Pianeta Egitto - i viaggi di Sergio

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Pianeta Egitto - i viaggi di Sergio
Sergio Virginio
Itinerari tra storia e natura
Alla scoperta dell’antica Tebe
In crociera sul Nilo
I templi del deserto
Il Cairo e il museo egizio
Le piramidi
Sul Mar Rosso
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L’Egitto, quella fascia di deserto nordafricano, bagnata dal Mediterraneo e dal Mar Rosso,
attraversata dalle acque del Nilo, è un mondo a sé: un pianeta, dove l’acqua e il sole tracciano due
anelli che percorrono tutto l’universo. Dove c’è acqua e sole, c’è vita.
Per questo, qui, la vita dell’uomo si era radicata e sviluppata prima della fine dell’era della pietra.
Sulle sponde del Nilo, troviamo ancora oggi templi affascinanti, statue gigantesche, monumenti e
necropoli, sculture, bassorilievi e geroglifici, che testimoniano oltre 5 mila anni di storia. Non a
caso, l’unica sopravissuta fra le Sette meraviglie del mondo antico, si trova a Giza: la piramide di
Cheope.
Tutto questo lo avevo saputo dai libri di storia, più di mezzo secolo fa. Poi, negli anni seguenti,
alcune appassionanti vicende delle dinastie faraoniche, mi erano diventate familiari attraverso
alcuni film cinematografici. Qualche tempo fa, un mio conoscente mi aveva raccontato di essere
stato in “luna di miele” in Egitto. Me ne aveva parlato più volte, con enfasi. Affermava che l’unico
viaggio che avrebbe rifatto volentieri era la crociera sul Nilo, perché risalire il fiume a bordo di un
battello era il modo più affascinante per conoscere la civiltà faraonica. Diceva che, viaggiando con
la luce del giorno, non si riesce a staccare lo sguardo dal paesaggio che scorre lentamente. Così,
mi sono fatto anch’io l’idea di realizzare lo stesso viaggio per visitare le bellezze di quel
“pianeta”.
Un paio di volte, sono stato costretto a rinviare la partenza, a causa degli attentati terroristici che
venivano attuati periodicamente, in diverse località, con lo scopo di dissuadere il turismo, che è tra
le principali fonti economiche di quel paese.
Nel 2008 mi sono deciso a fare questo viaggio, nonostante il rischio attentati. Mi sono dato da fare,
con amici e conoscenti per organizzare un gruppo di partecipanti con l’agenzia turistica del Dlf di
Udine.
Nel 2010 sono ritornato in Egitto: un rilassante soggiorno a Sharm el Sheikh, sul Mar Rosso. Una
settimana balneare di snorkeling sulla barriera corallina per ammirare le incantevoli bellezze del fondo
marino.
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Alla scoperta dell’antica Tebe
Dal finestrino dell’aereo appare un’alba infuocata e abbagliante: stiamo per atterrare a Luxor, nei
pressi del Nilo, nel cuore dell’Egitto. Allo sbarco, due lunghe fila di palme, ben curate e accoglienti,
ci indicano il percorso da fare a piedi per raggiungere l’ingresso dell’aeroporto. Il nostro gruppo, è
formato da 26 persone. Eravamo partiti col bus riservato da Udine, nel tardo pomeriggio di ieri,
lunedì 26 maggio 2008, per raggiungere l’aeroporto di Bologna. La partenza del volo charter aveva
subito un forte ritardo. Meno male che, durante le tre ore del volo notturno, abbiamo sonnecchiato
un po’.
Raggiungiamo l’area dove si compila la scheda per l’ingresso. Poi, un po’ di fila per la dogana.
Infine l’attesa per il ritiro dei bagagli. Nell’atrio d’ingresso c’è la nostra guida. Ci aspetta alzando
un cartello col nome della nostra agenzia viaggi. Come capogruppo, lo raggiungo per primo.
Ci salutiamo e ci presentiamo. Lui, sulla quarantina, porta un berretto da sole con frontino. Veste
pantaloni estivi e una maglietta colorata a maniche corte. Si chiama Jamal, è egiziano e abita nella
capitale. A causa del forte ritardo del nostro volo, lui e l’autista hanno trascorso la notte sul
pullman. Anche molti componenti del nostro gruppo hanno fatto la notte in bianco e sperano di
recuperare qualche ora di sonno appena arrivati a bordo della nostra nave. Ma non è così. L’agenzia
ha disposto di procedere normalmente per le visite di Luxor, previste nella mattinata.
Raggiungiamo in bus la “Nile Crown”, una delle numerose motonavi da crociera che stazionano
sulla sponda destra del Nilo. Sembrano degli alberghi galleggianti a quattro piani. Sistemiamo
frettolosamente i bagagli nelle comode e confortevoli cabine con servizi che ci hanno assegnato.
Dopo una doccia veloce, ci ritroviamo nuovamente tutti sul bus.
Si parte per le visite di Luxor. La località sorge nel
sito corrispondente all’antica Tebe, la città dalle
cento porte, come veniva descritta da Omero. Fu
costruita oltre due duemila anni avanti Cristo, nel
periodo dell’undicesima dinastia faraonica. A
testimonianza dello splendore dell’antica capitale, i
più importanti siti archeologici sono disseminati tra
le colline desertiche e rocciose, di fronte a Luxor,
sulla sponda occidentale.
Iniziamo le visite dalla Valle dei Re, che è uno dei
luoghi più celebri di tutto l’Egitto. Da lontano, la
valle appare come una gola terrificante, sperduta tra
le rocce bruciate dal sole. Nelle viscere di questo arido deserto furono sepolti i faraoni del così detto
Nuovo Regno.
Siamo arrivati all’ingresso, passando tra le voci assordanti e incomprensibili dei venditori, in mezzo
a decine di bancarelle, piene di tuniche di seta colorata, cappelli da sole, borse e souvenir di ogni
genere. Per raggiungere le tombe utilizziamo uno degli appositi trenini su gomma, che sostano sul
grande piazzale d’ingresso. Col trenino, ci fermiamo all’altezza della tomba di un faraone del
Dodicesimo secolo a.C.: Ramses II. E’ tra le prime del percorso. La nostra guida, Jamal, inizia la
sua illustrazione. Si tratta della tomba più grande, disposta su diversi piani, ma incompleta. Fu
scoperta nel 1825. Ci siamo inoltrati all’interno, attraversando una stretta galleria che conduce al
tempio sotterraneo. All’interno è vietato fotografare. Questi luoghi conservano, ancora oggi, dopo
più di tremila anni, tutto il fascino della loro imponenza architettonica e delle loro pitture cariche di
colore. La tappa successiva è dedicata alla visita della tomba del faraone Thotankamon, morto
giovanissimo, nel Tredicesimo secolo a.C. All’interno, le dimensioni sono modeste, ma la bellezza
dei dipinti e del sarcofago è unica. Fra le 62 tombe della valle, questa è stata scoperta per ultima:
nel 1922. Le sbalorditive ricchezze, rinvenute all’interno, sono custodite nel museo del Cairo.
