i Robinson / Letture - La città dei bambini
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i Robinson / Letture - La città dei bambini
Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina i i Robinson / Letture Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina ii © 2002, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 2002 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina iii Francesco Tonucci Se i bambini dicono: adesso basta! Premessa di Romano Prodi Editori Laterza Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina iv Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel settembre 2002 Poligrafico Dehoniano Stabilimento di Bari per conto della Gius. Laterza & Figli Spa CL 20-6780-3 ISBN 88-420-6780-6 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina v Ai bambini di Altino, Alvito, Arezzo, Buenos Aires, Carpi, Casoli, Cordoba Argentina, Corigliano Calabro, Correggio, Cremona, Fano, Florencio Varela, Gabicce, Gradara, Granollers, La Plata, La Spezia, Mar del Plata, Napoli, Palombaro, Pesaro, Piombino, Reggio Emilia, Reus, Roma, Rosario, San Giorgio a Cremano, Scandicci, Viareggio, perché sono loro le parole e le idee sulle quali ho scritto questo libro e a tutti gli altri bambini che condividono le proteste e le proposte di questi loro rappresentanti. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina vi Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina vii «Non basta più dare servizi ai bambini, occorre restituire loro le città» Romano Prodi «I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta» Antoine de Saint-Exupéry «Noi siamo i bambini del mondo. Noi siamo i bambini delle strade. I bambini della guerra. Le vittime e gli orfani dell’Aids. Siamo i bambini le cui voci non vengono ascoltate. Ora è arrivato il momento di ascoltarci» Gabriela Azurduy Arrieta, 13 anni, Bolivia inaugurazione della Sessione speciale dell’Onu per l’infanzia riunita a New York, 9 maggio 2002 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina viii Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina ix Premessa Cari bambini Alle bambine e ai bambini che hanno aiutato a scrivere questo libro (ma anche a tutti quelli che vorranno unirsi a loro) Cari bambini, nel leggere il «vostro» libro mi sono soprattutto stupito del fatto che siete obbligati a chiedere ai «grandi» (cioè agli adulti) soprattutto le cose che noi adulti (forse ormai anziani) abbiamo ricevuto in grande abbondanza nella nostra infanzia. Cose che abbiamo avuto gratis e che non ci accorgevamo neanche di avere. Abbiamo giocato nei cortili senza automobili, siamo sempre andati a scuola da soli e, durante le primavere e le estati, eravamo proprio i padroni delle piazze e delle strade. Diventati grandi, abbiamo dimenticato di essere stati piccoli. Allora dovete ricordare ai grandi che sono diventati importanti (ai genitori, agli insegnanti, al sindaco e anche al presidente della Commissione europea) che si deve ripensare a tutto questo proprio per cercare di cambiare qualcosa. Per fare grandi passi in avanti non è necessario organizzare la rivoluzione, ma basta mettersi insieme a pensare a problemi e a necessità che sono state semplicemente dimenticate. Cosa serve fare case sempre più belle (e sempre più grandi), se i bambini sono sempre più soli, se non possono mai stare insieIX Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina x me ad altri bambini, se vengono soltanto «portati e ripresi» dagli adulti ad orari fissi e con l’orologio sempre in mano? Cosa serve giocare insieme se questo porta ad un agonismo sempre più spinto e sempre più organizzato dagli adulti? Si potrebbero fare tante altre domande di questo tipo e voi ne date un esempio semplice e diretto in questo libro. Dovete perciò continuare a «protestare», a dire «adesso basta!» e a fare queste domande. Ma dovete fare le domande bene, che riguardino i vostri bisogni veri e non quelle che suggeriscono gli adulti. Troppo spesso mi sembra che i bambini non esprimano i loro desideri, ma quello che gli adulti suggeriscono di desiderare. E allora proprio... non ci si capisce più niente... Le vostre domande possono aiutare gli adulti a fare scelte diverse. Li aiutano innanzi tutto a pensare al futuro (anche ad un futuro lontano), sopportando oggi qualche costo o rinuncia che consentirà domani a tutti di vivere più sani e in una società migliore. Li aiutano a costruire una città «a misura di bambino», che perciò diventa una città più vivibile per tutti. Una città in cui il vivere insieme ai compagni insegni ogni giorno ad essere solidali con gli altri. Sono domande importanti anche per il mestiere che sto facendo in questo periodo, cercare di aiutare a costruire una Europa solidale, un’Europa anche ricca, in cui però cittadini europei (perciò anche voi!) sentano tanta responsabilità nei confronti delle donne e degli uomini, delle bambine e dei bambini, dei paesi più poveri e più sfortunati. In cui ci si accorga finalmente che per vivere bene in un mondo diventato sempre più piccolo bisogna rispettarsi e aiutarsi a vicenda. E tutto questo non vuole significare un ritorno al passato, ma creare le condizioni perché tutte le cose nuove (anche Internet) diventino veramente utili per consentire a tutti di vivere meglio. Dovete parlare di queste cose con i vostri amici, parlarne tanto: voi spesso siete troppo soli e per questo perdete la vostra allegria. X Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina xi Chiedete solo ai grandi di permettervi di stare insieme (nella città, nella piazza, nelle vostre case) e di aiutarvi con questo a crescere più felici. Romano Prodi Presidente della Commissione europea 15 agosto 2002 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina xii Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 1 Se i bambini dicono: adesso basta! Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 2 RINGRAZIAMENTI Ringrazio le colleghe Antonella Prisco e Antonella Rissotto per aver letto e corretto le varie stesure di questo libro. Inoltre Antonella Rissotto ha curato i Riferimenti bibliografici e Antonella Prisco l’Appendice 3. Ringrazio Reggio Children per avermi permesso di utilizzare le bellissime espressioni dei bambini raccolte nel libro Reggio Tutta. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 3 Introduzione Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 4 I bambini non dicono mai «basta!» e tanto meno «adesso basta!», sanno che queste sono espressioni dei grandi. «Adesso basta!» è l’espressione tipica degli insegnanti, dei vigili urbani, dei genitori, per interrompere le attività preferite dai bambini, il loro intervallo, i loro giochi, la loro veglia, e costringerli ad esperienze meno piacevoli e amate come le lezioni, i compiti o il sonno. Il bambino sa che altri sono gli strumenti a lui permessi e per lui efficaci per esprimere il dissenso: il capriccio, il pianto, il mutismo, il rifiuto del cibo oppure le moine, il ricatto. Più spesso il bambino obbedisce, garantendosi così l’approvazione dei grandi. Ma quasi sempre questi atteggiamenti nascondono un «adesso basta!» represso, inespresso, inesprimibile, che affascina il bambino e gli mette paura. Sa che vorrebbe dirlo e non può. Tutti i «basta!» soffocati rappresentano una carica esplosiva, pericolosa, che ogni bambino porta dentro di sé, che potrebbe anche produrre danni, ma che può diventare una risorsa creativa e partecipativa formidabile. Che siano l’una o l’altra dipende esclusivamente dagli adulti. I grandi possono mettere i bambini in condizione di dire «adesso basta!», ma lo faranno solo se capiranno che ne vale la pena, che conviene dare la parola ai bambini per capire insieme a loro quello che desiderano, quello di cui hanno bisogno. Allora verranno fuori le cose sbagliate, le tante cose che gli adulti hanno dimenticato, quello che impedisce ai più piccoli di esprimersi e di crescere. Il bambino che dice «basta!» lo fa con urgenza, con fret4 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 5 ta, quasi con ingordigia: lui è bambino per poco tempo e in questo poco tempo ha bisogno di fare quello che è necessario per il suo sviluppo. Per questo il suo «basta!» è sempre «adesso basta!», ora, subito. Per lui le furbizie degli adulti, che sono capaci di darsi tempi lunghi anche di fronte alle massime urgenze e calamità1, non valgono. Se quello che lui dice è giusto, se lo si riconosce e lo si accetta, occorre tenerne conto da subito e subito avviare i cambiamenti necessari. Per tutti i piccoli (di età, di forze, di risorse, di possibilità, di potere) il tempo è incerto. Per loro il futuro è una possibilità e non una certezza, per questo cercano di ottenere ora, subito, tutto quello che è possibile, senza contare sulle garanzie del domani. Il bambino non sa aspettare, nei primi mesi perché non conosce il tempo, poi perché non ha fiducia nel tempo. Il tempo dei bambini è amministrato dai grandi e dei grandi non ci si può sempre fidare. I grandi dicono sempre «dopo, domani». I bambini imparano presto a dire «subito, ora». Sanno che quello che è preso è sicuro, quello che verrà si potrà sempre contrattare e forse ottenere ancora. Tipica è la strategia dei bambini nel chiedere qualcosa che desiderano: un programma televisivo, un gelato, un giocattolo. Se l’adulto chiede: «Preferisci vedere la tua ora di televisione subito o un po’ adesso e un po’ più tardi? Il gelato subito o fra un’ora?», quasi sempre il bambino risponderà: «Subito!», sia perché ora ne ha desiderio, sia perché sa che dopo ha ancora qualche speranza di strappare altre concessioni. L’adulto organizza invece il tempo contando sul futuro, ma solo perché se lo è garantito. Ha il conto in banca, il negozio sotto casa, i cibi in frigorifero, l’assicurazione, il guardaroba, il cambio di stagione. Per lui il futuro è sicuro. Per i piccoli, i deboli, i poveri, esiste solo il presente e se sono privati di quello sono perduti2. 1 Si pensi per esempio agli accordi internazionali sull’ambiente, che di fronte a pericoli considerati catastrofici, come quelli dell’effetto serra e del buco di ozono, prodotti in un breve e recente periodo, propongono misure di riduzione, peraltro parziale, dell’uso delle sostanze nocive in dieci anni. 2 Questa riflessione mi ha fatto paradossalmente ricordare il libro Se que- 5 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 6 A chi conviene? Affidarsi ai bambini, chiedere il loro aiuto, non è facile. È un compromesso alto, un rischio notevole perché i bambini sono esigenti e non possono essere ingannati. Possono affidarsi ai bambini solo coloro che sono convinti che ne valga la pena e che non esistano soluzioni migliori e più sicure per uscire dalle contraddizioni della nostra vita contemporanea. Conviene quindi a tutti coloro che sono sinceramente insoddisfatti della situazione attuale: ai genitori che si rendono conto che non basta il benessere economico per vivere una buona relazione con i propri figli; agli insegnanti che non sanno rassegnarsi ad una scuola non amata e spesso rifiutata dai loro alunni; agli amministratori che non possono accettare una città nella quale non si vedano bambini, anziani, portatori di handicap nelle strade perché trasformate in proprietà private dagli adulti automobilisti. Per tutti questi lavorare con i bambini è una risorsa importante e fortemente innovativa, che può ricostruire la speranza per il futuro e la voglia coraggiosa di operare il cambiamento. «Salviamo i bambini per salvare la speranza dell’umanità», ha detto il papa nel suo messaggio del giorno di Natale del 2001. Ma ne vale la pena? Quanto costa spostare verso i bambini l’attenzione e l’interesse della città? Quanto costa investire sull’infanzia? La risposta l’ha data Kofi Hannan l’8 maggio 2002 a New York aprendo la Sessione speciale dell’Onu per l’infanzia: «Come potremo fallire, soprattutto ora che sappiamo che ogni dollaro investito nel migliorare le condizioni dell’infanzia ha un ritorno per tutta la società di ben 7 dollari?». sto è un uomo di Primo Levi, nel quale l’autore raccontava come i prigionieri del campo di concentramento avessero perso completamente fiducia nel futuro, anche immediato, e preferivano per esempio divorare subito il loro pane piuttosto che farlo durare alcune ore, come facevano invece i prigionieri meno esperti. 6 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 7 La parola ai bambini Dare la parola ai bambini non significa fare loro domande e far rispondere chi alza la mano per primo. In questo modo si raccolgono quasi solo luoghi comuni e stereotipi, cioè la prima cosa che viene in mente, e si suscita fra i bambini una forte competizione: chi sa rispondere per primo. Dare la parola ai bambini significa invece metterli in condizione di esprimersi. Per esprimersi i bambini debbono poter ragionare su cose che conoscono direttamente, che fanno parte della loro vita. Non possono dare il loro punto di vista sulla storia lontana o sui paesi e sui problemi che non conoscono, ma possono farlo sulla vita del quartiere, della città dove vivono, sui loro bisogni, sui loro desideri. È importante coinvolgerli su problemi su cui tutti abbiano qualcosa da dire, e non solo i più bravi a scuola. Debbono essere messi nelle condizioni adeguate, senza fretta, senza controlli, senza preoccupazioni, potendo sbagliare, dire stupidaggini, fare ironia, proprio come noi grandi3. Con la possibilità di scegliere il mezzo più adeguato: la parola, il disegno, il testo scritto, il progetto, ecc. Perché i bambini possano esprimersi, e abbiano il desiderio di farlo, occorre che gli adulti sappiano ascoltare. Questo non significa solo stare a sentire, ma cercare di capire, di dare valore alle parole, alle intenzioni vere di chi parla. Tutti i bambini parlano, ma non sempre gli adulti sono capaci di raccogliere il messaggio. Specialmente i bambini che parlano poco e si esprimono male hanno certamente cose importanti da dire e attendono solo adulti capaci di ascoltare anche loro e di capirli. Ascoltare significa stare dalla loro parte, essere disposti a difendere le loro posizioni e le loro richieste. Quando i bambini ca3 Si pensi ad esempio alla tecnica del brain storming per la quale il mondo della pubblicità è disposto a investire notevoli risorse economiche: si tratta di mettere intorno a un tavolo persone di alto livello professionale, profondamente diverse fra di loro, perché dicano su un tema dato quello che vogliono, con la massima libertà possibile, confidando che da questa «tempesta di cervelli» possano nascere le idee nuove per nuovi slogan, per nuove campagne. 7 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 8 piscono questo, tutto diventa più chiaro e più facile. L’adulto non chiede per vedere chi è bravo e quanto è bravo, ma perché è convinto che i bambini possano aiutarlo. Allora la parola cessa di essere solo un diritto, per il quale vale la pena alzare la mano per primi e rivendicarne la proprietà, ma diventa un dovere, la motivazione cresce e i bambini staranno con noi, saranno nostri alleati. Quando diranno «basta!» lo faranno a nome di tutti, non solo di tutti i bambini, ma anche a nome di tutti gli adulti che dovrebbero dirlo e non ne hanno il coraggio. Come nella fiaba il bambino è ancora oggi, probabilmente, l’unico che può dire: «Il re è nudo» e rompere il muro di adulazione e di omertà con il quale i grandi difendono le loro scelte, anche le più discutibili. Ascoltare significa avere bisogno del contributo dell’altro. Non basta essere interessati, motivati, convinti che sia una buona tecnica per coinvolgere i bambini, bisogna sentirne sinceramente e urgentemente la necessità. Occorre aver bisogno dei bambini. Questa è la prima e vera condizione perché si possa dare la parola ai bambini: riconoscerli capaci di darci opinioni, idee e proposte utili per noi adulti, capaci di aiutarci a risolvere i nostri problemi. Se così sarà, il rapporto con loro sarà corretto, fra cittadini adulti e cittadini piccoli, ma cittadini adesso. Se così non sarà, potremo fare ai bambini dei regali, passare con loro periodi simpatici e divertenti (specialmente per noi), ma rimarranno sempre esclusi dai loro diritti, perché rimarranno sempre dei «futuri cittadini» o, se si preferisce, dei «minori». Undici anni di esperienza Sono undici anni che i bambini partecipano al progetto «La città dei bambini»4. Da Fano5 il progetto è passato a una rete di città 4 Per una conoscenza delle caratteristiche teoriche e metodologiche del progetto e per la conoscenza delle prime esperienze si veda: F. Tonucci, La città dei bambini, Laterza, Roma-Bari 1996. Per conoscerne le sue linee generali e gli sviluppi fino ad oggi si veda l’Appendice 1 di questo libro. 5 Città nella quale nel 1991 iniziò il progetto «La città dei bambini» di cui sono stato direttore scientifico. 8 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 9 italiane e straniere. I bambini hanno avanzato proposte nei Consigli dei bambini, nelle esperienze di Progettazione partecipata, negli interventi nei Consigli comunali6. Molte volte sono stati ascoltati, molte volte le loro denunce e le loro proposte hanno fatto discutere gli adulti, hanno fatto prendere coscienza di errori e dimenticanze e hanno promosso decisioni nuove, interventi amministrativi di cambiamento. Alcune volte le proposte progettuali dei bambini, grazie anche alla competenza degli adulti che hanno lavorato con loro, sono state realizzate con soddisfazione degli stessi adulti, oltre che, ovviamente, dei piccoli autori, dei loro amici e dei loro familiari. Spesso però sono rimaste inascoltate, o per meglio dire, accolte, apprezzate, come si fa di solito di fronte al contributo dei bambini, ma non realizzate. Questo è il comportamento peggiore e purtroppo il più comune nel rapporto fra adulti e bambini. Si comincia solo adesso a parlare del rischio della delusione: chiedere ai bambini di proporre e non tenerne conto produce una delusione grave, che vanifica la bontà della richiesta7. Credo che la cosa più grave sia la perdita da parte degli adulti di una grande opportunità. I bambini sono abituati a non essere ascoltati o ad essere ammirati senza essere presi sul serio, non li stupisce e non li delude eccessivamente il disinteresse degli adulti. Se però una volta succedesse che, avendo avanzato una proposta questa venisse tenuta in conto e realizzata, allora avverrebbe il «miracolo»: quei bambini si sentirebbero con orgoglio cittadini, e avrebbero una gran voglia di diventare grandi per continuare a difendere e a migliorare la loro città. Se si riflette sul difficile rapporto con le giovani generazioni, su come e quanto queste spesso si sentano estranee e ostili rispetto agli adulti, alle loro istituzioni, alle loro città; se si pensa ai lo6 Per la metodologia della Progettazione partecipata ai bambini e per i Consigli dei bambini si veda l’Appendice 1. 7 P. Tué, Gli interventi visti dai bambini, in C. Baraldi, G. Maggioni (a cura di), Una città con i bambini. Progetti ed esperienze del Laboratorio di Fano, Donzelli, Roma 2000, pp. 101-121. 9 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 10 ro duri e inquietanti messaggi di aggressività o di fuga, dal vandalismo alla droga; si capirà bene quale valore possano avere queste esperienze di partecipazione infantile e quale errore compie l’adulto, l’amministratore, l’educatore se disattende le promesse fatte8. Un bambino del Consiglio dei bambini di Fano, facendo un bilancio del primo anno di esperienza, ha detto: «Quando ho conosciuto i problemi della città e ho capito che potevo fare qualcosa, mi sono sentito responsabile» e un suo piccolo collega: «All’inizio sembrava un’esperienza noiosa, come sempre, e non mi davo da fare, ma dopo ho visto che molti dei desideri si sono avverati e allora mi sono rimproverato»9. Una bella lezione per tutti noi grandi! Queste proposte dei bambini Gran parte delle proposte sulle quali è costruito questo libro sono state da me raccolte in questi undici anni di lavoro nel progetto «La città dei bambini». Molte vengono dall’esperienza di Fano, nella quale ho animato il Consiglio dei bambini per sette anni consecutivi e dove ho seguito varie esperienze di Progettazione partecipata; le ultime dal nuovo Consiglio dei bambini che animo a Roma dalla fine del 2001. Ma sono anche raccolte nelle varie città italiane, spagnole e argentine dove sono stato chiamato per promuovere il progetto. Ogni volta che è stato possibile ho chiesto un incontro con il Consiglio dei bambini10. Sono 8 Questo quadro non vuol rappresentare il mondo giovanile che oggi a volte è in grado di esprimere forme appassionate di volontariato o di partecipazione a movimenti ambientalisti, antiglobalizzazione, ecc., ma solo sottolineare la difficoltà di relazione fra le diverse generazioni e la validità delle proposte di coinvolgimento diretto dei bambini e dei giovani alla vita pubblica della propria città. 9 Vedi il capitolo Mi sono sentito responsabile. 10 In verità ho chiesto sempre due cose, di incontrare i bambini e di incontrare il sindaco e la sua Giunta. In molte città italiane e straniere, da Pa- 10 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 11 quindi, per la maggior parte, frasi ascoltate personalmente e discusse con i bambini. Sono, a meno di indicazioni diverse, proposte di bambini dai sei agli undici anni, quelli che partecipano appunto ai Consigli dei bambini e alla maggior parte delle esperienze di Progettazione partecipata promosse dal progetto. Non sono quindi tutte le possibili proposte che i bambini sono in grado di esprimere. Sono una scelta personale che più che dare un quadro completo delle idee infantili vuole aiutare gli adulti a capire i bambini, a porsi, di fronte alle loro parole e alle loro proposte, con un atteggiamento di curiosità, di interesse e di disponibilità. Se a volte sembrano frasi eccessivamente acute o efficaci per essere state pronunciate da bambini così piccoli si pensino almeno due cose. La prima è che troppo spesso gli adulti pensano quello che dice Alice: «Gli adulti, quasi tutti, pensano che bambino è uguale a scemo»11, ma che è profondamente falso e che per averne una prova è sufficiente abituarsi ad ascoltare i bambini dopo averli messi nelle migliori condizioni di esprimersi. La seconda è che alcune di queste frasi sorgono in modo estemporaneo, ma la maggior parte nasce in contesti di partecipazione di lunga durata, con forti motivazioni e adeguati rinforzi (gli adulti ascoltano veramente e sono disposti a tenerne conto) e che questo produce un alto impegno dei bambini, che riescono a dare il meglio (perché ne vale la pena). Ogni lettore, nella propria famiglia, nella propria scuola o nella propria città, potrà raccogliere altre frasi, arricchire questo campionario di idee, se sarà interessato a chiederle e se metterà i bambini in condizione di produrle. lermo a Buenos Aires, da Rosario a Cremona, da Arezzo a Roma ho avuto la possibilità di tenere dei «seminari di Giunta», nei quali per ore politici e tecnici hanno discusso insieme a me del progetto «La città dei bambini» e di come la città avrebbe potuto utilmente svilupparlo. 11 Vedi il capitolo Mi sono sentito responsabile. 11 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 12 Il «campo» dei bambini I bambini sono in grado di intervenire, esprimendo opinioni e avanzando proposte, su tutti i problemi della città, perché anche loro li vivono come ogni cittadino e li vivono dal loro particolare punto di vista che è insieme più «basso» e più ignorato degli altri12. Due bambini del Consiglio dei bambini di Roma dicono: «Noi siamo bambini e vediamo la città in modo diverso dagli adulti», «I bambini sono più preparati sulla città e sui quartieri». Naturalmente però, i bambini saranno più esaurienti, precisi e competenti quando parlano di aspetti più vicini ai loro bisogni e ai loro interessi e desideri. Non deve quindi stupire se molti capitoli di questo libro sono dedicati al gioco, alle sue condizioni, alle sue caratteristiche, essendo questa l’occupazione più importante, più alta e necessaria dell’infanzia e probabilmente di tutta la vita dell’uomo. Quella che, dopo averla riconosciuta e difesa con l’articolo 31 della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia13, gli adulti dovrebbero riconoscere come dovere per i bambini: i bambini che non giocano, o che non giocano sufficientemente e bene, non saranno buone donne e buoni uomini adulti, né buoni genitori, né buoni insegnanti, né buoni lavoratori, né buoni amministratori. Negli ultimi decenni le città sono state totalmente modificate e stravolte assumendo come parametro fondamentale il lavoro degli adulti. La residenza, la viabilità, la sanità, il divertimento, la spesa sono stati pensati a misura di un adulto lavoratore. A dimostrazione di questo basti pensare al potere che ha oggi l’au12 Il bambino rappresenta il diverso, il lontano dal modo di pensare, di valutare e quindi di progettare dell’adulto. Possiamo anzi dire che il bambino è il «più diverso» da noi adulti produttivi, e rappresenta tutte le diversità di sesso, di età, di censo, di capacità, di razza, di religione. Chi impara a capire i bambini si apre a tutti. 13 Promulgata dalle Nazioni Unite a New York il 20 novembre del 1989 e ratificata dal Parlamento italiano con la legge n. 176 del 1991 e da ora indicata come «la Convenzione». 12 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 13 to privata nella vita e nelle caratteristiche funzionali e strutturali di una città. Probabilmente si potrebbe restituire vita e qualità alle nostre città se si cominciasse un nuovo percorso progettuale assumendo come parametro il gioco dei bambini. Pensare la residenza, la viabilità, la sanità, il divertimento, la spesa, naturalmente di tutti, pensandoli a misura di un bambino che ha il dovere di giocare. Le proposte dei bambini hanno il difetto di essere semplici e di sembrare ovvie, banali, perfino tautologiche. Attenzione: è un trucco, è una trappola! È una strategia tipica dei bambini quella di chiedere poco, per tastare il terreno e capire l’atteggiamento degli adulti, specialmente in campi poco usuali (come questo della città) o che si presumono «a rischio». Un esempio interessante lo possiamo trarre dall’educazione sessuale. Una tipica domanda del bambino alla mamma incinta è: «Mamma dove sta il bambino?». Una richiesta apparentemente banale se non stupida, dato che il «dove» si vede facilmente. Siccome l’argomento è «delicato» e spesso trova gli adulti impreparati e insicuri, ed è previsto che i bambini possano fare domande stupidine, l’adulto è ben felice di chiudere il rischioso argomento rispondendo puntualmente e onestamente: «Il bambino sta nella pancia della mamma». Il bambino appare soddisfatto, infatti ha avuto la risposta che cercava, ma ad un problema molto più importante: quanto erano disposti a dire i suoi genitori. Ha capito che questa disponibilità non c’è e si guarderà bene dall’indagare ancora mettendo a disagio quei grandi per lui così importanti. Cercherà altrove come abbiamo fatto tutti, da amici più grandi, nei fumetti, nei libri, nella televisione o forse in Internet la risposta alle domande vere che hanno sempre incuriosito i bambini su questo argomento: «Come è entrato nella pancia della mamma quel bambino? Chi ce l’ha messo? Cosa c’entra il papà? E da dove uscirà fuori?». Sa che sono domande pesanti e allora ne fa una leggera. Se l’adulto capisce quello che questa domanda nasconde ne approfitterà per raccontare le cose importanti, se no si difenderà limitandosi alla risposta dovuta. 13 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 14 Le proposte dei bambini ci sembrano banali perché abbiamo perso il senso della realtà, delle cose semplici, di quelle importanti. Un bambino di Ponticelli, quartiere periferico di Napoli14, dice: «I bambini devono giocare dove possono giocare», e uno di Fano ribadisce: «Non è giusto che i bambini debbano pagare per giocare». Sembrano banalità ma sono concetti profondi e compromettenti, come vedremo nelle prossime pagine. Il problema è che l’adulto deve saper scoprire quello che è nascosto sotto le frasi semplici dei bambini, trarne tutte le possibili conseguenze e i possibili benefici. È preziosa per l’adulto l’ottica bassa, analitica, puntigliosa del bambino, ma deve saperla riportare con coraggio alla grande dimensione della città, tradurla, adattarla, trasformarla in linea programmatica e progettuale. Questo ai bambini non compete e non interessa, questo è compito di chi ha il potere di decidere e di fare. Allora si capisce bene che non si tratta di far contenti i bambini, ma di cambiare qualcosa nelle nostre famiglie, dentro la scuola, nell’intera città. 14 Le città di provenienza dei bambini di cui sono riportate le frasi sono brevemente descritte nella Appendice 3. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 15 Per essere felici «Per essere felici bisogna essere in due o in tre» (Reggio Emilia) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 16 U na bambina di una scuola dell’infanzia di Reggio Emilia dice: «Per essere felici bisogna essere in due o in tre», denunciando con la semplicità e la durezza dei bambini una condizione purtroppo frequente per i piccoli abitanti delle città moderne e ricche dell’Occidente: la solitudine1. Da soli non si può essere felici. Nella nostra società non avere figli o averne uno è una scelta frequente nelle giovani coppie. Si tende a ritardare l’arrivo del primo figlio per poter risolvere problemi di carriera, economici, di vita di coppia. Poi ci si abitua a non averne e si ha difficoltà a cambiare vita dividendo con un nuovo arrivato le abitudini consolidate. Si dice che la causa della difficoltà ad aver figli sia l’incertezza economica o la mancanza di servizi a favore delle madri lavoratrici, ma non è vero: il livello economico delle famiglie di oggi è certamente più alto di quello delle famiglie di qualche generazione fa e comunque non aver figli o averne uno solo è tipico delle famiglie più agiate e non delle più povere, del Nord e non del Sud. Lo stesso vale per i servizi: sono le città dotate dei migliori servizi per l’infanzia quelle che hanno l’indice di natalità 1 Il problema della solitudine dei bambini nella vita delle nostre città ricche è stato uno dei motivi ispiratori del progetto, essendo evidente che per la sua soluzione non sono sufficienti e adeguate le risposte individuali e private, ma occorre ripensare l’intera città. A questo tema era dedicato un capitolo del libro di presentazione del progetto (F. Tonucci, La città dei bambini, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 25-29) e un precedente volume (F. Tonucci, La solitudine del bambino, La Nuova Italia, Firenze 1995). 16 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 17 più basso, mentre è più alto nelle città che non ne hanno affatto o li hanno insufficienti e di bassa qualità. Le ragioni probabilmente sono altre, forse più profonde e più legate alla sfera morale, dei valori, che non a quella economica. Certamente questa paura dei grandi di avere bambini, quella di averne più di uno, non corrisponde all’interesse dei bambini e neppure a quello degli adulti. Un bambino di una scuola elementare di Roma scrive come uno dei diritti dei bambini assenti dalla Convenzione: «I bambini hanno diritto ad avere fratelli». La bambina di Reggio Emilia dice con sicurezza: «Per essere felici bisogna essere in due o in tre». I due affermano che per essere felici non si può essere da soli. «Per essere felici» dice la bambina. È importante questo richiamo ad un obiettivo che spesso viene considerato dagli adulti un’utopia, un desiderio impossibile e che invece dovrebbe improntare tutta la vita dell’uomo. Gli adulti sembrano rassegnati alla rinuncia del livello del piacere e quindi della felicità in cambio di benefici effimeri e insoddisfacenti, come la comodità, la sicurezza, la ricchezza. La bambina ricorda a noi adulti le cose importanti, che non costano denaro. Per essere felici bisogna avere altri bambini con cui giocare. Sembra spropositata l’affermazione, ma è assolutamente realistica e concreta: per giocare innanzi tutto occorrono amici. In una famosa ricerca si dimostrava come dei cuccioli di scimmia allevati con un surrogato materno ma con la compagnia di coetanei assumevano nel tempo comportamenti normali, mentre altri piccoli allevati nelle stesse condizioni ma senza poter frequentare coetanei sviluppavano comportamenti patologici2. Naturalmente non si possono trasferire direttamente all’uomo ricerche sul mondo animale, ma deve far riflettere il fatto che questo avvenga tra le scimmie per le quali il comportamento è guidato dall’istinto e dal codice genetico più che nella specie uma2 Ci si riferisce ai famosi studi del ricercatore americano Harry F. Harlow e dello stesso con Margaret K. Harlow, pubblicati su «Scientific American» nel 1959 e 1962. 17 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 18 na. Ci deve per esempio far dubitare fortemente della convinzione che al bambino basti sua madre, che la madre sia in grado di soddisfare tutti i suoi bisogni, che l’importante è solo che i genitori passino abbastanza tempo con i loro figli. Non è vero che il bambino sta meglio con la mamma che al nido, non è vero che possa essere soddisfatto da un numero sufficiente di ore che i genitori gli dedicano per giocare con lui. È vero senza dubbio che il bambino ha assolutamente e prima di tutto bisogno di genitori che gli vogliano bene, ma anche che lui e la sua mamma, negli appartamenti e nelle città di oggi, vivono una esperienza di profonda solitudine. È vero che il bambino ha bisogno di frequentare altri bambini fin dai primi mesi di vita. È vero che il bambino ha bisogno di giocare con altri bambini. Con quanti bambini deve giocare? Con due o tre risponde la bambina. Non quindi con quindici, venti, come prevedono i servizi predisposti dagli adulti. Il nido quindi è probabilmente necessario, ma non è adeguato alle necessità dei bambini. È sconcertante come l’opinione espressa così chiaramente da questi bambini sia in netto contrasto con le tendenze della nostra società e con le corrispondenti scelte amministrative. Da una parte il grande sforzo economico, progettuale e commerciale perché i bambini possano star bene anche da soli. I bambini di oggi sono tutti grandi proprietari di giocattoli, di attrezzature audiovisive e informatiche complesse e costose, molti di loro hanno il telefono cellulare e sempre di più navigano in Internet. Queste sono le risposte della società dei consumi alla preoccupazione delle famiglie sulla solitudine dei loro bambini: si può giocare anche da soli, eventualmente contro se stessi nella grottesca imitazione del gioco-scoperta-avventura dei videogiochi; gli amici possono essere virtuali o raggiunti per vie telematiche. Dall’altra servizi per l’infanzia pensati per rispondere più ai bisogni dei genitori e specie delle madri lavoratrici che dei bambini: in spazi grandi i bambini sono troppi, per tempi molto lunghi. Tanto rumore, impossibilità di scappare, di nascondersi, di stare da soli o «in due o in tre». 18 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 19 Ma i bambini spingono anche più avanti la proposta. Un bambino di Alvito scrive: «Un bambino ha diritto ad avere i genitori felici». Di nuovo una proposta che stupisce e che contrasta con il modello del buon genitore che la nostra società sembra avallare: il bambino ha diritto a genitori disposti a sacrificarsi per lui, a rinunciare al loro benessere per quello del figlio, a vendere la giubba per comprargli l’abbecedario come Geppetto con Pinocchio. Ma i bambini sanno bene che con genitori che si sacrificano si vive male perché sono scontenti, sono tristi. Sanno che se i loro padri e le loro madri debbono rinunciare a cose importanti in qualche modo gliela faranno pagare. Sono questi aspetti misteriosi del rapporto affettivo, che nessuno, né bambino né adulto, riconoscerebbe, ma che tutti sappiamo di aver vissuto come figli e come genitori. Al contrario è molto chiaro per i bambini che più i genitori sono felici più potranno esserlo loro, perché con persone che stanno bene si sta bene, con persone che si sentono realizzate è più facile essere riconosciuti capaci e meritevoli; perché le persone contente sono meno ansiose, hanno meno paura, sono più ottimiste. Come si potrà notare nelle pagine che seguono i bambini spesso si fanno carico dei problemi degli adulti, dei loro sentimenti, dei loro spazi, delle loro paure, della loro felicità. I bambini sanno che dipendono fortemente dagli adulti, ne hanno bisogno, ne sono condizionati e allora poter contare su buoni adulti diventa per loro una condizione indispensabile per garantirsi una accettabile qualità di vita infantile. I bambini sono consapevoli di essere parte di una struttura sociale complessa, mentre gli adulti pensano di rappresentare tutto e tutti, e che quindi se saranno soddisfatte le loro esigenze tutti ne potranno trarre beneficio. Due esempi emblematici ci vengono da bambini colombiani malati di leucemia infantile. Silvia, di otto anni, regala un suo disegno alla mamma e dice: «Mamma, questo disegno l’ho fatto per te. Io penso di essere brava con te, ma voglio un regalo: che piangi di meno». David, di dieci anni, dopo un intervento chirurgico dice: 19 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 20 «Quando sarò grande, voglio scoprire chi è stato a dire che i bambini nascono per essere felici. Perché non è vero»3. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? I bambini in genere danno delle soluzioni semplici, praticabili, economiche. Il bambino di Roma fa un’affermazione molto precisa e difficilmente oppugnabile: «I bambini hanno diritto ad avere fratelli». Questo diritto non c’è fra quelli scritti nella Convenzione ma è ragionevole. Se lo si riconosce legittimo significa che una coppia che decide di avere figli sa fin dall’inizio che non dovrebbe essere uno solo (naturalmente se non ci sono impedimenti insuperabili). E quando dovrà nascere il fratellino-sorellina? In tempo utile perché possano farsi compagnia, giocare insieme, non dipendere necessariamente ed esclusivamente dai genitori; che non siano insomma due figli unici. E quanti dovranno essere i figli? Possibilmente il numero che risponde di più alle esigenze di felicità, di serenità, di soddisfazione dei bambini stessi e dei loro genitori. Si diceva sopra che la tendenza a non aver figli o ad averne uno solo non risponde neppure all’interesse e al benessere dei genitori. Effettivamente i figli sono un fattore importante nello sviluppo della relazione di coppia, perché abbiano senso gli sforzi lavorativi e di progressivo benessere, che sembrerebbero altrimenti assurdi senza una prospettiva di continuità e di futuro. Ma c’è un aspetto più interessante. La scelta di lasciare la propria famiglia per andare a vivere con un’altra persona significa la rinuncia di un equilibrio familiare, con tutti i suoi vantaggi, ma anche con le sue regole e routine ormai insufficienti e inaccettabili per un giovane. Significa iniziare la ricerca di un nuovo equilibrio di coppia, con 3 Queste e le altre frasi di bambini malati di leucemia sono raccolte nell’ambito del programma di cooperazione internazionale fra il reparto di pediatria dell’ospedale San Gerardo di Monza diretto dal professor Giuseppe Masera e alcuni paesi del Centro e Sud America. 20 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 21 nuovi vincoli, nuovi privilegi, nuove abitudini e nuovi vantaggi. L’arrivo di un figlio sconvolge questo equilibrio che si era trovato fra due e richiede la ricerca di un nuovo equilibrio a tre, modificando le abitudini, mettendo alla prova le disponibilità. Quando arriverà il secondo figlio questo terremoto si ripeterà e così via se arriverà anche il terzo. E poi comincerà il processo inverso: i figli cominceranno ad andarsene. Prima a scuola, poi in vacanza, poi formeranno una loro famiglia e il nucleo dovrà ogni volta rompere il suo equilibrio per costruirne uno nuovo, diventando quattro, poi tre, poi tornando ad essere due, in attesa del primo nipotino. È un continuo modificarsi di equilibri, proprio come si diceva del gioco infantile. Questi continui adattamenti arricchiscono, fortificano e danno sapore alla vita. È più difficile essere genitori di un solo figlio ed è più difficile essere figlio unico. È difficile, avendo un solo figlio, riconoscergli l’autonomia di cui ha bisogno, riconoscere il diritto di essere se stesso, riconoscere che non è «proprietà» di chi lo ha generato. Il figlio unico deve confrontarsi sempre e solo con gli adulti, senza la mediazione preziosa di un fratellino-sorellina che può volta a volta diventare un alleato, un nemico, una scusa, un alibi, un modello, un allievo. Questo vale non solo per il gioco, ma anche per gli apprendimenti, per le emozioni. Si crea un giro di relazioni più articolato e complesso e quindi più ricco. I figli, se sono vari, diventano più autonomi e questo tranquillizza e libera gli stessi genitori. Poter avere più figli. Questa scelta è solo apparentemente personale. Dipende invece da una serie di condizioni sociali che la città può modificare. La città può assumere queste richieste dei bambini e fare in modo che sia possibile, desiderabile, bello per le giovani coppie, avere bambini e che sia possibile per i bambini incontrarsi nelle modalità e nel numero che desiderano. Oggi di questo si parla molto e molte città stanno elaborando proposte in proposito, ma sembrano sempre proposte banali, ovvie e finiscono per essere inefficaci. Alcune città offrono denaro per la nascita dei figli, altre servizi di assistenza e di ospitalità per 21 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 22 permettere ai genitori di non rinunciare al lavoro. Mi sembra però che il problema sia diverso. Le giovani coppie hanno paura di avere figli perché le città sono ostili ai bambini, perché non si vedono bambini in giro, perché si parla di bambini solo per denunciare le violenze che subiscono. I politici e gli amministratori dovrebbero esaminare approfonditamente come dovrebbero essere una società e una città per essere adatte ai bambini, per accoglierli, per riconoscerli come cittadini fin dalla nascita e prendere gradualmente ma coerentemente decisioni operative. La nostra società ha fatto molto per il riconoscimento e la tutela della maternità, fino alle ultime leggi che permettono anche al padre di assumere gli oneri necessari per seguire e curare i propri figli, ma occorre fare di più, occorre modificare ancora l’ottica. Finora hanno prevalso i bisogni e i diritti degli adulti e specialmente della donna. Si è tutelata giustamente la sua salute nel periodo di gravidanza e la sua possibilità di nutrire il bambino nei primi mesi e, volendo, nel primo anno di vita. Si è anche permesso alla madre e più recentemente anche al padre di essere vicini ai loro figli quando sono malati. Bisogna proseguire su questa strada domandandosi sempre di più: cosa chiede un bambino a questa età, di cosa ha bisogno? Forse bisogna avere più coraggio per trarre tutte le conseguenze dal fatto che ci sia un bambino: nell’organizzazione e negli orari del lavoro, nell’offerta dei servizi, nelle modalità di costruzione delle case e dei quartieri. Se un bambino nei primi mesi e nei primi anni di vita non vuole, non deve, restare separato dai suoi genitori per tempi troppo lunghi, si dovranno organizzare servizi infantili più articolati e duttili, ma si dovrà anche prevedere che, se c’è un bambino, il contratto di lavoro dei genitori debba essere diverso. Un titolo di merito. Mentre l’uomo, nel pieno delle sue capacità ottiene i migliori risultati professionali, pubblica articoli, realizza brevetti, partecipa alla vita politica, fa carriera, la donna mette al mondo i figli, li allatta e ne segue i primi periodi di vita. Quando la donna torna al lavoro il suo coetaneo maschio è or22 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 23 mai irraggiungibile. Dovrà accontentarsi di una carriera minore. Oppure, dovrà rinunciare ad avere figli. I ruoli non possono invertirsi, solo le donne sanno fare figli e allattarli. La società deve valutare se questa funzione è importante, fondamentale o solo auspicabile, come sembra oggi. Valutare cioè se un bambino è più o meno importante di un brevetto, di un concorso, di un articolo su una rivista internazionale. Se è più importante, come personalmente non ho dubbi a pensare, allora deve valere. La donna che ha avuto un figlio, tre figli, dovrà aver riconosciuti questi titoli per la sua carriera professionale. Questa opportunità non deve ovviamente suonare censura a chi liberamente vuole dedicarsi totalmente alla professione, alla scienza o all’arte, ma sostegno e giusto riconoscimento a chi non vuol rinunciare all’esperienza più grande che a una donna sia permessa, quella di generare un’altra persona, farsela crescere dentro e nutrirla col proprio latte. Mi sembra che non ci sia niente di demagogico in questa proposta e non è un caso che la si possa esaminare oggi. Oggi sappiamo quanto pesa nella storia di un bambino essere nato da genitori giovani, non essere considerato un limite per la madre, essere allattato al seno e seguito per i primi tempi; sappiamo quanto è importante che non sia figlio unico: sarà probabilmente una donna o un uomo più sano, più sereno, più creativo e produttivo. Di queste madri la società ha bisogno e allora deve coerentemente sostenerle e premiarle. Tutele della maternità e della paternità. Non sono esperto in questa materia e non mi permetto di effettuare analisi sociologiche o di avanzare proposte tecniche. Provo solo a suggerire alcune possibili iniziative assumendo ancora e solo il punto di vista del bambino. Cosa proporrebbe lui per avere una famiglia nella quale nascere e crescere nelle migliori condizioni. • Formazione alla maternità e alla paternità. I giovani di oggi hanno paura di dare la vita a un bambino. Sentono questa esperienza superiore alle loro capacità e inadeguata alle condizioni ambientali nelle quali viviamo, per le paure che ci circondano e per le 23 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 24 incertezze rispetto al futuro. Una volta, qualche generazione fa, la cultura materna veniva trasmessa da madre a figlia e la maternità delle giovani veniva assistita e tutelata dalle loro madri. Quando il distacco generazionale della fine degli anni Sessanta ha interrotto questa continuità e ha reso inutilizzabili queste garanzie, i giovani si sono trovati soli con la loro presunzione e la loro fragilità. La società, attraverso la scuola, le varie pubblicazioni divulgative, i centri di ascolto e i consultori, ha pensato che il problema più importante fosse una buona educazione sessuale. Si è aperto un ridicolo dibattito sui tempi e i modi di tale formazione e si è finito per dare ai bambini un’informazione meccanicistica dell’esperienza più bella. Si illustra l’anatomia e il funzionamento del sesso, quasi mai si parla del piacere e del sentimento. Di solito la scuola arriva a spiegare quello che tutti gli alunni già conoscono. Ma quello che sarebbe necessario, a partire dall’infanzia e fino alla giovinezza, è una formazione all’affettività, al piacere, alla paternità e alla maternità. Far capire e far sperimentare ai giovani il fascino della vita, le caratteristiche, le esigenze, le ricchezze di un bambino nella pancia della mamma e poi di pochi mesi, di qualche anno, incontrando donne incinte, bambini piccoli. Sarebbe necessario aiutare i giovani a innamorarsi dei bambini perché non vedano l’ora di averne di loro. • Rendere facile formare una famiglia. I giovani di oggi creano esperienze di coppia senza avere il coraggio di formalizzare la loro condizione. Dicono che prima bisogna provare, preoccupati dai troppi esempi negativi che la nostra generazione dei padri ha dato loro e che loro hanno sofferto. Dicono che sposarsi è solo una formalità; dicono che lo faranno solo quando dovessero pensare di avere figli. E le loro relazioni si esauriscono spesso perché gli stimoli che le hanno fatte nascere finiscono. Si deve facilitare la formazione delle giovani famiglie perché i bambini hanno bisogno di genitori giovani e la società ha bisogno di famiglie come elementi basilari della sua organizzazione sociale. Vale la pena fare grandi investimenti per garantire il lavoro ai giovani. Un 24 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 25 giovane che lavora è un buon cittadino, non perde tempo in attività preoccupanti o pericolose, pensa con interesse al proprio futuro e alla propria famiglia. Un giovane disoccupato è un grande problema sociale, costa molto e difficilmente potrà essere recuperato a quell’impegno necessario per contribuire al futuro della società. Lo stesso vale per la casa. Offrire case alle giovani coppie, in condizioni favorevoli di affitto, di prestito d’onore, costerà sempre meno che avere i figli in casa fino ai trent’anni, in necessario conflitto con i genitori, sfiduciati e rassegnati. • Rendere facile avere un figlio e avere una madre. Giustamente le leggi, anche quelle che prevedono la possibilità dell’aborto, insistono sulla necessità che la maternità sia sempre e in ogni condizione tutelata e garantita. La donna incinta deve trovare tutti gli aiuti sociali necessari per portare a compimento la sua maternità. Aiuti psicologici e sociali da un lato e aiuti economici dall’altro. Anche in questo caso l’investimento economico che queste garanzie richiedono non sarà mai eccessivo rispetto al rendimento sociale che se ne potrà ottenere. Se però, alla fine della sua esperienza di madre, nonostante tutti gli aiuti, la donna non si sente in grado di tenere suo figlio, questi deve poter trovare immediatamente una famiglia. Il bambino che nasce ha bisogno e diritto ad una famiglia da subito, non dopo settimane o mesi come la legge o le procedure attuali prevedono. Ancora una volta la legge privilegia il più forte. Pur nella condizione estremamente complessa e sofferta della donna che partorisce in condizioni di difficoltà, tra lei e il figlio il più debole è il bambino e la legge deve stare dalla sua parte. Naturalmente a questo passo delicato e anche drammatico la donna deve essere preparata durante tutta la gravidanza e sentire la possibilità che suo figlio possa avere una buona famiglia che lo adotti da subito come una garanzia di felicità per lui e di tranquillità per lei. In Italia abbiamo migliaia di famiglie in attesa di adozione e tanti bambini neonati affidati per mesi o per anni ad istituti. Chi vuol adottare si rivolge ai paesi stranieri, in attesa che le nostre leggi scelgano di schierarsi dalla parte dei più deboli. 25 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 26 • Avere una madre e un padre. La rivendicazione del figlio come «mio» avanzata tante volte dalle donne, pur comprensibile in un contesto di lotta, è scorretta e pericolosa. Il bambino non è né del padre né della madre, è «suo» e quando nasce ha diritto di essere felice. Per essere felice un bambino ha bisogno di una madre e di un padre che gli vogliano bene. Separare i diritti e i doveri della madre da quelli del padre certamente non risponde alle aspettative del bambino e, per quel che posso capire, non risponde neppure agli interessi della madre, che rischia di trovarsi terribilmente sola a sacrificarsi per suo figlio, che diventerà sempre più suo e sempre meno se stesso. Certamente gli uomini hanno bisogno di essere padri, di sentire il peso e la soddisfazione di un bambino che cresce anche grazie alle attenzioni e al tempo che a lui hanno dedicato. È uno dei modi migliori per diventare grandi, per capire cosa significa una famiglia e per sentire in profondità cosa vuol dire una relazione con una donna, per sentirsi parte attiva di una società. Essere felici. Il bambino di Alvito non esprime un desiderio privato, non esprime una esortazione per i suoi genitori, non dice: «Mi raccomando mamma e papà, cercate di essere felici», ma fa una proposta politica: «Un bambino ha diritto di avere i propri genitori felici». Questo bambino parla quindi al Parlamento, al governo chiedendo che difendano questo diritto dei bambini, facendo in modo, con le loro leggi, con i loro interventi, che i genitori di ogni bambino possano essere felici. È possibile, è legittimo rivendicare un diritto alla felicità? Non sembra facile. L’articolo 1 della nostra Costituzione recita: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Chi non lavora ancora, chi non lavora più o chi non può lavorare (dall’invalido al disoccupato) contribuisce meno alla fondazione della nostra Repubblica e, se si vuole, è un po’ meno cittadino o lo è solo grazie ad altri che lavorano anche per lui. Il bambino di Alvito avrebbe probabilmente suggerito di scrivere «fondata sulla felicità». In questo caso tutti ne avrebbero avuto diritto e tutti avrebbero concorso, con la propria felicità, a fondare la nostra società. 26 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 27 Per i politici e per gli amministratori potrebbe essere un modo nuovo per pensare alle necessità dei cittadini: non assumendo come obiettivo la sopravvivenza, il sostegno, l’assistenza, ma la felicità, sapendo che difficilmente si riuscirà a raggiungerla, ma nella convinzione che questa debba essere la ragione che muove le scelte e le attività. Un diritto che manca. All’articolo 41 la Convenzione recita: «Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione pregiudica disposizioni più propizie all’attuazione dei diritti del fanciullo». Quindi ogni Stato può aggiungerne delle altre che migliorino la condizione del bambino. Effettivamente e giustamente la Convenzione sui diritti dell’infanzia si preoccupa principalmente e prioritariamente della tutela dei diritti primari che spesso, in molti paesi vengono violati, come il diritto alla vita, il diritto alla dignità personale, a non essere impegnati in guerra, a non essere maltrattati e sfruttati. Questi diritti probabilmente rappresentano anche tutti gli altri bisogni che ogni bambino deve vedere rispettati, ma non è sempre facile questa lettura, quasi sempre troppo difficile lo è per i bambini. Troppo spesso si pensa che i diritti dei bambini siano violati solo nei paesi del Terzo Mondo e non nei nostri paesi ricchi ed evoluti. Sappiamo che non è così, ma sarebbe opportuno che tutti insieme ne prendessimo coscienza e che ne fossero consapevoli gli stessi bambini. Un metodo interessante per aiutare i bambini ad entrare in questo mondo dei diritti e per avvicinare questa legislazione apparentemente preoccupata di problemi a noi lontani può essere quello utilizzato alcuni anni fa dalla Fondazione Basso che ha invitato i bambini delle scuole dell’obbligo di Roma a scrivere «Un diritto che manca nella Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989»4. Per poter partecipare ogni bambino deve innanzitutto conoscere bene i diritti sanciti dalla Convenzione e riflettere se nella sua esperienza di tutti i giorni ci sono altri aspetti che potrebbero essere difesi con altri diritti. Le proposte 4 Viva i nostri diritti, Fondazione internazionale Lelio Basso, Roma 1997. 27 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 28 dei bambini, che possono essere espresse in brevi testi o in disegni accompagnati da didascalie, potranno essere presentate alla popolazione in una mostra, raccolti in un libro, diventare manifesti. Sulle proposte dei bambini e con i bambini la città deve interrogarsi, discutere e valutare se alcune almeno non possano essere accolte e realizzate. I bambini di Roma chiedono fra l’altro genitori felici, fratelli, la possibilità di incontrarsi con gli amici, di uscire di casa. È difficile pensare che questi diritti possano entrare in un testo legislativo, ma potrebbero essere oggetto di interessanti confronti fra gli adulti e fra loro e i bambini. