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IAB ITALIA
Rassegna Stampa del 08/12/2014
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INDICE
IAB ITALIA
08/12/2014 Corriere Economia
Come attirare clic sul mio sito
15
06/12/2014 Faz - Frankfurter Allgemeine Zeitung
ZAHL DER WOCHE
16
05/12/2014 Engage.it
PayClick: con Intent Dem e video email riscuote successi a IAB Forum
17
07/12/2014 Huffington Post
Dan Wright: "Amazon ha modificato il modo di fare acquisti". Parla il direttore del
sito europeo del colosso digitale di Bezos
18
ADVERTISING ONLINE
06/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Sempre connessi L'eterno presente che ci tiene stretti
20
08/12/2014 Il Sole 24 Ore
Il marketing nell'era del social
22
08/12/2014 Il Sole 24 Ore
Acquisti e lavoro nella Rete
25
08/12/2014 La Repubblica - Nazionale
La Cancelliera alza il tiro contro Roma e Parigi "Non rispettate le scadenze dovete
fare molto di più"
27
08/12/2014 La Stampa - Nazionale
"Addio spot e raccolte punti Si cresce solo con la qualità" ***
29
08/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
Privacy e fisco nodi irrisolti del web
31
06/12/2014 ItaliaOggi
Loison sceglie clienti e chef come testimonial sul web
33
06/12/2014 ItaliaOggi
Altri 150 mln a chi opera nell'Ict
35
08/12/2014 Corriere Adriatico - Macerata
Tanta voglia di favole
37
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Ciber Monday a sorpresa male gli Usa, bene l'Italia
38
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Buhlmann: "Pubblicità una crescita limitata al digitale" *
39
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Ma a sorpresa il "made in Japan" diventa nel 2014 il brand-nazione più forte del
mondo
41
08/12/2014 Corriere Economia
Internet Google e Apple vanno in radio
42
06/12/2014 Milano Finanza
Le armi segrete di Apple contro Google & C.
44
06/12/2014 Industria e Finanza
CONFCOMMERCIO E FIPE, ECCO L'ACCORDO CON TRIPADVISOR
46
07/12/2014 Corriere della Sera - La Lettura
Google senza pubblicità non diventa più libero
47
04/12/2014 ADV Express
ComScore investe in Italia con la MMx Multi-platform per la misurazione integrata
delle audience online e vCE 2.0 per l'adv online. Pronta per la gara Audiweb
49
05/12/2014 ADV Express
Aboca porta in tv e sul web il nuovo Neo Bianacid. Pianifica Vizeum
50
05/12/2014 ADV Express
InstaBrand: a novembre 18 campagne attive su clienti italiani
51
05/12/2014 e20express.it
Conapi, quando l'evento è educational. Intervista a Nicoletta Maffini
52
05/12/2014 Engage.it
Coca-Cola affida a un pool di agenzie di WPP la comunicazione per UEFA EURO
2016
54
05/12/2014 Engage.it
Casa.it insegna a scegliere l'agente immobiliare con una campagna e una nuova
sezione sul sito
55
05/12/2014 Engage.it
Aboca punta su tv e web per il lancio di Neo Bianacid. Pianificazione di Vizeum
56
05/12/2014 Il Sole 24 Ore Online
Raffica di piani per il web
57
05/12/2014 Primaonline.it 10:10
Il 56,1% delle pubblicità digitali non viene visto, lo dice una ricerca di Google
(INFOGRAFICA)
58
04/12/2014 Primaonline.it 05:10
Per il 2015 Google sta preparando Chrome e YouTube in versione per bambini fino a
12 anni. In formato kids anche il motore di ricerca (VIDEO)
59
05/12/2014 Primaonline.it 03:37
Mastercucina.net, il portale di edizioni master dedicata alla cucina
60
05/12/2014 Pubblicitaitalia.it 11:34
ComScore, 1 triliardo di interazioni ogni mese provenienti da 172 Paesi diversi
61
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
06/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
salvataggio costoso e inutile
63
06/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Renzi: userò questo giudizio per accelerare
64
06/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Il debito cresce troppo, Italia declassata»
66
06/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Quella tentazione di superare il 3% E l'attesa per l'esame dei mercati
68
06/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Visco: sì agli acquisti Bce, deflazione rischio gravissimo
70
06/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
La paura del futuro blocca l'Italia Il 60% teme di diventare povero
71
07/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Giustizia, più tempo per le Nomine»
73
07/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
1 elettore su 3 «Sarà Meglio senza grillo»
75
07/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Renzi e l'occasione per prendere la Capitale, roccaforte ancora ostile
77
07/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Evasione fiscale, i calcoli sbagliati del sottosegretario»
79
07/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
le riforme che rischiano di peggiorare la crisi
80
07/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«La rete Metroweb a Telecom? Prima il piano industriale»
82
08/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Troppi Scioperi Il governo medi»
84
08/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Alemanno porta soldi in Argentina In aeroporto passa al varco riservato»
86
08/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Caccia al guru per il restyling del sindaco
88
08/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Quei politici accanto a criminali che mangiano pesce freschissimo Diventerebbe
marcia anche Oslo»
89
08/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Pronto a lasciare la Camera Ma prima sentirò la base»
91
08/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
L'infelice illusione di una decrescita felice
92
06/12/2014 Il Sole 24 Ore
I giudizi delle agenzie e le pagelle dei mercati
93
06/12/2014 Il Sole 24 Ore
Roberti: per i corrotti le pene dei mafiosi
95
06/12/2014 Il Sole 24 Ore
Padoan: debito italiano sostenibile, scenderà dal 2016
97
06/12/2014 Il Sole 24 Ore
Se la valuta europea «vede» quota 1,20
99
06/12/2014 Il Sole 24 Ore
«Italia deludente sul dossier Made in»
100
06/12/2014 Il Sole 24 Ore
«Imprese all'estero con il supporto di Confindustria»
101
06/12/2014 Il Sole 24 Ore
Unire la finanza, per unire l'Europa
103
07/12/2014 Il Sole 24 Ore
Il vento sta cambiando ma forse è troppo tardi
105
07/12/2014 Il Sole 24 Ore
Le operazioni sospette con San Marino
106
07/12/2014 Il Sole 24 Ore
Ciucci: privatizzazione dell'Anas nel 2016
108
07/12/2014 Il Sole 24 Ore
«Ci sono corruzione e intimidazione»
112
07/12/2014 Il Sole 24 Ore
Adesso i territori delusi dalla politica cercano nuove radici
114
07/12/2014 Il Sole 24 Ore
Una politica per la ricerca
116
08/12/2014 Il Sole 24 Ore
Chance in Albania per le nostre Pmi
118
08/12/2014 Il Sole 24 Ore
Tessile e alimentare, distretti al femminile
120
08/12/2014 Il Sole 24 Ore
Se la crisi manda in tilt indicatori e statistiche
122
08/12/2014 Il Sole 24 Ore
La disclosure punta anche all'Italia
124
08/12/2014 Il Sole 24 Ore
La frenata del commercio: i negozi sfitti salgono del 16%
126
08/12/2014 Il Sole 24 Ore
Dal petrolio al cotone, la discesa dei prezzi fa respirare l'industria
128
08/12/2014 Il Sole 24 Ore
Se l'economia piange quando ride il risparmio
130
06/12/2014 La Repubblica - Nazionale
La poltrona ereditaria
131
06/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Orfini: "Bloccare le tessere? Potrei chiudere i circoli
132
06/12/2014 La Repubblica - Nazionale
"Le tribù si scatenano in campagna elettorale"
133
06/12/2014 La Repubblica - Nazionale
"Pizzarotti non creda di cambiare il Movimento Grillo resta il Garante"
134
06/12/2014 La Repubblica - Nazionale
"Da noi troppe ambiguità sul salvataggio di Azzollini"
135
06/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Usa, boom di nuovi posti mai cosi tanti dal 1999 e i mercati festeggiano
136
06/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Addio aumento di risorse per i contratti di solidarietà Sel e Fiom contro il governo
138
06/12/2014 La Repubblica - Nazionale
ESSERE CATTIVI EUROPEI
139
07/12/2014 La Repubblica - Nazionale
"Io, linciata per le vanterie di due mafiosi"
141
07/12/2014 La Repubblica - Nazionale
LA BANCA CENTRALE E L'ACQUISTO DI BOND I VERI OBIETTIVI DI DRAGHI E
QUELLI DI RENZI
142
07/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Ultimo scandalo Ior il Papa fa indagare l'erede di Marcinkus *
145
07/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Province, l'ora del caos per i ventimila esuberi porte chiuse dalle Regioni e paghe a
rischio nel 2015
147
07/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Al secondo round dei maxi-prestiti Bce le banche europee potrebbero chiedere fino a
170 miliardi
149
07/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Alfredo Reichlin
150
07/12/2014 La Repubblica - Bologna
"Non c'è il rischio banlieue ma la tensione sociale unisce studenti e dannati"
154
08/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Papa Francesco "I 7 impedimenti che vanno tolti ai divorziati"
156
08/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Italia-Germania, è scontro
158
08/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Cantone: non si può arrestarli tutti
160
08/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Ecco le prove delle tangenti "In due anni 44 bonifici per pagare 226mila euro"
162
08/12/2014 La Repubblica - Nazionale
"Mai fatto pressioni per favorire Buzzi ma nel Pd un degrado impressionante"
164
08/12/2014 La Repubblica - Nazionale
M5S, la sfida di Pizzarotti "Autocritica e niente espulsioni Grillo è già un passo
indietro" Il leader: io più vivo che mai
165
08/12/2014 La Repubblica - Nazionale
LA DEBOLE POLITICA ESTERA DELL'ITALIA
167
06/12/2014 La Stampa - Nazionale
E I MERCATI ORA CHIEDONO RISULTATI
169
06/12/2014 La Stampa - Nazionale
Dal doping alla protezione Divi della tv e calciatori si rivolgevano a De Carlo
170
06/12/2014 La Stampa - Nazionale
Pd diviso Per Renzi la strada è ora più complicata
172
06/12/2014 La Stampa - Nazionale
Bindi a Renzi: il Pd non dovrebbe far avvicinare quelli come Buzzi
173
06/12/2014 La Stampa - Nazionale
Palazzo Chigi: le riforme ci aiuteranno a ripartire
174
06/12/2014 La Stampa - Nazionale
I timori di Berlino per Roma: un voto anticipato fermerebbe di nuovo le riforme
175
06/12/2014 La Stampa - Nazionale
"Poco lavoro, il quintuplo di carcerati L'integrazione è rimasta un sogno"
176
06/12/2014 La Stampa - Nazionale
"La Bce salvi l'Europa dalla deflazione"
177
06/12/2014 La Stampa - Nazionale
"La Germania sbaglia il piano dell'Eurotower è un vantaggio per tutta l'Ue"
178
07/12/2014 La Stampa - Nazionale
Il presidente delle Coop "Noi parte civile contro Buzzi Il nostro sistema è sano"
179
07/12/2014 La Stampa - Nazionale
Rixi: "Alternativi a tutti e radicati sul territorio"
180
07/12/2014 La Stampa - Nazionale
Berlusconi insegue Salvini Vuole la doppia moneta
181
08/12/2014 La Stampa - Nazionale
SIAMO INDIETRO MA QUALCOSA È STATO FATTO
182
08/12/2014 La Stampa - Nazionale
"Merkel scorretta un leader straniero non dà le pagelle"
183
08/12/2014 La Stampa - Nazionale
Sarti: il nome Grillo sul simbolo si può discutere
184
08/12/2014 La Stampa - Nazionale
Della Valle: persa un'occasione per tacere
185
08/12/2014 La Stampa - Nazionale
"Renzi si fermi Con le preferenze addio trasparenza"
186
08/12/2014 La Stampa - Nazionale
"Sul peso dei clan la sinistra sbaglia a minimizzare"
187
06/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
Rigenerare i partiti e spazzare le cricche
188
06/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
Il premier blinda Marino: avanti con le Olimpiadi
190
06/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
E il boss si vantava così: Cola l'ho messo io in Finmeccanica
191
06/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
Visco: «C'e un conflitto nella Bce»
192
07/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
Guerra sulla Commissione Trasparenza Centrodestra contro la presidenza al M5S
193
07/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
Il governo: Roma non andrà al voto Grillo attacca Marino: deve lasciare
194
07/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
«Io e la beffa delle parlamentarie Pd truccate»
195
07/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
Toti: «Il Prefetto sciolga il Consiglio comunale. È la sola via»
196
07/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
Nessuno avvertì il padre della tragedia
197
08/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
Ma Renzi irritato tira dritto «Non ci faremo intimidire»
198
08/12/2014 Il Messaggero - Nazionale
«Abbiamo perso l'emozione Il logo? Tema da affrontare»
199
06/12/2014 Il Giornale - Nazionale
Se un alieno atterra sul Colle
200
07/12/2014 Il Giornale - Nazionale
Italicum, tempi stretti Si cerca il compromesso sullo sbarramento al 4%
201
08/12/2014 Il Giornale - Nazionale
«Così fan tutti (o quasi) Ora serve trasparenza si muova il Parlamento»
202
08/12/2014 Il Giornale - Nazionale
Il codice etico del duplicatore di ricevute
203
06/12/2014 Avvenire - Nazionale
«Troppi gli allarmi inascoltati Non c'è alternativa ai salvataggi»
204
06/12/2014 Avvenire - Nazionale
«Il lancio di Area Popolare prima di Natale»
205
06/12/2014 Libero - Nazionale
Claudio Martelli: «I socialisti? Alla fine si sono tutti sistemati»
206
07/12/2014 Libero - Nazionale
«Sogno una scissione nel Pd per fare il partito dei moderati»
208
06/12/2014 Il Secolo XIX - Nazionale
Grillo: «Io, in isolamento con la Bibbia di Fazio»
210
06/12/2014 ItaliaOggi
Veltroni ora se lo sogna il Colle dopo lo scandalo del Pd capitolino
212
06/12/2014 ItaliaOggi
Governo Renzi, qualche risultato concreto ora comincia a vedersi
215
06/12/2014 ItaliaOggi
Troppa Google-fobia fa il gioco di Big G
216
06/12/2014 Financial Times
Renzi woos Africa to wean Italy off Russian gas
217
06/12/2014 Financial Times
How Italy lost la dolce vita
219
08/12/2014 Financial Times
The ECB, demigods and eurozone quantitative easing
222
08/12/2014 Financial Times
QE is the last throw of the eurozone dice
223
06/12/2014 International New York Times
With Yoox, luxury brands shake off digital fears
224
06/12/2014 International New York Times
A new offer promises to extend battle for Club Med
226
06/12/2014 International New York Times
And the next economic giants are...
227
08/12/2014 International New York Times
Loans will set a bar for E.C.B. stimulus
229
08/12/2014 The Guardian
Co-operative said to be mafia-style gang base
231
08/12/2014 The Guardian
TEACH CHIRCHILL VALUES IN CLASS? NO THANKS
232
08/12/2014 The Times
'King of Rome' shocks Italy with boasts of mafia terror
233
08/12/2014 La Tribune Quotidien
MERKEL APPELLE LA FRANCE ET L'ITALIE A REFORMER PLUS
234
08/12/2014 La Tribune Quotidien
CLUB MED: NOUVELLE SURENCHERE DE GLOBAL RESORTS
235
06/12/2014 Le Figaro
La pieuvre étrangle la capitale italienne
236
06/12/2014 Le Figaro
Club Med: Bonomi charge la direction du groupe
237
08/12/2014 Le Figaro
ANGELA MERKEL MET EN GARDE ET SES REFORMES INSUFFISANT
238
06/12/2014 Le Monde
Andrea Bonomi surenchérit pour s'offrir le Club Med
239
07/12/2014 Le Monde
La note de l'Italie dégradée par Standard & Poor's
240
07/12/2014 Le Monde
Les marchés veulent y croire
241
08/12/2014 Les Echos
La mise en garde de Merkel à la France
243
08/12/2014 Les Echos
Club Med : Bonomi défie à nouveau Fosun avec une nouvelle surenchère
244
08/12/2014 Les Echos
La chute du pétrole, une opportunité à saisir pour la zone euro
245
08/12/2014 Les Echos
Crise de l'huile d'olive : la France tiraillée entre l'écologie et l'économie
246
08/12/2014 Les Echos
Un accord de place en vue pour l'assurance emprunteur
247
08/12/2014 Les Echos
Mario Draghi, le Latin qui ne perd pas le nord
248
08/12/2014 Les Echos
La baisse de l'euro ne fait pas l'unanimité
249
08/12/2014 Les Echos
Les taux très bas, une potion magique ?
250
08/12/2014 Les Echos
Le bidon a du bon !
251
08/12/2014 Les Echos
L'art-thérapie primée par Atout Soleil 2014
252
08/12/2014 Liberation
Mafia : Rome, ville offerte
253
08/12/2014 Wall Street Journal
Tumble in Oil Prices Spurs Bet On Growth
255
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
IL WELFARE DEL CREDITO PER LE IMPRESE DI ANGELA
257
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Titoli italiani vincitori e vinti nel collasso dei prezzi del greggio
258
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Burocrazia più efficiente la chiave della ripresa
260
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Banche, il lato oscuro di Berlino
262
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Il Mattone dei Comuni si ricomincia da tre
265
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Ilva, voglia di Stato le lezioni dall'estero
267
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Acciaio, un business dominato dai gruppi asiatici
269
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
I manager italiani guadagnano sempre meno e ora guardano all'estero
271
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Saipem ai minimi, i fondi pronti all'assalto
273
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Bce, 21 miliardi alle banche italiane
274
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Eni, Salini Impregilo, Gtech la via nazionale al "buyback"
276
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Auto, linea di montaggio 2.0 per Marchionne rivoluzione a metà
278
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
In Italia crescono i milionari ma il patrimonio è ereditario
280
08/12/2014 La Repubblica - Affari Finanza
Mix di valute per guadagnare, il dollaro in testa
282
08/12/2014 Corriere Economia
Intervento pubblico: facile innamorarsi, difficile lasciarsi
284
08/12/2014 Corriere Economia
Ilva e le altre Il rischio Iri: due leggi per avere più Stato
285
08/12/2014 Corriere Economia
Finmeccanica: più leggera e si spera più competitiva
287
08/12/2014 Corriere Economia
Unicredit La svolta verso l'hi-tech «Il nostro modello? Amazon»
289
08/12/2014 Corriere Economia
Al Fondo italiano piace il paradiso delle viti inventato dal cavalier Brugola
291
08/12/2014 Corriere Economia
Siti web Edison vince l'oro tra le aziende non quotate
292
06/12/2014 Milano Finanza
Rinvii pericolosi
294
06/12/2014 Milano Finanza
Il paradiso è perduto
296
07/12/2014 The Sunday Times
Gangsters and fruit flies terrorise Italy's olive farms
298
05/12/2014 L'OBS
Science poilitique
299
05/12/2014 L'OBS
Closer Voici
301
05/12/2014 L'OBS
"LES BANQUES CENTRALES VONT SOUTENIR LA CROISSANCE"
302
05/12/2014 L'OBS
LES VALEURS EUROPÉENNES ONT LA COTE
303
IAB ITALIA
4 articoli
08/12/2014
Corriere Economia - N.41 - 8 dicembre 2014
Pag. 15
Come attirare clic sul mio sito
paola caruso
Il digitale è diventato una scelta strategica per le aziende. Lo dimostra l'incremento della pubblicità sul web:
+12,7% nel 2014 rispetto all'anno precedente. Oggi, gli investimenti nell' advertising online toccano i 2 miliardi
di euro, pari a una quota di mercato del 25% (rielaborazione Iab su dati Nielsen e Osservatori Politecnico di
Milano).
«Le grandi e le medie imprese stanno aumentando i budget del marketing digitale - spiega Michele Marzan,
vicepresidente di Iab Italia -, segno che il business si sta spostando verso il nuovo canale. Le piccole imprese
hanno meno risorse da impiegare in campagne online , ma sono presenti, spesso senza l'utilizzo di
un'agenzia». Se le aziende vogliono farsi notare in Rete, anche con spot «fai da te», devono affidarsi a
persone con skill digitali e una formazione specifica nel settore. A fornire le competenze per sviluppare gli
affari online sono i corsi di Business Digital Trainings, organizzati da Marte Digital, in media partner con
Corriere Economia . I primi tre su ecommerce , social media e Google Adwords hanno riscosso grande
interesse.
«Tra i temi che ci hanno chiesto di approfondire nella giornata dedicata all' ecommerce ci sono i metodi per
vendere all'estero e come si progetta il set-up di un sito dal punto di vista finanziario - precisa Carlo Terreni,
co-fondatore di Marte Digital -. Inoltre, tutti gli iscritti hanno deciso di frequentare anche gli altri corsi incentrati
sul marketing online , avendo capito che senza una strategia di comunicazione ben strutturata, non si
vende».
Per scoprire le tecniche in grado di fornire ai siti visibilità gratuita sui motori di ricerca, il 10 dicembre è in
programma il corso sulla Seo (Search Engine Optimization) con Ale Agostini, fondatore di Bruce Clay Europe
( http://www.martedigital.it/corsi/corso-seo-visibilita-del-tuo-sito-attraverso-il-seo/).
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IAB ITALIA - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Il corso
06/12/2014
Faz - Frankfurter Allgemeine Zeitung
Pag. 41
ZAHL DER WOCHE
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Milliarden Stunden leisteten deutsche Arbeitnehmer zwischen Juni und September. Das war ein Prozent
mehr als im entsprechenden Vorjahreszeitraum. Quelle: IAB
IAB ITALIA - Rassegna Stampa 08/12/2014
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ZAHL DER WOCHE
05/12/2014
Engage.it
Sito Web
PayClick: con Intent Dem e video email riscuote successi a IAB Forum
Con una vocazione all'innovazione, la realtà guidata da Luca Formicola ha partecipato all'evento svoltosi la
scorsa settimana a Milano in qualità di espositore registrando grande interesse per le proprie soluzioni
L'edizione di quest'anno di IAB Forum è stata per molti una delle migliori. Un parere condiviso anche da Luca
Formicola, amministratore unico di PayClick, l'azienda a cui si riconosce il merito di offrire ai propri clienti
soluzioni tagliate sulle loro esigenze e l'impegno nella ricerca costante dell'innovazione che ha portato la
realtà a presentare nella cornice del Forum, dove è stata presente in qualità di espositore, le soluzioni Intent
Dem e video email.«Sono stati due giorni di assoluto rilievo, durante i quali abbiamo avuto modo di
presentare le nostre ultimissime novità e di rivedere tanti clienti - spiega Formicola -. L'atmosfera respirata al
MiCo Milano Congressi è stata fantastica, vi era un pullulare di digital ideas e tutti i protagonisti dell'economia
digitale si sono confrontati per riflettere sulle nuove opportunità offerte dal settore e sui relativi scenari futuri. Il
nostro stand ha registrato una maggiore affluenza rispetto alle edizioni precedenti. Il nostro staff, composto
da 12 persone, è stato perennemente occupato, preso d'assalto da domande e curiosità suscitate dalle
principali novità che abbiamo presentato: la video email e l'Intent Dem».Nello specifico, le due soluzioni
dimostrano la vocazione all'innovazione dell'agenzia. La prima consiste una forma di digital advertising che
arricchisce la classica Dem con un video caricato in streaming. Tale sistema permette di non appesantire
l'email, che si adatta a qualsiasi tipo di device utilizzato dall'utente finale.L'Intent Dem, invece, è un'esclusiva
modalità di retargeting, unica nel mercato italiano, che coniuga i vantaggi del behaviour retargeting agli alti
tassi di conversione del canale Dem. «Grazie a questa tecnologia - spiega ancora il manager - saremo in
grado di capire se un utente ha navigato sul sito di un nostro cliente e se ha portato a termine, o meno,
l'azione desiderata. Se ciò non è avvenuto gli invieremo una Dem che lo spinga a compiere l'azione. L'Intent
Dem ci consentirà di agire su un utente spontaneamente interessato ad un brand, dunque, inviando una
comunicazione ad hoc aumenteranno notevolmente i tassi di conversione. Così facendo, centreremo i nostri
obiettivi con poche migliaia di email inviate».Per fare un esempio concreto, ci spiega ancora Formicola, basta
supporre che un utente stia navigando sul sito di un noto brand, magari nel settore dell'informatica,
navigando tra i tablet. Questo sistema innovativo verifica, in tempo reale, se l'utente è presente nei database
che PayClick ha in concessione e se così fosse, può inviargli una email immediatamente, ad esempio con
l'indirizzo del rivenditore più vicino.«Crediamo molto nell'efficacia di questo strumento e riteniamo che porterà
risultati concreti al cliente, rafforzando non solo il brand, ma anche la conversion rate. Molti clienti si sono
detti entusiasti di questi due servizi innovativi e ciò rappresenta per noi un enorme attestato di stima, nonché
un riconoscimento dell'ottimo lavoro svolto negli ultimi anni. Lo IAB Forum ci ha permesso di riscontrare
anche un aumento della notorietà del brand PayClick nel panorama del mondo digital, di cui rappresenta
ormai un'eccellenza e un punto di riferimento», commenta ancora il manager, che in chiusura aggiunge: «La
crescita dell'azienda è anche testimoniata dagli ottimi risultati con i quali chiuderemo il 2014. E le previsioni
per il 2015 sono altrettanto rosee. L'anno prossimo, infatti, contiamo di registrare un'ulteriore crescita del
20%».
IAB ITALIA - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Tecnologia
07/12/2014
Huffington Post
Sito Web
Amazon continua a crescere, nonostante le polemiche che ciclicamente la travolgono. Dal palco dello Iab
Forum di Milano, evento dedicato alla pubblicità e alla comunicazione, Dan Wright, direttore di Amazon
Europe, racconta con soddisfazione e ampi sorrisi la marcia trionfale del colosso dell'e-commerce. Parla di
obiettivi raggiunti, di "un volume di vendite che entro fine anno arriverà a 1500 miliardi di dollari, con il 28%
del totale degli ordini provenienti dall'Europa occidentale" e di "un mercato italiano sempre più
interessante".All'Huffpost spiega tecniche e progetti per "rendere l'acquisto on line non un semplice click, ma
un'esperienza completa. Perché il consumatore deve essere sempre al centro".Sono anche i giorni in cui in
Italia (e pure in Gran Bretagna e Australia) torna in auge il dibattito sulla Web Tax, mentre il Parlamento
Europeo approva la risoluzione di "break-up" per Google. Abbiamo chiesto a Wright un commento su queste
misure, ma non abbiamo avuto alcuna risposta. Volevamo provare a capire se, secondo lui, sarebbero
provvedimenti giusti, oppure restrittivi, perché rischiano di penalizzare i singoli mercati, e quanto
inciderebbero sul business dei giganti di internet. Di questi temi Wright non ha voluto non parlare.Amazon ha
davvero cambiato, e in parte stravolto, i consumi, compresi quelli culturali? In tempi di shopping natalizio c'è
anche chi sostiene che l'e-commerce abbia rovinato il tradizionale rito dei regali...Sicuramente la vendita online, e ancor più quella attraverso i dispositivi mobili, ha modificato il modo di fare acquisti. Noi però vogliamo
concentrarci anche su quello che invece è rimasto uguale, ovvero l'esperienza e la fidelizzazione del cliente.
Chi compra, sia on line sia in un negozio tradizionale, è attento alla selezione dei prodotti, alle novità e alle
offerte. Vuole scegliere, guardare. Questi sono requisiti essenziali e trasversali e noi vogliamo mantenerli.
Puntiamo a creare un rapporto tra marchi e consumatori uguale a quello reale e continueremo a farlo, anche
attraverso la pubblicità.Lei si occupa anche di questo all'interno del gruppo. Qual è la connessione, ormai
sempre più stretta, tra pubblicità e e-commerce?Direi che il rapporto tra queste due componenti è
fondamentale, per questo cerchiamo di innovarlo in continuazione. Il consumatore però è sempre al centro, è
la nostra ossessione. Inseriamo anche le recensioni e le valutazioni dei clienti in alcuni annunci, hanno
un'efficacia del 20-30% superiore rispetto agli annunci tradizionali. La pubblicità di solito viene percepita
come un fastidio, noi invece vogliamo che diventi parte integrante dell'esperienza dell'acquisto, addirittura che
la migliori. E-commerce e advertising sono legati e hanno un impatto reciproco.Quanto sta crescendo
Amazon in Italia? Secondo un rapporto (firmato da Netcomm e Politecnico di Milano) l'e-commerce è in
aumento, ma ancora dominato delle Dot Com straniereIl vostro è un mercato per noi molto interessante e in
costante crescita. Arriveranno ancora grandi numeri. Sono convinto che entro il 2018 da voi la crescita totale
dell'e-commerce sarà a due cifre. (Amazon però non fornisce dati per i singoli Paesi ndr)Qual è il prodotto più
venduto? Difficile dirne uno. Le classifiche cambiano rapidamente, ma una curiosità c'è: cinque degli ordini
che vengono fatti ogni secondo, non solo in questo periodo, riguardano i giocattoli.In Italia si sta molto
dibattendo sulla web tax, una misura per cui ricavi di grandi aziende del web con sede all'estero, come la
vostra, dovrebbero essere fatturati e tassati nel nostro Paese. Intanto anche il Parlamento Europeo ha
approvato una risoluzione per scindere i servizi di ricerca di Google da quelli commerciali. Che cosa ne
pensa? Sarebbero misure giuste oppure rischiano di penalizzare le economie e i consumatori dei Paesi che
le applicano?A questa domanda preferisco non rispondere. Ricevi un'e-mail quotidiana con gli articoli e i post
in primo piano.
IAB ITALIA - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Dan Wright: "Amazon ha modificato il modo di fare acquisti". Parla il
direttore del sito europeo del colosso digitale di Bezos
ADVERTISING ONLINE
28 articoli
06/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Sempre connessi L'eterno presente che ci tiene stretti
Daniela Monti a pagina 35
Non c'è più tempo per pensare: bisogna agire, e farlo in fretta. La velocità è tutto. Bisogna esserci adesso .
Prendiamo la bufera mediatica che si è scatenata attorno al marchio Moncler dopo la messa in onda
dell'inchiesta di «Report» sull'imbottitura dei suoi piumini: il fatto che l'azienda non abbia risposto in tempo
reale con una contro-campagna dello stesso impatto è stato letto da molti come segnale di debolezza.
«Perché non reagiscono?», si sentiva dire qua e là. Tentennare, prendere tempo, attendere di trovare la
risposta giusta sono atteggiamenti che non possono più fare parte del nostro agire quotidiano. «La nostra
società si è orientata verso il presente: oggi tutto è live , in tempo reale, senza un momento di tregua. Non si
tratta di una semplice accelerazione, sebbene il nostro stile di vita e la tecnologia abbiano velocizzato i tempi
delle nostre azioni - scrive Douglas Rushkoff in uno dei testi più apprezzati sull'argomento, Presente Continuo
(Codice Edizioni) -. Si tratta piuttosto di un ridimensionamento di tutto ciò che non sta accadendo adesso, e
dell'assalto di ciò che invece, almeno apparentemente, è il nostro presente più immediato».
La parola assalto rende bene l'idea: la nostra attenzione è ostaggio di ciò che capita adesso . Nei giorni in cui
Donna Tartt ha vinto il Pulitzer, chi non ha letto il suo «Cardellino» è stato tagliato fuori da qualsiasi
discussione. Lo stesso è accaduto con Patrick Modiano dopo il Nobel. Ma, passato l'attimo, il quadro è
cambiato e la triste verità è che siamo sempre più in difficoltà ad articolare un discorso sensato sui libri, sulla
musica o sui film usciti appena il mese scorso. Rushkoff sintetizza con una battuta fulminante questo nostro
nuovo vivere schiacciati sull'adesso: se la fine del ventesimo secolo è stata caratterizzato dal futurismo, il
ventunesimo potrebbe essere il secolo del «presentismo».
In qualsiasi attività siamo impegnati - dalla preparazione di una relazione in ufficio al portare i bambini a
scuola - è assolutamente certo che verremo interrotti dal telefono che squilla, dalla luce che lampeggia sullo
smartphone, dal suono emesso dall'iPad ad ogni notifica di Twitter. Certo: potremmo resistere e rimandare a
più tardi la telefonata, la lettura della mail o del tweet, ma chi lo fa davvero? E se ci perdiamo qualcosa non
rispondendo adesso ? Tutte queste interruzioni creano la sensazione di «dover tenere il passo con il loro
insostenibile ritmo, per timore di perdere il contatto con il presente», dice ancora il teorico americano. Non è
più la vecchia storia del multitasking, cioè del fare più cose contemporaneamente (una lezione che tutti
abbiamo già imparato). La questione è più sottile: chi comanda il gioco? Chiaramente, non siamo più noi, ma
la tecnologia. Che con Internet - il quale vive sull'istantaneità - detta il tempo delle nostre giornate, dei nostri
interessi, persino delle nostre decisioni (soprattutto in periodo elettorale diventa evidente a tutti come i politici
si affidino a valutazioni in tempo reale per correggere programmi e dichiarazioni sulla base delle reazioni del
pubblico che segue live i dibattiti in tv).
Fare un progetto a lungo termine, organizzare la propria vita in funzione di un obiettivo da raggiungere,
procedere con lo sguardo dritto in avanti è diventato più difficile. Non solo per la mancanza di prospettive,
soprattutto per i giovani (di cui Silvia Avallone sintetizza efficacemente lo stato d'animo: si sentono «braccati
in un eterno presente, non possono fare progetti, non possono costruire un percorso per più di tre mesi di fila
e "poi si vedrà"»). Ma per quell'«assalto» continuo dell' adesso che distrae, fa deragliare, infila un'emergenza
dietro l'altra senza soluzione di continuità. Così spendiamo le energie migliori per riuscire a stare a galla. Non
progettiamo, improvvisiamo.
Anche il rapporto Censis richiama l'idea del «presentismo» e, per descriverci, usa queste parole: siamo
«sempre più impegnati nel presente, con uno scarso senso della storia e senza visione del futuro». E se è
vero che già nel nostro carattere nazionale c'è l'inclinazione a subire il fascino dell'adesso e di tutto ciò che è
immediato (il filosofo Roberto Esposito ne fa una questione di carattere: «Gli italiani hanno sempre avuto una
maggiore sensibilità per quanto è contingente, concentrato nella singolarità dell'evento, sottratto ad un
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Stili di vita Tempi liberi
06/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 08/12/2014
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progetto di lunga durata»), Internet e l'ossessione contemporanea per il live ci hanno spianato la strada.
