una atrofia neurogena. Tipicamente, la monoparesi/plegia dell’arto anteriore è l’effetto di una avulsione traumatica del plesso brachiale.
Vi sono però alcune importanti eccezioni che chiamano in
causa patologie neurologiche, in cui la disfunzione legata
alla malattia si manifesta con dolore e zoppia anziché con i
tradizionali deficit neurologici, quali paresi e deficit propriocettivi. Le malattie che si rendono responsabili di questa
sintomatologia che mima una patologia ortopedica sono fondamentalmente rappresentate dalle estrusioni discali lateralizzate e dai tumori delle radici nervose del plesso brachiale.
Le estrusioni discali lateralizzate si possono rendere
responsabili di una sintomatologia algica anche drammatica,
ad insor genza tipicamente acuta, caratterizzata da zoppia
dell’arto colpito e rigidità cervicale. Questo complesso sintomatologico viene definito “root sign”, cioè segno della
radice, in quanto dovuto alla compressione della radice nervosa che fuoriesce dal forame dello spazio intervertebrale
colpito. La stenosi del forame produce la sof ferenza della
radice, che si manifesta con la già citata iperalgesia e con
possibili deficit motori (paresi) e propriocettivi. Molto spesso non sono presenti altri deficit neurologici che possano
aiutare il veterinario a orientare la diagnosi differenziale clinica e il successivo protocollo diagnostico. Il mezzo di elezione per la diagnosi delle estrusioni discali lateralizzate è
rappresentato dalla RMN. Con questa tecnica di indagine è
possibile dimostrare la degenerazione del disco intervertebrale, la sua paratopia e la compressione del foro intervertebrale, caratterizzata da una scomparsa del tessuto adiposo
periradicolare. Ernie discali lateralizzate possono essere
documentate anche con la mielografia e la TC. Opportune
procedure chirurgiche di decompressione possono risolvere
completamente la sintomatologia.
Le neoplasie delle radici nervose sono tumori che originano dalle cellule delle guaine di rivestimento degli assoni.
In passato definiti in base alle caratteristiche istologiche
come neurofibromi, neurofibrosarcomi, e schwannomi, al
presente queste neoplasie, particolarmente rappresentate nel
cane, sono chiamate più semplicemente tumori maligni delle guaine di rivestimento dei nervi periferici per le caratteri-
IL NEUROLOGO E IL DOLORE DELL’ARTO
TORACICO
Il dolore dell’arto toracico del cane e del gatto si manifesta con una zoppia e una sottrazione dell’arto al carico del
peso su di esso. La zoppia dell’arto anteriore è il risultato di
diverse patologie ortopediche: la zoppia è infatti tipicamente il segno clinico rivelatore di una patologia di natura ortopedica a carico dell’arto colpito. È importante per il veterinario sapere distinguere adeguatamente tra una andatura che
sia espressione di una zoppia e una che sia invece espressione di una monoparesi proprio perché, nella maggior parte
dei casi, queste due alterazioni sottendono disfunzioni derivanti da apparati diversi. Nel primo caso, l’arto compie dei
passi più brevi, la fase di appoggio è fortemente ridotta e l’animale mette in atto tutti i meccanismi, quali il cosiddetto
“colpo di testa”, atti a sgravare il più possibile l’arto colpito
dal peso del corpo. L ’arto con zoppicatura, quando tocca il
terreno, ha una breve fase di appoggio in cui l’animale contemporaneamente solleva la testa per spostare all’indietro il
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stiche di marcata anaplasia che ne rendono dif ficile la classificazione. Una delle sedi di più frequente riscontro di queste neoplasie è rappresentata dal plesso brachiale. La crescita è di norma centripeta, con coinvolgimento e infiltrazione
delle altre radici del plesso brachiale. Questi tumori si rendono responsabili di una sintomatologia algica a esordio
subdolo e a decorso cronico-progressivo.
All’esame clinico, al rilievo della zoppia non segue il
riscontro di anomalie di tipo ortopedico. In molti casi la palpazione dell’arto colpito e della regione ascellare produce
una reazione algica. La risposta al trattamento antinfiammatorio e analgesico è dapprima relativamente buona per poi
decadere in ef ficacia nelle fasi più avanzate della malattia.
Quando la sintomatologia è protratta nel tempo, possono
divenire apprezzabili altri segni quali l’atrofia muscolare
neurogena delle masse muscolari innervate dalla radice interessata, la paresi, la diminuzione dei riflessi spinali sull’arto
colpito. In casi particolari, può essere evidente anche una
concomitante sindrome di Horner (miosi, enoftalmo, procidenza della terza palpebra) ipsilaterale e una diminuzione
del riflesso pannicolare, per l’interessamento specifico delle
radici nervose. Nei casi più protratti in cui si è verificata l’invasione del canale vertebrale, possono diventare apprezzabili deficit motori e propriocettivi anche a carico dell’arto
posteriore ipsilaterale alla lesione.
La diagnosi viene ef fettuata tramite l’impiego della diagnostica per immagini avanzata. La TC, ma soprattutto la
RMN possono visualizzare le radici colpite dal processo
neoplastico. La mielografia è utile solo in quei casi in cui il
tumore abbia invaso il canale vertebrale, comprimendo il
midollo spinale.
Per la natura altamente maligna di queste neoplasie, la
prognosi nel breve-medio periodo è purtroppo sfavorevole,
anche quando si interviene radicalmente con l’escissione
delle radici colpite e l’amputazione dell’arto.
getti colpiti da patologie ortopediche, sono sovente alterate
in presenza di una sindrome locomotoria a origine nervosa,
specie se questa origina dal midollo spinale. Particolare
rilievo deve essere pertanto dato alla valutazione della integrità della propriocezione cosciente, soprattutto attraverso il
test della dorsoflessione del piede.
Al pari di quanto precedentemente esposto per l’arto anteriore, ci sono invece alcune patologie di pertinenza neurologica che producono una sintomatologia che potrebbe essere
confusa con gli effetti prodotti da un problema a carico dell’apparato locomotore.
I tumori maligni delle guaine di rivestimento dei nervi
periferici precedentemente citati possono, seppur con minore frequenza rispetto alla localizzazione al plesso brachiale,
interessare i nervi dell’arto pelvico. L ’evoluzione della sintomatologia è tipicamente cronico-progressiva ad esordio
insidioso. Accanto al dolore e alla zoppia, le neoplasie del
nervo femorale sono caratterizzate da atrofia neurogena del
muscolo quadricipite femorale, cedimenti e incapacità a
sostenere il peso del corpo sull’arto colpito. Se la neoplasia
interessa il nervo sciatico, si osserverà invece atrofia dei
muscoli della loggia posteriore, ipometria dovuta all’incapacità di flettere adeguatamente l’arto e conseguente trascinamento sul terreno con consumo abnorme delle unghie.
Anche in questo caso, la diagnosi viene ef fettuata tramite
l’impiego della diagnostica per immagini avanzata. La TC,
ma soprattutto la RMN possono visualizzare il nervo colpito dal processo neoplastico. L ’elettromiografia e lo studio
della velocità di conduzione nervosa possono confermare il
sospetto diagnostico dimostrando alterazioni selettive a carico dei settori neuromuscolari interessati.
La stenosi degenerativa lombosacrale, comunemente
(anche se impropriamente) conosciuta anche come “sindrome della cauda equina”, occupa un ruolo estremamente rilevante tra le patologie che possono produrre dolore a carico
del bipede posteriore. La stenosi degenerativa lombosacrale
è il risultato delle ripetute sollecitazioni a carico dell’articolazione lombosacrale, che possono produrre una serie di
alterazioni che, in ultima analisi, risultano nell’inst abilità
della giunzione stessa. La stenosi degenerativa lombosacrale è caratterizzata da dolore a carico della giunzione L7-S1,
che si manifesta nella riluttanza a compiere tutti quei gesti
che producono una brusca estensione di questa struttura,
come ad esempio il saltare sulla macchina del proprietario o
superare ostacoli quali muretti di adeguate dimensioni. La
maggior parte delle stenosi degenerative lombosacrali si
limita a provocare dolore in assenza di deficit neurologici. Il
dolore può essere lateralizzato e manifestarsi su un solo arto,
se la compressione si manifesta a livello foraminale sulla
radice. L’algia è rilevata anche dalla postura della groppa,
mantenuta sotto di sé, e dalla riluttanza a cambiare bruscamente posizione: l’animale può mostrare estrema cautela
nell’atto di alzarsi, sdraiarsi o saltare; nei casi più gravi questi movimenti possono esitare nell’apprezzamento di guaiti e
lamenti. La palpazione (complesso di manualità che induce
una pressione e una iperestensione della giunzione LS) può
evocare vivace fastidio cui l’animale tenta di sottrarsi. Nei
casi più conclamati, sono evidenti anche deficit neurologici
a carico del bipede posteriore, caratterizzati da ipometria,
IL NEUROLOGO E IL DOLORE
DEL BIPEDE POSTERIORE
Analogamente a quanto descritto per l’arto anteriore, anche
il bipede posteriore è affetto, soprattutto nel cane, da una varietà di malattie ortopediche che producono dolore e dif ficoltà
deambulatorie di vario grado. Anche in questo caso, vanno
considerate in diagnosi dif ferenziali alcune patologie che
appartengono alla sfera di competenza del neurologo. Nella
differenziazione tra patologie ortopediche e neurologiche che
colpiscono il bipede posteriore è essenziale effettuare una buona valutazione dell’andatura. La maggior parte delle patologie
del sistema nervoso produce infatti deficit di deambulazione
distinguibili da quelli ortopedici. È essenziale sapere riconoscere e differenziare l’incoordinazione e la debolezza (paresi)
dai deficit più francamente ortopedici, quali appunto la zoppia.
Patologie cronico-progressive come la mielopatia degenerativa, vengono ancor oggi scambiate da molti veterinari per patologie di pertinenza ortopedica, almeno nelle prime fasi della
malattia. Un attento esame dell’andatura dei soggetti colpiti
rivela una incoordinazione (atassia) non giustificabile da
malattie ortopediche. Le prove propriocettive, normali in sog-
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della giunzione L7-S1 impedendo così una adeguata documentazione dell’eventuale compressione. In aggiunta, la mielografia non è comunque in grado di documentare adeguatamente la eventuale compressione foraminale.
I casi più lievi vengono di norma trattati con farmaci
antinfiammatori e riposo. Alla ripresa del lavoro, può esserci una recrudescenza dei sintomi. Diverse tecniche di risoluzione chirurgica sono state proposte nel tempo. La più semplice propone la risoluzione della compressione attraverso
una laminectomia dorsale. Quando viene documentata la
presenza di instabilità, è preferibile attuare un intervento di
stabilizzazione, di norma abbastanza indaginoso. Raramente
si ottiene un recupero totale della funzione.
Non va dimenticato che la giunzione lombosacrale è una
delle localizzazioni più frequenti della discospondilite, per
cui questa malattia deve essere posta in diagnosi dif ferenziale con le altre malattie responsabili di algia del bipede
posteriore.
paraparesi, modici deficit propriocettivi (elemento che
diversifica le patologie toracolombari da quelle lombosacrali della cauda equina). La stenosi degenerativa lombosacrale
colpisce soprattutto i cani di media-grossa taglia di media
età in attività, in particolare appartenenti alla razza Pastore
Tedesco. Le lesioni compressive che si producono sulla cauda equina possono essere dovute a ipertrofia dell’anello
fibroso e protrusione del disco L7-S1, che può essere lateralizzata (“foraminopatia” per compressione di una radice spinale del nervo sciatico) o centrale. La conferma diagnostica
di una patologia a carico della cauda equina non è sempre
semplice: spesso, anche in questo caso, è necessario ricorrere alla diagnostica per immagini avanzata. La TC, ma soprattutto la RMN sono in grado di cogliere il livello di compressione della cauda sia che essa si verifichi a livello mediano,
sia che essa sia lateralizzata. In particolare, la RMN è in grado di rilevare la presenza di compressione di un forame documentando la scomparsa del grasso epidurale periradicolare.
La TC può documentare invece la presenza di esostosi a
livello foraminale. La mielografia non è una tecnica attualmente più raccomandata in quanto molto spesso, soprattutto
nei soggetti di grossa taglia, il cono midollare termina prima
Bibliografia richiedibile presso l’autore:
[email protected]
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Approach to chronic vomiting in the cat
Frédéric P. Gaschen
Dr med vet, Dr habil, Dipl ACVIM (SAIM), Dipl ECVIM-CA, Louisiana, USA
OVERVIEW
BACKGROUND
Vomiting is a common reason for presentation of cats to
veterinarians. Chronic vomiting can be a manifestation of
diseases affecting the digestive tract or other organ systems.
The diagnostic approach must be systematic in order to efficiently recognize and treat any underlying problem.
Vomiting is a prevalent problem in cats. Occasional
episodes of vomiting in an otherwise healthy looking cat
generally do not warrant a thorough work-up. However , if
vomiting occurs more frequently or if other clinical signs are
present, a more in-depth exam is recommended. In cats,
vomiting can be associated with a wide variety of diseases,
probably because of the high number of peripheral receptors
located mostly in the abdomen that can stimulate the vomiting center in the brainstem in that species. Moreover , the
close association between the vomiting center and the
chemoreceptor trigger zone located on the floor of the 4 th
ventricle plays an important role when cats experience meta-
OBJECTIVES
• To define a systematic approach to vomiting in cats
• To review some of the frequently associated diseases using
clinical cases
TABLE 1 - Frequent causes of vomiting in the cat
Gastrointestinal (GI)
Outside GI
Stomach
- infectious (viral, bacterial, parasitic)
- obstructive (including bezoars)
- adverse reaction to food (food intolerance
or food allergy)
- chronic gastritis (possibly with IBD)
- gastric nematodes
- gastric neoplasia
- motility disorders
Abdominal
- peritonitis (e.g. FIP)
- liver diseases (including biliary tree)
- pancreatitis (vomiting occurs less frequently
in cats than in dogs)
- diaphragmatic hernia
- neoplasia
Small bowel
- infectious (viral, bacterial, parasitic)
- obstructive (including linear foreign body, intussusception)
- adverse reaction to food (food intolerance or food aller gy)
failure
- IBD
- intestinal neoplasia
- ileus (of different causes)
Metabolic
- uremic syndrome
- endocrine disease (hyperthyroidism, DKA)
- drugs (antibiotics, NSAIDs)
- toxins (toxic plants, etc.)
- cardiomyopathy with congestive heart
- dirofilariasis
- sepsis
- systemic mastocytosis
Neurological
- motion sickness
- vestibular disorders
- encephalitis
- dysautonomia
- increased intracranial pressure
- psychogenic (excitation, fear, pain)
Colon
- severe constipation
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bolic disorders or intoxications. Principally , it is helpful to
differentiate between causes originating from the gastrointestinal (GI) tract and those from other or gan systems.
enlarged thyroid glands. Additionally, cardiac auscultation
may reveal gallop rhythm or other findings associated with
thyroid toxicity . Although exceptions may occur , most
hyperthyroid cats are 5 years of age and older . However,
absence of palpable masses or cardiac changes is not sufficient to rule out hyperthyroidism. Finally , the abdomen
must be thoroughly palpated to detect possible pain, space
occupying lesions, intussusception, abnormal intestinal
loops, kidneys of abnormal size, etc.
HISTORY AND PHYSICAL EXAM
In cases requiring veterinary attention, a good history
can be very helpful in tracking hints revealing the presence
of diseases outside the GI tract. A detailed physical exam is
performed to assess consequences of vomiting (dehydration, weight loss) and their severity , and search for additional clinical signs associated with vomiting such as
icterus, anemia, etc. A thorough oral exam should always
be performed, in particular in animals prone to play with
potential linear foreign bodies (piece of string looping
around the base of the tongue). Thorough palpation of the
ventral neck on both sides of the trachea can help detect
ADDITIONAL DIAGNOSTIC TESTS
Recommended ancillary tests may dif fer from patient to
patient based on the information obtained from history and
physical exam, and the likely anatomic localization of the
problem causing vomiting (see figure 1). Useful tests in
patients with suspect alimentary tract disease include diag-
Figure 1 - Algorithm for chronic vomiting in the cat.
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nostic imaging of the abdomen. Radiographs are always
indicated in vomiting animals, as they are quite sensitive and
specific for the diagnosis of intestinal obstructions (dilated
small intestinal loops >12 mm in width) and linear foreign
bodies (accordion-like, clumped pattern of the small intestine). If survey radiographs are not diagnostic in a cat suspected to have an obstructive lesion, radiographic contrast
may be administered to allow better visualization. However
the risk of aspiration of the contrast agent should be carefully weighed against the possible benefits from the study
.
Additionally, abdominal ultrasound can be very useful as a
complement to radiographs: foreign bodies, intestinal masses, intussusceptions, abnormalities in wall layering and
many more lesions can easily be detected by an experienced
ultrasonographer.
Cats with chronic vomiting, hyporexia and weight loss
may suf fer from adverse reaction to food or idiopathic
inflammatory bowel diseases (IBD). If the cat’ s condition
allows it, switching to an elimination diet with a novel protein or to a hydrolyzed peptide diet may have both diagnostic and therapeutic value. Fecal parasitological exam should
not be neglected (mostly to rule out the presence of intestinal worms, gastric worms such as Ollulanus tricuspis and
Physaloptera rara are more of a diagnostic challenge).
Finally, a full CBC and chemistry panel are useful to
check for severe consequences of acute or chronic vomiting.
Anemia, leukocytosis or leukopenia may be present in association with various diseases. Electrolytes may be depleted
(hypokalemia) and hypoalbuminemia or panhypoproteinemia can be present. It is advisable to check serum cobalamin
(vitamin B12) concentrations in cats with chronic intestinal
disease, as it may be low, and the cat may require parenteral
substitution therapy.
In some instances all the above exams are either normal
or inconclusive. If extra-GI causes could be excluded (see
below) and the problem still seems to originate from the GI
tract, gastro-duodenoscopy may be indicated to visualize
the gastric and duodenal mucosa, and collect mucosal
biopsies for histological analysis.
Alternatively, exploratory abdominal sur gery enables
the sur geon to explore stomach and the whole bowel as
well as the abdominal cavity , and to sample full thickness
biopsies from abnormal looking gastric or intestinal segments or from other organs.
For cats with disease likely originating outside the alimentary tract, a broad search must be initiated. Practically, a stepwise approach is meaningful. The first step consists of a minimal data base including CBC, chemistry
panel and urinalysis, as well as retrovirus check and, if the
cat is older than 5 years of age and the signs fit, a serum
thyroxin concentration. After these results are available, a
more targeted approach based on the abnormalities detected in the lab work is often possible. Diagnostic imaging of
thorax and abdomen (including abdominal ultrasound
exam) can be very helpful to confirm or rule out diseases
affecting the liver , the kidneys, possibly the pancreas or
other organs.
BASIC THERAPEUTIC GUIDELINES
Depending on the cat’s condition, treatment is initiated in
some or all of the following categories:
− Supportive treatment, essentially i.v . fluids, often with
electrolyte replacement (e.g. potassium).
− Symptomatic treatment:
• antiemetics such as metoclopramide 0,3-0,5 mg/kg
s.c. TID or as an i.v . constant rate infusion of 1-2
mg/kg in 24h, or maropitant (Cerenia ®) at 1 mg/kg
SC once daily (not registered for use in cats).
• gastric mucosal protection: famotidine 0.5 mg/kg p.o.
or s.c. once to twice daily. Other H 2-blockers may be
used as well such as ranitidine 0.5-2 mg/kg p.o. or
s.c. BID. Consider adding sucralfate 0,5 g per cat
TID to QID if erosive or ulcerated gastritis is suspected (hematemesis).
• feed a bland or a hypoaller genic diet (see above).
• finally, specific treatment cat be initiated when the
disease has been identified.
REFERENCES & SUGGESTED READING
Allenspach K., Chan DL. Antiemetic therapy. In August JR ed. Consultations
in Feline Medicine. Saunders Elsevier. St. Louis. 2010, 232-239.
Daminet, S. Vomiting, acute & vomiting, chronic. In: Côté, E. ed. Clinical
Veterinary Advisor, Dogs and Cats. St. Louis, Mosby Elsevier, 2007,
1157-1160.
Twedt DC. Vomiting. In: Ettinger SJ and Feldman EC ed. Textbook of Veterinary Internal Medicine. St. Louis, Saunders Elsevier , 2010, 195200.
Zoran, D. The cat with signs of acute vomiting & the cat with chronic vomiting. In: Rand, J. ed. Problem-based feline medicine. Philadelphia:
Elsevier Saunders, 2006; 630-690.
Address for correspondence:
Frédéric P. Gaschen
Louisiana State University School of Veterinary
Medicine Baton Rouge, Louisiana, USA
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Feline pancreatitis: a persisting challenge
Frédéric P. Gaschen
Dr med vet, Dr habil, Dipl ACVIM (SAIM), Dipl ECVIM-CA, Louisiana, USA
The prevalence of pancreatitis among cats presented to
veterinarians is not negligible. Since the early nineties the
disease has been the object of much clinical research. However, despite these many years of research and accumulated
experience, the diagnosis of feline pancreatitis, especially in
its chronic form, remains a major challenge today . Moreover, there is no consensus on the best therapeutic approach.
These facts contribute to an ongoing frustration when dealing with suspect cases.
an insignificant proportion of clinical cases. However, treatment of an existing underlying process may be enough to
successfully treat pancreatitis.
Cats with pancreatitis may also be affected with concomitant inflammatory bowel disease (IBD) and cholangiohepatitis. This is attributed to the peculiar anatomy of the pancreatic and bile ducts in felines that often mer ge together
before reaching the duodenal papilla. As a result, the feline
pancreas is exposed to an increased risk of bile reflux or
ascending infection. The term “triaditis” describes the
simultaneous presence of IBD, cholangiohepatitis and pancreatitis in the cat.
PREVALENCE
Based on 2 studies identifying inflammatory lesions
affecting the pancreas in necropsied cats, the prevalence of
feline pancreatitis is between 1.3 and 3.5% in cats under going necropsy, which makes it a relatively common disease.
In addition, 67% of cats autopsied in a recent study s howed
histological lesions in the pancreas. The prevalence of
lesions of pancreatitis among apparently healthy cats
reached 45%. More than half of necropsied cats had chronic
changes whereas acute lesions represented only 6.1%. Some
animals displayed simultaneous acute and chronic lesions.
These data underscore the importance of chronic pancreatitis in the feline population, although most cases seem to
remain clinically unnoticed.
Several diseases can af fect the pancreas in cats. Two
forms of acute pancreatitis have been described, necrotizing
pancreatitis and suppurative pancreatitis. Chronic pancreatitis is often recurrent and nonsuppurative, it may lead to
exocrine pancreatic insuf ficiency. Pancreatic neoplasia is
uncommon. It must be dif ferentiated from pancreatic nodular hyperplasia, a benign degenerative disease of older cats.
CLINICAL SIGNS
Unlike what is seen in dogs and humans, cats with pancreatitis are frequently presented with vague clinical signs.
These include lethar gy, decreased appetite, possibly with
gradual onset of weight loss. Dehydration and hypothermia
may also be present. Tachypnea, abdominal pain, vomiting,
diarrhea and abdominal masses are less frequently reported.
Clinical signs alone do not allow dif ferentiating acute from
chronic inflammation.
DIAGNOSTIC APPROACH
CBC and chemistry panel are most useful to rule out diseases with similar clinical presentation. Pancreatic lipase
immunoreactivity (fPLI) and abdominal ultrasound may
deliver the most useful information about the pancreatic
inflammation. Cats with pancreatitis may occasionally show
nonspecific neutrophilia or non-regenerative anemia.
Increased liver enzyme activity (AL T, GGT and ALP), or
increased bilirubin and cholesterol are present in half to two
thirds of cases. This may be due to cholestasis associated
with concomitant liver disease (e.g. cholangiohepatitis or
hepatic lipidosis) or to bile duct compression. Hyperglycemia is often due to stress, but some cats may also have
concomitant diabetes mellitus. Hypocalcemia is a negative
prognostic factor , particularly if the ionized calcium is
below 1.0 mmol/l (reference range 1.2-1.4 mmol/l). Amylase and lipase activities have no diagnostic value in cats.
ETIOLOGY
The natural causes of feline pancreatitis remain mysterious in most instances, although several associations have
been described. They include trauma and associated
ischemia (high rise syndrome, traf fic accident), viral (FIP
and FIV) or parasitic infections (Toxoplasma gondii, liver
and pancreatic flukes), and intoxication with or ganophosphates. These associations are probably only responsible for
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Two specific tests have been developed in the last decade.
They determine the immunoreactivity of serum trypsin (fTLI)
and pancreatic lipase (fPLI). Feline TLI is not readily available in Europe. It is the test of choice for exocrine pancreatic
insufficiency (EPI). fPLI is a promising test in the diagnosis
of pancreatitis in the cat. Although clinical validation studies
on a lar ge scale are still lacking, several preliminary studies
have shown the diagnostic potential of fPLI in cats.
Diagnostic imaging is often an important part of the diagnosis of feline pancreatitis. Abdominal radiographs are usually not useful. Abdominal ultrasonography is the most
interesting imaging modality; however its sensitivity and
diagnostic specificity are good to average depending on the
case. Detailed examination of the pancreas, particularly its
left lobe, may be dif ficult in obese cats and those whose
abdomen is painful or tense, or in the presence of large quantities of gas in the surrounding structures. Moreover, the value of information obtained depends heavily on the experience of the ultrasonographer who should have an excellent
knowledge of abdominal anatomy . Acute pancreatitis is
often characterized by enlar gement and hypoechoic appearance of the pancreas. The surrounding mesentery may
appear hyperechoic. Ultrasound of fers the advantage of
exploring the abdomen to look for concomitant diseases of
liver, gastrointestinal tract or other abdominal or gans. In
addition, advanced techniques of harmonic power Doppler
and the use of ultrasound contrast agents seem promising to
increase the sensitivity of ultrasound and help dif ferentiate
pancreatic diseases of the cat.
Histological analysis of pancreatic biopsies taken during
exploratory laparotomy or laparoscopic examination remains
the diagnostic standard to which other methods are compared. However, it has been shown that inflammatory lesions
can be focal and dif ficult to identify at the time of sur gery.
Under such circumstances, cryptic sites of inflammation may
be missed resulting in false negative results. On the other
hand, clinically irrelevant lesions of chronic pancreatitis are
present in an important proportion of healthy cats.
In summary , the diagnosis of feline pancreatitis is best
achieved by combining various diagnostic modalities that
are all relatively imperfect when used separately. The advent
of the feline PLI test provides a new interesting tool that
must still be better validated.
phanol (0.1 mg/kg IV or 0.2-0.4 mg/kg sc every 4 to 6
hours) and buprenorphine (0.01-0.03 mg/kg SC or PO for
transmucosal absorption every 8 to 12 hours) are two frequent choices in cats.
Nutritional support is important and can be provided
with enteral feeding. Vomiting should be controlled with
antiemetics. In acute episodes, a fasting period of 1 to 2 days
may be beneficial, but is not without risk of causing liver
lipidosis. Esophagostomy or gastrostomy tubes are easy to
place and of fer a good solution for cats that don’ t vomit.
Commercial liquid diets are well tolerated despite their relatively high fat content. It is essential to start the diet gradually so as not to overload the stomach. The immediate goal
is to feed the intestinal mucosa to prevent bacterial translocation. Partial or total parenteral nutrition is useful in severely debilitated cats.
The use of anti-inflammatory drugs is controversial.
Steroids appear contraindicated in acute pancreatitis. However, they have been used successfully in cats with chronic
pancreatitis. They can cause a decrease in fPLI, suggesting a
decrease in the inflammatory process. The doses of prednisolone used are 1 to 2 mg/kg orally every 12 to 24 h.
Pancreatitis may cause hypocobalaminemia since the pancreas plays an important role in the absorption of vitamin
B12. Serum cobalamin concentration can easily be determined, and replacement therapy should be initiated in case
of hypocobalaminemia. The weekly cobalamin dose is 250
mg SC for 6 weeks; it is recommended to reassess the cobalamin levels monthly and adjust therapy accordingly.
Finally, identified concomitant diseases must be treated with
the same vigor as pancreatitis. Thus, it may be necessary to
administer antibiotics in case of suppurative cholangiohepatitis,
provide a hypoaller genic diet and corticosteroids in cases of
IBD or to change the diet and consider treatment
ACE
inhibitors in cats with chronic kidney disease.
PROGNOSIS
The prognosis of feline pancreatitis varies considerably
from case to case. It depends on the severity and extent of
the inflammatory process or the importance of necrotic foci.
Cats with severe acute pancreatitis are subject to numerous
complications and associated mortality can be quite high.
Those suffering from chronic recurrent pancreatitis of mild
to moderate severity obviously have a better prognosis.
However, it is possible that chronic pancreatic disease eventually cause EPI or diabetes mellitus.
THERAPEUTIC APPROACH
To date, there are no clinical studies evaluating treatment
regimens for feline pancreatitis. Symptomatic therapy is
indicated to correct dehydration and electrolyte disturbances, if present. It is important to prevent pancreatic
ischemia to break the vicious circle of inflammation. During
acute episodes severely af fected cats may develop systemic
complications, and aggressive treatment using synthetic colloids or plasma may be required.
Cats do not show abdominal pain as clearly as dogs and
humans. However, it is likely that abdominal pain significantly contributes to anorexia. Therefore, pain medication
is often recommended, preferably using opiates. Butor-
REFERENCES
Can be obtained from the author upon request
([email protected])
Address for correspondence:
Frédéric P. Gaschen
Louisiana State University School of Veterinary
Medicine Baton Rouge, Louisiana, USA
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Adverse food reactions in dogs and cats
Frédéric P. Gaschen
Dr med vet, Dr habil, Dipl ACVIM (SAIM), Dipl ECVIM-CA, Louisiana, USA
• Stress the clinical relevance and explain possible mechanisms of diet-responsive disease in dogs and cats with
idiopathic chronic enteropathies
• Review the treatment of AFR
OVERVIEW OF THE ISSUE
Adverse reactions to food are common in dogs and in
cats. They can elicit cutaneous and/or gastrointestinal manifestations. As shown in figure 1, adverse food reactions
encompass disorders with an immunological basis (food
allergy, also called dietary hypersensitivity or dietary sensitivity), non-immunologic reactions (food intolerance), and
toxic reactions (intoxications). While intoxications are
encountered frequently at least in dogs (e.g. garbage can gut
gastroenteritis), they will not be discussed in further details.
Food intolerance occurs probably relatively often in small
animals, and is associated with a variety of gastrointestinal
signs, most importantly diarrhea and/or vomiting. Food
allergy is a common cause of cutaneous signs such as prutitus, and may occasionally be associated with gastrointestinal signs. However , in some instances, chronic vomiting
and diarrhea may be the only clinical expression of food
allergy. Generally, the importance of reactions to food in the
etiology of canine chronic enteropathies should not be
underestimated.
EPIDEMIOLOGY AND CLINICAL
PRESENTATION
In the United Kingdom 7.6% of dogs presented to a veterinary dermatology referral clinic were diagnosed with
food allergy. These dogs represented approximately 1/3 of
all those diagnosed with any type of aller gy af fecting the
skin. In the numerous dermatological studies performed on
this topic, the most frequent clinical signs were: generalized
pruritus (in some cases with a preference for specific
regions), recurring otitis externa, and secondary pyoderma.
The prevalence of signs af fecting the digestive tract among
dogs with cutaneous adverse food reaction (CAFR) was as
high as 31% in a multicenter study including 63 dogs with
CAFR from Switzerland. However , earlier studies reported
lower prevalence rates of GI signs (10-15%)
AFR also play a non-negligible role as a differential diagnosis in dogs and cats with idiopathic chronic enteropathies.
In a prospective study of 70 dogs referred for chronic diarrhea of more than 6 weeks duration, clinical signs resolved
after 7-10 days in 39 (56%) of patients treated with a novel
OBJECTIVES OF THE PRESENTATION
• Review the pathogenesis of adverse food reactions (AFR)
in dogs and cats
Figure 1 - Proposed nomenclature for adverse reactions to food in dogs and cats.
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protein diet. It is likely that many of these patients with dietresponsive disease suf fered from mild forms of idiopathic
inflammatory diseases or from food intolerance.
Dogs presented to dermatologists with cutaneous expression of food aller gy are often young (one third to half the
cases were 1 year or younger in several studies). Dogs with
chronic enteropathies that were diet-responsive were
younger than dogs with inflammatory bowel disease that
required immune-suppressive steroid treatment (mean 3.5
vs. 7.5 years old). There is little evidence for breed predisposition or for heritability of canine food aller gy, with the
exception of Soft Coated Wheaten Terriers af fected with
protein-losing enteropathy.
AFR is also a common rule out for cats presented with
non-seasonal, persistent pruritus, especially if localized to
the head and neck region. Miliary dermatitis, facial and neck
dermatitis and otitis externa are frequently associated clinical signs. Simultaneous occurrence of gastrointestinal signs
such as vomiting and diarrhea are occasionally reported.
AFR is also a common dif ferential for cats with chronic
digestive diseases. In a prospective study of 55 cats with
chronic idiopathic gastrointestinal problems, 27 cats
responded to a novel protein diet.
most common aller gens identified in spontaneously food
allergic dogs may differ according to geographical location.
They include cow’s milk, eggs, meat proteins from beef, and
chicken, and plant proteins from corn, wheat and soybeans.
In human beings, most food aller gies are due to type I
hypersensitivity reactions involving a Th2 immune response
after exposure to the aller gen, and the production of IgE. It
appears that the situation is different in dogs, as serum allergen-specific IgE concentrations poorly correlate with results
of elimination trial and dietary challenge tests (see below).
Type I hypersensitivity caused by SC sensitization of canine
“high IgE responders” with specific aller gens may elicit
food allergy in the dog. This laboratory model may be useful for studying food allergy in humans; however it does not
appear to truthfully mimic the spontaneous canine disease. It
is suspected that IgE-mediated may play a partial or even a
negligible role in the pathogenesis of canine food aller gy.
Alternate hypotheses regarding the pathomechanism of
food allergy in people and in pets have been given increasing recognition in the past few years. Increasing evidence
supports that sensitization to aller gens may occur through
cutaneous exposure rather than across the GI mucosa.
Bovine serum albumin has been identified a possible origin
of beef allergy in the dog, and sensitization may occur at the
time of vaccination. Recently , the International Task Force
on Canine Atopic Dermatitis cited examples of atopy triggered by food allergens and underscored the overlap of clinical phenotype between atopy and food aller gy in dogs.
PATHOGENESIS
The current nomenclature for ARF in dogs and cats is
shown in fig. 1. It appears that a high proportion of pets with
CAFR have food allergy while only few dogs and cats with
diet-responsive chronic GI disease do.
By definition dogs and cats with food intolerance or with
food allergy will show a relapse of their clinical signs after
exposure to their original diet. However, in the study reporting a lar ge proportion of diet-responsive enteropathies
among dogs with chronic diarrhea, 31 of 39 diet-responsive
dogs (79%) did not relapse when they were fed their original diet again after a 12 week long elimination trial with a
novel protein diet. Similarly , 11 of 27 cats that were dietresponsive (41%) could be reintroduced to their original diet
without triggering a relapse of clinical signs after 8-12
weeks of treatment with a novel protein diet. Possible explanations for this phenomenon include the hypothesis that the
original diet may have exacerbated a mild underlying enteritis, colitis or enterocolitis in these pets. Advantages of the
novel protein diet such as the higher bioavailability of nutrients (and its possible effect on the intestinal flora) and/or the
optimized n3-n6 fatty acid ratio may have contributed to
remission of the intestinal inflammation.
Food intolerance is characterized by a non-immunologic
reaction to food. There is little scientific data available in
dogs and cats. Pharmacologic reactions include reactions to
vasoactive amines (e.g. scromboid fish), metabolic reactions
due to a lack of digestive enzymes to process specific nutrients (e.g. lactose), finally idiosyncratic reactions in response
to substances such as food additives.
The pathogenesis of food aller gy is complex. The major
food allergens are water-soluble glycoproteins that are 10-70
kD in size and fairly stable to heat, acid and proteases. The
DIAGNOSIS
In dogs and cats, a diagnosis of AFR is traditionally confirmed by an elimination trial with exclusive feeding of a
new diet made from a protein source to which the dog has
not been previously exposed (novel protein diet) or made
from hydrolyzed peptides too small to trigger an aller gic
reaction. Any deviation from this protocol must be avoided
at all costs (e.g. feeding treats, table scraps, drugs coated
with appetizing substances). Lack of owner compliance is
probably the most important reason for misdiagnosis, especially in dogs and cats with skin problems.
The gastrointestinal signs generally resolve rapidly after the dietary modification (often 1 to 2 weeks, even though some cases may
require more time to show significant clinical improvement). However , cutaneous manifestations of food aller gy
typically resolve much slower , and dermatologists recommend using the elimination diet for a minimum of 6 to 8
weeks before ruling out CAFR.
• Current diagnostic gold standard: the disappearance of
(cutaneous or digestive) clinical signs when a dog is fed
an elimination diet is only the 1 st step in diagnosing food
allergy. For such patients the designations AFR or dietresponsive disease are preferred. Relapse after a challenge
with the original diet the pet was eating when showing
clinical signs confirms the presence of either food intolerance or food allergy. The diagnostic confirmation of food
allergy relies solely on a positive response to dietary challenge with suspected aller genic proteins (e.g. beef, lamb,
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•
pork, cow’s milk, corn, etc.). This usually occurs after a
few days for digestive signs, and up to 2 weeks for cutaneous signs. Dietary challenges are frequently not favorably looked upon by dog and cat owners, and are often not
performed in clinical practice. This is why several other
diagnostic options for food allergy have been explored.
Intradermal allergy testing: it was shown in several
studies that this method was not helpful in the clinical
diagnosis of spontaneous food allergy in the dog.
Detection of serum immunoglobulins: in spontaneous
canine food aller gy the determination of serum antigenspecific IgE and IgG concentrations has led to disappointing results, even though the tests are widely available to
the veterinary community (numerous false positives and
negatives).
Provocation tests on the gastric / colonic mucosa: solutions containing potential food allergens are deposited on the
gastric mucosa or injected under the proximal colonic
mucosa, and the mucosa is observed for a wheal and flare
response during a few minutes. Concordance of the 2 tests
with positive dietary challenge results was moderate (50% to
73%) in a colony of food aller gic Soft Coated Wheaten Terriers. Additionally, these tests are cumbersome to perform
and require general anesthesia and endoscopic equipment.
Doppler ultrasonography of large mesenteric vessels:
vasodilation and vasoconstriction of capillary beds in the
intestinal mucosa directly influence quantity and quality
of the blood flow through lar ge mesenteric arteries (celiac and cranial mesenteric arteries). A prolonged vasodilation of the intestinal mucosal capillary beds could be indirectly documented in food aller gic dogs after they had
been challenged with food they were allergic to. The procedure does not require any special patient preparation, is
generally well tolerated, and is very promising. However,
the presence of an experienced ultrasonographer with
good ultrasound equipment is essential.
Choice of the elimination diet
A detailed dietary history is required to make the best possible choice of diet in animals with AFR. Novel protein diets are
available as prescription only or over the counter. Prescription
diets appear to be most reliable for the accuracy of their label
listing the ingredients. Alternatively they can be home cooked
as well. It is generally advisable to avoid protein sources that
are phylogenetically related to the original protein source (i.e.
dogs with suspect allergy to beef protein may cross react with
venison, same with chicken and duck, etc.). Available veterinary hydrolyzed diets are only partially hydrolyzed in an effort
to keep the product palatable and may retain some immunogenic properties. Several studies have shown that > 80% of
dogs receiving a hydrolyzed diet did not react even though
they were aller gic to the basic protein source. Because up to
20% did not improve, a recent systematic review recommended avoiding hydrolysates based on the protein source likely to
have triggered the dog’s allergy for best results.
Implementation of the elimination trial
The pet’s owners need to be oriented in detail about the
procedure they must follow , and the exclusion of all other
foods including chewable medication. The essential importance of their total compliance must be stressed during the
initial discussion. Compliance can easily become an issue
during the long duration of the elimination trial for patients
with suspect CAFR, and regular meetings between owners
and veterinary team are recommended in order to maintain a
good compliance.
Management of dogs and cats that
responded to the elimination trial
Owners only rarely accept to perform the dietary challenge
necessary to confirm food intolerance of food allergy. However,
a return to the initial food may be a viable option for diet-responsive chronic enteropathy , since studies have reported that high
percentages dogs and moderate percentages of cats offered their
original food do not relapse. In case of CAFR, it is advisable to
keep avoiding the original protein source. Financial consideration may dictate a change from a prescription diet to an over-thecounter elimination diet. No matter what the motivation of the
diet change is, it is essential to introduce modifications (food,
treats) one at a time. Thus if a reaction occurs, the foodstuf f
responsible can be more easily confirmed.
PRACTICAL APPROACH
Diagnosis of AFR is intimately intertwined with therapy
since, in most cases, diagnosis is confirmed by a positive
response to therapy (i.e. elimination diet). However, some of
the non-seasonal cutaneous lesions compatible with CAFR
may also be observed with other diseases such as bacterial,
yeast or sarcoptes infections or even drug reactions. Otitis
externa, a problem frequently associated with CAFR may
have a variety of other causes as well. In such cases, initiating an elimination trial is always a good approach, however
further diagnostics and treatment against concurrent diseases should not be neglected. In dogs and cats with chronic enteropathies of mild to moderate severity, initiation of an
elimination trial is recommended as soon as endoparasites
have been ruled out because diet-responsive disease is a frequent problem. However, AFR is unlikely if the GI signs do
not subside within 2 weeks, and other dif ferential diagnoses
must then be explored such as antibiotic-responsive diarrhea
or inflammatory bowel disease (IBD), which often causes
clinical signs undistinguishable from AFR.