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 29 Il diritto al gioco «Stavo giocando in piazza e il vigile mi ha preso la palla» (Fano) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 30 D urante un Consiglio comunale di Fano aperto al Consiglio dei bambini, un piccolo consigliere di dieci anni ha presentato questa denuncia: «Stavo giocando in piazza e il vigile mi ha preso la palla». Durante un Consiglio dei bambini una consigliera ha detto: «Quando noi giochiamo a nascondino per la strada o negli spazi privati ci mandano via, se stiamo sul marciapiedi ci mandano via perché possiamo rovinare le macchine», e un altro: «Io invito i miei compagni a giocare nel mio cortile e gli adulti protestano e ci mandano via perché disturbiamo o perché ci sono i panni stesi. Non possiamo stare da nessuna parte». Proteste apparentemente banali e che quasi tutti i bambini italiani potrebbero ripetere. Di solito è proibito ai bambini giocare a palla nei luoghi pubblici, spesso è proibito andare in bicicletta e perfino calpestare il prato nei giardini. Nei condomìni i bambini non possono giocare sulle scale, sui pianerottoli, negli ingressi e, in alcuni orari, in genere nelle prime ore del pomeriggio, nei cortili condominiali. Queste proibizioni sono sancite dai regolamenti di polizia municipale e di condominio. Si è preferito definire una serie di divieti al gioco dei bambini a tutela della tranquillità degli adulti e trasformare le piazze e i cortili condominiali in parcheggi, piuttosto che lasciarli come spazi di socializzazione, di incontro e di gioco per tutti i cittadini. Questo, fino al 1991, dimostrava solo l’egoismo degli adulti. Dal 1991, da quando cioè l’Italia sottoscrive la Convenzione e la assume come legge nazionale, queste proibizioni diventano illegali. Appena approvata 30 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 31 quella legge dal Parlamento italiano i Consigli comunali da un lato e le assemblee condominiali dall’altro (e tutti gli altri organismi interessati) avrebbero dovuto «mettere a norma» i loro regolamenti per emendarli di quelle parti che fossero in contrasto con gli articoli della nuova legge. Rispetto alle denunce dei bambini di Fano, ad esempio, gli interventi del vigile e dei condòmini erano probabilmente giustificati da regolamenti che non rispettavano l’articolo 31 della Convenzione: «Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica». Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Il Consiglio comunale di Fano ha riconosciuto la legittimità della protesta del piccolo consigliere, ha modificato il regolamento di polizia municipale e ha deliberato che i bambini possono giocare nelle piazze. Nei pomeriggi, dopo i compiti, i bambini giocano, anche con la palla, nelle piazze della città e le piazze sono più vive e più belle. Modifica dei regolamenti comunali. I sindaci dovrebbero promuovere una revisione dei vari regolamenti comunali in rispetto degli articoli della Convenzione. Oltre che essere un atto formale dovuto, rispetto a una legge dello Stato e una doverosa attenzione nei confronti dei bambini, potrà essere un’importante occasione per aprire un dibattito inizialmente all’interno della commissione preposta, e poi all’interno del Consiglio comunale. Le modifiche ai regolamenti potrebbero essere presentate dal sindaco in pubblici dibattiti in modo che le nuove decisioni dell’amministrazione diventino uno stimolo forte per aprire nella cittadinanza un dibattito sui diritti dei bambini, sull’inadeguatezza della loro condizione e sui loro bisogni all’interno delle famiglie, delle scuole e della stessa città. 31 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 32 I regolamenti e gli spazi condominiali. Una volta assolto l’obbligo di modificare i propri regolamenti i sindaci dovrebbero invitare formalmente le assemblee di condominio a modificare i propri regolamenti secondo le indicazioni della Convenzione, abolendo in particolare le norme che limitano o impediscono il gioco dei bambini. In questa occasione il sindaco dovrebbe anche invitare le assemblee condominiali a restituire gli spazi condominiali a un uso pubblico e sociale, a beneficio specialmente dei bambini e degli anziani. I cortili condominiali vanno considerati i luoghi delle prime e delle ultime autonomie: i bambini, anche nei primi anni, possono scendere e incontrarsi con gli amichetti, sorvegliati dalla finestra dalle mamme o dai papà; gli anziani che non se la sentono più di uscire da soli possono fermarsi su una panchina a leggere il giornale, ad osservare i bambini che giocano, a parlare con un amico. Nonostante le valide motivazioni, l’adesione a questa richiesta non è facile: spesso i cortili condominiali sono stati trasformati in parcheggi e difficilmente gli adulti rinunciano ai benefici ottenuti per le loro automobili. Se si vuole sperare in un risultato positivo il comune deve innanzi tutto promuovere un’adeguata campagna di sensibilizzazione e poi offrire aiuti e incentivi: può proporre una consulenza gratuita dei suoi tecnici, la defiscalizzazione di alcuni oneri, un contributo a fondo perduto o mutui agevolati e lo studio con gli interessati di aree di parcheggio esterne ai cortili1. I cortili ristrutturati potrebbero ricevere una «targa di qualità», che attesti la sua conformità alle indicazioni della Convenzione, offerta dal comune. In ogni caso, come proponeva il Consiglio dei bambini di Fano, in ogni cortile condominiale dovrebbe essere affisso un cartello, preparato dal Laboratorio «La città dei bambini» che riproduce l’articolo 31 della Convenzione. Nel 1998 il sindaco di Fano inviò la seguente lettera: 1 Questa iniziativa è stata adottata da alcune città italiane e in alcuni casi sono state utilizzate risorse economiche ottenute con la legge 285/97. 32 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 33 Agli amministratori delle assemblee condominiali Caro Amministratore, nel 1989 il Consiglio delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione internazionale sui diritti dell’Infanzia. Nel 1991 il Parlamento italiano ha fatto sua la Convenzione che da quel momento è diventata legge del nostro Stato. Nell’articolo 31 la Convenzione afferma il diritto dei bambini al gioco. La nostra società deve quindi operare perché questo diritto venga difeso e garantito per tutti i bambini. Spesso invece, per decisioni prese prima di questo impegno solenne del Parlamento, i regolamenti dei condomìni limitano o addirittura proibiscono il gioco dei bambini. Quasi sempre è proibito giocare sulle scale, negli androni e perfino nei cortili in certe ore del giorno. Nei cortili gli adulti parcheggiano spesso le loro auto e, in questi stessi orari nei quali è proibito il gioco, sono disposti a sopportare sirene, clacson e rumori del traffico. È innegabile che i bambini facciano chiasso e diano fastidio, ma hanno bisogno di giocare per diventare grandi. Come sindaco, che rappresenta tutti i cittadini, specialmente i più piccoli e i più deboli, e su richiesta esplicita dei bambini espressa nella seduta del Consiglio comunale del 24 aprile 1998, vi chiedo un impegno morale e materiale affinché: 1. Siano modificati i regolamenti del Condominio negli articoli che contrastano o violano l’articolo 31 della Convenzione, che sancisce il diritto al gioco. 2. Sia valutata la possibilità di restituire il cortile condominiale ai bambini (ma anche agli anziani, ecc.), liberandolo dalle macchine e dotandolo di strutture di gioco, di prati verdi, ecc. Vi invito pertanto a partecipare a questa iniziativa e a comunicarci la vostra adesione, tenendo presente che il Laboratorio «La città dei bambini» è a disposizione per consigli e collaborazioni. Il Sindaco Cesare Carnaroli Aprire i cortili condominiali e delle scuole. Un consigliere del Consiglio dei bambini della V circoscrizione di Roma proponeva di «rendere aperti a tutti i cortili dei palazzi privati». Nella grande città, specialmente nelle periferie, si sente in modo acuto la man33 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 34 canza di spazi dove i bambini possano incontrarsi spontaneamente. Lo sfruttamento del territorio ha portato spesso a costruire grandi condomìni senza spazi comuni; per questo si comprende la richiesta del bambino che chiede che chi invece ha a disposizione spazi protetti li apra e li metta a disposizione di tutti. Ancora una volta una richiesta ragionevole, che cozza però in modo stridente con l’egoistica difesa della proprietà privata da parte degli adulti. Varrebbe però ugualmente la pena che un sindaco invitasse i suoi concittadini a prendere in considerazione una simile proposta, almeno per aprire un dibattito, per suscitare qualche dubbio e forse per ottenere qualche risposta positiva. Se difficile sarà un’accoglienza di questa proposta infantile, possibile dovrebbe invece essere l’apertura, oltre l’orario delle lezioni, dei cortili scolastici. I comuni dovrebbero avviare un piano di ristrutturazione dei cortili delle scuole di ogni livello innanzi tutto perché siano spazi coerenti con l’ambiente educativo e poi perché possano essere utilizzati dai cittadini nelle ore di chiusura delle scuole, nei pomeriggi e nei giorni festivi. Un piano di ristrutturazione che potrebbe vedere gli stessi alunni delle rispettive scuole come protagonisti di esperienze di Progettazione partecipata affiancati da giovani architetti. Anche questo potrebbe essere un utile strumento per avvicinare i bambini alla scuola e per fargliela sentire la «loro» scuola. Modifica della segnaletica urbana. A Faenza, in piazza San Francesco, all’ingresso del giardino pubblico c’è (o almeno c’era nel 1997) un cartello che recita: «Vietato qualsiasi gioco che rechi disturbo alla quiete pubblica e molestia ai frequentatori del giardino». Un cartello veramente particolare perché si dovrebbe presumere che i frequentatori più assidui del giardino siano proprio i bambini, anche se accompagnati e, in rispetto alla Convenzione, dovrebbero essere permessi e consigliati tutti i giochi e proibite tutte quelle attività che possano recare disturbo ai piccoli che giocano! A Scandicci in tutti i giardini ci sono (o almeno c’erano nel 2000) cartelli divisi in quattro riquadri che rappresentano un al34 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 35 bero, una bicicletta, un cane, una palla. Gli ultimi tre sono barrati. L’interpretazione più ovvia è che in quei giardini abbiano libero accesso solo gli alberi e sia vietato l’ingresso alle biciclette, ai cani e al gioco della palla. La cosa strana è che nei giardini ci sono vialetti dove le biciclette, almeno quelle dei bambini, potrebbero transitare agevolmente e ampi slarghi dove, almeno i bambini, potrebbero giocare anche a palla2. A Saragozza, in Spagna, in piazza San Paolo, attaccato alla basilica si può leggere (almeno si poteva leggere nel 1998) un cartello che recita: «Monumento artistico nacionàl, prohibido jugar», «Monumento artistico nazionale, proibito giocare». Il testo sembra quasi logico e consequenziale, se il luogo è sacro (la piazza, non la chiesa) ovviamente non si può giocare, con buona pace di Gesù che imponeva ai suoi ascoltatori di diventare come bambini se volevano entrare nel regno dei cieli. Sarebbe stato ragionevole scrivere che era proibito far chiasso, bestemmiare, sputare, ma non giocare! Sarebbe bello che nei Consigli comunali si discutesse su questi piccoli ma indicativi aspetti della vita cittadina e che le Giunte decidessero di porre cartelli di invito ai bambini, in sostituzione di quelli di proibizione. Per esempio: «In questo giardino i bambini possono giocare come vogliono, rispettando le piante e le altre persone. Gli adulti debbono rispettare e favorire il gioco dei bambini». «Le aiole sono a disposizione dei bambini per i loro giochi sull’erba e i viali per la bicicletta e la palla», e così via. È abbastanza ridicolo che i giardini pubblici siano articolati in vialetti costeggiati da panchine e in aiole non calpestabili: sono spazi pensati per il passeggio e per la sosta, due tipiche attività adulte, ma i bambini non passeggiano e non sostano: giocano, saltano, si rincorrono. I giardini pubblici debbono essere per tutti e 2 Nonostante lo strano cartello, Scandicci è un comune molto sensibile ai problemi dell’infanzia, partecipa alla rete «La città dei bambini», ha promosso importanti esperienze di Progettazione partecipata ai bambini e sta sviluppando l’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli». 35 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 36 quindi pensati in modo che ciascuno possa soddisfare le proprie esigenze. Sarebbe anche auspicabile che in tutti gli spazi pubblici fosse riprodotto l’articolo 31 della Convenzione per ricordare agli adulti il diritto di gioco dei bambini. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 37 Dove si può giocare «I bambini devono giocare dove si può giocare» (Ponticelli, Napoli) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 38 «È ovvio!», verrebbe da rispondere al bambino di Ponticelli che dice: «I bambini devono giocare dove si può giocare», ma non è affatto ovvio. Il bambino di città non può giocare dove è possibile giocare, ma nei posti dove si deve giocare. Per spiegare questo brutto gioco di parole è necessario soffermarsi brevemente sul significato e sulle caratteristiche che l’attività ludica dovrebbe avere per un bambino1. Attraverso il gioco il bambino scopre il mondo, i suoi misteri e le sue leggi, mette alla prova le proprie conoscenze e le proprie capacità, impara a conoscere gli altri. Questo enorme sforzo evolutivo è possibile solo a due condizioni, che ne valga la pena e che ci siano le condizioni adeguate. Ne vale la pena se produce piacere e questo è certamente il motore più potente a disposizione dell’uomo. Le condizioni sono adeguate se il bambino può vivere queste esperienze da solo, con gli amici, sfidandosi e sfidandoli ogni volta, mettendo alla prova quello che sa e che sa fare, raggiungendo nuovi livelli e nuovi traguardi. Il risultato ottenuto va raccontato con orgoglio e soddisfazione, al ritorno, ai genitori. Si tratta quindi di un gioco continuo fra autonomia e riconoscimento, approvazione e gratificazione. I primi luoghi di gioco sono naturalmente in casa: gattonando lontano dalla mamma il bambino va a cercare le prime avventure, 1 Non si torna qui sull’importanza fondamentale della attività di gioco per il bambino, per una corretta costruzione di basi adeguate a sostenere tutto lo sviluppo e l’apprendimento successivo. Si veda ad esempio il capitolo L’infanzia nella storia dell’uomo, in F. Tonucci, La città dei bambini, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 21-24. 38 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 39 le prime scoperte. Per questo è sempre sconsigliabile mettere il bambino dentro un box ed è invece auspicabile metterlo su una coperta: dalla coperta può uscire, può scappare per andare nei primi posti «dove si può giocare». Può per esempio arrivare fino alla porta della stanza ed uscire dal controllo vigile della mamma. Più tardi il bambino potrà giocare con l’amichetto sul pianerottolo o sulle scale. Poi nell’androne o nel cortile condominiale. «Bastava scendere le scale per raggiungere la nostra ‘sala giochi’», scrive Norberto Bobbio2. Più tardi sul marciapiede davanti a casa, poi nel campetto o nel piazzale o nello slargo vicino, nel giardino, nel parco. Poi nelle strade del quartiere, nelle piazze, nei giardini della città. Questi sono «i posti dove si può giocare». In ognuna di queste tappe l’autonomia dei bambini viene controllata e regolamentata dai genitori: «non scendere dal marciapiede», «non girare l’angolo», «se ti chiamo rispondi», «torna fra un’oretta», «non giocare con quel bambino», «non ti far male», «non ti sporcare». Il giocare consiste naturalmente anche nel forzare i vincoli, con un’alternanza sottile fra obbedienza e disobbedienza. I vincoli si allentano man mano che le capacità, la responsabilità e il rispetto delle regole lo permettono. Lo spazio di gioco si allarga, si articola, si arricchisce la sfera sociale di riferimento, aumentano i possibili compagni di gioco (e anche gli avversari). In questi spazi reali i bambini incontrano gli adulti, li osservano nelle loro attività, cercano di imitarli, spesso provocano le loro reazioni ostili. Qualche volta gli aduli sono disposti a fermarsi un po’ ad insegnare qualcosa ai bambini, a raccontare loro un ricordo, una filastrocca. In stagioni diverse si fanno giochi diversi. In posti diversi si fanno giochi diversi: non è assolutamente necessario avere sempre e solo spazi verdi per giocare; ci sono giochi che hanno bisogno del marciapiede, delle scale, della capannina. È possibile tutto questo ad un bambino che oggi vive in città? Un bambino che vive in città gioca in casa sotto l’occhio vigile dei genitori o viene da loro accompagnato in un posto costruito apposta per giocare e dove addirittura sono vincolati da 2 N. Bobbio, Caro Frato, in Tonucci, La città cit., p. 5. 39 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 40 appositi attrezzi e giocattoli i giochi che si possono e si debbono fare: scivolare, dondolare, girare, arrampicarsi e poco più. Sono luoghi così poveri e prevedibili che annullano ogni possibilità di invenzione o di fantasia dei bambini. A tre anni, a sei anni, a dieci anni, gli stessi giochi, nello stesso posto. In quei posti gli unici adulti che si incontrano sono quelli che accompagnano i bambini, non fanno nulla che valga la pena di osservare e di imparare: aspettano e si stancano. E poi le tante scuole pomeridiane di sport, di attività artistica, di lingue straniere. Ma sono scuole, non giochi. Non quindi posti dove si può giocare ma dove si deve giocare. E come rileva Kevin Lynch: «I bambini amano giocare dappertutto tranne che nei campi-gioco»3. La richiesta del bambino di Ponticelli non è quindi né ovvia né banale, è una acuta denuncia di un diritto negato. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Proviamo ad immaginare che gli adulti prendano sul serio la richiesta del bambino di Ponticelli, che riconoscano che il gioco non è solo un piacevole ricordo dell’infanzia degli adulti, ma continua ad essere una necessità dei bambini di oggi e quindi si pongano il problema di offrire ai loro figli, ai loro piccoli vicini di casa, ai loro piccoli cittadini «posti dove possano giocare». Rinunciare a progettare spazi di gioco. Un primo impegno che gli amministratori e i progettisti urbani possono assumere potrebbe essere quello di rinunciare a disegnare, progettare e realizzare spazi di gioco per i bambini. Gli adulti non ne sono capaci: purtroppo hanno dimenticato cosa significa giocare e quindi quando progettano lo fanno con altre finalità. I giardinetti per bambini sono adatti al controllo, al parcheggio dei piccoli, ma assolutamente 3 K. Lynch, Some childhood memories of the city, in City-Sense and City Design: Writings and Projects of Kevin Lynch, a cura di T. Banerjee e M. Southworth, Mit Press, Cambridge (Mass)-London 1990, pp. 154-173. 40 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 41 lontani dai loro interessi e dai loro bisogni di creatività, invenzione, movimento, rischio, incontro, avventura. Bisogna accettare che i posti adatti per il gioco sono gli spazi veri della città: le scale, i cortili, i giardini, le piazze, le vie, i monumenti. Gli spazi usati da tutti i cittadini. Bisogna solo renderli utilizzabili per tutti, anche per i bambini. Progettare con i bambini. Può sembrare un paradosso, ma quando i bambini progettano spazi, anche se gli adulti che chiedono la loro collaborazione li indicano come «spazi di gioco per i bambini», non cadono mai nella trappola di destinarli solo ai bambini o solo ai giochi o solo ad una funzione. Per loro è chiaro che se quello spazio sarà solo infantile sarà povero e insicuro: sarà necessario andarci accompagnati dai propri genitori. Per questo propongono spesso di mettere un campo di bocce, tavoli per il gioco delle carte o semplicemente delle panchine all’ombra per i nonni. Si preoccupano che non ci siano ostacoli per chi è costretto a muoversi in carrozzina. E del loro tempo libero danno una lettura molto più complessa e articolata che scivoli, altalene e giostrine o solo campi di calcio. Chiedono zone tranquille e riservate per i giochi quieti, per riposare e per leggere. Usano lo spazio destinato allo sport come spazio multifunzionale (una porta da calcio, un canestro, la rete da pallavolo che può abbassarsi per il tennis), pensando ai giochi più che alle discipline. Propongono alberi, cespugli, casette, per avere la possibilità di nascondersi, di inventare, di giocare4. È strano notare che i bambini progettano spazi per tutti e gli adulti finiscono per progettarli per nessuno. Le aree progettate dai bambini godono di una attenzione e di una cura sociale maggiori rispetto a quelle «offerte» dall’ammi4 Queste indicazioni emergono dalla esperienza di Progettazione partecipata di spazi destinati al gioco promossa dalla Coop e riportata da A. Rissotto, Da bambino farò un parco: quando i bambini progettano, in L. Amodio, C. Majorano, C. Riccio, I bambini trasformano la città. Metodologie e buone prassi della progettazione partecipata con i bambini, Ministero dell’Ambiente, Ercolano 2001, pp. 155-177. 41 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 42 nistrazione. Gli stessi bambini, le loro famiglie e l’intero quartiere le sentono come proprie e le difendono. Il Consiglio dei bambini del quartiere Alta Cordoba, della città argentina di Cordoba, aveva chiesto e progettato la ristrutturazione della piazza Rivadavia. Il progetto era stato accolto dall’amministrazione e realizzato nel 2000 con il contributo delle famiglie dei bambini. La piazza era stata ripulita e dotata di giochi, di una fontana, di panchine e di un piccolo circuito di ciclocross. Dopo i lavori la piazza era diventata un luogo molto frequentato dai bambini e dalle famiglie del quartiere. Alla fine dell’anno scolastico (a dicembre) i giovani delle superiori, festeggiando la fine del corso di studi, si erano lasciati andare a vandalismi e distruzioni rovinando gravemente la piazza. I bambini del Consiglio protestarono con forza, scesero in piazza con cartelli e scrissero questo documento: Noi, i bambini del Consiglio siamo molto tristi e arrabbiati perché questa piazza ci era costata molto tempo e lavoro per ristrutturarla e per ottenere che di nuovo si riunissero le famiglie e i vicini per godersela. Pensiamo che non è giusto che facciano questo con uno spazio che sentiamo nostro. Noi bambini del Consiglio siamo contrari a quelli che hanno distrutto e che credono che gli spazi pubblici non sono di nessuno. Noi bambini chiediamo la collaborazione di tutti per difendere i nostri spazi e i nostri diritti. Invitiamo tutti il prossimo martedì 11 dicembre alle 10 in piazza Rivadavia per ricostruire lo spazio e per discutere perché questi fatti vandalici non succedano più in futuro. A partire dalla giornata di incontro convocata dai bambini sono iniziati, col contributo del comune e dei cittadini, i lavori di restauro della piazza. Difficile immaginare una simile mobilitazione se non fossero stati i bambini gli autori dell’opera e i suoi diretti difensori. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 43 Non abbiamo posto «I bambini dovrebbero avere per giocare lo stesso posto che gli adulti hanno per parcheggiare le macchine» (vari paesi europei) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 44 N on c’era bisogno dei bambini per sapere che nelle nostre città ci sono troppe macchine. Lo sappiamo, conosciamo esattamente il loro numero, gli effetti che producono sulla salute dei cittadini (aria, rumore, incidenti, mancanza di movimento fisico), sulla conservazione dei monumenti e più in generale sul degrado delle città. Il problema è che pur sapendolo non facciamo nulla di reale, concreto e radicale perché questo stato si modifichi in tempi brevi. I bambini sono pratici. Per loro giocare è un bisogno primario, riconosciuto dagli studiosi dello sviluppo infantile e anche un diritto. Per giocare hanno bisogno di posto. Che si dia loro il posto di cui hanno bisogno. Per questo i consiglieri del Consiglio dei bambini di Fano dicono: «Ci sono troppe macchine e noi non abbiamo posto per giocare». Potevano dire molto di più, potevano essere molto più efficaci. Potevano dire che con le loro macchine gli adulti (padre e madre compresi) li stavano condannando a terribili malattie, a città sporche e chiassose, a città brutte, ma queste non sono le urgenze dei bambini. La malattia e la morte vengono domani, le urgenze che sentono i bambini sono quelle di oggi e oggi hanno bisogno di giocare e per questo hanno bisogno di posto e di sicurezza. È solo un problema dei bambini? Sembra che oggi, in una città occidentale le macchine in sosta o in movimento coprano e quindi privatizzino la stragrande maggioranza della superficie pubblica formata dalle strade e dalle piazze. Risulta d’altra parte che nei paesi occidentali il nume44 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 45 ro di automobili rispetto alla popolazione può essere stimato intorno a 50 auto ogni 100 abitanti e che la metà di queste resti ferma. Dobbiamo quindi pensare che un 25% della popolazione condiziona la vita dell’altro 75% limitandone la mobilità, privandola di spazio, negandole la sicurezza1. Rivendicando il loro diritto allo spazio per il gioco i bambini rivendicano lo spazio di tutti: di chi va a fare la spesa, di chi legge il giornale, di chi passeggia, di chi si trasferisce a piedi, in bicicletta, con la carrozzina. Alcuni anni fa un gruppo di bambini invitati dal Consiglio d’Europa a Bruxelles fece questa proposta: «Nelle città i bambini dovrebbero avere per giocare lo stesso spazio che gli adulti hanno per parcheggiare le macchine». Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Partiamo dalla proposta di Bruxelles. Sembra solo una provocazione infantile, in genere suscita un sorriso tollerante e sufficiente da parte degli adulti. Ma saremmo disposti a prenderla sul serio? A portarla in Giunta o in Consiglio comunale e discuterla? Forse non si riuscirebbe a trasformarla in delibera così come è formulata, ma sarebbe importante riconoscere il bisogno reale che la promuove, assumerla come obiettivo e iniziare a trovare soluzioni che ne tengano conto. In genere il problema non si pone perché sembra già risolto: i bambini stanno in casa o a scuola o nelle scuole pomeridiane, sono accompagnati dai genitori e quindi non ci sono bambini per strada, non c’è una domanda di spazio da parte dei bambini. Ma se li lasciamo parlare, se permettiamo loro di dire «basta!»? 1 Purtroppo in Italia il numero delle auto rispetto alla popolazione sta crescendo: nel 2000 erano presenti 32,5 milioni di automobili su 56,3 milioni di abitanti e nelle quattro città più grandi, Roma, Milano, Napoli e Torino, si aveva una densità di 65 auto per ogni 100 abitanti (fonte Legambiente). Rimane comunque il fatto che una minoranza del 30-35% condiziona il 65-70% della cittadinanza. 45 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 46 Come si comporterebbero gli adulti se alcuni bambini occupassero uno spazio di parcheggio libero (o in zona blu disposti a pagare la tassa di parcheggio) per un loro gioco? Riconoscerebbero che sono arrivati prima, che stanno esercitando un diritto certamente più riconosciuto e legalmente tutelato di quello di parcheggiare la macchina? Li caccerebbero e ad un loro rifiuto chiamerebbero un vigile? E come si comporterebbe il vigile? Rispetterebbe l’articolo 31 della Convenzione e rimprovererebbe l’adulto per aver disturbato dei cittadini che stavano esercitando un diritto o caccerebbe i bambini magari minacciando una multa da presentare ai loro genitori per occupazione indebita di spazio pubblico? Ascoltando la richiesta dei bambini l’amministratore non solo si farebbe garante di un diritto primario dei suoi cittadini più piccoli e meno dotati di strumenti di pressione come il voto, non solo risponderebbe alle esigenze di spazi sicuri delle altre categorie di cittadini che vivono una vita di quartiere, ma risponderebbe alle esigenze di sopravvivenza e di sviluppo sostenibile della stessa città. Farebbe insomma bene il sindaco, l’assessore, il dirigente. Oggi è la città che protesta per l’eccessiva occupazione di suolo pubblico, per l’eccessivo rumore, per l’inquinamento atmosferico, preoccupata per il proprio futuro, per la salute dei suoi cittadini e per la salvezza dei suoi monumenti. Spazi pubblici ai cittadini. Un intervento amministrativo urgente e doveroso è la restituzione ai cittadini degli spazi pubblici. Hermes Binner, il sindaco di Rosario, in Argentina, in un intervento pubblico ha detto: «Lo spazio pubblico è lo spazio della democrazia». Tutte le piazze dovrebbero essere liberate dai parcheggi e restituite al passeggio, alla sosta, al gioco. Tutte le strade dovrebbero garantire un facile, comodo e soddisfacente passaggio e passeggio pedonale, sui marciapiedi se ci sono, oppure nella stessa strada; e dovrebbero garantire un facile e sicuro attraversamento. Strade residenziali. La maggior parte delle strade del centro storico, ma anche quelle all’interno dei quartieri periferici della città po46 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 47 trebbero essere considerate come «strade residenziali». Definizione riconosciuta dalla Comunità Europea e connotata da un cartello rettangolare blu che raffigura in bianco una casa, una macchina, un pedone e un bambino con la palla. Di solito è priva di marciapiedi, è una strada condivisa nella quale è permesso contemporaneamente il gioco dei bambini e il passaggio delle auto2. Si obietterà che con questi interventi non ci sarebbe spazio sufficiente per parcheggiare tutte le auto. Nelle strade residenziali si possono conservare spazi per il parcheggio, ma è possibile che non siano sufficienti. È probabile che oggi si abbiano più auto di quante siano necessarie e che questo numero debba essere diminuito, commisurandolo anche alle nuove disponibilità di spazi per il parcheggio. Questo è comunque un problema privato, non pubblico. Prima di acquistare un nuovo elettrodomestico si misurano gli spazi disponibili in casa e non si va in comune a pretendere uno spazio pubblico riservato per collocare la nuova, seppur necessaria, macchina domestica. In alcuni paesi d’altra parte non è possibile acquistare un’auto se non si dimostra di possedere uno spazio privato per il suo parcheggio. Altrimenti si dovranno progettare parcheggi, meglio se sotterranei, all’esterno delle città, collegati alle zone di residenza da efficienti mezzi pubblici. 2 Nella strada residenziale le auto possono transitare «al passo». In Olanda, dove questo cartello e questo tipo di strada sono stati adottati molti anni fa, si è discusso a lungo «al passo» di chi dovessero transitare e si è deciso per il passo di cavallo valutabile in una velocità di circa 18 chilometri all’ora. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 48 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 49 Giocare gratis «Non è giusto che i bambini debbano pagare per giocare» (Fano) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 50 A Fano, in Consiglio comunale un piccolo consigliere ha protestato dicendo: «Non è giusto che i bambini debbano pagare per giocare». La dichiarazione ha stupito i consiglieri adulti. La prima reazione è stata di totale e apparentemente ovvio accordo: è evidente che i bambini debbano poter giocare gratis, sarebbe assurdo il contrario! Ma il bambino ha spiegato che così non era perché tutte le aree di gioco erano state affidate a società che le avevano trasformate in strutture sportive nelle quali si poteva entrare solo iscrivendosi ai corsi o pagando un ingresso. Quando gli spazi pubblici (aree verdi rimaste fra le abitazioni, depositi di materiali dismessi, zone abbandonate), da sempre luoghi privilegiati del gioco infantile, avevano iniziato il loro processo di degrado ambientale perché l’amministrazione non aveva risorse e personale sufficienti per il loro buon mantenimento, sono stati affidati alle associazioni sportive perché li trasformassero in impianti per lo sport o il tempo libero, restituendoli ai cittadini sotto forma di corsi di nuoto, pallavolo, calcio, ginnastica, ecc. Sembrava una buona idea, ma ci si era dimenticati proprio dei bambini che ne sarebbero stati i diretti destinatari: da quel momento per i bambini diventava difficile se non impossibile giocare al pallone, avrebbero potuto invece «studiare» calcio iscrivendosi ad un corso di football, ma è un’altra cosa. Non è più un gioco, è una scuola e non ci si diverte. 50 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 51 Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Una fascia oraria di uso gratuito. Il Consiglio comunale ha riconosciuto corretta l’obiezione presentata dal piccolo consigliere e ha chiesto al Consiglio dei bambini di formulare una proposta. I bambini hanno discusso il problema e hanno chiesto che tutte le strutture sportive, comprese le palestre e le piscine di proprietà comunale, fossero aperte gratuitamente ai bambini per almeno un’ora e mezza al giorno, senza animatori né materiali, per sei giorni settimanali. La proposta è stata accolta e poche settimane dopo sono stati aperti gratuitamente i primi impianti. Essendo gli spazi di proprietà comunale sembra legittima tanto la richiesta dei bambini che la decisione del Consiglio comunale che si è impegnato ad inserire la clausola di apertura gratuita pomeridiana ai bambini nel rinnovo delle concessioni delle aree alle società sportive. In tutti i comuni potrebbero essere previste fasce orarie di uso gratuito, da parte dei bambini, delle strutture di proprietà comunale date in gestione ai diversi enti. Potrebbe essere una prima significativa offerta di spazi per il gioco libero per tutti i bambini della città senza oneri per l’amministrazione. Spazi liberi per il gioco. Il dibattito consiliare ha prodotto una seconda decisione: la Giunta ha deliberato di realizzare degli spazi per il gioco libero dei bambini in ciascuna delle quattro circoscrizioni e di affidarne la progettazione a gruppi di bambini che avrebbero lavorato insieme ad architetti. Spesso le periferie sono ricche di aree residuali, abbandonate, sopravvissute alle diverse ondate di urbanizzazione. Sono scampoli di terreno di varie dimensioni, generalmente degradati, senza vegetazione, che nascondono siringhe, preservativi, immondizie. Lo sporco e l’insicurezza rendono queste aree inospitali e generalmente deserte. Anche questi brutti spazi contribuiscono a mantenere la sensazione di degrado e di abbandono delle periferie. Intervenire per recuperarli ad un uso sociale, sia come semplici aree verdi, con piante e fiori, sia come spazi di sosta, di in51 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 52 contro, e di gioco, a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche, potrebbe contribuire a modificare l’immagine dei quartieri periferici. La progettazione di queste aree può essere affidata a gruppi di bambini delle scuole più vicine e questo costruirebbe un forte senso di appartenenza e di responsabilità nei bambiniautori, nei loro compagni, nelle loro famiglie e nell’intero quartiere. Le aree potrebbero essere «adottate» da quelle scuole e certamente godrebbero di una tutela sociale e di una cura sconosciuta alle altre aree urbane. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 53 Senza allenatore «Vorrei un campo di calcio senza allenatore» (Fano) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 54 «V orrei un campo di calcio senza allenatore». La proposta del piccolo consigliere presentata al Consiglio comunale di Fano assume le caratteristiche di una acuta analisi e denuncia della attuale condizione infantile: i bambini non ne possono più di essere circondati, protetti, vigilati e guidati da adulti. Una volta si giocava al pallone, lo si faceva nelle condizioni ambientali che si incontravano e con i materiali disponibili. Il campo poteva essere un prato più o meno pianeggiante oppure un piazzale cementato o asfaltato come il piazzale della chiesa o la strada. Le porte potevano essere indicate da bastoni piantati per terra o da mattoni; sull’asfalto anche dai maglioni dei giocatori. Spesso si giocava ad una porta sola, data la limitatezza dello spazio disponibile. Di solito l’arbitro non c’era, le regole erano approssimative e la loro applicazione dubitabile perché affidata agli stessi giocatori. Il pallone era di gomma, a volte di cuoio, spesso mezzo sgonfio1, non c’erano magliette per le squadre, né scarpette da calcio. Nonostante questo si giocava tutti i giorni o comunque tutte le volte che era possibile, ci si divertiva e nessuno rinunciava perché si era stancato del gioco. 1 Ricordo la lunga ricerca fatta con i compagni di gioco, alla fine degli anni Quaranta, per scoprire di quale materiale doveva essere fatta la palla per avere il rimbalzo migliore, perché in quegli anni, almeno per noi, era impossibile avere a disposizione palle di gomma e tanto meno un vero pallone di cuoio. Abbiamo provato con gli stracci, con la carta di giornale e con altri materiali e alla fine è risultata migliore la palla di carta fatta di sacchi di cemento pressati e stretti da elastici ottenuti tagliando «a fettine» le camere d’aria di bicicletta. 54 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 55 Oggi la maggior parte dei bambini ha la tenuta sportiva di ordinanza, con maglietta, calzoncini e scarpette bullonate, ma per giocare viene iscritto dai genitori a una scuola di calcio e deve giocare non solo secondo le regole canoniche, ma anche secondo le indicazioni dell’allenatore, per evitare che non valorizzi tutte le qualità che potrebbero farlo diventare un campione. Il risultato più comune è che dopo alcuni mesi il bambino si stanca e appena può chiede di cambiare sport. Si acquista la nuova tenuta sportiva, si iscrive il bambino ad una nuova scuola; di solito il bambino si stanca di nuovo e chiede di cambiare. Questo, che vale prevalentemente per i maschi, si ripete anche per le bambine con i corsi di pallavolo, di pallacanestro, di danza. E quello che vale per lo sport vale per le lingue e per le attività artistiche dalla pittura al pianoforte. L’aspetto preoccupante non è solo e tanto quello economico dei soldi sprecati in attrezzature, strumenti e iscrizioni, quanto che in questo modo tante attività e tante importanti possibilità espressive vengono rifiutate dai bambini e difficilmente potranno essere recuperate in futuro. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Prima viene il gioco. Discutendo con associazioni sportive e con animatori di sport infantili ho spesso sostenuto che prima viene il gioco e poi lo sport. Il gioco è una necessità primaria per i bambini, lo sport una possibile attività di sviluppo di particolari capacità fisiche. È nel gioco libero e il più possibile autonomo che il bambino scopre le sue preferenze e le sue capacità; giocando scopre che si diverte di più a saltare che a correre, a battersi con l’avversario o centrare un bersaglio. A scuola poi dovrebbero essere proposte le varie attività sportive per tutti, ma ancora come esperienza di gioco, con il minimo di regole e con la massima libertà di esecuzione in modo che sia i bambini che gli educatori possano valutare le diverse attitudini individuali per la scelta di eventuali sport da sviluppare, più tardi, anche agonisticamente. Il gioco è un diritto e quindi va garantito e assicurato a tutti. Ben 55 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 56 venga la possibilità di poter poi praticare uno sport per tutti quelli che lo desiderano. A conferma di questa linea il Consiglio dei bambini di Fano ha chiesto al Consiglio comunale che l’Assessorato allo Sport modifichi il suo nome in «Assessorato al Gioco e allo Sport» e che riconosca il Consiglio dei bambini come suo organo consultivo. La proposta non è ancora stata accolta, ma potrebbe essere un interessante suggerimento per tutte le città2. Un codice contro l’agonismo precoce. In una piscina del Nord Italia un bambino di sei-sette anni arriva terzo in una gara nazionale di nuoto per la sua categoria. Il padre arrabbiato lo apostrofa: «Credi che siamo venuti dalla Sicilia per farti arrivare terzo?». Il bambino piange. Questa è una scena incivile che non dovrebbe mai presentarsi. Certamente il comportamento del padre è stato esagerato e assurdo, ma anche senza queste esagerazioni molti bambini vivono l’esperienza della competizione, della sconfitta e della vittoria troppo presto e con eccessivo costo emotivo. Sarebbe auspicabile che le associazioni sportive arrivassero presto ad un codice di autoregolamentazione che impedisca le attività competitive, sia in allenamento che in gara fino ad un’età ragionevole, fino ad esempio ai dodici o quattordici anni. Parlando di questo con un gruppo di istruttori sportivi, questi mi presentavano due obiezioni. La prima è che per alcune discipline, come la ginnastica e il nuoto, è necessario iniziare l’attività pre-agonistica e agonistica fin dall’infanzia per poter sperare in risultati di alto valore sportivo. La seconda è che comunque, per la maggior parte delle discipline, se si lasciano i bambini troppo liberi, prendono «cattive abitudini», scorrette posture o fanno movimenti non ottimali. Non mi sembra che tutti i tecnici sportivi siano d’accordo su queste opinioni, ma se anche lo fossero l’articolo 27 della Convenzione dice che il bambino ha diritto di crescere bene fisicamente, mentalmente, spiritualmente e socialmente. Non credo che un’esasperata educazione alla competizio2 Il comune di Gradara, credo unico in Italia, ha un assessore al Gioco. 56 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 57 ne e al risultato corrisponda a queste indicazioni. Per ogni piccolo sportivo che arriva a risultati soddisfacenti, che non si stanca e che prosegue per diventare un campione, ve ne sono centinaia delusi, frustrati, che abbandonano quella disciplina e forse per sempre l’attività sportiva. Sarebbe più giusto pensare alla serenità e alla felicità dei propri figli e dei propri allievi piuttosto che alle proprie ambizioni di genitori e di allenatori di campioni. Qualora questo codice di autoregolamentazione non nascesse a livello nazionale, in ogni città l’assessore allo Sport potrebbe proporre una simile regolamentazione a tutela dei diritti dei più piccoli. Un passo indietro degli adulti. In generale varrebbe comunque la pena che gli adulti facessero un passo indietro e rinunciassero a sollecitare i propri figli a frequentare le tante scuole pomeridiane di attività artistiche, di sport, di lingue. Le motivazioni dei genitori sono varie e apparentemente valide: non si sa dove mettere i bambini e a chi affidarli; si desidera per i figli quello che si è desiderato per sé e che non è stato possibile realizzare per le diverse condizioni economiche e opportunità sociali; si ritiene comunque che siano esperienze utili e importanti per il loro futuro. La prima motivazione è comprensibile: effettivamente la città sembra impedire che i bambini possano incontrarsi fra loro e possano vivere con sufficiente autonomia il loro tempo libero, ma per questo varrebbe la pena che i genitori si unissero e facessero pressione sui loro amministratori, e in questo senso sta operando il progetto che proponiamo. La seconda motivazione è egoistica: si sbaglia sempre quando si considerano i figli come una protesi dei genitori e destinati a dar loro soddisfazione realizzando una specie di riscatto sociale. La terza è sbagliata: quella attività linguistica, artistica o sportiva della quale il bambino si è stancato sarà persa per sempre; egli passerà ad altre attività e anche molte di queste le abbandonerà, perdendole per sempre. Si realizza una specie di vaccinazione perpetua dei bambini rispetto a quelle attività. Avviene per queste esperienze pomeridiane quello che purtroppo avviene troppo spesso nella scuola: molte delle proposte 57 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 58 scolastiche, spesso di grande importanza, vengono rifiutate dai bambini e abbandonate appena possibile. Così succede per esempio per la lettura, ed è un crimine terribile per la cultura e per la stessa felicità dei bambini. Varrebbe la pena di lasciare ai bambini più tempo libero nel quale poter organizzare autonomamente i propri giochi con gli amici e aspettare che siano loro a chiedere, con insistenza, di iscriverli ad un corso per perfezionare una attività che hanno già sperimentato come gratificante e corrispondente alle loro aspettative e capacità. Si risparmierebbero molti soldi, tante frustrazioni e i bambini guadagnerebbero tanto tempo da dedicare al gioco. Neppure questa è una garanzia, ma certamente lascia più sereni i bambini e più tranquilli i loro genitori. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 59 Un giorno per giocare «Chiediamo un giorno ogni anno dedicato al gioco per tutti i cittadini» (Rosario) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 60 N el 1998 il Consiglio dei bambini della Zona Nord della città argentina di Rosario, durante una riunione straordinaria del Consiglio comunale al quale partecipavano decine di bambini in rappresentanza delle scuole della città, chiese l’istituzione del «Giorno del gioco» come appuntamento annuale con le seguenti caratteristiche: cadrà ogni anno il primo mercoledì di ottobre; le scuole saranno aperte solo per giocare; gli impiegati pubblici avranno un’ora pagata per giocare; alcune strade della città saranno chiuse al traffico. Vale la pena di esaminare queste condizioni perché ancora una volta i bambini dimostrano di cogliere problemi che superano il loro interesse personale. La giornata richiesta si chiamerà «Giorno del gioco» e non «Giorno dei bambini». Nelle discussioni che il Consiglio dei bambini dedicò a questa importante proposta l’analisi dei bambini riguardava infatti non solo la loro categoria ma l’intera cittadinanza. A loro avviso gli adulti giocano poco o non giocano più e questo crea molti problemi, sia agli adulti che agli stessi bambini. La proposta è quindi di avere un giorno all’anno in cui tutti sono invitati a giocare. Il giorno dovrà essere un giorno lavorativo: non per guadagnare un giorno di vacanza, ma per rompere lo schema adulto del lavoro separato dal piacere, dal gioco, dal rapporto con gli altri. Dovrà essere lavorativo in modo che le scuole siano aperte, ma aperte solo per giocare: i docenti, i genitori e i bambini dovranno preparare questa giornata speciale in modo che a scuola, in quel giorno, si possa giocare. I lavoratori pubblici dovranno avere un permesso speciale di un’ora da dedicare al gioco, per gioca60 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 61 re loro stessi e per giocare con i bambini. Alcune strade saranno chiuse per diventare luogo di gioco. Questa ultima condizione, ormai comune nelle nostre città, che in una giornata particolare (di solito una domenica) chiudono tutte o alcune strade per lasciarle al gioco dei bambini, in questa esperienza acquista un valore maggiore in un giorno lavorativo: gli adulti liberati dal lavoro potranno realizzare sulle strade alcuni giochi con i bambini della città. Il Consiglio comunale approvò la richiesta all’unanimità. Da tre anni il «Giorno del gioco» si celebra a Rosario e ogni anno aumenta la partecipazione degli adulti. Nel 2000 il permesso di lasciare il lavoro, che originariamente era stato chiesto dai bambini per i lavoratori comunali (perché il comune poteva deliberare solo in merito ai suoi dipendenti), è stato concesso da 300 enti, fra cui le Poste, le banche, esercizi pubblici e privati. In ognuno di questi luoghi di lavoro sono stati preparati giochi che coinvolgevano adulti e bambini. Che cose di questo genere succedano in una società come la nostra, apparentemente interessata solo al profitto, ai consumi e chiusa a qualsiasi proposta culturale e solidale, apre legittimi spiragli alla speranza. E siccome Rosario è una grande città piena di problemi economici e sociali, parafrasando un titolo di Mario Lodi1 si potrebbe dire «C’è speranza se questo accade a Rosario». Dal 2000, a partire dalla Zona Nord, i bambini consiglieri e i loro genitori, oltre a partecipare al «Giorno del gioco» organizzano «Giornate del gioco» mensili decentrate nelle diverse piazze del distretto, alle quali sono invitati tutti i bambini della città. Quindi si moltiplicano le giornate, entrano dentro i quartieri, si avvicinano sempre di più alla quotidianità, che ovviamente è l’obiettivo dei bambini: che si riconosca che loro hanno bisogno di giocare ogni giorno, nelle loro strade e nelle loro piazze, senza che questo debba essere pianificato, organizzato e autorizzato ufficialmente. 1 M. Lodi, C’è speranza se questo accade al Vho, Einaudi, Torino 1972. 61 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 62 I bambini del Consiglio dei bambini di Roma, rispondendo alla domanda: «Quello che chiedono i bambini può andare bene anche per i grandi?» hanno risposto di sì perché: «Aiuteremmo anche i grandi; per esempio più parchi potrebbero far contenti tutti». «La città vista dal punto di vista dei bambini diventa un gioco anche per i grandi». «Nella vita non c’è solo il lavoro, ma anche dei luoghi di svago e di divertimento». «I bambini possono giocare». Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Il diritto e il bisogno di giocare dei bambini non è annuale e neppure mensile, è quotidiano e continuo, ma quello che si è realizzato a Rosario è una buona risposta ai bambini. È ragionevole sperare che in quella città gli amministratori, gli insegnanti e i genitori saranno progressivamente più disponibili rispetto ai bambini e quindi saranno probabilmente migliori amministratori, insegnanti e genitori. L’esempio di Rosario. Una cosa buona che potrebbero fare tutte le città è raccogliere l’esempio di Rosario per riviverlo in maniera originale e creativa attraverso le richieste e le esigenze dei propri bambini e le caratteristiche e le disponibilità locali. L’importante è che l’impegno sia altrettanto alto, alto il livello di compromesso degli adulti, alto il livello di contraddizione e di rottura di schemi concesso ai bambini. Questo rende significativa l’esperienza e questo vale la pena di imitare. In particolare vale la pena di riesaminare tre suoi aspetti più rilevanti. 1. L’amministrazione comunale ha ascoltato i bambini e ha accolto formalmente, attraverso il suo Consiglio, la loro proposta assumendola come un impegno e un appuntamento fisso per la città. Ha poi messo a disposizione dei suoi dipendenti un’ora di 62 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 63 lavoro da dedicare al gioco con i bambini. Questo è forse l’aspetto più innovativo dell’esperienza: riconoscere agli adulti il diritto di giocare e il dovere di giocare con i bambini. Quell’ora di gioco è certamente costata varie ore di preparazione agli adulti (in orario extralavorativo) e ha probabilmente suscitato ricordi, emozioni, nuova voglia di giocare. La disponibilità dell’amministrazione comunale è diventata un esempio che molti enti pubblici e privati hanno imitato: l’ente locale ha assunto correttamente un ruolo di capofila a favore dei suoi cittadini più piccoli. Infine l’amministrazione ha accettato di chiudere alcune strade per permettere ai bambini l’esperienza sempre eccitante di giocare in strada, di riappropriarsi della strada, di sottrarre la strada al monopolio delle macchine. L’amministrazione non ha quindi solo ascoltato i bambini, ma ha assunto il loro punto di vista cercando di dare a questa giornata speciale il massimo valore per tutta la città. Questo dovrebbe essere il primo aspetto da «copiare»: non solo e non tanto accontentare i bambini nelle loro richieste, ma cercare di coglierne gli aspetti innovativi e promozionali validi per tutti i cittadini e farli propri inserendoli nella filosofia e nelle priorità di governo della città. 2. La scuola di Rosario ha saputo accettare una sfida difficile: restare aperta quel giorno solo per giocare. Anche in questo caso ore e ore di preparazione fra insegnanti, personale ausiliario, operatori di segreteria, genitori e bambini per trasformare per un giorno la scuola in una grande ludoteca. È difficile pensare che questo impegno, che ha portato spesso le classi nelle vie della città, gli insegnanti a travestirsi da pagliacci o da attori per animare gruppi di cittadini, non abbia poi lasciato dei segni nella pratica educativa quotidiana. È sperabile che un po’ di voglia di giocare sia rimasta attaccata ai banchi e alle cattedre delle classi. Se così fosse sarebbe un grande successo per i bambini che hanno chiesto il «Giorno del gioco», ma anche per gli insegnanti che hanno saputo capirlo e accettarlo. La scuola di ogni grado e di ogni paese dovrebbe interrogarsi rispetto al tema del gioco, che comunque rappresenta l’interesse più grande per i propri allievi. Dovrebbe cercare di capire se e co63 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 64 me potrebbe entrare nelle classi, nei programmi, nei rapporti fra allievi, fra allievi e docenti e fra i docenti. Potrebbe essere un modo nuovo e probabilmente più efficace per affrontare il complesso problema della disciplina e quello apparentemente irrisolvibile della disaffezione degli allievi rispetto alla scuola. Per tutto quello che si è già detto sull’importanza del gioco spero che nessuno pensi a una proposta di banalizzazione o di impoverimento culturale della scuola. 3. Gli enti pubblici e privati, le banche, le Poste, i negozi, hanno accolto a centinaia la proposta dei bambini e l’esempio del comune e hanno aperto i loro uffici, i loro esercizi commerciali, i loro laboratori ai bambini, concedendo del tempo libero ai propri dipendenti per giocare. Esistono nelle città energie e disponibilità inutilizzate, che possono contribuire a ricostruire un tessuto sociale e un clima di cooperazione e di solidarietà fondamentali per migliorare la qualità della vita urbana. Coinvolgere le categorie produttive, commerciali e di servizio in progetti di valore sociale è una risorsa che nelle varie esperienze del nostro progetto ha sempre dato risultati positivi. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 65 Solo «Non so cosa so fare da solo, perché non rimango mai da solo» (Fano) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 66 U n bambino di nove anni, a un adulto che gli chiedeva quali fossero le attività che di solito svolgeva da solo, ha dato questa strana e sconcertante risposta: «Non so cosa so fare da solo, perché non rimango mai da solo». È l’altra faccia della solitudine, anch’essa una forma di solitudine. Evidentemente il bambino non si riferisce all’impossibilità di restare solo perché sempre in compagnia di fratelli e di amici, ma perché sempre accompagnato e vigilato da adulti. La strada dell’autonomia comincia presto, anzi, comincia subito. Comincia dal taglio del cordone ombelicale e non finisce mai. Un bambino ha bisogno di restare solo, di cavarsela da solo, senza l’aiuto e il controllo degli adulti. E che questa sia per lui un’esperienza importante lo manifesta proprio con gli adulti: dopo una scoperta o una «impresa» compiuta mentre era da solo ha bisogno di correre dall’adulto per raccontarla, per avere la sua approvazione o, se è successo qualche guaio, la sua disapprovazione ed eventualmente il suo aiuto. Il modo più bello, naturale e ricco di rimanere solo è di trovarsi con gli amici, con altri bambini, più grandi o più piccoli, con i quali far diventare le scoperte e le «imprese» dei veri giochi, delle avventure. Un bambino può avere una cameretta per sé, attrezzata con tutto quello che può desiderare, può poter andare ogni volta che lo vuole in tutti i parchi e in tutte le sale gioco della città, accompagnato dai genitori e sentirsi comunque privato di qualcosa di 66 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 67 necessario, che spesso non conosce neppure e che per questo non sa dire, non sa chiedere: privato di autonomia, di un fratellino, di un amico. In questi ultimi decenni sembra sia cambiata l’interpretazione del ruolo di genitore. Prima era chiaro che il buon genitore era quello che favoriva in ogni modo l’autonomia del figlio per renderlo ogni giorno più capace di affrontare le difficoltà esterne alla famiglia. Per questo si mandavano i bambini fuori a giocare, in parrocchia, con gli scout per attività di gruppo organizzate, ai campeggi estivi. Il figlio che non voleva lasciare la mamma, che rimaneva attaccato alle sue gonne, preoccupava il genitore e suscitava commenti ironici e malevoli dei compagni; non era normale che un bambino di sei, sette anni volesse essere accompagnato a scuola. Oggi sembra che un buon genitore sia invece quello che sa tutelare e proteggere il proprio figlio esponendolo il meno possibile ai pericoli del mondo esterno alla famiglia. Sembra incredibile e quindi inaccettabile che qualcuno proponga attività che prevedano autonomia e indipendenza. Descrive con efficacia questa condizione infantile lo scrittore Eduardo Galeano: «Prigionieri delle trappole della paura i bambini della classe media sono sempre più condannati all’umiliazione della prigionia perpetua. Nella città del futuro, che è già del presente, i telebambini, sorvegliati da bambinaie elettroniche, contempleranno la strada da qualche finestra delle loro telecase: la strada dove viene dato il sempre pericoloso, e a volte prodigioso, spettacolo della vita»1. