Basilea III nell`Unione Europea - Dipartimento di Studi aziendali e

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Basilea III nell`Unione Europea - Dipartimento di Studi aziendali e
BASILEA 3 NELL’UNIONE EUROPEA
Elisabetta Montanaro
A.A. 2016-17
PARTE I
IL QUADRO DI SINTESI DEGLI STRUMENTI PRUDENZIALI
1. LE PRINCIPALI CRITICITÀ DI BASILEA 2 ALLA LUCE DELLA CRISI
FINANZIARIA DEL 2007-2009
La recente crisi finanziaria ha reso evidenti le vulnerabilità dei sistemi finanziari dovute
soprattutto ad una non corretta valutazione e copertura dei rischi da parte delle banche e
degli altri intermediari. Alle responsabilità delle banche, dei loro azionisti e manager si sono
associate ampie criticità dell’impianto regolamentare di Basilea. Esse hanno contribuito a
creare gli incentivi e le condizioni in cui gli squilibri gestionali delle banche si sono
consolidati, mentre la vigilanza è stata incapace di prevenirli e correggerli tempestivamente.
Il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria (BCBS) con le nuove regole sull’adeguatezza
patrimoniale e di liquidità emanate nel 20101 ha inteso correggere alcuni fra i principali
difetti della regolamentazione prudenziale messi in evidenza dalla crisi, dotando nel
contempo le autorità di vigilanza di poteri più incisivi per il controllo delle banche.
Basilea 3 non solo rende più severa la disciplina del capitale dettata dal primo pilastro di
Basilea 2, ma introduce anche regole nuove, fra cui requisiti prudenziali sulla liquidità e sul
leverage.
 Capitale delle banche
La severità della crisi finanziaria è imputabile in larga misura al fatto che in molti paesi le
banche avevano assunto rischi eccessivi senza un proporzionale incremento del livello di
capitalizzazione. A questo si deve aggiungere che il capitale era in larga misura di qualità
insufficiente dal punto di vista della capacità di assorbimento delle perdite sia on a going sia
on a gone concern.
 Leverage
I requisiti di capitale rapportati all’attivo ponderato per il rischio non hanno frenato la
crescita del leverage delle banche, per le ampie divergenze fra volume dell’intermediazione
e attività ponderate per il rischio consentite soprattutto dai modelli più avanzati di
misurazione del rischio. L’eccesso di leverage ha implicazioni sia sulla solvibilità della
singola banca sia a livello sistemico.
 Misura e copertura dei rischi
I criteri di calcolo dell’esposizione e dei coefficienti di ponderazione definiti da Basilea
sottovalutavano i rischi degli impieghi di natura finanziaria (in particolare, con riferimento
1
Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, Basilea 3. Schema di regolamentazione internazionale per il
rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari, dicembre 2010 (aggiornamento al giugno 2011).
1
alle esposizioni del trading book, al rischio di controparte, alle cartolarizzazioni e a varie
operazioni fuori bilancio). Il trattamento privilegiato delle attività finanziarie in termini di
assorbimento di capitale era basato sull’ipotesi che i mercati in cui sono trattate queste
attività fossero costantemente liquidi ed efficienti. La fragilità di questa ipotesi è stata
dimostrata dalla crisi: un’aliquota rilevante delle perdite subite dalle banche e dagli altri
intermediari è derivata proprio dalle attività di mercato. Anche il rischio di molte poste fuori
bilancio era stato sottovalutato. In particolare, le banche e i regolatori non avevano
adeguatamente valutato il rischio di “re-intermediazione” delle esposizioni fuori bilancio,
ossia il rischio che queste operazioni si possano trasformare in attivi per cassa di bassa
qualità in situazioni di stress dei mercati, com’è avvenuto per gli impegni a concedere
liquidità ai veicoli (SPV) nei processi di cartolarizzazione2.
 Liquidità
Durante gli anni precedenti la crisi, molte banche si erano abituate a operare con uno
sbilancio di scadenze e di valute molto consistente e con margini ridotti di disponibilità
liquide, confidando nella costante possibilità di approvvigionarsi di liquidità sul mercato
facilmente e a costi contenuti. All’esplodere della crisi, per effetto della perdita di fiducia
nella liquidità delle banche, l’offerta di risorse liquide delle controparti di mercato si è
ridotta drasticamente, generando severi problemi di funding e obbligando le banche centrali
ad erogare volumi consistenti di credito di emergenza.
 Profili macro-prudenziali
Uno dei principali limiti del modello di regolamentazione prudenziale di Basilea è l’ottica
micro-prudenziale, come se garantire la solvibilità della singola banca equivalesse a
garantire la stabilità del sistema bancario come aggregato. La crisi ha dimostrato che un
approccio solo micro-prudenziale non è sufficiente a correggere i fattori di vulnerabilità
sistemica. I principali fattori di rischio sistemico non adeguatamente coperti da Basilea 2
sono: la pro-ciclicità3, ossia la tendenza delle banche, in larga misura per effetto della
regolamentazione del capitale, a comportarsi in modo da amplificare le fasi cicliche
dell’economia; la interconnessione, ossia la concentrazione di rischi all’interno di settori del
sistema finanziario (banche e altri intermediari, come le società di assicurazione) fra loro
E’ molto frequente che la banca originante accordi al veicolo (acquirente dei crediti cartolarizzati ed emittente
degli ABS) linee di credito (liquidity facilities) che hanno una duplice finalità: migliorare il giudizio sul merito
creditizio delle emissioni (credit enhancement); fornire al veicolo un vero e proprio supporto creditizio da
utilizzare quando le scadenze dei pagamenti sugli ABS non coincidano con i flussi finanziari (per interessi e
rimborsi di capitale) prodotti dal portafoglio cartolarizzato. In pratica le due finalità tendono spesso a
sommarsi: infatti, qualora il veicolo abbia difficoltà a collocare i titoli, utilizza le linee di credito dell’originante,
ritrasferendo a carico della banca i rischi del portafoglio ceduto. Basilea 2 sottovalutava questo “rischio di reintermediazione”, prevedendo per le linee di credito con finalità di credit enhancement e con scadenza breve
fattori di conversione (coefficienti di equivalente creditizio) molto bassi (20%).
3 Basilea 2 aveva in realtà già previsto una serie di presidi contro l’eccessiva ciclicità dei requisiti patrimoniali
minimi, fa cui: l’obbligo di utilizzare serie storiche di lungo periodo per stimare la PD; l’introduzione di
stime della LGD in condizioni economiche avverse (la cosiddetta downturn LGD); l’associazione inversa fra
PD e coefficiente di correlazione R nel modello adottato per il calcolo dei requisiti di capitale con i metodi
IRB.
2
2
legati da contratti di scambio e di copertura dei rischi 4; i fenomeni di azzardo morale
originati da banche divenute di dimensioni troppo grandi - e troppo interconnesse fra di
loro - per essere lasciate fallire. La rilevanza sistemica delle banche implica che, in caso di
crisi, il loro fallimento deve essere evitato con interventi a carico dei bilanci pubblici.
L’effetto è di trasferire dagli azionisti ai contribuenti i costi dei salvataggi delle banche too
big and too interconnected to fail.
2. BASILEA 3 NELLA REGOLAMENTAZIONE EUROPEA – La CRDIV/CRR
Obiettivi principali di Basilea 3 sono rafforzare la regolamentazione micro-prudenziale delle
banche e ridurre i rischi sistemici, con meccanismi di controllo macro-prudenziale. In
Europa, la riforma della regolamentazione prudenziale introdotta per implementare Basilea
3 si propone di conseguire gli stessi obiettivi, ma con varie specificità: esse si spiegano in
particolare:
- Per il fatto nell’UE la regolamentazione di Basilea si applica a tutte le banche e le
imprese di investimento5, e non solo alle grandi banche internazionali;
- Per il fatto che, all’interno dell’UE, le caratteristiche dei diversi sistemi finanziari
nazionali sono molto diverse, in termini di dimensioni, modelli di business, rilevanza
per l’economia reale e per le minori imprese. Queste specificità nazionali comportano
che le regole decise dall’UE siano spesso frutto di compromessi tra le posizioni dei
diversi Paesi e che siano previsti ampi margini di discrezionalità per le
regolamentazioni nazionali.
La regolamentazione che implementa Basilea 3 nell’UE è contenuta in una Direttiva (la
CRDIV) e in un Regolamento (CRR), entrambi del giugno 2013, con entrata in vigore dal
gennaio 2014. La Direttiva deve essere recepita dalle autorità nazionali con specifiche norme
di legge: contiene le regole sulla vigilanza prudenziale, in linea con quanto previsto dal
Comitato di Basilea e dagli altri regolatori internazionali, fra cui il Financial Stability Board.
I destinatari delle norme della Direttiva sono prevalentemente le autorità di vigilanza
nazionali. Il Regolamento (Capital Requirements Regulation) è invece immediatamente
applicabile senza la necessità di leggi nazionali di recepimento: contiene tutti i principali
profili della nuova regolamentazione sul capitale a cui le banche e le imprese di
investimento con sede legale nell’UE sono assoggettate.
Per vari contenuti della disciplina prudenziale del pacchetto CRDIV/CRR è previsto che le
Autorità di Vigilanza Europee, in particolare l’EBA (Autorità Bancaria Europea), emanino
Un esempio d’interconnessione che è divenuto famoso è la storia del salvataggio della American International
Group (AIG). Alla fine di giugno del 2008, AIG deteneva un’esposizione pari a circa metà di un trilione di
dollari come venditore di protezione mediante credit default swaps (contratti che garantiscono l’acquirente di
protezione contro il default o la ristrutturazione di obbligazioni). Tale esposizione comportava una ingente
concentrazione di rischio di credito presso un unico intermediario che non aveva le risorse di capitale per far
fronte alle potenziali perdite. Quando scoppiò la crisi, dopo il fallimento di Lehman, AIG subì perdite ingenti
e fu oggetto di salvataggio da parte del governo USA, per evitare che la sua insolvenza si trasmettesse a tutti
gli intermediari ai quali aveva venduto protezione.
5 Si ricorda che le imprese di investimento sono gli intermediari mobiliari (in Italia, sono le SIM), i
broker/dealers e le banche di investimento.
4
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specifiche norme di attuazione, vincolanti per tutti i Paesi dell’UE. In più, per i Paesi
dell’area euro, che fanno parte del Meccanismo Unico di Vigilanza, l’implementazione della
regolamentazione prudenziale avviene mediante provvedimenti della Banca Centrale
Europea.
La disciplina prudenziale per le banche è quindi definita dalle norme di legge e dalle regole
delle autorità di vigilanza, a livello europeo, nazionale, e specifico (per la singola banca
nell’ambito del II Pilastro o per gruppi di banche, per finalità macro-prudenziali).
Per vari requisiti prudenziali è prevista una fase di transizione (grandfathering): cfr. Tav. 1.
Inoltre, fino al termine del periodo di transizione, gli strumenti di capitale ammessi da
Basilea 2 e non più consentiti da Basilea 3 sono eliminati solo progressivamente. Lo stesso
vale per molte delle deduzioni.
Il requisito minimo di capitale complessivo (Minimum Total Capital), l’8% dell’attivo di
rischio ponderato (ARP), è uguale a quello previsto Basilea 2. Tuttavia, per le banche il
fabbisogno di capitale per rispettare l’8% è aumentato: in altre parole, l’8% dell’ARP per
Basilea 3 implica un fabbisogno di capitale maggiore dell’8% dell’ARP per Basilea 2. Questo
è dovuto sia alla eliminazione di alcune componenti di debito ammesse in passato nel
patrimonio di vigilanza sia alle nuove deduzioni sia alle modifiche dei parametri in base ai
quali l’ARP è calcolato. Queste modifiche hanno comportato per le banche europee un
incremento del fabbisogno di capitale regolamentare più che triplicato rispetto alla
precedente disciplina.
