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Azienda Pubblica
Teoria ed esperienze di management
1.2016
Rivista trimestrale
anno XXVIII
numero 1
gennaio • marzo
2016
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Ambiti e missione della rivista Azienda Pubblica
Sono sempre più forti le esigenze di modernizzazione e di riforma delle amministrazioni pubbliche e di tutti i soggetti che operano nell’interesse pubblico a seguito di stimoli derivanti dai cambiamenti dei valori individuali e collettivi, dell’apertura della società e dei mercati, della maggiore mobilità delle persone e dei beni, dell’innovazione
tecnologica e delle forme organizzative in cui si svolge l’attività sociale ed economica,
dei media, ecc.
AZIENDA PUBBLICA si propone di contribuire a dare risposte a tali esigenze concentrando l’attenzione sulla migliore utilizzazione delle risorse economiche (dimensione
dell’efficienza), per dare risposte di alto livello qualitativo e quantitativo ai bisogni di singoli cittadini, famiglie, imprese e altri corpi intermedi della società (dimensione dell’efficacia e della funzionalità), della soddisfazione, mantenendo condizioni di equilibrio
economico di lungo periodo (dimensione dell’economicità). La Rivista intende farlo partendo dal profondo convincimento che solo le persone sono in grado di promuovere e
realizzare il cambiamento sostanziale. I metodi, gli strumenti e le tecniche giuridiche,
economiche, aziendali e manageriali esistono, sono anche molto affinati. Ma sono i valori, le conoscenze, le motivazioni, i reali comportamenti delle persone che consentono
un loro corretto uso con la finalità di migliorare il benessere e la qualità di vita di comunità locali, nazionali, sovranazionali.
Occorre aumentare il numero delle persone per le quali esercitare una funzione e garantire i diritti significa acquisire la cultura del “servizio”, inteso sul piano dei valori e
sul piano dell’operatività e renderle maggioranza rispetto a quelle che ancora si richiamano a modelli di amministrazione validi nel passato ma non più coerenti con i problemi posti oggi dalla società o rispetto a quelle che difendono privilegi o interessi particolari. Una via efficace per raggiungere questo obiettivo è quella di presentare ad amministratori di carica politica, dirigenti, personale che opera in varie posizioni nel settore
pubblico, risultati di ricerche rigorose sul piano scientifico, rilevanti rispetto ai problemi
quotidiani dei Lettori, influenti in senso migliorativo sui processi decisionali e operativi.
Nella convinzione che non vi sia nulla di più pratico di una buona teoria, a condizione che le teorie siano costruite sui fatti, Azienda Pubblica si caratterizza come una Rivista che accoglie sia articoli di contenuto teorico che aiutino gli operatori a sistematizzare e a consolidare le proprie esperienze e competenze concrete, sia i risultati di ricerche
empiriche basate su rigorose metodologie quantitative e qualitative.
Una Rivista accademica capace di aprirsi e dialogare con decisori delle politiche,
manager e operatori del settore pubblico e dei settori privati che hanno fini di pubblico interesse.
Tramite un rigoroso sistema di referaggio secondo gli standard internazionali, la Rivista intende pubblicare contributi di alto valore scientifico che siano comprensibili da chi
ogni giorno deve far funzionare al meglio le istituzioni che garantiscono una società libera, in cui siano rispettate le regole, tollerante nei confronti della multiculturalità e della molteplicità di valori ed interessi, democratica in senso sostanziale.
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Azienda Pubblica
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Teoria ed esperienze di management
Rivista trimestrale
anno XXVIII
numero 1
gennaio • marzo
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Sommario
Editoriale
Eugeniio Anessi Pessina
Editoriale
7
Saggi
Franco Ernesto Rubino
Pina Puntillo
Francesca Pierri
La regressione logistica per la previsione del
rischio di default degli enti locali italiani. Profili
teorici ed evidenze empiriche
Luca Bartocci
Giuseppe Grossi
Daniele Natalizi
Stefania Romizi
Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in
Italia
Nathalie Colasanti
Rocco Frondizi
Marco Meneguzzo
Paola Santini
Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa:
un modello di classificazione e di benchlearning
11
37
59
Attualità e dibattito
Isabella Fadda
Paola Paglietti
La lotta alla corruzione: più controlli interni e
meno adempimenti
81
Esperienze innovative
Stefano Lorusso
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio
Sanitario Regionale
97
Fonti di approfondimento
Spoglio riviste
125
Editoriale
Editoriale
Eugenio Anessi Pessina
Il primo numero del 2016 propone articoli differenziati per tematica
affrontata, classe di aziende pubbliche indagate e approccio di ricerca
utilizzato, ma complessivamente riconducibili alle tematiche di contabilità, finanza e controllo. Oltre alla tradizionale sezione «Saggi», inoltre,
contiene due ulteriori contributi: uno nella sezione «Attualità e dibattito»,
che vorrebbe stimolare un confronto di idee su questioni di immediata
attualità e rilevanza; l’altro nella sezione «Esperienze innovative», che
intende dare spazio alla presentazione di iniziative innovative, evidenziandone gli aspetti di progettualità, i processi di implementazione, gli
impatti sul funzionamento e sulle performance delle aziende coinvolte.
Il primo saggio (La regressione logistica per la previsione del rischio
di default degli enti locali italiani. Profili teorici ed evidenze empiriche)
propone un contributo di carattere quantitativo sul tema del dissesto negli enti locali. Il default dei governi locali può produrre conseguenze sociali, economiche e politiche di particolare gravità. La sua prevenzione
è dunque di grande interesse per una vasta platea di stakeholder. A tal
fine, sarebbe utile poter disporre di indicatori segnaletici che colgano
un’eventuale probabilità di default prima che questo si manifesti in modo conclamato. Il saggio si propone appunto di determinare, attraverso
una regressione logistica condizionata per studi caso controllo, la misura in cui gli indicatori proposti in letteratura siano effettivamente in grado
di segnalare il rischio di default di un ente locale italiano. Tra i numerosi
indicatori proposti in letteratura, in particolare, l’analisi ne individua tre
come particolarmente significativi: il rapporto tra entrate e spese correnti, in termini di cassa; l’autonomia finanziaria, espressa come incidenza
delle entrate proprie sulle entrate totali; l’indebitamento, espresso in percentuale sulle entrate totali. In termini di policy, è significativo osservare
come l’attuale sistema di parametri per l’individuazione degli enti locali strutturalmente deficitari non comprenda direttamente nessuno di questi indicatori, ma sia comunque orientato a cogliere i medesimi fenomeni, in particolare attraverso il rapporto tra debiti di finanziamento ed entrate correnti, nonché tramite i parametri che riflettono la formazione e
lo smaltimento dei residui attivi. Proprio la dubbia esigibilità di molti residui attivi, inoltre, ha contribuito all’introduzione del principio di competenza finanziaria potenziata. I medesimi fenomeni, infine, rientrano tra
quelli più volte segnalati come particolarmente critici anche dalla Corte di Conti. I risultati del saggio potranno comunque contribuire a un affinamento degli indicatori in uso, mentre la metodologia proposta potrà
essere impiegata per futuri aggiornamenti, che si renderanno necessari anche appunto alla luce della ridefinizione del principio di competen7
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za finanziaria, nonché delle altre innovazioni apportate dalla normativa
sull’armonizzazione contabile.
Nel secondo saggio (Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in
Italia), l’attenzione resta focalizzata sul sistema di bilancio, ma si sposta
dal consuntivo al preventivo, dalla rappresentazione degli effetti di decisioni e operazioni alle modalità di formulazione di alcune decisioni. L’analisi, inoltre, si estende dai soli comuni ad altre classi di amministrazioni territoriali (province, regioni, unioni di comuni) e si avvale di una metodologia qualitativa, riconducibile ai processi di desk analysis. Oggetto specifico sono le esperienze italiane di bilancio partecipativo, che gli
autori quantificano in 304 casi. Scopo del bilancio partecipativo è consentire ai cittadini di influenzare l’allocazione di una determinata quota delle risorse disponibili in un bilancio pubblico. Lo strumento si colloca quindi all’interno dei nuovi paradigmi culturali che stanno influenzando il rinnovamento del settore pubblico e che attribuiscono un significato
particolare al coinvolgimento dei cittadini nei processi di governo. In letteratura si dibatte sulla possibilità che il bilancio partecipativo riesca effettivamente a consolidarsi e a incidere sui processi decisionali delle amministrazioni pubbliche. I contributi finora esistenti, però, hanno privilegiato alternativamente la riflessione teorica oppure l’analisi empirica di
specifici casi. Il saggio proposto, al contrario, prova a mappare l’intero
«universo» nazionale. Dall’analisi, in particolare, emergono alcune criticità che sembrano confermare i dubbi e gli interrogativi che si stanno
diffondendo anche nella letteratura internazionale. Le esperienze censite, infatti, sono molto numerose, ma hanno raggiunto un picco nel 2008,
per poi diventare progressivamente sempre più rare, nonché spesso focalizzate su alcuni orientamenti di policy privi di immediate conseguenze
economico-finanziarie, come se il bilancio partecipativo fosse un «lusso»
da permettersi solo in condizioni favorevoli e invece da tagliare o rimodulare in periodi di difficoltà. Si rilevano, inoltre, una grande instabilità
e una frequente «occasionalità» delle esperienze attivate; una loro scarsa strutturazione (seppur con elementi che lasciano intravvedere il riferimento al modello più noto e apprezzato, quello di Porto Alegre) e un utilizzo ancora limitato delle opportunità offerte dalle tecnologie informatiche;
una potenziale «personalizzazione politica», con scarso coinvolgimento della struttura manageriale;
una natura spesso più consultiva che
deliberativa. Restano, come future linee di approfondimento, la valutazione degli effettivi impatti nonché delle relative determinanti, in termini
di condizioni di contesto (per esempio, esistenza di un’adeguata cultura
della partecipazione), di condizioni organizzative interne, di caratteristiche tecniche di realizzazione dello strumento.
Nel terzo saggio (Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa: un modello di classificazione e di benchlearning), infine, l’attenzione si sposta sul civic crowdfunding. Quest’ultimo, come in generale ogni
forma di crowdfunding, è reso possibile dalla diffusione capillare delle
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tecnologie web based, che facilitano la creazione di reti informali, sia
virtuali sia reali. Riflette, inoltre, il progressivo sviluppo di una cultura imprenditoriale e proattiva, per cui sempre più persone sono in grado di
sviluppare idee creative, dar vita a network, portare avanti i propri progetti. Il civic crowdfunding, pertanto, non si limita ai casi di amministrazioni pubbliche che vogliono realizzare iniziative senza disporre di risorse finanziarie sufficienti, ma si estende anche a situazioni in cui sono
i cittadini stessi a voler entrare in contatto con le istituzioni, portando alla loro attenzione specifici bisogni sociali e soluzioni per rispondervi. Tipicamente, le esperienze di civic crowdfunding vengono classificate solo in base alle caratteristiche della piattaforma tecnologica adottata. Il
saggio, invece, prova a proporre una classificazione multidimensionale
in una prospettiva di benchlearning, anche alla luce del crescente interesse manifestato dalle amministrazioni locali e da molte istituzioni pubbliche operanti nei settori sanitario, sociale, educativo e culturale. A tale
scopo, utilizza le evidenze emergenti da due progetti ritenuti significativi
e accomunati dall’area di intervento, quella culturale: (i) le iniziative lanciate dalla piattaforma Progettiamo.ch, creata in Canton Ticino per ospitare progetti di crowdfunding finalizzati allo sviluppo del territorio; (ii) la
campagna «Sabato in Biblioteca!», realizzata dall’Università degli Studi
di Roma Tor Vergata. In particolare, oltre alla scelta della piattaforma tecnologica (impiego di una piattaforma propria, creata appositamente dal
promotore del progetto, oppure di una piattaforma di crowdfunding già
esistente e utilizzata per numerosi progetti), il modello proposto evidenzia la rilevanza di altre variabili, tra cui: l’entità del finanziamento richiesto per portare a termine il progetto; gli stakeholder chiave; l’oggetto del
finanziamento; i diversi gradi di coinvolgimento dei vari stakeholder nelle fasi di definizione dei progetti, di produzione dei servizi, di valutazione e monitoraggio; il contributo al consolidamento del capitale sociale.
Quanto alle altre due sezioni, l’articolo proposto all’interno della sezione «Attualità e Dibattito» (La lotta alla corruzione: più controlli interni
e meno adempimenti) afferma l’insufficienza degli strumenti di tipo giuridico per l’efficace contrasto alla corruzione, soprattutto se, come in Italia, le norme sono spesso mal correlate e costringono le amministrazioni a dedicare risorse ad attività di mero adempimento. Sostiene, d’altra
parte, i benefici che possono derivare, anche in tema di lotta alla corruzione, dallo sviluppo di un adeguato sistema di controllo interno. Segnala, infine, la presenza di consolidati documenti per la pratica che possono rappresentare un primario e immediato punto di riferimento.
L’articolo proposto all’interno della sezione «Esperienze innovative»
(La revisione del bilancio consolidato del Servizio Sanitario Regionale),
invece, presenta l’esperienza di certificazione del bilancio consolidato
del Servizio Sanitario della Regione Basilicata. Vengono, così, declinate sul piano operativo tre tematiche particolarmente care agli studiosi di
contabilità delle aziende pubbliche: (i) l’introduzione nel contesto pub9
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blico della contabilità economico-patrimoniale – ormai pienamente affermatasi nel sistema sanitario che, peraltro, rappresenta una quota significativa dell’intera spesa pubblica; (ii) la redazione di bilanci consolidati per «gruppi» di aziende pubbliche – nello specifico, la regione Basilicata e il suo sistema di aziende sanitarie pubbliche ospedaliere e territoriali; (iii) il conseguente ripensamento dei sistemi di controllo contabile – nel caso analizzato, con l’assoggettamento al giudizio professionale di un revisione esterno non solo dei singoli bilanci aziendali, ma anche, prima regione in Italia, del bilancio consolidato.
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Saggi
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali
italiani. Profili teorici ed evidenze empiriche *
Franco Ernesto Rubino
Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche, Università della Calabria
Pina Puntillo
Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche, Università della Calabria – [email protected]
Francesca Pierri
Dipartimento di Economia, Sezione di Statistica, Università degli Studi di Perugia
Sommario: 1. Introduzione – 2. Analisi della letteratura – 3. Definizione delle ipotesi di ricerca – 4. Metodologia e
campione – 5. Discussione dei risultati – 6. Implicazioni per la ricerca e per la pratica – 7. Conclusioni
Il presente lavoro intende testare l’affidabilità dei modelli econometrici per la previsione del rischio
di default degli enti locali. L’obiettivo della ricerca è stato perseguito mediante un approccio metodologico di tipo deduttivo-induttivo. La fase deduttiva ha avuto ad oggetto l’analisi critica della
letteratura, nazionale ed internazionale, in materia di crisi finanziaria dell’ente locale e modelli
econometrici per la previsione delle crisi aziendali. Nella fase induttiva è stato sviluppato un modello logistico condizionato per studi caso-controllo in cui le variabili esplicative sono costituite da
indicatori finanziari costruiti sui dati di bilancio. Il modello è stato testato su un campione casuale
stratificato composto da 168 comuni italiani. I risultati dimostrano la validità del Cash Solvency (che
misura la capacità di riscossione delle entrate correnti rispetto alle spese correnti), dell’indicatore
di Incidenza delle entrate proprie sulle entrate totali e dell’indicatore di Indebitamento (che misura
il peso dei debiti sulle entrate totali) come predittori del rischio di default.
This paper aims to test the reliability of econometric models for forecasting the default risk of local authorities. The research objective was pursued through methodological approach deductive
and inductive. Phase deductive has had to subject the critical analysis of the literature, national,
international, in the area of local government financial crisis, and econometric models for forecasting corporate crises. In the induction phase, it has been developed a conditional logistic
model for case-control studies in which the explanatory variables consist of financial indicators
built on budgetary data. The model was tested on a random stratified sample of 168 Italian
municipalities. The results demonstrate the validity of the Solvency Cash (which measures the
ability of collection of current revenues over current expenditures), the indicator of the impact of
own revenues on total revenues and the indicator of indebtedness (which measures the burden
of debts on Total revenue) as the default risk predictors.
Sebbene l’articolo sia il frutto dello studio congiunto degli autori i paragrafi 1 e 2 sono attribuibili a Franco Ernesto
Rubino, i paragrafi 3, 5, 6 e 7 a Pina Puntillo e il paragrafo 4 a Francesca Pierri.
Parole chiave: Enti locali – Default – Indicatori – Regressione logistica
Key words: Local authorities – Default – Indicators – Logistic regression
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La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
Saggi
1. Introduzione
La capacità di un ente locale di evitare il default incide direttamente sulla
sua capacità di sostenere il livello dei servizi forniti e le politiche di sviluppo (Honadle et al. 2004, pp. 139-176). Esiste un’ampia condivisione sull’assunto in base al quale le condizioni finanziarie sono importanti per garantire l’erogazione dei servizi pubblici in modo efficiente ed efficace (Wang et al. 2007, pp. 1-21). Il fenomeno del default dei governi locali è pertanto un argomento di grande interesse per un vasto insieme di stakeholder degli enti locali (contribuenti, dipendenti, finanziatori,
fornitori, enti sovraordinati ecc.) a causa delle conseguenze sociali, economiche e politiche che produrrebbe (povertà, migrazione, criminalità,
fino al collasso dei sistemi) (Carmeli 2003, pp. 1423-1430). Ciò nonostante, esso non è stato indagato in modo adeguato.
Le riforme degli anni Novanta, affermando il principio dell’autonomia
finanziaria per tutti i livelli di governo, in attuazione dei principi di sussidiarietà, hanno determinato l’evoluzione del sistema di finanza pubblica
da un modello decentrato a uno autonomo (Borgonovi 2009, pp. 8-13;
D’Alessio 2006, pp. 1-25). Fra le conseguenze di tale evoluzione si può
annoverare l’importanza di valutare la meritevolezza di credito degli enti locali (Puntillo e Tenuta 2010, pp. 182-183).
Un monitoraggio non adeguato della dinamica finanziaria può condurre, nella peggiore delle ipotesi, a una dichiarazione di default, disciplinata attraverso l’istituto del dissesto finanziario1. Il dissesto finanziario e la conseguente procedura di risanamento sono disciplinati nel Testo
Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, (D.lgs. 267/2000). In
particolare, l’art. 244 stabilisce che l’ente deve dichiarare dissesto quando: “... non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell’ente locale crediti liquidi ed
esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all’articolo 193 [Salvaguardia degli equilibri di bilancio], nonché con le modalità di cui all’articolo 194 [Riconoscimento di legittimità
di debiti fuori bilancio] per le fattispecie ivi previste”.
Anche la letteratura internazionale definisce lo stato di dissesto di un
governo locale come l’incapacità di mantenere il livello preesistente dei
servizi erogati alla comunità (Jones e Walker 2007, pp. 396-418).
La dichiarazione di dissesto rappresenta la fase iniziale di una serie di procedure finalizzate al risanamento finanziario tramite l’azzeramento dell’indebitamento pregresso e il ripristino delle condizioni di
equilibrio finanziario generale. Il fenomeno, in Italia, ha assunto le seguenti dimensioni2: dal 1989 (anno della sua istituzione) fino ad ago1 Per un approfondimento sull’istituto del dissesto si veda Tenuta P., Dissesto e predissesto finanziario negli enti locali. Analisi e confronti in un’ottica economico-aziendale, Milano: Franco Angeli (2015).
2 I dati sono stati elaborati su documenti gentilmente forniti dal dott. Giancarlo Verde, Direzione Centrale della Finanza Locale, Ministero degli Interni.
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Saggi
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
sto 2014 le dichiarazioni di dissesto sono complessivamente 500, e il
numero di enti locali che ha dichiarato dissesto sono 490. Essi rappresentano il 6.05% del totale dei comuni italiani. La maggior parte risulta appartenere alle regioni del sud, dove si contano 367 dissesti, ossia il 73% del totale. Una rappresentazione territoriale del fenomeno è
illustrata in Figura 1.
Figura 1. Gli enti dissestati per Regione di appartenenza nel periodo 1989-2014
Fonte: Elaborazione propria su dati del Ministero degli Interni
La storicità delle dichiarazioni (Figura 2) mostra che il boom dei dissesti
si è avuto nei primi anni dall’introduzione dell’istituto. Dei 500 dissesti
totali, 394 si sono registrati nei primi sei anni. La ragione è da ricercare nella procedura allora vigente, che prevedeva l’accollo da parte dello
Stato del mutuo a ripiano dei debiti (Corte dei Conti 2012, PP. 498-530).
Questo avveniva prima dell’entrata in vigore della riforma costituzionale
(L.C. 3/2001) con la quale è stato soppresso l’intervento dello Stato in
caso di default dichiarato. Il trend si è mantenuto alto fino al 1997, per
poi convergere verso il basso nel tempo, fino a toccare la quota minima
di un solo ente dissestato per anno nel 2007, segno che comunque, dopo l’elevato numero iniziale di dichiarazioni, si è avuto un decremento
del fenomeno. Negli ultimi anni, tuttavia, si è registrata un’inversione di
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La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
Saggi
tendenza, indice evidente di difficoltà finanziarie non superabili da parte degli enti in modo autonomo.
Figura 2. Trend dei dissesti in Italia
Fonte: Elaborazione propria su dati del Ministero degli Interni
La dichiarazione di default è l’esito conclusivo di difficoltà finanziarie
protratte nel tempo e non sanabili. Essa conduce a una gestione straordinaria che comporta un aumento dell’imposizione tributaria nonché diversi vincoli alla gestione corrente e in c/capitale. Il monitoraggio del rischio di default diventa perciò fondamentale per garantire la continuità nell’erogazione dei servizi alla comunità rappresentata. In altri termini, l’attribuzione di una maggiore autonomia finanziaria agli enti locali impone di sviluppare una gestione del rischio finanziario. In Italia, tuttavia, è frequente rilevare un “divario di attuazione” tra ciò che è stato prescritto dalla leggi di riforma e la diffusione effettiva degli strumenti di gestione corrispondenti (Ongaro e Valotti 2008, pp. 174-204).
I modelli quantitativi predittivi del rischio di insolvenza sono finalizzati a predire, e pertanto a gestire, tale rischio; essi hanno l’obiettivo di evidenziare, sulla base dell’analisi di alcuni valori di bilancio, se la situazione aziendale è tendenzialmente in una condizione di disequilibrio. L’utilizzo delle informazioni contabili per fini decisionali presuppone una fase di analisi e di interpretazione (Mussari 2003, pp. 596-600). L’impiego dei modelli econometrici per la gestione del rischio finanziario fornisce risultati affidabili in quanto basati sull’evidenza empirica.
Dopo aver analizzato la letteratura sui modelli per la previsione delle crisi aziendali, lo studio applica una regressione logistica per testare
l’affidabilità degli indici di bilancio per la previsione del rischio di default degli enti locali. Si tratta di una metodologia comunemente utilizzata nella stima della probabilità di difficoltà finanziarie delle imprese (PinAzienda Pubblica 1.2016
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Saggi
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
dado et al. 2008, pp. 995-1003), ma non ancora testata nel contesto
degli enti locali italiani.
2. Analisi della letteratura
I modelli predittivi del rischio di default affondano le proprie radici nei
sistemi di credit scoring e di rating di merito creditizio. Gli studi condotti sulla validità di questi sistemi hanno dimostrato l’esistenza di relazioni significative tra rating e variabili quantitative (Cannata 2001: pp. 3765). Anche i modelli di previsione delle insolvenze hanno l’obiettivo di
evidenziare, sulla base dell’analisi di alcuni valori di bilancio, se la situazione aziendale sia tendenzialmente in una condizione di disequilibrio. L’assunto di base è che dai valori contabili si possano trarre informazioni di tipo previsionale. In tal senso assumono particolare importanza le analisi di bilancio3, utilizzate sin dagli anni ’60-‘70 per la costruzione di indici in grado di valutare il merito creditizio e di conseguenza
prevedere il fallimento delle imprese.
Beaver (1966, pp. 71-111) può essere considerato il pioniere nella
definizione dei modelli predittivi del rischio di default con indici finanziari, dimostrando la capacità predittiva dei dati contabili (Beaver 1966,
pp. 71-111; Beaver et al. 1968, pp. 675-683). Si tratta del primo ricercatore ad applicare un modello univariato su una serie di indici finanziari applicati a un campione di aziende fallite e non fallite. L’analisi univariata è una tecnica molto semplice che classifica una società come sana
oppure a rischio a seconda che il valore assunto da un indice finanziario sia superiore o inferiore a un valore critico, chiamato anche punto di
cut off4 (Lachenbruch e Goldstein 1979, pp. 69-85).
L’analisi discriminante univariata è attraente nella sua semplicità, ma
il suo svantaggio principale risiede nella discrezionalità nella scelta sia
degli indici che dei parametri di riferimento (Hazak e Männasoo 2010,
pp.62-76). È da notare, inoltre, che l’analisi univariata si basa sul presupposto stringente della linearità della relazione tra il valore dell’indice
e lo stato di fallimento. Questa ipotesi è spesso violata nella pratica: molti
indici, infatti, mostrano una relazione non lineare con lo stato di fallimento (Keasey e Watson 1991, pp. 89-102). Infine, utilizzando un solo indicatore per volta, l’appartenenza dell’azienda all’una o all’altra categoria (rispettivamente fallite o non fallite) cambia in funzione dell’indicatore utilizzato: pertanto, indicatori diversi per la stessa azienda forniscono
stime differenti (Altman 1968, pp. 589-609; Zavgren 1983, pp. 1-33).
Questo problema è noto come “problema di incoerenza”.
Sulla base dei limiti dell’analisi univariata si sono evoluti i modelli discriminanti multivariati (MDA), che si caratterizzano per l’individuazione
3 Sulle potenzialità informative dell’analisi di bilancio si veda Montrone (2005), Il sistema delle analisi di bilancio per la valutazione dell’impresa, Milano: Franco Angeli.
4 Per un approfondimento sul tema cfr. Maddala (1983), Limited-Dependent and Qualitative
Variables in Econometrics, New York: Cambridge University Press
15
Azienda Pubblica 1.2016
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
Saggi
di un indice composto in grado di ponderare, sulla base delle valutazioni dell’analista, diversi indicatori di rischio (Altman 1968, pp. 589-609).
L’ipotesi sottostante ai modelli multivariati è che la combinazione lineare
(o quadratica) di più variabili quantitative permetta di ottenere un’accuratezza maggiore nella classificazione del campione di stima rispetto a
quella conseguibile mediante ogni singolo indicatore utilizzato (Barontini 2000, pp. 15-73). Dopo il 1980, le metodologie MDA sono state frequentemente usate come metodi di base per studi comparativi (Altman et
al. 1977, pp. 29-54). Molto utilizzato dalla letteratura empirica è lo “Zscore model” teorizzato da Altman nel 1968.
L’approccio MDA è stato a lungo il metodo più utilizzato nei modelli di previsione del rischio di default: Altman et al. (1974, pp. 195-211)
(Francia), Taffler e Tisshaw (1977, pp. 50-54) (UK), Ooghe e Verbaere
(1982, pp. 245-274) (Belgio), Fernandez (1988, pp. 115-125) (Spagna), Swanson e Tybout (1988, pp. 1-25) (Argentina). Per un’analisi più
approfondita si rimanda a Zavgren (1983, pp. 1-33), Altman (1984, pp.
1067-1090), Keasey e Watson (1991, pp. 89-102), Altman e Narayanan (1997, pp. 1-57).
Tuttavia, diversi sono i limiti di tale approccio. Lo svantaggio principale è certamente legato all’assunzione di normalità della distribuzione
dei regressori: in genere, gli indici di bilancio non sono normalmente distribuiti. Metodi alternativi, come i metodi di massima verosimiglianza e
in particolare logit e probit, sono più adatti (Martin 1977, pp. 249-276;
Demirgüc-Kunt 1989, pp. 2-18; Lennox 1999, pp. 347-364; Trussel e
Patrick 2009, pp. 578-616). In generale, poi, i metodi MDA, come tutti i
modelli di scoring soggettivi, presentano limiti che derivano dalla discrezionalità nella scelta delle variabili e dei parametri dimensionali (Ohlson
1980, pp. 109-131).
Negli anni ’80, allo scopo di superare i limiti del metodo MDA, sono stati teorizzati e applicati empiricamente i c.d. modelli di probabilità
condizionata (Zavgren,1983, pp. 1-33) come il Linear Probability Model (LPM), l’analisi logit (LA) e l’analisi probit (PA). Ohlson (1980, pp.
109-131) può essere considerato il pioniere nell’utilizzo dell’analisi logit
nei modelli di previsione del rischio di fallimento delle imprese, mentre
Zmijewski (1984, pp. 59-86) è stato il pioniere nell’applicazione dell’analisi probit.
A differenza dell’analisi discriminante, che stabilisce a priori, sulla base dei valori assunti dagli indici di bilancio individuati, l’appartenenza
dell’impresa a una determinata categoria (fallite o non fallite), con le assunzioni dell’analisi logistica si stima la probabilità che l’evento (il fallimento) si verifichi in futuro. Questo è il principale vantaggio rispetto all’analisi discriminante (Ohlson 1980, pp. 109-131). La metodologia econometrica dell’analisi logit, inoltre, evita alcuni problemi associati con la
MDA, come le assunzioni sulla distribuzione dei predittori.
La maggior parte delle ricerche che sviluppano modelli predittivi del
Azienda Pubblica 1.2016
16
Saggi
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
rischio di default si sono concentrate, dal punto di vista sia teorico che
empirico, sul settore privato, nonostante le ripercussioni del default di un
ente pubblico siano più rilevanti di quelli di un’azienda privata (GarcíaSánchez et al. 2012, pp. 739-748). Diversi studi hanno infatti analizzato la sopravvivenza e il fallimento delle piccole-medie imprese in varie
nazioni (Pompe e Bilderbeek 2005, pp. 847-868; Pierri et al. 2013, pp.
85-106); una estesa rassegna della letteratura è rinvenibile in Altman e
Hotchkiss (2006, pp. 1-368).
Analizzando la letteratura in tema di previsione del rischio di default
degli enti locali si osserva che le variabili esplicative dei modelli econometrici utilizzate sono costituite anche in questo caso da indicatori finanziari costruiti a partire da dati di bilancio. Secondo Lewis (1994, pp.
3-9) e Carmeli (2003, pp. 1423-1430) l’assunto è che i dati di bilancio
riescano a catturare e sintetizzare bene la capacità dell’ente di gestire
le proprie risorse. È pacifico, inoltre, che un solo indicatore non sia sufficiente a valutare la situazione finanziaria dei governi locali. Più indicatori che simultaneamente registrano trend negativi (ad esempio riduzione
della popolazione, incidenza delle spese sulle entrate, decremento delle
entrate fiscali, saldo di parte corrente negativo, incidenza dei debiti ecc.)
per più di un anno possono invece segnalare tensioni finanziarie propedeutiche al default (Kloha et al. 2005, pp.236-255).
Brown (1993, pp. 21-27; 1996, pp. 30-34) individua 10 indici ugualmente ponderati che forniscono un quadro completo della situazione finanziaria dell’ente. L’autore include in questo set: le entrate pro-capite,
l’incidenza delle entrate proprie; l’incidenza delle entrate da altre fonti;
l’incidenza delle spese di funzionamento; il rapporto fra entrate e spese totali, l’incidenza del saldo fra entrate e spese sul totale delle entrate,
l’incidenza del fondo cassa e della spesa per investimenti sul totale delle passività, l’incidenza delle passività sul totale delle entrate, l’indebitamento a lungo termine pro-capite, l’incidenza del costo dell’indebitamento sul totale delle entrate. Jung (2008, pp.89-116) utilizza le entrate
pro-capite, l’incidenza delle spese correnti, dell’indebitamento dei residui passivi correnti e l’equilibrio totale come indici per valutare la situazione finanziaria dei governi locali, mentre Trussel e Patrick (2009, pp.
578-616) utilizzano, fra gli altri, indicatori che pesano il livello dei debiti e la solvibilità a breve termine. Groves et al. (1981, pp. 5-19), individuano, in particolare quattro dimensioni per analizzare compiutamente le condizioni finanziarie dell’ente: cash solvency, budgetary solvency,
long-run solvency e service level solvency. La cash solvency misura la capacità dell’ente di generare sufficiente liquidità per pagare i debiti a breve termine. La budgetary solvency misura l’equilibrio complessivo di bilancio, cioè la capacità di generare entrate sufficienti a coprire le spese
senza creare deficit di bilancio. La long-run solvency misura la capacità dell’ente di rimborsare i debiti nel medio-lungo periodo. La service level solvency sintetizza l’attitudine a fornire il livello e la qualità dei servi17
Azienda Pubblica 1.2016
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Saggi
zi necessari per il benessere della comunità. Short run solvency (misurata da indici di liquidità) e budgetary solvency (misurata da indici di autonomia finanziaria, da indici patrimoniali e da indici di solvibilità) sono invece le dimensioni indagate anche da Zafra Gomez et al. (2009,
175-182). Hendrick (2004, pp. 78-114.), infine, enfatizza il ruolo delle condizioni finanziarie di breve termine nel monitoraggio della salute
finanziaria dell’ente, in particolare la capacità di generare cash flow in
misura sufficiente a coprire le spese correnti. Per un approfondimento sugli indicatori utilizzati in letteratura negli studi aventi ad oggetto l’analisi finanziaria degli enti locali si rinvia alla Tabella 1.
Per quanto concerne l’Italia, esiste un’ampia letteratura in tema di
indici di bilancio per le analisi finanziarie negli enti locali (Mazzoleni
1989, pp. 253-300; Farneti, Mazzara e Savioli 1996, pp. 1-424; Ziriuolo 2000, pp. 1-352; Farneti e Padovani 2003, pp. 1-212; Mulazzani 2006, pp. 129-181; Puntillo 2007, pp. 1-177). Si tratta di contributi che individuano gli indici in grado di catturare la situazione finanziaria dell’ente, ma solo nel momento in cui la dinamica finanziaria si è già
manifestata e ha prodotto i suoi effetti. Gli studi che sviluppano modelli predittivi del rischio di default dei governi locali sono stati svolti prevalentemente negli USA, in Australia (Cohen et al. 2012, pp. 270-279) e,
per quanto riguarda l’Europa, in Grecia e Spagna. In Italia, Capalbo e
Grossi (2014, pp. 107-114) hanno testato l’influenza di variabili socio
economiche misurate a livello regionale sulle dichiarazioni di default degli enti locali, rilevando una limitata importanza di tali fattori e osservando come il default degli enti locali, molto analizzato negli USA, meriti di
essere approfondito anche in Italia.
Al meglio della nostra conoscenza non esistono ad oggi, in letteratura, studi empirici che testano la validità di modelli econometrici finalizzati a individuare indici finanziari predittori dello stato di default con riferimento ai governi locali in Italia. È proprio questo gap che intende colmare il presente lavoro di ricerca.
3. Definizione delle ipotesi di ricerca
Lo studio della salute finanziaria dei governi locali è un argomento di
discussione importante e attuale. Fondamentalmente concerne la capacità
dei governi locali di rispettare una condizione di funzionalità dei servizi forniti alla comunità (Hendrick 2004, pp. 78-114; Ladd e Yinger 1989, pp.
1-341; Mead 2001, pp. 59-76). L’analisi delle condizioni finanziarie locali prospettiche è pertanto rilevante per gli Stati. Come visto, le conoscenze
consolidate in tema di indicatori predittivi del rischio di default dei governi
locali si sono sviluppate prevalentemente nel contesto americano (Krueathep 2010, pp. 223-239; Capalbo e Grossi 2014, pp. 107-114). In Italia, invece, la letteratura empirica in tale area è ancora in una fase embrionale. Il presente contributo si inserisce in questo filone di ricerca empirica.