SELECTED REFERENCES
Allenspach K et al. (2007): Chronic enteropathies in dogs: evaluation of
risk factors for negative outcome. J Vet Int Med, 21, 700-708.
Gaschen F and Merchant S (2011): Adverse food reactions in dogs and cats.
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gastrointestinal problems. J Vet Int Med, 15, 7-13.
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with cutaneous adverse food reactions. Vet Derm 21, 32-41.
Address for correspondence:
Frédéric P. Gaschen
Louisiana State University School of Veterinary
Medicine Baton Rouge, Louisiana, USA
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Gastrointestinal motility: why it matters
Frédéric P. Gaschen
Dr med vet, Dr habil, Dipl ACVIM (SAIM), Dipl ECVIM-CA, Louisiana, USA
The gastric antrum acts as a pump from which peristaltic
waves originate while the gastric body acts as a high compliance reservoir. Contractions only occur when excitatory
neurotransmitters such as acetylcholine are released in
response to mechano- and chemoreceptors. The mechanical
action of the antral pump is divided in 3 phases: (1) propulsion, (2) emptying of fine particles and mixing, and (3)
retroplusion of particles > 1 mm and grinding. Gastric motility and emptying are modulated by gastro-gastric reflexes:
for instance filling and distention of the gastric reservoir elicits excitatory reflexes stimulating antral contractions.
Gastric emptying is inhibited by nutrients entering the small
intestine (feedback control) through entero-gastric reflexes
and release of intestinal hormones. Cholecystokinin (CCK)
is released the duodenal epithelium upon presence of luminal HCl, amino acids and long-chain fatty acids. CCK reaches the stomach via bloodstream, causes relaxation of the
gastric reservoir and reinforces enterogastric neural feedback. Other hormones such as glucagon-like peptide 1
(GLP-1) are released from the distal small intestine upon
arrival of the chyme, and also exert a negative feedback on
gastric emptying. Additionally, the rate of gastric emptying
in dogs is modulated by the composition of the diet (e.g.
moisture and fat, protein and carbohydrate content) and
other factors such as stress and body size.
Three physiologic motility patterns are described in the
small intestine: peristaltic waves (aboral movement of
chyme over long intestinal segments), stationary contractions (intestinal segmentation) and clusters of contraction
(mixing and aboral movement of chyme). Diarrhea is
usually associated with the occurrence of pathologic giant
aboral contractions. In the lar ge bowel frequently occurring
colonic motor complexes mix the colonic content and slowly
move it aborally. Finally, defecation is usually triggered by
giant colonic contractions that occur at intervals of 10 h.
OVERVIEW OF THE ISSUE
Motility is often the “missing link” in the complex equation of gastrointestinal (GI) health in dogs and cats. The prevalence of GI motility disorders in small animals cannot be
precisely documented because obtaining a definitive diagnosis is often dif ficult, sometimes even impossible. However ,
it is thought that these disorders are of significant clinical
importance.
Examples of motility disorders include dysphagia, megaesophagus, disorders of gastric emptying, functional intestinal obstruction (ileus), megacolon and constipation. They
may reflect secondary involvement of GI motility associated
with a variety of diseases located outside the GI tract, including abdominal inflammation, immune-mediated diseases,
metabolic diseases, etc. Alternatively, motility disorders
may also result from primary GI disorders such as GI
inflammation or neoplasia. Abnormal gastric motility may
be associated with the potentially devastating gastric dilation-volvulus (GDV) syndrome of dogs. Finally , diseases
affecting the autonomous nervous system do impact GI
motility as well (e.g. dysautonomia).
OBJECTIVES OF THE PRESENTATION
• To illustrate the importance of digestive motility disorders
in canine and feline medicine.
• To summarize the current state of our knowledge of
abnormalities of gastric emptying and intestinal motility
and to sum up the treatment modalities available to treat
them.
PHYSIOLOGY OF GASTRIC EMPTYING
AND INTESTINAL MOTILITY
GI motility is the end result of a very complex series of
events that starts with chewing food and ends with defecation. Smooth muscle activity is tightly regulated by neural
impulses from the autonomic nervous system and by a
variety of endocrine mechanisms. A very brief summary of
these events as they pertain to swallowing and gastric emptying follows.
DISORDERS OF GASTRIC EMPTYING
In human medicine, disorders of gastric motility are
clearly defined by the Rome classification III. They include
functional dyspepsia, disorders of eructation, and nausea and
vomiting with no identifiable cause. The typical symptoms
are pain, dyspepsia and heartburn, bloating and early post-
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prandial satiety. These signs are subjective and their interpretation can be difficult. These limitations have led to difficulty in timely recognition of disorders of gastric motility in
dogs and cats.
emptying seemed normal. However, it is possible that a larger reduction of functional renal mass as is observed in clinical cases (>75%) may have negative ef fects on gastric
motility.
Finally, drugs such as opioid analgesics and anticholinergics may interfere with GI neurotransmitters and be at the
origin of impaired motor function
Etiology
Primary and secondary disorders of gastric emptying have
been recognized. In small animals, most cases are likely due
to problems originating in the gastrointestinal tract or in
other organs, while primary functional disorders are rare.
Slower gastric emptying occurs in dogs following circumcostal gastropexy performed after GDV. Gastric motility
is impaired in the fasting and postprandial phases in these
dogs. However , it has not been established whether this
abnormal motility is the cause of GDV or a consequence of
surgical treatment. Some rare cases of “pyloric stenosis”
have been reported in young Siamese cats. The associated
delayed gastric emptying was successfully treated by pyloroplasty or pyloromyotomy . The diagnosis of duodenogastric reflux (DGR) in dogs has been the subject of much
controversy since this reflux may occur as a physiological
event. Moreover, during the initial phase of vomiting, giant
contractions of the duodenum occur and are followed by a
relaxation of the pylorus which allows the reflux of duodenal chyme in the stomach. Therefore, most instances of
vomiting are accompanied by some degree of DGR. However, a syndrome characterized by bilious vomiting, often
before the morning meal, has been observed in apparently
healthy dogs.
Secondary abnormalities of gastric emptying are due to a
wide variety of diseases that may af fect gastric motility .
Many gastrointestinal disorders can cause secondary disorders of gastric motility. Mechanical obstruction is a common
cause of delayed gastric emptying. Chronic hypertrophic
pyloric antropathy may delay or inhibit gastric emptying.
The disease may be due to thickening of the antral mucosa,
muscularis, or a combination of both. Young (brachycephalic breeds) or middle-aged males (miniature breeds) are
more frequently af fected. Recently, an association between
the disease and upper respiratory tract stenosis was shown in
brachycephalic dogs. Treatment is sur gical (pyloroplasty),
particularly when the disease is associated with delayed
gastric emptying. Gastric or intestinal inflammation is a
common cause of gastric motility changes. Therefore it is
hardly surprising that parasites, gastric ulcers, food reactions
and inflammatory bowel disease (IBD) are often accompanied by abnormal gastrointestinal motility.
Acute canine pancreatitis is commonly associated with
decreased gastric and intestinal motility . This can significantly complicate treatment and is probably caused by
extension of the inflammatory process to stomach and duodenum which are in close proximity of the pancreas.
Diabetes mellitus is the most common cause of impaired
gastric emptying in humans. This complication of chronic
diabetes is rarely observed in dogs and cats. However
,
hypoadrenocorticism is often accompanied by a decreased
gastric motility . Moreover , abnormal small intestinal and
colonic motility have been shown in dogs with ablation of
66% of renal mass and chronic renal disease, while gastric
Clinical signs
The most common clinical sign is vomiting of more or
less digested food, especially when it occurs long after food
intake (e.g. > 10-12 h), when the stomach should be empty .
Sometimes projectile vomiting may occur in the absence of
a prodromal phase (nausea, salivation). The animal may be
bloated and have pain on cranial abdominal palpation and/or
signs of colic. Decreased appetite or anorexia, signs of nausea, increased belching, allotriophagia, or polydipsia may
also be observed. Hematemesis suggests the presence of
neoplasia obstructing the pylorus, gastric ulcer , or erosive
resp. ulcerative gastritis.
Diagnostic approach
Clinical examination and ancillary tests are designed primarily to detect any underlying disorders (such as obstructive processes that would require gastroscopy or gastrostomy). Presence of food in the stomach after prolonged
fasting (eg more than 10-12 hours) suggests delayed gastric
emptying. In the absence of obstruction, CBC, blood chemistry, urinalysis, and medical imaging are valuable aids.
The various methods available to investigate gastric emptying have been recently reviewed. They aim at evaluating
the gastric emptying and/or intestinal transit time of solid
food, and include scintigraphy, radiographic contrast studies
(barium meals, barium impregnated polyethylene spheres or
BIPS), abdominal ultrasound, and gastric emptying breath
test (13C-octanoid acid). All these methods are non-invasive,
but all have potential pitfalls. Some require special equipment that can only be found at referral centers. Additionally,
some techniques can only be performed after the animals
have been manually or chemically restrained, a potential
source of stress which may interfere with gastric motility .
Radionuclide scintigraphy is recognized as the current gold
standard.
Radiographic studies are easily accessible in clinical veterinary practice. Liquid barium has been widely used to
assess GI transit times and is adequate to evaluate liquid
phase gastric emptying. The dose of barium suspension is 6
ml/kg in dogs and 10 ml/kg in cats and should be administered when the stomach is empty . Barium sulfate should be
present in the duodenum by 15 minutes in the dog and by 5
minutes in the cat. The stomach should be free of barium
after 1 to 4 hours in the dog and after 20 minutes in the cat.
However, assessment of gastric emptying of liquids is an
insensitive method, with the exception of mechanical
obstructions due to foreign bodies or other space-occupying
lesions obstructing the gastric or intestinal lumen. Mixing
barium with food may better evaluate the solid phase of
gastric emptying, however barium can easily separate from
the test meal and cause the study to be unreliable. Barium-
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remain longer in the stomach. In addition, gastric emptying
of fat is slower than that of proteins, which is slower than
that of carbohydrates. Consequently, feeding liquid or semiliquid diet of low caloric density low in fat and protein
should maximize gastric emptying. Finally , increased meal
frequency and decreasing meal size are also useful. Dietary
treatment of bilious vomiting (DGR) consists in feeding the
dogs a light meal late at night.
Use of prokinetic drugs may be beneficial in nonobstructive disorders of gastric emptying.
Serotonergic
drugs (cisapride, metoclopramide) act on 5-hydroxytryptamine (5-HT) receptors of dif ferent types. Metoclopramide
(MCP) is often used as an anti-emetic for its inhibitory
effects on dopamine receptors in the CR TZ of the medulla
oblongata. In addition, MCP acts on 5-HT3 receptors (antagonist) and 5-HT4 (agonist). These ef fects stimulate contraction of smooth muscle cells of the stomach and intestine. In addition, the MCP increases the tone of the lower esophageal sphincter (LES). Cisapride (CSP) is a serotoner gic
drug that was withdrawn from the pharmaceutical market
but is available as a generic from compounding pharmacies.
The principal mode of action of CSP is its ability to bind to
impregnated polyethylene spheres (BIPS TM) have been used
for evaluation of GI transit times in dogs and cats.
They
come in various sizes (from 1.5 to 5 mm diameter) and can
easily be used in practice. However , correlation between
gastric emptying of BIPS and the gold standard radioscintigraphy has been disappointing in dogs and in cats. This probably reflects the fact that BIPS > 2 mm are only emptied
after all solid food has left the stomach during the interdigestive MMC.
Treatment
Immediate treatment of any obstructive disease is imperative (sur gery, gastroscopy). Therapy of functional, nonobstructive disorders of gastric motility is based on two
main pillars: dietary modification and judicious use of prokinetic drugs. Proper diagnosis and treatment of any underlying disease that might affect gastric motility is an essential
premise.
Dietary modifications designed to facilitate gastric emptying are based on our knowledge of digestive physiology .
First, gastric emptying of liquid food is faster than that of
solid foods. Also, diets with high caloric density tend to
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5-HT4 receptors, and stimulate smooth muscle contractions.
Erythromycin (EMC) is a macrolide antibiotic. At reduced doses, it exerts gastrokinetic ef fects similar to motilin.
EMC triggers MMC type III, a motility pattern responsible
for cleaning the stomach during the interdigestive phase.
The administration of EMC stimulates gastric emptying
without any attention to particle size. This early release of
gastric contents can lead to “dumping” of insufficiently processed food in the small intestine. Furthermore, in cats,
EMC increases the LES pressure.
Acetylcholinesterase inhibitors increase the concentration
of acetylcholine in the synaptic cleft between postganglionic
myenteric neurons and smooth muscle cells of the stomach
and intestine. They stimulate the activity of GI smooth
muscle. Ranitidine and nizatidine are two inhibitors of histamine receptor type 2. Although they are mostly used to
decrease gastric acidity, their prokinetic effect is not negligible. All other H2 antagonists lack this prokinetic ef fect.
REFERENCES
Can be obtained from the author upon request
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Chronic Enteropathies in Cats:
the Good, the Bad and the Ugly
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Dr med vet, Dr habil, Dipl ACVIM (SAIM), Dipl ECVIM-CA, Louisiana, USA
Feline chronic enteropathies (CE) encompass several
intestinal diseases. Cats with CE may not display all clinical
signs traditionally observed in dogs. In particular, diarrhea is
not always part of the clinical picture which may be dominated by anorexia and vomiting and their consequences. The
most frequently encountered causes of CE in cats are summarized in table 1.
ous. Most cats are in good general condition. The clinical
course is frequently waxing and waning.
Cats affected with other forms of CE such as adverse food
reactions, IBD and alimentary lymphoma are usually middle-aged to older animals, but the age range is wide and
includes very young animals as well. The most commonly
observed clinical signs are vomiting, anorexia, diarrhea and
weight loss. However , some cats may have a normal to
increased appetite and many cats, unlike dogs, will not have
diarrhea at presentation. The signs are often waxing and
waning, and the owners may seek veterinary attention only
late in the course of disease.
Abnormal findings on physical exam of cats with CE may
include loss of body condition, dehydration, thickened bowel loops or abdominal pain.
CLINICAL PRESENTATION
Feline CE may be classified as lower or upper GI based on
clinical signs. Vomiting and weight loss suggest upper GI disease, while hematochezia, mucoid stool and signs of ur gency
are often attributed to lower GI disease. However , clinical
signs alone are not enough to definitively localize disease. For
instance, cats with small intestinal IBD often have secondary
colonic inflammation. Therefore, it is often safer to assume
the disease is dif fuse when planning diagnostics and treatment. Tritrichomonas foetus infection is an exception to that
rule of cautiousness, and is usually limited to the colon.
T. foetus infections are seen with increased frequency in
young cats exposed to other cats (e.g. shelter, cattery, shows,
boarding facility). Affected cats show lar ge bowel diarrhea
with occasional fresh blood and mucus. The stool is generally semi-formed to cow-pie in consistency , and malodor-
DIAGNOSIS
The clinical signs may be very non-specific, and the first
step is to rule out diseases that may present with a similar
clinical picture. Important dif ferentials that may cause
chronic vomiting and/or diarrhea include diseases originating outside the GI tract such as hyperthyroidism, diabetes
mellitus, chronic kidney disease, liver disease, pancreatitis,
and heartworm disease must be ruled out as needed.
This
TABLE 1 - Most common causes of chronic enteropathies in cats
Disease process
Specific disease
Location
Parasitism
Helminths
SB, LB
Protozoa (T. foetus, Giardia, Cryptosporidium sp.)
Giardia, Cryptosporidium:
SB and/or LB - T. foetus: LB
Food intolerance
SB and/or LB
Food allergy
SB and/or LB
IBD
Intestinal infiltration with various inflammatory cells
SB and/or LB
Neoplasia
Alimentary lymphoma
SB (occasionally with LB)
Enteric infections
FeLV, FIV, FIP, Campylobacter
SB and/or LB
Adverse food reaction
SB: small bowel; LB: large bowel
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often requires a minimal database consisting of CBC, chemistry profile, serum thyroxin concentration and abdominal
imaging (particularly ultrasound).
Adverse food reactions are a frequent cause of chronic
gastrointestinal signs. Therefore it is strongly recommended
to initiate an elimination trial using a novel protein or
hydrolyzed peptide diet before contemplating more invasive
diagnostic procedures if the condition of the cat permits. If
the patient does not improve within 1-2 weeks, additional
diagnostics or treatment should be considered.
In outdoor cats and other cats may have been exposed to
parasites (multicat households), use of a broad-spectrum
parasiticide should be considered. Diagnosis of giardiasis
using direct fecal smears (trophozoites) or sugar solutions
and flotation (cysts) may be dif ficult. Immunotests detect
Giardia cyst antigen in feces and are helpful diagnostic
tools. For T. foetus infections, direct smears of fresh, unrefrigerated feces have a low sensitivity (14%). Trichomonad culture is more sensitive (use a commercially available
culture pouch) after incubation at 37C for 2 days or at 25C
for 12 days. However , PCR performed on a stool sample
has the highest sensitivity of all diagnostic methods for T.
foetus.
When other diseases have been ruled out and IBD and/or
lymphoma are the most likely dif
ferential diagnoses.
Abdominal ultrasound may be useful in evaluating the
thickness and architecture of the small intestinal wall as
well as other or gans such as liver and pancreas which may
be concomitantly involved.
Finally, it is necessary to obtain intestinal biopsies for
proper histopathological evaluation to differentiate between
lymphocytic low-grade alimentary lymphoma (LL) and
IBD. Both endoscopic mucosal biopsies and sur gical full
thickness biopsies are appropriate, and each sampling
method has its strengths and weaknesses.
Adverse reactions to food
Highly digestible, novel protein or hydrolyzed peptide
diets are ideal. Improved absorption results in improved
nutrition, decreased substrate available to intestinal bacteria,
and decreased luminal osmotic potential. Some diets contain
added omega-3 fatty acids in an ef fort to decrease substrate
for inflammatory prostaglandins and leukotrienes. The addition of probiotics may be a treatment option for cats with
IBD. Although probiotics may influence the intestinal bacterial flora in cats there are currently no objective data supporting clinical benefit.
2) THE BAD AND THE UGLY
IBD
Diet: see above.
Immunomodulators/Antimicrobials: Antimicrobials may
be helpful in treating undiagnosed pathogens, or decreasing
bacterial antigen that may play a part in driving the pathogenic inflammation. The most commonly used antimicrobial
in feline IBD is metronidazole, which also inhibits cellmediated immunity . The recommended dosage is 10-15
mg/kg PO BID (a lower dose than what is used to treat giardiasis, see above). The therapeutic range of metronidazole
in cats is narrow , and caution is warranted with prolonged
use of the drug. Observed clinical side ef fects are mostly
neurological. Anecdotally, tylosine has been used for the
management of colonic IBD in cats at a dose of 4080mg/kg/day PO in two divided doses. Like metronidazole,
it has been suggested that tylosine may have the added benefit of anti-inflammatory ef fects. In patients with mild disease, a 3-4 week antimicrobial trial may be instituted before
starting immune-suppressive therapy.
Immune-suppressive/anti-inflammatory drugs : Immune
suppressive therapy is the mainstay of IBD treatment. It is
best initiated when histological evidence of intestinal mucosal infiltration is available, but could also be the final option of
the empirical treatment sequence. Prednisolone is administered at a dose of 4 mg/kg PO (once daily or divided into two
daily doses) for 10 days. Then the dose is reduced by one-half
every 10-14 days. The final goal is to maintain the cat on the
lowest effective dose, or even to consider discontinuation of
steroid treatment. If the owner is unable to pill the cat, methylprednisolone acetate can be used at 10mg/kg SC q2-4 weeks,
and tapered to q4-8 weeks, although repository steroids do not
appear to be very successful in the authors’ experience and
may cause more side effects.
Other immune suppressive drugs used in refractory cases
include chlorambucil and cyclosporine. Chlorambucil, a
nitrogen mustard derivative, is generally used alone or in
combination with prednisolone at a dosage of 2 mg P.O. per
cat every other day (in cats > 4 kg body weight) or every 3
days (in cats < 4 kg body weight) and then tapered to the
lowest effective dose. A CBC should be checked every 2-4
weeks for signs of myelosuppression. Although there are no
published reports of cyclosporine use in cats with IBD, the
dose generally recommended is approximately 5 mg/kg once
daily (25 mg/cat). A search for underlying infectious diseases such as toxoplasmosis, FeLV and FIV is recommended prior to use of immune suppressive agents.
THERAPY
1) THE GOOD
Protozoal infections
Giardiasis responds well to metronidazole 25 mg/kg
given BID for 7 days. The ef ficacy of fenbendazole (50
mg/kg daily for 5 days) is probably lower . Giardiasis is a
rare problem in individually held cats. However, effective
treatment of cats in catteries or shelters with a
Giardia
problem also requires decontamination of the environment
with quaternary ammonium solutions. Additionally, cats
should be bathed to eliminate Giardia cysts present in
their hair coat. Treatment of T. foetus infections is more
problematic.
The disease usually resolves spontaneously within 2
years in almost 90% of cats, even though many of them
remain PCR positive for fecal T. foetus. Ronidazole can be
used at 30 mg/kg PO once daily for 2 weeks. Informed
consent should be obtained prior to initiating treatment, as
the drug is not approved for use in cats. Moreover , neurological side effects have been reported in a significant proportion of treated cats.
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Vitamin supplementation - It has been demonstrated that
cobalamin (vitamin B12) deficiency may be a consequence
of gastrointestinal disease due to decreased absorption in the
ileum.5 This can easily be confirmed by evaluation of serum
cobalamin concentration. B12 deficient cats may experience
a delayed recovery , or treatment failure after immune suppressive therapy . Cobalamin must be administered SC to
these patients at a dosage of 250 mg S.C. per cat. The injections are given weekly for 6 weeks, then every other week
for 6 weeks and finally at monthly intervals.
PROGNOSIS OF IBD AND LYMPHOMA
In one study, 37/47 cats (80%) with IBD treated with diet
and prednisone had a positive response to treatment. Most
owners were satisfied, although clinical signs did not completely resolve. Cats with severe histological lesions or
eosinophilic inflammation may be more difficult to manage.
In addition, failure to respond to treatment may indicate
refractory IBD or lymphoma. Owners must understand that
feline IBD is a disease that is managed and often not cured.
LL usually is characterized by a high response rate (7590%) with a survival of 2 years or longer . The prognosis of
LBL is less good with a median survival of 6-7 months.
Lymphoma
LL is the most common form of alimentary lymphoma in
cats and commonly causes dif fuse neoplastic infiltration of
the small and/or large intestinal mucosa over large segments.
It is best treated with a combination of prednisolone (5-10
mg/cat/day PO) and chlorambucil (see dosing above). Vitamin B12 supplementation is often necessary.
Lymphoblastic lymphoma (LBL) is frequently associated
with intestinal masses and signs suggestive of intestinal
obstruction. The treatment usually requires surgical excision
followed by a more involved chemotherapy protocol based
on a combination of cyclophosphamide, doxorubicin, vincristine and prednisone.
REFERENCES
They can be obtained upon request
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Management of Difficult Cases of Canine
and Feline IBD
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OVERVIEW OF THE ISSUE
APPROACH OF DOGS AND CATS
REFRACTORY TO PREDNISO(LO)NE
TREATMENT
A diagnosis of canine or feline inflammatory bowel disease (IBD) is reached after many other causes of chronic
enteropathies have been ruled out.
The prognosis of
canine IBD is fair to guarded. In a retrospective study
from Scotland, only 21 of 81 (26%) dogs with IBD were
in complete remission after immune-suppressive treatment, while intermittent clinical signs were still present in
40 (50%), and 10 (13%) had to be euthanized due to
refractory disease.
Response to treatment was even worse in a prospective
study of 70 dogs with chronic intestinal diseases from
Switzerland, 11/21 dogs diagnosed with IBD (52%) were
refractory to immune-suppressive doses of steroids. Nine
of those (82% of refractory dogs or 42% of all dogs with
IBD) were eventually euthanized due to treatment failure.
A low serum albumin (< 2 g/dL) and/or cobalamin concentration were shown to be negative prognostic factors.
However, a recent prospective study from the USA reported a remission rate > 80% in dogs with IBD after 3 weeks
of treatment with prednisone or a combination of prednisone and metronidazole.
The situation may not be as dif ficult in cats with IBD for
which success rates of up to 80% were reported following
immune-suppressive steroid treatment.
However, intercurrent illness or severe intestinal inflammation may represent a therapeutic challenge in the feline
species as well.
This presentation will focus on the best course of action
after failure of immune-suppressive prednisone treatment
and the other treatment modalities used in dogs and cats
refractory to the first line of treatment.
Immune-suppressive treatment with prednisone (dog) or
prednisolone (cat) requires doses of 2-4 mg/kg/day PO
(many clinicians opt to use 1-2 mg/kg BID). If dexamethasone is used, one eight (1/8) of the prednisone dose should
be administered to account for the higher potency of dexamethasone (i.e. 0.25-0.5 mg/kg/day PO, SC, IV)
Generally, treatment failure should prompt the clinician to
review the diagnosis and ascertain that no mistakes or erroneous assumptions were made in the diagnostic process.
Only a subset of dogs and cats with chronic intestinal disease suffer from IBD, and a systematic elimination of other
causes is required before IBD can be suspected. Intestinal
parasites (nematodes and protozoa), adverse food reactions,
antibiotic responsive disease, (dogs), and low-grade alimentary lymphoma (cat) are examples of diseases that must be
ruled out. In dogs glucocorticoid-dependent hypoadrenocorticism may cause chronic intermittent GI signs similar to
those of chronic enteropathies and must be ruled out (it
responds well to prednisone treatment, but relapses when the
treatment is discontinued).
In some cases immune-suppressive predniso(lo)ne treatment is initiated without documentation of intestinal
histopathology due to financial constraints on the owners’
side. If a steroid treatment trial fails, histologic evaluation of
intestinal biopsies is strongly recommended.
The biopsy
specimen can be collected endoscopically or during an
exploratory celiotomy – both methods have their own
advantages and disadvantages. The most important justification for histology is to rule out a neoplastic infiltrate. It is
also useful to evaluate the magnitude of the intestinal
mucosal inflammation based on the severity and type of the
infiltrate and on the severity of the architectural mucosal
changes.
Finally, refractory IBD patients must be examined thoroughly to detect intercurrent diseases that may be at the origin of the lack of response to treatment. A significant proportion of cats and dogs with IBD may develop hypocobalaminemia due to involvement of the distal jejunum and
ileum. Cobalamin deficiency negatively impacts numerous
OBJECTIVES OF THE PRESENTATION
- To review possible cause for treatment failure in dogs and
cats with IBD
- To discuss available options for treatment of IBD cases
refractory to immune-suppressive prednisone therapy
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otic responsive diarrhea and may have some immune-modulating ef fects on the intestinal mucosa. However , in a
recent randomized controlled trial, dogs with IBD treated
with prednisone and metronidazole did not have a better
outcome than those treated with prednisone alone. Fluoroquinolones (e.g. enrofloxacin 10 mg/kg PO daily) are used
in the treatment of histicoytic ulcerative colitis (HUC), a
disease af fecting mostly boxer dogs. HUC is due to an
infection with entero-invasive E. coli that cannot be ef ficiently cleared by the dog’s macrophages. In cats with IBD,
mucosa-associated bacteria (including Enterobacteriaceae
and Clostridia) correlated with the severity of histological
lesions and the number of clinical signs exhibited. Based on
this information, cats with steroid-refractory IBD may benefit from treatment with fluoroquinolones. However there is
no data to support this hypothesis and the potential side
effects of enrofloxacin in cats must be considered before initiating treatment.
Thiopurines: azathroprine may be used in dogs with
steroid-refractory IBD, and in those that relapse when prednisone treatment is weaned of f. It may also be combined to
prednisone in the initial treatment of severe cases of IBD.
The drug is generally well tolerated, but side effects include
bone marrow suppression, hepatotoxicity and pancreatitis.
Regular monitoring of CBC and biochemistry profile is
advisable during the first weeks-months of treatment. The
initial dose is 2 mg/kg daily for 3 weeks, then 1-2 mg/kg
every 48 h. Up to 3 weeks of treatment may be necessary for
the drug to reach maximal ef fect.
Alkylating agents: chlorambucil is used with good success in conjunction with prednisolone in cats with low grade
(small cell) alimentary lymphoma. It is a good addition to
steroid treatment in cats with refractory IBD, and the dose is
2 mg/cat PO every 48 to 72 h.
Side ef fects are rare and
include bone marrow suppression. A CBC should be performed after a few weeks of treatment and repeated every 23 months or if the cat’s condition deteriorates (look for neutropenia).
Cyclosporine is an inhibitor of T-cell function. In a 2006
study, pharmacokinetics of cyclosporine in dogs with IBD
were not significantly dif ferent from those of normal dogs.
Fourteen dogs with steroid-refractory IBD were enrolled,
and 8 dogs (57%) went into complete remission within 4
weeks of cyclosporine treatment (5 mg/kg PO once daily).
Additionally, 3 dogs experienced partial remission while 2
dogs did not respond and were euthanized. Furthermore, one
dog relapsed after 14 weeks of initially successful treatment.
Transient adverse effects were seen during the first 2 weeks
of treatment in 5 dogs and included vomiting and loss of
appetite in 4 dogs and hair coat changes and gingival hyperplasia in 1 dog. Most side ef fects responded to temporary
discontinuation followed by dose-reduction. Cyclosporine
treatment was discontinued in 8 of the 11 responders, which
subsequently remained free of clinical signs. The owners of
the remaining 3 dogs elected to continue treatment for several additional months, and the dogs remained apparently
healthy. Cyclosporine has been anecdotically given to cats
with refractory IBD as well with success (5 mg/kg once to
twice daily).
processes in the intermediary metabolism and may cause a
delayed or lacking response to immune-suppressive treatment. Subcutaneous supplementation is essential in these
animals. The weekly cobalamin doses range from 250 μg for
cats to 250-1500 μg for dogs (depending on the size). Furthermore, concomitant inflammation of the biliary tree and
pancreas may be observed in cats with IBD (triaditis syndrome). Additional evaluation of liver and pancreas using
CBC, chemistry profile, abdominal ultrasound, cytological
evaluation of fine needle aspirates, pancreatic lipase
immunoreactivity etc. may be necessary . Finally, histoplasmosis is a systemic fungal disease that may cause clinical
signs of chronic enteropathy in dogs. Cytological evaluation
of rectal scrapings or ultrasound-guided aspirates of
enlarged mesenteric lymph nodes may show or
ganismsladen macrophages.
The use of clinical scoring systems to evaluate the severity
of disease and the response to treatment may be valuable in
difficult cases of canine or feline IBD.Two systems have been
proposed for dogs. They compute data from the history and
physical exam (CIBDAI – max 18 points) as well serum albumin (CCECAI – max 27 points) to grade the severity of disease. CIBDAI score > 9 or CCECAI score > 12 predicted negative outcome in one study. A similar system has recently been
developed for cats as well which combines data from history
and physical exam with endoscopic lesions, total serum protein and phosphorous concentrations as well as serum activity of ALT and ALP (FCEAI – max. 19 points).
DRUG THERAPY OF REFRACTORY IBD
CASES
Chronic immunosuppression may make dogs and cats
more susceptible to developing severe infections after contact with pathogens or opportunistic pathogens. Few of the
drugs mentioned below have been approved for use in
canine or feline IBD.
Other corticosteroids: budesonide is used by numerous
clinicians to treat IBD. In humans, the drug is known to be
locally efficient and undergo high first pass hepatic metabolism. Therefore, systemic complications of steroid treatment
are less likely. However, it has been shown that the drug significantly influences the pituitary-adrenal axis in dogs. To
date, budesonide use in dogs or in cats with IBD has not
been evaluated critically and only anecdotical reports are
available. Furthermore, there is no data on the pharmacokinetics of the drug in pets. The recommended doses are 0.5-3
mg/dog daily (depending on the dog’s size) and 0.5-1 mg/cat
once daily. The drug must be re-formulated by a compounding pharmacist for use in cats and small dogs. Concurrent
use with predniso(lo)ne is not recommended.
Antimicrobials: based on our current understanding, the
intestinal flora and its interactions with the innate immune
system play a central role in the pathogenesis of IBD. Modification of the intestinal microbiome with antimicrobials is
therefore a logical choice in the treatment of IBD. Metronidazole is an antimicrobial ef fective against many obligate
anaerobes. It is used successfully in the treatment of antibi-
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Other immunosuppressive drugs such as mycophenylate mofetil, methotrexate and leflunomide have been used
to treat immune-mediated or autoimmune diseases in dogs.
Due to lack of data and possible side ef fects on the intestinal mucosa, their use for treatment of IBD in dogs cannot be
recommended at this time.
Special dietary therapy: management of dogs with
severe IBD including cases associated with significant protein loss (secondary protein-losing enteropathy or PLE) may
be a serious challenge, particularly when their appetite is
decreased. Elemental diets that only contain free amino
acids (including glutamine), carbohydrates and reduced fat
administered via feeding tube provide the necessary nutrients with minimal risk of disease flare up (e.g. Vivonex
TEN®, Peptamen HN ®). Attention should be paid to the
osmolality of the product. There are currently no reports
documenting the benefits of this dietary treatment in pets.
CONCLUSION
The morbidity and treatment failure rate in canine or
feline IBD is not negligible. Reevaluation of the patient is
the 1 st step in the response to treatment failure. The objectives are to confirm the diagnosis of IBD and the lack of
intercurrent diseases. A variety of treatment options are
available for dif ficult cases of IBD in dogs and cats. However, the information available about many of these modalities is purely anecdotic and rigorous scientific studies are
needed to identify the better options.
SELECTED REFERENCES
Can be obtained from the author upon request
([email protected])
Address for correspondence:
Frédéric P. Gaschen - Louisiana State University School of Veterinary Medicine - Baton Rouge, Louisiana, USA
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Ultrasonography and Radiography
of Acute Gastrointestinal Disease
Lorrie Gaschen
DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)
(mechanical) and functional. Obstructive ileus may be partial or complete.
Partial Obstructions. Patients with partial obstructions
tend to have a more chronic course of intermittent vomiting
and diarrhea. Common causes include foreign bodies and
strictures. Fasted (>12 hours) or anorectic animals should
not have small bowel segments containing granular material resembling that of food content radiographically. Granular or more opaque small bowel contents may be detected
in partial obstructions. The intestines in such cases may be
mildly dilated (1-1.5 times the width of the second lumbar
vertebral body) proximal to the obstruction or may even be
of normal diameter . Because partial obstructions may be
more difficult to diagnose radiographically than complete
obstructions, complementary imaging procedures such as
barium studies or ultrasound are often necessary for the
diagnosis.
Complete Obstructions. More severe dilation, usually
with air, is seen in complete obstructions. The location of the
obstruction can be either intraluminal (foreign bodies),
extraluminal (adhesions, herniation, intussuceptions),
or intramural (neoplastic wall infiltrations, granulomas).
Dilation (1.5-2 times the width of the body of L2) is seen
proximal to the site of obstruction and the segments distal to
it usually appear empty and contracted. Due to this, the jejunal segments appear to have many varied diameters, some
very dilated, others empty or small. This is due to the continued peristaltic activity in the distal segments. The dilated
segments are often referred to as “sentinel loops”. Proximal
duodenal or pyloric obstructions may show no radiographic
abnormalities. Moreover, the entire gastrointestinal tract
may actually appear completely empty after some hours due
to recurrent vomiting.
Functional Ileus. Another form of ileus that can be detected is a generalized and uniform mild intestinal dilation due
to lack of peristaltic activity . This is known as adynamic,
functional or paralytic ileus and results from an inhibtion of
bowel motility. Functional ileus results in obstruction since
the intestinal contents pool in the dependent areas of the gastrointestinal tract. Such an adynamic intestinal pattern can
be due to the administration of pharmaceutical agents such
as parasympatholytics and sedatives. Other causes are peritonitis, blunt abdominal trauma, electrolyte imbalance and
enteritis of various causes.
INTRODUCTION
Acute vomiting and diarrhea are two of the most common
reasons that dogs and cats are presented to veterinarians. In
addition to the clinical examination and laboratory database,
survey radiographs and ultrasound are important diagnostic
methods in dogs and cats with both vomiting and diarrhea.
In patients with vomiting, radiography is important for rapid detection of bowel displacement and distension as well as
for radiopaque foreign bodies. Both lateral and ventrodorsal
radiographs should be performed. Dependent upon the
radiographic findings, a combination of sonography and
endoscopy may also be indicated. Sonography plays an ever
increasingly important role in modern protocols for working
up patients with acute gastrointestinal disorders. High frequency ultrasound probes (7.5 MHz and higher) are required
to adequately assess the bowel walls. Both curved-array and
linear-array probes can be used to examine the gastrointestinal tract of dogs and cats. For lar ger breed dogs, lower frequency, curved-array probes (5MHz) may be necessary to
investigate the stomach. Linear-array probes are optimal for
examining the small intestine in both dogs and cats. Sonography should always be performed prior to both endoscopy
and barium contrast studies since both barium and intraluminal air will elicit artifacts that prohibit good visualization
of the bowel wall with ultrasound.
ILEUS
Ileus is a failure of intestinal contents to be transported
and is recognized radiographically by the presence of dilated bowel segments. Survey abdominal radiographs should
always be performed in vomiting animals suspected of having an ileus. Ultrasound alone in such instances does not
allow a global view of the abdomen, is much more time-consuming and non-gastrointestinal causes of the dog’ s clinical
signs as well as any secondary abnormalities may be overlooked. The radiographic appearance of ileus is dependent
on its duration, location and degree of obstruction. Acute or
very proximal obstructions may show little intestinal dilation radiographically whereas chronic or more distally located ones will show more generalized dilation of the small
intestines. The two major types of ileus are obstructive
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Detecting ileus with ultrasound. When abdominal radiographic findings are unclear, an obstruction cannot be ruled
out or the radiographic findings do not explain the severity
of the clinical signs, further diagnostic procedures are warranted.
Ultrasonography has the advantage that it does not require
ionizing radiation and can be used to inspect the small intestines for wall layering, thickness, dilation, peristalsis as well
as for intraluminal, intramural, and extraluminal causes of
obstruction. Lack of peristalsis occurring together with generalized dilation of the small intestines can be seen with
functional ileus. Contractions can be observed in twodimensional real time imaging and approximately 5 contractions per minute is considered normal for the stomach and 13 for the small intestine.
Radiolucent intestinal foreign bodies may be detected by
ultrasound, especially when they cause mechanical obstruction. Solid material generally appears as a hyperechoic interface which casts an acoustic shadow from the intestinal
lumen. Balls will have a round or curvalinear surface, peach
pits are irregular, and bones generally have a smooth regular
surface. Linear foreign bodies can sometimes be identified
in plicated segments of small bowel. Foreign bodies tend to
remain fixed in the same position and examinations repeated a short time later show that they have not moved.
The
finding of severe dilation of one or more segments of
jejunum and the stomach together with empty , contracted
bowel segments distally may indicate complete or partial
obstruction. Care should be taken not to misinterpret a gasliquid interface in dilated bowel segments. These appear as
linear, hyperechoic intraluminal structures with acoustic
shadowing. However , the bowel will often have a similar
diameter proximally and distally to this artefact. This is usually not the case with intraluminal foreign bodies causing
obstruction.
Localized mural infiltrations due to inflammation or neoplasia can slowly narrow the intestinal lumen. Some degree
of intestinal dilation is present and solid foreign material
such as small stones can collect proximal to the stricture.
Ultrasonographically, neoplastic infiltrates produce intestinal wall thickening often with a loss of wall layering. L ymphoma is the most common intestinal tumor in cats but also
occurs frequently in dogs. It commonly leads to either a
symmetrical or asymmetrical, transmural, circumferential
thickening. The wall layers are dif ficult to identify and the
entire wall appears hypo- to anechoic. The infiltration of the
intestinal wall may be solitary , dif fuse, or multifocal and
regional lymph nodes may be enlar ged. Complete intestinal
obstructions often do not occur . Intestinal carcinoma often
produces a solitary intestinal mass as can polyps, leiomyomas, or leiomyosarcomas. Carcinomas tend to be annular ,
irregular infiltrations that invade the lumen and cause
obstructions. Regional lymphadenopathy can also common-
ly be identified. Granulomatous infiltrations due to fungal
infections may also cause dif fuse or focal infiltration of the
bowel wall and are dif ficult to distinguish from neoplasia
ultrasonographically. Histoplasmosis, for example, can produce localized and severe wall infiltrations that resemble
lymphoma. Jejunal smooth muscle hypertrophy has also
been described in the cat and can also cause focal wall thickening but with maintenance wall layering is maintained.
Because ultrasonographic appearance of the bowel wall
alone is not suf ficient for a definitive diagnosis, either full
thickness biopsies, ultrasound-guided percutaneous biopsies, or fine-needle aspirates of the bowel wall are required
for a definitive diagnosis.
Complicated ileus. Complicated forms of ileus include
bowel perforation with peritonitis, free air in the abdominal
cavity, bowel ischemia due to thromboembolism, intussusception, or volvolus at the root of the mesentery. Linear foreign bodies can also lead to a complicated form of ileus.The
presence of pneumoperitoneum together with abdominal
effusion on an abdominal radiograph should alert the clinician that bowel perforation has occurred. The detection of
free intraabdominal air may require the use of ventrodorsal
horizontal beam radiography with the patient in left lateral
recumbency. Free air can be detected just under the right
abdominal wall and lateral to the duodenum. Volvulus or
mesenteric thromboembolism are recognized by the presence of generalized, severely dilated and air -filled jejunal
segments. Linear foreign bodies produce characteristic
changes on abdominal radiographs in both cats and dogs.