TAV. 1 – Fasi di transizione per l’implementazione di Basilea 3
4
La successiva Tav. 2 presenta una sintesi dei principali interventi/strumenti prudenziali
previsti nella CRDIV/CRR.
Tav. 2
OBIETTIVI SPECIFICI
1. Accrescere la quantità del capitale
(obiettivi micro-prudenziali)
2. Migliorare la qualità del capitale
(obiettivi micro-prudenziali)
3. Buffer di capitale (Obiettivi macro e
micro-prudenziali):
Ridurre la pro-ciclicità della regolamentazione
del capitale. Contenere la crescita del credito
che può generare bolle speculative. Coprire i
rischi sistemici. Aumentare la capitalizzazione
delle banche sistemiche.
6
INTERVENTI/STRUMENTI
CRDIV/CRR
Nuove soglie minime del Primo Pilastro
rispetto a quelle previste da Basilea 2.
Ricomposizione del capitale a favore del
Common Equity (CET1); adozione di criteri più
stringenti per la computabilità degli strumenti
ibridi
nel
patrimonio
di
vigilanza;
armonizzazione delle deduzioni.
Per ciascuna banca i requisiti minimi di
capitale sono determinati in base al I Pilastro
(con riferimento ai rischi di credito/controparte,
di mercato e operativo), a cui si aggiunge
l’eventuale maggiorazione (add-on) di capitale
richiesta dalla autorità di vigilanza in base alle
valutazioni condotte nell’ambito dello SREP6.
In aggiunta a questi requisiti minimi, la banca
deve detenere una serie di riserve di capitale
(buffer) aggiuntive, da costituire mediante
strumenti di qualità primaria (CET1). Il
mancato rispetto di questi buffer nella misura
massima prevista comporta vincoli alla
distribuzione dei dividendi, cedole su AT1 e al
pagamento di bonus ai dipendenti:
- buffer di conservazione del capitale,
(Obbligatorio per tutte le banche perché
previsto da Basilea 3).
- Nei periodi di espansione eccessiva del
credito all’economia, alle banche può
essere richiesto un addizionale buffer
anticiclico (a discrezione delle autorità
di vigilanza nazionali, per tutte le
banche). Anche questo buffer è previsto
da Basilea 3.
- Per le banche classificate come
sistemiche a livello globale o domestico
sono previsti buffer di capitale per le
Cfr. Parte II
5
banche sistemiche (Obbligatori per
tutte le G-SIBs, perché previsto da
Basilea 3)7.
- Possono essere previsti, su decisione
delle
autorità
nazionali,
buffer
sistemici per la copertura di rischi
sistemici (a discrezione delle autorità
nazionali, per tutte le banche o per
determinate categorie). Questo buffer
non è stabilito da Basilea 3, ma è
un’opzione prevista dalla CRDIV/CRR.
L’insieme dei requisiti di capitale con natura di
buffer è definito requisito combinato di riserva
di capitale (combined buffer). Il combined buffer
è la somma del buffer di conservazione, del
buffer anticiclico – se applicato – e del maggiore
fra il buffer per le banche di rilevanza sistemica
e del buffer sistemico.
4. Aumento della copertura dei rischi Aumento dei requisiti patrimoniali per il
(RW)
rischio di mercato e il rischio di controparte, per
(Obiettivi micro-e macro-prudenziali)
le cartolarizzazioni e per le operazioni fuori
bilancio (Obbligatori per tutte le banche).
Aumento dei coefficienti di ponderazione di
specifiche categorie di prestiti (es. mutui
residenziali) (a discrezione delle autorità
nazionali, per finalità di tipo macroprudenziale).
Opzione
prevista
dalla
CRDIV/CRR.
5. Coefficiente di leverage (leverage ratio)
(Obiettivi micro- e macro-prudenziali)
Livello minimo del 3% del coefficiente di
leverage, calcolato come rapporto fra il T1 e
l’attivo non ponderato, comprensivo delle
poste fuori bilancio. Tale vincolo è previsto da
Basilea 3. Il leverage ratio verrà incluso nelle
regole del Primo Pilastro dal 2018.
Vincoli sul livello del leverage possono essere
imposti per finalità micro- o macro-prudenziale
nell’ambito del II Pilastro.
Nel linguaggio del Comitato di Basilea si parla di G-SIBs, (Global Systemically Important Banks), perché il
riferimento è alle banche globali di rilevanza sistemica. Nella CRDIV/CRR si parla di SIFIs (Systemically
Important Financial Institutions), ossia di istituzioni finanziarie sistemiche (non necessariamente banche e non
necessariamente multinazionali); di G-SIIs (Global Systemically Important Institutions), che sono banche e
imprese finanziarie multinazionali di rilevanza sistemica; di O-SIIs (Other Systemically Important Institutions),
che sono banche e imprese finanziarie di rilevanza sistemica a livello nazionale. Questa infelice confusione
terminologica comporta talora problemi di trasparenza regolamentare, dato che non è spesso facile
ricondurre una banca alla specifica categoria secondo Basilea e secondo la CRDIV/CRR.
7
6
6. Requisiti a fronte del rischio di
liquidità (funding e market) e degli
squilibri di scadenze fra attivo e
passivo
(obiettivi micro- e macro-prudenziali)
7. Limiti alle grandi esposizioni
(rischio di concentrazione e
interconnessione)8: obiettivi micro-e
macro-prudenziali
Introduzione di due regole quantitative sulla
liquidità: 1) un indicatore di breve termine,
liquidity coverage ratio (LCR); 2) un indicatore
strutturale, net stable funding ratio (NSFR)
(saranno obbligatori per tutte le banche quando
migreranno nel I Pilastro). Tali vincoli sono
previsti da Basilea 3.
Vincoli di liquidità possono essere previsti per
finalità micro- o macro-prudenziali nell’ambito
del II Pilastro.
Le grandi esposizioni verso una singola
controparte o un gruppo di controparti
connesse sono quelle pari o superiori al 10%
del capitale della banca. La somma di tutte le
grandi esposizioni di una banca verso singole
controparti o gruppi di controparti fra loro
connesse non può essere superiore del 25% del
capitale della banca, misurato come T1. Questa
soglia è fissata al 15% per le esposizioni di una
G-SIBs verso un’altra G-SIBs. Le esposizioni
sono calcolate con riferimento sia al banking
book sia al trading book e i derivati. Sono
previste esenzioni per specifici strumenti
(covered bonds), per specifiche controparti (stati
sovrani) e per le esposizioni interbancarie
infra-giornaliere derivanti dai sistemi di
pagamento e compensazione. Sono consentite
le forme di mitigazione delle esposizioni
previste per il calcolo dei requisiti di capitale.
Il rischio di concentrazione deve essere inoltre
coperto con capitale nell’ambito del II Pilastro.
3. STRUMENTI MICRO- E MACRO-PRUDENZIALI: PREVISTI DA CRDIV/CRR E/O
A DISCREZIONE DELLE AUTORITÀ NAZIONALI
Come risulta dalla precedente Tav. 2, vari strumenti possono avere obiettivi sia micro- sia
macro-prudenziale. Gli obiettivi sono micro-prudenziali se lo strumento intende ridurre la
probabilità e i costi dell’insolvenza delle banche. Sono invece macro-prudenziali se lo
strumento è utilizzato per far fronte a rischi sistemici che possono compromettere non
tanto la solvibilità della singola banca, ma la stabilità dell’intero sistema bancario e
finanziario. I rischi sistemici nascono in particolare: dalla pro-ciclicità del comportamento
delle banche e degli altri intermediari finanziari, che crea un accumulo di rischi nelle fasi
favorevoli del ciclo; dal trasferimento (o contaminazione) di rischi fra le banche e gli altri
intermediari derivanti dai nessi di connessione reciproci. Le politiche macro-prudenziali
8
La disciplina europea è ancora in fase di completamento. Quella riportata fa riferimento alle indicazioni del
Comitato di Basilea del 2014, che valgono solo per le banche attive a livello internazionale.
7
sono attivate dalle autorità che hanno la responsabilità del controllo di stabilità macroprudenziale: tali autorità possono essere le stesse che hanno il compito degli interventi di
vigilanza tradizionali (micro-prudenziali), ma possono essere anche autorità diverse. 9
Per il settore bancario, i principali obiettivi intermedi10 delle politiche macro-prudenziali
sono quelli di limitare:
- Eccessiva crescita del credito e leverage: l’eccessiva crescita del credito, amplificata
dal leverage, è stata la causa delle bolle speculative sui prezzi degli attivi e in
particolare di quelli immobiliari, che in passato sono stati fra i fattori determinanti
della crisi.
- Eccessiva trasformazione delle scadenze e illiquidità dei mercati: una eccessiva
dipendenza delle banche da raccolta volatile e a breve termine può generare la
necessità di svendita degli attivi (fire sale), quindi illiquidità dei mercati (market
liquidity risk) e processi di contagio quando il ciclo si inverte;
- Concentrazione delle esposizioni: la concentrazione delle esposizioni in alcuni
comparti del sistema finanziario li rende vulnerabili a shocks comuni, sia
direttamente, attraverso le esposizioni in bilancio, sia indirettamente per effetto
degli effetti di contagio;
- Incentivi inappropriati e azzardo morale: ciò include i rischi associati alle
istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica e il ruolo delle garanzie implicite dei
governi.
Strumenti Macro-prudenziali previsti dalla CRDIV/CRR:
- Buffer anticiclico, leverage ratio, buffer sistemico;
- Vincoli di liquidità (in particolare il NSFR);
- Vincoli addizionali alle grandi esposizioni e requisiti addizionali di capitale sulle
esposizioni fra intermediari: per ora tali strumenti, pur previsti, non stati ancora
definitivamente regolamentati;
- Buffer per le G-IIs
Strumenti macro-prudenziali non previsti dalla CRDIV/CRR
- Limiti quantitativi al rapporto fra l’ammontare dei mutui immobiliari e il valore
degli immobili dati in garanzia (Loan-to-value ratio, LTV); limiti quantitativi fra
l’ammontare dei prestiti e il reddito disponibile degli affidati (loan-to-income ratio,
LTI).
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Nell’area euro, nell’ambito del Meccanismo Unico di Supervisione, le autorità responsabili della vigilanza
macro-prudenziali sono quelle nazionali, ma la ECB ha il diritto di applicare, se lo ritenga opportuno,
strumenti più restrittivi di quelli adottati dalle autorità nazionali per quanto concerne specificamente quelli
previsti dalla CRDIV/CRR. Gli strumenti macro-prudenziali non previsti dalla CRDIV/CRR sono invece di
esclusiva competenza delle autorità di vigilanza macro-prudenziali nazionali, che hanno comunque
l’obbligo di darne informazione alle autorità europee (il Comitato Europeo per il Rischio Sistemico, European
Systemic Risk Board, ESRB; e, in alcuni casi, la Commissione Europea).
Si parla di obiettivi intermedi perché a ciascuno di essi sono collegati specifici strumenti. L’obiettivo finale
è la stabilità finanziaria.