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Si potrebbero fare le cose semplici che i bambini si aspettano dagli adulti e che spesso, come si diceva, non sanno chiedere o non 1 E. Galeano, A testa in giù. La scuola del mondo alla rovescia, Sperling & Kupfer, Milano 1999, p. 18. 67 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 68 si azzardano a chiedere, perché sanno che creerebbero problemi ai loro genitori. Lasciare che rischino. Il rischio è un elemento fondamentale della crescita, dello sviluppo. Lo sviluppo, quello vero, che fa diventare grandi, non è promosso dagli insegnamenti degli adulti, dalle loro prescrizioni e consigli rispetto ai quali il bambino deve assumere un atteggiamento di accoglienza e di obbedienza. Spesso questi apprendimenti sono superficiali, labili, non modificano le strutture cognitive e comportamentali e quindi non cambiano la vita. Delle tante cose che si imparano a scuola molte, spesso importanti, restano fra i banchi e si perdono, anche con soddisfazione, quando termina il percorso scolastico. Lo sviluppo vero è promosso dall’incontro personale con le cose nuove, che non si capiscono, non si conoscono o non si sanno fare e dalla voglia di dominarle; dall’incontro con un ostacolo nuovo e dalla soddisfazione di superarlo usando al meglio quello che si conosce e quello che si sa fare. Da questo sforzo nascono molte delle risposte che gli adulti considerano originali e creative nei bambini. Dalla caparbia volontà di arrivare comunque a una soluzione anche se gli strumenti posseduti non sono sufficienti. Così il bambino di pochi mesi, di fronte a una scala che lo attrae e lo impressiona inventa quel buffo, ma sicuro modo di scendere di schiena, seduto, scivolando da un gradino all’altro, che tanto diverte gli adulti. Così una bambina di sei anni che voleva disegnare due bambini che si baciano e che non sapeva disegnare il profilo disegna i due personaggi di fronte e unisce le loro bocche con una linea blu. Così alcuni bambini di sei, sette anni dicono che le pietre e le seggiole sono viventi, mentre piante ed animali non lo sono, perché le pietre e le seggiole «non muoiono mai». Queste esperienze sono possibili perché il bambino riesce ad avere momenti di solitudine, di sperimentazione, di rischio. Non avvengono se l’adulto, anticipando la ricerca e i tentativi, insegna al bambino che è proibito scendere le scale perché è pericoloso, che il profilo si disegna così, che le pietre sono inanimate e quindi non viventi. Quello delle scale è un buon esempio di quello che succede nor68 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 69 malmente ad un bambino. Nella sua casa, se ci sono scale, spesso c’è un cancelletto che ne impedisce l’accesso, eppure il bambino non è un aspirante suicida, come sembrano credere gli adulti, è in grado di affrontare quel pericolo e lo fa con grande senso di responsabilità e prudenza, adottando comportamenti adeguati per affrontare con successo la difficoltà2. Il superamento della prova e i complimenti degli adulti lo caricano di soddisfazione e lo mettono nelle migliori condizioni per proseguire nell’impresa e passare ad ulteriori difficoltà, livelli, pericoli e di conseguenza gratificanti soddisfazioni. Questo è l’itinerario necessario alla crescita di un bambino, il percorso attraverso cui la donna e l’uomo mettono le basi su cui costruire tutta la loro storia futura. Se una esagerata protezione, vigilanza e tutela impediscono al bambino qualsiasi esperienza personale e qualsiasi livello di rischio, allora il suo sviluppo è in pericolo. La produzione commerciale, che sui timori dei genitori ha creato un impero, fornisce non solo il cancello per le scale, ma anche i paraspigoli per il tavolo, il casco per stare in casa, il «filo spinato» (di gommapiuma con punte nascoste di gomma dura) per la ringhiera del terrazzo e innumerevoli altre diavolerie perché i bambini non debbano mai incontrare pericoli. Il dubbio è che tutti i rischi che il bambino avrebbe voluto e dovuto affrontare man mano che ne aveva la possibilità e la capacità e che non ha potuto incontrare per gli impedimenti frapposti dagli adulti, vadano a costruire un «bisogno di rischio» che aumenta con il passare dell’età e che esplode, tutto insieme e spesso in modo irragionevole e pericoloso appena il controllo degli adulti è costretto ad interrompersi. Potrebbe essere anche questo uno dei «pericoli» dell’adolescenza. Un esempio semplice può essere quello dell’autonomia di movimento sulla quale torneremo in seguito: i bambini vengono ac2 Diventa invece pericolosa la scala non difesa dal cancelletto se lasciamo il bambino sul girello perché potrebbe presentarsi di fronte all’ostacolo senza la capacità di assumere gli atteggiamenti prudenziali che normalmente adotta. Il girello è infatti causa di gravi incidenti domestici per i bambini più piccoli. 69 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 70 compagnati per mano fino ai dieci, dodici anni e a quattordici si regala loro il motorino. Il salto è enorme, la voglia di libertà pure, mentre pochi e poveri sono gli strumenti di controllo dello spazio, del tempo, delle proprie capacità e dei propri limiti. Spesso questa assurda mescolanza di elementi contraddittori produce disastri3. E che i bambini abbiano le capacità per apprendere precocemente a muoversi con sicurezza lo dimostrano i bambini di Venezia che, contrariamente ad ogni pessimistica aspettativa dei non veneziani, non cadono mai in acqua pur avendo «marciapiedi» che confinano con i canali senza alcuna protezione o barriera. Quando ho chiesto ragione di questo «miracolo» ad amici veneziani, mi hanno spiegato che i loro bambini si muovono da soli fin da molto piccoli, ma che imparano subito a non andare sul bordo di pietra bianca che costeggia i canali e questo li garantisce per sempre. Mi hanno confermato che se qualche ragazzino va in acqua, è certamente un turista. A proposito dell’importanza del rischio nello sviluppo del bambino abbiamo interessanti indicazioni che ci vengono da un’esperienza estrema: la leucemia infantile. Questa malattia, che pochi decenni or sono non lasciava quasi alcuna speranza di sopravvivenza, oggi viene completamente sconfitta in una percentuale superiore al 70% dei casi. I gruppi medici più impegnati in questa lotta sono sempre più convinti che per una terapia vincente abbiano un ruolo importante non solo i medici e i loro interventi specialistici, ma anche la partecipazione attiva di tutti i protagonisti dell’esperienza, dai genitori alla scuola, e specialmente i piccoli malati. Per questa ragione si sono studiate a fondo l’esperienza della malattia e le sue conseguenze. Rispetto 3 I primi dati di una ricerca promossa nel 2001 dal comune di Viterbo e curata dall’Università della Tuscia di Viterbo, dall’Anpa (Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente) e dall’Università La Sapienza di Roma, che ha coinvolto tutti gli studenti delle scuole medie della città (1.300), rivelano che il 50% va a scuola da solo, mentre il 44,5% viene accompagnato in macchina. Per ragazzi dai dodici ai quattordici anni, che vivono in una piccola città, si deve considerare preoccupante che solo la metà possa muoversi da solo o con gli amici a piedi, in autobus o in bicicletta. 70 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 71 al tema del rischio mi sembrano particolarmente interessanti le seguenti considerazioni. Greaves, genetista epidemiologo inglese, che studia i fattori che favoriscono la leucemia, ha documentato che l’essere esposti nei primi anni ad infezioni comporta uno sviluppo del sistema immunitario capace, almeno in parte, di diminuire il rischio di leucemia4. Insomma, paradossalmente, i bambini «più sani», quelli che non sono mai stati male sono quelli più deboli ed esposti ai pericoli maggiori. Uno studio dimostra che gli adolescenti che da bambini hanno avuto la leucemia risultano avere una immagine di sé più positiva e matura rispetto ai coetanei che non sono passati per questa esperienza: risultano più «forti» e più generosi5. Nello stesso modo le famiglie che escono dall’esperienza di un figlio affetto da leucemia, sia con esito positivo che negativo, sembrano più forti, più aperte e generose delle altre. Alcuni dei giovani che hanno vissuto da bambini l’esperienza della leucemia e sono guariti dichiarano: Marco: «Mi arrabbio meno, mi sento più forte e più sensibile ai problemi degli altri». Tamara: «Sono più ottimista». Francesca: «Mi sento più forte, affronto i problemi cercando una via d’uscita». Alessio: «Mi sento più disponibile»6. Mi sembra che questi esempi, da quelli sullo sviluppo cognitivo o delle abilità operative e di movimento, fino a quelli sulle difese immunitarie o sul temperamento del carattere a causa di 4 J.L. Wiemels, G. Masera, M.F. Greaves, et al., Prenatal origin of acute lymphoblastic leukaemia in children, in «The Lancet», CCCLIV, 1999, pp. 14991503. 5 A. Maggiolini, G. Charmet, G. Masera, et al., Self-image of adolescent survivors of long-term childhood Leukemia, in «Journal of Pediatric Hematology/Oncology», XXII, 2000, pp. 417-421. 6 G. Masera, F. Tonucci, Cari genitori, Hoepli, Milano 1998, p. 61. 71 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 72 prove difficili, confermino il ruolo fondamentale che il rischio, l’ostacolo, rappresentano per la costruzione di una personalità forte, competente e autonoma. Il bambino, se messo in condizioni ambientali favorevoli, sa valutare le difficoltà e le affronta nella misura e nel modo che più gli conviene e gli compete. Sulle prove superate nei vari settori costruisce le sue capacità, le sue difese, la sua personalità. Alla domanda: «Cosa direbbe alle persone passate attraverso una esperienza simile alla sua?» la scrittrice cilena Isabel Allende, dopo la perdita della figlia Paula, rispondeva: «Direi loro che la tristezza non se ne va mai: diventa una seconda pelle. Si impara a conviverci e ad amarla». «Perché ad amarla?». «Perché ti rende più forte, più empatica. Ti dà la capacità di entrare in contatto con quel che c’è di essenziale nella vita». Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 73 Giocare sicuri «Vogliamo da questa città il permesso di uscire di casa» (Roma) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 74 «N on possiamo andare fuori a giocare perché i genitori non vogliono», «Perché hanno paura», «Perché ci sono le macchine», «Perché ci sono le persone cattive». Queste sono le risposte più comuni che i bambini europei, dai sei anni in avanti, danno quando si chiede loro la ragione di tanta difficoltà ad uscire di casa. Molto più raramente e solo alcuni bambini delle grandi città, dicono di aver paura, di non sentirsela, di ritenersi troppo piccoli. Esiste quindi una diversa percezione del rischio e del pericolo negli adulti e nei bambini e comunque un modo sostanzialmente diverso di reagire. Può valere l’esempio di come nei primi mesi del 2002 sta operando il Consiglio dei bambini di Roma esaminando il problema della mobilità urbana. Si è discusso della difficoltà che i bambini di questa grande città hanno di uscire da soli di casa. Secondo i piccoli consiglieri le strade sono pericolose perché le automobili vanno troppo veloci, perché non rispettano la precedenza dei pedoni sulle strisce pedonali, perché i marciapiedi non sono liberi e non sono ben tenuti, perché ci sono persone pericolose. Come si vede l’analisi è simile a quella degli adulti, ma la prognosi è esattamente opposta. Gli adulti ritengono che il pericolo del traffico non sia controllabile da parte di un bambino di sei, sette anni, così come ritengono probabile che un bambino che si muove da solo in una strada di città possa incontrare un adulto che lo molesti o gli usi violenza. Per ovviare a questi pericoli la soluzione generalmente preferita è quella di tenere il bambino in casa, di educarlo a diffidare degli estranei e di accompagnarlo do74 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 75 vunque, anche per percorsi molto brevi, in macchina (mezzo privato e per questo presunto sicuro). I bambini invece protestano, si arrabbiano e chiedono che si modifichino le condizioni ambientali. Per loro uscire è una necessità irrinunciabile e quindi le strade debbono essere più sicure, gli automobilisti meno prepotenti e le persone debbono aiutarli e non creare problemi. «Vogliamo da questa città il permesso di uscire di casa», ha detto con forza e rara puntualità Federico, consigliere del Consiglio dei bambini di Roma, il 3 giugno 2002, durante il Consiglio comunale aperto ai bambini. Non ha chiesto ai genitori il permesso di uscire, lo ha chiesto alla sua città! Da questo atteggiamento nascono le proposte che ora il sindaco, il comandante dei vigili, gli assessori alla Mobilità, all’Ambiente e alle Politiche educative, dovranno vagliare e valutare, accogliere o rifiutare. Se, come si spera, le accoglieranno, inizierà un processo certamente difficile, ma che ha come obiettivo una città nella quale sia più facile per tutti muoversi autonomamente, a piedi e in bicicletta, rinunciando all’auto privata. Sarà una città più sicura, più sana e più bella. Quello che i bambini propongono coincide sostanzialmente con le richieste ambientalistiche e con le varie proposte internazionali per la tutela dell’ambiente urbano e per uno sviluppo sostenibile. Ma le richieste infantili sono concrete, puntuali e rivolte direttamente ai loro genitori. Di qui la loro forza. Il bambino, fin dai primissimi anni, se messo gradualmente e progressivamente in grado di affrontarli, sa valutare i pericoli esterni e tenerne conto. Se si trova da solo valuterà il pericolo e ne terrà conto, controllerà se vi sono macchine in arrivo e attraverserà in condizioni di sicurezza. Se è solo, perché se invece è tenuto per mano da un adulto rinuncerà a prendere qualsiasi decisione e potrà sembrare incapace di prenderne. La valutazione delle sue capacità va effettuata quindi osservandolo mentre si muove autonomamente. Rispetto ai pericoli sociali, ai malintenzionati, ai pedofili, sappiamo dai dati ufficiali che queste forme di violenza contro i bambini avvengono quasi esclusivamente «dentro» e non «fuori», nei luoghi «sicuri» come la casa, la scuo75 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 76 la, la parrocchia, e ad opera di persone conosciute, spesso parenti e non estranei. Le soluzioni sono di conseguenza inadeguate e scorrette. Le case non sono il luogo sicuro che gli adulti pensano, ma il luogo di maggior pericolo per la frequenza degli incidenti domestici, per l’inquietante potere della televisione quando assume il ruolo improprio di babysitter. Rimanendo sempre sotto tutela degli adulti il bambino non sviluppa le necessarie abilità e difese di fronte al mondo esterno. Educare alla diffidenza verso gli estranei è ipocrita e sconsiderato: circonda il bambino di paure ingiustificate e lo rende debole di fronte a qualsiasi pericolo. Sarebbe auspicabile esattamente il contrario: educare i bambini a confidare sempre negli adulti, in tutti, ed insegnare loro che quando si trovano in difficoltà possono rivolgersi al primo adulto che incontrano che certamente li aiuterà. Se le paure dei genitori delle città europee sono in larga misura esagerate, più complessa è la situazione dei bambini che vivono in paesi dove il conflitto sociale è più forte e le aggressioni esterne, anche contro i bambini sono frequenti. Anche in questo caso, però, i bambini si mobilitano per difendere la loro autonomia. In alcuni incontri con i Consigli dei bambini delle città di Rosario e di Cordoba i piccoli consiglieri di nove-undici anni, raccontavano che è frequente, nelle loro strade, essere fermati da ragazzi poco più grandi di loro e, sotto la minaccia di un coltello o di una pistola, essere derubati della giacca a vento, dello zaino o delle scarpe da ginnastica. Nonostante queste condizioni di oggettiva difficoltà, i bambini argentini rivendicavano il diritto e la necessità di potersi muovere da soli nella città. Se ne è discusso a lungo e le loro indicazioni dovrebbero far riflettere tutti gli adulti, quelli delle loro città e, ancora di più, quelli delle nostre città europee. «Se siamo tanti siamo più sicuri» hanno detto sia i bambini di Rosario che quelli di Cordoba. È per loro chiaro che di nuovo la solitudine è un elemento di insicurezza e di debolezza. I malintenzionati non aggredirebbero un gruppo di bambini. 76 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 77 «Gli adulti possono aiutarci, però da lontano». Questa è una seconda proposta dei bambini di Rosario, di grande saggezza, che invita gli adulti a rivedere i propri modelli educativi. I bambini hanno bisogno di autonomia e il genitore che li tiene per mano la impedisce. Ma gli adulti potrebbero assumere un ruolo diverso, non privato, da genitori, ma pubblico, da cittadini, e organizzarsi in modo da garantire la sicurezza dei bambini senza necessariamente tenerli per mano, senza controllarli a vista. «Ci assaltano perché hanno fame o perché sono drogati e allora bisogna aiutarli in modo che non abbiano fame o bisogna curarli dalla droga». Una terza proposta, ancora dei bambini di Rosario, che può sembrare semplicistica, ma solo perché invita gli amministratori ad affrontare le cause dei problemi e non soltanto i loro effetti finali. Certamente gli assalti non sono dovuti solo a necessità, il problema è più articolato e complesso, ma questi bambini indicano una linea politica chiara: il problema non si risolve con la polizia che tenta di colpire chi sbaglia o cerca di creare un clima di timore per impedire i delitti, ma rimuovendo le cause che li provocano. Se riusciremo ad incidere sulle condizioni di disagio culturale, sociale e sanitario, che alimentano e favoriscono questi comportamenti devianti, sicuramente potremo ottenere risultati che non si possono raggiungere se aspettiamo che i delitti avvengano e cercando solo di colpire i colpevoli. Quella che i bambini indicano è la strada difficile della prevenzione. È la strategia che promuove anziché punire. Rispetto alle esigenze dei bambini è quella che costruisce fiducia e solidarietà sociale all’interno della quale essi possono trovare riconoscimento e autonomia. La strategia opposta è quella poliziesca, della difesa, quella che crea insicurezza sociale, paura e quindi necessità di controllo e tutela nei confronti dei bambini e degli anziani. È la logica perversa che chiude i bambini in casa, li trasporta in auto e li affida sempre e solo al controllo degli adulti. 77 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 78 Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Invitare i bambini fuori di casa. Occorre aiutare i bambini ad uscire da soli di casa, occorre aiutare i genitori a non aver paura di far uscire i bambini soli di casa, occorre aiutare le città a riabituarsi ai bambini per strada. Questo dovrebbe essere un obiettivo prioritario per quegli amministratori che desiderano sinceramente un futuro e uno sviluppo sostenibile per le loro città. I bambini sono realmente dei potenti indicatori ambientali: se sono visibili, presenti, in movimento negli spazi pubblici, indicano un ambiente sano, piacevole e sicuro. Per ottenere questo importante risultato non è sufficiente affidarsi alle scelte personali dei genitori e neppure fare pressione nei loro confronti spiegando che i loro figli ne hanno bisogno, che i pericoli della strada sono compatibili con le loro capacità, che a casa corrono rischi più gravi e meno controllabili. Bisogna invece creare opportunità e condizioni che rendano interessante e facile l’uscita nelle strade, l’incontro fra pari, l’uso della città. I pedoni, e anche i bambini pedoni, quando diventano molto numerosi sono capaci di competere con lo strapotere delle auto e delle moto e garantirsi la sicurezza. «Se siamo in tanti siamo più sicuri», dicevano i bambini argentini. Lo dimostrano le feste popolari, le occasioni nelle quali le strade sono piene di gente e sono le auto che debbono modificare le loro abitudini e assumere comportamenti molto più prudenti. I bambini di Corigliano Calabro hanno chiesto e ottenuto dal comune l’uso di una piazza per organizzare il loro mercatino. La piazza è circondata da strade aperte al traffico automobilistico, ma la domenica mattina è piena di tavolini, banchetti, bancarelle che espongono libri, giornaletti, vecchi giocattoli che i bambini mettono in vendita. Le strade sono piene di bambini, dei loro genitori e nonni. Gli automobilisti si adattano a questa nuova condizione e la rispettano, oppure modificano i loro orari e i loro itinerari. È importante accogliere le richieste dei bambini e organizzare iniziative che portino i bambini ad occupare e ad usare gli spazi pubblici. Dovranno essere proposte ben propagandate e corre78 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 79 date di tutte le necessarie misure di controllo e di sicurezza in modo che le resistenze dei genitori possano essere superate. Oltre a manifestazioni episodiche (come le domeniche senza auto o la chiusura delle strade per il gioco dei bambini) sarebbe opportuno creare delle nuove abitudini che prevedano esperienze di autonomia dei bambini, come il mercatino di Corigliano Calabro, come l’invito ad andare a scuola da soli di cui si parlerà nei prossimi capitoli. Un nuovo vicinato. Una volta, pochi decenni fa, l’ingresso della maggior parte delle case di città era sulla strada, sulla strada si affacciavano le finestre del primo piano, le case erano basse, di due, tre piani. Le persone passavano del tempo affacciate alle finestre per osservare le macchine, i passanti, per chiacchierare con i dirimpettai. Si usciva di casa per entrare nelle case vicine, per chiedere qualcosa, per raccontare i fatti propri e per conoscere quelli altrui. In questo tessuto sociale i bambini vivevano con sufficiente libertà controllati da quello che si chiamava «vicinato». Nelle sere d’estate, mentre i bambini potevano giocare anche dopo cena, gli adulti portavano fuori le seggiole e aspettavano il buio chiacchierando. Questo ambiente non c’è più. Anche nelle piccole città il pian terreno è occupato dai negozi, dalle banche, dagli uffici. Nelle case, che hanno notevolmente aumentato il numero dei piani e degli appartamenti, si entra da ingressi, da androni da cui partono le scale e gli ascensori. Le persone hanno imparato a comunicare di meno, ad essere più autosufficienti, a non aver bisogno di chiedere cose o di comunicare notizie ai vicini: ci sono il freezer pieno, la televisione e il telefono. Non si è sempre contenti di questa nuova condizione e di questo nuovo benessere. Si sente la necessità di ricreare nuovi legami sociali, nuove forme di vicinato: diventano amiche le persone che ogni giorno si incontrano mentre portano fuori il cane o quelle che accompagnano a scuola i figli. A Granollers, una cittadina spagnola vicino Barcellona, i commercianti hanno comprato delle sedie di legno impagliate. 79 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 80 Durante il fine settimana, quando le strade del centro storico vengono chiuse al traffico, i negozianti mettono le sedie fuori dei negozi. Le persone possono prenderle, sistemarle come credono e passare le serate in compagnia. In vari anni di questa esperienza nessuna delle sedie è scomparsa o è stata rovinata. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 81 Meglio i nonni «Quando andiamo ai giardinetti sono meglio i nonni dei genitori» (Fano) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 82 D urante un Consiglio dei bambini di Fano si discuteva di come fosse difficile giocare e divertirsi avendo sempre i genitori vicino. Un bambino disse «Quando andiamo ai giardinetti sono meglio i nonni dei genitori, perché quando sono lì si trovano con gli amici e si divertono con loro e a noi ci lasciano liberi; invece i genitori vengono apposta per accompagnarci e per controllarci e hanno sempre fretta perché si stancano». Effettivamente gli anziani, come i bambini, hanno bisogno di uscire, di incontrarsi con altri, di rompere l’isolamento che vivono dentro le loro case. Per loro accompagnare i nipotini è in qualche modo anche farsi accompagnare fuori, ritrovare gli amici e passare il tempo chiacchierando o giocando a carte. Per i genitori è invece solo un dovere, spesso costoso, che riduce i già scarsi momenti liberi da passare nella propria casa, davanti al televisore o a preparare la cena o a leggere il giornale. Ci si organizza fra padri e madri con turni, cercando di far durare questi periodi di «aria» del bambino lo stretto necessario. Quello che infastidisce di più i bambini e che limita di più la loro possibilità di gioco e di divertimento è che, mentre i nonni sono presi dalle loro discussioni o dai loro giochi, i genitori stanno lì, sulla panchina del giardinetto, solo per sorvegliarli, per impedire che si facciano male, che corrano dei rischi, che sudino, che saltino, che litighino, insomma, che giochino. Recentemente osservavo dei bambini che giocavano in un giardinetto attrezzato con alcuni giochi per i bambini più piccoli in un lato, con una grande struttura di legno con scale, corde e 82 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 83 scivoli al centro, panchine sparse, un tavolo con panche in un altro lato e completamente circondato da un recinto di legno. Ho potuto identificare tre gruppi o categorie di bambini. I piccolissimi, di uno, due anni, avevano come un invisibile guinzaglio della lunghezza di cinque metri per alcuni, di sette per altri. Quando superavano quella misura l’adulto (erano solo madri) si alzava dalla panchina e recuperava la distanza permessa o riportava il bambino vicino a sé perché ricominciasse il percorso di allontanamento. I bambini più grandi, tra i sei e i dieci anni, giocavano prevalentemente sulla grande struttura di legno assistiti dai genitori che intervenivano per raccomandare prudenza e impedire passaggi difficili. C’era poi un terzo gruppo di bambini, dell’età del secondo, che sembravano abbandonati, o, come ho sperato all’inizio, venuti al giardino da soli. Erano di gran lunga i più scatenati, liberi e felici. Salivano di corsa le scale, si urtavano, si spingevano, scendevano dallo scivolo a testa in giù. Facevano, insomma, tutto quello che ai loro compagni era impedito o proibito. Dopo alcuni minuti di osservazione capii che non erano soli, perché ogni tanto si avvicinavano al tavolo attorno al quale sedevano sei, sette anziani (chiaramente i loro nonni) completamente presi da una partita a carte. Nel periodo della mia osservazione nessun bambino si è fatto male, ma alcuni si sono divertiti e probabilmente hanno scoperto, capito e appreso cose nuove, altri no. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Evitare spazi specializzati. In quella discussione del Consiglio dei bambini di Fano una bambina propose: «I posti pubblici devono essere frequentati e sfruttati da bambini, giovani, adulti e anziani»; e un altro aggiunse: «Gli anziani sono soli, se stanno con i bambini e i giovani i genitori starebbero più tranquilli e i vecchi in compagnia». La proposta è chiara e potrebbe benissimo essere inserita fra le linee generali di un Piano regolatore generale (Prg): evitare, 83 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 84 nella progettazione della città, spazi dedicati a singole categorie e per esse specializzati; progettare invece spazi pubblici aperti a tutti i cittadini. Sentire il bisogno di progettare spazi dedicati appositamente per i bambini significa che tutti gli spazi pubblici sono considerati inadatti e quindi vietati per loro. Obbligarsi a non farlo significa affrontare il problema, molto più ricco da un punto di vista urbanistico e sociale di come gli spazi pubblici, che rappresentano la parte più significativa della città, possono accogliere anche i bambini insieme a tutte le altre categorie sociali. Gli spazi saranno pubblici se saranno accessibili a tutti, privi di barriere architettoniche, raggiungibili attraverso percorsi sicuri per tutti i pedoni, collegati con piste ciclabili. Saranno pubblici se saranno interessanti e disponibili per tutti. Potranno essere piazze o giardini, ma dovranno saper ospitare chi desidera passeggiare e chi vuole fermarsi, chi vuole appartarsi e chi vuole giocare. Se gli spazi pubblici saranno veri, ricchi, belli e interessanti saranno «sfruttati», come dice la bambina, da anziani, adulti, giovani oltre che da bambini; presumibilmente in modi e in orari diversi. Saranno quindi luoghi frequentati, controllati e sicuri per cui i genitori «staranno più tranquilli e i vecchi in compagnia». Saranno così i luoghi della democrazia, come dice Binner. Esperienze condivise. Gli anziani hanno tante cose da raccontare, hanno vissuto molte esperienze lontane, in un mondo tanto diverso da quello di oggi da farle sembrare delle favole. I bambini sono curiosi, hanno voglia di ascoltare. L’incontro fra anziani e bambini è il più naturale e soddisfacente. Anziani e bambini possono farsi compagnia, aiutarsi, giustificare a vicenda una marachella. Possono solidarizzare contro gli adulti per ottenere un po’ più di tempo libero, un dolce o dieci minuti di più davanti alla televisione. Bisognerebbe solo evitare di separare sempre le diverse generazioni legando i bambini alle proposte e agli spazi per bambini e gli anziani ai circoli anziani. Si tratta di offrire agli anziani la possibilità di regalare un po’ del loro tempo ai bambini o se si vuole di regalare ai bambini la compagnia e la ricchezza degli anziani. 84 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 85 L’anziano può entrare nelle classi scolastiche per raccontare la sua storia, per illustrare, con i suoi ricordi un paese di sessanta, settanta anni fa assolutamente incredibile per chi è nato dopo l’automobile, il telefono, il frigorifero, la lavatrice, la televisione, il supermercato, il computer, Internet. Può raccontare i suoi pasti, sempre uguali e fortemente legati alle risorse della sua zona (polenta in alcune zone, castagne in altre, pane in altre ancora). Può mostrare i suoi giochi, ricostruire con i bambini i suoi giocattoli fatti con le canne del fiume, le pannocchie di granturco, le ghiande, la carta o semplicemente l’argilla. Può raccontare i suoi viaggi, la sua guerra, le sue gravidanze, i lutti, le feste. I bambini possono scoprire attraverso questi ricordi come si potesse vivere senza denaro, con pochissime risorse, con un forte senso di sacrificio e di cooperazione, strettamente ancorati ad un piccolo territorio, ai suoi prodotti, alle sue tradizioni. Capire come, nonostante tutto, si riuscisse ad essere contenti, a divertirsi. L’anziano può entrare a scuola per leggere un libro ai bambini, un’ora al giorno per tanti giorni, fino a terminare il libro. Questa è un’esperienza fondamentale per formare futuri lettori e può cominciare al nido e proseguire per tutta la carriera scolastica dei nostri alunni, almeno per tutta la scuola dell’obbligo. È evidente che non è necessario un anziano per questa esperienza, potrebbe condurla direttamente l’insegnante, ma affidata ad un anziano può essere un regalo anche per lui. Non sarà difficile incontrare fra i nonni e le nonne degli alunni o fra i frequentatori di un centro anziani vicino alla scuola alcuni ex filodrammatici o comunque appassionati di teatro e di lettura disposti a regalare un po’ del loro tempo ai bambini. Il piacere di leggere e il fascino dell’ascolto rapito dei bambini sarà una scoperta e una grande soddisfazione per tutti. L’esperienza può essere ripetuta fuori della scuola, nei centri estivi, nelle colonie, nei reparti pediatrici degli ospedali. I bambini possono ricambiare il regalo andando a leggere a loro volta agli anziani, ai malati, ad un cieco. Saranno tutti modi per scoprire il fascino e il potere della lettura e per costruire una passione che altrimenti difficilmente la scuola riesce a far nascere nei suoi allievi. 85 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 86 Gli anziani possono portare nelle classi, in laboratori scolastici o aperti dall’amministrazione comunale fuori della scuola, le loro competenze, le loro abilità di artigiani, di cuoche, di ricamatrici. In una cultura consumistica che attraverso la pubblicità televisiva corrompe i bambini educandoli all’acquisto compulsivo di beni inutili, di giocattoli che non divertono e alla filosofia dell’usa e getta, può essere di grande importanza e divertimento imparare da un anziano a risuolare una scarpa, a innestare una pianta, a costruire un carrettino di legno o da una anziana a confezionare un centrino all’uncinetto, a preparare una minestra saporita con il pane raffermo, a costruire una bambola di pezza. Gli anziani possono infine essere importanti alleati dei bambini per garantire la loro autonomia. Essere in strada fra le otto e le nove del mattino e fra l’una e le due del pomeriggio per vigilare sui loro percorsi casa-scuola e scuola-casa, liberandoli dalla necessità dell’accompagnamento degli adulti. Possono essere presenti nei giardini e nelle piazze per leggere il giornale, per parlare con gli amici o giocare a carte garantendo una discreta vigilanza a favore dei bambini che in questo modo possono uscire sicuri per giocare con i loro compagni. Non sempre gli anziani sono disponibili a farsi carico dei bambini, spesso sono chiusi, egoisti. Lo sono anche perché da tanto tempo nessuno li coinvolge, si sentono isolati e dimenticati. Gli anziani però sono tanti e qualcuno disponibile per cominciare non sarà difficile trovarlo. Probabilmente altri seguiranno. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 87 A piedi «L’unica volta che mi hanno fatto attraversare era una macchina straniera» (Gabicce) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 88 N egli ultimi decenni l’esperienza una volta così comune e quotidiana per tutti i bambini di percorrere le strade della loro città a piedi per raggiungere i luoghi di gioco, la scuola o i negozi dove fare la spesa è diventata una esperienza assolutamente rara. Quando gli adulti di oggi erano bambini, la loro autonomia di movimento negli anni della scuola elementare non era molto differente da quella dei loro genitori. Oggi la mobilità degli adulti è grandemente aumentata e parallelamente quella dei bambini si è ridotta fin quasi a scomparire, in gran parte proprio per il rischio introdotto dalle automobili guidate dai loro genitori. La pretesa di mobilità degli adulti, scrupolosamente accolta nelle scelte urbanistiche e di mobilità urbana negli ultimi decenni, ha di fatto annullato la possibilità di mobilità autonoma dei loro figli e dei loro vecchi. La diminuzione dell’autonomia del bambino non riguarda solo la possibilità di compiere ampi spostamenti nel tessuto urbano. La quasi totalità dei bambini è accompagnata a scuola da un adulto, in genere in automobile. Sempre meno bambini possono attraversare la strada da soli, recarsi autonomamente a fare compere, a giocare con gli amici o andare in bicicletta negli spazi pubblici. Da una ricerca condotta nel 2001 sull’autonomia dei bambini delle scuole elementari in Italia risulta che fra i bambini che abitano a meno di 500 metri dalla scuola solo un terzo raggiunge la scuola a piedi senza l’accompagnamento di adulti, un 88 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 89 terzo viene accompagnato a piedi e un terzo viene accompagnato in macchina1. Di fronte a questi dati l’atteggiamento comune degli adulti è di rassegnazione: capiscono che sarebbe bello che i loro figli potessero avere le possibilità e le esperienze che loro stessi hanno avuto da bambini, ma considerano questo ormai impossibile e cercano quindi di compensare questa mancanza con altre risorse come gli strumenti tecnologici di divertimento e di comunicazione (dalla play station a Internet), i quotidiani accompagnamenti a casa di amichetti o ai vari corsi pomeridiani. Si finisce per pensare alla mobilità autonoma dei bambini come ad un lusso purtroppo impossibile e comunque ben compensato. Per capire quale perdita invece costituisce questa modifica nei comportamenti del bambino per il suo corretto sviluppo, proviamo a seguire due percorsi: quello di un bambino che si muove tenuto per mano da un adulto e quello di un bambino che si muove da solo. Nel primo caso il bambino non prende nessuna decisione, o meglio, non può prendere nessuna decisione. Se prende qualche iniziativa, di fermarsi, di raccogliere qualcosa, di modificare il percorso, di solito viene richiamato con le consuete esortazioni: «Non ti fermare sempre!», «Dai che facciamo tardi!», «Non toccare che ti sporchi!». Per l’adulto lo spostarsi è un trasferimento da un punto di partenza ad uno di arrivo, nel tempo più breve possibile, senza incidenti o imprevisti. Non è un caso che i sistemi considerati più efficienti per lo spostamento siano la metropolitana, l’autostrada e l’aereo. Sistemi che con meno «distrazioni» possibili fanno raggiungere nel tempo più breve il luogo di destinazione. Questo è l’obiettivo del viaggio, l’interesse principale dell’adulto. Il percorso è una perdita di tempo, va compresso sempre di più. Si è disposti a spendere cifre incredibili per ridurre di trenta minuti un percorso di quattro ore! 1 Di questa ricerca del Cnr si parlerà più ampiamente nel capitolo A scuola ci andiamo da soli. 89 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 90 Nel secondo caso il bambino è da solo, può decidere, anzi non ha rimedio alla necessità di decidere, altrimenti deve tornare a casa immediatamente. Ad ogni passo deve prendere diverse decisioni: se proseguire, se cambiare direzione, se fermarsi a osservare qualcosa, se raccogliere qualche oggetto che lo interessa. E ogni decisione che prende comporta delle conseguenze: se si ferma dovrà tener conto del tempo altrimenti farà tardi, se raccoglie qualcosa dovrà poi nasconderlo perché la mamma non vuole, se cambia direzione dovrà fare attenzione a prendere nota di alcuni indicatori che possano aiutarlo al ritorno a ritrovare il cammino. Va notato che gli indicatori utili per il ritorno occorre prenderli a rovescio, così come si presenteranno tornando indietro! Ognuna di queste operazioni è complessa, ricca di elementi cognitivi, spaziali, affettivi. In un semplice trasferimento dalla sua casa al negozio di frutta il bambino può scoprire sassi di vari colori, foglie secche, piccoli animali, fogli di riviste con strane fotografie (a volte non «adatte» per lui), può cambiare il percorso facendo attenzione a non perdersi, deve poi spiegare alla fruttivendola cosa deve comprare, deve pagare, accettare o rifiutare il fico che gli regala, tornare a casa. Quante cose avrà da raccontare questo bambino alla mamma! Per il bambino spostarsi è un percorso, un itinerario fatto di tanti punti intermedi ognuno dei quali è più importante del punto di arrivo che rappresenta solo la fine delle scoperte e dell’avventura. Esattamente il contrario dell’adulto. «Io», disse il Piccolo Principe, «se avessi cinquantatré minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana...»2. Giancarlo Paba racconta una esperienza di studio delle differenze di percezione dello spazio fra bambini di diverse provenienze nazionali, realizzata in una scuola media di Prato, chiedendo agli allievi di disegnare il percorso casa-scuola. «I bambini hanno disegnato un solo percorso, tranne uno che aveva disegnato cinque itinerari differenti. La spiegazione è assai semplice. Si trattava di un bambino italiano allevato in una famiglia molto rigida che gli impediva di uscire, se non per andare a scuola. Era insom2 A. de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, Bompiani, Milano 1997, p. 101. 90 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 91 ma un bambino prigioniero della sua abitazione ed allora i viaggi verso la scuola erano diventati un’attività di esplorazione della città – il tempo di trasferimento dalla casa alla scuola era diventato un tempo scelto, intessuto di esperienze e di opportunità»3. Per questo chiedere a un bambino di cinque, sei anni, di andare a comprare qualcosa o di andare da solo a scuola è uno dei regali più belli che un adulto può fargli. Perché oggi è così difficile per un bambino andare a piedi nelle strade della sua città? Semplicemente perché gli adulti hanno ritenuto giusto impadronirsi delle strade e usarle come loro esclusiva proprietà, nella quale far correre e parcheggiare le loro macchine, senza alcun rispetto della maggioranza dei cittadini che si muovono prevalentemente a piedi (anche chi usa i mezzi pubblici compie a piedi i tratti iniziali e terminali). Una bambina di terza elementare di Gabicce ha raccontato, in una assemblea di genitori, la sua «odissea» quotidiana. In risposta all’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli» ha chiesto alla madre di poter andare a scuola in bicicletta. La madre l’ha seguita in macchina il primo giorno verificando che se la cavava bene e poi, nei giorni seguenti, è andata da sola. Il problema quotidiano è l’attraversamento della strada principale, molto trafficata. La bambina scende dalla bicicletta e attraversa a piedi sulle strisce pedonali, ma le macchine non si fermano. E dichiara sconsolata: «L’unica volta che mi ricordo che mi hanno fatto attraversare era una macchina straniera»4. 3 M. Giusti, G. Paba, Abitare il tempo. Una guida alle politiche sui tempi, Amministrazione provinciale, Firenze 1999, p. 66. Giancarlo Paba è professore di urbanistica all’Università di Firenze. 4 Da alcuni anni, da quando propongo questo progetto, quando sono in auto, mi impegno a rispettare la precedenza dei pedoni sulle strisce pedonali. Mi fermo quindi non solo quando un pedone ha già iniziato l’attraversamento, ma anche quando sta aspettando. Queste alcune curiose osservazioni. Il rispetto di questa norma è raro, mi sento spesso originale, quasi esibizionista. Il comportamento non è per me assolutamente spontaneo, ogni volta richiede una scelta razionale, una certa forzatura a un comportamento che mi sembra molto più comune e spontaneo: valutare se faccio in tempo a passare prima del pedone. 91 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 92 Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Che l’aumento delle auto private all’interno delle città sia incompatibile con lo sviluppo sostenibile e con la sopravvivenza delle città stesse è opinione comune e condivisa. Che la riduzione della circolazione privata all’interno del tessuto urbano sia indispensabile è anche sostenuto sia dai cittadini che dagli amministratori. Le iniziative che finora sono state sperimentate sembra però che non riescano ad ottenere questi risultati. L’aumento dei parcheggi, anche se sotterranei, invita gli automobilisti ad entrare fino al centro delle città. I parcheggi urbani a pagamento, pur legittimi trattandosi di spazi pubblici usati a fini privati, ha aumentato la probabilità di trovare parcheggio e quindi invita ad avventurarsi in macchina in tutte le zone della città. L’aumento dei costi per l’uso dell’auto, come dimostrano anche gli aumenti della benzina, delle tariffe assicurative e delle multe, non riesce a ridurne l’uso. Il maggiore benessere economico rende di fatto inefficaci i tentativi di dissuadere l’uso dell’auto privata incidendo esclusivamente sui costi. Se questi superassero liQuando mi fermo e invito il pedone che attende di passare, di solito lui rifiuta, mi fa segno di proseguire. Insisto. A volte non passa facendo finta di non avere quella intenzione. Proseguo e dallo specchietto retrovisore lo vedo attraversare dopo il mio passaggio. Se invece passa, a volte rischia di essere investito dalla macchina che mi supera a destra non comprendendo la mia inopinata sosta. Ringrazia sempre, consapevole non di aver ottenuto il riconoscimento di un suo diritto ma di aver ricevuto un regalo. Spesso il pedone, anche se anziano, attraversa velocemente o addirittura accennando una corsetta, per dimostrare il rispetto per il tempo che mi sta facendo perdere. Bambini, persone anziane, giovani donne ritengono quasi comprensibile che un signore maturo li lasci passare, ma quando si tratta di uomini il problema è più complicato, le resistenze aumentano e più di una volta giunto all’altezza della mia vettura il pedone ha guardato la targa, per verificare da dove venisse questo strano personaggio, esattamente come diceva la bambina di Gabicce. Naturalmente anche da pedone sto facendo l’esperienza speculare: quando arrivo alle strisce pedonali attraverso pretendendo la precedenza. Finora me la sono cavata con qualche brusca frenata o qualche tentativo di protesta naturalmente da me rintuzzata con durezza. Insomma, permane la sensazione che la precedenza sulle strisce sia da parte degli automobilisti una gentile e gratuita concessione e da parte dei pedoni una presuntuosa pretesa. 92 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 93 velli tollerabili dai più si creerebbe una selezione socio-economica che penalizzerebbe solo i meno abbienti, producendo nuove ingiustizie anziché maggiori opportunità. I bambini sembrano suggerire altre iniziative. Stare dalla parte dei pedoni. Le misure più frequentemente adottate sono comunque indirizzate alle macchine o per favorirle o per rendere più difficile il loro accesso o i loro eccessi. I bambini vorrebbero invece che si cambiasse l’ottica e si partisse dagli interessi dei pedoni. A loro non interessa punire le macchine, ma che i pedoni siano tutelati, garantiti. Una buona politica amministrativa sembra quella che pone al centro dell’attenzione, del dibattito e delle decisioni i diritti e i bisogni dei pedoni. Fare in modo che nella città sia facile muoversi a piedi e che chi si muove a piedi si senta preferito e privilegiato. Una anziana signora di Roma non esce più di casa da sola da alcuni mesi perché il semaforo non resta verde per il tempo sufficiente per farle attraversare la strada. Anche se questo succedesse per una sola persona, una città democratica non può tollerare una tale ingiustizia. Stare dalla parte dei pedoni significa esaminare prioritariamente i loro bisogni e prendere decisioni adeguate per soddisfarli: fare in modo che i tempi dei semafori pedonali siano adeguati, assicurare sempre una buona visibilità delle strisce pedonali, curare la manutenzione dei marciapiedi, fare in modo che il marciapiede sia un percorso continuo, senza ostacoli, senza interruzioni, esattamente come lo sono le strade per le macchine. Se si è costretti a scegliere occorre preferire un intervento urgente a favore dei pedoni anziché uno a favore degli automobilisti. Da queste «buone azioni» i cittadini potranno capire e apprezzare le scelte dell’amministrazione. Per la salute dei cittadini. Le malattie cardio-circolatorie sono oggi la prima causa di decesso in Italia e rappresentano un grave problema economico e sociale per le strutture sanitarie e per le famiglie. I tecnici della salute dicono che il forte incremento di 93 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 94 queste malattie è da imputarsi principalmente alla vita sedentaria, alle troppe ore davanti alla televisione, agli spostamenti in macchina. Un’amministrazione che promuova, non tanto con inviti e sollecitazioni, ma con interventi urbanistici, la mobilità autonoma dei cittadini va quindi considerata una buona amministrazione. Gli alti costi che queste trasformazioni richiedono sono certamente compensati dai minori costi di cure mediche, di incidenti stradali, di stress e depressioni che la concitata vita cittadina produce e che incidono pesantemente sui bilanci pubblici e sulla qualità della vita dei cittadini. Una ricerca della Comunità Europea rivela che ad ogni litro di benzina consumato dalle automobili (circa 1,08 euro) corrisponde un costo di 0,72 euro di spese sanitarie. Si potrebbero risparmiare ogni anno centinaia di milioni di euro di spese sanitarie e spenderle per favorire la mobilità nelle città e la conseguente riduzione di consumo di benzina. La Carta del bambino pedone. Il Consiglio dei bambini di Fano, nel febbraio del 2000, ha elaborato la seguente Carta del pedone e l’ha presentata al Consiglio comunale. 1. Il bambino deve poter camminare tranquillamente su marciapiedi larghi e sicuri e nei percorsi pedonali. 2. Il bambino deve poter trovare dei punti di sosta con panchine coperte e cabina telefonica. 3. I marciapiedi devono essere liberi dalle auto e dalle bici per un sicuro passaggio dei bambini. 4. La città deve essere munita di percorsi pedonali e di piste ciclabili comunicanti con gli spazi verdi. 5. Il bambino deve poter attraversare tranquillamente la strada sulle strisce pedonali, con sicurezza, senza aver paura di essere investito. 6. Le strisce pedonali devono essere aumentate e bisogna riverniciarle ogni volta che si rovinano. 7. Per un sicuro attraversamento delle strade ci vorrebbero i rallentatori prima delle strisce pedonali. 8. Le strade devono essere dotate di cartelli con la figura dei bambini. 94 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 95 9. I segnali devono essere grandi, colorati, illuminati o fosforescenti. 10. I bambini hanno diritto di percorrere una strada pulita. Per favorire gli spostamenti dei bambini portatori di handicap: 11. I marciapiedi devono essere grandi, muniti di scivoli, senza scalini, lisci, puliti. 12. I marciapiedi devono avere delle protezioni dalla parte della strada. 13. Gli scivoli sono necessari anche davanti a negozi, cinema, scuole. 14. Gli attraversamenti devono essere muniti di segnali acustici. L’informazione: 15. La Carta del pedone deve essere fatta conoscere con la Radio, la Televisione, i manifesti, con «Fano Stampa» e il sito Internet. Una proposta: 16. Il Consiglio dei bambini propone per i bambini a scuola un piccolo esame per imparare a conoscere la segnaletica, per avere più sicurezza, per ricevere la Patente del pedone. Un percorso pedonale continuo. L’attuale percorso pedonale è una specie di percorso di guerra, che sottostà alle esigenze di tutti e naturalmente prima di tutto a quello delle auto. Il marciapiede frequentemente si interrompe per i passi carrabili dei garage: il pedone (portatore di handicap, anziano, bambino, genitore con la carrozzina, persona carica di borse della spesa) deve scendere dal marciapiede, attraversare il passaggio, e risalire. Spesso è occupato dalle merci dei negozi, da motorini parcheggiati, da cartelli stradali e pubblicitari. Si interrompe comunque per l’attraversamento della strada. Di nuovo il pedone deve scendere, abbandonando il suo percorso privilegiato e attraversare la strada delle macchine per poi risalire. Tutto questo, che apparentemente è ovvio perché usuale, a ben vedere è paradossale. Il livello zero, il livello strada viene sempre riservato alle macchine ed è il pedone, anche se si trova in condizioni di grave difficoltà, che deve lasciare il suo livello. Quando si vogliono favorire o proteggere i pedoni si costruiscono sovrappassi o sottopassaggi, costringendoli a percorsi scomodi, a volte bui e maleodoranti, per lasciare alle macchine, che hanno il motore, il livello di strada. 95 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 96 Un’amministrazione può assumere come regola che i percorsi pedonali siano continui e che mantengano sempre la loro quota: saranno le macchine a salire sul marciapiede per entrare nei garage o nei cortili. Anche gli attraversamenti pedonali, salvo quelli delle strade di grande traffico, potrebbero essere rialzati, mantenendo la pavimentazione e il livello del marciapiede. Simili interventi permetterebbero una pedonalità garantita all’interno dei quartieri; si potrebbero raggiungere il mercato, la scuola, i giardini, senza mai scendere dal marciapiede, con tranquillità e sicurezza. Permetterebbero all’anziana signora di Roma di uscire di casa, di sentirsi ancora cittadina della sua città. Quando poi non ci sono i marciapiedi si può considerare la strada come «residenziale», abbassando così notevolmente la velocità dei veicoli e rendendola sicura per i pedoni. Riguardo poi ai sottopassaggi o ai sovrappassi, perché non abbassare le strade e lasciare il livello orizzontale a piazze pedonali? Si inventerebbero nuovi spazi di incontro e di gioco in zone della città povere di verde e di spazi pubblici, che potrebbero contribuire all’estetica urbana fondamentale per il recupero delle periferie. L’alto costo economico di questi interventi verrebbe rapidamente recuperato con l’innalzamento della qualità della vita nei quartieri, con il miglioramento delle relazioni sociali, con la diminuzione delle attività di microcriminalità. Il comune di Fano, per favorire l’autonomia dei bambini, ha effettuato importanti interventi strutturali sulle strade principali dei due quartieri coinvolti nell’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli». Sono state ristrette le carreggiate per allargare uno dei due marciapiedi, che, mantenendo sempre la sua quota, è diventato un percorso continuo ciclo-pedonale. Gli attraversamenti pedonali lungo il percorso e gli incroci sono stati rialzati al livello dei marciapiedi, conservando la pavimentazione dei marciapiedi stessi. I pedoni hanno così un loro percorso continuo, che non si interrompe neppure nell’attraversamento delle strade. Gli automobilisti debbono salire sul marciapiede per entrare in garage e sui passaggi pedonali che diventano così dei marciapiedi che attraversano la strada. 96 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 97 Zone 30. Potrebbe essere adottato come criterio vincolante che la velocità di 50 chilometri all’ora venga mantenuta nelle vie di connessione fra i quartieri e di attraversamento della città. Queste strade dovrebbero avere sempre le piste ciclabili, che ne ridurrebbero l’ampiezza aumentandone la sicurezza. La velocità si abbasserà invece a 30 chilometri all’ora all’interno dei quartieri. La riduzione permette la realizzazione degli attraversamenti rialzati al livello dei marciapiedi e una più facile condivisione dello spazio fra pedoni, ciclisti e automobilisti anche senza corsie riservate. In alcune strade la velocità si abbassa ulteriormente se le si considera «residenziali». Intorno alle scuole le strade potrebbero assumere sempre quest’ultima caratteristica. «A scuola ci andiamo da soli». Un’amministrazione che vuole realmente sviluppare la pedonalità deve promuoverla nei piccoli, cercando di contrastare le attrattive consumistiche che fanno sognare di arrivare il più presto possibile ai quattordici anni per poter avere un motorino e ai diciotto per avere una macchina. Deve educare i bambini al piacere di muoversi a piedi, invitandoli ad andare a scuola senza essere accompagnati dai genitori. Questo è un primo passo verso la formazione all’autonomia e alla pedonalità5. La multa a chi non rispetta la precedenza dei pedoni sulle strisce pedonali. È quasi paradossale chiedere l’applicazione di una norma del codice della strada, ma di fatto questa violazione non viene mai punita nel nostro paese e in altri paesi nei quali si sta applicando il progetto «La città dei bambini». In questi undici anni, nelle tante conferenze di presentazione del progetto, ho spesso chiesto ai rappresentanti dei comuni di inviarmi la fotocopia di almeno una multa elevata ad automobilisti che non rispettavano la precedenza dei pedoni sulle strisce pedonali e non ne ho ancora ricevuta una. Sono invece sicuro che, se pur raramente, vengono ele5 Su questa iniziativa si veda il capitolo A scuola ci andiamo da soli. 97 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 98 vate contravvenzioni ai pedoni che attraversano fuori delle strisce pedonali. Neppure nei comuni dove il sindaco invita i bambini ad andare a scuola da soli e si avvia questa iniziativa, siamo riusciti ad ottenere, finora, l’applicazione di questa norma. Il paradosso è che si tratta dell’unica norma a difesa dei più deboli e che il suo mancato rispetto costituisce un pericolo effettivo per la vita dei cittadini. Sarebbe un po’ come essere tolleranti con la violazione del passaggio delle auto con il semaforo rosso. Di fatto non è vero che questo malcostume provoca vittime perché i pedoni hanno rinunciato al loro diritto e passano, sulle strisce pedonali, solo quando non ci sono macchine in arrivo. Il sindaco, l’assessore al Traffico e il comandante dei vigili urbani dovrebbero convocare una conferenza stampa e annunciare che, per difendere e privilegiare i pedoni, per permettere ai bambini di andare a scuola da soli e invitare tutti i cittadini a muoversi con più frequenza e più sicurezza a piedi, procederanno all’applicazione rigorosa della multa per quegli automobilisti che non rispettano la precedenza dei pedoni sulle strisce pedonali. Mi si dice che sono cattive abitudini che è difficile modificare, ma non è vero: oggi in quasi tutta Italia, anche in molte grandi città, il casco è portato da quasi tutti i motociclisti e questo è il risultato di una corretta campagna di sensibilizzazione e di una rigorosa applicazione delle sanzioni6. Mi si dice ancora che ci sarebbero reazioni, ma sarebbe interessante vedere chi e come si opporrà ad una disposizione che intende difendere la sicurezza e l’integrità dei bambini! I proventi di queste multe potrebbero costituire un fondo per interventi a favore della sicurezza dei bambini sulle strade7. 