The small intestinal loops appear convoluted and gathered or
clumped together at one site, usually in the mid-right
abdomen and intraluminal gas bubbles appear asymmetrical
and irregularly shaped. Ultrasonographically , the small
intestinal segments will appear gathered up and the linear
foreign material binding them together may be visualized in
some cases. The surrounding mesenterium should be examined for increased echogenicity and free fluid, which could
be indicative of rupture. Intestinal intussusception can usually be quickly diagnosed with ultrasound. Multilayered,
concentric rings of bowel can be identified. The outer bowel segment is often thickened, edematous and hypoechoic.
More normal appearing inner segments can be identified.
Hyperechoic tissue representing invaginated mesenteric fat
may also be detected. In older animals, careful examination
of the af fected bowel for nodular infiltrations of the bowel
wall and regional lymphadenomegaly is important since
underlying neoplastic disease may be responsible for the
intussusception.
Address for correspondence:
Lorrie Gaschen
Professor, Section of Diagnostic Imaging,
Louisiana State University, Baton Rouge, USA
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Role of Radiography in Chronic Gastrointestinal
Disease
Lorrie Gaschen
DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)
Chronic gastrointestinal diseases may affect the esophagus,
stomach and lar ge and small intestines. Although abdominal
sonography has replaced many radiographic techniques, the
abdominal radiograph is still important in dogs and cats with
chronic gastrointestinal disease.
Abdominal radiographs can allow rapid detection of
radiopaque foreign material within the esophagus, stomach
or small intestine and determine if partial or complete
obstruction is present. Masses involving the esophagus,
stomach or intestine can be identified if lar ge enough. Positive contrast studies are often necessary to detect disease in
the esophagus, stomach or small intestines if survey radiographs are negative in animals with regur gitation, vomiting or chronic weight loss.
DIAGNOSIS OF DELAYED GASTRIC
EMPTYING
Chronic pyloric obstruction occurs either due to narrowing of the lumen due to wall infiltration or mechanical
blockage of the orifice. Survey radiographs usually show
some degree of gastric distention. Barium studies may help
to identify pyloric obstructive disease. However , differentiating hypertrophic pyloric stenosis, from inflammatory infiltrates or neoplasia is often difficult since they all lead to narrowing of the pyloric orifice due to annular thickening, and
appear similar radiographically. Detecting intraluminal filling defects at the pylorus is also possible. These may be due
to foreign bodies, polyps, or severe inflammatory infiltrates
and neoplasms.
Gastric neoplasia is generally only diagnosed on survey
radiographs when it is large enough and when the proliferative tissue is projected into the air -filled lumen. Lack of air
in the stomach may cause mural lesions to be overlooked.
Diffuse stomach wall infiltrations are even more dif ficult to
diagnose radiographically.
Mechanical obstruction due to pyloric foreign body ,
gastric neoplasia, pyloric hypertrophy, antral mucosal hypertrophy, and antral polyps can generally be ruled out with a
combination of radiography, ultrasound, and endoscopy. The
diagnosis of other causes of delayed gastric emptying can be
more difficult. Sequential radiographic imaging methods are
often required. These can be time consuming and require
restraint or sedation, both of which can potentially affect the
results. Radiographic methods employ either indigestible
radiopaque markers, barium meals, or liquid contrast agents
(barium or iodine-containing). Radioscintigraphy is now
considered the method of choice for detection of delayed
gastric emptying. However , it has been shown that water
intake, meal size, food type (dry vs. canned) and kibble
shape influence the rate of gastric emptying in cats. The rate
of gastric emptying in normal animals depends mainly on
the state of filling of the stomach and the type of contrast
medium used as well as stress and sedation. Animals should
be kept in a quiet environment during the study and should
not be sedated if possible. Iodine containing contrast media
have a much more rapid passage time than barium sulfate.
Furthermore, a low dose of contrast medium may lead to
longer emptying times. The dose of barium suspensions is 6
CHRONIC REGURGITATION
Chronic diseases of the esophagus that lead to regurgitation, weight loss and respiratory diseases include megaesophagus, stricture, neoplasia, hiatal hernias and fistula
and diverticulum formation. Esophagography with barium
sulfate creams or suspensions are indicated when
esophageal disease is suspected and survey thoracic radiographs are unremarkable. Generalized megaesophagus
can be visualized by the presence of a dilated, gas-filled
lumen along the entire length of the esophagus on survey
radiographs. The tracheal stripe sign is present due to
superimposition of esophageal and tracheal walls and the
longus colli muscle ventral to the 5th and 6 th thoracic vertebrae. The caudodorsal thorax may also appear hyperlucent due to the presence of air in the esophagus.
Differential diagnoses for generalized dilation of the
esophagus are numerous. In young animals it is most commonly idiopathic. In adults, central nervous system and
neuromuscular disorders, such as myasthenia gravis, feline
dysautonomia, polyneuritis, or polymyositis are more
likely to be the cause.
Endocrinopathies such as hypothyroidism or hypoadrenocorticism and toxicities, trauma, tetanus, and thymoma are additional dif ferential diagnoses. Mechanical
causes of generalized dilation can be due to foreign bodies and strictures located either intraluminally, murally, or
periesophageally.
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ml/kg in dogs and 10 ml/kg in cats and should be administered when the stomach is empty . Barium sulfate should be
present in the duodenum by 15 minutes in the dog and by 5
minutes in the cat. The stomach should be free of barium
after 1 to 4 hours in the dog and after 20 minutes in the cat.
The presence of food in the stomach prior to the examination
will delay gastric emptying for up to 15 hours or even more
(longer for dry than moist food).
tion (1.5-2 times the width of the body of L2) is seen proximal to the site of obstruction and the segments distal to it
usually appear empty and contracted. Due to this, the jejunal
segments appear to have highly variable diameters. This is
due to the continued peristaltic activity in the distal segments. Feces may still be present in the colon depending on
the duration of the obstruction. Proximal duodenal or pyloric
obstructions may show no radiographic abnormalities. Distal jejunal obstructions may cause generalized dilation and
resemble a functional ileus radiographically.
Functional ileus. Another form of ileus that can be
detected is a generalized and uniform mild intestinal dilation due to lack of peristaltic activity is seen radiographically. This is known as adynamic, functional, or paralytic
ileus. Functional ileus results in obstruction since the intestinal contents pool in the dependent areas of the gastrointestinal tract. It may af fect the stomach, small, and lar ge
bowel. Radiographically, the bowel segments may have a
homogeneous soft tissue opacity when they are fluid filled
or a mixed pattern of air and fluid may also be present.
Such an adynamic intestinal pattern can be due to the
administration of pharmaceutical agents such as parasympatholytics or sedatives. Other causes are peritonitis, blunt
abdominal trauma, electrolyte imbalance, or enteritis of
various causes. Dysautonomia is a disorder of the autonomic nervous system that can also lead to generalized
dilation of the gastrointestinal tract in both dogs and cats.
A complete obstruction in the distal jejunum or ileocecal
level may also lead to the same radiographic appearance.
Decreased peristalsis may be limited to the duodenum in
the presence of pancreatitis.
SMALL INTESTINAL ILEUS
Ileus is a failure of intestinal contents to be transported
and is recognized radiographically by the presence of dilated bowel segments. Survey abdominal radiographs should
always be performed in animals suspected of having an
ileus. Ultrasound alone in such instances does not allow a
global view of the abdomen, is much more time-consuming,
and non-gastrointestinal causes of the dog’s clinical signs as
well as any secondary abnormalities may be overlooked.
The radiographic appearance of ileus is dependent on its
duration, location, and type. Acute or very proximal
obstructions may show little intestinal dilation radiographically whereas chronic or more distally located obstructions
will show more severely dilated bowel segments. The two
major types of ileus are obstructive (mechanical) and functional. Obstructive ileus may be partial or complete and be
due to foreign bodies, torsion, volvulus, herniation causing
strangulation, intussusception, adhesions, granulomas and
neoplasms.
Barium passage through the small intestines can be used
to identify intraluminal, mural, or extramural obstructive
and non- or partially obstructive lesions. However , it is a
lengthy procedure and depending on the technique and
experience of the clinician, may be dif ficult to interpret.
Barium is also contraindicated prior to endoscopy or ultrasound, as it causes significant attenuation of sound and
acoustic shadowing.
Chronic, partial obstructions. Fasted (>12 hours) or
anorectic animals should not have small bowel segments
containing granular material resembling that of food content. Granular or more opaque small bowel contents may be
detected in partial obstructions. The intestines in such cases
may be mildly dilated (1-1.5 times the width of the second
lumbar vertebral body) proximal to the obstruction or of normal diameter . Because fluid passes through the narrowed
lumen, the contents remaining proximal to the partial
obstruction become more dense and, therefore, radiographically more opaque.
Complete obstructions. More severe dilation, usually
with air, is seen in patients with complete obstructions. Dila-
REFERENCES
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Address for correspondence:
Lorrie Gaschen
Professor, Section of Diagnostic Imaging,
Louisiana State University, Baton Rouge, USA
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Radiography and Ultrasonography
of Chronic Large Bowel Disease
Lorrie Gaschen
DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)
increased soft tissue opacities caudally . Irregular or linear
lucencies may be observed. If the ascending, transverse or
descending colon is af fected, loss of abdominal detail and
free air may be identified radiographically . The perforated
colon can potentially develop stricture, a diverticulum or
stricture. Colorectal diverticula are rarely reported in dogs.
Diverticula are due to tears in the muscular layer of the
colon that allow the mucosa and submucosal to protrude
through the defect. They can occur secondarily to perineal
hernia or due to trauma and straining. Vaginorectal, urethrorectal and rectocutaneous fistulas have been described.
Both diverticula and fistulas can be diagnosed by endoscopy
or positive contrast studies. Fistula can be diagnosed by
demonstrating a connection with positive contrast between
the colon and the vagina, ur ethra or skin.
INTRODUCTION
Constipation and diarrhea are the most common signs of
large intestinal disease. Dietary , infectious and parasitic
diseases are the most common causes of lar ge bowel diarrhea in dogs. Survey radiographs are still important for recognizing situations where endoscopy might not be feasible
such as with obstipation. Strictures may also prevent passage of the endoscope and contrast radiography may be the
only means of diagnosing the extent and nature of disease.
Ultrasound has also replaced much of the use of contrast
radiography and is complimentary to survey radiography .
The colon wall thickness and layering can be assessed in
the near field of the transducer.
The regional lymph nodes can also be examined which
can be important for determining the extent of some
lesions. Cross-sectional imaging of the lar ge intestine can
be advantageous especially for the intrapelvic portion.
Dogs and cats with fecal incontinence may also benefit
from cross-sectional imaging, either CT or MRI in order to
examine the spinal cord and cauda equine.
Sonographically, only the wall closest to the transducer
can be clearly identified when artifacts due to gas and feces
are present. The layers are much thinner than the small intestine and all of approximately equal thickness. Peristalsis is
not detectable as in the small intestines. Wall thickness is
approximately 2 mm or less in dogs and 1.7mm or less in
cats, but will appear thicker or thinner based on the degree
of distension. The wall of the empty colon will have a very
irregular appearance which can be mistaken for infiltration
or thickening.
ILEUS
Megacolon is due to hypomotility and dilation of the
colon resulting in constipation and obstipation. Common
causes of megacolon include idiopathic, chronic constipation, nutritional or metabolic or mechanical. Idiopathic
megacolon occurs more commonly in cats. Neurologic diseases include spinal cord disease (cauda equine syndrome,
sacrococcygeal agenesis in Manx cats, dysautonomia and
Hirschsprung’s disease). Radiographically, it is difficult to
differentiate constipation and obstipation from megacolon.
Distension of the colon can be recognized radiographically
when its diameter is greater than three times that of the
small intestines or greater than the length of L7. The opacity of the contents changes when long-standing obstipation
and obstruction are present.
The fecal balls will appear to have a bony or near -bony
opacity. Rectal and anal strictures can occur secondarily to
trauma, chronic inflammation and neoplasia and cause
dilation of the colon. Contrast radiography can nicely show
the length of the stricture, even if intrapelvic, an advantage
over ultrasound. Ultrasound, however can better demonstrate the perirectal tissues in order to rule out a mass.
Demonstration of a mass with lymphadenopathy makes
neoplasia a likely diagnosis. Ultrasound can be performed
from a perianal approach and guided tissue sampling can
be performed.
ULCERS AND PERFORATION AND
DIVERTICULUM FORMATION
Colonic and rectal perforation has been described in
dogs. It can occur following steroid therapy , dehiscence
following colonic sur gery, perforating foreign body , neoplasia and trauma. Depending on the site of perforation,
either peritonitis or retroperitoneal loss of detail with free
air may be observed. If the anus or rectum is involved,
lucent striations may be present along the wall. Communication with the retroperitoneal space is possible with focal
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In patients with colitis the colon may or may not be distended. The fluid-filled colon will appear homogeneously soft
tissue opaque, possibly with some gas bubbles. Other findings include a generalized gas-filled lumen. Occasionally
emphysematous changes of the wall can be identified in
patients with gas producing bacterial infections. Radiographically this appears as a lucent border at the serosal surface of
the colon wall.
Positive contrast examination in patients with severe colitis may show multifocal extension of the barium into the
mucosa which can also be seen with dif fuse neoplasia. In
ulcerative colitis, an irregular mucosal-barium interface with
extension of barium into the thickened colon wall can be
observed. Because of the non-specific nature of this finding,
histology is always required to make a definitive diagnosis.
In chronic inflammatory disease, the colon length may actually become shortened. The colon may also have a corrugated appearance due to spasticity which does not resolve on
repeat radiographs. This appearance can occur simply due to
the administration of barium.
Sonographically, the colon can be evaluated for wall thickening and loss of layering as well as regional lymphadenopathy, an advantage over s urvey r adiography. Diffuse inflammatory bowel disease (IBD) with lymphocytic plasmacytic
infiltration cannot always be detected sonographically . In
IBD the wall layering is often preserved and normal to mild
wall thickening may occur. Severe diffuse thickening of the
colon wall may occur in ulcerative colitis, fungal infections
and dif fuse neoplastic processes such as lymphoma.
The
wall can be more than 8mm thick in cats with colonic adenocarcinomas
FOCAL WALL THICKENING
Colorectal neoplasia such as polyps and carcinomas occur
and usually lead to focal nodules or masses. Focal masses
may also be due to benign polyps or granulomas. Adenocarcinomas generally cause a circumferential and focal thickening of the colon with stricture. L ymphosarcoma can also
affect the lar ge intestine and may appear focal or dif fuse.
Both carcinomas and lymphosarcomas occur in dogs and
cats. Adenocarcinoma is the most common in cats with lymphosarcoma second. Leiomyosarcoma can also be found in
the lar ge intestine and has been described in the cecum.
Depending on their size, masses may be dif ficult to identify
on survey radiographs. Often there is air surrounding the
lesion protruding into the lumen making it readily visible.
Pneumocolonograms can be used to show soft tissue masses
and strictures. If the mass is creating a stricture, the colon is
often dilated cranial to it. In either negative or positive contrast studies, the wall of the colon is usually irregular and
positive contrast may extend into the lesion when neoplasia
is present. Strictures due to non-neoplastic causes or extramural compression generally maintain a smooth mucosal
surface against the barium contrast.
Ultrasound is currently the method of choice for diagnosing large intestinal tumors. Survey and contrast radiographs
are frequently non-specific whereas ultrasound can show
can show the exact location and extent of the mass. Limitations of ultrasound include intrapelvic lesions. Neoplastic
masses generally cause disruption of the normal wall layering and the lumen can appear asymmetric and irregular
.
Mineralization may also be present and appear as multifocal
hyperechoic structures with acoustic shadowing. Lymphoma
generally has a very hypoechoic appearance of the thickened
wall. However, mast cell infiltration and leiomyosarcomas
can appear similarly. Both fungal and neoplastic disease can
lead to focal masses and the ultrasonographic appearance is
too non-specific to distinguish the two. Biopsies for histology are always required for a definitive diagnosis. The sublumbar lymph nodes are often enlar ged and can be rounded
and hypoechoic when colonic neoplasia is present. However, fungal infection can lead to lymphadenopathy also. Ultrasound-guided fine-needle aspiration with a 25gauge needle
can be performed to obtain a cytologic diagnosis of intestinal masses.
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DIFFUSE THICKENING
Neoplastic, inflammatory and infectious diseases can
cause diffuse colon wall thickening. Inflammatory bowel
disease (IBD), lymphosarcoma, pythiosis and histoplasmosis can lead to similar radiographic changes. However , wall
thickening is typically not identified on survey radiographs.
Address for correspondence:
Lorrie Gaschen
Professor, Section of Diagnostic Imaging,
Louisiana State University, Baton Rouge, USA
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Ultrasonography of the Stomach for Chronic Vomiting
Lorrie Gaschen
DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)
many ultrasonographic features of inflammatory disease but
may include mineralization of the gastric wall. The mineralization is often diffuse and appears as a hyperechoic layer at
the gastric mucosa. Gastric mucosal biopsy is required for a
diagnosis due to the lack of specificity of ultrasound for differentiating benign from malignant disease.
The following are ultrasonographic findings that can be
associated with pyloric outflow obstruction:
• Abnormal gastric contact with fluid and gas layers in the
non-dependent portion and particulate matter in the
dependent portion
• Contractions that do not propel the content into the duodenum
• Circumferential thickened of the antral or pyloric wall
• Wall-associated mass at the antrum, pylorus or proximal
duodenum
• Extraluminal mass compressing the antrum or pylorus
• Intraluminal foreign body obstructing the pylorus or proximal duodenum
Gastric neoplasia typically leads to wall thickening and
loss of layering, much like fungal infiltration. Neoplasms
can also be pedunculated and protrude into the lumen, even
causing obstruction of the pylorus. Leiomyoma, leiomyosarcoma, carcinoma and lymphosarcoma are the most common
types of gastric neoplasia. Lymphoma appears characteristically as focal or diffuse transmural thickening with a hypoechoic wall with loss of wall layering and regional lymphadenopathy. Lymph nodes can become so lar ge that they
create a mid-abdominal mass. Gastric carcinoma leads to
altered wall layering that appears as thick alternating hypo
and hyperechoic layers and has been referred to as
pseudolayering.
The gastroduodenal junction should be examined ultrasonographically in vomiting dogs. Congenital hypertrophic
pyloric stenosis and chronic hypertrophic gastropathy have a
similar ultrasonographic appearance. Circumferential thickening (> 3 mm) of the muscularis layer can be recognized by
a hypoechoic layer that appears like a ring in cross-section.
In chronic hypertrophic gastritis the mucosa can also be
thickened. The strong peristaltic contractions against the
thickened pylorus can also be observed. These contractions
fail to propel food through the pylorus and a reflux movement of the gastric contents can be seen and recorded on
videotape or digital clips.
GASTRIC CAUSES OF CHRONIC
VOMITING
Primary gastric causes of chronic vomiting include diffuse inflammatory infiltration, neoplasia, foreign body ,
polyps, ulcers, pyloric hypertrophy , and delayed gastric
emptying. Their diagnosis can be challenging and often
requires a combination of radiography , ultrasound, and
endoscopy. Thickening of the stomach wall is commonly
associated with chronic vomiting and is probably one of
the most commonly over -interpreted findings on survey
radiographs. Because both negative and positive contrast
radiographic studies of the stomach are very time consuming and can be dif ficult to interpret, currently , ultrasound and endoscopy are the methods of choice for imaging the stomach wall.
Ultrasonographically, thickening of the stomach wall can
be characterized as focal or dif fuse, concentric or asymmetric. Attention to technique is necessary since oblique scanning of the stomach wall may lead to an artificially increased
thickness and disruption of wall layering. Therefore, scanning in multiple planes perpendicular to the stomach wall is
necessary to avoid this error. Focal thickening with disrupted wall layering may be caused by neoplasia, granulomas,
and ulcers. Generalized thickening is more commonly seen
with inflammatory disease but can also occur with dif fuse
neoplastic infiltration. Ultrasonographic changes are generally diffuse with wall thickening but no loss of wall layering.
Thickening of the gastric wall is considered to be present
when the wall thickness is greater than 5 mm in dogs and 3
mm in cats. Gastric wall thickening can occur with gastritis,
edema, neoplasia, fungal disease, congenital hypertrophic
pyloric stenosis and chronic pyloric hypertrophic gastropathy. Although ultrasonography is sensitive to gastric wall
thickening, it lacks specificity . Therefore, gastric biopsy is
required for a definitive diagnosis. Inflammatory diseases of
the stomach include chronic gastritis due to diseases such as
eosinophilic, lymphocytic and uremic gastritis. The stomach
is usually distended with decreased peristaltic activity and
fluid accumulation. The rugal folds may appear enlarged and
blunted. Dogs with hypoproteinemia due to protein-losing
enteropathy, may develop gastric wall edema. The gastric
wall is usually thickened with rounded rugal folds which
may also have altered wall layers. Uremic gastropathy has
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Gastric ulcers will lead to disruption of the mucosal surface and they usually cannot be diagnosed using survey radiographs alone. Their diagnosis requires a radiographic contrast study , ultrasound, or endoscopy . It is important to
remember that ulceration of the stomach wall has various
causes and that the stomach wall should be thoroughly
investigated, preferably with ultrasound, for evidence of
underlying disease. Ultrasonographically , benign ulcers
appear as a localized wall thickening. Mucosal craters with
an irregular surface and the adherence of gas bubbles may
also be detected. Unfortunately, the presence of air, food, or
lack of ultrasound beam penetration in lar ge or obese dogs
may make their detection dif ficult. Benign ulcers may
appear similar to those associated with neoplasms. When the
thickened stomach wall shows a loss of wall layering gastric
neoplasia should be suspected.
Ultrasound is used to identify non-radiopaque foreign
bodies, pyloric hypertrophy or wall-associated masses that
are obstructing gastric outflow . The pyloric region in dogs
can be very dif ficult to visualize sonographically and often
depends on the conformation of the patient. In cats, it is can
be consistently identified. In most instances, foreign bodies
have a hyperechoic surface with a strong acoustic shadow .
The shape is variable and depends on the material involved.
Wooden sticks, hard plastic and balls have dif ferent shapes,
but all exhibit strong acoustic shadowing. Gastric trichobezoars can frequently be seen in cats and have a bright, hyperechoic surface with a clean acoustic shadow due to their
compact nature. Food particles such as pieces of meat and
kibble have variable appearance. The more physically dense
the object and the smoother its surface, the brighter its
reflective surface will appear and the cleaner its acoustic
shadow. Because of the variable and sometimes confusion
nature of gastric content, radiography should be used as a
comparative diagnostic tool and the patient should be fasted
and re-examined sonographically . Its detection depends on
its extent and severity as well as patient conditions.
Endoscopic ultrasound represents a new and alternative
imaging modality for gastric lesions. High quality video
endoscopes provide both optical and sonographic imaging of
the gastrointestinal wall and of perigastric or gans. A high
frequency transducer can be placed in direct contact with the
gastric wall allowing the mucosal surface of the entire stomach to be examined. Intestinal gas and obesity are no longer
barriers to obtaining a high resolution image of the wall.
Endoscopic ultrasound can be used in combination with conventional endoscopy to examine the gastric wall and visualize the mucosa at the same time. This technique also allows
more precise targeting of mucosal biopsies to regions of the
wall that are abnormal in the sonographic image.
Tumor
extent can be precisely described with this method when
transabdominal ultrasound proves difficult.
Gastric intususception is rare. Gastrogastric, pylorogastric
and gastroduodenal intussusceptions have been reported and
can be difficult to diagnose sonographically. The cause often
remains unknown but associations with vomiting and gastric
masses have been suggested. Gastric distention and a luminal gastric mass or concentric wall layers are potential sonographic findings. Gastric intussusceptions can be misdiagnosed as masses due to the presence of a thickened and edematous and hypoechoic wall with indistinct layering.
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Address for correspondence:
Lorrie Gaschen
Professor, Section of Diagnostic Imaging,
Louisiana State University, Baton Rouge, USA
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Small Intestinal Ultrasonography for Chronic Diarrhea
Lorrie Gaschen
DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)
Ultrasonography has become a mainstay of diagnosing
intestinal diseases in dogs and cats. Chronic diarrhea is a
common presenting complaint of animals with small intestinal infiltrative disease. Using ultrasound to dif ferentiate
inflammatory from neoplastic infiltrative disease has been
the focus of recent investigations. Dif ferentiating inflammatory from neoplastic infiltration of the small intestine is
crucial to choosing appropriate treatment strategies in dogs
and cats. Ultrasonography is often one of the first diagnostic tools used for that purpose.
Although overlap in the sonographic appearances of
inflammatory and neoplastic infiltration make a definitive
diagnosis with ultrasound difficult, awareness of features of
both diseases is important for the accurate interpretation of
the sonographic findings. Full thickness intestinal biopsy
remains the gold standard for dif ferentiating inflammatory
from neoplastic disease of the small intestine. High resolution images are necessary for the recognition of detailed
features of intestinal wall abnormalities in dogs and cats.
Therefore, high frequency curved or linear array transducers with a minimum of 7.5MHz are required for accurate
examination of the small intestinal wall and its associated
layering.
The entire intestinal tract should be assessed for wall
thickness, layering, layer echogenicity , motility, peri-intestinal echogenicity, free fluid, regional lymphadenopathy ,
focal/multifocal or diffuse lesion distribution.
The sonographic abnormalities of inflammatory bowel
disease (IBD) in cats are similar to those of dogs. Poor intestinal wall layer definition, focal thickening and large hypoechoic mesenteric lymph nodes are consistent with IBD. In
cats, the muscular layer is often selectively thickened in IBD
due to lymphoplasmacytic and eosinophilic infiltration.
However, a thickened muscularis layer in the cat has also
been associated with other disorders such as mechanical
obstruction and lymphoma. Marked thickening of the muscularis layer may also be observed in cats with eosinophilic
enteritis, a condition that has been reported to occur in association with feline hypereosinophilic syndrome. Chronic
inflammatory disease in cats may also produce a distinct,
thin, hyperechoic line within the mucosa which has been
associated with fibrosis histopathologically.
Lymphangiectasia can occur in dogs with IBD or a primary idiopathic disorder . The ultrasonographic diagnosis
usually rests on the ability to demonstrate hyperechoic striations that are aligned parallel to one another and perpendicular to the long axis of the intestine.
Little data is available concerning monitoring chronic
enteropathies sonographically . A two-dimensional ultrasound score has been established for canine chronic
enteropathies. The ultrasound score correlates to the canine
inflammatory bowel disease clinical activity index (CIBDAI) at initial presentation of the patient when the disease is
clinically active. However , improvement in the CIBDAI
after treatment does not correlate to improvement of the
ultrasound score upon follow-up examinations.
CHRONIC INFLAMMATORY DISEASE
Although generally dif fuse, inflammatory disease can
also cause focal or segmental changes. It often leads to mild
to moderate transmural thickening of the intestinal wall with
preserved wall layering. The relative thickness of the layers
may also change while the total wall thickness remains normal. Selective muscularis thickening can be due to idiopathic muscular hypertrophy of the smooth muscle layer of the
intestine, and has been commonly observed in inflammatory
conditions. The echogenicity of the mucosa may be altered
in both lymphangiectasia and lymphoplasmacytic enteritis.
Hyperechoic mucosal speckles and striations can be identified in inflammatory disease but are non-specific for the
cause and severity.
INFECTIOUS DISEASES
Infectious causes of intestinal wall infiltration have sonographic findings similar to neoplasia. Non-neoplastic causes
of intestinal masses include fungal infections with pythium
and histoplasma, abscesses, cysts, hematomas, ulcers, intussusceptions and foreign body granulomas. A focal mass with
loss of wall layering is most commonly associated with neoplasia; however, fungal infections may cause similar lesions.
Pythiosis and histoplasmosis can lead to either intestinal
wall thickening with pseudolayering, or transmural loss of
layering or a focal mass. The distribution of fungal infection
in the intestine can be focal or multifocal, but is usually not
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eccentric growth out of the intestinal wall through the
serosa. They can appear as extraluminal masses also.
Leiomyomas tend to be small and appear as a focal intramural hypoechoic thickening with loss of wall layering. Intestinal mast cell tumors are rare and are more common in cats
than dogs.
diffuse. Histoplasmosis has been reported in the cat and can
spread to the entire abdomen and lungs. Histology is
required for differentiation between neoplastic and non-neoplastic masses of the intestines and lymph nodes.
INTESTINAL NEOPLASIA
SELECTED REFERENCES
Focal intestinal wall thickening can be due to neoplastic
and non-neoplastic lesions. Sonographic parameters such as
lesion symmetry, distribution, degree of thickening and wall
layering are most commonly used to distinguish inflammation from neoplasia. In dogs, wall thickness of neoplastic
infiltrative lesions is statistically greater than that of nonspecific inflammatory disease (0.5-7.9 mm versus 0.2-2.9
mm, respectively). When loss of wall layering is identified
sonographically, there is a 50 times greater likelihood of a
diagnosis of neoplasia versus non-specific inflammation.
The most common intestinal wall tumors in dogs are carcinomas, lymphoma, leiomyoma and leiomyosarcoma. In
cats, the most common causes of neoplastic intestinal disease are lymphoma, mast cell tumor and adenocarcinomas.
Alimentary lymphoma can be dif fuse in both dogs and cats
but most commonly occurs as a solitary , hypoechoic intestinal mass with transmural loss of wall layering. Lymphoma
is the most common neoplastic cause of dif fuse infiltration
and wall thickening that can appear similar to inflammatory
disease. Regional lymph nodes are commonly enlar
ged,
rounded and hypoechoic. Thickening of the muscularis layer has been reported in inflammatory bowel disease and
intestinal lymphoma in cats.
Intestinal adenocarcinoma in dogs and cats appears sonographically as transmural thickening with complete loss of
wall layering and regional lymphadenopathy . This appearance is very similar to that of alimentary lymphoma when it
forms a mass. Intestinal smooth muscle tumors such as
leiomyosarcomas often become very lar ge and have an
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Doppler and Endosonography
of the Gastrointestinal Tract
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DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)
decreased resistance to flow in the downstream capillary bed
of the gastrointestinal tract. The effect lasts 40 minutes in the
celiac artery and 60 minutes in the cranial mesenteric artery
and increased resistance to flow can be demonstrated at 90
minutes post-prandially in normal dogs during the recovery
phase. Prolonged vasodilation at 90 minutes has been
demonstrated in normal dogs eating a high fat diet compared
with high protein and carbohydrate diets which have the
same response as a normal maintenance diet.
In dogs with proven food aller gies that develop gastrointestinal signs, dietary provocation with the aller gen resulted
in prolonged vasodilation at 90 minutes post-prandially
compared with provocation with non-allergens and the dog’s
regular diet could be shown with the RI and PI. Abnormal
hemodynamics have also been shown in dogs with chronic
enteropathies due to other causes. This non-invasive ultrasound method shows promise for assessing hemodynamic
pathophysiology in dogs with adverse reactions to food and
chronic enteropathies due to other causes and further studies
are required to determine the value of this technique in larger clinical populations.
IBD AND DOPPLER ULTRASONOGRAPHY
Idiopathic inflammatory bowel disease (IBD) is probably
the most common cause of chronic enteropathies in dogs.
Currently, the diagnosis is based on clinical signs of chronic
intermittent or persistent diarrhea and/or vomiting, with possible weight loss and/or decreased general condition combined with histological evidence of infiltration of the intestinal mucosa with inflammatory and/or immune cells. Established diagnostic tools include: routine laboratory investigations (CBC, biochemistry profile, urinalysis), parasitological
and bacteriological analyses of fecal samples, 2D ultrasonographic examination of the abdomen (including intestinal wall
thickness and layering, mesenteric lymph nodes etc.), gastroduodenoscopy and/or ileocoloscopy with sampling of mucosal biopsies or exploratory celiotomy and sampling of full
thickness intestinal biopsies, and finally histopathological
evaluation of the intestinal biopsy specimen.
Doppler ultrasound provides a non-invasive method of
assessing gastrointestinal hemodynamics in dogs and
humans. Assessment of systolic and diastolic arterial blood
flow in the lar ge upstream arteries supplying the gastrointestinal tract is aimed at detecting abnormally increased or
decreased resistance to flow to the intestinal capillary bed
during digestion. The resistive and pulsatility indices (RI
and PI, respectively) have historically been used to infer the
degree of resistance to flow in downstream capillary beds.
A lowered index indicates lowered resistance to flow and
vice versa. The spectral waveforms of the celiac and cranial
mesenteric arteries in normal dogs have been described as
being of moderately high resistance in the fasted state (CMA
RI= 0.803 ± 0.029, CA
RI= 0.763±0.025, CMA PI=
2.290±0.311, CA PI= 1.962±0.216). The celiac and cranial
mesenteric arteries feed two dif ferent capillary beds. The
celiac artery supplies the upper gastrointestinal tract including the stomach and pancreas whereas the cranial mesenteric
artery supplies the small intestines. Reference values for
resistive index (RI) and pulsatility index (PI) in normal dogs
both pre- and postprandial have been made available. The
method involves measuring the RI and PI in the celiac and
mesenteric arteries percutaneously at fasting (time 0) and at
20, 40, 60 and 90 minutes post-prandially . Vasodilation
during digestion leads to decreasing Doppler indices and
increasing diastolic blood flow velocity which infer
ABDOMINAL ENDOSCOPIC ULTRASOUND
Endoluminal ultrasound (EUS) was developed in humans
to overcome problems associated with transabdominal
approaches to the gastrointestinal tract that include lar
ge
penetration depths, presence of intestinal gas and obesity .
The ultrasound endoscope a provides a combination of
endoscopy and ultrasonography which allows the mucosal
surface to be visualized optically and the intestinal wall layering and contiguous organs to be examined sonographically. In humans endoscopic ultrasonography is an accurate
tool for staging malignant tumors of the esophagus, stomach, duodenum, rectum, major duodenal papilla, extrahepatic bile duct and pancreas.
A standardized EUS examination technique of the canine
abdomen is possible by using five anatomic landmarks. The
(www.hitachi-medical-systems.com; www.fujinon.de;
http://cf.olympus-europa.com/endo/home2.cfm).
a
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upper gastrointestinal tract and cranial abdominal organs can
be examined. EUS in dogs allows excellent visualization of
the stomach from the distal esophagus to the proximal duodenum, independent of patient size, thoracic confirmation,
and body condition or luminal gas content. Due to the direct
placement of the transducer on the stomach wall or with the
aid of the inflated balloon acting as a standof f, gastric wall
layering could be visualized with excellent resolution. EUS
has potential for improving diagnostics of the gastrointestinal tract and assessment of wall layering when conventional
transabdominal methods fail. However , the equipment has
limited availability and will likely restrict its use.
EUS Doppler evaluation of vascularity of the stomach
wall can be better evaluated. In summary , endoscopic ultrasound allowed a more complete assessment of the stomach
wall and draining lymph nodes as well as detection of
increased mural vascularization in this series of five dogs.
The canine and feline pancreas can be examined with
endoscopic ultrasound. In large dogs or obese cats it has the
advantage of being able to place the ultrasound transducer
close to the pancreas to allow high resolution imaging of the
parenchyma without interference with overlying gas or
abdominal fat. Insulinomas can be identified in lar ge dogs
with endoscopic ultrasound that are difficult or impossible to
detect using conventional transcutaneous ultrasound.
Potential veterinary indications for EUS of the thorax
include dysphagia of unkown origin, tumor staging (evaluation of tracheobronchial lymph nodes), investigation and
localization of radiographic soft tissue opacities that do not
have contact with the thoracic wall or when pleural fluid is
not present. Also, EUS can evaluate intrathoracic paravertebral masses, assess the vascularity of intrathoracic lesions
with Doppler, examine infiltration of the esophageal wall,
differentiate periesophageal vs. pulmonary masses and
detect small amounts of pleural fluid. EUS-guided fineneedle aspirations of intrathoracic and esophageal lesions
can also be performed.
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THORACIC ENDOSCOPIC ULTRASOUND
This imaging modality provides detailed images of pathologic processes both within and outside of the esophageal
wall. It has found most success in humans for staging of
lung, gastric and esophageal cancer . Some of its success
lies in the fact that it has been proven to be able to detect
intrathoracic lesions such as lymph nodes too small to be
seen with CT and MRI. Within the last 10 years the safety
and efficacy of EUS-FNA has been demonstrated. Investigators are now seeking to exploit this tool for precision tar geting of immune-based and viral-based therapeutic agents to
specific sites. Not only do the applications of EUS continue
to evolve, but the intrumentation does as well.
Address for correspondence:
Lorrie Gaschen
Professor, Section of Diagnostic Imaging,
Louisiana State University, Baton Rouge, USA
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Clinical Correlation of Thoracic Computed Tomography
and Radiography
Lorrie Gaschen
DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)
One of the greatest advantages of cross-sectional imaging
modalities like computed tomography (CT) of the thorax
compared to radiography is the lack of superimposition of
structures. Since there is no summation involved as in radiography, CT provides superior resolution of anatomic structures. CT in dogs and cats is most commonly used for
improved detection of subtle pulmonary lesions, to evaluate
the thoracic barriers, for presur gical planning of thoracic
mass or lung resection, to dif ferentiate fluid accumulations
from mediastinal or pleural masses and to detect thoracic
foreign bodies and for CT-guided tissue sampling. It should
always be used as a follow-up to thoracic radiographs where
the indication for CT is often determined. CT is more widely available than ever before and that trend is likely to
increase in veterinary medicine. Indications for magnetic
resonance imaging of the thorax are starting to appear in veterinary medicine. However , CT remains at this time the
modality of choice for examination of the thorax when thoracic radiography or ultrasound of the thorax is limited.
dal to cranial as any movement that occurs generally occurs
with the diaphragm as the animal tries to breath against the
closed anesthetic system.
Images are acquired in cross section along the length of
the animal and can be reconstructed in the dorsal and sagittal planes as well as in 3-D to aid in visualization and better
understanding of the lesions exact location and appearance,
especially for surgical planning.
EVALUATION OF THE LUNG AND
AIRWAYS
Now that helical CT scanners are more commonly available in the veterinary community , evaluation of the lung
and airway is now an important indication for the CT examination. Indications include: Tracheal collapse, Bronchial
obstruction, Lung lobe tors ion, Pulmonary thromboembolism, Detecting pulmonary metastases, Interstitial lung
disease.
The lung parenchyma can be assessed subjectively and
quantitatively. Hounsfield Units (HU) can be used to assess
normal and abnormal lung densities. Normal lung densities
have a mean value of approximately -700 to -850. Lung
abnormalities are divided into linear, nodular, increased and
decreased lung density. CT is an excellent modality to assess
lower airway disease in dogs and cats. Bronchial wall thickening, bronchial luminal diameter (enlargement or collapse)
and nodules related to the bronchi (mucus plugs) can be differentiated from pulmonary parenchymal disease which is
difficult radiographically . Bronchial foreign material can
also be detected. The attenuation of the lung helps to determine if hyperinflation and emphysema is present by assessing the HU numbers. Numbers less than -850 are diagnostic
of increased air in the lung while numbers greater than -700
are indicative of infiltrative parenchymal disease.
CT can assess tracheal collapse and the benefits include
being able to see the entire trachea in cross section and
appreciated variations in the trachea during respiration.
Well-sedated animals or those under general anesthesia
with very cranial positioning of the endotracheal tube can
have the trachea examined. Extramural and intraluminal
masses can be better detected with CT than radiography in
many cases.
GENERAL CONSIDERATIONS AND
PATIENT PREPARATION
Conventional single, thick slice, older generation CT units
are too slow and respiratory motion prevents good visualization of the lung and scan times are long. Thicker slices do
not allow for good spatial resolution and small nodules can
be missed. Multi-slice helical scanners allow contiguous
slices to be made (4, 8, 16 slices or greater) at a time without interslice delay . Scans can also be acquired in thinner
slices of 1-2 mm to provide high-resolution images. Because
dogs and cats are scanned under anesthesia, atelectasis of the
dependent lung can be problematic. Animals should never
be manually restrained due to the greater radiation exposure
levels compared with radiography . Animals should only be
placed in ventral recumbency for the anesthetic induction,
catheter placement, intubation, etc. and scanned in the same
position when evaluation of the lung is the main interest.
Dorsal recumbency is better , however, for disorders of the
spine as there will be less motion artifact in that region in
this position. Positive pressure ventilation and breath hold
procedures are necessary to prevent motion artifact even
with helical scanners. Patients should be scanned from cau-
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CT can confirm the pulmonary origin of a mass seen radiographically and detect small nodules not seen radiographically. Radiography remains the screening method of choice
for pulmonary diseases and screening for metastases. However, CT is now preferred for detecting pulmonary metastasis. Nodules as small as 1-2 mm in size can be detected with
high resolution CT whereas nodules must be 5-6mm in size
to be detected on high quality radiographs. Metastases are
often located in the periphery of the lung that makes their
detection even more difficult with radiography. Nodules can
be distinguished from vessels with CT but is more dif ficult
radiographically.
Idiopathic pulmonary fibrosis in some terrier breeds produces an interstitial pattern radiographically that is non-specific and has a ground-glass appearance of the parenchyma
in CT as well as subpleural and peribronchial consolidations.
Similar findings occur in cats with feline idiopathic pulmonary fibrosis. Multicentric lymphoma can also create a
ground-glass appearance in CT , but there will generally be
enlarged lymph nodes present as well.
CT can better confirm pulmonary mineralization than
radiography due to the ability to quantify lung attenuation
(density) with HU numbers. Soft tissue ranges from 30-60
HU while mineralization has much greater values.