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8
4. BUFFER DI CAPITALE
Le riserve di capitale aggiuntive rispetto ai minimi regolamentari (buffer) hanno l’obiettivo
di dotare le banche di mezzi patrimoniali di elevata qualità addizionali rispetto ai minimi,
utilizzabili per la copertura delle perdite prima che queste erodano i requisiti minimi. Il
buffer di conservazione del capitale è obbligatorio per tutte le banche. In aggiunta a questo,
tutte le banche classificate come sistematicamente rilevanti devono tenere un ulteriore
buffer, variabile secondo le loro caratteristiche. A discrezione delle autorità nazionali,
possono inoltre essere prescritti per tutte le banche del Paese due ulteriori buffer: quello
anticiclico e quello sistemico. I buffer sono costituiti da CET1 e si commisurano all’ARP.
L’insieme dei buffer di capitale costituisce il requisito combinato di riserva di capitale
(combined buffer). Il mancato rispetto del combined buffer comporta:
- limiti alla distribuzione dei profitti sotto forma sia di remunerazioni discrezionali
del capitale sia di compensi ai dirigenti per la quota variabile legata agli utili (cfr. 4.V,
AMD)
- l’obbligo di dotarsi di un piano di conservazione del capitale o di
ricapitalizzazione. Esso deve indicare le misure che la banca intende adottare per
ripristinare, entro un congruo termine, il livello di capitale necessario a mantenere le
riserve di capitale richieste, ed è soggetto all’approvazione dell’autorità di vigilanza.
Si attivano contemporaneamente interventi di vigilanza particolarmente incisivi,
specie se la banca non realizza utili sufficienti o, peggio, se è in perdita (soglia di
allarme preventivo).
Il buffer combinato costituisce uno strato di capitale addizionale che le banche devono
detenere per far fronte a rischi sistemici, macro-prudenziali e di altro tipo non coperti dai
requisiti tipicamente idiosincratici (micro-prudenziali) del I e del II Pilastro, che si collocano
al di sotto del buffer combinato nell’assorbimento delle perdite. Il mancato rispetto di una
o più componenti del buffer combinato ha implicazioni meno gravi di una carenza dei
requisiti minimi del I e II Pilastro, la cui violazione pone la banca ufficialmente in uno stato
di crisi, assoggettandola a interventi molto incisivi da parte dell’autorità di vigilanza – fino
alla messa in risoluzione o alla revoca della autorizzazione ad operare e la liquidazione. Ciò
nonostante, non disporre del buffer combinato nella misura necessaria può essere
consentito, come si è detto, solo temporaneamente: le regole sulla restrizione nella
distribuzione degli utili che scattano automaticamente e le eventuali altre misure
prudenziali hanno appunto la finalità di vincolare le banche a ricostituire i buffer prescritti,
qualora essi siano stati in tutto o parzialmente erosi da perdite.
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Lo schema riportato11 mostra i requisiti di CET1 distinti fra quelli minimi del I e del II
Pilastro e quelli relativi al rispetto dei buffer: di conservazione, anticiclico, per le banche di
rilevanza sistemica e il buffer sistemico. Il buffer di conservazione è, come vedremo, l’unico
previsto per tutte le banche: quindi il buffer combinato è almeno pari al buffer di
conservazione, ossia al 2,5% dell’ARP.
La posizione delle diverse fasce di CET1 riflette anche l’ordine in cui esse assorbono le
perdite.
11
BCE (2015), Metodologia SREP dell’MVU
10
4.I – Riserva di conservazione del capitale (Capital Conservation Buffer, CCB)
Questo buffer ha l’obiettivo di vincolare le banche a detenere un eccesso di capitale rispetto
ai minimi regolamentari: il suo obiettivo è quello di coprire perdite che si dovessero
verificare in condizioni di stress, evitando che le stesse vadano ad intaccare i requisiti
minimi di capitale per il I e il II Pilastro. Se questo buffer non è costituito nella misura
prevista e/o viene assorbito dalle perdite, le banche devono reintegralo in tempi adeguati e
sono soggette a vincoli nella distribuzione dei profitti. Tali vincoli sono determinati secondo
i criteri previsti per il calcolo dell’Ammontare Massimo Distribuibile (cfr. ultra, 4.V).
Il CCB introdotto da Basilea 3 dovrà essere, a regime, pari al 2,5% dell’ARP ed è costituito
da CET1. 12 Come consentito da Basilea 3, anche in Europa è previsto che il CCB possa essere
costituito dalle banche gradualmente (CCB phased-in) con inizio nel 2016 nella misura dello
0,625%, e incrementi progressivi dello 0,625% in ciascuno tre anni successivi, fino ad
arrivare alla misura integrale del 2,5% (CCB fully loaded) nel 2019. Tuttavia, varie autorità di
vigilanza nell’UE, tra cui la Banca d’Italia e la Banca Centrale Europea nel Meccanismo
Unico di Vigilanza, si sono avvalse dell’opzione di prescrivere, nell’ambito dello SREP, la
costituzione del buffer di conservazione nella misura piena del 2,5% già dal gennaio 2016. 13
4.II – Riserva di capitale anticiclica (Countercyclical Buffer)
Questo buffer è uno strumento macro-prudenziale che ha lo scopo di tutelare il settore
bancario dalle perdite potenziali a cui esso può essere esposto per effetto di una eccessiva
crescita del credito, che nelle fasi cicliche espansive crea una accumulazione di rischi
sistemici. Esso intende quindi ridurre i rischi sistemici derivanti dalla pro-ciclicità del
sistema bancario e le sue conseguenze negative per l’economia reale.
Il buffer anti-ciclico funziona come un’estensione temporanea del buffer di conservazione.
La disciplina prevede infatti che le banche operanti in un determinato paese dovranno
detenere CET1 in eccesso rispetto ai minimi e al buffer di conservazione, quando in quel
paese si registri un’espansione eccessiva del credito, giudicata anomala in base ad un
complesso di indicatori (divario fra tasso di crescita del credito e tasso di crescita del Pil, ma
anche incremento eccessivo dei prezzi degli immobili e delle attività finanziarie, eccessivo
Il CET1 deve essere utilizzato in via prioritaria per soddisfare i requisiti patrimoniali minimi - inclusi quelli
relativi al T1 ratio del 6% e del Total Capital Ratio dell’8% se necessario, nonché quelli eventualmente richiesti
dalle autorità di vigilanza nell’ambito dello SREP- prima di poter contribuire al rispetto alle riserve aggiuntive
di capitale. Ad esempio, una banca con un CET1 pari all’8% e con AT1 e T2 pari a zero, soddisferebbe i requisiti
minimi, ma avrebbe un CCB pari a zero: quindi sarebbe soggetta a un vincolo del 100% alla distribuzione dei
profitti.
13 La decisione di imporre nell’ambito dello SREP un buffer di conservazione fully loaded (pari al 2.5%)
adottata nell’esercizio SREP 2015 dalla Banca Centrale Europea per le banche direttamente vigilate sarà
tuttavia modificata a partire dal dicembre 2016. Le banche che dispongono di una riserva di conservazione
del capitale nella misura prevista per la fase transitoria (lo 0,625% nel 2016 e incrementi successivi dello
0,625% fino al 2019) non dovranno presentare un piano di conservazione del capitale né saranno soggette al
vincolo dell’AMD, ma potranno distribuire dividendi solo nella misura in cui sia garantito come minimo un
percorso lineare verso il raggiungimento dei requisiti patrimoniali a regime. Il che significa, in pratica,
adottare un tasso annuo di conservazione del capitale pari a quello necessario per colmare, entro i tre anni
che restano fino al 2019, la differenza fra riserva di conservazione del capitale nella misura della fase
transitoria e quella richiesta a regime. Analoga decisione è stata adottata dalla Banca d’Italia per le banche
da essa direttamente vigilate.
12
11
indebitamento delle famiglie e/o delle imprese etc.). Il buffer è espresso in termini di CET1
ratio: può variare fra lo zero (nessun eccesso di credito) e il 2,5% 14 e si modifica in funzione
inversa all’andamento del ciclo. Il che significa che il buffer da detenere aumenta nella fase
espansiva, si riduce o si azzera in condizioni di normalità o in recessione. In presenza di una
crescita del credito superiore a quella giudicata adeguata per l’economia, la necessità di
costituire il buffer comporta per le banche un maggior fabbisogno di capitale, anche se i
parametri di rischio dei finanziamenti sono giudicati in riduzione. Tale fabbisogno si riduce
o si azzera quando la dinamica del credito rallenta, ed è più probabile che si manifestino
perdite per insolvenze, che saranno coperte dal buffer accumulato nella fase precedente.
Per effetto del buffer anticiclico la banca può restare in condizioni di capitalizzazione
adeguata non ostante le maggiori perdite che subisce nella fase di recessione: il che consente
di contenere i processi di deleveraging dannosi per l’economia reale. La responsabilità di
imporre alle banche di un paese l’obbligo di costituzione del buffer anticiclico spetta alle
autorità nazionali competenti della vigilanza macro-prudenziale. 15
4.III – Riserva di capitale per le banche di rilevanza sistemica (G-SIIs/ O-SIIs buffer)
Come previsto da Basilea 3, le banche e le altre istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica
globale (G-SIIs) devono detenere un buffer addizionale di CET1, compreso fra l’1% e il 3,5%
dell’ARP in funzione della classe di rilevanza sistemica in cui la banca sia collocata. 16 Questo
buffer serve per tener conto dei maggiori rischi che le banche di rilevanza sistemica
pongono per il sistema finanziario nonché del potenziale impatto che una loro insolvenza
può generare per i contribuenti e i risparmiatori.
La CRDIV/CRR prevede che i buffer per gli intermediari finanziari sistemici si applichino
non solo alle G-SIIs, definite tali in quanto incluse in una lista redatta annualmente dal
Financial Stability Board a livello mondiale – ma anche alle banche considerate sistemiche
per uno specifico Paese (Other systemicall important institutions- O-SIIs). Anche per le O-FIIs
che non siano già incluse nell’elenco delle G-SIIs è previsto un buffer di CET1, con un
massimo pari al 2%, applicabile progressivamente (phase-in) dal 2016 e a regime nel 2019
(quindi con incrementi del 25% all’anno). 17
La CRDIV/CRR prevede che le autorità di vigilanza nazionali, in particolari condizioni, possano imporre
buffer anche superiori al 2,5% di ARP se ciò sia considerato necessario in relazione allo specifico contesto
macroeconomico. Il buffer anticiclico opera a livello nazionale e si applica sia alle banche domestiche sia alle
sussidiarie estere operanti nel paese.
15 Nell’ambito dell’Unione Bancaria, la prescrizione del buffer anticiclico spetta alle autorità di vigilanza
nazionali; tuttavia, la Banca Centrale Europea può, in determinate condizioni, prescrivere alle banche
direttamente vigilate buffer più elevati di quelli richiesti dalle autorità nazionali.
16 Il Comitato di Basilea ha definito i criteri per definire la rilevanza sistemica delle banche. Essi sono la
dimensione, il grado di interconnessione, la mancanza di sostituti o infrastrutture finanziarie
prontamente disponibili per i servizi che la banca svolge, l’operatività internazionale e la complessità. Ad
ognuno di questi elementi viene attribuito un peso, che serve per allocare le banche sistemiche in quattro
classi, con rilevanza sistemica crescente dalla più bassa alla più alta.
17 Per l’Italia, ad esempio, nel 2016 il gruppo Unicredit è incluso nell’elenco delle G-SIIs, e deve detenere un
buffer come banca sistemica pari all’ 1% dell’ARP, secondo quanto previsto dal Comitato di Basilea. Le banche
qualificate in Italia come O-SIIs sono, oltre a Unicredit, Intesa Sanpaolo e Monte dei Paschi: per queste due
ultime banche il buffer O-SIIs è pari a zero: esse sono invece assoggettate ad un buffer per il rischio sistemico
(macro-prudenziale) pari all’1%.
14
12
.