6 Vale la pena sottolineare che Roma ha raggiunto uno dei livelli più alti in Italia di rispetto dell’obbligo di indossare il casco, pur essendo una metropoli di più di due milioni e mezzo di abitanti tradizionalmente poco ordinati e rispettosi delle regole (almeno di quelle stradali). 7 La legge n. 472 del 7 dicembre 1999 integra il Codice di circolazione stradale (Decreto legislativo n. 285 del 1992) aggiungendo all’articolo 208 che definiva l’uso dei proventi delle multe: «nonché, in misura non inferiore al 10 98 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 99 Un pomeriggio per i bambini. L’obiettivo di tutti questi sforzi e di queste proposte dovrebbe essere la costruzione di una nuova concezione del tempo libero infantile e la restituzione ai bambini di una autonomia quotidiana, da utilizzare tutte le volte che sia possibile: per andare a scuola, per giocare con gli amici, per andare a far compere, per andare in piscina o al corso di inglese. Bisogna lavorare per far sì che venga considerato «normale» che una bambina, un bambino di sei, otto, dieci anni esca da solo di casa e percorra serenamente la sua città. Per ottenere questo risultato bisogna passare per iniziative che all’inizio avranno bisogno di organizzazione, collaborazione e tanta buona volontà. Una proposta può essere quella di offrire un pomeriggio libero a tutti i bambini della città. Si tratta di invitare i bambini ad uscire di casa, usare la città, incontrare gli amici, occupare piazze e giardini, utilizzare i mezzi pubblici, in un pomeriggio fisso della settimana. Per rendere possibile una simile proposta bisogna realizzare un vero patto sociale fra i tanti, sicuramente troppi, adulti che a vario titolo si occupano e si preoccupano dei bambini. L’amministrazione potrebbe essere l’ente proponente ed invitare i rappresentanti della scuola, delle associazioni sportive, delle associazioni giovanili e delle parrocchie ad accordarsi per un pomeriggio «libero», nel quale non ci siano rientri scolastici, compiti, corsi pomeridiani, iniziative associative e catechismo. Si inviteranno le famiglie a lasciare che i bambini utilizzino quel pomeriggio per giocare, per incontrarsi, per percorrere la città. Non ci saranno attività organizzate. Ci sarà invece un forte invito a tutti gli adulti, gli anziani, i vigili urbani, i negozianti, i ragazzi più grandi, perché creino le condizioni per la migliore accoglienza per i bambini favorendo la loro autonomia. In questo pomeriggio, almeno a livello sperimentale, si potrebbero dare passaggi gratuiti o scontati ai bambini sui mezzi per cento, ad interventi per la sicurezza stradale, in particolare a tutela degli utenti deboli: pedoni, ciclisti, bambini, anziani, disabili». 99 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 100 pubblici, per favorirne l’uso e per sollecitare la conoscenza delle varie parti della città. Si dovrebbe favorire l’uso della bicicletta. Sarà interessante verificare se, in questo pomeriggio, i bambini approfitteranno della proposta abbandonando il televisore. Se così sarà, i bambini ci confermeranno, senza più ombra di dubbio, quale può essere l’arma efficace e corretta contro lo strapotere di questo invadente elettrodomestico. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 101 La bicicletta è più democratica «La bicicletta è più democratica dell’automobile» (Granollers) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 102 U n bambino di Granollers, durante un Consiglio dei bambini, ha detto: «La bicicletta è più democratica dell’automobile perché la possono guidare tutti, anche senza la patente e anche i bambini, costa di meno e non produce inquinamento» e un altro bambino ha aggiunto: «Se molti vanno in bicicletta non c’è bisogno delle piste ciclabili». Le persone che vivono in città usano prevalentemente l’auto privata non tanto per sudditanza al potere delle multinazionali dell’auto e alle sue suggestioni pubblicitarie, ma per ragioni di economia, che guidano sempre le nostre scelte: andare con la propria auto è più conveniente. Questa valutazione sembra strana pensando che l’auto privata è certamente il mezzo più costoso per spostarsi, ma diventa assolutamente ragionevole pensando che è più comoda, più rapida e forse più salutare. I mezzi pubblici sono spesso inaffidabili, poco frequenti; a piedi e in bicicletta si corrono troppi pericoli e si subisce tutta la contaminazione atmosferica che le stesse auto producono. Le ragioni di convenienza economica non sono più determinanti nella scelta e quindi i mezzi privati aumentano e con la loro presenza rendono sempre meno efficienti quelli pubblici. Chi amministra la città dovrebbe puntare sulle priorità che oggi probabilmente guidano la vita dei cittadini: tempo, comodità, sicurezza e salute. Quando i mezzi pubblici saranno competitivi su questi aspetti e non solo su quello economico, con i mezzi privati, allora molti sceglieranno il mezzo pubblico. Ma anche il mezzo pubblico consuma energia non rinnovabile e costringe ad una relativa inattività fisica. 102 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 103 La bicicletta va quindi correttamente considerata non un nostalgico e arcaico ricordo del passato, ma la vera city car del futuro. Julian Morris, direttore del Dipartimento dell’Ambiente dell’Istituto degli Affari economici di Londra dice: «Il viaggio da casa mia a Westminster dura 15 minuti in bicicletta, 25 minuti in metropolitana o in automobile, fino a 40 minuti in autobus». Se gli abitanti delle città potessero andare a lavorare, a fare la spesa, a scuola o a giocare con la bicicletta, senza mettere a repentaglio la vita ogni giorno e senza dover aspirare i gas di scarico delle auto pubbliche e private, molti sceglierebbero questo mezzo. Sarebbero garantiti tempi certi e spesso più brevi, la possibilità di andare ovunque, di parcheggiare senza problemi, un enorme risparmio economico e una attività fisica che renderebbe superflue le palestre o le piscine, molte cure dimagranti e le stesse pillole per l’ipertensione. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Il bambino di Granollers è molto chiaro: la bicicletta è più democratica; se voi adulti siete democratici dovete fare in modo che tutti i cittadini, a partire dai bambini, possano muoversi da soli e quindi dovete permettere l’uso facile e sicuro della bicicletta. Una politica per la bicicletta. L’amministrazione deve valutare questa scelta e, se condivisa, promuoverla con iniziative e interventi coerenti. Certamente non si può pensare di promuovere l’uso della bicicletta se si continua ad aumentare il numero di parcheggi per auto. Probabilmente lo si fa invece se gradualmente si trasformano alcuni parcheggi automobilistici in parcheggi per biciclette. Ma il problema fondamentale è dove passare con la bicicletta. Interessante l’osservazione del bambino che dice che se molti usano questo mezzo di trasporto non c’è bisogno delle piste ciclabili, sia perché sarebbero di meno le auto in circolazione, sia perché in questo caso sarebbero egemoni le biciclette e 103 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 104 toccherebbe alle auto doversi destreggiare in mezzo allo sciame di biciclette. Si tratta di un auspicio, di una possibilità eventuale per il futuro. Per il presente bisogna riconoscere il diritto alla «ciclabilità» creando percorsi adeguati perché ci si possa spostare con questo mezzo economico ed ecologico senza pericolo. Si potrebbe disegnare una mappa di percorsi ciclo-pedonali che attraversino la città riservando alcune strade a ciclisti e pedoni1. Pensare queste strade come viali di incontro, di gioco, di passeggio e di spesa, come fossero dei centri commerciali adagiati sulla città. Una specie di metropolitana di superficie dove muoversi con i propri mezzi e con le proprie energie. Per la parte importante del percorso si ovvierebbe così alla vicinanza degli automezzi, al pericolo di incidenti e all’inquinamento atmosferico. Questo intervento non richiede particolari modifiche strutturali e costi importanti, ma semplicemente un cambio di destinazione d’uso di alcune strade e arredi urbani che si potrebbero concordare e condividere con i commercianti o i condomìni del viale. Per i percorsi di connessione da casa ai viali e da questi al luogo di arrivo si dovranno realizzare delle piste ciclabili. Mi si dice che la creazione di queste strutture ha costi elevati. Ho incontrato due soluzioni interessanti e di basso costo economico. In un caso, a Fano, come già detto, è stata ristretta la carreggiata e si è ampliato uno dei due marciapiedi trasformandolo in percorso ciclo-pedonale. In un secondo caso, a Gabicce, il parcheggio delle auto, situato al lato del marciapiede è stato spostato di poco più di un metro in modo che fra il parcheggio e il marciapiede rimanesse la pista ciclabile. L’intervento non costa nulla e le auto in sosta difendono i ciclisti dalle auto in mo1 Si ricorda che nel 1998 fu emanata la legge n. 366 sulle «Norme per il finanziamento della mobilità ciclistica» che ha posto l’obbligo per gli enti proprietari delle strade di realizzare piste e percorsi ciclabili adiacenti sia a strade di nuova realizzazione, sia a strade oggetto di manutenzione straordinaria. Ciò salvo comprovati problemi di sicurezza. Questa legge dispone di un apposito fondo presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Secondo la Fiab (Federazione italiana amici della bicicletta) queste indicazioni sono fino ad ora in gran parte disattese. 104 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 105 vimento. Una tale soluzione potrebbe essere adottata in molte zone della periferia delle grandi città dove le strade sono inutilmente e pericolosamente ampie. Un ulteriore problema che dovrà essere affrontato è quello del parcheggio delle biciclette, per evitare che occupino i marciapiedi. Anche questo è un segnale di interesse e di invito all’uso della bicicletta da parte degli amministratori. Particolare cura dovrà essere dedicata ai parcheggi davanti alle scuole, ai posti di lavoro, agli uffici pubblici, ai giardini, ai luoghi di incontro e di svago. Un laboratorio di bicicletta a scuola. Per suscitare la passione dei bambini e dei ragazzi alla bicicletta e promuoverne l’uso come mezzo abituale di trasporto il comune potrebbe proporre alle scuole elementari e medie di aprire, con il suo contributo, dei laboratori di bicicletta. L’iniziativa, chiamata «La bicicletta un mito», vuol proporre la bicicletta come il mezzo più silenzioso, più economico, più salutare e probabilmente più veloce per la mobilità urbana, oggi per andare a scuola e ad incontrare gli amici, domani per andare al lavoro, a fare la spesa, a vedere una mostra. Alle scuole elementari e medie, che vogliono partecipare all’iniziativa e che hanno uno spazio a disposizione, si propone di aprire un laboratorio attrezzato per lo smontaggio, l’aggiustaggio e la manutenzione della bicicletta. Nel laboratorio potranno essere studiate le diverse «dimensioni» di questo veicolo: la fisica della bicicletta (le leve, i rapporti, la spinta, la velocità); l’anatomia della bicicletta (i muscoli impegnati, lo sforzo, i benefici); la storia della bicicletta (la sua trasformazione nel tempo, la sua rappresentazione nelle arti visive, nella letteratura, nella musica); la storia del ciclismo (le grandi gare, i record, i grandi campioni, il tifo). Si tratta quindi di una risorsa multidisciplinare molto vicina agli interessi degli alunni, sia maschi che femmine. Il laboratorio della bicicletta potrebbe rimanere aperto il pomeriggio, con la partecipazione di vecchi artigiani ciclisti, e permettere agli studenti di tornare a scuola con le loro biciclette per la manutenzione o per aggiustarle. Sarebbe una risposta alla giusta esigenza di usare per più tempo le strutture scolastiche e an105 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 106 cor più ad una aspettativa dei ragazzi spesso delusa: che la scuola sia più attenta alle loro esigenze. In una città che vuol riscoprire l’uso della bicicletta, la rete dei laboratori scolastici potrebbe anche costituire, nel caso fossero carenti le officine esterne, un punto di riferimento per i rapidi interventi a favore dei cittadini ciclisti. Laboratori di bicicletta stanno nascendo in alcune città italiane come Viareggio e Scandicci e un’importante esperienza in questo settore si sta sviluppando nella città di La Plata in Argentina. I bambini di La Spezia, fra le proposte di ristrutturazione di un parco pubblico, hanno proposto di collocarci un «ospedale per le biciclette», un piccolo laboratorio di pronto intervento per assicurare assistenza alle loro passeggiate e ai loro trasferimenti in bicicletta. Un esempio dei responsabili pubblici. Se veramente gli amministratori intendono privilegiare la mobilità a piedi e in bicicletta dovrebbero dare l’esempio, rinunciando per primi all’uso della macchina in città. Dovrebbero inoltre chiedere a tutti i dipendenti che non abbiano diverse esigenze di servizio di seguire questa indicazione. Dovrebbero infine dotare tutti i servizi per i quali questo mezzo sia compatibile, di biciclette comunali, riconoscibili, che diventino anche uno stimolo e un esempio per tutti i cittadini. Degno di nota il provvedimento con cui nei comuni di Ferrara e Pordenone il sindaco e gli assessori si sono dotati di «Bici blu». Un esempio da imitare. Se molti andranno a piedi o in bicicletta. Se aumenterà il numero delle persone che vanno a piedi o in bicicletta diminuirà il numero delle auto in città e sarà un bel guadagno. La città sarà più democratica, direbbe il piccolo consigliere spagnolo, certamente sarà più sana: sarà meno inquinata e permetterà a tutti i cittadini la necessaria attività fisica. Come si diceva per la mobilità pedonale, gli investimenti che questa politica richiederà saranno ampiamente compensati dal risparmio prodotto nella spesa pubblica e nelle famiglie. Lo stesso fabbisogno di mezzi pubblici po106 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 107 trà essere ridimensionato se la promozione di mobilità autonoma dei cittadini avrà buon esito. Il caso di Ferrara. Parlando di biciclette non si può non dedicare un capitolo a Ferrara, la città italiana dove la bicicletta è più diffusa e raggiunge le medie dell’Olanda e di Copenaghen. A Ferrara ci sono 100.000 biciclette su 130.000 abitanti, i ciclisti rappresentano l’89,5% della popolazione e gli utilizzatori abituali il 77,4%. Il 30,7% degli spostamenti urbani viene effettuato in bicicletta, il 14,5% con i mezzi pubblici e il 20,1% a piedi, per cui la quota di mobilità sostenibile è di 65,3%. Solo il 34,7% si muove in macchina o in moto. Naturalmente questi risultati sono frutto di una antica tradizione che lega tutta la regione a questo mezzo di trasporto, per poter resistere agli effetti dello strapotere dell’automobile, oltre che di una attenta e articolata politica della mobilità sostenibile attuata dall’amministrazione. Citiamo fra le tante alcune iniziative originali e spesso coraggiose. • Ufficio Biciclette. Presso l’Assessorato all’Ambiente esiste un Ufficio Biciclette per la promozione e la valorizzazione della bicicletta. • Biciplan. Insieme al Piano urbano del traffico viene approvato il Biciplan, un piano per la mobilità ciclabile della città. In base a questo piano la città storica viene considerata area di libera circolazione ciclistica; fuori della cinta muraria viene realizzata una circonvallazione ciclabile di 7,5 chilometri e per raggiungere il centro dai quartieri periferici sono state progettate sette piste ciclabili radiali di cui alcune già realizzate. • Carta della bicicletta. Il sindaco ha firmato pubblicamente la Carta della bicicletta che impegna l’amministrazione a favorirne l’uso e a rimuovere gli ostacoli che ne rallentano lo sviluppo. • Bici blu. Come già detto il sindaco e gli assessori sono dotati di «Bici blu» per limitare l’uso dell’auto e per dare un messaggioesempio ai cittadini. 107 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 108 • Tessera Bicicard. Consente ai turisti di lasciare l’auto in parcheggi esterni al centro storico, di prendere una bicicletta a noleggio e di entrare gratuitamente nei musei civici e di avere sconti negli hotel, ristoranti e negozi convenzionati. • Incentivazione all’uso della bicicletta. Molte sono le iniziative che l’Ufficio Biciclette, in collaborazione con associazioni e privati, ha attivato per favorire l’uso della bicicletta, come il servizio di Bicitaxi che permette il trasporto del ciclista e del suo mezzo se preferisce tornare in auto; le biciclette di cortesia fornite dagli alberghi e comprese nel prezzo della camera; le biciclette di servizio per i dipendenti comunali; la carta della rete ciclabile della città. • Segnaletica. A tutti i principali accessi della città è posto il cartello stradale con l’indicazione «Ferrara città delle biciclette». Nel 2000 il Ministero dell’Ambiente ha assegnato a Ferrara il primo premio per le città sostenibili per l’istituzione dell’Ufficio Biciclette. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 109 A scuola ci andiamo da soli «Così possiamo parlare fra di noi» (Fano) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 110 A ll’inizio degli anni Settanta, secondo alcune ricerche inglesi, circa l’80% dei bambini andava a scuola a piedi e senza essere accompagnato dai genitori. Come si è modificato oggi questo comportamento considerato allora normale e abituale? Una recente ricerca sul livello di autonomia di movimento dei bambini di scuola elementare (sei-undici anni) in Italia ha coinvolto un campione di più di milleduecento bambini in sei città, due del Nord, due del Centro e due del Sud del paese. Per lo studio si sono utilizzati questionari, somministrati ai bambini e ai loro genitori, che indagavano su quale fosse la modalità adottata per andare da casa a scuola e da scuola a casa e quali attività pomeridiane svolgessero i bambini senza accompagnamento degli adulti nel loro quartiere (andare in bicicletta, a fare compere, in parrocchia, a giocare con gli amici)1. Rispetto al percorso casa-scuola la ricerca rivela che complessivamente, secondo quanto dichiarano i bambini, va a scuola da solo il 16%, va a piedi accompagnato da un adulto il 17% e in macchina il 67%; secondo quanto dichiarano i genitori, va a scuola da solo il 12%, accompagnato a piedi il 18% e in macchina il 70%. Sono naturalmente forti le differenze legate all’età: l’autonomia aumenta costantemente passando dal 5% in prima elementare al 24% in quinta, mentre cala in maniera speculare l’accompagnamento di adulti a 1 La ricerca è stata condotta da F. Tonucci, A. Prisco, D. Renzi, A. Rissotto, dell’Istituto di Psicologia (ora Istituto di Scienze e tecnologie della cognizione) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). 110 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 111 piedi, ma rimane sostanzialmente invariato l’accompagnamento in automobile. Non si registrano differenze rilevanti fra maschi e femmine contrariamente alla prevedibile maggiore autonomia nei maschi, mentre sono significative le differenze legate al livello culturale dei genitori e alla zona di appartenenza geografica. Considerando il titolo di studio dei genitori, risulta che quelli con livello di studio più basso (fino alla licenza media) concedono una autonomia più alta ai propri figli rispetto ai genitori con livello di studio più alto (diploma superiore o laurea) e accompagnano meno in automobile. L’autonomia dei bambini passa dal 21% (genitori meno colti) al 10% (genitori più colti) e l’accompagnamento in automobile passa dal 62% al 71%. Considerando la zona di appartenenza geografica è emerso che da nord a sud cresce il numero di bambini che vanno a scuola da soli, passando dall’8% al Nord, al 12% al Centro, al 31% al Sud; diminuisce l’uso dell’auto dal 76% al Nord al 53% al Sud; resta sostanzialmente invariato l’accompagnamento a piedi. Da questi dati possiamo trarre alcune considerazioni. Pochissimi bambini possono vivere in modo autonomo anche il breve spostamento da casa a scuola. Questo comportamento, pochi anni fa considerato abituale, viene oggi considerato praticamente impossibile. Il livello di autonomia indicato dai genitori è sempre inferiore a quello dichiarato dai bambini. Non abbiamo una misura oggettiva e quindi non possiamo valutare quale delle due è più affidabile, possiamo però dedurre che i genitori pensano sia buona cosa che l’autonomia dei figli sia la più bassa possibile, mentre i bambini desiderano una autonomia maggiore di quella che riescono ad ottenere. Questo è dimostrato dalle differenze legate al livello culturale dei genitori e alla zona geografica di appartenenza, considerando che il Sud rispetto al Nord presenta un livello di sviluppo economico e sociale più basso. L’autonomia dei bambini paga il livello culturale e sociale delle loro famiglie: più i genitori sono preparati culturalmente e appartengono a contesti sociali sviluppati più i bambini perdono autonomia, esatta111 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 112 mente come sopra si notava che l’autonomia di movimento dei bambini si riduce proporzionalmente all’aumento di autonomia di movimento dei genitori. L’autonomia dei bambini è talmente ridotta che anche le tradizionali differenze fra maschi e femmine, che certamente non sono superate, si appiattiscono. Di fronte a questa situazione infantile, considerata normale e anzi auspicabile dagli adulti, i bambini di Fano, interrogati sul perché a loro piacesse tanto andare a scuola da soli, rispondono frequentemente: «Perché così possiamo parlare fra di noi». Una risposta semplice e insieme sconcertante. Significa che con tutto quello che i genitori fanno per i loro figli, con alti costi economici e personali, iscrivendoli ai tanti corsi, accompagnandoli a casa dei compagni e invitando altri bambini in casa, non riescono a dare loro la possibilità più elementare della socializzazione: che possano parlare fra loro. Significa che tutto quello che la città organizza per i piccoli, dallo sport alla ludoteca, dalle feste ai musei per bambini, non riesce a soddisfare il loro più elementare bisogno di comunicazione e di espressione, con buona pace degli articoli 12, 13, e 15 della Convenzione che assicurano i diritti di opinione, di espressione e di associazione. Per poter «parlare» fra loro i bambini hanno bisogno di autonomia, di riservatezza, di intimità. «Parlare» significa confidenza, scambio, gioco. A sostegno di quanto valga la pena riconoscere ai bambini alti livelli di autonomia e di quali importanti risultati questi possano ottenere, si tenga conto di due esperienze vissute in campo pediatrico. A Kamiyagi, in Giappone, nella sala d’aspetto del reparto di pediatria dell’ospedale municipale, c’è una scritta che dice: «Bambini, siete pregati di entrare da soli per la visita medica». Questa regola, che vale ormai da dieci anni, cerca di combattere la convinzione delle mamme giapponesi che il loro bambino non sappia spiegare le ragioni del suo malessere e vuole aiutare i bambini, fin dai primi anni, ad affrontare senza paura il medico e ad imparare a conoscere il proprio corpo. L’esperienza ha prodotto 112 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 113 ottimi risultati abbassando la paura dei bambini, rendendoli consapevoli e facendoli sentire indipendenti. A Monza, nella clinica pediatrica dell’ospedale San Gerardo, da anni i bambini affetti da leucemia, anche di pochi anni, vengono coinvolti direttamente nella terapia. Per iniziare, un medico particolarmente esperto in questo compito spiega loro di cosa soffrono, quali siano le possibilità di cura e di completa guarigione (oggi fortunatamente superiore al 70 %). Si informa il bambino sulle modalità della terapia, sui farmaci e sui periodi che dovrà passare in ospedale. È il bambino che comunica queste notizie ai genitori, creando fin dall’inizio una vera «alleanza terapeutica», che successivamente coinvolgerà la scuola, i compagni, oltre che tutto l’apparato ospedaliero. Molte ricerche hanno dimostrato che questa strategia porta a importanti risultati, aumenta le possibilità di successo e migliora sensibilmente la qualità di vita durante la dura esperienza sia per il bambino che per la sua famiglia. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Le città che riconoscono grave l’attuale condizione di dipendenza dei loro cittadini più piccoli dagli adulti, dovrebbero assumere la frase dei bambini di Fano in tutta la sua drammaticità e fare in modo che per tutti i bambini sia possibile vivere esperienze di autonomia in modo che possano «parlare fra loro». A cominciare dall’andare a scuola. A cominciare, perché naturalmente l’andare a scuola senza essere accompagnati dagli adulti deve essere solo l’inizio di un programma di restituzione della città ai bambini, in modo che possano poi andare da soli a fare la spesa, raggiungere i loro compagni e i luoghi di gioco, che possano esplorare e scoprire il loro territorio. Diceva giustamente Romano Prodi a Napoli nel 1997, aprendo il primo Forum internazionale delle città a misura dei bambini e delle bambine: «Non basta più offrire servizi ai bambini, dobbiamo restituire loro le città». L’andare a scuola senza essere accompagnati dai genitori può essere un buon modo per cominciare. Si tratta di un percorso bre113 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 114 ve, sempre uguale, prevedibile. Ma è ugualmente un’esperienza difficile, perché si tratta di aiutare le famiglie a superare la paura, a capire che i pericoli sono inferiori a quelli temuti; che con alcuni accorgimenti e alcuni interventi anche i pericoli reali possono attenuarsi e risultare compatibili con le capacità dei bambini; che la città è una risorsa e non un nemico. Occorre quindi programmare un intenso lavoro che coinvolga varie componenti sociali e che richiede da parte di tutti convinzione e impegno. Genitori coraggiosi. Pochi genitori, andando contro le abitudini consolidate e rischiando di sembrare imprudenti, permettono ai loro figli, di cui conoscono e riconoscono le competenze, di andare a scuola da soli. Altri genitori, la maggioranza degli stranieri poveri, per esempio, lo fanno per necessità. Altri ancora hanno solo bisogno di uno stimolo: sono convinti che per i loro bambini sarebbe bene avere più autonomia, ma poiché nessuno condivide questa opinione non si azzardano a concederla, anche se sono pronti ad aderire all’iniziativa. La maggior parte dei genitori ritiene che sarebbe giusto lasciare più liberi i figli, ma che le condizioni sociali e ambientali non lo permettono. Pochi sono irriducibilmente convinti che un buon genitore deve tenere sempre per mano il proprio figlio. Per questa ultima categoria si potrà contare principalmente sull’opera di convinzione della scuola, degli altri genitori e specialmente degli stessi bambini: quando i compagni avranno maggiore libertà, la pretenderanno anche loro. Per tutti gli altri la città può fare molto operando concretamente per dimostrare che è aperta e disponibile per i bambini. Valga per tutti la testimonianza di alcuni cittadini di Carpi, genitori di bambini portatori di handicap. Erano stati fra i più convinti sostenitori dell’iniziativa proposta dal comune, certi che se i loro figli fossero andati a scuola accompagnati dai loro compagni di scuola, quella sarebbe stata una grande esperienza di crescita. Dopo l’interruzione estiva sono stati proprio questi genitori ad andare per primi a chiedere presso il Laboratorio comunale «La città dei bambini» di riprendere rapidamente l’iniziativa. Bisognerebbe aiutare tutti i genitori a riconoscere che da 114 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 115 un punto di vista sociale tutti i bambini che vivono oggi in città sono portatori di un handicap grave: la mancanza di autonomia. Per tutti i bambini è infatti di grande importanza recuperare indipendenza perché questa rappresenta meglio di ogni protezione e di ogni costoso regalo l’affetto e la fiducia dei loro genitori. Una scuola per l’autonomia dei bambini. Per il successo di questa esperienza la scuola può fare molto e nelle città nelle quali si sta sperimentando abbiamo potuto constatare che un convinto e operativo sostegno della scuola è decisivo. Nelle scuole di Pesaro e di Gabicce impegnate nel progetto, si è svolto per alcuni mesi un intenso lavoro, nelle classi, di studio dei percorsi che i bambini avrebbero dovuto compiere per venire a scuola, di sopralluoghi per valutare collettivamente e con l’aiuto degli insegnanti e dei vigili urbani gli eventuali pericoli, di elaborazione di proposte da presentare al sindaco per migliorare la percorribilità e la sicurezza, di incontri con le famiglie per una valutazione comune dell’esperienza. Alla fine del lavoro preparatorio si è deciso di iniziare l’esperienza con una festa di tutto il quartiere, alla presenza del sindaco e degli assessori. Da questo momento e fino alla fine della scuola il numero dei bambini che andavano senza accompagnatori adulti a scuola è passato dall’11-15% iniziale a più del 50%. La scuola non ha fatto propaganda a una proposta esterna, ma ha responsabilmente e autonomamente assunto l’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli» come parte importante del suo Piano di offerta formativa (Pof), sviluppandolo come un buon programma di educazione ambientale e di educazione stradale. Ha anche valutato suo compito contribuire all’autonomia dei bambini, considerata come parte fondamentale dello sviluppo complessivo. Riportiamo alcune curiose osservazioni di un’insegnante di una terza elementare della scuola Rodari di Pesaro che partecipa all’iniziativa: – Jacopo allunga il suo percorso ogni giorno pur di incontrare gli amici. – Elisa ora va al centro estivo con l’autobus da sola attraversando tutta la città. 115 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 116 – Le sorelline vengono accompagnate in automobile e sono sempre in ritardo. – La mamma di Dario aveva giurato che mai lo avrebbe mandato da solo e ha cambiato idea. Jacopo, come il bambino di Prato di cui si è già parlato, amministra il suo percorso in modo che non sia solo un banale trasferimento, ma diventi un’esperienza di incontro e probabilmente di scambio e di gioco con i suoi compagni. I bambini accompagnati dai genitori, come confermano i dirigenti delle scuole coinvolte, arrivano di solito meno puntuali dei bambini che vengono da soli. È interessante notare come, da un lato i bambini si rendano attenti e responsabili ogni volta che vengono riconosciuti capaci e competenti e dall’altro come spesso gli adulti facciano pagare ai bambini la loro ansia, la loro fretta e la loro difficile organizzazione. Andando da soli i bambini sono più contenti, sperimentano le loro capacità e i loro genitori sono più liberi. Questi ultimi dovrebbero compiere però un percorso che a volte può sembrare doloroso, ma che permetterebbe loro di raggiungere un importante traguardo nel difficile compito di educare i propri figli. Una nuova educazione stradale. La tradizionale educazione stradale che le scuole propongono, spesso con il contributo delle amministrazioni comunali e dei vigili urbani, mira sostanzialmente a formare precocemente dei futuri automobilisti. La preoccupazione che l’alto numero di incidenti stradali, specialmente giovanili, produce, spinge la scuola all’operazione apparentemente più logica, ma di fatto più assurda: formare i bambini ad essere domani buoni automobilisti. L’assurdo di tale impostazione è che il vero responsabile di questa strage giovanile è il ruolo eccessivo che l’automobile ha acquistato nella mente del cittadino contemporaneo, la sua imposizione come simbolo di successo sociale, l’associazione della velocità alla virilità, dell’auto all’affettività e alla sessualità. La scuola e la società dovrebbero rompere questo assedio e costruire nei piccoli il desiderio di libertà e di tutela ambientale legati alla mobilità pedonale e all’uso della bicicletta. Una buona edu116 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 117 cazione stradale per bambini di sei anni dovrà essere quella di saper essere dei buoni pedoni e subito dopo dei buoni ciclisti. Di far capire che la macchina è uno strumento utile, ma solo in certe condizioni e con molte limitazioni. Non ha quindi senso dedicare ore scolastiche allo studio dei segnali stradali, delle norme del codice della strada e delle caratteristiche del motore. Meglio studiare con i bambini i percorsi che compiono ogni giorno per venire a scuola, valutarne insieme caratteristiche e problemi, effettuare sopralluoghi, anche con un vigile urbano, per verificare i punti di maggiore difficoltà, elaborare collettivamente delle proposte per la sicurezza da inviare all’amministrazione, essere consapevoli dei diritti dei pedoni e capaci di rivendicarli. Discutendo con i genitori, coinvolgendo i cittadini del quartiere e sensibilizzandoli con apposite iniziative, si potrà avviare l’esperienza di andare a scuola senza l’accompagnamento degli adulti. Nella città di Rosario da cinque anni il Laboratorio comunale «La ciudad de los niños» propone alle scuole un nuovo programma di educazione stradale chiamato «Cuidapapis», «Attento papà» animato da vigili urbani appositamente preparati. Lo strumento principale utilizzato dai bambini è la multa morale2. Nel 2000 aderivano all’iniziativa 50 scuole per un totale di più di 8.000 bambini. In una valutazione con i responsabili del Laboratorio, pur non avendo dati sugli effetti di tale campagna sugli incidenti e sui cattivi comportamenti degli automobilisti, si considerava che certamente questa esperienza aveva modificato il rapporto tra figli e genitori: quando i bambini sono in macchi2 La multa di Rosario riprende la proposta italiana di un foglietto, simile a quello usato dai vigili urbani, che rimprovera l’adulto («Lei è un maleducato per aver parcheggiato la macchina in luoghi riservati ai pedoni»). La multa viene utilizzata dai bambini che la firmano indicando la loro età e la loro scuola. Nella città argentina di Florencio Varela, nella quale si propone un’esperienza simile di educazione stradale, le multe hanno addirittura il titolo di «Multa de la vergüenza», «Multa della vergogna». 117 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 118 na con gli adulti diventano fortemente critici di fronte a comportamenti non rispettosi dei diritti dei bambini e dei pedoni in generale3. Anche questo, l’uso delle multe, è un modo per permettere ai bambini di dire «adesso basta!». Il Comitato dei bambini. In alcune scuole che stanno realizzando l’iniziativa si stanno sperimentando i Comitati dei bambini. Un gruppo di dieci bambini formato da due rappresentanti di ogni livello scolastico, dalla prima alla quinta, un maschio e una femmina. Il Comitato si riunisce periodicamente con un insegnante per valutare l’esperienza, per discutere sulle difficoltà e su come superarle. I bambini del Comitato hanno proposto un questionario per conoscere le opinioni dei compagni di classe sul gradimento e sulle difficoltà dell’andare a scuola da soli. Ogni mese, ciascuno nella propria classe, compilano un cartellone nel quale vengono registrate per una settimana le condizioni atmosferiche e le modalità di andare a scuola e di tornare a casa di ogni compagno. È una forma di partecipazione forte all’iniziativa con un’assunzione di responsabilità da parte dei bambini stessi. Un quartiere solidale. Il successo di questa iniziativa non sarebbe possibile senza il coinvolgimento concreto di tutto il quartiere perché sappia farsi carico della nuova presenza dei bambini nelle sue strade. Per questo vengono coinvolti oltre che i genitori, i commercianti, gli anziani, i vigili urbani e gli automobilisti perché, ciascuno con le proprie competenze e possibilità, contribuisca a ricostruire quel «vicinato» che una volta era la garanzia della vita sociale dei bambini e che oggi sembra perduto. In contro3 Simpatico l’aneddoto raccontato in quella sede. Un signore si è presentato in una scuola della città con la multa che aveva trovato sulla sua macchina e ha chiesto di poter entrare nella classe del bambino che l’aveva firmata. Entrato in classe e conosciuto il suo «vigile» ha spiegato che era venuto per chiedere scusa pubblicamente a tutti i bambini per il suo comportamento. Casi come questo non sono certamente comuni, spesso invece gli adulti si arrabbiano o gettano le multe seccati, ma pensiamo che sia frequente il caso in cui l’adulto si vergogni di essere stato rimproverato da un bambino. 118 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 119 tendenza rispetto alle attuali abitudini individualistiche si chiede di non essere genitore solo per il proprio figlio, nonno per il proprio nipote, negoziante per i propri clienti, vigile urbano per le auto in sosta vietata o automobilista per arrivare il più presto possibile, ma essere ciascuno concittadino di tutti i bambini della città. In alcune città si è chiesto ai commercianti di offrire le proprie risorse (il bagno, il telefono, la loro attenzione) ai bambini che si muovono da soli costituendo così dei punti sicuri di riferimento. I loro negozi recano sulle vetrine un adesivo dell’iniziativa, conosciuto dai bambini, che qualifica l’esercizio come «Amico dei bambini»4. Particolarmente significativa l’esperienza «Yo soy padrino, yo soy madrina», «Io sono padrino, io sono madrina» di Rosario, nella quale si invitano commercianti e cittadini a offrire solidarietà e aiuto ai bambini. L’impegno viene sottoscritto dal cittadino firmando un documento di fronte al sindaco. Gli esercizi commerciali coinvolti espongono sulla vetrina un adesivo dell’iniziativa e all’interno copia dell’impegno sottoscritto, che elenca le risorse che si mettono a disposizione dei bambini. Hanno aderito all’iniziativa varie centinaia di persone che periodicamente vengono convocate dal Laboratorio «La ciudad de los niños» per discutere e verificare l’impegno assunto. Il bambino per strada, un impegno per l’amministrazione, una ricchezza per la città. I bambini torneranno per strada se si sapranno avviare le iniziative sopra indicate, ma soprattutto se l’amministrazione vorrà e saprà scommettere su questa iniziativa. Il sindaco invita i bambini ad andare a scuola a piedi e senza essere accompagnati dai genitori perché pensa che sia un loro diritto e un loro importante bisogno di autonomia. Lo fa perché non ritiene accettabile che la città assuma la responsabilità di essere un ambiente ostile che impedisce ai bambini e a molti altri cittadini la soddi4 Esperienze di questo genere sono state promosse dai comuni di Arezzo, Carpi, Fano, Gabicce, Granollers, Pesaro, Pistoia, Rosario. 119 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 120 sfazione di un diritto come quello di muoversi nella propria città. Lo fa anche perché è convinto che la città ha bisogno di avere i bambini per strada. Se il sindaco e i suoi collaboratori sono convinti di questo, allora saranno attenti e preoccupati di rispondere operativamente alle richieste dei bambini per rendere più sicuri i loro spostamenti a piedi. I bambini chiedono che le macchine si fermino ai passaggi pedonali, che i marciapiedi siano la strada dei pedoni, che gli attraversamenti siano sicuri, che le strade siano belle, che la segnaletica sia efficace, che si possa usare la bicicletta. I bambini vanno ascoltati e le opere vanno realizzate nei tempi compatibili con le aspettative e con la capacità di attendere e di capire dei bambini. Se ci sono difficoltà o diverse valutazioni, spesso legittime, i bambini vanno informati e tenuti al corrente. Va evitata la tentazione di costruire percorsi protetti per raggiungere le scuole, qualcosa di simile a delle «bambinovie». In questo modo per i bambini potrebbe essere facile andare a scuola, ma sarebbe impossibile andare al giardino o a far compere nel pomeriggio. Potrebbe non cambiare niente nella sensibilità dei cittadini e per la moderazione del traffico5. Si utilizzerebbe una proposta efficace ed innovativa per un risultato minimale. L’obiettivo deve restare quello di restituire la città a tutti i cittadini, a partire dai bambini, nella convinzione che i bambini per strada faranno la strada più sicura e più bella. I bambini di Pesaro, fra le loro richieste al sindaco, alla fine del lungo lavoro preparatorio, scrivono: «Per ultima cosa Sindaco ti chiediamo di sistemare all’inizio e alla fine delle strade frequentate dagli alunni, grandi cartelli pubblicitari coloratissimi che portino la scritta a caratteri cubitali: ‘Lungo questa strada i bambini vanno a scuola a piedi e da soli’». Effettivamente in alcune città italiane i comuni hanno marcato con cartelli sperimentali gli accessi ai quartieri dove si svolge l’iniziativa in modo che gli automobilisti siano sensibiliz5 I bambini di Fano, nei progetti per garantire l’esperienza «A scuola ci andiamo da soli», per la grande sfiducia che avevano negli adulti proponevano che i loro percorsi fossero totalmente separati da quelli delle macchine, fino a chiedere che fossero chiusi e protetti in grandi tubi di plexiglas. 120 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 121 zati. È un modo originale che di fatto caratterizza un intero quartiere, un po’ come se fosse una «Zona 30», e lo rende favorevole alla pedonalità per tutti i cittadini. Un segno simpatico di diretto coinvolgimento dell’amministrazione e dell’impegno personale del sindaco è la cartolina inviata a tutte le famiglie di Gabicce a settembre del 2001, prima dell’inizio delle scuole e quindi della ripresa dell’esperienza. L’immagine riproduceva il disegno di un bambino e sul retro recava il testo: «I bambini della scuola elementare di Gabicce capoluogo vanno a scuola da soli. Invito tutti gli automobilisti a fare attenzione, a rispettare gli attraversamenti pedonali e a moderare la velocità!!! Il Sindaco». Le reazioni giuridiche. Questa proposta, che dovrebbe essere assolutamente normale per chi, oggi adulto, è sempre andato a scuola da solo, ha suscitato invece forti reazioni. Alle previste reazioni personali dei genitori, preoccupati per la pericolosità dell’iniziativa in una città insicura, si sono aggiunte reazioni istituzionali che hanno cercato di dimostrare che la legislazione vigente impedisce questa esperienza di autonomia per i bambini. Nel 1999 l’assessore all’Ecologia del comune di Udine, che promuoveva il progetto «A scuola ci andiamo da soli», di fronte alla resistenza di una direttrice didattica che riteneva di non poter lasciar tornare i bambini a casa da soli in base alla legislazione nazionale (Codice di diritto civile e Codice di diritto penale), ha scritto all’Ufficio del Tutore pubblico dei minori della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e ai Ministeri della Solidarietà sociale e della Pubblica istruzione per avere una loro opinione. Il Tutore pubblico dei minori, in un’ampia risposta contesta che si possa applicare a questo caso l’articolo 591 del Codice penale non potendosi riscontrare «la coscienza di abbandonare il soggetto passivo, che non ha la capacità di provvedere a se stesso, in una condizione di pericolo per la sua integrità fisica» come vuole la concorde giurisprudenza. Per questa ragione non può essere considerato reato il fatto che un genitore permetta al figlio minore di andare a scuola da solo o che vada da solo a giocare 121 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 122 con gli amici o al catechismo. Nello stesso modo non può essere considerato reato il fatto che l’insegnante lasci tornare da solo il bambino se i genitori sono consapevoli e consenzienti. Naturalmente l’esperienza proposta dalla città e assunta dalle famiglie e dalla scuola deve prevedere adeguate misure di prevenzione dal rischio che i bambini possono correre, così come dovrebbe avvenire per ogni azione proposta ad un minore6. Il Tutore conclude ricordando che «compito del genitore è quello di educare la prole in modo adeguato ‘alle capacità, all’inclinazione naturale e alle aspirazioni dei figli’ (art. 147 Codice civile) e non già esercitare su di essi un’azione di repressivo ed opprimente esercizio di potestà tale da pregiudicarne lo sviluppo stesso». Il Ministero della Solidarietà sociale pur riconoscendo di non avere competenza per esprimere un parere tecnico afferma che «un principio cardine della legge n. 285 del 1997 consiste nella necessità di promuovere l’integrazione degli interventi a favore dell’infanzia con il concorso di tutte le istituzioni operanti a livello locale». Ribadisce poi che «i bambini non possono e non debbono essere ostaggio di nessuno: non della famiglia, non della scuola o di chicchessia. I bambini vanno aiutati ad esprimersi, a occupare spazi e tempi della città e nella città perché questo significa essere cittadini». Il Ministero della Pubblica istruzione dichiara che «il progetto del comune di Udine, che si propone validi e significativi obiettivi, per essere attuato nelle scuole deve rientrare nel Piano di offerta formativa delle stesse. In tal caso non è assolutamente necessario richiedere la liberatoria firmata dai genitori (legge 312/80)». Nel dicembre 2000, senza tener conto dei documenti sopra citati, l’Avvocatura dello Stato di Bologna invia ai Provveditorati agli Studi della regione una nota, in risposta ai quesiti ricevuti da alcune direzioni didattiche, sull’obbligo di vigilanza sugli 6 Effettivamente se si dovesse applicare in questo modo la legislazione dovrebbero essere considerati in difetto i genitori che lasciano i loro figli da soli in casa dove sono possibili e frequenti gli incidenti domestici o quelli che lasciano troppo tempo i loro figli davanti al televisore provocando in loro danni sicuri. 122 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 123 alunni all’uscita da scuola al termine delle attività scolastiche. Il documento, dopo un’ampia analisi della legislazione vigente, giunge a una conclusione esattamente contraria a quella del Tutore pubblico dei minori della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e afferma che «i minori affidati alla scuola, al termine delle lezioni, possono essere consegnati solo ai genitori o a persona da loro delegata, purché maggiorenne». Questa nota ha creato naturalmente molte difficoltà nelle scuole della regione che intendevano avviare l’esperienza e merita alcune considerazioni, oltre a quelle chiaramente affermate nei documenti del Tutore dei minori di Udine e dei Ministeri della Pubblica istruzione e della Solidarietà sociale. Siccome la normativa si rifà ai Codici civile e penale e non a norme recenti, nessuno di noi sessantenni o dei nostri figli trentenni avrebbe potuto tornare da scuola da solo. Noi siamo invece tornati da scuola da soli fin dalla prima elementare e i nostri figli, trent’anni dopo, pure. Si tratta quindi di un’interpretazione della legge che solo negli ultimi anni è diventata così restrittiva. Se l’interpretazione è corretta, poiché la legge parla di «minori» si dovrebbe arrivare all’assurdo che fino ai diciassette anni tutti gli studenti dovrebbero essere consegnati, all’uscita della scuola, ai rispettivi genitori o a loro delegati «purché maggiorenni»! E se la legge è correttamente interpretata dall’Avvocatura dello Stato di Bologna nessun genitore potrebbe lasciare uscire di casa un figlio minore da solo senza incorrere nel reato di abbandono di minore. Come sarebbe possibile permettere per esempio a un quattordicenne di muoversi col motorino? Nel documento bolognese d’altra parte si dichiara come: «in certi contesti territoriali (piccoli centri urbani o in campagna) e sociali (familiari lavoratori) il fenomeno del rientro a casa ‘da soli’ degli alunni sia tanto diffuso quanto ineliminabile». Ma promuovere l’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli» significa mettere in moto una serie di iniziative che coinvolgono le diverse componenti sociali per modificare le condizioni ambientali in modo che i genitori possano accettare che i loro figli si muovano autonomamente. Si tratta di aprire un dibattito pubblico e ope123 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 124 rativo per mettere in discussione l’eccessiva protezione che limita un sano sviluppo dei nostri bambini. Si crea quindi un contesto territoriale nel quale la mobilità autonoma dei bambini sia di fatto naturale e «ineliminabile». Per chiudere, oltre all’importante citazione del Tutore dei minori di Udine, del Codice civile sui compiti educativi dei genitori, vale la pena ricordare che la Convenzione riconosce ai bambini il diritto di associazione, il diritto al gioco (difficilmente compatibili con la presenza di adulti) e all’articolo 23 recita: «Gli Stati parti riconoscono che i fanciulli mentalmente o fisicamente handicappati devono condurre una vita piena e decente, in condizioni che garantiscano la loro dignità, favoriscano la loro autonomia...». La legge italiana garantisce questo a tutti i bambini, anche a quelli portatori di handicap. Allora sarebbe giusto che i ministeri, le avvocature dello Stato, le amministrazioni locali, facessero quanto è in loro potere per garantire ai bambini il diritto di muoversi autonomamente nelle città, per assicurare che le leggi non siano in contrasto con le loro necessità e i loro diritti, anziché farsi complici dell’eccessiva dipendenza, che certamente ne pregiudica il corretto sviluppo. Se i bambini vanno a scuola da soli. Se tutti i bambini di una città dai sei anni in avanti, andranno a scuola a piedi o in bicicletta, senza essere accompagnati dai genitori questo sarà di grande beneficio per i bambini, per i genitori e per la città. I bambini, come già più volte ricordato, guadagneranno una piccola porzione di autonomia che tenderà ad allargarsi nelle esperienze pomeridiane e di fine settimana. Ma per ottenere questo i bambini dovranno partecipare a una vera e propria battaglia contro le resistenze e le paure dei loro genitori: insieme ai loro insegnanti, agli operatori del Laboratorio «La città dei bambini» dovranno dimostrare di avere capacità di autocontrollo e senso di responsabilità che spesso i grandi sottovalutano; sarà necessario trovarsi nuovi alleati nei commercianti, negli anziani e nei cittadini del quartiere; dovranno chiedere e ottenere interventi degli amministratori a garanzia della loro sicurezza; bisognerà vigilare 124 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 125 sui lavori promessi e pretenderne l’esecuzione. Vivranno insomma una complessa e ricca esperienza di partecipazione e di rivendicazione che li farà crescere come persone e come cittadini. I genitori avranno due grandi vantaggi: saranno più liberi perché non dovranno più farsi carico di essere i tassisti dei propri figli; ma avranno un beneficio molto più grande perché scopriranno che i loro bambini sono più capaci, competenti e responsabili di quanto pensassero e questo cambierà i rapporti e peserà positivamente nella loro relazione con i figli. La città dove i bambini andranno a scuola da soli sarà una città migliore per tutti. I suoi cittadini, preoccupandosi di garantire la sicurezza dei più piccoli, riscopriranno progressivamente il valore della solidarietà e della partecipazione. Tutto questo non è impossibile, in diverse città della rete si sta attuando l’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli»7 e in alcuni casi si sono ottenuti risultati interessanti. Nelle due scuole coinvolte a Pesaro e a Gabicce, come si diceva, si è partiti da una percentuale di bambini che andavano a scuola senza accompagnamento dei genitori, simile a quella nazionale, dell’11-15%. Dopo un adeguato periodo di preparazione programmato dal Laboratorio «La città dei bambini» e dagli insegnanti, avendo coinvolto le famiglie e sensibilizzato i quartieri, quando l’esperienza è andata a regime andavano a scuola senza l’accompagnamento dei genitori più del 50% degli alunni. Tenendo conto che la percentuale delle prime due classi era comunque molto bassa, per le tre classi finali si era vicini alla totalità dei bambini. Nel secondo anno di esperienza le percentuali di autonomia si sono tenute costanti nonostante il periodo invernale e si sta ora lavorando, nei Comitati dei bambini e negli incontri con i genitori per incrementare la partecipazione dei bambini delle prime classi. 7 Nell’Appendice 1 è riportata una scheda metodologica che descrive questa iniziativa. 125 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 126 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 127 Le città sono pezzi di mondo «I leoni di sasso ce li mettono per far divertire i bambini» (Reggio Emilia) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 128 I n questa prima parte i bambini hanno espresso le loro opinioni e avanzato le loro proposte su aspetti che li riguardano da vicino e rispetto ai quali hanno bisogni e aspettative generalmente disattese dai grandi. Erano argomenti come il gioco, l’autonomia, la mobilità, ai quali i bambini sono direttamente interessati e particolarmente competenti. Ma sono anche capaci di esprimere opinioni e avanzare proposte sui temi generali della città? Cos’è la città per i bambini? «Le città sono pezzi di mondo». «Quando cammini in città non vedi l’alto del cielo». «Le strade sembrano delle fessure come un corridoio in mezzo alle case e alle chiese. Se non ci fossero le strade sarebbe tutto pieno, che quando arrivi lì ci si può girare solo intorno». «Ci sono città dove uno si perde, sono fitte, ma non come il buio... Si capisce che sono fitte dalle tante case che ci sono». «La città parte da un posto che è il centro, come una piazza. Le strade partono dal centro e vanno in tutti i posti della città, in tutte le direzioni, così la gente può decidere dove andare». «Si capisce che sei in centro perché ci sono tante case, tanti negozi, tanta gente che prende della roba nei negozi... Poi escono, poi entrano da un’altra parte e poi vanno da un’altra parte ancora». «Quando arrivi in centro si capisce dalle case, perché sono molto diverse da quelle della città: sono tutte appiccicate. È tutto incatenato!». «Se uno apre una finestra vede l’altra casa: le hanno fatte vicine perché gli amici devono stare vicini». 128 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 129 «La piazza è per camminare, e poi serve anche per non mettere la chiesa per strada». «In piazza San Prospero puoi trovare i leoni, infatti si chiama anche piazza dei Leoni: sono leoni di sasso, sono leoni speciali! Sono fatti di pietra arancione e sono molto grossi perché hanno anche un posto da sedersi per i bimbi. Infatti ce li mettono per fare divertire i bimbi»1. Queste sono alcune frasi con le quali i bambini delle scuole dell’infanzia (tre-sei anni) di Reggio Emilia definiscono la loro città. Innanzi tutto per loro la città è un luogo bello, affascinante, ricco di risorse e di cose da scoprire. La città è un pezzo di mondo, o, se vogliamo, è l’ambiente che permette di conoscere il mondo. Questo, dicevamo all’inizio, è il senso del giocare dei bambini: allargare sempre di più lo spazio, il tempo, le conoscenze, le abilità, fino a conoscere il mondo e sentirsene parte2. La città è fatta per andare, per muoversi, per incontrarsi: «Le strade vanno in tutti i posti della città così la gente può decidere dove andare». Le persone «escono, poi entrano da un’altra parte e poi vanno da un’altra parte ancora». La città dei bambini è piena di gente fuori dalle case, per le strade, nei negozi. Perché la piazza è per camminare e non per parcheggiare le automobili. Le case «le hanno fatte vicine perché gli amici devono stare vicini». Difficile quindi spiegare ai bambini perché oggi il sogno degli adulti è chiudersi in villette circondate da giardino in modo da garantirsi una sufficiente lontananza dagli altri. I grandi oggi sognano case fatte per stare lontani. «Se uno apre una finestra vede l’altra casa», nei vicoli gli adulti passano molto tempo par- 1 M. Davoli, G. Ferri (a cura di), Reggio Tutta. Una guida dei bambini della città, Reggio Children, Reggio Emilia 2000, pp. 28-71. 