Google e i suoi fratelli sono maestri nel disorientamento temporale: i risultati di una ricerca mescolano tutto
nella stessa schermata, l'articolo più recente con lo studio di vent'anni fa, cancellando il percorso che separa
l'uno dall'altro. Tutta la conoscenza viene portata nel presente. «Quindici minuti passati su Facebook fondono
le amicizie delle scuole elementari alle richieste di contatti futuri: tutto ciò che abbiamo vissuto e tutti quelli
che abbiamo incontrato vengono compressi in un presente virtuale. Viviamo le nostre età tutte insieme: non
c'è nulla che possiamo lasciarci alle spalle una volta per tutte. A svanire non è solo il confine fra pubblico e
privato, ma anche la distanza fra presente e passato», scrive ancora Rushkoff. Umberto Eco si è spinto a
chiamare «malattia generazionale» quell'«appiattimento del passato in una nebulosa che non dovrebbe avere
giustificazioni, viste le informazioni che anche l'utente più smandrappato può ricevere su Internet. Ma la
memoria in alcuni (molti) giovani si è contratta in un eterno presente dove tutte le vacche sono nere».
Presi dall'ossessione del presente, finiamo, o fingiamo, di non accorgerci che gran parte delle informazioni a
ciclo continuo che riceviamo quando ci raggiungono sono già superate. I risultati, in fondo, sono comici.
Come nel dialogo geniale sul potere dell'adesso fra Lord Casco e il colonnello Nunziatella in «Balle spaziali»
di Mel Brooks: «Che è successo al prima?» «È passato». «Quando?». «Adesso. Siamo all'adesso, adesso».
«Torniamo al prima!». «Non possiamo». «Perché?». «Perché l'abbiamo superato!». «Quando?». «Adesso!».
@danicorr
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ILLUSTRAZIONE DI VINCENZO PROGIDA
I numeri Nel luglio scorso 27,8 milioni di italiani si sono collegati a Internet almeno una volta. In media il
tempo pro capite trascorso online è di 44 ore e 26 minuti. Il dato è di Audiweb. Lieve flessione rispetto ai 28
milioni di utenti connessi a giugno, ma aumento del tempo d'uso pro capite della connessione, che a giugno
era di 43 ore e 9 minuti Ad accedere a Internet da smartphone e tablet sono stati 17,8 milioni di utenti contro i
17,2 di giugno
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 12
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Il marketing nell'era del social
Condividendo le campagne dei brand su Facebook si può guadagnare
Gaia Giorgio Fedi
«Se non stai pagando il prodotto, allora vuol dire che il prodotto sei tu». La frase riassume il modello di
business di molte società che lavorano su internet offrendo servizi gratis in cambio di dati personali (come
Facebook, per esempio). Ma se è vero che i social guadagnano dagli utenti, gli utenti possono guadagnare
dai social media? La risposta è sì.
Finora, a usare questi strumenti a scopo di lucro sono state soprattutto le aziende, che sono sbarcate sugli
strumenti relazionali a fini di marketing. Ed è proprio questo fenomeno che spiana la strada agli utenti per
ottenere i principali vantaggi economici, in termini di guadagno, risparmio, sconti e altri benefici. Per esempio,
esistono società di social marketing, come AdMingle, che consentono di guadagnare dalla condivisione di
contenuti. Iscrivendosi, si accede alle campagne attive sul sito. Se si condividono alcune campagne in base
ai propri interessi, è possibile pubblicarne i contenuti sui propri profili social e ottenere un guadagno per
ciascun messaggio pubblicato. Anche Buzzoole, società napoletana che misura l'influenza sui social network,
ha avviato delle campagne di «buzz marketing» fatte attraverso i cosiddetti «influencer», cioè gli utenti che
hanno un largo seguito sulle piattaforme sociali. Con Buzoole si può partecipare a dei concorsi con cui si
possono promuovere i brand preferiti e ottenere dei premi.
Anche al di là di questi casi specifici, sono molte le società che stanno utilizzando il marketing su Facebook,
Twitter e strumenti analoghi: seguendo le proprie marche preferite, è così possibile tenere d'occhio sconti e
promozioni studiati ad hoc per gli utenti delle reti sociali. «Il fenomeno dei social network sta influenzando
sempre di più la relazione marca-consumatore», spiega Andrea Boaretto, head of Marketing Projects della
School of Management del Politecnico di Milano. Secondo una nuova ricerca del Laboratorio ConMe
(www.convergenzamediale.com), progetto di ricerca congiunto tra la School of Management del Politecnico di
Milano e Makno, «quest'anno le pratiche social di activation (post e commenti) sono aumentate di circa il 15%
rispetto all'anno precedente tra gli internet user italiani maggiori di 14 anni», specifica Boaretto. Focalizzando
l'attenzione sulle persone responsabili di acquisto di differenti categorie merceologiche (prodotti largo
consumo, beni durevoli e servizi), prosegue, «si rileva una tendenza sempre maggiore a visitare i profili
ufficiali delle marche sui principali strumenti (Facebook, Twitter e Youtube)».
Sei si esaminano le motivazioni di queste attività sui social network egate ai brand, si nota che «per il
comparto dei servizi (telco, utility, banche, etc.) i profili ufficiali della marca sui social network sono consultati
principalmente per trovare informazioni su prezzi e promozioni (circa il 30%), mentre per il comparto dei
prodotti gli italiani ricercano ugualmente informazioni in generale, e in particolare confronti sui prezzi e
promozioni (circa il 26% in entrambi i casi)», dice Boaretto.
Gli italiani quindi si connettono sempre di più ai social per cercare sconti e promozioni. «Questo non è solo un
effetto della diffusione dei network virtuali, ma soprattutto della multicanalità», commenta Boaretto, spiegando
che molto semplicemente alcune dinamiche del marketing si sono spostate sui canali digitali. «Un altro
strumento importante, infatti, sono i social interni alle società, che costituiscono delle specie di club per gli
utenti più affezionati».
Una delle tendenze più interessanti è quindi lo spostamento delle iniziative di loyalty, cioè le vecchie
campagne fedeltà che esistono da anni, su nuovi strumenti di interazione. Sull'onda di questo trend, sono
nate molte società che si occupano specificamente di quella che potremmo definire «social loyalty». Anche in
Italia, dove si trovano già molti casi interessanti: Yourbuzz, per esempio, è un social game che permette di
vincere coupon, premi o soldi in cambio della condivisione dell'opinione sui social. Beenz è una piattaforma di
loyalty, cui aderiscono diversi retailer ed esercenti, che consente ai clienti di fare acquisti e svolgere azioni sui
social per raccogliere punti virtuali, ovvero i fagiolini ("beenz"): un esperimento che coniuga la vecchia
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 08/12/2014
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RISPARMIO & FAMIGLIA PLUS24 tendenze
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 12
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ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 08/12/2014
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raccolta punti con il cosiddetto social buzz. OffertOne rende più convenienti gli acquisti a ogni condivisione
sui social network. Ma c'è anche l'app Starbytes social, che permette di ottenere ricariche telefoniche, giochi,
musica e altro in cambio della condivisione dei con tenuti proposti con la propria rete di amici.
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Network loyalty
Le iniziative
L'ascesa dei social network ha indotto molte società ad avviare specifiche iniziative di fidelizzazione su questi
strumenti. McDonald's per esempio ha lanciato l'app My Breakfast, che consente di ricevere buoni sconto e
omaggio non solo con gli acquisti ma anche con l'interazione con il brand. Interessante anche l'idea di Total
Erg, a cavallo tra social marketing e gamification: se ci si fa un selfie in un determinato contesto e lo si
condivide sui propri profili social, la foto più divertente vince dei premi fedeltà. Anche Italo Treno, che
consente di gestire il proprio profilo loyalty da un'applicazione mobile, premia i propri clienti più fedeli offrendo
buoni sconto sui social. La fidelizzazione sulle reti sociali virtuali ha coinvolto soggetti dei settori più disparati,
compreso quello della cultura. Infatti, anche il Piccolo Teatro di Milano ha provato l'esperimento social in
passato, dando la possibilità agli utenti che avevano cliccato su «mi piace» sulla pagina Facebook di ottenere
sconti sui biglietti di alcuni spettacoli.
Per lo scambio di prodotti e servizi
Reoose.com
Reoose.com è uno store virtuale di baratto asincrono.
Numero iscritti
35.000
Categorie merceologiche
Elettronica, arredamento, bambini, abbigliamentoi, auto, moto e barche, collezionismo, musica, libri e film,
tempo libero
Tipologie di articoli venduti
Nuovo e usato
Tipologie di inserzionisti
privati, artigiani, piccoli produttori alimentari e agriturismi
Tipoligie di pagamento
Il pagamento avviene tramite il sito in crediti (la moneta virtuale di Reoose)
Registrazione
Registrazione è gratuita e obbligatoria.
Garanzia acquisti
iIn caso di reclamo rimborsa i crediti della transazione
Assistenza clienti
[email protected]
Per tenersi informati e curare la web reputation
Twitter
Twitter è un social network di microblogging che fornisce agli utenti una pagina personalizzabile dove
pubblicare messaggi in 140 caratteri.
Numero iscritti
Secondo le stimedi Twopchart il numero di account supera i 900 milioni, ma almeno la metà non ha mai
mandato un tweet.
Come funziona
Dopo l'iscrizione si scelgono gli utenti da seguire e si può cominciare a pubblicare i commenti
Offerte di lavoro
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 12
(diffusione:334076, tiratura:405061)
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La ricerca di un lavoro non fa parte delle principali attività svolte su Twitte
Tipologie di utenti
Privati, aziende, organizzazioni.
Servizi a pagamento
Il servizio è gratuito
Registrazione
La registrazione è gratuita e obbligatoria. Dopo essersi registrati si può cominciare a seguire gli altri utenti e a
pubblicare i commenti (i cosiddetti tweet)
Per trovare lavoro
Linkedin
Linkedin è la più grande rete professionale al mondo.
Numero iscritti
332 milioni in 200 Paesi
Come funziona
Su Linkedin si può costruire il proprio profilo professionale, inserendo i dati sull'istruzione, le esperienze
lavorative, i premi e i riconoscimenti ottenuti per il proprio lavoro
Offerte di lavoro
Su Linkedin le aziende possono anche pubblicare le proprie offerte di lavoro, che vengono inviate agli iscritti, i
quali possono candidarsi per la posizione direttamente sul sito
Tipologie di utenti
Privati (studenti, dipendenti, manager, liberi professionisti e persone alla ricerca di un'occupazione) e aziende
Tipologie di pagamento
Il pagamento per il servizio premium avviene con carta di credito o Paypal, su base mensile o annuale
Registrazione
La registrazione è gratuita e obbligatoria.
Una pagina come vetrina virtuale
Facebook
Facebook è uno dei più famosi social network.
Numero iscritti in Italia
25 milioni
Utenti attivi al giorno su mobile
16 milioni
Numero medio di amici
300 a utente
Pagine aziendali
30 milioni le pagine utilizzate da imprese in modo attivo a livello mondiale. Di questi, 19 milioni gestiscono
contenuti e interazioni direttamente da mobile
Utenti connessi a pagine pmi
In Italia si contano più di 745,7 milioni di connessioni fra persone e aziende, con l'83% degli italiani connesso
alla pagina di almeno una PMI su base mensile
Inserzioni pubblicitarie
Più di 1,5 milioni le Pmi che investono attivamente in Facebook ogni mese a livello globale
Centro assistenza
www.facebook.com/help.php
Foto: CORBIS
08/12/2014
Il Sole 24 Ore - Risparmio & famiglia
Pag. 1.11
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Acquisti e lavoro nella Rete
Da Facebook a Twitter passando per Pinterest e il baratto online le nuove possibilità di scambio economico
Isabella Della Valle
Acquisti e lavoro più social Social network sempre più utilizzati per trovare lavoro e acquistare a prezzi più
convenienti. In Europa nel 2014, la diffusione raggiunge il 42%, contro una media europea del 40, mentre
l'uso di internet in Italia è del 58% contro una media europea del 68%.
Servizi pagine 11 e 12
I social network sono oramai entrati nelle abitudini di tutti (o quasi) e ricreano il linguaggio comune. Il bacino
di utenza aumenta peraltro in maniera esponenziale. Si tratta di un mondo virtuale dove le persone entrano in
contatto, conversano, si confrontano e ricercano informazioni e condividono situazioni di vita. Ma se da un
lato queste piazze 2.0 inizialmente venivano intese principalmente come punti di contatto, con il passare del
tempo sono diventati sempre più funzionali alle esigenze degli utenti che ne hanno capito le potenzialità,
aziende comprese.
Secondo il report Social, Digital & Mobile in Europa nel 2014, la penetrazione dei social network in Italia,
tenendo conto soltanto degli utenti attivi (vale a dire quelli che non si limitano ad avere un profilo, ma lo
usano) è del 42%, contro una media europea del 40 per cento. Un dato interessante, se si considera che
l'uso di internet in Italia è del 58% contro una media europea del 68 per cento.
Ma quali sono concretamente i benefici offerti dai social network? Se utilizzati correttamente possono essere
vari. Ci sono vantaggi indirettamente economici, come per esempio la possibilità di accrescere la propria
reputazione professionale postando i propri lavori e contenuti sui propri profili. E in questo caso lo strumento
più utilizzato per trovare lavoro è Linkedin, ma ci sono dei social che in Italia sono ancora di nicchia (almeno
rispetto al loro uso nel resto del mondo), come Twitter, che hanno un particolare peso nella web reputation
legata ad alcuni profili professionali specifici: artisti, professionisti dell'informazione e della comunicazione,
consulenti nel ramo social e Seo (search engine optimization). Ma i vantaggi possono essere anche di
carattere economico. Su Facebook e Pinterest, per esempio, è possibile creare delle vetrine per vendere
direttamente i propri prodotti.
Esistono poi gli strumenti di social marketing, con cui le società avviano campagne sui social a costi minori e
con maggiore efficacia nel raggiungere i target desiderati.
«L'affermazione del social marketing - spiega Roberto Liscia, presidente Netcomm - nasce dalla convergenza
di tre fenomeni: la crescita dell'ecommerce, la diffusione di strumenti come Facebook (e in misura minore di
Twitter e Pinterest) e l'esplosione del mobile. In questo quadro, è cambiato quello che si definisce customer
journey: il vecchio meccanismo di ricerca di informazioni autorevoli sulla stampa e altri media tradizionali si è
semplicemente spostato sui social network». Liscia sottolinea che il 50% degli utenti Twitter nel periodo
natalizio sono influenzati dalle informazioni che ricevono su questo social e di questo 50%, il 69% passa ai
fatti, vale a dire compie degli acquisti sulla base di quelle informazioni. «Per l'utente -conclude Liscia l'utilizzo degli strumenti di marketing sui social media è in grado di attivare diverse leve di soddisfazione: non
solo i vantaggi in termini di prezzo, ma anche la maggiore rapidità di acquisto, grazie alla maggiore velocità
del passaparola sulle promozioni reso possibile dai social».
Nel mondo dei social network e delle comunità online, inoltre, non mancano anche gli esempi di vere e
proprie piattaforme per il risparmio. E-barty per esempio è un social network di baratto: ci si iscrive e, oltre a
condividere i propri interessi con gli altri utenti, ci si può scambiare qualsiasi genere di oggetto. Ma non è
l'unico esempio di esperimento social per scambiarsi gli oggetti: esiste anche la comunità Reoose.com, uno
store virtuale di baratto asincrono. Funziona con una moneta virtuale costituita dai crediti: si mettono a
disposizione i propri oggetti usati e se si vende qualcosa si ottengono crediti che potranno essere utilizzati
per acquistare qualche altro bene messo a disposizione.
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Consumi e internet
08/12/2014
Il Sole 24 Ore - Risparmio & famiglia
Pag. 1.11
(diffusione:334076, tiratura:405061)
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Le parole chiave
1
Baratto
ll baratto, considerata la prima forma storica dello scambio commerciale di beni, è un'operazione con cui due
o più soggetti si cambiano beni o servizi, senza fare uso di moneta. Negli ultimi anni, complice la crisi e il calo
del potere d'acquisto delle famiglie, sono sbarcati sul web diverse community che consentono ai consumatori
lo scambio di beni e servizi sotto forma di permuta.
2
Baratto asincrono
Da Reoose a Dropis, nel mondo virtuale è possibile trovare anche siti che consentono lo scambio di beni e
servizi con il baratto asincrono (che non avviene contemporaneamente) grazie all'utilizzo di una moneta
virtuale. In pratica, è possibile mettere in "vendita" su apposti spazi web un oggetto usato (o nuovo) e
ricevere in cambio dei crediti per comprare, sullo stesso sito, altri oggetti usati.
3
Community
Rete sociale di individui che, uniti da interessi comuni interagiscono, su internet. L'esempio più forte di
community è quello dei social network, ma rappresentano delle community anche i più tradizionali forum di
discussione, le chat room e i programmi di messaggistica istantanea, come per esempio Msn Messenger. Le
community possono interagire anche con la rete telefonica (WhatsApp).
4
Hashtag
Tag (etichetta) usato soprattutto su Twitter. È una parola della frase preceduta dal carattere "#". Per esempio:
#risparmioefamiglia. L'hashtag aiuta a rintracciare, filtrare, aggregare e monitorare tutto quello che viene
scritto su un determinato tema. Contrassegnando un messaggio con un hashtag, quindi, è possibile
coinvolgere più interlocutori nella conversazione in tempo reale.
5
Profilo personale
Raccolta di tutte le foto, le notizie e i dati che raccontano la storia dell'utente. Su Facebook il profilo
comprende anche il diario, ovvero il luogo in cui è possibile vedere tutti i post in ordine cronologico. I dati e le
informazioni del profilo personale possono essere pubblici, quindi visibili a tutti, amici e non, oppure si può
decidere di renderli visibili solo agli amici o di nasconderli a tutti.
6
Social Network
Piattaforma disponibile sul web che consente all'utente di crearsi una rete di collegamenti sociali per
condividere informazioni, foto e video. È sufficiente registrarsi, creare il prorpio profilo e poi è possibile subito
entrare in contatto con tutte le persone che sono già presenti reti. Tra i social network più popolari si
annoverano Facebook, Linkedin, Twitter, Pinterest e Google Plus
08/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:556325, tiratura:710716)
La Cancelliera alza il tiro contro Roma e Parigi "Non rispettate le scadenze
dovete fare molto di più"
ROBIN ALEXANDER E BEAT BALZLI
BERLINO. Italia e Francia hanno varato processi di riforme, e il calendario indicato loro dalla Commissione
europea è giusto, ma la Commissione ha anche chiarito che quanto Italiae Francia hanno finora realizzato
non basta, e io sono d'accordo. Devono fare di più per tradurre le riforme in pratica. È quanto ci dice la
Cancelliera Angela Merkel in questa intervista sulla crisi dell´eurozona e sulle grandi tensioni internazionali, a
cominciare dalle pressioni economiche di Putin e dal confronto tra Occidente e Russia.
Signora Cancelliera, Juncker ha l´idea di non punire subito Francia e Italia per il loro deficit in eccesso. Lei la
trova un´idea buona? «La Commissione ha indicato una road map, una tabella di marcia con indicazioni sui
tempi entro i quali Francia e Italia devono presentare impegni a ulteriori misure. È una posizione difendibile,
perché entrambi i Paesi affrontano davvero un processo di riforme. Ma la Commissione ha anche detto
chiaramente che i piani finora presentati dai due Paesi non sono ancora sufficienti. E io concordo appieno
con questo giudizio». Ma intanto la congiuntura rallenta anche in Germania: i consumatori tedeschi spendono
solo perché a causa dei bassi tassi d´interesse non vale più la pena di investire in risparmi, e allora che fare?
«É prima di tutto la situazione davvero molto buona sul nostro mercato del lavoro che noi tedeschi dobbiamo
ringraziare per il vigore attuale della nostra domanda interna. In Germania abbiamo tanti occupati quanti mai
prima, e anche I lavoratori protetti dalle assicurazioni sociali del welfare non sono mai stati così numerosi.
Constatiamo anche un aumento dei salari reali».
Eppure la crescita resta spaventosamente modesta, e molti critici dicono che le decisioni della Grosse
Koalition - salario minimo, aumento delle pensioni, pedaggio autostradale per gli stranieri in transito - creano
ulteriori freni. Non le pare? «A me pare che l´affidabilità sia un bene di alto valore per la politica come per
l´economia. Con le nostre decisioni manteniamo la parola data agli elettori. Anche la promessa di non
aumentare le tasse. L'anno prossimo, per la prima volta in 46 anni, presenteremo un bilancio senza nuovo
indebitamento. È un segnale molto importante, specie per le giovani generazioni».
Scusi, non ha risposto alla domanda sulla maggiore spesa previdenziale come freno allo sviluppo...
«No, non è così. Traducendo in pratica il Patto di governo della Coalizione, per esempio con l´introduzione
del salario minimo o della pensione per le madri casalinghe, abbiamo mantenuto le promesse e creato fiducia
e attendibilità. Con la nostra gestione del pubblico bilancio pensiamo al futuro, perché aumentiamo di nuovo
gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica e nei grandi progetti di infrastrutture».
Ma può non bastare: dal resto d´Europa non vengono impulsi di crescita. Il piano Juncker per 300 miliardi di
investimenti le pare una buona idea, un tentativo disperato o cosa? «Quel programma di investimenti si
appoggia alla Banca europea degli investimenti, la quale può identificare quali progetti sono sensatie
concedere crediti. Al prossimo Consiglio europeo mi batterò per presentare un Libro bianco dei progetti di
investimento. Abbiamo bisogno di progetti per l´unità europea nel campo digitale, nelle infrastrutture
energetiche, o in grandi progetti per le vie di comunicazione, come facemmo con i progetti per strade e
ferrovie per l'unità tedesca dopo il 1990. Devono essere progetti concreti, sostenibili, da poter proporre a
investitori privati, per invitarli a investire anche loro».
Davvero le sembrano idee sensate, non teme che i programmi per la congiuntura si rivelino fuochi di paglia?
«Qui non stiamo parlando di un programma di sostegno alla congiuntura bensì di un programma di
investimenti. È innegabile che l´Europa abbia bisogno di investimenti. Il modo in cuii fondi europei sono stati
utilizzati nei nuovi Bundesländer (ndr Germania Est) o in Polonia per realizzare infrastrutture è stato un modo
molto sensato. Per questo giudico altrettanto importante creare condizioni favorevoli agli investimenti,
"investment-friendly", in Europa. Per esempio riducendo la burocrazia, come il presidente Juncker ha
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L'intervista Angela Merkel: "Il calendario indicato dalla Commissione è giusto, ma quei Paesi non lo stanno
seguendo nella pratica. Non è vero che facciamo poco per la crescita"
08/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:556325, tiratura:710716)
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proposto. Nell´economia digitale poi deve essere creato uno spazio giuridico di certezza del diritto, tale da far
sì che in Europa diventi possibile creare ricchezza con l´economia digitale non meno di quanto oggi è già
possibile in America o in Asia».
Intanto affrontiamo il confronto con la Russia: lei ha detto che Putin potrebbe prendere di mira i Paesi
occidentali dei Balcani. Come è arrivata a tale conclusione? «Moldavia, Georgia e Ucraina, tre nostri vicini
orientali, hanno firmato a seguito di loro scelte sovrane accordi di associazione con l´Unione europea. La
Russia si prepara a creare difficoltà a questi tre paesi. La Moldavia soffre da anni per il conflitto in
Transnistria; abbiamo compiuto molti tentativi per giungere a una distensione, finora purtroppo invano. La
Georgia soffre per il conflitto nell´Ossezia del Sud e in Abkhazia. L'Ucraina ha subito l'annessione della
Crimea e i combattimenti nell´Est del suo territorio sovrano. E soprattutto, vediamo che la Russia cerca di
creare situazioni di dipendenza economica e politica in alcuni paesi dei Balcani occidentali».
Perché non parla di Estonia, Lettonia e Lituania, ex territorio occupato dall´Urss e oggi membri di Nato e Ue?
« Già durante la mia recente visita in Lettonia ho detto che il dovere di starea fianco degli all e ati nella Nato
vale a favore e in difesa di ogni paese della Nato, dunque anche per Estonia , Lettonia e Lituania,e anche per
la Polonia. Allo stesso tempomi sono impegnata contro una denuncia degli accordi Nato-Russia, per tenere
aperto il dialogo con la Russia». copyright Welt am Sonntag
Foto: NOI SIAMO AFFIDABILI
Foto: Noi dimostriamo che l'affidabilità è un alto valore sia per la politica che per l'economia
Foto: NON AIUTI MA INVESTIMENTI
Foto: Bene il piano Juncker sugli investimenti: di questo abbiamo bisogno in Europa, non di aiuti alla
congiuntura
Foto: LA RUSSIA CREA DIFFICOLTÀ
Foto: La Russia si prepara a creare difficoltà a Moldavia, Georgia e Ucraina, che hanno scelto di fare accordi
con la Ue
08/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 19,22
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Addio spot e raccolte punti Si cresce solo con la qualità" ***
Mario Gasbarrino, ad di Unes: "Abbiamo tagliato su volantini e imballaggi Ma lo standard dei prodotti è alto: il
fatturato sale e i prezzi restano bassi" Oggi il consumatore decide che cosa acquistare soltanto davanti allo
scaffale
PAOLA GUABELLO MILANO
"La nostra Unes tutta italiana e coi prezzi più bassi" L'AD GASBARRINO Abbiamo deciso di non confondere il
consumatore con offerte, punti e promozioni Da noi si trovano semplicità e convenienza
RISTRUTTURAZIONE Abbiamo investito 220 milioni per rifare gli spazi e offrire nuovi servizi dal wi-fi gratuito
agli armadietti per la ricarica dei cellulari alla cassa PAOLA GUABELLO Mario Gasbarrino, amministratore
delegato di Unes
Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi»: dal Gattopardo di Tomasi di Lampedusa a
U2, la catena di supermercati che fa capo al gruppo Finiper (marchi Unes e Iper). Unes è al 100% italiana e
U2 ne è un sottomarchio con la peculiarità che non realizza promozioni, non stampa o distribuisce volantini,
non ha un programma di fidelizzazioni con tessere punti. La catena Unes che Marco Brunelli, «padre» della
moderna distribuzione col gruppo Finiper, ha acquisito nel 2002 (oggi presente con 200 punti vendita in
Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna) è tornata con U2 ai tempi in cui non c'erano le offerte «tre per
due» e le carte magnetiche con le quali registrare punti fedeltà e ottenere sconti. E grazie a questa formula,
mantenendo il numero di negozi stabile, ha fatto crescere i fatturati. Mario Gasbarrino, 61 anni, ad di Unes
spiega cosa è successo nel 2006, al suo ingresso in azienda. «Sono entrato alla Unes dopo 18 anni di
esperienza maturati nella grande distribuzione. Le scelte degli ultimi anni confermavano una direzione
sbagliata: i fatturati dal 2004 erano in perdita quando il mondo ancora non era entrato in piena crisi.
Occorreva perciò una rivoluzione copernicana per frenare il declino. Per 7 giorni mi sono chiuso in ufficio alla
ricerca di una nuova strategia. Abbiamo iniziato dalle piccole cose, riportando il cliente al centro
dell'attenzione. Siamo partiti dalle etichette negli scaffali. Troppe indicazioni confondevano il consumatore:
nome del prodotto e prezzo era quello serviva, semplicità e convenienza». Quali erano gli scogli da
superare? «Il sistema è in una fase di maturità. Da 11 anni le vendite non crescono e la debolezza viene
anche dal "nanismo" italiano, che in questo settore raggiunge l'apice. Tanti e piccoli. Negli standard europei i
primi 3 gruppi totalizzano una media del 55% del fatturato globale della Gdo. In Italia, dove il business tocca i
95 miliardi di euro, si arriva al 35%. Abbiamo oltre 200 insegne e mentre dalla politica alle associazioni noi ci
facevamo la guerra, i grandi gruppi stranieri sono arrivati in Italia. Se pensiamo che il nostro Paese fa del cibo
un suo punto di forza, è tremendo constatare che non abbiamo saputo sfruttare questa peculiarità». Cosa
stava cambiando? «In questo scenario avevano avuto buon gioco i discount, nati in sordina con la complicità
della crisi. Ma deve essere chiaro un concetto: la sofferenza del settore arrivava da lontano, il mondo e il
cliente stavano cambiando grazie a una stupefacente confluenza di fattori socioeconomici: il potere
d'acquisto scendeva mentre aumentava l'indebitamento delle famiglie; il pessimismo era nell'aria, la
popolazione invecchiava e consumava meno. Erano in aumento le coppie senza figli, gli stranieri che
compravano cose diverse e gli stili di vita inducevano a mangiare meno. Non ultimo, il telefonino e i viaggi
avevano preso il posto del cibo come status symbol. La realtà oggi è questa, cui va aggiunta la scarsa
possibilità di innovazione del settore». Com'è il cliente del 2014? «Abbiamo a che fare con un consumatore
che decide dove, quanto e cosa comprare, e spesso lo fa davanti allo scaffale. La pubblicità non influisce più
come una volta e non bastano le raccolte punti per tenerlo fedele perché spesso insegue gli sconti. Il
distributore intanto è rimasto lo stesso, sa che dovrebbe cambiare ma non ha il coraggio di farlo pur sapendo
che ci sono nuovi competitor. Se il supermercato ha "ammazzato" le botteghe, a sua volta è stato frenato
dagli iper dove si trova dal televisore al biscotto fino all'abbigliamento. Poi sono arrivati i grandi "category
killer" (dai prodotti tecnologici allo sport). Ora ci sono anche i "piccoli category killer" specializzati, che stanno
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L'INTERVISTA tutto SOLDI LAVORO IN CORSO /SUPERMERCATI
08/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 19,22
(diffusione:309253, tiratura:418328)
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minando il sistema e avanzano nuove modalità di acquisto, dall'e-commerce al produttore che vende on line
». Cosa ha fatto Unes? «Ha cercato di immaginare il futuro pensando che i prossimi anni saranno
caratterizzati da scarse risorse e da tre concetti: la gente avrà sempre meno tempo, meno soldi, e risorse
ambientali in esaurimento. Abbiamo puntato su un nuovo stile di vita a marchio U2: "low-cost/high value"
eliminando il cliente di serie A e B, come ci hanno insegnato Ikea e Zara, per esempio. Oggi un prodotto deve
essere smart, democratico. Non più classista e umiliante. Ma per fare questo occorreva una "cura
dimagrante", scendere di costi raggiungendo il discount e aumentare il servizio mantenendo la qualità. Così
abbiamo eliminato le promozioni e abbassato stabilmente i prezzi con l'obiettivo di aiutare il consumatore a
risparmiare in modo costante. In altre parole tolto il superfluo e dato risalto all'essenziale». In che modo?
«Oltre alle promozioni, U2 non ha raccolte punti. Non stampa e distribuisce volantini (30 milioni di pezzi in
meno, pari a 780 tonnellate di carta da smaltire). Abbiamo ridotto gli imballaggi inutili (la nostra acqua
minerale non è "incartata" con un risparmio su base annua di circa 400 camion di plastica e l'energia
necessaria a smaltirla) e utilizziamo i banchi per la vendita ortofrutta sfusa che evitano le vaschette. Siamo
stati i primi a introdurre i sacchetti biodegradabili e le borse riutilizzabili riducendo il consumo dei sacchetti
usa e getta di circa il 35%. Le ante frigo di chiusura per i prodotti freschi, luci intelligenti a basso consumo
energetico. Tutte cose che pesavano sul costo dei prodotti. Un'altra cosa che funziona sono i prodotti a
marchio privato, i nostri per intenderci, che rappresentano una quota del 38%, il doppio della media italiana.
Su questi abbiamo abbassato i prezzi mantenendo alta la qualità e un packaging elegante. Il cliente torna a
comprare solo se è soddisfatto». E oltre al prezzo che cosa offrite? «Un'attenzione maniacale al cliente. In
questi giorni, primi in Italia, offriamo il collegamento wi-fi gratuito. Stiamo mettendo anche degli "armadietti"
alle casse dove ricaricare i cellulari mentre si fa la spesa. Sono piccole attenzioni che pagano meglio delle
promozioni. Altro elemento importante? In questi anni abbiamo investito 220 milioni di euro, l'80% dei nostri
investimenti, nella ristrutturazione dei nostri spazi. Molti dei quali li abbiamo trasformati in U2. Non locali nuovi
ma l'esistente adattato alle nuove necessità salvaguardando il territorio». Il suo incontro con Mario Brunelli?
«E' stato un incontro felice. È un uomo fuori dal normale, un fuoriclasse. Per quanto riguarda velocità di
pensiero e modernità, non lo batte nessuno. Del resto la sua visione vincente e la sua storia parlano per lui».
Marchio privato e prezzi convenienti I prodotti a marchio privato Unes, venduti sugli scaffali della stessa
Unes, rappresentano una quota del 38% del totale venduto, il doppio della media italiana.Per 4 anni
consecutivi (2011-2014) U2 è la catena più conveniente d'Italia, con un punteggio di 100 secondo le ultime
rilevazioni di Altroconsumo
200
punti vendita La catena di supermercati Unes, al 100% italiana, oggi è presente in Lombardia, Piemonte ed
Emilia Romagna
220
milioni Il valore degli investimenti per la ristrutturazione degli spazi Unes, che offrono anche la connessione
internet gratuita
I numeri 2002 300 Le unità aperte in Lombardia, Piemonte, Emilia romagna L'anno di acquisizione da parte
di Finiper dei supermercati Unes Il fatturato del 2013 888 milioni Holding Finiper di Marco Brunelli 77% - LA
STAMPA I dipendenti 2.500 La crescita complessiva dal 2006 a oggi Gli anni consecutivi in cui U2 è risultata
la catena di supermercati più conveniente d'Italia
Foto: Mario Gasbarrino Ad di Unes, è entrato nel gruppo nel 2006 e ha creato la catena U2 Le ispirazioni
«Abbiamo eliminato il cliente di serie A o B, come ci hanno insegnato a fare Ikea o Zara. I prodotti sono
democratici: prezzi bassi ma valore alto» La crisi della Grande Distribuzione «La sofferenza del nostro settore
arriva da lontano: il potere d'acquisto scende. Il supermercato ha ucciso le botteghe? A sua volta è stato
frenato da iper e discount»
08/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Privacy e fisco nodi irrisolti del web
Francesco Grillo
«Così come noi non tollereremo mai più un Re che si impossessi del potere politico, nella stessa misura non
potremo mai tollerare che si affermi un Re che controlli la produzione, il trasporto o la vendita di uno qualsiasi
dei beni necessari per il funzionamento della nostra società e la vita delle persone». Furono queste le parole
con le quali, nel 1911, il senatore americano John Sherman chiuse il discorso con il quale propose di
spezzare in trentaquattro diverse compagnie la Standard Oil, che in quel tempo dominava il settore
petrolifero. Da quella iniziativa nacque la prima legge che si è proposta di combattere i monopoli. Soprattutto
nacque l'idea - proprio negli Stati Uniti - che il mercato lasciato solo a se stesso genera mostri che finiscono
con lo strozzarne la sua stessa capacità di produrre valore. È passato esattamente un secolo e le vicende
che riguardano, soprattutto ma non solo, i giganti di Internet ripropongono il problema in una dimensione del
tutto nuova. Come misuro concetti come quello di "posizione dominante" in un'epoca nella quale i valori
economici non sono più quelli usati per valutare imprese e settori prima che arrivasse la "rete"? Dove tasso
imprese che per definizione - producono, trasportano e vendono in un luogo che è virtuale e non è legato a
uno specifico territorio? Chi fa da interlocutore di aziende globali, laddove gli Stati su scala internazionale
hanno prodotto finora organizzazioni che sembrano sempre più paralizzate dalle mediazioni? Continua a pag.