Nell’ipotesi che le autorità nazionali decidano di applicare il buffer sistemico (cfr 4.IV) alle
G-SIIs e O-SIIs sarà prescritto il più elevato fra il buffer per le banche sistemiche e il buffer
sistemico.
4.IV - Riserva di capitale per il rischio sistemico (Systemic risk buffer)
Ogni autorità nazionale può introdurre un buffer per il rischio sistemico a carico di tutte le
banche o di particolari comparti di banche per prevenire o mitigare rischi sistemici o macroprudenziali diversi da quelli ciclici. Questo buffer, costituito da CET1, può variare a
discrezione delle autorità nazionali fra l’1 e il 3% dell’ARP, ivi comprese le esposizioni verso
controparti situate in altri paesi. Valori superiori, fino ad un massimo del 5%, devono essere
autorizzati dalla Commissione Europea. Nell’ipotesi che le autorità nazionali decidano di
applicare il buffer sistemico, alle G-SIIs e alle O-SIIs sarà prescritto il più elevato fra il buffer
per le banche sistemiche e il buffer sistemico.
4.V – Ammontare massimo distribuibile (AMD)
Se una banca non rispetta integralmente il buffer combinato di capitale è assoggettata a
limitazioni nella distribuzione discrezionale dei profitti: l’effetto è quello di imporre alla
banca un tasso di retention che consenta la ricostituzione dei buffer ai livelli richiesti. La
distribuzione dei profitti oggetto di restrizione riguarda i dividendi, il riacquisto di azioni
proprie, le cedole discrezionali sugli strumenti del AT1, le remunerazioni variabili e i bonus
legati ai profitti, il pagamento di obbligazioni pensionistiche di natura discrezionale.
In caso di carenza di CET1 rispetto al combined buffer, l’ammontare massimo distribuibile
(AMD) si calcola moltiplicando le somme distribuibili (ossia i profitti che non sono già stati
inseriti nelle riserve che compongono il CET1) per un fattore variabile fra 0 e 60%. Tale
fattore è determinato nel modo seguente:
- Si definiscono i quartili del combined buffer richiesto (CBR). Il primo quartile è
compreso fra 0 e CBR/4. I successivi quartili sono calcolati in base alle seguenti
relazioni, dove Qn è l’n.mo quartile:
𝐶𝐵𝑅
limite inferiore = 4 ×(𝑄𝑛 − 1)
limite superiore18 =
-
-
𝐶𝐵𝑅
4
×𝑄𝑛
Si calcola l’importo del combined buffer di cui effettivamente dispone la banca, come
differenza fra il CET1 totale di cui la banca dispone e quello assorbito dai requisiti
minimi di capitale, comprensivi della maggiorazione richiesta alla singola banca in
base al giudizio sullo SREP (add-on del II Pilastro). Se il buffer combinato effettivo è
minore di quello richiesto (CBR), la banca deve calcolare l’AMD;
L’AMD varia in funzione del quartile del CBR entro cui si colloca il combined buffer
effettivo della banca.
18
È evidente che il limite inferiore del n.mo quartile costituisce il limite superiore del quartile precedente,
n-1.
13
-
Se l’importo del combined buffer effettivo si colloca all’interno del I quartile del CBR,
l’AMD è pari a zero; se rientra nel II quartile, è pari al 20%; se rientra nel III, è pari al
40%; se rientra nel IV, è pari al 60%.19
Esempio (le percentuali si intendono rispetto all’ARP)
La banca ha un TCR pari all’11,5%, di cui:
CET1% = 8,5%
AT1% = 2%
T2% = 1%
a) Requisito minimo del I Pilastro: il CET1 assorbito è pari: 8%-AT1%-T2% =5%
b) Requisito addizionale del II Pilastro fissato in sede SREP = 1.95% da coprire
integralmente con CET1
c) CET1 assorbito da requisiti del I e II Pilastro = a) +b) = 6.95%
d) CET1 residuo dopo la copertura dei requisiti del I e II Pilastro= Buffer combinato
effettivo = 8,5%-c) = 1,55%
e) Buffer combinato richiesto (Buffer di conservazione) = 2.5%
Quartili del Combined buffer richiesto (CBR)
I.
0 ≤ combined buffer < 0.625% (AMD = 0)
II.
0.625% ≤ combined buffer < 1,250% (AMD = 20%)
III.
1,250% ≤ combined buffer = 1,875% (AMD= 40%)
IV.
1.875% ≤ combined buffer < 2.5% (AMD = 60%)
Il combined buffer effettivo della Banca A pari all’1,55% si colloca all’interno del III quartile
del CBR: quindi il coefficiente da cui si calcola l’AMD è pari al 40% (che corrisponde ad un
tasso di retention pari al 60%). Definendo UD i profitti distribuibili, sarà:
AMD = UD* 40%
5. INDICE DI LEVA FINANZIARIA
Basilea 3, oltre ai requisiti di capitale ponderati per il rischio, introduce un indicatore
minimo di leva finanziaria (leverage ratio) non aggiustato per il rischio pari al 3%.
Leverage Ratio =
𝑇1
𝑒𝑠𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒
≥ 3%
Dove:
T1 = Capitale Primario al netto delle deduzioni (cosi come calcolato ai fini del T1 ratio
previsto dal I Pilastro di Basilea 3);
Esposizione totale = Totale delle attività in bilancio, dei derivati, delle operazioni a termine
e delle operazioni fuori bilancio. La misura dell’esposizione totale dovrà essere calcolata
19
Se il combined buffer effettivo è pari o superiore al limite superiore del IV quartile, l’AMD è pari al 100%.
14
secondo gli stessi metodi utilizzati per misurare l’esposizione ai rischi di credito, di
controparte e di mercato ai fini dell’applicazione dei requisiti di capitale ponderati per il
rischio. L’esposizione su derivati e sulle operazioni a termine si calcola quindi utilizzando
il relativo costo di sostituzione (corrente e potenziale); l’esposizione per operazioni fuori
bilancio si calcola in base ai fattori di equivalente creditizio previsti per le diverse tipologie
di contratti.
Gli obiettivi del leverage ratio sono:
- Limitare la crescita del leverage delle banche e quindi gli effetti destabilizzanti dei
processi di deleveraging per il sistema finanziario e l’economia;
- Rafforzare i requisiti di capitale ponderati per il rischio, fissando una soglia oltre la
quale il T1 non può essere ridotto, quale che sia il valore medio del coefficiente di
ponderazione per il rischio;
- Limitare l’effetto dei possibili “errori di modello” impliciti nel calcolo dell’attivo
ponderato per il rischio.
Relazione fra leverage ratio e T1 ratio:
Le banche sono vincolate a rispettare congiuntamente i valori minimi del leverage ratio e del
T1 ratio. Il rispetto congiunto dei due vincoli definisce la misura del T1 minimo di cui le
banche devono essere dotate.
Ponendo TA l’esposizione totale20, e RW il coefficiente medio di ponderazione per il rischio,
la seguente relazione:
3%* TA = 8,5%*TA*RW
definisce l’uguaglianza fra il T1 minimo necessario per il coefficiente di leverage e il T1
minimo necessario per il T1 ratio (T1/ARP ≥ 8,5%, secondo Basilea 3).
L’uguaglianza si realizza se RW = 3%/8,5% = 35,29%.
Se il rapporto fra ARP/TA, ossia il coefficiente medio di ponderazione, è uguale a 35,29%, il
T1 necessario per il rispetto del leverage coincide con quello richiesto per il rispetto del T1
ratio minimo. Se RW < 35,29%, il T1 minimo per rispettare il leverage ratio è maggiore di
quello necessario per T1 capital ratio (ossia il requisito di T1 ponderato per il rischio);
viceversa, se è maggiore.
Il valore di RW pari a 35,29% è quindi la soglia del coefficiente medio di ponderazione
dell’attivo al di sotto della quale il leverage ratio “morde”, ossia obbliga la banca a dotarsi di
un T1 maggiore di quello che sarebbe necessario per rispettare solo il requisito di capitale
ponderato per il rischio. In questo senso, il coefficiente di leverage definisce quella si
potrebbe definire “una misura di sicurezza” contro gli eccessivi livelli di leverage consentiti
dai requisiti di capitale ponderato per il rischio in presenza di valori molto bassi di RW21.
Esempio:
TA = 1000
ARP = 400, con RW = 0,40
20
TA misura l’esposizione totale ai rischi di credito, controparte e mercato e non solo le attività in bilancio.
Cfr. Montanaro E. (2016), Leverage e regolamentazione del capitale. Si ricorda che il leverage massimo
consentito dai coefficienti di solvibilità ponderati per il rischio è, a parità di altri elementi, tanto maggiore
quanto minore è rw.
21
15
La differenza fra il T1 necessario per soddisfare il vincolo del coefficiente di leverage e il T1
necessario per rispettare il minimo T1 ratio è:
TA*(3% - 8,5%*0,40) = 1000* (3% - 3,4%) = - 1000*0,40% = -0,4
Con RW pari a 0,40, il T1 necessario per il T1 ratio è superiore di 0,4 rispetto a quello richiesto
per il leverage ratio. Quest’ultimo quindi non “morde”, ossia non implica un fabbisogno
addizionale di capitale regolamentare.
Se RW = 0,30
T1 minimo per rispettare il leverage ratio = 30
T1 minimo necessario per il T1 ratio = 25,5
La differenza:
1000* (3% - *30%*8,5%) = 30 – 25,5 = 4,5 misura l’incremento di T1 di cui la banca deve dotarsi
per rispettare il coefficiente di leverage.
6. INDICATORI DI LIQUIDITÀ
I requisiti quantitativi minimi di liquidità intendono conseguire due obiettivi
complementari. Il primo è di promuovere la resilienza di breve periodo, assicurando che le
banche dispongano di risorse sufficienti a superare situazioni di grave tensione di liquidità
di durata limitata (un mese). A tal fine è stato definito il Liquidity Coverage Ratio (LCR). Il
secondo obiettivo è quello di promuovere la resilienza strutturale delle banche al rischio di
liquidità, incentivandole a finanziare l’attivo con fonti di provvista stabili, e quindi
minimizzando i rischi della trasformazione delle scadenze. L’indicatore di liquidità
strutturale, il Net Stable Funding ratio (NSFR), ha un orizzonte di un anno e intende
garantire l’equilibrio per scadenze dell’intermediazione. Gli indicatori si basano su
parametri di rischio prudenziali, armonizzati a livello internazionale. Alcuni parametri
contengono, però, elementi che saranno definiti discrezionalmente dalle Autorità di
vigilanza nazionali, per tener conto delle caratteristiche specifiche dei diversi sistemi
finanziari.
6.I – Indicatore di breve termine (Liquidity Coverage Ratio LCR)
LCR
=
𝐻𝑄𝐿𝐴
𝐷𝑒𝑓𝑙𝑢𝑠𝑠𝑖 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑖 𝑛𝑒𝑖 𝑠𝑢𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑖𝑣𝑖 30 𝑔𝑔
≥ 100%
Alle banche sarà richiesto di detenere stabilmente (in ogni tempo t) uno stock di attivi liquidi
di alta qualità (High Quality Liquidity Assets, HQLA) sufficiente a resistere a 30 giorni di
potenziali deflussi netti22 di tesoreria in situazioni di stress, sia idiosincratiche (specifiche
della singola banca) sia sistemiche (proprie di tutto il sistema finanziario). Lo scenario
utilizzato per la stima dei deflussi netti di cassa nei futuri 30 giorni deve tener conto, ad
esempio, di prelievi in proporzioni elevate della raccolta da clientela, dell’eventualità di una
Il LCR è stato introdotto nella regolamentazione europea a decorrere dal 1 gennaio 2015, con un valore
minimo del 60%, e sarà aumentato annualmente del 10%, fino ad arrivare a regime (100%) nel 2019.