2 Questo metodo naturale di conoscenza ambientale è molto lontano dalle ancora frequenti proposte scolastiche di studio, alle elementari o alle medie, di fenomeni complessi e lontani come il buco nell’ozono, l’effetto serra o la desertificazione della foresta amazzonica, che gli alunni possono solo imparare passivamente dai libri e ripetere acriticamente. 129 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 130 lando con i vicini, scambiandosi le cose su cestini che corrono sui fili per stendere i panni. Nella città, così come la vedono i bambini, «è tutto incatenato». Difficile immaginare una definizione più bella dell’ecosistema urbano, dove ogni parte ha bisogno delle altre, dove si ha bisogno di uscire, dove nessuna parte è autosufficiente. Quanto è lontana questa città da quella che stanno realizzando gli adulti, cercando ogni volta che è possibile di creare ambienti autosufficienti, nei quali sia possibile vivere senza aver bisogno di uscire. Così si progettano i centri commerciali, gli ospedali, i posti di lavoro. Così si stanno trasformando le case stesse: piccole città private, che hanno tutto dentro, dai cibi al cinema, dalla posta (Internet) ai giocattoli; dove si può restare molto a lungo senza aver bisogno di uscire. In questa città «tutta attaccata» e funzionale, preoccupata delle esigenze di tutti e specialmente dei bambini, gli stessi leoni stilofori di marmo rosso di Verona, di piazza San Prospero, secondo i bambini, non hanno il basamento per appoggiare le colonne sul dorso, ma «un posto da sedersi per i bimbi»: i grandi li mettono nelle piazze «per fare divertire i bimbi». Dal 1993 al 1998 il Laboratorio «La città dei bambini» di Fano ha proposto ogni anno a tutti i bambini italiani di ripensare e progettare alcune parti della loro città. Il primo anno si proponeva di progettare le piazze e i monumenti3. In questa occasione un 3 L’iniziativa si chiamava «Io e la mia città» ed era trasmessa alle scuole dal Ministero della Pubblica istruzione. I temi affrontati nel corso dei sei anni sono stati: 1993-94 Le piazze e i monumenti; 1994-95 Fuori il verde; 1995-96 Le strade e le macchine, a scuola ci andiamo da soli; 1996-97 Io rifiuto i rifiuti, tu ricicli, lui riusa, noi cerchiamo di consumare meno; 1997-98 La scuola come la vorrei; 1998-99 Dove e come giocare in città. Nel 2000, in un convegno internazionale organizzato nell’ambito del progetto europeo «Life Ambiente: La città dei bambini», sono stati presentati i risultati di questi sei anni di Progettazione partecipata ai bambini. Hanno preso parte all’iniziativa centinaia di scuole italiane, che ogni anno portavano a Fano i loro progetti che venivano esposti in una mostra e presentati direttamente dai bambini in un convegno da loro diretto e interpretato. 130 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 131 bambino di Fano disse che «I monumenti servono per meravigliare la gente». Anche in questo caso una definizione interessante, che conferma le idee espresse dai piccoli compagni di Reggio Emilia. La città si preoccupa dei cittadini e anche dei visitatori, li vuole mettere a proprio agio, li vuole divertire e stupire. Difficile non essere d’accordo con questo piccolo progettista pensando ai centri storici delle nostre città italiane, nei quali ogni angolo nasconde una novità: un portale, una prospettiva, una facciata, un monumento, un piazzetta, un portico. Danno proprio l’idea che chi progettava pensava alla sorpresa che il suo intervento avrebbe prodotto sul visitatore. Difficile ritrovare questo spirito e questi effetti nelle nostre periferie! Uno dei gruppi di bambini progettisti di una scuola dell’infanzia di Fano presentò in quell’anno il progetto di un monumento dedicato alla famiglia che si sarebbe dovuto collocare in una spiaggia sassosa. Il monumento rappresentava una madre, un bambino e un padre realizzati da una serie di grandi sassi di fiume adagiati sui piccoli sassi della spiaggia. Si trattava quindi di un monumento disteso e sul quale i bambini avrebbero potuto salire per i loro giochi. Un’idea originale, di facile realizzazione e di basso costo, che purtroppo non è ancora stata realizzata. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Si potrebbe semplicemente fare tutto quello che è possibile fare perché le città siano quello che i bambini si aspettano, desiderano, chiedono, perché i loro desideri rappresentano anche i «desideri» della città. Fare quello che i bambini chiedono significa sostanzialmente difendere l’essere città delle città, conservare la loro natura, la loro vocazione ad essere luoghi di incontro e di scambio per tutti i cittadini. Dare la loro forma ai desideri. Dichiara il grande architetto Giovanni Michelucci in una intervista: «C’è una cosa vera, verissima: la città è nata dal ragazzo. Io, nella città mia, di Pistoia, ricordo 131 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 132 quando ci si rincorreva nella piazza del Duomo, quando si usciva dalla scuola e ci picchiavamo, ci tiravamo dietro le cartelle. Io, quei momenti, li ho scritti ancora dentro, quei momenti fecero nascere in me, senza esserne ancora cosciente, il senso della città: i ragazzi che si rincorrono, che si picchiano, che si tirano le cartelle e che da questo contatto con gli spazi della città cominciano a gustarne il senso. Ma, contemporaneamente, il senso della città sta in quel pozzo che è in mezzo alla piazza, in quei gradini, in quella chiesa, in quel palazzo, in quel sedile del giudice che sta dietro la balaustra. Oggetti che hanno, ognuno, un significato che può comunicare agli uomini e ai ragazzi uno stato d’animo che può essere di paura o di felicità. Quei vecchi oggetti comunicano ancora; non come le nostre moderne periferie che, quasi sempre, non comunicano più»4. Lo stesso concetto, mi sembra, esprime molto bene Italo Calvino: «Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città. Ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati»5. La città può essere il luogo dove i desideri possono trovare forma, dove le persone si possono incontrare, dove possono passare e perdere il loro tempo, ritrovare i luoghi del passato, preparare il futuro. Dove i bambini possono crescere, scoprendo cose nuove, spiando gli adulti, ammirando i monumenti. Possono invece accettare di essere corrotte e cancellate dai desideri più bassi dei suoi abitanti, in genere dai più potenti e prepotenti, dalle loro speculazioni, dai loro egoismi, dalle loro automobili. Allora le città cancellano i desideri dell’anziano che vuole passeggiare, del bambino che vuol giocare, del giovane che vuol trovare riservatezza e intimità. 4 G. Michelucci, Introduzione a G. Gualdrini, Appunti per una urbanistica raccontata ai ragazzi, La nuova età, Faenza 1990, p. 13. 5 I. Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 1998, pp. 34-35. 132 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 133 Se è possibile aprire in Giunta e in Consiglio comunale un dibattito su questi concetti, su queste proposte dei bambini di Reggio, di quelli di Fano, di Calvino, di Michelucci, per capire come ogni città può cercare di rispondere a questa sua originaria vocazione di luogo di benessere, di solidarietà, di desideri realizzabili, è già un buon risultato. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 134 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 135 Un marciapiede per la famiglia «Su un marciapiede ci deve poter passare una famiglia» (Corigliano Calabro) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 136 N elle città moderne e specialmente nelle periferie i marciapiedi si sono progressivamente ristretti per lasciare più spazio alle carreggiate. A volte permettono il passaggio di una persona per volta costringendo a procedere in fila indiana e a scendere in strada se si incontrano altri pedoni. Spesso sono utilizzati dai commercianti per esporre le merci, per appoggiare materiali, per mettere tavolini e sedie. Sempre ospitano cartelli stradali, cabine telefoniche, cestini per rifiuti, che sulla strada disturberebbero le macchine. Quasi sempre la manutenzione dei marciapiedi è peggiore di quella delle carreggiate. Questo lento e inesorabile degrado delle «strade dei pedoni» avviene senza grandi proteste perché i pedoni o salgono anch’essi in auto o restano a casa, comunque non protestano o non lo fanno a sufficienza. Per questo la richiesta della bambina di Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza, suona strana, originale, quasi provocatoria. Lei non dice, come spesso e giustamente i bambini dicono, «lasciate liberi i marciapiedi»1, ma chiede che il marciapiede abbia sempre una dimensione tale da permettere a una famiglia intera di passare. La richiesta non è quindi legata semplicemente al problema della mobilità, ma a quello del passeggio. Le strade, che oggi sono vissute principalmente come arterie del traffico, dovrebbero essere 1 Nei primi anni di adesione al progetto «La città dei bambini» il sindaco di San Giorgio a Cremano (Napoli) fece un’ordinanza per proibire ai commercianti di occupare i marciapiedi, avendo aderito all’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli». 136 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 137 invece il luogo del passeggio, perché le persone possano uscire, poi entrare da un’altra parte e poi andare da un’altra parte ancora, come diceva il bambino di Reggio Emilia. Per passeggiare non si può andare in fila indiana, non si può scendere ogni volta che si incrociano altri passanti. Sarebbe come costruire una strada per le auto a doppio senso ma con una sola corsia, con piccoli slarghi per permettere il passaggio di chi viene in senso contrario. Sarebbe interessante osservare le reazioni degli automobilisti se si sperimentasse una tale soluzione per creare un ampio marciapiede con spazi dove le persone possano sedersi e i bambini giocare! Diceva un bambino di Fano: «Noi siamo contenti di andare a scuola a piedi, però le strade debbono essere belle». Che strano, un bambino rivendica l’estetica della città. Ma la richiesta è assolutamente pertinente e comprensibile: è bello andare a piedi in luoghi belli, se c’è qualcosa da vedere, se non ci si annoia. Non è un caso che si va a passeggiare in centro e a nessuno viene in mente di passeggiare nelle strade dei quartieri periferici. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Anche in questo caso i bambini fanno proposte concrete, ragionevoli, possibili, se si accetta di rivedere il rapporto di potere fra le automobili e i pedoni. I bambini sono degli ottimi consulenti sulle caratteristiche e sulle funzioni dei marciapiedi, perché sono le strade dei bambini, i luoghi pubblici per loro più importanti e che rendono pubblici e fruibili anche gli altri spazi, come i giardini e le piazze. «Perché i bambini sanno le cose importanti per vivere bene», diceva un piccolo consigliere di Roma e «I bambini sono più preparati sui quartieri», aggiungeva un suo collega. Si è parlato a lungo dei percorsi pedonali e si sono avanzate varie proposte operative. Per i casi in cui il marciapiede è troppo stretto e la dimensione della strada non permette il loro allargamento, specialmente nei centri storici, si potrebbero eliminare i marciapiedi e creare delle strade residenziali. 137 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 138 Le strade belle. Assumere il compito di far diventare belle le strade potrebbe essere un buon programma per il recupero delle città e specialmente delle periferie. Un marciapiede ampio rende migliore la strada. Il marciapiede potrebbe allargarsi in alcuni punti e ospitare panchine o semplici attrezzature di gioco. Ma la strada è bella se è vissuta ed è vissuta se offre attività, commercio, curiosità. Una strada senza negozi, laboratori artigiani e locali pubblici, è vuota, è priva di vita e non si presta al passeggio. Diventa fatalmente inospitale e pericolosa. Va quindi valutata con grande senso critico la nascita di centri commerciali che privano le strade dei piccoli esercizi per spostarli nelle cittadelle del commercio, spesso fuori città e comunque in luoghi chiusi, separati dalla città. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 139 Tante piazze «Non importa se le piazze sono piccole, basta che siano tante» (Rosario) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 140 I n un testo di 2.500 anni fa leggiamo: «Gerusalemme sarà chiamata Città della fedeltà [...]. Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il suo bastone in mano per la loro longevità. Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle che giocheranno nelle sue piazze»1. Racconta Michelucci: «Io amo Piazza della Signoria a Firenze perché non è il frutto di un’idea astratta. Non è una teoria urbanistica o architettonica quella che mi affascina. È un’altra cosa. Un uomo, ad un certo momento, scopre come si vive in Piazza della Signoria, il perché quella piazza è viva. Si vive sedendosi sugli scalini, si vive passeggiando fra le statue che sono sparse nella piazza, si vive sostando a ridosso di un muro, contemplando gli edifici, toccando i materiali, le pietre di cui è fatta la piazza, si vive discorrendo con gli altri uomini. Così la città diventa un ‘organismo vivente’. Anche le piazze possono parlare!»2. Renzo Piano in un’intervista di qualche anno fa diceva che gli architetti e gli urbanisti contemporanei sono indegni dei loro predecessori e per spiegare il motivo di tale indegnità parlava delle periferie delle nostre città storiche e della mancanza di piazze. A Rosario, durante una riunione del Consiglio dei bambini dedicata agli spazi dove i bambini possono giocare, uno dei consiglieri si è lamentato del fatto che le piazze fossero piccole. Un 1 Zac. 8, 3-4. G. Michelucci, Introduzione a G. Gualdrini, Appunti per una urbanistica raccontata ai ragazzi, La nuova età, Faenza 1990, p. 12. 2 140 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 141 suo compagno è intervenuto dicendo: «Non importa se le piazze sono piccole, basta che siano tante». Sempre in Argentina, una bambina di una scuola infantile di Mar del Plata alla domanda dell’insegnante su cosa desiderava per il suo quartiere ha detto: «Io vorrei due piazze vicino a casa». Alla mia domanda incuriosita: «Perché due?», lei ha risposto: «Perché una può rovinarsi». La bambina abitava in un quartiere periferico della città nel quale la maggior parte delle strade e delle piazze non sono asfaltate o, se lo sono, sono così rovinate che transitare è un problema. Una preoccupazione degli urbanisti è quella di offrire la maggiore quantità possibile di verde pubblico per abitante. Di solito questo si ottiene riservando ampie aree a parchi pubblici o a servizi sportivi. Spesso queste aree sono ai margini della città o dei quartieri di nuova urbanizzazione. Questi interventi, pur sensibili alle preoccupazioni ambientali, non sono risposte adeguate alle aspettative dei bambini, che chiedono spazi vicini, raggiungibili a piedi, da soli, senza che i genitori abbiano paura. A queste esigenze gli urbanisti debbono dare risposta. E a ben vedere le richieste dei bambini corrispondono anche alle esigenze inespresse della città. Le periferie sono inospitali proprio perché mancano di piazze, di giardini, di strade adatte al passeggio, di negozi. Sono costruite per le macchine e per persone di passaggio perché sono pensate per un adulto che parte al mattino per andare al lavoro e torna la sera, dimenticando che quell’adulto ha dei figli, dei parenti anziani, che in quel quartiere vivono, risiedono e hanno diritto di vivere bene. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? I bambini, attraverso le loro osservazioni, sembrano suggerire due proposte urbanistiche: non solo verde e vicino. Non solo verde. Capita spesso di ascoltare genitori che si lamentano della mancanza di spazi verdi attrezzati dove portare i bam141 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 142 bini a giocare. In questa protesta ci sono almeno tre tradimenti rispetto alle esigenze dei bambini: gli spazi possono anche non essere verdi; meglio se non sono attrezzati; i bambini non vorrebbero essere accompagnati. Ai bambini piace giocare nel verde, nel prato, sotto e sopra gli alberi, dietro i cespugli, ma si può giocare anche sul marciapiede, nel cortile condominiale, nella piazza e nella stessa strada. Anzi, alcuni giochi si possono fare solo sul terreno pavimentato così come altri si possono fare solo sul prato, altri sulla terra battuta. Il fatto è che se si accetta che i bambini possano giocare in tutti gli spazi pubblici questo limita la libertà totale che oggi si sono conquistati gli adulti, che usano gli spazi pubblici per i loro esclusivi interessi. Sapere che per i bambini c’è uno spazio apposito libera immediatamente tutti gli altri spazi dalla loro imbarazzante presenza. Rinunciare a spazi dedicati costringe alla condivisione. Per rispondere a questa esigenza dei bambini gli urbanisti dovrebbero quindi fare in modo che ad ogni abitante toccasse un congruo spazio pubblico formato sia da spazi verdi sia da spazi pavimentati come piazze, slarghi e marciapiedi. Le città, e specialmente le periferie, dovranno progressivamente abbandonare l’immagine di luoghi progettati per muoversi facilmente in auto, per parcheggiarla, rifornirla e aggiustarla, come se la macchina fosse l’unico abitante o il più importante. Le strade possono restringersi o assumere un andamento meno rettilineo, per far posto a piazzole di sosta con piante e panchine, a luoghi di gioco. Le piazze possono tornare ad ospitare fontane, arredi, monumenti, perché siano belle e piacevolmente utilizzabili. I giardini possono diventare luoghi dove persone diverse, in orari diversi, abbiano modo di svolgere varie attività e non luoghi dove quasi tutto è proibito, tranne sedersi e passeggiare e anche questo nei luoghi a questo dedicati (non si può passeggiare o sedersi nel prato). La periferia diventerà città se saprà rispondere alle diverse esigenze di tutti i suoi abitanti e per essere sicuri di non dimenticare nessuno occorre tener conto delle esigenze dei più piccoli. 142 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 143 Spazi vicini. Avere un congruo spazio pro capite non basta. Questi spazi sono buoni per i bambini se sono vicini a casa e se è possibile arrivarci da soli a piedi. Un ulteriore criterio urbanistico dovrebbe essere quindi che tutti i cittadini avessero sufficienti spazi pubblici, verdi e non, vicino alle loro abitazioni. Il grande parco rappresenta certamente una buona riserva di ossigeno, ma soddisfa l’esigenza di autonomia e di gioco solamente dei bambini che vivono lungo il suo perimetro, e forse neppure per loro, perché la sua grandezza di solito induce i genitori a ritenerlo pericoloso. La proposta del piccolo consigliere di Rosario è chiara e concreta: si facciano molte piazze, anche se piccole, l’importante è che siano vicine a dove abitiamo, che possiamo andarci da soli, che i genitori non abbiano paura. Costruire spazi pubblici vicini e raggiungibili significa affrontare in modo nuovo i temi della mobilità. Il giardino e la piazza che si trovano di fronte alla casa di un bambino diventano lontani se sono separati da una strada di grande traffico. Per renderli vicini il progettista deve assicurare un attraversamento sicuro, rallentando il traffico, restringendo la strada, rialzando l’attraversamento pedonale. Le piazze e i giardini, le scuole e i luoghi della spesa, le parrocchie e i centri sportivi, dovranno essere «avvicinati» alle abitazioni con interventi di garanzia della mobilità dei pedoni e dei ciclisti. La città piccola. Probabilmente, per ottenere questi risultati bisognerebbe progettare la città al rovescio. Oggi la progettazione urbanistica inizia con le tavole a scala 1:10.000; la città vista dall’alto, da lontano, e a quella distanza si prendono le decisioni più importanti: dove deve passare la tangenziale, dove sviluppare nuove urbanizzazioni, dove prevedere un parco, dove il centro commerciale, il campus scolastico, il centro sportivo. Da lassù non si vede chi abita nel punto in cui passerà la tangenziale o dove si creerà il centro sportivo, non si vede dove vivono i bambini. Quando poi la progettazione arriva più vicina alla gente e si adottano scale 1:500, che permettono di vedere le case, le strade e i marciapiedi, le decisioni importanti sono già state prese. Ovviamente non si può rinunciare a una progettazione complessiva, ma 143 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 144 si dovrebbe tener conto che quella città grande che si va a progettare da così lontano è una città che solo una minoranza di cittadini utilizzerà. Pochi hanno bisogno di attraversare la grande città e questi pochi chiedono di poterlo fare velocemente e per loro si progetta la tangenziale. La maggioranza dei cittadini vive nella piccola città che è il loro quartiere. Ci vivono i bambini che vorrebbero poter andare a scuola e a giocare senza scomodare i genitori; ci vivono gli anziani che vorrebbero poter passeggiare, arrivare alla Posta o all’edicola senza pericoli e leggere il giornale in un giardino o poter giocare a carte con gli amici. Ci vivono i portatori di handicap per i quali oggi è quasi impossibile uscire di casa e che vorrebbero invece essere riconosciuti come cittadini che godono il diritto di percorrere la loro città. Ci vivono molte casalinghe che non usano la macchina e vorrebbero fare la spesa senza faticosi e pericolosi percorsi e incontrarsi con le amiche nei momenti liberi. Ci vivono le mamme giovani che vorrebbero portare fuori i loro bambini senza compiere percorsi di guerra, gimcane fra le macchine e senza far loro respirare gas tossici. Ci vivono e ci restano i poveri, gli stranieri, i malati. E anche quella minoranza forte, che tanto ha pesato per il degrado della città, che nel quartiere non vive, ma ritorna alla fine della giornata di lavoro, avrebbe piacere di poter uscire un po’ con i figli, la moglie o il marito, incontrare gli amici. Allora la progettazione dovrebbe avere due direzioni, dal lontano al vicino e dal vicino al lontano. Per tutti coloro che trascorrono quasi tutto il tempo nella città piccola, nel loro quartiere, andrebbero previste delle garanzie irrinunciabili, anche nella progettazione da lontano. Per esempio l’integrità dei quartieri stessi (eventuali percorsi veloci dovranno passare ai loro confini e non attraversarli, anche se questo modifica i tracciati ottimali), la continuità dei percorsi pedonali, la presenza di spazi pubblici verdi e di piazze. È opinione comune che una politica a favore dei bambini e di una migliore qualità di vita sia possibile solo nelle città di provincia e che ormai questa speranza sia persa nelle grandi città, nelle metropoli. È evidente che la piccola città ha tradito meno le sue caratteristiche originali e più facilmente può recuperare 144 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 145 una qualità complessiva. Ma occorre considerare che la grande città è sempre formata di tante piccole città che a volte conservano le caratteristiche del paese o possono recuperarle con una politica sociale e urbanistica adeguata. La piccola città è il quartiere e se la politica amministrativa parte dal quartiere, se lo difende, se ne tutela le caratteristiche e ne garantisce l’identità e una sufficiente autonomia, il processo di recupero, anche delle zone più degradate, può avere speranze di successo. Ridare vivibilità ai quartieri, ridare loro una piazza, un mercato, la possibilità di muoversi facilmente a piedi e in bicicletta, liberarli da un traffico automobilistico aggressivo e invasivo potrà essere il percorso utile per ricostruire un vero tessuto urbano. Ma questo processo non potrà essere definito e deciso interamente dai lontani palazzi della politica cittadina, sennò ci si allontana di nuovo, si adotta di nuovo una scala inadeguata, una scala 1:10.000 di tipo politico e sociale. Occorre coinvolgere i cittadini, coinvolgerli nelle decisioni e nei progetti. Progettare con i bambini e con le loro famiglie è una buona pratica per riformare e risanare le città. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 146 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 147 Se costruite noi non giochiamo «Quando si costruisce su uno spazio verde o libero si diminuisce lo spazio di gioco dei bambini» (Fano) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 148 «Q uando si costruisce su uno spazio verde o libero si diminuisce lo spazio di gioco dei bambini». Questa protesta è stata presentata dal Consiglio dei bambini di Fano nel 1997 al Consiglio comunale annuale aperto ai bambini. Era il frutto di una discussione che i bambini hanno tenuto su come difendere i loro spazi di gioco. Nel corso del dibattito uno di loro aveva detto: «Dove fanno una strada noi non possiamo più giocare. Se non ci ridanno un posto allora noi giochiamo per la strada». Nella loro intenzione il comune avrebbe dovuto adottare, nel nuovo Prg in preparazione, il principio di non costruire più all’interno della città e che gli spazi vuoti ancora esistenti, pubblici o privati, diventassero spazi pubblici. Dietro la proposta c’era quasi la rivendicazione di un diritto acquisito: i bambini di città usano e fanno propri i pochi spazi disponibili. Se fra le costruzioni rimane uno spazio vuoto certamente diventerà un luogo privilegiato di incontro e di gioco. Ma se in quello spazio si costruisce scompaiono queste possibilità di gioco e spesso la stessa possibilità di giocare fuori casa. Per questo il piccolo consigliere diventa ricattatorio: «O ci danno un altro posto per giocare o noi giochiamo per la strada». Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Le proposte dei bambini sono paradossali solo se si considera che i loro diritti sono un lusso che molto spesso non ci si può per148 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 149 mettere. Sembra irrealistico e sproporzionato mettere il gioco dei bambini di fronte alla necessità di costruire altre case, di costruire altre strade, di realizzare altri guadagni. Eppure la Convenzione è chiara e non l’hanno certo scritta o voluta i bambini. Se invece i diritti dei bambini vengono considerati come obblighi irrinunciabili, allora anche questa proposta diventa possibile, interessante e forse necessaria. Fermare i lavori. Quando a Fano si discuteva sulla possibilità di rendere Casa Archilei un centro di educazione ambientale1, di trasformare quindi l’area da edificabile a verde pubblico, l’opposizione accusò la Giunta di rinunciare a un significativo guadagno economico e propose di vendere l’area come edificabile e di destinare all’uso educativo un’altra area, anche più grande, ma fuori città e quindi di minore valore economico. Ma i bambini dicono «Se voi costruite noi perdiamo i nostri posti», perché quell’area era vicina alle loro case e l’altra invece sarebbe raggiungibile solo se accompagnati dai genitori. In quella occasione l’amministrazione, con coraggio e rinunciando a un cospicuo beneficio economico, ha saputo restare dalla parte dei bambini. Oggi la città possiede un importante centro di educazione ambientale, che arricchisce le sue risorse educative e la sua estetica. Aver salvato quell’orto permette agli allievi di tante classi di conoscere i diversi aspetti della vita agricola e naturale della regione. È anche un «monumento storico» che permetterà alle future generazioni di conoscere come la coltivazione degli orti, insieme alla pesca, abbia rappresentato nel passato uno dei capisaldi dell’economia della città. Questo atteggiamento di difesa degli spazi ancora liberi all’interno delle città, di rinuncia a nuove costruzioni abitative, se non assolutamente necessarie per un aumento della popolazione e solo dopo aver verificato l’utilizzo di tutte le risorse abitative già 1 Casa Archilei era un orto di proprietà del comune, di un ettaro, con la casa colonica e la capanna, ormai circondato dalla città, considerato nel Prg area destinata ad edilizia civile. 149 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 150 presenti2, dovrebbe diventare una scelta programmatica che guidi la stesura dei nuovi Prg e i loro aggiornamenti. Sennò giochiamo per la strada. La frase del bambino suona come una minaccia, come un ricatto. La si potrebbe invece prendere come una promessa e accettarla. Accettare di discutere nelle sedi politiche e tecniche competenti come le strade, o almeno la maggior parte delle strade, per esempio tutte quelle interne ai quartieri, possano essere vissute come reali spazi pubblici e quindi condivisi. In queste strade i pedoni potranno transitare senza pericoli e attraversare senza vincoli3, i bambini giocare, le biciclette muoversi liberamente. Dovrebbe far riflettere che negli anni Settanta, in alcuni quartieri di New York, delle strade venivano chiuse al traffico alternativamente, una per ogni giorno della settimana, per permettere ai bambini di giocare. 2 Sembra che oggi in Italia ci siano 2.500.000 case inutilizzate, la maggior parte delle grandi città perde abitanti, e tuttavia ovunque si destinano aree a nuovi insediamenti. Invece di procedere alla piena utilizzazione degli immobili sfitti, specie nei centri storici, si preferisce costruire nuove abitazioni allargando la città e invadendo la campagna circostante. Una scelta che favorisce la speculazione edilizia e non impegna invece ditte e proprietari nel lavoro culturalmente e socialmente più interessante del riuso e del restauro. 3 Il codice della strada italiano è fra i meno rispettosi dei diritti dei pedoni e impone loro di attraversare solo sulle strisce pedonali a meno che fra un passaggio e l’altro intercorrano più di 100 metri. Negli altri paesi la distanza è molto minore e in alcuni, in Olanda per esempio, i pedoni hanno il diritto di attraversare dovunque mantenendo il diritto di precedenza. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 151 Le case sono vicine perché gli amici devono stare vicini «La casa deve essere trasparente, così guardo fuori» (Correggio) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 152 A Fano si è costituito un gruppo di lavoro formato da bambini e ragazzi, coordinato da un architetto, per lavorare in parallelo con l’Ufficio Piano che stava preparando il nuovo Prg. Discutendo su come avrebbero dovuto essere le case perché i bambini potessero viverci bene, i bambini hanno detto: «Le case non dovrebbero essere né grandi condomìni, né villette». E hanno spiegato che nel grande condominio, con tante scale e tanti appartamenti, si vive chiusi in casa, non si frequentano e spesso non si conoscono i vicini, si ha paura degli altri. I bambini vivono molte ore da soli in casa, gli spazi condominiali, dalle scale al cortile, sono proibiti al gioco e spesso trasformati in parcheggi. La villetta invece comprende tutto: ha il giardino intorno, in alcuni casi anche la piscina, per cui non c’è bisogno di uscire, al massimo si possono invitare dentro gli amici, in modo che i genitori possano vigilare. I bambini non possono uscire, vivere l’avventura, scoprire nuovi posti e nuovi amici. La casa che propongono i piccoli consulenti del Prg è un condominio con pochi appartamenti, dove sia facile conoscersi, trovarsi, aiutarsi; dove sia naturale uscire e dove sia possibile un controllo sociale da parte di tutti i vicini di casa. È evidente il contrasto fra queste indicazioni e le attuali tendenze nelle costruzioni abitative. Da un lato gli adulti considerano la villa come il modulo abitativo ottimale, il sogno di una vita, l’obiettivo da raggiungere a costo di tanti sacrifici. Dall’altro le 152 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 153 periferie delle città mostrano blocchi di decine e decine di appartamenti, nei quali l’alta densità abitativa rende frequenti e quasi prevedibili i conflitti per qualsiasi motivo legati alla condivisione dello spazio: dai panni stesi al chiasso dei bambini, dall’acqua che gocciola al piano di sotto dopo aver annaffiato i fiori, all’occupazione di spazio nel cortile. Nella scuola dell’infanzia di Correggio i bambini, con la partecipazione di alcuni architetti, hanno disegnato e discusso su come dovrebbe essere una casa perché vi si possa vivere bene. Un bambino ha detto: «La casa deve essere trasparente, così guardo fuori»1. Al di là dell’immagine poetica si può intuire una protesta contro la casa-fortezza dove i nostri bambini sono costretti a vivere, contro la paura degli altri, contro la difesa della privacy e invece l’affermazione del desiderio di aprirsi all’esterno. Probabilmente vuol anche dire che la casa non dovrebbe essere troppo lontana dalle altre case, dalla terra, perché sia possibile vedere fuori, andare fuori, farsi vedere da fuori: che se uno apre la finestra vede l’altra casa, «perché gli amici devono stare vicini», come diceva il bambino di Reggio Emilia. Diceva il Piccolo Principe: «Se voi dite ai grandi: ‘Ho visto una bella casa in mattoni rosa, con dei gerani alle finestre, e dei colombi sul tetto’, loro non arrivano a immaginarsela. Bisogna dire: ‘Ho visto una casa di centomila lire’, e allora esclamano: ‘Com’è bella’»2. I politici, gli amministratori, gli urbanisti e gli architetti, quando hanno progettato le periferie delle città, con i grandi blocchi di appartamenti, o quando hanno posto degli appartamenti a decine e decine di metri dal suolo o hanno favorito il sorgere delle «villettopoli», hanno tenuto poco presenti i bisogni dei bambini, degli anziani, dei disabili. Hanno tenuto in poco conto la bellezza delle case, i gerani alle finestre e i colombi sul tetto e si sono preoccupati solo delle centomila lire, della ric1 L. Malavasi, L. Pantaleoni (a cura di), Quando le idee dei bambini trovano casa. Manifesto delle esigenze abitative dei bambini, Comune di Correggio 1999. 2 A. de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, Bompiani, Milano 1997, p. 23. 153 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 154 chezza che la speculazione metteva a loro disposizione, o del prestigio che l’arditezza di certi progetti poteva portare loro. Sennò come potrebbe venire in mente a persone ragionevoli di costruire case di più di cento piani e chiedere a bambini e anziani di abitare a duecento o trecento metri lontani dalla terra, dai giardini, oppure a migliaia di persone di passare in uffici aerei il loro tempo lavorativo? Scriveva Leon Battista Alberti, il grande architetto del Rinascimento: «La città è una grande casa e la casa è una piccola città»3. Se pensiamo a come la casa abbia modificato le sue caratteristiche e le sue funzioni in questi ultimi decenni coerentemente al trasformarsi delle città possiamo riconoscere un profondo valore attuale a questa frase scritta più di mezzo millennio fa. Nella città delle persone, del passeggio, dell’incontro, dello scambio, la casa era il luogo degli affetti, dell’intimità, dei bisogni primari. La casa era un luogo semplice, frugale, dove si passava un tempo limitato dedicato al riposo, ai pasti, ai compiti, alle cure familiari, all’amore. Poi si usciva per la spesa, per il lavoro, per il gioco, per parlare con i vicini: non si vedeva l’ora di uscire di casa. Si passava molto tempo nella città. La città era la casa grande, dove si passava il tempo dell’ozio, dello sport, del passeggio, del gioco, dell’associazione, degli amici. Oggi la città è traffico, rumore, pericolo e non si vede l’ora di tornare a casa. La casa è rifugio e tranquillità. È effettivamente diventata la piccola città, ma solo perché la città vera è scomparsa, è morta. In casa ci siamo barricati, ci siamo difesi dalla città esterna con sistemi di allarme, con porte blindate e l’abbiamo dotata di tutte quelle risorse che una volta trovavamo nella grande città. Abbiamo riserve di cibo per alcuni mesi, i film preferiti in video cassette, la musica in Cd, una libreria, la televisione. Anche i bambini possono passare interi pomeriggi da soli grazie a tutti i giochi più o meno elettronici che hanno a disposizione. Il telegiornale ci permette di evitare di andare in edicola, il telefono di andare alla 3 Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, Firenze 1485. 154 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 155 Posta. Presto Internet ci permetterà di «incontrare» gli amici o i colleghi o i clienti senza uscire di casa4. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Forse si dovrebbero ripensare criticamente i modelli e i moduli abitativi, evitando che le ragioni principali che li regolano siano quelle economiche e speculative o la possibilità per il progettista di comparire su una rivista specializzata. I disagi prodotti da un’innaturale ed eccessiva concentrazione di persone o da un altrettanto innaturale isolamento provocano alla città enormi danni sociali ed economici. Case per le persone. Bisognerebbe che gli amministratori e i progettisti elaborassero criteri per la progettazione delle case assumendo come prioritari i bisogni di chi dovrà abitarle: che ci si possa nascere e crescere nei primi anni, che ci si possa vivere anche se non si hanno tutte le capacità integre, che ci si possa invecchiare senza restarci reclusi. Un bambino che nasce al decimo piano quando potrà uscire e scendere anche solo nel cortile condominiale senza essere accompagnato? Gli è impedito l’uso dell’ascensore fino ai dodici anni. Potrebbe scendere a piedi, ma come farà a risalire e a ritrovare il suo appartamento se tutti i pianerottoli sono uguali e se sono così tanti? 4 Questo atteggiamento esasperatamente difensivo mi fa ricordare una strana serata passata cenando con alcuni docenti della Università di Neuchâtel, in Svizzera verso la metà degli anni Ottanta. Durante tutta la cena i miei ospiti parlarono solo di rifugi antiatomici, dei loro rifugi antiatomici: delle leggi che li rendevano obbligatori, delle caratteristiche costruttive, dei problemi di manutenzione e di approvvigionamento di cibo, di energia, ecc., di come risolvere il problema di chi il rifugio non lo aveva. Alla fine della cena si rivolsero a me per sapere come si stava affrontando quel problema in Italia. Io, che avevo seguito con grande stupore e con un certo disagio quella lunga discussione, confessai che era la prima volta che sentivo parlare concretamente di quel problema, che in Italia, per quanto potevo saperne, nessuno si preoccupava di avere il suo rifugio e comunque, secondo me, chi si costruiva un rifugio antiatomico era una persona che ormai aveva perso ogni speranza nella pace. 155 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 156 Può un anziano vivere serenamente tanto lontano dalla terra, dalla strada, dai luoghi che ha frequentato per tutta la vita e che rappresentano la sua sicurezza, la sua confidenza con l’ambiente di vita? Quando nel dopoguerra nacque il grande piano Ina-Casa per la costruzione dal 1949 al 1963 di più di trecentomila appartamenti, pur essendo forti le preoccupazioni della costruzione in economia, si coinvolsero i migliori architetti italiani, si tennero presenti le esperienze inglesi delle città-giardino e le greenbelt’s americane: ci si preoccupò che i quartieri avessero una bassa densità di abitanti, molta vegetazione, sole, luce e visuali libere, composizioni mosse, articolate e accoglienti. Ogni quartiere doveva avere un centro principale, piazze e luoghi di ritrovo, centri sociali, aree per le scuole e per il gioco. I materiali, gli arredi e i colori si dovevano adattare alle caratteristiche del luogo5. Ancora oggi quei quartieri mostrano una sensibilità urbanistica e un rispetto del cittadino e delle idee espresse dai bambini, che la successiva speculazione edilizia ha completamente tradito. 5 P. Di Biagi, La grande ricostruzione. Il piano Ina-Casa e l’Italia degli anni ’50, Donzelli, Roma 2001. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 157 Ci sono anche i bambini «Proponiamo il nome di un bambino o di una bambina per una strada o una piazza» (Reus) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 158 U n cartello stradale, posto in prossimità delle scuole, rappresenta due bambini che vanno a scuola. È un cartello triangolare e quindi un segnale di pericolo e significa: «Pericolo bambini»; non per avvertire i bambini del pericolo di incontrare automobili, ma gli automobilisti del pericolo di incontrare bambini. Nelle nostre città il bambino è considerato un pericolo. È così raro da essere segnalato da appositi cartelli, in modo simile a come sono segnalati la possibilità di attraversamento di animali selvatici o il pericolo di caduta di pietre. Un bambino di Granollers diceva: «Se molti andassero in bicicletta non ci sarebbe bisogno delle piste ciclabili», allo stesso modo se fosse consueto per i bambini muoversi sempre a piedi e circolare per la città non ci sarebbe più bisogno di segnalarli. Del «pericolo bambino» parla con efficacia Galeano: «La vecchiaia è un fallimento, l’infanzia è un pericolo. Ogni bambino ha in sé potenzialmente la forza del Niño e bisogna prevenire la devastazione che può provocare»1. I bambini sentono l’ambiguità del rapporto che gli adulti hanno con loro, e oscillano fra il ricatto e l’affetto. Usano il ricatto per tutto quello che crea loro problema: all’inizio il cibo e la cacca, più tardi la richiesta di una sempre maggiore autonomia. Usa1 E. Galeano, A testa in giù. La scuola del mondo alla rovescia, Sperling & Kupfer, Milano 1999, p. 16. Lo scrittore gioca sul doppio senso della parola «niño» che in spagnolo significa bambino, ma è anche il nome del fenomeno climatico che negli ultimi anni ha provocato ingenti danni in tutto il mondo. 158 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 159 no l’affetto per accettare gli errori e le goffaggini di questi grandi che sembra non siano mai stati bambini. Ma è il sentirsi non riconosciuti e messi da parte che li ferisce di più. Vorrebbero essere presi in considerazione, contare. I bambini di Reus, in Catalogna, hanno avanzato questa proposta: «Proponiamo il nome di un bambino o di una bambina per una strada o una piazza». Se anche i bambini sono cittadini, chi percorre la città dovrebbe rendersene conto. La proposta del bambino è meno ovvia di quel che appare: i nomi delle strade e delle piazze di una città sono un sintomo della cultura più che della storia della città e specialmente di chi l’ha governata: sono frequenti i nomi di uomini legati a grandi eventi, i nomi di battaglie o di guerre; sono rari i nomi di donne, eccezionali quelli di bambini. Il Consiglio dei bambini di Fano ha proposto: «Cartelli per segnalare le strisce pedonali e le scuole disegnati dai bambini». È vero che i cartelli stradali debbono rispondere a criteri di convenzionalità e immediatezza che spesso non corrispondono alle forme espressive infantili. Ma all’interno della città piccola si potrebbero sperimentare anche forme diverse e più significative di segnalazione. Cartelli sperimentali di questo genere potrebbero aumentare la sensibilità dei cittadini nei confronti dell’infanzia e favorire il rispetto delle loro esigenze. Da alcuni anni, in diversi comuni italiani, come già indicato, si stanno sperimentando forme nuove di segnalazione per le iniziative del progetto «La città dei bambini» e specialmente «A scuola ci andiamo da soli», chiamando a volte i bambini stessi alla progettazione dei nuovi cartelli. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? I bambini chiedono di esserci, di contare, di essere visibili. La proposta che nasce da undici anni di esperienze del progetto «La città dei bambini» è di accettare questa provocazione dei bambini, di farli diventare alleati privilegiati per il cambiamento. Il munici159 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 160 pio di Reus ha approvato la richiesta dei bambini e ha deliberato la creazione di una piazza che si chiama in catalano «Plaça dels xiquets i les xiquetes», «Piazza dei bambini e delle bambine». Un Laboratorio «La città dei bambini». La città che raccoglie questa sfida e aderisce al progetto deve dotarsi di strumenti adeguati per svilupparlo. Il Laboratorio è il primo di questi strumenti, è un gruppo, un luogo, una scelta politica. È un gruppo di operatori che si dedicano alla programmazione del progetto, alle esigenze e alle caratteristiche della città, che organizzano e seguono le iniziative, che sanno lavorare con i bambini dando loro la parola e difendendo le loro idee e le loro proposte. Gli operatori che si dedicano esclusivamente al Laboratorio sono a volte (nelle situazioni migliori) affiancati da un gruppo operativo nel quale sono rappresentati i vari assessorati e settori dell’amministrazione. Gli operatori assumono, su richiesta del sindaco, l’impegno di stimolare lui stesso e la Giunta al rispetto della nuova filosofia di governo della città che il progetto «La città dei bambini» prevede e di mantenere gli impegni assunti con i bambini. È quindi la struttura che rende operativa la scelta di assumere il bambino come parametro di valutazione, di progettazione e di cambiamento della città. È un luogo dove lavorano gli operatori, dove si incontrano i bambini per il loro Consiglio o per realizzare specifici interventi (documenti, progetti) e dove si incontrano gli adulti che nella città, a diverso titolo, si occupano di infanzia. La sede che il comune destinerà al Laboratorio indicherà anche la considerazione in cui la città tiene questo progetto. È significativo che sia destinata ai bambini una sede bella e importante. La partecipazione dei bambini. Per una corretta attuazione del progetto i bambini debbono assumere un ruolo protagonista, con adeguati spazi di partecipazione e di espressione e con la consapevolezza che gli adulti sono interessati al loro contributo e disponibili a tenerne conto. Con questo spirito nascono le esperienze del Consiglio dei bambini e della Progettazione partecipata. 160 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 161 Evitando ogni imitazione delle strutture adulte e delle loro liturgie (campagna elettorale, elezioni, nomina del sindaco, votazioni, maggioranze e opposizioni2) il Consiglio dei bambini è un gruppo di bambini che dà consigli agli adulti, che offre agli amministratori il punto di vista infantile. Viene eletto nelle scuole della città per sorteggio, viene coordinato da un adulto operatore del Laboratorio, si riunisce periodicamente per discutere di tutti i problemi che i bambini sentono irrisolti o mal risolti nella città. Si parte dall’opinione di ciascuno per costruire insieme pensieri collettivi, condivisi. «Si discute per mescolare le idee» dice con efficacia un consigliere del Consiglio dei bambini di Piombino. È meglio se è composto da bambini piccoli, di scuola elementare, perché più diversi dagli adulti e per questo più utili per recuperare gli aspetti che gli adulti trascurano. Almeno una volta all’anno si incontra con il Consiglio comunale per comunicare il frutto del suo lavoro e per presentare proposte e richieste. La Progettazione partecipata ai bambini è un’esperienza simile a quella del Consiglio, ma più direttamente finalizzata a un risultato e limitata nel tempo. Nasce da una precisa richiesta degli amministratori che chiedono ai bambini di elaborare un progetto per modificare uno spazio, per ripensare un servizio, per risolvere un problema, promettendone la realizzazione3. I bambini lavora2 È strano che si propongano ai bambini, per la loro formazione, delle procedure e delle esperienze che tante perplessità e scontento suscitano negli stessi adulti. 3 Quando si parla di Progettazione partecipata ai bambini ci si riferisce di solito alla ristrutturazione di spazi e al contributo di architetti e urbanisti. Per mostrare come il campo di intervento possa essere più ampio valgano due esempi. Del primo si è parlato nel capitolo Giocare gratis: i bambini, su richiesta del Consiglio comunale, hanno elaborato una proposta per modificare a loro favore il servizio fornito dalle società sportive. La loro proposta è stata accettata e attuata. Un secondo esempio ci viene da San Giorgio a Cremano dove i bambini sono stati chiamati a progettare gli arredi della Villa Falanga, nuova sede del Laboratorio regionale «Città dei bambini e delle bambine». I bambini hanno disegnato, discusso e scelto le forme originali e i materiali di costruzione dei tavoli, delle sedie, dei divani, delle librerie. I progetti sono stati presentati e discussi con una ditta milanese che li ha realizzati. Oggi la sede del Laboratorio è arredata con «sedie-polipo», «sedie-nuvola», «tavoli-mate- 161 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 162 no, oltre che con un educatore, con un adulto esperto, per esempio un architetto, se si tratta di spazi urbani, e, dopo aver esaminato tutti gli aspetti del problema da risolvere, elaborano un progetto che spesso si presenta alle autorità sotto forma di plastico. Il lavoro dura alcuni mesi e può svolgersi all’interno della scuola come attività curricolare o in orario extrascolastico nei locali del Laboratorio4. Nei due esempi di partecipazione citati l’adulto accoglie le indicazioni dei bambini e ne tiene conto sia per modificare i suoi comportamenti che per intervenire sulle strutture della città. Questo atteggiamento accogliente costruisce nei bambini un senso di fiducia in loro stessi e nel rapporto con gli adulti che potrà produrre importanti risultati per gli uni, per gli altri e per la città. Segnaletica sperimentale. Una forma particolare di Progettazione partecipata è quella di chiedere ai bambini di studiare modi nuovi per comunicare agli adulti i loro bisogni e i loro diritti attraverso lo studio di segnali stradali sperimentali. In alcune città che hanno proposto l’esperienza «A scuola ci andiamo da soli» è stata adottata una segnaletica sperimentale posta a tutti gli ingressi dei quartieri interessati. I cartelli, in questo caso preparati dagli adulti, avvisano gli automobilisti che in quei quartieri i bambini vanno a scuola da soli. In altre città, per esempio a Cremona, si è lanciato un concorso fra i bambini delle scuole elementari e si è scelto un cartello che diventerà il cartello ufficiale per segnalare le zone coinvolte nell’iniziativa5. rasso», realizzati secondo le indicazioni dei bambini, con forme strane, materiali insoliti e funzioni variabili. I «tavoli-materasso», per esempio, possono essere uniti fra loro a formare un grande tavolo, e, se si svitano le gambe e si rovesciano, diventano materassini soffici e musicali. 4 Per una più ampia illustrazione delle due proposte si vedano le rispettive schede inserite nella Appendice 1. 5 A Pesaro e Gabicce il Laboratorio ha commissionato alla scuola media di Gabicce la realizzazione del logo e del cartello stradale per l’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli». 162 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 163 A Fano si è realizzata una nuova segnaletica turistica per l’indicazione e l’illustrazione dei monumenti della città e invece di collocarla su aste la si è fissata al suolo, ad altezza di bambino (ma anche dei portatori di handicap). Adottare l’altezza dei bambini non riduce la piena fruibilità da parte degli adulti, mentre le segnaletiche tradizionali escludevano tutti quelli che avevano una statura minore. Di nuovo il bambino rappresenta bene le esigenze di tutti. Le modifiche allo Statuto. Dopo alcuni anni di attività del Laboratorio il Consiglio comunale di Fano decise di accogliere la novità del diverso ruolo che si riconosceva ai bambini nello stesso Statuto del comune, rendendola così stabile e formale. In particolare allo Statuto sono state apportate le seguenti integrazioni: Articolo 7 bis: «Il Consiglio comunale si riunisce almeno una volta all’anno congiuntamente al Consiglio dei bambini che opera all’interno del Laboratorio ‘La città dei bambini’ su richiesta dei bambini stessi oppure su richiesta di quest’ultimo». Articolo 54 bis: «Viene riconosciuto il Consiglio dei bambini operante all’interno del Laboratorio ‘La città dei bambini’ al fine di garantire agli adulti della città e in particolare ai suoi amministratori, il punto di vista infantile sui vari problemi della vita cittadina. Il Consiglio dei bambini opera con proprio regolamento redatto dai bambini stessi. Il Consiglio dei bambini ha carattere esclusivamente propositivo; il Consiglio e la Giunta comunale si impegnano a tener conto delle proposte del Consiglio dei bambini». In ogni città lo Statuto potrebbe definire precisi compiti, diritti e ruoli riconosciuti e affidati ai bambini. I bambini votano. Nel primo libro sul progetto6 un capitolo era dedicato all’ipotesi di riconoscere ai bambini il diritto di voto come forma reale di accoglienza del loro ruolo sociale. La proposta, 6 F. Tonucci, La città dei bambini, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 106. 163 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 164 spesso interpretata dai lettori come provocatoria, certamente più di quanto intendesse l’autore, è stata raccolta a Buenos Aires il 26 ottobre del 1997 in occasione delle elezioni politiche nazionali e amministrative nella città di Buenos Aires con l’iniziativa «Todos votan, yo tambien», «Tutti votano e anche io». Nello stesso giorno delle elezioni degli adulti e nelle stesse sedi di voto, all’ingresso degli 813 seggi, erano state collocate delle apposite urne per bambini e ragazzi dagli otto ai diciassette anni. Nelle scuole della città erano state distribuite delle schede che contenevano tre domande: «Quale di questi diritti è il meno rispettato nella nostra città?»; «Dove ti sembra che si rispettino meno i tuoi diritti?»; «Come ti piacerebbe far conoscere la tua opinione e le tue proposte a chi governa e fa le leggi nella città di Buenos Aires?». A ciascuna di queste domande bambini e ragazzi potevano rispondere scegliendo una delle risposte date. Dovevano poi portare la scheda compilata nelle urne dei seggi. La novità dell’iniziativa faceva prevedere agli organizzatori una partecipazione che poteva oscillare fra i 5.000 e i 15.000 partecipanti; votarono invece in 153.971 sui 373.713 aventi diritto; una percentuale pari al 41,2%. Gli adolescenti e i giovani, come era prevedibile, risposero meno all’invito (dai 13 ai 17 anni il 28% dei votanti) mentre quelli della scuola dell’obbligo parteciparono massicciamente, con una percentuale del 72% dei votanti. Le risposte ai tre quesiti posti descrivono una società fortemente preoccupata della difesa dei diritti più elementari e fondamentali. Rispetto alla prima domanda, come diritti meno rispettati nella città di Buenos Aires, vengono indicati: il diritto all’alimentazione, alle cure mediche e all’alloggio (27%), il non soffrire discriminazioni (20,5%), dare pareri ed essere ascoltati (15,3%), non essere sfruttati (11,5%). Rispetto alla seconda domanda si indicano come luoghi in cui si rispettano meno i diritti il commissariato di polizia (28,2%), il quartiere e la strada (17,9%). Rispetto alla terza domanda il mezzo preferito per far conoscere la propria opinione è stato considerato il Consiglio dei bambini nei quartieri (46,1%). Purtroppo fino ad oggi l’amministrazione non ha saputo dare attuazione a quest’ultima richiesta, 164 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 165 anche se nel 2001 la nuova amministrazione ha deciso di riprendere il progetto «La città dei bambini» e di avviare le prime sperimentazioni di Consigli di quartiere. È un’esperienza che non risponde all’invito «provocatorio», ma che rappresenta un’interessante proposta di partecipazione e di consultazione infantile. Una proposta che potrebbe essere ripresa nelle città, unendo forme di consultazione dei bambini alle elezioni amministrative. Naturalmente, come sempre si è detto e come l’esperienza argentina dimostra, occorre essere poi capaci di dar seguito alle proposte che in questo modo i bambini esprimono, anche perché si tratta di una consultazione generale, che rappresenta un forte vincolo per l’amministrazione che la promuove. La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. Nelle pagine precedenti sono stati citati alcuni articoli della Convenzione, ma ogni volta che rileggo questo importante documento ho il forte sospetto che chi lo ha approvato e trasformato in legge nazionale, nella quasi totalità degli Stati del mondo7, non lo abbia veramente capito. Perché, se il significato delle affermazioni e delle promesse che questo atto solenne contiene è quello che a me sembra, tutta la nostra vita di adulti e l’organizzazione delle città dovrebbero cambiare completamente. E ogni volta mi domando: «E adesso chi ha il coraggio di dirlo ai bambini? Di spiegare loro che hanno la possibilità di costringerci a così profondi e traumatici cambiamenti?». Ogni anno, il 20 novembre, in molte città viene distribuita a tutti i bambini una copia del testo della Convenzione e non succede nulla. D’altra parte non è facile per un bambino comprendere cosa nascondono articoli che iniziano quasi sempre con «Gli Stati parti della presente Convenzione devono...». L’espressione «Stati parti» immagino debba risultare ambigua e misteriosa per un bambino, evocando reminiscenze 7 La Convenzione è di gran lunga il documento internazionale più sottoscritto, essendo stato adottato da tutti gli Stati tranne: Stati Uniti d’America, Svizzera, Emirati Arabi, Isole di Cook, Oman e Somalia. 