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Poi, ci spostiamo dove sorge il complesso monumentale di Deir el-Bahari, un grande anfiteatro
naturale, dove si eleva il grandioso tempio della regina Hatshepsut che, verso il 1500 a.C., aveva
riportato la necropoli al massimo splendore.
Nel 1997, molti turisti che si trovavano nei pressi di
questo monumento vennero massacrati da un
attentato terroristico. Si pensa che l'attacco sia stato
istigato da alcuni leader in esilio di
un'organizzazione terroristica del fondamentalismo
islamico, che cercavano di danneggiare l'economia
egiziana, vedendo nel turismo una delle maggiori
entrate in valuta pregiata del paese. Questa strategia
mirava a provocare una repressione governativa
che, nelle intenzioni degli ideatori, avrebbe dovuto
rafforzare le forze politiche d'opposizione, ostili al
regime autoritario del presidente Mubarak.
Con il bus percorriamo la distanza che ci separa dalla Valle delle Regine, situata a meno di due
chilometri verso nord. Nella valle sono state scoperte 80 tombe, alcune delle quali riguardano anche
i figli dei faraoni deceduti in giovane età. Altre sono incomplete o gravemente danneggiate. Qui è
d’obbligo la visita della tomba della Regina Nefertari, moglie del faraone Ramses II. Tra le varie
informazioni storiche della guida, annotiamo l’anno della scoperta, avvenuta nel 1904 da parte di
una spedizione archeologica italiana. All’interno, si nota che le dimensioni degli spazi sono inferiori
a quelli riservati ai faraoni. I dipinti sulle pareti, dalle forme vivaci, sono di tono minore e
rappresentano momenti meno solenni.
Ritorniamo a bordo del nostro bus e, dopo aver superato un villaggio, aggrappato al pendio roccioso
di una brulla collina, arriviamo in una vasta piana circondata da vegetazione. Qui, distanti una
decina di metri, uno dall’altro, si ergono i colossi di Memnon. Le due grandi statue monolitiche, alte
più di 15 metri, raffiguranti il faraone Amonofis III, sono l’ultima testimonianza di un grande
tempio del Quindicesimo secolo a.C.
Fuori, nonostante la brezza, fa caldo. L’aria condizionata del bus ci rinfresca sino all’arrivo sulla
riva del Nilo. Qui entriamo in un ristorante galleggiante, ancorato sulla sponda del fiume, dove ci
attende un abbondante buffet. C’è di tutto: minestre, carni, verdure crude e cotte, frutta e dolci. Ci
sono anche gli spaghetti conditi al pomodoro. Le bevande sono tutte analcoliche. Nei locali pubblici
le bevande alcoliche sono severamente vietate. Le verdure e tutti gli alimenti crudi, che sono stati a
contatto con l’acqua, sono sconsigliati dalle norme di comportamento preventivo del turista: si corre
il rischio di prendere un’infezione batterica.
Dopo il pranzo, si riparte per attraversare il fiume con delle piccole imbarcazioni a motore. Sulla
sponda orientale si trova il sito archeologico del tempio di Luxor, inglobato nel tessuto urbano
dell’attuale città. Costruito in gran parte dal faraone Amonofis III, nel Tredicesimo secolo a.C. il
tempio fu ingrandito, durante la dinastia successiva, da Ramses II. Il luogo sacro era collegato al
tempio di Karnak da un lungo viale con sfingi di pietra a testa umana. Di questa immensa opera, è
rimasta visibile la prima parte, che rimane uno dei più affascinanti esempi di architettura egizia.
Raggiungiamo Karnak in bus, situata a circa tre chilometri, a nord della città. Nonostante il sole
battente e la temperatura elevata del primo pomeriggio, ci addentriamo tra le maestose colonne
rimaste. La parte principale è formata dal grande tempio di Amon: edifici, cortili e dieci grandi
piloni. Jamal ci invita a misurare la circonferenza di una colonna. Dieci persone si prendono per
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mano a braccia larghe, in giro alla colonna: la circonferenza misura più di 15 metri. Poi, si riparte
verso la “Nile Crown”.
In crociera sul Nilo
Nell’atrio d’ingresso della motonave, il personale di servizio è schierato ai lati per darci il
benvenuto a bordo. Ci offrono un drink dissetante a base di limone. Alcuni partecipanti rifiutano la
bibita, ma poi ci ripensano, dopo essere stati rassicurati che il ghiaccio è fatto con l’acqua minerale.
La motonave scioglie gli ormeggi e inizia a
scivolare dolcemente sull’acqua calma del Nilo.
Avevo sentito dire che risalire il fiume Nilo, a bordo
di un battello, era il modo più affascinante per
conoscere la civiltà faraonica. E che, viaggiando con
la luce del giorno, non si riesce a staccare lo sguardo
dal paesaggio che scorre lentamente. Era proprio
vero! Dal ponte della motonave, la navigazione
scorreva lenta nel silenzio più profondo. Le piccole
abitazioni sono circondate da una fitta e incantevole
vegetazione. Dove c’è il Nilo, c’è la vita. Dove non
c’è il fiume, c’è il deserto. Prima della costruzione
della diga di Assuan, durante le inondazioni
stagionali, l’acqua depositava una spessa coltre di limo, fertilizzando i terreni destinati
all’agricoltura. Sulle rive, gli antichi egizi hanno costruito villaggi e città, templi e necropoli.
Un po’ stanco, ma soddisfatto di trovarmi in questa sorta di paradiso terrestre, mi butto sul letto
della mia cabina e mi abbandono a un provvidenziale relax. La sera, dopo la cena buffet, ci siamo
recati nuovamente sul ponte della nave per assistere alle operazioni di transito della chiusa di Esna.