22
16
riduzione della capacità di raccolta sul mercato interbancario per effetto di situazioni di crisi
di liquidità specifiche o di sistemiche, di un utilizzo più elevato di quello normale delle linee
di credito da parte della clientela affidata, dei deflussi di cassa che potrebbero originare da
un deterioramento del rating della banca, della possibilità che la banca si trovi nella necessità
di rimborsare propri debiti per mitigare il rischio di reputazione.
Le HQLA ammesse a formare il numeratore dell’indice devono essere dotate di liquidità
anche in condizioni di stress e virtualmente ammissibili come garanzie da parte delle banche
centrali. Devono essere strumenti non vincolati e facilmente liquidabili: quindi con basso
rischio di credito e di mercato23, di semplice valutazione (questo esclude i prodotti sintetici
o esotici), caratterizzati da bassa correlazione con le condizioni di stress di liquidità 24, quotati
e scambiati su mercati efficienti.25
I deflussi netti di cassa attesi nei 30 giorni si calcolano come differenza fra deflussi e
afflussi di cassa attesi nei 30 gg.
I deflussi di cassa attesi possono derivare sia dalla volatilità (prelievi superiori al normale)
delle passività di bilancio sia dall’utilizzo imprevisto delle garanzie concesse e degli
impegni a finanziare (iscritti fuori bilancio). Si calcolano quindi:
a) Moltiplicando l’ammontare delle diverse passività per un fattore di run-off (fuga),
crescente al crescere della volatilità delle fonti di raccolta: ad esempio, il fattore di
run-off è 0% per i depositi a vista; 5% per i depositi assicurati a scadenza; 25% per i
depositi e la raccolta non assicurata di imprese; 100% per la raccolta interbancaria e
le passività sull’estero.
b) Moltiplicando l’importo non utilizzato delle garanzie e degli impegni a finanziare
per un coefficiente crescente al crescere della probabilità di utilizzo: il coefficiente è
pari al 5% per le linee di credito non vincolanti verso privati e imprese minori; al 30%
per le linee di credito verso le imprese maggiori; al 40% per quelle verso banche o
altre controparti finanziarie etc.
Gli afflussi di cassa attesi si calcolano moltiplicando le attività in bilancio (crediti e pronti
contro termine attivi), che scadono contrattualmente (o che danno origine a pagamenti
contrattuali in capitale e/o interesse) nei 30 giorni successivi, per un fattore che misura il
Attività finanziarie a bassa duration, bassa volatilità, basso rischio d’inflazione e denominate in una valuta
con basso rischio di cambio.
24 Questo esclude i titoli emessi dalla stessa banca, che diventano poco liquidi in condizioni di tensione di
liquidità.
23
25
Il Comitato di Basilea definisce due classi di attività liquide ammissibili come “attività liquide di elevata
qualità”. La prima classe comprende strumenti ammessi senza limite al valore di mercato, non soggetti ad
haircut: ad esempio, la cassa, le riserve mobilizzabili presso banche centrali, titoli negoziabili garantiti da
governi e banche centrali con rating che comporta una ponderazione dello 0% secondo Basilea 2 o, se il rating
è inferiore, emessi nella valuta nazionale in cui la banca ha assunto il rischio di liquidità. La seconda classe
comprende strumenti di minore qualità, ammessi fino al 40% dello stock complessivo e soggetti ad un haircut
sul valore di mercato non inferiore al 15%. Rientrano in questa categoria i titoli pubblici con coefficiente di
ponderazione pari al 20% secondo Basilea 2, scambiati su mercati larghi e caratterizzati da elevata liquidità, e
le obbligazioni societarie e i covered bonds (non emessi dalla stessa banca), con sottostante il cui rating è almeno
pari a AA- (se IRB, la PD deve essere corrispondente a quella associata al rating AA-, ossia inferiore all’1% ad
un anno).
17
tasso di rientro monetario atteso per le attività a scadenza nei 30 giorni.26 Il peso dipende
dalla probabilità di insolvenza del debitore e dal tipo di garanzia. Basilea 3 fissa comunque
per la stima degli afflussi attesi un massimale pari al 75% dei deflussi, quale che sia il tasso
di rientro monetario previsto per le attività in scadenza nei 30 gg. Questo massimale
comporta che almeno il 25% dei deflussi deve essere coperto con HQLA.
Tanto maggiore è il rischio di liquidità, quantificato al denominatore, tanto maggiore deve
essere lo stock di attività liquide HQLA (a rendimento relativamente basso, quindi con
elevato costo opportunità) detenute a copertura dello stesso.
6.II – Indicatore di liquidità strutturale (Net Stable funding ratio NSFR)
𝐴𝑚𝑚𝑜𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑑𝑖𝑠𝑝𝑜𝑛𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑟𝑎𝑐𝑐𝑜𝑙𝑡𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒
𝐴𝑚𝑚𝑜𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑟𝑖𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑟𝑎𝑐𝑐𝑜𝑙𝑡𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒
> 100%
Obiettivo dell’indicatore è di imporre alle banche un bilanciamento fra le fonti
(numeratore) e gli impieghi (denominatore) di risorse stabili, al fine di minimizzare il gap
di scadenze fra attivo e passivo.
L’ammontare della raccolta stabile disponibile (numeratore) corrisponde a quella parte di
finanziamenti a titolo di capitale e di debito di cui si prevede di poter disporre in un
orizzonte temporale di un anno in condizioni di stress (situazioni derivanti, ad esempio,
da significative riduzioni nella redditività o nella solvibilità della banca per il
peggioramento dei rischi di credito, di mercato o operativi; o dal possibile downgrading del
debito emesso dalla banca). Ad ogni componente del passivo è attribuito un fattore di
disponibilità nel lungo termine, pari, ad esempio, al 100% per il capitale e le passività con
scadenza maggiore di un anno; al 90% per depositi al dettaglio a vista o con scadenza
inferiore ad un anno; allo 0% per la raccolta interbancaria.
L’ammontare necessario di raccolta stabile (denominatore) è una stima del fabbisogno di
finanziamenti stabili, che dipende dalla dimensione delle varie classi di attività e degli
impegni fuori bilancio, ciascuna ponderata in funzione della liquidità e della vita residua
(mediante fattori di “required stable funding”, RSF). Un attivo con grado di liquidità elevato
è più facilmente utilizzabile come fonte di risorse monetarie in condizioni di stress (es.
utilizzo come garanzia di operazioni di rifinanziamento) e quindi riceverà un coefficiente di
ponderazione RSF inferiore rispetto a quello assegnato alle attività meno liquide, che
richiedono un finanziamento più stabile. I fattori RSF sono parametri definiti dal Comitato
di Basilea che approssimano, per ogni tipologia di attivi, la quota che si ritiene non potrebbe
essere monetizzata mediante la vendita o l’impiego come garanzia in condizioni protratte
di tensione di liquidità (1 anno), e che quindi deve essere coperta con raccolta stabile. I fattori
RSF variano quindi da 0 per la cassa; al 20-100% per i titoli accettati dalle banche centrali
per i finanziamenti di liquidità, in funzione del rating e del RW degli stessi; al 100% per i
titoli emessi da banche; al 100%-65% per i prestiti, in funzione della durata, del rating e di
RW; etc.
26
I crediti in sofferenza hanno peso zero.
18
7. AUMENTO DELLA COPERTURA DEI RISCHI (RW)
Come risposta immediata alla crisi, il Comitato di Basilea già nel luglio 2009 decise un
incremento rilevante dei requisiti patrimoniali per il rischio di mercato, con l’obiettivo di
rimuovere gli incentivi agli arbitraggi regolamentari fra banking book e trading book. Le nuove
regole, note come Basilea 2.5, sono entrate in vigore dalla fine del 201127 e sono state recepite
dall’Unione Europea con la Direttiva 2010/76/EU del 24 novembre 2010 (CRD3). Il
fabbisogno di capitale per il rischio di mercato è stato incrementato di tre/quattro volte
rispetto a quello richiesto dalla versione originaria di Basilea 2.
Basilea 3 e la CRDIV/CRR aggiungono a quanto già previsto da Basilea 2.5 un aumento dei
requisiti patrimoniali per il rischio di controparte originato dai derivati OTC e in generale
dalle esposizioni verso controparti finanziarie: a tale scopo le soluzioni adottate sono, in
particolare:
a) Aumento del coefficiente di correlazione: per il calcolo delle perdite inattese su
esposizioni nel banking book (metodo IRB) nei confronti d’intermediari finanziari
sistemici28, il coefficiente di correlazione è aumentato applicando un moltiplicatore di 1,25
ai valori correnti (che quindi passano da 12-24% a 15-30%).
b) La stima mediante modelli interni del costo di sostituzione dei contratti (Expected Positive
Exposition, EPE) - che corrisponde alla misura dell’EAD per il rischio di credito dei derivati
OTC - deve tener conto della potenziale volatilità e illiquidità dei mercati in condizioni di
stress (calcolo dello stressed VAR).
c) Introduzione nel Primo Pilastro di uno specifico requisito patrimoniale a copertura di
potenziali perdite dovute alle variazioni dei prezzi di mercato causate dal deterioramento
del merito di credito (ossia dall’aumento degli spread per il rischio di credito sui mercati
OTC) delle controparti (rischio di rettifiche di valore della componente creditizia dei
contratti derivati, credit valuation adjustment, CVA).29 Per fronteggiare il rischio sistemico
derivante dall’interconnessione fra banche e altre istituzioni finanziarie tramite i mercati dei
derivati, il Comitato di Basilea ha introdotto una serie di incentivi a trasferire le esposizioni
in derivati verso le Controparti Centrali (Central Counterparties, CCP)30 caratterizzate da
Si usa definire Basilea 2.5 l’insieme delle modifiche introdotte dal BCBS al trattamento prudenziale del
rischio di mercato e delle cartolarizzazioni, contenute nel documento Enhancement to the Basel II framework del
luglio 2009.
28 Sono considerati intermediari finanziari di rilevanza sistemica le banche G-SIBs, i brokers/dealers, le società
di assicurazioni con attività non inferiori a 25 miliardi di dollari, nonché tutti l’hedge funds.
29 Basilea 2 contempla il rischio di insolvenza della controparte, ma non quello di CVA che, durante la crisi
finanziaria, ha causato alle banche perdite maggiori rispetto a quelle relative ai casi di vero e proprio default.
Il CVA misura il capitale necessario per coprire le perdite potenziali derivanti dalla volatilità degli spread per
il rischio di credito. Il requisito di capitale complessivo minimo per il rischio di controparte dei derivati OTC
è quindi la somma dell’8% dell’esposizione ponderata, calcolata in base al costo di sostituzione attuale e futuro
+ il CVA.
30 Le Controparti Centrali (CCP) sono istituzioni giuridicamente indipendenti che si interpongono fra
compratore e venditore di un contratto derivato. Quando un derivato è negoziato mediante una CCP, il
contratto originario è sostituito da due contratti: fra la CCP e ciascuno dei due contraenti. A questo punto,
venditore e compratore non sono più controparti uno dell’altro: il ruolo di controparte per ciascuno dei due è
assunto dalla CCP. Questo comporta tre principali vantaggi. In primo luogo, migliora la gestione del rischio
di controparte. In secondo luogo, la CCP è in grado di svolgere una compensazione multilaterale delle
27
19
robusti standard patrimoniali ed operativi. Il nuovo trattamento del rischio di controparte
è stato introdotto dalla CRDIV/CRR con applicazione immediata.