Allo scopo di individuare quali, fra gli indicatori proposti dalla dottriAzienda Pubblica 1.2016
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Saggi
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
na, hanno una maggiore capacità predittiva, questo studio utilizza un modello statistico. Una modellizzazione statistica è considerata tecnicamente preferibile a un approccio euristico (come ad esempio un’analisi di bilancio), perché permette di testare una ipotesi formale e l’impatto di una
serie di variabili covariate in un ambiente multivariato (Jones e Walker
2007, pp. 396-418).
Non esiste una teoria generalmente accettata alla base della selezione
degli indici. Esiste, tuttavia, una letteratura consolidata in merito (Carmeli
2003, pp. 1423-1430). Fra gli indicatori finanziari (misurati a consuntivo, perciò su valori certificati, sulla base dei valori accertati e impegnati,
a eccezione degli indicatori basati sulle riscossioni/pagamenti oppure sui
residui) che la letteratura ha individuato come segnaletici della situazione finanziaria dell’ente sono considerati utili per questa analisi i seguenti:
A)Entrate pro capite (EPC); Incidenza entrate proprie su entrate totali (IEPT); Incidenza spese correnti su spese totali (ISC); Cash Solvency (CS); Budget Solvency (BS); Long–run Solvency (LRS); Service level (SL); Equilibrio corrente (EC); Autonomia finanziaria 1
(AF1); Autonomia finanziaria 2 (AF2); Short-term solvency (STS);
Revenue growth (RG); Entità delle entrate (LET);
B) Incidenza spese correnti (ISC); Equilibrio totale (ET); Incidenza Indebitamento (II); Debiti a m/l pro capite (DMLC); Incidenza residui passivi correnti (IRPC); Debt level (DL).
In questo studio ipotizziamo, pertanto, che la probabilità di default
sia funzione dei fattori di rischio sopra evidenziati. Per gli indicatori del
gruppo A si ipotizza una correlazione negativa con il rischio di default,
per cui se il loro valore aumenta, diminuisce il rischio di default; per gli
indicatori del gruppo B si ipotizza invece una correlazione positiva con
il rischio di default, per cui se il loro valore aumenta, aumenta anche il
rischio di default.
Le formule, la correlazione con il rischio di default e la letteratura per
ciascun indicatore sono riportati in Tabella 1.
Tabella 1. Fattori di rischio finanziario e relazione attesa con la probabilità di
default
Letteratura
Indicatore
Acronimo
Indicatore
Formula
Relazione attesa
con la probabilità
di default
Brown 1993; Jung 2008;
Entrate pro capite
Cohen et al. 2012; Groves
et al. 1981; Murray e Dollery 2005; Kloha et al. 2005;
Copeland et al. 1982
EPC
Totale entrate / popolazione
-
Brown 1993; Copeland
et al. 1982; Ritonga et al.
2012
IEPT
Totali entrate proprie
/ totale entrate
-
Incidenza entrate
proprie totali
(segue)
19
Azienda Pubblica 1.2016
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La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
Letteratura
Indicatore
Acronimo
Indicatore
Formula
Relazione attesa
con la probabilità
di default
Jung 2008; Brown 1993
Incidenza spese
correnti
ISC
Spese correnti /
totale spese
+
Jung 2008; Brown 1993;
Copeland et al. 1982;
Wang et al. 2007
Equilibrio totale
ET
Spese totali* /
entrate totali*
+
Jung 2008; Murray e Dollery 2005; Trussel e Patrick
2009;
Puntillo e Tenuta, 2010
Incidenza Indebitamento
II
Totale debiti / totale
entrate
+
Jung 2008; Copeland e
Ingram 1982
Debiti a m/l pro
capite
DMLC
Debiti a m/l / popolazione
+
Jung 2008; Groves et al.
1981
Incidenza residui
passivi correnti
IRPC
Residui passivi correnti / totale residui
+
Groves et al. 1981;
Wang et al. 2007; Puntillo
e Tenuta, 2010
Cash Solvency
CS
Riscossioni entrate
correnti/spese
correnti
-
Wang et al. 2007
Budget Solvency1
BS
Entrate totali / spese
totali
-
Wang et al. 2007
Long-run Solvency
LRS
Spese per rimborso
mutui e prestiti/
popolazione
-
Wang et al. 2007
Service level
SL
Pressione finanziaria2
per abitante
-
Zafra Gomez 2009; Garcia Equilibrio corrente
Sanchez et al. 2012 ; Klola
2005; Farneti et al.
EC
Entrate correnti/
spese correnti
-
Zafra Gomez 2009; Garcia Autonomia finanziaSanchez et al. 2012
ria 1
AF1
Entrate proprie /
entrate correnti
-
Zafra Gomez 2009; Trussel
e Patrick 2009
Autonomia finanziaria 2
AF2
Entrate tributarie /
entrate totali
-
Ritonga et al. 2012
Short-term solvency
STS
Pagamenti in c/
competenza correnti/
spese correnti
-
Trussel e Patrick 2009
Revenue Growth
RG
(Entrate totali t –
Entrate totali t-1) /
Entrate totali t-1
-
Trussel e Patrick 2009
Debt level
DL
Ln Debiti
+
Trussel e Patrick 2009
Entità delle entrate
LET
Ln Entrate totali
-
* Comprensivo del ricorso all’indebitamento e del rimborso prestiti
1. L’indicatore BS viene calcolato con la formula inversa rispetto all’indicatore ET; l’utilità dei due valori è connessa alla differente prospettiva di analisi che permettono di cogliere: nel primo caso come segnaletico di un equilibrio di bilancio, nel secondo del grado di copertura finanziaria .
2. La pressione finanziaria è calcolata come rapporto fra la somma delle entrate tributarie e delle entrate ex-tratributarie e la popolazione.
Azienda Pubblica 1.2016
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Saggi
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
Il nostro obiettivo è individuare un insieme di variabili che possa essere utilizzato per prevedere il default; dunque, vogliamo massimizzare il
potere predittivo, riducendo al minimo il numero di variabili. È stata effettuata un’analisi logistica univariata allo scopo di individuare, fra gli indicatori descritti in Tabella 1, quali abbiano, in base al test di Wald, una
probabilità maggiore del X2 inferiore a 0.25. Le variabili che hanno una
probabilità del chi quadro superiore a 0.25 e che pertanto in questa prima fase sono escluse sono: le variabili BS, SL, EC e DL . Vengono invece
prese in considerazione tutte le altre.
Al fine di individuare le variabili maggiormente predittive dell’evento
dissesto si applica una selezione automatica al modello logistico condizionato in base al metodo stepwise (Tabella 2) e backward (Tabella 3).
Tabella 2. Stima dei parametri del modello selezionato dal metodo stepwise
Parametro
DF
Stima
Standard
Error
Wald
X2
Pr > X2
Incidenza Indebitamento
1
10.3513
3.0618
11.4299
0.0007
Cash Solvency
1
-10.2129
4.3263
5.5729
0.0182
AIC=35.761; –2LOGL=31.761
Tabella 3. Stima dei parametri del modello selezionato dal metodo backward
Parametro
DF
Stima
Standard
Error
Wald
X2
Pr > X2
Incidenza entrate proprie totali
1
-7.4262
3.6157
4.2185
0.0400
Cash Solvency
1
-10.0503
3.6528
7.5700
0.0059
AIC= 43.7821; –2LOGL= 39.782
L’analisi ha evidenziato come variabili più significative, da un lato,
CS (Cash Solvency) e II (Incidenza Indebitamento), dall’altro, di nuovo
CS e IEPT (Incidenza entrate proprie totali). Le ipotesi di ricerca che si intendono quindi testare sono le seguenti:
•H1: all’aumentare del Cash Solvency diminuisce la probabilità di
default;
• H2: all’aumentare dell’Incidenza delle entrate proprie totali diminuisce la probabilità di default;
• H3: all’aumentare dell’Incidenza dell’indebitamento aumenta la
probabilità di default.
4. Metodologia e campione
La presente ricerca si propone di studiare la capacità predittiva della
probabilità di dissesto finanziario degli enti locali degli indici di bilancio
sopra individuati, attraverso un modello di regressione con variabile dipendente binaria: la Y assume valore 1 se l’ente è dissestato, oppure 0
se l’ente non ha mai dichiarato dissesto.
L’inversione di tendenza dei dissesti avvenuta a partire dal 2008,
21
Azienda Pubblica 1.2016
Saggi
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
come sopra descritto, ha suggerito di verificare, partendo da dati di
bilancio opportunamente sintetizzati negli indicatori suggeriti dalla letteratura e testati empiricamente per questo studio, quanti comuni sani
(cioè non in stato di dissesto dichiarato) si erano venuti a trovare in situazione di dissesto. Sono stati quindi presi in considerazione i dati di
bilancio dei comuni del 2007, verificando al 2012 quali di questi avessero dichiarato dissesto negli ultimi due anni (13 nel 2011 e 15 nel
2012). La fonte dei dati è rappresentata dal data base AIDA PA per i
dati di bilancio e da documenti ufficiali della Direzione Centrale della
Finanza Locale del Ministero degli Interni per le dichiarazioni di dissesto. Non potendo procedere a un’estrazione di tutti i dati di bilancio
per tutti i comuni italiani e sapendo a priori che il nostro sarebbe stato
un campione non bilanciato, con un numero di eventi sfavorevoli (dissesto) molto basso rispetto a quelli favorevoli, si è deciso di effettuare
un campionamento casuale stratificato: per ciascun comune dissestato si è effettuata un’estrazione di 5 comuni sani sulla base della classe
di popolazione di appartenenza. Il campione oggetto di studio è così
composto da 168 comuni, di cui 28 dichiarati dissestati fra il 2011 e
il 2012 e 140 sani (Tabella 4). Il controllo al 2012 è motivato dall’entrata in vigore della normativa (D.lgs. 149/2011) che attribuisce alla
Corte dei conti il potere di far dichiarare il dissesto sulla base della situazione finanziaria dell’ente.
Tabella 4. Tabella di frequenza del campione in base alla variabile dissesto e
alla classe di popolazione
Classe di popolazione
Dissesto
0
1
Totale
1 (da 1 a 499 abitanti)
15
3
18
2 (da 500 a 999 abitanti)
20
4
24
3 (da 1000 a 1999 abitanti)
30
6
36
75
15
90
140
28
168
4 (da 2000 a 2999)
Totale
La fase successiva, inerente la scelta del metodo di previsione, è
particolarmente delicata. La domanda su quale metodologia produca i risultati migliori è stata sollevata in molti saggi; diversi sono gli studi empirici che confrontano i risultati e/o l’affidabilità dei modelli di previsione
del fallimento secondo diverse tecniche. Tuttavia, nessuno studio confronta sistematicamente tutti i possibili metodi e arriva a identificare quale sia
il migliore (Balcaen e Ooghe 2002, pp. 1-33). Lo strumento più adatto è
correlato alla struttura e alla disponibilità dei dati, alle caratteristiche utilizzate, all’obiettivo della ricerca. Da un punto di vista empirico, l’analisi discriminante lineare e la regressione logistica sono le tecniche più utilizzate
(Zavgren 1983, pp.1-33; Van Wymeersch & Wolf 1996, pp. 1-32; Atiya
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Saggi
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
2001, pp. 929-935). Questo studio utilizza la logit analysis in quanto si
tratta di una metodologia che non richiede il rispetto dell’ipotesi di normalità della distribuzione delle variabili considerate: se le variabili indipendenti non soddisfano tale condizione, come nel caso di molti indici
di bilancio, la logit analysis determina stime consistenti (Maddala 1983,
pp. 257-291; 1992, pp. 327-335).
Un problema frequente nell’analisi del credit scoring è la presenza
di una variabile risposta Y molto sbilanciata a favore delle unità buone.
L’impiego di un modello logistico con dati non bilanciati porterebbe a
un’alta percentuale di errori di classificazione a sfavore delle unità rare. In questi casi si può utilizzare o un campione bilanciato (Stanghellini 2009, pp. 45-85) o un’estensione del modello logistico tradizionale:
il modello logistico condizionato per studi caso-controllo (Hosmer e Lemeshow 2013, pp. 203-248).
Il modello logistico condizionato per studi caso-controllo è una metodologia largamente utilizzata nelle scienze epidemiologiche e implementata in altre discipline per lo studio di fenomeni che si verificano con
bassa frequenza nella popolazione. Il metodo implica in primo luogo la
costruzione di un sotto campione che, rispetto a quello originario, risulta essere bilanciato. Inoltre, la selezione delle unità che entrano a fare
parte del campione viene effettuata sulla base dell’appartenenza a classi omogenee, o strati, e ciò tende ad accrescere la capacità predittiva
del modello. Le difficoltà computazionali derivanti dall’utilizzo di tale modello, che ne limitavano l’impiego, sono oggi superate, grazie alla implementazione di appositi algoritmi in software statistici di largo uso come SAS, STATA, R.
Il modello logistico condizionato per studi caso-controllo associa a
ogni unità statistica una variabile casuale binaria Y, che misura l’evento
(in questo studio, il dissesto). All’interno di ciascuno strato si individuano i soggetti che rappresenteranno i casi (Y = 1), ovvero gli enti in default, e i controlli (Y = 0), cioè gli enti che non hanno mai dichiarato il
dissesto finanziario. In genere si sceglie un numero fisso di controlli che
va da 1 a 5, anche se il numero dei controlli può variare all’interno di
ciascuno strato.
Si indichi con x’=(x1, x2, …, xp) il vettore di p variabili esplicative, si
definisca con K il numero di strati, con n1k i casi e con n0k i controlli nello
strato k, per k=1,2,...,K. Il modello logistico specifico per ciascuno strato sarà dato da:
dove αk rappresenta il contributo di tutti i termini costanti (ovvero le variabili utilizzate per la stratificazione) all’interno del k-esimo strato e β il
23
Azienda Pubblica 1.2016
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
Saggi
vettore dei p coefficienti, β’=(β1 , β2 , ... , βp). Si verifica agevolmente che
il modello impone un effetto lineare delle variabili sul logaritmo dell’odds5
che un ente sia in default. L’interesse conoscitivo risiede nei coefficienti
βj che esprimono l’effetto della covariata xj sulla probabilità di default. I
parametri αk specifici dello strato sono considerati termini di disturbo privi di interesse conoscitivo ed esclusi dall’insieme dei parametri sui quali si vuole fare inferenza; a questo scopo si utilizzano metodi di inferenza condizionata, che permettono di giungere a stime dei coefficienti di
inclinazione βj che sono consistenti e distribuiti in modo asintoticamente normale. I dettagli matematici si trovano in Cox e Hinkley (1974, pp.
276-312), mentre quelli applicativi sono in Hosmer e Lemeshow (2013,
pp. 225-231).
La verosimiglianza condizionata per il k-esimo strato è ottenuta come la
probabilità del verificarsi della configurazione di casi e controlli dello strato, condizionata al numero n1k e n0k di casi e controlli. A titolo esemplificativo si ponga n1k =1 ed n0k=3, si denotino i valori delle covariate nello strato
k con xk1 per il caso e con xk2, xk3, xk4 per i controlli. Il contributo alla verosimiglianza dello strato k sarà dato dunque dalla seguente espressione:
Dati i valori dei coefficienti, la sopra indicata formula fornisce la probabilità che, condizionatamente a tutte le possibili assegnazioni di 1 caso e
3 controlli all’interno dello strato, il soggetto con i dati osservati xk1 sia il
caso rispetto ai tre controlli con covariate xk2 , xk3 , xk4. Si noti che, se le
covariate sono identiche per tutti e quattro i soggetti, allora lo strato risulta essere non informativo per la stima dei coefficienti, visto che lk(β)=0.25
per ogni valore di β. Per una singola covariata ci deve essere dunque almeno un controllo che abbia un valore diverso dal caso, altrimenti lo strato non risulterà informativo per quel coefficiente. Maggiori dettagli in Hosmer e Lemeshow (2013, pp. 225-231).
Come già anticipato, per tenere conto della bassa frequenza del fenomeno indagato (enti locali in dissesto finanziario) rispetto alla popolazione (totale degli enti locali), si è scelto di utilizzare come metodologia
statistica il modello logistico condizionato per studi caso-controllo, dove
il caso è rappresentato dagli enti in default e il controllo da un numero
di enti sani appartenenti al medesimo strato, in questo caso la classe di
popolazione così come definita dall’Istat. La scelta della classe di popolazione come criterio di stratificazione è stata dettata da un’analisi pre5 Si definisce odds di un evento A il rapporto fra la probabilità che A si verifichi (P(A)) e la
probabilità che A non si verifichi (1-(P(A)).
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Saggi
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
liminare dei dati, che aveva accertato, in base alla suddetta variabile,
l’esistenza di una differenza significativa fra comuni dissestati e non (c2
di Pearson p=0.0027).
In base al valore dell’AIC (35.76), il miglior modello è quello stimato
dalla stepwise; si noti che in entrambi i modelli risulta significativa la variabile CS. Come passo successivo, accertata l’assenza di correlazione
fra CS ed II, si verifica il presupposto del modello logistico e cioè se queste variabili continue abbiano un effetto lineare sull’odds che un comune
sia dissestato. Non potendo accettare l’ipotesi di linearità per nessuna
delle due variabili, si procede all’analisi delle rispettive distribuzioni, alla stima di modelli con diverse trasformazioni e, infine, alla seguente categorizzazione delle variabili: II (denominata IIM) ripartita in due classi
(0, 1) in base al valore della mediana (0.08); CS (denominata CSM) ripartita in 3 classi, ossia 0 (valori omessi), 1 (valori inferiori alla mediana
1.056921), 2 (valori superiori o uguali alla mediana). La stima del modello è riportata in Tabella 5.
Lo stesso procedimento viene seguito per il modello backward e,
non risultando la linearità della variabile IEPT, anche questa, dopo
aver provato successive trasformazioni, viene ripartita in due classi
(0 1) in base al valore della mediana (0.4358); tale variabile è denominata IEPTM.
Il valore dell’AIC conferma il modello in Tabella 5 come migliore rispetto a quello in Tabella 6. Considerando che i due modelli differiscono
per una sola variabile e che successivamente al processo di selezione si
è proceduto a trasformare le variabili prendendo in considerazione per
CS anche gli 11 valori omessi, includendoli nella classe 0, si verifica la
validità di un modello con le tre variabili trasformate.
Tabella 5. Stima dei parametri del modello con CS ed II trasformate in categoriche
Parametri
DF
Stima
Standard
Error
Odds ratio
estimate
95% Wald
Confidence Limits
Test di
Wald
Pr > ChiSq
CSM 1 vs 0
1
1
-3.8618
0.8307
0.021
0.004
0.107
21.6132
<.0001
CSM 2 vs 0
2
1
-6.0522
1.2541
0.002
<0.001
0.027
23.2917
<.0001
IIM 1 vs 0
1
1
2.2821
0.8296
9.798
1.927
49
7.5668
0.0059
AIC= 80.592 -2logL= 74.592
Tabella 6. Stima dei parametri del modello con CS ed IEPT trasformate in categoriche
Parametri
DF
Stima
Standard
Error
Odds ratio
estimate
95% Wald
Confidence Limits
Test di
Wald
Pr > ChiSq
CSM 1 vs 0
1
1
-1.8551
0.5790
0.156
0.050
0.487
10.2667
0.0014
CSM 2 vs 0
2
1
-3.8679
1.1093
0.021
0.002
0.184
12.1586
0.0005
IEPTM 1 vs 0 1
1
-2.5193
1.0935
0.081
0.009
0.687
5.3080
0.0212
AIC= 81.895 -2logL= 75.895
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Azienda Pubblica 1.2016
Saggi
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
Tabella 7. Stima dei parametri nel modello che include CSM, IEPTM e IIM
Parametri
DF
CSM 1 vs 0
1
1
-3.0443
0.8694
0.048
0.009
0.262
12.2605
0.0005
CSM 2 vs 0
2
1
-4.8875
1.2861
0.008
<0.001
0.094
14.4416
0.0001
IEPTM 1 vs 0 1
1
-2.1688
1.1175
0.114
0.013
1.022
3.7670
0.0523
IIM 1 vs 0
1
1.9677
0.8457
7.154
1.364
37.532
5.4143
0.0200
1
Stima
Standard
Error
Odds ratio
estimate
95% Wald
Confidence Limits
Test di
Wald
Pr > ChiSq
AIC= 77.182 -2LOGL= 69.182
Quest’ultimo modello (Tabella 7), pur avendo un numero di parametri maggiore rispetto ai due precedenti, risulta avere un AIC più basso di quello senza l’indicatore IEPTM; si nota, inoltre, che anche la LogLikelihood
è più bassa e che l’andamento delle variabili rispecchia quello del modello più parsimonioso, (ossia con un minor numero di variabili esplicative covariate) che, pertanto, viene scelto per maggiore completezza. In
particolare, dai risultati si evince che la probabilità di dissesto aumenta
al crescere dell’incidenza dell’indebitamento, mentre diminuisce all’aumentare del Cash solvency e delle entrate proprie totali.
Come passo successivo, si verifica la significatività di alcuni confounders, variabili che possono essere utilizzate per aggiustare gli effetti di altre (Hosmer e Lemeshow 2013, pp. 225-231), inserendoli uno alla volta. In particolare, si considera la variabile ANNO, codificata in 1
o 0 a seconda che il dissesto sia avvenuto nel 2011 o 2012, per tenere
in considerazione le modifiche normative6; si considerano, inoltre, altre
variabili descrittive dei singoli comuni, così come fornite dall’ISTAT, come la zona altimetrica, il comune litoraneo, il comune montano, la classe di altitudine e la classe di superficie. Di queste, le prime 5 non risultano significative né da sole né nelle intersezioni. Per la classe di superficie viene invece evidenziata una dipendenza lineare con gli altri parametri, probabilmente perché correlata alla classe di popolazione utilizzata per la definizione degli strati.
Non esistendo confounders, il modello riportato in Tabella 7 viene scelto come predittivo del fenomeno dissesto e si farà riferimento ad esso come Modello 1. A parità di ogni altra condizione, tale modello ci suggerisce che un comune con un CS sopra il valore della mediana ha una più
bassa probabilità di dissesto di un comune che ha un valore al di sotto
della mediana o un valore nullo (cioè il valore è omesso). Analogamente, ha una più bassa probabilità di default un comune con IEPT al di so6 Ci si riferisce in particolare all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 149 del 2011 che
ha attribuito alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti il potere, accertati comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli obiettivi della finanza pubblica allargata e irregolarità contabili o squilibri strutturali del bilancio dell’ente locale, di trasmettere i relativi atti al Prefetto e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica. Il Prefetto assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto. Decorso infruttuosamente il
termine di cui al precedente periodo, il Prefetto nomina un commissario per la deliberazione
dello stato di dissesto e dà corso alla procedura per lo scioglimento del consiglio dell’ente.
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La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
pra della mediana. Ha invece una più alta probabilità di dissesto chi ha
un II al di sopra del valore della mediana (odds ratio 7.154). Le tre ipotesi di ricerca sono pertanto tutte confermate.
Prendendo in considerazione le probabilità predette di dissesto (calcolate automaticamente dal software SAS per il modello in Tabella 7), si
effettua un cut-off alla probabilità predetta di dissesto pari a 0.65 e si costruisce una variabile (P65) che varrà 0 se la probabilità stimata è inferiore a 0.65, 1 altrimenti. Si costruisce poi una tabella incrociando con
P65 la variabile che indica il dissesto effettivamente avvenuto (Tabella 8).
La percentuale di successo nella classificazione è pari a 89.88; l’errore
di I tipo (classifico come dissestato un comune che non lo è) è pari 4.29;
quello di II tipo (classifico come non dissestato chi lo è) 39.28. Abbiamo
un errore di I tipo più basso di quello di II tipo.
Tabella 8. Tabella dei dissesti verso il cut-off per il Modello 1
DISSESTO
P65
0
1
Totale
0
134
6
140
1
11
17
28
Totale
145
23
168
Infine, si è voluto affiancare al modello caso controllo il modello logistico
semplice (Modello 2), considerando il nostro come un campione bilanciato con una probabilità di inclusione dei comuni sani inferiore a quella dei dissestati7. In questo caso, tale valore il valore dell’intercetta è negativo il che produce un’over stima della probabilità di default. Pertanto con il modello per dati bilanciati avremo una sovrastima della probabilità di default (Stanghellini 2009, pp. 45-85). Come si può vedere in
Tabella 9, le stime sono concordi nel segno e nella magnitudine a quelle
ottenute con il modello logistico condizionato (Modello 1); la curva ROC
(Figura 3) mostra una buona predittività del modello con un’area sotto
la curva pari a 0.9224. Come per il Modello 1, si ricerca la significatività delle variabili definite come confounders, includendo in questo caso
anche la classe di popolazione utilizzata precedentemente come strato,
ma non si riscontrano risultati accettabili da un punto di vista statistico.
Con le stesse modalità utilizzate per la Tabella 8, si costruisce la Tabella 10, la quale mostra una percentuale dei successi nella classificazione
pari a 89.28, un errore del I e del II tipo pari rispettivamente a 4.76 e
35.71. Anche in questo caso, si riscontra dunque un errore di I tipo più
basso di quello di II tipo, con valori molto simili a quelli del Modello 1.
7 Il modello bilanciato ha gli stessi coefficienti del modello caso controllo ma un’intercetta alla quale é necessario apportare una correzione che tiene conto del rapporto di probabilità
di inclusione nel modello da parte delle due popolazioni (sani e dissestati). Il rapporto di tali probabilità è negativo. Il modello bilanciato pertanto sovrastima la probabilità di default.
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Saggi
Tabella 9. Stima dei parametri per il Modello 2
Parametri
DF
Stima
Standard
Error
Wald
Chi-Square
Pr > ChiSq
Intercetta
1
0.8109
0.4249
3.6421
0.0563
CSM 1 vs 0
1
1
-3.3145
0.8782
14.2440
0.0002
CSM 2 vs 0
2
1
-5.0859
1.2990
15.3297
<.0001
IEPTM 1 vs 0
1
1
-2.0604
1.1071
3.4639
0.0627
IIM 1 vs 0
1
1
2.0008
0.8502
5.5386
0.0186
AIC= 77.182 -2LOGL= 69.182
Figura 3. Curva ROC per il Modello 2
Tabella 10. Tabella dei dissesti verso il cut-off per il Modello 2
DISSESTO
P65
0
1
Totale
140
0
132
8
1
10
18
28
Totale
142
26
168
5. Discussione dei risultati
Questo studio ha utilizzato una regressione logistica condizionata per
studi caso-controllo per determinare la misura in cui alcuni indicatori proposti in modelli precedenti sono in grado di prevenire il rischio di default
di un ente locale.
I risultati prodotti dalla regressione logistica soddisfano le ipotesi di
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ricerca. Specificamente, i predittori con i coefficienti più significativi sono: il cash solvency (CS), l’incidenza delle entrate proprie sulle entrate
totali (IEPT), e l’indice di indebitamento (II). Il CS misura la capacità di
riscossione delle entrate correnti rispetto alle spese correnti. L’IEPT è sostanzialmente un indicatore di autonomia finanziaria in quanto misura il
peso delle entrate proprie sulle entrate totali. L’II misura il peso delle debiti sulle entrate (totali).
Dal modello econometrico applicato emerge che un comune con un
CS sopra il valore della mediana ha una più bassa probabilità di dissesto di un comune che ha un valore al di sotto della mediana o un valore
nullo. Questo risultato indica che la capacità di riscossione delle entrate
correnti è un elemento determinante della valutazione della qualità creditizia degli enti locali (Mussari 2002, pp. 27-77). Un sistema di riscossione poco efficace genera residui attivi. Se non si trasformano in entrate di
cassa in tempi ragionevoli, i residui attivi generano residui passivi per la
mancanza di liquidità (Puntillo e Tenuta 2010, p. 189). La gestione del
servizio di riscossione delle entrate proprie (e l’eliminazione dell’evasione contributiva) diventa fondamentale per prevenire tensioni finanziarie.
Considerando che il legislatore ha riconosciuto la potestà regolamentare
agli enti locali in tema di gestione delle entrate proprie, questo fattore di
rischio può essere considerato sotto il controllo degli enti. Il risultato indica perciò che bisogna ridurre l’aleatorietà fra accertamenti e riscossioni.
Ancora, ha una più bassa probabilità di default un comune con IEPT
al di sopra della mediana. Ha invece una più alta probabilità di dissesto
chi registra un II al di sopra della mediana. È evidente che la massimizzazione delle entrate proprie consentirebbe di aumentare l’IEPT. Tra le
entrate proprie effettivamente controllabili dall’Ente rientrano sicuramente le entrate extra-tributarie, che sono principalmente formate da proventi dei servizi pubblici erogati, oltre che da proventi derivanti dai beni di
proprietà dell’Ente e da utili delle aziende partecipate.
L’indice di indebitamento (all’aumentare del quale aumenta il rischio
di default) consente di verificare il complessivo profilo di rischio in relazione al grado di dipendenza dalle fonti di finanziamento esterne. A parità di altre condizioni, un elevato livello di indebitamento rispetto alle
entrate correnti implica un maggior livello di rischio per la maggiore rigidità che imprime al bilancio dell’ente e per le maggiori probabilità di
dover ricorrere a un rinnovo del prestito. A tal proposito si osserva che
la sensibilità degli oneri passivi calcolati sul debito pregresso è funzione
dell’ammontare dei mutui contratti a tasso variabile e della tipologia del
piano di ammortamento scelto, in particolare è funzione della combinazione tra peso dei mutui indicizzati e volatilità dei tassi. Per tenere sotto
controllo tale margine di rischio occorre che le posizioni debitorie siano
adeguatamente scelte e graduate fin dalla loro origine, in modo da avere
una composizione, in termini percentuali, “ottimale” tra le differenti passività. La diversificazione del passivo può essere realizzata in vari modi,
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rispetto all’Istituto finanziatore, alla scadenza, alla tipologia di prodotto.
Tutti perseguono uno stesso obiettivo, non far dipendere le poste passive
da un solo parametro (Puntillo e Tenuta 2010, p. 202).
I risultati prodotti dall’evidenza empirica sono concordi con i rilievi della Corte dei conti, secondo cui le cause principali e ricorrenti che
portano al dissesto dell’ente sono da ricercare nelle seguenti situazioni:
squilibri nella gestione dei residui, mantenimento in bilancio di residui
attivi sopravvalutati, inesigibili o di difficile e dubbia esigibilità; crisi irreversibile di liquidità con ricorso sistematico ad anticipazioni di tesoreria
di notevole entità, che diventano veri e propri finanziamenti; gravi difficoltà o incapacità nella riscossione delle entrate proprie; ingenti debiti
fuori bilancio per i quali l’ente non ha adeguate risorse per ottemperare agli obblighi intrapresi; mancanza di equilibrio di bilancio (Audizione sul DDL Disposizioni urgenti in materia di finanza locale Camera dei
Deputati 21 marzo 2014, pp. 1-24).
Le analisi della Corte dei conti richiamano poi gli organi politici all’esercizio di una corretta amministrazione e a porre in essere tutti gli adempimenti necessari ed indispensabili per scongiurare situazioni più gravi.
I risultati ottenuti trovano conferma negli studi di Groves et al., (1981,
pp. 5-19) per quanto concerne l’incidenza delle entrate proprie; di Hendrick (2004, pp. 78-114) e di Trussel e Patrick (2009, pp. 578-616) per
quanto concerne il Cash Solvency. Per quanto concerne l’indice di indebitamento, anche Trussel e Patrick (2009 pp. 578-616) rilevano che
i governi locali con elevato indice di indebitamento sono più esposti al
rischio di insolvenza a causa della rigidità della relativa spesa. A differenza di quest’ultimi autori, invece, non è risultato significativo il tasso di
crescita delle entrate totali.
Appare interessante notare che, a differenza degli studi in Spagna, in
cui le ridotte dimensioni dell’ente sono segnaletiche di un minor rischio finanziario (Cabaleiro et al. 2012 pp. 729-751), in Italia la classe di popolazione, unitamente alla posizione del comune (se in zona altimetrica,
litoranea o montana) non producono risultati significativi da un punto di
vista statistico. Probabilmente, tale risultato è il frutto dell’omogenea applicazione della normativa giuscontabilistica del nostro paese.
6. Implicazioni per la ricerca e per la pratica
Questo studio, che individua attraverso un’analisi empirica tre indicatori segnaletici di tensioni di bilancio e predittivi dello stato di default, ha
implicazioni sia teoriche sia pratiche.
Da un punto di vista teorico, fornisce un quadro concettuale sistematico per valutare le condizioni finanziarie prospettiche dei governi locali.
Per quanto riguarda invece le implicazioni pratiche, esse riguardano
innanzi tutto la valenza del modello, che è universale perché semplice
da applicare e costruito con indicatori di portata generale che non richiedono calcoli complessi. Il modello formalizzato potrebbe, inoltre, essere
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Saggi
La regressione logistica per la previsione del rischio di default degli enti locali italiani
utilmente utilizzato dal governo centrale, oltre che dagli stessi governi locali, come sistema di preallarme finanziario (Jung 2008, pp. 89-116).
L’attuale sistema di monitoraggio da parte dello Stato in Italia si basa sui
c.d. Parametri di deficitarietà che, non includono i fattori di rischio finanziari emersi da questo studio. Tali parametri, inoltre, sono segnaletici di
situazioni di tensione e difficoltà finanziarie soltanto dopo che le stesse
si sono manifestate. In accordo con Kloha et al. (2005, pp. 236-255), è
molto più utile un sistema di alert.
In accordo con Ritonga et al. (2012, pp. 37-50) i risultati di studi simili potrebbero essere utilizzati dai governi locali e dalle parti interessate per migliorare i processi di accountability dei policy maker e per aumentare la competitività dei governi locali. Il default degli enti locali può
anche diminuire il rating degli enti stessi e mettere in pericolo la reputazione dei governi statali (Honadle 2003, pp. 1431-1472). Il modello proposto può essere inoltre utilizzato per un’analisi di benchmark sul
territorio. Infine, anche la magistratura contabile e gli organi di revisione potrebbero utilizzare il modello nello svolgimento della propria attività di supporto e di collaborazione agli enti locali (Zafra-Gomez et al.
2009, pp. 175-182).
7. Conclusioni
Lo studio presenta i seguenti limiti: in primo luogo, l’analisi si basa su dati
di bilancio e quindi la qualità dell’informazione finanziaria influisce sulla
precisione dei risultati. Nell’ambito di questo studio, inoltre, non sono state prese in considerazione variabili sociali e indicatori macroeconomici
che avrebbero potuto arricchire l’analisi e i risultati stessi. Di queste variabili si potrebbe tenere conto in futuri sviluppi del presente studio, sebbene in letteratura si riscontrino posizioni differenti sulla loro utilità. Kloha (2005, pp. 236-255), ad esempio, ritiene che, sebbene i fattori socio-economici possano influenzare la situazione finanziaria, tuttavia essi non sono la condizione finanziaria stessa. Inoltre, la letteratura su come i fattori socioeconomici influiscono sulla situazione finanziaria non è
ancora consolidata. Pertanto, il loro impiego nei modelli potrebbe essere arbitrario e talvolta errato. Ancora, Hendrick (2004, pp. 78-114.) osserva che sui fattori ambientali, rappresentati dai trend macro economici, politici, sociali e demografici, i governi locali hanno un potere di controllo marginale. Pertanto, è preferibile concentrarsi sui fattori organizzativi, rappresentati dai livelli di entrata e di spesa, che sono invece influenzabili dall’azione dei governi locali.
L’apparente oggettività degli indici finanziari quantitativi non cattura le scelte di policy dei governi, in termini soprattutto di equità intergenerazionale e di redistribuzione dei redditi. Pertanto, valori identici degli stessi indicatori potrebbero sottendere scelte di policy differenti che,
nel lungo periodo, potrebbero condurre a scenari molto diversi (Murray
e Dollery 2007, p. 332-345).