La motonave si era fermata e aveva attraccato in attesa del proprio turno. Nel frattempo, alcuni
ambulanti, con delle piccole imbarcazioni, si sono avvicinati allo scafo della nave per mostrarci
alcuni prodotti di artigianato locale. I venditori cominciano a gridare da lontano i prezzi, in italiano,
delle merci, lanciando dei pacchi verso di noi, a bordo. I turisti che trattengono la merce, a loro
volta, lanciano ai venditori un pacchetto contenente la somma pattuita.
L’operazione di sollevamento della nostra imbarcazione avviene in pochi minuti attraverso un
sistema di chiuse che innalzano il livello dell’acqua.
Di primo mattino, mentre ci prepariamo per il primo sbarco, una ricca vegetazione di bassi cespugli,
piccoli banani e splendide palme, mosse dal vento, scorre sempre più lentamente. Stiamo per
arrivare a Edfu, un centinaio di chilometri a sud di Luxor. La località è situata sulla riva occidentale.
Nell’era faraonica fu un importante centro dell’Alto Egitto.
C’incamminiamo sulla terra ferma per la visita del tempio di Horus, il dio dalla testa di falco. Si
tratta del più grande tempio faraonico, dopo quello di Karnak, e sicuramente uno tra i meglio
conservati, grazie allo spesso strato di sabbia sotto cui fu sepolto per secoli. Prima di entrare, ci
fermiamo a curiosare nell’antistante mercatino. L’entrata è maestosa: un alto e robusto pilone con le
pareti che raffigurano adorazioni degli dei. Ai lati dell’ingresso, fanno da guardia due grandi falchi
di granito nero. Il tempio è completamente decorato a bassorilievi, con varie rappresentazioni.
La nostra guida, nel corso della visita, ci illustra il percorso storico e i vari significati dei
bassorilievi. La costruzione risale al 327 a.C.
Attraversata la porta di ingresso, si entra nel cortile che è circondato su tre lati da un totale di 32
colonne con i capitelli composti da diversi motivi plastici floreali. Le colonne sono scolpite con
rilievi che rappresentano il re con le divinità di Edfu. Il tempio è circondato da un corridoio, dove si
aprono dieci sale laterali. Qui venivano custoditi gli oggetti di culto e si svolgevano liturgie. In una
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di queste stanze è conservata la barca sacra che, ogni anno, si usa ancora trasportare sul Nilo la
statua di Horus fino alla città di Dendera. Prima di prendere la via del ritorno, all’uscita del tempio
ci fermiamo a contrattare i prezzi, tra bancarelle di bigiotteria, colorate di stoffe.
Sulla nave si pranza a buffet. La cucina è internazionale: c’è di tutto per tutti i gusti. Una hostes
dell’agenzia ci informa che tutti gli alimenti sono stati selezionati e preparati con la massima cura.
Frutta e verdura cruda sono state lavate in appositi contenitori con acqua disinfettata.
Dopo il pranzo ci siamo sdraiati al sole, in costume da bagno, sul ponte, nei pressi della piscina.
Il clima caldo, secco e ventilato, è gradevole anche se il termometro segna 36 gradi. Qualche breve
immersione in acqua, nella piccola vasca, contribuisce a rinfrescarci durante il relax. Avvolti dal
tipico paesaggio della valle del Nilo, la vista è stupefacente. Nonostante l’insolito e profondo
silenzio, non riesco a stare sdraiato tranquillamente a prendere il sole. Mi sposto da un angolo
all'altro del ponte per poter immortalare con la mia macchina fotografica ogni momento di questo
fantastico paesaggio della natura. Al cielo leggermente azzurro, piatto e monotono, si contrappone
una striscia verdeggiante, ricca di palme e di campi coltivati. Subito dopo, al di là, il giallastro
deserto del Sahara. Stiamo risalendo il corso del fiume verso sud. Alla nostra destra, abbiamo il
deserto libico, alla sinistra quello arabico. Lungo il fiume, si notano capanni di contadini, spesso
con mucche e bufali all’abbeverata, villaggi di case in mattoni, basse e rettangolari, talvolta
sovrastate da minareti che stagliano verso il cielo. Ci sono i campi, dove ogni tanto spunta un
vecchio trattore. L’acqua azzurra del Nilo è solcata dalle motonavi da crociera, simili alla nostra,
che incrociamo numerose e da alcune tipiche imbarcazioni a vela: le feluche. Con il passare delle
ore, continuando verso sud, sulla destra il deserto si fa sempre più vicino e si cominciano a
distinguere le dune di sabbia. Sulla sponda opposta, invece, c’è ancora abbondanza di verde.
Nel tardo pomeriggio avvistiamo Kom Ombo. Le
grandi colonne del tempio, illuminato dal sole, si
notano da lontano, in cima a un piccolo
promontorio, verso ovest. Ci prepariamo per lo
sbarco con qualche piccola difficoltà. Tutti i moli
sono occupati e la nostra motonave è costretta ad
affiancarsi a un’altra motonave in sosta. Per
scendere a terra siamo costretti ad attraversarla. Il
tempio è lì, a due passi. Il nostro Jamal ci spiega
che il luogo sacro fu dedicato a due divinità: Sobek,
il dio coccodrillo e Haroeris, altro dio dalla testa di
falco. Si tratta di due costruzioni, perfettamente
uguali, in ognuna delle quali venivano adorati i due
dei dell’antico Egitto. Di straordinario interesse è il calendario, scolpito su una delle pareti del
tempio, antenato dell’attuale calendario gregoriano: 12 mesi, divisi in 365 giorni. Un’altra parete
mostra gli strumenti chirurgici usati già all’epoca e le posizioni ideali per le partorienti. Al centro
del cortile c’è il “Nilometro”: un grande pozzo collegato al fiume che serviva per misurare le piene
annuali del Nilo. La visita del tempio ci offre anche l’occasione di vedere alcuni coccodrilli
mummificati. E’ iniziato il tramonto. L’abbagliare del sole si spegne lentamente prendendo i colori
del fuoco. Il rosso si espande a vista d’occhio sul cielo e sulla terra. Le maestose colonne del tempio
si colorano di arancio e mettono in evidenza geroglifici e pitture dai tenui colori. Questo scenario si
specchia sull’acqua calma e addormentata del fiume che diventa sempre più colorata.