Un ulteriore possibile aumento del valore di RW può derivare da maggiorazioni dei
coefficienti di ponderazione per i finanziamenti immobiliari (mutui) che le autorità di
vigilanza possono imporre alle banche nazionali (o a comparti specifici del sistema
bancario). L’obiettivo è tipicamente macro-prudenziale.
La CRDIV/CRR prevede invece, per favorire i finanziamenti alle PMI, la riduzione del
corrispondente attivo ponderato per il rischio di credito mediante la moltiplicazione per un
“fattore di supporto” (pari a 0,7619), che ha l’effetto di azzerare per questi finanziamenti
l’assorbimento di capitale derivante dal buffer di conservazione. Il fattore di supporto è pari
al rapporto fra il requisito minimo di capitale (8%) e il requisito minimo di capitale
comprensivo del buffer di conservazione del capitale (10,5%).
Esempio:
Portafoglio finanziamenti PMI, valore dell’esposizione (EAD)= €1000
RW (metodo standardizzato, portafoglio retail): 75%
RWA = € 750
Requisito minimo di capitale senza supporto (comprensivo del buffer di conservazione):
10,5%* RWA = € 78.75
RW corretto per il fattore di supporto = (8%/10,5%)*75% = 57,14%
RWA corretto per il fattore di supporto = (8%/10,5%)*RW*EAD = 0,7619*75%*1000 = €
571,425
Requisito minimo di capitale con supporto = 10,5* RWA corretto con supporto =
10,5%*(8%/10.5%*75%)*1000 = 8%*75%*1000 = € 60
Per effetto del fattore di supporto, il fabbisogno di capitale per i finanziamenti alle PMI è
quindi pari all’8%*RWA, ossia a quello calcolato senza il buffer di conservazione.
8. IMPATTO DI BASILEA 3
L’implementazione di Basilea 3 ha comportato per molte banche, che rispettavano Basilea
2, un deficit di capitale, ossia un fabbisogno di capitale addizionale per adeguarsi ai nuovi
e più severi standard prudenziali.
Il deficit di capitale originato dal passaggio da Basilea 2 a Basilea 3 - è derivato non solo
dall’aumento dei requisiti per il capitale di migliore qualità, ma da due ulteriori ordini di
elementi: il Patrimonio di vigilanza disponibile per rispettare Basilea 3 è diminuito rispetto
a quello calcolato in base al regime precedente; a parità di attivo, l’ARP calcolato secondo le
regole di Basilea 3 è maggiore di quello calcolato secondo quelle di Basilea 2. Più in
dettaglio, il maggiore fabbisogno di capitale bancario prodotto da Basilea 3 è derivato da:
a) l’aumento dei requisiti minimi per il CET1 e T1, incluso il buffer di conservazione (per
tutte le banche), quello per le banche sistemiche, e gli altri buffer, quando applicati.
b) la nuova più restrittiva definizione degli strumenti ammessi nelle diverse componenti del
patrimonio di vigilanza.
esposizioni e dei pagamenti. In terzo luogo, migliora la trasparenza, consentendo alle autorità di regolazione
dei mercati e agli investitori di avere informazioni sui prezzi e le quantità dei contratti.
20
c) le maggiori deduzioni, che riducono l’ammontare del capitale computabile ai fini del
rispetto dei requisiti;
d) l’impatto del leverage ratio, in particolare per le banche caratterizzate da un valore di RW
medio particolarmente basso;
d) l’aumento dell’ARP (attivo di rischio ponderato), e, in particolare, dei coefficienti di
ponderazione per il rischio per il trading book, le cartolarizzazioni e il rischio di controparte
(che si traducono in aumento del rapporto fra attivo di rischio ponderato e totale attivo,
comprese le poste fuori bilancio).
Anche per le banche che con Basilea 2 erano già dotate di una elevata capitalizzazione, le
modifiche introdotte nella composizione del patrimonio di vigilanza e nelle deduzioni
hanno un impatto molto significativo. 31 A titolo di esempio, si confrontino i valori phase-in
(ossia calcolati applicando le regole per la transizione) con quelli fully-loaded (ossia calcolati
ipotizzando l’integrale applicazione delle regole di Basilea 3) dei coefficienti di solvibilità di
una delle maggiori e più capitalizzate banche europee (il Banco Santander, una grande
banca internazionale spagnola).
Fonte: Santander, 2015 Pillar III Disclosures, p. 27
31
L’impatto non sarà comunque immediato, ma graduale, data la lunga fase di transizione prevista per
l’eliminazione degli strumenti non ammessi nel patrimonio di vigilanza da Basilea 3 (e ammessi invece da
Basilea 2) e per l’applicazione integrale delle deduzioni.
21
Particolarmente rilevante si prospetta anche l’impatto previsto per nuovi requisiti di
liquidità (la cui applicazione è, non a caso, posticipata rispetto all’entrata in vigore delle
nuove regole sul capitale). La minore trasformazione delle scadenze e l’aumento della
detenzione di attività liquide derivanti dalla necessità di rispettare i nuovi indicatori di
liquidità sono destinati ad avere effetti negativi sulla redditività delle banche (in termini di
minore margine d’interesse e minore ROA). Nello stesso senso influirà la maggiore
concorrenza e il conseguente aumento dei tassi passivi per le forme di raccolta considerate
più stabili dalla regolamentazione, in particolare i depositi da clientela e le obbligazioni a
scadenza protratta.
Le banche hanno diverse alternative per adeguarsi ai nuovi vincoli di capitale: aumentare il
capitale (con risorse interne e/o esterne); ridurre l’attivo; modificare i propri modelli di
business, in modo da ridurre le componenti dell’attivo il cui maggiore assorbimento di
capitale non è compensato da tassi di redditività crescenti.
Le banche che hanno affrontato il passaggio al nuovo regime con livelli di capitalizzazione
e di condizioni di redditività migliori hanno quindi un importante vantaggio competitivo,
dato che sono in grado di mantenere livelli di intermediazione adeguati alle richieste del
mercato per effetto di un minor costo del capitale e di una maggiore capacità di
autofinanziamento.
Nei Paesi – come l’Italia – in cui la redditività delle banche ha registrato negli anni recenti,
specie a partire dal 2010, un andamento decrescente soprattutto per effetto del
deterioramento della qualità del credito dovuto alla recessione, le banche hanno incontrato
maggiori difficoltà ad aumentare il capitale. Questo spiega perché l’adeguamento ai nuovi
vincoli di capitalizzazione sia avvenuto principalmente attraverso la riduzione dei volumi
di intermediazione, e, in particolare, il contenimento dell’offerta di credito all’economia.
PARTE II
IL II PILASTRO DI BASILEA
PROCESSO DI CONTROLLO PRUDENZIALE
Mentre il I Pilastro di Basilea fissa i minimi requisiti prudenziali comuni a tutte le banche,
il II Pilastro – Supervisory Review Process (SRP) – riguarda il processo di controllo
prudenziale da cui derivano i requisiti specifici per ciascuna banca. Esso si articola in due
fasi:
 La prima - definita ICAAP, Internal Capital Adequacy Assessment Process - di cui è
responsabile la banca. Con l’ICAAP, la banca è tenuta a valutare internamente la
misura del capitale necessaria a coprire tutti i rischi rilevanti, anche in condizioni di
22

stress 32, e a verificare di poterne effettivamente disporre sia attualmente sia in una
prospettiva di almeno tre anni. L’ICAAP deve essere trasmesso con periodicità
annuale alla autorità di vigilanza per il riesame. Sulla credibilità dei risultati
dell’ICAAP la banca è chiamata periodicamente33 a confrontarsi in un dialogo con
l’autorità di vigilanza.
La seconda - definita SREP, Supervisory Review and Evaluation Process - di cui è
responsabile l’autorità di vigilanza. In questa fase l’autorità di vigilanza esprime un
giudizio, mediante metodi propri di valutazione e con il riesame dell’ICAAP, sui
diversi elementi da cui dipendono la rischiosità della banca e la sua capacità di
mantenersi vitale anche in situazioni di stress. Alla luce del giudizio SREP, se non
pienamente favorevole, l’autorità impone alla banca specifici interventi correttivi:
può, in particolare, imporre una maggiorazione dei requisiti minimi di capitale
rispetto a quelli minimi previsti dal I Pilastro (Additional own funds requirements,
sintetizzato spesso come add-on) 34
1. Valutazione interna dell’adeguatezza patrimoniale (ICAAP)
Mediante il processo ICAAP la banca valuta autonomamente la dimensione adeguata del
suo capitale, ossia la capacità di fronteggiare mediante il capitale tutti i rischi rilevanti per
il suo modello di business e le sue strategie operative, e dimostra se e come può disporre
di tale ammontare di capitale non solo nell’orizzonte temporale di riferimento (un anno),
ma anche in una prospettiva di più lungo termine (piano strategico triennale) e in
condizioni di stress.
Questo processo deve essere formalizzato, documentato, sottoposto a revisione interna e
approvato dagli organi societari. Il “resoconto ICAAP” è il documento che descrive questo
processo con i relativi risultati: esso deve essere trasmesso all’autorità di vigilanza
annualmente. 35 Attraverso questo documento nonché attraverso il dialogo in sede SREP
fra amministratori e autorità di vigilanza, la banca deve essere in grado di dimostrare a
quest’ultima che il patrimonio di vigilanza, di cui essa dispone attualmente e in
prospettiva, è adeguato al fabbisogno di capitale per tutti i rischi rilevanti, ossia a coprire
le perdite potenziali misurate dal cosiddetto capitale interno (o capitale economico)
complessivo.
32
Le valutazioni del II Pilastro fanno riferimento anche alla liquidità tramite il processo definito dalle
autorità di vigilanza europee ILAAP (Internal liquidity adquacy assessmment process), concettualmente analogo
a quello relativo al capitale. Nel testo, si farà tuttavia solo riferimento alla valutazione della adeguatezza del
capitale.
33 Una volta all’anno se è una banca di grandi dimensioni.
34 Empiricamente tale maggiorazione SREP è oggi prevista per tutte le banche, ovviamente in misura più o
meno elevata in funzione della rischiosità di ciascuna.
35 Il processo di controllo che la banca deve svolgere sistematicamente sulla propria adeguatezza
patrimoniale in funzione dei rischi assunti non deve essere confuso con il “resoconto” ICAAP: quest’ultimo è
il documento trasmesso annualmente all’autorità di vigilanza, quindi è solo la fase documentale finale di un
processo che coinvolge durante tutto l’anno una molteplicità di strutture (risk management, audit interno,
pianificazione strategica, servizi credito e finanza etc.) e investe le scelte operative e le strategie della banca.
23
Merita sottolineare che il capitale interno complessivo nulla dice circa la dotazione di
capitale della banca: è infatti una misura del fabbisogno di capitale, che deve essere
coperto dagli strumenti patrimoniali che hanno capacità di assorbimento delle perdite.
Ai fini della valutazione della adeguatezza patrimoniale che la banca deve svolgere, la
struttura funzionale dell’ICAAP può essere quindi ripartita in due fasi logiche fra loro
strettamente collegate:
1- Determinazione del capitale economico complessivo, mediante la misurazione - in
condizioni di normalità e in condizioni di stress - delle perdite potenziali in eccesso
rispetto a quelle attese associate a tutte le tipologie di rischi rilevanti. Il capitale
economico complessivo è la “domanda di capitale” (fabbisogno), che ha origine dai
rischi che la banca ha assunto e da quelli che essa si propone di assumere in base alle
proprie strategie (piano strategico).