20 segue dalla prima pagina L'editoriale dell' Economist di questa settimana - dopo aver doverosamente
precisato che nel consiglio di amministrazione dell'azienda che controlla il giornale siede Eric Schmidt,
amministratore delegato di Google - arriva alla conclusione che non c'è ancora una ricetta magica per
risolvere quello che è il più grande dei problemi dei nostri tempi. Il più grande dei problemi perché la
virtualizzazione dell'economia - passaggio ulteriore rispetto alla sua globalizzazione - rischia di rendere
complicate alcune delle funzioni minime che giustificano l'esistenza di uno Stato. E di creare un
sbilanciamento tra mercati e governi che farà male ad entrambi. Misurati con la metrica con la quale
normalmente definisco i monopoli, i colossi di Internet sono molto meno grandi di quanto non immaginiamo.
L'unica fonte di reddito per Google, Facebook e Twitter (Apple è un animale di tipo diverso perché vende
hardware) è la pubblicità online. La quota del mercato della pubblicità online che essi (ed in particolar modo
Google) detengono è sicuramente elevata: circa la metà del totale mondiale. Ma questo mercato vale,
comunque, "appena" 110 miliardi di dollari nel 2013. Per capirci un'impresa tradizionale come Wal-Mart
incassa, da sola, ogni anno quattro volte di più di tutte le imprese che operano nel settore delle inserzioni
digitali messe insieme (e dieci volte più di Google). Ed esse, del resto, vendono molto di meno delle imprese
che operano nel mercato (molto più frammentato) della pubblicità non digitale (400 miliardi di dollari). Sembra
che il mondo digitale abbia una tendenza molto più spiccata di quello fisico alla creazione di monopoli per
effetto della legge dei network: a parità di altre condizioni il valore di aderire ad una rete aumenta quanto più
ne aumentano il numero degli utenti e, dunque, le reti se crescono lo fanno in maniera esponenziale
eliminando le altre. Ma alla fine, i giganti di Internet sono ancora stelle nane se messi a confronto, ad
esempio, con le eredi della Standard Oil. Il ragionamento si rovescia se, invece di parlare di vendite e utili,
osserviamo le quotazioni nei mercati azionari. Le tre stelle di San Francisco valgono quasi 600 miliardi di
dollari e impiegano, complessivamente, 65.000 dipendenti. Per avere un'idea delle proporzioni, la nuova Fca
(Fiat Chrysler vale 14 miliardi di euro (trenta volte di meno) con un numero di dipendenti (220.000) tre volte
più elevato. La spiegazione del paradosso sta tutta nel potere che rende grandi le gazzelle della rete: il
possesso dei canali attraverso i quali l'informazione che è potere si trasmette e degli enormi archivi nei quali
essa si sta accumulando. Ed è qui che il senatore Sherman si preoccuperebbe assai, se fosse vivo. È una
posizione dominante quella delle imprese che ogni giorno ospitano i contenuti prodotti da più di un miliardo di
persone. E i loro segreti (personali e professionali). Anche se più vulnerabile di quella dei monopolisti della
rivoluzione industriale. E meritata perché poche imprese investono sistematicamente un terzo dei ricavi in
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I giganti digitali
08/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
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ricerca e gli ingegneri di Palo Alto sono posseduti dal demone dell'innovazione. Tuttavia non abbiamo ancora
inventato ancora un modo per dare valore economico al vantaggio che a San Francisco hanno costruito.
Anche se i mercati finanziari del mondo scommettono che, prima o poi, un modo per tradurre la posizione
dominante in ricavi e dividendi per gli azionisti sarà trovato. Il problema che il nuovo mondo di Internet pone
non è, dunque - tecnicamente - quello del monopolio. La questione maledettamente seria è quella della
protezione dei dati personali che rischia - come ammette lo stesso Schmidt - di diventare un pericolosissimo
boomerang per imprese che hanno nei dati a loro disposizione, contemporaneamente, una possibilità che
nessuno prima ha mai avuto. Ma anche il vaso di Pandora dal quale potrebbe uscire una crisi di credibilità in
grado di travolgerle. Sbaglia la Commissione Europea, dunque, ad usare l'arma dell'antitrust nei confronti di
chi sta creando un mondo nuovo. Farebbe bene, invece, a proporre al presidente Obama di inserire nel
Transtatlantic Trade Partnership Agreement un meccanismo che assicuri che la tutela della privacy sia totale,
a meno che un individuo non disponga diversamente. Che sia garantito a tutti l'accesso a quello che è un
servizio pubblico essenziale (come Obama chiede) e che chiunque gestisca il "trasporto" e la "custodia" dei
dati ne risponda negli Stati nei quali opera. E ciò porta anche alla questione della tassazione. La separazione
tra mondo virtuale e mondo reale non può giustificare la consapevole ricerca di schemi elusivi. Né tanto meno
basta ricordare che siamo "capitalisti": come dimostra l'annuncio da parte del ministro dell'Economia di un
Paese come l'Inghilterra e di un partito come quello conservatore, di tassare al 25% i profitti che le imprese
Internet realizzano in Gran Bretagna. Se è vero che siamo in un mondo nuovo, non è possibile che i suoi
protagonisti si aggrappino, per difendersi, a trattati fiscali pensati per un'era nella quale le imprese erano
fabbriche tassate dove avevano i capannoni. Ciò che rende così forti imprese relativamente piccole e
straordinariamente intelligenti, è il numero di persone che usano le loro autostrade per scambiarsi
informazioni, costruire relazioni d'affari e, magari, anche amicizie vere. La tassazione e il governo di questo
fenomeno va fatta nei Paesi nei quali vivono gli utenti che ne giustificano l'esistenza. Almeno fino a quando
non avremo inventato un governo mondiale che appare ancora lontano. In fin dei conti, all'inizio di questa
avventura collettiva c'è stata l'idea di non essere mai dalla parte del male (don't be evil come dice il motto
della più grande delle imprese di Internet). La crisi di maturità dell'economia globale è tutta nell'esigenza di
dare a quella visione, strumenti concreti che impediscano a qualcuno di cedere ad una tentazione che può
essere pericolosa per tutti.
06/12/2014
ItaliaOggi
Pag. 1
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Loison sceglie clienti e chef come testimonial sul web
CLAUDIA CERVINI
Cervini pag. 17 Loison sceglie clienti e chef come testimonial sul web Dopo aver portato il panettone sugli
scaffali di Waitrose in Gran Bretagna e di Stockmann in Finlandia ed essere approdato negli hotel stellati
come il Burj Al Arab di Dubai (con panettoni da mezzo chilo offerti agli ospiti come petit cadeu) Dario Loison,
patron dell'omonima azienda dolciaria di Vicenza specializzata dal 1938 in panettoni gourmet dolci e salati,
continua a valorizzare la distribuzione italiana e soprattutto estera. Lo fa eleggendo, questa volta, il cliente a
testimonial all'interno della cornice Ambasciatori Loison, una vetrina sui portali web (www.
insolitopanettone.com e www.loison.com) per le boutique d'élite, gli chef e i clienti del marchio. Inoltre
organizza eventi e degustazioni in Canada, Gran Bretagna, Giappone anche per quei distributori che sono il fi
ore all'occhiello della rete tra cui figurano Kaefer a München in Germania, le boutique parigine Fauchon e
Hediard, Hankyu a Tokyo, City Super e Great Gourmet a Hong Kong e Shanghai, Myer's in Australia, Top's
Gourmet in Thailandia. Una strategia di marketing sapiente in un momento in cui vendere all'estero per una
realtà di nicchia è sempre più importante. La pmi glocal è infatti presente in oltre 50 paesi del mondo e
l'export pesa per il 50% sui ricavi («6,5 milioni nel 2013 che, secondo le previsioni diventeranno 7 a fi ne
2014», spiega Loison). «Le nostre vendite all'estero sono frutto di un ottimo inglese parlato da quando avevo
diciotto anni, da una propensione al nuovo, al confronto, al fare assieme. Il risultato è la velocità nel capire il
cliente offrendogli risposte concrete, fatto che ci ha permesso di sviluppare, sin dal mio rientro a casa nel 92,
le prime vendite all'estero», racconta il patron del panettone. «Nel lontano 96, grazie a internet abbiamo
completamente disintermediato il contatto con il cliente all'insegna di trasparenza, effi cacia e velocità. Ciò ci
ha dato un vantaggio competitivo unico che ancora oggi ci premia dell'alta qualità percepita del nostro
prodotto e dall'alta immagine che ci riconoscono i nostri importatori». Del resto c'era da aspettarselo dal
patron Dario Loison, classe 1962, terza generazione dell'omonima piccola azienda dolciaria artigianale,
familiare, di Costabissara (Vicenza). L'imprenditore sull'informatica, sull'utilizzo del web, sull'uso corrente
dell'inglese ha impostato il suo modello di business innovativo per dare un futuro alla sua produzione golosa
d'artigianato. Non a caso nel 2014 la pmi gourmet è stata scelta da Google come azienda modello per lo
sviluppo attraverso il web e le tecnologie digitali grazie ai Tutorship offerti su www.eccellenzeindigitale.it. Per
fare qualche esempio della produzione golosa una novità assoluta in vista del Natale 2014 è il panettone
liquirizia e zafferano, «una grande innovazione che chef di rango stanno utilizzando nei loro menù e che ci
rallegra molto», specifi ca Loison. Il coinvolgimento di chef di prima linea non è un caso. Coniugare
l'innovazione di prodotto (i cannelloni con panettone, la faraona con salsa e panettone al cioccolato, i cipollotti
caramellati su bruschetta di panettone) con il megafono della gastronomia stellata è diventato per Loison una
vera e propria strategia a sostegno della distribuzione. Sia con l'ingresso del panettone nei menù di hotel
rinomati, dal Savoy di Firenze al siciliano Verdura Golf & Spa Resort, sia per mano degli chef che, chiamati a
raccolta dall'azienda per realizzare eventi dedicati, diventano ambasciatori di marchio e prodotto. Anche a
questo scopo è stato recentemente rinnovato il portale, che da blog è diventato magazine, in cui trovano
spazio gli chef che collaborano con il marchio, le ricette dei blogger e degli utenti, il Museo e la Biblioteca
dell'impresa dolciaria di Vicenza. Il sito, chiamato Insolito Panettone, si presenta infatti come una vetrina
dedicata alla cucina, grazie alla presenza di chef, tra cui per esempio Peter Brunel, che da anni collaborano
con Loison progettando ex novo ricette a base di panettone come base di primi e secondi piatti. All'interno del
sito web non mancano sezioni dedicate al Museo e alla Biblioteca Loison: Il numero uno della casa dolciaria
ha infatti raccolto, negli ultimi anni, varie testimonianze sul mondo del panettone, che spaziano da un archivio
storico di cartoline a oggetti d'antiquariato fi no a libri sulla storia della panifi cazione e della pasticceria. ©
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MARKETING
06/12/2014
ItaliaOggi
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Foto: Da sinistra, Dario Loison e una confezione del marchio. Sopra, Fauchon a Parigi e l'hotel Burj Al Arab di
Dubai
06/12/2014
ItaliaOggi
Pag. 25
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Altri 150 mln a chi opera nell'Ict
Finanziati progetti tra 5 e 40 mln di euro proposti da pmi
CINZIA DE STEFANIS
Adisposizione delle società e delle start-up innovative 150 mln di euro per la promozione di grandi progetti di
ricerca e sviluppo nel settore tecnologie dell'informazione e della comunicazione elettronica (Ict).I progetti
ammissibili ad agevolazione dovranno prevedere la realizzazione nel territorio italiano di attività di ricerca
industriale e di sviluppo sperimentale, strettamente connesse tra di loro in relazione all'obiettivo prefi ssosi. La
fi nalità del progetto sarà quella di realizzare nuovi prodotti, processi o servizi o di migliorare prodotti o
processi o servizi esistenti, tramite lo sviluppo delle tecnologie abilitanti fondamentali e con adeguate e
concrete ricadute sui settori applicativi. Potranno benefi ciare delle agevolazioni le pmi anche artigiane, le
imprese agroindustriali che svolgono prevalentemente attività industriale, i centri di ricerca con personalità
giuridica e le start-up innovative. Tutto ciò lo prevede il decreto ministeriale 15 ottobre 2014 (pubblicato nella
Gazzetta Uffi ciale del 4 dicembre 2014 n. 282) che ha lo scopo di sostenere progetti in grado di esercitare un
signifi cativo impatto sullo sviluppo del sistema produttivo e dell'economia del paese, grazie a un mercato
digitale unico basato su internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili e sviluppando specifi
che tecnologie abilitanti, nell'ambito di quelle defi nite dal programma quadro comunitario «orizzonte 2020»,
con adeguate e concrete ricadute su determinati settori applicativi. Il nuovo bando segue a un primo
stanziamento da 300 mln sulla misura (si veda ItaliaOggi del 26/2014), per accedere ai quali bisognava
inoltrare domanda dal 30 settembre scorso. Ma questi fondi sono andati esauriti in due giorni,a causa dell'alto
numero di domande. Ora, per la piena operatività della misura bisognerà attendere l'emanazione da parte del
direttore generale per gli incentivi alle imprese del MiSe di un altro provvedimento col quale saranno defi niti
lo schema dell'istanza preliminare di accesso alle agevolazione, comunicate le modalità di applicazione dei
criteri di valutazione indicate nel bando e stabiliti i termini per la presentazione dell'istanza. I soggetti, alla
data di presentazione della domanda, fermi restando i requisiti di legge relativi alle start-up innovative,
devono essere costituiti in forma societaria e iscritti al registro imprese. Le imprese non residenti nel territorio
italiano devono essere costituite secondo norme di diritto civile e commerciale vigenti nello stato di residenza
e iscritte nel relativo registro imprese, essere nel pieno e libero esercizio dei propri diritti, non essere in
liquidazione volontaria e non essere sottoposti a procedure concorsuali, trovarsi in regime di contabilità
ordinaria e disporre di almeno due bilanci approvati, non essere stati destinatari, nei tre anni precedenti la
data di presentazione della domanda, di provvedimenti di revoca totale di agevolazioni concesse dal MiSe, a
eccezione di quelli derivanti da rinunce, essere in regola con la restituzione di somme dovute in relazione a
provvedimenti di revoca e non trovarsi in condizioni tali da risultare impresa in diffi coltà.
Le novità dell'intervento Agenda digitale in fatto di ricerca e sviluppo Ict Fondo crescita sostenibile
Fondo crescita sostenibile Al via un intervento per la promozione di grandi progetti di ricerca e sviluppo nel
settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione elettroniche (Ict). Ammontare fi nanziamenti
A disposizione delle società e delle start-up innovative 150 milioni di euro. Ai fi ni dell'ammissibilità alle
agevolazioni i progetti di ricerca e sviluppo dovranno prevedere spese ammissibili non inferiori a 5 milioni di
euro e non superiori a 40 milioni di euro. Dovranno essere avviati successivamente alla presentazione della
domanda di agevolazioni, comunque, pena la revoca, non oltre tre mesi dalla data del decreto di
concessione. Spese ammissibili Sono ammissibili alle agevolazioni le spese e i costi relativi a: il personale
dipendente del soggetto proponente o in rapporto di collaborazione • con contratto a progetto, con contratto di
somministrazione di lavoro, ovvero titolare di specifi co assegno di ricerca; gli strumenti e le attrezzature di
nuova fabbricazione, nella misura e per il periodo • in cui sono utilizzati per il progetto di ricerca e sviluppo; i
servizi di consulenza e gli altri servizi utilizzati per l'attività del progetto di • ricerca e sviluppo, inclusa
l'acquisizione o l'ottenimento in licenza dei risultati di ricerca, dei brevetti e del know how, tramite una
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Il nuovo bando (del Mise) segue a un primo stanziamento da 300 mln polverizzato in 2 giorni
06/12/2014
ItaliaOggi
Pag. 25
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transazione effettuata alle normali condizioni di mercato; le spese generali derivanti direttamente dal progetto
di ricerca e sviluppo, • imputate con calcolo pro rata sulla base del rapporto tra il valore complessivo delle
spese generali e il valore complessivo delle spese del personale dell'impresa; i materiali utilizzati per lo
svolgimento del progetto. •
Foto: Il decreto sul sito www.italiaoggi.it/documenti
08/12/2014
Corriere Adriatico - Macerata
Pag. 1.53
(diffusione:18490, tiratura:24149)
Ome diceva Pennac, perchè i giovani imparino a leggere, sviluppino fantasia e amino i libri, bisogna abituarli
ad amare le storie, quindicominciare a leggergliele sin da piccolissimi. Per questo forse le fiabe della
buonanotte ci sono sempre state e hanno un loro senso, non solo nel rapporto affettivo genitori figli, che, se si
comincia, come... Continuaa pagina9
segue dalla prima
PAOLO PETRONI
... ognuno sa, non vorrebbero smettere più. Così un genitore su tre (il 37% per la precisione) legge favole
perchè proprio il bambino a chiederlo.
Uno dei dati che emergono da un'indagine qualitativa Doxa Kids presentata a "Più libri più liberi", al
convegno L'App della buonanotte a cura dell'Aie - Associazione Italiana Editori, in cui si rileva che in
grandissima maggioranza a vincere sono i libri di carta e illustrati, ma che c'è oggi un margine anche per le
nuove tecnologie.
Alla Fiera ai più piccoli è dedicata molta attenzione, del resto, con angoli per laboratori, letture e inviti alla
lettura, e tanti gli stand degli editori specializzati, spesso di alta qualità, da Topipittori a Orecchio Acerbo,
mentre La Emos audiolibri non si scorda di loro e l'ultima cosa prodotta è la lettura del Libro della Giungla di
Kipling letto da Pino Insegno.
I dati Nielsen dimostrano poi che il peso dei libri per bambini e ragazzi nel complesso dell'editoria generale
raggiunge ormai il 20,5% del totale delle copie vendute e si avvicina sempre di più al segmento della fiction
straniera (che è il genere più venduto col 26,1%). Se si guarda solo ai piccoli e medi editori invece i libri per
bambini sono il 18,3% e lo strumento privilegiato per leggere o raccontare storie, per 8 mamme su 10 (il 79%
secondo la ricerca) e per 6 papà su 10 (il 59%), è il libro di carta. Subito dopo, ma a netta distanza (solo il 7%
del campione lo ha indicato) si usano dvd e App su tablet o smartphone (5%).
Sia mamma che papà spiegano di raccontare le favole ai figli per aiutarli a sviluppare le capacità e il
linguaggio, ma per le mamme raccontare una favola al bimbo equivale soprattutto passare del tempo di
qualità con lui o lei.
La mancanza di tempo il motivo principale per cui i genitori non raccontano o leggono storie al proprio figlio. E
sono i papà a citare più spesso questo motivo.
La ricerca Doxa Kids ci dice anche che il rapporto con la tecnologia si sta consolidando anche nelle famiglie
con bambini piccoli: il 14% della famiglie italiane di 5-13nni possiede un tablet, l'82% lo fa usare al figlio (in
media 4 volte alla settimana e per sessioni medie di un'ora). E Giovanni Peresson, responsabile dell'Ufficio
studi Aie, nota che, «stando ai dati Audiweb, i tablet presenti nelle famiglie con bambini 5-13anni nel
novembre 2012 erano solo il 5% e sono passati nel giugno 2014 al 30%. Questo apre uno scenario in
prospettiva nuovo e da conquistare per le app editoriali che non siano semplicemente dei giochi o delle
proposte didattiche».
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Tanta voglia di favole
08/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.41 - 8 dicembre 2014
Pag. 28
(diffusione:581000)
IN AMERICA GLI AFFARI ONLINE NEL "GIORNO PIÙ LUNGO" DELL' E-COMMERCE SONO SCESI
DELL'11% RISPETTO AL 2013, NEL NOSTRO PAESE INVECE SI REGISTRA UN INCREMENTO FINO AL
70%: È UNA QUESTIONE DI MATURITÀ DEI MERCATI, DICONO PERÒ GLI OPERATORI
Gabriele Di Matteo
Il miglior indicatore per prevedere i consumi del Natale è l'andamento del Black Friday e del Cyber Monday,
la doppia orgia di sconti dopo il Thanksgiving (133,7 milioni di americani nei negozi e online), emigrata ora la seconda - in Europa. Quest'anno a sorpresa sul mercato Usa le vendite sono calate dell'11% e non è
riuscito il miracolo di portare i bilanci dal rosso al nero da cui il nome. Ma in Italia è boom: «Abbiamo avuto un
+70% negli acquisti», dice Paolo Ainio, presidente di Banzai che controlla diversi siti di shopping online. «Si
spiega con il fatto che in America la quota dell'e-commerce è già significativa con oltre il 10% del retail . In
Italia viviamo il fenomeno con ritardo di 8-10 anni e la crescita è del 16-17% superiore ai mercati maturi». Il
calo americano (gli affari sono scesi a 50,9 miliardi di dollari dai 57,4 del 2013) però sorprende. In parte si
spiega perché i cacciatori di sconti online sono in azione tutto l'anno e non aspettano il Thanksgiving. Le reti
tv hanno aperto con l'aumento inquietante delle armi in saldo (una pistola ogni tre secondi nei giorni cruciali),
o hanno trasmesso l'assalto agli scaffali di Macys, WalMart, Best Buy per un TV Hd da 50" a 199 dollari, o
ancora il tiro alla fune per accaparrarsi aspirapolvere a metà prezzo. Ma la National Retail Federation calcola
che nel 2007 il 50% degli americani era in benessere, oggi lo è il 37%. E c'è spazio per iniziative di marketing:
i consumatori hanno ricevuto sugli smartphone dei Vine promozionali, i micro filmati da sei secondi di Twitter.
Grazie ai Vine, la catena Loew's è andata benissimo. C'è poi la novità, arrivata in Italia con l'accordo
Amazon-Poste e altre iniziative, del ritiro della merce presso chioschi, i locker , che permettono di ritirarla
grazie a un QR Code che si riceve sul telefonino al momento dell'acquisto. Spiega Stefano Moni, ad della
Integer: «Oltre ad offrire un comodo servizio gratuito, hanno basso impatto ambientale perché ottimizzano i
percorsi dei furgoni e possono creare posti di lavoro».
Foto: Il Ceo di Banzai, Paolo Ainio : il gruppo controlla vari portali di ecommerce e ora ha fatto richiesta di
quotazione in Borsa
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Ciber Monday a sorpresa male gli Usa, bene l'Italia
08/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.41 - 8 dicembre 2014
Pag. 1.25
(diffusione:581000)
Buhlmann: " Pubblicità una crescita limitata al digitale" *
Giorgio Lonardi
Buhlmann: "Pubblicità una crescita limitata al digitale a pagina 25 Jerry Buhlmann è uno dei top manager più
importanti nel mondo dell'advertising. Inglese, 52 anni, è stato uno dei protagonisti dell'acquisizione del
gruppo Aegis da parte dei giapponesi di Dentsu. E ora è uno dei due Ceo non giapponesi del colosso della
comunicazione Dentsu Aegis Network, quarto gruppo al mondo per investimenti gestiti e terzo in Europa: un
impero che spazia dai centri media come Carat e Vizeum, che gestiscono i budget pubblicitari delle
corporation globali, ai brand della comunicazione digitale quali iProspect e Isobar. L'abbiamo intervistato a
Milano. Sono passati 18 mesi dall'acquisizione del Gruppo Aegis da parte di Dentsu: come sta procedendo
l'integrazione fra queste due realtà così diverse? «Stiamo parlando della più grande acquisizione nella storia
della pubblicità. La sede di Dentsu Aegis Network è a Londra, non in Giappone. Così come è sempre a
Londra che hanno sede i brand del gruppo: Carat, Vizeum, iProspect, Isobar, Posterscope. L'obiettivo di
questa operazione, lanciata nel 2014, è stato la creazione di una piattaforma in grado di accelerare la
crescita, in un'ottica si stabilità e continuità». Qual è il bilancio della fusione? «I risultati ci stanno dando
ragione: oggi cresciamo ad un ritmo superiore al 10% mentre il nostro principale competitor è al 3,3%. Senza
contare, che nel corso del 2014, abbiamo effettuato ben 34 acquisizioni». E' stato difficile mettere assieme
due culture così differenti come quella giapponese e quella europea? «Anche la cultura francese e quella
inglese sono molto differenti fra loro eppure lavoriamo assieme senza problemi. All'interno di Dentsu Aegis
Network abbiamo sempre avuto una visione comune del business e questo ci ha favorito al momento della
fusione. Il gruppo ha un modello operativo unico basato su un pacchetto robusto di valori condivisi. Senza
citarli tutti, vorrei ricordare che puntiamo sull'agilità, che ci permette di essere rapidi e flessibili nell'intercettare
i bisogni dei clienti, e sull'ambizione di presentarci come battistrada, culturalmente curiosi di quanto avviene
attorno a noi. Così come siamo fieri di essere innovativi, pionieri vogliosi di scoprire le nuove frontiere della
comunicazione». Qual è la strategia di medio lungo periodo di Dentsu Aegis Network? «Vogliamo innovare il
modo in cui si costruiscono i brand, aggiungendo valore ai brand stessi in modo migliore e distintivo rispetto
agli altri. Stiamo puntando sul digitale che oggi copre il 43% dei nostri ricavi e che, entro due anni,
raggiungerà il 50%. Per noi è importante aggiungere valore ai brand con una strategia cooordinata, con un
modello operativo comune a tutti i marchi del gruppo». Ci può fare un esempio? «I nostri brand agiscono
assieme per una consulenza integrata. Facciamo un esempio di convergenza. Vedo il messaggio di un brand
alla tv, sono incuriosito e cerco sull'Ipad il sito del brand, che è ottimizzato per l'Ipad stesso con un
messaggio diverso ma coerente con quello della tv. E non è finita, perché dal sito (ma non solo) trovo il modo
di ingaggiare il cliente anche sui social tipo Twitter e Facebook grazie a pagine che funzionano, sono attive,
capaci di creare una relazione duratura con chi le visita. Senza contare che tutte queste attività sono tracciate
in modo da poter valutare i risultati utilizzando al meglio i "Big data"». Come si svilupperà nel prossimo futuro
la pubblicità su Internet? Dobbiamo attenderci una forte crescita degli smartphone? «Oggi ci sono in tutto il
mondo un miliardo e mezzo di smartphone. Nel 2017 saranno cinque miliardi. Il 30% degli accessi a
Facebook avviene attraverso il mobile, una percentuale che continua a crescere. Questo vuol dire che il
tempo delle e-mail e della vecchia Internet sta finendo e che tutto si sta spostando verso il mobile. Stimiamo
che nel 2017 la pubblicità globale sul mobile sarà quadruplicata e raggiungerà i 40 miliardi». Dunque è
ottimista riguardo allo scenario per i social network? «Il 40% degli utilizzatori di Twitter segue felicemente uno
o più brand. La realtà è semplice: i consumatori adorano seguire i brand sui social network. E la creazione di
contenuti specifici per i brand pensati per i social sta diventando sempre più importante». La carta stampata
ha per lei un futuro? Quali potrebbero essere le possibili azioni di difesa? «Il futuro della stampa sarà digitale.
E questo apre delle grandi opportunità per tutto il settore. Lo sforzo che devono compiere gli editori è quello
di puntare su contenuti fatti su misura per i singoli device, offrendo ai lettori un'esperienza che coinvolga
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INTERVISTA multi media
08/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.41 - 8 dicembre 2014
Pag. 1.25
(diffusione:581000)
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anche i social network». Cosa prevede a livello mondiale per il "sistema della comunicazione" nel 2015? «Nel
2015 il mercato dovrebbe crescere fra il 4,5% e il 5%. A trainare la volata sarà il digitale con un incremento
del 15%. All'interno del digitale assisteremo al boom della pubblicità sui social network e sul mobile, che
dovrebbe aumentare globalmente del 60%. Dal punto di vista geografico l'Europa crescerà tra l'1% e il 2%,
mentre in Gran Bretagna ci aspettiamo un incremento superiore al 5%. Bene gli Stati Uniti, oltre il 5% di
crescita e la Cina con un +7%». Cosa prevede per il mercato italiano e quanto conta l'Italia per Dentsu Aegis
Network? «L'Italia fa parte della top ten dei mercati mondiali, dunque per noi è rilevante. Per il 2015 ci
aspettiamo un leggero aumento dovuto al digitale. Per Dentsu Aegis Network dovrebbe andare molto bene.
Prevedo una crescita a doppia cifra: l'Italia è uno dei nostri fiori all'occhiello». DENTSU MEDIA ISOBAR
IPROSPECT MCGARRYBOWEN DENTSU CARAT VIZEUM POSTERSCOPE
Foto: I Mameshiba , personaggi a fumetti creati dalla Dentsu e applicati alla pubblicità di diversi prodotti. Di
gran successo in Giappone, sono in fase di lancio in America e prossimamente in Europa. In alto Jerry
Buhlmann, Ceo di Dentsu Aegis Network
[ LA SCHEDA ] Il fatturato viene per il 43% da Internet Dentsu Aegis Network è un colosso della
comunicazione da 16 miliardi di euro di fatturato consolidato, in crescita del 19 per cento sull'esercizio
precedente. Dal bilancio chiuso al 31 marzo del 2014 emerge inoltre che l'utile netto ha raggiunto i 271 milioni
di euro (+6,8%). Il gruppo è il quarto al mondo per investimenti gestiti e il terzo in Europa: un impero che
spazia dai centri-media come Carat e Vizeum, che gestiscono i budget pubblicitari delle corporation globali ai
brand della comunicazione digitale quali iProspect e Isobar. Di certo Dentsu Aegis Network, nato un anno e
mezzo fa dalla acquisizione del gruppo francese Aegis da parte dei giapponesi di Dentsu, è l'azienda più
globalizzata del settore della comunicazione. Lo certifica la presenza in ben 110 paesi dei cinque continenti
per un totale di 23 mila dipendenti. Oggi il 43% dei ricavi proviene dai media digitali e l'obiettivo è di arrivare
al 50% entro due anni. Oltre un terzo del fatturato (35%) è concentrato nei paesi emergenti.
08/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.41 - 8 dicembre 2014
Pag. 12
(diffusione:581000)
Ma a sorpresa il "made in Japan" diventa nel 2014 il brand-nazione più
forte del mondo
La società specializzata in marketing territoriale FutureBrand ha presentato al "Buy tourism online", salone
del turismo in rete di Firenze, l'ultima edizione del Country Brand Index, la classifica dei più forti brand-Paese
realizzata in base a una serie di giudizi raccolti da 2.530 opinion maker e viaggiatori abituali per svago e affari
provenienti da 17 Paesi. In vetta, per la prima volta e nonostante ogni clima di crisi per il fallimento
dell'Abenomics, c'è il Giappone. Seguono Svizzera e Germania. Il Paese nipponico è fra le prime posizioni in
particolare nelle categorie "Tradizione & cultura" e "Turismo" nonché in testa nelle categorie, essenziali del
"Potenziale di business" e del "Made in". Il Giappone non è solo nel quadrante asiatico: nella parte alta della
chart ci sono Singapore e Corea del Sud. Nelle prime dieci posizioni ci sono poi la Svezia, il Canada, la
Norvegia. E ancora gli Stati Uniti, l'Australia, la Danimarca e l'Austria. Nell'edizione di quest'anno il rapporto
ha esaminato 75 Paesi. Non tutti hanno dimostrato di poter sfoggiare una loro forza di marchio, il possesso
dei requisiti necessari per essere percepiti come prodotto vendibile grazie a certe caratteristiche misurabili.
Aspetti cioè in grado di distinguerli nettamente dai concorrenti sul mercato turistico in termini di destinazioni di
viaggio o di business. Si tratta della reputazione come luogo d'origine di prodotti di qualità o particolari (il 70%
degli intervistati premia la Germania proprio in questo senso), l'attrattiva accademica, il fascino delle
avveniristiche infrastrutture. E l'Italia? Il Belpaese ce la fa a rimanere nella Top 20 ma scivola dalla 15esima
alla 18esima piazza. È buona solo la performance nella categoria "Made in".
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[ LA CLASSIFICA ]
08/12/2014
Corriere Economia - N.41 - 8 dicembre 2014
Pag. 18
Internet Google e Apple vanno in radio
Il gruppo di Mountain View testa Music Key: 10 euro al mese per 30 milioni di pezzi Cupertino studia
un'applicazione da 5 dollari al mese. Spotify e le startup tremano
CHIARA SOTTOCORONA
Musica streaming che passione. Dieci milioni e mezzo di italiani l'ascoltano gratuitamente, anche se interrotta
dalla pubblicità. Mentre quasi nove milioni hanno già sottoscritto un abbonamento a un music-service per
l'ascolto illimitato e indisturbato dei brani in alta qualità.
L'esempio svedese
Nei primi nove mesi di quest'anno gli abbonamenti alla musica in streaming , cioè ascoltata via Internet (con
un canone fisso o gratuita se c'è la pubblicità), hanno segnato una crescita record: + 109% rispetto al 2013,
indicano i dati forniti da Deloitte a Fimi, la federazione dell'industria musicale. Più del doppio. Cala invece del
19% il download di singoli brani, sempre meno acquistati e scaricati sui dispositivi (modello iTunes).