Assistiamo a questo incantevole spettacolo della natura anche dal ponte della motonave, lo
filmiamo e lo fotografiamo fino a quando la luce scompare. Sulla nave è stata organizzata una
serata d’allegria, con il ballo in costume tipico locale. Molti turisti, in particolare le signore, vestono
la tunica tradizionale, dai diversi colori e disegni: si chiama gabjia. Si trovava in vendita, per dieci
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euro, in tutte le bancarelle che abbiamo visto durante questi giorni. Tra un ballo e l’altro abbiamo
fatto mezzanotte. Poi ci siamo ritirati a dormire nelle rispettive cabine, cullati dalla calma del Nilo.
Nella mattinata di giovedì, dopo un’abbondante prima colazione, attendiamo di sbarcare ad Assuan,
l’antica Syene. L’azzurro del cielo è nitido e uniforme, fino all’orizzonte. Il vociare continuato dei
gruppi di turisti, che si preparano alla partenza dell’escursione in pullman, diventa sempre più
fastidioso. Qui, l’acqua del fiume ha mutato il suo aspetto: non più liscio e tranquillo, ma un agitarsi
improvviso in sbalzi e mulinelli fra le rocce delle rive. Qui finisce la Valle del Nilo e quel dolce,
tipico paesaggio. Non più il verde dei palmeti e dei campi coltivati, che seguivano le anse del fiume,
ma chilometri di sabbia deserta.
Col bus riservato, ci dirigiamo alle cave di granito. Dopo la costruzione della grande diga, con lo
scopo di regolare il flusso delle acque del Nilo, la città è diventata la più importante dell’Alto
Egitto. Assuan non è molto ricca di storia, ma la sua posizione con il clima mite e particolare, la
rendono molto affascinante. Fin dal terzo millennio a.C. questo era un luogo di scambi commerciali,
ai confini con la regione della Nubia, che vuole dire“oro”, terra di conquista e di sfruttamento.
Arriviamo alle cave, dove si trova ancora, disteso, un obelisco incompleto di 42 metri. La guida ci
spiega che i lavori non sono stati completati, a causa delle rotture provocate in alcuni punti.
Superata la diga vecchia, la strada arriva sopra la diga alta, che fu ultimata nel 1970. Scendiamo per
fotografare la prima parte del Lago Nasser, che si estende verso sud per ben 500 chilometri, fino al
confinate Sudan.
I templi del deserto
Poco distante da Assuan c’è l’isolotto che ospita il tempio di Philae. Nel tempio, venivano i
sacerdoti a celebrare i riti sacri.
Una spedizione italiana si occupò di Philae, che smontò il tempio per ricollocarlo sulla nuova isola,
ricreando le stesse identiche condizioni del luogo
originario. Il progetto di salvataggio dell’Unesco
riguardava diversi templi della Bassa Nubia, che
furono smontati a pezzi e ricollocati in zone più
sicure.
Noi ci siamo recati sull’isola con la feluca. Durante
il percorso, siamo stati tormentati da un venditore di
bigiotteria. Il grande pilone d’ingresso ci era
apparso simile a quello di Edfu. Infatti, le
spiegazioni della guida, ci confermano che si tratta
di uno dei tre templi tolemaici meglio conservati.
Sulle pareti: la nascita e l’educazione di Horus; la
madre che lo protegge e lo allatta; il mito che
celebra Osiride, legato alla morte e alla resurrezione. Sulla riva, ci soffermiamo nel Padiglione di
Traiano, che era il luogo di attracco della barca sacra della dea.
Prima del pranzo, c’è una sosta da Kyphi Perfumes, la showroom delle essenze profumate. Assuan,
infatti, è la patria di queste sostanze concentrate, da cui si ricavano i più importanti e famosi
profumi, venduti sul mercato internazionale. L’accoglienza è ospitale, e alcune eleganti giovani
egiziane ci fanno accomodare in un salotto. Poi ci servono il te, mentre gli esperti ci decantano,
nella nostra lingua, i vari tipi di essenze. I prezzi non sono cari, e molte signore fanno l’acquisto.
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La feluca, con la sua maestosa vela bianca, ci trasporta sull’isola di Kitchener, scivolando
silenziosamente sull’acqua. Due ragazzini ci affiancano con una rudimentale barchetta di legno.
Remano animatamente, usando delle palette di ping-pong. “Euro” è l’unica parola italiana che
sanno pronunciare. A un signore era scivolata dalla mano una monetina e, uno dei due, si è tuffato
in acqua per recuperarla. L’Egitto è anche questo. Sull’isola c’è il giardino botanico con palme
maestose, piante e fiori tropicali. Qui, l’eccezionale clima mite favorisce la vita delle bouganville e
di meravigliose orchidee, che riempiono l’isola di colore ed eleganza. Tutt’intorno, la vista è
stupenda. In lontananza, decine di feluche, con le loro vele, punteggiano di bianco l’azzurro del
fiume. Anche le forme e i colori di qualche sporadico ed elegante albergo, talvolta, s’intonano col
giallo desertico delle rive rocciose, sovrastate dal verde della vegetazione. Al tramonto, tutto
s’infiamma di un rosso pallido, anche il mausoleo in arenaria rosa dell’ Aga Khan, che vediamo da
lontano, sulle cima di un promontorio. Stiamo navigando sul fiume verso il deserto, dove ci
attendono per una cena nubiana. Sulla riva sinistra, tra i bassi canneti, alcuni aironi bianchi, dal
becco lungo e diritto, stanno pascolando con le zampe dentro l’acqua. Al nostro passaggio, alcuni si
spaventano, e si alzano in volo mostrandoci le ali larghe e molto lunghe. A destra, ai piedi del secco
promontorio desertico, ancora illuminato dal sole, sta transitando un’escursione turistica in
dromedario: una lunga carovana, in fila indiana, avanza agevolmente nella sabbia.
Quando sbarchiamo, il sole sta per scomparire all’orizzonte. Assistiamo al tramonto dalla cima
della duna, dove siamo saliti con fatica, affondando coi piedi nella sabbia. In compenso, da lì si può
godere un’incantevole spettacolo di colori: a ovest quelli del fuoco, che si dileguano lentamente; a
est il giallo caldo del deserto e delle case di Assuan, avvolte dalle luci del tramonto; a nord il verde
della vegetazione della lunga Valle del Nilo; a sud
l’azzurro dell’immenso Lago Nasser. Il ristorante è
stato allestito sotto una grande tenda. Sui lati sono
stati disposti eleganti tendoni rossi. Di fronte è
appesa una grande seta nera con sopra tre immagini
dorate del giovane faraone Thotankamon. Per
pavimento: tappeti colorati. I tavoli sono molto
bassi e, al posto delle sedie, troviamo dei grandi
cuscini tondi. La cena è a base di carne di montone,
cucinata alla griglia. La gustiamo assieme a diverse
pietanze e verdure, che sono state disposte sui tavoli
a buffet. Dopo la cena, assistiamo allo spettacolo
all’aperto: musica e danze tradizionali del deserto.