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Saggi
Ciò nonostante, lo studio fornisce letteratura empirica sui modelli di previsione del rischio di default degli enti locali, contribuendo a colmare un
gap in quanto, in Italia, il tema della sostenibilità finanziaria dei governi
locali è stato finora analizzato da una prospettiva prevalentemente giuridica (Sargiacomo 1999, 233-257; Capalbo e Grossi 2014, pp. 107-114).
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Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in Italia
Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in Italia
Luca Bartocci
Professore Associato, Università degli Studi di Perugia, [email protected]
Giuseppe Grossi
Professore Ordinario, Kristianstad University
Daniele Natalizi
Dottorando di Ricerca, Università degli Studi di Perugia
Stefania Romizi
Laureata in Amministrazione e Legislazione Aziendale, Università degli Studi di Perugia
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il BP come strumento di rinnovamento della PA – 3. Il contesto nazionale italiano – 4.
Un’analisi sullo stato dell’arte nazionale: la metodologia di ricerca – 5. Le principali evidenze dell’indagine – 6. Il
quadro d’insieme: una discussione dei risultati – 7. Riflessioni finali
Nell’ambito dei nuovi paradigmi culturali che stanno guidando il rinnovamento del settore pubblico, un significato particolare viene attribuito al tema del coinvolgimento dei cittadini nei processi
di governo. Tra gli strumenti più suggestivi è da annoverare il bilancio partecipativo (BP), pratica
attraverso cui i cittadini possono influenzare l’allocazione di una determinata quota delle risorse
disponibili in un bilancio pubblico. Nella letteratura si dibatte particolarmente sulla portata ed
efficacia di tale strumento, interrogandosi sulla possibilità che la sua applicazione possa perdurare nel tempo e contribuire a rinnovare le tradizionali modalità di governo. Il presente contributo
intende presentare e discutere una mappatura del fenomeno nel nostro Paese, riportando i dati di
una prima ricognizione dei casi di BP attivati fino al 2014, proposti secondo nove distinti profili
d’indagine. I risultati costituiscono una preziosa base per successive ricerche che intendano approfondire specifici aspetti messi in luce dallo studio e offrono elementi utili per ipotizzare possibili
direttrici di sviluppo della prassi futura.
From the new cultural paradigms that are driving the public sector renewal, a relevant topic that is
emerging worldwide is the citizens involvement in government. In this frame a special focus has to
be paid to Participatory Budgeting (PB), a process through which citizens are actively involved in
the public budgeting cycle. Scholars have been widely debating about the scope and effectiveness
of PB, especially on its meaning in terms of political, managerial and social relevance. The aim
of this study is to map the Italian PB implementations, in order to unveil the concrete features of
the phenomenon. The findings, reported according to nine different variables, constitute a useful
base for further researches with the purpose to deepen specific issues and to draw possible future
scenarios for PB praxis.
Parole chiave: Partecipazione Civica – Bilancio Partecipativo – Italia
Key words: Citizen Involvement – Participatory Budgeting – Italy
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Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in Italia
1. Introduzione
Nell’ampio dibattito sul rinnovamento del settore pubblico un significato particolare viene attribuito al tema del coinvolgimento dei cittadini nei
processi di governo. Non a caso la partecipazione civica è considerata in molti approcci come uno dei principali elementi distintivi dei nuovi
paradigmi culturali, come quello della Public Governance (Bingham et
al. 2005). La letteratura nazionale (Storlazzi 2006; Pillittu 2009) e internazionale (Ebdon e Franklin 2006; Callahan 2007; Skelcher e Torfing
2010) in tema di partecipazione si è soffermata sui suoi significati teorici, le modalità attuative, i benefici potenziali, le condizioni di successo, i
limiti e le criticità applicative. Essa è definibile come la effettiva e consapevole possibilità dei cittadini di influenzare le scelte e i comportamenti
di un’amministrazione pubblica.
Tra le pratiche con un maggior grado di potenzialità inclusiva va annoverato il bilancio partecipativo (BP), che negli ultimi anni ha conosciuto un’importante diffusione nel mondo. L’idea di base è quella di poter
costruire il bilancio di previsione di un’amministrazione pubblica (o meglio di decidere dell’allocazione di una sua “fetta”) con la partecipazione dei cittadini. Si tratta di uno strumento nato dalla pratica e non può
dirsi che esista un’unica modalità standard di redazione, quanto piuttosto
molte versioni, con diverse soluzioni operative, spesso mutanti nel tempo.
Il BP è giunto in Europa da altre aree geografiche e la prima applicazione continentale si è avuta proprio in Italia, dove nell’ultimo decennio
abbiamo assistito a una non trascurabile proliferazione di nuove sperimentazioni soprattutto a livello locale. Non esiste una vera e propria mappatura nazionale della loro diffusione, malgrado siano presenti studi su
specifiche esperienze considerate singolarmente o come insiemi di casi.
Uno dei tentativi più rilevanti è quello promosso e coordinato a livello europeo da Sintomer e dal quale è emerso, anche per l’Italia, un quadro
molto frammentato e diversificato, caratterizzato da profonda fragilità e
volatilità del fenomeno (Sintomer e Allegretti 2009).
Lo scopo di questa ricerca è proprio quello di presentare i risultati di
una prima ricognizione nazionale dei BP. Lo studio, di per sé, non vuole
proporre una mappatura secondo criteri di classificazione predeterminati, né di verificare ipotesi interpretative del fenomeno analiticamente prestabilite. Attraverso un approccio esplorativo, sono riportati i principali
risultati di un database costruito mediante la rielaborazione delle informazioni direttamente raccolte dalla documentazione relativa allo svolgimento dell’ultimo ciclo di BP di ognuno dei casi censiti. L’identificazione
delle varie esperienze è avvenuta mediante l’utilizzo dei più diffusi motori di ricerca internet e la consultazione della letteratura esistente. L’output ottenuto permette di tracciare un quadro dello stato dell’arte nel nostro Paese, di delineare possibili linee evolutive del fenomeno e di ipotizzare direttrici di ricerca su un tema che è di particolare attualità nel panorama nazionale e internazionale.
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Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in Italia
L’articolo si sviluppa, dapprima, inquadrando il BP nel contesto nazionale e, poi, esponendo metodologia e risultati della ricerca svolta, proponendo nove distinti profili d’indagine. Il lavoro si chiude con una discussione di tali risultati e alcune riflessioni conclusive.
2. Il BP come strumento di rinnovamento della PA
Dall’idea che il cittadino non debba più essere considerato come un mero utente delle attività e dei servizi erogati da un’istituzione di natura pubblica, ma piuttosto come un partner con cui la stessa deve intessere una
relazione di tipo bi-direzionale (Vigoda 2002), riacquista vigore il tema
non nuovo della partecipazione civica.
Già negli anni ’60 e ‘70 esso, soprattutto visto in chiave di legittimazione dell’azione dei public servant, aveva conosciuto un primo sviluppo teorico, anche se con posizioni non sempre concordanti e favorevoli. Cupps (1977), ad esempio, ha denunciato che un eccessivo grado di
apertura ai cittadini dei sistemi decisionali politici può risultare pericoloso e poco efficiente. Tuttavia le manifestazioni di contrarietà al fenomeno partecipativo sono rimaste, almeno dal punto vista concettuale, piuttosto isolate, lasciando spazio all’affermazione di significati legati ai temi dello sviluppo della coesione sociale e del miglioramento amministrativo, fino a teorizzare concezioni in cui la partecipazione è vista come
meccanismo di “risignificazione” del modello tradizionale rappresentativo di democrazia (Fung e Wright 2001).
Il tema, peraltro, rappresenta un crocevia di numerose aree scientifiche: economia politica, sociologia, filosofia, urbanistica, scienza della
politica, oltre alle discipline economico-aziendali. Uno dei problemi che
attraversa questi diversi ambiti di riflessione teorica è il tentativo di costruire una sorta di “metrica” della partecipazione: essa, infatti, non si
dovrebbe misurare solo in termini di quantità dei soggetti coinvolti, ma
anche e soprattutto in termini di qualità dei processi attivati (King et al.
1998). In tal senso l’elemento decisivo è individuato nell’effettiva possibilità del cittadino di influire nelle decisioni pubbliche.
Partendo da questo punto di vista, Arnstein (1969) ha elaborato una
scala della partecipazione composta da otto gradini, a ciascuno dei quali corrisponde un distinto grado di potere decisionale restituito ai cittadini. Si tratta di un contributo, a cui ne sono seguiti altri, che ancora oggi
rappresenta una pietra miliare proprio perché offre un punto di riferimento per inquadrare il potenziale delle varie prassi e degli strumenti applicati con funzione inclusiva.
Tra questi un significato particolare va riconosciuto alle esperienze
di BP. Più che di un semplice strumento di inclusione, esse rappresentano un complesso di pratiche, con il ricorso a più tecniche e procedimenti, volto al coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni di allocazione delle risorse pubbliche.
Si tratta di applicazioni nate dalla prassi, più che “a tavolino”, e sen39
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Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in Italia
za un modello unico di riferimento. La loro stessa origine è incerta, seppure sia possibile individuare tre principali “aree d’incubazione”. All’esperienza della cittadina neozelandese di Christchurch, che già sul finire degli anni ‘80 aveva promosso un tentativo di BP, è possibile aggiungere alcuni casi del Nord-America e, soprattutto, quello della città brasiliana di Porto Alegre. Quest’ultimo caso, risalente al 1988, ha riscontrato un forte impatto mediatico nel mondo e costituisce ancora oggi una
sorta di icona culturale, oltreché un fondamentale modello di riferimento (Wampler 2007).
A partire da queste iniziative, anche per la crescente attenzione del
mondo accademico e delle istituzioni internazionali (in primis ONU e
Banca Mondiale), si sono sviluppati e diffusi molti altri casi in tutti i continenti. L’ampiezza, ma anche l’eterogeneità del fenomeno sono documentate dalla diversità terminologica con cui tali prassi sono state via
via identificate, aumentando le difficoltà cognitive da parte degli studiosi coinvolti. Alcuni Autori hanno proposto un insieme di caratteri comuni dei BP con il fine di convergere verso un quadro interpretativo sempre più condiviso. In particolare, Sintomer et al. (2008) ritengono che
si possa parlare di BP in compresenza dei seguenti elementi: i) una discussione esplicita della dimensione economico-finanziaria del processo; ii) un riferimento all’intero territorio dell’amministrazione proponente; iii) la ripetizione nel tempo; iv) la previsione di forme di comunicazione e deliberazione pubblica; v) la rendicontazione dei risultati della partecipazione. Bassoli (2012) ha poi proposto di integrare i suddetti criteri con un sesto elemento: l’effettiva possibilità dei singoli cittadini senza interessi particolari (cd. lay citizen) di partecipare direttamente al processo.
Un ulteriore aspetto problematico attiene alla diffusione e alla mappatura del fenomeno. Sintomer et al. (2010), facendo riferimento alla criteri identificativi appena riportati, hanno stimato circa 1.500 applicazioni in tutto il mondo. I contributi maggiori arrivano proprio dall’America
Latina (920) e dall’Europa (295), ma esperienze riconosciute di BP sono
presenti in tutti i continenti. È però da ritenere che i suddetti numeri siano
nel frattempo cresciuti, visto che il tema continua ad avere il favore delle più importanti istituzioni internazionali e che continuamente, da tutto il
mondo, giungono notizie circa l’attivazione di nuove pratiche (basti pensare alle suggestive sperimentazioni recentemente avviate in megalopoli
statunitensi come Chicago, Los Angeles e New York).
3. Il contesto italiano
Il tema della partecipazione si è sviluppato nel nostro Paese a partire
dalla fine degli anni ’60, quando le proteste dei movimenti studenteschi e operai si sono fatti portatori di forti istanze di cambiamento istituzionale, anche ispirati a principi di maggiore esercizio della democrazia diretta. Nel tempo sono seguiti una serie di interventi legislatiAzienda Pubblica 1.2016
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Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in Italia
vi, in verità quasi mai promossi “dal basso”, che hanno disegnato un
quadro propizio all’introduzione di strumenti partecipativi. Si segnalano in particolare:
•la L. 278/1976, che ha istituito le circoscrizioni comunali, anche
se successivamente la L. 42/2010 le ha limitate alle città con una
popolazione di almeno 250.000 abitanti;
•la L. 241/1990, sul procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti amministrativi, affrontando il problema della
trasparenza delle amministrazioni pubbliche;
•la L. 81/1993, sulla riforma elettorale degli enti locali, prevedendo l’elezione diretta del Sindaco e del Presidente della provincia;
•il D.Lgs. 267/2000 (Testo Unico degli Enti Locali), che all’art. 8
ha affermato che “i Comuni, anche su base di quartiere e di frazione, valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all’amministrazione locale”.
A questi provvedimenti di portata nazionale hanno fatto seguito interventi legislativi di carattere regionale (in particolare in Toscana, Lazio, Emilia Romagna, Umbria, Puglia e, più recentemente, Sicilia) volti a promuovere in maniera più puntuale logiche e strumenti partecipativi e giungendo a prevedere, in alcuni casi, specifici finanziamenti
per l’attuazione di specifiche pratiche1. Va precisato che tali interventi hanno talvolta sofferto di un carattere generalista (si pensi, ad esempio, che in alcuni testi di legge l’utilizzo di termini come “consultazione online” o “discussioni in materia ambientale” sono sufficienti a qualificare l’esperienza come partecipativa), ma va comunque riconosciuto loro il merito di avere favorito la sperimentazione del BP e di aver
promosso due importanti elementi. Il primo è la previsione e creazione di organi specializzati nella discussione, informazione e promozione di logiche partecipative (come le assemblee cittadine e i nuclei tecnici di raccordo tra organi politici e cittadinanza), con l’apprezzabile
intento di ricondurre la partecipazione in uno spazio concreto e tangibile. Il secondo è rappresentato dalla previsione, almeno in certi casi,
di benefici finanziari per quelle amministrazioni che avessero posto in
essere processi partecipativi (emblematica, a riguardo, la Legge della
Regione Lazio n. 4/2006, con cui sono stati emanati numerosi bandi
pubblici di finanziamento).
1 Si sta parlando dei seguenti provvedimenti: i) Toscana: L.R. 69/2007 “Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali” e L.R.
46/2013 “Dibattito Pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche locali e regionali”; ii) Lazio: L.R. 4/2006, art. 44, attuato con Regolamento n. 4 del 28/06/2006 “Disciplina del processo di partecipazione alla formazione delle decisioni in materia di programmazione economico-finanziaria e di bilancio della Regione”; iii) Emilia Romagna: L.R. 3/2010 “Norme per la definizione, riordino e promozione delle procedure di consultazione e partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”; iv) Umbria: L.R. 14/2010 “Disciplina degli istituti di partecipazione alle funzioni delle Istituzioni Regionali”; v) Puglia: Delibera n. 1976 del 22/10/2013
“Dichiarazione di intenti sui processi partecipativi”; vi) Sicilia: L.R. 15/2015 “Disposizioni in materia di liberi consorzi comunali e città metropolitane”
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Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in Italia
È poi da notare che, accanto ai suddetti provvedimenti, si è progressivamente sviluppato un intenso dibattito sociale e scientifico anche per
gli effetti prodotti da alcuni eventi internazionali, come il primo Forum sociale mondiale svoltosi a Porto Alegre nel 2001, e dall’azione promossa da organizzazioni e network come la Rete Nuovo Municipio. L’attenzione di numerosi amministratori locali ha così cominciato a considerare anche il tema della partecipazione, che ha finito per trovare sempre
maggiore spazio nei programmi elettorali.
Dalla prima iniziativa di BP italiana e europea, risalente al 1994 ad
opera del Comune di Grottammare, che a tutt’oggi rimane un importante modello di riferimento, nell’ultimo decennio sono state registrate numerose sperimentazioni.
Alcune di queste sono state oggetto di specifiche analisi, o come casi esaminati singolarmente o come piccoli insiemi di casi2. L’impressione
ricavabile da tali studi è di un quadro estremamente dinamico: la situazione del nostro Paese appare in continua evoluzione, una sorta di cantiere aperto connotato da “caos creativo” (Sintomer e Allegretti 2009: p.
127). Peraltro, elementi di forte instabilità e volatilità del fenomeno emergono anche da ricerche condotte in altri Paesi (Lopes Alves e Allegretti 2012) e la stessa esperienza di Porto Alegre, vista come la “madre”
di molte sperimentazioni, si è modificata nel tempo e oggi è oggetto di
critiche per l’“ambiguità” dei processi inclusivi attuati (Ganuza e Baiocchi 2012; Baiocchi e Ganuza 2014). Tutto il “mondo” del BP, e non solo quello italiano, appare dunque interessato da una stagione di cambiamento e forti interrogativi sorgono sulle effettive possibilità di sopravvivenza di questo particolare strumento di governo.
4. Un’analisi sullo stato dell’arte nazionale: la metodologia
di ricerca
Alla luce di quanto detto, l’acquisizione di elementi che permettano una
ricostruzione della situazione in cui versano le esperienze attive di BP costituisce un tassello importante di un percorso conoscitivo volto a capirne la reale portata e i possibili sviluppi nel nostro Paese. In tal senso lo
scopo di questo lavoro è quello di presentare i risultati di una prima ricognizione sistematica e analitica dei casi italiani, risultati che sono il frutto della creazione di un apposito database informativo. L’idea è di offrire alla comunità scientifica e a quella dei practitioner un quadro tentativamente completo delle applicazioni promosse, evidenziandone le principali caratteristiche.
La metodologia seguita è di tipo qualitativo e riconducibile ai processi di desk analysis (Webb et al. 1999; Van Thiel 2014). Sono state utilizzate sia le fonti primarie disponibili (sostanzialmente la documentazio2 In proposito si segnalano i seguenti lavori: Amura (2003), D’Albergo et al. (2005), Mariani (2006), Ravazzi (2007), Agostinelli et al. (2008), Sintomer e Allegretti (2009), Canafoglia (2010), Putini (2011), Bartocci (2012), Bassoli (2012), Fanesi (2014), Tonella (2015).
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Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in Italia
ne direttamente prodotta dalle amministrazioni per decidere, disegnare,
gestire e rendicontare i cicli di BP) che quelle di tipo secondario (come
la letteratura di riferimento, gli archivi informatici, gli articoli di stampa e
altre forme di diffusione di notizie). L’utilizzo di queste ultime è stato fondamentale per la prima identificazione dei casi; per la successiva analisi delle caratteristiche dei processi di BP ci si è avvalsi soprattutto delle
fonti di tipo primario, facendo riferimento all’ultimo ciclo attivato, considerato come il più maturo.
La ricerca delle informazioni è stata condotta prevalentemente online
servendosi dei tre principali motori di ricerca: Google, Yahoo e Bing. Il
ricorso alla rete è giustificato dai seguenti fattori:
•il web rappresenta uno dei canali comunicativi più utilizzato nell’epoca della digitalizzazione della PA, come promosso da vari
provvedimenti normativi, in particolare da quelli che disciplinano
l’“amministrazione trasparente” (Manes Rossi e Aversano 2015);
• esiste autorevole letteratura (Hewson et al. 2003; Van Thiel 2014)
che considera gli observation study condotti online come soddisfacenti i criteri di affidabilità e validità necessari per la robustezza
di un metodo di ricerca;
• è ragionevole ipotizzare che una pratica facoltativa e inclusiva come il BP sia stata promossa dalle amministrazioni interessate dandone adeguata pubblicità, anche attraverso i più moderni canali
di informazione.
Attraverso il processo di analisi e revisione delle informazioni raccolte, integrate con quelle rivenienti dalla letteratura, sono state individuate
304 amministrazioni italiane in cui il BP è stato potenzialmente attivato.
Si noti, in proposito, che non è stata fatta nessuna scelta in termini di definizione teorica di BP, raccogliendo e riportando dati di tutte le iniziative autodichiaratesi come tali. Consultando il materiale messo a disposizione da ogni amministrazione, utilizzando un’apposita scheda di rilevazione, è stato alimentato un database che raccoglie informazioni riguardanti nove distinti profili d’indagine (Bartocci 2012):
• livello istituzionale coinvolto e distribuzione geografica del fenomeno;
• periodo di realizzazione, con riferimento a tutto l’arco temporale
interessato dalle varie edizioni;
• soggetto promotore dell’iniziativa;
• organizzazione del processo, in relazione alla strutturazione (istituti e strumenti) della partecipazione;
• temi oggetto della co-decisione;
• esplicitazione delle risorse a copertura delle spese co-decise;
• grado di formalizzazione del processo;
• estensione della partecipazione, con riferimento alla tipologia dei
soggetti partecipanti;
• rendicontazione del processo.
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Le osservazioni risultate incomplete per la maggior parte delle variabili analizzate sono state eliminate, giungendo così ad un ammontare
complessivo di 261 casi mappati e schedati.
5. Le principali evidenze dell’indagine
In questa sezione sono illustrati in maniera sintetica i principali risultati
della ricerca, articolati secondo i novi profili prima esposti.
a) Il livello istituzionale coinvolto e la distribuzione geografica
Il BP in Italia è adottato prevalentemente a livello comunale: dei
261 casi presi in esame, 233 sono stati realizzati da comuni. Un solo caso è stato realizzato a livello regionale (Lazio), 5 casi a livello
provinciale (Ancona, Cagliari, Bologna, Pesaro-Urbino e Potenza), 3
casi a livello di Unioni dei Comuni (Unione Montana dei Comuni della Lunigiana, Unione Montana dei Comuni del Mugello, Unione dei
Comuni della Valle dell’Olio), 19 casi a livello sub-comunale (municipi o circoscrizioni).
Tabella 1. Distribuzione per livello istituzionale
Livello istituzionale
Frequenza assoluta
Frequenza relativa
19
7,28 %
154
59,00 %
Comuni tra 15.000 e 50.000 ab.
59
22,61 %
Comuni superiori a 50.000 ab.
20
7,66 %
Unioni di Comuni
3
1,15 %
Province
5
1,92 %
Regioni
1
0,38 %
TOTALE
261
100 %
Municipi e circoscrizioni
Comuni entro i 15.000 abitanti
Entrando nel merito della distribuzione per dimensione demografica,
si osserva che tale pratica è utilizzata maggiormente nei comuni di piccole e medio-piccole dimensioni, che complessivamente non superano i
15.000 abitanti (154 casi su 261). Questo tipo di comuni, oltre ad essere il livello dimensionale più diffuso tra le nostre istituzioni territoriali,
è anche quello in cui il processo partecipativo può essere organizzato
con più facilità e con un contatto più diretto tra cittadini e amministratori.
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Figura 1. Distribuzione geografica
Dalla Figura 1 emerge che le esperienze di BP in Italia si sono diffuse maggiormente nelle regioni del centro-nord (91% dei casi), anche per
la spinta dovuta a specifici provvedimenti legislativi regionali volti a promuovere lo sviluppo locale di pratiche partecipative. Un ulteriore aspetto da considerare, a questo proposito, è il peso di alcune variabili socioeconomiche territoriali (in particolare, il livello medio di reddito pro-capite, la qualità della vita, la sensibilità verso l’impegno civico) che, come
osservato da Donovan e Bowler (2004), sono in grado di influire sulla
nascita dei processi partecipativi.
b) Il periodo di realizzazione
A tale riguardo si riportano i risultati relativi a tre distinti aspetti:
– la frequenza del fenomeno nel tempo, considerando per ogni anno i cicli di BP attivi;
– l’ultimo anno di realizzazione;
– la durata dell’esperienza, verificando l’occasionalità o la capacità di perdurare dei singoli casi.
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Figura 2. Frequenza per anno
La storia del BP in Italia comincia con Grottammare nel 1994, che per
lungo tempo rimane un caso isolato. A partire dal 2002 inizia una serie
crescente di sperimentazioni che tocca il suo picco nel 2008, quando
sono attive ben 125 esperienze (dato che rafforza la correlazione tra gli
interventi normativi regionali, promossi in particolare dalla Regione Lazio e dalla Regione Toscana, che hanno previsto specifici meccanismi di
supporto finanziario e la nascita di nuove esperienze). A partire dall’anno successivo si ha una progressiva caduta della frequenza dei casi attivi, fino ad arrivare a 25 applicazioni riferite al 2014. È comunque bene
tenere presente che il ciclo di svolgimento del BP non è sempre allineato
con quello della programmazione di bilancio e non sempre viene contenuto in un anno solare3.
Figura 3. Ultimo anno di realizzazione
3 Alla luce delle numerose esperienze censite, per uniformità dei criteri utilizzati, si è scelto di riferire l’anno di implementazione del ciclo di BP a quello in cui lo stesso si è concluso.
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La fragilità del fenomeno trova conferma nella Figura 3 dove il trend
negativo è confermato: emblematico il fatto che il 2008 sia stato l’ultimo
anno di realizzazione del BP in ben 88 osservazioni.
Figura 4 – Ripetizione del processo
In oltre la metà dei casi (133 dei 261) i cicli di BP hanno assunto
carattere occasionale: dopo un solo anno l’esperienza è definitivamente cessata. L’analisi mostra anche come 63 amministrazioni (il 24,14%
del totale) abbiano ripetuto più di due cicli di BP. Al di là del più volte
richiamato effetto di spinta, poi conclusosi, prodotto da apposite politiche regionali, occorre citare anche altre possibili cause di fragilità
del fenomeno: un’eccessiva identificazione con il proponente politico
del BP, con conseguente interruzione dell’esperienza alla sua sostituzione (nel 2009 in molti comuni si sono svolte le elezioni amministrative); l’impatto della crisi finanziaria e la conseguente politica dei tagli
alle amministrazioni locali promossa dal governo; la difficoltà a superare diffidenza e resistenza culturale interne alle organizzazioni pubbliche interessate.
c) Il soggetto promotore
Nell’indagine sono stati ipotizzati diversi promoter dell’iniziativa. I
soggetti di tipo politico, siano essi organi individuali (Sindaco e singoli Assessori) o collegiali (Giunta e Consiglio) sono risultati essere i patrocinatori dalla maggior parte delle iniziative di BP italiane, coprendo il
90,8 % dei casi censiti.
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Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in Italia
Tabella 2. Soggetto promotore
Soggetto promotore
Frequenza assoluta
Frequenza relativa
Organo politico collegiale
123
47,13 %
Organo politico individuale
114
43,68 %
Organo tecnico
0
0,00 %
Iniziativa “dal basso”
6
2,30 %
Informazione non disponibile
TOTALE
18
6,90 %
261
100 %
In pochissimi casi (6 in tutto) l’iniziativa è stata promossa “dal basso”
(cioè da movimenti civici, comitati di cittadini, ecc.) e addirittura in nessuno è stato possibile attribuire la paternità dell’iniziativa al livello dirigenziale e tecnico. Tale dato può presentare legami con l’annoso tema
del problematico rapporto tra politica e amministrazione nel nostro Paese e con quello del difficile processo di managerializzazione della nostra dirigenza pubblica, da tempo messi in evidenza negli studi (Grossi e
Mussari 2008, Di Mascio 2012). È peraltro possibile ipotizzare che iniziative di genesi manageriale siano poi state patrocinate e fatte proprie
dai soggetti politici di riferimento. Si noti che tale forte matrice politica
del BP è riscontrabile anche in altri contesti (Baiocchi e Ganuza 2014)
e secondo alcuni (Marino 2006; Ravazzi 2007) contribuirebbe a rendere i cicli estremamente fragili nella loro durata, non permettendone una
strutturazione sistematica nei livelli tecnico-operativi degli enti coinvolti.
d) L’organizzazione del processo
Tale profilo di analisi si riferisce alle modalità tecniche in cui il ciclo
è strutturato. L’indagine ha potuto costatare una grande varietà di meccanismi e di strumenti utilizzati, accorpati nelle categorie riportate nella Tabella 3.
Tabella 3. Organizzazione del processo
Canali partecipativi
Frequenza assoluta
Frequenza relativa
Assemblee
115
44,06 %
Assemblee e altri strumenti
110
42,15 %
31
11,88 %
Information technology tools
3
1,15 %
Informazione non disponibile
2
0,77 %
261
100 %
Solo altri strumenti
TOTALE
Il metodo assembleare è in assoluto il più utilizzato: in 115 casi esso
è implementato in via esclusiva, per quanto articolato in uno o più adunanze, a loro volta diversamente organizzate (di tipo territoriale o tematico); in altre 110 esperienze esso è combinato con altri strumenti di inclusione (tavoli tecnici, focus group, workshop, seminari, questionari e
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moduli di proposta, ecc.). D’altra parte il modello di riferimento è spesso quello di Porto Alegre, ispirato alle logiche di democrazia partecipativa, che vede nel ricorso a luoghi di confronto e dialettica lo strumento
necessario per pervenire ad una “volontà collettiva” che non è vista solo come somma di opzioni individuali (Wampler 2012). Stentano, forse
per motivi culturali e anche per i ritardi del processo di digitalizzazione
della nostra PA, a diffondersi pratiche partecipative di “nuova generazione”, come il forum telematico o il voto online.
e) I temi
I dati circa i temi dichiarati come oggetto della co-decisione lasciano
intravedere il riferimento a modelli di BP che potremmo definire classici.
Le prime esperienze internazionali di BP hanno infatti riguardato soprattutto scelte legate alla soluzione di problemi urbanistici (Sintomer et al.
2012). Pur con una certa diversificazione, anche nel nostro Paese è possibile riconoscere una netta prevalenza di tematiche legate ai lavori pubblici; trova anche spazio la trattazione delle problematiche ambientali e
delle politiche sociali, culturali e giovanili.
Figura 5. Temi della partecipazione
Un aspetto particolare che emerge dall’analisi, forse innescato anche dai crescenti vincoli di spesa pubblica e dai ridotti spazi in termini
di discrezionalità allocativa, è un progressivo spostamento verso pratiche inclusive aventi oggetto politiche di regolazione (come la definizione di piani urbanistici, piani sociali di zona, ecc.), che non comportano esborsi finanziari. Mancano del tutto, invece, tentativi di attuazione di processi condivisi di decisione sull’entrata, sulle modalità di co49
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pertura delle spese oggetto del BP o, possibilità segnalata dalla letteratura internazionale (Sintomer et al. 2008), sulla copertura di eventuali disavanzi di bilancio.
Altro elemento da osservare è il fatto che in 42 casi si dichiara che
il BP abbia comportato una discussione dell’intero budget disponibile.
Tale impostazione appare poco realistica e disallineata con la prassi internazionale; è lecito pensare che in questi casi il processo abbia avuto una natura consultiva piuttosto che rappresentare un effettivo meccanismo di co-decisione.
Figura 6. Tipologia di discussione
In aggiunta si consideri che in più della metà delle esperienze (176
sui 261 casi complessivi) la discussione è stata di tipo multitematica.
Ciò segnala un trend evolutivo rispetto alla prima stagione maggiormente focalizzata sulla realizzazione di opere urbanistiche. Il BP è
sempre più utilizzato, almeno in potenza, a largo spettro per percepire bisogni e necessità di cittadini o gruppi organizzati, piuttosto che
essere focalizzato sulla possibilità esclusiva di effettuare specifici piani d’investimento.
f) L’esplicitazione delle risorse
Ulteriori indicazioni si hanno esaminando i dati circa la preventiva
esplicitazione delle risorse messe “in palio”.
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Figura 7. Esplicitazione delle risorse
Solo in un terzo delle applicazioni i partecipanti hanno avuto modo
di conoscere, all’inizio del processo, il budget disponibile per la co-decisione. Il dato è rilevante perché può segnalare un basso livello di trasparenza dei cicli di BP, con il rischio di creare nella cittadinanza la percezione di una “illusione partecipativa”. È anche vero che tale scelta può
invece essere interpretata come una sorta di garanzia del processo, per
non influenzare i partecipanti e lasciarli liberi di formulare qualsiasi tipo
di proposta; ciò non scioglie comunque i dubbi sulla effettiva natura deliberativa della partecipazione nei casi analizzati.
g) La formalizzazione del processo
La formalizzazione delle modalità di svolgimento del ciclo di BP può
essere vista sotto due accezioni: da una parte essa può essere assunta
come un indicatore della volontà di stabilizzare il BP e di favorirne l’interiorizzazione da parte della struttura organizzativa; dall’altra emerge
il rischio di irrigidire un’esperienza che, almeno in questa fase, non può
che essere il frutto di una scelta “libera” e creativa per evolversi e per
adattarsi alle future esigenze che potranno manifestarsi (in altri termini,
il rischio è quello del formalismo). Le vie perseguibili per la formalizzazione sono diverse e con differente grado di istituzionalizzazione: modifiche statutarie, emanazione di specifici regolamenti amministrativi, adattamento del regolamento di contabilità, produzione di linee-guida, ecc.
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Tabella 4. Formalizzazione del processo
Grado di formalizzazione
del processo
Frequenza assoluta
Frequenza relativa
Nessuna formalizzazione
66
25,29 %
Linee guida
36
13,79 %
Regolamento su BP
29
11,11 %
Delibera di Giunta/Consiglio
27
10,34 %
Modifica Statuto dell’ente
3
1,15 %
Modifica Regolamento di
contabilità
1
0,38 %
99
37,93 %
261
100 %
Informazione non disponibile
TOTALE
Nel 25% dei casi analizzati non è stato promosso nessun intervento di formalizzazione, mentre nel 38% non è stato dichiarato nulla e
forse è possibile ritenere che non siano state prese iniziative in tal senso. Resta comunque significativo il fatto che nel 37% delle applicazioni si sia deciso di intervenire per assicurare argini formalizzati al processo, rivelando anche un certo “investimento” politico-istituzionale
nello strumento.
h) I soggetti partecipanti
Nell’indagine sono state individuate quattro distinte categorie di destinatari/beneficiari del BP:
– cittadini non qualificati, cioè non organizzati e privi di interessi
particolari (lay citizen);
– cittadini qualificati, in quanto appartenenti a categorie particolarmente interessate (per esempio, qualificati come stakeholder di riferimento);
– gruppi organizzati d’interesse;
– cittadini, organizzazioni formalizzate e non formalizzate, quando
il BP è espressamente rivolto indistintamente a tutte le categorie di
soggetti appena definiti.
Tabella 5. Soggetti partecipanti
Soggetti partecipanti
Frequenza assoluta
Frequenza Relativa
Singoli cittadini,
organizzazioni formalizzate
e non formalizzate
127
48,66 %
Singoli cittadini non qualificati
117
44,83 %
12
4,60 %
Singoli cittadini qualificati
Gruppi d’interesse
Totale
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52
5
1,92 %
261
100 %
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Dai risultati emerge che le esperienze in cui sono stati coinvolti i soli cittadini qualificati o organizzati non sono numerose (circa il 6,5 %).
Nella maggior parte dei casi il BP si rivolge al “generico” cittadino singolarmente inteso o è aperto a tutte le formulazioni, rivelando l’assenza
di una scelta ex ante in termini di target.
i) La rendicontazione del processo
Un momento rilevante riguarda la fase di comunicazione dei risultati,
soprattutto nella prospettiva tipica dell’accountability. Nei casi esaminati
le modalità abitualmente utilizzate per la rendicontazione sono:
– le udienze pubbliche;
– la pubblicazione di volantini, brochures e/o articoli di giornale;
– la collocazione dell’informazione sul sito internet istituzionale.
A questo proposito è da rilevare che nel 65% dei casi la rendicontazione è stata effettuata mediante pubblicazione sul sito istituzionale: non
sono state trovate informazioni relativamente al rimanente 35% dei casi.
Da notare anche il fatto che la “resa del conto” riguarda il percorso di
inclusione nella scelta di bilancio e, molto raramente, si estende alla fase d’implementazione delle politiche o di attuazione degli interventi oggetto della co-decisione.