«Il successo dello streaming è legato in buona parte all'effetto Mobile, dove i servizi stanno crescendo molto:
il 55% dell'ascolto in Italia è su smartphone e tablet - precisa Enzo Mazza, presidente di Fimi -. In altri Paesi,
come la Svezia, la streaming music è già al 70% sugli apparecchi mobili». Negli Usa sono 83,8 milioni i
consumatori che ascoltano brani sullo smartphone per 39 minuti al giorno, secondo eMarketer.
Dovunque il modello dello streaming si sta affermando come la carta vincente che fa crescere la musica
digitale: un mercato mondiale del valore di 12,3 miliardi di dollari quest'anno, secondo Juniper Research, che
dovrebbe arrivare a 13,9 miliardi nel 2019. Ma se finora a competere erano i pureplayer , i servizi musicali
lanciati da start-up come Spotify o Deezer, la sfida ora arriva dai big, Google e Apple.
«Library» di primavera
Dal 17 novembre Google ha introdotto Music Key, il servizio streaming senza pubblicità, ad abbonamento:
sarà testato per sei mesi da centinaia di migliaia di appassionati di musica su invito, scelti tra i più grandi
consumatori di video musicali di YouTube.
A fine primavera 2015 è previsto il lancio negli Usa e in sei Paesi europei tra cui l'Italia, con un abbonamento
da 9,99 euro al mese (7,99 per chi ha partecipato alla fase sperimentale) per un'offerta illimitata di 30 milioni
di brani musicali: compresa la library di Google Play Music e i titoli di 20 mila etichette indipendenti, più i
video di YouTube.
Pensato per un consumo sul Mobile, Music Key permetterà di ascoltare la musica in background, come
sottofondo, anche mentre si usano altre funzioni del telefonino come scrivere sms o fare ricerche sul web, e
consentirà l'ascolto anche fuori connessione delle liste musicali. Il lancio di Music Key è accompagnato dal
restyling dell'app di YouTube, arricchita di funzioni come vedere la discografia completa di un'artista o
ricevere playlist suggerite in base ai propri gusti musicali.
Forte di un miliardo di visitatori al mese su YouTube, Google con la nuova strategia della musica a
pagamento punta a diversificare le entrate oltre la pubblicità, che quest'anno secondo e.Marketer gli ha
fruttato 5,7 miliardi di euro. Se riuscirà a convertire anche solo il 5% dei suoi utenti in abbonati a Music Key
avrà ottenuto in pochi mesi un risultato equivalente a quello perseguito in cinque anni da Spotify, il musicservice europeo di maggiore successo, che oggi conta 50 milioni di utenti nell'ascolto gratuito e 12 milioni e
mezzo paganti. Ma l'entrata in campo della corazzata Google è soprattutto «la risposta all'offerta combinata
di iTunes e Beats Music che Apple sta preparando», indica Le Monde .
La strategia della Mela
Il music-service Beats e la società Beats Electronics, produttrice delle cuffie più alla moda, insieme con i
fondatori (il rapper Dr. Dre e il produttore Jimmy Iovine), sono entrati nell'orbita di Cupertino a fine maggio,
dopo un'acquisizione costata alla Mela tre miliardi di dollari. Anche Apple prepara una nuova strategia, per
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Note Raddoppiati nel mondo gli abbonamenti streaming per ascolti online in alta qualità. Coinvolti 19,5 milioni
di italiani
08/12/2014
Corriere Economia - N.41 - 8 dicembre 2014
Pag. 18
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fronteggiare il primo calo dei download su iTunes apparso quest'anno. Gli abbonamenti portati da Beats
Music però non sono sufficienti: poche centinaia di migliaia. La nuova mossa, annunciata dal Financial Times
(senza conferma di Apple) sarà di portare il servizio su tutti gli iPhone e iPad. Un'app preinstallata su iOs dal
2015 dovrebbe sfruttare il TouchId e l'ApplePay per proporre un facile accesso all'abbonamento musicale
combinato di iTunes-Radio e Beats.
I rumors sul web indicano anche un prezzo competitivo di circa cinque dollari al mese (allineato a quello di
Pandora, popolare music-service negli Usa). Il blogger John Paczkowski (noto per la rubrica «Good Morning
Silicon Valley» che ha tenuto per anni sul San José Mercury News) azzarda anche la data dell'annuncio: 8
febbraio, nella notte più importante per la musica. Quella dei Grammy Awards.
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06/12/2014
Milano Finanza - N.240 - 6 dicembre 2014
Pag. 1
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Le armi segrete di Apple contro Google & C.
Davide Fumagalli
Le nuove offerte per lo shopping globale si incrociano con i destini dei titoli dei big tecnologici quotati in borsa.
E i colpi bassi non mancano La guerra tra i colossi della tecnologia prosegue senza sosta e spesso non si
combatte solo nelle aule di giustizia a colpi di brevetti. Per rendersi conto di tutte le armi usate da due
principali contendenti, ovvero Apple e Google, basta provare a utilizzare il sistema di traduzione messo a
punto dal motore di ricerca su un iPad, il tablet della società guidata da Tim Cook. Copiando un testo dalla
propria casella di posta elettronica alla finestra di Google Translate sul browser web di iPad, Safari, il testo
viene infatti troncato alle prime frasi, rendendo quindi pressoché inutilizzabile il sistema. La prova che non si
tratta di un'incompatibilità tecnica è data dalla presenza di app che, basandosi sul motore di traduzione di
Google, disponibile gratuitamente, risolvono il problema in modo efficace. Uno sgarbo, quindi, che Apple ha
già iniziato a restituire offrendo alternative all'uso di Google come motore di ricerca dei propri dispositivi e che
presto potrebbe addirittura sostituire come servizio predefinito, con un notevole danno per la società di Larry
Page, la quale vive rivendendo le informazioni raccolte sulle abitudini degli utenti agli inserzionisti pubblicitari.
La vera arma segreta che Apple sta però utilizzando nella lotta con Google, e potenzialmente capace di
sferrare un formidabile ko specie tra gli utenti più attenti ed evoluti, si chiama privacy. Apple, al contrario di
Google, ha un solido modello di business basato sulla vendita di prodotti e servizi improntati all'eccellenza e
come tali apprezzati dagli utenti disposti a pagare un prezzo elevato. Questo ha consentito ad Apple di
organizzare un ecosistema composto da centinaia di migliaia di sviluppatori che hanno creato gli 1,4 milioni di
app presenti oggi su iTunes, il negozio digitale accessibile da iPhone e iPad, con una media di 800 nuove
app al giorno e un prezzo medio di 1,27 dollari. Proprio il prezzo è l'elemento-chiave, dal momento che il
modello di business di Apple è sempre stato improntato alla remunerazione di tutti gli attori della catena del
valore, al contrario di quello di Google, basato su un'apparente gratuità sostenuta però dalla vendita di
pubblicità. Questo ha portato l'ecosistema di app per smartphone e tablet Android a essere largamente
basato su di un'offerta gratuita di applicazioni caratterizzate però da una qualità media inferiore, dal momento
che gli sviluppatori, e specialmente le società più strutturate, non sempre trovano sostenibile questo modello
di business, anche per le implicazioni che comporta. La grande invasività dell'ecosistema Google e Android
sulla privacy sta infatti iniziando a essere compresa dagli utenti, diventando così un tema non secondario nel
momento della scelta di un nuovo dispositivo, soprattutto alla luce di servizi innovativo come i pagamenti
elettronici attraverso lo smartphone. Proprio alla luce di questi temi va letta la decisione di Apple di
evidenziare pubblicamente la propria policy in tema di privacy, resa chiara attraverso una lettera aperta del
ceo Tim Cook tradotta in tutte le lingue e pubblicata sul sito www.apple. com/it/privacy. «Non creiamo un
profilo sulla base dei contenuti delle tue email o delle tue abitudini di navigazione per poi venderlo agli
inserzionisti. Non monetizziamo le informazioni che salvi sul tuo iPhone o su iCloud. E non leggiamo le tue
email o i tuoi messaggi per ricavarne informazioni per scopi commerciali», scrive Apple a firma di Cook. «Una
piccolissima parte della nostra attività è al servizio degli operatori pubblicitari e si chiama iAd. iAd è soggetto
alle stesse norme sulla privacy applicate a tutti gli altri prodotti Apple. Non raccoglie dati da Salute, HealthKit
e HomeKit, Mappe, Siri, iMessage, dal tuo registro delle chiamate, né da alcun servizio iCloud, come Contatti
o Mail. E, se vuoi, puoi disattivarlo completamente». Una policy ben diversa dai complessi contratti scritti in
termini giuridici e con caratteri di dimensione ridotta, che pressoché tutti gli utenti accettano
inconsapevolmente all'iscrizione a servizi gratuiti o percepiti come tali. L'enfasi sulla politica trasparente di
privacy di Google, già alla base del rapporto di fiducia instaurato con circa 800 milioni di consumatori che
hanno registrato la propria carta di credito sull'account iTunes per poi effettuare acquisti, diventerà ancora più
importante in due settori, i computer indossabili e i pagamenti elettronici attraverso dispositivi mobili,
considerati dagli analisti come i principali trend dei prossimi due anni. Chi si fiderebbe a utilizzare un telefono
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
SFIDE
06/12/2014
Milano Finanza - N.240 - 6 dicembre 2014
Pag. 1
(diffusione:100933, tiratura:169909)
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 08/12/2014
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che registra che cosa compriamo, dove e quanto siamo disposti a pagarlo? Per non parlare di informazioni
ancor più personali come lo stato di salute a un livello di dettaglio che arriva al singolo battito cardiaco?
(riproduzione riservata)
APPLE 2 gen '14 5 dic '14 quotazioni in dollari Var. % sul 2 gen 2014
MICROSOFT
MICROSOFT 2 gen '14 5 dic '14 quotazioni in dollari Var. % sul 2 gen 2013 quotazioni in dollari Var % sul 2
gen 2013
SAMSUN
SAMSUNG 2 gen '14 5 dic '14 quotazioni in won sudcoreano Var. % sul 2 gen 2014 quotazioni in won s Var
% sul 2 gen
Foto: Apple iPad Air 2 Microsoft Xbox One Samsung HU8500
Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/apple Jawbone Up 3 Jawbone Up 3
06/12/2014
Industria e Finanza
Pag. 4
CONFCOMMERCIO E FIPE, ECCO L'ACCORDO CON TRIPADVISOR
FIPE, l'associazione italiana leader nel settore delle imprese che svolgono attività di ristorazione e le
rappresentanze territoriali di Confcommercio, l'associazione di rappresentanza più importante del terziario in
Italia, hanno siglato un accordo con TripAdvisor, il sito di viaggi più grande al mondo. La collaborazione
prevede una serie di iniziative che includono collegamento dedicato del servizio clienti con le sedi FIPEConfcommercio di Firenze e Pistoia, sessioni di formazione da parte di Trip Ad visor per i membri FIPE e
comunicazione congiunta di materiali di formazione sulle opportunità di marketing online per il settore della
ristorazione italiana a un bacino di oltre 3.000 utenti del settore. L'attuale accordo è valido per un periodo
iniziale di 12 mesi con inizio l'1 novembre 2014 ed è focalizzato sulle due province toscane. L'obiettivo è di
estendere la partnership a tutta Italia a seguito di valutazione dopo il primo anno di collaborazione. "Questa
collaborazione è il risultato di una continua comunicazione con TripAdvisor. Ab bia mo lavorato in sieme per
sviluppare un accordo con il fine di comunicare i benefici dei servizi e delle risorse di Trip Advisor ai nostri
membri, fornire la giusta formazione sulla gestione della reputazione online e collaborare per mantenere
l'integrità dei contenuti online" ha dichiarato Aldo Cursano, Vice Presidente Nazionale FIPE. Esprimono
inoltre soddisfazione i due presidenti di Confcom mercio: Jacopo De Ria di Fi ren ze, che ha commentato
"Siamo felici che siano stati individuati i nostri territori che sono una perfetta rappresentazione della qualità
italiana e toscana" e Stefano Morandi di Pistoia, che prosegue "La collaborazione inizierà con le due province
toscane e speriamo in futuro di estenderla a tutta Italia". Aldo Cursano
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 08/12/2014
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INTESE
07/12/2014
Corriere della Sera - La Lettura - N.159 - 7 dicembre 2014
Pag. 5
Google senza pubblicità non diventa più libero
La mossa Il motore di ricerca ha avuto un decennio molto proficuo, ma tutti si chiedono quanto durerà
EVGENY MOROZOV
G oogle ha lanciato in sordina un nuovo servizio, Google Contributor, facendo una proposta interessante: gli
utenti si registrano e versano un contributo a scelta di 1, 2 o 3 dollari ai siti partner. Google ne trattiene una
parte, mentre il resto va a quei partner, sempre che gli utenti visitino i loro siti, sui quali a questo punto non
vedono più inserti pubblicitari. Come sostiene lo stesso Google, «è un esperimento su modi alternativi di
finanziare il web».
L'idea che sta dietro Google Contributor non è certo originale. Wikipedia, con la sua opposizione di principio
alla pubblicità, già si basa sulle donazioni. Gli utenti Premium di Reddit, un altro sito ben noto, pagano una
modesta cifra per evitare gli annunci pubblicitari. YouTube, che appartiene alla stessa Google, ha iniziato a
offrire ai clienti paganti una versione senza pubblicità. Ha inoltre avviato un'iniziativa che permette ai fan di
fare donazioni ai loro artisti preferiti.
Dato che la pubblicità resta la principale fonte di introiti di Google, questa mossa ha sorpreso gli analisti.
Perché far guerra alla pubblicità? Google ha avuto un decennio molto proficuo, ma tutti si chiedono quanto
durerà questo nirvana finanziato dalla pubblicità. La diffusione di app e smartphone, con i loro piccoli schermi,
sta rendendo più difficile monetizzare l'attività degli utenti. Inoltre ci sono già programmi che consentono di
bloccare le inserzioni e che quindi offrono gli strumenti per vivere in un universo senza pubblicità imposta.
I cinici potrebbero dire (e non avrebbero torto) che si tratta semplicemente di un'abile operazione di public
relation . Favorire gli editori, dando loro un altro strumento per fare soldi, è un modo per ottenere a buon
mercato quella simpatia di cui Google ha urgente bisogno ora che il suo modello basato sulla pubblicità è
costantemente sotto attacco - soprattutto in Europa - da parte di potenti gruppi editoriali. A questi Google ha
già aperto le sue casse, promettendo in Francia di investire milioni nelle loro nuove imprese giornalistiche.
Sarà difficile, così, accusarla di distruggere l'industria dei media. Potrà infatti ribattere accusando a sua volta
gli editori di essere lenti e restii ad abbracciare nuovi modelli di business.
Google Publisher potrebbe anche essere parte di un delicato riposizionamento successivo al caso Snowden.
Nel corso degli ultimi mesi, la pubblicità è diventata il capro espiatorio più comune. In un mondo privo di
pubblicità, ci viene detto, tutti gli assegni scaduti o non coperti delle imprese dell'utopia cibernetica sarebbero
nuovamente esigibili.
Il processo alla pubblicità viene condotto con particolare chiarezza da Ethan Zuckerman dell'Mit in un articolo
intitolato The Internet's Original Sin (Il peccato originale di internet). Zuckerman sostiene che «gli utenti
pagheranno per i servizi che apprezzano» per una semplice ragione: pagare in anticipo per ricevere dei
servizi - piuttosto che averli gratuitamente ma pieni di pubblicità - potrebbe fermare e anche invertire
l'inesorabile tendenza verso «un web centralizzato, finanziato dalla pubblicità e pesantemente controllato».
Molti editori di contenuti originali come il «Financial Times» o il «Wall Street Journal» non hanno mai mandato
giù la pillola dell'utopia cibernetica, e hanno tranquillamente continuato a far pagare l'abbonamento ai loro
utenti. Ma il bersaglio dell'articolo di Zuckerman non sono tanto loro, quanto i siti che forniscono quei servizi
che potremmo chiamare di pubblica utilità: social network, bookmark, blog e così via.
La soluzione che propone dovrebbe essere valutata sia in termini di efficacia che di opportunità politica.
Innanzitutto, perché dovremmo supporre che i servizi online a pagamento siano meno soggetti a controlli
invasivi di quelli finanziati dalla pubblicità? Si argomenta che - almeno in teoria - chi li fornisce non avrebbe
bisogno di sapere cosa passa attraverso i suoi flussi di dati e potrebbe impiegare «la crittografia end-to-end
», rendendo più difficile - forse impossibile - ad agenzie come la Nsa di guardarci dentro. Questa ipotesi
sarebbe però praticabile solo se venisse accettata dai legislatori, che potrebbero invece invocare Isis, Ebola o
qualche altra imminente catastrofe per impedire alle aziende di impiegare sistemi del genere, come sta già
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Società Il gigante lancia un nuovo servizio. Ma c'è una terza via tra gli spot e il pagamento di un canone
07/12/2014
Corriere della Sera - La Lettura - N.159 - 7 dicembre 2014
Pag. 5
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
avvenendo in molti casi. Sostituire la pubblicità con abbonamenti è solo il primo passo di una lotta molto più
complessa, che è quasi impossibile vincere in un mondo in cui vige la politica della paura.
In secondo luogo, per quanto Google cambi atteggiamento nei confronti della pubblicità, resta il fatto che
praticamente tutto quello che fa, ruota attorno alla raccolta e alla personalizzazione dei dati. Dai termostati
alle automobili intelligenti, la maggior parte dei suoi prodotti di punta si basa sulla raccolta costante di dati
degli utenti. Il problema non è sapere se questi servizi possano essere finanziati in modo diverso: privati dei
loro flussi di dati, essi non sono più intelligenti e adattabili.
Google Now, l'affascinante assistente virtuale di Google, riesce a fare previsioni interessanti solo perché altri
servizi di Google generano i dati necessari. Una logica simile vale per i gadget indossabili e intelligenti usati
per la tracciabilità e per molti componenti dell'internet delle cose. La pubblicità potrà contribuire a sostenere
alcuni di questi prodotti, ma non è a causa sua che essi ci spiano. In realtà molti di questi servizi saranno
felici di far pagare una tariffa continuando a controllarci.
Infine, c'è il problema politico. Sia Google che pensatori come Zuckerman hanno posto la questione in modo
estremamente riduttivo, come se la pubblicità e il contributo degli utenti fossero le uniche opzioni (a dir la
verità Zuckerman parla anche di «micropagamenti, abbonamenti, crowdfunding »). Che finora sia stato così
potrebbe essere la conseguenza di una serie di fattori storici, ma perché dovrebbe continuare a esserlo in
futuro? Dopo tutto considerare di pubblica utilità siti che offrono servizi base - social network, email,
bookmark - significa anche che possiamo pensare a modi alternativi di possederli, amministrarli e finanziarli.
Quando utilizziamo i bagni pubblici che una volta erano gratuiti, la scelta non dovrebbe essere tra guardare
una pubblicità o pagare l'ingresso. Dare un contributo potrebbe anche sembrare giusto, ma la maggior parte
di noi dimentica che l'abbiamo già fatto: pagando le tasse. È in questo modo che si usava finanziare i servizi
pubblici.
Quanti di noi vogliono vivere in un mondo in cui l'accesso a molti beni, e anche ad altre persone esattamente quel che la nostra comune infrastruttura digitale ci permette di fare - deve essere mediato dal
mercato, si tratti di pubblicità o di un contributo? La maggior parte di noi coglie facilmente le conseguenze di
questa logica quando è applicata a spazi e servizi fisici, ma non le vede più quando si tratta di piattaforme
online, avendo accettato acriticamente le fantasie neoliberiste dei profeti di internet.
Reinventare il nostro ambiente digitale secondo questi principi, tenendo sempre presenti le questioni che
riguardano le infrastrutture, non sarà facile. Richiederà la creazione di istituzioni di cui possiamo fidarci - cosa
complicata, dato che le istituzioni politiche esistenti abusano ogni giorno della nostra fiducia. Ma anche così è
una proposta molto più attraente dell'interiorizzare l'etica neoliberista promossa da Google e simili: per loro
l'unica politica è quella del mercato, e contano solo le nostre azioni come consumatori (vuoi guardare una
pubblicità o pagare qualcosa?). La pubblicità non è il peccato originale di internet, ma il neoliberismo
potrebbe senz'altro esserlo.
(traduzione di Maria Sepa )
© RIPRODUZIONE RISERVATA
04/12/2014
ADV Express
Sito Web
Come annunciato ieri in conferenza stampa a Milano, la società ha deciso di rafforzare i propri investimenti in
Italia, dov'è presente dal 2009, ed ha rilasciato un sistema di misurazione integrato dell'esperienza di
fruizione di internet su tutti i device. Un nuovo tool che, come spiega ad ADVexpress Fabrizio Angelini, ceo
di Sensemakers che rappresenta in esclusiva comScore in Italia, "metterà ordine all'interno di un enorme
'universo' di interazioni online fornendo una quadro più completo delle attività degli users sui vari device Ogni
mese trattiamo oltre 1 triliardo di interazioni provenienti da 172 Paesi diversi, con un panel di 2 milioni di
individui, 40.000 dei quali in Italia". La società ha chiesto di partecipare alla gara Audiweb per la definizione
del nuovo partner per le rilevazioni dei dati da panel annunciata per il 2015, quando scadrà il contratto che
lega Audiweb a Nielsen. Comscore è una società specializzata nella tecnologia online per misurare le
attività degli utenti nella rete trasformandola in informazioni e insight per i clienti in modo che possano
investire in maniera effiace sul web. Come annunciato ieri in conferenza stampa a Milano, ComScore ha
deciso di rafforzare i propri investimenti in Italia, dov'è presente dal 2009 ed ha rilasciato un nuovo strumento,
la MMx Multi-platform, un sistema di misurazione integrato che fornisce una fotografia completa
dell'esperienza di fruizione di internet su tutti i device. Un nuovo tool che, come spiega ad ADVexpress
Fabrizio Angelini, ceo di Sensemakers che rappresenta in esclusiva comScore in Italia, contribuirà a rendere
il nostro Paese all'avanguardia nello sviluppo digitale e soprattutto nell'efficienza e nella trasparenza". Uno
strumento che metterà ordine all'interno di un enorme 'universo' di interazioni online fornendo una quadro più
completo delle attività degli users sui vari device. "Ogni mese trattiamo oltre 1 triliardo di interazioni
provenienti da 172 Paesi diversi, con un panel di 2 milioni di individui, 40.000 dei quali in Italia" ha dichiarato
Angelini. A riguardo, Comscore vorrebbe aprire una filiale in Italia e partecipare alla gara Audiweb per la
definizione del nuovo partner per le rilevazioni dei dati da panel annunciata per il 2015, quando scadrà il
contratto che lega Audiweb a Nielsen. La seconda novità lanciata dal player sul mercato italiano riguarda l'
adv online ed è vCE 2.0, soluzione olistica di validazione delle campagne online che, spiega Angelini, è già
stata scelta da Italiaonline ed è oggetto di valutazione da parte di alcuni centri media. EC
ADVERTISING ONLINE - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
ComScore investe in Italia con la MMx Multi-platform per la misurazione
integrata delle audience online e vCE 2.0 per l' adv online . Pronta per la
gara Audiweb
05/12/2014
ADV Express
Sito Web
La pianificazione della campagna, curata dalla sede di Firenze dell'agenzia media di Dentsu Aegis Network,
sarà articolata sia sulle principali emittenti nazionali generaliste sia su quelle tematiche con maggiore affinità
con il target. Aboca torna a investire nella comunicazione combinata di tv e web a supporto del nuovo
prodotto Neo Bianacid e lo fa con un nuovo spot. La pianificazione, risultato della partnership ormai
consolidatacon la sede di Firenze di Vizeum , società appartenete al Dentsu Aegis Network guidato da Giulio
Malegori, sarà articolata sia sulle principali emittenti nazionali generaliste sia su quelle tematiche con
maggiore affinità con il target. Lo spot andrà in onda nelle fasce orarie di maggior ascolto con tagli da 7", 10"
e 15" e 30" allo scopo di favorire sia la copertura sia la frequenza di un target ampio prevalentemente
maschile. Lo spot andrà anche on-line all'interno di siti web di informazione e intrattenimento in modalità preroll 15" per far si che la campagna colpisca anche il target dinamico dei light viewers televisivi. "Quello di
mixare spazi web e tv è un esperimento importante per la nostra azienda e in particolare per dare impulso ai
sell-out di Neo Bianacid e conquistare notevoli quote di mercato. Una grande scommessa il cui esito
influenzerà notevolmente le strategie future in termini di media mix" afferma Davide Mercati, responsabile
media di Aboca. La creatività è dell'Ufficio Comunicazione Aboca in collaborazione con il registra Paolo
Gandola e la sua casa di produzione Zero Tabletop. La demo scientifica è stata sviluppata da Postofficebrw
Milano. EC
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Aboca porta in tv e sul web il nuovo Neo Bianacid. Pianifica Vizeum
05/12/2014
ADV Express
Sito Web
La piattaforma che mette in contatto i brand con oltre 7.000 influencer di Instagram in tutto il mondo, ha
chiuso il mese di novembre portando l'Italia ad essere il secondo paese in termini di apporto al fatturato
complessivo della società americana. Utilizzando la piattaforma InstaBrand (www.instabrand.com) i
responsabili marketing posso accedere ai dati socio demografici di migliaia di influencer, selezionare quelli
più vicini al posizionamento e al linguaggio del brand e gestire con semplicità le campagne di placement con
tool che permettono di scegliere i prodotti, le taglie, i colori, verificare le spedizioni e ogni altro aspetto
operativo. InstaBrand, la piattaforma che mette in contatto i brand con oltre 7.000 influencer di Instagram
in tutto il mondo, ha chiuso il mese di novembre con 18 campagne attive su clienti italiani, portando così
l'Italia ad essere il secondo paese in termini di apporto al fatturato complessivo della società americana. Il
dato conferma l'importanza del nostro Paese nello scenario del mobile & social marketing, in linea con i dati
pubblicati dalla ricerca 'Social, Digital & Mobile in Europa 2014' di WeAreSocial, che evidenzia come l'Italia
sia il paese europeo che vanta il maggior tempo di connessione quotidiana ai social network da dispositivi
mobile. Sempre WeAreSocial ha sottolineato come Instagram sia il social network dove i profili dei brand
hanno il maggiore numero di interazioni: 4,21% contro lo 0,07% di Facebook e lo 0,03% di Twitter. Questo
dato, unito al fatto che Instagram sia stato nei primi 7 mesi del 2014 il social network con il maggiore tasso di
crescita (secondo una ricerca pubblicata da LiveXtention a inizio novembre), lo rendono il canale ideale per la
comunicazione tra brand e consumatori basata su immagini e video. InstaBrand ha colmato due grosse
lacune del mercato: la possibilità di avere dati analitici direttamente dalla piattaforma Instagram (oggi bisogna
infatti affidarsi a tool di terze parti) e la mancanza di un market place che permettesse alle aziende di
pianificare con facilità così come avviene con altri social network. Utilizzando la piattaforma InstaBrand
(www.instabrand.com) i responsabili marketing posso accedere ai dati socio demografici di migliaia di
influencer, selezionare quelli più vicini al posizionamento e al linguaggio del brand e gestire con semplicità le
campagne di placement con tool che permettono di scegliere i prodotti, le taglie, i colori, verificare le
spedizioni e ogni altro aspetto operativo. Il tutto supportato da un potente strumento di Analytics sviluppato
internamente e denominato D.N.A., che grazie all'utilizzo delle API di Instagram permette di tracciare ogni
KPI relativo alla reach, i like, le condivisioni e i commenti, con uno spaccato per singolo influencer coinvolto.
Tra i clienti che hanno utilizzato InstaBrand per le realizzare campagne di placement nel quarto trimestre
2014 figurano Campari, McDonald's, l'Oréal Paris, Unilever, Disney, Calvin Klein, Tod's e Wolford. SP
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InstaBrand: a novembre 18 campagne attive su clienti italiani
05/12/2014
e20express.it
Sito Web
Le attività di comunicazione del Consorzio Nazionale Apicoltori, nato 35 anni fa nella Valle dell'Idice,
sull'Appennino bolognese, si concentrano sugli eventi educational, volti a testimoniare la ricerca di percorsi
innovativi, il forte legame con il territorio, la valorizzazione delle tipicità locali e la proposta di prodotti
dell'alveare di qualità.
apri la gallery fotografica Articolo tratto dalla rivista e20. Fondata nel 1979, Conapi è l'impresa cooperativa di
apicoltori più rappresentativa a livello europeo. Conta 233 soci (di cui il 40% certificati biologici) e rappresenta
oltre 600 apicoltori, tra aziende, cooperative, associazioni apistiche e singoli produttori, distribuiti sull'intero
territorio nazionale, dal Piemonte alla Sicilia, uniti dalla passione per un'apicoltura sana che, rispettando
l'ambiente e la dignità del lavoro, produce un miele buono, pulito e giusto. A partire dal 2010, attraverso il
progetto didattico 'Ape Milli', sostenuto dal programma di Sviluppo Rurale della regione Emilia Romagna, il
consorzio ha diffuso la conoscenza delle api e dell'apicoltura italiana in oltre 3.000 classi della scuola primaria
in alcune regioni. Forti del successo del progetto presso le scuole e con l'intento di proporre ai visitatori un
percorso didattico articolato, in grado di accompagnarli alla scoperta di questo importante settore
dell'economia nazionale, Conapi ha progettato e realizzato il Parco delle Api e del Miele, inaugurato nel
2013. Chiediamo a Nicoletta Maffini (FOTO 1), responsabile commerciale e marketing, di raccontarci questi
e altri progetti, attraverso i quali il consorzio comunica i propri focus: la ricerca di percorsi innovativi, il forte
legame con il territorio, la valorizzazione delle tipicità locali e la proposta di prodotti dell'alveare di qualità.
Come è cambiato negli ultimi anni il vostro approccio alla comunicazione?Ci troviamo di fronte a un
importante cambiamento, in quanto negli ultimi anni Conapi si è concentrato soprattutto su quella che
possiamo definire comunicazione istituzionale, volta, cioè, a valorizzare l'azienda come organismo unico nel
suo genere per dimensione e caratteristiche sia in Italia sia in Europa. Conapi è, infatti, una cooperativa
di soci apicoltori che ha impianti produttivi sulle colline bolognesi dove negli ultimi decenni ha affiancato
ai prodotti apistici anche la produzione di confetture.La commercializzazione dei suoi prodotti
avviene prevalentemente attraverso i marchi Alce Nero e Mielizia. Qualche tempo fa, tra l'altro, è stata siglata
la riacquisizione di Mielizia, brand storico di Conapi, che stiamo rilanciando attraverso un ampliamento di
gamma e azioni di comunicazione e adv sia su carta stampata sia su web, ma anche attraverso una serie di
eventi mirati (Mielizia è partner di Expo Express, vedi notizia correlata a fondo pagina, ndr).Qual è il trend
degli investimenti in comunicazione?Lo scorso anno il budget è stato pari a circa il 3% del fatturato relativo ai
nostri brand, mentre per il bilancio del periodo in corso (1 luglio 2014-30 giugno 2015, ndr) prevediamo di
raddoppiare gli investimenti. Quali sono le tipologie di eventi più frequenti per il vostro marchio e qual è il
target di riferimento? Fino a oggi l'aspetto di educational ha avuto un ruolo chiave sia attraverso un progetto
di edutainment dedicato ai bambini (www.ilmondodimilli.it, ndr), sia at- traverso un parco didattico sito in
azienda aperto alle visite scolastiche e al pubblico. A tutto ciò si affiancano azioni mirate volte a valorizzare i
nostri prodotti nei confronti del trade e del consumatore finale, sia sotto il profilo gourmand sia salutistico, a
partire dalle 150 giornate di instore promotion volte a valorizzare i prodotti. A quali fiere partecipate?La fiera
più interessante è il Biofach di Norimberga, dedicato al mondo del biologico, ma per il 2015 valuteremo anche
quelle più specifiche legate al canale del 'fuori casa'. Quali messaggi vuole comunicare il vostro marchio
attraverso gli eventi?Il marchio veicolerà principalmente la stretta connessione tra la pluralità di mieli, con
focus sui territori dove vengono raccolti e l'impegno degli apicoltori soci che, attraverso un'apicoltura pulita,
contribuiscono alla salvaguardia dell'ambiente e della biodiversità. Come e da chi viene misurato il Roi degli
eventi?Fermo restando che la misurazione del Roi sugli investimenti di comunicazione è complessa e talvolta
empirica, siamo costantemente impegnati in verifiche sulla notorietà del brand e sull'incremento del sell-out
che sono sicuramente i principali indicatori. Quale ruolo ha la Csr per voi? È alla base della nostra filosofia
aziendale ed è sancita da molti anni attraverso un regolamento interno che definisce la relazione tra soci e
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Conapi, quando l'evento è educational. Intervista a Nicoletta Maffini
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e20express.it
Sito Web
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
cooperativa, entrando nel merito di ogni aspetto anche produttivo. L'azienda, inoltre, ha adottato il modello
organizzativo previsto dal D.Lgs. 231/2001 'disciplina della responsabilità amministrativa degli enti'. Con quali
agenzie collaborate per i vostri eventi e come vengono scelte? Le gare sono rare; preferiamo instaurare,
come sopra detto, un rapporto continuativo con i fornitori esterni che diventa spesso un rapporto di
partnership che si consolida nel tempo.Quando l'azienda decide di aprire le porte a nuovi potenziali fornitori
con una gara non supera mai le 4/5 agenzie. Può fare un esempio di case history?La scorsa primavera
abbiamo lanciato un'iniziativa di comunicazione e per la salvaguardia ambientale e delle api. Il nome
dell'iniziativa è 'Bee Active, attivi per le api'. Le api sono a rischio di estinzione a causa dell'abuso di pesticidi
pertanto abbiamo previsto diverse azioni di sensibilizzazione presso il pubblico per sottolineare che senza le
api, insetto utile e impollinatore per eccellenza, non avremmo il 70% della frutta e verdura che portiamo tutti i
giorni sulle nostre tavole.Marina Bellantoni --------------------------------- Nicoletta Maffini - Profilo Classe 1970,
dopo la Laurea in Economia e Commercio a indirizzo aziendale presso l'Università degli Studi di Salerno,
consegue il Master in Marketing e Sviluppo Commerciale a indirizzo internazionale presso Efeso Bologna e
l'Executive Master in Direzione Aziendale e Strategica presso il Centro di Formazione Manageriale e
Gestione di Impresa della Camera di Commercio di Bologna. Da ottobre 2013 ricopre la carica di
responsabile commerciale e marketing in Conapi, di cui era entrata a far parte fin dal gennaio 2004, in qualità
di responsabile marketing. Una lunga esperienza preceduta da quattro anni (1999-2003) in Mediterrabio, con
il ruolo di responsabile vendite Italia, e da altri tre (1996-1999) in Corticella Molini e Pastifici, dove da
assistente al direttore commerciale è presto passata al ruolo di key account dei Prodotti Biologici, fino a
responsabile dei prodotti biologici e, infine, export area manager. « Indietro Invia ad un amico Stampa
NEWS CORRELATE Sant'Ambrogio, protettore degli apicoltori, porta a Milano un
05/12/2014
Engage.it
Sito Web
Coca-Cola affida a un pool di agenzie di WPP la comunicazione per UEFA
EURO 2016
Il gruppo, che ha battuto in gara Havas Worldwide, comprende le agenzie digital Possible e Geometry Global
e la sigla creativa spagnola SRA Rushmore. A gestire invece planning e buying sarà MediaCom
Coca-Cola pensa già agli Europei di Calcio del 2016.La multinazionale ha dato incarico a un gruppo di
agenzie di WPP di gestire le attività di comunicazione in vista di UEFA EURO 2016. Il gruppo comprende
Possible (attiva su digital e mobile), Geometry Global (specializzata in direct, digital, promotion e relationship
marketing) e l'agenzia creativa spagnola SRA Rushmore. A gestire invece il planning e il buying sarà
MediaCom, la centrale di Wpp già partner di Cola-Cola per il media.Il pool di agenzie ha ottenuto l'incarico
dopo una gara contro Havas Worldwide, e si metterà immediatamente al lavoro. Euro 2016 avrà luogo in
Francia tra il 10 giugno e il 10 luglio del 2016, e Coca-Cola è uno degli sponsor globali del torneo, insieme a
Carlsberg, Continental, Hyundai-Kia e McDonald's.Le sponsorizzazioni sportive costituiscono una parte molto
importante della strategia di marketing di Coca-Cola: il brand sponsorizza anche i Mondiali di Calcio, le
Olimpiadi e le Paralimpiadi.