The Thoracic Wall
Indications include:Thoracic wall masses for pre-sur gical
planning, Soft tissue tumors for pre-sur gical planning or
radiation therapy planning, Determine intrathoracic involvement of thoracic wall disease
The Pleural Space
Indications include: Differentiate solid from fluid in animals with pleural ef fusion and/or masses, Spontaneous
pneumothorax or reoccurring pneumothorax, Determine
involvement of the pleura in pu lmonary disease such as
adhesions, thickening.
Although radiography and ultrasonography usually suffice for making a diagnosis, CT can best detect small quantities of fluid that can make the lung appear opaque radiographically. Pleural thickening can best be recognized and
sheets of adhesions in inflammatory or pyogranulomatous
disease can be best detected. The presence of thickened
pleura in these cases may change the therapeutic approach.
If thoracotomy is performed, the presence of thickened pleura may make exploration of the thorax more dif ficult and
knowledge of its presence prior to sur gery can be helpful.
sion, thrombosis and aneurysms of the great vessels, Vascular anomalies such as persistent right aortic arch.
Masses in the mediastinum can be due to neoplasia,
abscesses, hemorrhage or fat. Cystic structures in the mediastinum can be dif ferentiated from solid masses due the
presence of a thin wall and fluid attenuating center . Mediastinal cysts are more common in dogs than cats and can
appear as a mass radiographically . CT is sensitive to small
amounts of fluid in the mediastinum, although this is a rare
finding in dogs and cats as a sole disease. CT is an excellent
imaging modality for esophageal neoplasia. It is especially
indicated for determining the extent of disease for sur gical
planning (extent of lesion, presence of lymphadenopathy
and pulmonary metastases).
LIMITATIONS OF CT
CT is more sensitive for the detection of pulmonary nodules and greatly improves the ability to see details of the thorax compared to radiography. However, CT does not provide
a specific diagnosis in the presence of masses, pulmonary
nodules and lymphadenopathy . Dif ferentiating neoplastic
from pyogranulomatous, bacterial and fungal infections are
not possible in many instances and further tissue sampling is
often required. Once detected and its location determined,
lesions can either be sampled via ultrasound or CTguidance.
Ultrasound can be used in most cases. CTguided tissue sampling is reserved for lesions that cannot be visualized using
sonography because they are too deep or adjacent to vital
structures and obscured by the air-filled lung. Both fine needle and tru-cut sampling devices can be guided using CT .
Cost and availability as well as user experience are important limitations of CT-guided tissue sampling.
The need for general anesthesia may prevent its use in
some patients. Intravenous contrast agent is often used to
improve contrast and visualization of masses and may be
contraindicated in some patients, although this is rare.
CONCLUSIONS
CT is the method of choice for patients with unclear radiographic or sonographic findings of the thorax. Although it
requires general anesthesia, multi-slice helical scanners suited for examination of the thorax, are rapid and anesthesia
time is short. CT is the best modality for detecting metastases and for presurgical planning when thoracotomy is indicated.
THE MEDIASINUM
Indications include:Detection of sternal, cranial mediastinal and tracheobronchial lymphadenopathy , Presur gical
planning for removal of cranial mediastinal masses,
Oesophageal masses, Determine cause of pneumomediastinum, Assess heart base tumors, Obstruction, compres-
Address for correspondence:
Lorrie Gaschen
Professor, Section of Diagnostic Imaging,
Louisiana State University, Baton Rouge, USA
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CCSM di tipo dinamico: diagnosi e trattamento
chirurgico, esperienze personali
Nicola Gasparinetti
Med Vet, Zugliano,Vicenza
La spondilomielopatia cervicale caudale (CCSM, Caudal
Cervical spondylomyelopathy) è una patologia neurologica
di frequente riscontro che colpisce quasi esclusivamente i
cani di grossa taglia e le razze giganti.
I soggetti di età adulta anziana di razza Doberman sono la
popolazione canina maggiormente rappresentata ma la patologia si riscontra anche in altre razze tra cui Rottweiler
,
Labrador R., Dalmata, Schnauzer G., Pastore Tedesco, Bovaro del Bernese etc. mentre è in genere nei primi anni di vita
che la sindrome neurologica si manifesta nei soggetti di razza gigante come Alani e Mastiff.
La patogenesi alla base della mielopatia cervicale è diversa nei due gruppi di razze sopra descritte, nella presente trattazione prenderemo in considerazione solo i soggetti a presentazione neurologica più tardiva considerando in particolare la diagnosi ed il trattamento chirurgico della spondilomielopatia cervicale caudale disco associata di tipo dinamico.
La patogenesi della CCSM, quasi sicuramente su base
multifattoriale, è ancora oggi per molti aspetti incompresa e
dibattuta, così come la naturale progressione della patologia
ed il trattamento terapeutico più appropriato che può essere
conservativo o chirurgico.
I segni clinici nei cani Doberman variano in base alla gravità, durata e grado di compressione dinamica che si instaura a livello cervicale ma dif ficilmente risultano sintomatici
prima dei 5-6 anni di età.
Spesso i proprietari non riconoscono e nemmeno sono in
grado di datare, le prime alterazioni dell’andatura che colpisce precocemente gli arti posteriori, solo in un secondo
momento se peggiora l’atassia e la paresi o insor ge dolore
cervicale il cane viene portato per una prima visita.
Dermatiti di grado variabile conseguenti a leccamento
delle estremità anteriori sono un riscontro frequente cosi
come un discreto numero di soggetti risulta ipotiroideo, la
malattia di von Willebrand risulta invece nella nostra casistica un riscontro raro.
La sintomatologia neurologica, che più frequentemente
riscontriamo, è una marcata atassia associata ad ipermetria
degli arti posteriori con ipometria di grado variabile degli
arti anteriori, ipotrofia muscolare più evidente a carico dei
muscoli della spalla, il riflesso flessorio è quasi sempre
diminuito, il dolore cervicale non è sempre presente.
In alcuni soggetti, la minoranza, si assiste ad un improvviso peggioramento dello stato neurologico con evidente
cervicalgia, tetraparesi scarsamente deambulatoria, ma raccogliendo poi l’anamnesi risulta sempre chiaro come la cronicità della patologia fosse già presente da parecchie settimane.
La diagnosi si basa sul segnalamento, anamnesi, esame
neurologico completo, confermata con appropriate tecniche
di diagnostica per immagini per escludere altre patologie
neurologiche non frequenti quali discospondiliti e neoplasie.
Negli ultimi anni la risonanza magnetica è considerata la
tecnica di diagnostica avanzata più appropriata per la diagnosi di CCSM, la mielografia e la mielo-TC sono procedure diagnostiche da riservare ad un ristretto numero di pazienti selezionati.
Le radiografie possono già evidenziare importanti alterazioni, le principali sono: gravi malformazioni vertebrali
responsabili generalmente di compressioni midollari statiche, un caratteristico rimaneggiamento del profilo cranio
ventrale della settima vertebra cervicale, collassamento dello spazio intersomatico etc. bisogna però ricordare che queste modificazioni sono a volte presenti anche in soggetti sani
o ancora asintomatici.
Il nostro attuale protocollo per un sospetto di CCSM disco
associato di tipo dinamico prevede due momenti successivi
l’indagine radiografica e la risonanza magnetica. L’esame di
risonanza magnetica prevede che il cane da esaminare venga posizionato in decubito laterale con il collo in posizione
neutrale, simil fisiologica, senza applicare alcuna trazione;
in successione vengono eseguite due sequenze sagittali e trasverse pesate in T2 e T1 e a volte una sequenza 3D, quest’ultima per una migliore valutazione dei neuroforamina e
delle radici nervose.
Se non c’è chiara evidenziazione di dinamicità il collo
viene posizionato in dorso flessione e vengono eseguite nuove acquisizioni, nei restanti casi la seconda parte dell’esame
viene svolta con il collo in trazione.
Le lesioni che si evidenziano con l’esame di risonanza
sono varie e possono coinvolgere più distretti anatomici: i
dischi intervertebrali patologici sono quasi esclusivamente i
due compresi tra la quinta e la settima vertebra cervicale e la
patologia può essere confinata ad uno spazio o comprenderli entrambi; può essere presente una protrusione discale singola o multipla o associata una estrusione molto spesso lateralizzata,ipertrofie del legamento flavum completano il quadro patologico di stenosi del canale rachidiano.
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Il trattamento chirurgico della patologia disco associata di
tipo dinamico comprende tecniche diverse di distrazione e
stabilizzazione, dopo aver ef fettuato un slot ventrale nello
spazio o negli spazi intervertebrali da stabilizzare possono
essere inseriti in alternativa a seconda della tecnica utilizzata un blocco di osso omologo sagomato, un tappo di cemento, un cage e successivamente possono essere applicati ai
corpi vertebrali placche,cemento e viti a penetrazione mono
o bi corticali.
Viene descritto in questa sede l’intervento chirur
gico
sopra ricordato mediante l’utilizzo di un cage di fusione in
uno o più spazi intervertebrali in 12 soggetti quasi esclusivamente di razza Doberman con follow up compreso da 3 a
15 mesi.
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Algoritmo diagnostico e terapeutico tramite casi clinici
delle otiti più comuni nel cane e nel gatto
Giovanni Ghibaudo
Med Vet, Samarate (Varese)
a causare otite anche in un orecchio sano; quelle secondarie
possono indurre un’otite ma solo in un orecchio già alterato.
I fattori predisponenti sono quelli che aumentano notevolmente il rischio di insorgenza di otite, mentre i fattori perpetuanti sono quelli in grado di mantenere ed alimentare l’infiammazione aggravando l’espressione clinica ed impedendone la risoluzione (Tabella 1).
OTITI
Con il termine di otite esterna si definisce un processo
infiammatorio, acuto o cronico, del condotto uditivo esterno
(CUE). Si definisce otite esterna cronica quando la sintomatologia sia presente da più di 4-5 settimane o nei casi in cui
il soggetto manifesti episodi di recidiva.
Il CUE è rivestito da cute che non dif ferisce da quella
riscontrabile nel resto della superficie cutanea dell’animale.
Nello spessore del derma si trovano numerose ghiandole
(ghiandole sebacee, presenti maggiormente nel tratto verticale, e ghiandole apocrine modificate o ghiandole ceruminose, che aumentano nel tratto orizzontale). Il cerume è il prodotto della secrezione di questi due tipi di ghiandole a cui si
associa la desquamazione dello strato corneo dell’epidermide. L’otite esterna deve quindi essere considerata un capitolo della dermatologia veterinaria e le alterazioni patologiche
frequentemente possono rappresentare una traduzione localizzata, isolata o meno, di una sottostante dermatosi.
L’otite esterna è una patologia ad eziologia multifattoriale. Secondo la classificazione eziologica vengono identificate due categorie di cause in grado di dar luogo ad un’otite
esterna: primarie e secondarie e due fattori che contribuiscono al mantenimento e al peggioramento dell’otite: predisponenti e perpetuanti. Le cause primarie sono sufficienti da soli
CASI CLINICI
Attraverso 3 casi clinici si illustrano i punti fondamentali
da identificare e prendere in considerazione dal punto di
vista diagnostico e terapeutico. Durante la relazione si spiega quando e come affrontare le procedure citologiche, colturali e otoendoscopiche. L’identificazione e la gestione delle
cause primarie dei casi illustrati permette di arrivare ad una
efficacia gestionale nel tempo.
Indirizzo per la corrispondenza:
Giovanni Ghibaudo
Clinica Veterinaria Malpensa Samarate (Varese)
E mail [email protected] - www.ghibaudo.it
TABLE 1 - Sistema PSPP
CAUSE PRIMARIE
CAUSE SECONDARIE
FATTORI PREDISPONENTI
FATTORI PERPETUANTI
Ipersensibilità
Batteri
Conformazione anatomica
Eccessiva produzione di cerume
Corpi estranei
Lieviti
Eccessiva umidità
Alterata o assente migrazione
del cerume
Parassiti
Eccesso di pulizia
Conseguenza di trattamenti
Alterazioni patologiche
progressive
Disordini della
cheratinizzazione
Reazione da farmaco
Malattie ostruttive del condotto
Otite media
Malattie metaboliche
Malattie sistemiche
Malattie autoimmuni
Malattie virali
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2011: novità e conferme nella diagnosi e terapia
della dermatite atopica canina
Giovanni Ghibaudo
Med Vet, Samarate (Varese)
prima riguarda un nuovo pannello di criteri diagnostici (vedi
tabella.1). Questi nuovi criteri di Favrot hanno una sensibilità e specificità maggiori (85% e 85%) rispetto ai quelli precedenti (49.3%, 80.2% di Willemse e 74.3%, 68.4% di Prelaud). I nuovi criteri per la DA canina possono essere utilizzati in medicina generale come ausilio per la diagnosi dai
veterinari, tenendo presente che questi criteri non sono assoluti: un caso su cinque (20%) potrebbe essere mal diagnosticato, se questi parametri venissero applicati in senso stretto!
Tuttavia, se si ef fettua un percorso diagnostico corretto
escludendo prima le ectoparassitosi, le allergie alimentari, le
allergie alle pulci e le infezioni cutanee, la specificità della
diagnosi aumenta notevolmente 3.
La seconda novità è, in realtà, una conferma: un recente
lavoro svolto in diverse importanti strutture negli Stati Uniti, Australia ed Europa ha confermato la presenza di razze
predisposte (Bichon frise, Boxer , Pastore Tedesco, West
Highland White T errier, Bull Terrier, Golden Retriever,
Labrador Retriever ecc…) e una tipica distribuzione topografica delle lesioni associate alla dermatite atopica quali, ad
esempio, le zampe (62%), il ventre (51%) (fig.2), le orecchie
(48%) (fig.3) e il viso (39%) 4.
INTRODUZIONE
La dermatite atopica canina è una malattia cutanea comune, cronica e recidivante; l’approccio diagnostico e terapeutico a questa malattia è cambiato nel tempo. Recenti studi randomizzati e controllati di elevato valore scientifico,
hanno identificato le procedure diagnostiche e terapeutiche
che con più alta probabilità possono fornire un miglioramento nella diagnosi e nella gestione della dermatite atopica nel cane.
PATOGENESI E DIAGNOSI
La dermatite atopica (DA) è una dermatite infiammatoria,
pruriginosa e aller gica, geneticamente ereditata che si
accompagna ad un quadro clinico tipico; associata ad anticorpi IgE, diretti più frequentemente verso allergeni ambientali (ma possono essere diretti anche verso allergeni alimentari). Questa è la nuova definizione che la International Task
Force sulla DA canina ha coniato negli ultimi anni 1. Gli alimenti possono essere fattori scatenanti di una DA in alcuni
soggetti ed inoltre l’aller gia alimentare può presentarsi in
molti modi inclusa la DA. Recentemente è stata identificata
una dermatite atopiforme (atopic like dermatitis), una malattia della cute di natura infiammatoria e pruriginosa con un
quadro clinico identico alla DA senza però anticorpi IgE
documentabili (test allergologici negativi) (Halliwell 2006).
Questa entità conferma che le IgE non sono necessarie per lo
sviluppo dei segni clinici di DA. La DA è da considerarsi,
quindi, una sindrome piuttosto che una malattia con diverse
patogenesi, diversi fattori scatenanti e con simile quadro clinico. Altri fattori, oltre alle IgE, che sono importanti per lo
sviluppo dell’atopia canina sono le anomalie nelle popolazioni linfocitarie (Th2/Th1), l’alterata reattività cutanea e le
alterazioni nella barriera cutanea. In modo particolare nel
cane, recenti studi sembrano confermare una patogenesi
simile a quella dell’uomo: aumento della TELW (trans epidermal water loss o perdita trans epidermica – per vaporizzazione – dell’acqua) e una diminuzione della quantità di
ceramidi che predispongono, con una esposizione cutanea
ripetuta agli allergeni, alla sensibilizzazione 2.
Due novità importanti sono da ricordare per quanto riguarda
gli strumenti diagnostici in corso di dermatite atopica. La
TERAPIA
L’International Task Force sulla dermatite atopica canina
ha pubblicato recentemente un lavoro in cui indica le linee
guida per il trattamento della malattia 5. Lavori clinici basati sull’evidenza scientifica hanno confermato l’elevata efficacia nella gestione del prurito aller gico dei glucocorticoidi
(prednisolone e metilprednisolone) e della ciclosporina per
via orale. A questi farmaci si devono associare l’allontanamento fisico dell’atopico dagli aller geni ambientali (nei rari
casi dove è possibile), la gestione delle infezioni secondarie
(batteriche e da lieviti), terapie topiche basate sull’utilizzo di
shampoo non aggressivi e idratanti cutanei. Mentre tra i farmaci che hanno mostrato un efficacia parziale sono menzionati i cortisonici topici (idrocortisone aceponato), gli inibitori della calcineurina topici (tacrolimo) gli antistaminici
(clemastina, cloramfeniramina, cetirizina), gli acidi grassi
essenziali (omega 3 e 6), la capsaicina topica, il misoprostolo, la pentossifillina ed estratti vegetali (Rhemannia glutinosa, Paeonia lactiflora e Glycyrrhiza uralensis). L’immuno-
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terapia o terapia desensibilizzante è utile in quanto si ha un
miglioramento del prurito nel 60-70% dei soggetti aller gici
(con controllo dell’efficacia dopo il primo anno di terapia).
Negli ultimi anni sono stati ef fettuati dei lavori clinici
anche con sostanze nuove promettenti tra cui l’interferone
gamma ricombinante canino 6, prodotti topici a base di ceramidi, acidi grassi essenziali e fitosfingosina. Mentre per ora
non hanno dato buoni risultati l’utilizzo di immunoterapia
per via orale e l’utilizzo di micobatteri uccisi per iniezione.
Una terapia multimodale e personalizzata per ogni singolo soggetto allergico risulta, in conclusione, essere la gestione ottimale per la dermatite atopica nel cane.
3.
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doi: 10.1111/j.1365-3164.2009.00764.x
Indirizzo per la corrispondenza:
Giovanni Ghibaudo
Clinica Veterinaria Malpensa Samarate (Varese)
E mail [email protected] - www.ghibaudo.it
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Infezioni vertebrali: solo discospondiliti?
Raffaele Gilardini
Med Vet, Voghera (PV)
Le infezioni della colonna vertebrale sono processi suppurativi, settici causati da diversi micror ganismi che raggiungono il focolaio di infezione essenzialmente attraverso
quattro vie:
- via ematogena
- da infezione contigua
- da traumi penetranti
- via iatrogena (chirurgia o iniezioni)
La muscolatura paravertebrale può essere colpita da
ascessi o da processi flemmonosi provocati da ferite penetranti (morsi, proiettili, oggetti metallici) o da corpi estranei
vegetali (spighette di graminacee o schegge di legno) o come
complicanza settica di interventi chirurgici.
Le spighette di graminacee sono un reperto frequente nei
cani da lavoro. Esse penetrano nell’albero bronchiale durante la fase inspiratoria, guadagnano successivamente il cavo
pleurico e seguendo il diaframma o attraversando il diaframma ed il peritoneo raggiungono la muscolatura sottolombare. Il processo può provocare sintomi come febbre,
leucocitosi, inappetenza oppure determinare dolore sia
muscolare che spinale e tragitti fistolosi più o meno lontani
dal focolaio di partenza. L’infezione dalla muscolatura paravertebrale può diffondere alle vertebre ed/od allo spazio discale determinando spondiliti e discospondiliti, spesso multiple. Le spighette possono raggiungere la muscolatura paravertebrale anche attraverso lo spazio retroperitoneale dopo
una penetrazione percutanea nella regione del fianco, inguinale e perineale.
Nonostante l’applicazione di mezzi diagnostici come l’ecografia, la tomografia computerizzata e la risonanza
magnetica, la ricerca chirurgica dei corpi estranei rappresenta una sfida e spesso una sconfitta.
Le discospondiliti sono sicuramente la manifestazione
più comune delle infezioni della colonna vertebrale, sono
definite come infezioni del disco intervertebrale e delle vertebre contigue. La via ematogena viene considerata la più
comune ma, oltre alla batteriemia, per lo sviluppo di una
infezione vertebrale o discale, devono associarsi, probabilmente, altri fattori quali traumi maggiori o microtraumi
(endogeni) o stati di immunodeficienza. I cani di taglia
media e grande di ogni età sono i più colpiti, ma numerose
segnalazioni indicano che anche cani di piccola taglia ed i
gatti possono essere affetti da discospondiliti. Tutta la colonna vertebrale può essere colpita da uno o più focolai di dis-
Figura 1 - Discospondilite dello spazio L1-L2.
cospondilite, il tratto toraco-lombare ed in particolare lo spazio L7-S1 sono però quelli coinvolti con maggiore frequenza. Il dolore spinale è il sintomo più costante oltre alla diminuzione di appetito, la perdita di peso, il decadimento dell’aspetto generale e la riluttanza al movimento. L’ipertermia
è spesso presente ma non costante. L ’esame radiografico
tipicamente evidenzia il collasso dello spazio intersomatico,
la sclerosi e la lisi delle placche terminali vertebrali oltre ai
fenomeni proliferativi ossei vertebrali.
La diagnosi di discospondilite si basa sull’anamnesi, la
presenza di segni clinici e di segni radiografici.
A volte i segni clinici possono precedere di alcune settimane i segni radiografici ed esami come la scintigrafia
ossea, l’esame TC o la Risonanza Magnetica possono evidenziare l’interessamento iniziale dell’osso o dello spazio
discale. La Tomografia Computerizzata e la Risonanza
magnetica sono utili per valutare eventuali compressioni sulle strutture nervose da parte del processo infiammatorio e
l’estensione del processo ai tessuti molli. L’esame colturale
di sangue ed urine dovrebbe essere routinario nei soggetti
con discospondilite, oltre all’esame colturale di materiale
prelevato dallo spazio discale colpito, al fine di individuare
il germe responsabile e l’antibiotico ideale. Nella realtà solo
metà circa delle emocolture od urocolture sono positive.
L’osteomielite ematogena vertebrale è una entità patologica rara, sempre di natura infettiva, ma con caratteri diver-
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si rispetto alla discospondilite. Il processo, infatti, se di origine ematogena, inizia a livello della fisi caudale del corpo
vertebrale e tende a manifestarsi prevalentemente negli animali giovani nei primi due anni di età. La localizzazione del
processo a livello fisario, o meglio metafisario, è giustificata negli animali giovani dalla fitta rete capillare con anse
strette che comportano rallentamenti del flusso ematico e
tendenza da parte dei micror ganismi ad arrestarsi in queste
zone. Le vertebre lombari sono le più frequentemente colpite e l’esame radiografico evidenzia una perdita di definizione nella zona di passaggio tra metafisi ed epifisi seguita da
sclerosi dell’osso spongioso, lisi ossea e collasso della zona
fisaria accompagnato spesso da un conseguente rimodellamento dell’aspetto ventro-caudale della vertebra stessa. Le
spondiliti, originano più frequentemente, da corpi estranei
vegetali migranti, con le stesse modalità espresse per le discospondiliti.
Gli empiemi epidurali o ascessi epidurali sono processi
infiammatori settici, poco comuni, dello spazio epidurale del
canale vertebrale. L’infezione può raggiungere lo spazio epidurale per dif fusione ematogena dei micror ganismi o per
estensione di un processo settico contiguo. Nell’uomo sono
riportati casi generati da dif fusione ematogena, da processi
di osteomielite o discite contigui e casi secondari a chirurgia
spinale o a posizionamento di cateteri utilizzati per l’anestesia epidurale. Sempre nell’uomo la diagnosi si basa su una
triade sintomatologica costituita da febbre, dolore spinale e
rapido peggioramento neurologico con deficit che risultano
permanenti nel 41-47% dei casi e con mortalità del 16%.
Similmente, nei nostri animali, si assiste ad un processo settico nel canale vertebrale con accumulo di materiale raccolto in formazioni ascessuali o dif fusamente esteso lungo il
canale e tale da determinare oltre alla febbre ed al dolore spinale, anche deficit neurologici, spesso rapidamente progressivi e gravi quali paresi, paralisi con possibile associazione
di disfunzioni vescicali.
Gli empiemi rappresentano, a nostro parere, delle emergenze chirurgiche sia per l’andamento rapidamente progressivo, sia per la prognosi che è decisamente peggiore, nei casi
non trattati in modo rapido e aggressivo.
Gli agenti patogeni isolati in generale nei focolai di infezione spinali sono molti. Le forme batteriche più frequenti
sono rappresentate da Staphilococcus intermedius e S.
aureus oltre a Brucella canis, Streptococcus spp, Escherichia
coli, Pasteurella multocida, Actinomyces viscosus, Nocardia
spp, Mycobacterium avium, Proteus spp, Corynebacterium
spp, Erysipelothrix rhusiopatiae ecc. In generale le forme
micotiche sono più rare rispetto alle forme batteriche e
Aspergillus spp è la forma micotica più comune, mentre altri
miceti Paecilomyces varioti, Mucor spp e Fusarium spp.
sono meno frequenti.
La terapia antibiotica delle infezioni spinali in generale, si
basa sul risultato degli esami colturali e dell’antibiogramma
od in mancanza di questo viene attuata solitamente con
Cefalosporine di prima generazione (Cefalessina), con eventuale associazione di antibiotici attivi sui batteri anaerobi nei
Figura 2 - Empiema epidurale del tratto toracico in risonanza magnetica.
casi di mancata risposta clinica al trattamento. Il trattamento antibiotico nelle discospondiliti e nelle spondiliti deve
essere protratto per almeno 8 settimane (ma spesso si arriva
a decine di settimane) ed associato ad antidolorifici e riposo
assoluto.
La prognosi delle discospondiliti è generalmente buona
fatta eccezione per i casi avanzati in cui sono presenti segni
neurologici gravi o nei casi in cui si rileva resistenza dei batteri alle terapie antibiotiche.
La prognosi degli empiemi epidurali è riservata e probabilmente migliore nei casi trattati con chirur gia oltre a terapia antibiotica mirata.
L’itraconazolo è il farmaco usato comunemente nei casi di
Aspergillosi con prognosi che rimane comunque infausta nei
casi in cui la localizzazione è dif fusa a più sedi.
Alcuni parassiti come Spirocerca lupi, Angiostrongylus
vasorum, Neospora caninum, nel cane e Toxoplasmosi nel
gatto sono stati segnalati in letteratura a livello spinale come
causa di processi infiammatori caratterizzati da dolore e
segni neurologici.
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“Giocando s’impara!”
Il gioco: funzioni cognitive e terapeutiche
Sabrina Giussani
Med Vet Comportamentalista, Dipl ENVF, Busto Arsizio (VA)
rizzato da funzioni logiche, dalle memorie, dalle emozioni,
dall’arousal, dalle rappresentazioni, dalle metacognizioni e
così via) che poteva essere associato alle motivazioni
descritte dagli etologi. Appare, così, il concetto di mente
come struttura di or ganizzazione dei processi cognitivi: la
visione mentalistica prende corpo da un insieme di fattori
non strettamente connessi a performance riferibili alle cosiddette funzioni intellettive superiori (come ad esempio la
coscienza) ma anche ai processi più elementari di esperienza e apprendimento (R. Marchesini).
INTRODUZIONE
Per tutta la prima metà del Novecento, il concetto di black
box è rimasto una sorta di tabù inviolabile. L ’antropocentrismo in vigore a quell’epoca, imponeva di porre un confine
ben definito tra l’uomo e l’eterospecifico: l’animale era considerato un automa mosso da pulsioni ( interpretazione psicoenergetica, K. Lorenz) o da condizionamenti ( interpretazione associazionista, B. Skinner), privo di un mondo interno capace di assegnare all’individuo una soggettività. L ’approccio cognitivo non riguarda le prestazioni di alto profilo,
non è un discorso sulla coscienza del cane ma investe il normale modo di af frontare un problema o un’esperienza di
apprendimento da parte del cane ( R. Marchesini). Il cane è
portatore di una cognitività dif ferente dalla nostra: non solo
monitora il mondo attraverso dotazioni sensoriali specifiche
non omologate sull’uomo ma elabora anche le proprie esperienze attraverso intelligenze altrettanto specifiche. Il cane è
un animale sociale e tale carattere spicca su tutti gli altri al
punto tale che da sempre l’uomo, quando ha voluto tratteggiare la fedeltà e l’immedesimazione nel gruppo, ha utilizzato il codice lupo – cane ( R. Marchesini).
L’APPROCCIO COGNITIVO: IL MODELLO
NEUROBIOLOGICO - COGNITIVO
La rivoluzione informatica, che si è sviluppata nel corso
degli anni 60, ha cambiato profondamente il modo di affrontare il tema dell’apprendimento. Compaiono i concetti di
pacchetti di informazione (i programmi dei computer) acquisiti nei processi di apprendimento e di attività di elaborazione dei dati in ingresso (elaborazione). L’individuo quando apprende, non è passivo di fronte agli stimoli, ma ricerca attivamente ciò che può essere funzionale ai propri bisogni ( R. Marchesini). Secondo l’approccio cognitivo, l’apprendimento utilizza e dà luogo a rappresentazioni cioè a
schemi (set neurali) che processano gli imput secondo
modalità preferenziali e precise. Inoltre, tali schemi sono
in grado di essere modificati e reimpostati dal processo di
apprendimento stesso.
L’apprendimento, quindi, non produce automatismi ma
arricchisce il sistema dotandolo di nuovi strumenti di conoscenza vale a dire allar gando il suo possibile fronte esperienziale ( piano prossimale di esperienza). Per la scuola
cognitiva si deve parlare di una vera e propria costruzione
dell’esperienza in funzione degli obiettivi conoscitivi del
soggetto (R. Marchesini): ciò che il soggetto mette in atto in
un momento particolare si definisce azione cognitiva caratterizzata da una componente elaborativa (operazioni cognitive o funzioni logiche, rappresentazioni e metacomponenti)
e una componente posizionale (motivazioni, emozioni e
arousal). L ’approccio mentalistico considera il comportamento come la manifestazione della condizione della mente
nel qui e ora: i comportamenti non sono entità separate o
separabili ma l’espressione del sistema.
IL CANE HA UNA MENTE?
Dagli anni 40, la spiegazione associazionista del processo di apprendimento sembrava presentare le prime difficoltà
d’interpretazione. Tolman, grazie all’ipotesi dell’apprendimento latente, riuscì a dimostrare come fosse possibile realizzare un processo di apprendimento al di fuori dei rigidi
principi associativi. Negli anni 60 cominciò a prendere piede l’idea che il comportamento fosse l’espressione di un
complesso mondo interno, che deve essere conosciuto per
individuare dei protocolli di apprendimento. Le interpretazioni pulsionali e associazioniste non solo non erano in grado di spiegare la multifattorialità del comportamento ma si
dimostravano anche carenti nell’interpretazione delle dinamiche della complessità che dagli anni 70 la scienza ha riconosciuto anche ai sistemi abiotici (per esempio un uragano)
e che non possono essere disattese nell’esplicazione di ciò
che si manifesta come l’acme della complessità, il cervello
(R. Marchesini). A partire da quegli anni, gli studiosi iniziarono ad ammettere l’esistenza di un mondo interno (caratte-
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canidi, dal coyote al lupo alla volpe fino alle razze domestiche di cane scomponendo l’etogramma in singoli moduli: la
coda appena sollevata, le orecchie tese e così via. Quando
l’Autore deve sintetizzare la propria visione del problema,
ricorre a una definizione al negativo: “ mentre siamo tutti
capaci di riconoscere un gioco, la difficoltà di definire questo comportamento si rivela nel fatto che molti etologi sono
tentati di descrivere cosa non è - non è un atto aggressivo,
predatorio o riproduttivo - piuttosto che cosa è (M. Bekoff &
C. Allen (2002) The Evolution of Social Play: Interdisciplinary Analyses of Cognitive Processes). Inoltre, se chi gioca
lo fa consapevolmente oppure no ( Bekoff & Allen, 1998), è
ancora una questione aperta, che richiederebbe “
semmai
un’applicazione limitata della teoria della mente in un
dominio molto specifico” ( Bekoff & Allen, 2002). Il gioco
appare come un comportamento complesso, non scatenato
da uno stimolo, solitario o sociale, specie-specifico, a volte
sessualmente dimorfico, che si modifica con l’età: il gioco
tra adulti presenta modi e significati diversi del gioco tra
cuccioli. Il gioco è un insieme di moduli comportamentali
(aggressivi, sessuali, di fuga, predazione, comunicazione,
alimentazione, di toeletta) spesso eseguiti con tempi accelerati o rallentati, ripetuti e accentuati fino a diventare paradossali, ma sempre mostrati al di fuori del loro contesto
usuale. “I giochi imitano attività serie della vita senza raggiungere scopi seri …ma il loro scopo serio non potrebbe
consistere proprio nel giocare?” (E.O.Wilson (1975) Sociobiology. The New Synthesi). Perché e come il comportamento di gioco è evoluto e si è mantenuto in specie così diverse
per selezione naturale, è una domanda attuale ( Spinka et al.
(2002) Training for the unexpected) poiché è un comportamento non solo costoso in termini ener
getici ma anche
rischioso (predazione, danni fisici per i suoi schemi motori
atipici e improvvisati.) Robert Fagen (1974, 1981), confrontando le ricerche sul gioco in molti gruppi animali, ha evidenziato che esistono due orientamenti diver genti: da una
parte i funzionalisti, che inquadrano il gioco tra i comportamenti che sviluppano e perfezionano in età precoce le future risposte adattative all’ambiente fisico e sociale della specie, dall’altra gli strutturalisti, alla ricerca di criteri generali
fino a moduli e componenti minime comuni a gruppi animali e contesti differenti. “Il gioco è qualunque attività che sia
esagerata o bizzarra o divertente, con nuovi moduli motori
e nuove combinazioni di tali moduli, e che appaia all’osservatore priva di qualunque funzione” (C. Loizos (1967) Play
in higher primates: a review).
L’IDENTITÀ DEL CANE
Molto spesso si tende a considerare l’approccio cognitivo
come una semplice aggiunta all’approccio tradizionale
(istintivo o condizionato) e riferito a particolari performance
complesse dell’animale come risolvere i problemi, analizzare una situazione, costruire degli strumenti e così via (
R.
Marchesini). Così facendo, la cognitività animale tende a
essere vista come un’approssimazione a quella umana mentre il cane possiede una cognitività differente dalla nostra. Il
cane è un animale sociale e tale carattere spicca su tutti gli
altri: essere fortemente portato alle relazioni di gruppo significa molto più della semplice af fermazione che il cane ama
stare in compagnia. La socialità del cane è la sua dimensione di vita: essere un animale sociale e socio – riferito significa prima di tutto costruire dei rapporti molto stretti e delle
assonanze, vale a dire che il cane cerca continuamente delle
concertazioni e lì definisce il proprio posizionamento. La
socio - referenza del cane lo porta a interessarsi al gruppo: il
cane è interessato a tutto ciò che facciamo, non ci perde
d’occhio, capta ogni variazione del nostro umore o nel
nostro stile di vita, conosce le nostre abitudini e i nostri gesti
(R. Marchesini). Se paragoniamo il modo di porsi di fronte
ad un problema del cane e del gatto è possibile evidenziare
un’importante differenza di approccio. Il cane cerca prioritariamente il milieu collaborativo, ragiona sulla base di rapporti tra soggetti in riferimento alle possibili dimensioni di
relazione sociali. È concentrato cognitivamente sulla concertazione e non sulla soluzione: per prima cosa, guarda il
proprio partner poiché è un virtuoso delle relazioni sociali
portato a ragionare in termini di rapporti intersoggettivi.
Quando ci riferiamo al cane parleremo, quindi, di intelligenza sociale (R. Marchesini).
CUCCIOLI, GIOCANDO S’IMPARA
“Che cos’è il gioco? Nessun concetto comportamentale si
è rivelato peggio definito, più elusivo, più controverso e persino più antiquato. Sappiamo intuitivamente che il gioco è
un insieme di attività piacevoli, di natura spesso ma non
solo sociale, che imitano attività serie della vita senza raggiungere scopi seri” (E.O.Wilson (1975) Sociobiology. The
New Synthesis). A metà degli anni Settanta, la difficoltà del
biologo evoluzionista Edward O. Wilson nel mettere a punto una definizione univoca del gioco, è indice di un’oggettiva osticità a inserirlo tra le molte componenti del repertorio
comportamentale di una specie. In una prospettiva darwiniana, il primo approccio al problema è quello funzionale: perché il gioco si è evoluto? Quale è il suo valore adattativo?
Giocare assicura dei vantaggi in termini di sopravvivenza e
successo riproduttivo? Ma prima di tutto, cos’è il gioco? ( L.
Beani). Per formulare ipotesi e portare a termine esperimenti sul significato di un comportamento, è necessario dapprima definirlo in termini qualitativi e quantitativi, inserirlo in
un etogramma, osservarne le modificazioni durante lo sviluppo di un or ganismo e confrontare specie diverse. I bambini giocano, e così anche altri primati … ma tutti i cuccioli
giocano? Mark Bekoff ha studiato le sequenze di gioco nei
GIOCHI DI MOVIMENTO,
GIOCHI CON OGGETTI E GIOCHI SOCIALI
I giochi di movimento sono eseguiti da singoli individui,
anche se, a volte, sono realizzati simultaneamente da più
soggetti. Sono forme esagerate e ripetitive di normali movimenti locomotori-rotazionali, effettuati in assenza di prede,
predatori, parassiti e anche di cospecifici” (Fagen, 1981).
Il valore adattativo del gioco di movimento consiste nello
sviluppare l’apparato muscolare e cardio-polmonare, nel
favorire i processi di maturazione degli organi di senso e del
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sistema nervoso centrale (soprattutto il cervelletto, deputato al coordinamento motorio), nell’affinare la propriocezione, nell’acquisire la padronanza del proprio corpo e del
mondo esterno in movimento ( Martin & Caro, 1985). In
questa prospettiva funzionale, il gioco assicura benefici
immediati: facilita gli spostamenti nell’ambiente, il reperimento del cibo, la fuga dai predatori, le interazioni con i
cospecifici. “ Quando giovani ibex della Siberia (Capra
ibex) in cattività scelgono con ostinazione come terreni di
gioco i punti più scoscesi e impraticabili del recinto, non
stanno “cercando guai”, ma si allenano per futuri percorsi
di montagna” (Byers, 1998). Secondo l’ipotesi del surplus
energetico ( Burghardt, 1984), le corse dei cuccioli, dagli
ungulati ai pulcini di razze domestiche, sarebbero direttamente influenzate da vincoli energetici: giocano molto cuccioli ben nutriti e protetti dalle cure parentali. Il ruolo del
gioco come regolatore metabolico è oggi ancora in discussione ( Nunes et al., 2004), mentre la maggior parte degli
Autori concorda sul training fisico legato all’attività stessa.
Apparentemente in molti mammiferi i maschi sono più
coinvolti delle femmine nei giochi di movimento, solitari e
di gruppo. “Se questo serva per allenamento, per migliorare l’abilità a competere tra rivali, o per una combinazione
dei due, è difficile dirlo” (Caro, 1988). Numerosi esempi di
giochi di movimento sono of ferti dai bambini, addirittura
prima che comincino a camminare: “ il proprio corpo è il
primo oggetto di cui il bambino dispone per non annoiarsi”
(Emma Baumgarten, 2002).
“Giocare significa muovere il corpo e manipolare un
oggetto noto, muoversi in un ambiente noto in una maniera
nuova. Esplorare significa apprendere riguardo a un nuovo
oggetto o un ambiente estraneo. L’esplorazione finisce, e il
gioco comincia, quando il cucciolo o il bambino smette di
chiedersi Cos’è questo oggetto? Per domandarsi Cosa ci
posso fare con questo oggetto? (Hutt (1979) Exploration
and Play). Le specie che mostrano nel repertorio comportamentale naturale la manipolazione fine degli oggetti, per
esempio perché si nutrono di alimenti protetti da un guscio
(molti primati, il procione, la lontra, i corvidi, i rapaci e i
pappagalli), fin da cuccioli sono predisposti a giocare con
oggetti. Osservando in natura i cuccioli intenti a giocare con
oggetti che trovano nell’ambiente si supporta l’approccio
funzionalista: “ nell’uomo e in altri primati il gioco con
oggetti ha condotto all’invenzione di nuovi metodi di sfruttamento dell’ambiente” (Wilson, 1975). Grandi inventori di
tecniche che si diffondono poi nella popolazione, la maggior
parte delle volte dai sub adulti agli adulti, sono gli scimpanzé del Gombe Stream Reserve, osservati per tanti anni da
Jane Goodall: “ è facile osservare giovani scimpanzé che
punzecchiano il terreno con un bastoncino per gioco, finché
per caso non catturano un insetto. Questo rappresenta un
rinforzo a perfezionare la tecnica. La famosa pesca delle
termiti potrebbe essere nata un giorno per gioco” (Jane van
Lawick-Goodall (1968) The behaviour of free-living chimpanzees in the Gombe Stream Reserve). Anche gli uccelli
giocano con oggetti e mostrano giochi di movimento ( Ortega & Bekoff, 1987), nonostante diventino adulti prima dei
mammiferi e quindi abbiano meno tempo da dedicare al gioco e all’apprendimento in genere. “ Poiché gli uccelli, a dif-
ferenza dei mammiferi, hanno la vista molto sviluppata e
conducono vita aerea il gioco con oggetti e le acrobazie
aeree sono comuni, mentre è più raro il gioco sociale. Rapaci, corvidi e certi pappagalli, i campioni di gioco tra gli
uccelli, giocano come i primati e i carnivori” (R. Fagen
(1981) Animal Play Behaviour). Nelle specie sociali il gioco
con gli oggetti si complica: una pigna con dentro qualcosa
che fa rumore, un sasso che rotola o un bastone, possono
diventare un elemento aggregante per esempio in un gruppo
di scimpanzé subadulti. “ Durante un inseguimento o una
lotta per finta, un giovane scimpanzé trascinava un ramoscello ricco di foglie o frutti e il fratello più piccolo cercava
di sottrargli il giocattolo. Ogni volta che il piccolo stava per
afferrare la fronda, l’altro, voltandosi appena, abilmente
gliela sottraeva. Un giocattolo era un frutto rotondo dal
guscio duro, e i compagni di gioco cercavano di portarselo
via” (J. van Lawick Goodall (1968) The behaviour of freeliving chimpanzees in the Gombe Stream Reserve). Se la primatologa Jane Goodall insiste sul termine giocattolo, è perché la scena si ripete identica quando i bambini si aggregano intorno a un aquilone, un’automobilina, una bambola o
qualcosa comunque da cullare ( L. Beani). Questo tratto sessualmente dimorfico nella scelta dei giocattoli si ritrova
anche in piccoli di macaca rhesus (
Alexander & Hines,
2002). Con gli oggetti-simbolo entriamo nell’ambiguo spazio della cognizione animale: il gattino è consapevole di stare inseguendo una falsa preda, quando lo attiriamo dietro a
un gomitolo? Probabilmente no. Ma questa coscienza dell’oggetto-simbolo quando entra davvero nei giochi dei bambini? Le nostre regole del gioco sono poi così diverse? ( L.