2- Valutazione interna della adeguatezza del capitale disponibile (attualmente e in
prospettiva) rispetto alle stime del capitale interno e agli obiettivi della banca.
Questa fase consiste principalmente nella pianificazione della dotazione di capitale
(capital planning) nell’orizzonte del piano strategico (tre anni), e serve a definire se la
domanda di capitale è soddisfatta in misura adeguata, oggi e in prospettiva,
dall’”offerta di capitale”, ossia dalla disponibilità esistente o prevista di strumenti di
capitale.
PRINCIPI PER L’IMPLEMENTAZIONE DELL’ICAAP
L’ICAAP è basato su elementi quantitativi e qualitativi del risk management. I primi sono
prevalentemente la valutazione dei rischi e il calcolo dei requisiti di capitale a copertura
degli stessi, in condizioni di normalità e in scenari avversi (condizioni di stress); i secondi
si riferiscono ai processi di controllo dei rischi di cui la banca si avvale. Una migliore
efficacia e trasparenza dei processi di controllo dei rischi può comportare un minor
fabbisogno di capitale, e viceversa. È tuttavia importante sottolineare che il capitale non
può essere mai considerato come un adeguato sostituto di un sistema di controlli
inefficiente o di una governance inefficace.
I principi previsti dalla regolamentazione per l’implementazione dell’ICAAP sono:
1. Principio di responsabilità: la banca è responsabile dell’implementazione
dell’ICAAP. Nel dialogo con la vigilanza, la banca deve essere in grado di fornire
dettagliate argomentazioni sulle procedure, i metodi e i sistemi usati.
2. Principio di proporzionalità: l’ICAAP deve essere proporzionale alla natura e alla
complessità del modello di business della banca, al livello di complessità del
sistema di risk management e degli approcci, più o meno avanzati, usati dalla banca
per calcolare i requisiti di capitale.
3. Principio della significatività (materiality) dei rischi: l’ICAAP deve concentrarsi sui
rischi significativi, ossia quelli che possono avere, attualmente e in prospettiva, un
impatto rilevante sulla adeguatezza del capitale.
4. Principio della valutazione in chiave prospettica: l’ICAAP deve valutare
l’adeguatezza patrimoniale tenendo conto non solo della situazione corrente, ma
anche di scenari particolarmente avversi, plausibili anche se non probabili, che
24
potrebbero verificarsi in futuro, ad esempio per effetto di un peggioramento del
quadro macroeconomico (analisi di stress).
DETERMINAZIONE DEL CAPITALE INTERNO
Questa fase dell’ICAAP si articola come segue:
a) Identificazione dei rischi rilevanti per il modello di business della singola banca:
essi sono almeno: i) i rischi del I Pilastro; ii) Altri rischi, fra cui almeno: rischio di
concentrazione, rischio paese, rischio di trasferimento36, rischio base37, rischio di
tasso di interesse del banking book, rischio di liquidità (funding e market liquidity risk),
rischio residuo 38, rischi derivanti dalle cartolarizzazioni, rischio di leva finanziaria
eccessiva39, rischio strategico40, rischio di reputazione41.
b) Per tutti i rischi identificati come rilevanti, la banca valuta il relativo capitale
economico mediante metodologie che devono essere analiticamente descritte42,
tenendo conto delle diverse possibili forme di mitigazione del rischio, come le
garanzie. Alcuni rischi, per i quali la banca non ritenga opportuno, o non sia in
grado di definire una misura quantitativa di capitale interno, possono essere
valutati in termini qualitativi ai fini sia della entità dell’esposizione e delle possibili
conseguenze negative sul reddito e sul capitale sia delle modalità previste per il
loro controllo e contenimento.
c) La stima del capitale interno deve essere fatta sia in condizioni di normalità sia in
condizioni di stress, ossia ipotizzando scenari particolarmente avversi e calcolando
l’impatto sui requisiti di capitale che in tali condizioni potrebbero verificarsi. Tale
impatto comporta: a) un aumento dei requisiti di capitale, derivante dal
36
Rischio che la banca assume quando fa prestiti in valuta estera a soggetti che non dispongono di ricavi in
questa valuta.
37 È una tipologia del rischio di mercato: e rappresenta il rischio di perdite derivanti da variazioni non
allineate dei valori di riferimento (tassi di interesse, indici di mercato etc.) di posizioni plus e minus, simili,
ma non identiche.
38 Rischio che le tecniche di mitigazione (es. garanzie) non siano efficaci come previsto.
39 Rischio che il livello di indebitamento si riveli eccessivo e renda la banca vulnerabile, obbligandola a
cambiamenti indesiderati del piano strategico, fra cui la vendita di attività con conseguente
contabilizzazione di perdite.
40 Rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivanti dal cambiamento del contesto
macro-economico, da decisioni aziendali sbagliate o da incapacità di sostenere le pressioni concorrenziali.
41 Rischio che una negativa percezione dell’immagine della banca da parte dei clienti, degli azionisti, degli
investitori o della autorità di vigilanza determini una flessione degli utili o del capitale.
42 Per i rischi del I Pilastro, le banche, specie le minori, utilizzano gli stessi metodi usati per misurare i
requisiti di capitale regolamentare; in alternativa, possono essere impiegati modelli interni. Se sono usati i
metodi regolamentari, il capitale economico stimato per ciascuna delle tre categorie di rischio del I Pilastro
coincide con il requisito regolamentare di capitale. Quindi, per il rischio di credito, ad esempio, il capitale
interno è = RWA/12.5, o k*EAD per le banche che utilizzano il metodo IRB; per il rischio di mercato, il
capitale interno coincide con il VAR calcolato con un intervallo di confidenza pari al 99,9%. Per i rischi del
II Pilastro, le banche possono adottare i metodi standard indicati dalle autorità di vigilanza oppure avvalersi
di metodi propri. In tutti i casi in cui siano applicati metodi diversi da quelli regolamentari o da quelli
standard, la banca dovrà dimostrare nel resoconto ICAAP che i modelli di cui si avvale sono
sufficientemente robusti. Ovviamente, di questo dovrà essere convinta anche l’autorità di vigilanza quando,
ai fini dello SREP, procede al riesame dell’ICAAP.
25
peggioramento del rischio degli impieghi in condizioni avverse (aumento
dell’ARP); b) una riduzione del capitale disponibile, per effetto delle perdite che si
producono in situazioni avverse. Di questo secondo profilo, deve tenersi conto nella
valutazione interna della adeguatezza patrimoniale (cfr. punto 2).
d) I requisiti di capitale determinati in base al capitale interno complessivo sono
addizionali e complementari a quelli minimi regolamentari del I Pilastro e
riflettono gli obiettivi, le attitudini e le politiche della banca nella gestione del
rischio (definite dal cosiddetto Risk Assessment Framework, RAF)43. Poiché i
requisiti ICAAP considerano una gamma più ampia di rischi e tengono conto di
situazioni di stress, è normale che essi misurino un fabbisogno di capitale
superiore a quelli minimo per il rispetto del I Pilastro44.
VALUTAZIONE INTERNA DELL’ADEGUATEZZA DEL CAPITALE E RACCORDO
CON IL CAPITALE REGOLAMENTARE
La valutazione interna delle modalità di copertura dei requisiti di capitale sia per il
periodo corrente (anno di riferimento) sia per il futuro (di norma nell’ambito del piano
strategico che ha un orizzonte di tre anni) costituisce un elemento cruciale dell’ICAAP.
In questa fase dell’ICAAP:
- l’adeguatezza del capitale deve essere raccordata con la dotazione attuale e
prospettica di patrimonio di vigilanza, per quanto concerne sia il volume sia la
composizione.
- La valutazione dovrà essere fatta non solo in condizioni di normalità, ma anche
ipotizzando scenari avversi. Devono quindi essere misurate le perdite potenziali
che in condizioni di stress sono suscettibili di generare una diminuzione della
dotazione di capitale (in presenza, come si è detto, di un maggiore fabbisogno per
effetto dell’aumento dei rischi).
- La dotazione di capitale prospettica (capital planning) è un elemento fondamentale
del piano strategico. Per poter realizzare il piano, la banca dovrà infatti pianificare
il capitale di cui intende e può disporre, alla luce dell’operatività che svolge e che
svolgerà in prospettiva e dei relativi rischi che da essa derivano.
- I rischi che la banca assume/intende assumere devono essere adeguati a remunerare
il capitale al rendimento desiderato dagli azionisti per investire nella banca, ma nel
43
Secondo quanto previsto dalla disciplina di vigilanza sulla governance e i controlli interni delle banche, il
RAF (Risk Appetite Framework, Sistema degli obiettivi di rischio) è “il quadro di riferimento che definisce
– in modo coerente con il massimo rischio assumibile, il modello imprenditoriale (business model) e il piano
strategico – la propensione al rischio, le soglie di tolleranza, i limiti di rischio, le politiche di governo dei
rischi, i processi di riferimento necessari per definirli ed attuarli”. Esso tiene conto sia dei vincoli
regolamentari e di vigilanza sia delle preferenze degli azionisti e degli investitori nonché dei livelli di rating
che la banca si propone di conseguire. Cfr. Banca d’Italia, Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le
banche, Circolare 263/2006, Aggiornamento del 2 luglio 2013, p. 4.
44 Virtualmente, l’effetto diversificazione potrebbe tuttavia generare requisiti interni inferiori a quelli del I
Pilastro, fermo restando che questi ultimi costituiscono una soglia che deve comunque essere rispettata.
26
-
contempo devono essere coerenti con la propensione al rischio del management
esplicitata dal RAF (Risk Assessment Framework).
Con il documento ICAAP la banca dovrebbe dimostrare in modo credibile alla
autorità di vigilanza di essere in grado di mantenersi solvibile realizzando le scelte
del proprio piano strategico sia in condizioni di normalità sia in condizioni di
stress.
2. PROCESSO DI REVISIONE E VALUTAZIONE PRUDENZIALE
CONDOTTO DALL’AUTORITA’ DI VIGILANZA (SREP)45
Nell’ambito dello SREP l’autorità di vigilanza:
- riesamina per la singola banca l’ICAAP trasmesso periodicamente (almeno una
volta all’anno) mediante un dialogo con l’alta direzione;
- analizza i rischi ai quali la banca è o può essere esposta anche in condizioni di stress
e il suo contributo al rischio sistemico;
- verifica l’osservanza delle regole prudenziali;
- in caso di anomalie o qualora l’autorità di vigilanza ritenga che la banca non sia in
grado di rispettare i requisiti prudenziali anche in un’ottica prospettica (di norma 12
mesi), alla banca sono prescritte misure correttive di natura patrimoniale e/o
organizzativa;
- la prescrizione di requisiti patrimoniali aggiuntivi costituisce una delle principali
misure correttive, che è disposta dall’autorità di vigilanza in misura proporzionale
alla gravità delle anomalie riscontrate.
ELEMENTI PRINCIPALI DEL PROCESSO DI VALUTAZIONE SREP
I quattro principali elementi in cui si articola lo schema di valutazione dello SREP sono:
45
Nel testo si farà riferimento in prevalenza al processo SREP svolto dalla Vigilanza Bancaria della Banca
Centrale Europea nell’ambito del Meccanismo Unico di Vigilanza dell’Unione Bancaria. Lo SREP è stato
realizzato dalla Banca Centrale Europea per la prima volta nel 2015 secondo una metodologia che riflette le
linee guida e gli orientamenti dell’EBA (Autorità Bancaria Europea) formulati nel 2014 e nel 2015. Merita
sottolineare che la metodologia SREP della BCE non può considerarsi ancora definitivamente consolidata.