6. Il quadro d’insieme: una discussione dei risultati
Dai risultati appena esposti emerge un quadro che, per quanto frammentario, permette di ricavare alcune evidenze empiriche utili per avanzare spunti di riflessione e possibili direttrici di ricerca futura.
I dati forniscono l’immagine di un Paese che, oltre a essere stato il primo in Europa in cui è stato adottato il BP, ne ha anche conosciuto una rilevante diffusione. Se è vero che sono complessivamente 304 i casi censiti, seppure quelli che è stato possibile analizzare sono solo 261, e che
essi rappresentano solo una piccola parte degli oltre 8.000 enti locali
italiani, tale numero, rapportato alla stima di circa 1.500 casi su scala
mondiale fatta da Sintomer et al. (2010), dimostra una non trascurabile
sensibilità verso il BP, almeno come possibile sperimentazione.
Non sono stati dunque pochi gli enti italiani che in questi anni hanno
provato ad implementare almeno un ciclo di BP. Il problema vero è piuttosto rappresentato dalla capacità di tali esperienze di perdurare nel tempo.
Non a caso la curva della frequenza temporale mostra un andamento parabolico, con una forte concentrazione negli anni 2005-2010 e con
un picco nel 2008. Nell’interpretazione del dato vanno considerati almeno due importanti aspetti: in alcune regioni – lo si è ripetuto più volte – gli
aiuti finanziari concessi ad hoc hanno influenzato significativamente prima la nascita e poi l’interruzione delle pratiche di BP; è poi possibile ipotizzare che la crisi della nostra finanza pubblica abbia svolto un ruolo di
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Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in Italia
deterrente verso la sperimentazione di nuove pratiche. In verità politiche
di austerity potrebbero e dovrebbero stimolare la ricerca di strumenti innovativi di scelta e di amministrazione, anche in un’ottica di maggiore legittimazione nei confronti dei cittadini. L’impressione avuta, anche da colloqui
diretti con figure politiche e manageriali implicate nelle esperienze esaminate, è che in taluni casi i nostri amministratori pubblici abbiano considerato il BP come un “lusso” da permettersi in condizioni favorevoli e da tagliare o rimodulare, riducendone l’impatto finanziario, in periodi di difficoltà. La scelta da alcuni operata di puntare sull’inclusione nella definizione di alcuni orientamenti di policy a “costo zero” (come la definizione di
piani urbanistici e sociali) pare andare nella stessa direzione.
Il livello istituzionale di riferimento è l’ente locale, soprattutto di dimensioni piccole e medie. I dati internazionali non sempre confermano questo dato: dobbiamo infatti registrare diverse esperienze di BP in grandi
città o addirittura in metropoli (come Buenos Aires, Chicago, Denver e
New York), casi a livello regionale (soprattutto in Sudamerica) e statale,
anche se dietro la spinta di istituzioni internazionali come la Banca Mondiale (Goldfrank 2012).
La promozione del BP nelle piccole realtà si può facilmente spiegare
con il fatto che si tratta di contesti in cui è più facile promuovere e organizzare la partecipazione. È pur vero, però, che può trattarsi di iniziative più estemporanee, meno strutturate e lasciate all’improvvisazione – o,
se si preferisce, alle capacità personali – del soggetto promotore.
Da questo punto di vista è molto interessante notare che nella stragrande maggioranza dei casi il patrocinio dell’iniziativa è di matrice politica. È stato già osservato come tale carattere possa, almeno secondo alcuni, favorire la fragilità del BP. Tale elemento interpretativo potrebbe essere rafforzato dal fatto che i processi di BP tendono a essere scarsamente interiorizzati, quanto meno poco formalizzati. In realtà, la nostra impressione è che il tema della “capacità di resilienza” del BP e delle condizioni che ne favoriscono l’assimilazione da parte di un’organizzazione coinvolga uno spettro più ampio di variabili e meriterebbe specifiche
e più approfondite analisi.
Ciò che risulta con maggiore evidenza dall’analisi è l’utilizzo più consultivo che vincolante dei cicli di BP. I dati sulla scarsa propensione a definire ed esplicitare in anticipo il budget delle risorse “in palio”, quelli
sulla mancanza di un target specifico di riferimento del processo; quelli
sulla molteplicità dei temi trattati (fino ai casi in cui si dichiara che la discussione riguarda l’intero bilancio preventivo) spingono ulteriormente a
pensare alla promozione di meccanismi lontani dalle logiche proprie della democrazia deliberativa.
Un ulteriore aspetto di criticità da considerare riguarda l’accountability del processo, perché focalizzata solo sulle modalità di svolgimento del
ciclo per la formazione della scelta pubblica e carente nel coinvolgere il
cittadino nella fase di esecuzione e rendicontazione della co-decisione.
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7. Riflessioni finali
Il BP è considerato come uno degli strumenti partecipativi con maggiore potenziale inclusivo e, per questo, ha conosciuto una certa diffusione
a livello mondiale e continua ancora oggi a catturare l’attenzione di diversi operatori. Gli studi finora condotti evidenziano l’esistenza di un insieme di prassi che presentano un elevato grado di differenziazione (Sintomer et al. 2008). È emersa, inoltre, una tendenza all’instabilità delle
pratiche di BP, che si manifesterebbe sia in termini di fragilità (tendenza
a non ripetersi) sia come volatilità (sensibilità ai cambiamenti) (Lopes Alves e Allegretti 2012). La stessa esperienza di Porto Alegre, assunta come modello-icona per molte delle successive applicazioni, ha subito mutazioni e oggi sembra riscontrare minor consenso, inducendo alcuni studiosi a supporre se non sia arrivato “a time of clousure” (Melgar 2014:
p. 121). Si rafforzano, così, gli interrogativi sul futuro di questa pratica
e sui reali significati della sua diffusione.
Per provare a rispondere a questi interrogativi, che coinvolgono appieno le esperienze italiane, occorre innanzitutto osservare la fenomenologia
del BP, anche perché sinora la letteratura si è concentrata soprattutto sui
significati teorici della partecipazione o sull’analisi di pochi casi concreti.
La nostra ricerca ha tentato di offrire elementi in tal senso, cercando
di delineare un primo quadro generale nazionale da cui emergono alcune conferme rispetto ai profili caratteristici emersi negli studi internazionali. I dati mostrati permettono di cogliere:
– una grande instabilità delle esperienze finora attivate;
– una loro scarsa strutturazione, seppure con elementi che lasciano
intravvedere il riferimento al modello di Porto Alegre;
– una potenziale “personalizzazione politica” del BP;
– una possibile ambiguità dovuta al fatto che in molti casi la natura
del processo pare essere più consultiva che deliberativa.
L’immagine che ne risulta è dunque un po’ diversa da quel “caos creativo” italiano descritto da Sintomer e Allegretti (2009) solo qualche anno fa.
Al fine di fugare i dubbi sulla reale portata che hanno accompagnato la nascita e la diffusione del BP – alla pari di molti altri strumenti introdotti nel mondo pubblico in queste ultime decadi per migliorare e incrementare il rapporto fiduciario tra cittadini e istituzioni – è necessario approfondire ulteriormente le cause sottostanti i suddetti caratteri.
Un primo aspetto che merita attenzione è relativo alle condizioni esterne di successo del BP. Ci si riferisce in particolare all’esistenza o meno
di un’adeguata “cultura” della partecipazione tra i cittadini e alla possibilità di promuovere un’“educazione” partecipativa. Si tratta di un tema
cruciale, che si intreccia con quello della crisi del modello tradizionale
di democrazia rappresentativa.
Un secondo profilo di approfondimento è relativo alle condizioni interne all’ente che promuove il BP. Come si è visto, può esistere un pro55
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Lo stato dell’arte del bilancio partecipativo in Italia
blema di eccessivo patronage politico dello strumento, quando lo stesso
viene a essere identificato con uno schieramento partitico o, ancora peggio, con una singola figura politica. La matrice politica di un BP non è di
per sé un fatto negativo, ma vanno ulteriormente indagati i motivi per cui
l’esperienza non viene assimilata internamente. In tal senso, andrebbero anche meglio esplorate le valenze e le implicazioni manageriali che
lo stesso può avere; da questo punto di vista, ci sono importanti variabili di tipo culturale e organizzativo da considerare.
In terzo luogo occorre insistere nelle analisi delle diverse modalità
tecniche di realizzazione dei cicli di BP e della loro influenza nei casi di
crisi o successo. La co-decisione è frutto di un processo che è fortemente condizionato dalle modalità attraverso cui esso è strutturato. A questo proposito entrano in gioco visioni della società e del ruolo del settore pubblico che inevitabilmente condizionano il modello teorico di partecipazione e le scelte attuative relative al BP (si pensi alla diversità tra la
visione neoliberista fondata sulla public choice theory e quella sottostante l’idea di democrazia deliberativa).
In ultimo si segnala l’assoluta necessità di cominciare a far luce sugli impatti della partecipazione sulla qualità delle decisioni e dei risultati prodotti. Forse si tratta della frontiera più impegnativa, viste le difficoltà di considerare nelle valutazioni aspetti che hanno natura estremamente eterogenea e tempi di manifestazione molto lunghi.
Forse già un’indagine analitica delle esperienze più recenti (anni 2013
e 2014) e potenzialmente ancora attive potrebbe fornire alcune indicazioni significative con riferimento alle problematiche appena esposte.
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Saggi
Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa:
un modello di classificazione e di benchlearning
Nathalie Colasanti
Dottoranda di Ricerca in Economia Aziendale, Dipartimento di Management e Diritto, Università degli Studi di Roma
“Tor Vergata” – [email protected]
Rocco Frondizi
Dottorando di Ricerca in Economia Aziendale, Dipartimento di Management e Diritto, Università degli Studi di Roma
“Tor Vergata”
Marco Meneguzzo
Professore Ordinario di Economia delle aziende ed amministrazioni pubbliche, Dipartimento di Management e
Diritto, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
Professore Ordinario di Management pubblico e non-profit, Coordinatore del Laboratorio Management pubblico e
sanitario CORE, Università della Svizzera Italiana
Paola Santini
Collaboratrice Scientifica, Laboratorio di Management Pubblico e Sanitario CORE, Università della Svizzera Italiana
Sommario: 1. Introduzione 2. Il crowdfunding: un’analisi della letteratura 3. La metodologia utilizzata nell’analisi 4.
Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Svizzera 5. Applicabilità del modello, prime conclusioni e prospettive
di ricerca futura
La società è oggi caratterizzata dalla diffusione capillare delle tecnologie web based, che facilitano la creazione di reti informali, sia virtuali che reali, e da una crescente ricerca di soluzioni
che soddisfino i bisogni sociali e creino nuove relazioni. Il crowdfunding si inserisce in questo
contesto come strumento al servizio delle comunità di utenti e dei cittadini. Una sua particolare
applicazione, il civic crowdfunding, permette di finanziare progetti pubblici con la collaborazione
della società civile e del settore privato. Nel contributo verranno analizzate alcune esperienze di
civic crowdfunding a livello europeo, di cui verrà offerta una classificazione e una valutazione
multidimensionale delle caratteristiche e delle performance nell’ottica di confrontare le esperienze
e le buone pratiche, favorendo processi di apprendimento (benchlearning).
Web-based technologies are widely used in today’s society and foster the creation of virtual and
real-life informal networks. Society is also characterized by an increasing search for solutions that
satisfy social needs and create new relationships. Within this context, crowdfunding can be a tool
for such communities of citizens and users. Civic crowdfunding, in particular, allows to finance
public projects with the cooperation of the civil society and the private sector. In this article, two
international crowdfunding experiences will be analyzed, classified into a matrix, and evaluated
in terms of features and performances through a multidimensional model, in a benchmarking and
benchlearning perspective.
Parole chiave: Crowdfunding, Innovazione Sociale, Governance pubblica locale
Key words: Crowdfunding, Social Innovation, Local public governance
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
1. Introduzione
La nostra società è spesso caratterizzata da una forte frammentazione,
visibile non solo nei rapporti tra individui, ma anche tra questi e le istituzioni, che non sembrano più in grado di perseguire politiche collettive
adeguate ai bisogni sociali. Allo stesso tempo, lo sviluppo di nuove tecnologie e la diffusione capillare di Internet hanno permesso a singoli e
comunità di creare reti informali, tanto esclusivamente virtuali quanto radicate nella vita quotidiana, in opposizione alla frammentazione (Kleeman et al. 2008). Si diffonde, così, un concetto più ampio di innovazione, l’innovazione sociale (non più esclusivamente tecnologica ed economica), che può essere definita come la ricerca di nuove soluzioni a bisogni sociali, caratterizzate da una migliore capacità di risposta rispetto a
quelle esistenti, generando contemporaneamente nuove relazioni all’interno della società (Noya et al. 2009; Mulgan et al. 2010; Howaldt e
Schwarz 2010). L’innovazione sociale si sostanzia in numerose pratiche,
quali il microcredito, il crowdfunding, la condivisione di risorse (car sharing, bikesharing etc.), l’incubazione di imprese e il coworking, solo per
nominarne alcune.
In aggiunta a ciò, negli ultimi anni si è osservato uno sviluppo della
cultura imprenditoriale, per cui sempre più persone sono in grado di sviluppare idee creative, dare vita a network e portare avanti il proprio progetto, anche con il supporto di chi è geograficamente lontano, ma vicino
in termini di interessi e idee (crowdsourcing). Il crowdfunding si inserisce
in questo contesto come uno strumento importante sia per chi crea sia per
chi vuole far parte di una comunità informale: esso permette, infatti, agli
innovatori di raccogliere fondi per sostenere il proprio progetto tramite
canali diversi da quelli tradizionali e a tutti gli altri individui di sostenere
questi progetti, diventando parte di un network (De Buysere et al. 2012).
Il successo del crowdfunding nel settore privato ha spinto diverse istituzioni pubbliche a impiegare questo strumento per finanziare alcuni dei
propri progetti grazie ai contributi dei cittadini: si parla quindi di civic
crowdfunding, che riguarda progetti il cui risultato sia un impatto sociale positivo.
Il civic crowdfunding può essere utile non solo alle amministrazioni
che vogliono realizzare iniziative senza disporre di risorse sufficienti, ma
anche ai cittadini che desiderino entrare maggiormente in contatto con
le istituzioni, eventualmente anche portando alla loro attenzione i bisogni sociali maggiormente percepiti e le soluzioni per rispondervi. Negli
ultimi anni, quindi, si sono osservati numerosi esempi di progetti virtuosi
di civic crowdfunding (Castrataro e Barollo 2013), che verranno illustrati nelle sezioni successive.
Recentemente il crowdfunding ha trovato ampio utilizzo nel settore
delle organizzazioni non-profit e delle imprese sociali; un recente contributo ha evidenziato, nel nostro paese, la presenza di 82 piattaforme
di crowdfunding (69 attive e 13 in fase di lancio) e il crescente interesse
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
delle imprese sociali a utilizzare questo strumento (Balboni et al. 2015):
solo nel biennio 2011-2013, sono stati registrati più di 250 progetti condotti da imprese sociali italiane.
Il secondo pilastro dell’analisi è la considerazione di come la cultura
sia uno dei settori che più hanno risentito della crisi e dei tagli alla spesa pubblica (Bruton et al. 2015): da un lato i decisori pubblici non offrono un programma culturale all’altezza delle aspettative, dall’altro i cittadini sono sempre più insoddisfatti di questa situazione. Si è venuto così
a creare il clima ideale per l’impiego del civic crowdfunding nel settore
artistico e culturale, non solo per realizzare concretamente progetti meritevoli con il supporto della comunità interessata, ma anche con lo scopo,
da parte dei cittadini, di inviare un segnale alle istituzioni stesse, dimostrando la propria disponibilità a pagare. Il successo di una campagna
di civic crowdfunding in ambito culturale, dunque, non si ferma all’effettivo raggiungimento dell’obiettivo monetario, ma si riferisce anche alla
pressione che viene automaticamente esercitata sulle istituzioni dal successo stesso della campagna.
Nell’articolo si è cercato di rispondere alla seguente domanda di ricerca: è possibile individuare e selezionare un insieme di variabili significative, in base alle quali confrontare le esperienze di civic crowdfunding in atto a livello nazionale ed europeo? Più specificamente, si è cercato in primo luogo di verificare la possibilità di confrontare le esperienze di civic crowdfunding in atto, per poi classificarle in base a un
modello di analisi di tipo multidimensionale basato sull’utilizzo di differenti variabili in una prospettiva di benchlearning. Si è, infatti, ritenuto opportuno innovare rispetto al modello tradizionale, che confronta le esperienze di crowdfunding, e di conseguenza di civic crowdfunding, solo in base alle caratteristiche delle diverse piattaforme utilizzate (Balboni et al. 2015).
Il benchlearning rappresenta un’evoluzione delle modalità di
benchmarking e ha registrato un’elevata diffusione all’interno dei processi di autovalutazione della qualità (modello EFQM – European Foundation for Quality Management e modello CAF - Common assessment framework sviluppato dallo European Institute of Public Administration). Dopo le prime sperimentazioni in imprese private e amministrazioni pubbliche dei paesi scandinavi negli anni ‘90 (si vedano www.karlofconsulting.se e www.benchlearning.com), si sono sviluppate numerose esperienze grazie al finanziamento (programma Leonardo CEE/UE) di progetti nel Regno Unito, Svezia, Norvegia e Finlandia. Il benchlearning
attribuisce particolare rilievo al processo di apprendimento ed è articolato su sette fasi. Il suo obiettivo non è semplicemente rapportarsi alle
“buone pratiche”, quanto imparare dalle altre imprese, istituzioni e organizzazioni, selezionate attraverso prassi di benchmarking, punti di
forza e aree di eccellenza con l’obiettivo di replicabilità e adattamento critico (Meneguzzo et al. 2004).
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
2. Il crowdfunding: un’analisi della letteratura
Il crowdfunding nasce all’interno del fenomeno del crowdsourcing, ovvero l’assegnazione al pubblico, da parte di un’impresa for profit, di compiti fondamentali per la realizzazione o la vendita del proprio prodotto, solitamente tramite Internet, con l’obiettivo di spingere gli individui a
contribuire al processo produttivo gratuitamente o a fronte di una remunerazione inferiore al valore del contributo che essi apportano all’impresa (Kleeman et al. 2008). Lo sviluppo del web 2.0 è uno dei motivi principali alla base dello sviluppo del crowdsourcing online, poiché
permette a chiunque di comunicare e creare contenuti superando le distanze geografiche e di interagire con reti virtuali per realizzare progetti di crowdsourcing (Kleeman et al. 2008; Hammon e Hippner 2012;
Schwienbacher e Larralde 2012).
Il crowdsourcing non prevede che i partecipanti forniscano risorse finanziarie all’impresa, eppure in alcuni casi si è registrata la partecipazione della “massa” al finanziamento di progetti specifici.
Il primo uso del crowdfunding come strumento di finanziamento è stato registrato nel settore artistico culturale (Aitamurto 2011) con l’impiego della piattaforma Sellaband, fondata nel 2006; il termine “crowdfunding”, invece, è stato utilizzato per la prima volta da Michael Sullivan
sul suo sito web, Fundavlog, sempre nel 2006. La crisi economico-finanziaria ha senz’altro contribuito alla diffusione del crowdfunding, poiché
le forme di finanziamento tradizionali per le imprese innovative si sono
fortemente ridotte (Bruton et al. 2015). Il settore culturale continua a fare
un uso intenso del crowdfunding e molti professionisti in questo ambito
lo considerano una possibile soluzione ai problemi finanziari delle organizzazioni culturali (Morfoot 2011; Boeuf et al. 2014). D’altra parte, però, l’impiego del crowdfunding nel settore culturale rischia di allontanare
i fund-seeker da reti e risorse più stabili (Bannerman 2013).
De Buysere et al. (2012) definiscono il crowdfunding come “lo sforzo collettivo di numerosi individui che creano una rete e uniscono le proprie risorse per sostenere progetti portati avanti da altri individui o organizzazioni”. Di norma, questo processo avviene per mezzo di Internet;
i progetti vengono finanziati grazie a moltissimi piccoli contributi individuali. Belleframme et al. (2010) sottolineano che il crowdfunding si basa su un appello aperto per raccogliere risorse finanziarie a sostegno di
iniziative specifiche; i contributi dei partecipanti possono costituire donazioni (quindi non sono previste ricompense), oppure dare il diritto a ricevere ricompense di vario tipo.
Il crowdfunding, quindi, si basa su due elementi principali: l’interesse dei singoli per un progetto specifico e l’uso di Internet, il quale differenzia il crowdfunding dalla tradizionale attività di fundraising, permettendo alle organizzazioni e agli individui di richiedere e fornire capitale
tramite un intermediario virtuale (Macht e Weatherston 2015). Il successo di Sellaband, infatti, ha portato alla creazione di numerose piattaforAzienda Pubblica 1.2016
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
me online dedicate ad argomenti specifici, quali i progetti imprenditoriali (Macht e Weatherston 2015), il giornalismo (Aitamurto 2011), la ricerca scientifica (Wheat et al. 2013), le esplorazioni nello spazio (Harris e
Russo 2015), i progetti scolastici (Meer 2014), la musica e le arti (Agrawal et al. 2013), lo sviluppo di medicinali (Dragojlovic e Lynd 2014).
I principali attori coinvolti nel crowdfunding sono tre: (i) gli individui
che cercano di ottenere fondi per il proprio progetto, detti fund-seeker;
(ii) i crowdfunder, cioè coloro che contribuiscono a finanziare tale progetto con una somma relativamente contenuta di denaro; (iii) l’intermediario, di norma una piattaforma online di crowdfunding, che permette
ai due attori di incontrarsi (Valanciene e Jegeleviciute 2013; Tomczak e
Brem 2013; Macht e Weatherston 2015).
Il crowdfunding può avvenire in modo diretto, quando il fund-seeker
si rivolge direttamente a un pubblico selezionato per mezzo della propria piattaforma, oppure indiretto, cioè quando viene lanciata una campagna rivolta al pubblico per mezzo di una piattaforma gestita da terzi
(Tomczak e Brem 2013).
Nel processo di raccolta fondi, il fund-seeker registra il proprio progetto su una piattaforma online, che seleziona i contenuti e in seguito li
pubblica (Collins e Pierrakis 2012); solitamente le piattaforme si basano
sulla “saggezza della folla” affinché i progetti ritenuti più validi vengano sostenuti e abbiano successo (Bruton et al. 2015). Per quanto riguarda i sostenitori e la loro partecipazione, Van Wingerden e Ryan (2011)
hanno individuato l’intervallo medio delle singole donazioni tra i 6 e i
50 dollari, in linea con il principio secondo cui ogni partecipante contribuisce con una piccola somma di denaro. Allo stesso tempo, il limite minimo per le donazioni è basso, proprio per permettere a un maggior numero di investitori di prendere parte alla campagna (Bruton et al.
2015). La distanza in termini geografici tra fund-seeker e sostenitori non
è significativa ai fini del successo o meno del progetto, nonostante le prime donazioni in termini temporali tendano a provenire da investitori locali (Agrawal et al. 2013).
La piattaforma può adottare la modalità all-or-nothing o quella keepit-all: nel primo caso, il fund-seeker può ricevere i fondi solo se raggiunge l’obiettivo prefissato, mentre nel secondo gli verrà consegnata la somma raccolta indipendentemente dal raggiungimento dell’obiettivo (Kappel 2009; Collins e Pierrakis 2012; Tomczak e Brem 2013).
Nella fase finale del processo di crowdfunding, il fund-seeker deve
portare a termine il progetto e consegnare le ricompense, ove previste, ai
partecipanti. Se il progetto si conclude con successo, le piattaforme trattengono una quota del totale raccolto: sono quindi motivate ad attrarre
ampie comunità di fund-seeker e sostenitori (Agrawal et al. 2013). I progetti non-profit hanno maggiori probabilità di successo rispetto a quelli for
profit, ma sono sostenuti da un minor numero di finanziatori e di norma
il loro obiettivo finanziario è più basso (Pitschner e Pitschner-finn 2014).
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
Il successo di una campagna di crowdfunding dipende dal capitale
sociale che i fund-seeker riescono a costruire e sviluppare intorno alla
piattaforma, la quale non costituisce quindi solamente un intermediario,
ma anche un locus di relazioni sociali (Colombo et al. 2015); ricevere
contributi nelle prime fasi della campagna spesso ne anticipa il successo
(Agrawal et al. 2013; Ordanini et al. 2011).
I modelli di crowdfunding si sono evoluti rapidamente, passando
dall’offrire ricompense materiali e diritti d’autore per arrivare a corrispondere prestiti strutturati e investimenti equity (Bruton et al. 2015).
Tabella 1. Le principali tipologie di crowdfunding
Tipologia
Descrizione
Donation-based
I contributi rappresentano mere donazioni
per iniziative non a scopo di lucro, a
fronte delle quali non sono corrisposte
ricompense.
Reward-based
I partecipanti prendono parte al finanziamento di progetti con l’aspettativa di
ricevere una ricompensa o un premio a
fronte del proprio contributo.
Lending-based
Le somme rappresentano forme di prestito
collettivo da privati verso altri privati (P2P)
o imprese (P2B) e devono essere restituite
ad un tasso di interesse più conveniente
rispetto al prestito tradizionale.
Equity-based
I partecipanti all’iniziativa vengono remunerati con partecipazioni delle società di
nuova creazione finanziate con questo
strumento.
Fonte: Nostra elaborazione
Il crowdfunding di tipo equity si è sviluppato più lentamente rispetto
alle altre modalità, tranne che nel Regno Unito, dove è cresciuto rapidamente grazie a Crowdcube e piattaforme simili.
I modelli di crowdfunding che prevedono donazioni e ricompense non
hanno conseguenze in termini di governance e proprietà delle nuove imprese che vengono costituite, così come il crowdfunding lending-based,
che riguarda principalmente l’indebitamento a breve termine; il crowdfunding equity, invece, amplia il bacino degli azionisti, nonostante non tutti abbiano diritto di voto, quindi l’effetto sui processi di governance possa essere contenuto (Bruton et al. 2015).
Un’altra classificazione è quella che vede le modalità di crowdfunding distinte in “passive” e “attive”: nel primo caso si fa riferimento al
crowdfunding reward-based, definito passivo poiché l’interazione tra il
fund-seeker e i sostenitori è limitata alla somministrazione delle ricompense; nel secondo caso, invece, l’idea di fondo è che i sostenitori non stiano solamente fornendo mezzi finanziari, ma si stiano anche impegnanAzienda Pubblica 1.2016
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
do ad avere un rapporto più approfondito con il fund-seeker, ad esempio collaborando alla creazione di nuovi prodotti (Schwienbacher e Larralde 2012; Lehner 2013).
Le teorie sulla psicologia di massa (Le Bon 1985; Freud 1921; Turner
e Killian 1972) e sul fenomeno della psicologia della “folla” online (Russ
2007; Surowiecki 2004) sono utili a comprendere i fattori motivanti all’opera nei processi di crowdfunding. Gerber et al. (2011) analizzano le
ragioni per cui gli individui decidono di dar vita a progetti di crowdfunding e per cui vi partecipano.
Cumming e Johan (2013) individuano il principale motivo di partecipazione nel desiderio di sostenere l’imprenditorialità e di ottenere un
contatto diretto con l’imprenditore. I crowdfunder, inoltre, sono più motivati a donare quando il progetto è descritto come un’opportunità di aiutare gli altri che quando è rappresentato come una mera opportunità di
business (Allison et al. 2015).
Un aspetto particolarmente interessante del crowdfunding è quello
che ha per oggetto i beni pubblici, chiamato civic crowdfunding, ovverosia il finanziamento collettivo di opere e progetti pubblici, in aggiunta
ai fondi pubblici, o in loro sostituzione, effettuato da cittadini e organizzazioni della società civile, anche in partnership con le amministrazioni
pubbliche. Il civic crowdfunding si riferisce a progetti finanziati collettivamente al fine di offrire servizi alla comunità, e ha come risultato la produzione di beni non rivali e non escludibili (che siano tali per l’intera comunità o per la maggior parte di essa), dunque, come da definizione, beni pubblici. Per quanto riguarda gli attori coinvolti nel processo di finanziamento, i risultati migliori si ottengono quando si genera una collaborazione tra la società civile, il settore pubblico, il settore privato e quello non-profit (Davies 2014): questa condizione permette di assicurare la
partecipazione democratica della comunità ad alcuni processi di gestione pubblica, dando vita a forme di public governance a livello locale e
riconducibili alle principali riflessioni presenti in letteratura su questa tematica (Osborne 2010).
Dal 2010, sono stati lanciati negli Stati Uniti oltre 1.200 progetti di
civic crowdfunding, dei quali più di 770 sono stati finanziati con successo; l’obiettivo mediano della raccolta è di 8.000 dollari e la mediana
delle donazioni è 62 dollari (Davies 2014).
Davies (2014) individua alcuni tratti “tipici” dei progetti di civic
crowdfunding: la scala finanziaria ridotta (inferiore ai 2.100$) e la realizzazione in grandi città, con lo scopo di produrre un bene pubblico per una comunità che non è servita al meglio dall’amministrazione
pubblica.
È possibile impiegare tre diverse teorie per descrivere il civic crowdfunding (Davies 2014). La prima lo vede come espressione di community
agency, mettendo in rilievo l’impatto finanziario dell’orientamento della
comunità a partecipare democraticamente alla pianificazione pubblica.
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
La seconda, al contrario, lo considera il successo dell’agire a livello individuale, per cui i singoli sono disposti ad accettare maggiori livelli di rischio in cambio di un accesso a un ventaglio più ampio di opportunità.
La terza, infine, si basa sull’erosione delle istituzioni pubbliche e sulla ridotta produzione di beni pubblici, che dà origine al civic crowdfunding
come risposta contingente di breve periodo.
Il campo del civic crowdfunding è piuttosto recente: basti pensare
che il termine stesso è stato impiegato per la prima volta nel 2012 (Davies 2014). A partire dal 2012 si sono infatti sviluppate numerose iniziative che hanno portato alla creazione di piattaforme dedicate (Spacehive nel Regno Unito, Citizinvestor e Ground up negli Stati Uniti, Urbankit in Cile).
Le origini del civic crowdfunding “moderno” possono essere fatte risalire alla crisi e alle politiche di austerity, nonché al sentimento generale
di solidarietà e cooperazione tra cittadini (Giannola e Riotta 2013); esso nasce dall’identificazione dei cittadini con il proprio territorio e dalla
conseguente volontà di migliorarne le condizioni: in questo caso, il web
rappresenta un connettore, uno strumento di sostegno alle comunità locali, ma non costituisce necessariamente il fattore chiave del processo.
L’aspetto relativo alla motivazione a partecipare è particolarmente interessante nel caso di progetti di civic crowdfunding, poiché di norma le
donazioni sono effettuate in aggiunta a tasse e contributi che vengono
già pagati alle amministrazioni pubbliche e questo potrebbe generare
resistenza da parte dei cittadini a finanziare servizi che dovrebbero essere offerti con il pagamento dei tributi. Le esperienze che saranno illustrate di seguito evidenziano bene che il coinvolgimento dei cittadini nei
vari progetti sia stato determinato dal “valore pubblico” attribuito al legame con il territorio e con la comunità di appartenenza.
3. La metodologia utilizzata nell’analisi
L’approccio adottato in questo contributo è quello del multiple case study, poiché si tratta del metodo più in linea con le domande di ricerca e
con l’impostazione dell’analisi in senso qualitativo. I case study, infatti,
sono particolarmente adatti in situazioni nelle quali l’oggetto di analisi è
un fenomeno contemporaneo e caratterizzato da un contesto ancorato al
“mondo reale”: queste condizioni si ritrovano nello studio del crowdfunding. L’analisi di case study consente di comprendere le motivazioni sottostanti ai processi di formulazione e messa in atto delle decisioni e il rapporto tra decisioni e risultati.
Dall’analisi della letteratura esistente, è possibile notare che, ad oggi, i progetti sono stati classificati principalmente in base al tipo di piattaforma impiegata (Balboni et al. 2015). Sicuramente la piattaforma tecnologica adottata rappresenta una dimensione rilevante; non è però sufficiente a confrontare tra loro progetti diversi. Per questo abbiamo scelto
di introdurre una seconda variabile, tratta dall’analisi di Davies (2014),
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
ovvero l’entità del finanziamento richiesto1 per portare a termine il progetto. Queste due dimensioni ci permetteranno di effettuare un primo confronto tra le esperienze di civic crowdfunding.
Figura 1. Un modello di classificazione delle esperienze di civic crowdfunding
Fonte: Nostra elaborazione
Successivamente, abbiamo deciso di introdurre una serie di variabili che meglio descrivono le specificità dei progetti di civic crowdfunding
che, come più volte richiamato, sono destinati al finanziamento o co-finanziamento di progetti finalizzati alla salvaguardia, miglioramento e
valorizzazione dei beni pubblici e dei beni comuni.
Le variabili possono essere ricondotte all’ampia letteratura sul ruolo
e la gestione degli stakeholder nelle attività di progettazione di interventi e azioni, del rapporto tra pianificazione e gestione strategica di politiche, programmi e azioni pubbliche e project management. Ricordiamo
semplicemente, a questo proposito, i numerosi contributi su stakeholder
management (da ultimo Freeman 2010) e il ruolo assunto dallo stakeholder management nei processi di pianificazione e gestione strategica nel
settore pubblico (Bryson 2011; Joyce e Drumaux 2014; Joyce 2015).
Abbiamo scelto di inserire le seguenti variabili:
– Attori coinvolti, ovvero gli attori (stakeholder chiave) a cui attribuire l’idea progettuale di civic crowdfunding;
1 Il finanziamento richiesto può rappresentare un importo “modesto” oppure “elevato”: in base ai casi analizzati, abbiamo definito “modesti” gli importi inferiori agli 8.000€, ovvero l’importo mediano individuato da Davies (2014) nella sua analisi.
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
– Oggetto del finanziamento;
– Stakeholder engagement nella fase di definizione dei progetti, ovvero il grado di coinvolgimento dei diversi stakeholder nei vari
aspetti da affrontare (dall’idea al progetto, alla scelta della piattaforma, alle modalità di comunicazione e social media strategy);
– Stakeholder engagement nella fase di produzione dei servizi, ovvero il grado di coinvolgimento degli attori interessati attivamente
alle politiche di offerta dei servizi, finanziati o cofinanziati grazie
ai progetti di civic crowdfunding;
– Stakeholder engagement nella fase di valutazione e monitoraggio
dei progetti, ovvero il grado di partecipazione a tale fase di gruppi di interesse, forme associative, comunità di utenti e cittadini;
– Contributo al consolidamento del capitale sociale.
Con riferimento allo stakeholder engagement, intensità e livello di coinvolgimento sono stati valutati attraverso l’analisi delle esperienze che, riteniamo importante sottolineare, si è caratterizzata come osservazione
partecipata, dato che siamo stati parte attiva nei diversi progetti. In prospettiva, l’intensità di coinvolgimento potrà essere direttamente valutata
attraverso specifiche metodologie (pensiamo alla social network analysis).
Quanto al capitale sociale, si ritiene che i progetti di civic crowdfunding debbano rappresentare un fattore di spinta al consolidamento del
capitale sociale nel territorio e nelle comunità di riferimento e contribuire
alla creazione di valore pubblico2. Nonostante un’ampia e approfondita letteratura sul tema del valore pubblico, a livello internazionale e nazionale, sviluppata a partire dal lavoro di Moore (1995), ancora oggi
non sono stati, a parere di chi scrive, proposti convincenti e sistematici sistemi di misurazione e valutazione del valore pubblico. Si è quindi scelto di inserire come variabile proxy (sempre a livello qualitativo) il contributo al consolidamento del capitale sociale nelle due esperienze prese
in considerazione.
Si ottiene così un modello che permette in primo luogo di classificare
le esperienze in base a due dimensioni rilevanti per i progetti di questo
tipo, e in secondo luogo di paragonarle in un’ottica di benchlearning,
con particolare attenzione, quindi, come già anticipato, alle condizioni
di riproducibilità e replicabilità.