Beani) “Nel gioco il pensiero è separato dagli oggetti e l’azione nasce dalle idee più che dalle cose: un pezzo di legno
comincia ad essere una bambola e un bastone diventa un
cavallo” (L. VygotsKij (1966) Play and its role in the mental
development of the child).
Secondo J. Piaget il gioco con regole convenzionali e prestabilite è di natura competitiva, compare in età scolare ed è
molto evoluto, mentre il gioco di fantasia (“ facciamo finta
che…”) rinvia a un codice e a ruoli più flessibili. Ma tra cuccioli che giocano insieme, esistono regole? ( L. Beani) La
corsa dei giovani cervi descritta da Fraser Darling non sembra frutto del caso, ma fa capo a una semplice regola, occupare la sommità di una collina: “ il gioco del King–of–theCastle comincia quando un cerbiatto scala la collinetta e si
solleva sugli arti posteriori. Questo sembra servire da invito, perché subito altri giovani cervi si staccano dalla madre
e si mettono a correre verso la collinetta, che era logorata
dalle impronte di molti piccoli piedi: era diventata un tradizionale luogo di gioco. Quando dico tradizionale, intendo
che l’associazione della collinetta al precedente divertimento possa influenzare il comportamento degli animali verso
una ripetizione dell’esperienza quando passano vicino a
quel luogo. Ma ho visto cerbiatti arrivare da una distanza di
oltre 50 m alla loro collinetta per cominciare a giocare!” (F.
Darling (1937) A herd of red deer). Giochi sociali con regole molto simili – Segui il capo, King-of-the-castle -, sono
descritti tra i giovani gorilla da George Schaller (1965) e
Dian Fossey (1972) e tra cuccioli di scimpanzé da J. Goodall (1968). Un’altra forma di gioco sociale è la finta lotta,
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in cui i contendenti non riportano danni, i ruoli sono alterni,
invertiti (il più forte perde) se le forze in gioco sono asimmetriche. “La scena inizia con un reciproco sollecitarsi a un
gioco aggressivo, e l’invito consiste nell’uso esagerato, e un
poco rallentato, delle posture di minaccia. Padre e figlio
scherzosamente si provocano, ma è soprattutto il figlio, più
piccolo e decisamente immaturo, che insiste: stuzzica con il
naso una parte del corpo del padre, oppure stira il collo verso l’alto, levando il muso al cielo. Sono inviti alla lotta,
segnali di dominanza. Il padre accetta il gioco e sapete che
fa? Assume il ruolo del più debole. Scrive Walther nel suo
rendiconto: si auto-handicappa. L’azione si movimenta
includendo brevi fughe del padre inseguito dal cucciolo, e
ogni fuga termina con la tipica lotta di spinte, collo contro
collo dei giraffidi. Una lotta di spinte dove la forza, la mole
contano. Ma sapete chi vince sempre? Il giovane!” (D. Mainardi (1988) L’etologia caso per caso). La lotta sopra
descritta è “per finta”: infatti, è seguita da un comportamento coesivo, la reciproca toelettatura. Anche il self-handicapping del gioco sociale, il forte che si fa debole, è un modulo
ricorrente nello scambio dei ruoli (Bekoff & Allen, 1998). La
metacomunicazione, la comunicazione sulla comunicazione
(Bateson, 1955), è un segnale che qualifica diversamente un
altro segnale: nella sequenza descritta l’invito al gioc o, la
sfida asimmetrica del giovane, è un metasegnale.
Anche
Charles Darwin si era occupato di questo ar gomento, senza
usare questo termine: “ il mio cane, quando per gioco mi
afferra la mano con i denti ringhiando, se morde e io gli dico
Piano, piano! continua a mordermi, ma scodinzolando e
accucciandosi sulle zampe anteriori sembra dirmi Non
preoccuparti, è tutto un gioco!” ( C. Darwin (1872) The
expression of the emotions in men and animals). Il metasegnale che nei canidi di tutte l’età precede l’avvicinamento e
il gioco si chiama “ play-bow” (Bekoff, 1972), letteralmente
“gioco-arco”, quella postura con zampe anteriori allungate
in avanti, schiena inarcata e zampe posteriori tese, con cui i
cani invitano a giocare. È un metasegnale anche“l’esibizione
rilassata a bocca aperta” di Macaca fascicularis, che per il
primatologo Van Hooff svolge lo stesso ruolo di un sorriso.
Anzi, esisterebbe una filogenesi del sorriso, che ci porta a
condividere con tanti altri primati questo segnale ludico e di
nuovo ripropone per il gioco il problema dell’intenzionalità
(L. Beani).
diverso significa attribuire all’animale una cittadinanza,
riconoscergli cioè un ruolo e uno statuto nella relazione con
l’uomo non sulla base del concetto di uguaglianza ma su
quello di alterità ( R. Marchesini). Secondo l’approccio
zooantropologico, la relazione si dif ferenzia dalla semplice
interazione. La relazione è data dall’incontro/ confronto tra
due soggetti basata su processi di interscambio, capace di
costruire un legame, che determina delle modificazioni nello stato dei due partner . L’animale è accreditato come controparte sociale, come interlocutore, come soggetto, come
diverso. L’animale partecipa alle situazioni relazionali poiché è in grado di assumere un ruolo e di comunicare nuovi
contenuti: il cane non deve essere trasformato in un oggetto
o in una macchina (reificazione) e non deve essere letto
attraverso una proiezione dell’uomo (antropomorfizzazione). Da questo discende l’idea che la relazione con l’animale non può essere considerata intuitiva, ovvero raggiungibile attraverso un semplice processo proiettivo. La relazione
va costruita con pazienza, umiltà, voglia di conoscere, capacità di mettersi sotto critica, disposizione all’ascolto e all’osservazione ( R. Marchesini). Uomo e animale si incontrano
“su specifiche frequenze” chiamate dimensioni di relazione.
Tra queste è possibile evidenziare:
• La dimensione affettiva (è caratterizzata da un interscambio di af fettuosità, dalla valenza di protezione e di sicurezza, dal sentirsi accreditati e riconosciuti);
• La dimensione ludica (è caratterizzata da una cornice di
interscambio basata sul gioco, sulla finzione, sulla fluidità dei ruoli, sul divertimento, sulla distrazione);.
• La dimensione epistemica (è caratterizzata dalla priorità
delle direttrici di conoscenza, per la presenza d’interesse,
di attenzione, riflessione, interscambio di sapere);
• La dimensione sociale (riguarda il piacere di condividere,
di non essere solo e di sentirsi aiutato, di costruire una
performance in coppia, dalla capacità di agire in modo
sincrono e di collaborare)
L’area ludica è caratterizzata da una cornice di interscambio basata sul gioco, sulla finzione, sulla fluidità dei ruoli,
sul divertimento, sulla distrazione, sulla conoscenza a basso
regime di impegno. L ’area ludica ( R. Marchesini). si dif ferenzia a sua volta nelle dimensioni:
• Ludico performativa (caratterizzata dal gioco cinestesico,
dall’alto livello di fisicità e di attivazione emozionale,
dalla forte componente motivazionale);
• Ludico cognitiva (caratterizzata dal gioco di finzione, dalla mobilità dei ruoli, dalla prevalenza dell’atto mentale e
con bassa arousal);
• Ludico comica (basata sul divertimento, sulla sollecitazione dell’area comica del soggetto, sul buon umore e sulla distrazione, sul piacere di ridere).
Una delle dimensioni di base della relazione uomo – animale è quella af fettiva: l’interscambio è basato sulla protezione, sulla rassicurazione, sull’of ferta/ richiesta di aiuto,
sulla condivisione emozionale. L’area affettiva mostra differenze d’espressione che variano secondo il ruolo assunto dal
fruitore: epimeletico (of fre protezione, cura, sicurezza, alimento), et – epimeletico (chiede protezione, conferme, sicurezza, alimento). Il partner umano mostra un comportamento protettivo nei confronti dell’animale assumendo il ruolo
LA RELAZIONE, LA DIMENSIONE LUDICA
Alla base della convivenza con il cane e il gatto si pone la
creazione di una corretta relazione fondata sul pieno riconoscimento delle rispettive diversità. La figura del Medico
Veterinario è fondamentale in questo processo. La consapevolezza di appartenere a specie diverse comporta la conoscenza delle necessità dei nostri compagni. Il cibo, l’acqua e
un riparo sono considerati fabbisogni fisiologici, primari per
tutti gli esseri viventi. Gli animali possiedono anche fabbisogni di sicurezza e comportamentali poiché il cane e il gatto sono soggetti dotati di una mente, con attitudini ed emozioni capaci di costruire la propria esperienza nel mondo.
Riconoscere un’identità sulla base del concetto simile/
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del genitore e mostra l’atteggiamento tipico dell’accudimento parentale. L ’obiettivo della relazione è il bilanciamento
delle diverse componenti (equilibrio della relazione).
Le funzioni del gioco
Secondo R. Marchesini, il gioco è un processo di apprendimento messo in atto attraverso moduli comportamentali
fuori contesto senza un fine preciso. È un’espressione esagerata, in libertà, di alcuni comportamenti come per esempio
l’abbaio e la corsa. I cani giocano per apprendere, per divertirsi (è un comportamento autogratificante), per raf forzare i
legami sociali, per competere. È opportuno evidenziare che
le attitudini di razza influenzano il modo in cui il cane gioca
così come l’età, le esperienze precedenti e la personalità dell’individuo. Il gioco, nel cane e nel gatto, possiede funzioni
cognitive, sociali e educative - terapeutiche:
• Funzione cognitiva: stimola l’esplorazione e la curiosità,
favorisce lo sviluppo psicomotorio, aumenta la consapevolezza del proprio corpo, favorisce l’accreditamento;
• Funzione sociale: rafforza la relazione di coppia, migliora la comunicazione, sviluppa le capacità di collaborazione, aiuta a prevedere le intenzioni di chi si ha di fronte;
• Funzione educativa e terapeutica: disciplina le motivazioni, rafforza le emozioni positive, stabilizza l’arousal.
Attraverso il comportamento di gioco è possibile:
• Esercitare l’esplorazione
- il corpo del cane (informazioni sul proprio corpo e
imparare a concentrasi/ attendere);
- il corpo del partner umano (favorire la pro socialità);
- l’ambiente (informazioni sull’ambiente e imparare a
concentrarsi/ attendere; imparare a scovare/ cercare
modellando la difesa e il possesso).
• Esercitare la collaboratività (acquisire un risultato e imparare a delegare le responsabilità; imparare ad attendere).
Il partner umano, spesso, suddivide le attività ef fettuate
con il cane in gioco e lavoro: le dif ferenze sono attribuite
dall’essere umano al lavoro considerato come un sacrificio,
serio e faticoso. Il gioco invece è divertimento, uno sfogo
senza regole e privo di controllo. È opportuno evidenziare
che il gioco è un’attività, con regole stabilite dalla coppia.
Per giocare, inoltre, è necessario sapere “a che gioco stiamo
giocando”: numerose incomprensioni nascono poiché il
partner umano pensa di fare una cosa mentre il cane una differente. Per giocare è necessario essere in due! Per quanto
riguarda la funzione educativa e terapeutica del gioco, le
attività proposte devono essere stabilite in base all’assenza/
presenza di una malattia del comportamento (e quindi all’o-
biettivo terapeutico), all’età del cane, alle capacità fisiche
del cane e del partner umano, alle “preferenze” della coppia.
È opportuno ricordare che i giochi di lancio ripetuto (palla,
bastone) aumentano il volume della motivazione predatoria
favorendo il comportamento di inseguimento rivolto a qualsiasi essere vivente/ oggetto in movimento. Il gioco del tira
e molla, realizzato come una competizione tra il partner
umano e il cane, aumenta il volume della motivazione possessiva ed eleva l’arousal mentre la sequenza ripetuta più
volte “seduto, terra, resta” può indurre fissità comportamentale. È possibile arricchire le conoscenze del partner umano
e del cane proponendo e mostrando nuove attività ludiche:
• I giochi di naso: ricerca olfattiva semplice, seguire una
traccia olfattiva (controllo dell’arousal, concentrazione),
trovare un oggetto (stimolare la memoria esplorativa,
cooperazione, concentrazione), discriminare un odore;
• La Mobility Dog modificata: barriere a terra (migliorano
le capacità sensorio - motorie, percezione del sé nello spazio, gestione del treno posteriore, il corpo come palestra
(esercizio sulla prosocialità), il problem solving (apprendimento per comprensione, andare oltre i modelli solutori
a disposizione).
BIBLIOGRAFIA
L. Beani, 2007, in: Infanzia e Memoria (a cura di M.Bresciani), Olschki, pp
135-147.
R. Campan, F. Scapini, 2005, Etologia, Zanichelli, Bologna.
K. Immelman, 1998, Introduzione all’etologia, Bollati Boringhieri, Torino.
D. Mainardi, 1992, Dizionario di Etologia, Einaudi, Torino.
A. Manning, M. S. Dawkins, 2003, Il comportamento animale, Bollati
Boringhieri Torino.
R. Marchesini, 2004, L ’identità del cane, Apeiron editoria e comunicazione, Bologna.
R. Marchesini, 2004, Canone di zooantropologia applicata, Apèiron Editoria e Comunicazione S. r. l., Bologna.
R. Marchesini, 2005, Fondamenti di zooantropologia, Alberto Perdisa Editore, Bologna.
R. Marchesini, 2007, Pedagogia cinofila - introduzione all’approccio
zooantropologico -, Alberto Perdisa Editore, Bologna.
R. Marchesini, 2008, Intelligenze plurime, manuale di scienze cognitive
animali, Alberto Perdisa Editore, Bologna.
Indirizzo per la corrispondenza:
Sabrina Giussani
E-mail: [email protected] - Cell. 3331861226
www.veterinariocomportamentalista.it
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Check skin you have 15 minutes
and ruling out fleas, the us experience
Craig E. Griffin
DVM, Dipl ACVD, California (USA)
Often the veterinarian is faced with a situation where a
chronic skin case is scheduled for a fifteen minute appointment or is coming is for something else such as a vaccine
with the additional comment of check skin.A complete history, physical and dermatologic examination along with
cytology and skin scrapings is typically recommended by
veterinary dermatologists.
In most cases and especially chronic or recurrent cases
there are often multiple components to the skin condition.
Client education regarding multiple diseases as well as
treatment options and plans need to be explained. These
components and discussing all of them require time to
complete likely 30 - 45 minutes by a veterinary dermatologist and will often overwhelm and confuse the typical
client. There are key components to what makes this short
often 15 minute appointment a success.
dogs skin. It is important the clients know immediately that
you can “fix this” but it will not be instantaneous.
2. Set Up Expectations And Client Education
Chronic pruritic diseases are usually going to be lifelong
and the client needs to be aware of that as soon as chronic
or recurrent pruritus is determined to be a problem. They
need to know the cases are often complex with more than
one contributing problem and the most important thing
they must realize is you and they are a team. The goal is
finding out what aspects contribute to their dogs problem
and how best to manage the problem or problems. You will
need to rule out certain possibilities and likely try several
methods of control over their pets life. It will be critical for
you to really see how things change with any given therapy and rechecks will be required and information that only
they can supply as well examinations of the dog for subtle
clues will be essential.
As discussed the history is very important but is very subjective and dependent on owner observations and the skill of
the clinician in questioning and training the owner. Training
the owner to observe and make more accurate observations
is an excellent way to improve on obtaining accurate subjective information. This information is given to the owner
while the clinician does the dermatologic examination and
during the time is may take the technician to prepare and or
read samples for cytology and skin scrapings.
KEY COMPONENTS FOR SUCCESS
1. Be positive assure client the problem can be determined,
2. Set up expectations and educate the client.
3. Determine lesions present and their pattern,
4. Eliminate simple things first, the rest is dealt with on the
follow up.
5. Go over the checklist of what to accomplish
6. Chronic or recurrent cases need follow up
Important physiologic principals you need
to know for proper client education
1. Be Positive
Most chronic or recurrent skin diseases are not going to be
completely definitively diagnosed and controlled in one visit. In most of the cases the dog will have more than on disease or require tests that will take some time to get results
and even then indicate more tests are needed or long term
therapy and monitoring will be required. Often diet changes
are indicated and determining the response to these may take
several months. The first step in approaching the chronic
case is to be positive and assure the owner that through a
process that requires their input you can be successful in
determining the problem and the best way to manage or treat
it. Clients may become more frustrated when the veterinarian indicates they do not know what a dog has or starts off not
being positive about how to determine what is bothering the
A threshold is defined as the point at which a physiologic
or psychological ef fect begins to be produced. The level of
mediators present in the skin that makes a dog pruritic is
termed the pruritic threshold. This threshold is not a fixed
level and it may be raised or lowered by a number of factors.
Another important aspect of many pruritic dogs is that all or
part of the pruritus results from an aller
gic disease. The
allergic disease also has a threshold so that some levels of
allergen presented to the dog may be tolerated without causing allergic inflammation. So when considering a food allergic dog pruritic may not occur until the dog eats enough of
the food to stimulate an aller gic reactions that results in
enough mediator production to stimulate pruritus.
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Summation is the cumulative ef fect by which sequences
of stimuli that are individually inadequate to produce a
response are cumulatively able to induce the response.
Again this is believed to be very important in contributing
to the severity of pruritus. If a dog is itching from a low level of atopic dermatitis and then develops an infection now
the additional level of mediators produced may result in
more severe pruritus. It may also result in failure to
respond to what was successful therapy for just the low
level of aller gic inflammation. This concept of summation
applies to allergy as well so a dog may not react to the level of food it is eating until there is concurrent exposure to
pollen the dog is sensitive to.
The three primary diseases that confound clinicians the most
are atopic dermatitis, adverse food reactions and scabies
which I like to refer to as the Big Three dif ferential diagnoses. The fourth common pruritic disease is flea aller gy
dermatitis. FAD is less of a challenge to diagnose as it has
the characteristic dorsal lumbar pattern which may also be
present in AFR dogs. FAD is also important to recognize as
it may occur concurrently with atopic dermatitis or AFR and
can flare those diseases up when they are mar ginally controlled. This leads us to the key clinical features of the Big
Four in table 1. The possibility of coexisting primary diseases should also be considered and though controversial up
to 40% of AD appearing dogs with perennial symptoms are
diet responsive and half of these have concurrent AFR and
AD. The hardest to separate is atopic dermatitis from adverse
food reaction and currently many even consider atopic dermatitis a clinical presentation that can be caused by both environmental and food allergens.
3. Determine lesions present
The type of lesions present need to be determined and any
that suggest demodex (follicular disease, casts, comedones)
or scabies (papules, pinnal mar gin) will mean these need to
be addressed with skin scrapings or trial therapy. Secondary
causes of pruritus, especially microbial disease needs to be
identified, typically with cytology from lesions suggestive
of bacteria or yeast. Therefore cytology and possible skin
scraping are the most common initial test and if positive
often the only tests done in the first office visit. To save time
the clinician should take the cytology samples and skin
scrapings while doing the dermatologic examination then
have a tech take the slides to be processed and ready for
reading if they do not read the slide. Atopic dermatitis does
not typically have crusted papules and their presence generally precludes this as the only diagnosis and therefore the
only cause of pruritus.
Pattern analysis of lesions as well as pattern of pruritus,
especially when there are pruritic areas with no lesions is
very helpful in determining the primary cause of pruritus.
4. Eliminate Simple Things First
Cytology and skin scrapings determine if bacterial overgrowth, infections or demodex are present. Types of lesions
and pattern suggest if flea allergy may be a problem or scabies should be ruled out. These five simple items are what
should be addressed in the initial appointment and usual
one or more will be found and need to be dealt with. The
client should be educated that any of these simple items
may cause itching and once they are eliminated then it is
possible to determine if the pet has a primary chronic itchy
disease or non itchy problem. At the follow up exam it will
be important to know if the pet is still itchy , how itchy and
the pattern of itching. It is helpful for them to let you know
where the pet itches so you can determine if normal appearing skin is itchy.
TABLE 1 - Key differentiating clinical features of the BIG FOUR
Feature
AD
AFR
Scabies
FAD
Age Onset
6 months –7 years
Any but increased when
< 6 months
Any
Young
Breed
More in terriers, gold ret
Shar pei, lab ret, cocker spaniel,
germ shep, English bulldog
Any
Any
Seasonal
Strongly suggestive
No
No
Yes, maybe
Papules
No
Variable
Yes
Yes
Otitis
External orifice,
concave pinnae
Horizontal and vertical canal
Pinnal margin
initially
No
Pinnal pedal reflex
Less than 10% if no otitis
Less than 10% if no otitis
Common
Neg
Sneeze
Yes
Yes
No
No
GI signs
No
No
No
No
Pruritic no lesions
Common
Occurs
Rare
Infreq
Dorsal Lumbar
No
Yes
Rare
YES
Elbows
Anterior elbow flex fold
Any
Lateral
Conjuctivitis
Yes 10-30%
Some, % unknown
No
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No
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The most common cause of itching in dogs with chronic
pruritus is microbial disease and therefore this most often
what must be determined first. In atopic dermatitis cases
secondary pyoderma is present in approximately 80% of the
cases and Malassezia in 35%. It may be even more prevalent
based on how aggressively one looks for secondary infections. Diagnosis of infection is most often done with cytology. The presence of inflammatory cells or evidence of
inflammatory cells such as strands of nuclear material along
with bacteria is highly suggestive and most likely represents
a pyoderma. Any intracellular bacterium found from skin
cytology is diagnostic of pyoderma. If no inflammatory cells
are present then bacterial over growth requires that there is
an increase in numbers of bacteria present on the skin surface. The numbers I use are greater than 1 cocci or 0.5 rod
per average oil immersion field. Once pyoderma, Malassezia
or bacterial overgrowth is tentatively diagnosed it is helpful
to determine how much it contributes to the pruritus. This is
done by recognizing the microbial component and treating
that without treating aller gic disease or only temporarily
treating allergy. This will allow on follow up with a client
that has been educated about what to watch for the ability to
determine how much pruritus resolves. This then allows one
to establish the level and pattern of symptoms that result
from the underlying primary pruritic disease. If there is no
pruritus at the follow up then it is unlikely that atopic dermatitis is the primary disease as by definition it is pruritic.
However the presence of pruritus needs to be established
based on behavior of the pet and not the owners interpretation of what is significant pruritus
6. Chronic or recurrent cases need follow up
The recheck examination is scheduled and the importance
of this is again emphasized to the clients. Even if they think
there dog is normal and responded with the treatments prescribed at this appointment it is best to come back for the
follow up exam and be certain that no lesions or clues to a
chronic problem go unnoticed.
Role of fleas in the pruritic dog
Flea allergy dermatitis has already been discussed and is
an important cause of chronic itchy dogs. In addition many
dogs have both atopic dermatitis and flea aller
gy. How
often they occur together is partly determined by the level
of flea exposure. In general in regions of the world with
greater flea burdens there is a higher incidence of concurrent flea allergy dermatitis, though not of atopic dermatitis.
This has led to the suggestion that atopic dermatitis predisposes to the development of flea aller gy dermatitis.
What is less well documented is how often fleas aggravate
atopic dermatitis in a dog that does not have flea allergy dermatitis. When one considers the pathophysiology of pruritus and atopic dermatitis it is apparent there are multiple
mechanisms by which fleas may aggravate a clinical case.
There is evidence that flea aller gy is responsible for poorer response in the treatment of atopic dermatitis.
Again
exactly how this occurs is not known. There are cases of
atopic dermatitis in dogs not positive by intradermal
testing to fleas that respond better for the atopic dermatitis
treatments when fleas are controlled. This suggests that
any case of chronic pruritus, especially if not responding
well to therapy, should have a trial of aggressive flea control to determine what role fleas may play in the response
to therapy.
5. Go over checklist of what to accomplish
If none of the simple things are present then you can move
on to the probable aller gic dog. One or more of these are
often present in chronic skin cases and eliminating them and
seeing what is left is often a simple thing to do and the first
step in the approach to determining a cause and how best to
control a chronic pruritic skin case. This is generally the
main goal for the first appointment and as such it leads to the
following check list in table 2.
Aggressive flea control
Good flea control is generally considered ef fective for
flea allergy in 80 to 90% of the cases. However, these study
results need to be closely evaluated; for example, one study
TABLE 2 - Chronic Pruritic Dog Initial Appointment Checklist
Item to check or complete
√
Solution/Plan/Treatment
Be positive
Explain things can be controlled if steps followed.
Establish lesions and pattern of pruritus
Derm exam, pruritus history and educating client about what
to observe
Bacterial overgrowth
Topical antimicrobial therapy, possible systemic antibiotic
Pyoderma
Systemic antibiotic therapy
Malassezia
Systemic ketoconazole
Fleas
Flea control, possible avoidance techniques added
Scabies
Selamectin
Educate client about initial goals
Review findings and solutions for today
Recheck evaluation
Schedule appointment and goals at recheck
239
√
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with 36 dogs had 31 complete a study with fipronil. Pruritus
was graded on a scale of 0 to 2 (absent, mild, and intense,
respectively. At initiation of the study, 18 dogs had mild pruritus and 18 had intense pruritus. By day 90, 1 dog still had
intense pruritus, 12 had mild pruritus, and pruritus was
absent in 18. However , the report states that 87% of dogs
had good to excellent results.
Whenever it is desirable to really rule out fleas as a significant contributor to pruritus then a trial of aggressive flea
control is indicated. This trial should last 30-60 days
depending on how well client follows the directions.
The
premise is that dogs that are prevented from having any flea
bites will have signs related to fleas eliminated in 30 days.
The trial involves keeping the affected animal indoors to the
extent possible and avoiding outdoor locations that are
likely to be sources of flea exposure or “hot spots”. It may
include walking only on leashes, paved or concrete surfaces
when possible, and grass areas that are not shaded. The goal
is to prevent flea bites, so repellents—products that incapacitate fleas from feeding or rapid killing of fleas will result in
the fewest bites and therefore less aller
gen exposure—
should be used. For our purposes, rapid kill is when all fleas
are dead within 4 hours. The two products, nitenpyram and
spinosad, have been shown to provide this rapid flea kill.
Very rapid flea killing products and occasionally permethrin
for flea bite prevention (it has a repellant effect are used regularly to minimize the number of flea bites if a flea lands on
an affected pet. Permethrin generally has a shorter flea repellent ef fect than its killing duration and usually needs frequent application.
Bathing and flea control
Topical therapy is often recommended for allergic dogs and
dogs with recurrent infections. Some cases are greatly benefitted and even controlled when bathed multiple times a week.
Many specialists recommend routing bathing at 7-14 day
intervals for cases of chronic pruritus or recurrent pyoderma.
Often topical flea products are continued in these cases and
this presents another problem. Multiple presentations have
been made regarding the ability of topical flea products to still
be ef fective following water immersion and some limited
bathing protocols. In these non peer reviewed studies water
immersion is generally defined as immersion in a tub filled
with water for one minute time. Often the exact bathing protocol is unknown and many of the medicated shampoos have
not been evaluated, and there is some evidence that dif ferent
shampoos may vary in there effect. In these protocols there is
some effect on the killing of fleas though not below the level
to claim efficacy. The problem is just having efficacy, defined
by greater than 90% fleas killed by 24 or 48 hours, does not
equate to control of pruritus in the chronic aller gic pruritic
dog. There is no peer reviewed published material on the
effects of bathing in control of pruritic dogs treated with topical flea products. Cases are seen where it appears that flea
control with topical therapy is adversely af fected by bathing
or swimming. In these cases switching to systemic oral medication is effective in controlling the pruritus. Spinosad (Comfortis® Elanco) is a once monthly , oral, systemic, rapid flea
killing product. Spinosad has become a favored product for
controlling fleas in dogs with chronic pruritus.
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Novel Agents in the Treatment
of Canine Otitis Externa
Linda J.I. Horspool
BVMS, PhD, Dipl ECVPT, MRCVS Boxmeer (NL)
Allan Weingarten, DVM, New Jersey, USA
tain more water, such as creams, gels and solutions. Suspensions are generally favored by veterinarians because they
provide good contact with, and distribution within, the ear
canal and can easily be applied as drops.
INTRODUCTION
Otitis externa is one of the most prevalent diagnoses in
canine practice. Small inflammatory changes in the fragile
microclimate of the skin in the external ear allow abnormal
proliferation of commensal bacteria (Staphylococcus pseudintermedius) and yeast ( Malassezia pachydermatis) or
opportunistic invaders (e.g. Pseudomonas aeruginosa). This
perpetuates inflammation and may eventually lead to significant proliferative pathologic changes. Perpetuating factors
make resolution of otitis externa a significant challenge.
NOVEL AGENTS
A novel ototopical suspension containing the glucocorticoid mometasone furoate monohydrate (0.1%), the fluoroquinolone antibiotic orbifloxacin (1%) and the triazole
antifungal posaconazole (0.1%), (POSA TEX®, Intervet/
Schering-Plough Animal Health1) has been developed for
veterinary use.
Mometasone furoate (MF) is a synthetic GC with high
topical potency. It has a high affinity for and a long half-life
at the GCR. MF is capable of inhibiting pro-inflammatory
mediators at very low concentrations in vitro2 and in animal models3, where its potency has been shown to increase
following repeated topical application, as well as in dogs
with otitis externa. 4 Only very low amounts of MF are
found in plasma following ototopical application. MF is
metabolized extensively and its metabolites are excreted in
feces. There were no clinical signs or marked increases in
liver enzyme activity following ototopical application of
MF (as POSATEX) at one-, three- and five-times the recommended treatment dose for 21 days in healthy Beagle
dogs. Although there was a slight decrease in resting serum
cortisol concentration after 21 days in the highest dose
group, these dogs could still respond well to ACTH stimulation. In addition, MF has been shown to have a good margin of adrenal safety following application to dogs with
otitis externa. 5
Orbifloxacin is a fluoroquinolone with a broad spectrum
of concentration-dependent bactericidal activity. It is particularly well suited to treat the bacterial pathogens and secondary invaders typically encountered in canine otitis externa. Fluoroquinolones selectively inhibit bacterial nucleic
acid synthesis by binding topoisomerase IV type II in Grampositive bacteria and to the A subunits of bacterial DNA
gyrase in Gram-negative bacteria, disrupting the spatial
arrangements of bacterial DNA, leading to rapid cell death. 6
Orbifloxacin has minimum inhibitory concentration (MIC)
ranges of 0.25-2 μg/ml7 (MIC90 1 μg/ml8) for coagulase-pos-
TOPICAL TREATMENT
The majority of cases of otitis externa can be treated successfully with topical medication administered into a clean,
dry external ear canal. These medications usually contain
an antibiotic, antifungal and generally also a glucocorticoid
(GC) in an appropriate vehicle. GCs are included to reduce
inflammation allowing restoration of the normal environment of the ear canal. Broad-spectrum antibiotic and antifungal agents are included to eliminate the bacteria and
yeast associated with otitis externa. The vehicle should ideally allow the active ingredients access to all parts of the
ear canal, and provide prolonged contact with its epithelial
lining.
GCs enter cells and complex with specific glucocorticoid receptors (GCR) in the cytoplasm. The GC-GCR complex moves to the nucleus and binds to glucocorticoid
response elements, leading to transcription and production
of certain proteins that are known to have anti-inflammatory actions, e.g. lipocortin-1. GC inhibit both the early and
late (healing, repair , and chronic proliferative reactions)
stages of inflammation. Finally , GC decrease glandular
secretions from the epithelial glands of the ear canal, making the ear canals a less favorable environment for bacteria
and yeast to multiply.
The potency of GC following topical application depends
on agent, concentration, salt (lipid solubility) and formulation. Potency is directly related to the agonistic GCR af finity and retention in the tar get tissue but is also concentration
related. Formulations that are oil-based, such as ointments
and suspensions, are more potent than formulations that con-
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itive staphylococci, 2-16 μg/ml for Pseudomonas aeruginosa8, 0.016-0.12 μg/ml for E. coli7 and 1-8 μg/ml for Enterococcus faecalis7. The Clinical and Laboratory Standards
Institute (CLSI) breakpoints for antimicrobial disk and dilution susceptibility tests for orbifloxacin are susceptible
≤1 μg/mL, intermediate 2-4 μg/ml and resistant ≥8 μg/ml.
Orbifloxacin is absorbed slowly and moderately following
ototopical application and is excreted predominantly
unchanged, mainly in urine. The concentrations obtained are
unlikely to result in systemic exposure of any toxicological
significance. The clinical ef ficacy of fluoroquinolones can
be predicted using pharmacokinetic/ pharmacodynamic
(PKPD) surrogates, namely the ratio of the maximum concentration (Cmax) to MIC of around 8 to 12 and/or the area
under the curve (AUC) to MIC of around 35 to 125 hours.
The “mutant selection window” hypothesis postulates that
resistance should develop only rarely when drug concentrations exceed the so-called mutant prevention concentration
(MPC), which approximates to the MIC of the least susceptible mutant in a colony .9 Maintenance of concentrations
above the MPC throughout the dosing interval prevents
resistant mutant selection. Ototopical application of orbifloxacin (as POSA TEX, 8.55 mg/mL 1 or 267 μg/drop)
establishes and maintains orbifloxacin concentrations at the
site of infection that greatly exceed both MIC and MPC,
even after potential dilution by exudate.
Posaconazole is a novel triazole with a broad spectrum of
activity. Azoles prevent the synthesis of a major component
of fungal plasma membranes, by inhibiting the cytochrome
P-450-dependent enzyme 14α-demethylase (14-sterol
demethylase or CYP51A1) that is involved in er
gosterol
biosynthesis in yeasts and molds.
This leads to the build up of toxic concentrations of
metabolites, which disrupt both the cell membrane and
organelles and leads to inhibition of fungal growth and fungal cell death. Posaconazole has excellent in vitro activity
against a broad spectrum of fungal pathogens,10 and has been
shown to be at least ten-times more ef fective than miconazole and clotrimazole against canine Malassezia sp. isolates.1,11 It is absorbed slowly and moderately after ototopical application, with the metabolites excreted principally in
feces. Triazoles such as posaconazole have a greater af finity for fungal rather than mammalian cytochrome
P-450
enzymes than other azoles, contributing to their improved
safety profile.
externa. Dogs that had recently been administered ototopical (5 days), systemic antimicrobial (7 days) or systemic
corticosteroid (4 weeks) treatment, as well as dogs with ear
canal obstruction, ruptured tympanic membrane(s) or
owned by clinic staf f were excluded. Before treatment,
physical and otoscopic examinations were carried out and
odor, discomfort and/or swelling of the external ear canal,
pinnal erythema, and exudate were awarded a score using
numerical rating scales. In addition, specimens were collected for cytology and culture. The ear canal was then
cleaned with physiologic saline or water . Dogs were allocated randomly to two treatment groups with the investigator blinded to treatment. Group 1 (n = 100) was administered the test product once daily for 7 days. Group 2 (n =
102) was administered a commercially available positive
control product (Surolan ®, Janssen Animal Health) twice
daily according to the manufacturer ’s recommended treatment dose for 7 days. Effectiveness and safety were evaluated on day 8 using physical and otoscopic examinations
and cytology. For pivotal clinical variables the groups were
compared using the Stratified Cochran-Mantel-Haenszel
Rank Sum Test, stratified by site and by the WilcoxonMann-Whitney Exact Rank Sum. For non-pivotal variables, the groups were compared using Cochran-MantelHaenszel Chi Square Row Means Scores, stratified by site.
Statistical significance was declared when p <0.05.
Malassezia pachydermatis was observed in 84% of cases and bacteria (predominantly Staphylococcus pseudintermedius) were cultured from 62% of cases at inclusion.
Treatment was successful in 94.4% of dogs from Group 1
and 94.3% of dogs from Group 2 (90% CI of dif ference
between treatments -5.98% to 6.20%). The clinical cure
rate was 83.6% in Group 1 and 68.3% in Group 2. The subjective clinical scores for odor , swelling, pinnal erythema
and exudate improved with treatment in both groups (p
>0.05). There was a significantly greater improvement in
discomfort (pivotal variable) in Group 1 compared to
Group 2 (p = 0.0029). The vast majority of dogs had no
hearing deficit either before (94.9%) or following (98.7%)
treatment. The investigator overall outcome evaluation
(non-pivotal variable) was significantly better in Group 1
than in Group 2 (p = 0.0001). Five adverse events (three in
dogs from Group 1 and two in dogs from Group 2) were
reported during the study.
The significantly greater improvement in discomfort in
Group 1 was presumed to be due to the enhanced topical
potency of MF and likely led to the better overall evaluation
of this product.
FIELD EFFECTIVENESS AND SAFETY
A positive-controlled clinical field study was conducted
in first-opinion small animal practices in France, Belgium
and Germany to examine the field effectiveness and safety
of POSA TEX in client-owned dogs with uni- (48%) or
bilateral (52%) otitis externa.4 Dogs representing 52 different pure breeds and 31 mixed or unknown breeds (aged 0.3
to 14.3 years and weighing 3.2 to 68.0 kg), that were presented with clinical signs of otitis externa associated with
both bacterial and yeast infections were included; around
one-half of the cases were newly diagnosed with otitis
CONCLUSIONS
POSATEX is intended as a treatment for otitis externa in
dogs associated with susceptible strains of yeast (Malassezia
pachydermatis) and bacteria.
It has been demonstrated to be both safe and ef fective in
the treatment of canine otitis externa associated with yeast
(Malassezia pachydermatis) and bacteria when administered
once daily for 7 days.
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Address for correspondence:
Linda J. I. Horspool
Global Technical Director Pharmaceuticals and Parasiticides,
Global Companion Animal Business Unit,
Intervet/Schering-Plough Animal Health,
PO Box 31, 5830 AA Boxmeer, The Netherlands.
Tel +31 485 587661 e-mail [email protected]
Allan Weingarten
Director Pharmaceutical Research,
Intervet/Schering-Plough Animal Health, Summit,
New Jersey 07901, USA.
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Adverse Food Reactions in Animals
Hilary A. Jackson
BVM&S DVD DipACVD MRCVS, Dermatology Referral Service, Glasgow, Scotland
Subsequent serum allergen specific IgE titres and positive
intradermal and gastroscopic food sensitivity testing are
described after sensitization.
The pivotal question in consideration of these models is to
what degree they mimic the naturally occurring disease?
INTRODUCTION
Practising veterinarians all recognize animals in which
pruritus, otitis or gastrointestinal symptoms are ameliorated
by a change in diet and clinical signs will return after oral
provocation with a previously fed dietary item. What is unknown however, in the majority of cases, are the mechanisms
underlying this apparent adverse reaction to food and whether these cases truly represent a food aller gy. The majority
of allergic reactions to food in people are mediated by IgE
and although this is assumed in the dog for example there is
scant evidence to support this theory.
Collection of objective data from client owned animals is
challenging, especially when
large numbers of animals would need to be examined to
account for breed variations. Additionally selection of animals with an aller gy to a specific foods can be time consuming and may not result in a homogenous population as
some individuals are additionally sensitized to environmental allergens.
DOGS
Spontaneous
Dogs with reported in the literature with AFR have been
identified by feeding limited antigen diet containing novel or
hydrolysed proteins which is selected after detailed review
of the individual’ s dietary history . A challenge with previously fed foods is performed and clinical deterioration
demonstrated. On the basis of these clinical observations we
can only describe these animals as having dietary response
disease. These papers are reviewed in my second lecture.
Canine adverse food reactions (AFR) often looks clinically similar to canine atopic dermatitis (CAD). Although a
sub-population of dogs with dif ferent clinical presentations
and age of onset also appears to exist. In a Swiss study in
which the allergic population was compared with all registered dogs, West Highland White Terriers, Rhodesian Ridgebacks and Pugs were predisposed. Gastrointestinal signs
were more common in the population and clinical signs tended to develop earlier 48% <1 year as compared with 16%
of dogs with CAD (Picco, Zini et al 2008) 1. These findings
are similar to a study carried out by the author in North
Carolina (38% < 1year).
Intradermal skin test reactivity to food antigens can be
performed and circulating food aller gen specific IgE can be
measured in dogs with suspected food aller gies although at
this time these tests are unreliable in the diagnosis or prediction of canine food allergy. Whether this relates to the test
methodology, allergens employed or the lack of IgE involvement in canine AFR is unclear.
There is some evidence that AFR may be mediated by IgE
in some dogs. Increased IgE specific to bovine serum albumin was identified in dogs with clinical hypersensitivity to
beef but not in normal dogs (Ohmori et al 2005) 2. Additionally, increased histamine release after food antigen specific
stimulation of peripheral blood leucocytes harvested from
affected dogs supports a role for for IgE (Ishida et al 2004)3.