Col buio della sera, il ritorno con l’imbarcazione è molto suggestivo. Lo scoppiettio del piccolo
motore rompe il silenzio, tra i riflessi dell’acqua e il lontano luccicare delle case e delle insegne al
neon. Arriviamo alla nostra motonave un po’ stanchi. Ciononostante, la serata prosegue con un
divertente e coinvolgente spettacolo di danze tipiche nubiane. Ma, a una certa ora, conviene andare
in camera a preparare i bagagli. Domani, si parte molto presto, prima dell’alba. Abbandoneremo
definitivamente la “Nile Crown”. La nostra crociera sul Nilo sta per finire.
Ci hanno dato la sveglia nel cuore della notte. La partenza era prevista alle tre, ma alcune persone
del nostro gruppo stavano male. Allora mi sono messo in contatto con il numero telefonico
dell’agenzia, che ha deciso di inviare un medico. L’intervento del sanitario è stato immediato, e ha
prestato le cure del caso. Si trattava di infezioni batteriche, la cosiddetta “malattia del viaggiatore”,
molto comune da queste parti. Il pullman, munito di toilette, parte al gran completo per la traversata
del deserto. Ci fermiamo subito dopo, nei pressi di una caserma militare. Si riparte solo, dopo aver
formato una lunga colonna di bus e automezzi carichi di turisti, diretti a Abu Simbel. La lunga
carovana è scortata dagli autoblindo delle forze armate egiziane. Alcuni anni fa, una comitiva di
turisti tedeschi che viaggiava in bus, fu trucidata dai guerriglieri. Da allora, il turismo locale ha
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subito una lunga battuta d’arresto. Poi, col tempo, ha ripreso gradualmente, facendo fare ai turisti
questo percorso in aereo. Solo recentemente, le autorità locali hanno deciso di riaprire la strada ai
turisti, sotto la scorta armata dei militari. La strada è asfaltata, a due corsie, tutta diritta verso sud.
Il bus ha una velocità sostenuta, ogni tanto sobbalza, e noi non riusciamo a riprendere il sonno.
Gli ammalati fanno continuamente la spola alla toilette. Fuori, un’aurora infuocata cede lentamente
il passo all’abbagliante luce dell’alba, che ci offre la vista di un immenso roseo deserto. Ogni tanto,
ai lati della strada, spunta una garitta militare. Verso le otto del mattino, dopo 280 chilometri,
compaiono alcune case.
Siamo a sud del Lago Nasser, quasi ai confini con il Sudan. Stiamo finalmente per arrivare ad Abu
Simbel. Qui, si trova la costruzione più affascinante, realizzata per volontà di Ramses II, il più
grande faraone della storia egiziana. Dopo un breve tragitto a piedi, il primo tempio ci appare in
tutta la sua bellezza e il suo splendore! La vista dei quattro colossi seduti, alti una ventina di metri,
lasciano senza parole. Di fronte al tempio c’è l’azzurro intenso del Lago Nasser. Con la nostra guida
Jamal, ci portiamo davanti al tempio. E’ la
costruzione più grande e importante, salvata dalla
gigantesca opera dell’Unesco, dopo la costruzione
della grande diga di Assuan. Originariamente, tutta
la collina si trovava 200 metri più lontano e 64
metri più in basso. I lavori di traslazione della
collina rocciosa, in cui era stato scolpito il tempio,
durarono 5 anni. Una delle statue di Ramses è stata
decapitata, a causa di un recente terremoto; la testa
si trova per terra. Sopra la porta di entrata, in una
nicchia scavata nella roccia, c’è la statua del dio
Ra’ Ho Akthi, il dio falco, unito al disco solare; il
dio ha, nella mano destra, il simbolo della
prosperità e nella sinistra quello della giustizia. Dentro, a 65 metri dalla porta d’ingresso, si giunge
nel luogo più intimo e segreto del tempio: il sacrario. In questo luogo, il faraone glorificò se stesso,
come dio tra gli dei. Terminata la visita, giriamo a sinistra, dove a un centinaio di metri è situato il
piccolo tempio di Hathor, dedicato alla sposa del faraone: la regina Nefertari.
Il Cairo e il museo egizio
Dopo una sosta ristoratrice, facciamo ritorno al piazzale dei bus. Sul percorso pedonale troviamo
un grande sfoggio di bancarelle. Con il nostro bus prendiamo la via dell’aeroporto. Dopo
un’ora di sorvolo del deserto, avvistiamo il Nilo e le prime abitazioni, circondate da campi e
vegetazione. Le costruzioni diventano sempre più fitte e più grandi: sono i primi quartieri della
capitale. Il Cairo, con i suoi 18 milioni di abitanti, è la più popolosa fra le città africane. Jamal ci
svela che il suo nome deriva dall’arabo al-Khaira che significa “la vittoriosa”. Dal 1250 al 1517,
l’epoca dei Mamelucchi rappresentò per il Cairo un importante periodo di sviluppo, proseguito
dagli Ottomani, che favorirono importanti attività commerciali. L’opera di urbanizzazione e
ammodernamento continuò anche durante il regno di Mohamed Ali, dei suoi successori e dopo la
rivoluzione del 1952. All’aeroporto della capitale ci attende un bus riservato per trasportaci in
centro. Scendiamo per la visita della moschea di Mohamed Ali, nella cittadella di Saladino.
Costruita nel 1830, la moschea è un gioiello dell’architettura araba, diventata l’emblema della città.
L’opera è caratterizzata da una gran quantità di alabastro e, all’interno, è illuminata da numerosi
lampadari di cristallo concentrici, sospesi da catene.
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Per raggiungere il “Movenpick”, un lussuoso albergo a cinque stelle, il nostro bus impiega un’ora
abbondante. L’hotel è situato in una zona residenziale della periferia. La costruzione, color giallo
ocra, è dislocata in vari complessi, circondati da spazi di verde con palme, cespugli e aiuole in fiore.
In mezzo c’è una zona ombreggiata riservata ai bagnanti. Alcuni stanno nuotando in piscina, altri
stanno prendendo il sole. Le palazzine sono a due piani. La mia camera è al primo. Dopo aver
sistemato i bagagli, ci prepariamo per la serata. Si cena nell’elegante e ben fornito buffet
internazionale dell’hotel. Poi si riparte in bus verso le Grandi piramidi di Giza, dove assistiamo allo
spettacolo serale “Suoni e luci”.