Verranno quindi prese in considerazione due esperienze di civic
crowdfunding particolarmente significative a livello italiano ed europeo,
per poi posizionarle all’interno della matrice. Le due esperienze sono
state selezionate per la loro comune appartenenza all’ambito culturale,
il quale emerge come campo di intervento prediletto per le iniziative di
crowdfunding (Bruton et al. 2015; Morfoot 2011; Boeuf et al. 2014).
Verrà dedicata una particolare attenzione all’esperienza di civic
2 Sulla distinzione e sul collegamento tra i due concetti, si vedano le considerazioni di Meneguzzo (2007).
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
crowdfunding dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, trattandosi di uno dei primi esperimenti italiani di crowdfunding nel settore universitario, rientrante nel più ampio quadro dellaTerza Missione dell’università. In questo esperimento, due degli autori hanno svolto un ruolo di “osservatori partecipanti” o, meglio, di osservatori leader del progetto.
4. Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Svizzera
Sono stati selezionati due progetti di civic crowdfunding ritenuti significativi e accomunati dall’area di intervento, quella culturale: (i) le iniziative lanciate dalla piattaforma Progettiamo.ch, creata in Canton Ticino
per ospitare progetti di crowdfunding finalizzati allo sviluppo del territorio; (ii) la campagna “Sabato in Biblioteca!”, realizzata dall’Università
degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Le informazioni in merito ai progetti
sono state reperite intervistando direttamente i responsabili.
La piattaforma Progettiamo.ch e il progetto “Museo del Legno Xiloteca”
In Svizzera, tra i numerosi progetti in atto nei vari Cantoni, il più significativo è quello di Progettiamo.ch, la piattaforma di civic crowdfunding
nata in Canton Ticino nel 2014 per iniziativa dei quattro Enti di Sviluppo
Regionale (ERS), che rappresentano agenzie operative con l’obiettivo di
promuovere e valorizzare il potenziale economico e territoriale della propria regione attraverso una collaborazione con soggetti pubblici e privati.
La piattaforma è stata realizzata secondo una logica di co-progettazione (co-design) e co-finanziamento dei risultati, e ospita progetti che abbiano come obiettivo lo sviluppo socio-economico del territorio.
Il modello di riferimento adottato dagli ERS del Canton Ticino e finalizzato a valorizzare la co-progettazione, la co-realizzazione e il co-finanziamento di microprogetti pubblici è riconducibile all’evoluzione delle logiche di public governance (Osborne 2010) e alle principali best
practice di amministrazioni pubbliche europee, identificate e riconosciute nei premi all’innovazione (European Public Sector Award, promosso
dallo European Institute of Public Administration).
Molto interessante, in una prospettiva di ricerca futura, è il fatto che alcuni progetti vedano come promotore i Patriziati, i quali si occupano della gestione dei beni comuni (laghi, boschi, beni artistici e monumentali).
Progettiamo.ch opera secondo una logica di coinvolgimento attivo di
numerosi stakeholder (multistakeholder engagement) (Freeman 2010):
nella rete dei partner sono presenti pubbliche amministrazioni (Cantone,
Municipi e Consorzi di Comuni), associazioni non-profit e organizzazioni non governative, fondazioni miste pubblico-private, agenzie di media
e comunicazione, Camere di Commercio e agenzie per lo sviluppo di
micro imprese. Inoltre, la piattaforma beneficia del sostegno della Banca dello Stato e di Swiss Lotteries. La Tabella 2 presenta alcuni tra i principali promotori della piattaforma Progettiamo.ch.
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
Tabella 2. I promotori di Progettiamo.ch
Enti Pubblici
Istituzioni non profit
Imprese
Dipartimento delle Finanze
e dell’Economia – Canton
Ticino
Fondazione Agire
TimeRepublik
Osservatorio culturale del
Canton Ticino
Federazione delle Associazioni di Artigiani del Ticino
TiPiù
Infogiovani – Dipartimento della sanità e della
socialità
Associazione Microcredito
Svizzera Italiana
TIO.ch
Parc Adula
Sostegno
Fondounimpresa.ch
Città di Lugano
Parco Nazionale del
Locarnese
Agenda Lugano
Lugano Network
Fonte: Nostra elaborazione
La piattaforma ha conseguito, dopo un anno e mezzo di attività, risultati molto significativi: 80.000 utenti/visitatori su una popolazione residente di circa 330.000 persone, 45 progetti presentati, un tasso di successo del 58%, una donazione media di 259 CHF (quasi il triplo della
mediana delle donazioni registrata nel contesto statunitense) e una raccolta complessiva di donazioni pari a 110.000 CHF (dati aggiornati a
Maggio 2016).
Particolarmente vivace è l’attività di crowdfunding sviluppata nel settore artistico e culturale: dal rilancio della biblioteca municipale di Brissago, a progetti sicuramente più impegnativi quali le processioni storiche di Mendrisio (che costituiscono la prima candidatura del Canton Ticino ai beni immateriali dell’UNESCO), l’attivazione di corsi di arte terapia, il finanziamento della rassegna MAT (spettacoli teatrali) e la creazione del Museo del Legno Xiloteca. Quest’ultimo progetto si caratterizza come particolarmente significativo per l’obiettivo della raccolta fondi,
pari a 75.000 CHF e conseguito con successo, e prevede la costruzione di una struttura specifica che permetterà di scoprire le tecniche di lavorazione del legno, ospitandone l’intera filiera.
all’interno del comprensorio del Parco Nazionale del Locarnese e soprattutto un modello di gestione che vede coinvolti numerosi attori pubblici e privati, dallo stesso Parco nazionale, alle aziende forestali ed un
modello di gestione che integra attività museale vera e propria (visite ed
informazione sui legni indigeni e fauna) con la lavorazione dei prodotti in legno e vendita dei manufatti artigianali. Queste attività assicureran-
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
no, a conclusione della campagna di crowdfunding, la sostenibilità economico finanziaria del progetto.
La campagna “Sabato in Biblioteca!” dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, convergenza di civic crowdfunding e Terza Missione
In un contesto di crisi economica e necessità di contenimento della spesa pubblica, le università si trovano ad affrontare la riduzione dei fondi
ad esse destinati, con la conseguenza che alcuni servizi “accessori” alla didattica e alla ricerca vengono ridimensionati, generando insoddisfazione tra gli studenti e il personale docente. La biblioteca della Facoltà
di Economia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, per esempio, ha visto i propri fondi ridursi da 250.000€ nel 2010 a 100.000€
nel 2015: si è trattato di un taglio consistente, che ha impedito alla biblioteca di incrementare il proprio organico al fine di prolungare l’orario di apertura, nonostante ormai siano sempre più comuni le biblioteche
aperte nel weekend e durante la notte.
Il progetto “Sabato in Biblioteca!” aveva l’obiettivo di raccogliere fondi per permettere l’apertura della biblioteca anche il sabato, affinché gli
studenti e gli abitanti del territorio potessero godere di un luogo di aggregazione culturale e di studio anche durante il weekend.
Il progetto si è svolto in diverse fasi, come illustrato nella Figura 2.
Figura 2. Fasi del progetto di civic crowdfunding “Sabato in Biblioteca!”
Mar-Apr 2014
Mag-Dic 2014
Gen 2015
Feb-Mar 2015
Identificazione
del bisogno
Scelta del progetto e piano
di fattibilità
Scelta
della piattaforma
Campagna
di crowfundig
Apr-Dic 2015
Implementazione del progetto e valutazione ex post
Fonte: Nostra elaborazione
Sulla base delle richieste degli studenti di un’estensione dei giorni di
apertura della biblioteca, è stato somministrato un questionario a tutti gli
stakeholder rilevanti all’interno dell’università (studenti, docenti e personale amministrativo), per comprendere il loro interesse per il crowdfunding e la loro disponibilità a partecipare al progetto specifico.
I risultati del questionario hanno evidenziato un interesse diffuso (circa il 65% degli intervistati) per il progetto, e dunque la disponibilità a
partecipare attivamente donando una somma di denaro per permetterne
la realizzazione (Figura 3).
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
Figura 3. Disponibilità a partecipare a progetti di civic crowdfunding per migliorare i servizi universitari
Sì
No
Non so
Fonte: Nostra elaborazione
La maggior parte dei partecipanti si è dichiarata disposta a donare
una somma tra i 5 e i 10€ (Figura 4), in linea con quanto emerso dall’analisi della letteratura.
Figura 4. Che somma saresti disposto a donare per un progetto di crowdfunding
a favore della biblioteca di facoltà?
121
78
75
68
22
1-2
euro
2-5
euro
5-10
euro
10-20
euro
più di 20
euro
Fonte: Nostra elaborazione
Per quanto riguarda la scelta della piattaforma, sono stati privilegiati
gli aspetti relativi alla facilità d’uso, all’entità delle commissioni trattenute,
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
alla disponibilità di vari sistemi di pagamento, alla reputazione e visibilità della piattaforma. La scelta è così ricaduta su Eppela, una delle piattaforme più note nel panorama del crowdfunding italiano. Il budget per l’iniziativa è stato fissato a 2.500€ (equivalenti a sei mesi di aperture aggiuntive nel weekend), in modo da stabilire un obiettivo realistico e raggiungibile. Ciò è in linea con quanto emerso dall’analisi della letteratura,
che individua nei progetti a scala ridotta, realizzati all’interno di grandi
città, il principale “tipo” di progetto di civic crowdfunding (Davies 2014).
La campagna di raccolta fondi ha avuto luogo principalmente all’interno della facoltà perché, almeno in questa prima fase, il coinvolgimento degli “interni” (studenti, docenti e personale amministrativo) era ritenuto senz’altro maggiore di quello degli “esterni” (i cittadini).
La comunicazione della campagna è avvenuta sia tramite l’impegno
in prima persona dei promotori che attraverso i canali social, personali e
istituzionali. La campagna ha avuto successo, con il superamento dell’obiettivo prima della scadenza, segnale dell’interesse che essa ha generato all’interno dell’università (Figura 5).
Figura 5. Risultati del progetto di civic crowdfunding “Sabato in Biblioteca!”
Fonte: Nostra elaborazione
Al termine della campagna è stato somministrato un secondo questionario ai partecipanti, dal quale è emerso che l’interesse per il progetto è la motivazione che ha spinto il 52% dei rispondenti a donare, mentre il 38% era guidato dalla volontà di incoraggiare le iniziative di civic
crowdfunding all’interno dell’università; è interessante notare che il 9%
degli intervistati abbia partecipato a causa della pressione sociale legata all’atto stesso della partecipazione (peer pressure).
Il dato più incoraggiante è quello per cui il 97% dei partecipanti prenderebbe di nuovo parte a un progetto simile e il 95% pensa che il civic
crowdfunding possa essere impiegato utilmente nelle università: ciò rafforza l’intuizione alla base del progetto e spinge a ideare altre iniziative simili proprio perché la risposta della comunità è stata estremamente positiva.
In questa prospettiva, il progetto sta innescando all’interno dell’Ateneo e nell’area di riferimento (Roma Sud, Castelli Romani, Tor Bella Monaca) un circolo virtuoso di micro-iniziative, dalla tutela del verde pubblico e delle aree giochi, alle scuole di musica (VivaMusica), a progetti
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
imprenditoriali legati al riciclo dei rifiuti, collegati ai Laboratori di Nuova Economia (www.next.org).
Infine, il successo dell’iniziativa, in termini sia di finanziatori sia di
partecipazione alle aperture della biblioteca nei sei mesi di sperimentazione, ha portato le istituzioni dell’Università di Tor Vergata a dedicare
fondi specifici per garantire tali aperture per tutto l’anno e prolungarle fino alle ore serali, nelle sei diverse facoltà dell’Ateneo.
Come già anticipato, questo progetto si allaccia al concetto di Terza
Missione delle università (Novelli e Talamo 2014), ovvero il ruolo di creazione, consolidamento e diffusione di conoscenza all’interno del territorio e della comunità.
5. Applicabilità del modello, prime conclusioni e prospettive
di ricerca futura
I due casi considerati consentono di affermare l’applicabilità dei due modelli di classificazione delle esperienze, dalla matrice di posizionamento, più consolidata e riconducibile alla letteratura sviluppata nel contesto
statunitense, a quello più legato alle specificità dei sistemi di governance pubblica a livello locale e al ruolo assunto dai diversi stakeholder, di
particolare rilevanza nelle amministrazioni locali europee, che prevede
l’utilizzo di un insieme di variabili che possono in prospettiva essere utilizzate in logica di benchlearning.
Le dimensioni rilevanti della matrice sono rappresentate dall’impiego di
una piattaforma propria (creata appositamente dal promotore del progetto)
o di una piattaforma di crowdfunding già esistente e utilizzata per numerosi
progetti, e dall’importo del finanziamento richiesto, che può essere modesto o elevato a seconda che sia superiore o inferiore a 8.000€ (Figura 6).
Figura 6. Matrice di posizionamento delle esperienze
Fonte: Nostra elaborazione
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
Nel caso di Progettiamo.ch, gli importi richiesti sono elevati e la
piattaforma è stata creata appositamente: si può pensare che, trattandosi quasi esclusivamente di iniziative dedicate allo sviluppo socio-economico e alla promozione del territorio del Canton Ticino, fosse preferibile
adottare una piattaforma dedicata a livello territoriale, che agisse come
contenitore e catalizzatore per tutte le iniziative di questo tipo.
Nel caso dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, invece,
l’obiettivo finanziario del progetto era modesto, ma è stato preferito l’impiego di una piattaforma già esistente e specializzata nella promozione
di progetti di crowdfunding: la ragione di questa scelta, secondo i promotori, stava nella necessità di incrementare al massimo la visibilità del
progetto, nel tentativo di allargare la comunità di interesse ed eventualmente di attirare sostenitori esterni.
La seconda componente del modello è rappresentata dall’insieme di
variabili che consentono di confrontare le iniziative di civic crowdfunding
in ottica di benchlearning. La Tabella 3 presenta il risultato dell’applicazione di tali variabili ai due progetti presi in considerazione.
Tabella 3. Variabili di confronto
Variabili
“Sabato in Biblioteca!”
Università degli Studi
di Roma “Tor Vergata”
Progettiamo.ch
Canton Ticino
Attori coinvolti
Stakeholder interni all’università (studenti, docenti,
personale amministrativo)
Cittadini, Comuni/
Municipi, Enti di Sviluppo
Regionale, Banca dello Stato, associazioni non profit e
ONG, fondazioni, imprese,
microimprese, Patriziati
Oggetto del finanziamento
Bene pubblico
(biblioteca di facoltà)
Beni pubblici (settore culturale), beni comuni (es. Ponte
tibetano Valle Maggia), partenariato pubblico-non profit
Stakeholder engagement
nella definizione dei
progetti
Media intensità: Co-design
dell’iniziativa tra Biblioteca
e Associazioni studenti
Elevata intensità: Co-design
(definizione congiunta dei
progetti tra i diversi soggetti)
Stakeholder engagement
Bassa intensità: l’apertura è
nella produzione dei servizi stata gestita da un’associazione non profit promossa
dal personale docente
strutturato e non (Fund
Raising Lab)
Elevata intensità: servizi
realizzati in una logica di
co-produzione con cittadini,
istituzioni e comunità locali
Stakeholder engagement
nella fase di valutazione e
monitoraggio dei progetti
Media intensità: molte
iniziative promosse da
Municipi, Patriziati e forme
di partenariato pubblico
non profit prevedono forme
di co-valutazione delle
modalità realizzative
Bassa intensità: non è stato
previsto un monitoraggio
dei risultati da parte della
biblioteca e del SBA (sistema bibliotecario di Ateneo)
- segue -
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Variabili
“Sabato in Biblioteca!”
Università degli Studi
di Roma “Tor Vergata”
Contributo al consolidamen- Fattore di accelerazione per
to del capitale sociale
iniziative didattiche (Laboratori di Nuova Economia)
e per altri microprogetti di
civic crowdfunding in ambito culturale e musicale
Progettiamo.ch
Canton Ticino
Significativo nelle iniziative
promosse da Patriziati e
Municipi (manutenzione
e miglioramento dei beni
comuni e beni pubblici)
Fonte: Nostra elaborazione
Possono poi effettuarsi due considerazioni aggiuntive sulla tabella di
confronto:
“Sabato in Biblioteca!” e Progettiamo.ch presentano un sistema di attori molto differenziato; sicuramente le esperienze di civic crowdfunding
rispondono maggiormente all’esigenza di mobilitare un elevato numero
di fund-seeker;
le iniziative analizzate permettono un rafforzamento delle logiche di
stakeholder engagement in diversi momenti, dall’idea progettuale, alla definizione delle modalità di offerta, al monitoraggio e alla co-valutazione dei risultati conseguiti grazie ai progetti, rafforzando la capacità di pianificazione e gestione strategica delle amministrazioni pubbliche (Bryson 2011).
Il coinvolgimento di una pluralità di stakeholder nelle diverse fasi in
cui si articola un progetto di civic crowdfunding (dall’idea, alla formulazione del progetto, alla concreta realizzazione) può fornire idee, spunti e indicazioni per lo sviluppo di iniziative a livello locale. Testimonianza significativa di una crescente attenzione della pubblica amministrazione locale, in una prospettiva di sviluppo di partnership con il settore
non-profit e con gli intermediari finanziari etici, è la ricerca recentemente
condotta da IFEL ANCI e Università di Roma “Tor Vergata” sul tema della finanza sociale: in tale ricerca, il civic crowdfunding viene collegato a
strumenti quali obbligazioni etiche e social impact bond, micro finanza
e microcredito (http://www.fondazioneifel.it/direttastreaming-ifel.html).
Il modello multidimensionale di analisi e lettura delle esperienze in atto di civic crowdfunding si è rivelato applicabile a progetti con caratteristiche molto diversificate. Le due esperienze analizzate rappresentano rispettivamente un’iniziativa governata e promossa dalle amministrazioni
locali (i quattro ERS del Canton Ticino) e ispirata a logiche di public governance, e un’iniziativa bottom-up, promossa da un gruppo di stakeholder attivi all’interno della comunità universitaria senza una specifica regia o coordinamento da parte dell’Università pubblica in cui è stata sviluppata l’iniziativa.
In prospettiva, visto il crescente interesse delle amministrazioni locali e di molte istituzioni pubbliche operanti nel settore sanitario (Aziende
Sanitarie Locali ed Aziende Ospedaliere), sociale ed educativo (istituzioAzienda Pubblica 1.2016
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Esperienze di civic crowdfunding in Italia e in Europa
ni scolastiche ed Università) a progetti di civic crowdfunding, numerosi
possono essere gli ambiti di applicazione ed utilizzo del modello, che
sarà destinato ad essere affinato e integrato.
Riteniamo importante sviluppare alcune ulteriori riflessioni sulle caratteristiche dei due casi analizzati e sugli elementi di convergenza; questi
ultimi sono rappresentati da:
L’originalità delle iniziative, ossia la capacità dei promotori di cogliere gli elementi distintivi del crowdfunding, ormai consolidato per il finanziamento di progetti imprenditoriali e start up, e sperimentarlo per progetti di pubblico interesse, collegati alle logiche di public governance.
Le traiettorie di sviluppo: entrambe le esperienze sono partite da progetti di civic crowdfunding pilota e hanno scelto o di istituzionalizzare le
iniziative (caso Canton Ticino) o di promuovere l’iniziativa stessa come
catalizzatore di altre future iniziative (caso Tor Vergata).
L’utilizzo del civic crowdfunding per il co-finanziamento di investimenti e spese di gestione legate ai beni pubblici (Sabato in Biblioteca, specifici progetti in Canton Ticino) e di beni comuni (progetti in corso di avvio
nel territorio dell’Ateneo di Roma “Tor Vergata”, numerosi progetti lanciati dai Patriziati in Svizzera).
Ovviamente vi sono anche, come l’articolo evidenzia nella presentazione dei casi di studio, significativi elementi di differenziazione, legati
prevalentemente alla piattaforma tecnologica adottata e alla verifica preliminare di fattibilità dei progetti.
In conclusione, occorre sottolineare che iniziative di civic crowdfunding possono aiutare a mobilitare attori della società civile per la co-progettazione e il co-finanziamento dei progetti, nonché diventare laboratorio per il progressivo consolidamento di una cultura (o meglio di più culture) finalizzata a identificare modalità innovative di finanziamento dei
progetti di interventi pubblico o di interesse pubblico.
Il successo del civic crowdfunding, come bene illustrano le esperienze
analizzate, non è riconducibile alla piattaforma tecnologica adottata o
all’utilizzo intelligente dei social media; come per altre modalità di finanziamento alternativo, legate alla finanza sociale e al partenariato pubblico-privato (donazioni, fundraising, progetti delle fondazioni comunitarie),
credibilità del progetto, fiducia delle comunità di riferimento, radicamento nelle comunità e nei territori sono fattori critici di successo che devono
essere tenuti in considerazione dal sistema delle amministrazioni pubbliche interessate a esplorare le opportunità offerte dal civic crowdfunding.
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Attualità e dibattito
La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
Isabella Fadda
Ricercatore confermato, Università degli studi di Cagliari - [email protected]
Paola Paglietti
Professore associato, Università degli studi di Cagliari
Sommario: 1. Introduzione. – 2. La lotta alla corruzione: il contesto internazionale. – 3. Lo stato dell’arte in Italia. – 4.
Il sistema dei controlli interni. – 5. I controlli in Italia: criticità e possibili soluzioni. – 6. Conclusioni
La corruzione all’interno delle pubbliche amministrazioni è un fenomeno complesso il cui contrasto
richiede l’attivazione di una molteplicità di strumenti aventi tra loro diversa natura: giuridico-legale,
economico-aziendale, etico-sociale. Affinché questi strumenti operino in modo sinergico occorre
un coordinamento tra gli stessi, in un primo momento, nella fase di loro introduzione nel sistema
giuridico e, in un secondo momento, nelle fasi operative di loro concreto utilizzo. Soffermando
l’attenzione sugli strumenti gestionali si rileva come, anche di recente, importanti organismi internazionali impegnati nella lotta alla corruzione abbiano sottolineato la funzione essenziale, a tale
fine, di sistemi di controllo interno che siano efficacemente integrati nelle attività operative delle
amministrazioni pubbliche. Tali constatazioni offrono lo spunto per una riflessione sul sistema dei
controlli interni in ambito pubblico, così come previsto dalla legislazione del nostro paese, e sul
suo coordinamento con le recenti norme anticorruzione.
Corruption is a multifaceted phenomenon which must be tackled using a variety of instruments
belonging to different realms: legal, managerial, and socio-ethical. For these tools to operate synergically, they need to be coordinated both when they are initially introduced in the legal system
and in the subsequent implementation phase, when they are actually used. Limiting the focus to
the managerial tools, some important international institutions which are actively involved in the
fight against corruption have recently underlined the primary role to be played by internal control
systems, provided that they are effectively integrated into the operating activities of government.
This observation triggers some considerations on Italian public-sector internal control systems and
on their coordination with the recently issued anticorruption regulations.
Parole chiave: corruzione – controlli interni
Key words: corruption – internal controls
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Azienda Pubblica 1.2016
La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
Attualità e dibattito
1. Introduzione
La corruzione è fenomeno antico che, da sempre, caratterizza le società.
Con la globalizzazione dei fenomeni sociali ed economici, tale patologia
è diventata anch’essa globale e ha assunto dimensioni prima non conosciute. I danni della corruzione sono da ricondursi prima di tutto alla minaccia allo stato di diritto e alle libertà individuali, ma poi anche al corretto svolgimento degli affari e della concorrenza, alla nascita di nuove
imprese e all’attitudine all’innovazione: in sintesi, allo sviluppo economico. La consapevolezza di tale stato di cose e della necessità di un’azione comune e coerente nei diversi paesi si è fatta strada e –come si avrà
modo di vedere nel successivo paragrafo – oggi molti accordi sono stati stipulati e molte azioni sono state poste in essere e coordinate a livello internazionale. Gli strumenti a disposizione sono di natura sia squisitamente giuridica sia organizzativa e gestionale. Se occorrono pene e
tribunali che le irroghino, occorre prima di tutto che le amministrazioni
pubbliche e i sistemi-paese in generale siano strutturati in modo funzionale, che in essi prevalgano atteggiamenti eticamente orientati, che i fenomeni corruttivi siano prevenuti piuttosto che repressi.
In Italia, il tema è particolarmente rilevante e sentito, se è vero che il
nostro paese è considerato, a torto o a ragione, tra quelli più corrotti nel
mondo occidentale – a puro titolo esemplificativo, nell’ultimo report di
Transparency International l’Italia si colloca al penultimo posto tra i paesi dell’Unione Europea, seguita solo dalla Bulgaria. Molto si sta facendo
per reagire a tale stato di cose, per quanto attiene tanto all’aspetto sostanziale di riduzione di tali patologie, quanto alla percezione che della pervasività della corruzione si ha all’interno e all’estero. In un paese
tradizionalmente caratterizzato da formalismo giuridico, il rischio è che
si continui a operare con l’emanazione di norme e la previsione di pene sempre più severe, finendo per aggravare l’eccesso di regolazione
e confusione normativa, ossia l’esatto contrario di quanto occorre per il
buon funzionamento delle amministrazioni e dell’economia. Molti sono i
provvedimenti concreti sui quali si sta lavorando: si pensi allo snellimento dei processi civili, penali e amministrativi, alla riforma delle procedure di appalto pubblico, alla vigilanza collaborativa dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).
Il tema della corretta amministrazione e dell’individuazione e gestione dei rischi che possono minacciarla è da tempo considerato dagli studi teorici e dalla pratica delle imprese private. La struttura concettuale di
riferimento e i concreti strumenti di azione sono noti e utilizzati da lungo
tempo. Essi costituiscono un riferimento utile per il mondo pubblico, pur
nella diversità di soggetti e situazioni. Con il presente scritto si vuole appunto indagare l’utilità dei controlli interni per il buon andamento delle
amministrazioni pubbliche e il contrasto a fenomeni corruttivi, con particolare riferimento al nostro paese.
A seguire, l’articolo descriverà i principali accordi e iniziative interAzienda Pubblica 1.2016
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Attualità e dibattito
La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
nazionali in tema di contrasto alla corruzione e le misure richieste a tale scopo ai paesi che vi aderiscono; particolare attenzione sarà rivolta
al sistema dei controlli interni. La trattazione proseguirà con la descrizione del fenomeno della corruzione nel contesto italiano, evidenziando la
dimensione del problema e le misure adottate negli ultimi anni per fronteggiarlo. Successivamente, si tratterà il tema dei controlli interni quale
misura di contrasto alla corruzione, analizzando prima le prassi internazionali di eccellenza e a seguire il contesto italiano, del quale si evidenzieranno criticità e possibili soluzioni. Infine, le conclusioni esporranno
alcune considerazioni finali.
2. La lotta alla corruzione: il contesto internazionale
La valenza strategica della lotta alla corruzione e della promozione di
iniziative atte a favorire l’integrità dei governi trova i propri fondamenti
in motivazioni che sono non solo di ordine etico, ma anche e significativamente di carattere economico e sociale. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD), impegnata in tale attività
da quasi mezzo secolo, nel 2011 ha dato vita a una nuova iniziativa,
la CleanGovBiz, per supportare i governi e la società civile nella promozione dell’integrità e nel contrasto alla corruzione.
Proprio nell’ambito di questa iniziativa, nel 2014 l’OECD ha voluto rimarcare l’importanza di queste due attività pubblicando un fascicolo informativo che dalle stesse prende il titolo (OECD 2014). Quest’ultimo, tra le altre cose, sintetizza gli effetti distorsivi della corruzione attraverso alcuni dati piuttosto eloquenti, scaturiti da ricerche condotte da rilevanti istituzioni quali la World Bank e il Fondo Monetario Internazionale: 5% del PIL mondiale, il costo della corruzione; 10%, in media, l’aggravio dei costi per le imprese dovuti alla corruzione; nei paesi a elevato tasso corruttivo, 5% in meno di investimenti e quasi raddoppiati indici di mortalità infantile rispetto a quelli con un basso tasso di corruzione.
Gli accordi internazionali stipulati in materia di lotta alla corruzione
assumono, in questo contesto, un ruolo chiave. Questi favoriscono una
maggiore attenzione nell’agenda politica dei diversi governi nazionali
sulle tematiche connesse con l’integrità, la trasparenza e tutte le forme di
contrasto alla corruzione, anche grazie alla promozione della cooperazione internazionale fra stati. Inoltre, detti accordi impongono ai paesi
che vi aderiscono dei veri e propri vincoli di natura giuridica. Le principali convenzioni internazionali vigenti sono di seguito brevemente ricordate nei loro aspetti essenziali.
L’UNCAC (United Nation Convention Against Corruption), stipulato
nel 2003 e in vigore dal 2005, è il più largo accordo esistente, con 140
stati firmatari al 2014. I suoi obiettivi sono tre: promuovere e rafforzare
le misure atte a combattere e prevenire la corruzione in maniera più efficace ed efficiente; favorire la cooperazione internazionale anche attraverso assistenza tecnica nella lotta alla corruzione, compreso il recupero
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Azienda Pubblica 1.2016
La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
Attualità e dibattito
delle risorse; promuovere l’integrità, l’accountability e la corretta gestione degli affari e delle risorse pubbliche (UNCAC, chapter I, art. 1). Per
tali fini il trattato prescrive, tra i diversi provvedimenti, una serie di misure preventive riguardanti sia il settore pubblico che quello privato. Con
riferimento al primo, appaiono qui di particolare rilievo quelle attinenti
ai meccanismi che regolano il pubblico impiego, gli appalti pubblici, la
gestione e la rendicontazione delle finanze pubbliche, il coinvolgimento
della collettività nella pubblica amministrazione attraverso provvedimenti che favoriscano non solo la trasparenza dell’amministrazione, ma anche e più ampiamente la partecipazione della collettività stessa ai processi decisionali. L’art. 9 del trattato, in maniera specifica, prescrive che
gli Stati aderenti adottino misure adeguate a garantire trasparenza e accountability nella gestione delle finanze pubbliche. Tra queste misure, la
norma ricomprende (art. 9, comma 2, lettere a-e) la chiara definizione
delle procedure per l’adozione del budget; la rendicontazione tempestiva dei proventi e delle spese; un sistema contabile e di standard di revisione nonché un correlato sistema di monitoraggio; efficaci ed efficienti
sistemi di gestione del rischio e di controllo interno; un sistema di azioni correttive per il mancato adempimento alle precedenti prescrizioni.
L’OECD Anti-Bribery Convention, entrata in vigore nel 1999 e alla
quale aderiscono i 34 paesi membri dell’OECD più 7 paesi non membri, è volta a contrastare la corruzione dei pubblici ufficiali stranieri coinvolti nelle operazioni commerciali internazionali, attraverso misure rivolte non agli stessi pubblici ufficiali, ma ai soggetti corruttori.
La UN Convention Against Transnational Organized Crime, in vigore
dal 2003, riconosce l’importanza del contrasto alla corruzione come misura atta a supportare la lotta contro la criminalità organizzata transnazionale. In questo ambito, ai paesi firmatari si richiede di adottare tutti i
provvedimenti necessari alla prevenzione, nonché alla persecuzione legale, della corruzione e del riciclaggio di denaro “sporco”.
La Convenzione Penale sulla Corruzione (STCE n. 173) del Consiglio
Europeo, stipulata a Strasburgo nel 1999 e aperta sia ai paesi membri
UE che ad altri paesi non membri, ha lo scopo di coordinare gli sforzi
internazionali in materia di penalizzazione delle pratiche quali la corruzione attiva e passiva, negli ambiti nazionale e internazionale, di pubblici ufficiali, parlamentari, soggetti privati, giudici, il traffico di influenze, il riciclaggio dei proventi della corruzione e i reati contabili (fatture,
falso in documenti contabili, ecc.) connessi con reati di corruzione (artt.
2-14). Contro questi reati, gli stati aderenti alla convenzione devono prevedere efficaci sistemi dissuasori e sanzionatori applicabili sia alle persone fisiche che a quelle giuridiche. L’applicazione delle previsioni del trattato è monitorata dal “Gruppo di Stati contro la Corruzione - GRECO”.
La Convenzione Civile sulla Corruzione (STCE n. 174) del Consiglio
Europeo, anche questa stipulata a Strasburgo nel 1999, obbliga gli stati
aderenti a prevedere nei rispettivi ordinamenti giuridici “rimedi giudiziaAzienda Pubblica 1.2016
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Attualità e dibattito
La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
li efficaci a favore delle persone che hanno subito un danno risultante da
un atto di corruzione, al fine di consentire alle medesime di tutelare i propri diritti e interessi, ivi compresa la possibilità di ottenere il risarcimento
dei danni” (art. 1). Anche per questa convenzione, il gruppo GRECO vigila sul rispetto degli impegni assunti dagli stati aderenti.
La Convenzione UE contro la Corruzione dei Pubblici Ufficiali, in vigore dal 2005, è volta a contrastare gli atti corruttivi che coinvolgono pubblici ufficiali dell’Unione Europea o dei singoli stati membri. La convenzione obbliga gli stati aderenti a prevedere nel proprio ordinamento giuridico misure idonee a far sì che gli atti di corruzione attiva o passiva nei
confronti di pubblici ufficiali siano considerati illeciti di carattere penale.
La Convenzione UE relativa alla tutela degli interessi finanziari comunitari, in vigore dal 1995, impone ai firmatari di stabilire efficaci sanzioni penali a fronte delle frodi a danno degli interessi finanziari dell’UE. La
Convenzione provvede, oltre alla definizione di frode – distinguendo tra
frodi in materia di entrate e in materia di spese – a definire i concetti di
corruzione attiva e corruzione passiva.
Rispetto agli accordi predetti, che hanno per gli stati aderenti natura
giuridica vincolante, vi sono altre iniziative di non trascurabile importanza, come l’Open Government Partnership (OGP), istituita nel 2011 da 8
nazioni e alla quale attualmente aderiscono 69 paesi1. Per poter entrare a far parte di questa alleanza multinazionale, i singoli governi devono possedere dei requisiti essenziali con riferimento a quattro aree strategiche: trasparenza finanziaria, accesso alle informazioni, pubblicità
delle informazioni concernenti i redditi e il patrimonio delle alte cariche
pubbliche, partecipazione dei cittadini2. Gli scopi dell’OGP sono quelli di garantire l’impegno da parte dei suoi affiliati nel promuovere la trasparenza e la lotta alla corruzione, il coinvolgimento della società civile nell’amministrazione pubblica, l’utilizzo delle nuove tecnologie a supporto della governance. A tali fini, gli affiliati definiscono piani di azione attraverso i quali stabiliscono i propri impegni relativamente a quattro aree chiave: Accesso alle informazioni, Coinvolgimento della società
civile, Accountability pubblica e, strumentale rispetto a queste prime tre,
Tecnologia e Innovazione per la trasparenza e l’accountability. L’OGP
sottopone a valutazione periodica da parte di valutatori indipendenti –
c.d. Independent Reporting Mechanism (IRM) – la validità degli impegni
assunti e delle azioni poste in essere per il loro raggiungimento, nonché
il relativo stato di attuazione.
Da quanto sopra esposto si evince come le misure attivate ai fini del
contrasto della corruzione abbiano varia natura. In primo luogo, sono
1 Si visiti, per maggiori informazioni, il seguente indirizzo web: www.opengovpartnership.org/
2 Il possesso di tali requisiti è valutato attraverso un sistema che misura in scala da 0 a 4
ciascuna delle predette aree e comporta un punteggio massimo finale pari a 16. I paesi che
ottengono un punteggio complessivo almeno pari al 75% di detto punteggio massimo sono
ammissibili all’OGP.