Adverse food reaction: any clinically abnormal response attributable to the ingestion of food or food additive
Food intolerance: abnormal physiological response to
food with no immunological basis
Food allergy: Immunologically mediated adverse food
reaction.
What evidence would we require to be confident in a diagnosis of food allergy?
1. Repeatable improvement with a change in diet and relapse on challenge with previously fed food.
2. Allergen specific activation of the immune system associated with clinical deterioration.
Probably most research in this area has been performed in
the field using animal models.
In general animal models of food sensitization have required non-physiological routes of aller gen exposure (subcutaneous, intra-peritoneal etc) along with alum adjuvants. Dogs
have been selected for high IgE antibody production following viral infection or immunization.
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Canine models
PIGS
The Maltese x beagle; dogs with naturally occurring food
allergy at North Carolina State University . This colony was
originally established to express an autosomal recessive
glycogen storage disease. Dogs fed on a regular canine diet
from weaning developed aller gies to components of that
diet, notably corn, soy, milk and pork. Food aller gies manifest as pruritus of the feet, limbs, face, ears and ventrum as
early as 4 months of age and within hours of ingesting specific proteins. An aller gen specific IgE response has also
been measured in these dogs after oral challenge leading us
to conclude that, at least in this group of dogs food allergy is
IgE mediated (Jackson et al 2003) 4. Furthermore, treatment
with oral cyclosporine failed to ameliorate that acute response to oral challenge with food aller gen supporting a role for
acute histamine release (Jackson) 5.
Non-physiological sensitisation of colonies of high IgE
responder dogs to food antigens has facilitated by-pass of
normal immune tolerance. The timing of sensitisation has
been shown to be critical to the subsequent development of
a robust IgE response. Predictable outcome measures (clinical and immunological) allow for the testing of novel therapeutic strategies such as testing the immunogenicity of genetically modified foods, or treatment strategies for nut allergies in man (Day 2005) 6.
Pigs develop transient post-weaning aller gy to soy allergens which can be prevented by pre-weaning feeding of soy
protein in sufficient quantity. Pigs have also been used as an
experimental model of food aller gy as they develop cutaneous and enteric clinical signs similar to those in humans
(Rupa et al 2009) 8
RODENTS
There are a number of rodent models which have been
developed to study hypersensitivities to food aller
gens
(Takeda & Gelfand 2009) 9. Sensitisation is often performed
parenterally combined with an adjuvant although oral sensitization has been described. Although much has been learned from these models there are limitations in translation to
similar diseases in other species.
CLINICAL IMPLICATIONS
Adverse food reactions are recognized as a clinical entity
in client owned animals but good data supporting an immunological basis for this disease is lacking. Most robust information is derived from canine and rodent models which may
not necessarily reflect the spontaneous disease in the companion animal population.
CATS
Although AFR is recognized as a clinical entity in the cat
the clinical dermatological manifestation can be variable. It
has been suggested that facial pruritus may be more indicative of AFR but a recent large multicentre study did not support this theory. There does not appear to be a specific age
of onset in this species.
In one study 55 cats with GI and/or dermatological signs
improved with dietary restriction and clinical signs recurred
with provocation. Serum aller gen specific IgE measurements had limited value as a screening test and gastroscopic
food sensitivity testing was not helpful. (Guilford et al) 7.
REFERENCES
1.
2.
3.
4.
HORSES
5.
Adverse food reactions in the horse have not been demonstrated definitely although there is clinical testimony to the
existence of the condition. Although classically AFR is considered a non-seasonal problem, seasonality may be recognized in this species dependent on grazing and feeding
practices. The clinical presentation can be variable. The horse may present with focal or generalized pruritus and chronic urticaria. As for other species the diagnosis rests on
demonstrating an improvement with dietary restriction and
relapse on challenge.
6.
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Controversies in the Diagnosis
of Adverse Food Reactions
Hilary A. Jackson
BVM&S DVD DipACVD MRCVS, Dermatology Referral Service, Glasgow, Scotland
The selection criteria for most studies is a response to a
LADT thus dogs with variable cutaneous signs are often
included and additional systemic signs (GI, Seizures, sneezing) may be present.
From this review a relapse of clinical signs within 14
days of challenge would be expected in the dog with
AFR although it should be noted that in most cases the
authors are relying on untrained client/ owner observation. For animals with IgE mediated food aller gy one
would expect the development of clinical signs within
hours of challenge. Either the dogs included in these studies have heterogenous disease or immediate signs are
being missed.
Many studies did not report a follow up period to
determine whether an improvement was sustained after
diagnosis and whether dietary compliance was maintained. This is important as this author ’s clinical experience suggests there are cases in which the initial diagnosis
looked like AFR but the dog relapsed even on a strictly
fed diet.
Client and pet compliance is a major consideration when
performing a LADT . Palatability and cost were cited as
negative points in a trial with a hydrolysed diet (Loef fler et
al 2004) 3. Whereas the compliance was significantly reduced in another study when owners were asked to home cook
for their pet (Tapp et al. 2002) 4
Regarding selection of a maintainance diet for those dogs
diagnosed with AFR the studies in cited in table 2 address
this issue. Dogs included here have been diagnosed with
AFR and are of fered a limited antigen diet(s). In only one
study (Beale and LaFlamme 2002) was it known whether
dogs had previous sensitivities to the parent protein from
which the new diet was derived.
Whether previous exposure to proteins in the novel diets
had been the case was not always reported. Interestingly
White (1986) reported 6 dogs which were fine on a home
cooked lamb and rice diet but did not tolerate a commercial
lamb and rice diet. In no study was the limited antigen diet
tolerated by all dogs.
LIMITED ANTIGEN DIETS
A review of the literature regarding dogs with skin disease +/- other system involvement shows that publications
regarding the use of limited antigen diets have employed
these diets either in a) the identification of dogs with adverse food reactions (AFR, table 1) or b) to assess the tolerance of a test diet in dogs with confirmed AFR (table 2). For
the purpose of this review publications involving client
owned dogs have been analysed.
Assuming that the limited antigen diet trial (LADT) and
rechallenge is the gold standard for the diagnosis of CAD,
from a clinical standpoint the important questions are as follows:
1. How long should the diet be fed?
2. Which diet should be selected?
3. How quickly might clinical signs recur after challenge?
Regarding the length of time required to feed the diet a
review of the literature, summarised in table 1, clearly
shows a tendency over time for the period over which the
diet is fed to increase. This might be attributed to clinical
experience but is probably also influenced by a study performed by Rosser 1 (1993) in which he reported that 13/51
dogs required more that 6 weeks on a LADT to achieve
maximal improvement. It should be noted that the majority of these studies include dogs with additional hypersensitivities such as environmental or flea allergies. Pruritus and clinical signs associated with these hypersensitivities might be expected to fluctuate daily or seasonally and
thus could influence assessment of the end point of the
diet trial itself.
Additional treatments are often given initially when a
LADT is started and Chesney 2(2002) qualifies the length
of the diet trial itself to be dependent on this factor. Outcome measures are variable but in most cases a reduction in
pruritus is required and sometimes quantified although the
reports in which a percentage reduction is cited do not elaborate as to how this measurement was achieved.
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TABLE 1 - Diets employed in the diagnosis of canine AFR
Investigator
Diet
# dogs
(confirmed
diagnosis)
Duration
of diet trial
Outcome
measure
Relapse time
after challenge
Follow up
White 1986
Home cooked
29
> 3weeks or 2
weeks > treatment
80-100% decrease pruritus
or other c/s
NR
6 months
Carlotti et al.
1990
Home cooked
33
> 3 weeks
70-80% ⇓ pruritus
12-72 hours
Harvey
Home cooked
25
> 3 weeks
Clinical improvement
2-14 days
Rosser 1993
Home cooked
51
1-10 weeks
Maximal improvement
1 hr-14 days
Denis &
Paradis 1994
Home cooked
73
1-13 weeks
⇓ pruritus
NR
Patterson 1995
Commercial
20
4-8 weeks
⇓ Pruritus score
NR
Leistra et al.
Home cooked
40
6-10 weeks
100% ⇓ pruritus
1-3 weeks
6 months
Chesney 2002
Home cooked
19
4-9 weeks
(treatment
dependent)
Pruritus score
< 10 days
10 wks
–12 months
Jeffers et al.
1991
Home cooked
13
3 weeks
Tapp et al.
2002
Home cooked
8
6 -8 weeks
> 50% improvement
NR
Jeffers et al.
1996
Home cooked
25
3-10 weeks
⇓ Pruritus
< 14 days
Biourge et al.
2003
Hydrolyzed
commercial
58 (36*)
2 months
⇓ Pruritus score
NR
Loeffler et al.
2004
Hydrolyzed
commercial
9
6 weeks
⇓ Pruritus
< 14 days
Loeffler et al.
2006
Hydrolysed
21
commercial
Or Home cooked 35
> 4 weeks
⇓ Pruritus
2-7 days
Several
months
< 5 days
NR
* Two dogs diagnosed with AFR but did not respond to the hydrolysed diet.
2. Intradermal testing
a. One hundred dogs aged > 6 months were skin tested
for environmental and food allergens; 48/100 reacted
positively to food antigens. Twenty eight of these
dogs underwent a LADT for 3 weeks. Three were
confirmed with ARF. Additionally 35 dogs negative
on serology underwent a LADT , six of these dogs
were subsequently confirmed with AFR.(Kunkle &
Horner 1992)
b. Dogs selected for LB (see 5 below) also underwent
intradermal testing; in 2/1 1 cases positive reactions
were seen to beef on IDT and oral challenge.(Ishida et
al 2004)
DIAGNOSTIC TESTING
The gold standard against which diagnostic tests are measured is a LADT followed by demonstrating that on challenge with previously fed foods, the clinical signs recur .
In most cases the clinician/ investigator has relied on the
client’s observational skills to confirm a positive challenge.
The time to relapse is not always specified, nor is the specific sampling time.
1. Prick testing
a. One of the earliest (and most entertaining) reports by
Schnelle in 1933 describes two dogs which were
prick tested with various commercial allergens. They
were found to be positive to salmon and subsequently developed clinical signs when fed the of fending protein.
3. Allergen specific serology
a. Serum from eight af fected dogs confirmed by LADT
and challenge was compared with serum from eight
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TABLE 2 - Diets trialled in dogs with known AFR
Investigator
Diet
# dogs
# dogs intolerant
Duration
of diet trial
Outcome
measure
White* 1986
ALPO
Chicken or lamb
HC chicken
& rice
26
6 (Lamb diet/
OK on HC lamb
& rice)
2 weeks each diet
Recurrence c/s
Sousa et al.
2000
Purina HA
24
2
1 week
⇑ pruritus
Wagner &
Horvath 1999
Pedigree Canine 16
selected protein 3
1
2 weeks
⇑ pruritus
Leistra et al.
2001
Chicken
Venison
Catfish
(Waltham)
40
19
21
34
3 weeks
Rosser 2001
Exclude
19
1
30 days
Roudebush &
Schick 1995
Prescription
Diet d/d
Lamb & rice
(Hills)
20
3
18-60 days
Return of
Clinical signs
Tapp et al. 2002 Eukanuba
Response FP
8
4
NR
⇑ pruritus
Beale &
Laflamme 2001
10
Known
Sensitivity to
soy/corn
2 weeks each diet
(positive/ negative & test)
⇓ pruritus
Purina HA
1-21 days
1 day6 weeks
* Two dogs diagnosed with AFR but did not respond to the hydrolysed diet.
Exclude, DVM pharmaceuticals: pinto beans, oats, hydrolyzed casein & chicken liver .
Purina Veterinary Diets HA-formula, Nestle Purina Co: hydrolysed soy & cornstarch
Pedigree Canine Selected Protein 3: capelin & tapioca
Waltham veterinary Diet, Pedigree selected protein: chicken and rice OR venison and rice OR catfish and rice
Eukanuba Response FP: Prescription diet canine d/d canned. Lamb & rice. Hills
non-affected controls, one cat and one horse using a
monoclonal ELISA for aller gen specific IgE. Mild
positives were registered in three of the canine controls. The sampling time post challenge was not specified. (Mueller & Tsohalis 1998)
4. PK & oral PK
a. Serum from ten dogs with AFR confirmed with LADT
and challenge was tested using the PK and oral PK test.
An antigen specific response was not detected. (Hillier
& Kunkle 1994)
5. Lymphocyte blastogenesis
Eleven dogs with adverse food reaction confirmed by a
LADT of up to eight weeks were selected, age > 1 year .
Seven manifested clinical signs of pruritus and four had
gastrointestinal signs. Six unaf fected controls were
employed. Lymphocyte blastogenesis was performed on
two occasions. Once during elimination and once during
provocation 1-21 days post challenge. In 9/1 1 af fected
dogs the lymphocyte blastogenesis was increased with
antigen provication as compared with the normal controls.
CONCLUSION
Both the pathogenesis and clinical presentation are poorly
defined in the dog with AFR and the incidence of dogs with
pure food aller gy v food intolerance is currently unknown.
Based on this literature review and to further investigate
canine AFR the author offers the following suggestions:
1. Dogs undergoing LADT for diagnosis of AFR should be
selected with similar clinical signs and a similar age of
onset of disease.
2. Response to a LADT should be monitored with an objective scoring system
3. Dogs with concurrent hypersensitivities should be excluded
thus the end point is complete resolution of clinical signs.
4. The response to dietary challenge should be monitored
by a clinically trained observer
5. The placebo ef fect should not be underestimated and
consideration should be given to performance of a random placebo controlled trial.
6. The timing of measurements of aller gen specific IgE
should relate to allergen exposure.
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Hypothyroidism in Dogs: a Diagnostic Challenge
Hans S. Kooistra
DVM, Dipl ECVIM-CA, Utrecht (NL)
Hypothyroidism is the clinical syndrome resulting from
deficient production of thyroid hormone. In about 95% of
cases of adult onset it is a primary thyroid disorder and in
5% or less it is due to TSH deficiency.
large breeds may be af fected more frequently than those of
small breeds, there is no pronounced breed predisposition.
The incidence is equally distributed between males and
females. 3
Thyroid hormones influence the function of almost all tissues of the body and thus the classical clinical picture of
overt hypothyroidism involves manifestations from nearly
all organ systems (Table 1). The time required for clinically
appreciable ef fects dif fers considerably: lethar gy may be
noticed within a few months but skin changes can take
almost a year. 4 Central to the clinical signs is usually a history of slowing of mental and physical activities. Most
hypothyroid dogs have some degree of mental dullness,
lethargy, and disinclination to exercise. These signs are gradual in onset, often subtle, and sometimes unrecognized by
the owner until after treatment has been started. Among the
observable changes in the hair and skin are alopecia (often
with pigmentation), thick folding of the skin, and a puf fy
facial appearance. The thickening and puffiness are evidence
of cutaneous mucinosis or myxedema, which is accumulation in the dermis of glycosaminoglycans and hyaluronic
acid with associated edema. 5 Occasionally, hypothyroidism
is associated with secondary skin infections, including
Malassezia infections. 6,7
Table 1 lists the clinical manifestations by or gan system.
Changes in a single or gan system sometimes dominate to
the extent of obscuring the causative disease. 8 Rarely, a
hypothyroid dog is presented as an emergency in a comatose
state. Routine laboratory examinations can reveal several
hematological and biochemical abnormalities (T able 1).
Both the nonregenerative anemia and the hyperglycemia are
usually mild.
PRIMARY HYPOTHYROIDISM
Pathogenesis
In the spontaneous form a progressive autoimmune
process leads to lymphocytic infiltration and disappearance
of thyroid follicles. So-called idiopathic forms, in which
there is thyroid atrophy without inflammato ry infiltrate, are
also thought to be the end result of an autoimmune disorder.1
The immune-mediated destruc tion is a slow process and
clinical manifestations of thyroid hormone deficiency only
become evident after destruction of >75% of the thyroid follicles. Although they may not be of great pathogenetic
importance, autoantibodies against thyroglobulin (Tg) may
serve as markers of autoimmune thyroiditis. 2 Circulating
antibodies against Tg are detected in over 50% of hypothyroid dogs. Antibodies against Tg form a heterogeneous
group directed at several epitopes. When an epitope includes
a hormonogenic site, an antibody can be directed against a
fragment that contains T4 or T 3. These Tg antibodies occasionally interfere with immunoassays used to measure the
plasma concentrations of thyroid hormones, especially T3.
Depending on the type of assay, antibodies recognizing epitopes of a thyroid hormone may cause either falsely elevated or lowered values.
Clinical manifestations
Differential diagnosis
Thyroiditis usually remains unnoticed, although very
rarely transient signs of hyperthyroidism (mainly characterized by polyuria) have been observed. This is probably
due to release of thyroid hormone into the circula tion during an acute phase of destructive thyroiditis. Eventually
most dogs with thyroiditis probably develop signs of thyroid hormone deficiency.
Acquired primary hypothyroidism is mainly a condition
of young-adult and middle-aged dogs. Although dogs of
Because the presenting symptoms of hypothyroidism can
vary widely, a common pitfall in diagnosis is simply to overlook the possibility that the presented problems could be due
to hypothyroidism. For example, it is not uncommon for
dogs with hypothyroidism to be presented for attention to
cardiopulmonology (lethar gy misinterpreted as exercise
intolerance) or orthopedics (locomotor disturbance). Lethargy, the most common sign of hypothyroidism, may be mis-
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TABLE 1 - Clinical manifestations of primary hypothyroidism in adult dogs
System
Common
Less common or rare
Metabolism
Weight gain
Appetite unchanged or reduced
Cold intolerance
Low body temperature
Skin and Hair
Coat coarse and scanty
Nonpruritic truncal alopecia
starting over points of wear
Mucopolysaccharide thickening
of skin (myxedema)
Hyperpigmentation
Secondary pyoderma
Seborrhea
Cardiovascular
Bradycardia, weak peripheral pulse and apex beat
Low voltage ECG (fig. 3.17)
Poor peripheral circulation
Cool skin
Reproductive and Endocrine
Persistent anestrus
Loss of libido
Testicular atrophy
Gynecomastia
Galactorrhea
Polyglandular deficiency
(Schmidt’s syndrome)
Neuromuscular
Lethargy and somnolence
Stiff gait
Vestibular ataxia
Head tilt (fig. 3.18)
Facial nerve paralysis
Lameness
Gastrointestinal
Diarrhea
Hematological
Nonregenerative anemia
Biochemical
Hypercholesterolemia
Hypertriglyceridemia
Mild hyperglycemia
Elevated creatinine kinase
Hyponatremia
Hyperkalemia
taken for metabolic (hepatoencephalopathy) or cerebrocortical disease (encephalitis, hydrocephalus). The atrophy of the
skin and its adnexa must take into consideration such conditions as estrogen excess and hypercortisolism.
It was expected that introduction of a homologous
immunoassays for plasma TSH in dogs would greatly aid and
simplify assessment of the canine pituitary-thyroid axis by
the paired measurement of T4 and TSH. It was hoped that a
single blood sample would suffice to confirm the diagnosis of
primary hypothyroidism by revealing a low T4 concentration
in the presence of a high TSH concentration. However, using
the TSH-stimulation test as the gold standard, it was found
that in as many as one-third of dogs with primary hypothyroidism, plasma TSH concentration was not elevated.14 Frustration with the limitations of the available endogenous
canine TSH assay caused most clinicians to resume using the
TSH-stimulation test, 15 albeit now usually employing recombinant human (rh)TSH instead of bTSH. 16-18
In dogs with clinical signs of hypothyroidism, the combination of a low plasma TT4 and a clearly elevated plasma
TSH concentration is diagnostic for primary hypothyroidism. When TT 4 is low but TSH is within the reference
range, a TSH-stimulation test can be performed. Methods
not involving biochemical assessment of the pituitary-thyroid axis—such as a radionuclide scan or thyroid uptake
measurement with 99mTcO4-, high-resolution ultrasonography, or even a thyroid biopsy—seem to be reliable for diagnosing primary hypothyroidism in dogs. 19,20 In a study of
99m
TcO4- uptake in dogs with primary hypothyroidism and
nonthyroidal illness, there was no overlap in thyroid uptake
at 45-120 minutes after injection. 19 In high-resolution ultrasonography of the thyroid glands, loss of echogenicity ,
Diagnosis
As a measure of thyroid function, T4 has to be preferred
over T 3 because it is produced exclusively by the thyroid
gland while T3 in plasma is lar gely derived by peripheral
conversion. In most dogs with primary hypothyroidism,
plasma concentrations of total T4 (TT4) and free T4 (fT4) are
below the reference range. However , they can also be
decreased in dogs without a thyroid disorder because of
drugs or illness. The terms nonthyroidal illness and sick
euthyroid syndrome have been introduced for this derangement of thyroid homeostasis. Consequently, the finding of a
low basal plasma thyroid hormone concentration is of little
diagnostic value. 9,10 For this reason stimulation tests using
either TSH or TRH have been advocated. The TRH-stimulation test using measurement of plasma TT4 concentration
does not distinguish with suf ficient accuracy between dogs
with hypothyroidism and those with nonthyroidal illness. 11
Until the end of the last century, primary hypothyroidism in
dogs was diagnosed by the finding of a low plasma
TT4
(and/or fT 4) concentration insufficiently responsive to stimulation with bovine TSH (bTSH) 12,13
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homogeneity, and fusiform shape are particularly characteristic of primary hypothyroidism. 21,22 Demonstration of circulating antibodies to Tg indicates the presence of thyroiditis but provides no information about thyroid function. As
indicated in the section on pathogenesis, the absence of antibodies against Tg does not exclude hypothyroidism. In addition, dogs with antibodies against Tg may have thyroiditis
that has not yet resulted in hypothyroidism.
6.
7.
8.
9.
10.
CENTRAL HYPOTHYROIDISM
In central hypothyroidism the thyroids are not af fected
primarily but are deprived of stimulation by TSH. Histological examination reveals no loss of follicles but rather the
characteristics of inactivity. The condition is rare compared
with primary thyroid failure. Spontaneous causes include
tumor of the pituitary or adjacent regions and head trauma.
23
The clinical picture is similar to that of primary hypothy roidism, although generally less pronounced. There may be
lethargy and alopecia, but thickening of the skin is less pronounced. Not uncommonly, the lesion causing reduced TSH
secretion is a hormone-secreting tumor , such as a corticotroph adenoma that is hypersecreting ACTH. The symptoms and signs arising from such a pituitary tumor may precede, accompany , and even obscure the manifestations of
pituitary failure. In the presence of an ACTH-secreting
tumor, central hypothyroidism may only become manifest
after reversal of the associated hypercortisolism. The diagnosis of central hypothyroidism should be based on the
demonstration of low concentrations of T4 and TSH in plasma. In secondary hypothyroidism, plasma T4 concentration
increases in a TSH-stimulation test, although repeated stimulation may be necessary . A prerequisite for correct interpretation of these tests is the certainty that the low T4 (and
TSH) concentrations are not caused by illness or drugs.
In addition, diagnostic assessment should include (1) the
secretion of other pituitary hormone and (2) the morphology
of the pituitary and adjacent areas by diagnostic imaging.
11.
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13.
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Address for correspondence:
Hans Kooistra
Department of Clinical Sciences of Companion Animals
Faculty of Veterinary Medicine, Utrecht University,
The Netherlands
252
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69° CONGRESSO INTERNAZIONALE MULTISALA SCIVAC
RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Diagnosis of Hypercortisolism in Dogs and Cats
Hans S. Kooistra
DVM, Dipl ECVIM-CA, Utrecht (NL)
50% of dogs with hypercortisolism plasma thyroxine (T 4) is
decreased as a consequence of altered transport, distribution,
and metabolism of T4, rather than due to hyposecretion. For
a complete overview of the changes in routine laboratory
data related to hypercortisolism the reader is referred to reference 2.
INTRODUCTION
Hypercortisolism is a common condition in dogs and can
be defined as the physical and biochemical changes that
result from prolonged exposure to inappropriately high plasma concentrations of cortisol. This disorder is often called
Cushing’s syndrome, after Harvey Cushing, the neurosurgeon who first described the human syndrome in 1932.
This abstract will focus on the diagnosis of spontaneous
hypercortisolism. In 80-85% of the spontaneous cases hypercortisolism is adrenocorticotropic hormone (ACTH)-dependent, usually arising from hypersecretion of ACTH by a pituitary corticotroph adenoma. The remaining 15-20% of cases
of spontaneous hypercortisolism is ACTH-independent and
results from autonomous hypersecretion of glucocorticoids by
an adrenocortical adenoma or adenocarcinoma.
DIAGNOSIS OF HYPERCORTISOLISM
The endocrine diagnosis of hypercortisolism depends on
the demonstration of two principal characteristics of all
forms of the condition: (a) increased production of cortisol,
and (b) decreased sensitivity to glucocorticoid feedback.
Measurement of a single plasma cortisol concentration has
little diagnostic value because the pulsatile secretion of
ACTH results in variable plasma cortisol concentrations
that may at times be within the reference range. There are
two ways to overcome this problem: (a) to test the integrity
of the feedback system, and (b) to measure urinary corticoid
excretion.
In the first approach the sensitivity of the pituitaryadrenocortical system to suppression is tested by administering a synthetic glucocorticoid in a dose that discriminates between healthy dogs and dogs with hypercortisolism. A potent glucocorticoid such as dexamethasone is
used so that the dose will be too small to contribute significantly to the laboratory measurement. In this so-called
dexamethasone screening test or low-dose dexamethasone
suppression test (iv-LDDST), 0.01 mg dexamethasone per
kg body weight is administered intravenously . Blood for
cortisol measurement is collected before, and 4 h and 8 h
after dexamethasone administration. The finding of a plasma cortisol concentration exceeding 40 nmol/l at 8 h after
dexamethasone administration, in dogs with physical and
biochemical changes pointing to hypercortisolism, confirms hypercortisolism.(5) The measurements at 0 h and 4
h are not needed for the diagnosis per se but may be useful
in the differential diagnosis. If the plasma cortisol concentration at either 4 h or 8 h is at least 50% lower than the 0
h value, the hypercortisolism is pituitary-dependent. The
iv-LDDST can have a false positive result as a result of
stress, for example due to the hospital visit and blood collection.6
CLINICAL MANIFESTATIONS
OF HYPERCORTISOLISM
Spontaneous hypercortisolism is a disease of middle-aged
and older dogs, although, very rarely , it may occur as early
as one year of age. There is no sex predilection. It occurs in
all dog breeds with a slight predilection for small breeds
such as dachshunds and miniature poodles. The incidence is
much higher in dogs than in humans and cats and has been
reported to be 1-2 cases per 1000 dogs per year .1
Many of the clinical signs can be related to the biochemical
effects of glucocorticoids, namely increased gluconeogenesis
and lipogenesis at the expense of protein. In dogs the cardinal
physical features are centripetal obesity and atrophy of muscles and skin. Polyuria and polyphagia are also dominating
features. The polyuria is known to be due to both impaired
osmoregulation of vasopressin release and interference of the
glucocorticoid excess with the action of vasopressin in the
kidney. Abdominal palpation may reveal hepatomegaly. For a
complete overview of the clinical signs related to hypercortisolism the reader is referred to reference 2.
Increased plasma alkaline phosphatase (AP) activity is a
frequent finding in dogs with hypercortisolism.This is mainly due to the induction of an isoenzyme having greater stability at 65 oC than other AP-isoenzymes and therefore easily measured by a routine laboratory procedure. 3 In about
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
This iv-LDDST is increasingly replaced by the measurement of urinary corticoids. Because urine is stored and
mixed in the bladder for several hours an integrated reflection of corticoid production is obtained, thereby adjusting
for fluctuations in plasma concentrations. The urinary corticoids (largely cortisol) are related to the creatinine concentration in the urine, resulting in the urinary corticoid to creatinine ratio (UCCR). This test requires little time (from the
veterinarian and the owner), is not invasive (no blood collection), and has a high diagnostic accuracy. In addition, the
test procedure has the advantage of combining a test for
basal adrenocortical function and a dynamic test for dif ferential diagnosis (see below). To avoid the influence of stress,
the urine for the UCCR determination has to be collected at
home, at least one day after the visit of the veterinary clinic.
Nonadrenal disease may also result in endogenous stress and
elevated cortisol secretion and therefore high UCCRs in
dogs that do not have a high degree of clinical suspicion
should be interpreted with care. The owner collects a morning urine sample on two consecutive days and the UCCRs in
these two samples are averaged. In our laboratory the basal
UCCR in healthy pet dogs varies from 0.3 to 8.3 x 10 -6.7
Another popular test to screen for hypercortisolism is the
ACTH stimulation test. The main indication for the ACTH
stimulation test is to test the adrenocortical reserve capacity,
i.e. to diagnose adrenocortical insuf ficiency. Thus, the
ACTH stimulation test can be used very well to diagnose
iatrogenic hypercorticism. In cases of spontaneous hypercortisolism, ACTH stimulation may result in an exaggerated
adrenal response, i.e., a higher plasma cortisol concentration
than in healthy dogs. About 85% of dogs with pituitarydependent hypercortisolism have exaggerated cortisol
responses to ACTH, while only about 55% of dogs with
hypercortisolism due to adrenocortical tumor have such a
result.(8) The main advantages of the ACTH stimulation test
are its simplicity and the short duration of the test. However, the diagnostic accuracy for hypercortisolism of this test is
less than that of the UCCR and the LDDST . Therefore, this
test is no longer recommended in the diagnostic approach of
dogs with hypercortisolism. 9
When hypercortisolism has been confirmed it is necessary
to distinguish between the different forms of the disease.
expression of glucocorticoid recep tors. This explains w hy
PDH of pars intermedia origin is resistant to suppression by
dexamethasone. In other forms of spontaneous hypercortisolism the hypersecretion of cortisol is not dependent on
pituitary ACTH and is therefore also not influenced by the
administration of dexamethasone.
The impaired sensitivity to glucocorticoid feedback in
PDH due to an anterior lobe tumor can be demonstrated by
performing a high-dose dexamethasone suppression test
(HDDST). Two procedures are used, one employing plasma
cortisol and the other employing the UCCR. In both, a
decrease of more than 50% from baseline values confirms
PDH.13 For the iv-HDDST, blood for measurement of plasma cortisol concentrations is collected immediately before
and 3-4 h after intravenous administration of 0.1 mg dexamethasone per kg body weight. When UCCRs are used, the
owner has to administer 3 oral doses of dexamethasone (0.1
mg per kg body weight) at 8-h intervals after collection of
the second basal urine sample (see above). As mentioned
earlier, the urine samples should be collected by the owner
at home under conditions free of stress. 7
When there is less than 50% suppression, the hypercortisolism may still be pituitary-dependent, due to either a pars
intermedia tumor or a resistant anterior lobe tumor . Further
differentiation requires measurements of plasma ACTH concentrations. In animals with PDH, plasma ACTH concentrations are not completely suppressed despite high plasma cortisol concentrations.14
When PDH has been proven, the pituitary gland can be
detected by CT or MRI. Pituitary imaging is necessary if
either hypophysectomy or pituitary irradiation is to be used
for treatment, but also provides information with regard to
the prognosis.15,16
HYPERCORTISOLISM DUE
TO AN ADRENOCORTICAL TUMOR
Hypersecretion of cortisol by an adrenocortical tumor
(AT) cannot be suppressed by administration of dexamethasone. As indicated by either plasma cortisol concentration or
the UCCR, resistance to suppression by a high dose of dexamethasone is, with similar probability, due to AT or dexamethasone-resistant PDH.(13) Hypercortisolism due to AT
can be differentiated from nonsuppressible forms of PDH by
measuring the plasma ACTH concentration. In addition, an
AT is often readily detected by ultrasonography . Hence it is
common practice in cases of nonsuppressible hypercortisolism to measure the plasma ACTH concentration and to
perform ultrasonography of the adre nal glands. If an AT is
found ACTH measure ment is still useful. Plasma ACTH
concentrations should be low. If not, further studies are warranted to determine if PDH is also present. 17
The preferred procedures for imaging of the adrenal
glands are MRI and CT. Ultrasonography is less expensive,
requires less time, and usually no anesthesia, and so it is
often used first even though it is more dif ficult to perform
and to interpret than CT or MRI. Ultrasonography provides
a good estimate of the size of the tumor and may reveal
PITUITARY-DEPENDENT
HYPERCORTISOLISM
In most cases ACTH-dependent hypercortisolism arises
from hypersecretion of ACTH by a pituitary corticotroph
adenoma. The ACTH excess may originate in both the anterior lobe and the pars intermedia of the pituitary gland. In
about 75-80% of cases there is an adenoma in the anterior
lobe.10,11 Despite decreased sensitivity to glucocorticoid
feedback, the hallmark of Cushing’s syndrome, (a high dose
of) dexamethasone can suppress ACTH secretion in most
dogs with pituitary-dependent hypercortisolism (PDH) due
to a corticotroph adenoma in the anterior lobe.
The pars intermedia is under direct neural control, principally tonic dopaminergic inhibition, 12 which suppresses the
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information about its expansion. 18,19 Most ATs are unilateral
solitary lesions, the two glands being affected about equally,
but bilateral tumors occur in approximately 10% of cases. 19-21
When an AT has been confirmed, the possibility of distant
metastases should be considered. During abdominal ultrasonography the liver should be examined for metastases. If
possible metastases are found, ultrasound-guided biopsy can
be performed. Thoracic radiography or a CT scan of the thorax should be performed to exclude metastases in the lungs.
11.
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Hans Kooistra
Department of Clinical Sciences of Companion Animals
Faculty of Veterinary Medicine, Utrecht University,
The Netherlands
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Treatment of Hypercortisolism in Dogs
Hans S. Kooistra
DVM, Dipl ECVIM-CA, Utrecht (NL)
For many years the most common form of treatment of
pituitary-dependent hypercortisolism in dogs has been use of
the adrenocorticolytic drug o,p’-DDD. Some treatment
schedules aim at selective destruction of the zona fasciculata and zona reticularis, sparing the zona glomerulosa. However, in 5-6% of the dogs in which this is attempted, the zona
glomerulosa is also destroyed to such an extent that iatrogenic hypoadrenocorticism develops. Also, in more than half
of the cases in which selective destruction is the aim, there
are one or more relapses of hypercortisolism during treatment. 7 In order to circumvent these complications a treatment schedule has been devised with the aim of complete
destruction of the adrenal cortices and substitution for the
induced hypoadrenocorticism. 8,9 This nonselective destruction has been reported to be associated with fewer recurrences than with selective destruction. 10 Since the introduction of trilostane for the medical management of pituitarydependent hypercortisolism, o,p’-DDD is seldom used for
this purpose. Its main use now is for the treatment of adrenocortical tumors.
Trilostane is a competitive inhibitor of the 3β-hydroxysteroid dehydrogenase/isomerase system which is essential
for the synthesis of cortisol and aldosterone. In dogs with
pituitary-dependent hypercortisolism (PDH), trilostane has
the potential of significantly reducing basal andACTH-stimulated plasma cortisol concentrations. 11-16
Trilostane is absorbed rapidly from the gastrointestinal
tract. Administration with food significantly increases the
rate and extent of absorption. There is marked variation in
the optimal dose and to avoid adverse ef fects due to overdosage, treatment is started at a relatively low oral dose of 2
mg/kg once daily. The dose is then adjusted according to the
clinical response and the results of ACTH-stimulation tests.
The efficacy of treatment is also monitored by measurements of plasma sodium, potassium, urea, creatinine, and
liver enzymes.17
Within about a week on an appropriate dose of trilostane
there is a clear reduction in water intake, urine output, and
appetite, followed by improvement in the coat and skin,
reduction of central obesity, and increased physical activity.
Trilostane’s short duration of action may be responsible for
the lack of improvement in some hyperadrenocorticoid
dogs. 18 This may be remedied by twice daily administration,
beginning at 1 mg/kg per dose.
TREATMENT OF PITUITARY-DEPENDENT
HYPERCORTISOLISM AT THE PITUITARY
LEVEL
The treatment of pituitary-dependent hypercortisolism
should be directed at eliminating the stimulus for cortisol production, i.e., the pituitary lesion causing excessive
ACTH
secretion. In the last decade experience has been gained with
microsurgical transsphenoidal hypophysectomy in dogs and
cats with pituitary-dependent hypercortisolism.1,2 With appropriate short-term and long-term substitution therapy this is an
effective treatment. It can only be performed in specialized
institutions with intensive perioperative care, and where
imaging techniques such as CT and MRI can be used to define
the location and size of the pituitary prior to sur gery.
When the sur geon has acquired the necessary experience,
the results compare favorably with those of chemotherapy
with o,p’-DDD. The main advantage for long-term survival,
compared with therapy at the adrenal level (discussed below),
is in avoiding the neurological problems that could eventually occur as a result of an expanding pituitary tumor . 3
Several attempts have been made to reduce pituitary
hypersecretion of ACTH medically, but now that the disease
is known to be of primary pituitary origin it is understandable that neuropharmacological approaches with an antiserotoninergic drug and a monoamine-oxidase inhibitor were
unsuccessful. 4-6
The main indication for radiotherapy is to reduce the size
of a pituitary tumor that is compressing the brain. Since it
usually does not reduce suf ficiently the hypersecretion of
ACTH, additional therapy at the adrenal level (see below) is
required.
TREATMENT OF PITUITARY-DEPENDENT
HYPERCORTISOLISM AT THE ADRENAL
LEVEL
This consists of eliminating the glucocorticoid excess by
bilateral adrenalectomy or by medical therapy. Total adrenalectomy achieves a complete cure of the hypercortisolism
and the prognosis with glucocorticoid and mineralocorticoid
replacement is good unless or until expansion of the pituitary tumor causes neurological problems.
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Trilostane can be used in cases of hypercortisolism due to
functional adrenocortical tumors if neither adrenalectomy
nor destruction of adrenocortical tissue with o,p’-DDD is an
option. 19 It can also be used as palliative treatment in cases
of metastasis of a functional adrenocortical tumor. 20
Treatment of pituitary-dependent hypercortisolism with
trilostane may produce distinct changes in the ultrasonographic appearance of the adrenal glands. In most trilostanetreated dogs there is a clear increase in the thickness of the
adrenal glands, due to the continuing stimulation by ACTH.
Long-term trilostane treatment may result in adrenal glands
with an irregular shape and a nodular appearance. 12,21,22
Overdosage of trilostane results in cortisol deficiency and
sometimes even mineralocorticoid deficiency . 16, 17,23,24 If
hypoadrenocorticism occurs trilostane must be stopped
immediately and corticosteroid substitution started. In most
cases adrenocortical function recovers suf ficiently within a
few weeks and substitution can be stopped, but some dogs
require long-term substitution therapy. 16,17
required for complete destruction. o,p’-DDD is given daily
for the first 5 days, thereafter on alternate days. The daily
dose is divided into 3 or 4 portions and administered with
food. On the third day , substitution therapy is begun with
cortisone acetate (2 mg/kg per day), fludrocortisone acetate
(0.0125 mg/kg per day), and sodium chloride (0.1 g/kg per
day), all divided into at least two portions. If for any reason
the dog cannot take or retain the tablets and salt two times in
succession, injectable medications should be started.
After 25 days of o,p’-DDD administration, a follow-up
examination is made. The cortisone dose is reduced to 0.5-1.0
mg/kg per day, but is always doubled for one or two days in the
event of anesthesia, severe physical stress, or injury. Complete
adrenocortical destruction results in very low UCCRs in morning urine samples collected after omitting the cortisone and
fludrocortisone administration on the preceding evening. The
doses of fludrocortisone and salt are adjusted by measurements
of plasma sodium and potassium. o,p’-DDD is then continued
for at least 3 months at the same dose once weekly .
Owner compliance is essential for successful chemotherapy with o,p’-DDD. The owner is instructed very clearly to
stop giving o,p’-DDD if partial or complete inappetence
develops, but, with equal emphasis, to continue adrenocortical hormone substitution and to contact the veterinarian,
who may increase the cortisone substitution temporarily.
If adrenalectomy or adrenocortical destruction with o,p’DDD is not an option, the adrenocorticostatic drug trilostane
can be used. It has been used successfully in a dog with
hypercortisolism due to a functional adrenocortical tumor 19
and can also be used as palliative treatment in case of metastases of a functional adrenocortical tumor. 20
TREATMENT OF HYPERCORTISOLISM
DUE TO A ADRENOCORTICAL TUMOR
Treatment has two objectives: removal of the adrenocortical tumor and containment of hypercortisolism. When diagnostic imaging has revealed no metastases and it is likely
that there is a resectable unilateral tumor , it should be
removed by sur gery. Success ful removal of the af fected
adrenal will result in complete recovery without the need for
lifelong medication.
Because of the atrophy of the nontumorous adrenocortical
tissue due to the long standing glucocorticoid excess, glucocorticoid substitution is needed initially . After bilateral
adrenalectomy lifelong substitution with a glucoco rticoid
and a mineralocorticoid is required, according to the treatment protocol for primary hypoadreno corticism.
Hypercortisolism due to adrenocortical tumor can also be
treated medically. Drugs for this purpose are classified as
adrenocorticolytic or adrenocorticostatic. Adrenocorticolytic drugs destroy adrenocortical cells and thereby reduce
steroid synthesis, whereas adrenocorticostatic drugs interfere with steroidogenesis without cell damage.
Administration of the adrenocorticolytic drug o,p’-DDD
is often the treatment of choice in dogs in which tumor tissue cannot be completely removed sur gically or when the
disease recurs after adrenalectomy. It is also used in cases of
metastasized adrenocortical tumor. Because of the potential
of toxic ef fects of o,p’-DDD in both humans and animals,
owners must be given careful instructions on how to recognize and respond to them. o,p’-DDD should preferably not
be used in a household in which there is a pregnant woman
or young child. The aim of o,p’-DDD treatment should be
complete destruction of all adrenocortical cells and substitution therapy for the induced adrenocortical insuf ficiency.