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Ricerche
05/12/2014
Engage.it
Sito Web
Casa.it insegna a scegliere l'agente immobiliare con una campagna e una
nuova sezione sul sito
Secondo il portale è fondamentale saper riconoscere un buon agente. Per veicolare questo messaggio è
prevista un' adv su stampa, Dem, social media e web , con banner sui siti più importanti
Uno dei dati salienti del mercato immobiliare italiano dell'ultimo biennio è l'aumento delle famiglie che
ricorrono al servizio di un canale di vendita. Cresce in particolare l'utilizzo delle agenzie immobiliari per
trovare un acquirente/inquilino per il proprio appartamento o una nuova casa da acquistare/affittare.Per
questo, nella consapevolezza che le operazioni di vendita, affitto e ricerca di una casa rappresentino un
momento fondamentale nella vita dei propri utenti, Casa.it ha riassunto in una nuova apposita sezione del sito
i 5 buoni motivi per affidarsi a un agente immobiliare.In sintesi, secondo Casa.it, prima di lanciarsi
autonomamente nella ricerca o nella cessione del proprio appartamento è importante capire se si possiede
una reale conoscenza del mercato immobiliare e se l'investimento in termini di risorse di tempo e denaro vale
o meno il costo della commissione richiesta dall'agente. In caso di risposta negativa, è molto importante
saper riconoscere un buon agente immobiliare.«Il lancio di questa sezione del sito fa parte della nostra
strategia di comunicazione, iniziata con la nuova campagna pubblicitaria rivolta ai consumatori, online da
poche settimane - ha dichiarato Daniele Mancini, amministratore delegato di Casa.it -. Per lanciare il nostro
messaggio sul perché affidarsi a un buon agente immobiliare è prevista una campagna di comunicazione sui
giornali, l'invio di Dem, il coinvolgimento dei principali social media in cui siamo presenti da anni e la
pubblicazione di banner sui siti più importanti».«Un buon agente si riconosce in primis dalla sua capacità di
fornire un'appropriata valutazione del prezzo di mercato del bene da vendere, basandosi sulla sua
esperienza di zona e sull'esame delle condizioni strutturali e qualitative del bene - ha proseguito Mancini -. Se
la valutazione dell'agente viene influenzata dalle aspettative del venditore o se promette di vendere a un
prezzo troppo alto probabilmente l'obiettivo principe è quello di aggiudicarsi l'incarico, per ingrossare il proprio
portafoglio acquisizioni»«Per garantire al proprio cliente che l'immobile verrà pubblicizzato con la massima
visibilità - ha aggiunto - un buon agente deve investire sia in termini economici, sia in termini di risorse
umane. La professione immobiliare richiede oggi un aggiornamento continuo. Il mediatore che segue corsi o
seminari ed è aggiornato sulle tecnologie a disposizione per migliorare la qualità del suo servizio è
sicuramente una persona motivata su cui fare affidamento. Infine, il mediatore oggi deve essere un vero
consulente a 360° in grado di fornire un valido aiuto al cliente su ogni aspetto legato al processo di vendita,
acquisto o locazione».
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Tecnologia
05/12/2014
Engage.it
Sito Web
Aboca punta su tv e web per il lancio di Neo Bianacid. Pianificazione di
Vizeum
Lo spot è stato creato internamente dall'Ufficio Comunicazione dell'azienda in collaborazione con il registra
Paolo Gandola e la sua casa di produzione Zero Tabletop
Aboca punta su tv e web per il lancio del suo nuovo prodotto Neo Bianacid e lo fa con un nuovo spot, creato
internamente dall'Ufficio Comunicazione dell'azienda in collaborazione con il registra Paolo Gandola e la sua
casa di produzione Zero Tabletop, mentre la parte di demo scientifica è stata sviluppata da Postofficebrw
Milano.La pianificazione, risultato della partneship ormai consolidata con la sede di Firenze di Vizeum,
società appartenete al Dentsu Aegis Media guidato da Giulio Malegori, sarà articolata sia sulle principali
emittenti nazionali generaliste sia su quelle tematiche con maggiore affinità con il target.Il film andrà in onda
da dicembre a gennaio nelle fasce orarie di maggior ascolto con tagli da 7", 10" e 15" e 30" allo scopo di
favorire sia la copertura sia la frequenza di un target ampio prevalentemente maschile. Lo spot andrà anche
on-line all'interno di siti web di informazione e intrattenimento in modalità pre-roll 15" per far si che la
campagna colpisca anche il target dinamico dei light viewers televisivi.«Quello di mixare spazi web e tv è un
esperimento importante per la nostra azienda e in particolare per dare impulso ai sell-out di Neo Bianacid e
conquistare notevoli quote di mercato. Una grande scommessa il cui esito influenzerà notevolmente le
strategie future in termini di media mix» afferma Davide Mercati, responsabile media di Aboca.
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Tecnologia
05/12/2014
Il Sole 24 Ore Online
Sito Web
(tiratura:405061)
Raffica di piani per il web
Tour operator e agenzie di viaggi lanciano la sfida alle grandi Olta (Online travel agencies). La mossa è
confortata dagli ultimi dati emersi nel corso di Bto a Firenze.«Il 35% del mercato turistico mondiale viene
generato online, ma il 75% viene transato offline", sottolinea il direttore marketing di Amadeus, Tommaso
Vincenzetti. L'uso del web e la diffusione degli strumenti mobile sono fenomeni in costante crescita, ma
occorre tempo, troppo, per individuare in rete la migliore soluzione di viaggio e non sempre la pratica è
destinata ad andare a buon fine. Per questo da Nord Europa e Stati Uniti giungono segnali di un'inversione di
tendenza. Il consumatore finale sta rivalutando il ruolo consulenziale dell'agente di viaggio. I network di
agenzie si stanno attrezzando. Welcome Travel sfida Trivago con il lancio di Welgo!, un comparatore di
prezzi sui pacchetti turistici dedicato alle proprie agenzie. Si candida a gestire l'incoming Tripitaly.it, la
piattaforma digitale realizzata da Uvet e Digital Magics che sarà operativa da maggio 2015 con un approccio
b2c e b2b.Si chiama Social Media Team il servizio di contenuti e offerte lanciato da SeaNet Travel Network
per le proprie imprese. «Lo scopo - dichiara Francesco Granese, social media manager di SeaNet - è
avvalorare il ruolo dell'agente di viaggio, dando strumenti per creare un prodotto nuovo. In dirittura d'arrivo
un'App per le agenzie a costi contenuti».Anche il fronte dei tour operator si sta muovendo: aziende come I
Viaggi del Turchese, Viaggi dell'Elefante, Chiariva e Hotelplan hanno di recente introdotto piattaforme
tecnologiche b2b online. Molto attive sono aziende come Press Tours, Naar e Alidays, con strumenti che
permettono una costruzione del viaggio su misura.Il Gruppo Alpitour ha affidato ad una società specializzata
in digital marketing il rinnovamento della piattaforma di tutti i suoi siti web per «migliorare l'esperienza di
navigazione e facilitare le operazioni online degli utenti finali con un motore di ricerca unificato e la creazione
di un flusso unico per i pagamenti». Eden Viaggi (322 milioni di euro di fatturato a fine ottobre con 440 mila
passeggeri trasportati) ha messo a budget un investimento milionario per una piattaforma tecnologica
innovativa.Si muovono anche gli hotel. «È fondamentale - asserisce Jean Luc Chretien, executive vp of sales,
distribution and loyalty di Accor - un lavoro di protezione del marchio. Accor ha investito molto nel settore
digitale per competere con i grandi player online».© RIPRODUZIONE RISERVATA
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IMPRESA & TERRITORI
05/12/2014
10:10
Primaonline.it
Sito Web
Il 56,1% delle pubblicità digitali non viene visto, lo dice una ricerca di
Google (INFOGRAFICA)
Partendo dalla considerazione che molte pubblicità pubblicate sul web non appaiono mai sullo schermo e che
gli inserzionisti ormai tendono [...]
Partendo dalla considerazione che molte pubblicità pubblicate sul web non appaiono mai sullo schermo e che
gli inserzionisti ormai tendono a pagare uno spazio promozionale in base alla sua presunta visibilità piuttosto
che per la sua effettiva pubblicazione, Google ha condotto lo scorso ottobre una ricerca sulle proprie
piattaforme di display advertising per meglio comprendere il fenomeno delle frodi che interessano il digital
advertising e i fattori che condizionano la visibilità di un annuncio."Stando ai risultati dell'indagine - The
Importance of Being Seen: Viewability Insights for Digital Marketers and Publishers -, il 56,1% delle pubblicità
on line non vengono viste da nessuno, e la visibilità media di un publisher è del 50,2&", ha dichiarato Sanaz
Ahari, group product manager di Google.Hanno un forte peso sia la posizione dell'annuncio, più efficace se si
trova appena sopra la metà della pagina (e non in cima), sia la sua dimensione: il formato di sicuro successo
è quello verticale, 120×240, 240×400, 160×600 o 120×600.Google precisa che la posizione dell'annuncio al
di sopra della metà della pagina garantisce la sua visibilità nel 68% dei casi, contro il 40% (non trascurabile)
degli annunci al di sotto della 'page fold'.La visibilità di un messaggio varia molto anche a seconda dei settori
industriali di riferimento e risulta più alta laddove è maggiore il coinvolgimento dell'utente con i contenuti
offerti (consulenza e informazione, comunità on line, giochi, arte e intrattenimento, lavoro e formazione,
business e industria, computer e elettronica, scienze, internet & telecom, hobby e tempo libero). (P.Cav.)
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04/12/2014
05:10
Primaonline.it
Sito Web
Per il 2015 Google sta preparando Chrome e YouTube in versione per
bambini fino a 12 anni. In formato kids anche il motore di ricerca (VIDEO)
(Tomshardware.it) Google sta lavorando a versioni per bambini dei propri prodotti, dalla ricerca a YouTube e
Chrome. Lo riporta USA Today, [...]
(Tomshardware.it) Google sta lavorando a versioni per bambini dei propri prodotti, dalla ricerca a YouTube e
Chrome. Lo riporta USA Today, in un articolo che indica le prime settimane del 2015 come periodo in cui sarà
avviata la sperimentazione. Le nuove versioni saranno progettate per utenti fino a 12 anni di età."La
motivazione all'interno della società è che tutti noi abbiamo dei figli", ha affermato la vice presidente Pavni
Diwanji, "quindi siamo spinti a cambiare i nostri prodotti affinché siano sicuri e divertenti per i ragazzi.
Vogliamo riflettere su ciò che facciamo, e dare ai genitori gli strumenti giusti per controllare ciò che fanno i
bambini. Vogliamo aiutare i ragazzi a stare al sicuro, ma soprattutto aiutarli a essere più che semplici
consumatori di tecnologia, ma anche creatori".Il reporter Marco Della Cava sottolinea il possibile conflitto
dell'operazione: qualcuno potrebbe accusare Google di marketing diretto ai più giovani, un'azione a volte
illegale e senz'altro discutibile. Eppure non si tratta solo della classica "strategia dell'Happy Meal", mirata a
crearsi clienti giovanissimi.Il fatto è che anche senza marketing specifico bambini e ragazzini di tutto il mondo
sono già online: navigano, usano i social network, guardano i cartoni animati su YouTube già da piccolissimi.
E allora forse non è fuori luogo pensare di adattare gli strumenti alla fascia di età.I problemi da affrontare
sono molti: Marc Rotenberg (Electronic Privacy Information Center) cita per esempio le pubblicità con audio e
come possono influenzare i più giovani. "La FTC", afferma Rotemberg, "dovrà fare qualcosa. Non credo che
un mondo dove si vende ai nostri figli ciò di cui non hanno bisogno sia quello che vogliamo". Diwanji, che
dirige questo nuovo progetto Google, mira poi a fare un passo ulteriore: non solo bloccare contenuti, ma
insegnare ai giovani come usare la tecnologia in modo responsabile e sicuro.Pavni DiwanjiSi tratta per
esempio di creare un motore di ricerca che per la parola di ricerca "treni" generi risultati che hanno a che fare
con giocattoli e cartoni animati, e non con gli orari della stazione più vicina. Al momento però i prodotti
Google non sono affatto confezionati pensando a questi specifici bisogni, e creare qualcosa che possa
soddisfare le tante possibili richieste dei genitori non sarà semplice. "Forse questa è una delle mie più grandi
sfide" conferma infatti Pavni Diwanji.Le affermazioni di principio sono eccezionali, ma lo è anche la sfida che
dovrà affrontare Google. Alcuni punti sono facili, come per esempio fare una versione di Chrome che
riconosca e blocchi i contenuti per adulti, con eventualmente la possibilità di creare una lista personalizzata di
siti ammissibili.Altre cose invece sono più complicate: su YouTube andrebbero filtrate le pubblicità per
esempio, perché non è raro vedere uno spot di biancheria intima prima di un cartone animato, e sarebbe
anche importante etichettare i video secondo le fasce di età così da potersi creare canali sicuri. Andrebbero
rivisti gli algoritmi di correlazione, e sfoltiti quei video che sembrano per bambini ma non lo sono.Senza
dimenticare il fatto che tutte queste misure, almeno in qualche modo, potenzialmente possono far perdere
soldi a Google, soprattutto se dovesse prevalere la linea proposta da Marc Rotenberg. La stessa linea che in
teoria regola la televisione: ci sono regole anche rigide sulla pubblicità nei programmi per bambini e sui canali
tematici, ma chiunque può verificare come siano spesso disattese. Come affronterà Google la
questione?http://www.tomshw.it/cont/news/chrome-e-youtube-per-bambini-nel-2015/61127/1.html
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05/12/2014
03:37
Primaonline.it
Sito Web
Mastercucina.net, il portale di edizioni master dedicata alla cucina
Importanti novità per il Gruppo Editoriale Edizioni Master, che lancia "MasterCucina.net"
(www.mastercucina.net). Già online in versione beta, il portale ha [...]
Importanti novità per il Gruppo Editoriale Edizioni Master, che lancia "MasterCucina.net"
(www.mastercucina.net). Già online in versione beta, il portale ha come guide d'eccezione i più popolari chef
italiani: da Anna Moroni a Sal De Riso, da Gabriele Bonci ad Alessandra Spisni, senza dimenticare Antonella
Clerici, regina indiscussa dei fornelli in tv e de "La Prova del Cuoco Magazine", la prestigiosa pubblicazione
edita da Edizioni Master che rappresenta uno dei più grandi successi editoriali degli ultimi anni.Come riporta il
comunicato, MasterCucina.net ospita ricette golosissime e consigli per tutti i gusti, dalle pietanze più semplici
a quelle più complesse, presentate con un taglio editoriale nuovo e immediato, aperto ai contributi dei lettori e
volto a favorire una navigazione semplice e intuitiva. Contributi sia testuali che multimediali, grazie alla
presenza di un nutrito e crescente archivio di foto e video, consentono di illustrare passo dopo passo i
procedimenti da seguire per riprodurre fedelmente i piatti per ogni occasione.Edizioni Master, brand media
company partner Rai e tra gli editori più importanti del panorama italiano, nel corso degli anni ha maturato un
forte know--how nel segmento Cucina, grazie a prodotti editoriali di grandissimo successo, primo fra tutti "La
Prova del Cuoco Magazine", punto di riferimento indiscusso per milioni di lettori e telespettatori. In
collaborazione con i più grandi chef, pasticceri e maestri della pizza italiani, la redazione Cucina e lo staff
della Scuola di Cucina del Gruppo Edizioni Master hanno ideato, progettato e lanciato in edicola una serie di
prodotti editoriali e collezionabili innovativi e di grande qualità che hanno rappresentato e tuttora
rappresentano un punto di riferimento per gli appassionati della cucina italiana: si pensi al successo di
prodotti quali, ad esempio, I Genietti di Anna Moroni, Sal de Riso il Re delle torte, I grandi maestri della pizza,
La Pasta fatta in casa di Alessandra Spisni, Le ricette profumate di Antonella Clerici.MasterCucina.net,
avvalendosi del know--how acquisito e con l'obiettivo di valorizzare le sinergie editoriali carta--web del Gruppo
in ambito Cucina, mira ad essere il punto di riferimento italianosul web per tutti gli appassionati di cucina."Con
questo nuovo portale, intendiamo potenziare ulteriormente la nostra presenza nel segmento Cucina, le cui
pubblicazioni in edicola hanno già evidenziato il gradimento del pubblico", ha dichiarato Massimo Sesti,
Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Edizioni Master. "MasterCucina è senz'altro un tassello
importante che arricchisce ulteriormente la nostra capacitàdi penetrazione nel mercato. Grazie al nuovo
portale" - ha proseguito Sesti - "da oggi disponiamo di un'unica vision editoriale, in grado di offrire agli
investitori una total audience qualificata e interessata"."Dopo aver portato la TV sulla Carta, operazione
crossmediale molto delicata ma premiata dai nostri lettori" - ha dichiarato Massimo Mattone, Direttore
Editoriale del Gruppo Edizioni Master - "abbiamo portato la Carta sul Web: una sfida altrettanto impegnativa
che, speriamo, sarà apprezzata dalle nostre lettrici e dai nostri lettori che amano la Cucina e il nostro modo di
raccontarla. Era necessario" - ha continuato Mattone - "unificare gli sforzi in un'unica mission editoriale
capace di essere contemporaneamente punto di riferimento in edicola e sul web per i nostri lettori e porto
sicuro per gli inserzionisti di settore che intendano veicolare il loro messaggio a un target ben identificato e
identificabile"."Presentarsi al mercato della Cucina con un portfolio di offerte così ricco" -- ha dichiarato
Costantino Cialfi, Sales Manager di Master Advertising (http://www.masteradv.it), concessionaria adv del
Gruppo Edizioni Master - "costituito dal magazine di Cucina più venduto in Italia, da prodotti collezionabili e
pubblicazioni di prestigio in collaborazione con i più grandi chef e maestri di cucina e da un portale destinato
ad essere il punto di riferimento sul web della cucina italiana, è per la nostra concessionaria motivo di grande
soddisfazione. Con il nuovo portale" - ha continuato Cialfi - "saremo sempre più in grado di offrire, ai nostri
clienti attuali e potenziali, pianificazioni e progetti speciali distribuiti in maniera mirata, organica e sinergica sui
media del nostro Gruppo".
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05/12/2014
11:34
Pubblicitaitalia.it
Sito Web
Tutte le News
L'azienda pronta a partecipare alla gara Audiweb ComScore, dal 2009 in Italia, è un'azienda specializzata
nella tecnologia online per misurare ciò che le persone fanno quando navigano nel mondo digitale e
trasforma queste informazioni in insight e azioni affinché i propri clienti possano massimizzare il valore degli
investimenti digitali. Nei giorni scorsi, la società ha lanciato MMX Multi-platform, un sistema di misurazione
integrato dell'esperienza di fruizione di internet su tutti i device per aumentare il livello di trasparenza e di
efficienza del mercato italiano e allinearlo a quello dei paesi all'avanguardia nello sviluppo digitale. "Ogni
mese trattiamo oltre 1 triliardo di interazioni provenienti da 172 Paesi diversi - ha sottolineato Fabrizio
Angelini (nella foto), ceo di Sensemakers che rappresenta in esclusiva comScore in Italia -, il che corrisponde
al 40% in più delle visite mensili a pagine internet". L'azienda dopo circa 5 anni sul mercato italiano che
considera fondamentale punta ad "aprire una filiale in Italia - continua Angelini - rimarcando il nostro impegno
per il Paese e chiedendo di poter partecipare alla gara di Audiweb annunciata per il 2015, quando scadrà il
contratto che lega Audiweb a Nielsen. Il settore digitale, un mondo veloce e in continuo cambiamento,
neccessita di misurazioni trasparenti che integrino grandi dati con un panel statistico rappresentativo. Noi
come azienda leader a livello mondiale siamo in grado di mettere insieme 1,7 trilioni di interazioni digitali al
mese con un panel di 2 milioni di individui, 40.000 dei quali in Italia". Misurazioni e big data ComScore 1,5
milioni di siti taggati e oltre il 90% dei device conessi a internet tracciati nella maggior parte dei Paesi
ComScore, player pluricertificato e indipendente, nelle scorse settimane ha rilasciato proprio alcune delle sue
più importanti innovazioni nel nostro Paese (misurazioni multipiattaforma e valutazione dell'advertising on-line
). Tra queste MMX® Multi-platform, lo strumento più avanzato per la misurazione dell'audience digitale e il
media planning (vedi notizia http://www.pubblicitaitalia.it/2014112434370/digital/comscore-lancia-in-italiammx-multi-platform-strumento-che-offre-dati-di-grande-valore-per-inserzionisti-agenzie-e-editori). Come parte
dell'impegno di comScore al rilascio di soluzioni su scala globale, questa versione del prodotto è stata
sviluppata grazie ad una metodologia innovativa che consente la misurazione mobile di ogni mercato senza
prevedere la necessità di costruire un panel mobile tradizionale e sulla base di dati censuari. La soluzione è
comunque in grado di fornire misurazioni person-centric per i soggetti che hanno implementato il tag
comScore. E' quindi fondamentale per gli editori che hanno necessità di capire e monetizzare la propria
audience mobile, implementare il Tag comScore su tutte le pagine e applicazioni. Gli inserzionisti saranno in
grado di impostare le campagne senza l'esigenza un complesso ed intensivo lavoro di tag. Quindi, una volta
che la campagna sarà partita, gli inserzionisti potranno accedere quasi in tempo reale ai report sull'audience,
per affinare mano a mano ed ottimizzare la campagna."Con 1,5 milioni di siti taggati e oltre il 90% dei device
conessi a internet tracciati nella maggior parte dei Paesi continua Angelini - le nostre Analytics for a Digital
World assicurano insight più veloci e operativi su tutte le forme di dati digitali. Visto che il digitale diventa
sempre più pervasivo, complesso e multi-platform, i clienti di tutto il mondo si affidano all'esperienza sui
singoli settori di comScore, con le analitiche sul pubblico, sulla pubblicità, web & monetizzazione e sugli
operatori mobili per fornire risposte migliori alle domande chiave. I clienti possono utilizzare i dati comScore
(della rete mondiale del panel & dei dati del censimento) insieme ai loro dati (web, mobile, video, CRM,) per
ottenere un'impareggiabile chiarezza riguardo a che punto sia la propria azienda e dove debba andare".
L'azienda ha da poco stipulato una partnership con Yahoo a livello internazionale. "Per andare incontro ai
publisher, a differenza degli altri operatori, - continua il manager - comScore ha un approccio multi-source.
Siamo aperti ad accettare dati di terze parti, in modo da evitare la classica distorsione tipica dei panel e
garantire una misurazione trasparente". Condividi
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ComScore, 1 triliardo di interazioni ogni mese provenienti da 172 Paesi
diversi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO
159 articoli
06/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
salvataggio costoso e inutile
Sergio Rizzo
C' è un dubbio che oggi, dopo il raccapricciante spettacolo di Mafia Capitale, a maggior ragione ci attanaglia.
Siamo sicuri che aver salvato Roma dal fallimento sia stata una scelta giusta? Il commissario al debito
Massimo Varazzani argomenta che con il dissesto della capitale d'Italia si sarebbe rischiato il declassamento
del debito sovrano, con relativa impennata della spesa per interessi e costi ancora maggiori. Pericolo che del
resto, vista la nostra situazione economica, è perennemente incombente. E ieri ne abbiamo avuto la prova.
Ma il ragionamento di Varazzani non fa una piega.
Al tempo stesso non si può, né si deve, sorvolare sulle conseguenze di quei salvataggi. L'ispettore spedito un
anno fa dalla Ragioneria a fare le bucce al bilancio del Campidoglio ha concluso che il commissariamento del
debito con gli interessi accollati allo Stato si sia tradotto in un incremento della spesa corrente arrivato nel
2012 a ben 641 milioni: il costo di 13 mila dipendenti comunali. Per non parlare delle municipalizzate, con
l'Atac bisognosa di continue trasfusioni di denaro. Mentre per l'Ama, l'azienda dei rifiuti già affidata a quel
Franco Panzironi stipendiato con 545 mila euro e ora fra i nomi di spicco dell'inchiesta, parlano chiaro le
slavine di 1.644 assunzioni e 1.700 stabilizzazioni di precari.
E se non c'è la prova che un fallimento (per cui all'epoca secondo gli ex esponenti della giunta Veltroni messa
sotto accusa da Alemanno non esistevano presupposti) avrebbe impedito corruzione, ruberie e
malversazioni, di sicuro le avrebbe rese più difficili.
Possiamo giurare che non avremmo neppure corso il rischio di un nuovo crac, un anno fa, con il risultato di
un nuovo salvataggio per legge al ritmo del solito slogan: «La capitale non può fallire!». Stavolta gridato dalla
sinistra come sei anni fa si era levato dalla destra. Con la certezza che il paracadute si debba per forza
aprire. Così gli enti locali malgestiti difficilmente saltano per aria. Così agli amministratori incapaci non
vengono pressoché mai applicate le sanzioni previste per legge. Così dopo le inchieste presentate come
«un'occasione per fare pulizia» (parole del prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro) si scopre che di polvere
sotto il tappeto ne rimane ogni volta troppa. In certi casi, è l'amara lezione di questa vicenda, un paracadute
che si apre sempre e comunque può fare perfino più danni di un'agenzia di rating .
Sergio Rizzo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La Capitale e i debiti
06/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Renzi: userò questo giudizio per accelerare
Francesco Verderami
R enzi se lo aspettava questo regalo di Natale, da una settimana era a conoscenza del declassamento da
parte dell'agenzia Standard & Poor's.
Perciò il premier ha voluto che il Senato accelerasse l'approvazione definitiva del Jobs act, per dare una
risposta preventiva alla valutazione dell'agenzia di rating, ma soprattutto per lanciare un segnale all'Europa e
ai mercati sulla capacità del governo di «tenere fede ai patti». Ed è così che davanti a quello che viene
considerato «uno schiaffo all'Italia», Renzi mostra di far buon viso a cattivo gioco e cerca di sfruttare a proprio
vantaggio il giudizio negativo di S&P: «Loro - spiega il presidente del Consiglio - sono sinceramente convinti
che la direzione delle riforme sia giusta ma che sia troppo lenta. In Parlamento sono invece convinti che sia
troppo veloce e che dovremmo rallentare».
È contrapponendo le motivazioni della società americana alle argomentazioni delle Camere che Renzi trae lo
spunto per riaffermare la bontà della sua linea, e non a caso dice di essere «intenzionato a spingere
sull'acceleratore»: «Il governo userà anche questo fatto per velocizzare il percorso delle riforme». Così gira il
regalo di Natale a deputati e senatori, immaginando per loro delle festività passate a lavorare. D'altronde il
rispetto dei tempi, per il leader del Pd, è un dato sostanziale quanto il contenuto dei provvedimenti: perché
l'opinione pubblica può concedergli le difficoltà dettate dai farraginosi meccanismi parlamentari, ma non lo
perdonerebbe se rallentasse.
Certo, Renzi avrebbe fatto volentieri a meno del carbone, e al dicastero dell'Economia si mordono la lingua
per evitare di definire pubblicamente «una barzelletta» la valutazione di S&P: non solo perché in questi anni
le agenzie di rating hanno subito un downgrade di autorevolezza, tanto da essere chiamate persino alla
sbarra in un processo che si svolge a Trani, ma anche perché il calo dello spread «testimonia che non c'è
alcun rischio finanziario per i titoli italiani». «Eh, ma allo spread che in nove mesi è sceso di ottanta punti, i
media dedicano solo qualche trafiletto», commenta il premier, con l'unica concessione alla polemica. Semmai
tiene a evidenziare come «l'outlook stabile» è un gesto di fiducia verso il governo. E verso il suo Jobs act.
Anche su questo punto Renzi è convinto di vincere la scommessa: quando si vedrà il primo decreto attuativo,
i timori di un «indebolimento del progetto» che sono stati avanzati da S&P «si dissolveranno». È l'auspicio
dell'ex ministro del Lavoro Sacconi, convinto che «Europa e mercati aspettano su questo punto di verificare
se in Italia c'è stata davvero discontinuità rispetto al passato. O la grande attesa si trasformerebbe in un
pericoloso boomerang». Ecco perché il premier aveva fretta in Parlamento: voleva che in fretta si mettesse
mano anche alla delega, così da mostrare gli atti dell'esecutivo.
E non c'è dubbio che - insieme alle riforme costituzionali e al nuovo sistema di voto - il Jobs act rappresenti
per Renzi il primo passo per marciare verso l'Europa: «È lì che si gioca la nostra scommessa», per dare una
svolta alle politiche di rilancio dell'economia. È nel vertice di Bruxelles - dove formalmente si discuterà la
chiusura del bilancio europeo - che Padoan lavorerà sulla definizione dei 300 miliardi di investimenti. Il motto
del premier è «liberare risorse» così da far ripartire la locomotiva dell'Unione. E dunque non può attardarsi
nelle analisi che vengono fatte in queste ore nella maggioranza e nel suo stesso partito, là dove - «senza
arrivare a parlare di complotto» - ritengono sia «evidente» l'azione di forze e realtà internazionali che «non
tifano certo per il nostro governo», e che pongono «molta attenzione» alle riforme ma anche «alla partita del
Quirinale», sperando magari di vedere lì in futuro «un presidente di garanzia. Per i mercati».
Nel «resisteremo» con cui Renzi va caricando i suoi, c'è la convinzione di riuscire ad aprire una breccia nelle
tesi «rigoriste» di quel pezzo di Europa che conta e che ruota attorno alla Merkel. In fondo, il premier sta
dando prova della volontà di «stare ai patti»: nonostante il Paese in tumulto, i sindacati in piazza e il suo
partito spaccato, sta rischiando l'osso del collo pur di dimostrare che non è affetto da «annuncite». Perciò
l'appuntamento con la Cancelliera tedesca a fine gennaio assume un particolare significato, talmente
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SETTEGIORNI
06/12/2014
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importante da potersi riflettere anche sulle scadenze politiche nazionali. Per quella data infatti il Parlamento
potrebbe già essere immerso nei preparativi per l'elezione del nuovo capo dello Stato. A meno che
Napolitano, proprio in vista del rendez vous tra Renzi e la Merkel, non decida di posticipare di qualche giorno
il suo addio al Quirinale...
Francesco Verderami
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287 i giorni trascorsi da quando è in carica il governo Renzi 166 i voti
dati a favore
in Senato alla fiducia chiesta sul Jobs act
06/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 8
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Standard & Poor's taglia il rating a BBB-, un gradino sopra il livello dei titoli spazzatura, come la Russia
L'agenzia: «Bene il Jobs act, ma è incerta l'attuazione». Il Tesoro ribadisce: i conti sono sostenibili
Lorenzo Salvia
ROMA Un gradino sopra il livello «junk», spazzatura. E sullo stesso piano della Russia, non proprio il
massimo agli occhi degli investitori. L'agenzia americana Standard & Poor's ha abbassato il rating sul debito
a lungo termine dell'Italia, che passa da BBB a BBB-. Un altro declassamento ed entreremmo in quella che
gli addetti ai lavori chiamano «area di non investimento». L'unica consolazione è che l' outlook , cioè la
previsione sulle future evoluzioni, passa da negativo a stabile. Come dire che il taglio di ieri, peraltro di un
solo gradino a differenza di quelli precedenti, era stato messo in preventivo. Ma la prossima volta dovrebbe
andare meglio.
A pesare, però, sono soprattutto le motivazioni che l'agenzia porta a sostegno della sua decisione: «Abbiamo
notato che Renzi ha fatto alcuni progressi con il suo Jobs act », la legge delega per la riforma del mercato del
lavoro approvata questa settimana. Ma proprio quella riforma potrebbe avere un «indebolimento a causa dei
decreti attuativi alla luce di una crescente opposizione». In ogni caso, si legge ancora nel documento, «non
crediamo che le misure previste creeranno occupazione nel breve termine. Come conseguenza, il già elevato
tasso di disoccupazione potrebbe peggiorare fino a che non arriverà una sostenibile ripresa economica».
L'agenzia di rating sottolinea poi un «forte aumento del debito, accompagnato da una crescita perennemente
debole e bassa competitività». Ma non è solo questione di singoli indicatori e nemmeno i famosi compiti a
casa sembrano bastare più. Secondo Standard & Poor's «mentre tutte le riforme si sono concentrate sul
costo del lavoro», le «difficoltà della ripresa economica italiana dipendono anche da altri fattori e in particolare
da un ambiente ostile al fare impresa».