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La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
Attualità e dibattito
utilizzati dispositivi che operano in ambito giuridico-legale – previsioni
normative, sanzioni, organi di vigilanza ecc. Inoltre, è fatto ricorso a strumenti che operano in ambito gestionale – sistemi di controllo interno e di
audit ecc. – e politico-sociale – tutte quelle misure volte a creare consapevolezza del fenomeno corruttivo nella collettività e a favorire la partecipazione di questa ai processi amministrativi. Delle stesse misure si offre un’esposizione esemplificativa e senza pretesa di esaustività nella Tabella 1.
Tabella 1. Esempi di strumenti di contrasto della corruzione
Tipologia
Giuridico/
legale
Istituzione di autorità anticorruzione e altri organismi preposti all’implementazione delle politiche anticorruzione e alla vigilanza sulle
attività delle pubbliche amministrazioni.
Adozione di strumenti legali volti a prevenire e a contrastare la
corruzione (esempi):
- obblighi di rendicontazione;
- obblighi in materia di pubblicità degli atti e dei procedimenti
delle pubbliche amministrazioni;
- obblighi di pubblicità in materia di situazione patrimoniale e
conflitto di interessi da parte degli amministratori pubblici,
- norme in materia di whistleblowing, ecc.
Previsione di sanzioni penali in relazione a illeciti riconducibili a
fattispecie corruttive quali:
- la corruzione di pubblici ufficiali;
- la concussione;
- l’appropriazione indebita e l’arricchimento illecito da parte di
pubblici ufficiali;
- il traffico di influenze illecite;
- l’abuso di potere da parte di pubblici ufficiali;
- la corruzione tra privati.
Previsione di misure atte a favorire la confisca e il recupero delle
risorse collegate ad attività riconducibili a fattispecie corruttive.
Manageriale
Sistemi di controllo interno, prevedono l’utilizzo di misure quali:
- la diffusione della cultura dei controlli;
- i meccanismi di reclutamento, incentivazione e progressione del
personale incentrati sul riconoscimento della professionalità e del
merito;
- le procedure di autorizzazione;
- i meccanismi di segregazione dei compiti;
- le procedure di rotazione degli incarichi;
- i dispositivi di protezione del patrimonio (inventari del patrimonio, verifiche sulle transazioni, riconciliazione tra registri contabili e documenti giustificativi, ecc.).
Sistemi di auditing interno ed esterno.
Etico-sociale
Coinvolgimento delle collettività nei diversi momenti delle attività
pubbliche, per esempio attraverso strumenti di:
- policy participation;
- participatory budgeting and reporting;
- richieste di opinioni sui servizi erogati.
Sistemi di open data.
Fonte: elaborazione propria
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Attualità e dibattito
La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
In questa sede si vuole concentrare l’attenzione sulla seconda tipologia di misure, la cui utilità è stata ribadita anche in tempi recenti da vari
studi promossi e/o condotti dalle diverse organizzazioni internazionali
impegnate su questo fronte e dei quali non è qui possibile dare compiuta esposizione. Tuttavia, si ritiene opportuno citarne qualcuno a puro titolo esemplificativo. In una raccolta di studi patrocinata dalla World Bank,
Dorotinsky e Pradhan (2007), incrociando i dati sull’indice di corruzione
percepita3 – CPI index – con quelli relativi alla qualità dei sistemi di public financial management4 – PFM – mostrano come, per livelli qualitativi
superiori a quello mediano, a una più elevata qualità dei sistemi di PFM
sono correlati indici di corruzione percepita più bassi. Rispetto agli stessi sistemi di PFM, gli autori individuano cinque aree di vulnerabilità che
comportano un aumento del rischio di eventi corruttivi, e tra queste, anche una legata all’inadeguatezza dei sistemi di controllo interno (Dorotinsky e Pradhan 2007, p. 303).
L’Ufficio Europeo per la lotta antifrode (OLAF), nella relazione 2013
sulla lotta alla corruzione negli appalti pubblici, richiamandosi al lavoro
di Ware et al. (2007) incluso nella raccolta di cui sopra, ha indicato quali principi che reggono una valida attività di public procurement: l’economicità, l’efficienza, la trasparenza e l’accountability. Ai fini di quest’ultima si individua la necessità di istituire un credibile sistema sanzionatorio contro la violazione delle regole, nonché adeguati sistemi di controllo interno e di audit.
L’esigenza di controlli che siano integrati nel contesto operativo delle amministrazioni pubbliche è ben evidenziata in uno studio del Fondo
Monetario Internazionale (Tanzi 1998) sulle cause e i rimedi contro la
corruzione. Tanzi, seguendo l’approccio economico di Becker (1974),
sottolinea come la prima linea di difesa contro la corruzione sia proprio
la presenza di controlli interni alle istituzioni – institutional controls (Tanzi 1998, p. 575) – tra i quali le attività di auditing e la presenza di codici etici e di condotta.
La Commissione Europea (CE), nella relazione 2014 sulla lotta alla
corruzione presentata al Consiglio e al Parlamento Europeo, ha evidenziato come i meccanismi di controllo svolgano un ruolo essenziale nell’azione di contrasto al fenomeno corruttivo. In tal senso, accanto alle attività fondamentali svolte dalle diverse autorità di contrasto e anticorruzione, viene ravvisata la necessità di un approccio organico alla lotta alla
corruzione, il quale necessita il rafforzamento dei meccanismi di prevenzione e controllo in tutta la pubblica amministrazione. La relazione, per
contro, rileva che in molti degli stati membri i controlli interni sono “scarsi e poco coordinati”, soprattutto a livello di governi locali. Per questi ultimi si ravvisa un maggiore rischio di corruzione, proprio a motivo del
3 Il riferimento è al Corruption Perception Index (CPI) sviluppato da Transparency International.
4 I dati si riferiscono a World Bank’s Country Policy and Institutional Assessment (CPIA) ratings.
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Attualità e dibattito
fatto che i controlli interni sono più deboli rispetto a quelli previsti al livello centrale (Commissione Europea 2014a).
3. Lo stato dell’arte in Italia
Con riferimento specifico al nostro paese, la relazione 2014 della CE
sulla lotta alla corruzione evidenzia che, nonostante gli sforzi compiuti
a partire dall’emanazione della legge anticorruzione nel 2012 (L. 190),
tale fenomeno rimane un serio problema. Il sondaggio 2013 dell’Eurobarometro sulla corruzione rileva, infatti, che tale fenomeno è molto diffuso per il 97% dei rispondenti, contro il 42% della media europea (European Commission Directorate-General for Home Affairs 2013, p. 6).
Peggio dell’Italia si posiziona solo la Grecia, dove si registra la percentuale più elevata, pari al 99%. Nel rapporto sull’attuazione della legge 190/2012, l’ANAC ritrae un paese con un elevato grado di corruzione, che si colloca a una significativa distanza dagli altri paesi membri dell’Unione Europea, quale che sia l’indicatore utilizzato. Nel rapporto si evidenzia, inoltre, come nelle pubbliche amministrazioni italiane faccia fatica ad affermarsi la cultura dell’integrità. Detto fenomeno è
testimoniato dalla scarsa determinazione nel dare attuazione alla legge
anticorruzione, dimostrata sia dalla componente politica che da quella
amministrativa. Viene constatato come, anche per la legge in discussione, abbia ancora una volta prevalso la logica dell’adempimento formale sulla consapevole attuazione di politiche di contrasto alla corruzione
(ANAC 2013, pp. 6-7).
In questo quadro poco lusinghiero per il nostro paese, di tutto interesse appaiono le osservazioni formulate dalla Commissione Anticorruzione5 presso il Ministero della Pubblica Amministrazione nel proprio rapporto finale del 2012. Il documento richiama infatti l’attenzione, tra l’altro, sulla necessità che le attività di contrasto alla corruzione facciano perno non solo su misure di natura repressiva, ma anche e primariamente
su strumenti di natura preventiva, ricomprendendo tra questi i sistemi di
controllo interno. In relazione agli stessi, il rapporto mette in luce la criticità legata alla mancanza nelle pubbliche amministrazioni italiane – salvo alcune buone pratiche – della funzione di internal auditing.
In coerenza con quanto sopra, la stessa ANAC, nel rapporto del 2013,
mette in evidenza la necessità di un coordinamento tra i vari strumenti di
misurazione delle performance, trasparenza e anticorruzione. E con tali osservazioni concordano i risultati dell’analisi condotta, sempre dall’ANAC, sulle relazioni predisposte nel 2014 dai Responsabili per la Corruzione (RPC)6 ai fini della valutazione di efficacia delle misure di preven5 Si tratta della commissione istituita nel 2011 presso il Ministero per la Pubblica Amministrazione dal Ministro Patroni Griffi, per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione.
6 Relazioni predisposte in ottemperanza dell’art. 1, co. 14, L. 190/2012 e del piano nazionale anticorruzione.
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Attualità e dibattito
La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
zione contenute nei Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione
(PTPC). Dall’analisi delle relazioni annuali degli RPC si riscontra, infatti,
la frequente constatazione della necessità di una revisione del modello
di gestione del rischio, nel senso di una sua integrazione con il sistema
dei controlli interni. Detti risultati mostrano come l’esigenza di integrazione delle misure anticorruzione nel sistema dei controlli interni sia sentita
non solo dalle varie autorità di contrasto alla corruzione, nazionali e internazionali, ma anche da chi operativamente è chiamato a vigilare sul
funzionamento delle stesse. Per contro, finora, il legislatore italiano sembra avere puntato prevalentemente su meccanismi repressivi piuttosto che
su misure di natura preventiva; da qui una proliferazione di norme, tra
loro scarsamente coordinate, che costringono i dirigenti pubblici a impegnare gran parte del proprio tempo in attività di rendicontazione su
ciò che è stato fatto a scapito delle attività operative (Fantigrossi 2014).
Dati i ripetuti richiami, sia da parte delle istituzioni internazionali che
delle autorità nazionali, sull’importanza di sistemi di controllo interno come misura di prevenzione e di contrasto della corruzione, a seguire si
procederà, innanzi tutto, all’individuazione delle prassi ritenute adeguate a tali fini a livello internazionale. Successivamente verrà invece analizzato il contesto Italiano.
4. Il sistema dei controlli interni
Su cosa si intenda con il termine controlli interni è necessario a questo
punto fare chiarezza. A tal fine, appare utile partire proprio dal significato attribuito a tale termine negli studi citati all’inizio della presente trattazione, per poi allargare la discussione all’ambito più generale delle amministrazioni pubbliche. Nel caso di Dorotinsky e Pradhan,
gli autori forniscono un’esplicita definizione di cosa essi intendano per
sistema di controllo interno evoluto (Dorotinsky e Pradhan 2007, p.
314), richiamando quella adottata dal framework per i controlli interni
del Committee of Sponsoring Organisations of the Treadway Commission (COSO), comitato dal quale lo stesso framework prende il nome.
In quest’ultimo, il Sistema di Controllo Interno (SCI) viene definito come
l’insieme di tutti quei processi istituiti a presidio del conseguimento degli obiettivi aziendali in termini di efficacia ed efficienza della gestione, correttezza della rendicontazione – interna ed esterna, finanziaria
e non finanziaria, conformità alle normative e agli standard ai quali
l’organizzazione soggiace.
Anche i due studi dell’OLAF e della CE richiamano tale definizione,
che viene però dedotta, in via indiretta, attraverso gli orientamenti della stessa CE in materia di controlli interni nel settore pubblico. Questi ultimi trovano un’adeguata rappresentazione nel concetto di controllo interno sul quale si fonda il Public Internal Financial Control (PIfC), l’iniziativa adottata dalla Commissione Europea dalla seconda metà degli anni ’90 per guidare i paesi che richiedono l’adesione all’UE nella riorga89
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La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
Attualità e dibattito
nizzazione dei rispettivi SCI7. Esso si basa sulle linee guida sul controllo interno emanate dall’International Organization of Supreme Audit Institutions (INTOSAI) e sui principi emanati dall’Institute of Internal Auditors (IIA); sia le prime che i secondi fanno riferimento ai principi propri
del COSO framework.
La definizione di SCI in oggetto, pur non essendo esaustiva delle varie accezioni che la stessa assume nei diversi contesti nazionali8, può
essere tuttavia considerata rappresentativa di prassi di controllo interno
evolute: in prima istanza, a motivo della rilevanza delle organizzazioni che sponsorizzano l’attività del COSO – per esempio, l’American Accounting Association (AAA); l’American Institute of Certified Public Accountants (AICPA); il Financial Executives International (FEI); l’Institute of
Management Accountants (IMA); l’Institute of Internal Auditors (IIA); in seconda istanza, in virtù del riconoscimento internazionale del framework
quale standard di qualità – è il framework più largamente utilizzato dalle società quotate degli USA per adempiere alle disposizioni del Sarbanes-Oxley Act (SOX) in materia di controlli interni (McNally 2013)9, nonché quello adottato dall’INTOSAI come riferimento nell’emanazione delle linee guida per i sistemi di controllo interno nel settore pubblico – Public Internal Control (PIC).
Queste ultime, in particolare, sono frutto di un adattamento del framework COSO, nella versione del 1992, alle peculiarità del contesto
pubblico. Il modello di PIC che viene delineato è incentrato sulla gestione del rischio e sul raggiungimento della missione aziendale, nel rispetto di una serie di obiettivi generali riconducibili a quattro macroaree:
– obiettivi gestionali: si riferiscono all’esecuzione ordinata, conforme
a principi etici, di economicità, efficienza ed efficacia delle operazioni di gestione;
– obiettivi di rendicontazione (finanziaria e non finanziaria): si riferiscono all’adempimento degli obblighi di resa del conto – accountability;
– obiettivi di compliance: si riferiscono al rispetto delle normative e
dei regolamenti vigenti;
– obiettivi di salvaguardia del patrimonio: si riferiscono alla protezione delle risorse aziendali contro perdite, utilizzi impropri e danneggiamenti (INTOSAI, 2004).
7 Per un approfondimento del tema relativo al PIFC si vedano De Koning (2007) e Cohen
(2007).
8 Sul concetto di controllo interno nel settore pubblico si vedano tra gli altri OECD (1996),
Maijoor (2000), Ruffner e Sevilla (2004), Sterck et al. (2005), Pavan e Fadda (2013), European Commission (2014).
9 Il SOX è stato emanato nel 2002 a seguito degli scandali che avevano travolto alcune
grandi compagnie statunitensi come Enron e Arthur Andersen. Il suo obiettivo è quello di eliminare le cause di simili scandali e riconquistare la fiducia degli investitori. A tal fine prevede, tra le altre cose, una serie di misure volte a ridisegnare la Corporate Governance delle società quotate. In particolare la Sezione 404 si occupa del sistema di controllo interno,
per il quale richiede anche che il management indichi il framework adottato nella valutazione della relativa efficacia.
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Attualità e dibattito
La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
È qui utile sottolineare che il modello INTOSAI si differenzia dal framework originale principalmente per la rilevanza attribuita a due aspetti significativi propri dell’amministrazione delle risorse pubbliche. In maniera specifica, mentre il framework COSO, con riferimento agli obiettivi di gestione, prende in considerazione solo gli aspetti relativi all’efficienza e all’efficacia, il modello INTOSAI dà rilievo anche all’aspetto etico, in virtù della sua importanza nell’ottica del contrasto alle frodi e alla
corruzione nella pubblica amministrazione. In secondo luogo, il modello INTOSAI considera la salvaguardia delle risorse aziendali un obiettivo in sé, che assume importanza in considerazione del fatto che queste
sono finanziate attraverso i denari pubblici. Viceversa, il framework COSO considera la salvaguardia delle risorse aziendali come un di cui dei
più generali obiettivi gestionali. Sono invece gli stessi, nei due documenti, i cinque elementi sui quali si basa il sistema di controllo interno: 1)
l’ambiente di controllo; 2) l’analisi del rischio; 3) le attività di controllo;
4) i sistemi di informazione e comunicazione; 5) le attività di monitoraggio (INTOSAI, 2004).
L’ambiente di controllo è l’elemento portante del SCI in quanto identifica gli standard, i processi e le strutture necessari affinché il controllo interno possa essere realizzato. In questo primo elemento viene posta l’enfasi sull’etica dei comportamenti e sul ruolo guida del top management
nell’instaurare un clima organizzativo favorevole ai controlli, anche attraverso la tenuta di una condotta che possa essere considerata esemplare
– c.d. tone at the top. Risente, dunque, delle politiche organizzative in
materia di condotta, reclutamento e incentivazione del personale, nonché, in linea ancora più generale, dei sistemi adottati per la misurazione
della performance organizzativa e individuale, al fine della responsabilizzazione verso il raggiungimento dei risultati.
L’analisi del rischio consiste di tutti quei processi che vengono attivati
ai fini dell’individuazione e della valutazione dei rischi connessi con gli
obiettivi predefiniti ai vari livelli organizzativi. Implica una chiara definizione degli obiettivi nelle diverse macroaree sopra individuate (gestionale, rendicontazione, compliance, salvaguardia del patrimonio) e la definizione di una soglia di tolleranza dei rischi al fine di stabilire come gli
stessi debbano essere fronteggiati10.
Le attività di controllo consistono in tutte quelle misure che vengono
predisposte, per mezzo di politiche e procedure organizzative, affinché
le iniziative intraprese dal management per fronteggiare i rischi siano effettivamente realizzate. Possono avere natura preventiva o ispettiva e sono tipicamente rappresentate dalle procedure di rotazione delle mansioni, di segregazione dei compiti, di autorizzazione e approvazione, di
revisione delle performance e così via.
10 Per una casistica esemplificativa di rischi del settore pubblico e sulle attività da porre in
essere per fronteggiarli si veda INTOSAI (2004, pp. 49-56).
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La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
Attualità e dibattito
L’informazione e la comunicazione sono condizioni fondamentali per
il corretto funzionamento aziendale in generale e, di conseguenza, anche del SCI. In questo contesto esse assumono una funzione strumentale rispetto agli altri elementi del sistema di controllo. Assumono rilevanza tanto le informazioni interne all’organizzazione, quanto quelle relative all’ambiente esterno. Allo stesso modo rilevano i processi di comunicazione, che nella dimensione interna attengono ai processi che consentono il dispiegarsi delle relazioni tra gli elementi dell’organizzazione.
Per contro, nella dimensione esterna consentono, per un verso, alla stessa organizzazione di raccogliere rilevanti informazioni dall’ambiente e,
per un altro, di fornire a soggetti terzi quelle informazioni atte a soddisfarne necessità e aspettative.
Il monitoraggio si concretizza in tutte le attività poste in essere per verificare la presenza e il funzionamento degli elementi del SCI. Possono
consistere in attività di monitoraggio sistematico e continuativo oppure
in verifiche occasionali, operate anche a seguito dei risultati dei monitoraggi su base continuativa.
Come già accennato, il modello di controllo interno delineato dal framework COSO e ripreso dall’INTOSAI si caratterizza per la strumentalità delle attività alla gestione del rischio. Proprio l’orientamento al rischio
ha rappresentato una delle principali tendenze evolutive dei sistemi di
PIC nei paesi membri dell’UE del millennio da poco cominciato (European Commission 2014). A tal proposito si osserva che, tra questi ultimi,
nazioni quali la Svezia, la Danimarca, i Paesi Bassi e il Regno Unito, che
adottano un SCI orientato alla gestione del rischio coerente con il COSO
framework, si posizionano nei primi posti della graduatoria di Transparency International sull’indice di corruzione percepita.
5. I controlli in Italia: criticità e possibili soluzioni
Si è detto che vari accordi, documenti e azioni internazionali puntano sugli strumenti organizzativi e gestionali per il contrasto alla corruzione. La
citata relazione della CE suggerisce, in particolare, di “garantire un quadro uniforme per i controlli interni” (Commissione Europea 2014b, p. 16).
Il quadro dei controlli interni in Italia si caratterizza, invece, per la
frammentarietà e disorganicità dei molteplici provvedimenti che a questi sono riferibili, tali per cui parlare di sistema di controlli interni appare problematico (Pavan e Fadda 2013). Tali provvedimenti sono solo limitatamente riconducibili a uno specifico corpo normativo esplicitamente riferibile ai controlli interni, mentre in larga parte si riferiscono alla disciplina delle pubbliche amministrazioni in generale (Pavan
et al. 2013).
I principali riferimenti normativi in materia sono stati emanati durante
un arco temporale che parte dagli anni ’90 del secolo scorso per arriva-
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Attualità e dibattito
La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
re fino al 201111. In questo lasso temporale, i controlli interni nelle pubbliche amministrazioni italiane si sono evoluti, comportando un passaggio
da un’impostazione di tipo napoleonico, incentrata sui controlli preventivi
di legittimità e sulle verifiche di conformità, a una maggiormente orientata all’accountability, sia interna che esterna. Negli ultimi anni, a complemento delle predette norme, sono poi stati emanati la legge 190/2012
(legge anticorruzione) e il d.lgs. 33/2013 (decreto trasparenza).
Questo vasto corpo normativo, pur presentando diversi gradi di analogia con il modello di controllo interno tracciato dai framework COSO/INTOSAI, non è tuttavia in grado di delineare un sistema di PIC
che allo stesso framework possa dirsi conforme. La prima ed essenziale motivazione di ciò risiede nel fatto che nel contesto normativo dei
controlli interni italiano è del tutto assente – con una parziale eccezione contenuta nell’ultima legge anticorruzione – l’orientamento alla gestione del rischio, che invece costituisce il tratto caratterizzante del modello COSO/INTOSAI12.
Nella disorganicità dei provvedimenti si riflette, poi, la mancanza di
coordinamento tra i diversi organismi preposti all’espletamento delle varie forme di controllo13, nonché la sovrapposizione tra gli strumenti utilizzati a tali scopi14. A tal proposito la Relazione ANAC sul ciclo della performance 2012-2014 mette in luce tra le criticità: 1) l’incoerenza tra un
contesto caratterizzato da riduzione delle risorse disponibili e difficoltà
organizzative e gli straordinari risultati positivi nel conseguire gli obiettivi
strategici. Siffatti esiti sono ascrivibili piuttosto, in base ai risultati dell’indagine condotta dall’ANAC, alla inadeguata definizione degli obiettivi stessi; 2) le carenze dei sistemi informativi a supporto della misurazione e valutazione della performance, lamentata dalla maggior parte delle amministrazioni, in particolare con riferimento alla mancata integrazione tra i sistemi informatici dedicati al controllo di gestione e al controllo strategico; 3) la debolezza del legame tra ciclo delle performance e ciclo di programmazione economico finanziaria, dovuta a un collegamento tra obiettivi strategici e risorse finanziarie che solo nel 33% dei
casi esaminati è completo. Ancora più debole risulta, poi, il collegamento tra le stesse risorse e gli obiettivi operativi sottostanti gli obiettivi stra11 Tali provvedimenti sono la L. 241/1990, la L. 142/1990, il d.lgs. 29/1993; la L.
20/1994; i d.lgs. 286/1999, 150/2009, 196/2009, 123/2011.
12 Per un confronto analitico tra il modello COSO/INTOSAI e la normativa italiana in tema
di controlli interni si veda Pavan e Fadda (2013, pp. 440-444).
13 Con riferimento alle amministrazioni statali centrali, per esempio, le attività di controllo di
regolarità amministrativo contabile sono svolte dagli Uffici Centrali di Bilancio; il controllo sulla spesa è svolto dai Nuclei di analisi e valutazione della spesa composti da membri del Ministero sottoposto a controllo, del Ministero dell’economia e delle finanze e da un rappresentante della Presidenza del Consiglio; il controllo strategico è svolto dall’Organismo Indipendente di Valutazione (OIV); alle attività riconducibili al controllo di gestione, così come ridefinito dalla L.150/2009 in termini di valutazione e misurazione della performance, partecipano il Dipartimento della Funzione Pubblica presso il Ministero dell’Interno, l’OIV, l’organo di
indirizzo politico amministrativo e i dirigenti dell’amministrazione.
14 Si veda in proposito la Relazione ANAC sulla performance delle amministrazioni centrali 2012.
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Azienda Pubblica 1.2016
La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
Attualità e dibattito
tegici, dove nel 72% dei casi lo stesso è del tutto assente (ANAC 2014,
pp. 52-53). Per rimediare a tale ultima mancanza la stessa Autorità ha
emesso nel 2013 una delibera – la n. 6/2013 – contenente indicazioni
sugli elementi da considerare nella predisposizione del Piano triennale
della performance. La delibera evidenzia la necessità che vengano creati collegamenti non solo tra ciclo della performance e ciclo di bilancio,
ma anche e più ampiamente che si cerchi un coordinamento tra gli ambiti relativi alla performance, alla qualità, alla trasparenza, all’integrità
e alla prevenzione della corruzione.
6. Conclusioni
La corruzione è un fenomeno diffuso nel mondo che ha effetti negativi sulla qualità della vita sociale e sullo stesso benessere economico. Data la
diffusione globale del fenomeno, gli stati stipulano convenzioni atte a coordinare e armonizzare le condotte. Gli strumenti adottati sono in parte
di tipo giuridico, ma in larga misura hanno natura organizzativa e attengono in particolare ai sistemi contabile e dei controlli interni. Esistono ricerche che mostrano l’esistenza di correlazioni inverse tra l’utilizzo di tali strumenti gestionali e i livelli di corruzione. In Italia, il tema dell’immoralità dei comportamenti economici è drammaticamente attuale. Diverse
disposizioni legislative si sono recentemente succedute; in esse sembra
talvolta continuare a prevalere l’approccio giuridico formale e repressivo; le norme sono spesso mal correlate e costringono le amministrazioni
a dedicare risorse ad attività di mero adempimento. Diversi documenti di
organismi competenti segnalano la necessità di un approccio funzionale e di strumenti gestionali. Il SCI è definito in letteratura e in documenti
di riferimento per la pratica – il COSO Report, il Public Internal Control
dell’INTOSAI e il PIfC dell’UE – quale insieme di strumenti volti a fronteggiare i rischi aziendali e ad assicurare il corretto svolgimento della gestione; si basa su un ambiente organizzativo eticamente orientato e utilizza strumenti aziendali di organizzazione e comunicazione.
Di fronte a un quadro istituzionale burocratico, formale e inefficiente,
il rischio che gli obblighi imposti dalle leggi anticorruzione e sulla trasparenza si traducano una volta di più in atti di pura osservanza formale15 e
vanifichino gli scopi perseguiti dal legislatore sembra concreto; la necessità di una semplificazione che alleggerisca l’entità degli adempimenti
posti a carico delle amministrazioni assume, pertanto, carattere prioritario. In tale ottica, la cultura del controllo fondata sull’etica e sulla condotta
esemplare di chi sta al vertice dell’organizzazione, le attività di controllo
adottate quale parte integrante dei processi operativi e gli altri strumenti
del SCI previsti dal framework COSO/INTOSAI costituiscono un modello al quale occorre fare primario e immediato riferimento.
15 In proposito si vedano per esempio: Anessi Pessina e Steccolini (2005); Ongaro e Valotti (2008); Pavan et al. (2014); Reginato et al. (2011).
Azienda Pubblica 1.2016
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Attualità e dibattito
La lotta alla corruzione: più controlli interni e meno adempimenti
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Esperienze innovative
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Stefano Lorusso
Dottore di Ricerca in Economia e Management delle Aziende e delle Organizzazioni Sanitarie, Dirigente dell’Ufficio
Finanze del SSR della Regione Basilicata – [email protected]
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il Percorso Attuativo di Certificabilità delle aziende sanitarie – 3. Il Percorso Attuativo in
Regione Basilicata – 4. Il Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale – 5. La revisione del Bilancio Consolidato
del SSR. Una possibile soluzione di transizione – 6. Conclusioni
Il contributo prova ad affrontare, sulla base dell’esperienza maturata nella Regione Basilicata,
alcune tematiche inerenti alla certificabilità del bilancio consolidato. Dopo aver inquadrato il
Percorso Attuativo di Certificabilità (PAC) della Regione, si propone una riflessione sugli aspetti di
tipo sia metodologico sia valutativo e gestionale in merito alla redazione del bilancio consolidato.
Il lavoro evidenzia come l’attuale assenza di indicazioni normative e di chiare scelte istituzionali,
finalizzate ad affrontare le specificità tipiche del servizio sanitario, renda difficile definire l’oggetto
di un’eventuale revisione del bilancio consolidato. Si propongono, al fine di superare queste problematiche, alcune possibili soluzioni.
This paper offers, on the grounds of the experience gained within the Basilicata Region, a critical
analysis about the external financial audit of Regional Health Service consolidated statements.
After a brief description of the process, followed by the Basilicata Region, to prepare health-care
organisations for an external financial audit, the article explores the main institutional and methodological issues to be tackled in the preparation of region-wide consolidated financial statements. The
findings highlight that the current lack of guidelines and clear institutional choices makes it difficult
to properly define the auditor’s engagement for the financial audit of region-wide consolidated
financial statements. The paper concludes by suggesting a few possible solutions.
Parole chiave: Bilancio Consolidato – SSR – Certificazione – Revisione contabile
Key words: Consolidated Financial Statements – Health care Service – Financial Audit
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Azienda Pubblica 1.2016
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Esperienze innovative
1. Introduzione
Il lavoro intende proporre una riflessione sulla revisione contabile (cd “revisione legale”) del bilancio negli enti del Servizio Sanitario, con particolare
riferimento alle problematiche connesse al bilancio consolidato regionale.
Più specificamente, il lavoro discute le principali problematiche inerenti alla predisposizione dei bilancio consolidato del Servizio Sanitario Regionale (SSR) e le implicazioni riguardanti la revisione contabile
del bilancio stesso. La revisione contabile costituisce un punto qualificante nell’ambito dei Percorsi Attuativi di Certificabilità (P.A.C.) attivati dalle Regioni alla luce del DM 17 settembre 2012.
A tal fine, viene proposta l’analisi di un case study, ossia la Regione
Basilicata. La Basilicata è stata, infatti, una delle prime regioni in Italia
ad aver avviato, già nel 2009, prima del disposto normativo, un percorso finalizzato alla certificabilità dei bilanci delle aziende del SSR. Rappresenta, quindi, un interessante caso di studio, perché ha dovuto affrontare prima delle altre le problematiche di redazione del bilancio consolidato nonché di sottoposizione dello stesso al processo di revisione. Inoltre, ha ottenuto, nel 2014, la certificazione (seppur con limitazioni) dei
bilanci di tutte le aziende sanitarie e (prima in Italia) del consolidato regionale, il che la identifica come una best practice a livello nazionale.
Un ulteriore aspetto che caratterizza il caso è la decisione di non attivare la Gestione Sanitaria Accentrata presso la Regione (GSA), avvalendosi della facoltà offerta dal D.lgs. 118/2011.
I primi paragrafi descrivono il PAC, le specifiche metodologie disegnate e implementate dalla Regione Basilicata e i risultati raggiunti. Partendo dalle indicazioni normative disponibili, dai contributi del mondo
scientifico e professionale, nonché dalle criticità riscontrate in sede applicativa, il contributo focalizza poi l’attenzione sulle specificità del bilancio consolidato del SSR rispetto a quanto previsto dal codice civile per il
bilancio dei gruppi di imprese.
Le specificità tipiche del sistema sanitario e del contesto normativo di
riferimento pongono una serie di questioni di tipo metodologico e valutativo. Tali questioni richiedono uno sforzo interpretativo che tenga conto
anche degli aspetti gestionali. Rispetto a tale contesto, l’articolo propone alcune possibili soluzioni di carattere sia metodologico sia operativo.
2. Il Percorso Attuativo di Certificabilità delle aziende sanitarie
La revisione contabile, come noto, è l’attività svolta dai revisori che, attraverso analisi e verifiche del bilancio di esercizio, condotte sulla base di tecniche e procedure prestabilite e finalizzate alla formulazione di
un giudizio professionale sullo stesso, è volta alla tutela e alla salvaguardia del patrimonio aziendale. L’attività di revisione consente di verificare la veridicità, l’attendibilità e la correttezza delle poste contabili di un
bilancio d’esercizio o di un bilancio consolidato (Hinna e Messier 2007
e Marchi 2004).
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Esperienze innovative
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
La revisione si sviluppa nel contesto tipico delle società quotate. Essa
consente di assicurare il controllo di realtà aziendali di grandi dimensioni, caratterizzate dalla presenza di numerosi stakeholder e fortemente
orientate al mercato. Proprio per questo, non sembra pensabile che tale
attività possa essere trapiantata per semplice analogia in realtà connotate da assetti istituzionali e organizzativi del tutto differenti.
Le aziende del Servizio Sanitario Regionale (SSR) si caratterizzano
per regole di funzionamento e aspetti gestionali che le rendono differenti
da qualsiasi altra azienda di produzione. Tale tipicità si riscontra anche
nell’adozione di specifici meccanismi di finanziamento (remunerazione
a quota capitaria, a tariffa per prestazione o per caso trattato etc.) e nelle regole contabili, formalizzate dal legislatore con il D.lgs. 118/2011,
che derogano anche ai postulati contabili quali la competenza (si veda,
per esempio, il trattamento contabile previsto dal D.lgs. 118/2011, art.
29, per la contabilizzazione della mobilità sanitaria interregionale e per
l’ammortamento dei cespiti acquisiti senza disporre di una fonte di finanziamento dedicata).
La necessità di definire un sistema contabile uniforme per le aziende
sanitarie pubbliche risponde all’esigenza di armonizzare i sistemi contabili regionali. L’armonizzazione dei sistemi di rilevazione e dei processi
di controllo tra le aziende sanitarie, attraverso la predisposizione di omogenei schemi di bilancio e principi contabili, è il presupposto per qualsiasi attività di certificazione (Anessi Pessina, Cantù e Persiani 2011). L’aziendalizzazione della sanità non può prescindere dalla perfetta riconoscibilità e accettabilità, da parte dei diversi interlocutori istituzionali e sociali, dei risultati presentati nei bilanci, vista anche l’entità del finanziamento del servizio sanitario e gli effetti fiscali collegati al raggiungimento
o meno del pareggio (Persiani 2008 e 2012). Le aziende sanitarie hanno infatti l’obbligo di rendere pubblici, annualmente, i propri risultati economici. Risulta pertanto evidente che rafforzare i livelli di controllo e individuare un adeguato strumento di lettura e interpretazione dei fenomeni
aziendali va nella direzione di rafforzare sia i processi di accountability del management sia i livelli di trasparenza dell’azione amministrativa.
In tale contesto è stato, quindi, attivato a livello nazionale un importante percorso di armonizzazione contabile, finalizzato alla certificazione dei bilanci del Servizio Sanitario Nazionale. Il percorso verso la certificazione dei bilanci della sanità pubblica, nel contesto normativo nazionale, si è caratterizzato per le seguenti “tappe” logiche (Gelmetti 2013):
– valutazione straordinaria delle procedure amministrativo contabili (D.M. 18 gennaio 2011);
– armonizzazione contabile, attraverso l’approvazione del D.lgs.
118/2011 e della sua casistica applicativa (art. 1 D.M. 17 settembre 2012);
– percorso attuativo della certificabilità dei bilanci (D.M. 17 settembre 2012, artt. 2 ss.).
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La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Esperienze innovative
La prima tappa è rappresentata dalla valutazione straordinaria delle
procedure amministrativo contabili. Tale attività, formalizzata con D.M.
18 gennaio 2011, ha preso il via con il “Patto per la salute in materia sanitaria per il triennio 2010-2012”, sancito con l’Intesa Stato-regioni del 3
dicembre 2009. In particolare, le regioni e le province autonome hanno
attivato un percorso di verifica della qualità delle procedure amministrativo contabili sottostanti alla corretta contabilizzazione dei fatti aziendali, nonché della qualità dei dati contabili.