The treatment protocol for complete adrenocortical destruction consists of 25 days of oral administration of 50-75 mg
o,p’-DDD/kg body weight per day . 8 In dogs of low body
weight o,p’-DDD doses up to 100 mg/kg per day may be
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Hans Kooistra
Department of Clinical Sciences of Companion Animals
Faculty of Veterinary Medicine, Utrecht University,
The Netherlands
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Acromegaly in Dogs
Hans S. Kooistra
DVM, Dipl ECVIM-CA, Utrecht (NL)
estrous cycle. In some middle-aged and older bitches sufficient amounts of GH may be released to result in
acromegaly (and diabetes mellitus). Because progesterone
levels in bitches during nonpregnant metestrus and pregnancy are similar , acromegaly can also be expected to
occur during pregnancy, and recently the occurrence of this
in two bitches was reported. 5 Administration of progestins
may also give rise to GH excess and signs and symptoms
of acromegaly. 6,7
INTRODUCTION
Hypersecretion of growth hormone (GH) in the adult
results in a syndrome characterized by overgrowth of connective tissue, bone, and viscera. The pituitary origin of the disease in humans was recognized in 1886 by Pierre Marie, who
derived its name from the Greek words akron (extremity) and
megas (large) for the characteristic enlar gement of the hands
and feet. In dogs and cats, as in humans, the GH excess can be
caused by a somatotroph adenoma of the pituitary gland. In
addition, dogs can develop the syndrome from progesteroneor progestin-induced hypersecretion of GH in the mammary
gland. Finally, some of the physical and biochemical changes
in dogs with primary hypothyroidism may be caused by GH
excess resulting from the adenohypophyseal changes brought
about by deficiency of thyroid hormone.
Clinical manifestations
Canine acromegaly due to mammary GH typically begins
3-5 weeks after estrus and produces the same signs and
symptoms characteristic of excess pituitary GH described
above: thick folds of skin on the head and neck, fatigue, respiratory stridor, prognathism with widening of the interdental spaces, and abdominal enlargement due to visceromegaly.
Initially, most of these changes regress following metestrus
but with successive estrous cycles they become progressively more severe, until the full clinical picture develops. Early
mild forms are usually primarily characterized by polyuria,
polydipsia, sometimes polyphagia, and fatigue and snoring.
The polyuria is without glucosuria unless diabetes mellitus
also develops from the repeated exposure to GH excess. 8,9
Progestins used for estrus prevention can produce similar
changes, especially when given frequently and in relatively
high doses. A comparative study of the ef fects of two progestins revealed that they resulted in similar plasma concentrations of GH and IGF-I, and similar degrees of insulin
resistance.10
Laboratory studies often reveal hyper glycemia and
increased plasma alkaline phosphatase. The latter may be
due in part to the glucocorticoid activity which is intrinsic to
progestins. 11,12
EXCESSIVE PITUITARY GH
Pituitary tumors that might have secreted excessive
amounts of GH have been reported rarely in dogs,1-3 but only
recently has GH hypersecretion been confirmed in an Italian
4
dog with acromegaly and a somatotroph adenoma.
The
recently described dog with acromegaly of pituitary origin
had very pronounced characteristics of longstanding GH
excess. The soft tissue over growth included thickening of
the skin, particularly of the head and neck, and enlar gement
of the tongue with respiratory stridor . The osseous changes
caused widening of the interdental spaces, increasing stif fness, dif ficulty in standing up, and neck rigidity—due to
articular cartilage proliferation, periarticular periosteal reaction, and severe spondylosis deformans. Metabolic changes
were manifested in polyphagia, weight gain, excessive panting, and polyuria and polydipsia. Laboratory examinations
revealed normoglycemia with impaired glucose tolerance.
The only other remarkable finding in routine blood examinations was mild anemia.
Differential diagnosis
In pronounced cases the clinical features, including the
specific medical history, are not easily confused with those
of other diseas es. However , in some dogs the metabolic
changes lead to polyuria, polypha gia, and hyper glycemia
EXCESSIVE MAMMARY GH
The release of GH from mammary tissue is a normal
physiological process in dogs during the luteal phase of the
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which, together with the in crease in abdominal size, may
mimic the signs of hypercortisolism. Redundant folds of
skin on the head and neck may also occur in primary
hypothyroidism leading to GH excess.
REFERENCES
1.
2.
Diagnosis
3.
As in pituitary GH excess, measurement of plasma GH (at
10-min intervals) and of IGF-I will confirm the diagnosis. It
is usually advisable not to delay treatment pending the laboratory results, for the sooner treatment is started, the greater
the chance of preventing permanent diabetes mellitus (see
below).
4.
5.
6.
Treatment
7.
Progestin-induced acromegaly can be treated ef fectively by with drawal of exogenous progestins and/or by
ovari(ohyster)ectomy. The animal may then change dramatically, due to the reversal of the soft tissue changes.
The size of the abdomen decreases, as does the thickening
of oropharyngeal soft tissues and thus the associated snoring. The bony changes appear to be irreversible but do not
appear to cause problems to the animal. In cases in which
the GH excess did not lead to complete exhaustion of the
pancreatic ß cells, the elimina tion of the progesterone
source by the ovari(ohyster)ectomy may prevent persistent diabetes mellitus. Serious problems can arise in dogs in
which the progestin causing the acromegaly has been administered only recent ly, for its action may persist for several
months. Progesterone-receptor blockers may be helpful, as
they are known to lower plasma GH and IGF-I concentrations in canine acromegaly, 13 but there is as yet no long-term
experience with their use. 14 Some caution seems warranted,
for they also partially block glucocorticoid receptors.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
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Prognosis
Address for correspondence:
Hans Kooistra
Department of Clinical Sciences of Companion Animals
Faculty of Veterinary Medicine, Utrecht University,
The Netherlands
Dogs with progestin-induced GH excess have a good
prognosis following elimination of the progestin source.
Diabetes mellitus resulting from the progesterone-induced
GH excess is thereby also sometimes reversible.
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RIMINI 27-29 MAGGIO 2011
Primary Hyperaldosteronism in Cats
An Underdiagnosed Disorder
Hans S. Kooistra
DVM, Dipl ECVIM-CA, Utrecht (NL)
Introduction: The mineralocorticoid aldosterone is synthesized exclusively in the outer zone, the zona glomerulosa,
of the adrenal cortex and has two important activities: (1) It
is a major regulator of sodium homeostasis and hence extracellular fluid volume, and (2) it is a major regulator of potassium homeostasis. In response to (a tendency to) hypovolemia, renin is released from the juxtaglomerular cells in
the kidney. In the bloodstream renin acts upon its only
known substrate, angiotensinogen, to form angiotensin I.
This angiotensin I, which is physiologically inactive, is converted to angiotensin II by the action of a converting enzyme
(ACE). One of the biological actions of angiotensin II is synthesis and release of aldosterone. In addition to angiotenson
II, potassium and the pituitary hormone ACTH are involved
in aldosterone secretion.
and, thus, in permanent blindness. It is therefore of paramount importance that the diagnosis is instantly made and
an appropriate therapy is initiated at once.
The etiology of feline systemic arterial hypertension may
be quite diverse, and classically includes chronic renal disease, hyperthyroidism and hyperadrenocorticism. Only
recently, primary hyperaldosteronism has been identified as
an important cause of feline systemic arterial hypertension
(Flood et al., 1999; Javadi et al., 2005).
Feline primary hyperaldosteronism has long been considered a rare entity. Its incidence, however , may be underestimated (Ash et al., 2005; Javadi et al., 2005). Since feline
primary hyperaldosteronism has been identified as a cause
of progressive renal disease (Javadi et al., 2005), quite a
number of hyperaldosteronism cases may in the past have
been falsely attributed to progressive renal failure.
Primary Hyperaldosteronism (PHA) is a disorder of the
adrenal cortex and can be divided in two main subtypes: an
unilateral aldosterone-producing adenoma or adenocarcinoma (AP A) and bilateral adrenal hyperplasia or idiopathic
hyperaldosteronism (IHA)(Wheeler and Harris, 2003). Both
subtypes result in elevated circulating aldosterone levels.
The increased aldosterone secretion gives rise to increased
potassium excretion in the urine and thus lowers the total
body potassium concentration. In addition, it increases sodium absorption, which ultimately results in a higher circulating volume. Consequently , the main clinical symptoms of
PHA are muscle weakness due to hypokalemia and arterial
hypertension. Hypokalemia is, however , not always present
in patients with PHA. Eventually the hypertension can cause
failure of target organs like the heart, eyes and kidneys.
The occurrence of primary hyperaldosteronism may be
suspected based upon a low plasma potassium concentration, high arterial blood pressure and/or indications for
target organ failure. A specific diagnosis can be made by
measuring plasma renin activity (PRA) and plasma aldosterone concentration (P AC) and determining the ratio
between these two, i.e., the aldosterone/renin ratio (ARR).
Recently, in cats the reference values of the aldosterone
concentration (P AC) and renin activity in plasma (PRA)
have been determined and published (Javadi et al. 2004). In
case of primary hyperaldosteronism, diagnostic imaging of
the adrenals is required to differentiate between an unilateral aldosterone producing adenoma or adenocarcinoma
(APA) and bilateral adrenal hyperplasia or idiopathic hyperaldosteronism (IHA) (Rijnberk et al. 2001; Ash et al., 2005;
Javadi et al., 2005).
Systemic arterial hypertension is a relatively common
clinical entity in especially middle-aged to older cats. Arterial hypertension may lead to blinding ocular complications,
resulting from hypertensive retinopathy , hypertensive
choroidopathy and hypertensive optic neuropathy . In fact,
ocular signs such as (recurrent) intraocular haemorrhage or
acute blindness resulting from retinal detachment are often
the reason for first presentation of these hypertensive
patients to a veterinarian, and for the diagnosis to be frequently made by a veterinary ophthalmologist. If untreated,
the hypertension-induced posterior segment lesions quickly
result in irreversible damage to the retina and optic nerve
Therapy. Depending on the underlying pathology of the
primary hyperaldosteronism, a number of interventions are
available. For cats with unilateral adrenal neoplasia without
demonstrable metastases, unilateral adrenalectomy is the
treatment of choice. Cats with adrenocortical hyperplasia as
well as cats with bilateral or metastasised adrenal neoplasia
may benefit from administration of aldosterone antagonists,
such as spironolactone (Aldactone ®). However, in addition
to spironolactone drugs which lower the arterial blood pres-
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sure (e.g. calcium blocking agents such as amlodipine) and
potassium supplementation are often required to completely
normalize blood pressure and the plasma potassium concentration.
melanocyte-stimulating hormone in healthy cats. Journal of veterinary internal medicine 2004; 18: 625-31.
Javadi S, Djajadiningrat-Laanen SC, Kooistra HS, van Dongen AM, Voorhout G, van Sluijs FJ, van den Ingh TSGAM, Boer WH, Rijnberk A.
Primary hyperaldosteronism, a mediator of progressive renal disease
in cats. Domestic Animal Endocrinology 2005; 28: 85-104.
Rijnberk A, Voorhout G, Kooistra HS, van der Waarden RJ, van Sluijs FJ,
IJzer J, Boer P, Boer WH. Hyperaldosteronism in a cat with metastasised adrenocortical tumour. Veterinary Quarterly 2001; 23: 38-43.
Wheeler MH, Harris DA. Diagnosis and Management of Primary Aldosteronism. World J. Surg. 2003; 27:627-631.
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of aldosterone, cortisol, adrenocorticotropic hormone, and alpha-
Address for correspondence:
Hans Kooistra
Department of Clinical Sciences of Companion Animals
Faculty of Veterinary Medicine, Utrecht University,
The Netherlands
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Nuove tecnologie in ecocardiografia: conoscerle per
comprendere meglio la fisiopatologia cardiovascolare
Chiara Locatelli
Med Vet, Milano
Da 30 anni l’ecocardiografia riveste un ruolo sempre più
importante in medicina veterinaria nella diagnosi e nella
gestione terapeutica delle cardiopatie congenite ed acquisite
del cane e del gatto. Nell’ultimo decennio si sono sviluppate nuove tecnologie e modalità (Doppler tissutale, Strain,
Strain Rate, ecocardiografia tridimensionale ed intracardiaca) che hanno reso possibile un notevole avanzamento diagnostico nonché una migliore comprensione della fisiologia
e della fisiopatologia cardiovascolare.
L’enorme diffusione dell’ecocardiografia bidimensionale in
questi ultimi decenni ha tuttavia “appiattito” in due dimensioni la nostra considerazione della direzione di contrazione
delle fibre miocardiche, tanto da essere accettata nell’uso
comune una descrizione delle fibre miocardiche del ventricolo sinistro in due principali gruppi: quelle longitudinali
dirette dall’annulus mitralico all’apice e quelle circonferenziali responsabili della contrazione in senso radiale. È non a
caso un cardiochirur go (Francisco Torrent Guasp) che nel
1957 descrive le basi strutturali della funzione ventricolare
illustrando la teoria della “helical ventricular myocardial
band”. Egli descrive l’esistenza di un’unica banda ventricolare, disposta a doppia spirale, che parte dall’anello valvolare polmonare e che termina all’altezza dell’anello valvolare
aortico. La scoperta che la contrazione ventricolare avviene
attraverso una sequenza di attivazione che coinvolge tutta la
banda ventricolare a partire dal loop esterno e che passa poi
attraverso le fibre discendenti e quelle ascendenti del loop
interno, coinvolgendo la sistole come la prima fase della diastole in un unico meccanismo attivo, ha costretto anche ad
un ripensamento delle concezioni relative alla sistole e alla
diastole. L’analisi della direzione spaziale della contrazione
e del rilasciamento delle fibre della banda elicoidale eseguita con varie metodiche di diagnostica per immagini, dalla
radiologia alla risonanza magnetica, ha ben dimostrato il
meccanismo di torsione che queste fibre elicoidali impongono al ventricolo sia in sistole sia in diastole.
DOPPLER TISSUTALE (TDI)
Nato alla fine degli anni 80 e proposto in veterinaria all’inizio degli anni 2000 il TDI è una tecnica ecocardiografica
che consente di studiare la funzione ventricolare attraverso
lo studio delle velocità dei movimenti miocardici. Il
TDI
misura velocità basse (massimo 15/20 cm al secondo) tipiche dei movimenti delle pareti cardiache. Esistono tre diverse modalità: color M-mode, color bidimensionale e Doppler
pulsato.
STRAIN E STRAIN RATE
Sul Doppler e sul TDI si sono basate anche le prime metodiche di studio della deformazione miocardica (Strain e
Strain Rate TDI based). L’evoluzione delle tecnologie ha poi
consentito di superare alcune limitazioni intrinseche del Doppler (angolo dipendenza) e proporre nuove modalità di calcolo di questi parametri (Strain e Strain Rate 2D based).
Strain e Strain Rate 2D based
Solo con l’avvento dei sistemi 2D based si è avuta la possibilità di misurare lo strain (Sr) longitudinale, radiale e circonferenziale in modo non invasivo ed anche più semplice e
meno costoso della MRI. Il principio fondamentale che differenzia tutti questi sistemi dal sistema TDI based è quello
per cui l’algoritmo segue in ogni direzione del piano bidimensionale un punto preventivamente identificato, mentre il
sistema TDI based si basa sulla misura della velocità alla
quale si muovono i tessuti che incontrano i volumi campioni posti preventivamente in punti fissi. Le metodiche di
Strain 2D based in questo momento disponibili sono dette
di: Speckle Traking e di Border Tracking secondo il modo di
funzionamento dell’algoritmo che analizza il flusso ottico.
Basi anatomiche e fisiologiche per l’analisi
di Strain e Strain Rate 2D based
Studi di anatomia e di fisiologia sulla contrazione miocardica hanno ad oggi chiarito senza dubbi la natura spiraliforme dell’orientamento e le direzioni di contrazione e di rilasciamento delle fibre muscolari cardiache. Da alcuni secoli,
sin dall’epoca di Giovanni Antonio Borelli (1680) la contrazione ventricolare è stata descritta come un meccanismo di
torsione dei fasci muscolari orientati in modo obliquo rispetto ad un asse longitudinale, atto ad ottimizzare l’eiezione.
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L’ECOCARDIOGRAFIA 3D
L’utilizzo dell’ecocardiografia
transesofagea 3D in cardiologia
interventistica veterinaria
L’ecocardiografia tridimensionale (3D) permette di
visualizzare le strutture cardiache ed i grossi vasi in tre
dimensioni e di valutare quindi in maniera più simile alla
realtà l’anatomia cardiaca. La prima tecnica ecocardiografica 3D è stata la cosiddetta “ tecnica ricostruttiva” con la
quale venivano acquisite una serie di immagini bidimensionali, a cui seguiva un’elaborazione dei dati ottenuti con
conseguente visualizzazione delle immagini stesse in formato 3D.
Tale processo dipendeva dalla localizzazione spaziale
attraverso metodiche di “tracking” e di “locating” delle
immagini bidimensionali. Le tecniche “ricostruttive” sono
state abbandonate per la loro complessità, per l’insufficiente qualità delle immaging e perché, in quanto tecniche
“offline,” non permettevano la visualizzazione delle immagini 3D in tempo reale.
Il progresso tecnologico degli ultimi anni ha permesso lo
sviluppo di un nuovo tipo di sonde che utilizza una matrice
con approssimativamente 3000-6000 elementi e che permette la scansione di un volume tridimensionale attraverso la
modalità “phased array”. La disposizione in forma di matrice degli elementi rende possibile l’orientamento del fascio di
ultrasuoni sia lateralmente che in elevazione, anziché solo
lateralmente come nei sistemi bidimensionali. L ’acquisizione di un volume 3D si basa sulla scansione rapida di diverse linee negli assi perpendicolari: X – profondità; Y – deviazione laterale; Z – deviazione in elevazione. Le informazioni ottenute, in termini di ultrasuoni di ritorno, contribuiscono a formare un volume piramidale di dati. Il volume piramidale ottenuto contiene tutte le informazioni ecografiche
che riproducono nelle tre dimensioni l’anatomia di tutta la
struttura cardiovascolare contenuta. Da questo volume è
possibile eseguire sezioni con qualsiasi orientamento spaziale e rivedere la porzione di interesse contenuta nel volume
tridimensionale; l’immagine ottenuta con appositi software
può essere ingrandita, elaborata, misurata e osservata in
movimento.
Nei più moderni sistemi ecocardiografici, sono disponibili diverse modalità di scansione 3D: live, zoom, full volume
e color Doppler imaging.
L’ecocardiografia transesofagea bidimensionale (2D
TEE) è ormai di uso comune nei laboratori di cardiologia
interventistica umana. La capacità di valutazione delle strutture anatomiche e dei loro rapporti in modo continuo, costituisce un vantaggio rispetto alla sola angiografia. Anche in
medicina veterinaria l’ecocardiografia 2D TEE è impiegata
con successo nel monitoraggio di alcuni interventi come la
chiusura del dotto arterioso pervio (PDA) e la valvuloplastica polmonare (VPP). L ’introduzione della tecnologia 3D
anche in ambito transesofageo (3D TEE) ha permesso la
visualizzazione in tempo reale e in modo intuitivo delle
strutture cardiache e del materiale endovascolare usato nelle
procedure, superando i principali limiti della TEE 2D. Nell’ambito della cardiologia interventistica umana la 3D TEE
ha dimostrato la sua utilità in diversi tipi di interventi: chiusura percutanea di difetti interatriali, persistenza del forame
ovale, interventi percutanei sulla valvola mitralica e aortica
nonché procedure elettrofisiologiche. Le prime esperienze
del suo utilizzo nei laboratori di cardiologia interventistica
veterinaria hanno messo in evidenza la sua concreta utilità
durante alcune procedure interventistiche quali la chiusura
del PDA e la VPP, nonché nella diagnosi di alcune complicazioni post VPP e di anomalie coronariche.
L’ECOCARDIOGRAFIA INTRACARDIACA
(ICE)
Utilizzata a partire dalla fine degli anni 80 in cardiologia
interventistica umana nella guida di procedure coronariche
ha guadagnato un posto via via più importante nel monitoraggio delle principale procedure interventistiche in sostituzione alla TEE 2D attraverso la visualizzazione bidimensionale interna della strutture cardiache.
L’utilizzo dell’ICE in cardiologia
interventistica veterinaria
Le prime esperienze nei laboratori di cardiologia interventistica veterinaria hanno messo in evidenza la sua utilità
durante alcune procedure interventistiche (la chiusura PDA
e VPP) e nella diagnosi differenziale del PDA.
L’utilizzo dell’ecocardiografia transtoracica
3D in cardiologia veterinaria
Le prime esperienze nei laboratori di ecocardiografia veterinaria hanno dimostrato come il suo utilizzo possa of frire una
visualizzazione delle strutture anatomiche normali e patologiche superiore all’ecografia bi dimensione restituendo all’anatomia cardiaca la terza dimensione.
Indirizzo per la corrispondenza:
Chiara Locatelli
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano
E-mail: [email protected]
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Il veterinario e le aziende
Marco Maggi
Med Vet, Voghera (PV)
Prodotto importante = azienda importante è una similitudine dai contorni limitati. Permette di evidenziare solo la punta dell’iceberg ed impedisce al veterinario di apprezzare il
mondo sommerso. Un mondo silenzioso, che si muove in
punta di piedi. Un universo immenso, costellato da centri di
ricerca, investimenti di capitale e lavoro quotidiano di
migliaia di persone. L’obiettivo risiede nella ricerca di una
nuova molecola, di una nuova formula alimentare o di una
tecnica produttiva innovativa. L ’obiettivo è prevenire, diagnosticare e curare ciò che sino ad ieri non era diagnosticabile, prevedibile o curabile; garantire una corretta compliance del proprietario con prodotti di semplice utilizzo ed
una maggiore sicurezza per ridurre le probabilità di errore.
Percepire tali obiettivi non è semplice. Molte aziende lo
hanno compreso ed per questa motivo che sempre più spesso ricercano le collaborazioni con i veterinari impostando il
rapporto su una reciproca consapevolezza. Serve lavorare
ancora di più in tale direzione per arrivare ad una situazione di partnership riconosciuta e proficua.
Il mondo veterinario è un complesso ed intricato intreccio di figure professionali provenienti da esperienze lavorative differenti. Le aziende del farmaco, del parafarmaco, del
petfood, di diagnostica strumentale ed altre ancora, sono
parte integrante e funzionante di questo sistema, in un perfetto equilibrio tra missione e profitto. Alcune organizzate
come multinazionali, altre con dinamiche più semplici, ma
tutte comunque direttamente impegnate nel contribuire l’evoluzione del sistema veterinario. Un’evoluzione che si
modella, per ovvie ragioni, sull’impronta dei dif ferenti e
rispettivi prodotti, di qualunque natura essi siano. Le immagini proiettate all’interno delle strutture veterinarie sono
quindi, per la maggior parte delle aziende, in relazione alla
natura stessa del prodotto veicolato. Ed è giusto che sia
così. Credo sia importante sottolineare come molti di questi
prodotti abbiano modificato, negli ultimi venti anni, il sistema clinico, diagnostico e terapeutico della veterinaria italiana. Ma è proprio in questo riconoscimento che risiede il
limite percettivo del veterinario nei confronti dell’azienda.
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Management terapeutico delle epatopatie del gatto
Veronica Marchetti
Med Vet, PhD, SPCAA-GE, Pisa
Per il corretto approccio alle epatopatie feline, può essere
utile dividerle in infiammatorie, quali la colangite neutrofilica e la colangite linfocitica, e non infiammatorie di cui la
lipidosi rappresenta la più frequentemente diagnosticata. Per
un piano terap eutico idoneo è indis pensabile avere una dia gnosi di certezza che scaturisce solitamente da un esame citologico e/o istologico con informazioni su tipo ed entità di
infiltrato infiammatorio e di alterazione parenchimale. Nella
colangite neutrofilica, in assenza di un esame colturale batterico, eseguibile su bile ottenuta per colecistocentesi, è opportuno usare antibiotici che si concentrino nelle vie biliari e che
siano ef ficaci s ugli agenti eziologici più frequentemente
coinvolti (E. coli, Str. spp., Clostr spp.). Gli antibiotici di prima scelta sono amoxicillina-ac. clavulanico (12,5 mg/kg),
ampicillina (20 mg/kg/tid), enrofloxacina (5 mg/kg/die) o marbofloxacina (2 mg/kg/die), metronidazolo (10 mg/kg/bid); la
terapia antibiotica deve essere mantenuta per un min di 4
sett.1,2 Nella colangite linfocitica il farmaco di prima linea
per la terapia immunosoppressiva è il prednisolone (1-2
mg/kg/bid), ridotto nell’arco di 6-8 sett ed eventualmente
mantenuto in modo pulsato. In assenza di una buona risposta, si possono usare agenti immunosoppressivi quali ciclosporina, clorambucile o metotrexate sebbene non ci sia letteratura scientifica al riguardo 2.
Nella patologia infiammatoria epatica, sia acuta che
cronica, riveste un ruolo essenziale la terapia di supporto al
fine di limitare 1) danni cellulari 2) infiammazione 3) progressione fibrotica del danno 4) carenze di bioelementi fondamentali. Per quanto il danno epatico sia multifattoriale, i
radicali liberi sono determinanti nell’iniziazione e perpetuazione di questo e c’è il razionale per l’utilizzo degli antiossidanti. Fra questi interesse riveste l’ N-acetilcisteina (70140 mg/kg/EV diluita in fisiologica), che fornisce gruppi
sulfidrilici e i cui metaboliti stimolano la sintesi di glutatione e funzionano da scavengers dei radicali liberi. Recenti
studi sulla colangite sclerosante dell’uomo hanno dimostrato l’efficacia del suo ef fetto mucolitico nel ridurre la viscosità della bile 3. Utile è l’integrazione con α-tocoferolo (10
UI/kg/die), un antiossidante di membrana liposolubile che
nella patologia colestatica può subire un ridotto assorbimento. La somministrazione contestuale di vitamina C può avere un effetto sinergico in quanto trasforma il tocoferolo ossidato in forma attiva; tuttavia la sua integrazione è discussa
poiché può favorire i processi ossidativi legati a ferro e rame
ed il gatto è in grado di sintetizzarla. Opportuna è invece la
somministrazione parenterale della vitamina K (0,5-2
mg/kg/bid) il cui assorbimento intestinale può essere ridotto, con allungamenti del PT e dell’aPTT ed una tendenza
all’emorragia che può rappresentare un limite alle indagini
bioptiche. Solitamente 2-3 somministrazioni sono suf ficienti alla normalizzazione di questi parametri coagulativi 4.
Le vitamine idrosolubili sono stoccate normalmente nel
fegato come coenzimi in elevate concentrazioni, ma in corso di epatopatia l’aumentata richiesta, la ridotta conversione
di queste a forma attiva nonché il ridotto stoccaggio, possono richiedere la loro integrazione. Diversi studi hanno rilevato nel paziente felino una ipocobalaminemia, più frequente se con scadente stato di nutrizione e af fetto da patologie
del tratto gastroenterico, per cui si somministra vitamina
B12 (250 μg/sett sc) fino a normalizzazione della cobalaminemia4,5.
Un altro importante epatoprotettore ad ef fetto antiossidante è la silimarina, di cui la silibina è il flavonoide isomero più potente; la silimarina (20-50 mg/kg/die) inibisce la
perossidazione lipidica degli epatociti, protegge il DNAcontrollando le specie reattive dell’ossigeno, aumenta il contenuto di glutatione epatico, rallenta la formazione di collagene e inibisce il leucotriene B 4 riducendo l’attività delle cellule del Kupffer. La sua biodisponibilità orale è aumentata se
complessata con la fosfatidilcolina, fosfolipide di membrana importante nel trasporto degli acidi biliari, che ha dimostrato di incrementare l’attività collagenasica epatica con
effetto antifibrotico4.
Azione antiossidante ha anche la S-adenosilmetionina
(SAMe; 20-40 mg/kg/die) che, prodotta a partire dalla metionina, è coinvolta nella sintesi di fosfolipidi (effetto di protezione di membrana), nella sintesi di composti ad effetto antiossidante (glutatione) ed antinfiammatorio 2,4.
L’effetto antinfiammatorio si ottiene anche utilizzando
l’acido ursodeossicolico (UDCA; 10-15 mg/kg/die), un acido biliare idrofilico non tossico, che oltre ad incrementare il
flusso di bile, ha ef fetto antiossidante, antiinfiammatorio,
antifibrotico e di miglioramento della funzionalità intestinale. È altresì vero che, da uno studio recente retrospettivo su
colangiti linfocitiche, è stata evidenziata una mancanza di
correlazione positiva fra la sopravvivenza di questi pazienti
e la somministrazione di UDCA. Quindi, se da un lato ci
sono i presupposti farmacodinamici per considerare l’UD-
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CA un farmaco chiave nella terapia di queste epatopatie, dall’altro sono necessari studi prospettici per poter verificare la
sua reale efficacia2,4,6,7.
Dal punto di vista nutrizionale i gatti con colangite spesso presentano disoressia, ma salvo complicazioni, tendono
ad alimentarsi spontaneamente. La dieta dovrebbe contenere proteine molto digeribili e di elevato valore biologico
(~40% del RER), carboidrati ~20-30% e grassi (soprattutto
trigliceridi a media catena) non superiori al 20%, tenendo
conto della colestasi e della enteropatia spesso associata.
La lipidosi è un’epatopatia, in cui, oltre al dedicarsi alla
patologia primaria sottostante quando presente, è fondamentale gestire lo stato di anoressia, disidratazione e squilibrio sistemico. La priorità terapeutica sarà rappresentata
dalla somministrazione di fluidi, evitando glucosate che
esacerbano l’intolleranza al glucosio di questi pazienti che
hanno solitamente ipoinsulinemia. Poiché anche il metabolismo dei lattati può essere inadeguato, la scelta solitamente cade sulla soluzione fisiologica. L ’ipopotassiemia è correlata alla mortalità ed il potassio va monitorato giornalmente ed opportunamente integrato in base alle concentrazioni (non più di 0,5 mEq/kg/h). Le integrazioni di potassio,
così come quella di magnesio e fosforo possono, essere
gestite anche per os in quanto le soluzioni per l’alimentazione enterale sono adeguatamente integrate. Un evento
abbastanza comune è la comparsa di un’anemia da corpi di
Heinz legata al danno ossidativo sui globuli rossi su cui si
può intervenire con la somministrazione endovenosa di
antiossidanti quali acetilcisteina. Quando sia possibile la
via orale si può utilizzare SAMe e silimarina. È importante
integrare anche vitamina B12 e vitamina K, alle stesse posologie sopradette, in quanto non è raro rilevare disturbi
coagulativi e la B 12 risulta ridotta nel 40% dei gatti af fetti.
Tra gli integratori, un particolare interesse scientifico è
rivolto alla L-carnitina (250-500 mg/die per os o ev) che,
sintetizzata dal fegato, svolge un ruolo essenziale nell’entrata degli acidi grassi nel mitocondrio dove avviene la ßossidazione con la produzione di acetil-CoA e quindi di
energia. La mancata metabolizzazione dei grassi contribuirebbe, insieme alla lipolisi periferica e all’insuf ficiente utilizzo dai tessuti periferici, all’overload di trigliceridi negli
epatociti. Per quanto ci siano le evidenze che la carnitina
migliori l’ossidazione dei grassi e appaia correlata ad una
maggior sopravvivenza, non è ancora assodata scientificamente la sua efficacia nella terapia della lipidosi. Spesso la
chiave di risoluzione di questi casi risiede nell’alimentazione e nel controllo dell’anoressia. L ’alimentazione enterale
(tramite sondino nasale, sonda esofagostomica o gastrostomica) deve essere instaurata precocemente con una dieta a
contenuto proteico alto (30-40% del RER), lipidico moderato (~50%) e con carboidrati non eccedenti il 20%. È
importante somministrare solo il 10-20% del RER il primo
giorno, in 4-5 pasti, con incrementi giornalieri di ~10% per
evitare la sindrome da refeeding legata alle ridotte dimensioni dello stomaco di questi pazienti 2,4,8,9. L ’utilizzo di
antiacidi (ranitidina, famotidina) ed antiemetici (metoclopramide, maropitant) può essere utile, mentre la somministrazione di oressizzanti è discutibile soprattutto quando si
prendano in considerazione benzodiazepine o ciproeptadina
che nel gatto possono essere epatotossiche. Interessante
pare essere l’impiego della mirtazapina (2 mg/gatto ogni
3gg), un α2-antagonista recentemente studiato nel gatto, con
effetto serotoninergico, ma anche anti H 1 e H2 10.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Veronica Marchetti
Ospedale Didattico Veterinario Mario Modenato, Università di Pisa
E-mail: [email protected]
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Eziologia, inquadramento clinico e diagnosi
non strumentale delle neoplasie dell’urinario
Laura Marconato
Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Oncology), Bologna (I)
za di metastasi si rendono evidenti prima di quelli urinari. In
generale, al momento della diagnosi 16-48% di pazienti presenta metastasi a distanza (polmoni e visceri addominali).
All’esame clinico è possibile rilevare presenza di mass a
addominale in 20-40% di casi. Non è inconsueto il riscontro
di sindromi paraneoplastiche, tra cui osteopatia ipertrofica,
leucocitosi neutrofila, febbre, policitemia, ipercalcemia
maligna, parestesia toracolombare, anemia e dermatofibrosi
nodulare in caso di cistoadenocarcinoma.
I sintomi legati alla presenza di neoplasia vescicale sono
soprattutto a carico di apparato urinario: ematuria, inizialmente intermittente poi continua, disuria, pollachiuria e
incontinenza urinaria. Spesso è concomitante infezione delle
vie urinarie di durata variabile con modesta e iniziale risposta ad antibiotici. In presenza di metastasi ossee, il dolore è il
sintomo principale.
EPIDEMIOLOGIA ED EZIOPATOGENESI DI
NEOPLASIE RENALI E VESCICALI
Nel cane, i tumori renali sono secondi in ordine di frequenza, rappresentando 0,6-1,7% di tutti i tumori di apparato urinario, mentre nel gatto il linfoma renale è più frequente (0,5-0,7%), seguito da neoplasie vescicali. I tumori renali
interessano soprattutto soggetti adulti o anziani, con età
compresa tra 7 e 9 anni. La causa è sconosciuta e fattori
ambientali rilevanti nell’uomo non sembrano giocare alcun
ruolo eziopatogenetico negli animali domestici.
I tumori vescicali sono rari, rappresentando < 2% tra tutte
le neoplasie, ma tra i tumori dell’apparato urinario sono i più
frequenti nel cane, mentre nel gatto sono secondi solo a linfoma renale. Il sesso più interessato è quello femminile per la
specie canina, probabilmente da ricondurre all’atteggiamento naturale alla minzione. I cani maschi infatti tendono ad urinare più spesso per la marcatura del territorio e questo comporta più breve contatto tra mucosa vescicale e sostanze
potenzialmente cancerogene presenti nelle urine.Cani castrati e cagne sterilizzate hanno maggior rischio di sviluppare
tumori vescicali rispetto ad animali intatti, possibilmente a
causa di alterazione di diametro uretrale associato a perdita di
influenza ormonale. L ’aumentata incidenza di neoplasie
vescicali in alcune razze (ad esempio, terrier scozzese) può
essere riconducibile a fattori genetici. Nel cane il rischio di
neoplasia vescicale aumenta in maniera rilevante in seguito a
esposizione ad antiparassitari, erbicidi, nitrosamine, ciclofosfamide e in soggetti obesi. In contrasto, sembra che il consumo regolare di verdure gialle o arancioni o verdi frondose,
ricche di carotenoidi e retinolo, e l’assunzione di farmaci
antinfiammatori non steroidei abbiano effetto protettivo.
DIAGNOSI NON STRUMENTALE
L’iter diagnostico ha lo scopo di accertare la natura della
lesione mediante diagnosi dif ferenziale tra tumori e patologie non neoplastiche.
La palpazione delicata dell’addome consente di riscontare massa addominale caudale oppure, più raramente, vescica
ispessita. In caso di neoplasia uretrale, l’esplorazione rettale
può evidenziarne il coinvolgimento in 20% di casi circa.
La diagnosi non strumentale prevede l’esecuzione dei
seguenti esami.
Tra gli esami di laboratorio sono irrinunciabili emocromocitometrico e ematochimica. Riscontri comuni in caso di
neoplasia renale sono anemia, soprattutto se è presente ematuria, policitemia e leucocitosi neutrofilica. L’ematochimica
rileva spesso aumento di azotemia, creatinina e amilasi, ipercalcemia, ipergammaglobulinemia, e iperglobulinemia in
caso di infezione cronica secondaria.
L’esame del sedimento urinario consente di valutare la
presenza di eventuali cellule tumorali esfoliate, sono inoltre
spesso evidenti anche ematuria e proteinuria. Le urine devono essere raccolte preferibilmente per minzione spontanea
oppure per cateterismo, mentre la cistocentesi non è consigliata per il rischio (in caso di neoplasia vescicale) di
impianto iatrogeno di cellule tumorali lungo il tragitto dell’ago ed in corrispondenza di parete addominale. È impor-
INQUADRAMENTO CLINICO
I tumori renali provocano sintomi per lo più aspecifici,
come dimagramento, anoressia, depressione del sensorio,
alterazioni del comportamento e febbre. Se il tumore è voluminoso oppure in caso di emoperitoneo sono frequenti: distensione addominale, presenza di dolore (addome acuto) e
disoressia secondaria a compressione meccanica di massa su
intestino. Sintomi urinari comprendono ematuria, disuria e
pollacchiuria. Occasionalmente i sintomi legati alla presen-
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tante ricordare che in corso di patologia infiammatoria non
neoplastica a carico di vescica, le cellule di transizione possono assumere aspetti displastici, dando problemi interpretativi. È dunque importante essere cauti nell’emissione di diagnosi di neoplasia in presenza di flogosi. È di recente acquisizione la possibilità di ottenere citoinclusi da campioni urinari diluiti in alcol 70% con rapporto 10:1, che previa disidratazione, vengono inclusi in paraf fina e processati come
pezzi istologici. Il grande vantaggio consiste nel poter applicare colorazioni immunoistochimiche. Esame citologico o
biopsia ecoguidata di massa vescicale sono associate ad elevato rischio di impianto iatrogeno lungo il tragitto dell’ago.
La citologia renale è particolarmente utile nel differenziare lesioni neoplastiche da infiammatorie e trattandosi di un
esame poco invasivo è sempre consigliato.
La valutazione istopatologica della massa resta la tappa
cruciale per la diagnosi definitiva. I prelievi per la valutazione istopatologica possono essere raccolti per cistotomia,
cistoscopia o biopsia tramite cateterismo cruento (anche
eco-guidato), evitando, come già accennato, ogni contaminazione iatrogena. Oltre a valutazione morfologica, in qualche caso può essere necessario ricorrere a immunoistochimica (uroplachina III, citocheratina 7, citocheratina 20, survivina, COX-2).
In medicina umana all’iter diagnostico si aggiunge la
ricerca di marker tumorali. Anche in veterinaria sono stati
definiti alcuni test dall’ef ficacia tuttavia ancora incer ta.
“Bladder Tumor Antigen Test” (BTA) è un esame che rivela
la presenza di antigeni prodotti da tumore stesso oppure da
membrana basale infiltrata da cellule tumorali. Il test si basa
infatti sulla capacità di tumori vescicali invasivi di degradare la membrana basale nei suoi componenti (collagene di
tipo IV, fibronectina, laminina e proteoglicani) e di formare
quindi complessi proteici evidenziabili nelle urine. Questo
test permette di distinguere cani con alterazioni vescicali da
cani sani, senza però dif ferenziare tra neoplasia e flogosi,
dando quindi frequentemente falsi positivi in presenza di
ematuria, proteinuria e glicosuria (reperti abbastanza comuni in corso di cistiti ed uretriti). Nonostante questi limiti, il
test, se eseguito precocemente su cani a rischio, aiuta nella
diagnosi precoce di TCC e quindi nella terapia tempestiva:
risposta positiva indica infatti che esiste la necessità di ulte-
riori indagini diagnostiche, mentre risposta negativa indica
che non è necessario procedere con ulteriori indagini, dal
momento che TCC è escluso con suf ficiente garanzia. La
sensibilità di questo test è di 90%.
Altro marker è fattore di crescita fibroblastico, peptide
pro-angiogenico riscontrato nelle urine mediante tecnica
ELISA, elevato in corso di TCC e basso in cani normali o
con infezioni di vie urinarie.
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Laura Marconato
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Trattamento medico dei tumori dell’urinario
Laura Marconato
Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Oncology), Bologna (I)
2 ore successive il paziente non può urinare e deve cambiare
decubito ogni 15 minuti. Il fallimento di questi protocolli è
spesso legato a incapacità del farmaco di penetrare urotelio.
La chemioterapia sistemica si avvale dell’utilizzo di
diversi farmaci utilizzati in monochemioterapia o in combinazione. Risultati favorevoli sono stati ottenuti combinando
doxorubicina a ciclofosfamide con sopravvivenza mediana
riportata di 259 giorni, oppure antraciclina (doxorubicina o
mitoxantrone) con sale del platino (cisplatino o carboplatino) con sopravvivenza mediana di 358 giorni.
In diversi studi condotti sul cane, cisplatino somministrato in monochemioterapia alla dose di 60 mg/m2 per via endovenosa ogni 21 giorni in protocollo di diuresi determinava
soltanto remissione parziale in alcuni casi (12-25%), con
sopravvivenza mediana di 132-309 giorni. Tuttavia, anche in
assenza di riposte oggettive in termini di misurazioni ecografiche, cisplatino può migliorare la sintomatologia ed i
cani ricominciano ad urinare normalmente.