Per lo SREP 2016 la Banca Centrale Europea ha annunciato cambiamenti importanti, fra cui le principali
riguarderanno la natura delle maggiorazioni SREP. Esse sono oggi requisiti vincolanti come quelli del I
Pilastro. Con il prossimo esercizio SREP, tali maggiorazioni saranno articolate in due parti: Pillar 2
requirements e Pillar 2 guidance. Solo la violazione dei Pillar 2 requirements avrà effetti immediati sul CET1
disponibile per il rispetto del buffer combinato e quindi sull’ AMD. I Pillar 2 guidance, basati
prevalentemente sui risultati degli stress test svolti nel 2016, dovranno essere rispettati dalle banche che
abbiano avuto risultati non positivi, ma non avranno effetti immediati sull’ AMD. Il principale obiettivo di
questa modifica è quello di consentire anche alle banche che hanno avuto risultati non positivi negli stress
test 2016 di continuare a remunerare il capitale e, in specie, gli strumenti dell’AT1. Tale cambiamento è solo
uno dei casi in cui più evidente è la discrezionalità delle autorità di vigilanza nell’implementazione dello
SREP, che in questo caso prevede addirittura una nuova regola non contemplata né dal Comitato di Basilea
né dalla CRDIV/CRR e dalle relative norme di applicazione dell’EBA.
27
1. Analisi del modello di business46 e delle strategie gestionali della banca. Anche
se la scelta del modello di business è responsabilità della banca, all’autorità di
vigilanza interessa valutare se esso è sostenibile, ossia in grado di generare una
redditività adeguata a remunerare sufficientemente sia il capitale necessario per
implementarlo sia il costo del funding; e se le strategie gestionali e le associate
previsioni di performance formulate dalla banca nel piano strategico sono fattibili e
credibili. Tale giudizio è formulato anche alla luce delle condizioni di mercato, delle
previsioni macroeconomiche, del grado di concorrenza del mercato.
2. Valutazione della struttura di governance e del sistema dei controlli interni: loro
adeguatezza rispetto ai profili di rischio, al modello di business, alla dimensione e
alla complessità dell’operatività della banca. Una parte centrale di questo elemento
è l’analisi dei processi di gestione dei rischi, attraverso il riesame dell’ICAAP.
3. Valutazione dei diversi profili di rischio che incidono sul capitale e adeguatezza
del capitale per la loro copertura. Per queste valutazioni l’autorità di vigilanza si
avvale: dei risultati del riesame critico sui profili quantitativi e qualitativi
dell’ICAAP; dell’analisi di specifici indicatori di rischio e dei loro scostamenti
rispetto ai dati medi (es. incidenza e copertura dei crediti deteriorati); e, almeno per
le banche maggiori, dell’utilizzo di specifiche metodologie di stima. Per
implementarle, la vigilanza dispone di tutte le informazioni contabili ed extracontabili trasmesse periodicamente dalla banca, integrate da quanto emerso in sede
di eventuali ispezioni, nonché delle variabili macro-economiche e di mercato che
possono influire sui rischi e le vulnerabilità della specifica banca.
4. Valutazione dei Rischi di liquidità e adeguatezza delle risorse di liquidità per la
loro copertura: per questo elemento, le informazioni principali derivano dal
riesame dell’ILAAP.
Anche se le procedure di valutazione sono comuni per tutte le banche e per tutte le
autorità di vigilanza dell’Unione Europea, esse tuttavia prevedono un ampio margine di
discrezionalità da parte dell’autorità di vigilanza competente; inoltre la loro
implementazione è proporzionale, ossia è tanto più approfondita quanto maggiore è la
dimensione e la complessità della singola banca. Al riguardo sono infatti previste 4
categorie (la prima è costituita dalle G-SII e le O-SII e altre maggiori banche; l’ultima dalle
minori banche con dimensione solo locale; la seconda e la terza, tipologie intermedie) per
graduare l’impegno richiesto agli organi amministrativi nel dialogo con l’autorità di
vigilanza e la frequenza delle valutazioni SREP relative a tutti gli elementi. Per le banche
maggiori il processo SREP è svolto in termini approfonditi tutti gli anni; per quelle minori
46
Come è noto, le banche non sono tutte uguali. Ogni banca svolge in diversa misura le varie forme di
intermediazione creditizia e finanziaria. La diversa combinazione di queste attività definisce il modello di
business. Esempi di modelli di business: banca commerciale; banca al dettaglio; banca universale di piccole
dimensioni; banca specializzata; banca universale di grandi dimensioni; etc. Ad ogni modello di business si
associano i segmenti di clientela privilegiati, i principali mercati di inserimento, il mix di prodotti e servizi, le
categorie di concorrenti con cui la banca si deve confrontare. Il modello di business si riflette sul bilancio
della banca: ad ogni modello di business corrisponde infatti una diversa composizione, rischiosità e
redditività dell’attivo, una diversa composizione e costo del funding, e, di conseguenza, diverse strutture di
conto economico, con diversi livelli e una diversa variabilità delle performance (es. ROE, ROA, RAROC).
28
l’analisi approfondita è svolta invece ogni tre anni, mentre quella annuale si limita ai
profili più significativi di rischio evidenziati soprattutto mediante indicatori di bilancio e
gli scostamenti dai valori medi della categoria.
In base alle valutazioni degli elementi sopra riportati, la banca riceverà dall’autorità di
vigilanza una serie di punteggi (score) relativi a:
1. Modello di business e strategia
2. Governance e sistemi di controllo interno
3. Ciascun rischio rilevante per il capitale (un punteggio per ogni rischio)
4. Adeguatezza del capitale
5. Ciascun rischio rilevante per la liquidità (un punteggio per ogni rischio)
6. Adeguatezza della liquidità
7. Giudizio complessivo SREP
Il punteggio assegnato ad ogni elemento va da 1-4, dove 1 significa nessun apprezzabile
rischio per la sopravvivenza (viability) della banca, 2 basso rischio, 3 rischio medio, 4
rischio elevato.
Al punteggio sono associati gli interventi correttivi che la vigilanza richiede alla banca di
apportare nei diversi elementi in relazione alle anomalie riscontrate e alla gravità delle
stesse. Tali interventi correttivi sono in primo luogo maggiorazioni dei requisiti di capitale
(add-ons). A queste si associano di norma anche altre misure: restrizioni al pagamento dei
dividendi e delle cedole discrezionali, trattamento prudenziale specifico per specifici
impieghi (ad es. maggiori livelli di rettifiche sui crediti deteriorati), riduzione
dell’esposizione al rischio mediante cessione di attività, cambiamenti del piano strategico,
dell’organizzazione, revisioni del processo ICAAP, rafforzamento delle procedure di riskmanagement, fino ad interventi preventivi adottati direttamente dall’autorità di vigilanza
nei casi più gravi.
Assume particolare rilevanza il giudizio complessivo SREP, che deriva dai giudizi sui
singoli profili e dalle possibili interazioni fra le fragilità e/o i punti di forza che
caratterizzano ciascuno di essi.47 Il giudizio complessivo SREP è espresso in un punteggio
che, come per i singoli elementi, va da 1 a 4: ma, al di sotto del punteggio 4 (i rischi
identificati comportano un alto livello di rischio per la sopravvivenza della banca), è previsto
anche il punteggio F48 . È questo il caso estremo in cui la banca è giudicata in dissesto o
prossima al dissesto. L’autorità di vigilanza attribuisce questo punteggio quando, in base
alle valutazioni dei vari elementi SREP, arriva alla conclusione che la sopravvivenza stessa
della banca sia in condizioni di immediato pericolo, in quanto essa non possiede più le
condizioni necessarie per continuare ad operare – o è prevedibile che queste vengano
meno in un futuro prossimo. Se il punteggio finale SREP è F, l’autorità di vigilanza dovrà
quindi riferire immediatamente all’autorità di risoluzione, per l’avvio delle procedure
47
Ad es. un buon punteggio per quanto concerne l’adeguatezza patrimoniale potrà compensare elementi di
vulnerabilità rilevati nei rischi di provvista e nella liquidità; e viceversa, una posizione patrimoniale debole
può amplificare le anomalie rilevate nella liquidità.
48 F sta per “failing”.
29
previste dalla normativa europea per la gestione delle crisi (liquidazione della banca, o, se
esistono le condizioni, interventi di risoluzione e bail-in delle passività ammesse).
LA VALUTAZIONE SREP SULL’ADEGUATEZZA DEL CAPITALE
Alla luce dei risultati della valutazione dei singoli profili di rischio per il capitale l’autorità
di vigilanza definisce i requisiti addizionali di capitale che la banca è tenuta a rispettare in
aggiunta a quelli minimi del I Pilastro
Definiamo SREP ratio la maggiorazione di capitale regolamentare, rapportata all’ARP,
che l’autorità di vigilanza prescrive alla singola banca a seguito dello SREP.
I requisiti addizionali di capitale dovrebbero essere finalizzati a coprire almeno:
a) le perdite inattese (o quelle attese non coperte in misura sufficiente dalle
rettifiche) calcolate dalla vigilanza in un orizzonte di 12 mesi almeno con
riferimento ai rischi di credito, di controparte, di concentrazione, di mercato, di
interesse del banking book;
b) il rischio di sottostima dei rischi derivante da carenze nei metodi e dei modelli
utilizzati dalla banca per l’allocazione del capitale economico (rischio di modello);
c) i rischi derivanti da carenze nella governance e nei controlli interni.
d) i rischi derivanti da un eccesso di leverage.
La somma dei requisiti minimi del I Pilastro + requisiti addizionali obbligatori del II
Pilastro è definita Total SREP Capital Requirement (TSRC). Il TSRC è prescritto
dall’autorità di vigilanza per ciascuna banca come TSCR ratio, ossia in rapporto all’ARP.
Come per i requisiti minimi del I Pilastro, secondo cui il CET1 deve essere almeno pari al
56% del Patrimonio di vigilanza (4,5%/8%), e il T1 almeno pari al 75% (6%/8%), anche per
il TSCR la banca deve rispettare lo stesso vincolo di composizione.
I requisiti vincolanti di capitale, anche in termini di composizione, possono quindi essere così
definiti (le quantità sono espresse in rapporto all’ARP):
TCR ≥ 8% + SREP ratio;
𝟔
T1 ratio ≥ 6% + 𝟖 𝑺𝑹𝑬𝑷 𝒓𝒂𝒕𝒊𝒐;
CET1 ratio ≥ 4,5% +
𝟒,𝟓
𝟖
𝑺𝑹𝑬𝑷 𝒓𝒂𝒕𝒊𝒐
Le percentuali di copertura dei requisiti SREP in termini di CET1 e di T1 sono standard
minimi: le autorità di vigilanza hanno quindi la facoltà di aumentarle. Secondo i criteri
adottati dalla BCE per le banche soggette alla sua vigilanza diretta nel Meccanismo Unico
di Vigilanza, i requisiti SREP devono essere coperti al 100% con CET1.
IL REQUISITO DI CAPITALE COMPLESSIVO
A seguito dello SREP, l’autorità di vigilanza comunica alla singola banca il requisito di
capitale complessivo (Overall Capital requirement, OCR) che essa è tenuta a rispettare. Il
OCR è espresso in rapporto all’ARP ed è la somma dei seguenti requisiti:
1- Requisiti minimi del I Pilastro, scomposti nelle diverse componenti secondo quanto
prescritto dalla regolamentazione di Basilea;
30
2- Requisiti addizionali SREP (SREP ratio), scomposti nelle diverse componenti
scomposti nelle diverse componenti secondo le indicazioni dell’autorità di
vigilanza;
3- Combined buffer (buffer di conservazione+ altri buffer sistemici se applicabili)
costituito integralmente da CET1.
31