La seconda tappa nel percorso delineato è stata l’emanazione del
D.lgs. 23 giugno 2011, n. 118 con il quale, a decorrere dall’esercizio
2012, sono state dettate nuove norme contabili e di bilancio per gli enti coinvolti nella gestione della spesa sanitaria, finanziata con le risorse
destinate al Servizio Sanitario Nazionale. Innovativa è stata l’introduzione di una cornice normativa coordinata e organica, su base nazionale,
indispensabile per superare la preesistente eterogeneità dei criteri di valutazione che, introdotti nel tempo dalla non uniforme legislazione regionale, aveva impedito una coerente e trasparente comparazione delle risultanze contabili regionali.
Infine, con il D.M. 17 settembre 2012, è stato approvato il percorso di certificabilità dei bilanci degli enti del SSN. Innanzi tutto, la “certificabilità” è stata definita come l’applicazione di una regolamentazione della materia contabile e di un sistema di procedure amministrativo
contabili che ponga gli enti sanitari nella condizione, in ogni momento,
di sottoporsi con esito positivo alle verifiche e alle revisioni contabili stabilite nel decreto stesso. Per raggiungere la condizione di certificabilità,
le regioni hanno avviato un percorso attuativo della certificabilità (PAC),
al completamento del quale la stessa condizione è verificata con periodicità annuale attraverso la revisione contabile del bilancio delle singole aziende sanitarie pubbliche, nonché del bilancio consolidato del SSR
(Gelmetti 2013). L’esigenza di definire dei percorsi attuativi personalizzati per ciascuna regione evidenziava la necessita di partire dal contesto regionale e dalla cultura contabile dei singoli SSR, intesa quale insieme di principi e procedure amministrative contabili (Di Lorenzo 2013).
3. Il Percorso Attuativo in Regione Basilicata
La Regione Basilicata, anticipando i tempi previsti dal D.M. 17 settembre 2012, ha sancito l’esigenza di assicurare la certificabilità dei bilanci
del SSR già nel 2007. L’art. 18 della L.R. 1/2007 (finanziaria regionale) e s.m.i. dispone, infatti, che “al fine di assicurare condizioni omogenee di significatività delle contabilità aziendali e di rispondenza agli obblighi di equilibrio economico-finanziario previsti dall’Intesa Stato-Regioni 5 ottobre 2005 Rep. 2648, denominata “Nuovo Patto per la Salute”,
e dall’Intesa Stato-Regioni 23 marzo 2005 Rep. 2271, nelle more dell’adozione dei provvedimenti per la certificazione dei bilanci delle Aziende
Sanitarie, di cui all’art. 1 comma 291 della legge 23 dicembre 2005 n.
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La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
266, le Aziende Sanitarie sono tenute ad introdurre la revisione contabile del bilancio di esercizio attraverso un intervento pluriennale consistente nello svolgimento di un’indagine conoscitiva del patrimonio aziendale
e nell’espletamento di limitate procedure di revisione sullo stato patrimoniale dell’esercizio di avvio del processo di revisione contabile, nella revisione contabile dello stato patrimoniale del primo esercizio successivo
e nella revisione contabile del bilancio del secondo esercizio successivo”.
In virtù di tale disposizione la Regione Basilicata, nel 2008, ha avviato un progetto sperimentale di implementazione della revisione contabile
dei bilanci d’esercizio di tutte le aziende sanitarie pubbliche, perseguendo l’obiettivo di individuare standard di riferimento sia per il sistema contabile che per quello di controllo. Si noti, peraltro, che il principale obiettivo del percorso attuativo di certificabilità, attuato in regione Basilicata
a partire dal 2008, non è stato la certificazione dei bilanci in quanto tale, ma piuttosto la creazione delle condizioni per sviluppare una cultura
amministrativo-contabile che avesse come naturale conseguenza la “certificabilità” dei bilanci aziendali (Lorusso e Giordano 2010).
A differenza di altre Regioni, la Basilicata ha da subito ritenuto fondamentale assicurare la certificabilità dei bilanci per il tramite di esperti qualificati, riferendosi per i primi sei anni a società di revisione iscritte nel previgente albo Consob. Pur riscontrando difficoltà oggettive nella definizione delle responsabilità e dei ruoli in materia di verifiche contabili tra collegio sindacale e società di revisione, si è ritenuto opportuno avvalersi di esperti esterni qualificati proprio per ribadire che la terzietà rappresenta elemento qualificante del sistema di controllo. Tale terzietà è stata ulteriormente rafforzata in ragione del fatto che l’interlocutore è stato selezionato tramite procedura a evidenza pubblica dalla Regione e non dalle aziende sanitarie.
Per meglio comprendere gli aspetti applicativi del PAC, è opportuno
precisare che la Regione Basilicata ha preferito non gestire direttamente alcuna quota del Fondo Sanitario, in quanto il Fondo Sanitario Regionale (FSR) è destinato a garantire l’erogazione dei Livelli Essenziali di
Assistenza (LEA) e i LEA sono assicurati dalle aziende sanitarie quali enti strumentali della Regione. Trasferendo completamente le risorse alle
aziende sanitarie, si evita il rischio di utilizzare tali fondi per attività non
direttamente correlate ai LEA e, conseguentemente, si assicura una maggiore tracciabilità delle risorse stesse rispetto ai bisogni di salute degli assistiti. In virtù di tale scelta, la regione Basilicata, in conformità a quanto
previsto dal D.lgs. 118/2011, non ha attivato la Gestione Sanitaria Accentrata presso la Regione (GSA).
3.1 Obiettivi PAC
Gli obiettivi perseguiti dal governo regionale nell’ambito del progetto sono stati, in estrema sintesi, i seguenti:
– razionalizzare e, laddove possibile, uniformare le procedure con101
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La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Esperienze innovative
tabili, sia sotto il profilo organizzativo che sotto l’aspetto valutativo. Ciò al fine di garantire il processo di lettura dei bilanci da parte di un osservatore esterno e di consentire un’affidabile attività di
programmazione e controllo cha,(Megali e Rossi 2005);
– accompagnare le aziende sanitarie locali nel processo di accorpamento, in primo luogo, attraverso l’elaborazione di una indagine conoscitiva e, successivamente, attraverso la definizione di adeguate procedure di trasferimento e unificazione;
– accompagnare le aziende sanitarie locali nel processo di liquidazione, individuando e quantificando in modo chiaro le partite debitorie;
– accompagnare le aziende ospedaliere nel processo di trasformazione, al fine di ridefinire le procedure amministrative anche in ragione delle differenti finalità istituzionali (Gigli, 2014);
– favorire la comparabilità tra i bilanci, quale logico presupposto
per il consolidamento dei conti delle aziende(Puddu et al 2011);
– rafforzare i sistemi di controllo interno, sviluppando una cultura del
controllo interno orientata alla qualità del dato quale flusso proceduralizzato di un ciclo gestionale ben individuato (Puddu et al 2011);
– accompagnare le aziende sanitarie e ospedaliere verso la certificazione di bilancio quale sistema di garanzia per i diversi stakeholder della sanità.
L’obiettivo finale della certificazione di bilancio rappresenta, pertanto, sia il punto di arrivo di un periodo sperimentale che ha consentito di
incrementare il livello qualitativo dell’informazione contabile, che il punto di partenza per rafforzare i processi di programmazione e controllo
di tipo finanziario ed economico.
3.2 Fasi del progetto, criticità riscontrate e azioni intraprese
Il progetto si è articolato in due macro-fasi e in almeno 5 step, con una
durata di circa sei anni. La prima macro-fase, tesa alla creazione degli
strumenti (principi, procedure amministrativo-contabili, casistica, circolari
etc.) ha avuto come obiettivo la certificabilità dei bilanci d’esercizio delle
singole aziende. La seconda macro-fase è stata caratterizzata dalle attività di revisione dei bilanci d’esercizio aziendali e del bilancio consolidato.
Di norma, la revisione si svolge sull’intero bilancio. Durante la realizzazione dei percorsi attuativi, tuttavia, le regioni hanno richiesto “revisioni limitate” a specifiche poste o aree contabili. L’uso delle revisioni limitate è di fatto sempre un momento di revisione volontaria, mentre solo a un’attività di full audit viene assegnata valenza di revisione legale
(Gelmetti 2013). In tale contesto, la scelta operata dalla Regione Basilicata a partire dal 2012 (seconda macro-fase) è stata quella di richiedere
revisioni di tipo full audit sui bilanci d’esercizio delle aziende sanitarie.
La Tabella 1 riporta gli step del progetto, con indicazione dei provvedimenti e degli atti di riferimento, al fine di meglio esplicitare il percorso logico sottostante.
Azienda Pubblica 1.2016
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Esperienze innovative
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Tabella 1. Fasi del progetto di innovazione contabile e organizzativa per la
certificazione dei bilanci del SSR della Regione Basilicata
Macro Fase
Fase percorso
Riferimento
L.R. 1/2007- art.18
Step 1
Anno 2007
“Programmazione del
DGR 1885/2007
percorso di certificabilità”
Step 2
Anno 2008
“Avvio del percorso”
Certificabilità
Sintesi dell’azione
Introduzione della revisione contabile
Approvazione del progetto “Innovazione del sistema economico-finanziario e
contabile del SSR”.
Costituzione del gruppo di lavoro con
ruolo di supporto tecnico per la definizione dei principi contabili e l’espletamento
della revisione.
DGR 1242/2008
Indizione gara per l’affidamento del
servizio di organizzazione e revisione
contabile dei bilanci delle aziende
sanitarie.
DGR 2044/2008
Aggiornamento dello schema di nota
integrativa.
DD 1057/2008
DD 29/2009
Aggiudicazione del servizio di revisione
contabile.
DGR 1242/2008
Indagine conoscitiva del patrimonio delle
aziende sanitarie.
Revisione di alcune voci dello Stato
Patrimoniale aziendale.
DGR 2018/2009
Approvazione principi contabili per la
redazione del bilancio di esercizio delle
aziende sanitarie.
Step 3
Anni 2008-10
DD 178/2010
“Definizione dei Principi e
delle Procedure”
Approvazione della casistica per l’applicazione dei principi contabili.
Le procedure contabili descritte nel Manuale riguardano:
Il Ciclo Attivo
Manuale delle procedure Il Ciclo Passivo
amministrativo contabili Il Ciclo Personale
Il Ciclo Magazzino
Il Ciclo Patrimonio
Il Ciclo Chiusura del Bilancio
Revisione
Contabile
Step 4
Anno 2011
“Valutazione straordinaria delle procedure
amministrativo contabili e
revisione contabile”
DGR 675/2011
Affidamento delle prestazioni complementari relative all’offerta economica
di cui alla DGR 1242/2008 al fine di
ottemperare alle disposizioni del D.lgs.
118/2011.
Valutazione straordinaria delle procedure
amministrativo contabili delle aziende
del SSR.
DGR 1242/2008
Revisione del bilancio d’esercizio 2010
dell’AOR San Carlo e dell’IRCCS CROB
– Opinion Positiva.
Nota prot. n
111125/7202
Invio della documentazione relativa alla
valutazione straordinaria delle procedure
amministrativo contabili - Punto AT del
Questionario LEA 2010.
- segue -
103
Azienda Pubblica 1.2016
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Macro Fase
Fase percorso
Riferimento
Esperienze innovative
Sintesi dell’azione
DGR 1284/2011
Approvazione del piano dei conti unico
della contabilità generale delle Aziende
Sanitarie.
DGR 273/2012
Indizione gara per l’affidamento triennale del servizio di revisione contabile dei
bilanci di esercizio delle aziende sanitarie e del bilancio consolidato del SSR.
DGR 709/2012
Individuazione responsabile gestione
sanitaria accentrata.
Aggiudicazione definitiva del servizio di
revisione contabile dei bilanci di esercizio
delle aziende sanitarie e del consolidato.
Step 5
Anni 2012-15
“Consolidamento e potenziamento del percorso di
revisione e certificabilità”
DD 501/2012
Revisione da parte di società di revisione
indipendenti iscritte all’albo CONSOB
dei bilanci d’esercizio 2012-14 delle
aziende sanitarie.
Verifica corrispondenza modelli CE-SP-LA
da parte di società di revisione indipendenti iscritte all’albo CONSOB.
Revisione del bilancio d’esercizio consolidato del SSR (esercizio 2014).
La completa realizzazione del PAC ha richiesto specifiche azioni per
superare le difficoltà emerse nel corso dell’attività di revisione dei bilanci d’esercizio e rilevate al termine della prima macro fase. A tal proposito, il 2011, anche in considerazione delle attività di cui al D.M. 18 gennaio 2011, è stato un anno di transizione e di analisi nel quale si è fatto il punto della situazione.
La fase intermedia di check-up, svoltasi nel 2011 in ottemperanza al
citato DM, ha rappresentato, infatti, un momento essenziale per fotografare la situazione esistente ed evidenziare le criticità e le lacune organizzativo-contabili su cui era opportuno lavorare per arrivare alla certificazione di bilancio di tutte le aziende del SSR. A conclusione della prima
macro-fase sono emerse, in particolare, una serie di aree deboli relative
alle procedure in essere e alla governance del percorso che, in estrema
sintesi, di seguito si riportano:
– è stata ravvisata l’opportunità di rivedere il gruppo di lavoro assicurando un maggior coinvolgimento del vertice strategico;
– le procedure amministrativo contabili approvate dalle aziende non
erano coerenti con quanto previsto dal D.lgs. 118/2011 e dai relativi decreti attuativi;
– il patrimonio netto di alcune aziende non era allineato ai valori
contabili di prima dotazione;
– mancavano regole che definissero il sistema di relazione/condivisione di informazioni tra regione, società di revisione e collegio sindacale (Devalle e Bava 2014; Mariani, Tettamanzi e Corno 2010).
Azienda Pubblica 1.2016
104
Esperienze innovative
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Il progetto regionale di revisione contabile, messo a punto nel primo
triennio, è stato quindi ulteriormente potenziato negli anni 2012-14 al
fine di risolvere le criticità sopra riportate. Si è provveduto, pertanto, a
porre in essere specifiche azioni quali:
– l’aggiornamento delle procedure amministrativo-contabili alla luce
del D.lgs. 118/2011 e dei relativi decreti attuativi;
– l’attivazione di una ricognizione straordinaria del patrimonio netto delle aziende del SSR;
– la rivisitazione della governance del PAC. Nello specifico, è stato
costituito un gruppo lavoro composto dai direttori amministrativi e
si è optato per effettuare una gara con un lotto unico comprensivo
dei servizi di revisione contabile di tutte le aziende del SSR e del
bilancio consolidato;
– una maggiore regolamentazione dei rapporti tra società di revisione e collegio sindacale.
Nella prima fase, la Regione Basilicata aveva effettuato una gara suddivisa per lotti (aziende sanitare locali, aziende ospedaliere e consolidato regionale). La gara era stata aggiudicata a due società di revisione. La scelta di avere differenti interlocutori aveva lo scopo di sviluppare
procedure e processi differenti rispetto ai diversi contesti aziendali caratterizzati da assetti organizzativi differenti (azienda committente vs azienda di produzione). Durante lo svolgimento del servizio si erano, però, riscontrate alcune criticità, tra cui:
– due diversi approcci e interpretazioni rispetto a questioni contabili (ad esempio la contabilizzazione del patrimonio di prima
dotazione)1;
– differenti valutazione in ordine alla validità di alcuni strumenti (per
esempio il sistema informativo contabile);
– differenti classificazioni delle partite infragruppo.
Con la DGR 273/2012, la Regione Basilicata ha scelto, per il triennio 2012-14, di effettuare una gara a evidenza pubblica e quindi di avvalersi di un’unica società di revisione (unico lotto). Oltre a semplificare i
processi operativi, ciò ha evitato differenti interpretazioni sulle modalità
applicative di determinati principi contabili e ha facilitato l’attività di revisione del bilancio consolidato, con particolare riferimento alla gestione delle partite infragruppo.
Quanto al rapporto tra società di revisione e collegio sindacale, il contratto relativo al triennio 2012-14 ha previsto che la società di revisione
affidataria dovrà rendersi disponibile a eventuali incontri periodici con i
collegi sindacali delle aziende sanitarie interessate, finalizzati al reciproco scambio di informazioni sull’attività svolta; dovrà inoltre mettere a disposizione delle aziende sanitarie interessate e dell’ente appaltante tut1 Si evidenzia, al riguardo, che tali aspetti sono stati chiariti nella casistica applicativa approvata con DM 17 settembre 2012.
105
Azienda Pubblica 1.2016
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Esperienze innovative
ta la documentazione cartacea e in formato elettronico utilizzata per la
certificazione dei bilanci aziendali.
Un aspetto qualificante del progetto, infine, è assicurare l’allineamento e la riconciliazione tra contabilità finanziaria ed economico patrimoniale della regione. La Regione Basilicata, infatti, pur non avendo attivato la GSA, è comunque tenuta all’elaborazione del modello di
Stato patrimoniale regionale (SP 000) necessario per assicurare la piena tracciabilità dei flussi finanziari. A tal riguardo, è stato implementato
un sistema informatico per la gestione del modello SP 000 che assicura il perfetto allineamento tra le scritture di CO.FI. e le scritture di contabilità economico patrimoniale afferenti al modello SP 000. In pratica, le scritture di contabilità economica sono generate dalle scritture in
contabilità finanziaria dall’operatore che effettua l’impegno e la liquidazione o l’accertamento e l’incasso. A fine anno, il responsabile della GSA provvede a effettuare una riconciliazione evidenziando in apposito prospetto, laddove fosse necessario, le scritture di integrazione
e rettifica necessarie ai fini di una più corretta rappresentazione economico patrimoniale dei fatti gestionali.
Al fine di assicurare la riconciliazione tra i debiti e i crediti infragruppo, con riferimento agli investimenti, è stata, infine, creata una piattaforma informatica di condivisione delle informazioni in merito alle somme
assegnate alle singole aziende a titolo di contributo in c/capitale. È stato, infatti, messo a disposizione delle aziende un database che consente alle stesse di verificare in tempo reale tutte le informazioni connesse
al singolo progetto di investimento (importo assentito, residuo da erogare, liquidazioni etc.).
3.3 Risultati ottenuti e obiettivi futuri
A conclusione del 2014, la Regione Basilicata ha ottenuto un’opinion positiva (revisione full audit) su tutti i bilanci delle aziende sanitarie del SSR
e sul bilancio consolidato (Figura 1).
Si tratta di un esito storico in quanto Basilicata e Toscana sono le uniche due regioni in Italia in cui tutti i bilanci delle aziende sanitarie pubbliche sono stati certificati da una società di revisione. La Basilicata, inoltre, è la prima regione in Italia ad avere anche il bilancio consolidato
certificato da una società di revisione. A tale traguardo si accompagna
il risultato ancora più importante conseguito dal SSR nel triennio 201214, ovvero l’equilibrio economico.
Le limitazioni che accompagnano l’opinion positiva attengono principalmente l’area dei fondi rischi ed oneri e sono, in generale, attribuibili
al mancato riscontro da parte dei legali esterni alle richieste delle aziende circa le valutazioni di soccombenza del contenzioso. Al riguardo, nel
corso del 2015, sono stati sensibilizzate le direzioni strategiche aziendali, che sono intervenute anche attraverso la previsione di specifiche clausole contrattuali, inserite nei contratti di patrocinio legale, che obbligano
Azienda Pubblica 1.2016
106
Esperienze innovative
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
i legali a effettuare una valutazione annuale circa il grado di soccombenza relativamente alla causa (Lorusso e Cangiano 2013).
Figura 1. Risultati del PAC
Aziende
Revisione Bilancio
2012
Revisione Bilancio
2013
Revisione Bilancio
2014
ASP
Impossibilità
Opinion
positiva con
limitazioni
Opinion
positiva con
limitazioni
ASM
Impossibilità
Opinion
positiva con
limitazioni
Opinion
positiva con
limitazioni
AOR
Opinion
positiva con
limitazioni
Opinion
positiva con
limitazioni
Opinion
positiva con
limitazioni
IRCCS
Opinion
positiva con
limitazioni
Opinion
positiva
Opinion
positiva
Consolidato
No
No
Opinion
positiva con
limitazione
Oltre alle citate limitazioni, la certificabilità e la revisione del bilancio consolidato del SSR non hanno potuto prescindere dalla risoluzione
di alcune ulteriori criticità connesse anche all’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale. Nello specifico, nel corso del triennio il gruppo di lavoro ha individuato alcune aree critiche su cui intervenire già a
partire dal 2015:
– area dei sistemi informatici. L’aggiornamento del sistema informatico contabile-amministrativo costituisce un ulteriore elemento qualificante del progetto, in grado di semplificare e velocizzare le procedure amministrativo contabili;
– area della gestione sanitaria. Riguarda l’attivazione delle procedure connesse all’iscrizione dei fondi da distribuire per i quali nel
bilancio regionale non sono stati stanziati specifici capitoli in uscita. Nel caso in cui siano accertate somme in entrata per cui non
è stato possibile, nell’anno, istituire il capitolo in uscita o lo stesso
non presenti sufficiente disponibilità, occorre individuare specifiche procedure di rilevazione;
– area dei crediti verso lo Stato. È opportuno formalizzare un sistema certificato di circolarizzazione dei crediti verso lo Stato. Sarebbe particolarmente opportuno strutturare un sistema di condivi107
Azienda Pubblica 1.2016
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Esperienze innovative
sione delle informazioni connesse ai rapporti di credito e debito
tra Stato e Regione;
– area dei controlli interni. Riguarda la necessità di potenziare l’area dei controlli interni sui dati contabili.
La risoluzione, seppur non completa, delle criticità sopra elencate ha
costituito il presupposto per la certificazione del bilancio consolidato. In
risposta alle singole aree critiche, infatti, sono state attivate idonee procedure finalizzate a rafforzare il sistema dei controlli, anche attraverso
l’aggiornamento del PAC. Inoltre, sono state realizzate procedure e percorsi di verifica alternativi rispetto agli standard normalmente utilizzati
dai revisori di bilancio. Tra queste procedure alternative si segnala quella relativa alle verifiche dei crediti verso lo Stato: in assenza del riscontro da parte dei competenti Ministeri, si è provveduto a una ricostruzione dei relativi provvedimenti amministrativi e della relativa movimentazione finanziaria.
Allo scopo, poi, di assicurare la corretta implementazione delle procedure amministrativo contabili e al fine di tener conto dei diversi assetti organizzativi di ciascuna azienda, nel prossimo futuro si provvederà a
“personalizzare il manuale operativo delle procedure amministrative contabili” elaborato dalla Regione. Al termine di tale attività, ogni azienda
dovrà individuare, al proprio interno, una sorta di internal auditor che
avrà il compito di verificare l’effettiva applicazione delle procedure amministrative. Tale attività consentirà, da un lato, di rafforzare il sistema dei
controlli interni e, dall’altro, di migliorare gli standard procedurali delle
attività amministrativo contabili (Chamber 1981, B.K. 2001).
Accanto a tali attività, il servizio sanitario sta provvedendo a dotarsi di adeguate infrastrutture tecnologiche e informatiche integrate in
grado di rafforzare e facilitare l’attività di verifica dei dati contabili.
Il nuovo sistema sarà dotato, infatti, di un cruscotto regionale finalizzato non solo all’elaborazione del bilancio consolidato regionale, ma
anche al rafforzamento del sistema di controllo regionale sulla gestione delle aziende.
4. Il Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Il bilancio consolidato è il bilancio che espone la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico di un gruppo di imprese, considerate come un’unica entità, superando così le distinte personalità giuridiche delle imprese del gruppo. Si definisce gruppo un insieme di imprese delle quali una, la capogruppo, detiene il controllo sulle altre. L’elemento determinante nella configurazione di gruppo è, quindi, il controllo, sia questo esercitabile direttamente dalla controllante o indirettamente tramite sue imprese controllate, persone interposte o società finanziarie. Il bilancio consolidato è il documento che prevede l’aggregazione
dei valori corrispondenti alle attività, alle passività e ai componenti del
conto economico delle imprese, controllate direttamente e indirettamente
Azienda Pubblica 1.2016
108
Esperienze innovative
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
dalla controllante, in base al metodo del consolidamento integrale (OIC
12 e per un approfondimento Montrone 2011, Sotti 2009).
Con riferimento al Bilancio consolidato del SSR, si riportano di seguito i principali riferimenti normativi2:
– gli articoli 20, 21, 26, 27, 28, 29 e 32 del D.lgs. 118/11, che
disciplinano differenti aspetti connessi al bilancio consolidato del
SSR;
– le linee guida ai modelli SP e CE. Un ulteriore contributo per la
corretta rilevazione dei fatti aziendali in bilancio può essere rinvenuto nelle note esplicative e nelle linee guida che accompagnano
i nuovi Modelli CE e SP di cui al DM 15 giugno 2012;
– la casistica applicativa approvata con DM 17 settembre 2012,
che di seguito si riporta:
• casistica GSA - Documento n. 1 - La contabilità economico patrimoniale nella GSA;
• casistica GSA - Documento n. 2 - Il finanziamento sanitario ordinario corrente;
• casistica GSA - Documento n. 3 - Il finanziamento sanitario aggiuntivo corrente;
• casistica GSA - Documento n. 4 - Il finanziamento regionale del
disavanzo pregresso;
• casistica Aziende - Documento n. 1 - La sterilizzazione degli
ammortamenti.
La casistica applicativa, già approvata in sede di Conferenza dei Presidenti e in corso di approvazione:
– casistica Aziende - Documento n. 1 - La sterilizzazione degli ammortamenti (aggiornamento)3;
– casistica Aziende - Documento n. 2 - Le immobilizzazioni materiali;
– casistica Aziende - Documento n. 3 - Il patrimonio netto;
– casistica GSA - Documento n. 6 - La riconciliazione tra contabilità
finanziaria e contabilità economico-patrimoniale;
– casistica GSA - Documento n. 7 - Lo stato patrimoniale di apertura.
La casistica in corso di discussione:
casistica GSA - Documento n. 5 - Finanziamento degli Investimenti.
Prima dell’introduzione del D.lgs. 118/2011, infine, molte regioni
avevano emanato una serie di atti regionali (leggi, decreti, circolari, comunicazioni) in materia contabile, che si sono ripetuti anche successivamente all’entrata in vigore del predetto decreto. In tale contesto, secondo ASSIREVI (2014), il completamento del “Quadro di riferimento contabile” si realizza considerando, ove non in contrasto con il “Quadro di ri2 Per un maggiore approfondimento si veda il Documento n. 13 dell’ASSIREVI (2014).
3 La necessità di modificare e integrare la casistica applicativa allegata al DM 17 settembre
2012 e, in particolare, il Documento n. 1, avente ad oggetto “La sterilizzazione degli ammortamenti”, deriva dalle modifiche apportate all’articolo 29, comma 1, lettera b, del citato
D.lgs. 118/2011 ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
109
Azienda Pubblica 1.2016
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Esperienze innovative
ferimento generale” e con il “Quadro di riferimento specifico per Enti del
SSN”, quanto disposto dalle indicazioni di carattere regionale, nonché
dalle istruzioni del responsabile della GSA per il bilancio consolidato che,
unitamente, formano il “Quadro di riferimento specifico per Enti del SSR”.
Il bilancio d’esercizio consolidato, alla luce della citata normativa, è
redatto con riferimento all’anno solare. Si compone dello stato patrimoniale, del conto economico, del rendiconto finanziario e della nota integrativa ed è corredato da una relazione sulla gestione sottoscritta dal responsabile della GSA.
La nota integrativa deve contenere anche i modelli analitici CE ed SP
di cui al DM 15 giugno 2012, mentre la relazione sulla gestione deve
contenere anche il modello di rilevazione dei costi per livello assistenziale (modello LA).
Rispetto alla struttura prevista nel 2012 dal codice civile per le società, si introducono almeno tre elementi aggiuntivi che caratterizzano la
predisposizione del bilancio consolidato in sanità:
– il rendiconto finanziario4;
– i modelli analitici di Stato Patrimoniale e Conto economico (modelli SP e CE);
– il modello di rilevazione dei costi per livello essenziale di assistenza (modello LA).
Tali previsioni normative rispondono a esigenze conoscitive assolutamente condivisibili. Intendono, infatti, fornire informazioni in merito:
– alla gestione finanziaria del Servizio Sanitario Regionale, con l’evidenza delle fonti e degli impieghi al fine di verificare la consistenza e l’andamento dei flussi di cassa;
– alle attività infragruppo (segnate con la voce R nel modello CE e
nel modello SP);
– ai costi (standard), attraverso l’evidenza dei costi per singolo livello assistenziale.
Con riferimento al rendiconto finanziario, il legislatore nazionale, da
sempre molto attento alle dinamiche finanziarie in ambito sanitario, non
solo lo ha inserito quale documento di bilancio obbligatorio per gli enti
del SSR, già a partire dal 2012, ma ne ha stabilito anche lo schema obbligatorio, dando evidenza delle seguenti grandezze:
– il flusso di Capitale Circolante Netto da gestione corrente;
– il flusso di cassa generato dalle operazioni di natura reddituale;
– il flusso di cassa generato dalle attività di investimento e disinvestimento;
– il flusso di cassa generato dalle attività di finanziamento.
Quanto al modello LA, si tratta di una rappresentazione dei costi del
4 Con riferimento al rendiconto finanziario, il D.lgs. 139/2015 ha modificato l’art. 2423
del codice civile includendo tale documento come parte integrante e obbligatoria dei bilanci di esercizio (a partire dal 2016). In merito al contenuto e alle modalità di redazione di
tale rendiconto conserva piena validità il principio contabile OIC10, pubblicato nel 2014.
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110
Esperienze innovative
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
SSR per singolo livello assistenziale. Esso assicura una sostanziale coerenza tra i dati di contabilità analitica e quelli rilevati nel sistema di contabilità economico-patrimoniale sulla base delle metodiche di tipo full costing. Tale modello, utilizzato per la determinazione dei costi standard e
dei relativi fabbisogni, restituisce informazioni di tipo gestionale in merito all’utilizzo di fattori produttivi per singolo livello assistenziale.
4.1 Aspetti metodologici
Da un punto di vista metodologico e sulla base di quanto previsto dal
D.lgs. 118/2011 s.m.i., il sistema di consolidamento utilizzato in ambito sanitario potrebbe essere definito di tipo “integrale – aggregato”5. Da
un punto di vista concettuale, infatti, si procede come se si utilizzasse il
metodo integrale, con queste specificità ed eccezioni che trovano il loro presupposto negli indirizzi normativi e amministrativi ad oggi vigenti:
– si procede alla sola somma dei valori contabili risultanti dai bilanci d’esercizio aziendali;
– non essendo stato istituzionalizzato un sistema di partecipazioni,
il fondo di dotazione consolidato, ai sensi del comma 3 dell’art.
32 del D.lgs. 118/2011, è la somma dei fondi di dotazione delle singole aziende;
– si procede all’elisione totale delle partite infragruppo sul presupposto dell’assenza di utile infragruppo.
Nel bilancio consolidato non trova, pertanto, evidenza il valore effettivo del patrimonio aziendale. L’assenza poi di un sistema di partecipazioni e l’elisione totale delle partite infragruppo attribuisce allo strumento un significato peculiare che risponde ad esigenze più di tipo finanziario che di tipo economico. Se è vero, infatti, che il consolidato del SSR è
uno strumento finalizzato all’analisi della spesa dell’unico soggetto economico “SSR”, esso, in virtù di quanto previsto in particolare dall’art. 20
del D.lgs. 118/2011 s.m.i., risponde anche a un’altra finalità, più di tipo
finanziario. Una delle caratteristiche principali del consolidato, così come previsto dal D.lgs. 118 è, infatti, la sua funzione di raccordo tra contabilità finanziaria regionale e contabilità economico patrimoniale delle
5 La redazione del bilancio consolidato comporta la scelta del metodo di consolidamento e
la necessità di individuare il trattamento delle interessenze di terzi al patrimonio netto ed al
risultato di esercizio, tanto in termini di valore quanto in termini di rappresentazione. I principali metodi di consolidamento, nella disciplina nazionale e secondo i principi internazionali,
sono il metodo integrale, il metodo proporzionale ed il criterio del patrimonio netto. Le metodologie di consolidamento sono funzione della teoria prescelta a base della redazione del bilancio consolidato. Nella prassi internazionale si riscontrano due impostazioni (Catuogno e
Mauro 2009): l’ottica dell’unità finanziaria (il gruppo è un investimento finanziario della capogruppo e contano solo gli azionisti di maggioranza); l’ottica dell’unità operativa (il gruppo è una entità economica più ampia). All’ottica dell’unità finanziaria corrispondono la Teoria della proprietà e la Teoria della Capogruppo. All’ottica dell’unità operativa corrisponde
la Teoria dell’entità economica. In Italia, il D.lgs. 127/1991 prevede poi che, per tutte le società incluse nell’area di consolidamento, si adotti il metodo di consolidamento integrale ossia, tecnicamente, che il consolidamento delle voci di bilancio avvenga, in ogni caso, per il
loro importo complessivo, sia quando la controllante detenga tutto il capitale, sia quando detenga una quota di partecipazione inferiore al 100%.
111
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aziende del SSR. Più specificamente, il bilancio consolidato, così come è
concepito, deve dare evidenza della quadratura con la Co.Fi. Tale considerazione trova un suo effettivo riscontro anche nelle verifiche effettuate dal tavolo di monitoraggio degli adempimenti: un debito della GSA
verso le aziende del SSR è confermato se esiste, nella contabilità finanziaria regionale, l’impegno e il relativo residuo passivo; un credito della GSA verso lo Stato o verso la gestione “non sanitaria” della Regione
è rilevato se esiste, nella contabilità finanziaria regionale, l’accertamento e il relativo residuo attivo.
L’idea sottostante è, infatti, quella di comprendere in che termini la contabilità finanziaria della Regione sia rappresentativa dell’effettiva situazione finanziaria del SSR ovvero, viceversa, quella di capire in che modo la
situazione debitoria o creditoria delle aziende sanitarie nei confronti della Regione sia allineata a quella rappresentata in contabilità finanziaria.
Le domande sottese al processo di allineamento tra contabilità finanziaria
e contabilità economico patrimoniale possono essere così rappresentate:
– I crediti delle aziende del SSR sono coperti da specifici impegni
presenti sul bilancio regionale?
– I crediti del SSR verso lo Stato sono coerenti con le iscrizioni del
bilancio statale?
– La perdita consolidata, laddove evidenziata, è coperta da risorse
rinvenienti dal bilancio regionale?
Al riguardo, l’art. 20 del D.lgs. 118 individua quattro aree di raccordo tra la contabilità economico patrimoniale e quella finanziaria, come
rappresentato in Tabella 2.
Tabella 2. Allineamento COFI - COGE
Entrate
Uscite
Ricavi
Crediti
Finanziamento sanitario
ordinario corrente, quale
derivante dalle fonti di finanziamento definite nell’atto
formale di determinazione
del fabbisogno sanitario
regionale standard e di
individuazione delle relative
fonti di finanziamento intercettate dall’ente regionale, ivi
compresa la mobilità attiva
programmata per l’esercizio.
Spesa sanitaria
corrente per il finanziamento dei
LEA, ivi compresa
la mobilità passiva programmata
per l’esercizio e il
pay back.
Contributi da
Regione o Prov.
Aut. per quota
F.S. regionale
indistinto.
Contributi da
Regione o Prov.
Aut. per quota
F.S. regionale
vincolato.
Pay-back per
superamento del
tetto della spesa
farmaceutica
territoriale.
Pay-back per
superamento del
tetto della spesa
farmaceutica
ospedaliera.
Crediti verso
Regione, Stato e
Diversi (aziende
farmaceutiche)
per finanziamento corrente
- segue Azienda Pubblica 1.2016
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Entrate
Uscite
Ricavi
Finanziamento sanitario
aggiuntivo corrente, quale derivante dagli eventuali
atti regionali di incremento
di aliquote fiscali per il
finanziamento della sanità
regionale, dagli automatismi
fiscali intervenuti ai sensi
della vigente legislazione
in materia di copertura dei
disavanzi sanitari, da altri
atti di finanziamento regionale aggiuntivo, ivi compresi
quelli di erogazione dei
livelli di assistenza superiori
rispetto ai LEA, da pay back
e da iscrizione volontaria al
Servizio sanitario nazionale
Spesa sanitaria
aggiuntiva per
il finanziamento
di livelli di assistenza sanitaria
superiori ai LEA.