Carboplatino somministrato per via endovenosa in monochemioterapia alla dose di 260-300 mg/m 2 ogni 21 giorni ha
mostrato risposta in termini di attività antitumorale < 10%
con sopravvivenza mediana riportata di 132 giorni. Gemcitabina, utilizzata da sola o insieme ad altri chemioterapici, è
ormai diventata molecola di prima scelta per il trattamento di
tumori urogenitali dell’uomo. In cani con TCC, gemcitabina
somministrata insieme a piroxicam determinava tasso di
risposta di 26% con sopravvivenza mediana di 230 giorni.
Molecole efficaci per il trattamento di rabdomiosarcoma
sono doxorubicina e ciclofosfamide, D-actinomicina, vincristina e dacarbazina.
L’interesse suscitato dagli inibitori di COX-2 nel trattamento di TCC nasce dall’osservazione di remissioni anche
complete in alcuni cani sottoposti alla sola terapia con piroxicam per controllo del dolore.
COX-2 non è espressa nell’epitelio di vescica normale,
mentre è stata riscontrata in cellule di TCC, ad indicare suo
possibile ruolo in cancerogenesi. Inibitori di COX sono farmaci promettenti e possono essere utilizzati da soli oppure in
combinazione con chemioterapia.
Sarebbe utile poter predire quali pazienti, in conformità a
marcata espressione di COX-2 in campioni istologici o
citoinclusi, benefici di terapia con piroxicam. A questo proposito è stato condotto uno studio, in cui però non si correlava marcata immunoreattività a COX-2 con risposta a far-
TUMORI RENALI
La terapia dei tumori renali monolaterali è essenzialmente chirurgica con intento di radicalità. La radioterapia è raramente utilizzata e ha solo significato palliativo.
La chemioterapia è indicata in caso di linfoma, mentre ha
valore palliativo per gli altri tumori. A causa di precoce farmaco-resistenza (dovuta a elevata concentrazione di gP170), la chemioterapia è infatti raramente ef ficace ed il suo
ruolo è quasi sempre palliativo. Molecole utilizzabili sono
doxorubicina, eventualmente in combinazione con ciclofosfamide, gemcitabina, sali del platino, 5-fluorouracile.
Il linfoma è, almeno in fasi iniziali, chemioresponsivo, ma
sfortunatamente ha spesso prognosi infausta, poiché si accompagna a sintomi neurologici secondari a metastasi encefaliche
e tende inoltre ad evolvere in forma generalizzata.
In merito a emangiosarcoma renale, è possibile utilizzare
protocolli che includono doxorubicina sia in monochemioterapia sia in polichemioterapia.
Uno studio ha dimostrato che alcuni carcinomi renali
esprimono COX-2 e questo of fre il razionale scientifico per
l’utilizzo terapeutico di farmaci anti-COX-2.
TUMORI VESCICALI
In termini di sopravvivenza, diagnosi precoce e terapia
multimodale rappresentano senza dubbio l’approccio più
favorevole per i tumori vescicali. Dal momento che queste
neoplasie sono invasive e tendono a metastatizzare, la terapia è sempre e soltanto palliativa. Attualmente i risultati più
promettenti si ottengono combinando chemioterapia a terapia con farmaci antinfiammatori non steroidei, tuttavia sono
incoraggianti i risultati preliminari di uno studio pilota in cui
si associavano chemioterapia e radioterapia.
La chemioterapia per carcinoma uroteliale (TCC) può
essere utilizzata sia per via topica (locale) sia per via sistemica. La chemioterapia locale è indicata solo se il tumore è
molto superficiale e non raggiunge strato muscolare. Chemioterapici ef ficaci per instillazione intravescicale sono
mitomicina C, BCG, tiotepa, paclitaxel, 5-fluorouridina e
gemcitabina. La procedura prevede svuotamento di vescica,
poi instillazione del farmaco e, al fine di garantire massima
esposizione di parete vescicale a chemioterapico, durante le
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maci inibitori di COX-2. In un lavoro, piroxicam somministrato in 34 cani con TCC, dava risposte incoraggianti riassumibili in 2 remissioni complete, 4 remissioni parziali, 18
stabilizzazioni e 10 progressioni tumorali, con sopravvivenza mediana di 180 giorni. In uno studio, se somministrato
insieme a piroxicam, cisplatino dava risultati migliori in termini di percentuale di remissione (71%) rispetto a cisplatino
utilizzato in monochemioterapia (<20%), anche se la
sopravvivenza mediana era paragonabile (rispettivamente
246 giorni e 309 giorni). Trattandosi di due farmaci potenzialmente nefrotossici, è necessario monitorare costantemente funzionalità renale. Per ridurre tossicità renale, uno
studio successivo valutava sicurezza ed ef ficacia di piroxicam e cisplatino somministrato alla dose di 40-50 mg/m2.
Nonostante la dose ridotta, tossicità renale e gastroenterica
erano considerate moderate/ gravi, e soltanto un cane otteneva remissione parziale.
Anche carboplatino somministrato insieme a piroxicam
dava in un gruppo di cani risposte favorevoli (5 remissioni
parziali) senza nefrotossicità. In un altro studio condotto su
31 cani la percentuale di remissione raggiungeva 40%,
anche se la sopravvivenza mediana non ne traeva particolare beneficio (196 giorni dalla diagnosi rispetto a 180 giorni
con solo piroxicam e 132 giorni con solo carboplatino).
La combinazione piroxicam- mitoxantrone (quest’ultimo
somministrato per via endovenosa alla dose di 5 mg/m2 ogni
21 giorni per 4 trattamenti totali) dava risultati migliori
rispetto a terapia con solo piroxicam, sia in termini di percentuale di risposta (36% contro 17%) sia di sopravvivenza
mediana (291 giorni contro 180 giorni, rispettivamente).
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Indirizzo per la corrispondenza:
Laura Marconato
E-mail: [email protected]
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Citologia epatica: passato, presente e futuro
Carlo Masserdotti
Med Vet, Dipl ECVCP, Spec Bioch Clin ITD, Brescia
CENNI DI MICROANATOMIA EPATICA. Il fegato è
costituito da un rapporto complesso tra gli epatociti, un
sistema di vascolarizzazione venosa ed arteriosa, provenienti rispettivamente dalla vena porta e dall’arteria epatica e da
un sistema di capillari, che trasporta la bile dagli epatociti
alla cistifellea ed all’intestino. Il sangue portale arterioso e
venoso, proveniente rispettivamente dall’arteria epatica e
dalla vena porta, scorre all’interno di vasi sinusoidi, delimitati da cellule endoteliali il cui citoplasma fenestrato permette il passaggio di soluti e molecole plasmatiche con diametro fino a ca. 1000 Å e che conseguentemente favorisce
gli scambi metabolici con gli epatociti; le cellule endoteliali
sono separate dagli epatociti dallo spazio di Disse, una sottile intercapedine supportata da un quantitativo minimo di
fibrille collagene, soprattutto di tipo I e III, oltre che da
molecole di proteoglicani o glicoproteine, quali fibronectina
e laminina, complessivamente identificate con il termine di
matrice extracellulare (ECM). A ridosso delle fenestrature
dei capillari sinusoidi, nel versante vascolare, si localizzano
le cellule di Kupf fer, macrofagi epatici specializzati e rari
elementi linfocitari, mentre nel lume dello spazio di Disse
sono situate le cellule stellate, che immagazzinano vitamina
A e rappresentano cellule ef fettrici nei processi di fibrosi e
rari mastociti, soprattutto in corrispondenza dei segmenti
centrolobulari. I vasi sinusoidi delimitano le filiere di epatociti, la cui superficie citoplasmatica ef fettua attivi scambi
metabolici con il materiale plasmatico che filtra dalle fenestrature. Il sangue, scorrendo nei sinusoidi, e dopo aver operato gli scambi metabolici con gli epatociti, raggiunge il
lume della vena centrolobulare, dal quale viene immesso nel
circolo venoso epatico per uscirne tramite la vena epatica,
che a sua volta si getta nella vena cava caudale. A fronte di
un flusso ematico che percola i sinusoidi con direzione porto-centrale, esiste un flusso con direzione opposta, che trasporta invece la bile, uno dei principali prodotti di secrezione del fegato, dagli epatociti verso lo spazio portale, dapprima attraverso sottili canalicoli biliari tra gli epatociti, successivamente in piccoli dotti periportali delimitati da cellule
cuboidali e da epatociti, detti canali di Hering, che raggiungono il vaso biliare localizzato nel contesto dello spazio portale e delimitato a sua volta da cellule cuboidali o colonnari.
citologici ed alterazioni istopatologiche corrispondenti hanno permesso di perfezionare i risultati dell’indagine citologica. Nello studio della citopatologia epatica è necessario
anzitutto saperne riconoscere i limiti, poiché essa ha modesta applicazione pratica nella gestione di alcune malattie
quali i disordini di circolo, alcune forme infiammatorie o nel
riconoscimento delle alterazioni congenite, dove è necessaria la precisazione istologica.
Il passato. Gli anni romantici della citologia veterinaria
in Italia, tra la fine degli anni ottanta e novanta, sono stati
caratterizzati dall’entusiasmo e dalla pervicacia dei suoi esecutori; purtroppo la citologia epatica si basava necessariamente su prelievi eseguiti su basi di anatomia topografica,
che obbligavano l’esecuzione di prelievi di parenchima epatico senza il supporto dell’ecoguida e conseguentemente
senza la possibilità di eseguire campionamenti mirati a lesioni focali od in aree di interesse patologico; inoltre erano
modeste le conoscenze relative alle condizioni patologiche
rilevabili con tecniche così sommarie. Su basi di questo tipo
è stato in ogni caso possibile emettere considerazioni diagnostiche con l’esame citologico per alcune condizioni che
coinvolgevano in toto il parenchima epatico, quali malattie
infiammatorie suppurative settiche, degenerative, l’amiloidosi ed alcune neoplasie, quali il linfoma.
Il presente. Lo stato attuale della citologia epatica riconosce nelle tecniche di prelievo ecoguidato ed all’approfondimento basato sul raffronto con i risultati della diagnostica
istopatologica il suo supporto più importante. Il livello
odierno di conoscenza ha permesso di approfondire i concetti relativi a molte condizioni basate su criteri morfologici. Alcuni esempi sono rappresentanti dalle seguenti considerazioni:
- epatopatia vacuolare: anzitutto si precisa che le principali
condizioni definite con questo termine in realtà non sono
caratterizzate da una vacuolizzazione effettiva del citoplasma, se con questo termine si vuole identificare la presenza di compartimenti citoplasmatici delimitati da membrana. In realtà l’accumulo di glicogeno e di lipidi citoplasmatici, conosciuti con i termini di epatopatia steroidoindotta e di steatosi sono costituite da un accumulo citoplasmatico di materiale privo di contenimento membranario. Il significato fisiopatologico di queste condizioni è
CITOPATOLOGIA EP ATICA. L ’evoluzione scientifica,
la conoscenza delle malattie epatiche e il raffronto tra quadri
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definito comunemente come “danno epatocellulare reversibile” ed associato a specifiche cause.
condizioni di accumulo citoplasmatico di materiale granulare sono attualmente perfezionate da metodi di colorazione speciale che ne permettono la dif ferenziazione precisa; su questa base è quindi possibile dif ferenziare l’accumulo di pigmento lipofuscinico dal pigmento ferrico,
dalla bile o dai granuli di rame. La verifica della natura
dei pigmenti intracitoplasmatici ha ridimensionato il rilievo inerente la stasi biliare intracitoplasmatica, cui per lungo tempo sono stati attribuiti granuli di pigmento di altra
natura.
l’apoptosi e la necrosi sono condizioni mediate da numerose cause, tra cui l’ipossia, l’assorbimento di tossine, l’azione patogena di micror ganismi ed i fenomeni immunitari. Morfologicamente l’apoptosi è caratterizzata da citoplasma eosinofilo di dimensioni diminuite e da nucleo
picnotico, mentre la necrosi è rappresentata da accumulo
di detrito cellulare e da perdita dei connotati cellulari.
i quadri flogistici sono facili da riconoscere, benché si raccomandi sempre cautela nell’esclusione di possibili inquinamenti ematici e conseguentemente di un ruolo erroneamente flogistico attribuito a leucociti circolanti, talora
numerosi; oltre a ciò è necessario tenere in debita considerazione la possibilità che in sede epatica si localizzino
foci di mielopoiesi extramedullare. In generale comunque
è facile riconoscere la flogosi suppurativa ed eventuali
agenti eziologici responsabili, la flogosi eosinofilica e linfocitaria.
le neoplasie epatiche sono frequente oggetto di indagine
citologica e la valenza di questo metodo nella diagnosi è
elevata, benché sussistano dif ficoltà oggettive nella
distinzione tra forme nodulari iperplastiche, adenoma
epatocellulare ed epatocarcinoma ben differenziato.
tamente sostituita dalle più solide basi diagnostiche fornite
dall’istopatologia? Solo se la citologia dimostrerà di competere con il potere diagnostico dell’istopatologia, essa potrà far
valere i suoi vantaggi innegabili, basati fondamentalmente
sull’invasività minima, sui rischi moderati, sui tempi di realizzo e sui costi contenuti. Di seguito alcune condizioni che
potrebbero rappresentare un campo di applicazione utile:
- distinzione tra lipidosi micro e macrovescicolare; essendo
la steatosi una condizione causata da numerose cause primarie, molto dissimili tra loro, questo campo di sviluppo,
basandosi soprattutto sull’associazione con i rilievi clinici e laboratoristici, potrebbe contribuire all’identificazione di cause specifiche per le due condizioni.
- distinzione tra noduli iperplastici, adenoma epatocellulare
ed epatocarcinoma ben dif ferenziato: tradizionalmente si
descrivono le tre condizioni come di dif ficile distinzione
morfologica, poiché caratterizzate da rilievi analoghi, ma
dal riconoscimento delle quali dipendono comportamenti
terapeutici ed attese prognostiche molto diverse; compito
del citologo sarà quello di ottimizzare la valutazione morfologica ed individuare aspetti inediti, peculiari per ciascuna condizione che gli permettano l’emissione di considerazioni concrete nella distinzione tra le condizioni.
- caratterizzazione della fibrosi: il patrimonio morfologico
a disposizione del citopatologo è attualmente perfezionato dai caratteri di riconoscimento della fibrosi; i reperti
relativi a questo processo patologico, di recente descrizione e meritevoli di approfondimento, sono costituiti dall’evidenza di cellule fusate che interconnettono lembi di epitelio epatocitario.
BIBLIOGRAFIA. A disposizione presso l’autore
[email protected]
Il futuro. Quale futuro si prospetta per la citologia epatica in campo veterinario? Assumeranno importanza clinica gli
sforzi tesi al miglioramento della diagnostica delle malattie
epatiche tramite indagine citologica oppure essa verrà grada-
Indirizzo per la corrispondenza:
Carlo Masserdotti
E-mail: [email protected]
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Fibrosi epatica: il contributo della citologia
Carlo Masserdotti
Med Vet, Dipl ECVCP, Spec Bioch Clin ITD, Brescia
Walter Bertazzolo, Med Vet, Dipl ECVCP, Lodi
INTRODUZIONE. I processi di fibrosi epatica rappresentano l’esito di numerose condizioni di flogosi cronica. Le
cause sono numerose e gli esiti evidenziano fenomeni progressivi che possono condurre allo sviluppo di stati molto
gravi quali la cirrosi epatica. Solo l’esame istopatologico del
parenchima epatico è in grado di rilevare la presenza di
fibrosi, benché talora si renda indispensabile l’utilizzo di
colorazioni speciali, quali la Tricromica di Goldner, soprattutto per individuarne con precisione il grado e l’estensione.
Tuttavia l’esecuzione dell’indagine istopatologica richiede
interventi invasivi di prelievo, quali l’esecuzione di tecniche
di biopsia chirurgica, oppure l’utilizzo di manovre di biopsia
ecoguidata tramite ago tru-cut. Gli svantaggi di queste tecniche comprendono, nel primo caso, soprattutto la dif ficoltà
nella gestione anestesiologica e chirurgica di pazienti critici
e, nel secondo caso, l’esecuzione di campionamenti non diagnostici. Scarsi e aspecifici i dati pubblicati in ambito veterinario inerenti l’ar gomento: alcuni autori hanno segnalato
aspetti di colestasi come unico segno citologico rilevato in
corso di fibrosi , altri si limitano a descrivere la presenza di
“fibrosi” in assenza di specifiche indicazioni morfologiche
inerenti a tale rilievo. L’esame citologico, scarsamente invasivo e di facile esecuzione, può essere individuato come tecnica utile nel rilevare processi di fibrosi, fino ad oggi non
ancora descritti dalla bibliografia veterinaria.
plasma poligonale o rotondeggiante interessato da fenomeni
lievi di degenerazione di tipo glicogenosico o steatosico e
talora dall’accumulo di pigmento di tipo lipofuscinico; sono
presenti aspetti di stasi biliare extracitoplasmatica. Il nucleo
è rotondo, lievemente dismetrico, a cromatina finemente
irregolare mononucleolato. Gli epatociti si or ganizzano in
lembi bidimensionali frequentemente interconnessi da ponti
di cellule fusate, disposte in filiere mono o bicellulari, a citoplasma eosinofilo, talora ingombrato da granulazione eosinofila o nerastra e nucleo ovoidale a cromatina finemente
dispersa; occasionalmente piccoli gruppi di epatociti risultano circondati da fasci di cellule fusate. In tutti i casi si rileva la presenza di cellularità flogistica in quantitativo variabile, rappresentata da granulociti neutrofili, da elementi linfoplasmocellulari, da macrofagi e da mastociti, quest’ultimi
localizzati soprattutto in corrispondenza del decorso delle
cellule fusate descritte.
Nel Gruppo 2 sono stati arruolati 8 cani, i cui dati anamnestici, sintomatologici e la diagnosi istologica sono elencati in
tabella n°2. I campioni citologici evidenziano ottima cellularità, costituita da epatociti a citoplasma rotondeggiante o poligonale, di aspetto basofilo finemente reticolato od interessato
da fenomeni lievi (2 casi) o moderati (1 caso) di degenerazione glicogenosica o lipidosica (1 caso) e dall’accumulo di pigmento lipofuscinico (3 casi), organizzati in lembi bi-tridimensionali. In un caso sono stati individuati aspetti citologici di
atipia, nuclei nudi e distribuzione degli epatociti in trabecole
irregolari. In tutti i campioni sono stati rilevati numeri variabili di elementi flogistici, tra i quali rarissimi mastociti in due
di essi. L ’osservazione citologica dei cani-controllo non ha
evidenziato presenza di cellule fusate, se non in numero estremamente esiguo ed in un unico campione.
La valutazione comparativa tra i casi interessati da fenomeni di fibrosi ed i casi controllo, individua come dato fondamentale un numero significativamente superiore di cellule fusate osservate nel gruppo 1 rispetto al gruppo 2
(p<0,0001). A tale rilievo si aggiunge un numero significativamente più elevato di mastociti (p<0,0012) ed un numero
inferiore di granulociti neutrofili (p<0,04) osservati nei casi
interessati da fibrosi rispetto ai casi controllo.
Per ogni campione istologico esaminato l’utilizzo della
colorazione istochimica Tricromica di Goldner ha permesso
di confermare i rilievi morfologici relativi a condizioni di
fibrosi, identificabili nella presenza di fasci di tessuto con-
ESAME CITOLOGICO E COMP ARAZIONE ISTOPATOLOGICA. Allo scopo di descrivere i caratteri citomorfologici della fibrosi epatica, sono stati analizzati gli allestimenti citologici provenienti dall’agoinfissione del parenchima epatico di 1 1 cani, af fetti da epatopatia, per ognuno dei
quali è stato eseguito campionamento bioptico e di cui l’esame istopatologico evidenziava fenomeni di fibrosi epatica.
Come casi controllo sono stati valutati 8 cani interessati da
condizioni cliniche non coinvolgenti il fegato (neoplasie, per
le quali si richiedeva la stadiazione clinica tramite campionamento del tessuto epatico) od af fetti da malattie epatiche,
individuate tramite indagine clinica e rilievi di laboratorio
(esame emocromocitometrico, esame biochimico, esame
delle urine), dal cui esame istologico, non si rilevava la presenza di fenomeni di fibrosi.
RISULTATI. L’osservazione citologica degli 1 1 cani evidenzia ottima cellularità, rappresentata da epatociti a cito-
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Figura 1 - Epatociti a citoplasma
rotondeggiante debolmente basofilo e nucleo rotondo a cromatina
compatta, interconnessi da ponti
di cellule fusate a citoplasma eosinofilo e nucleo ovoide (May-Grünwald Giemsa; 100X)
ri, che ne identificano l’aspetto fusato, talora stellato, riconducibile ai tipi cellulari precedentemente elencati ed identificati nei processi fibrogenetici. L’analisi statistica sottolinea
il numero significativamente maggiore (p<0,0001) di elementi fusati nel gruppo di cani con fibrosi rispetto al gruppo
di controllo, avvalorato da una conta del numero degli epatociti simile per i due gruppi. A questi rilievi si associa il
reperto particolarmente interessante relativo all’individuazione di elementi mastocitari; la bibliografia scientifica attribuisce a queste cellule un ruolo chiave sia nei processi di
fibrosi sia in corso di fenomeni flogistici acuti. In particolare, in corso di fibrosi, essi promuovono la crescita dei fibroblasti e stimolano la produzione di matrice extracellulare da
parte delle cellule stellate; è inoltre riconosciuto un loro ruolo importante nei processi di capillarizzazione sinusoidale.
Il riscontro morfologico dei mastociti rappresenta, oltre
ad un corollario morfologico dei processi di fibrosi, un motivo importante per ridimensionare la presenza di queste cellule nel parenchima epatico, soprattutto nei casi in cui si eseguono stadiazioni cliniche alla ricerca di metastasi splancniche di mastocitomi cutanei.
I reperti morfologici descritti non sono in grado di fornire
indicazioni circa l’estensione ed il grado di attivazione dei
processi di fibrosi, per i quali è indispensabile l’indagine
istopatologica.
nettivale di calibro variabile, che con tale metodo assumono
colorazione verde brillante.
DISCUSSIONE. La fibrosi epatica è identificata come
incremento dei componenti della matrice extracellulare, tra i
quali collagene, glicoproteine strutturali e proteoglicani e
rappresenta un processo di riparazione cicatriziale parenchimale ad una varietà di stimoli flogistici, quali infezioni persistenti, reazioni autoimmuni, insulti chimici e danno tissutale11. I meccanismi di insorgenza e progressione prevedono
tradizionalmente l’attivazione delle cellule epatiche stellate,
dette anche cellule di Ito e la loro transdif ferenziazione in
miofibroblasti. Questa trasformazione conferisce alle cellule
di Ito aspetto fusato, potenzialità contrattili, per incremento
citoplasmatico di actina liscia, e capacità di secernere un
ampio spettro di componenti della matrice extracellulare,
numerose citochine pro ed antinfiammatorie e fattori di crescita; conseguentemente si innesca un’evoluzione complessa, che, dall’iniziale attivazione delle popolazioni cellulari
descritte, attraverso la deposizione di matrice extracellulare,
porta alla formazione di fasci di connettivo tra gli epatociti,
che si evidenzia morfologicamente con sviluppi microanatomici variabili, rappresentati da estensioni porto-portali, sottese tra due spazi portali adiacenti, porto-centrali, sottese tra
uno spazio portale ed il corrispettivo vaso centrolobulare o
centro-centrali, sottese tra due aree centrolobulari. È definito con il termine di cirrosi, la progressione di un processo di
fibrosi, che causa la conversione della normale architettura
epatica in noduli irregolari e lo stabilirsi di anastomosi
vascolari porto-centrali.
Citologicamente questo studio identifica come markers
attendibili di fibrosi epatica la presenza di elementi mesenchimali or ganizzati in fasci di calibro variabile, sottesi tra
gruppi di epatociti; gli elementi descritti presentano caratte-
BIBLIOGRAFIA. A disposizione presso l’autore
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Indirizzo per la corrispondenza:
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Analisi morfologica dell’accumulo patologico
citoplasmatico
Carlo Masserdotti
Med Vet, Dipl ECVCP, Spec Bioch Clin ITD, Brescia
INTRODUZIONE. L’epatocita è una cellula caratterizzata normalmente da citoplasma debolmente basofilo, finemente reticolato; alterazioni cromatiche o morfologiche del
citoplasma sono un reperto relativamente frequente. L’analisi delle alterazioni morfologiche permette frequentemente di
associare un determinato rilievo alle cause che lo hanno
determinato; in altri casi invece è necessario individuare criteri oggettivi per il riconoscimento della sua natura. In questi casi oltre alla morfologia, ottenibile dalla tecniche routinarie di colorazione, può rendersi necessario l’utilizzo di
colorazioni speciali: esse possono essere ef ficacemente realizzabili anche su campioni citologici fissati all’aria.
il danno mitocondriale su base tossica e alcune condizioni
metaboliche quali il diabete e disordini a carico del metabolismo delle lipoproteine.
Granuli di lipofuscina. Sono estremamente frequenti,
identificabili nel fegato normale o in epatociti interessati da
modesto danno reversibile ed aspecifico: essi sono prodotti
come conseguenza della perossidazione dei lipidi provenienti dalle membrane di organuli citoplasmatici sottoposti a
distruzione, quali soprattutto frammenti di reticolo endoplasmatico o vacuoli lisosomiali. Questo materiale può essere
reperito anche nelle cellule di Kupf fer, con caratteri morfologici e cromatici analoghi ed in questo caso viene definito
con il termine di “pigmento ceroide”: esso si produce per
processi del tutto analoghi, benché possa esprimere anche
fenomeni di necrosi epatocitaria. Nei casi dubbi, quando è
possibile confonderne la presenza con fenomeni di accumulo biliare citoplasmatico, la colorazione di Ziehl Neelsen
conferisce loro un cromatismo basofilo.
MORFOLOGIA PATOLOGICA DELLE ALTERAZIONI
CITOPLASMATICHE. Di seguito verranno descritti alcuni
rilievi morfologici di frequente riscontro nella pratica citologica. Per ogni materiale descritto viene sottinteso che esso
sia presente nel citoplasma in quantitativo superiore alla norma e sufficiente per renderlo morfologicamente rilevabile.
Acqua. L’accumulo di acqua nel citoplasma è definito con
il termine di “degenerazione idropica”; essa è rappresentata
da rarefazione della basofilia citoplasmatica. Questa condizione consegue a modesto danno epatocellulare, generalmente determinato da condizioni tossiche od ipossiche, cui
consegue un’alterazione membranaria ed una diminuzione
nella capacità di controllare gli scambi idrici.
Ferro. Il ferro può accumularsi negli epatociti, sotto forma
di granuli giallo-brunastri, o nelle cellule di Kupffer come zolle bruno nerastre, in conseguenza ad aumentato turn-over eritrocitario, emolisi o somministrazione esogena di ferro; esistono descrizioni bibliografiche che individuano fenomeni di
accumulo di ferro citoplasmatico epatocitario come conseguenza di trasfusioni ripetute per lunghi periodi. È definita con
il termine di “emocromatosi” una condizione clinicamente
manifesta determinata dall’accumulo patologico di ferro nel
citoplasma di alcuni tessuti, tra cui il fegato ed il muscolo.
Glicogeno. L’aumento del glicogeno citoplasmatico è virtualmente indistinguibile dalla degenerazione idropica e
solo colorazioni speciali, quali il P AS ed il P AS D, ne permettono il riconoscimento. L’accumulo di glicogeno consegue generalmente ad iperincrezione di cortisolo o ad uso
iatrogeno di corticosteroidi, tanto da conferire a questa condizione il termine di “epatopatia steroido-indotta”.
Rame. Tra le malattie da accumulo, la cosiddetta “hepatic
copper toxicosis” rappresenta una grave condizione progressiva, causata da almeno tre meccanismi: un immagazzinamento patologico del rame citoplasmatico conseguente a
disordini metabolici su base genetica, un’alterazione della
capacità di escrezione, che avviene normalmente con la bile
ed un’eccessiva assunzione alimentare. Tale accumulo determina gravi alterazioni del metabolismo dell’epatocita per
effetto delle proprietà ossidative del rame e dell’azione dannosa di radicali liberi sui componenti cellulari; al danno epatocellulare possono conseguire alterazioni strutturali del
parenchima epatico, quali necrosi focali, flogosi, fibrosi,
sino allo sviluppo di epatiti croniche con insor genza di
Lipidi. L’accumulo citoplasmatico di materiale lipidico,
denominato steatosi, è facile da riconoscere poiché caratterizzato dall’accumulo di globuli acromatici a mar gini netti;
si distingue una steatosi microvescicolare, costituita da globuli di diametro inferiore a quello nucleare, da una steatosi
macrovescicolare, con globuli di diametro uguale o superiore a quello del nucleo. Sono numerose le cause di questo
danno epatocellulare, tra cui il digiuno prolungato, l’ipossia,
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insufficienza epatica. In quanto malattia su base genetica
essa è descritta come disordine autosomico recessivo nel
Bedlington terrier e come epatopatia familiare in altre razze
canine, tra le quali è stato descritto il West Highland Withe
terrier, il Dobermann Pincher , il Labrador retriever , il Dalmata, e lo Skye terrier . Nel gatto, in un Siamese, è stato
riportato un singolo caso di epatopatia con aumento della
concentrazione epatica di rame: generalmente in questa specie animale lo sviluppo della malattia è estremamente raro.
Sono almeno due i metodi per ottenere una diagnosi definitiva di malattia da accumulo di rame ed in entrambi i casi
sono necessari frammenti bioptici di dimensioni idonee: la
diagnosi istopatologica è basata sul riconoscimento dei granuli di rame intracitoplasmatici e sulla distribuzione delle
lesioni; il riconoscimento del rame, quando morfologicamente dubbio o controverso, è ottenibile con la colorazione
speciale di rodamina, che conferisce al rame stesso una tonalità arancio-rugginosa. La diagnosi tossicologica è un metodo complesso, non realizzabile nei laboratori convenzionali,
che si basa su tecniche di assorbimento atomico. È scarsamente utilizzabile nella pratica clinica, soprattutto perché
nel cane gli intervalli di riferimento sono molto ampi, tra le
150 e le 500 parti per milione su peso secco (ppm dw), benché alcuni report indichino range ancora più ampi, tra le 150
ppm dw e le 6800 ppm dw.
I caratteri citologici dell’accumulo di rame sono caratterizzati dalla presenza di granulazione simil-cristallina a profilo angolato di cromatismo variabilmente basofilo.
Nei casi dubbi la natura dei granuli citoplasmatici può
essere confermata su campioni citologici con l’impiego della colorazione di rodamina, che conferisce loro un cromatismo bruno-rugginoso. La positività citoplasmatica non è
diagnostica di intossicazione da rame ma semplicemente
identifica un accumulo del metallo nei lisosomi: spetta alle
valutazioni cliniche, alla distribuzione microanatomica ed
infine eventualmente al dosaggio tramite metodi di assorbimento atomico attribuire un ruolo patogenetico al rilievo
oppure considerarlo una conseguenza di malattie primarie
diverse, quali, soprattutto la colestasi.
Bile. Raramente è possibile osservare accumulo di bile
intracitoplasmatica, rappresentata da zolle irregolari bluverdastre; più frequente e facile da identificare è l’accumulo extracitoplasmatico, rappresentato da stampi ramificati di
materiale verdastro, localizzati tra i profili delle membrane
epatocitarie. In altri casi ancora l’accumulo di bile conferisce all’epatocita l’aspetto della cosidetta “feathery degeneration” rappresentata da rarefazione irregolare del citoplasma.Nei casi dubbi è necessario ricorrere a colorazioni speciali per il riconoscimento della bile, quale la Fouchet-V an
Gieson.
Inclusi eosinofili. Sono riconoscibili come piccoli globuli intensamente eosinofili, dispersi in piccolo numero nel
citoplasma e sono ascrivibili ad accumulo di α1 anti-tripsina, di citocheratine degenerate (corpi di Mallory) di fibrinogeno o di immunoglobuline. Per il loro riconoscimento definitivo sono indispensabili indagini di tipo immunocitochimico od immunoistochimico.
Inclusi ialini. Sono molto rari e sono rappresentati da
globuli debolmente basofili a profilo rotondeggiante o poligonale; essi costituiscono un accumulo citoplasmatico di
materiale proteinaceo proveniente dal plasma, come conseguenza di fenomeni ischemici, di shock o di danneggiamento epatocellulare; l’utilizzo delle principali tecniche di
colorazione istochimica od immunoistochimica fallisce nell’attribuire loro una esatta natura. La microscopia elettronica è il mezzo ideale per riconoscerne le caratteristiche ultrastrutturali.
BIBLIOGRAFIA. A disposizione presso l’autore
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Epatocarcinoma ben differenziato:
una diagnosi difficile
Carlo Masserdotti
Med Vet, Dipl ECVCP, Spec Bioch Clin ITD, Brescia
Michele Drigo, Med Vet, PhD, Padova
INTRODUZIONE. L’epatocarcinoma è la neoplasia epiteliale epatica più frequente, colpisce soprattutto il cane, di età
media od anziana e più frequentemente il maschio della femmina, senza predisposizioni di razza. La bibliografia vigente
sull’argomento concorda sul fatto che una diagnosi citologica
corretta di epatocarcinoma non è sempre agevole, poiché esso,
nelle sue manifestazioni morfologiche, può annoverare caratteri che rappresentano la conseguenza di gradi di dif ferenziazione variabili, ed essere costituito oltre che da elementi epiteliali
con evidenti aspetti di malignità, anche dalla proliferazione di
epatociti di aspetto relativamente normale; addirittura esistono
difficoltà oggettive nella diagnosi dif ferenziale tra noduli iperplastici, adenoma epatocellulare e carcinoma epatocellulare ben
differenziato. Sulla base di questa difficoltà, si rende necessaria
la compilazione di criteri morfologici che permettano l’emissione di una diagnosi corretta, quando in un campione citologico mancano i classici criteri di atipia.
TABELLA 1 - Caratteri citologici valutati
per ogni campione
Caratteri citomorfologici
MATERIALI E METODI. L’obiettivo di questa relazione è
di presentare una serie di criteri citomorfologici utili nella diagnosi dell’epatocarcinoma ben differenziato; a tale scopo sono
stati selezionati quindici campioni citologici di tessuto epatico,
proveniente da cani af fetti da lesioni nodulari epatiche, la cui
diagnosi istologica definitiva è stata appunto di epatocarcinoma
ben differenziato; ogni campione è stato ottenuto tramite manovra di FNCS (Fine Needle Capillary Sampling) della massa
epatica, utilizzando, sotto guida ecografica, un ago spinale di 25
Gauge; i campioni sono stati colorati con metodo di May Grünwald-Giemsa. Sulla base di dati precedentemente pubblicati in
letteratura umana è stata compilata una lista di caratteri citomorfologici (Tabella 1); ogni campione è stato quindi sottoposto ad indagine morfologica ed alla valutazione di almeno 20
aree selezionate random a 400X attribuendo ad ogni campione
citologico un valore quantitativo o qualitativo che esprimesse la
manifestazione di ciascun carattere. A scopo comparativo sono
stati prelevati e valutati analogamente 15 campioni citologici
provenienti da tessuto epatico privo di alterazioni neoplastiche.
Tutte e 15 le masse epatiche sono state escisse chirurgicamente
e sottoposte a valutazione istologica; i 15 pazienti-controllo
sono stati invece sottoposti a biopsia tramite tru-cut. I dati sono
stati analizzati come frequenza di score; per ogni carattere citologico osservato è stata analizzata la differenza tra i due gruppi
utilizzando il test non parametrico di Mann-W ithney. È stato
considerato significativo un valore di p<0.05.
278
Sfondo
Detrito proteinaceo
Fondo ematico
Stampi di materiale biliare
Necrosi
Cellularità
Architetture
Trabecole
Filiere
Acini
Disaggregazione
Palizzate
Fibrosi
Assi capillari
Caratteri
citoplasmatici
Basofilia citoplasmatica
Lipofuscina
Steatosi
Glicogeno/acqua
Inclusi citoplasmatici
Anisocitosi
N/C
Caratteri nucleari
Anisocariosi
Distribuzione della cromatina
Irregolarità del profilo nucleare
Pseudoinclusi nucleari
Eccentricità del nucleo
Nuclei multipli
Mitosi
Nucleoli
Nuclei nudi
Flogosi
Neutrofilica
Macrofagica
Linfoplasmocellulare
Eosinofilica
Mastocitaria
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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
RISULTATI. I criteri citologici risultati essere significativi
nell’identificazione dell’epatocarcinoma ben dif ferenziato
sono la presenza di necrosi (5 casi su 15; p=0,016), disposizioni acinari (4 casi su 15; p=0,035) ed in palizzata (8 casi su
15; p= 0,001), disaggregazione cellulare (3 casi su 15;
p<0,001) e presenza di assi capillari tra i clusters epiteliali (5
casi su 15; p=0,016). La presenza di nuclei nudi che circondano i clusters (15 casi su 15; p<0,001), anisocariosi lieve(10
casi su 15; p=0,004), aumento del rapporto N/C (9 casi su 15;
p<0,001) e nuclei multipli (9 casi su 15; p<0,001) sono risultati di grande importanza diagnostica, mentre altri criteri di
atipia, quali basofilia citoplasmatica (p= 0,277), irregolarità
della distribuzione della cromatina (p=0,073), irregolarità del
profilo nucleare (p= 0,148) e presenza di mitosi (p= 0,15) si
sono rivelati statisticamente non significativi.
Figura 1 - Aggregati di epatociti neoplastici alla cui periferia si
accumulano nuclei nudi.
DISCUSSIONE. La necrosi si presenta come detrito
amorfo variabilmente eosinofilo disperso tra le cellule e, in
corso di molte neoplasie, esita da fenomeni emorragici focali o da ipovascolarizzazione del parenchima neoplastico
stesso. I criteri morfologici basati sul riconoscimento di
architetture di tipo acinare od in palizzata sono verosimilmente basati su disposizioni cellulari aberranti, probabilmente derivanti dal tentativo delle cellule neoplastiche di
delimitare canalicoli biliari, mentre lo sviluppo perivascolare individua soprattutto fenomeni di neoangiogenesi insita al
parenchima neoplastico. La disaggregazione cellulare è analogamente un fenomeno derivante da processi di perdita della coesività.
Tra i criteri individuati quale riferimento nella diagnosi
dell’epatocarcinoma ben differenziato sicuramente spetta un
ruolo di importanza primaria all’evidenza di nuclei nudi.
Essi si dispongono in aggregati irregolari, talora in filiere o
singolarmente dispersi attorno ai lembi di epitelio neoplastico; di essi è possibile apprezzare caratteri analoghi a quelli
presenti nelle cellule intatte; questo rilievo è presente in tutti i casi di epatocarcinoma ed è un carattere già descritto in
citopatologia umana, probabilmente conseguente a ressi
citoplasmatica per indebolimento della costituizione cellulare dell’elemento neoplastico più che a fenomeni artifattuali.
Un unico caso proveniente da fegato non neoplastico ha esibito la presenza di rari nuclei nudi dispersi, in associazione
a fenomeni gravi di steatosi, che può rappresentare a sua volta causa di ressi citoplasmatica.
Benché precedentemente sia stato dimostrato un aumento
di epatociti binucleati all’aumentare dell’età del cane, alcuni epatocarcinomi esibiscono la presenza di rare cellule contenenti nuclei multipli, in genere superiore a due: rilievi analoghi di multinuclearità sono descritti nell’uomo anche in
concomitanza a cause eziologiche virali od a fenomeni di
displasia.
Come precedentemente esposto, alcuni tra i criteri di malignità classica, quali basofilia citoplasmatica, irregolarità di
distribuzione della cromatina e del profilo nucleare, numero
di mitosi ma anche anisocariosi e presenza di nucleoli multipli o prominenti, non si sono rivelati di utilizzo pratico nel
riconoscimento dell’epatocarcinoma ben differenziato, poiché
generalmente assenti o, se presenti, non suf ficientemente
significativi se comparati con il fegato non neoplastico.
Alcuni aspetti morfologici, quali l’accumulo di materiale
glicogenico, lipidico o lipofuscinico non risultano essere
discriminanti né diagnostici e la loro incidenza non dif ferisce statisticamente da campioni provenienti da fegati non
neoplastici; analogamente altri aspetti morfologici sono privi di significatività statistica nella diagnosi dell’epatocarcinoma, ma sono meritevoli di un commento aggiuntivo.
Occasionalmente (3 casi su 15) è stato possibile individuare
rari inclusi citoplasmatici, identificabili soprattutto come
globuli eosinofili di piccole dimensioni; il reperimento di
globuli citoplasmatici è aspecifico senza una caratterizzazione di tipo immunocitochimico od immunoistochimico, poiché essi potrebbero essere espressione di accumulo citoplasmatico aberrante di materiali diversi, tra cui proteine di produzione epatocellulare, quali l’α-1 antitripsina ed il fibrinogeno o zolle di citocheratine alterate, quali i corpi di Mallory
o ancora globuli ialini di origine plasmatici. La componente
flogistica non presenta dif ferenze significative tra i due
gruppi analizzati benché il rilievo di una quota modicamente aumentata di mastociti, associata a ponti di cellule fusate
nei campioni neoplastici sottolinea il ruolo di queste cellule
nei processi di fibrosi.
CONCLUSIONI. Il tentativo di fornire una base razionale per l’identificazione dell’epatocarcinoma verrà perfezionato nel prossimo futuro con un analogo tentativo di dif ferenziarne i caratteri 

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