Nel giugno scorso, Standard & Poor's aveva sospeso il giudizio sull'Italia, giudicando «incoraggianti» le
intenzioni del governo Renzi ma sottolineando come fosse «troppo presto» per valutare la sua azione. Quella
riserva è stata sciolta ieri, nello stesso giorno in cui l'agenzia ha alzato da A- ad A il rating dell'Irlanda, che
sembra uscita definitivamente dalla crisi del 2009.
Fonti del governo dicono che «non si tratta di una bocciatura ma di un invito ad andare ancora più veloci sulle
riforme. Vedono elementi buoni nelle riforme ma non tali da compensare l'aumento del debito e risvegliare
l'economia nel breve periodo». Lo stesso Matteo Renzi scrive che sul Jobs act «occorre fare di più e più
veloce», aggiungendo pure che «non tutti credevano che ce l'avremmo fatta». Il ministro dell'Economia Pier
Carlo Padoan, invece, si concentra sul debito pubblico: «È uno dei più sostenibili in Europa, grazie alle
riforme pensionistiche del passato. E non lo dico io ma la commissione europea». Forse sul giudizio pesa
anche una diversa visione economica. Per Standard & Poor's la competitività passa prima di tutto dal taglio
dei salari. Il governo vuole evitare questa strada, spingendo invece sulla flessibilità. Non resta che aspettare il
giudizio dei mercati e la riapertura delle Borse.
lorenzosalvia
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La mappa dei rating (1) BBB- in valuta straniera, BBB in valuta locale . (2) BBB in valuta straniera, BBB+ in
valuta locale Corriere della Sera Giudizi di: Standard & Poor's Moody's Fitch Italia BBB- prospettive stabili
Baa2 prospettive stabili BBB+ prospettive stabili Austria AA+ Finlandia AA+ Francia AA Germania AAA
Grecia B Irlanda A Portogallo BB Russia BBB-(1) Spagna BBB Regno Unito AAA Stati Uniti AA+ Kazakhstan
BBB+ Colombia BBB(2) Panama BBB Filippine BBB CHI HA UN VOTO MIGLIORE DEL NOSTRO Gli
esempi I voti di Standard & Poor's vanno da AAA (il più alto) a D (il più basso)
La vicenda
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«Il debito cresce troppo, Italia declassata»
06/12/2014
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Per il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan il debito italiano «è uno dei più sostenibili in Europa.
Lo dice la Commissione europea - ha precisato ieri a Roma prima della bocciatura di S&P's -. L'Italia è l'unico
Paese con un surplus primario positivo» Le parole Il rating
Il rating è il giudizio che viene espresso dalle agenzie internazionali come Standard & Poor's, Moody's e
Fitch sulle capacità di una società di sostenere la propria situazione finanziaria. Ci sono poi i rating sul debito
delle nazioni, come quello appena aggiornato da S&P's per l'Italia. In questo caso, essendo gli Stati i
maggiori debitori in assoluto, le agenzie si esprimono in base alla capacità che dimostrano a fronteggiare e
risanare i propri conti. L'Italia è stata bocciata per il «forte aumento del debito». Lo spread Lo parola inglese
spread potrebbe essere tradotta con il termine «scarto» e indica una differenza fra due grandezze.
Nell'accezione più frequente negli anni della Grande Crisi è il differenziale di rendimento tra titoli di Stato di
due diverse nazioni. Per convenzione si prendono in considerazione i titoli di Stato con scadenza a 10 anni.
Al centro dell'attenzione lo spread tra Btp e Bund tedeschi. Che ieri ha chiuso sotto la soglia dei 120 punti
base (119), ai minimi da maggio 2010, il rendimento del Btp è sceso all'1,96%. Debito pubblico Il debito
pubblico di uno Stato è costituito dalla somma dei deficit di bilancio del passato alla quale si aggiungono gli
interessi sui titoli di debito già emessi. Il costo del debito deriva dagli interessi che il Tesoro italiano paga ai
sottoscrittori di Bot, Btp, Ctz e di altri titoli del debito pubblico. Questi interessi sono collegati a una serie di
variabili e influenzati dalla politica monetaria. Gli esperti di S&P's stimano che il debito pubblico italiano sarà
pari a 2.256 miliardi di euro entro la fine del 2017 Il deficit Il deficit di bilancio di uno Stato è dato da una
differenza negativa fra le entrate (tasse, dividendi da partecipazioni, contributi sociali, interessi) e le spese
(acquisti di beni e servizi, retribuzioni, prestazioni sociali, investimenti). Questa differenza crea il fabbisogno
che uno Stato finanzia a debito. Il governo italiano ha ribadito in più occasioni l'intenzione di rispettare il
rapporto deficit/Pil al di sotto del 3% (la soglia di Maastricht), pur sottolineando la rigidità di simili regole in
una fase di recessione prima e stagnazione in seguito così prolungata.
06/12/2014
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Quella tentazione di superare il 3% E l'attesa per l'esame dei mercati
Roma punta al dialogo con la Merkel per un superamento comune dei vecchi criteri Nella legge di Stabilità
fissato il 2,6% ma i tecnici al lavoro per uno sfondamento controllato
Antonella Baccaro
ROMA Tutti i dubbi che l'agenzia di rating Standard & Poor's ha riversato ieri sul nostro Paese sono da tempo
rappresentati nella mappa che Renzi adopera per disegnare le proprie strategie come dei segni «meno».
Scarsa crescita, aumento del debito, bassa inflazione, disoccupazione che fatica a diminuire. Vederli messi
nero su bianco in un momento in cui il premier è impegnato su un difficile fronte politico, deve comunque aver
fatto effetto.
Anche perché è tutto un altro il messaggio che il premier sta cercando di far passare, quello di un'Italia che si
muove, fa le riforme, aspira a crescere. Ma la strategia dell'ottimismo ha mostrato tutti i propri limiti,
rappresentati molto bene da quello -0,1% di Pil del terzo trimestre rilevato dall'Istat.
E nemmeno sembra aver funzionato, almeno agli occhi dell'agenzia di rating , la campagna « Pride and
prejudice» che il ministro Padoan ha diffuso per smentire che il debito pubblico sia fuori controllo e
dimostrarne la sostenibilità attraverso il dato del «surplus primario, che solo la Germania con l'Italia ha
mantenuto positivo».
Così, rilevato che le parole non bastano, l'idea che bisogna fare qualcosa di straordinario per uscire dall'
impasse è molto chiaro sia a Renzi che a Padoan, i quali, come spesso accade, procedono su due linee
parallele. Il ministro dell'Economia ha da mesi ingaggiato una battaglia per calcolare diversamente l' output
gap , la differenza tra il potenziale e la crescita reale. Ieri ha rivelato di aver convinto molti Paesi a rivedere il
metodo. Se questo avvenisse davvero l'Italia «invece che in deficit sarebbe in surplus». E il gioco sarebbe
fatto.
Perché non bisogna dimenticare che per la nostra legge di Stabilità gli esami non sono finiti e che quel 2,6%
nel rapporto deficit/Pil per il 2015 cui ci siamo dovuti adeguare al primo esame, potrebbe essere rimesso in
discussione a marzo quando, in sede di esame definitivo, potrebbe esserci chiesto di scendere al 2,4%.
Lunedì all'Eurogruppo si parlerà di Grecia, Portogallo e Irlanda. Proprio questi Paesi non mancheranno di
reclamare per l'Italia programmi di rientro altrettanto severi rispetto a quelli subiti, pena l'apertura di una
procedura d'infrazione.
Una china questa che Padoan sta cercando di evitare chiedendo per tempo che l'Ue cambi passo, che si
pensi alla crescita, che le riforme in atto possano essere sostenute da investimenti da non calcolare nel
deficit, anche consentendo che siano sottoposte al controllo severo di Bruxelles. Oppure che le risorse del
piano Juncker che dovessero spettarci vengano gestite (e controllate) dalla Bei, purché siano sempre
scomputabili dal deficit.
Una politica di piccoli passi, quella di Padoan, che se a gennaio non darà i suoi frutti potrebbe essere
sostituita da una mossa più politica di Renzi: una sfida alla regola del 3% sostenuta dallo spauracchio
dell'avanzamento della destra antieuro anche in Italia. Del resto se si deve essere bocciati per aver portato il
rapporto deficit Pil al 2,6% tanto vale sfondare il 3%, sarebbe il ragionamento. O almeno quello che si lascia
trapelare ora, cioè prima del 22-23 gennaio, quando al bilaterale di Firenze con Angela Merkel si spera
almeno di riportare il rapporto deficit/Pil al 2,9%. Tanto potrebbe bastare, anche per non spaventare troppo i
mercati. L'avvertimento di Standard & Poor's ieri è arrivato chiaro e forte.
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I conti e lo spread Debito pubblico (in % sul Pil) Il differenziale tra Btp e Bund d'Arco 120 130 110 100 2004
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 106,3 106,1 120,7 105,7 116,4 127 119,3 103,7 103,3
132,6 Lug Ago Set Ott Nov Dic 100 120 140 160 180 118,42 Ieri 0,5 per cento
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Retroscena
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il tasso
di inflazione
nei Paesi dell'eurozona 0,8 per cento
la crescita dell'eurozona nel 2014 secondo la Bce -0,1 per cento
il Prodotto interno lordo italiano nel terzo trimestre dell'anno
Foto: La cancelliera tedesca, Angela Merkel. La Germania frena sugli interventi
della Bce
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Bankitalia chiarisce: le operazioni non sono in conflitto. La Germania dimezza le stime di crescita Non
possiamo continuare ad accrescere il debito pubblico La domanda interna ristagna. Depressi anche gli
investimenti
Stefania Tamburello
ROMA «Se fosse necessario - ed è necessario - la Bce introdurrà nuove misure per contrastare il rischio
deflazione». Il giorno dopo l'annuncio del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, il
governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, che interviene alla Sapienza, spiega perché la Banca centrale
europea si appresta a varare un programma di quantitative easing , cioè di acquisto in particolare di titoli
pubblici, ed indica anche le ragioni di chi, come il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, si oppone.
La necessità di agire con ulteriori misure che aumentino l'offerta di moneta, è data dalle cifre sull'andamento
dell'economia:«La domanda interna ristagna, gli investimenti continuano ad essere depressi, la
disoccupazione è molto elevata, la variazione dei prezzi al consumo è particolarmente bassa», dice Visco
spiegando che con un'inflazione «troppo bassa ci possono essere conseguenze gravissime per Paesi che
hanno livelli di debito pubblico o privato molto alti». L'Italia è fra questi, col suo alto debito pubblico. «Non
possiamo continuare ad accrescerlo», dice il governatore. La bassa e prolungata crescita dei prezzi, che non
è ancora deflazione, ma che secondo le stime di alcuni operatori di mercato, citate da Visco, potrebbe durare
addirittura fino al 2025, rappresenta dunque un rischio da combattere per tutti i Paesi dell'eurozona. Chi
all'interno del consiglio della Bce si oppone all'acquisto di titoli pubblici, riferisce Visco, richiama il divieto di
finanziamento monetario degli Stati della Ue. Il governatore non vuole lasciare dubbi su possibili
interpretazioni sul tema del possibile conflitto d'interesse. «Ritengo che si possa affermare che acquisti sul
mercato secondario non sono formalmente in conflitto con tale divieto. Ma vi sono diverse interpretazioni e
bisogna discuterne apertamente», avendo chiaro però che «per garantire la stabilità dei prezzi la politica
monetaria non può esimersi dall'usare tutti gli strumenti a sua disposizione».
«La politica monetaria ha ancora strumenti a disposizione» obietta a distanza, Weidmann secondo il quale
«abbiamo una politica monetaria che è troppo espansiva per la Germania». Quanto alla possibilità di
quantitative easing, «i trattati europei escludono una mutualizzazione dei rischi» dice, mentre il ministro delle
Finanze tedesco Wolfgang Schäuble insiste sul fatto che «una politica monetaria eccessivamente
accomodante è la causa e non la soluzione dei problemi» dell'economia europea. Intanto i mercati, che
giovedì avevano reagito negativamente alle parole di Draghi, hanno virato del tutto in attesa delle nuove
misure della Bce. Le Borse, che hanno festeggiato anche i positivi dati sull'occupazione Usa (che a sua volta
ha determinato l'indebolimento dell'euro a 1,229 dollari) e la crescita degli ordini industriali della Germania,
hanno chiuso in positivo con Piazza Affari in aumento del 3,4% a 20.087 punti, mentre sul secondario lo
spread tra i Btp decennali, il cui rendimento scende al nuovo minimo storico di 1,96%, e Bund tedeschi si
restringe a 118 punti base. Nuovo ribasso infine, per il petrolio, con il Brent verso i 68 dollari, al minimo dal
2010, dopo che l'Arabia Saudita ha tagliato i prezzi .
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Foto: Il governatore Bankitalia, Ignazio Visco e l'ex premier, Romano Prodi. La Bce realizzerà gli acquisti di
titoli entro marzo 2015
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Visco: sì agli acquisti Bce, deflazione rischio gravissimo
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La paura del futuro blocca l'Italia Il 60% teme di diventare povero
Rapporto Censis: 8 milioni di persone non lavorano, le imprese non investono
Alessandra Arachi
ROMA Il terrore della povertà. La disoccupazione reale. La sfiducia verso gli altri. I giovani umiliati e senza
futuro. Il Censis scatta la fotografia annuale del nostro Paese e, inevitabilmente, lo trova scarico, con le ruote
a terra.
È inevitabile uno stato d'animo di preoccupazione: il 60 per cento degli italiani ha paura di finire in povertà,
che diventa il 64% tra i 45-64 enni e il 67% fra gli operai.
È inevitabile questo stato d'animo quando il Censis è riuscito a contare quasi 8 milioni di talenti sprecati e la
metà sono giovani. E si arriva a 8 milioni sommando i 3 milioni di disoccupati, 1,8 milioni di inattivi, 3 milioni di
persone che lavorerebbero ma non cercano lavoro per sfiducia.
Già, la sfiducia. Forse basterebbe una domandina che si annida nelle centinaia di pagine del rapporto per
capire: sono 8 italiani su dieci che dicono di non fidarsi del proprio prossimo. Di più: dicono che al proprio
prossimo bisogna stare proprio attenti.
Del resto c'è poco da avere fiducia quando un Paese non è in grado di disegnare un futuro per i propri figli. E
anche in questo caso basterebbe un numero per capire l'andamento negativo, quello dei cosiddetti Neet, i
giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, un neologismo fresco di conio e già da record. I
Neet in Italia erano 1,8 milioni nel 2007, sono diventati quasi 2 milioni e mezzo nel 2013.
Ma non tutti i giovani sono uguali. I dati del Censis ci disegnano un'Italia divisa in due, ovviamente fra Nord e
Sud. E lo fanno raccontandoci l'occupazione dei giovani fra i 25 e i 34 anni divisi per città.
Non è la stessa cosa per un giovane abitare a Bologna o a Milano oppure a Palermo o a Napoli: i tassi di
occupazione sono uno il doppio dell'altro, letteralmente. Per capire: il tasso di occupazione a Napoli è 34,2%;
a Bologna 79,3%. A Palermo 36,3 e a Catania 38,1 mentre a Milano il 78,2. A Bari è il 50, a Roma 63,6.
Ma se il Censis ci dice che i giovani sono umiliati, nella stessa giornata l'Istat ci fa capire come i pensionati
siano invece bistrattati. Il 41,3% delle pensioni è sotto mille euro al mese, il 39,4% sta tra mille e 2 mila, il
13,7% tra 2 e 3 mila.
L'Istat ci ribadisce anche una cosa in più: le donne percepiscono, in media, pensioni che sono inferiori a
quelle degli uomini. Infatti i redditi fino a 500 euro sono erogati al 14,6% delle pensionate contro l'11,9% dei
pensionati, mentre il 9% degli uomini riceve una pensione superiore ai 3 mila euro contro il 2,6% delle donne
.
Sullo sfondo la diffusione di Internet: l'80% dei giovani viaggia sui social network, ma cresce anche il numero
degli over 55. Ed è chiaro perché il Censis ci dice che in 25 anni si sono dimezzate le copie vendute dei
quotidiani.
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La fotografia dell'Italia I talenti sprecati 7,8 milioni I tassi di occupazione I Neet (15-29 enni che non lavorano
né studiano) Tra i 25 e i 34 anni, in % 3 milioni i disoccupati 1,8 milioni gli inattivi perché scoraggiati 3 milioni
chi, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbe disponibile a lavorare Fonte: Censis d'Arco 50,9% La
quota dei disoccupati totali, costituita dai 15-34enni 64% La percentuale dei 45-64enni che ha paura 2007 di
finire in povertà 1,8 milioni 2,44 milioni 2013 34,2 50,2 36,3 38,1 78,2 Napoli Bari Palermo Catania Milano
Bologna Roma 79,3 63,6 47% la quota
di italiani che ritiene finita
la grande crisi. Ma il 60% teme l'incertezza
e ha paura
di diventare povero
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Il caso
06/12/2014
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7 mondi
L'Italia
è il Paese delle «sette giare», sette mondi chiusi. È la definizione del 48° rapporto Censis
per spiegare
una società bloccata
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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07/12/2014
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«Giustizia, più tempo per le Nomine»
Giovanni Bianconi
ROMA Il Csm è in emergenza: «Dobbiamo procedere entro un anno a circa 500 nomine per incarichi direttivi
e semidirettivi, molti dei quali rilevanti o rilevantissimi, e con le procedure e le forze attuali sarà quasi
impossibile farcela», avverte il vicepresidente Giovanni Legnini. Una situazione che deriva dal taglio dell'età
pensionabile dei magistrati, obbligati a lasciare la toga a 70 anni, senza possibilità di deroghe. L'allarme è
rivolto all'esterno ma anche all'interno dell'organo di autogoverno dei giudici, al cui vertice siede il capo dello
Stato.
Che cosa chiedete a governo e Parlamento?
«Sarebbe necessario articolare in due anni le nomine, in modo da poter decidere senza accumulare ulteriori
ritardi e con la necessaria ponderazione. La decisione spetta al legislatore, e noi ci adegueremo qualunque
sarà, ma un sano principio di buona amministrazione consiglia questa soluzione. Avere un anno di tempo in
più, fino al dicembre 2016, partendo dalla sostituzione dei magistrati più anziani, ci consentirebbe di lavorare
meglio senza lasciare scoperti troppo a lungo uffici anche delicati. Non vogliamo rallentare il ricambio che
pure è necessario, ma garantire la qualità delle scelte in una situazione che non ha precedenti nella storia del
Csm».
E al vostro interno come vi state organizzando?
«Il plenum ha già deliberato di incaricare 10 magistrati, per i prossimi 11 mesi, che redigeranno le motivazioni
dei provvedimenti, e stiamo progettando un sostegno ai consigli giudiziari affinché i pareri siano più celeri e
puntuali. Ma soprattutto dobbiamo snellire e rendere più efficienti le procedure: mediamente la durata di una
nomina, nelle ultime due consiliature, è stata di 383 giorni: un dato insostenibile sul quale occorre intervenire
con misure drastiche».
A volte il rallentamento deriva anche dalla necessità delle correnti di prendere tempo per spartirsi meglio le
nomine.
«Gli accordi tra le correnti possono rallentare o velocizzare i tempi, a seconda del grado di coesione. La mia
aspirazione è di rendere ininfluente il dato dell'appartenenza dei candidati a questo o quel gruppo. Non vorrei
essere velleitario, ma dobbiamo provarci tutti insieme».
Auguri. Tuttavia si sente dire che le due decisioni più importanti e imminenti - la scelta del procuratore di
Palermo e la soluzione del conflitto alla Procura di Milano - vanno di pari passo perché una corrente non può
vincere sia di qua che di là.
«Su questo punto voglio essere categorico: non c'è e non ci sarà alcuna relazione tra le due decisioni, tanto
più per ragioni correntizie».
Staremo a vedere. Intanto per Palermo la commissione ha proposto tre candidati: ogni corrente ha votato il
suo, e il «laico» indicato dal Pd s'è astenuto.
«La commissione ha fotografato l'orientamento dei gruppi. Su questa premessa ho già avviato un tentativo
serio di mediazione, con togati e laici, perché il voto finale sia il più possibile condiviso. I candidati (Guido Lo
Forte, Sergio Lari e Franco Lo Voi, ndr ) sono tutti di alto profilo, ma il dato della coesione del Csm nella
scelta del procuratore di Palermo è destinata ad incidere sull'impatto che essa avrà sul lavoro importante e
delicato di quella Procura, e sul clima che s'è determinato negli ultimi mesi. Se non ci riuscirò e si arriverà a
una divisione del Consiglio, chiederò a tutti di non caricare l'esito del voto di significati impropri».
Vuol dire che non dev'essere letto come un voto sul processo relativo alla presunta trattativa Stato-mafia?
«Lo sta dicendo lei».
Il capo dello Stato è d'accordo sul suo tentativo di «moral suasion»?
«Con il capo dello Stato c'è un confronto costante ed è informato di tutto. Anche di questo mio orientamento».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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INTERVISTA Allarme di Legnini (Csm)
07/12/2014
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Sul caso Milano, invece, che succederà?
«Spero che in settimana arrivino le proposte dei presidenti delle commissioni che si occupano dell'aspetto
organizzativo e dell'eventuale incompatibilità ambientale, dopodiché chiederò che si voti rapidamente. Sul
piano disciplinare so che la Procura generale della Cassazione sta già facendo le proprie valutazioni. Anche
su questa tormentata vicenda farò il possibile per arrivare a una chiarificazione entro la fine dell'anno, con
una decisione quanto più condivisa. Ho già incontrato sia il procuratore Bruti Liberati che il suo aggiunto
Robledo, ai quali ho rappresentato l'inderogabile necessità per il Csm di dare le risposte che la legge impone,
a tutela del prestigio di quell'ufficio e di tutta la magistratura».
Il precedente Csm ci ha provato qualche mese fa, senza successo.
«Non commento le scelte di chi ci ha preceduto. Dico solo che vanno assunte decisioni chiare e definitive».
Comunque a larga maggioranza?
«Sì, ma senza cedere ad indecisioni o a compromessi al ribasso. Meglio una delibera non condivisa che però
risolva un problema, in un senso o nell'altro, che una unanime ma inutile».
Alla fine comunque peserà la decisione delle correnti: non teme di avere le mani un po' troppo legate in
questa ricerca d'intese preventive?
«Ho molta fiducia in tutti i componenti del Consiglio, i quali sanno che se le correnti si dividono, il peso dei
laici diventa decisivo. La felice intuizione dei costituenti sulla composizione mista a maggioranza togata, non
fu casuale. Affrancare il Csm dall'eccessivo peso delle correnti significa far prevalere la qualità delle scelte e
gli interessi generali dell'ordinamento giudiziario e della giustizia italiana. La ricerca d'intese tra tutti i
componenti del Consiglio ha questo significato».
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Chi è
Giovanni Legnini, 55 anni, è stato eletto vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura nel
settembre scorso È stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Letta e all'Economia nel
governo Renzi da febbraio
a settembre 2014
07/12/2014
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1 elettore su 3 «Sarà Meglio senza grillo»
Nando Pagnoncelli
Dopo il deludente risultato alle Regionali di due settimane fa, il Movimento 5 Stelle sta attraversando un
periodo di forte turbolenza caratterizzato dal crescente dissenso interno che ha portato all'espulsione dei
deputati Massimo Artini e Paola Pinna, dalle polemiche sulla mancata rendicontazione delle spese e delle
indennità parlamentari e, soprattutto, dalla decisione di nominare un «direttorio» di 5 esponenti che affianchi il
leader Beppe Grillo il quale, citando un'espressione di Forrest Gump , ha dichiarato di sentirsi un po'
«stanchino». A tutto ciò si aggiunge l'Open day di Parma, la manifestazione promossa dal sindaco Pizzarotti
che qualcuno ha definito la «Leopolda» del Movimento.
Le reazioni degli elettori alla decisione di Grillo di fare un passo «di lato», pur mantenendo il ruolo di garante
del movimento, sembrano molto controverse: il 37% ritiene che il M5S si avvantaggerà da questa decisione, il
31% è di parere opposto e pensa abbia poco futuro perché Grillo rappresenta l'anima del Movimento e il 25%
è convinto che dopo un'iniziale difficoltà il M5S sia in grado di andare avanti da solo. Gli elettori pentastellati
sono ancora più divisi: il 35% manifesta pessimismo sul futuro, il 34% prevede difficoltà iniziali seguite da un
consolidamento e il 30% è ottimista: se Grillo si fa da parte le cose andranno meglio.
Nel complesso due elettori su tre salutano con favore la nomina di un gruppo dirigente mentre uno su cinque
ritiene che la decisione snaturi quei principi che, fin dalla sua costituzione, hanno riconosciuto a tutti i membri
lo stesso potere: «uno vale uno» in una logica referendaria. E tra gli elettori grillini l'utilità di un gruppo
dirigente viene riconosciuta da una percentuale ancor più elevata (71%): ciò sta a significare che si fa strada
una domanda di cambiamento rispetto al modello finora adottato e privo di rappresentanza. Un modello che
prevede processi decisionali concentrati su Grillo e Casaleggio e ratificati dagli iscritti mediante deliberazioni
in Rete, in una sorta di versione contemporanea della democrazia ateniese di Pericle.
Riguardo al futuro, la maggioranza degli elettori (68%), in particolare quelli del Pd (83%) e degli alleati di
governo (77%), auspica che il Movimento possa essere coinvolto nella definizione delle principali riforme
mentre il 24% è di parere opposto e pensa che debba preservare la sua «purezza» senza accordi con
nessuno. Su questo tema l'elettorato grillino appare molto diviso: il 50% sostiene l'indisponibilità ad accordi, il
48% è di parere opposto.
In questo scenario in forte evoluzione, tuttavia, gli orientamenti di voto a favore del M5S non sembrano
risentire delle criticità: nei sondaggi di questa settimana, infatti, si attesta al 20%, confermandosi al secondo
posto dopo il Pd, con un consenso di poco inferiore rispetto a quello ottenuto alle Europee. E, a conferma di
questa stabilità, anche la valutazione dell'operato del Movimento non appare intaccata dagli ultimi
avvenimenti, e si mantiene sul 25% senza differenze apprezzabili rispetto al dato di metà settembre
pubblicato su questo giornale. Ciò induce a riflettere sulla strategia comunicativa del Movimento in questa
fase delicata: appare evidente, infatti, che la Rete è uno strumento necessario ma non più sufficiente sia a
conoscere le opinioni dei suoi elettori sia a comunicare con loro.
L'utilizzo di Internet da parte del M5S è stato e continua ad essere molto innovativo, consentendo di
affermare l'e-democracy, la consultazione dei cittadini e il loro coinvolgimento nei processi deliberativi ma
l'eccesso di enfasi attribuita alla Rete determina il rischio di confondere la parte con il tutto, soprattutto in
assenza di un confronto tra diverse tesi sullo stesso argomento, nonché di perdere di vista le opinioni e le
aspettative dell'insieme del proprio elettorato.
E riguardo agli strumenti di comunicazione, è evidente che la Rete non consente di raggiungere i quasi 5,8
milioni di elettori 5 Stelle (oltre agli elettori potenziali), la maggior parte dei quali continua a informarsi
utilizzando la televisione. Sembra quindi opportuna una maggior presenza su questo mezzo, come peraltro si
è cominciato a fare. Tuttavia questo è un passaggio delicato non privo del rischio di confondersi con la
comunicazione politica tradizionale e perdere in tal modo uno dei tratti distintivi di questa importante forza
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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IDEE INCHIESTE sondaggio nel M5S
07/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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politica.
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Beppe Grillo ha annunciato di sentirsi stanco e di voler fare un passo indietro. Secondo lei il Movimento 5
Stelle senza Grillo... A capo del Movimento è stato nominato un direttorio di cinque persone, poi votato sul
blog di Beppe Grillo. Secondo lei ... Ha poco futuro, Grillo era l'anima del Movimento Avrà delle difficoltà ma
si riprenderà, ormai il M5S può andare avanti da solo Così si snaturano i principi del M5S per cui tutti hanno
lo stesso potere Anche nel Movimento è utile un gruppo dirigente Non ne risentirà, anzi se Grillo si fa da parte
le cose per loro andranno meglio Non sa Sondaggio realizzato da Ipsos PA per Corriere della Sera presso un
campione casuale nazionale rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne secondo genere, età,
livello di scolarità, area geografica di residenza, dimensione del comune di residenza. Sono state realizzate
987 interviste (su 9.617 contatti), mediante sistema CATI, il 2 e il 3 dicembre 2014. Il documento informativo
completo riguardante il sondaggio sarà inviato ai sensi di legge, per la sua pubblicazione, al sito
www.sondaggipoliticoelettorali.it. 31% 37% 25% 7% 15% 19% 66% Non sa I quesiti
20% la percentuale raccolta dal Movimento 5 Stelle nelle intenzioni
di voto. Non molto inferiore al 21,2% ottenuto
dal M5S
alle elezioni europee dello scorso maggio
25% la percentuale di quanti giudicano positivo l'operato dei
5 Stelle: in linea col dato di tre mesi fa. Tra gli elettori del M5S è il 72% a dare valutazione positiva48% la
percentuale degli elettori
5 stelle che pensano che
il M5S debba dialogare con gli altri partiti
sulle riforme
07/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Renzi e l'occasione per prendere la Capitale, roccaforte ancora ostile
Maria Teresa Meli
ROMA Certo non gli ha fatto piacere. Anzi. Finché si trattava del numero degli astenuti in Emilia-Romagna, è
riuscito a tenere botta bene, perché in fondo, in quella tornata, nonostante il calo dell'affluenza alle urne, ha
confermato una regione al Pd e un'altra - la Calabria - l'ha strappata al centrodestra. Ma il caso di «Mafia
Capitale» lo ha digerito assai peggio.
Primo, perché, come ha spiegato «ha oscurato l'approvazione del Jobs «ct e la chiusura della vertenza Ast».
E questo gli ha dato non poco fastidio, visto che «fatti» del genere, insieme agli altri che seguiranno (la
riforma elettorale al Senato e quella sul bicameralismo alla Camera) gli serviranno a dimostrare che «non
sono malato di annuncite», ma passo «dalle parole ai fatti» e le mie «non sono chiacchiere», come qualcuno
«racconta».
Ma alla fine Renzi sta cercando di risolvere anche questa brutta storia a modo suo. Ossia, cercando di trarre
del «buono» dal «cattivo» che è toccato in sorte. L'uomo è pragmatico. E non ha mai fatto mistero di «non
essere quel politico improvvisato che qualcuno si immagina», ma «uno che legge i dossier, si prepara e poi,
dopo aver studiato bene la situazione, decide». Per questa ragione, prima di trovare la soluzione per la
questione romana, ha impiegato qualche ora di tempo. Quel tanto che gli serviva per capire che c'era del
«marcio», che Marino andava «salvaguardato», e che il Partito democratico capitolino doveva essere
decapitato. L'ultima tappa, in fondo, non gli è dispiaciuta poi troppo, perché il pd romano era una delle sacche
più forti di resistenza al renzismo, anche se formalmente tutti o quasi, si erano convertiti al nuovo corso. La
Capitale, come altre città italiane, del resto, era uno degli avamposti della vecchia «ditta» (intendendo per
tale, in questo caso, non solo quella costituita dai ds ma anche quella proveniente dalla fu Dc) che cercava di
«cambiare verso» a modo suo.
Perciò la prima mossa è stata quella di chiedere a Lionello Cosentino di farsi da parte. Si è detto e raccontato
che è stato lo stesso segretario della federazione romana a decidere di fare un passo indietro. In realtà le
cose sono andate diversamente. Cosentino, che alle primarie non si era schierato con Renzi, sperava di
assumere lui il ruolo di commissario. E invece gli è stato spiegato che doveva andare via. Lui ha fatto
resistenza. Al Nazareno sono volate parole grosse e per i corridoi della sede del Pd si sono sentite voci
alterate. Ma alla fine, la linea Renzi è uscita vincente. A quel punto il premier si è trovato di fronte a due
scelte: affidare il commissariamento al vicesegretario Lorenzo Guerini o al presidente Matteo Orfini.
Non volendo scontentare più di tanto la minoranza, che non vuole umiliare, perché gli serve nel grande risiko
del Quirinale, il segretario ha proceduto a una consultazione lampo, sentendo le diverse anime del partito. Ha
chiesto a chi conta nella Capitale quale fosse il nome preferito. «L'unico che non ha consultato è stato Nicola
Zingaretti» si lamentano però gli uomini del presidente della regione Lazio, i quali temono che in questa
partita una delle vittime sarà il loro leader. Che rappresenta una delle sacche di resistenza del Pd al renzismo
imperante. Non a caso, ogni tanto si parla di lui, come del possibile competitor di area ds all'ex sindaco di
Firenze.
Alla fine la scelta è caduta su Orfini. Uno che prende molto sul serio il suo lavoro, che conosce Roma, e che
non è tipo da fare passi indietro, tant'è vero che ha già annunciato ai segretari dei circoli: «Sono pronto a
chiamare uno a uno tutti gli ottomila iscritti al partito, voglio sapere chi sono, perché hanno aderito, da dove
vengono...». In parole povere, anche nella Capitale, che con la consueta pratica della resistenza passiva era
riuscita a tenere a bada il renzismo, si sta facendo strada il nuovo corso.
Certo, le polemiche non sono finite. E nemmeno i timori di nuovi sviluppi. Ma per ora su Micaela Campana,
coinvolta nella vicenda per un sms a Buzzi, il Pd ha deciso di non muoversi. «Non facciamo di tutta l'erba un
fascio» è il ritornello del premier.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Il retroscena
07/12/2014
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La deputata del Pd, bersaniana di ferro, non è indagata, quindi non si autosospenderà dalla segreteria. Né il
premier, finora almeno, glielo ha chiesto. Forse, per ragioni di opportunità, le verranno cambiate le deleghe
(al Welfare e al terzo settore) che ha nell'organismo dirigente del partito.
Per il resto, c'è la minoranza, Rosy Bindi in testa, che continua a tentare di mettere in difficoltà Renzi su
questa vicenda, ma lui con i fedelissimi fa spallucce e dice: «Ci sono strumentalizzazioni e provocazioni alle
quali non vale neanche la pena replicare».