Contributi da
regione (extra
fondo) – Risorse
aggiuntive da
bilancio regionale a titolo di
copertura LEA.
Contributi da
regione (extra
fondo) – Risorse
aggiuntive da bilancio regionale
a titolo di copertura extra LEA
Contributi da
regione (extra
fondo) – altro
Crediti
Finanziamento regionale del disavanzo sanitario pregresso
Spesa sanitaria
per il finanziamento di disavanzo sanitario
pregresso
Crediti verso
Regione per
versamenti a
patrimonio netto
(*)
Finanziamento per investimenti in ambito sanitario,
con separata evidenza
degli interventi per l’edilizia
sanitaria finanziati ai sensi
dell’articolo 20, legge n. 67
del 1988
Spesa per investimenti in ambito
sanitario, con separata evidenza
degli interventi
per l’edilizia sanitaria finanziati ai
sensi dell’articolo
20 della legge n.
67 del 1988
Crediti verso
Regione per
versamenti a
patrimonio netto
(*)
Crediti verso
Regione per
finanziamento
corrente (*)
(*) Tali finanziamenti sono rilevati nel bilancio regionale tramite un apposito sistema di partite di giro.
La tabella riporta i principali collegamenti che il consolidato assicura. Per ciascuna area deve essere assicurata la riconciliazione tra accertamenti e impegni, tra accertamenti, ricavi e crediti, tra impegni, costi e debiti.
A titolo esemplificativo, il fondo sanitario deve essere totalmente accertato e impegnato. Alla presenza di eventuali residui attivi (somme accertate, ma non incassate) rilevati in contabilità finanziaria, a valere sui
capitoli in entrata del Fondo sanitario, devono corrispondere Crediti verso lo Stato (in caso di compartecipazione IVA) nello Stato Patrimoniale
consolidato. Viceversa, a eventuali residui passivi (somme impegnate,
ma non erogate) a valere sui capitoli in uscita del Fondo Sanitario devono corrispondere Debiti verso le Aziende (in assenza della GSA) rilevati
nello Stato Patrimoniale consolidato.
In definitiva, si crea un collegamento sostanziale tra le contabilità
113
Azienda Pubblica 1.2016
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Esperienze innovative
aziendali di tipo economico patrimoniale e quella regionale di tipo finanziario. Il bilancio consolidato diventa, così, il ponte attraverso il quale il sistema si integra e diventa maggiormente intellegibile ai diversi portatori di interesse.
Tale sistema persegue una finalità gestionale ancora più rilevante,
ovvero assicura che i rapporti di credito e debito tra aziende del SSR
e Regione trovino riscontro e copertura finanziaria. Ma, ancor di più,
esso costituisce un ponte ideale non solo tra Regione e azienda, ma tra
Regione e Stato. Lo stesso meccanismo di allineamento dovrebbe infatti essere assicurato, mediante idonee procedure di circolarizzazione
ad oggi assenti, anche nei rapporti di credito e debito tra Stato e singola Regione.
In merito agli aspetti sostanziali e concettuali restano da approfondire alcune tematiche applicative, con particolare riferimento a:
– Finanziamenti in conto capitale con orizzonte temporale pluriennale e in particolare superiore a tre anni;
– Gestione dei residui perenti;
– Debiti della Regione verso le aziende sanitarie che maturano al
31 dicembre, ma sono quantificati e rendicontati l’anno successivo.
Con riferimento al primo punto, è fondamentale assicurare una sostanziale coerenza tra cronoprogramma degli investimenti e impegni pluriennali sui bilanci di previsione. Tale corrispondenza non è sempre possibile, atteso che, generalmente, i bilanci regionali operano su un orizzonte temporale triennale, a differenza di alcuni investimenti strutturali che si
sviluppano in un arco temporale più ampio.
In merito al secondo punto, la corretta applicazione dell’art. 20 del
D.lgs. 118/11 s.m.i. presuppone un sostanziale decadimento dell’istituto
della perenzione. Nel caso contrario, si potrebbero verificare le seguenti situazioni, che sarebbero in contrasto con quanto previsto dall’art. 20:
Accertamenti cui non corrispondono impegni (in quanto divenuti perenti).
Debiti verso le aziende del SSR senza i corrispondenti residui passivi
(in quanto divenuti perenti).
Con riferimento al terzo punto, infine, si rende necessaria un’integrazione dei principi di rilevazione, in quanto il credito diventa certo nel suo an e quantum solo nell’anno successivo. Tale partita potrebbe essere gestita tramite dei Fondi da distribuire all’interno dei fondi
rischi e oneri.
Alla luce di queste considerazioni, si evince che si tratta a tutti gli
effetti di un aggregato più che di un bilancio consolidato e che lo scopo precipuo del documento non è tanto valorizzare gli aspetti economici, patrimoniali e finanziari del “gruppo”, e quindi del soggetto economico “SSR”, quanto assicurare una perfetta tracciabilità delle risorse finanziarie.
Azienda Pubblica 1.2016
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Figura 2. Il Consolidato quale strumento di raccordo tra Stato-Regione- Aziende
e tra COFI e COGE
•  Aziende
delSSR
•  Regione
COEP
COFI
COFI
COEP
•  Stato
•  Ges%one
Sanitaria
In merito all’area di consolidamento, l’art. 32 del D.lgs. 118/2011
s.m.i. stabilisce che l’area di consolidamento comprende tutti gli enti di cui
alle lettere b), punto i), e c) del comma 2 dell’articolo 19 ed esclude soggetti eventualmente partecipati da questi ultimi. Il patrimonio netto consolidato è determinato dalla somma dei valori di patrimonio netto degli enti
consolidati. Con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui
all’articolo 36, comma 2, sono definite le modalità di sperimentazione riguardanti la previsione di un ulteriore bilancio consolidato, che comprenda i soggetti controllati dagli enti di cui all’articolo 19, comma 2, lettere b),
punto i), e c). Pertanto, gli enti rientranti nell’area di consolidamento sono:
– la GSA per la parte del finanziamento del SSR direttamente gestito dalla regione, rilevata attraverso scritture di contabilità economico-patrimoniale;
– le aziende sanitarie locali; aziende ospedaliere; istituti di ricovero
e cura a carattere scientifico pubblici, anche se trasformati in fondazioni; aziende ospedaliere universitarie integrate con il Servizio sanitario nazionale.
Il legislatore esclude quindi i seguenti soggetti:
– gli istituti zooprofilattici di cui al decreto legislativo 30 giugno
1993, n. 270;
– le gestioni liquidatorie (laddove presenti e attive);
– le Agenzie di protezione ambientale;
– eventuali partecipate delle aziende sanitarie.
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Azienda Pubblica 1.2016
La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
Esperienze innovative
Anche questo approccio è peculiare e costituisce una specificità del
consolidato del SSR. Il focus non è, ancora una volta, l’attività economica
di tutti gli operatori collegati e controllati dal SSR, ma esclusivamente le
aziende sanitarie. Non si analizza l’attività economica nel suo complesso, ma ci si limita alla sola sommatoria dei valori contabili delle aziende, senza dare evidenza delle gestioni connesse al SSR, sebbene queste,
come noto, finiscano spesso, indirettamente, per avere un impatto sul bilancio delle aziende e della Regione.
4.2 Aspetti valutativi
Da un punto di vista valutativo, sono ancora molte le questioni che restano aperte e su cui sarebbe opportuno un intervento chiarificatore del
legislatore. Su tali questioni, il comportamento contabile che si è consolidato in questi anni è frutto soprattutto delle interpretazioni emerse in sede di verifica degli adempimenti6.
Nello specifico, si riportano alcune delle questioni aperte:
– fondo da distribuire e contabilizzazione del pay back;
– ferie maturate e non godute;
– elisione delle partite infragruppo (assenza di utile);
– rilevazioni nel caso di assenza della GSA;
– impegni pluriennali che eccedono il periodo triennale.
Con riferimento al primo punto, andrebbero chiarite le scritture da
effettuare nel caso in cui non sia possibile avere informazioni in merito
all’assegnazione entro la data di chiusura del bilancio, oppure nel caso
in cui le risorse finanziarie siano trasferite nel mese di dicembre e quindi
non risulti più possibile procedere alle necessarie variazioni nel bilancio
finanziario della regione. Un caso tipico è la gestione delle risorse rinvenienti da pay back. Al riguardo, una possibile soluzione è rappresentata dall’utilizzo dei conti rientranti nella voce “fondi da distribuire”. Se
lo scopo è quello di fornire un quadro veritiero e corretto della situazione economica, patrimoniale e finanziaria, sarebbe opportuno dare evidenza in bilancio delle somme incassate, ma non ancora assegnate alle
aziende. L’utilizzo della GSA come contabilità di appoggio non convince perché si potrebbe avere l’effetto ultimo di trasformare partite di natura corrente in partite di natura patrimoniale finalizzate alla copertura
delle perdite. Si pensi, a titolo esemplificativo, al seguente caso: la GSA
rileva un finanziamento che non assegna nell’anno di competenza alle
aziende; rileva così un utile, che può utilizzare l’anno successivo per la
copertura delle perdite pregresse delle aziende stesse.
In merito al mancato accantonamento delle ferie maturate e non godute, le regioni fanno riferimento al parere prot. 9555 del 3 aprile 2014
del Ministero della Salute, in ragione di quanto disposto dall’art. 5 com6 Il tavolo adempimenti è previsto dall’Intesa Stato Regioni del 23.03.2005 e ad esso spetta
la verifica del rispetto dell’equilibrio economico ai fini dell’attuazione della procedura di cui
all’art. 1, comma 174 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 s.m.i.
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La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
ma 8 del DL 95/2012 circa l’impossibilità di monetizzare tali ferie. Si ritiene, comunque, che, trattandosi di comportamenti non conformi a quelli previsti dai principi contabili, sarebbe opportuno un intervento chiarificatore nella casistica applicativa.
Medesimo discorso vale per l’elisione delle partite infragruppo, richiesta in sede di verifica degli adempimenti. Le regioni provvedono, infatti,
alla quadratura dei costi e ricavi infragruppo nel presupposto di assenza di utili infragruppo non realizzati.
In merito alla scelta di non attivare la GSA, tale opzione non trova
a oggi riscontro nella casistica applicativa. Non attivare la GSA significa trasferire per intero il Fondo Sanitario Regionale alle aziende. Occorrerebbe disciplinare tale fattispecie, anche nella considerazione del fatto che essa rappresenta una possibile situazione, in quanto le risorse assegnate per i Livelli Essenziali di Assistenza dovrebbero essere trasferite per intero agli enti cui spetta l’erogazione delle prestazioni sanitarie.
Quanto agli impegni pluriennali, il D.lgs. 118, al titolo I, prevede il
principio di competenza finanziaria rafforzata per il bilancio regionale
e la sua gestione, mentre impone, al titolo II, l’assunzione dell’impegno
per l’intero ammontare e indipendentemente dall’esborso monetario per
le risorse rientranti nel perimetro sanità e assegnate alle aziende. Si rendono necessarie, a riguardo, norme chiarificatrici con particolare riferimento agli investimenti. Occorre, infatti, definire come assicurare l’allineamento contabile tra impegni e debiti verso le aziende per investimenti con piano finanziario di lunga durata. La possibilità dell’impegno pluriennale sembra fornire una prima risposta, a condizione che l’orizzonte
temporale non sia solo triennale, come invece accade oggi. Ciò per assicurare la coerenza tra il cronoprogramma finanziario dell’investimento e gli impegni pluriennali.
4.3 Aspetti gestionali
In merito agli aspetti gestionali, è opportuno fare qualche considerazione su alcuni elementi di immediato impatto operativo:
– gestione del “perimetro sanitario” e degli accertamenti;
– apertura dei conti al 01.01.2012;
– circolarizzazione dei crediti e debiti verso lo Stato;
– gestione delle partite infragruppo.
La corretta manutenzione del “perimetro sanitario” è condizione fondamentale per assicurare la corretta contabilizzazione delle assegnazioni ministeriali e regionali e per garantire il perfetto allineamento tra la
contabilità finanziaria regionale e quella aziendale. Nel bilancio regionale, l’utilizzo di partite di giro che colleghino i capitoli extra-perimetro
con quelli rientranti nel perimetro rappresenta uno strumento necessario
per assicurare l’allineamento delle risorse regionali destinate al SSR (Extra Lea, Disavanzo, Investimenti).
Un elemento qualificante è sicuramente l’apertura dei conti effettuata al
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La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
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1° gennaio 2012. La corretta ricostruzione impone, infatti, una verifica puntuale dei seguenti aspetti: (a) avanzo vincolato derivante da somme accertate su capitoli trasferiti al perimetro sanità; (b) somme accertate, incassate, ma mai impegnate, oppure impegnate, ma mai assegnate alle aziende;
(c) residui perenti e loro effettiva sussistenza; (d) crediti vantati dalla GSA
verso la Regione e lo Stato e loro effettiva sussistenza. Con riferimento al
punto b), è necessario attivare un percorso di confronto con le aziende al
fine di verificare la corrispondenza tra impegni assunti e progetti o acquisti
in c/capitale ancora in corso, al fine di monitorare la natura delle somme
residue. In merito al punto d), di fondamentale importanza è l’implementazione di un sistema che, sulla base degli standard previsti per la revisione
contabile, definisca idonee procedure di circolarizzazione dei crediti verso lo Stato. Ad oggi, come detto, mancano comunicazioni Stato-Regioni finalizzate a definire con chiarezza eventuali rapporti di credito e debito.
Un ultimo aspetto riguarda la tempistica di approvazione dei bilanci.
Secondo l’attuale normativa, le aziende sanitarie devono adottare il bilancio d’esercizio entro il 30 aprile e la Giunta regionale deve approvarli entro il 31 maggio, con l’approvazione del bilancio consolidato entro
il 30 giugno. Tale previsione presuppone che i bilanci d’esercizio, corredati del parere del Collegio sindacale, pervengano alla Giunta Regionale entro il 30 aprile e che le operazioni di consolidamento si svolgano solo dopo l’approvazione dei bilanci d’esercizio aziendali e nell’arco
massimo di un mese. Oltre a significare che sarebbe opportuno prevedere tempi più elevati (di un mese) per la conclusione di tutte le operazioni
di consolidamento, anche in considerazione della peculiarità del settore
sanitario7, occorre evidenziare che la normativa non disciplina cosa succede nel caso di mancata approvazione dei bilanci aziendali nei termini previsti o di richiesta di integrazione, demandando di fatto alle sole
norme del codice civile la disciplina di alcune fattispecie.
5. La revisione del Bilancio Consolidato del SSR. Una possibile
soluzione di transizione
Oltre alla soluzione delle problematiche metodologiche, valutative e gestionali nella redazione del bilancio consolidato sopra presentate, l’assoggettamento del consolidato al processo di revisione contabile richiede la definizione dell’oggetto di analisi da parte del revisore Occorre,
infatti, chiarire se le procedure di revisione contabile del consolidato del
SSR debbano essere limitate al perimetro sanitario o riguardare anche il
bilancio regionale per quelle partite che fungono da ponte (partite di giro) tra il conto ordinario e il conto sanità.
L’attività non può che essere integrata e il compito del revisore, così
come quello del responsabile della GSA, deve essere la ricerca dell’evi7 Si pensi a riguardo alla gestione e alla validazione dei flussi standard di mobilità o alle
operazioni di ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale.
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denza documentale. Per tale ragione, una delle attività più complesse in
capo al revisore è appunto quella concernente la verifica congiunta delle partite che operano “a cavallo” tra il conto ordinario della regione e
quello dedicato alla sanità, come previsto dall’art. 19 del D.lgs. 118/11
s.m.i. È del tutto evidente che l’area di analisi si allarga coinvolgendo in
modo indiretto anche il bilancio regionale.
Dopo aver chiarito il perimetro di riferimento e alla luce delle considerazioni riportate nei paragrafi precedenti, va sottolineato che l’assenza
di un quadro di riferimento chiarificatore in materia di principi e casistica
specifica per la redazione del bilancio consolidato del SSR pone una serie
di questioni in termini di riferimenti (standard) da utilizzare anche in materia di revisione. Le scelte operate anche in sede di verifica degli adempimenti dovrebbero essere, infatti, formalizzate al fine di rendere strutturale e istituzionale il quadro di riferimento all’interno del quale operare.
In tale contesto, in attesa che siano approvati i decreti attuativi inerenti la casistica, con particolare riferimento alle procedure di consolidamento, un’opzione possibile potrebbe essere la scelta dello standard ISA
8008. Il principio 800 riporta le speciali considerazioni relative all’applicazione degli ISA stessi nella revisione di bilanci predisposti in accordo
a “scopi di carattere speciale” (Special purpose framework) in rapporto
alle circostanze dello specifico incarico. Il principio di revisione fa riferimento a un bilancio redatto in conformità a un quadro normativo sull’informazione finanziaria con scopi specifici. In altri termini, si applica con
riferimento a una struttura di “reporting finanziario” disegnata per predisporre e fornire le informazioni necessarie a specifici utilizzatori. Tale
principio di revisione non prevale sulle regole contenute negli altri principi di revisione, né ha la pretesa di trattare tutte le considerazioni specifiche che possono essere pertinenti nelle circostanze dell’incarico.
Le motivazioni per cui si ritiene opportuno far riferimento a uno “special purpose framework” nel Servizio Sanitario possono essere così sinteticamente riportate:
– normative e strutture sono diverse da quelle richieste dalla normativa civilistica per la redazione del bilancio consolidato;
– il quadro di riferimento in materia di principi di rilevazione dei fatti gestionali si basa, in taluni casi, su indicazioni normative (o circolari) in contrasto con i principi civilistici (contabilizzazione della mobilità interregionale, ammortamento delle immobilizzazioni
acquisite senza fonti di finanziamento dedicate, ferie maturate e
non godute etc.);
8 I principi di revisione della serie 100-700 si applicano alla revisione contabile del bilancio. Il principio di revisione 800 tratta delle considerazioni specifiche riguardanti l’applicazione di tali principi alla revisione contabile di un bilancio redatto in conformità ad un quadro normativo sull’informazione finanziaria con scopi specifici. Per un approfondimento si veda il Principio di revisione internazionale (ISA) N. 800 Considerazioni specifiche – revisione contabile di un Bilancio redatto in conformità ad un quadro normativo sull’informazione finanziaria con scopi specifici.
119
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La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
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– manca una casistica esaustiva in materia di consolidamento dei
conti.
Solo chiarendo in premessa il quadro di riferimento utilizzato e lo scopo del documento, è possibile fornire una indicazione chiara ed esaustiva in merito agli esiti dell’attività di revisione. In caso contrario, sotto il
profilo sia dell’analisi degli esiti sia della responsabilità civile9 in capo
alla società di revisione, si aprirebbero scenari complessi e poco chiari.
In merito alla corretta applicazione del citato principio, si riportano
di seguito in sintesi alcune considerazioni.
In prima istanza, occorre tener presente che l’ISA 210 richiede che
il revisore stabilisca l’accettabilità del framework di reporting finanziario applicato nella redazione del bilancio oggetto di revisione. Nella revisione di un bilancio redatto per “scopi di carattere speciale”, il revisore deve pertanto ottenere le informazioni in merito allo scopo per cui il
bilancio è redatto, nonché agli utilizzatori e alle basi sulle quali è stato
determinato il framework” di riferimento.
L’ISA 200 richiede, poi, che il revisore svolga il lavoro in conformità
con tutti gli altri principi di revisione. Nella pianificazione e nell’esecuzione della revisione di un bilancio redatto per “scopi di carattere speciale”, il revisore deve, pertanto, valutare, in ragione delle informazioni
disponibili e delle circostanze dell’incarico, se l’applicazione degli ISA
richieda speciali considerazioni.
Per l’emissione della propria relazione e l’espressione del giudizio su
bilanci redatti per “scopi di carattere speciale”, il revisore deve comunque applicare i requirement dell’ISA 700 e valutare se il bilancio faccia adeguato riferimento o descriva il framework di reporting finanziario
adottato. Nel caso di emissione della relazione ed espressione del giudizio su bilanci redatti per “scopi di carattere speciale”, la relazione di revisione deve descrivere lo scopo per cui il bilancio è redatto e, se necessario, indicare i previsti utilizzatori. Laddove la direzione può scegliere
il framework di reporting finanziario da adottare, il paragrafo sulle “responsabilità della direzione” deve far riferimento alla responsabilità nello stabilire che il framework adottato sia applicabile.
La relazione di revisione su bilanci redatti per “scopi di carattere speciale” deve infine includere un paragrafo di “richiamo di informativa”
che avverta gli utilizzatori che il bilancio è stato redatto in base a un framework di reporting finanziario per “scopi di carattere speciale” e che
pertanto il bilancio potrebbe non essere adeguato per scopi diversi.
6. Conclusioni
Il percorso in merito alla revisione contabile del bilancio consolidato del
SSR è ancora all’inizio. Tuttavia, appare urgente e necessario stabilire
con chiarezza il quadro di riferimento sulla cui base impostare le opera9 A riguarda si rimanda al contributo di Sangiovanni (2010).
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zioni finalizzate a creare i presupposti per la revisione dello stesso (certificabilità).
Lo studio del caso lucano ha consentito di evidenziare una serie di
problematiche metodologiche, valutative e gestionali. Esse mostrano l’urgenza di procedere con l’approvazione della casistica di riferimento al
fine di tenere in considerazione alcuni aspetti molto delicati come la rilevazione del pay back, delle ferie maturate e non godute, etc. La casistica deve essere, inoltre, strutturata in modo da prendere in considerazione anche il caso di non attivazione della GSA10.
Si ritiene, inoltre, opportuno un intervento normativo che modifichi
la tempistica di approvazione dei bilanci d’esercizio aziendali e del
bilancio consolidato, al fine di renderla più coerente con la complessità delle operazioni di consolidamento da porre in essere. Un tema delicato è poi la circolarizzazione dei crediti verso lo Stato. Al fine di assicurare una corretta rilevazione delle partire aperte tra Stato e regioni, in particolare, occorre attivare una procedura di conferma dei crediti vantati dalle regioni nei confronti dei competenti ministeri. Criticità
si rilevano anche in merito all’area di consolidamento e alla metodologia di consolidamento. Sarebbe, infine, opportuna una maggiore valorizzazione dello strumento anche in termini più gestionali, con riferimento, ad esempio, al bilancio consolidato preventivo del SSR quale
strumento effettivo di pianificazione e programmazione. Pur non avendo natura autorizzatoria, tale strumento ha sicuramente una valenza di
tipo programmatico per il SSR, con notevoli impatti sul bilancio di previsione regionale (ad esempio, laddove si evidenzi una perdita prospettica, occorre assicurarne la copertura già in sede di approvazione del
bilancio di previsione regionale).
Uno degli aspetti più delicati è rappresentato dal rapporto tra collegio sindacale (organo aziendale di controllo) e soggetto deputato
alla revisione contabile (Lumeridi 2013). In generale, i sindaci hanno
il compito di verifica dell’amministrazione dell’Azienda sotto il profilo
economico, di vigilanza sull’osservanza della legge, di accertamento
della regolare tenuta della contabilità e di garanzia di conformità del
bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili, anche mediante l’effettuazione periodica di verifiche di cassa. Il collegio riferisce alla Regione sui risultati del riscontro eseguito, denunciando immediatamente i fatti se vi è fondato sospetto di gravi irregolarità. Il collegio può procedere a ispezioni e controlli e richiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni aziendali e su determinati
affari. Il revisore, invece, è un professionista (o una società) che svolge un incarico professionale in relazione al bilancio di esercizio e/o
al bilancio consolidato.
Pertanto, la responsabilità del revisore è limitata al bilancio. Inoltre,
10 Si precisa a riguardo che solo due regioni ad oggi non hanno attivato la GSA.
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La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
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il revisore interviene in un secondo tempo, mentre il collegio sindacale
partecipa alla vita della società. In linea generale, la responsabilità del
collegio sindacale è quindi più ampia, in quanto riferita all’intera attività
aziendale. Tuttavia, in materia di bilancio, la responsabilità del revisore dovrebbe essere più diretta e specifica. Il controllo del collegio sindacale è sempre di legittimità sostanziale e di rispetto delle procedure e/o
prassi operative. Questo consente al collegio interventi preventivi o sostitutivi esclusivamente nel caso in cui le conseguenze delle delibere appaiano pregiudizievoli per l’azienda sanitaria.
Infine, è opportuno segnalare che per sindaci e revisori, esiste l’obbligo di reciproco e tempestivo scambio di informazioni, sancito dall’articolo 2409-septies del Codice civile. Per esempio, se il revisore rileva che
alcune operazioni non sono state contabilizzate correttamente, deve informare il collegio sindacale, in quanto la verifica del bilancio è un compito che la legge affida al soggetto incaricato della revisione11.
Una volta chiariti gli aspetti metodologici e valutativi relativi alla redazione del bilancio consolidato del SSR, è pertanto urgente intervenire
sull’assetto istituzionale, per meglio definire la struttura e la governance
dei controlli. Tale intervento normativo dovrebbe essere teso a individuare, anche in ambito sanitario e con maggior dettaglio, compiti e responsabilità di ciascun soggetto deputato al controllo contabile, con particolare riferimento al rapporto tra revisore legale e collegio sindacale. In
merito a tale aspetto, l’esperienza della Regione Basilicata ha consentito
di evidenziare che una possibile sinergia tra i diversi soggetti deputati al
controllo, strutturata anche attraverso la possibilità di interlocuzioni (formali e non) periodiche e lo scambio continuo di informazioni, innalza il
livello qualitativo complessivo dei sistemi di controllo.
Nonostante le criticità sopra riportate, è evidente che la riforma contabile ha affrontato alcuni aspetti molto delicati, innescando un processo
di armonizzazione finalizzato ad assicurare una maggiore intelligibilità
e confrontabilità dei dati contabili in materia sanitaria. La confrontabilità dei bilanci consolidati regionali, anche in un’ottica di federalismo e
di costi standard, è presupposto imprescindibile per qualsiasi attività di
verifica e di ulteriore consolidamento (ad esempio del SSN). Inoltre, il sistema è riuscito, seppur con alcuni limiti, a creare un ponte “ideale” tra
due diversi mondi, quello della contabilità finanziaria e quello economico patrimoniale. Un ponte in grado di rendere comprensibili le operazioni di gestione sotto il profilo economico, finanziario e patrimoniale, indipendentemente dal sistema di rilevazione.
Resta, infine, aperto il problema connesso al doppio “binario” che
caratterizza la contabilità finanziaria regionale. Il bilancio della regione rileva i fatti gestionali sulla base del principio della competenza finanziaria potenziata, ad eccezione però dei capitoli afferenti al peri11 Sull’argomento si rimanda ai contributi di Di Lorenzo (2013).
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La Revisione del Bilancio Consolidato del Servizio Sanitario Regionale
metro sanitario, per i quali è richiesta l’applicazione del principio della competenza finanziaria “tradizionale” e la verifica della copertura
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Fonti di approfondimento
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dutch hospital care: Bringing together
the managerial and professional perspectives” 18(3): 417-436.
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the Greek Show Caves”, 29(2): 248-277.
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Alessandra Allini, Francesca Manes Rossi and K haled H ussainey (2016), “The
board’s role in risk disclosure: an exploratory study of Italian listed state-owned enterprises”, 36(2): 113-120.
Caroline Aggestam Pontoppidan and Isabel
Brusca (2016), “The first steps towards
harmonizing public sector accounting for
European Union member states: strategies
and perspectives”, (36(3): 181-188.
Francesca Manes Rossi, Sandra Cohen,
Eugenio Caperchione and Isabel Brusca
(2016), “Harmonizing public sector accounting in Europe: thinking out of the
box”, 36(3): 189-196.
Note per gli autori
Condizioni essenziali per la considerazione dei manoscritti, l’ammissione al referaggio e la pubblicazione
La pubblicazione di contributi su Azienda Pubblica avviene sulla base della seguente procedura:
1. I contributi, della lunghezza indicativa di 40.000 battute, devono essere inviati alla Segreteria in
formato word completo di tabelle, figure, note, bibliografia e rispondenti alle norme redazionali. È
richiesta l’indicazione di un autore di riferimento, al quale saranno trasmesse tutte le comunicazioni successive.
2. I contributi sono sottoposti al vaglio del Comitato di redazione che, accertatane la conformità con
lo scopo della rivista e i requisiti richiesti, li invia, assieme alla scheda di referaggio (vedi allegato), in
forma anonima a due dei referee ufficiali della Rivista e contestualmente richiede l’impegno da parte
degli Autori stessi a non proporre il contributo per altre pubblicazioni per la durata di tutto il processo di valutazione.
3. Le osservazioni dei referee vengono inviate in forma anonima agli Autori con la richiesta delle revisioni indicate.
4. La nuova stesura, con lettera degli Autori ai referee in cui si precisino l’entità e le ragioni delle modifiche operate, viene valutata dal Direttore (Editor) Scientifico e, in caso di dubbi residui, sottoposta agli
stessi referee iniziali per un giudizio definitivo (o eventuale richiesta di ulteriore modifica).
5. Ottenuta la valutazione definitiva, l’articolo viene accettato per la pubblicazione con la richiesta
agli Autori di predisporre un abstract e parole chiave in italiano, inglese e francese (per l’inserimento
in un database di EGPA European Group of Public Administration).
L’abstract in inglese deve essere redatto in due versioni: una breve (non più di 200 parole) e una più
estesa, utile per l’indicizzazione della rivista sui motori di ricerca internazionali. La versione estesa
deve avere una lunghezza compresa tra le 400 e le 600 parole e una struttura organizzata nelle seguenti sezioni: title, purpose, methodology, findings, relevance and implications for research and policy/practice
Non saranno considerati ed ammessi al referaggio i contributi che non rispettano le seguenti condizioni:
1) i manoscritti sottoposti ad Azienda Pubblica non devono essere già stati pubblicati o essere stati
presentati per la considerazione presso altre riviste;
2) i manoscritti devono rispettare gli standard di struttura, abstract, note, tabelle, riferimenti bibliografici precisati di seguito.
Gli autori sono invitati a rispettare le richieste relative alla forma e allo stile per minimizzare ritardi e
necessità di revisione. Inoltre, deve essere evitato ogni riferimento che possa consentire un loro riconoscimento diretto o indiretto ed assicurare così un corretto processo di referaggio.
Invio dei contributi
I contributi devono essere presentati alla rivista presso:
Redazione Azienda Pubblica
Istituto di Pubblica Amministrazione e sanità,
Università L. Bocconi, IPAS - Via Röntgen, 1 – 20136 Milano
e-mail: [email protected]
Formato e stile: carattere: arial 12 - margini: 3x3x3x3
La prima pagina deve indicare 1) il titolo 2) i nomi degli autori, 3) i loro titoli e le istituzioni di appartenenza, 4) l’indicazione dell’autore che curerà la corrispondenza e il suo indirizzo completo, 5) eventuali ringraziamenti.
La seconda pagina deve contenere 1) il titolo (italiano/inglese), 2) l’abstract in italiano, in inglese e
francese (massimo 10 righe), 3) le parole chiave in italiano, inglese e francese (fino ad un massimo di
tre) e 4) il Sommario.
Nella terza pagina dopo la ripetizione del titolo, dovrebbe iniziare l’articolo.
La struttura del testo si articola in: Titolo del testo, Titoli numerati di Paragrafi (es. 1. Introduzione). Non
è prevista un’articolazione in sottoparagrafi (es. 1.1, 1.2, ecc.).
Sono invece ammessi “sottotitoli” in corsivo non numerati.
Si richiede il sommario iniziale.
Note per gli autori
Lunghezza
Il contributo si intende di circa 40.000 caratteri (conteggio parole di word)
I contributi che si discostano in maniera significativa da questi standard non saranno ammessi al referaggio.
Note
Le note si intendono a pie’ di pagina e devono essere identificate da un numero cardinale.
Il numero delle note e la lunghezza di ciascuna nota devono essere ridotti al minimo indispensabile in
modo da favorire la snellezza del testo.
Si consiglia di non inserire nelle note citazioni o riferimenti bibliografici.
È responsabilità dell’autore adeguare l’assetto delle note agli standard della rivista.
Tabelle e figure
Figure e tabelle devono essere numerate e avere didascalia, vanno richiamate nel testo e riportate in
file separato.
Si ricorda che la rivista è in bianco e nero. Non saranno accettate figure a colori.
Riferimenti bibliografici
I riferimenti bibliografici devono limitarsi a quelli espressamente citati nel testo.
In particolare, la rivista utilizza, per le citazioni nel testo, il sistema autore-data.
La citazione nel testo prevede la seguente forma: (Rossi, 1997: pp. 345-347).
Per contributi con più di due autori, si usi la forma (Rossi et al. 1997: pp. 345-347).
Per citazioni multiple dello stesso autore e nello stesso anno, far seguire a, b, c, ecc. all’anno.
Nei riferimenti bibliografici, in coerenza con il sistema autore-data, i riferimenti devono essere riportati a fine testo nella seguente forma:
Monografie
Brunetti G. (1979), Il controllo di gestione in condizioni ambientali perturbate, Milano: Franco Angeli.
Pubblicazioni con più autori
Bruns W.J., Kaplan R.S. (a cura di) (1987), Accounting and Management: Field Study Perspectives, Boston, MA: Harvard Business School Press.
Saggi in pubblicazioni
Kaplan R.S. (1985), “Accounting lag: the obsolescence of cost accounting systems”, in K. Clark, C.
Lorenze (a cura di), Technology and Productivity: the Uneasy Alliance, Boston, MA: Harvard Business
School Press, pp. 195-226.
Articoli in riviste
Meneguzzo M., Della Piana B. (2002) “Knowledge management e p.a. Conciliare l’inconcilibaile?”,
Azienda pubblica, 4-5, pp. 489-512.
Rapporti/Atti
OECD (1999), Principle of corporate Governance, Paris: OECD.
Non pubblicati
Zito A. (1994), “Epistemic communities in European policy-making”, Ph.D. dissertation, Department of
Political Science, University of Pittsburgh.
Stile e forma
Si richiede uno stile lineare e scorrevole e il testo inviato deve essere già stato sottoposto al controllo
ortografico.
È raccomandato l’utilizzo della forma impersonale.
Comitato scientifico
Amatucci, Fabio
Bergamin, Maria
Bianchi, Carmine
Buccellato, Armando
Cafferata, Roberto
Cavenago, Dario
Costa, Giovanni
D’Amore, Mariano
Del Vecchio, Mario
Donato, Fabio
Elefanti, Marco
Fattore, Giovanni
Fiorentini, Giorgio
Francesconi, Andrea
Gandini, Giuseppina
Garlatti, Andrea
Giovanelli, Lucia
Giusepponi, Katia
Grossi, Giuseppe
Lega, Federico
Longo, Francesco
Maggi, Davide
Manfredi, Francesco
Marcon, Giuseppe
Marinò, Ludovico
Matacena, Antonio
Mazzoleni, Mario
Miolo Vitali, Paola
Orlandini, Paola
Panozzo, Fabrizio
Persiani, Niccolò
Pezzani, Fabrizio
Pozzoli, Stefano
Propersi, Adriano
Rebora, Gianfranco
Riccaboni, Angelo
Ricci, Paolo
Rondo Brovetto, Paolo
Ruffini, Renato
Sargiacomo, Massimo
Sibilio, Barbara
Storlazzi, Alessandra
Torcivia, Sebastiano
Vagnoni, Emidia
Valotti, Giovanni
Zambon, Stefano
Zuccardi, Mara
Zuffada, Elena