165 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 166 storiche di popoli antichi o confuse nozioni di educazione sessuale legate alla nascita o di organizzazione dello Stato (federalismo, regionalismo, ecc.)8. La Convenzione descrive molti diritti fondamentali che si dovrebbero rispettare in tutto il mondo e specialmente a difesa dei bambini più sfortunati, come il diritto alla vita, a non subire violenza, a non essere impegnati nelle guerre, a non essere venduti o separati dalla famiglia, a non essere sfruttati in alcun modo. Mi limito invece ad illustrare alcuni diritti quotidiani, quelli che interessano anche i nostri figli e nipoti, bambini fortunati dei paesi ricchi e sviluppati del Primo Mondo, per valutare quali coerenti conseguenze dovrebbero trarne bambini, adulti e governanti. Articolo 12: «Il bambino ha diritto di esprimere la sua opinione e di essere ascoltato ogni volta che si prendono decisioni che lo riguardano». Questo vuol dire che quando gli adulti prendono una decisione che riguarda anche i bambini debbono chiedere il loro parere. Dopo aver ascoltato il parere dei bambini gli adulti debbono tenerne conto. Per esempio riguardano i bambini tutte le decisioni che si prendono in famiglia, come la separazione e il divorzio, la decisione di avere o non avere altri bambini, la rinuncia volontaria a una seconda o terza gravidanza, il cambiamento di professione, il cambiamento di domicilio, la modifica dei mobili in casa o l’acquisto di una nuova auto. In questi casi i genitori chiedono il parere dei figli? Ne tengono conto? Tutte le decisioni che prendono le assemblee di condominio, di mettere le macchine nei cortili, di stabilire gli orari di gioco o i posti dove non si può giocare, interessano i bambini. L’assemblea condominiale chiede il parere dei piccoli condòmini? Ne tiene conto? Tutte le decisioni che si prendono a scuola, come l’orario delle lezioni, la quantità dei compiti per casa, il peso degli zaini, l’or8 Una versione riscritta in forma semplificata per i bambini è riportata nella Appendice 2 di questo libro. 166 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 167 ganizzazione dell’intervallo, i problemi legati alla disciplina, all’interesse, al piacere o alla stanchezza di imparare, interessano i bambini. Gli organi collegiali o direttivi della scuola chiedono il parere degli alunni? Ne tengono conto? Tutte le decisioni che si prendono in una città, come la creazione di nuovi quartieri, l’apertura di una tangenziale, la costruzione su un’area libera utilizzata per giocare, l’allargamento o il restringimento di una strada, la chiusura di una zona al traffico, il trasferimento di un mercato, interessano anche i bambini. Gli amministratori chiedono il parere dei piccoli cittadini? Ne tengono conto? Allora si presenta un nuovo problema: come si fa a sapere come la pensano i bambini? A quali bambini bisogna chiederlo? Chi è capace di parlare con i bambini? Articolo 13: «Il bambino ha il diritto di poter dire quello che pensa, con i mezzi espressivi che preferisce: l’esercizio di questo diritto può essere regolamentato unicamente per il rispetto dei diritti di reputazione altrui; per la salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della salute o della moralità pubblica». Gli estensori della Convenzione pensavano che i bambini potessero avere un potere così grande da creare problemi per la sicurezza nazionale. Ma quando possono esercitare questo diritto? Con quali strumenti? Con i giornali? Con la radio? Con la televisione? Quando gli adulti che hanno il potere hanno paura dell’opinione di chi non la pensa come loro, tolgono proprio le libertà di opinione e di espressione. Che sia successo questo anche con i bambini? Si potrà obiettare che la Convenzione vale per i minori e cioè per i cittadini da zero a diciotto anni e che negli ultimi anni di questa fascia di età i giovani possono effettivamente prendere iniziative anche socialmente pericolose, ma il testo non distingue e dobbiamo riferirlo a tutti i potenziali destinatari, almeno a tutti quelli che hanno gli strumenti e le possibilità di esercitare questi diritti. Difficilmente si potrà sostenere che un bambino di cinque, otto o dodici anni non sia in grado di esprimere quello che pensa. 167 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 168 Questo libro cerca di dimostrarlo. Hanno i bambini di queste età la possibilità di godere di questi diritti? Articolo 15: «Il bambino ha diritto alla libertà di associazione e di riunirsi pacificamente». Questo sembra proprio comico. Si afferma che i bambini hanno il diritto di darsi degli appuntamenti, di incontrarsi fra loro e di organizzarsi liberamente in gruppi e associazioni. Ma come è possibile questo se i bambini non possono neppure uscire da soli di casa? Sembra serio dichiarare che hanno diritto di associazione se per incontrarsi debbono essere accompagnati da un adulto? Se l’Avvocatura dello Stato dice che non possono uscire di scuola da soli anche se i genitori sono consenzienti? Si può immaginare una associazione di bambini accompagnati dai genitori? Nella stessa scuola, che è un ambiente solo per bambini, è previsto che gli alunni possano riunirsi liberamente in orario scolastico per prendere delle decisioni e farle conoscere ai direttori e agli insegnanti? Articolo 23: «Il bambino mentalmente o fisicamente handicappato ha il diritto di condurre una vita piena e decente, in condizioni che garantiscano la sua dignità e favoriscano la sua autonomia [...] e deve poter partecipare alle attività ricreative». La Convenzione ci sorprende ancora e si spinge ancora più avanti: il diritto all’autonomia deve essere garantito non solo a tutti i bambini, ma anche a quelli mentalmente o fisicamente handicappati. I bambini con handicap debbono potersi muovere da soli in città (questo vuol dire autonomia) e debbono poter partecipare alle attività ricreative. Debbono quindi poter andare da soli a scuola, in piscina, ai giardini. Quanto e come deve cambiare la città per garantire questo diritto di muoversi e agire autonomamente? Cosa si è fatto in questi dodici anni di applicazione della Convenzione per rendere attuale e reale questo diritto? Articolo 31: «Il bambino ha diritto al gioco, al riposo, al divertimento e a dedicarsi alle attività che più gli piacciono». I diritti della Convenzione sono tutti importanti, quindi il diritto al gioco dovrebbe avere la stessa importanza di quello al168 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 169 l’istruzione, come sostengono i bambini argentini di Florencio Varela9. Ma come viene garantito il diritto al gioco, se spesso i compiti assorbono tutto il tempo pomeridiano, dei fine settimana e anche delle vacanze? Se un giorno un bambino non ha potuto giocare, il giorno dopo può recuperarlo andando a scuola più tardi? A scuola come viene rispettato il diritto al gioco? Le case e i condomìni sono adatti per il gioco dei bambini? La città permette il gioco dei bambini? Esistono ancora limitazioni o impedimenti di questo e di altri diritti dei bambini nei regolamenti comunali? Spesso i grandi dicono che il rispetto dei diritti dei bambini limita troppo i diritti degli adulti, ma l’articolo 3 della Convenzione è chiaro su questo punto: «In tutte le decisioni relative ai bambini [...] l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente»; questo vuol dire che se c’è un contrasto fra un diritto dei bambini e quello di altre persone vince sempre quello dei bambini. Questo non toglie che gli adulti possano chiedere ai bambini la cortesia di non fare giochi rumorosi durante il periodo della loro siesta e probabilmente i bambini acconsentiranno. Ma gli adulti non possono pretenderlo e quindi dovrebbero rinunciare al loro abituale atteggiamento prepotente. Questi diritti non li hanno scritti i bambini, non li hanno voluti loro. Li abbiamo decisi noi adulti pensando probabilmente che se i bambini non diventano così importanti la nostra società si rovina, si guasta, muore. Ma siamo in grado di rispettarli? Abbiamo il coraggio di fare per davvero quello che abbiamo deciso? Chi si assume la responsabilità di spiegare ai bambini il grande potere che volontariamente e consapevolmente abbiamo messo nelle loro mani? Di fronte a questi interrogativi credo che abbiamo due sole soluzioni: portare fino in fondo questo coraggioso processo di cambiamento oppure uscire ufficialmente, a livello parlamentare, da una Convenzione che ci chiede impegni che non siamo disposti ad onorare. 9 Vedi capitolo Diritti e doveri. 169 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 170 Questa volta la vostra voce sarà ascoltata. Una risposta decisamente positiva e autorevole viene dalla Sessione speciale dell’Onu per l’infanzia riunita a New York dall’8 al 10 maggio 2002. La Sessione voleva verificare quanto gli impegni assunti dagli Stati nel vertice mondiale del 1990 fossero stati rispettati. Erano presenti oltre 60 Capi di Stato o di governo, più di 6.000 partecipanti in rappresentanza del mondo politico, artistico, economico, culturale, accademico, religioso di 180 Stati e, per la prima volta, una rappresentanza dei bambini e dei ragazzi di tutto il mondo. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha aperto i lavori dicendo: Illustri Capi di Stato e di governo, Questa non è soltanto una Sessione speciale sull’infanzia. È una riunione sul futuro dell’umanità. Ci incontriamo qui perché non c’è nulla di più unificante, più urgente o più universale del benessere dei bambini. Non c’è questione più importante. Nessuno di noi – né nelle Nazioni Unite, né nei governi, né nella società civile, né di certo tra i bambini oggi in questa sala – ha bisogno di essere convinto che questa Sessione deve essere davvero speciale. E sarà speciale quanto meno per una cosa: sarà la prima volta che i bambini stessi parleranno in un evento di questa natura. Chiedo a tutti gli adulti qui presenti di ascoltarli con attenzione. Per lavorare per un mondo a misura di bambino, dobbiamo lavorare con i bambini. Vorrei quindi rivolgermi a loro – ai bambini del mondo. Vorrei dirvi che, dovunque voi viviate: avete il diritto di crescere liberi dalla povertà e dalla fame; avete diritto a una istruzione di qualità, che siate bambine o bambini; avete diritto a essere protetti dalle malattie infettive, compreso l’Aids; avete il diritto di crescere in un pianeta pulito e sano, con disponibilità di acqua potabile; avete diritto a una vita libera dalla minaccia della guerra, dell’abuso e dello sfruttamento. Questi diritti sono ovvi. Eppure noi, gli adulti, abbiamo deplorevolmente fallito nel garantirvi molti di essi. Uno su tre di voi ha sofferto di malnutrizione prima dei cinque anni. Uno su quattro di voi non 170 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 171 è stato vaccinato contro nessuna malattia. Quasi uno su 5 di voi non va a scuola; e tra quelli di voi che vanno a scuola, 4 su 5 non riusciranno a completare la quinta classe. Sinora, molti di voi hanno visto violenze che nessun bambino dovrebbe vedere. Tutti voi vivete sotto la minaccia del degrado ambientale. Noi, gli adulti, dobbiamo ribaltare questa lista di fallimenti. E ci siamo impegnati a farlo. I diritti che vi ho descritto fanno parte delle promesse fatte con la ‘Dichiarazione del Millennio’ – una lista di impegni sottoscritti da tutti i leader del mondo. Hanno promesso che, entro il 2015, avremo dimezzato il numero di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. Hanno promesso che, entro quello stesso anno, tutti i bambini e le bambine in età di scuola elementare andranno a scuola. Hanno promesso che la diffusione dell’Aids verrà fermata. Hanno promesso di operare per prevenire le guerre e proteggere le risorse del pianeta. Questa riunione dell’Assemblea generale ci ricorda che queste promesse sono state fatte a voi, alla prossima generazione. Questo significa che un bambino o bambina nato nell’anno 2000 ha il diritto di aspettarsi di vedere un mondo molto diverso entro il suo quindicesimo compleanno. Significa che tutti voi avete il diritto di vedere un mondo migliore nel corso della vostra vita. Quel mondo migliore sarà costruito solo investendo su di voi, i bambini del mondo. [...] Agli adulti in questa sala, vorrei dire: smettiamola di far pagare ai bambini i nostri fallimenti. Chi fra di noi non si è sentito umiliato, guardando negli occhi di un bambino deluso? I ragazzi presenti in questa sala sono testimoni delle nostre parole. Loro e i loro coetanei in ogni paese hanno diritto di aspettarsi che noi traduciamo le nostre parole in fatti, e lo ripeto, si aspettano che traduciamo le parole in fatti e che costruiamo un mondo a misura di bambino. Grazie. Il 9 maggio ha aperto i lavori Gabriela Azurduy Arrieta, tredicenne boliviana, dicendo: «Noi siamo i bambini del mondo. Noi siamo i bambini delle strade. I bambini della guerra. Le vittime e gli orfani dell’Aids. Siamo i bambini le cui voci non vengono ascoltate. Ora è arrivato il momento di ascoltarci». Kofi Annan le ha risposto dicendo: «Questa volta la vostra voce sarà ascoltata. È una promessa». 171 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 172 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 173 Un assessore per noi «Chiediamo di istituire un assessore dei bambini» (Fano) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 174 H anno un assessorato i commercianti, i malati, gli sportivi, gli automobilisti, spesso le donne, ma non i bambini. Dei bambini si occupano molti assessorati, all’educazione, alla sanità, ai servizi sociali, quando sono nelle particolari condizioni di alunni, di malati o di bisognosi. In tutti gli altri casi il bambino viene considerato un problema dei suoi genitori, della sua famiglia e quindi un problema privato. Il bambino bambino, quello che vorrebbe uscire di casa e giocare con i suoi amici non è previsto dall’organizzazione della città. Forse per questo i rappresentanti del Consiglio dei bambini di Fano chiedono di «istituire un assessore dei bambini». In Italia, a partire dal 1997, il governo ha varato un importante documento quadro chiamato Piano d’azione nazionale per l’infanzia e l’adolescenza poi confermato nel 2000, che impegna tutti i settori governativi ad attivare specifici interventi a favore dell’infanzia secondo le rispettive competenze. Il Piano d’azione nazionale ha promosso impegni legislativi in vari settori. Qui si riportano quelli più vicini al tema trattato e che spesso riprendono le motivazioni e gli obiettivi del progetto «La città dei bambini». Disposizioni per la promozione di diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza. La legge 285/97, approvata per il triennio 19972000 e rinnovata per il triennio successivo, è stata promossa dal Ministero della Solidarietà sociale e prevede importanti finanziamenti per progetti presentati dai comuni a favore dell’infan174 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 175 zia. In particolare, oltre a prevedere interventi per casi di abbandono e di rischio, e per servizi innovativi per la prima infanzia, invita i comuni a realizzare azioni positive per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per il miglioramento della fruizione dell’ambiente urbano e naturale, per lo sviluppo del benessere e della qualità della vita dei minori, nel rispetto di ogni diversità. La legge, nei suoi primi tre anni di applicazione, ha visto la realizzazione di un osservatorio nazionale che coordina le attività promosse dalla legge, ne raccoglie la documentazione e ne pubblica i risultati. Si sono anche aperti osservatori regionali per il monitoraggio delle attività promosse dai comuni e per la formazione degli operatori. Contratti di quartiere. Nel 1998 il Ministero dei Lavori pubblici sigla un accordo con il Ministero del Lavoro e della Solidarietà sociale attraverso il quale vengono messe a disposizione dei comuni rilevanti risorse economiche per interventi nelle periferie degradate, finalizzati al recupero urbanistico e sociale, tenendo presenti i bisogni delle categorie sociali più deboli, dai bambini agli anziani. Le città sostenibili delle bambine e dei bambini. Questo progetto, avviato nel 1996 dal Ministero dell’Ambiente, intende promuovere lo sviluppo sostenibile dell’ambiente attraverso il riconoscimento delle esigenze dei bambini e la loro partecipazione concreta alla vita della città. In questo contesto si colloca la legge n. 344 del 1997 che prevede l’istituzione di un premio annuale per l’attribuzione del marchio «Città sostenibili delle bambine e dei bambini» alle città che dimostrino il maggiore impegno per promuovere la sostenibilità urbana, con particolare riferimento al miglioramento delle condizioni di vita dei bambini, assunti come indicatori della qualità urbana1. La legge promuove anche, in collaborazione con il Ministero degli Affari esteri, un forum in1 Nei primi anni di attuazione il premio è stato assegnato alle città di Fano nel 1998, di Cremona nel 1999 e nel 2000 alla città di Ferrara per il miglior progetto. 175 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 176 ternazionale per l’incontro e lo scambio delle esperienze più significative che si realizzano in Italia e all’estero sulla partecipazione dei bambini alla vita delle città2. Un ministero di recente istituzione è quello delle Pari opportunità. L’interpretazione che più spesso si è data dei suoi obiettivi è quella di vigilare sulle pari opportunità di genere e cioè che l’essere donne non costituisca in nessun caso motivo di emarginazione, esclusione, discriminazione. Sarebbe giusto che gli obiettivi di questo ministero si allargassero all’età e alle capacità. Che cioè si assicurasse una parità di diritti fra persone che hanno età diverse e fra persone che hanno capacità diverse. Pari opportunità fra bambini e adulti e fra adulti e vecchi, fra chi lavora e chi non lavora ancora, fra chi non può lavorare per condizioni di disagio psicofisico e chi ha terminato il suo percorso lavorativo. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Perché i bambini chiedono un «assessore dei bambini», perché chiedono che l’Assessorato allo Sport cambi il suo nome in «Assessorato al Gioco e allo Sport»? Evidentemente non si sentono pienamente rappresentati dalle deleghe, pur numerose che li riguardano. Non solo figli o scolari: un «assessore dei bambini». Di queste due condizioni fondamentali per un’infanzia serena e costruttiva si 2 Il governo svedese, nel 2000, in un decreto intitolato Dal loro punto di vista. Una politica dei giovani per la democrazia, la giustizia e la fiducia nell’avvenire ha definito tre obiettivi fondamentali per una politica nazionale sui giovani: che i giovani godano di buone condizioni per condurre una vita indipendente; che debbano disporre di vere possibilità di influenza e di partecipazione; che, in modo generale, le capacità di impegno dei giovani, la loro creatività e riflessione critica debbano essere considerate una risorsa di cui conviene tener conto. Da M. Lundström, M. Nordström (a cura di), Connaître sa ville, les enfants, les jeunes et leur environnement proche, Le Conseil suédois de l’environnement urbain, Karlskrona 2001, pp. 9-10. 176 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 177 preoccupano tutti. Sono ben rappresentate nella legislazione e negli apparati amministrativi. Ma non bastano. I bambini non sono solo figli, anche se hanno bisogno di una famiglia, di genitori che li amino e siano disposti a seguirli, ad ascoltarli, a capirli. Nella famiglia più che in ogni altro ambiente sociale il bambino forma la sua personalità, il suo futuro. È giusto che la società faccia tutto il possibile perché ogni bambino abbia una famiglia sana, capace di allevarlo nel modo migliore. Ma non basta. I bambini non sono solo scolari. I loro desideri, i loro bisogni, non si esauriscono sui banchi di scuola, né con il diritto all’istruzione. Questo è un diritto importante e spesso male interpretato e male attuato. Male attuato per esempio tutte le volte che produce nei bambini rifiuto e contrasto, malessere e sofferenza. Ma anche se fosse bene interpretato dovrebbe rappresentare solo una parte della vita infantile. Il bambino oltre a figlio e scolaro è cittadino, con sue peculiari competenze e necessità. Il suo mestiere più tipico e importante è il gioco. Se non può esercitarlo soffre. Poi ha bisogno di conoscere altri bambini, passare con loro il tempo libero, perché questo è un impegno importante. Ha bisogno di conoscere il mondo che lo circonda, non solo attraverso le spiegazioni e le raccomandazioni dei genitori e degli insegnanti, pur necessarie, ma anche da solo, per poter esplorare, stupirsi, scoprire cose nuove. Ha bisogno di rischiare, di sbagliare. Ha bisogno di conoscere gli adulti dal suo punto di vista, quando non hanno nei suoi confronti doveri da compiere, per capirli e se necessario criticarli. Per questo i bambini chiedono un «assessore dei bambini», perché si faccia carico di tutto questo, della loro cittadinanza, che genitori e insegnanti, pur bravi, non possono garantire e che anzi, spesso, tendono a soffocare. Una delega oltre la famiglia, oltre la scuola, oltre l’assistenza, oltre la salute. Un amministratore per tutti i bambini. Questa nuova figura amministrativa potrebbe avere una speciale delega dal sindaco per vigilare sull’operato della Giunta, sia nelle linee politiche generali, sia nei singoli atti di governo della città, perché rispettino sempre la Convenzione. 177 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 178 Per i bambini un compito non di scuola. Durante la prima seduta del Consiglio dei bambini di Roma una bambina ha avanzato questa proposta: «Io vorrei che tutti i bambini avessero un compito non di scuola, come gli adulti. Che siano bambini, ma impegnati». Una proposta particolare, non facile da interpretare e sulla quale varrà la pena lavorare insieme ai bambini, ma che contiene alcuni elementi suggestivi. I bambini non si sentono completamente soddisfatti da come gli adulti li trattano e non ritengono che i compiti scolastici esauriscano le loro possibilità di partecipazione alla vita della loro comunità. Vogliono essere bambini e quindi poter svolgere le attività che ai bambini competono e piacciono come studiare e giocare, ma pensano che dovrebbero poter fare anche altre cose: un compito non di scuola, dice la bambina, come gli adulti. Probabilmente allude alla possibilità di contribuire alla vita della città attraverso le varie forme di partecipazione, dal Consiglio dei bambini alla Progettazione partecipata. Forse pensa a forme di volontariato possibili anche per bambini piccoli. A questo proposito mi piace ricordare una bella esperienza spagnola nella quale i bambini delle ultime classi di scuola elementare andavano a leggere libri ai bambini della vicina scuola dell’infanzia. Nel video che è stato presentato a un convegno era affascinante vedere la serietà dei bambini più grandi che leggevano e le facce rapite dei bambini più piccoli che li stavano ascoltando. I piccoli hanno vissuto il miracolo della lettura attraverso la voce dei loro compagni più grandi, che possedevano già quel grande privilegio di decifrare i segni contenuti nel libro, e i grandi hanno potuto sperimentare l’importanza di quell’apprendimento che troppo spesso sembra inutile e noioso. In una diversa esperienza i bambini di Fano avevano appreso da persone adulte, che avevano regalato loro un po’ del loro tempo, a conoscere i monumenti, la storia e le caratteristiche culturali della loro città. Avevano imparato non attraverso lezioni scolastiche, ma percorrendo le strade, osservando e toccando i monumenti, notando particolari di cui non si erano mai accorti. Questi bambini sono diventati guide turistiche per gli altri bambini della 178 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 179 città e per i bambini che venivano da altre città. Erano orgogliosi delle loro competenze e felici di metterle al servizio di altri. Un assessorato alla «Città dei bambini». In alcuni comuni italiani si è fatto anche di più e si è istituito un assessorato alla «Città dei bambini» intendendo con questo sottolineare da un lato l’adesione al progetto e dall’altro non solo la preoccupazione di rispettare i diritti dei bambini, ma di assumerli come nuovo parametro per la valutazione e il cambiamento della città3. I bambini assumono un valore simbolico a garanzia e rappresentanza di tutti i cittadini, ma assumono anche ruoli reali e concreti attraverso le varie forme di partecipazione attiva. 3 In base alle informazioni che abbiamo le città che hanno istituito un simile assessorato sono La Spezia, Roma e Viareggio. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 180 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 181 Spazi per comunicare «Una pagina sul ‘Colosseo’» (Roma) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 182 «I l fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di ricercare, di ricevere e di divulgare informazioni e idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma orale, scritta, stampata o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del fanciullo» (art. 13 della Convenzione). In una società nella quale l’immagine e la comunicazione hanno assunto un ruolo così determinante, i bambini sono consapevoli che per contare, per essere tenuti presenti dagli adulti bisogna farsi vedere, bisogna arrivare alla loro attenzione attraverso i mezzi di comunicazione. Il Consiglio dei bambini di Fano ha chiesto di poter avere «una pagina su ‘Fano Stampa’» e quello di Roma ha chiesto «Una pagina sul quindicinale per ragazzi del comune di Roma ‘Il Colosseo’». Le due richieste sono state accolte e da due anni un gruppo di redazione di bambini cura la preparazione di una pagina sul giornale di Fano e da due mesi sulla pubblicazione romana una pagina è dedicata al Consiglio dei bambini. I bambini di Roma hanno esaminato in un loro incontro come potevano far conoscere le loro decisioni a tutti i bambini e come era possibile conoscere le opinioni e le proposte dei bambini romani. Oltre alla richiesta di una pagina del «Colosseo» hanno chiesto di avere uno spazio alla radio e alla televisione regionali, di poter distribuire nei supermercati e nei parchi delle scatole appositamente realizzate per la raccolta di richieste e di proposte, di disporre di un sito web, di poter lanciare delle campagne attraverso manifesti o spot pubblicitari. 182 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 183 In molte città si è utilizzata la tecnica dei manifesti che consiste nel distribuire nelle scuole della città un manifesto di 100 centimetri per 70 con, stampata in un solo colore, l’intestazione del comune e del Laboratorio, il titolo della manifestazione, data, orari e località, lasciando vuota tutta la parte centrale. Compito dei bambini è illustrare a colori vivaci e in modo che possa vedersi da lontano, il tema dell’iniziativa. Nelle scuole di Pesaro e di Gabicce, per il lancio dell’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli» si volevano informare cittadini e automobilisti, ma non c’era tempo per preparare un manifesto con la tecnica sopra indicata. I bambini hanno allora proposto di preparare alcuni volantini che invitassero gli adulti (genitori, autorità, automobilisti) a favorire la loro autonomia suggerendo adeguati comportamenti di fiducia da un lato e di prudenza e di rispetto dall’altro. Il Laboratorio ha riprodotto una decina dei volantini più efficaci in centinaia di copie su carte a colori vivaci e in un giorno della settimana precedente l’avvio dell’iniziativa tutti i bambini delle due scuole sono usciti per le strade dei rispettivi quartieri, con i loro insegnanti, facendo un volantinaggio a tappeto: hanno consegnato i messaggi fermando le auto e i passanti, entrando nei negozi e dando spiegazioni ai curiosi. È stata un’iniziativa efficace e una festa per i bambini. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Le esperienze riferite sono solo una parte di quelle realizzate e di quelle possibili. In ogni comune si potranno trovare modi e spazi opportuni ed efficaci perché i bambini possano comunicare direttamente con la cittadinanza. È anche questo un modo per dare loro la parola. Uno spazio dei bambini. Quasi tutti i comuni hanno una pubblicazione periodica attraverso la quale informano le famiglie delle iniziative e delle attività dell’amministrazione. Tutte le città che hanno accettato di confrontarsi con i bambini e di riconoscere 183 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 184 loro un ruolo protagonista potrebbero seguire l’esempio di Fano e di Roma e affidare ai bambini la preparazione di una pagina, favorendo la creazione di una piccola redazione seguita e animata da un adulto. La stessa iniziativa potrebbe essere presa da giornali, radio e televisioni locali, che potrebbero ospitare una rubrica fissa nella quale dare la parola ai bambini, sia perché possano riferire le attività e le proposte che stanno sviluppando nel Laboratorio, sia per raccogliere opinioni e suggerimenti dagli altri bambini della città. I manifesti. La tecnica illustrata sopra è poco costosa e di grande coinvolgimento per i bambini: in poco tempo permette di raccogliere centinaia di manifesti originali. Tutti i manifesti prodotti possono essere affissi negli spazi comunali e appesi nei negozi. Se si vuole, i più interessanti possono essere esposti in una mostra e quello più significativo essere riprodotto a stampa in quadricromia. Se, per esempio, l’iniziativa su cui i bambini si sono espressi riguarda un quartiere della città (è il caso per esempio della iniziativa «A scuola ci andiamo da soli»), gli originali possono essere esposti nel quartiere e il manifesto stampato essere affisso in tutta la città. Quest’ultimo può anche essere inviato alle altre città della rete «La città dei bambini», come forma di informazione e di scambio. Le bacheche. I comuni che volessero offrire ai bambini un’esperienza di comunicazione originale ed efficace potrebbero realizzare un vero percorso urbano di bacheche destinate alla comunicazione infantile. Le bacheche, realizzate in modo che siano riconoscibili e di altezza adeguata ai bambini, potranno ospitare sia i manifesti realizzati dall’amministrazione e dal Laboratorio per le iniziative rivolte ai bambini, sia i manifesti realizzati dai bambini per propagandare e difendere le loro iniziative e le loro proposte. I manifesti dei bambini potranno essere realizzati su invito periodico del Laboratorio nelle scuole della città o presso i locali del Laboratorio stesso. Le bacheche, o alcune di esse, po184 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 185 trebbero essere affidate «in gestione» alla scuola elementare del quartiere, che potrebbe provvedere, sempre con il coordinamento del Laboratorio e secondo un programma concordato, al rinnovo dei manifesti e alla loro affissione da parte di una squadra di bambini. Per questa ultima funzione, che sicuramente piacerà molto ai bambini, il comune potrebbe organizzare un corso di «attacchinaggio» curato dal Laboratorio e dalla ditta che provvede alle affissioni nella città. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 186 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 187 Adulti più infantili «I vigili urbani, quando parlano con noi dovrebbero essere più infantili» (Fano) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 188 L’ assessore al Traffico e il comandante dei vigili urbani di Fano mi avevano chiesto di tenere alcuni incontri di formazione ai vigili sul progetto «La città dei bambini». Il corso aveva il titolo «Il vigile amico dei bambini». Prima di uno degli incontri stavo coordinando una seduta del Consiglio dei bambini e ne approfittai per chiedere se avessero qualche suggerimento da darmi. Uno dei piccoli consiglieri ha detto: «I vigili urbani, quando parlano con noi dovrebbero essere più infantili». Ho pensato tante volte a quella frase. Non so esattamente cosa significhi, ma sento che contiene un messaggio importante per noi adulti. Ho ripensato all’orecchio acerbo che gli adulti dovrebbero avere per saper ascoltare i bambini di cui parlava Gianni Rodari1 e alla sensazione tante volte provata da bambino che gli adulti non riuscissero a capire, che si fossero dimenticati della loro infanzia. Un’esperienza più volte verificata è quella della difficoltà degli adulti quando debbono ascoltare i bambini. Succede per esempio durante le sedute dei Consigli comunali aperti ai bambini. I consiglieri del Consiglio dei bambini presentano le loro richieste, le loro proposte. Lo fanno sempre in modo conciso. Sarebbe bello che gli adulti presenti chiedessero maggiori informazioni, discutessero con i bambini, per capire meglio, per poter valutare con maggiori elementi di giudizio e dando loro la sensazione di essere accettati e riconosciuti. Tutto questo di solito non 1 G. Rodari, Parole per giocare, Manzuoli, Firenze 1979. 188 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 189 succede. Per gli adulti è molto più facile o approfittare per fare ai bambini un predicozzo o accogliere tutto quello che propongono e approvarlo così come è stato espresso, capito o non capito. Si riservano poi, purtroppo, il diritto di dimenticarsene o di non tenerne conto, pensando erroneamente che i bambini non se ne accorgeranno. Nel corso degli anni la situazione migliora, gli adulti si fanno più attenti, più critici e imparano a considerare con la giusta serietà le proposte dei bambini superando gli atteggiamenti paternalistici e superficiali. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Più infantili. Penso che essere più infantili possa voler dire per prima cosa essere più seri: seri e impegnati come un bambino che gioca. Essere capaci di capire quanto è importante per un bambino aver potuto presentare una sua idea a un Consiglio vero, di adulti, che può accoglierla e realizzarla. Essere capaci di capire la violenza del tradimento e della delusione di quel bambino se domani si accorgerà che, quando gli adulti gli facevano quei complimenti e si impegnavano con un voto a fare quello che aveva chiesto, stavano mentendo. Essere più infantili vuol dire imparare a capire i bambini al di là della apparente semplicità di quello che dicono, perché chi dice cose semplici quasi sempre dice cose importanti. Essere più infantili vuol dire essere più umili e riconoscere che per parlare con un bambino, per ascoltarlo e per tener conto di quello che dice, bisogna impegnarsi e imparare. Imparare facendosi aiutare da chi ha esperienza in questo settore, leggendo qualche libro, cercando di migliorare ogni volta che lo si fa. Un buon amministratore dovrebbe preoccuparsi di questo aspetto e dedicargli attenzione, incontri con i suoi collaboratori e colleghi di governo della città. Imparare ad ascoltare i bambini vuol dire imparare ad ascoltare tutti e quindi diventare un buon sindaco, un buon assessore, un buon dirigente. 189 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 190 Provare a ricordare la propria infanzia. «Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano.)»2. Scrive Antoine de Saint-Exupéry nella prima pagina del Piccolo Principe e più avanti presenta un bellissimo test con il quale il protagonista verificava la capacità di capire degli adulti. «Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di capire così se era veramente una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva: ‘È un cappello’. E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era soddisfatto di aver incontrato un uomo tanto sensibile»3. Ricordare la propria infanzia può essere di grande importanza per essere dei buoni adulti, per i propri figli, per i propri alunni, per i propri piccoli cittadini o semplicemente per il bambino che incontriamo per strada. Lo si può fare parlando con i propri genitori, riguardando i vecchi quaderni o disegni, riguardando le fotografie di quando eravamo bambini, parlandone con i coetanei. È una bella ginnastica, che fa bene e ci rende migliori4. 2 A. de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, Bompiani, Milano 1997, p. 5. Ivi, p. 10. 4 Ancora un’esperienza personale, molto personale e molto bella. Nel 1990 il comune di Torino ha aperto una sede di formazione per gli insegnanti e per l’occasione mi ha invitato a presentare una mostra con i miei disegni dal titolo Fratografie. L’inaugurazione del Centro fu affidata a Norberto Bobbio che, dopo una bella lezione su «Educazione e democrazia» tenuta presso il comune, insieme a sua moglie Valeria aprì la mostra. Accompagnai emozionato i due eccezionali visitatori, che incontravo per la prima volta, illustrando le mie vignette che cercavano di mettere in evidenza le varie contraddizioni del rapporto adulto-bambino. Qualche giorno dopo Bobbio mi scrisse una lunga lettera per ringraziarmi per avergli fatto ricordare, attraverso le vignette, il rapporto con i suoi figli piccoli, ormai da tanti anni dimenticato. Sull’onda di questa emozione era andato a ricercare un quaderno nel quale scriveva le frasi buffe che i figli dicevano nei loro primi anni e me ne scrisse alcune. Questa lettera fu il più bel regalo ricevuto per i miei cinquant’anni e fu l’inizio di una bella amicizia fra noi. 3 190 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 191 Scuola e non scuola «Il maestro dice che non ha tempo per il Consiglio dei bambini e il sabato facciamo un’ora di educazione civica!» (Fano) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 192 N el Consiglio dei bambini di Fano, nel 1997, si è aperto un lungo dibattito sulla necessità da parte dei consiglieri di poter riferire nelle rispettive classi e scuole i risultati del lavoro svolto nel Consiglio, e preparare insieme ai compagni i lavori delle successive sedute. Alcuni bambini riferirono che i loro insegnanti erano disponibili, altri che le loro richieste venivano sempre vanificate da lavori più urgenti che gli insegnanti dovevano portare avanti. Secondo questi bambini il loro lavoro veniva considerato poco importante e quindi non veniva preso in considerazione da alcuni insegnanti. È in questo contesto che un consigliere disse: «Il maestro dice che non ha tempo e il sabato facciamo un’ora di educazione civica!». Di nuovo un bambino denuncia, con semplicità ma con precisione, una incoerenza grave dell’adulto. Il maestro dichiara di non poter dedicare tempo al confronto fra i suoi alunni e il loro compagno consigliere per preparare insieme il prossimo Consiglio dei bambini e dedica un’ora alla settimana all’educazione civica. Di cosa ci si occuperà in quell’ora del sabato? Probabilmente della Costituzione italiana, delle forme di governo, dei poteri dello Stato. Tutti argomenti importanti, ma che gli studenti delle scuole italiane incontreranno due o tre volte ancora prima di terminare gli studi, e comunque argomenti lontani dagli interessi di bambini di nove, dieci anni. L’insegnante non capisce che la vera educazione civica è proprio quella che propone il piccolo consigliere, perché tratta della loro città e della possibilità per i bambini di intervenire realmente con osservazioni e proposte. Quale occasione migliore per i bambini di fare politica e di 192 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 193 sentirsi cittadini! Ma questa scuola (non tutta e non la prevalente) non capisce, e preferisce fare educazione stradale attraverso i segnali stradali, educazione ambientale parlando del buco nell’ozono e dell’effetto serra, educazione civica attraverso normative e istituzioni. I bambini consiglieri hanno pensato che fosse giusto scrivere una lettera a tutti i loro insegnanti per chiedere di favorire la loro attività. Si sono riuniti in un piccolo gruppo, hanno steso una prima lettera e me l’hanno spedita a Roma per fax. La lettera era piuttosto dura, temevo che potesse suscitare risentimenti nei destinatari. Durante la successiva riunione del Consiglio dei bambini si è proceduto alla lettura collettiva della proposta dei cinque consiglieri. Ho presentato le mie riserve e le mie proposte, che riguardavano la forma e non la sostanza del testo. Alcune sono state accolte, altre no. Un bambino ha spiegato il loro rifiuto: «Sennò non si capisce che siamo arrabbiati». Alla fine la lettera è stata approvata e inviata con il testo che segue. Lettera agli insegnanti che hanno consiglieri del Consiglio dei bambini in classe Cari insegnanti, siamo i bambini del Consiglio de «La città dei bambini» di Fano e vi scriviamo questa lettera per chiedere il vostro aiuto per poter lavorare meglio nel Consiglio. Alcune maestre non concedono ai consiglieri di parlare, a scuola, degli argomenti discussi nelle riunioni, perciò i rappresentanti sono costretti a parlare durante la ricreazione, quando nessuno li ascolta. Vi chiediamo due momenti di lavoro: uno di una mezz’oretta subito dopo il Consiglio per presentare gli argomenti trattati e uno un po’ più lungo per parlare di cosa portare alla riunione successiva. Vi chiediamo di non darci compiti scritti sia a scuola sia a casa sui lavori che facciamo nel Consiglio. Vi preghiamo di non guardare gli errori nelle nostre proposte scritte, perché ci interessa solo il contenuto. Voi non ci dovete influenzare con le vostre proposte perché è importante che ci organizziamo da soli. Se lo ritenete opportuno potremo incontrarci con voi in una riunione del Consiglio dei bambini. 193 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 194 Vi ringraziamo per la vostra collaborazione e vi auguriamo un bellissimo anno nuovo. Fano, 18/12/1997 Per il Consiglio dei bambini Diego, Elena, Giovanni, Marianna e Vittoria I bambini chiedono tempo per lavorare fra loro, ma anche di esserne riconosciuti capaci. Chiedono che gli insegnanti non influenzino le loro discussioni, che non correggano i foglietti con le loro proposte. Rivendicano uno spazio proprio, come dei bambini è lo spazio del Consiglio, che è vietato a spettatori adulti. Chiedono infine che non siano dati loro dei compiti per casa legati al loro ruolo di consiglieri, come relazioni o commenti. Esperienze di partecipazione infantile, come quelle che si stanno sviluppando nelle città aderenti al progetto, effettivamente creano problemi alla scuola o almeno a un certo tipo di scuola, che si sta superando, ma che è ancora presente. In quelle esperienze i bambini vengono accolti per quello che sanno e nella convinzione, del sindaco, della Giunta e degli operatori, che quello che sanno sia utile per la città. Viene loro riconosciuto un ruolo protagonista. Quello che pensano possono dirlo, confrontarlo, difenderlo. Se viene condiviso viene portato fino in Consiglio comunale e ci sono adulti che stanno dalla parte dei bambini per aiutarli ad esprimersi e per difendere le loro idee. Tutto questo spesso nella scuola non succede e allora i bambini colgono le differenze, evidenziano il contrasto. Parlando delle loro esperienze di Consiglio dei bambini o di Progettazione partecipata i bambini dicono: «Abbiamo imparato a lavorare insieme, in compagnia». «Abbiamo imparato a divertirci facendo cose faticose, delle cose precise». «Le cose si risolvono meglio in tanti». «Abbiamo imparato a fare e a stare insieme, un po’ a sopportarci di più». «Nelle lezioni normali si vede molto che i bambini sono inferiori agli adulti»1. 1 Le frasi dei bambini sono tratte da interviste e focus group riportate nel volume di C. Baraldi, G. Maggioni (a cura di), Una città con i bambini. Progetti ed esperienze del Laboratorio di Fano, Donzelli, Roma 2000, p. 104. 194 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 195 A volte la scuola risulta invece difficile e misteriosa per i bambini. Chiede cose strane, considera importanti capacità che nella vita della sua famiglia il bambino non vede mai utilizzate. Due piccoli episodi realmente accaduti dimostrano questa distanza della scuola dal mondo dei bambini. Un bambino zingaro arriva a scuola ad anno iniziato, come succede frequentemente a chi è nomade. L’insegnante lo riceve gentilmente in classe, si presenta, lo presenta ai compagni e gli presenta i compagni. Terminate le presentazioni e indicandogli il banco dice: «Adesso che conosci la tua classe puoi andarti a sedere». Il bambino la guarda stupito e risponde: «Ma io non sono ancora stanco!». Un bravo insegnante porta a scuola dei pesciolini comprati al mercato e li distribuisce uno per ogni bambino della sua prima elementare in un piattino di plastica per proporre un’osservazione scientifica. Un bambino si mette a piangere a dirotto. Il maestro si china vicino a lui e gli chiede ragione della sua disperazione e il bambino, tra i singhiozzi, dice: «Io non lo voglio mangiare». Il maestro stupito risponde: «Ma pensi che si possano mangiare dei pesci crudi?» e il bambino conclude: «No, ma qui siamo a scuola...». A scuola possono succedere cose strane. Solo a scuola si resta seduti anche per ore indipendentemente dalla necessità e dalle caratteristiche del compito. Il bambino nomade, che non ha esperienza di scuola, giustamente non capisce. A scuola ovviamente non si mangiano pesciolini crudi, ma il timore del bambino, nonostante fosse affidato ad un bravo insegnante, dimostra che a scuola ci si può aspettare di tutto, che può succedere anche quello che fuori non succederebbe mai. Le frasi dei bambini intervistati sulle loro esperienze di partecipazione sono abbastanza semplici, potrebbero addirittura sembrare banali. Dicono di aver imparato a lavorare insieme, a divertirsi facendo cose importanti e faticose, a sopportarsi di più. Non dovrebbero essere le basi anche del lavoro scolastico? Evidentemente no. A scuola si continua a chiedere un impegno personale e individuale, spesso in competizione con gli altri. Le at195 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 196 tività importanti di solito non divertono, ma stancano e non si vede l’ora che finiscano. Le lezioni «normali» si basano sul principio della superiorità dell’adulto che sa e che insegna rispetto all’allievo che non sa e che ascolta. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Può non essere così, spesso non è così. Non è necessario che la scuola sia un ambiente lontano dai bambini, estraneo ai loro interessi e ostile nei loro confronti. Non è neppure necessario che i bambini debbano soffrire per imparare, come molti ancora ritengono. Questo la scuola lo sa e spesso i bambini possono vivere, nelle loro scuole, con i loro insegnanti, esperienze importanti e piacevoli, impegnative e indimenticabili. A volte è così, ma non sempre, e questo è grave. Tutti i bambini hanno diritto ad una buona scuola e a bravi insegnanti, lo dice la Costituzione quando all’articolo 3 assicura la parità dei cittadini e l’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli che la impediscono. È evidente che la scuola va considerata uno degli strumenti sociali privilegiati per raggiungere questo obiettivo. Ma lo sarà solo se sarà assicurata a tutti i cittadini al livello più alto possibile. È frequente oggi sentire genitori che dicono «La figlia maggiore è stata fortunata con l’insegnante, quello più piccolo invece non ha avuto fortuna». I diritti costituzionali non dovrebbero essere affidati alla fortuna. È dovere dello Stato assicurare ad ogni bambino, prima ancora che belle scuole, libri gratuiti e mense scolastiche, ottimi insegnanti. Si diceva però che spesso la scuola è una buona scuola. In molte città la collaborazione fra il Laboratorio «La città dei bambini» e le scuole è stata intensa e fruttuosa. Gli insegnanti hanno capito che la vita dei loro alunni non può esaurirsi fra casa e scuola ed essere completamente assorbita dalle lezioni, dai compiti e dalla televisione. Che un bambino più autonomo è un alunno migliore perché è capace di portare nel gruppo classe le sue esperienze personali, le sue scoperte, le sue avventure. Per gli insegnanti che 196 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 197 credono nel gruppo come unità di base per un apprendimento costruttivo, è importante che i membri del gruppo non abbiano da scambiarsi solo la stessa trasmissione televisiva, lo stesso videogioco o lo stesso allenamento di pallavolo, tutti i giorni e tutto l’anno. Gli insegnanti hanno capito che se i bambini partecipano alla vita della città con le loro proposte e le loro idee, diventano più responsabili, interessati, motivati. Hanno capito che, difendendo i diritti dei bambini, la scuola si avvicina agli alunni, diventa la loro scuola, per la quale vale anche la pena impegnarsi di più e lavorare sodo. Hanno infine capito che attraverso queste attività, aperte al quartiere e alla città si incontrano le famiglie e il progetto educativo diventa più ricco e significativo. D’altra parte noi, che promuoviamo questo progetto, abbiamo potuto verificare quanta importanza può avere la partecipazione della scuola per il successo di una simile iniziativa: per il buon funzionamento del Consiglio dei bambini, per una buona conduzione di esperienze di Progettazione partecipata, per il superamento delle resistenze e delle paure dei genitori a lasciar andare i bambini da soli a scuola. Una scuola dalla parte dei bambini. In una esperienza di Progettazione partecipata condotta nei paesi di Casoli, Altino e Palombaro del Medio Sangro abruzzese, promossa dalle scuole elementari e concordata con le rispettive amministrazioni comunali, nelle fasi di preparazione con gli insegnanti e gli architetti impegnati si usò scherzosamente la proposta di essere «insegnanti pentiti». Insegnanti che rinunciavano ad insegnare per fare in modo che gli alunni potessero costruire conoscenze, idee e progetti; che rinunciavano a risolvere tutti i problemi dentro la classe per uscire nel paese, parlare con le persone e raccogliere notizie, storie e proposte. La provocazione è piaciuta a quegli insegnanti e il giorno della consegna dei progetti ai sindaci per la loro realizzazione un loro rappresentante ha detto che la loro scuola sarebbe cambiata, che loro sarebbero rimasti «insegnanti pentiti» non solo per la Progettazione partecipata, ma anche per la lingua e la storia, per la matematica e il disegno. 197 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 198 Se la città ritiene di aver bisogno dei bambini, di doverli chiamare per contribuire con le loro esigenze e le loro proposte al suo cambiamento, è ragionevole pensare che anche la scuola debba aver bisogno della partecipazione e del contributo dei suoi allievi. I bambini, gli adolescenti, vivono quasi sempre la scuola come un obbligo, come un dovere. La sentono come la nostra scuola, la scuola degli adulti e non come la loro scuola. Cambiare questo luogo comune potrebbe avere effetti clamorosi per i vantaggi che potrebbe produrre in tutti gli attori coinvolti. Gli alunni apprenderebbero molto di più, gli insegnanti sarebbero più soddisfatti e si ammalerebbero di meno, i genitori non dovrebbero più considerare la scuola come la più grande preoccupazione e una delle ragioni di maggiore conflitto con i loro figli per così tanti anni. Forse basterebbe chiedere ai bambini, agli adolescenti, ai giovani di considerare la scuola non come un pacchetto già confezionato, tutto compreso, da prendere o lasciare (anzi, da prendere per forza), ma come una risorsa da definire, giorno per giorno, insieme agli insegnanti, discutendo insieme, prendendo insieme le decisioni, cambiando quando è necessario, inventando soluzioni nuove di fronte alle difficoltà. Bisognerebbe iniziare dalle assemblee di classe, costituire dei Consigli di scuola formati dai rappresentanti delle classi, per discutere insieme di tutto, dal rendimento alla disciplina, dall’orario alla ricreazione, dagli arredi delle aule alla ristrutturazione del cortile. Se i bambini si sentiranno riconosciuti, se avranno sufficienti e seri motivi per ritenere che la scuola è la loro scuola, saranno capaci di un entusiasmo e di una disponibilità all’impegno e alla responsabilità altrimenti insperabili. Se tutte le scuole avessero al loro interno questa organizzazione democratica, di partecipazione e di responsabilità, sarebbe poi naturale che i rappresentanti dei vari Consigli di scuola si riunissero per formare il Consiglio dei bambini della città. Il lavoro del Consiglio dei bambini sarebbe seguito e arricchito dal dibattito interno alle scuole e le scuole sarebbero realmente luoghi di costruzione di cittadinanza. 198 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 199 Diritti e doveri «Ma se giocare è un diritto allora deve essere anche un dovere!» (Florencio Varela) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 200 A Florencio Varela, una piccola città argentina vicino Buenos Aires, un gruppo di bambini discuteva sui propri diritti. Alcuni avevano fatto notare che non tutti i diritti sono uguali e che vengono considerati in modo diverso dagli adulti. Ci sono quelli più importanti e quelli meno importanti, quelli che contano di più e quelli che contano di meno. Per esempio, il diritto all’istruzione lo sentivano prevalentemente come un dovere: si deve andare a scuola, fare i compiti, ottenere buoni risultati. Un dovere tanto forte che poteva prendersi tutto il loro tempo e non lasciarne per altri diritti, per esempio per il gioco. Spesso succede di non poter giocare perché ci sono da fare molti compiti. Ma allora il gioco che diritto è? «Se giocare è un diritto importante allora deve essere anche un dovere», ha detto uno dei bambini. Abbiamo allora provato a definire le caratteristiche e le dimensioni di questo diritto-dovere. Quante ore al giorno i bambini dovrebbero giocare per soddisfare questo loro importante dovere? Tante quante quelle dedicate alla scuola? Non è possibile, non ce ne sarebbero abbastanza. Facciamo meno: per esempio solo tre ore. Allora un bambino dovrebbe poter dire «Mi dispiace, non posso fare tutti i compiti perché debbo giocare le mie tre ore», o, se proprio non ci riesce, perché magari i genitori lo portano da qualche parte, il giorno dopo dovrebbe poter andare a scuola più tardi per recuperare il gioco non fatto. I bambini erano molto divertiti da questa idea che sembrava loro assolutamente ipotetica, simile ai tanti giochi di fantasia in200 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 201 fantili che cominciano con la frase «Io ero...». Sapevano che a scuola avrebbero dovuto continuare ad andare e a giocare avrebbero potuto continuare se ne avessero avuto il tempo, dopo la scuola, dopo i compiti, dopo le richieste di aiuto dei genitori. Ho ripensato spesso a questa strana discussione con i bambini argentini e mi sono convinto sempre di più che fosse importante e da prendere sul serio. Non so se sia giusto definire con i bambini un orario minimo di gioco quotidiano, ma sarebbe assolutamente necessario che tutti gli adulti che vivono intorno al bambino, dai genitori agli insegnanti, dagli istruttori al sindaco, fossero assolutamente convinti che oltre ad andare a scuola, ad aiutare a casa, ad andare ai corsi pomeridiani, il bambino deve giocare e che se non gioca, o non gioca bene e a sufficienza, non diventerà un buon adulto. Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Lasciare ai bambini il loro tempo libero. Si è già toccato varie volte questo tema, ma forse vale la pena sottolinearlo ancora una volta perché condiziona direttamente e pesantemente la vita dei bambini e il loro rapporto con gli adulti. Nella giornata di un bambino dovrebbe sempre esserci un tempo che lui possa amministrare liberamente per fare quello che preferisce con chi e dove desidera. Occorre quindi che non tutto il suo tempo sia programmato dagli adulti e che ci siano posti dove possa andare senza essere accompagnato e vigilato. Si è già suggerito ai genitori di evitare di occupare tutti i pomeriggi dei figli iscrivendoli ai tanti corsi pomeridiani. Bisogna che anche la scuola riduca le sue richieste che vanno oltre gli orari scolastici. Forse non vale la pena assegnare tanti compiti obbligatori che occupano molte ore pomeridiane e che di solito non raggiungono gli obiettivi che gli insegnanti si prefiggono. I compiti non vengono certamente dati per rovinare i pomeriggi degli alunni e delle loro famiglie, il loro obiettivo, secondo gli insegnanti, dovrebbe essere quello di aiutare i bambini a consolida201 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 202 re le nozioni proposte a scuola o a recuperare gli eventuali ritardi di apprendimento. Servono quindi specialmente per gli alunni meno preparati e con lacune. Ma spesso questi provengono da famiglie che non sono in grado di aiutarli: i loro genitori sanno meno dei figli. Si crea così una situazione paradossale: i bambini più bravi, che avrebbero meno bisogno di esercitarsi, trovano a casa interesse e competenze, per cui le ore passate sui compiti, anche se non gradite, sono fruttuose e finiscono per aumentare la loro conoscenza e la loro preparazione; i bambini meno preparati e che avrebbero bisogno di recuperare lo svantaggio, spesso non hanno aiuto adeguato per cui non sanno affrontare i compiti, non li fanno o li fanno male. Il giorno dopo la differenza fra i primi e i secondi sarà aumentata invece che diminuita. Questi compiti, quelli di consolidamento e di recupero, si debbono svolgere a scuola, sotto il controllo competente degli insegnanti, che potranno seguire con particolare attenzione gli allievi più bisognosi di aiuto. Questo non significa che i bambini non debbano far nulla per la scuola nei pomeriggi o nei fine settimana o nei periodi di vacanza. Ma dovrebbero dedicarsi, meglio se senza obblighi, ad attività che sono in grado di controllare senza l’assistenza degli adulti, come la lettura di un libro che essi stessi avranno scelto, la descrizione scritta o disegnata di qualche esperienza che li ha colpiti, di qualche problema irrisolto, di qualche scoperta. Dovrebbe essere sentito come un privilegio, quello di portare a scuola qualcosa di personale, che diventerà materiale di lavoro e di confronto per tutti. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 203 Mi sono sentito responsabile «Quando ho conosciuto i problemi della città e ho capito che potevo fare qualcosa, mi sono sentito responsabile» (Fano) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 204 A lla fine di un anno di attività del Consiglio dei bambini di Fano eravamo soliti fare un incontro conclusivo al quale partecipava l’assessore responsabile del Laboratorio e, a volte, anche il sindaco. In quella occasione si chiedeva di solito ai bambini di fare una valutazione dell’esperienza fatta, che per una metà circa si stava concludendo e che per l’altra metà sarebbe proseguita per il secondo anno del mandato. In uno di questi incontri due bambini dissero: «Quando ho conosciuto i problemi della città e ho capito che potevo fare qualcosa, mi sono sentito responsabile»; «All’inizio sembrava un’esperienza noiosa, come sempre, e non mi davo da fare, ma dopo ho visto che molti dei desideri si sono avverati e allora mi sono rimproverato». In quell’anno, il Consiglio dei bambini aveva denunciato al Consiglio comunale l’assurdo di dover pagare per giocare e, su richiesta dello stesso Consiglio comunale, aveva proposto, come si è detto, di aprire gratuitamente le strutture sportive per un’ora e mezza ogni giorno. Quando qualche settimana dopo alcune società aprirono i campi e le strutture sportive, i bambini rimasero fortemente colpiti dall’evento: vennero in Consiglio eccitati perché erano già potuti entrare in alcune strutture sportive aperte grazie alla loro richiesta. Allora era vero, loro potevano chiedere e gli adulti erano disposti a realizzare le loro richieste. In questo clima nascono le due affermazioni citate. «Mi sono sentito responsabile» dice il primo consigliere. Non dice: «Mi sono sentito soddisfatto, orgoglioso», ma «responsabile». Il fatto 204 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 205 stesso di poter influire sulle decisioni creava una responsabilità nuova, e quindi bisognava pensare bene a cosa chiedere. Era, per quel bambino una responsabilità di fronte a tutti gli altri bambini della città, che da lui avrebbero potuto avere un aiuto vero. E quel bambino, che all’inizio credeva poco a questa possibilità e che quindi probabilmente non si era impegnato nel suo ruolo di consigliere, visto quello che era successo, si era «rimproverato», rimproverato di non aver fatto tutto quello che poteva fin dall’inizio, di aver perso delle opportunità. In un’altra seduta del Consiglio, discutendo sul rapporto con gli adulti, i bambini espressero queste opinioni: – Alice: «Per essere ascoltati i bambini debbono essere cattivi». – Marianna: «Però se facciamo troppo i prepotenti loro ci mandano anche a quel paese. Dobbiamo provare anche a metterci nei loro panni». – Giovanni: «Non sono d’accordo, perché se non ti rispettano dobbiamo incattivirci». – Alice: «Gli adulti, quasi tutti, pensano che bambino è uguale a scemo». Marianna era d’accordo con il Piccolo Principe quando diceva: «Sono fatti così. Non c’è da prendersela. I bambini devono essere indulgenti con i grandi»1. Io invece, come animatore del Consiglio dei bambini ero più d’accordo con Alice e con Giovanni, e con Martin Luther King quando diceva: «Vi imploro di indignarvi». Ogni anno, alla prima riunione del Consiglio dei bambini, dopo che gli «anziani» di quinta avevano spiegato il funzionamento ai «nuovi» di quarta, esprimevo una raccomandazione: «Dovete essere cattivi». Quei bambini di nove anni, guardavano stupiti questo signore ormai anziano che chiedeva una cosa che i grandi non avevano mai chiesto loro. Non capivano se stessi scherzando o se dicessi sul serio. Io spiegavo che loro dovevano difendere i diritti di tutti i 1 A. de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, Bompiani, Milano 1997, p. 24. 205 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 206 bambini della città e allora non potevano dire e fare quello che volevano i grandi, sennò non sarebbe cambiato niente. Essere cattivi voleva dire non avere paura di dire e di chiedere quello che pensavano giusto. Nel corso dei mesi il coraggio dei piccoli consiglieri aumentava, i loro pensieri autentici venivano espressi, anche se dovevano affrontare il confronto con l’insegnante, col genitore. Un elemento importante di sostegno di questa loro disponibilità ad esprimersi e ad esporsi era la consapevolezza, confermata nel tempo, che io stavo dalla loro parte. Ci sono stati scontri anche con me, che in alcuni casi non ero d’accordo con le opinioni di alcuni bambini. In una occasione una bambina di quarta, che non era d’accordo con una mia posizione, ha minacciato le dimissioni. Ci siamo confrontati a lungo, con rispetto, lei è rimasta ed è aumentata la stima reciproca2. 2 Forse vale la pena raccontare questo scontro con Luisa, perché può essere indicativo di come valga sempre la pena prendere sul serio i bambini, rispettando le loro opinioni ma confrontandosi con loro sinceramente. In quel periodo l’amministrazione comunale aveva deciso di liberare una scuola elementare del centro città per trasformarla in centro per attività culturali, trasferendo la scuola in altra sede del centro. I genitori dei bambini che frequentavano la scuola sono insorti e, dopo molte proteste e incontri, è apparsa su un giornale locale una lettera nella quale dei bambini chiedevano di non chiudere la scuola perché in quella avevano studiato i loro genitori. Indignato per quella lettera ho scritto una risposta, pubblicata qualche giorno dopo, nella quale riconoscevo il diritto dei cittadini di non essere d’accordo sulle decisioni dei loro amministratori, ma per favore senza mettere in mezzo i bambini facendo firmare loro lettere scritte dagli adulti. Luisa era una alunna di quella scuola e aveva firmato la lettera. Al successivo Consiglio mi consegna una lettera nella quale annuncia che si dimetterà se io non smentisco quello che ho fatto pubblicare sul giornale. La cosa mi colpisce, Luisa fa sul serio e io ho paura, ma non posso tradire. Le spiego che non posso smentire quello che ho scritto perché sono cose che credo veramente. Le mostro la lettera e la esaminiamo insieme. Faccio notare in quali punti si capisce che è stata scritta dai grandi. Lei riconosce che l’avevano scritta i genitori. Leggiamo la lettera delle sue dimissioni e posso verificare con lei che anche questa è stata scritta dai genitori. Discutiamo a lungo sulle ragioni e i torti della lotta di difesa della scuola. Luisa rimane in Consiglio e si impegna, ad ogni seduta, ad informarci sulla evoluzione della polemica. Per me è stata una delle sedute più belle e nelle quali ho imparato di più. 206 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 207 Vale la pena di vivere con i bambini esperienze così complesse? Sembra di sì. I bambini e gli adolescenti che avevano vissuto l’esperienza del Consiglio a Fano, nei primi sette anni, intervistati nell’ambito di una ricerca dichiarano: Il Consiglio «Serve per aiutare i bambini a dire le loro opinioni»; «È importante per chi ha meno voce in capitolo come i bambini; serve ad aiutarli a far sì che le loro proposte si avverino»; «Serve per organizzare delle proposte per migliorare la nostra città»; «Fa diventare la città che vada bene non solo agli adulti ma anche ai bambini»; «Per ritrovarsi in una società meglio fin da piccoli»; «È importante perché fa capire subito che bisogna intervenire insieme per migliorarla». E parlando dell’animatore adulto dicono: «Ci vuole più incavolati», «Ci vuole più pignoli, più... che arriviamo al punto della situazione»3. Quasi tutti gli ex consiglieri intervistati, anche se ormai adolescenti, ricordano come importante e positiva l’esperienza del Consiglio e il presidente del Distretto scolastico di Fano, durante una conferenza pubblica disse: «Gli adolescenti di oggi, che vengono dall’esperienza ‘La città dei bambini’ hanno molto più sviluppato dei loro coetanei il senso dei loro diritti e della necessità di intervenire per modificare la città». Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Se ne vale la pena. Si potrebbe permettere ai bambini di vivere queste esperienze di partecipazione nella loro famiglia, nella loro scuola, nella loro città; garantire loro di provare l’emozione di essere ascoltati e tenuti in considerazione. Dimostrare loro che non è vero che quasi tutti gli adulti pensano che «bambino è uguale a scemo». Se è vero quello che dice il presidente del Distretto, se è vero quello che dicono gli ex consiglieri, forse vale la pena chiamare i bambini a darci una mano, non solo perché hanno idee buone e per noi utili, ma perché saranno adulti migliori. 3 C. Baraldi, G. Maggioni (a cura di), Una città con i bambini. Progetti ed esperienze del Laboratorio di Fano, Donzelli, Roma 2000, pp. 102-112. 207 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 208 Dare loro la città e non solo servizi, assistenza, controlli, può essere un buon investimento: ce la restituiranno migliore. Migliore perché se il coinvolgimento è reale e non fittizio, i bambini cercheranno di rendere la città adatta ai loro bisogni e per fare questo saranno costretti a farla diventare migliore. Dovranno farla diventare di tutti perché sia anche la loro. Questo costerà evidentemente ai pochi che oggi la possiedono da soli, ma sarà un vantaggio per tutti, anche per quei pochi (anche se ci metteremo un po’ a capirlo e ad accettarlo). Pentiti e responsabili. Si potrebbe ragionare fra noi adulti, nei nostri luoghi di lavoro o di impegno civile, nelle famiglie, nelle scuole, nei Consigli comunali, nei partiti e nei sindacati su quello che hanno detto i due bambini di Fano. «Quando ho capito che potevo fare qualcosa, mi sono sentito responsabile». «Dopo ho visto che molti dei desideri si sono avverati e allora mi sono rimproverato». Mi sono sentito responsabile perché potevo fare qualcosa. Mi sono rimproverato per non essermi sempre impegnato, perché il mio impegno può far avverare dei desideri. E se provassimo a dirlo e a farlo anche noi, ciascuno di noi, cercando di stare all’altezza dei nostri bambini? Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 209 Un sindaco per i bambini «Praticamente ogni città ha il suo sindaco» (Reggio Emilia) Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 210 «P raticamente ogni città ha il suo sindaco». Con questa frase, detta da un bambino della scuola dell’infanzia di Reggio Emilia, comincia il capitolo dedicato al sindaco nel citato libro Reggio Tutta. È vero, ogni città ha il suo sindaco, ma non tutti i sindaci sono uguali. Si riporta di seguito, a chiusura di queste pagine dedicate al pensiero dei bambini, la voce di un sindaco, quello di Rosario1, attraverso una sua recente lettera a me indirizzata. Caro Francesco2, ho la grande soddisfazione di rivolgermi a te, accettando il tuo gentile invito a spiegare brevemente perché (e come) l’utopia realizzabile chiamata «La città dei bambini» è stata nella nostra gestione di governo un mobilitatore etico, un programma di trasformazioni e un nuovo modo di vedere la gestione pubblica. 1 Rosario è una città argentina della Provincia di Santa Fe, con più di un milione di abitanti, una volta polo industriale e ora, con la grave crisi economica, anche prima degli ultimi drammatici avvenimenti del dicembre 2001, oberata di problemi economici e sociali. Il sindaco ha aderito al progetto nel 1996 creando un Laboratorio «La ciudad de los niños» al quale collaborano rappresentanti dei diversi assessorati e settori dell’amministrazione. 2 Traduzione della lettera scritta da Hermes Binner, sindaco di Rosario, in risposta all’invito che gli avevo rivolto di raccontare le motivazioni sue e della città rispetto al progetto «La città dei bambini» e se e come questo avesse modificato il modo di interpretare e di vivere il suo ruolo di amministratore. I corsivi contenuti nel testo della lettera sono dello stesso Binner. 210 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 211 Un po’ di storia: il progetto «La città dei bambini», come ricorderai, risale alla fine del 1996 con la tua visita nella città di Rosario. Sembrava appassionante per noi questa «pedagogia tua» dell’infanzia autosufficiente, libera, indipendente, nella città e creativa nel momento di essere ascoltata. Per questo una Commissione intergovernativa (cioè formata dai rappresentanti di tutti gli assessorati dell’esecutivo), coordinata dall’Assessorato dei «Diritti» dei cittadini (Promozione sociale) si occupò di porre il progetto nella «testa» di tutti, cominciando dalle rispettive aree di governo. Questa commissione si collocò trasversalmente, garantendo una azione dinamica, senza vizi burocratici (come burocratizzare le energie dei bambini?!). In agosto del 1997 nacque il 1° Consiglio dei bambini. Si installò nella Zona Nord accompagnando il Programma di decentramento municipale, promovendo una maggiore partecipazione degli abitanti del quartiere e favorendo un ricco contributo di idee per fare la città più vivibile e solidale. Questo 1° Consiglio dei bambini prese l’iniziativa di promuovere il «Giorno del Gioco e della Convivenza» che fu approvato dal Consiglio municipale, con la tua presenza. Abbiamo capito allora che questa creazione dei bambini era un appello simbolico a fare della città, specialmente dello spazio pubblico, un luogo di incontro, dove si eguagliano le opportunità e si gioca, o si conversa, o ci si innamora, o si mangia sotto le stelle. Di fatto dal 1998 si continua a festeggiare il «Giorno del gioco» e si vanno aggiungendo le adesioni di istituzioni, scuole, ospedali, associazioni di quartiere, associazioni professionali che trovano nel gioco un’occasione umana di scambio non basato sul consumo frenetico e la mediatizzazione. Il 1° Consiglio dei bambini si rinnovò nel 1999 e il 2° Consiglio propose di continuare con l’idea, come diritto al gioco, di feste ludiche di incontro che si ripeterono nelle piazze con l’organizzazione dei genitori e degli abitanti dei quartieri. Il 2000 ci permise una crescita particolare: si inaugurò il Consiglio dei bambini della Zona Est. Storicamente questo è un distretto di pionieri. Vi si installarono lavoratori provenienti da tutte le Province (da tutti gli Stati), cercando nella città generosa un luogo migliore per le loro vite. Uno spazio di enormi disagi e di evidenti energie trasformatrici. I bambini di questo Consiglio hanno rivendicato un emozionante Diritto alla bellezza della loro città e hanno richiesto spazi verdi nel loro quartiere. Per accentuare la nostra coscienza e la nostra azione hanno iniziato La Campagna della Linea Verde, una linea di aree verdi 211 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 212 che attraversa il Distretto dalla Fattoria dell’Infanzia fino al Parco Indipendenza. Può esserci qualcosa di più impressionante di una serpentina verde che avanza dall’est fino al centro? Dobbiamo anche aggiungere la soddisfazione della città di Rosario per la menzione di onore «Premio Sindaci per la Pace» che ricevette dall’Unesco in Bolivia nel 1999 per questo progetto. Cosa ci ha insegnato il progetto «La città dei bambini»? Che governare non è pensare soltanto a una generazione. Un programma di governo che pensi seriamente alla trasformazione della città si realizza includendo tutte le generazioni. Cioè si fa anche con quelli che verranno. Come immaginare una città che si specchia nel fiume Paranà? Come realizzare un ambiente naturale e sociale basato sulla convivenza? Come riconciliare l’abitante di Rosario con la sua storia? Come integrare Rosario nella regione? È possibile questo senza pensare ai bambini o meglio senza coinvolgere i bambini? Possiamo affermare senza dubbi che da oggi Rosario dovrà fare i conti con i bambini. I Consigli dei bambini hanno sviluppato domande e proposte di grande sfida per la democrazia: tutte erano finalizzate a che la società multiculturale abbia un altro «senso del pubblico» e un altro impegno di cittadinanza. Per questo i bambini hanno influito significativamente sul nostro modo di intendere la politica come difesa del «pubblico» e come arte di nuove forme di convivenza. Le proposte dei Consigli e il rapporto con loro hanno fatto capire ai membri della nostra equipe di governo che non ha molto senso insegnare formalmente i diritti del bambino, senza renderli vivi e garantirli con atti concreti: giocare, esprimere opinioni, contribuire, partecipare, immaginare. Così questo progetto è una scuola vitale (non formale) di democrazia, senza dimenticare che dobbiamo proteggere i bambini, ma contemporaneamente dobbiamo insegnare loro ad essere liberi. Ogni azione realizzata per i bambini del Consiglio costituisce una enorme soddisfazione per i suoi partecipanti, perché sentono che sono stati effettivamente utili ai loro concittadini. Così «ascoltare i bambini» è un punto di partenza per una trama meravigliosa di azioni e nuovi concetti. Creare luoghi istituzionali perché 212 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 213 i minori possano essere ascoltati e dotare la democrazia di un «orecchio verde» (questo orecchio speciale che non dimentica l’infanzia e non è disposto a dire addio alla immaginazione). Tutto comincia come un gioco e finiamo per comprendere che è possibile governare con e per i bambini e questo è buono. I programmi sulla salute, l’educazione, la promozione sociale che riguardano l’infanzia, hanno una importanza enorme nella nostra gestione, ma molto meglio è governare con i bambini scommettendo di trasformare la città attraverso l’insieme delle persone che vivono in essa. I bambini garantiscono uno sguardo complessivo. I bambini sono il nuovo e garantiscono innovazione e immaginazione. I bambini ci impegnano sugli ideali etici e ci obbligano a non deporre i valori, ad accrescerli, a fare il possibile e l’impossibile sul terreno della verità, della uguaglianza e della solidarietà. La incorporazione dei bambini al pensiero e all’azione costituisce oggi una fonte inestimabile per l’avvenire della democrazia e oggi, esattamente oggi, sono il passaggio alla nuova cittadinanza. Governare con loro significa aver incontrato una «complicità» affascinante con quelli che non votano e hanno (di fronte a loro) un mondo (una prospettiva) grande per vincere, non solo per ragioni biologiche, ma perché non sono compromessi con le ingiustizie del presente. Grazie, Francesco, per averci permesso di costruire il tuo progetto nella nostra terra e a modo nostro. Cordialmente Dr. Hermes Juan Binner Sindaco della città di Rosario Il 20 novembre 2001 si è aperto il Consiglio dei bambini di Roma con una riunione solenne, in Campidoglio, alla presenza del sindaco e della Giunta. Nella seconda riunione del Consiglio abbiamo chiesto ai bambini se ritenevano che il sindaco avrebbe realizzato veramente le cose che loro avrebbero chiesto, così come aveva promesso. Quasi tutti hanno risposto di sì. Queste alcune motivazioni: 213 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 214 «Perché credo che le nostre idee possano veramente cambiare la città e si adattano anche a chi sta peggio di noi». «Perché ha bisogno dell’aiuto dei bambini per fare la città più bella per tutti». «Perché lui mantiene le promesse e io l’ho visto». «Perché lo ha promesso e secondo me la promessa la manterrà». «Perché poi si rimangerebbe la parola e sarebbe stato allora uno spreco di tempo». «Perché sennò non chiedeva il consiglio dei bambini». Cosa si potrebbe fare ascoltando i bambini? Scegliamo un sindaco per i bambini. Forse, quando si vota per il sindaco, si potrebbe scegliere una persona che sia veramente disposta ad essere «praticamente», cioè per davvero, nelle cose concrete e non solo nelle affermazioni e nei programmi, il sindaco della «sua» città. E la sua città non sono solo le macchine, le case e i monumenti, ma innanzi tutto i suoi cittadini. E per essere sicuri che saprà essere il sindaco di «tutti» i cittadini bisognerebbe scegliere una persona che ami i bambini, che sia disposta a confrontarsi con loro, a dar loro la parola, ad ascoltarli e a tenere conto delle loro esigenze. Forse allora la città saprà tornare ad essere «quella che attraverso gli anni e le mutazioni continua a dare la loro forma ai desideri» o, come diceva in un’intervista Gabriel Garcia Marquez: «Una città dove vale la pena crescere dei figli». Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 215 Conclusioni Appunti per una nuova cultura dell’infanzia Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 216 Il bambino di domani Il bambino è considerato dai genitori, dagli insegnanti, dagli istruttori, come un soggetto da educare, che ha valore per quello che sarà domani. Educare vuol dire tirar fuori qualcosa che ancora non c’è e che domani ci sarà: la futura donna, il futuro uomo, il futuro cittadino. Significa preparare al futuro. Il bambino vero, quello di oggi, viene continuamente negato. È inesistente, trasparente. Il figlio deve mangiare molto per diventare grande come mamma o papà; l’alunno deve studiare per diventare un biologo o un architetto. Non importa se oggi non capisce quello che gli spiegano o che deve imparare, saranno nozioni utili domani. Il modello di adulto che viene proposto al bambino come parametro per il suo domani siamo noi, i suoi genitori, i suoi insegnanti. Si compie quindi un progetto educativo conservatore, che propone il passato come modello del futuro, che tende a garantire che il futuro sia il più possibile simile al passato. Questo modo di leggere l’infanzia corrisponde a una teoria sul bambino, una teoria certamente superata per la psicologia dello sviluppo cognitivo, ma ancora presente nelle pratiche educative e di allevamento del bambino, che potrebbe essere rappresentata dal grafico che segue. Si pensa quindi che il bambino parta da un livello basso di conoscenza e di capacità, che crescerà gradualmente e lentamente nei primi anni e che avrà un’esplosione intorno all’inizio dell’esperienza scolastica primaria. Si ritiene che fino ad allora le conoscenze siano poche e semplici, che le cose importanti verranno 216 Tonucci.QXD 17-11-2005 età 0 21:51 Pagina 217 6-8 Figura 1. La curva descrive l’andamento dello sviluppo dell’uomo nella prima infanzia. La linea orizzontale rappresenta l’età del bambino a partire dal punto 0 della nascita e la linea verticale l’andamento del suo sviluppo. dopo, e per questo bisogna prepararsi per quello che verrà. Tutto il processo educativo è proiettato verso il futuro, è basato sull’ipotesi che le cose importanti verranno sempre dopo: la scuola dell’infanzia prepara alla scuola elementare, questa alla media, questa alla superiore e questa all’università. Ogni insegnante vive nel timore del collega del livello successivo ed è convinto che quello del livello precedente poteva fare meglio e di più. In quest’ottica, nei primi anni non avviene niente di importante e l’attività prevalente è il gioco, considerato intrattenimento e poco più che perdita di tempo. Spesso gli adulti dicono ai bambini: «Gioca ora che puoi, ché poi dovrai fare cose più importanti». Questa concezione dell’infanzia prevede un’educazione infantile di basso livello, affidata a insegnanti poco preparati1. Ri1 In Italia, fino a pochi anni fa, prima della recente riforma che richiede il titolo universitario per tutti gli insegnanti, il numero di anni di formazione dei 217 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 218 tiene che lo sviluppo infantile sia fortemente legato a un processo di acquisizione passiva, alla capacità dei docenti di insegnare le tante cose nuove che gli allievi non conoscono ancora e alla disponibilità dei bambini di ascoltare e imparare con buona volontà e consapevolezza della propria ignoranza. La curva diventa un modello e viene interiorizzata sia dai docenti che dagli allievi: si tratta di passare gradualmente e progressivamente da livelli bassi a livelli sempre più alti di conoscenza e di abilità. Se la scuola interpreta così questa concezione dell’infanzia, anche la città ne ha dato una interpretazione coerente. Fino a pochi decenni fa il bambino non era conosciuto e riconosciuto. Le città erano fatte per tutti e i bambini cercavano di intrufolarsi negli spazi di tutti cercando di patteggiare con i genitori e con gli adulti il loro tempo libero, i loro spazi di gioco, il loro bisogno di esplorazione e di avventura. Terminata la scuola e i compiti per casa, i bambini potevano vivere le loro esperienze insieme ai compagni di gioco fuori di casa, in uno spazio urbano reale formato da cortili, marciapiedi, strade, piazze e giardini, in cui incontravano, a volte anche con rapporti conflittuali, gli adulti nelle loro mansioni lavorative o nei loro momenti di riposo. Questo spazio-tempo si dilatava con l’aumentare delle capacità dei bambini confermando e rafforzando la loro autonomia. Oggi la città non si può più considerare di tutti. Ha scelto un cittadino privilegiato, l’adulto produttivo, e la dimostrazione evidente ce la offre lo strapotere dell’automobile che possiamo considerare il suo strumento e giocattolo preferito. In questa città profondamente mutata si è pensato di dedicare ai bambini degli docenti era direttamente proporzionale all’età degli alunni: di tre anni per gli insegnanti delle scuole dell’infanzia, di quattro per quelli di scuola elementare e di nove-dieci, dopo l’università, per le scuole medie. La società quindi riteneva che fosse sufficiente un percorso formativo più breve per insegnare ai più piccoli. Fortunatamente questo non ha mai significato che gli insegnanti dei livelli iniziali fossero meno preparati e meno capaci dei loro colleghi. Nei tanti anni di attività di formazione dei docenti ho potuto verificare che proprio gli insegnanti dei nidi e delle scuole dell’infanzia erano i più sensibili e più presenti ai momenti di aggiornamento e di riflessione sul loro lavoro. 218 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 219 spazi specializzati e riservati, una specie di riserve indiane, nelle quali possano essere garantite le loro necessità di svago, di sviluppo e di apprendimento. Nascono così le camerette dei bambini nelle case, i nidi d’infanzia, le scuole dell’infanzia, le ludoteche, i giardinetti per bambini, i supermercati di giocattoli, fino ai grandi parchi di divertimento. Scompaiono invece i bambini dalle scale, dai cortili, dai marciapiedi, dalle strade, dalle piazze, dai giardini, tutti luoghi considerati pericolosi. Se un bambino deve uscire di casa lo farà accompagnato dai genitori e possibilmente trasportato in macchina, anche per brevi percorsi. Coerentemente con la teoria dell’infanzia descritta dalla curva sopra rappresentata, il bambino è considerato un essere in potenza, un «futuro cittadino», che per i primi anni, quelli di basso livello, va principalmente tutelato e protetto, per poter arrivare indenne agli anni importanti della sua piena cittadinanza. Un essere quindi da amare, ma sul quale si può fare uno scarso affidamento. Tutti gli adulti sono consapevoli che stanno privando i bambini di oggi di esperienze che per loro, bambini di ieri, sono state importanti, ma pensano che sia un male minore, un lusso che oggi non ci si può concedere e che ci sono, grazie all’aumentato benessere economico e alle tecnologie, tanti nuovi strumenti che possono ampiamente compensare questa forzata privazione. Grazie ai tanti giocattoli, alle tante offerte formative, sportive ed espressive pomeridiane, alla televisione e a Internet i bambini possono restare molto tempo da soli e «contenti», possono sentirsi e collegarsi con i loro compagni per telefono e tramite la posta elettronica. L’opinione della ricerca scientifica: quali costi pagano i bambini Prima di presentare la corretta interpretazione dello sviluppo infantile, che si oppone a quella descritta da questa prima curva, mi sembra utile esaminare con attenzione i contributi della ricerca scientifica, che descrivono il costo eccessivo che i cittadini più piccoli pagano a causa dei cambiamenti recenti delle città. 219 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 220 Spesso le proposte infantili vengono considerate dagli adulti come ingenue pretese di persone impreparate. Richieste originali ma improponibili, interessanti ma utopistiche; romantici richiami a un passato che il progresso rende ormai per sempre perduto. È interessante notare come i ricercatori arrivino a denunciare situazioni e a proporre soluzioni molto simili a quelle dei bambini presentate in questo libro. La forza dei dati della ricerca scientifica potrà sostenere la battaglia dei bambini, convincendo quelle persone che non sono capaci di ascoltarli, capirli e accettarli, ma che forse saranno disposte ad arrendersi di fronte alle opinioni dei loro colleghi adulti e scienziati. Come già sottolineato, i bambini trascorrono la maggior parte del loro tempo in luoghi chiusi, dove svolgono attività organizzate e controllate dagli adulti; hanno una mobilità autonoma estremamente limitata e ritardata rispetto all’età; spesso non hanno sorelle o fratelli e non hanno la possibilità di cercarsi in modo autonomo degli amici; soffrono insomma di una nuova «patologia» infantile tipica dei paesi sviluppati e degli ambienti urbani: la solitudine2. Il bambino è escluso dalla città, la sua integrazione sociale si verifica solo in ambienti appositamente pensati per lui, con compagni che non sceglie e con adulti che hanno una precisa funzione di insegnamento e di controllo. Questo significa che nelle loro esperienze di gioco i bambini non possono assistere alle attività degli adulti e quindi hanno minori possibilità di acquisire conoscenze e abilità attraverso l’osservazione e l’imitazione3. La nostra società è capace di forti dichiarazioni di intenti alle quali però corrispondono capacità di realizzazione deboli: a distanza di dodici anni dall’approvazione della Convenzione i bambini sono di fatto esclusi dai processi e dalle decisioni di pianificazione del loro ambiente; questa emarginazione impedisce 2 F. Tonucci, La solitudine del bambino, La Nuova Italia, Firenze 1995. D. Germanos, La relation de l’enfant à l’espace urbain: perspectives éducatives et culturelles, in «Architecture & Comportement», XI, 1995, pp. 54-63. 3 220 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 221 loro di ritenersi capaci di assumere un ruolo attivo nel modellare il proprio ambiente4. È ancora attuale la definizione di gruppo outsider data da Matthews per descrivere la posizione dei bambini nella società. Questo autore, infatti, sosteneva che la visione del paesaggio urbano da parte dei pianificatori e degli architetti riflette la percezione dominante di una società, così che i gruppi che già si trovano «al limite» vengono ancora più marginalizzati dalle politiche del territorio5. Giocare fuori casa. Il gioco del bambino con il suo corpo e con il corpo della madre, l’esplorazione dello spazio vicino, l’uso degli oggetti per conoscere, per conoscersi, per simulare, l’incontro con l’altro per giochi più ricchi, articolati e complessi, la definizione delle regole, sono elementi fondamentali per una crescita armonica. L’importanza dell’attività ludica per l’intero sviluppo della donna e dell’uomo non solo è dimostrata da numerose ricerche, ma è anche riconosciuta come diritto dalla Convenzione. Tuttavia, nonostante questo, per un bambino di oggi è difficile, se non impossibile, giocare fuori casa, nella sua città. La città storica, dove non c’erano luoghi previsti per i bambini, si offriva al bambino come uno spazio misterioso e vario, ricco di stimoli e di sorprese. Lo spazio per giocare era intrigante perché vario ed esteso, aveva dei confini flessibili; l’incontro con l’altro era cercato e non temuto, la sicurezza era ottenuta grazie a un continuo processo di appropriazione dello spazio da parte del bambino. La città moderna invece assume sempre più l’aspetto di un insieme di spazi recintati, di piccole dimensioni, destinati a funzioni definite e per queste, e solo per queste, arredati. In questi spazi dedicati al gioco non c’è imprevisto, la percezione dello spazio è immediata e conclusa nel momento stesso in cui si com4 S.E. Sutton, Enabling children to map out a more equitable city, in «Children’s Environments», IX, 1992, pp. 37-48. 5 M.H. Matthews, Living on the edge: Children as “outsiders”, in «Tijdschrift voor Economische en Sociale Geografie», LXXXVI, 1995, pp. 456-466. 221 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 222 pie, la sicurezza è ottenuta grazie alla netta separazione tra interno ed esterno6. Negli ultimi decenni si è profondamente modificato l’uso degli spazi pubblici da parte dei bambini: il permesso di stare fuori casa senza il controllo dei genitori è concesso ai bambini sempre più tardi, mentre si è ridotta la varietà e la qualità dei luoghi nei quali possono muoversi; sono aumentate le limitazioni poste dagli adulti e il numero delle professionalità che hanno il compito di sorvegliare le attività dei bambini7. In questa esasperata esigenza di protezione e di tutela garantita dalla continua presenza di adulti e dalla creazione di luoghi per l’infanzia progettati con criteri di sicurezza e di controllo, è diventato impossibile per i bambini vivere esperienze di rischio. Il rischio va considerato una componente essenziale del gioco: è nell’incontro con difficoltà nuove e nel loro superamento che si prova la consapevolezza e la soddisfazione di un apprendimento. Questo produce piacere, consolida il livello raggiunto e spinge a nuovi traguardi: a prove più difficili, a spazi più ampi, a relazioni più articolate. I bambini affrontano rischi commisurati alle loro capacità, perché il loro obiettivo è il superamento della prova e non una temeraria e cinica sfida (atteggiamenti sconosciuti ai bambini). Tutto questo è fatalmente inibito dalla presenza degli adulti che non possono esimersi dal controllo e dalla tutela8. Le diverse modalità di appropriazione degli spazi pubblici del quartiere da parte dei bambini, in particolare l’accesso agli spazi per il gioco, la possibilità di muoversi autonomamente e la loro valutazione degli spazi aperti del quartiere sono influenzati dalla progettazione dell’ambiente urbano9. Tra lo spazio e le attività lu6 L. Bozzo, Il gioco e la città, in «Paesaggio urbano», II, 1995, pp. 30-33. S. Gaster, Urban children’s access to neighbourhood, in «Environment & Behavior», XXIII, 1991, pp. 70-85. 8 F. Tonucci, A. Rissotto, Why do we need children’s participation? The importance of children’s participation in changing the city, in «Journal of Community and Applied Social Psychology», XI, 2001, pp. 407-419. 9 M.V. Giuliani, F. Alparone, S. Mayer, Children’s appropriation of urban spaces, Paper presented at the Urban Childhood International Conference, Trondheim (Norway) 1997. 7 222 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 223 diche esiste una relazione complessa. Le strade e le piazze vicine alle abitazioni, diversamente da quello che si verifica per i giardini privati, promuovono l’incontro con un numero maggiore di coetanei, consentono la realizzazione di giochi diversi e permettono ai bambini di acquisire familiarità con l’ambiente, che viene percepito come uno spazio semiprivato10. Le attività che il bambino svolge nel suo ambiente di vita sono influenzate anche dalla «naturalità» dei luoghi: negli spazi dotati di prati e alberi i giochi creativi sono più frequenti di quanto non lo siano nelle aree prive di vegetazione11. Se la domanda sociale rispetto al gioco nei luoghi pubblici è quella della sicurezza, della separazione e del controllo, le città realizzeranno spazi dedicati ai bambini, rigorosamente orizzontali per facilitare la vigilanza degli adulti, separati da recinzioni e dotati di arredi stereotipati nei quali saranno possibili solo i giochi per i quali sono stati progettati12. Questi favoriscono soprattutto la dimensione motoria, ma tendono ad inibire l’espressività ludica13; non promuovono la socializzazione fra i bambini, privilegiano le relazioni tra gli adulti e i bambini, risultando inadeguati a soddisfare le esigenze ludiche di questi ultimi14. L’ambiente dovrebbe invece essere ricco e stimolante in modo da offrire ai bambini diverse possibilità di interazione e appropriazione; questo si realizza solo dando loro libero accesso ai diversi spazi della città15. 10 G. Brougère, Espace de jeu et espace public, in «Architecture & Comportement», VII, 1991, pp. 165-177. 11 A.F. Taylor, A. Wiley, F.E. Kuo, W.C. Sullivan, Growing up in the inner city: green spaces as places to grow, in «Environment and Behavior», XXX, 1998, pp. 3-27. 12 J. Marillaud, Jeu et securité dans l’espace public, in «Architecture & Comportement», VII, 1991, pp. 137-145. 13 A. Danacher, Contraintes de l’espace ludique aménagé, in «Architecture & Comportement», VII, 1991, pp. 153-165. 14 J. Ader, H. Jouve, Jeu et contexte urbain, in «Architecture & Comportement», VII, 1991, pp. 115-119. 15 R. Moore, Playground at the crossroad?, in I. Altman, E.H. Zube (a cura di), Human behavior and environment, vol. 10, Public places and space, Plenum Press, New York 1978, pp. 83-127; Ader, Jouve, Jeu et contexte urbain cit. 223 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 224 Negli ultimi anni in molte città si è sviluppata una politica di difesa e di potenziamento del verde pubblico, ma parchi e giardini sono spesso lontani dalle abitazioni e, in genere, richiedono l’accompagnamento dei bambini da parte dei genitori. Per questo si va affermando un movimento per la riutilizzazione dei cortili condominiali e l’invito a liberarli dalle auto in sosta per restituirli ad un uso sociale16. Una ricerca condotta a Roma mostra che questi spazi «vicini» possono diventare luoghi molto importanti per i bambini più piccoli, che vi possono vivere le prime esperienze di autonomia e di incontro con altri bambini e con figure adulte diverse dai genitori. È emerso inoltre che il cortile è più utilizzato dai bambini come spazio di gioco rispetto al parco e alle strade private e che esiste una correlazione positiva tra l’autonomia di spostamento e la possibilità di utilizzare questi spazi17. Muoversi da soli. Sessanta anni fa, come si è detto, la mobilità di un bambino nell’età della scuola elementare non era molto differente da quella dei suoi genitori. Oggi la mobilità dell’adulto è grandemente aumentata, ma parallelamente quella dei bambini si è ridotta notevolmente, in gran parte per il rischio introdotto dalle automobili18. Il fenomeno che Parr poteva descrivere già alla fine degli anni Sessanta ha oggi assunto caratteristiche paradossali: la pretesa di mobilità degli adulti, scrupolosamente accolta dalle scelte urbanistiche e di mobilità urbana negli ultimi decenni, ha di fatto annullato la possibilità di mobilità autonoma dei loro figli e dei loro vecchi. La diminuzione dell’autonomia del bambino non riguarda solo la possibilità di compiere ampi spostamenti nel tessuto urbano. 16 M. Drum, Monaco: l’esperienza di Urbanes Wohnen per la riqualificazione degli spazi urbani, in «Paesaggio urbano», II, 1995, pp. 64-77. 17 M. Prezza, S. Pilloni, C. Morabito, C. Sersante, F.R. Alparone, M.V. Giuliani, The influence of psychological, social and urban factors on children’s independent mobility and relationship to peer frequentation, in «Journal of Community and Applied Social Psychology», XI, 2001. 18 A.E. Parr, The children in the city: Urbanity and urban scene, in «Landscape», primavera 1967, pp. 125-128. 224 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 225 Un numero crescente di bambini è accompagnato a scuola da un adulto, in genere in automobile. Sempre meno bambini possono attraversare la strada da soli, recarsi autonomamente a scuola o nei luoghi di svago, guidare una bicicletta in spazi pubblici19. Una ricerca condotta in tre quartieri della città di Roma, che ha coinvolto bambini dagli otto agli undici anni di età, ha evidenziato infatti che il 13,5% va sempre a scuola da solo, il 68,3% è sempre accompagnato da adulti e il 18,2% va occasionalmente a scuola da solo20. Alcuni elementi del tessuto urbano più di altri hanno delle ricadute negative sulla mobilità dei bambini. Gli attraversamenti delle strade sono elementi cruciali nella rete dei percorsi pedonali. Sono luoghi particolarmente pericolosi e per questa ragione rappresentano delle vere barriere cognitive che impediscono ai bambini di appropriarsi della città21. La diminuzione dell’autonomia di spostamento dei bambini è un fenomeno preoccupante anche perché molte ricerche hanno evidenziato che l’acquisizione di conoscenza ambientale è influenzata positivamente dall’esperienza personale che i bambini hanno di un dato ambiente22. Una ricerca realizzata a Roma mostra che in bambini di età compresa tra gli otto e gli undici anni l’autonomia di spostamento influenza sia la rappresentazione di percorsi familiari che la rappresentazione del quartiere23. 19 M. Hillman, Children transport and quality of life, Policy Studies Institute, London 1993. 20 Giuliani, Alparone, Mayer, Children’s appropriation of urban spaces cit. 21 L. Bonanomi, L’enfant et la traversée de la chaussée, in «Architecture & Comportement», X, 1994, pp. 399-406. 22 R. Hart, Children’s experience of place, Irvington, New York 1979; C. Spencer, Z. Darvizeh, The case for developing a cognitive environmental psychology that does not understimate the abilities of young children, in «Journal of Environmental Psychology», I, 1981, pp. 21-31; S.L. Cohen, R. Cohen, The role of activity in spatial cognition, in R. Cohen, The development of spatial cognition, Hillsdale, New Jersey 1985; G. Torell, A. Biel, Parental restrictions and children’s acquisition of neighbourhood knowledge, in T. Garling, J. Valsiner (a cura di), Children within environments: Toward a psychology of accident prevention, Plenum Press, New York 1985. 23 A. Rissotto, F. Tonucci, Freedom of movement and environmental know- 225 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 226 Armstrong, che ha studiato l’influenza della diminuzione della mobilità autonoma sullo sviluppo fisico dei bambini, ha evidenziato che il 50% delle ragazze di età compresa tra i dieci e i sedici anni e il 30% dei ragazzi della stessa età non compiono un percorso di dieci minuti a piedi al giorno24. L’ampiezza dello spazio mutevole di autonomia e di socializzazione (home range) è negoziata dai bambini con i loro genitori e dipende da fattori come l’età, il sesso, il contesto ambientale (urbano, suburbano, rurale). Dipende anche dalle paure ambientali dei genitori e dei bambini, dalla piacevolezza del paesaggio, ecc. In particolare Hart ha evidenziato che il sesso è associato a consistenti differenze di ampiezza dell’home range a partire dagli otto-dieci anni di età. Questa differenza è dovuta non solo ad una maggiore protezione delle femmine, ma anche al fatto che i genitori ritengono che ai bambini è necessaria una maggiore libertà per acquisire un adeguato ruolo maschile. I maschi, inoltre, trasgrediscono le limitazioni parentali più frequentemente delle femmine25. È evidente che lo sviluppo della mobilità autonoma nei bambini è influenzato non solo dalla reale pericolosità dell’ambiente, ma anche dalla percezione dei rischi nei genitori e nei bambini stessi. Il concetto di rischio è molto ampio, perché i timori e le preoccupazioni riguardano non solo il pericolo di incidenti fisici, ma anche l’inquinamento dell’aria, il rumore, le limitazioni presenti nell’ambiente esterno per i bambini, la diminuzione della loro libertà di movimento, la loro separazione da altri bambini e dagli adulti26. La percezione dei rischi è diversa nei bamledge in elementary school children, in stampa su «Journal of Environmental Psychology». 24 N. Armstrong, Independent mobility and children’s physical development, in Hillman, Children transport and quality of life cit. 25 Hart, Children’s experience of place cit.; Id., Children’s spatial representation of the landscape: Lessons and questions from a field study, in L.S. Liben, A.H. Patterson, N. Newcombe (a cura di), Spatial representation and behavior across the life span: Theory and application, Academic Press, New York 1981, pp. 195-233. 26 P. Björklid, Children – traffic – environment, in «Architecture & Comportement», X, 1994, pp. 361-369. 226 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 227 bini e nei genitori. I genitori, ad esempio, diversamente dai loro figli, considerano gli incidenti stradali come gli eventi più probabili e gravi27. Anche la valutazione delle capacità e delle competenze dei bambini da parte dei genitori influenza la loro autonomia e il tipo di interazione che questi hanno con l’ambiente28. Ampofo-Boateng e Thomson sottolineano che le limitazioni di autonomia sono dovute più alle paure dei genitori che alle reali incapacità dei bambini, ad esempio rispetto ai pericoli del traffico29. Blakely mostra come le paure dei genitori di rapimenti, aggressioni, nei confronti dei figli, sono amplificate dai media che determinano così un incremento nella percezione della pericolosità dell’ambiente urbano30. Volpi fa un’ampia analisi di come i dati reali in nostro possesso non giustifichino il grande allarme sociale che negli ultimi anni si sta creando intorno alle violenze sui bambini, di come incida su questo fenomeno collettivo uno scorretto uso dei dati da parte dei mezzi di comunicazione e di come le stesse associazioni che dovrebbero difendere i bambini finiscano per assumere scorretti atteggiamenti allarmistici31. Baraldi e Maggioni, 27 T. Lee, N. Rowe, Parent’s and children’s perceived risk of the journey to school, in «Architecture & Comportement», X, 1994, pp. 379-389. 28 Hart, Children’s experience of place cit.; C. Spencer, M. Blades, Children at risk: Are we understimating their general environmental competence whilst overstimating their performance?, in Garling, Valsiner (a cura di), Children within environments cit., pp. 39-49. 29 K. Ampofo-Boateng, J.A. Thomson, Children’s perception of safety and danger on the road, in «British Journal of Psychology», LXXXII, 1991, pp. 487505; Idd., A developmental and training study of children’s ability to find safe routes to cross the road, in «British Journal of Developmental Psychology», XI, 1993, pp. 31-45. 30 K.S. Blakely, Parents’ conceptions of social dangers to children in the urban environment, in «Children’s Environments», XI, 1994, pp. 16-25. 31 «...non possiamo non chiederci se proprio i dati che Telefono Azzurro dichiara non dovrebbero suggerire a questa associazione una lettura meno allarmata (e non di rado allarmistica) della realtà del fenomeno delle violenze e degli abusi sui minori, e segnatamente sui bambini, oggi in Italia». R. Volpi, I bambini inventati. La drammatizzazione della condizione infantile oggi in Italia, La Nuova Italia, Milano 2001, p. 11. 227 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 228 inoltre, sottolineano l’esistenza di una relazione tra i modelli genitoriali e l’acquisizione di autonomia da parte dei bambini. I genitori che associano al loro ruolo atteggiamenti di tutela, infatti, tendono a proteggere i loro figli quasi senza tenere conto delle abilità dei bambini e della reale pericolosità dell’ambiente32. I bambini sono ben consapevoli dei pericoli presenti nel loro ambiente. Le loro preoccupazioni per l’inquinamento, il traffico, la criminalità e l’inciviltà non possono essere correlate solamente alla ripetizione di timori parentali o alle opinioni diffuse dai media33. Confrontando le caratteristiche e le risorse dei diversi contesti ambientali, si è evidenziato che la libertà dei bambini è penalizzata soprattutto in città, in particolare in centro e nei quartieri più vecchi, dove il tessuto urbano ha subito una forte frammentazione, una rigida separazione di funzioni, un aumento del traffico e del livello di inquinamento. I piccoli centri costituiscono invece un ambiente più favorevole all’autonomia di movimento per la presenza di aree verdi non strutturate dove è possibile inventare giochi e costruire giocattoli con materiali naturali34. Il bambino di oggi Le premesse indicate all’inizio del capitolo sono sbagliate: non è vero che tutto succede dopo; è vero esattamente il contrario, tut32 C. Baraldi, G. Maggioni (a cura di), Una città con i bambini. Progetti ed esperienze del Laboratorio di Fano, Donzelli, Roma 2000. 33 H. Woolley, C. Spencer, J. Dunn, G. Rowley, The child as citizen, in «Journal of Urban Design», IV, 1999, pp. 255-282. 34 S. Kegerreis, Independent mobility and children’s mental and emotional development, in Hillman, Children transport and quality of life cit., pp. 7-18; M. Kitta, The affordances of urban, small town, and rural environments for children, Paper presented in the International Conference Building Identities: Gender Perspective on Children and Urban Space, Amsterdam 1995; K. Tsoukala, La ville en tant qu’environment d’esperiences pour l’enfant, in «Architecture & Comportement», XI, 1995, pp. 63-68; M. Herlin-Norinder, Children, environment and independent mobility, Paper presented at IAPS 14 Conference, Stockholm (Sweden) 1996. 228 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 229 to succede prima. Il periodo di gran lunga più importante di tutta la vita, nel quale si decidono le basi su cui tutta la personalità, la cultura, le abilità della donna e dell’uomo si costruiranno, è quello dei primi giorni, dei primi mesi e dei primi anni35. La prima curva è sbagliata. Questo diverso modo di considerare lo sviluppo infantile, coerente con le descrizioni degli studi di psicologia genetica e di psicologia evolutiva, può essere rappresentato dalla curva che segue. età 0 6-8 Figura 2. Questa curva descrive il percorso evolutivo di un bambino che sa, che comincia a sapere perlomeno dal momento della nascita e che ha il suo massimo sviluppo nei primi giorni, nei primi mesi e nei primi anni di vita. In questo periodo si svilupperà più di quanto non avverrà in tutto il resto della sua vita. La curva dello sviluppo inizia alta, si impenna subito, alla nascita, per poi flettere proprio negli anni della scuola. Il bambino vive quindi in 35 A chi gli chiedeva quale fosse stato l’anno più importante della sua vita Sigmund Freud rispose: «L’anno più vantaggioso della mia vita è stato il primo». 229 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 230 questo primo periodo le esperienze decisive, pone le fondamenta per tutta la costruzione successiva, sociale, cognitiva, operativa. Ma come avviene questa crescita prodigiosa nei primi anni di vita? Certamente non secondo la tradizionale relazione insegnamento-apprendimento. Il bambino piccolo non ha vicino a sé dei maestri, ma solo i suoi genitori e poi i parenti, i vicini, gli adulti e gli altri bambini che incontra occasionalmente. Tutte persone che non sono professioniste dell’educazione, che non hanno metodi e programmi e si affidano al buon senso e alle tradizioni. Il bambino non utilizza neppure materiali didattici o libri di testo. Bisogna riconoscere che il merito di questo incredibile percorso si deve attribuire all’attività ludica, l’attività propria di questo primo periodo della vita. Naturalmente qui si dà un’interpretazione ampia di tale attività includendo i primi giochi del bambino con il proprio corpo e con il corpo della madre, le prime esplorazioni degli oggetti, le prime conquiste dello spazio e poi la scoperta di spazi più grandi, di nuovi oggetti, di nuove persone. Quello che caratterizza questa frenetica attività è il desiderio di fare, capire, provare, scoprire sempre qualcosa di più, sempre qualcosa di nuovo, usando tutte le risorse a disposizione: la bocca, gli occhi, le mani (Freinet, nel suo metodo naturale, chiamava tâtonnement l’esplorazione con le mani, il modo corretto di apprendere). Questo andare verso il nuovo, spostare il limite un po’ più in là, rischiare un po’ di più è l’atteggiamento tipico della ricerca. Possiamo dire che la conoscenza nel bambino inizia e si sviluppa come attività di ricerca36. È proprio lo scoprire cose nuove, il rendersi conto di saper fare qualcosa di più che produce soddisfazione e piacere ed è questo che il bambino comunica alla madre quando torna eccitato dai suoi giochi. Purtroppo non sempre gli adulti sanno capire e apprezzare e spesso spengono gli entusiasmi dei piccoli con i so36 F. Tonucci, La ricerca come alternativa all’insegnamento, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1972; Id., A tre anni si fa ricerca, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1976. 230 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 231 liti rimproveri: «Guarda come ti sei conciato!», «Corri a lavarti le mani!», «Adesso basta perdere tempo!». È proprio grazie a quelle mani sporche, a quel tempo perduto che la curva cresce e il bambino costruisce il suo futuro. La curva descrive bene come tutto succeda prima e come ogni livello abbia la grande responsabilità di valorizzare le conquiste che il livello precedente ha raggiunto prima ancora di preoccuparsi di preparare il livello successivo. Per questo è corretto pensare che i migliori e maggiori investimenti vadano dedicati ai primi livelli di vita, di apprendimento e di esperienza. La scuola potrà costruire su queste fondamenta, se saranno buone, ma potrà fare pochissimo se le fondamenta saranno insufficienti. Un corretto processo educativo dovrebbe sempre preoccuparsi del presente, cercando di non rovinare quello che è stato fatto nel passato e di utilizzarlo in tutte le sue potenzialità. Un figlio dovrebbe realizzare ogni giorno i suoi desideri: se questo non è possibile dovrebbe essere messo in grado di capire perché, dovrebbe oggi sentirsi compreso e apprezzato, per essere domani un adulto sereno e sicuro. Un alunno dovrebbe imparare ogni giorno quello che gli serve a risolvere problemi la cui soluzione gli è necessaria, per essere soddisfatto, curioso, affascinato dalle cose che ancora non sa e che vorrà imparare. Il bambino da tenere presente, da ascoltare, da difendere e da amare è il bambino di oggi, con quello che sa e che sa fare, con i suoi sentimenti. La nuova cultura dell’infanzia è la cultura del presente, del bambino di oggi. Ma il bambino di oggi è preoccupante, eversivo, rivoluzionario, perché è diverso da noi adulti: pensa diversamente da noi; vede le cose da un altro punto di vista che non è sbagliato, ma solo diverso; vive sentimenti profondi, esplosivi; ha bisogni spesso conflittuali con i nostri. Tener conto delle sue esigenze e delle sue idee può comportare profondi adattamenti e rinunce negli adulti. Questo bambino così lontano da noi e così bisognoso del nostro aiuto e del nostro affetto; difficile da ascoltare e da capire ha in sé una forza rivoluzionaria: se siamo disponibili a metterci al231 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 232 la sua altezza e a dargli la parola, sarà capace di aiutarci a capire il mondo e ci darà la forza per cambiarlo. L’opinione della ricerca scientifica: i bambini sono capaci Anche rispetto alle competenze e alle possibilità di partecipazione dei bambini la ricerca scientifica ci offre interessanti contributi che confortano il nostro progetto e le proposte infantili presentate in questo libro. Diversi autori ritengono che i bambini e i giovani siano capaci di effettuare interessanti analisi del loro ambiente di vita e di produrre idee creative per la progettazione37. Parallelamente la «nuova» sociologia riconosce ai bambini il ruolo di attori sociali che interagiscono con persone, istituzioni e ideologie e che modellano uno spazio per loro stessi nei loro mondi sociali. Partecipazione. Diversi autori, mettendo in discussione la rigida distinzione tra il sapere degli esperti e la conoscenza dei cittadini, offrono un’ulteriore ragione per la realizzazione di esperienze di partecipazione infantile: il coinvolgimento dei bambini ha delle ricadute positive per la qualità di vita dell’ambiente urbano. Paba ritiene che la trasformazione della città dipende sempre più dalla capacità di sollecitare le competenze diffuse della popolazione a partire dalla specificità del punto di vista dei bambini38. Noi sosteniamo che il coinvolgimento attivo del bambino 37 A questo proposito si veda S. Iltus, R. Hart, Partecipatory planning and design of recreational spaces with children, in «Architecture & Comportement», X, 1994, pp. 361-370; R. Hart, Children’s participation: The theory and practice of involving young citizens, in Community development and environmental care, Earthscan, London 1997; A. Rissotto, Da bambino farò un parco: quando i bambini progettano, in L. Amodio, C. Majorano, C. Riccio, I bambini trasformano la città. Metodologie e buone prassi della progettazione partecipata con i bambini, Ministero dell’Ambiente, Ercolano 2001. 