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289 giorni
La durata
del governo Renzi, entrato in carica il 22 febbraio scorso
358 giorni
Il tempo trascorso da quando Renzi è segretario del Pd, il 15 dicembre 2013
Foto: Il presidente del Consiglio Matteo Renzi si affaccia sui Fori imperiali dal Campidoglio durante la sua
visita al sindaco di Roma Ignazio Marino dello scorso 4 settembre (Benvegnù-Guaitoli)
07/12/2014
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«Evasione fiscale, i calcoli sbagliati del sottosegretario»
Vincenzo Visco
Una singolare polemica è stata sollevata dal sottosegretario all'Economia Enrico Zanetti che, in una lettera al
presidente della Corte dei Conti ripresa dal Corriere del 5 dicembre, contesta l'affermazione contenuta nella
recente relazione della Corte sulla Tax Compliance secondo cui esisterebbe «una grave sperequazione» tra
le imposte pagate dai lavoratori dipendenti e pensionati in sede Irpef e quelle pagate dagli altri contribuenti
(autonomi). Poiché i lavoratori dipendenti e pensionati rappresentano l'82,7% dei contribuenti - argomenta
Zanetti - non bisogna stupirsi se l'Irpef versata dai lavoratori dipendenti e pensionati rappresenta l'80% del
gettito. Dove è la sperequazione?
Il ragionamento lascia per lo meno interdetto il lettore consapevole. Infatti esso sarebbe valido a due
condizioni: a) che non vi fosse evasione, e, b) che il reddito medio dei lavoratori dipendenti e pensionati da un
lato e autonomi dall'altro fosse lo stesso. Ma così non è, come tutti sanno, e come dimostrato da una grande
quantità di studi accademici svolti nell'arco di una trentina d'anni da numerosi studiosi a partire da chi scrive
(1981) fino al più recente di due ricercatori della Banca d'Italia del 2008, con metodi e dati diversi ma che
danno tutti risultati molto simili. L'Irpef italiana infatti è caratterizzata da una rilevante erosione della base
imponibile che esclude dalla imposizione progressiva consistenti ammontare di reddito, e da una consistente
evasione, che per certe categorie di reddito raggiunge livelli impressionanti. Per quanto riguarda l'erosione
essa riduce la base imponibile e potenziale dell'Irpef di circa un terzo e riguarda essenzialmente i redditi
derivanti dalla proprietà di cespiti: terreni, fabbricati e capitale. L'evasione rappresenta percentuali della base
imponibile complessiva molto elevate (stimata tra il 20 e il 30-35%); essa è percentualmente ridotta o
inesistente per i redditi di lavoro dipendente e pensione, ma raggiunge livelli molto elevati per tutti gli altri
redditi e soprattutto per quelli da attività professionale (30-40%) e da imprese individuali (50-60%). Così
stanno le cose ed è inutile negarlo. Piuttosto sarebbe utile sapere cosa pensa il ministro Padoan
dell'esternazione del suo sottosegretario, dal momento che se il fenomeno dell'evasione fiscale viene negato
o svalutato, può sorgere il sospetto che anche l'impegno del Governo su questo punto sia meno determinato
di quanto si sostenga.
ex ministro
delle Finanze e del Tesoro
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La Lettera
07/12/2014
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le riforme che rischiano di peggiorare la crisi
Ricardo Franco Levi
L Italia è sotto esame. Proprio ieri Standard & Poor's ha declassato il nostro Paese. Nei rapporti che
riassumono i risultati delle osservazioni di istituzioni europee e internazionali, delle principali banche del
mondo e delle agenzie di rating , sul banco degli imputati finiscono immancabilmente due fattori: l'alto livello
del debito pubblico e la perdita di competitività del settore produttivo.
Sul primo punto c'è poco da obiettare. Sul secondo, invece, c'è molto da dire: perché indica che le imprese
italiane sono incapaci, o sempre meno capaci, di vendere i propri prodotti sui mercati esteri, di reggere
confronti con i concorrenti stranieri. Ma è questo che dicono le cifre?
Guardiamo agli scambi con i Paesi che non appartengono all'Unione europea. Nei dodici mesi che vanno
dall'ottobre dell'anno scorso all'ottobre di quest'anno il saldo tra quanto abbiamo esportato e quanto abbiamo
importato è positivo per 20 miliardi. Se togliamo acquisti e vendite di energia, la differenza è quasi tre volte
tanto, poco meno di 54 miliardi. Un dato, quest'ultimo, che non è il frutto - come pure si potrebbe pensare
considerando il perdurare della crisi della nostra economia - di un calo delle importazioni che, anzi, sono
cresciute del 7,5 per cento.
L'analisi dei dati potrebbe essere molto più approfondita, ma quanto abbiamo visto basta per mettere in
dubbio l'immagine di un'Italia che avrebbe perduto la propria capacità di imporsi sui mercati internazionali con
i propri prodotti.
Certo, a partire dal 2008 abbiamo passato anni terribili: al punto che letture impietose dei dati porterebbero a
concludere che da allora la nostra economia abbia imboccato una strada in discesa senza alcuna
interruzione, neppure per un singolo trimestre. Ma imputare questa penoso sviluppo - anzi, questa assenza di
sviluppo - alla «perdita di competitività» delle nostre produzioni appare discutibile.
I forti incrementi registrati nel mese di ottobre nelle vendite verso la Turchia, gli Stati Uniti, la Cina e l'America
Latina sono il segno di un apparato produttivo capace di cogliere le opportunità offerte dalla domanda estera
quando e là dove questa si manifesta più sostenuta.
Una rilettura come quella proposta non è priva di conseguenze: sia nei rapporti con tutte le istituzioni e i
soggetti che si applicano sui nostri conti - a partire dal primo e principale dei nostri vigilanti, cioè l'Unione
europea - sia nella definizione delle strategie di politica economica da adottare in casa nostra.
Se a soffocare le nostre possibilità di sviluppo non è - o almeno non è nella misura che viene raccontata - la
nostra mancanza di competitività, cioè la nostra capacità di vendere le nostre produzioni sui mercati
internazionali sfruttando la domanda estera, ma è, invece, l'impossibilità di produrre per e di vendere sul
mercato italiano per la mancanza di una domanda interna, allora qualche interrogativo e qualche
aggiustamento è lecito.
Politiche tese a incoraggiare lavoro, investimenti e innovazione, cioè disegnate per sostenere l'offerta, non
dovrebbero al medesimo tempo indebolire la domanda. «Questo - scrive Martin Wolf, primo editorialista
economico del Financial Times - è uno dei problemi delle consuete raccomandazioni sulla riforma del
mercato del lavoro, che prevedono di ridurre i salari ad una larga parte degli occupati e di permettere ai datori
di lavoro di assumere e licenziare con più facilità». «Le riforme - conclude Wolf - dovrebbero promuovere la
domanda. È per questo che l'eurozona dovrebbe adottare una strategia equilibrata, evitando di affidarsi in
modo eccessivo alle riforme strutturali». Difficile non essere d'accordo.
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' Falsi miti Non è la perdita di competitività il problema dell'economia italiana, ma la debolezza della domanda
interna. Politiche tese a incoraggiare investimenti e innovazione non devono passare da taglio dei salari e
aumento della precarietà
07/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 30
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07/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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«La rete Metroweb a Telecom? Prima il piano industriale»
Calcagno (Fastweb): il progetto del governo non favorisca l'ex monopolista La competizio-ne per le infrastrutture spinge l'innovazio- ne. Un vantaggio di cui anche i clienti possono beneficiare Operatore locale
Metroweb è un operatore locale Noi siamo interessati a un piano nazionale Già fatta la maggioran- za degli
investimen- ti. La nostra rete Ftth è a Milano, Bologna, Torino, Genova, Roma, Napoli, Bari
Massimo Sideri
«Il piano del governo che conferma l'impostazione del decreto Sblocca Italia nel riconoscere la centralità delle
reti di nuova generazione Ngn è condivisibile, ma ha bisogno di alcuni aggiustamenti: non è agnostico dal
punto di vista tecnologico e non protegge e non stimola la competizione infrastrutturale. Dal nostro punto di
vista ben venga, ma è importante che siano disponibili per ogni operatore che vuole investire e che deve
avere le stesse possibilità dell'incumbent Telecom Italia». Alberto Calcagno, 42 anni, amministratore delegato
di Fastweb, si trova un po' tra l'incudine (Telecom che ha presentato un'offerta per Metroweb) e un «dolce»
martello (Vodafone che in risposta a Telecom-Metroweb potrebbe decidere di riaprire il dossier Fastweb). Ed
è per questo che si muove in attacco sia come azionista di Metroweb Milano sia come manager della
principale fiber company italiana che ha già investito nelle 7 città dove la competizione è più serrata.
Perché ritiene che il piano del governo possa non essere neutrale?
«Perché punta sul cosiddetto Fiber to the building (Fttb, cioè la fibra fino al palazzo): gli operatori che
investono devono essere lasciati liberi di puntare sull'infrastruttura che ritengono più efficiente per i 100
Megabps. Fastweb punta su un mix di Ftth (la fibra fino all'appartamento) e Fttc (fino al cabinet telefonico)».
Ma non è un paradosso stimolare la nascita di più reti parallele e, magari, tutte nelle stesse città?
«No, assolutamente: proprio la competizione infrastrutturale spinge l'innovazione ed è così che i clienti ne
possono beneficiare. E questo non vale solo per il fisso ma anche per il mobile dove tutti stanno costruendo
delle reti parallele 4G e non mi sembra che qualcuno abbia sollevato il problema della loro duplicazione.
Anche nel fisso non c'è un'anomalia perché nei Paesi dove sono presenti i cable operator ci sono, di fatto, più
reti».
C'è il rischio di ricreare la dicotomia Nord-Sud, un Paese a due velocità, non crede?
«Guardi, in realtà non c'è differenza in termini di traffico e ricavi generati nelle città al Sud rispetto a quelle al
Nord: il traffico generato da un nostro cliente di Bari è uguale rispetto a un cliente a Torino».
Telecom ha già presentato un'offerta per Metroweb. Siete preoccupati di una possibile acquisizione che
modificherebbe il quadro complessivo anche per la rete Ngn e che permetterebbe probabilmente all'ex
monopolista di ricevere parte degli aiuti del governo?
«Su Metroweb sento parlare di valutazioni, di finanza. Ma qual è il piano industriale? Per noi Metroweb è un
operatore locale e bisogna capire se l'obiettivo è solo mettere dei cavi nel sottosuolo o fare investimenti.
Quando li avranno posati nelle stesse città dove noi siamo già chi prenderà queste fibre? A Bologna, per
esempio, ognuno ha già la propria rete. Comunque Metroweb può decidere quello che vuole. Io sono
interessato a un piano molto più ampio, nazionale».
Voi avete già investito nella Rete, ma questo vi rende delle prede, magari proprio di Vodafone...
«Mettiamola così: se guardo ai dati abbiamo già fatto la stragrande maggioranza degli investimenti. La nostra
rete Ftth oltre che a Milano è a Bologna, Torino, Genova, Roma, Napoli, Bari cioè nelle città con una densità
di popolazione alta e building blocks importanti, perché la fibra ha bisogno di queste metriche. Non si
possono cablare le villette. Ma poi già dal 2012 abbiamo deciso di estendere la fibra oltre queste città per
coprire il primo 20% della popolazione in Fttc, perché in Italia il cabinet è molto vicino all'utente finale. E ora
puntiamo alle 100 città».
E Vodafone?
«Complessivamente nel 2014 abbiamo investito 6-700 milioni di euro, la stragrande maggioranza in
infrastruttura. Siamo nella parte buona della strada come dicono gli inglesi, ma non entro nelle dinamiche
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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INTERVISTA
07/12/2014
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degli azionisti (Swisscom, ndr) e nelle scelte degli altri operatori su di noi».
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La ragnatela Metroweb METROWEB ITALIA Fondi Italiani per Metroweb le Infrastrutture Milano Fondo
Strategico Italiano Metroweb Genova Swisscom (Fastweb) 10,6% 1,7% 53,8% 46,2% 85% 87,7% Metroweb
Management d'Arco
La vicenda
Alberto Calcagno, 42 anni, è amministratore delegato di Fastweb. La sua è una carriera in gran parte
costruita all'interno del gruppo dove era entrato nel 2000 come responsabile della pianificazione strategica.
L'azienda di telecomunica
zioni dal 2011 è diventata
parte del gruppo svizzero Swisscom
08/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
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«Troppi Scioperi Il governo medi»
Antonella Baccaro
«Il conflitto collettivo di lavoro ha assunto connotati patologici». A dirlo è il presidente dell'Authority per gli
scioperi Roberto Alesse, che chiede al governo di tornare a mediare. a pagina 15
«In questa Italia da tempo nessuno media più. Ma il conflitto collettivo di lavoro nei servizi pubblici essenziali
ha assunto ormai un connotato patologico che impone l'assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni.
Negare loro interlocuzione è rischioso in tempi di crisi. Se ai sindacati che scioperano va applicata
rigorosamente la legge perché l'Italia non può paralizzarsi, al governo va l'appello affinché incentivi le sedi del
dialogo, perché è inimmaginabile che la ragione stia sempre solo da una parte».
Il presidente della Autorità di garanzia per gli scioperi, Roberto Alesse, è preoccupato. Sotto le sue finestre in
piazza del Gesù, nella ex sede storica della Dc, qualche giorno fa polizia e manifestanti si sono scontrati.
L'ennesimo conflitto irrisolto.
«Nel 2014 la conflittualità nei servizi pubblici essenziali rimane tendenzialmente alta: siamo lontani dal
realizzarsi di condizioni che ne rimuovano le cause».
Quanti scioperi?
«Al primo dicembre 1.299 effettuati rispetto ai 1.279 di tutto il 2013. In questo scenario che risente della crisi
che ha effetti recessivi nel settore pubblico e privato, l'Autorità è chiamata a svolgere un ulteriore ruolo
laddove sussistano i presupposti: il raffreddamento delle controversie per evitare lo sciopero».
E ci riesce?
«Ci proviamo per le tante vertenze aperte che indicano che il Paese è scivolato lungo un crinale di
sistematica inefficienza anche per la progressiva riduzione di stanziamenti per i servizi pubblici».
La situazione in servizi come i rifiuti, è difficile.
«Il settore è quasi al collasso perché accanto a fenomeni di mala amministrazione registriamo addirittura
spesso mancanza di fondi pubblici a copertura delle gare di appalto. Così le imprese erogatrici non pagano
gli stipendi già molto bassi».
Dalle inchieste emerge che spesso questi soldi circolano, ma lungo altri canali. Voi cosa fate in questi casi?
«Sanzioniamo per legge le aziende che erogano i servizi pubblici essenziali che si rendano responsabili
dell'insorgenza o dell'aggravamento dei conflitti. Spesso accade nel Trasporto pubblico locale, dove sovente
viene messo a rischio l'approvvigionamento di carburante e la manutenzione dei mezzi, con effetti sulla
sicurezza del personale».
E dei cittadini. Ma denunciate queste aziende?
«Inviamo tutto alla Corte dei Conti e collaboriamo con l'Autorità anticorruzione».
Ma il problema andrebbe risolto a monte.
«Urge un radicale cambiamento di mentalità: è necessario per prima cosa sconfiggere il cancro del
parossismo normativo. E poi serve una programmazione razionale dei servizi pubblici secondo il principio
costituzionale dell'adeguatezza».
Cioè?
«Non è più possibile che ogni Comune, anche con pochi abitanti, proceda da solo a gestirli e sostenerne la
spesa. Serve una forte riorganizzazione della macchina pubblica».
Il governo ha promesso di metterci mano.
«Sì, ma ci vuole maggiore buon senso. L'Italia degli ultimi anni fatica a abbandonare la logica schmittiana
"amicus-inimicus" di totale contrapposizione in base alla quale c'è gente, non solo del ceto politico, che si
sente legittimata a esistere solo se individua un nemico. Triste e pericoloso perché reca con sè la negazione
del dialogo come capacità di ascolto e mediazione di interessi contrapposti».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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INTERVISTA Il garante Alesse
08/12/2014
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Sta dicendo che bisogna tornare alla concertazione?
«Lo dico in modo non retorico, non pensando cioè a riti stantii e non propositivi. Ma il metodo finalizzato a
trovare sull'onda dell'emergenza soluzioni ragionevoli e condivise lo dobbiamo rilanciare in fretta. Persino le
istituzioni tendono a non dialogare più tra loro per risolvere i problemi, dimostrando così di essere talvolta
troppo pavide e talvolta troppo autoreferenziali».
Una denuncia molto grave.
«Per certi versi oggi stiamo vivendo una fase di anarchia istituzionale. Potrei fare tanti esempi di
collaborazione istituzionale negata per la materia che mi compete».
C'è invece mette in discussione il diritto di sciopero.
«Scioperare è un diritto costituzionale che non va compresso oltre misura perché serve anche a neutralizzare
iniziative che rischierebbero di scivolare sul terreno dell'illegalità».
Lei chiama il governo al dialogo, ma i sindacati?
«Ho avuto la sensazione che sarebbero propensi a un passo indietro in termini di minori garanzie pur di fare
accordi. Si faccia uno sforzo comune».
La Cgil vi ha chiesto un incontro sullo sciopero generale del 12 dicembre?
«Sì, ma noi abbiamo già detto quello che avevamo da dire».
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Le proteste Scioperi effettuati dal 1° gennaio al 30 novembre 2014, per categoria Fonte: Commissione di
garanzia sciopero *anche scioperi locali; **categorie con meno di dieci scioperi ciascuna Corriere della Sera
Igiene ambientale Trasporto pubblico* Pulizie e multiservizio Trasporto aereo Regioni Elettricità Poste
comunic. Trasporto ferroviario Avvocati Appalti ferroviari Sanità pubblica Istituti di vigilanza Sanità privata
Scuola Trasporto marittimo Ministeri Credito Metalmec. Trasporto merci Generale Altri** Telecomunic. 195
183 102 97 95 84 82 55 46 39 38 37 37 27 26 22 14 13 12 10 10
Foto: Spesso mancano
pure i fondi pubblici
per coprire le gare d'appalto Chi è
Romano,
50 anni, Roberto Alesse presiede la Commissione di Garanzia sullo Sciopero
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Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 5
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L'ex sindaco: millanterie. Indagato un collaboratore della Kyenge avvicinato dalla banda La pista svizzera
Ricostruiti i movimenti del commercialista che spostava il frutto delle tangenti a Lugano Contatti in Costarica e
Honduras
Fiorenza Sarzanini
ROMA Valigette piene di contanti trasportate in Argentina dal sindaco Gianni Alemanno. Denaro portato
all'estero evitando i controlli all'aeroporto. Ne parlano gli arrestati dell'inchiesta «Mafia capitale» in una
conversazione intercettata e i controlli dei carabinieri del Ros si concentrano su una vacanza di qualche anno
fa.
Il percorso dei soldi porta in Sudamerica, ma anche a una fiduciaria di Lugano dove gli «spalloni»
dell'organizzazione - capeggiata dall'ex estremista dei Nar Massimo Carminati e dall'imprenditore Salvatore
Buzzi - avrebbero trasferito i soldi delle tangenti versate ai politici. Nella strategia di infiltrazione del
Campidoglio e delle istituzioni romane Luca Gramazio, consigliere regionale del Pdl, avrebbe tentato di
truccare le Regionali del 2013 proprio per continuare a comandare e gestire gli affari. Ma si sarebbero mossi
anche a più alto livello riuscendo ad agganciare un collaboratore dell'ex ministro dell'Integrazione Cécile
Kyenge per tentare di entrare nel Centro di accoglienza di Mineo, in Sicilia. Un dirigente della presidenza del
Consiglio che per questo è finito sotto inchiesta.
I viaggi del sindaco
Il 31 gennaio scorso Luca Odevaine parla con altri due presunti complici di una lite che Alemanno avrebbe
avuto con un uomo che però non viene citato.
Odevaine: «Abita in questo palazzo, che figlio di m... ha litigato con Alemanno... per soldi se so' scannati...
ma sai che Alemanno si è portato via, ha fatto quattro viaggi lui e il figlio con le valige piene de' soldi in
Argentina, se so' portati con le valige piene de contanti, ma te sembra normale che un sindaco... me l'ha
detto questi de Polaria».
Schina: «E nessuno lo ha controllato?».
Odevaine: «No è passato al varco riservato... poi ad un certo punto deve essere successo qualche casino,
ad Alemanno gli hanno fatto uno strano furto a casa».
Schina : «Cercavano qualche pezzo de carta».
Odevaine: «Credo hanno litigato perché Alemanno ha pensato che ce li ha mandati questo».
Le verifiche effettuate dagli specialisti hanno individuato un viaggio fatto da Alemanno in occasione di un
Capodanno. Lui smentisce: «Millanteria totalmente infondata. Non ho portato mai soldi all'estero, tantomeno
in Argentina. Il furto di cui si parla è avvenuto ad ottobre 2013 e basta aprire google per constatare che è
stato ampiamente pubblicizzato. Per quanto riguarda il viaggio in Argentina ci sono stato per pochi giorni con
la mia famiglia e un folto gruppo di amici a Capodanno 2011-2012 per andare a vedere i ghiacciai della
Patagonia».
Riciclaggio a Lugano
È in una fiduciaria di Lugano che Stefano Bravo, commercialista ora indagato per riciclaggio, avrebbe
trasferito parte dei soldi delle tangenti. Gli investigatori lo hanno scoperto ascoltando le sue conversazioni
con Odevaine e adesso indagano per scoprire quanti fossero i suoi clienti e soprattutto per ricostruire la tela
dei conti esteri svizzeri, ma anche quelli aperti in vari paradisi fiscali, compresa Panama. Nello stabile della
città svizzera dove è entrato il 10 aprile scorso si trovano numerose società di investimento, ma la sua
destinazione è stata individuata e su questo è già in corso una rogatoria con le autorità elvetiche per ottenere
l'elenco dei depositi e delle operazioni effettuate dai personaggi inseriti nell'organizzazione.
Le carte processuali fanno emergere numerosi contatti tra l'Honduras e il Costa Rica che proprio Odevaine,
probabilmente per conto dell'organizzazione, aveva attivato per intraprendere attività di commercializzazione
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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«Alemanno porta soldi in Argentina In aeroporto passa al varco riservato»
08/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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di prodotti italiani e reimpiegare il denaro ottenuto grazie al pagamento delle «mazzette». Gli stessi canali
sarebbero stati utilizzati anche da altri politici foraggiati negli ultimi anni.
I brogli alla Regione
È il 21 febbraio 2013, Gramazio chiama un amico e intanto dice: «Finite le operazioni di voto, le urne vanno in
alcune sedi dove vengono contate, non si tratta della classica operazione di controllo delle schede, quello
c'abbiamo ancora tempo per fare gli inserimenti. Ce provo, se stiamo in tempo la metto». Annotano i
carabinieri: «Luca Gramazio era candidato alle elezioni regionali. Da un'altra conversazione telefonica risulta
che dispone di una rete di scrutatori impegnata nelle operazioni di scrutinio dei voti». La Procura di Roma ha
aperto un'inchiesta e l'esponente del Pdl è indagato per «aver posto in essere atti diretti alla produzione di
schede elettorali false».
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Foto: Ex vicecapo di gabinetto Luca Odevaine quando lavorava per il Campidoglio: il sindaco era Walter
Veltroni
Foto: Uno degli scambi intercettati in cui Odevaine parla dell'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno:
«Lui e il figlio con le valigie
piene di soldi in Argentina...
ma te sembra normale...»
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Caccia al guru per il restyling del sindaco
Monica Guerzoni
ROMA Adesso che il Partito democratico nazionale ha blindato Ignazio Marino, il problema del Nazareno è
come «vendere» il prodotto. A livello di comunicazione, s'intende. Al quartier generale dei democratici, in
questi giorni di tensione e paura per i possibili sviluppi di Mafia Capitale, il tema è tra i più dibattuti e
sviscerati. «Serve un restyling, del Campidoglio e del sindaco» ragionano i dirigenti più vicini a Matteo Renzi,
che vanno stilando elenchi delle cose buone fatte dal giugno 2013 a oggi. La chiusura della discarica di
Malagrotta, la (discussa) pedonalizzazione dei Fori Imperiali, il tentativo di risanare il bilancio capitolino, la
resistenza contro le bande criminali... Puntare sui traguardi raggiunti e sull'integrità morale del personaggio, è
il ragionamento dei democratici, metterebbe in ombra gli aspetti di debolezza mostrati nel primo anno e
mezzo di governo della Capitale, come il tratto «naif» del carattere e la fragilità politica. La prima idea del
premier sembra sia stata quella di chiedere un sacrificio ulteriore a Filippo Sensi in arte Nomfup, ma la star di
Twitter ha già troppo lavoro come portavoce di Renzi e capo ufficio stampa di Palazzo Chigi. Un occhio
attento su Roma lo ha puntato anche la deputata Alessia Rotta, laureata in Comunicazione con Umberto Eco.
E però l'onorevole giornalista è molto presa dal suo incarico in segreteria per poter curare l'immagine del
sindaco. E così, tra i renziani che contano, si fa largo un'altra idea: suggerire all'inquilino del Campidoglio di
arruolare uno spin doctor professionista, che sia in grado in poche settimane di rifargli il look. «Magari
cominciando dalla rasatura della barba...», scherzano al Nazareno. Dove circola la suggestione di presentare
a Marino un «guru» della comunicazione del calibro di Marco Benatti, creatore di Matrix e del portale Virgilio e
ora presidente di Fullsix, agenzia di marketing e comunicazione digitale quotata in borsa. Al Nazareno
sognano insomma un Marino 2.0, che ricalchi almeno un po' le orme di Renzi quanto a capacità di sedurre i
cittadini. Sempre che il sindaco riesca a resistere all'onda anomala che ha investito la politica romana.
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Il retroscena
08/12/2014
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«Quei politici accanto a criminali che mangiano pesce freschissimo
Diventerebbe marcia anche Oslo»
Andrea Garibaldi
ROMA «Un mio amico aveva chiesto al Comune di abbattere un pino pericolante nella sua strada. Dal
Servizio giardini un funzionario gli aveva detto: "Non ci sono soldi". Non gli ha chiesto tangenti, sembrava un
funzionario ottuso. È uno di quelli arrestati martedì, gli hanno trovato 500 mila euro murati in casa. I soldi
c'erano, ma per lui». Sandro Veronesi, scrittore ( Venite, venite B52 , La forza del passato , Caos calmo , fino
all'ultimo Terre rare ). Toscano, 55 anni, conoscitore di Roma per lunga frequentazione.
Roma, dove il malaffare attraversa tutti i settori della società, come rivela «Mafia Capitale»...
«L'unica soluzione sarebbe spostare la capitale a L'Aquila o a Perugia».
L'Aquila o Perugia?
«Roma è l'unica città al mondo che svolge quattro funzioni: capitale, metropoli, città sacra, città d'arte.
Occasioni per delinquere legate a tutte e quattro. Politici accanto a camorristi e mafiosi, nello stesso
ristorante, chiuso, poi riaperto, a mangiare pesce freschissimo. Diventerebbe marcia anche Oslo, così. E
l'unica funzione spostabile è quella di capitale».
Dai tempi di Savonarola Roma è considerata centro di corruzione morale.
«Un mio prozio, Gerolamo Maria Moretti, fondatore della grafologia e frate minore conventuale, mi ripeteva
questa frase: "Più vicino sei a Roma, più lontano sei dal cielo". Giacomo Casanova, uomo abbastanza
disinvolto, scrisse che i romani sono come i dipendenti della Manifattura tabacchi, possono portarsi a casa
tutto il tabacco che vogliono. I romani usavano dichiararsi "immuni dal giudizio di Dio"».
Nulla è cambiato?
«Roma è anche la città di cui parla papa Francesco, un concentrato di sofferenze e disagi. Fino a dieci giorni
fa si parlava di periferie che esplodono. Ma a sobillare c'erano figure coinvolte nell'inchiesta di oggi».
Colpisce nell'inchiesta «Mafia Capitale», nata nell'estrema destra, il coinvolgimento di esponenti del Partito
democratico.
«Non cado dalle nuvole. La diversità ormai è negli atti che si compiono, non nelle sigle: esistono persone per
bene e persone non per bene. Nei partiti troppo spesso succede questo: mi tappo il naso e prendo persone
che portano voti».
Interessate ai soldi.
«Ho un ricordo degli anni 70. Il padre di un mio amico faceva il maestro elementare. Diventò consigliere
regionale e guadagnava lo stesso stipendio. Nicole Minetti, molti anni più tardi, invece prendeva 10-15-20
mila euro?».
Quando è cambiato tutto?
«Non lo so. Certo, con l'abolizione del Titolo V, fatta dal Pd, le Regioni hanno potuto decidere da sole i livelli
retributivi. Una volta chi si arricchiva con la politica era considerato disonesto, e ci sono storici sindaci
ricordati con affetto e gratitudine. Persone modeste, nel senso che sapevano vivere con ciò che ora
sarebbero 2.000 euro al mese. Chi non si accontenta è corruttibile».
A Roma scorrevano fiumi di denaro pubblico e i servizi sono tutti a pezzi.
«New York, dieci volte gli abitanti di Roma, non ha problemi di smaltimento rifiuti. O di trasporti. Se i politici
vengono scelti perché portano voti, poi non si occupano di far funzionare le cose. Altra questione: un tempo
passare dalla Dc al Pci era come passare dalla Roma alla Lazio. Oggi trasferirsi da destra a sinistra è quasi
una regola, nessuno eccepisce».
C'è stato il caso della Panda rossa del sindaco Marino.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'intervista a Sandro Veronesi
08/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 9
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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«Un po' assurdo. A Roma quella multa che ti arriva ogni tanto è clamorosa: non c'è un solo articolo del codice
della strada che venga rispettato».
A Roma ci sono sportivi, attori e divi tv a braccetto con la malavita.
«I casi di De Rossi, di Gigi D'Alessio non riguardano uno spirito romano. Ci sono persone del malaffare
attirate dal mondo dello spettacolo e dello sport, e viceversa. Perché De Rossi chiama De Carlo e non va alla
polizia? Forse non vuole far trapelare che era al night alle due di notte».
Che fare, adesso?
«Confiscare tutti i beni a corrotti e corruttori. Altrimenti, cosa vuoi che sia per gente così un po' di galera? Poi,
selezionare solo persone oneste per la politica. Abbassare gli emolumenti. Leggi severe. Il Movimento 5
Stelle era partito bene, dicendo: non più di due mandati, nessun candidato indagato. Fare tutto questo spetta
a chi è oggi al governo, altrimenti a cosa serve comandare?».
[email protected]
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Il profilo
Lo scrittore Sandro Veronesi,
55 anni,
ha esordito nell'88 con
Per dove parte questo treno allegro .
Il suo ultimo romanzo
è Terre rare
Foto: Questa città ha troppe funzioni, meglio spostare altrove la Capitale
Foto: Ma è anche il luogo di cui parla il Papa, un concentrato di disagiati e sofferenti
08/12/2014
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Pag. 14
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«Pronto a lasciare la Camera Ma prima sentirò la base»
Marta Serafini
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
PARMA «Il Movimento si sta sgretolando». È quasi incredulo il deputato Cristian Iannuzzi. Da Parma, dove è
passato per la kermesse di Pizzarotti, fa sentire la sua voce di dissidente. Su Facebook, prima di arrivare
all'hotel Villa Ducale, ha postato un messaggio scherzoso («oggi menù di pizza»), un selfie sorridente e un
disegno che ritrae una pecora nera mentre vola fuori dal gregge. Ma il suo tono è tutt'altro che allegro.
Che succede nel Movimento?
«Il Movimento ormai è completamente diverso dalla sua idea originaria. Siamo stato eletti perché parlavamo
di democrazia dal basso, di trasparenza. Tutte idee che non ci sono più. Ci siamo persi per strada quello che
eravamo. Non facciamo altro che discutere di problemi interni. E i risultati si vedono».
Cosa l'ha infastidita di più di queste ultime due settimane: le espulsioni, le polemiche via blog, gli attacchi a
Pizzarotti?
«La questione del direttorio. È stata una decisione imposta dall'alto da Casaleggio. Non ne sapevamo nulla.
Sono arrivati qui e ci hanno detto: da domani si fa così».
Molti hanno salutato questa novità come un passo indietro di Grillo.
«Il direttorio è una struttura intermedia che nell'idea di democrazia diretta non ha senso. E la cosa più grave è
che a violare il regolamento sia stato proprio Grillo che dovrebbe esserne il garante».
Lei e altri suoi colleghi avete minacciato di dimettervi.
«Posso parlare solo per me. Ma sento di non poter portare più avanti questo lavoro con un percorso così
cambiato. Comunque prima di fare un passo del genere voglio consultare la base. Poi agirò di
conseguenza».
E se gli attivisti le dicono di no?
«Allora combatterò finché non mi cacceranno».
Non le sembra una linea drastica? Altri suoi colleghi sono passati al Misto .
«Io non sono stato eletto per passare a un altro gruppo. Rispetto il voto dei cittadini, altrimenti peccherei di
incoerenza. Proprio quella di cui parlo quando critico la nuova linea del Movimento».
@martaserafini
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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INTERVISTA Il deputato Iannuzzi
08/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 41
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L'infelice illusione di una decrescita felice
Pierluigi Battista
Un po' di ossigeno contro chi esalta il buio infelice della «decrescita felice». È un libro che si intitola Contro la
decrescita (Longanesi), è scritto da Luca Simonetti, e andrebbe vivamente consigliato a chi non riesce a
capacitarsi che un passato di penuria e miseria, dolore e rassegnazione possa essere indicato come un'Età
dell'Oro. Un manuale utile per rintuzzare le solite, lugubri geremiadi contro il consumismo. Che poi è la
possibilità per miliardi di persone di acquisire beni, opportunità e benessere in una misura inconcepibile in
passato anche per i ceti più ricchi.
Una raffica di argomentazioni documentate e convincenti contro i detrattori della scienza che ha salvato una
quantità incalcolabile di vite umane. Contro chi rimpiange l'armonia bucolica di un mondo scomparso senza
ricordare che in quel mondo solo lo strato signorile della società poteva avvantaggiarsene, lasciando i
contadini ad ammazzarsi di fatica, a morire per malattie oggi facilmente curabili, ad abitare in tuguri lerci e
puzzolenti, mentre la mortalità infantile faceva strage di bambini denutriti. Un libro che ricorda la forza
democratica del progresso, del consumo, della globalizzazione che strappa alla povertà interi continenti
condannati a vivere in condizioni disastrose, dell'istruzione garantita a popoli costretti in passato
all'analfabetismo, della diffusione di massa di consumi culturali insperati fino poche decine di anni fa.