Nella mattina di sabato, il bus ci riporta in centro per la visita del Museo egizio. Fuori, il cielo è
sempre sereno, ma leggermente offuscato dallo smog. Qui il clima è più gradevole che al sud.
Il museo si trova nella Cairo moderna, a Midan el Tahir. Arriviamo col nostro bus, guidato da un
autista spericolato. Al Cairo, i semafori non sono tanti e, quando la circolazione lo permette, i rossi
dei pochi semafori che funzionano non vengono quasi mai rispettati. Così pure i limiti di velocità.
Jamal ci racconta che, per ottenere la patente egiziana, l’esame di guida consiste nel percorrere in
auto un tortuoso circuito curva-contro curva, tracciato coi birilli. Più birilli si abbattono e meno
probabilità si ha di prendere la patente.
Nonostante la sua grande fama, il museo egizio del Cairo non è molto esteso come superficie.
L’imponente edificio, color rosso amaranto, consta di due piani, entrambi di forma rettangolare, con
una serie di stanze disposte attorno ad un atrio centrale e collegate da un corridoio. L’enorme
cancello d’ingresso, antistante il piccolo giardino del museo, è in ferro battuto. Davanti a noi, sono
molte le comitive che si apprestano alla visita. Ma l’attesa è più breve del previsto.
Nel museo si trova la più importante collezione di arte egizia del mondo. I primi che si diedero
da fare a raccogliere le antichità furono i consoli dei vari paesi europei. In questo modo,
le collezioni formate, furono in seguito vendute in Europa e diventarono il nucleo originario
delle raccolte egizie dei musei, come quello di Torino, di Parigi, di Londra e di Berlino.
Qui, gli oggetti in mostra sono 136.000 e molte altre centinaia di migliaia sono conservate nei
magazzini. I reperti più pregiati sono protetti all’interno delle vetrine. Gli oggetti esposti al piano
terreno sono raggruppati per ordine cronologico. Appena entrati, iniziamo la rassegna
dell’esposizione al piano terra, seguendo le spiegazioni della nostra guida. A sinistra, sono disposte
le sale dell'Antico Regno. Poi procediamo la visita in senso orario, dove si trovano le sale del Medio
e Nuovo Regno, per finire in quelle dell’età Greco-Romana. Salendo lo scalone si arriva al primo
piano, organizzato in aree tematiche. I pezzi di maggior pregio sono rappresentati dalla collezione
dei reperti trovati nella tomba di Thotankamon, rinvenuta nella Valle dei Re. L’affascinante
maschera funeraria, in oro massiccio e pietre preziose, riproduce quasi fedelmente i tratti somatici
del giovane sovrano. La sala che conteneva le 27 mummie reali di epoca antica, per un periodo, era
stata chiusa al pubblico. Dopo la riapertura, è possibile vedere una selezione di mummie dei re e
delle regine del Nuovo Regno, di cui è visibile
solamente il volto.
Ci portano a pranzo all’Alsaraya , un moderno
ristorante a forma di nave, sulla riva del Nilo. C’è il
solito buffet a cucina internazionale. Nel
pomeriggio attraversiamo in pullman la città
moderna per raggiungere la Cairo islamica, ai piedi
della Cittadella, dove si trova la moschea del
Sultano Hassan. Fatta in stile mamelucco antico, ha
un minareto altissimo che sembra bucare il cielo.
Nella porta principale si trova il cortile, delineato da
quattro archi incassati. La costruzione della
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moschea fu finanziata con i beni delle vittime dell'epidemia di peste, che colpì la città nel 1348. Per
questo motivo, il Sultano venne assassinato, due anni prima che la moschea venisse ultimata.
Poi arriviamo nella vecchia Cairo, il più antico quartiere con le grandi chiese copte. In Egitto,
dall'opera di predicazione svolta dai Francescani, nel 1630 si erano formate comunità cattoliche
copte. Dopo aver percorso a piedi un vicolo stretto, entriamo in una di queste chiese, quella di San
Sergio, molto semplice e priva di ornamenti. Nei pressi c’è anche una sinagoga, luogo di culto della
comunità ebraica.
Prima del rientro all’hotel, ci portano a fare shopping nel celebre bazar di Khuan el-Khalili.
E' un'area di mercato tra le viuzze del centro. Negozi e botteghe di piccole dimensioni si estendono
in bancarelle ai lati della strada. Foulard, scarpe, collane, ciondoli, scatole, spezie di ogni tipo e
colore, frutta e persino carne fresca, appesa in balia delle mosche. Una miriade di cose da comprare,
ma non senza prima contrattarne il prezzo. Per catturare tutto il suo incanto e il suo sapore, ci
inoltriamo senza guida, tra il baccano della gente, tenendo ben strette borse e macchine
fotografiche. Nonostante la confusione, non ci perdiamo, basta soltanto continuare a camminare
seguendo una direzione, per venire presto a capo del labirinto. Un paio d'ore di mercato, sono state
sufficienti per stancare tutti.
La sera, dopo la cena, assistiamo casualmente allo svolgimento di una festa egiziana di matrimonio,
che si stava svolgendo nel giardino del nostro hotel. La nostra attenzione viene attirata
dall’assordante volume di musica araba moderna, piacevole e coinvolgente. I partecipanti, dall’aria
signorile e dai gusti raffinati, sfoggiano abiti leggeri ed eleganti. Le tavole sono imbandite con vari
piatti: diverse carni, pesci e verdure di ogni tipo. L’unica cosa, insolita per noi europei, è l’acqua:
l’unica bevanda che appare sui tavoli in trasparenti bottiglie di plastica.
Le piramidi
La domenica, di buon mattino, ci rechiamo col nostro bus a Giza, a una ventina di chilometri a sudovest dalla capitale, sulla sponda occidentale del Nilo. Quando arriviamo, i raggi del sole stentano a
filtrare la nebbiolina, che copre il cielo, sopra la piana desertica, dove si estende la necropoli
dell’Antico Egitto. Al suo interno, si trovano le Grandi Piramidi e la Sfinge. Le piramidi sono dei
monumenti sepolcrali di pietra, dalla base quadrata, con le pareti triangolari e oblique, i cui vertici
convergono al centro, verso l’alto. La fase
principale di costruzione della necropoli avvenne
attorno il Venticinquesimo secolo a.C.