38 G. Paba, Partecipare per costruire la città, in Ministero dell’Ambiente (a cura di), Le bambine e i bambini trasformano le città: progetti e buone pratiche per la sostenibilità nei comuni italiani, Litografica, Firenze 2000. 232 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 233 è una condizione necessaria per la reale trasformazione dell’ambiente urbano perché il suo sguardo sulla città è capace di riassumere e rappresentare le esigenze di tutti i cittadini39. Sia tra gli psicologi che tra gli architetti si sta affermando l’idea che il coinvolgimento infantile può produrre progetti di migliore qualità rispetto a quelli elaborati dai tecnici. Confrontando i progetti ideati dai bambini con quelli prodotti dai tecnici, per uno stesso spazio verde, Horelli ha evidenziato che i progetti dei bambini, più di quelli dei tecnici, promuovevano tipi diversi di incontro e di scambio sia tra pari che con gli adulti40. Francis sostiene che la Progettazione partecipata ai bambini permette di realizzare interventi capaci di soddisfare le esigenze di gruppi sociali che hanno preferenze ambientali e modalità di uso diverse41. Analogamente Rissotto ha messo in evidenza che i bambini coinvolti nella progettazione di aree verdi elaborano proposte per la realizzazione di spazi polifunzionali, capaci di soddisfare le esigenze di diversi soggetti sociali42. Molte esperienze di partecipazione infantile riguardano la progettazione di spazi verdi, ma alcuni studi evidenziano che i bambini possono contribuire anche alla soluzione di problemi prodotti dal traffico automobilistico43. Appartenenza e cittadinanza. La promozione del coinvolgimento sociale dei bambini non è solo un problema metodologico44. Hart, nelle versioni modificate della scala di partecipazione di Arnstein45, ha mostrato come i primi livelli rappresentino forme di non coinvolgimento reale (strumentalizzazione, manipolazio39 F. Tonucci, La città dei bambini, Laterza, Roma-Bari 1996. L. Horelli, Children as urban planner, in «Architecture & Comportement», X, 1994, pp. 371-377. 41 M. Francis, Negotiating between child and adult design values, in «Design Studies», IX, 1988, pp. 67-75. 42 A. Rissotto, Da bambino ho fatto un parco, Unicoop Cooperative Pisane Riunite, Pisa 1997. 43 Björklid, Children – traffic – environment cit. 44 Horelli, Children as urban planner cit. 45 S. Arnstein, The ladder of citizen participation, in «Journal of the Institute of American Planners», XXXV, 1969, pp. 216-224. 40 233 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 234 ne, interesse simbolico), mentre quelli successivi sono caratterizzati dal riconoscimento da parte dell’adulto di un progressivo e crescente protagonismo infantile46. Il coinvolgimento dei bambini nella progettazione dell’ambiente di vita permette di sviluppare un’identità personale basata su un reale attaccamento ai luoghi47. Lo sviluppo nel bambino del senso di appartenenza favorisce la partecipazione degli adulti alle reti sociali48. Giuliani e Montesi sottolineano i vantaggi per la formazione della personalità del bambino: acquisizione di capacità di organizzazione e di collaborazione, autonomia nella gestione del lavoro di gruppo, capacità di confronto e di riflessione critica, rispetto delle regole49. Altri ricercatori ritengono che il coinvolgimento in iniziative di progettazione permette di collegare l’acquisizione di conoscenza ambientale da parte dei bambini sia con la comprensione delle caratteristiche e delle funzioni dell’ambiente di vita50, sia con l’uso reale delle risorse ambientali disponibili51. In altre parole, la partecipazione sociale permette di sviluppare la conoscenza ambientale come un processo attivo di problem solving52. Lo sviluppo di tali competenze è promosso da iniziative di partecipazione infantile perché dipende dalla disponibilità di uno spazio fisico e sociale di azione per i bambini, dalla possibilità di modellare l’ambiente e di assumere ruoli significativi nella comunità53. 46 Hart, Children’s participation cit.; Id., Children’s participation in planning and design: Theory, research and practice, in C.S. Weisten, T.G. David (a cura di), Space for children: The built environment and child development, Plenum Press, New York 1987. 47 C. Spencer, H. Woolley, J. Dunn, Participating in their towns: Children feel ignored, in «Streetwise», X, 1999, pp. 16-18. 48 P. Corbishley, A parish listens to its children, in «Children’s Environments», XXII, 1995, pp. 414-426. 49 S. Giuliani, B. Montesi, Cambiare la città con i bambini: Educazione e partecipazione, in Baraldi, Maggioni (a cura di), Una città con i bambini cit., pp. 51-79. 50 B. Goodey, J.R. Gold, Environmental perception: The relationship with urban design, in «Progress in Human Geography», X, 1987, pp. 520-528. 51 A. Furnham, B. Stacey, Young people’s understanding of society, Routledge, London 1991. 52 M. Gauvain, The development of spatial thinking in everyday activity, in «Developmental Review», XIII, 1993, pp. 92-121. 53 Hart, Children’s experience of place cit. 234 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 235 Cosa può fare per noi? Rispetto al bambino le domande che di solito gli adulti si pongono sono: «Come possiamo aiutarlo? Come possiamo proteggerlo? Come possiamo difenderlo?» L’impegno dei genitori non è più, come qualche generazione fa, quello di promuovere progressivamente la sua autonomia, ma di garantire la sua dipendenza e di chiedere alle autorità la sua sicurezza. Il figlio viene accompagnato a scuola e nei suoi spostamenti quotidiani fino all’adolescenza; rimane in casa dei genitori fino oltre i trent’anni; ha paura di formarsi una famiglia e di mettere al mondo dei figli. Per il bambino la casa si riempie di strumenti tecnologici e giochi perché possa rimanerci più tempo possibile e lo si iscrive a molti corsi pomeridiani per permettergli di «arricchire» le sue giornate rimanendo sempre sotto il controllo di adulti. L’impegno degli amministratori è quello di fornire alle famiglie sempre più servizi per realizzare questa loro esigenza di controllo e di custodia, dalle scuole per la prima infanzia alle ludoteche, dai giardinetti attrezzati fino ai grandi parchi di divertimento. Ma se riconosciamo al bambino la competenza che la curva descrive (Figura 2), se per lui desideriamo l’autonomia che necessita e se ci convinciamo che lui potrà essere un grande alleato per il reale e radicale cambiamento della città, nella prospettiva di una nuova cultura dell’infanzia la domanda dovrà essere: «Come può il bambino aiutare noi adulti?». Questo è il senso del progetto «La città dei bambini», questo il nocciolo della nuova filosofia di governo della città: assumere il bambino come parametro a garanzia di tutti i cittadini, a partire dai più deboli, nella certezza che se una città sarà adatta ai bambini sarà una buona città per tutti. Il subcomandante Marcos, capo della resistenza indigena nel Chiapas, in Messico, scrive: «Gli zapatisti non vogliono che i popoli indigeni si separino dal Messico, ma che siano riconosciuti come parte del paese, con le loro specificità. Ma non soltanto sulle montagne del Sud-Est messicano si resiste e si lotta contro il neoliberismo. In altre parti del Messico, in America Latina, negli 235 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 236 Stati Uniti e nel Canada, nell’Europa del Trattato di Maastricht, in Africa, in Asia e in Oceania le sacche di resistenza si moltiplicano. Ciascuna di esse ha la sua propria storia, le sue differenze, le sue uguaglianze, le sue richieste, le sue lotte, le sue conquiste. Se l’umanità ha ancora speranza di sopravvivere, di diventare migliore, queste speranze sono nelle sacche formate dagli esclusi, da quelli in sovrannumero, da quelli che si possono gettar via»54. Forse gli indios del mondo sono proprio i bambini. Indigeni delle proprie famiglie, delle proprie scuole, delle proprie città, perché le loro esigenze non sono cambiate con il mutare della politica dei consumi, né con la globalizzazione economica. Un grande potenziale rivoluzionario che però gli adulti debbono avere il coraggio di innescare o possono continuare a disattendere e soffocare. 54 Subcomandante Marcos, La quarta guerra mondiale è cominciata, pubblicato in Italia come supplemento al quotidiano «il manifesto», Roma 1997, pp. 43-44. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 237 Appendici Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 238 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 239 1 Dal 1991 ad oggi, da Fano a Roma: il progetto, la rete Il progetto «La città dei bambini» nasce a Fano nel maggio 1991 come sviluppo di una settimana di attività, mostre, convegni sui bambini e con i bambini, che aveva coinvolto l’intera città. A dicembre dello stesso anno il Consiglio comunale delibera l’istituzione del Laboratorio «Fano la città dei bambini» come struttura di elaborazione e di attuazione del progetto. Rifiutando una interpretazione di tipo educativo o semplicemente di supporto ai bambini, il progetto si è dato fin dall’inizio una motivazione politica: operare per una nuova filosofia di governo della città assumendo i bambini come parametri e come garanti delle necessità di tutti i cittadini. Non quindi un maggior impegno per aumentare le risorse e i servizi a favore dell’infanzia, ma per una città diversa e migliore per tutti, in modo che anche i bambini potessero vivere un’esperienza da cittadini, autonomi e partecipanti. Il progetto si fonda su diverse motivazioni, tra cui le più importanti e significative sono sintetizzate qui di seguito. Il degrado delle città è in gran parte dovuto alla scelta di privilegiare i bisogni dei cittadini adulti e produttivi come priorità economica e amministrativa; è sofferto da tutti i cittadini ma specialmente dai più deboli e dai più piccoli. Il potere del cittadino adulto lavoratore è dimostrato dall’importanza che l’automobile ha assunto nella nostra società, condizionando le scelte strutturali e funzionali della città e creando gravi difficoltà per la salute e la sicurezza di tutti i cittadini. Il costo personale e sociale che deriva dall’impossibilità per i bambini di soddisfare le necessità primarie, come l’esperienza del gioco con i compagni e senza controllo adulto, in anni in cui si costruisce la personalità della donna e dell’uomo, è molto alto e pregiudica la formazione di adulti sereni, responsabili e consapevoli. 239 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 240 Le soluzioni private, come il ricorso a strategie di difesa personale (porte blindate, sistemi di allarme), l’accompagnamento dei bambini in macchina o l’incremento eccessivo di acquisto di beni, espongono i piccoli a frequenti esperienze di solitudine. Occorre pensare a soluzioni sociali di cambiamento reale dell’intera città, delle sue caratteristiche strutturali e dei comportamenti dei suoi abitanti. I bambini, fin da piccoli, sono capaci di interpretare i propri bisogni e di contribuire al cambiamento delle loro città. Vale quindi la pena dare loro la parola, chiamarli a partecipare, perché forse in loro nome e per il loro benessere è possibile chiedere ai cittadini adulti quei cambiamenti che difficilmente sono disposti ad accettare e a promuovere. Si propone quindi di cambiare il parametro e di passare dall’adulto, maschio, lavoratore, al bambino, di abbassare l’ottica dell’amministrazione ad altezza di bambino per non perdere nessuno. Una città adatta ai bambini è una città dove tutti vivono bene. È una proposta trasversale che coinvolge tutti i settori dell’amministrazione, per questo è affidata al sindaco e alla collegialità della sua Giunta. LA RETE INTERNAZIONALE Fin dai primi anni Novanta il comune di Fano ha invitato i sindaci delle città italiane interessate ad aderire al progetto, ha promosso iniziative che hanno coinvolto centinaia di città e di scuole, ha organizzato incontri nazionali per bambini, educatori e amministratori. Nel 1996 l’Istituto di Scienze e tecnologie della cognizione (allora Istituto di Psicologia) del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma ha costituito un gruppo di ricerca per il supporto e il coordinamento delle città che aderiscono al progetto e per lo studio degli effetti delle sue attività sul cambiamento dell’ambiente urbano1. L’adesione delle città al progetto viene data personalmente dal sindaco e confermata da una delibera del Consiglio comunale. Di solito un primo incontro con i rappresentanti del Cnr avviene con un semi1 Per mettersi in contatto con il gruppo internazionale di coordinamento Cnr: progetto «La città dei bambini», Istituto di Scienze e tecnologie della cognizione del Cnr, via U. Aldrovandi, 18, 00197 Roma. Tel. +39 06 3221198, fax +39 06 3217090. E-mail [email protected]; [email protected]. 240 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 241 nario di Giunta per la presentazione del progetto e il suo adattamento alle esigenze e alle caratteristiche della città. È importante che sia chiaro fin dall’inizio che il progetto non riguarda solo i bambini, i loro problemi e i loro servizi, ma l’intera città e quindi tutti gli assessorati e i settori amministrativi. Il Cnr cura la comunicazione con e fra le città attraverso la pubblicazione di un bollettino periodico: «La città dei bambini»; organizza incontri periodici e seminari di formazione per amministratori, operatori e tecnici delle città; raccoglie i materiali prodotti dalle città in un Centro di documentazione internazionale. La rete è attualmente così costituita: – Italia. Più di 40 città aderenti in rappresentanza delle diverse aree geografiche. Sono in gran parte città di medie dimensioni, inferiori ai 100.000 abitanti, ma sono anche presenti piccole realtà montane e grandi città metropolitane. Alcune delle città: Arezzo, Carpi, Corigliano Calabro, Cremona, Fano, Martina Franca, Pesaro, Pistoia, Roma, San Giorgio a Cremano. – Spagna. Varie piccole città coinvolte nelle province di Barcellona, Valencia e Madrid. L’associazione Acciòn Educativa di Madrid coordina il progetto organizzando ogni anno un incontro nazionale. – Argentina. Rosario, impegnata già da cinque anni con varie iniziative di partecipazione infantile. Hanno aderito al progetto le città di Cordoba, Mar del Plata e Buenos Aires avviando diverse attività. Nel 2001 hanno aderito alla rete, ma al momento solo formalmente, altre 40 città. – Portogallo. La rete «Ciudades del Descubrimiento», nata nel ’92, sta valutando la sua adesione alla rete «La città dei bambini». COLLABORAZIONI Il progetto ha creato una serie di collaborazioni professionali, di confronti e scambi con altri ambiti disciplinari interessati ai suoi contenuti e alle sue proposte. In particolare il gruppo del Cnr ha frequenti contatti con i settori della psicologia, della sociologia, della pediatria, dell’architettura e dell’urbanistica, sia a livello universitario che degli ordini professionali; e naturalmente con quelli della politica e delle amministrazioni locali, sia in Italia che in Spagna e in Argentina. 241 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 242 ATTIVITÀ DI RICERCA Il Cnr ha aperto alcune linee di ricerca per lo studio del cambiamento nelle città che aderiscono al progetto. Si è studiato il rapporto fra la maggiore o minore autonomia dei bambini nell’andare a scuola e la loro conoscenza dell’ambiente2. I risultati hanno dimostrato che i bambini che vanno a scuola a piedi e da soli conoscono il proprio quartiere in modo significativamente migliore di quelli che vengono accompagnati a piedi o in automobile. Una seconda ricerca, di cui si è dato conto nel capitolo A scuola ci andiamo da soli, è stata dedicata allo studio delle condizioni di autonomia e dei fattori che la ostacolano, nei bambini italiani dai sei agli undici anni, in sei città del Nord, Centro e Sud del paese. Una terza ricerca intende studiare longitudinalmente l’aumento di autonomia dei bambini e il cambio di atteggiamento negli adulti in alcune città che hanno avviato l’iniziativa «A scuola ci andiamo da soli». Un quarto obiettivo di ricerca è la produzione di strumenti di documentazione e di analisi di facile applicazione attraverso i quali le città possano seguire e valutare le proprie esperienze. Sono in corso una ricerca sul Consiglio dei bambini di Roma in collaborazione con l’Università La Sapienza e uno studio comparativo sulla Progettazione partecipata ai bambini in collaborazione con l’Università di Helsinki. LA FORMAZIONE Non esistono titoli di studio che garantiscano la capacità di promuovere la partecipazione dei bambini alla vita della città. Dare ai bambini la parola, ascoltarli e capirli, difendere le loro idee e promuovere la loro autonomia non sono capacità fornite da particolari corsi di studio. Il gruppo del Cnr, in questi undici anni, ha realizzato materiali e promosso esperienze di formazione per gli amministratori e gli animatori delle città della rete e ha partecipato alle iniziative che, specialmente dopo l’avvio dei progetti finanziati dalla legge n. 285 del 1997, vari enti hanno promosso. Vale la pena ricordare che negli ultimi anni la Facoltà di 2 Per i risultati di questa ricerca si veda A. Rissotto, F. Tonucci, Freedom of movement and environmental knowledge in elementary school children, in stampa su «Journal of Environmental Psychology». 242 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 243 Sociologia dell’Università di Urbino ha attivato un corso post-laurea per animatori della Partecipazione infantile e le Facoltà di Architettura di Firenze, Venezia e Reggio Calabria hanno attivato corsi post-laurea per animatori della Progettazione partecipata ai bambini. ATTIVITÀ Il progetto intende promuovere due dimensioni fondamentali nella vita dei bambini: la loro autonomia e la loro partecipazione. Si descriveranno qui di seguito le tre esperienze che più comunemente vengono promosse nelle città della rete «La città dei bambini». Siccome più volte queste attività sono state citate nelle pagine del libro, le si presenterà attraverso brevi schede metodologiche, che ne ricordino le caratteristiche principali e possano essere utili per quelle città che intendano promuoverle. Il Consiglio dei bambini Il Consiglio dei bambini non è un’imitazione di modelli adulti, o un piccolo Consiglio comunale. Non vuol essere un’esperienza di educazione civica e quindi una specie di gioco di ruolo: per far capire ai bambini come funziona l’amministrazione comunale facciamo rivivere loro tutte le fasi che la caratterizzano, dalla campagna elettorale, alle votazioni, all’elezione del piccolo sindaco, alle delibere. Non è un gruppo di bambini che si preoccupa dei propri problemi o della realizzazione di un proprio progetto grazie al finanziamento del Consiglio adulto. È un gruppo di bambini che offre agli adulti il proprio punto di vista, esprime i propri bisogni e suggerisce proprie proposte: che «dà consigli» agli adulti. È un gruppo di bambini che lavora con gli adulti del Laboratorio. Gli adulti stanno dalla loro parte, dando loro la possibilità di esprimersi e difendendo il loro punto di vista. Il Consiglio dei bambini nasce per volontà del sindaco, che chiede ai bambini di aiutarlo a tener conto di aspetti e punti di vista che gli adulti spesso dimenticano o preferiscono far finta di non conoscere. Il Consiglio si occupa dei problemi della città. I bambini ne discutono partendo ovviamente dagli aspetti che conoscono, che li riguardano, denunciando eventuali inadeguatezze o ingiustizie e formulando proposte. 243 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 244 A seconda degli argomenti che tratta il Consiglio dei bambini può chiedere di incontrare i vari assessori o dirigenti dell’amministrazione. Almeno una volta l’anno si incontra con il Consiglio comunale. Naturalmente non tutte le richieste dei bambini potranno sempre essere accolte, ma è fondamentale che si accolgano le loro esigenze, perché sono sempre esigenze inascoltate di cittadini. Riguardo alle proposte spesso sono concrete e fattibili e in questi casi sarebbe opportuno accoglierle; in altri casi l’amministratore può discuterle con i bambini proponendo cambiamenti e anche migliorie che i bambini non osavano chiedere o di cui magari non conoscevano l’esistenza. Nel caso di Roma citato nel capitolo Giocare sicuri, per esempio, per difendere la precedenza dei pedoni sulle strisce pedonali, i bambini arrivano a proporre che quando un pedone scende sulle strisce pedonali escano automaticamente dei chiodi sull’asfalto o scendano delle barriere per fermare le macchine. È evidente che queste proposte non si possono attuare, ma servono a far capire quanto è forte la percezione del pericolo nei bambini e quanto poco abbiano fiducia nel cambiamento dei comportamenti degli adulti. A queste esigenze l’amministratore deve dare risposta impegnandosi per esempio ad applicare rigorosamente le sanzioni previste per gli automobilisti che non si fermano ai passaggi pedonali, o realizzando attraversamenti pedonali rialzati, o modificando l’ampiezza o il disegno delle strade per ridurre la velocità. Un possibile percorso Il Consiglio dei bambini deve essere costituito da un numero limitato di bambini (preferibilmente non più di venti) in modo che tutti possano esprimere il loro parere sui temi in discussione. I consiglieri vengono nominati all’interno delle scuole della città in modo che possano rappresentare tutti i bambini e hanno un mandato di due anni, per aver il tempo di imparare questo ruolo per loro certamente nuovo. Come si diceva, ai bambini si chiede di aiutare gli adulti a tener conto delle esigenze di coloro che sono più lontani dal loro modo di vedere e dai loro interessi; è quindi importante che siano il più possibile diversi da noi. Per questo si è preferito coinvolgere i bambini delle scuole elementari. Per creare una facile alternanza si preferisce nominare due bambini per ogni scuola, uno di quarta e uno di quinta, un maschio e una femmina. Per evitare l’enfasi sulle votazioni la nomina avviene per sorteggio 244 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 245 fra tutti i bambini della classe o delle classi se ci sono classi parallele. Se un bambino rifiuta si procede ad altro sorteggio. Alla fine di ogni anno usciranno dal Consiglio i bambini di quinta e all’inizio dell’anno successivo verranno nominati i nuovi di quarta. Sarebbe opportuno che nel Consiglio fossero rappresentate le diverse condizioni infantili presenti nella città: bambini stranieri, Rom, portatori di handicap, ospedalizzati. In città di 40.000-50.000 abitanti il Consiglio potrà rappresentare tutte le scuole, in città più grandi si dovrà valutare se procedere alla nomina di Consigli di circoscrizione o se limitare il numero delle scuole coinvolte. Nel caso in cui si abbiano Consigli di circoscrizione si potrebbero riunire periodicamente alcuni rappresentanti di quei Consigli in un Consiglio cittadino3. 3 A Rosario si è scelto di formare diversi Consigli nelle varie Zone della città. Per Roma si è scelta un’organizzazione molto complessa in risposta alla grandezza della città. Si è individuata una scuola elementare per ciascuno dei diciannove municipi (così si chiamano oggi le circoscrizioni). In ogni scuola si sono scelti, tramite sorteggio, un bambino e una bambina, uno di quarta e uno di quinta. Nelle stesse scuole si sono scelti due bambini Rom, uno con handicap e uno con lunga esperienza di ospedalizzazione, mentre il sorteggio aveva già fatto entrare alcuni bambini provenienti da paesi stranieri. Si è così formato un Consiglio di 43 bambini, metà maschi e metà femmine, metà di quarta e metà di quinta. Il mandato è di due anni (di uno solo e solo per questa prima nomina, per quelli di quinta). Alla fine di ogni anno scolastico decadranno i bambini di quinta e all’inizio del nuovo anno scolastico verranno eletti i nuovi bambini di quarta. Il Consiglio si riunisce una volta al mese, in orario scolastico, in un locale pubblico apposito coordinato da alcuni adulti. I bambini vengono accompagnati da un’auto dei vigili urbani del municipio di appartenenza. Dato il numero troppo elevato, per permettere una adeguata partecipazione, il Consiglio opera in gruppi di lavoro e si riunisce alla fine di ogni seduta per socializzare il lavoro svolto. Il Consiglio lavora sui temi proposti dall’amministrazione e su quelli proposti dai bambini con opportuni coinvolgimenti dei compagni delle scuole di appartenenza. Per favorire una esperienza così complessa si è creato un gruppo di lavoro formato dagli insegnanti che hanno in classe i bambini consiglieri, che segue le attività di coinvolgimento dei bambini delle rispettive scuole nella preparazione dei lavori del Consiglio. Naturalmente si sta promuovendo l’apertura di Consigli nei singoli municipi, che potranno operare più facilmente e più adeguatamente. Il Consiglio della città potrà allora essere formato dai rappresentanti dei Consigli municipali. 245 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 246 Il Consiglio dei bambini si riunisce nei locali del Laboratorio o in altro locale pubblico esterno alla scuola ogni quindici giorni. Si può optare per una scansione mensile se si alternano le riunioni con un lavoro di commissioni o di comunicazione all’interno delle scuole. È opportuno che l’adulto che lo coordina sia sempre lo stesso, un secondo adulto può redigere il verbale della riunione. È opportuno documentare con riprese video le sessioni del Consiglio: questo materiale potrà essere prezioso per la valutazione dell’esperienza e la formazione degli operatori. Nel periodo intermedio fra due sessioni i bambini comunicano ai loro compagni di scuola (non solo di classe) i temi trattati e raccolgono le loro opinioni e proposte. Si eviterà di adottare metodi e atteggiamenti tipici della scuola come l’alzata della mano, le relazioni scritte, lasciando ai bambini di scegliere le migliori modalità per seguire i lavori e riferire le opinioni raccolte fra i compagni di scuola. Si eviterà di adottare modalità e atteggiamenti imitativi dei Consigli degli adulti, come le votazioni o la proposta di regolamenti elaborati dagli adulti, costruendo un’esperienza nuova a partire dalle esigenze e dalle sensibilità dei bambini. Il regolamento, se necessario, sarà frutto delle regole che insieme si valuteranno utili. È importante che i turni di parola siano rapidi, per questo si può scegliere che su un argomento parli uno dei due rappresentanti di una scuola. I bambini avranno dei materiali di lavoro forniti dal Laboratorio come una cartella, un blocco per appunti, una penna, la Convenzione, un cartellino col nome. Delle riunioni si redigerà un verbale che, in forma breve, verrà inviato ai consiglieri. Sarebbe opportuno che la convocazione del Consiglio successivo arrivasse a casa dei consiglieri e contenesse il verbale della seduta precedente e l’argomento di lavoro previsto. Copia della convocazione dovrà essere inviata per conoscenza all’insegnante di classe in modo che possa favorire la preparazione della seduta. Il Consiglio potrà discutere su temi di attualità per la città proposti dagli amministratori attraverso l’operatore che coordina o su temi proposti dai consiglieri. Il Consiglio vigilerà sulla realizzazione delle proposte precedentemente presentate e accolte dall’amministrazione. Di norma non si vota. Non si cercano proposte maggioritarie, ma quelle che meglio possano difendere i diritti e i bisogni dei bambini, 246 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 247 anche se sono espressi da pochi consiglieri. In questi casi è opportuno che le proposte vengano discusse e riconosciute valide da tutti. Alle riunioni non partecipano adulti, tranne gli operatori. L’unico adulto che ha diritto a partecipare ogni volta che lo desidera, per chiedere o ascoltare, è il sindaco. La Progettazione partecipata L’esperienza di Progettazione partecipata ai bambini è simile a quella del Consiglio, anche in questo caso un gruppo di bambini lavora con adulti per risolvere, con un ruolo protagonista, un problema reale della città. Mentre il Consiglio dei bambini ha una vocazione più «politica» dovendo dare consigli al sindaco e all’amministrazione, questa esperienza è finalizzata a un preciso risultato operativo definito nel mandato che il gruppo riceve dalla stessa amministrazione. Si tratta di progettare uno spazio, un percorso, un servizio. L’attività termina con la presentazione del progetto, anche se, come si vedrà, vale la pena prevedere azioni successive. Anche in questo caso è bene che il gruppo sia piccolo, in modo che ognuno possa partecipare alle varie fasi del lavoro. Potrà essere un gruppo classe e in questo caso lavorerà in orario scolastico come attività curricolare prevista nella programmazione annuale; potrà essere un gruppo interclasse, con elementi di varie classi, anche di età diverse, che opera con le stesse modalità del precedente; potrà infine essere un gruppo misto, meglio se di età diverse che si forma fuori della scuola e lavora nella sede del Laboratorio in orario extrascolastico. Il gruppo sarà coordinato da un insegnante e da un esperto del settore sul quale si intende progettare, per esempio un architetto se si tratta di interventi su spazi o ambienti urbani, un botanico o un naturalista se si tratta di ristrutturare uno spazio verde. È importante che il gruppo possa lavorare in una sede dedicata, nella quale conservare ed esporre i materiali prodotti nelle varie fasi. Le pareti e i tavoli della sede conserveranno la memoria collettiva di un lavoro che non può utilizzare i tradizionali strumenti della memoria scolastica come quaderni, schede, relazioni. Un possibile percorso Il lavoro partirà da un mandato, da una richiesta esplicita dell’amministrazione che chiederà ai bambini di preparare un progetto per 247 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 248 un’opera la cui realizzazione è prevista e per la quale sono disponibili le risorse economiche. Il lavoro dovrà mirare a valorizzare l’originalità delle proposte infantili rese fattibili dalla competenza del tecnico adulto. Compito dell’adulto non è quindi quello di insegnare ai bambini come si progetta, ma come rendere realizzabili le loro idee, specie quelle più innovative. Una delicata attività iniziale è quella dedicata al superamento degli stereotipi. Il bambino non è vergine, è completamente immerso nella nostra società e fortemente corrotto da tutto quello che gli adulti, l’ambiente e i mezzi di comunicazione gli propongono. Un buon sistema è quello di invitare i bambini a riflettere sulle proprie necessità e sui propri desideri, su quello che a loro piace e non piace. Si elaborerà in questo modo un elenco di funzioni desiderabili per le quali si dovranno trovare o inventare adeguate strutture. Si procede con una conoscenza diretta dell’oggetto della progettazione. Si effettuano sopralluoghi, rilievi, misurazioni, indagini. Si possono raccogliere informazioni e opinioni dai compagni di scuola, dai familiari, dai cittadini. Si inizia a elaborare un progetto di massima. È consigliabile che si chieda inizialmente un contributo di idee individuale. Le idee di ciascuno vengono presentate e confrontate per arrivare a un’idea condivisa. Si continua a lavorare in questo modo per definire i particolari del progetto, impegnando piccoli gruppi sui vari aspetti per poi arrivare a momenti collettivi di confronto e di definizione unitaria. Il lavoro prosegue per alcuni mesi, tornando all’esterno per verificare e provare le varie soluzioni, consultando esperti per i vari aspetti che lo richiedano. Spesso il lavoro di progettazione termina con la realizzazione di un plastico. Il lavoro concluso viene presentato alla cittadinanza e agli amministratori. Ma non è finita Una volta approvate le idee dei bambini si deve passare al progetto esecutivo. È importante che il tecnico che dovrà realizzarlo sia tenuto a rispettare le indicazioni dei bambini e, se fosse necessario modificarle, che si confronti con gli autori. 248 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 249 Sarebbe auspicabile che i bambini che hanno elaborato il progetto, i loro compagni di scuola e i loro familiari possano seguire i lavori di realizzazione ed eventualmente partecipare. Se ci sono ritardi o impedimenti occorre informare i bambini: spesso i tempi dei bambini sono diversi da quelli degli adulti e ancor più da quelli dell’amministrazione. L’avvio di questi progetti dovrebbe voler dire per gli amministratori anche un impegno a controllare i tempi di realizzazione trovando soluzioni a volte creative alle difficoltà burocratiche. L’opera terminata verrà inaugurata con una festa. Il contributo dei bambini figurerà in un cartello che rimanga a memoria dei bambini e degli adulti. Se si tratta di uno spazio, di un ambiente, potrà essere adottato dalla scuola perché sia vigilato e curato da adulti e bambini. A scuola ci andiamo da soli A questa proposta è stato dedicato un capitolo di questo libro. Gran parte delle motivazioni, delle proposte e delle esperienze sono già state presentate. Qui si vuole solo riproporre la sequenza delle varie fasi che nelle esperienze delle diverse città ci sono sembrate utili al buon esito dell’iniziativa. Un possibile percorso – Valutazione dell’interesse della Giunta. Questa iniziativa coinvolge diversi assessorati e diversi settori dell’amministrazione, richiede quindi un impegno comune garantito dal sindaco. Deve essere chiaro ai politici che la scelta di questa esperienza non è finalizzata solo alla restituzione ai bambini di un diritto, come quello di potersi muovere autonomamente nel proprio ambiente, ma allo sviluppo sostenibile della città. – Scelta della scuola o delle scuole. È opportuno iniziare con un’esperienza limitata, facilmente controllabile. Ci sembra eccessivamente prudente e forse poco significativo iniziare con singole classi, ma potrebbe essere adeguato partire con una scuola. Meglio sceglierne una frequentata da una maggioranza di alunni residenti nel quartiere e con un bacino di utenza ben definito. Vale la pena iniziare con una scuola dove si abbia una probabilità di buona riuscita, quindi dove si abbia un collegio dei 249 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 250 docenti interessato ad assumere questa proposta di lavoro. Per favorire la partecipazione di tutti i bambini, anche di quelli che abitano lontano, si definisce un «perimetro di pedonalità» intorno alla scuola e dei punti di incontro per i bambini. Chi viene da lontano può essere accompagnato e ripreso ai punti di incontro anziché davanti alla scuola. È importante che non si resti per troppo tempo nella fase sperimentale. Ogni anno dovrebbe aumentare il numero delle scuole coinvolte e nel giro di pochi anni bisognerebbe lanciare la proposta all’intera città. Quando l’invito ad andare a scuola a piedi, senza essere accompagnati dagli adulti, riguarderà tutti gli alunni delle scuole della città l’esperienza sarà più facile e sarà più probabile costruire una nuova «normalità»: i bambini vanno a scuola da soli. – Il ruolo della scuola. Abbiamo potuto verificare che la scuola può avere un ruolo decisivo per la buona riuscita dell’iniziativa. Non si tratta di chiedere alla scuola di appoggiare una proposta esterna, seppure di alto valore educativo e civico, si tratta invece di chiedere alla scuola di far suo questo progetto e inserirlo nel Piano di offerta formativa come corretto programma di educazione ambientale e di educazione stradale da un lato e come importante proposta per lo sviluppo dell’autonomia dei bambini dall’altro. Con queste caratteristiche l’iniziativa viene proposta alle famiglie facendo notare che la scuola lavorerà su questo progetto per alcuni mesi insieme ai bambini e coinvolgerà le famiglie. Si deciderà di partire quando si valuterà che le condizioni sono accettabili per tutti. Il Laboratorio «La città dei bambini» collabora con la scuola e ne supporta le attività. Le classi studiano con vari strumenti appositamente elaborati i percorsi individuali dei bambini, li confrontano e ne esaminano le difficoltà. Effettuano con l’aiuto dei genitori e dei vigili urbani sopralluoghi per verificare i percorsi migliori e i punti di maggiore difficoltà. In base all’analisi dei percorsi di tutta la scuola si stabiliscono i punti di incontro dove i bambini potranno incontrarsi la mattina per procedere insieme. I bambini preparano un elenco di richieste da presentare all’amministrazione per interventi destinati alla sicurezza dei percorsi. Si prepara una festa d’inizio dell’esperienza coinvolgendo il quartiere, gli automobilisti, gli anziani, i commercianti. Una volta iniziata l’esperienza si iniziano una serie di attività per la formazione dei piccoli pedoni e ciclisti. 250 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 251 In ogni scuola si costituisce un Comitato dei bambini che segue l’esperienza, ne controlla l’andamento con rilevazioni mensili e cerca di affrontare le difficoltà che si incontrano. Gli insegnanti costituiscono un gruppo di lavoro appoggiato dal Laboratorio «La città dei bambini» che elabora le opportune metodologie per lo sviluppo dell’esperienza. – Indagine su come vanno a scuola gli alunni. Per avere la misura del livello di autonomia dei bambini prima dell’inizio dell’esperienza si potrà proporre un semplice questionario a bambini e genitori. Il modello di questionario prodotto dal nostro gruppo di ricerca è a disposizione delle città interessate. Una nuova somministrazione del questionario alla fine del primo anno di esperienza e alla fine dei successivi darà la misura dell’efficacia della iniziativa. – Costituzione di un gruppo di lavoro interassessorile e intersettoriale all’interno dell’amministrazione. Il gruppo potrebbe coinvolgere: Pubblica istruzione, Lavori pubblici, Mobilità urbana, vigili urbani, Urbanistica, Segnaletica, Commercio. Un adeguato coordinamento fra i settori amministrativi sembra essere uno degli aspetti più problematici. Questo gruppo di lavoro, coordinato dal Laboratorio «La città dei bambini» potrà monitorare e programmare l’esperienza per tutti gli aspetti di cui si potrà far carico l’amministrazione. – Interventi dell’amministrazione. È importante dare ai cittadini la certezza che il governo della città punta su questa esperienza, ci crede ed è disposto ad investire per il suo successo. Le famiglie, per aderire alla proposta, debbono superare i timori che il degrado ambientale delle città e l’allarme sociale producono; è comprensibile quindi che chiedano agli amministratori di fare tutto quello che è in loro potere per renderla sicura. L’esperienza deve essere supportata da una serie di atteggiamenti favorevoli degli amministratori: parlarne pubblicamente, assumere e richiedere comportamenti coerenti (gli assessori, i consiglieri e i funzionari del comune dovrebbero muoversi preferibilmente a piedi o in bicicletta); applicare le norme di tutela dei pedoni (applicazione delle sanzioni a chi non rispetta la precedenza dei pedoni sulle strisce pedonali o invade i marciapiedi); realizzare i cambiamenti strutturali che favoriscono i pedoni e i ciclisti in alternativa a quelli che hanno sempre favorito gli automobilisti. Devono essere rapidamente raccolte ed eseguite le richieste di intervento fatte dai bambini e dalle 251 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 252 famiglie. In particolare deve essere ripristinata, arricchita e ben tenuta la segnaletica orizzontale. Si devono programmare, con la partecipazione dei cittadini e dei bambini gli interventi di modifica dei punti più pericolosi e avviare un intervento più di lungo termine per favorire la mobilità pedonale e ciclabile a partire dai quartieri coinvolti nell’esperienza «A scuola ci andiamo da soli» (restringendo le carreggiate per avere ampi marciapiedi, identificando camminamenti pedonali e corsie ciclabili, privilegiando gli attraversamenti pedonali). Si possono realizzare segnaletiche verticali sperimentali per informare gli automobilisti. Naturalmente non tutto si può fare subito, ma è fondamentale che l’amministrazione sappia far capire alla cittadinanza quanto è importante questa esperienza, proprio attraverso il suo impegno operativo, la rapidità delle realizzazioni o per lo meno l’informazione puntuale sui tempi necessari. – Gli alleati. Il coinvolgimento delle associazioni ambientaliste, dei commercianti, degli artigiani e degli anziani, può favorire la sensibilizzazione dell’ambiente sociale dei quartieri coinvolti. La ricostruzione di un ambiente solidale e cooperativo è uno degli obiettivi della proposta e una delle necessità più acute delle nostre città oggi. Gli anziani potranno aiutare i bambini ad attraversare nei punti di maggior pericolo; i commercianti e gli artigiani potranno offrire i loro esercizi come punti di riferimento per le eventuali necessità dei bambini che si muovono da soli. Una categoria particolare, che varrebbe la pena coinvolgere, è quella dei ragazzi più grandi, quelli delle medie e delle superiori, per chiedere loro una particolare prudenza con i motorini e qualche forma di partecipazione a favore dell’autonomia dei più piccoli. – Le famiglie. L’esperienza avrà successo quando le famiglie riconosceranno che l’andare a scuola da soli è possibile e accettabile per i loro figli. È quindi necessario coinvolgere le famiglie fin dall’inizio, far capire loro quanto è importante per i loro bambini recuperare un po’ di autonomia e per il quartiere recuperare una solidarietà sociale e rassicurarle che l’iniziativa partirà quando tutti ne saranno convinti. I genitori più favorevoli e disponibili potranno formare un comitato per lo studio delle necessarie iniziative da prendere per rendere sicuri i percorsi e per vincere le resistenze delle famiglie più restie. Il comitato sarà seguito dal Laboratorio «La città dei bambini» e da alcuni insegnanti. – Lancio dell’iniziativa. Al termine di tutte le attività di preparazione è bene che si avvii l’iniziativa con una giornata di festa. In genere si sce- 252 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 253 glie un giorno di primavera con la presenza del sindaco e degli assessori che hanno seguito le attività, con la banda, animatori di strada, volantini e decorazioni. I bambini presentano al sindaco le loro richieste per rendere i percorsi più sicuri. I genitori seguono da lontano i figli e verificano le loro capacità. Da quel giorno tutti i bambini, o almeno tutti quelli ai quali i genitori lo permettono, vanno a scuola da soli, con i loro compagni. – L’iniziativa a regime. È facile ottenere buoni risultati dopo un anno di attività, ma per conservare i livelli raggiunti occorre mantenere un alto impegno. Da un lato si dovrà rinnovare il percorso educativo con le prime classi; dall’altro sviluppare programmi sempre più coinvolgenti e impegnativi con i bambini e le famiglie delle altre classi. Dopo lo studio dei percorsi si potrà lavorare sulla «Patente del pedone» e poi su quella da ciclista e si potranno coinvolgere i bambini in attività di vigilanza sul rispetto dei loro diritti di pedoni e di ciclisti. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 254 2 Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia 1 ART. 1 Questa Convenzione si occupa dei diritti di tutti coloro che ancora non hanno compiuto 18 anni. ART. 2 Tutti gli Stati devono rispettare i diritti del bambino, senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica del bambino o della sua famiglia. ART. 3 Gli interessi del bambino devono essere considerati per primi e come più importanti in tutte le decisioni che lo riguardano. Il bambino ha il diritto di ricevere la protezione e le cure necessarie al suo benessere. ART. 4 Gli Stati si impegnano ad attuare i diritti riconosciuti da questa Convenzione con tutti i mezzi necessari. ART. 5 Sono i genitori o chi li sostituisce a doversi prendere cura del bambino. 1 Promulgata dalle Nazioni Unite a New York nel 1989 e ratificata dal Parlamento italiano con la legge n. 176 del 1991. La versione qui pubblicata è stata riscritta per i bambini, in forma semplificata e ridotta da P. Benevene, F. Ippolito e F. Tonucci per la Fondazione Basso. Si invitano le amministrazioni locali, le scuole e le associazioni ad utilizzare liberamente questa versione della Convenzione, senza vincoli editoriali, per favorire la massima diffusione e comprensione di questo fondamentale documento presso i bambini e i ragazzi. 254 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 255 ART. 6 1. Il bambino ha il diritto alla vita. 2. Il bambino ha il diritto di sviluppare in modo completo la propria personalità. ART. 7 Il bambino ha diritto ad essere registrato appena nato, ad avere un nome, una nazionalità e a conoscere, se è possibile, i suoi genitori e ad essere da questi allevato. ART. 8 Gli Stati si impegnano a rispettare il diritto del bambino alla sua identità, nazionalità, nome e relazione con la sua famiglia. ART. 9 Il bambino ha il diritto di mantenere i contatti con i suoi genitori, anche se questi sono separati o divorziati. ART. 10 Il bambino ha il diritto di riunirsi ai suoi genitori o di restare in contatto con loro se questi vivono all’estero. ART. 11 I bambini non devono essere portati via dal loro paese in modo illegale. ART. 12 Il bambino ha diritto ad esprimere il proprio parere ogni volta che si prendono decisioni che lo riguardano e il suo parere deve essere tenuto nel giusto peso. ART. 13 Il bambino ha il diritto di poter dire liberamente ciò che pensa, con i mezzi che preferisce. ART. 14 1. Il bambino ha il diritto di libertà di pensiero, di coscienza, di religione. 2. I genitori hanno il diritto e il dovere di guidare i figli e in tale compito devono essere lasciati liberi di seguire le idee in cui credono. 255 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 256 ART. 15 Il bambino ha il diritto di stare assieme agli altri. ART. 16 Nessun bambino potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza. Non potrà subire lesioni illecite del suo onore e della sua reputazione. ART. 17 I giornali, i programmi radiofonici e televisivi sono importanti per il bambino; per questo motivo è importante che ce ne siano di adatti a lui. Gli Stati debbono incoraggiare la produzione di libri e programmi per ragazzi, e fare in modo che il bambino sia tutelato contro l’informazione e i programmi che possono fargli male. ART. 18 Se un bambino non ha i genitori, ci deve essere qualcuno che si occupa di lui. Se i genitori di un bambino lavorano, qualcuno deve prendersi cura del bambino mentre loro sono al lavoro. ART. 19 Nessuno può trascurare, abbandonare, maltrattare, sfruttare un bambino o fare violenza su di lui. ART. 20 Se un bambino non può rimanere con la sua famiglia, deve andare a vivere con qualcuno che si occupi di lui. ART. 21 Il bambino ha il diritto di essere adottato, se la sua famiglia non si può occupare di lui. Non si può fare commercio con le adozioni. ART. 22 1. Il bambino rifugiato ha il diritto di essere protetto. 2. Il bambino rifugiato deve essere aiutato a riunirsi alla sua famiglia. 256 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 257 ART. 23 1. Il bambino che ha problemi mentali o fisici ha diritto di vivere come gli altri bambini e assieme a loro. 2. Il bambino che ha problemi mentali o fisici ha il diritto di essere curato. 3. Il bambino che ha problemi fisici o mentali ha il diritto di andare a scuola, di prepararsi per il lavoro, di divertirsi. ART. 24 Il bambino ha il diritto di raggiungere il massimo livello di salute fisica e mentale e di essere curato bene quando ne ha bisogno. ART. 25 I bambini sottoposti a cure fisiche o mentali hanno diritto a periodiche verifiche del loro trattamento. ART. 26 Ogni bambino ha diritto alla sicurezza sociale. ART. 27 Il bambino ha il diritto di crescere bene fisicamente, mentalmente, spiritualmente e socialmente. ART. 28 Il bambino ha il diritto all’istruzione. La scuola primaria deve essere obbligatoria e gratuita per tutti. ART. 29 Il bambino ha il diritto di ricevere un’educazione che sviluppa le sue capacità e che gli insegni la pace, l’amicizia, l’uguaglianza e il rispetto per l’ambiente naturale. ART. 30 Il bambino che appartiene ad una minoranza ha il diritto di usare la sua lingua e di vivere secondo la sua cultura e la sua religione. ART. 31 Il bambino ha il diritto al gioco, al riposo, al divertimento e di dedicarsi alle attività che più gli piacciono. 257 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 258 ART. 32 Nessun bambino deve essere sfruttato. Nessun bambino deve fare lavori che possano essere pericolosi o che gli impediscano di crescere bene o di studiare. ART. 33 Il bambino deve essere protetto dalla droga. ART. 34 Nessun bambino deve subire violenza sessuale o essere sfruttato sessualmente. ART. 35 Nessun bambino deve essere rapito, comprato o venduto. ART. 36 Il bambino non può essere sfruttato. ART. 37 Nessun bambino può essere torturato o condannato a morte o all’ergastolo. Nessun bambino può essere privato della sua libertà in modo illegale o arbitrario. ART. 38 Nessun bambino al di sotto dei 15 anni deve essere arruolato in un esercito, né combattere in una guerra. ART. 39 Il bambino che è stato trascurato, sfruttato e maltrattato ha il diritto di essere aiutato a recuperare la sua salute e la sua serenità. ART. 40 Il bambino che è accusato di un reato deve essere ritenuto innocente fino a quando non sia riconosciuto colpevole, dopo un processo giusto. Comunque, anche quando è riconosciuto colpevole, ha il diritto di ricevere un trattamento adatto alla sua età, che lo aiuti a tornare a vivere con gli altri. 258 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 259 ART. 41 A questi diritti ogni Stato può aggiungerne degli altri, che migliorino la situazione del bambino. ART. 42 Bisogna far conoscere a tutti, adulti e bambini, quello che dice questa Convenzione. Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 260 3 Le città dei bambini di questo libro Altino (Chieti) Italia Regione: Abruzzo Abitanti: 2.600 Esperienze*: Progettazione partecipata Alvito (Frosinone) Italia Regione: Lazio Abitanti: 3.000 Arezzo Italia Regione: Toscana Abitanti: 93.000 Esperienze: Laboratorio, Consiglio dei bambini, A scuola da soli Buenos Aires Argentina Provincia**: Buenos Aires Abitanti: 3.000.000 Esperienza: Todos votan, yo tambien Carpi (Modena) Italia Regione: Emilia Romagna Abitanti: 62.000 Esperienze: Laboratorio, Consiglio dei bambini, Progettazione partecipata, A scuola da soli Casoli (Chieti) Italia Regione: Abruzzo Abitanti: 6.000 Esperienze: Progettazione partecipata Cordoba Argentina Provincia: Cordoba Abitanti: 1.294.000 Esperienze: Laboratorio, Consiglio dei bambini, Progettazione partecipata * Si indicano soltanto le esperienze relative al progetto «La città dei bambini». ** In Argentina gli Stati della Repubblica federale si chiamano Province. 260 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 261 Corigliano Calabro (Cosenza) Italia Regione: Calabria Abitanti: 37.000 Esperienze: Laboratorio, Consiglio dei bambini, Progettazione partecipata Correggio (Reggio Emilia) Italia Regione: Emilia-Romagna Abitanti: 20.000 Esperienze: Manifesto esigenze abitative bambini Cremona Italia Regione: Lombardia Abitanti: 71.000 Esperienze: Laboratorio, Progettazione partecipata, A scuola da soli Fano (Pesaro Urbino) Italia Regione: Marche Abitanti: 57.000 Esperienze: Laboratorio, A scuola da soli, Consiglio dei bambini, Progettazione partecipata, Piccole guide, Io e la mia città Florencio Varela Argentina Provincia: Buenos Aires Abitanti: 330.000 Esperienze: La multa de la vergüenza (educazione stradale) Gabicce Mare (Pesaro Urbino) Italia Regione: Marche Abitanti: 5.400 Esperienze: A scuola da soli, Comitato dei bambini Gradara (Pesaro Urbino) Italia Regione: Marche Abitanti: 3.300 Esperienze: Assessorato al Gioco, Progettazione partecipata Granollers Spagna Comunità autonoma: Catalogna Abitanti: 51.000 Esperienze: A scuola da soli, Petits pero ciutadans1 1 «Piccoli però cittadini», programma che ha promosso varie iniziative fra le quali quella delle sedie fornite dai commercianti. 261 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 262 La Plata Argentina Provincia: Buenos Aires Abitanti: 500.000 Esperienze: Laboratorio di bicicletta La Spezia Italia Regione: Liguria Abitanti: 95.000 Esperienze: Consiglio dei bambini, Progettazione partecipata Mar del Plata Argentina Regione: Buenos Aires Abitanti: 842.000 Napoli Italia Regione: Campania Abitanti: 1.000.000 Palombaro (Chieti) Italia Regione: Abruzzo Abitanti: 1.220 Esperienze: Progettazione partecipata Pesaro Italia Regione: Marche Abitanti: 89.000 Esperienze: Laboratorio, A scuola da soli, Comitato dei bambini Piombino Italia Regione: Toscana Abitanti: 34.000 Esperienze: Laboratorio, Consiglio dei bambini, Progettazione partecipata Reggio Emilia Italia Regione: Emilia-Romagna Abitanti: 140.000 Reus Spagna Comunità autonoma: Catalogna Abitanti: 95.000 Esperienze: Consiglio dei bambini Roma Italia Regione: Lazio Abitanti: 2.660.000 Esperienze: Laboratorio, Consiglio dei bambini Rosario Argentina Provincia: Santa Fe Abitanti: 1.155.000 Esperienze: Laboratorio, Consigli dei bambini (3), Progettazione partecipata, 262 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 263 Yo soy padrino, yo soy madrina, Cuidapapis, Il giorno del gioco San Giorgio a Cremano (Napoli) Regione: Campania Italia Abitanti: 59.000 Esperienze: Laboratorio, Progettazione partecipata Scandicci (Firenze) Italia Regione: Toscana Abitanti: 50.000 Esperienze: Progettazione partecipata, A scuola da soli, Laboratorio di bicicletta Viareggio (Lucca) Italia Regione: Toscana Abitanti: 58.900 Esperienze: Laboratorio, Laboratorio di bicicletta Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 264 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 265 Riferimenti bibliografici Vivere in città P. 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Cari bambini di Romano Prodi Introduzione IX 3 Per essere felici 15 Il diritto al gioco 29 Dove si può giocare 37 Non abbiamo posto 43 Giocare gratis 49 Senza allenatore 53 Un giorno per giocare 59 Solo 65 Giocare sicuri 73 Meglio i nonni 81 A piedi 87 La bicicletta è più democratica 101 A scuola ci andiamo da soli 109 273 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 274 Le città sono pezzi di mondo 127 Un marciapiede per la famiglia 135 Tante piazze 139 Se costruite noi non giochiamo 147 Le case sono vicine perché gli amici devono stare vicini 151 Ci sono anche i bambini 157 Un assessore per noi 173 Spazi per comunicare 181 Adulti più infantili 187 Scuola e non scuola 191 Diritti e doveri 199 Mi sono sentito responsabile 203 Un sindaco per i bambini 209 Conclusioni. Appunti per una nuova cultura dell’infanzia 215 Appendici 1. Dal 1991 ad oggi, da Fano a Roma: il progetto, la rete 239 2. Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia 254 3. Le città dei bambini di questo libro 260 Riferimenti bibliografici 265 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 275 Tonucci.QXD 17-11-2005 21:51 Pagina 276