Sulla parte orientale del complesso di Giza sorge la
Grande Sfinge Abu el-Hol, che significa “padre del
terrore”. Più a nord c’è la piramide di Cheope, la
più grande, l'unica tra le “sette meraviglie del
mondo antico” giunta sino ai giorni nostri. A poca
distanza, sono allineate in diagonale le altre due
piramidi, quella di Chefren, un po’ più bassa, e di
Macerino, la più piccola. Le tre piramidi principali
sono attorniate da altri piccoli edifici satellite, noti
come piramidi delle regine, rampe e piramidi della
valle. Ci soffermiamo nei pressi della piramide di Cheope, formata da più di 2 milioni di enormi
blocchi di pietra. Ogni lato della base misura 233 metri, l’altezza è di 146 metri. Vista dal basso, dà
l’impressione di un’immensa gradinata che va verso l’infinito. Poi percorriamo a piedi il sentiero, di
quasi un chilometro, che gira attorno alla piramide. Sul percorso, incontriamo alcune guardie in
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groppa al dromedario che ci salutano: “Ciao Italia”. A causa dei lavori di messa in sicurezza, non è
possibile visitare la grande piramide al suo interno.
Proseguiamo la nostra escursione giornaliera in bus. Facciamo una piacevole sosta al “Mena
Papirus”. All’interno c’è un’esposizione di pitture su papiro, la carta che si usava fin dai tempi
antichi. Questa, si ricavava da una canna di palude che si trova ancora sulle rive del Nilo.
Ci fanno vedere come la pianta viene tagliata, in tante strisce lunghe e sottili, che poi vengono
immerse nell’acqua. Le strisce sono disposte, affiancando le une alle altre, fino a formare un unico
foglio. Sopra a questo primo strato, viene deposto un secondo, con le fibre disposte in senso
perpendicolare alle precedenti. Le sostanze naturali presenti nella struttura vegetale della pianta di
papiro consentono un tenace incollaggio dei vari strati, man mano che essi si asciugano, sottoposti a
opportuna compressione. Il risultato è quello di un foglio assai resistente. Alla fine, tutti a comprare
papiri che rappresentano scenari, faraoni e regine.
Pranziamo in un agriturismo di campagna. Il buffet è quello di ogni giorno, l’unico prodotto locale è
il pane, che viene cucinato da due donne vestite di nero in un piccolo forno all’aperto, in mezzo a
centinaia di mosche. La forma del pane è rotonda e piatta, come la pasta della pizza.
Nel primo pomeriggio, sotto il sole cocente,
arriviamo nella necropoli di Sakkara. L’area delle
rovine è lunga otto chilometri e larga uno. Qui, i
resti dei monumenti rappresentano tutte le
principali dinastie storiche. Scendiamo dal bus nei
pressi della cittadella funeraria di Zoser, dove c’è la
piramide a gradoni, rifinita in pietra squadrata. Le
dimensioni sono modeste, alta una sessantina di
metri, ha la base rettangolare. Sotto la piramide fu
scoperto un numero straordinario di gallerie,
cunicoli e stanze. Passiamo tra i resti delle colonne
del Tempio funerario e arriviamo alla base di un
enorme pozzo, dove c’è la tomba in granito del re.
Col bus, riprendiamo la strada verso la capitale. Ci fermiamo a Menfi. L’antichissima capitale si
chiamava Mennof-Ra e si estendeva per 15 chilometri, da Giza a Sakkara. Dell’antico splendore,
oggi rimane soltanto qualche rudere, tra cui quelli del famoso tempio di Ptah, dove venivano
incoronati i faraoni. Davanti a un pilone del tempio, sorgevano due statue colossali di Ramses II.
Andiamo a vedere una delle statue, distesa in un grande capannone, menomata di una gamba e di
ambedue i piedi. L’altra è stata trasportata al Cairo e ubicata nella piazza della stazione.
Nel giardino attiguo c’è la Sfinge di Amonofis II, realizzata in un unico blocco di alabastro.
Dopo una breve sosta tra le baracche del mercatino, col pullman ci fermiamo nei pressi della
farmacia del centro abitato. Da quello che si vede fuori, si ha la sensazione che la gente viva in una
povertà impressionante. Le abitazioni e i negozi sono fatiscenti. Ai bordi della strada c’è di tutto,
vecchio e sgangherato. Una donna, col solo viso scoperto, sta cavalcando un asino bianco con un
carico di piante di granoturco ancora verdi. Un gruppo di ragazzini, malvestiti e sporchi, si
ammassano all’ingresso del nostro bus. Una signora del gruppo si avvicina e getta verso di loro
delle monetine. La rissa per il possesso di qualche cent è indescrivibile. Questo è l’Egitto dei nostri
giorni.
La sera, mentre stavamo passeggiando tra le luci e i splendori della capitale, pensavo a questi posti,
e a quella gente, che lotta per sopravvivere. Qui c’è veramente un abisso tra il tenore di vita della
borghesia e la stragrande maggioranza della popolazione.
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L’ultimo giorno, lunedì 2 giugno, rinunciamo alla balneazione in piscina per andare a visitare le
cinque piramidi di Dahshur, nel deserto, nei pressi di Sakkara. La prima, in mattoni crudi, è del
1840 a.C. Più a sud si trovano le altre piramidi del 1900 a.C. Tra queste c’è la cosiddetta ”piramide
rossa”. L’ultima è la famosa “piramide romboidale”, dalla forma particolare, ma la meglio
conservata della necropoli.
Dopo un prelibato pranzo al ristorante del “Movenpick”, nel pomeriggio, ci trasferiamo con i
bagagli all’aeroporto per il volo di rientro a Bologna. A notte inoltrata, siamo di ritorno a casa.
Sul Mar Rosso
L’interessante itinerario storico dell’Egitto mi aveva entusiasmato. Ma mi mancava la parte più
bella e naturalistica del paese: la costa del Mar Rosso, con le meravigliose barriere coralline.
Così, dopo un paio d’anni, ho deciso di ritornarci assieme a mia moglie. Avevo prenotato un
soggiorno di una settimana a Sharm el Sheikh, al “Coral Beach Montazan” nell’ottobre del 2010.
Alcuni amici, che conoscevano la zona, mi avevano consigliato questo hotel. Era sul mare, in una
zona tranquilla, distante una quindicina di chilometri dal centro. Qui, la barriera corallina era
ancora intatta, non deturpata dalle continue e devastanti incursioni dei turisti.
Partiamo nella tarda serata con un volo dall’aeroporto di Verona e arriviamo all’hotel con le prime
luci dell’alba. La struttura alberghiera è di recente costruzione. Dislocata in diversi padiglioni, fra
giardini fioriti, bouganville e palme, si estende sopra un promontorio. Da qui, si gode una vista
spettacolare verso l’azzurro del mare. Abbiamo chiesto una camera vicino alla spiaggia. Davanti c’e
una piscina, poi la sabbia fine, color oro. Gli ombrelloni sono fissi, di legno, col tettuccio conico di
foglie di palma secche intrecciate. Subito dopo, c’è l’acqua cristallina del mare. Un pontile
galleggiante, chiamato jetty, porta i bagnanti sopra la barriera corallina, denominata reef.
Di fronte, a est, si vede a occhio nudo l’arido promontorio desertico della costa araba.
Il Mar Rosso si sviluppa lungo una sezione
settentrionale della massiccia faglia che separa la
placca tettonica africana da quella asiatica, chiamata
“Great Rift Valley”. Si estende dalla valle del
Giordano, attraversa il Mar Morto e prosegue per
migliaia di chilometri fino ad arrivare in
Mozambico. Il mare occupa circa due mila
chilometri di questa enorme fenditura, comunicante
con l’Oceano Indiano. A nord, attraverso la
costruzione del canale di Suez, il Mar Rosso è stato
collegato al Mare Mediterraneo. Sulla sponda
occidentale, oltre l’Egitto, bagna il Sudan e
l’Etiopia; su quella orientale, l’Arabia Saudita e lo
Yemen. Noi ci troviamo sulla costa orientale della penisola del Sinai, alcuni chilometri più in alto,
da Sharm verso Dahab.
Nonostante la stanchezza, dopo il viaggio notturno, avevo deciso di mettermi in costume da bagno
per godermi la mia prima barriera corallina. Le affascinanti formazioni coralline, che rendono così
celebre e incantevole questo mare, ospitando una ricca e colorata fauna marina, rappresentano
un patrimonio naturale impareggiabile. Esplorarlo con maschera e pinne è un’esperienza che avevo
sempre desiderato fare. Per la sua ricchezza faunistica e la bellezza dei suoi fondali, questo mare è
stato definito dagli arabi “il giardino di Allah”.
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Qui, la conformazione corallina si estende, da pochi metri dalla riva, fino alla barriera. Il livello del
mare è quindi molto basso e la balneazione può avvenire solo oltre la barriera stessa, in mare aperto.
Alla fine del pontile, il blu del mare, leggermente increspato, assume una tonalità molto forte. Per
entrare in acqua è indispensabile servirsi delle apposite scalette. L’acqua cristallina, molto ricca di
sale, mi sostiene a galla; è calda e trasparente e il sole riesce a penetrare fino in profondità. Mi
lascio trasportare, mi affido alla sua corrente lenta. Il mio primo sguardo sulla parete della barriera
è emozionante. Uno scenario coloratissimo: un giardino di coralli viola, che si lasciano cullare
dalle correnti del fondale; si alternano, sovrastano e si nascondono sotto coralli bianchi, rosa e
arancione. Centinaia di pesci meravigliosi, dai colori sgargianti, dalle dimensioni e forme diverse, si
muovono lentamente. Tra i pesci che abitano la barriera corallina di queste acque, i più conosciuti
sono: la cernia, la murena, il pesce napoleone, e poi i pesci: angelo, leone, farfalla, pappagallo e
pagliaccio.
Quando sono ritornato in camera, ho potuto constatare che il mio primo snorkeling era durato la
bellezza di due ore. Il tempo era volato, travolto da tanta meraviglia. Per una settimana, ogni
mattina, al risveglio, prendevo pinne e maschera con boccaglio, e mi immergevo nell’acquario, tra
pesci e coralli. Un’esperienza fantastica e indimenticabile.
Al “Coral Beach Montazan” abbiamo prolungato la nostra estate. Il sole tramontava presto, dietro
il promontorio e la temperatura diventava più
sopportabile e gradevole. Il trattamento “all
inclusive” prevedeva l’utilizzo dell’attrezzatura da
spiaggia e il libero consumo di bevande analcoliche.
Il ristorante offriva un servizio buffet ben fornito,
molto assortito, con piatti di qualità. A quattro passi
dalla nostra abitazione, a fianco della piscina, c’era il
Sharks Bay Restaurant e, qualche sera, abbiamo
voluto provare le sue specialità a base di pesce.
Abbiamo trascorso delle serate tranquille e
divertenti, sotto le stelle, per assistere a giochi,
spettacoli teatrali, musica e balli sulla spiaggia.
Solo l’ultima sera siamo usciti per partecipare all’escursione in pullman per Naama Bay. Rinomata
per la sua barriera corallina, la località è un’ambita meta turistica, frequentata ogni anno da migliaia
di visitatori. Le acque della sua baia sono ideali per fare snorkeling e immersioni. Naama Bay, che
si trova all’estremità sud della penisola, è la zona sul versante egiziano del Mar Rosso con la
maggiore densità di alberghi e villaggi turistici. E’ famosa anche per la sua vita notturna, per i
negozi e i centri commerciali che sorgono nei pressi della via principale.
Nel 2005, una serie di attacchi terroristici suicidi aveva preso di mira il centro di Naama Bay
provocando a molte vittime e sconvolgendo il turismo locale.
Per prima cosa, la nostra guida ci ha portato a vedere la moschea. Non è possibile accedere al suo
interno, ma si possono scattare foto dai due portoni principali. E' una moschea di recente
costruzione, con un alto minareto illuminato e belle colonne di marmo di Carrara, dedicata al capo
di stato egiziano Mubarak. L'interno è elegante, con pietre preziose, ori e dipinti.
Poi siamo andati a passeggio lungo il Boulevard Principe del Bahrain, tra bar con tavolini e divani
all’aperto, dove centinaia di persone siedono, bevendo bibite o fumando il narghilé. Qui, luci e
suoni si mescolano fino a notte tarda.
Con la partenza del volo di ritorno, lasciamo definitivamente il calore dell’Egitto. Di Sharm el
Sheikh rimane il ricordo delle incantevoli meraviglie del fondo marino.
L’itinerario storico, lungo il fiume Nilo e nella capitale è stata un’esperienza affascinante, che
consiglio a tutti di fare.
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