Pensare che questo passato di stenti e di vita miserabile possa essere rimpianto come un Eden perduto
testimonia della scomparsa di ogni elementare senso storico. Non sappiamo più da dove veniamo. Non
abbiamo più la percezione dei tremendi costi sociali che la stagnazione economica, l'impossibilità di
progredire, la subordinazione sociale, l'immobilismo culturale hanno gravato su un mondo che se non
oltrepassava la soglia del chilometro zero, oggi idealizzato con rimpianto struggente, era perché non poteva
conoscere quello che accadeva a più di un chilometro zero. Un mondo per cui lo slow food pativa la scarsità
del food e la fatica disumana per procurarselo. Un mondo in cui i contadini di Ermanno Olmi venivano
decimati al primo apparire di una malattia. Un mondo in cui la superstizione ostacolava persino i primi
esperimenti di anestesia totale che avrebbero affrancato l'umanità da sofferenze indicibili. La non crescita era
il vertice dell'infelicità. Questo libro ce lo ricorda.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Particelle elementari
06/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
I giudizi delle agenzie e le pagelle dei mercati
di Isabella Bufacchi
di Isabella Bufacchi
Dopo i titoli di Stato con rendimenti all' 8%, che nel novembre del 2011 rappresentarono l'orlo del baratro
della richiesta di aiuti salva-Stati, questa volta l'Italia è arrivata sull'orlo del baratro dei rating, declassata alla
BBB- da S&P's. È arrivata sull'ultimo gradino prima del non investment grade, sulla soglia dei rating
speculativi: e però si è fermata lì. L'outlook è stato migliorato da "negativo" a "stabile" e questa è una rating
action da non sottovalutare per le sue ripercussioni, favorevoli al «merito» italiano. I giudizi delle agenzie che
riguardano l'affidabilità del debitore cioè la sua capacità di rimborsare il debito puntualmente e integralmente,
non sono gli unici fattori a muovere i prezzi e i rendimenti dei bond. Ben più determinanti - come si riflette in
questi giorni sullo spread e sui BTp - sono le attese del quantitative easing della Bce esteso ai titoli di Stato,
oppure la caccia all'alto rendimento data dalla compressione dei tassi.
Continua pagina 3
Dopo la crisi della finanza strutturata e dei mutui subprime, durante la quale qualche "AAA" di troppo è
vacillata (anche se in proporzioni minime e non da giustificare il panico e il sell-off che fecero chiudere i
battenti all'intero mercato delle cartolarizzazioni), i rating sono sempre più considerati un'opinione
indipendente ben argomentata ma una delle tante, il loro peso si è ridimensionato. Detto questo, l'outlook
negativo sul rating sovrano continua a pesare. Chi acquista BTp, soprattutto dall'estero, uno sguardo ai voti
sulla pagella dell'Italia lo ha continuato a dare. E quell'outlook negativo di S&P's, considerata la più severa
delle quattro agenzie più seguite sui mercati, un'ombra sull'Italia fino a ieri l'ha gettata. Innanzitutto il mercato
non poteva prevedere se la retrocessione (minacciata con una probabilità su tre di taglio in un arco temporale
di due anni) sarebbe stata di un gradino o più. In secondo luogo, un altro punto interrogativo che gravava
sull'Italia fino a ieri era quello di un declassamento alla "BBB-" con outlook confermato negativo. Gli scenari
peggiori non si sono concretizzati e questo outlook stabile si allinea ora a quello di Moody's e Fitch. Restano
le previsioni negative di DBRS che però ha il rating più elevato di tutti sull'Italia alla "A low".
La retrocessione di S&P's resta comunque grave perchè porta l'Italia sulla soglia del rating speculativo, in
controtendenza rispetto all'andamento dei rendimenti dei BTP e dello spread che macinano record al ribasso
come se lo Stato italiano fosse divenuto sempre più affidabile. Quel che S&P's ha spiegato ieri è quello che
pensa e teme una categoria molto diffusa di investitori istituzionali, di economisti, di analisti, di strategist, sul
mercato domestico e su quello internazionale: che l'Italia è sempre meno affidabile perchè il suo elevatissimo
debito pubblico sale e continua a lievitare mentre la sua economia non riesce a crescere adeguatamente,
quel tanto che serve per mettere in sicurezza i conti pubblici.
Il passaggio chiave del lungo comunicato-rapporto di S&P's resta quello relativo al debito pubblico perchè è
di debito che gli analisti delle agenzie di rating sono principalmente esperti, perchè è sull'affidabilità del
debitore che esprimono i loro giudizi-opinioni. Ebbene, in termini assoluti il debito pubblico italiano per S&P's
salirà a 2.256 miliardi per la fine del 2017: anche se nella tabella il debito/Pil quell'anno calerà al 132,7% il
miglioramento del rapporto è dovuto solo al Pil che aumenta. Un altro passaggio del documento di S&P's
riguarda il calcolo del debito/Pil che aumenta oltre il 133% senza tener conto delle garanzie date dall'Italia
all'Efsf e, diversamente da quello che accade per Eurostat, senza conteggiare gli Efsf-bond. Il debito/Pil
crescerebbe ancor più conteggiando il contributo italiano al fondo salva-Stati. Il declassamento, comunque,
non influirà tecnicamente sull'eventuale QE esteso ai titoli di Stato: i criteri applicati alle garanzie collaterali
dalla Bce, e agli haircut collegati ai rating, vengono meno nel momento in cui la banca centrale acquista i
bond sul mercato "outright" a prezzi di mercato e forse tramite asta competitiva come la Federal Reserve.
L'Italia, non per le agenzie di rating ma per gli italiani, deve rilanciare la crescita potenziale, reale e nominale,
per risolvere definitivamente il problema del suo alto debito pubblico. E' questo il messaggio di S&P's anche
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'ANALISI
06/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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ai politici. La strada maestra della sostenibilità dei conti pubblici resta quella dello sviluppo economico.
@isa_bufacchi
© RIPRODUZIONE RISERVATA LA PAROLA CHIAVE Downgrade È un termine usato quando c'è una
revisione in senso negativo, cioè al ribasso, da parte di una società di rating del grado di qualità del credito,
cioè del grado di affidabilità a ripagare regolarmente i creditori attribuito a un emittente di titoli azionari e
obbligazionari. Il downgrade - o declassamento - è possibile sia nel caso di aziende private sia nel caso di
enti governativi, i quali si troveranno a dover remunerare maggiormente il denaro che chiederanno in prestito
al mercato dopo essere stati declassati. Ieri Standard&Poor's ha tagliato il giudizio sull'Italia a «BBB-», un
solo gradino sopra il livello «spazzatura», portando però l'outlook a stabile.
06/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Roberti: per i corrotti le pene dei mafiosi
Nino Amadore
Nino Amadore pagina 8
PALERMO
«La corruzione è un elemento fondante dell'associazione mafiosa che si somma alla forza dell'intimidazione».
Parola di Franco Roberti, capo della Procura nazionale antimafia, a Palermo per partecipare all'inaugurazione
della IV edizione del corso per amministratori giudiziari organizzato dal Dems dell'Università di Palermo.
Partiamo dall'operazione Mondo di mezzo: si tratta di un fenomeno unico oppure è esteso nel paese?
È un fenomeno nuovo per Roma: nel senso che è stato scoperto adesso. Rivela quello che io chiamo le
sinergie tra le organizzazioni criminali e organizzazioni di malaffare che non sembrano avere nulla di mafioso
ma che in realtà si muovono come vere e proprie associazioni mafiose con la forza dell'intimidazione e della
corruzione. Il modello criminale è il "tavolino" mafioso cui partecipano criminali, politici e pubblici
amministratori corrotti e imprenditori collusi con un programma criminoso in cui tutti ci guadagnano.
Colpisce l'attività nelle cooperative sociali che coinvolge dunque anche il cosiddetto Terzo settore.
Nelle indagini che facemmo sulla ricostruzione post-terremoto in Campania furono coinvolte numerose
cooperative che venivano dal Nord, dall'Emilia, che venivano a lavorare in Campania e si mettevano
d'accordo con il mafioso e il politico locale per il controllo degli appalti. Già all'epoca c'era questo schema di
infiltrazione, di collusione tra camorra, politici locali e cooperative.
E l'elemento chiave è sempre la corruzione.
Io avevo proposto qualche tempo fa di prevedere per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione gli
stessi strumenti investigativi previsti per i reati di mafia perché sono profondamente convinto che la
corruzione fa parte a pieno titolo del metodo mafioso. Io modificherei addirittura l'articolo 416 bis prevedendo
la forza dell'intimidazione o in alternativa quella della corruzione. La proposta della commissione Antimafia di
sequestrare i beni ai corrotti mi trova certamente d'accordo. Bisogna partire da questa convinzione: la
corruzione fa parte del metodo mafioso e quindi non puoi lasciare fuori la corruzione dalla metodologia di
contrasto antimafia.
Il progetto di legge della commissione Antimafia, che in parte coincide con quello del governo, punta
a eliminare alcune storture del codice. Lei che ne pensa?
Va nella giusta direzione. La priorità assoluta è quella di far funzionare il sistema di prevenzione antimafia e
far funzionare l'Agenzia. Le proposte della commissione sono molto significative perché prevedono un
percorso di emersione dell'azienda alla legalità assistito dal punto di vista degli sgravi e degli aiuti. Con una
valutazione preliminare: nei primi sei mesi si deve vedere se l'azienda può essere salvata o se è già morta
perché avendo perso il contributo del mafioso non è in grado di camminare con le proprie gambe.
Una domanda sulla procura di Palermo: qui c'è sempre un'aria molto calda. Non sarebbe utile un
maggior coordinamento?
Guardi, le posso rispondere. Io sto venendo spesso a Palermo: partecipo alle riunioni della Procura e ci verrò
anche alla prossima. Perché la Procura nazionale considera l'ufficio di Palermo centrale e nevralgico per il
contrasto alle mafie. Credo che la nomina del prossimo procuratore, chiunque esso sia (i proposti sono tre
eccellenti colleghi) sarà un'occasione di rilancio per una Procura che ha fatto la storia dell'antimafia. Anche
per quanto riguarda il processo Trattativa che è un accertamento in corso e servirà a chiarire alcuni punti
oscuri. Ma oltre a questo processo c'è ancora tanto da fare e io credo che sarà rilanciato con la nomina del
nuovo procuratore.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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INTERVISTA Franco Roberti Capo della Procura nazionale antimafia
06/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Antimafia . Franco Roberti
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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06/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 2
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Padoan: debito italiano sostenibile, scenderà dal 2016
Alessandro Merli
DUETTO CON SCHÄUBLE
Il ministro tedesco: «Pier Carlo, apprezzo molto quello che avete approvato questa settimana ma sono
contento di non essere nei tuoi panni»
FRANCOFORTE
Il debito pubblico italiano è sostenibile e comincerà a scendere dal 2016. Il ministro dell'Economia, Pier Carlo
Padoan, ha difeso ieri mattina a Francoforte, davanti a una folta platea di imprenditori e banchieri tedeschi, le
scelte del Governo. «L'Italia è l'unico Paese europeo, insieme alla Germania - ha detto Padoan - ad avere da
molti anni un surplus primario dei conti pubblici. Ma il calo del debito dipende anche dalla crescita e noi
stiamo cercando di rimuovere gli impedimenti all'espansione dell'economia».
La visita del ministro a Francoforte, dove la sera prima aveva avuto un incontro riservato con un gruppo più
ristretto di esponenti dell'industria e della finanza, fa parte di uno sforzo per spiegare ai tedeschi la situazione
italiana e l'operato del Governo, che spesso sono visti con scetticismo o pregiudizio. «C'è molta attenzione,
continueremo a insistere», ha commentato Padoan, che recentemente era stato anche a Berlino con la
stessa missione, prima del rientro a Roma.
Ieri ha incassato pubblicamente l'appoggio del suo collega tedesco Wolfgang Schäuble, con il quale è
intervenuto, in una sorta di duetto, all'apertura della tradizionale conferenza economica organizzata dal
settimanale "Die Zeit". «L'Italia - ha dichiarato Schaeuble - è sulla strada giusta. Apprezzo molto, Pier Carlo,
quello che avete approvato questa settimana. Ma al tempo stesso mi fa piacere di non essere nei tuoi panni».
Padoan in effetti è arrivato nella capitale finanziaria tedesca poche ore dopo l'approvazione in Parlamento
della riforma del mercato del lavoro, un fatto che ha potuto rivendicare davanti ai suoi interlocutori. Le vicende
del Jobs Act sono state molto seguite in Germania nel mondo dell'economia e dai commentatori tedeschi,
che fanno continuamente riferimento - e lo ha fatto anche Schaeuble ieri - ai benefici ottenuti dall'economia
tedesca dalle riforme del mercato del lavoro del decennio scorso, che, generando un aumento
dell'occupazione, hanno poi portato, ha ricordato, anche un miglioramento dei conti pubblici.
«Abbiamo una lunga lista di provvedimenti - ha detto Padoan - e stiamo approvandoli. I risultati si vedranno
nel tempo, ma contiamo che a un certo punto il loro effetto cumulativo imprima una svolta in termini di
crescita». Per il ministro dell'Economia, quella della bassa crescita e dell'alto debito pubblico è la «doppia
sfida» economica del Governo.
A suo parere «non ci sono scorciatoie, né bacchette magiche» per l'uscita dalla crisi, ma questa può venire
da una combinazione delle riforme strutturali, di maggiore integrazione europea, con il completamento del
mercato unico, puntando soprattutto su energia, infrastrutture e tecnologia, e di inversione del declino degli
investimenti, sia pubblici che privati.
«Non possiamo essere soddisfatti di come sta andando l'Europa - ha detto il ministro italiano - dobbiamo
metterla nuovamente in condizione di produrre crescita e occupazione».
Padoan ha anche ricordato ai suoi interlocutori che, per la riduzione del debito pubblico, il Governo ha un
programma di privatizzazioni che intende portare avanti «rispettando i tempi previsti».
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I DUE MINISTRI
La difesa di Padoan
Il debito pubblico italiano è sostenibile e comincerà a scendere dal 2016. Il ministro dell'Economia, Pier Carlo
Padoan, ha difeso ieri mattina a Francoforte, davanti a una folta platea di imprenditori e banchieri tedeschi, le
scelte del Governo.«L'Italia è l'unico Paese europeo, insieme alla Germania ad avere da molti anni un surplus
primario dei conti pubblici»
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A Francoforte. Incontri con banchieri e imprenditori
06/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 2
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'appoggio di Schäuble
Padoan ha incassato pubblicamente l'appoggio del suo collega tedesco Wolfgang Schäuble, con il quale è
intervenuto all'apertura della tradizionale conferenza economica organizzata dal settimanale "Die Zeit".
«L'Italia - ha dichiarato Schäuble - è sulla strada giusta. Apprezzo molto, Pier Carlo, quello che avete
approvato questa settimana. Ma al tempo stesso mi fa piacere di non essere nei tuoi panni»
06/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 5
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Se la valuta europea «vede» quota 1,20
Gianluca
Didonfrancesco «La minima sorpresa dal mercato del lavoro americano sarà la scusa sufficiente per
ricominciare a comprare dollari contro euro». Questo pensavano gli analisti e i trader ieri mattina, in attesa di
leggere i dati sull'occupazione negli Stati Uniti. Ed è esattamente quanto successo quando la sorpresa è
arrivata, nella forma dei 321mila nuovi posti creati a novembre, 91mila in più rispetto alle attese. Il risultato
rafforza, tra i possibili scenari futuri, quello in cui la Federal Reserve anticipa la decisione di alzare i tassi.
Una variazione delle aspettative che si è immediatamente tradotta sui cambi. L'euro è così scivolato fino a
1,2277 dollari, perdendo fino allo 0,8%, prima di recuperare attorno a quota 1,23. La moneta unica è
insomma tornata in fretta ai minimi da quattro anni. Quota 1,20 non è poi più così lontana e c'è chi per l'anno
prossimo vede un cambio a 1,15. Sulla breve vita del rimbalzo messo a segno giovedì dalla moneta unica
c'erano del resto pochi dubbi. Il vigore del mercato del lavoro americano sottolinea lo spread che in questa
fase divide i fondamentali economici di Stati Uniti ed Eurolandia, almeno per quanto riguarda tassi di crescita
e di disoccupazione. Un divario che si farà strada anche sul terreno delle condizioni di politica monetaria,
quando la Federal Reserve comincerà a stringere, considerando che gli analisti si aspettano di vedere sulla
sponda europea dell'Atlantico scelte sempre più espansive, compreso il varo di un vero e proprio quantitative
easing da parte della Bce. Quando questa prospettiva si concretizzerà, spingerà ancora di più gli investitori
su asset denominati in dollari, attratti dai loro rendimenti superiori. L'aspettativa sempre più forte di questo
scenario, come al solito, sta già orientando le scelte dei mercati, anticipandone
gli effetti.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'ANALISI
06/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 13
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«Italia deludente sul dossier Made in»
Giovanna Mancini
le reazioni
Ferrarini (Confindustria):
la conferma della Ue tedesca
Snaidero (Federlegno):
tema prioritario per il Paese
Bonomi (Anima): noi timidi
«Sono deluso, molto deluso. È l'ennesima occasione persa, e la dimostrazione che questa Europa è alla
mercé dei Paesi del Nord». Non nasconde il suo disappunto per l'ennesimo rinvio al riconoscimento
dell'etichetta «Made in» il presidente di FederlegnoArredo, Roberto Snaidero. E la sua voce si aggiunge a
quelle degli imprenditori della moda, del calzaturiero e della ceramica, riportate ieri su questo giornale. «Non
accuso nessuno - commenta Snaidero - ma non è possibile andare avanti in questo modo. Noi però non ci
arrendiamo: oggi stesso ricomincia la nostra battaglia per la difesa dei prodotti italiani». Una battaglia
fondamentale perché, sottolinea Snaidero, finalizzata non soltanto al sostegno delle imprese, ma anche alla
tutela dei consumatori.
La posizione di FederlegnoArredo fa eco alle dichiarazioni di Lisa Ferrarini, vicepresidente di Confindustria
con delega all'Europa, che giovedì aveva criticato la decisione del Consiglio competitività di Bruxelles di
rinviare al prossimo semestre la discussione del dossier sull'etichettatura di origine dei prodotti di consumo
non alimentari. Ma la critica va anche alla debolezza con cui l'Italia, sostenitore storico di questa battaglia, ha
portato avanti il dossier. Perdendo, di fatto, il vantaggio che poteva derivare dal ruolo di guida del semestre
europeo, ormai agli sgoccioli. «Quella di giovedì è stata una giornata tremenda - ha ribadito ieri a Giovanni
Minoli, nel corso della trasmissione Mix24 di Radio24 -. Non è successo nulla. Anzi, è successo di peggio: è
stata posticipata la discussione alla Presidenza lettone, il che vuol dire buttarla alle ortiche». Il semestre
italiano alla Ue, secondo Ferrarini, è stato «decisamente negativo» per quanto riguarda il Made in: «Ancora
una volta abbiamo avuto la dimostrazione che questa Europa è controllata dalla Germania e che l'Italia è così
debole da non riuscire nemmeno ad aprire un dibattito. Questa è la cosa che mi rammarica di più».
Critico verso il «fronte del Nord» anche Roberto Snaidero: «Attraverso l'etichettatura sull'origine noi
difendiamo il valore dei manufatti italiani ed europei realizzati secondo criteri di qualità e sicurezza. Paesi
come la Germania o la Svezia, che importano da fornitori extra-europei molti componenti destinati ai loro
prodotti , hanno interessi diversi dai nostri». Dello stesso avviso Sandro Bonomi, presidente di Anima
(l'associazione dell'industria meccanica varia): «Nello scontro storico tra Paesi a vocazione manifatturiera,
come il nostro, e Paesi importatori, l'Italia ha peccato di timidezza e forse anche di superficialità. Il tema
dell'etichettatura non è stato ritenuto prioritario. E invece lo è, perché la sua approvazione non porterebbe
vantaggi una tantum, ma avrebbe ricadute determinanti per l'industria e l'occupazione, sul medio e lungo
periodo. Si tratta di una vera misura di politica industriale e l'Italia non può permettersi di perdere questa
battaglia».
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Competitività. Amarezza delle imprese per il rinvio del riconoscimento delle etichette
06/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 14
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«Imprese all'estero con il supporto di Confindustria»
Nicoletta Picchio
GLI OBIETTIVI
La mission è facilitare i rapporti con la politica e le istituzioni di Paesi lontani e difficili
Non solo "soci aggregati", ma "ambasciatori del sistema" all'estero. Dimostrando il successo delle imprese
italiane nei contesti economici dove lavorano. «Ritengo fondamentale sottolineare la rilevanza che la riforma
di Confindustria riconosce alle associazioni con sede all'estero: la prospettiva di sviluppo è molto
interessante, sia come vocazione all'internazionalizzazione del sistema che per il riconoscimento del valore
organizzativo». Edoardo Garrone, delegato di Confindustria per l'internazionalizzazione associativa, fa un
primo bilancio e traccia le prospettive.
Perché Confindustria anni ha favorito la nascita di rappresentanze imprenditoriali italiane in alcuni
paesi specie nell'Est Europa?
I processi di globalizzazione hanno portato, fin dagli anni 90, un numero sempre più numeroso di imprese a
delocalizzare parte delle loro produzioni in paesi con alto potenziale di sviluppo e competitivi su alcuni fattori
di produzione.
Il tutto nasce quando la nostra Associazione di Treviso a fine anni 90 creò Fundatia a tutela degli interessi
delle imprese trevigiane che avevano delocalizzato parti della produzione nell'area di Timsoara. Poi, il
progetto Romania assunse una valenza nazionale e fu creata prima Unimpresa Romania, che in anni recenti,
anche con la modifica dello Statuto Confederale, è diventata Confindustria Romania. Ma nel tempo sono nate
anche Confindustria Serbia, Balcani, Bulgaria, Bosnia-Erzegovina e Russia. Sono tutte realtà che
rappresentano gli interessi delle nostre imprese che operano in quei paesi e hanno necessità di una struttura
di supporto che tuteli i loro interessi collettivi.
Ma non ci sono già le Associazioni industriali in quei Paesi?
In molti di questi paesi l'associazionismo è nato di recente in quanto fino a pochi decenni fa le imprese
operanti in queste aree erano prevalentemente imprese pubbliche dove la mano dello Stato governava i
mercati e quindi non esisteva un reale problema di tutela degli interessi .
Il crollo del muro di Berlino nel 1989 e la conseguente liberalizzazione dei mercati ha fatto sì che molti dei
grandi conglomerati pubblici in questi paesi si dissolvessero, favorendo la nascita di una miriadi di piccole e
medie imprese. Sono nate allora le associazioni imprenditoriali private ma molto spesso, oltre ad essere
ancora alla ricerca di un'identità precisa, non hanno una tradizione consolidata di difesa di piccole e medie
imprese in quanto l'obiettivo era sempre stato quello di tutelare i grandi gruppi pubblici. Abbiamo, quindi,
sentito l'esigenza di favorire quella che è stata una volontà autonoma dei rappresentanti delle imprese
italiane operanti in quei territori nel creare un sistema associativo di sostegno alle loro esigenze per
governare i rapporti con le autorità pubbliche: in altre parole favorire i loro operato quotidiano.
Ma perché creare delle Associazioni di Confindustria? Non era più facile che queste imprese si
consorziassero?
Il problema della tutela degli interessi economici delle imprese non è un problema di distanza dal paese
d'origine. Si tratta di mettere queste imprese, che sono imprese sempre riconducibili a una realtà
imprenditoriale italiana, nella condizione di poter migliorare la loro presenza e la loro attività anche fuori dai
confini nazionali. Era evidente la necessità di tutelarle ovunque esse potessero trovarsi ad operare. Specie in
paesi come quelli citati, dove i rapporti di Confindustria con le autorità politiche ed istituzionali di sono sempre
stati eccellenti.
Recentemente vi è stato un problema con la vostra Associazione in Russia. Perché?
Appartenere a un sistema di rappresentanza come quello di Confindustria vuol dire doverne accettare le
regole comportamentali, il codice etico e lo statuto organizzativo che sono mutati nel tempo, come la recente
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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INTERVISTA Edoardo Garrone
06/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 14
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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approvazione della riforma Pesenti evidenzia. Per far parte del perimetro di Confindustria è quindi necessario
accettare le regole di rappresentanza e di partecipazione agli organi elettivi, di rotazione degli incarichi e
soprattutto di rappresentare realtà imprenditoriali realmente operanti su quei territori e comunque sempre
parte di gruppi che hanno in Italia la principale sede operativa.
Nel caso della Russia, purtroppo, tutto ciò non è sempre avvenuto e i desideri dei singoli rischiavano di
compromettere l'efficienza degli interessi complessivi. Ma il problema è stato superato nominando un
commissario che in pochi mesi dovrà costituire la nuova Associazione tenendo conto della legislazione russa
ma soprattutto nel rispetto delle regole confederali. Ma sembra che alcune imprese, non desiderose di
accettare tout-court le regole di Confindustria vogliono mantenere in vita una seconda Associazione
denominata GIM-Unimpresa che avrebbe dovuto essere sciolta da tempo.
Di associazioni se ne possono creare tutte quelle che si vogliono?
Certo, ma non avranno il riconoscimento di Confindustria. Sarebbe come se qualcuno chiedesse di iscriversi
all'università non avendo ancora terminato l'asilo.
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Delegato. Edoardo Garrone
06/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 22
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Unire la finanza, per unire l'Europa
Tassare in modo omogeneo le rendite porta ad una tassazione uguale dei redditi
Giuseppe Vegas
Mai come in questo periodo, il concetto stesso di Unione europea è stato in crisi. In realtà, prima non lo era.
Lo è diventato da quando, alla prima unione, quella politica, si è affiancata la seconda, quella monetaria. Ci si
potrebbe domandare se due unioni siano peggio di una. In realtà si tratterebbe di una domanda mal posta.
Infatti, con il passaggio da una a tre unioni (istituzionale, monetaria e bancaria) la situazione è sembrata
migliorare e la matassa ha iniziato a dipanarsi. La strada è dunque quella di creare una pluralità di unioni che
servano, come pilastri, a sostenere l'unione politica? Sembrerebbe di si.
Una unione di Unioni potrebbe dunque offrire una prospettiva interessante. Ha ragione il presidente della
Bce, Mario Draghi, quando afferma che la moneta unica, da sola, non può risolvere tutti i problemi: i problemi
possono essere risolti solo dalle riforme strutturali. Si tratta di un'affermazione che mette a nudo la criticità di
base dell'euro. I romani avevano diffuso la loro moneta in tutto l'impero e, in tempi più recenti, il regno
sabaudo l'aveva diffusa in tutta Italia. Ma prima, entrambi, avevano imposto la propria legge su tutto il
territorio. Se si regola allo stesso modo il "dare" e l'"avere" di tutti i sudditi o i cittadini, allora la moneta unica
costituisce lo strumento più efficiente per l'allocazione delle risorse. Se, invece, i diritti e i doveri sono diversi,
la moneta diventa elemento di deflagrazione delle criticità.
Come abbiamo visto in questi anni, l'inseguire l'omogeneizzazione con regole di bilancio unificate e
meramente quantitative, si è dimostrato una pura illusione. Infatti ogni paese può vantare i motivi per i quali le
differenze del proprio ordinamento non consentono di realizzare l'obiettivo quantitativo di bilancio - prefissato
in via generale - e magari anche che il suo perseguimento può determinare effetti negativi sull'andamento
dell'economia. Tra l'altro, ogni paese sarebbe titolato a criticare il comportamento altrui. In buona sostanza,
utilizzare la stessa moneta in due paesi dove, ad esempio, in uno l'età di pensionamento è fissata a 67 anni
e, nell'altro, le figlie nubili hanno diritto alla pensione di reversibilità, rischia solo di produrre rivolte sociali. Per
evitare queste conseguenze si sarebbe dovuto adottare prima, e per tutti, la medesima legge pensionistica.
Questo approccio non è stato seguito ed ora sarebbe assai arduo tornare indietro.
Per recuperare il terreno perduto, si può adottare un approccio gradualistico che, senza risolvere
contemporaneamente tutti i problemi, si concentri nei settori-chiave, che possono costituire la base del
cambiamento. A partire dai mercati finanziari. L'auspicata unificazione dei mercati finanziari - e, non a caso,
al nuovo Commissario europeo preposto al settore è stato affidato il compito della Capital Markets Union costituisce la frontiera sulla quale si vince o si perde la battaglia della moneta unica. In mancanza
dell'unificazione dei "codici", la sola strada realistica per affermare e mantenere il valore di una moneta
comune, non può essere dunque che quella di dettare le medesime regole per il suo utilizzo.
È la strada che è stata seguita nel caso della Banking Union. Definendo regole uniche per il funzionamento
del mercato bancario e un meccanismo di controlli uguale in tutta Europa, si è ottenuto il duplice risultato di
consentire a tutti i cittadini europei di disporre di un mercato del credito omogeneo - e quindi di non creare
posizioni asimmetriche nell'accesso al credito a secondo delle diverse zone geografiche - e
contemporaneamente dare ai risparmiatori un segnale di solidità del sistema bancario dopo gli eventi
traumatici della crisi degli ultimi anni.
È una strada che va seguita anche per i mercati finanziari. Per una serie di motivi. Innanzitutto per non
discriminarli rispetto al sistema bancario. Se quest'ultimo, a seguito degli interventi Bce ha ottenuto il "bollino
blu", non consentire anche alle imprese finanziarie che lo meritino di ottenere il medesimo attestato di qualità
avrà il solo effetto di rendere queste imprese meno sicure agli occhi di risparmiatori e investitori. Con la
conseguenza di ostacolare lo sviluppo di un mercato competitivo, tanto più necessario in una fase in cui il
credito bancario difficilmente potrà espandersi - in conseguenza dei maggiori requisiti di solidità patrimoniale
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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LA SFIDA DELL'UNIONE
06/12/2014
Il Sole 24 Ore
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imposti alle banche - in misura adeguata a sostenere l'auspicato sviluppo del prodotto interno lordo europeo.
In secondo luogo, l'unione finanziaria serve a scongiurare possibili episodi di concorrenza sleale. Se, infatti,
l'applicazione e il controllo delle pur esistenti regole comuni del mercato finanziario europeo non risulteranno
omogenei e centralizzati, l'effetto sarà quello di incentivare comportamenti di sostanziale "concorrenza sleale"
da parte di alcuni paesi a danno di quelli dove possono esportare i propri prodotti. Un caso non dissimile da
quello del codice della strada, che è il medesimo in tutta Italia, ma non dappertutto viene applicato con eguale
rigore. Una situazione non molto dissimile da quella già descritta delle pensioni.
All'obiezione che si tratterebbe di un fine nobile, ma molto difficile da raggiungersi in concreto, si può replicare
che è traguardo realistico. Infatti, nel settore dei mercati finanziari, la legislazione europea vincolante (attuata
mediante lo strumento del regolamento e non più con quello della direttiva) sta ormai regolamentando quasi
tutti i campi. Disponiamo quindi di una base comune già esistente, che potrà certo essere ampliata e
migliorata, ma che costituisce un solido punto di partenza.
Non solo. L'unione dei mercati finanziari potrà costituire il fondamentale punto di passaggio verso la "madre
di tutte le unioni": quella economica. Vediamo perché.
Per far funzionare un mercato finanziario europeo veramente unificato, non si può trascurare la questione
della tassazione delle rendite finanziarie. Se esse resteranno, come è oggi, troppo diversificate da paese a
paese, il mercato non sarà mai "unico" e l'Europa non si potrà presentare come un continente omogeneo ed
"attrattivo" rispetto alle altre realtà continentali mondiali.
Inoltre, una volta definito un livello di tassazione per il mondo della finanza, non si potrà nascondere la testa
sotto la sabbia e non affrontare il tema del livello di tassazione per tutti gli altri tipi di reddito. Sarebbe difficile
giustificare trattamenti disomogenei da paese a paese. Con la conseguenza che, ad analogo livello di
tassazione, dovrà corrispondere un analogo livello di spesa pubblica. E, dunque, la sostanziale unificazione
della legislazione. E qui torniamo al discorso iniziale, però questa volta con la soluzione del problema.
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07/12/2014
Il Sole 24 Ore
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Il vento sta cambiando ma forse è troppo tardi
Paul Krugman
Di Paul Krugman pagina 20 Nel 2010 cominciai a capire che tirava una bruttissima aria quando lessi
l'Economic Outlook dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che invocava non solo
rigore nei conti pubblici, ma anche un aumento dei tassi di interesse perché... beh, perché sì, non basta? Ora
l'Ocse raccomanda stimoli monetari e di bilancio in Europa. Non sono le stesse persone di prima. L'Ocse ha
un nuovo chief economist, Catherine Mann, che ha sempre mostrato nei suoi lavori di ricerca un
orientamento pragmatico. Il fatto che quest'anno l'Ocse abbia scelto Catherine Mann equivale a una
dichiarazione di intenti, e la mia percezione è che il vento stia cambiando un po' in tutto il mondo. Ce n'è
voluto di tempo. A inizio 2013, quando le storie sulla famigerata soglia del 90% di debito pubblico e le tesi
sull'austerità espansiva si stavano sgretolando, molti di noi erano convinti di aver ormai sbaragliato gli
austeriani. Ma avevamo sottovalutato il fatto che quei politici, alti funzionari e (in una certa misura) giornalisti
che avevano difeso con accanimento queste posizioni nei tre anni precedenti si stavano giocando la loro
credibilità professionale, ed erano disposti ad aggrapparsi a qualsiasi cosa - una leggera ripresa nell'Europa
meridionale, per esempio, o un rimbalzo dell'attività economica nel Regno Unito appena il Governo ha
smesso per un po' di tagliare a destra e a manca - pur di rivendicare la fondatezza di teorie in realtà
clamorosamente smentite dai fatti. Continuano a farlo ancora adesso. Ma ormai i falchi sembrano battere in
ritirata dentro la Federal Reserve, e quello che dice il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi
(anche lui con un dottorato al Mit) suona terribilmente simile a quello che dice la presidente della Fed Janet
Yellen. E aggiungiamo che tutto il dibattito sul Giappone si svolge in gran parte in territorio keynesiano. Tre
anni e mezzo fa Businessweek dichiarava che Alberto Alesina, il profeta dell'austerità espansiva, era il nuovo
Keynes. Ora ci dicono che il nuovo Keynes è Keynes. E gente come il miliardario direttore di hedge fund Paul
Singer si lamenta della «krugmanizzazione» del dibattito. Perché il vento sembra finalmente cambiare
direzione? In parte, secondo me, semplicemente per una questione di tempo: dopo sei anni sta diventando
difficile non accorgersi che gli antikeynesiani hanno sbagliato praticamente su tutto. Lo scivolamento
dell'Europa verso la deflazione rende ancora più difficile negare le realtà economiche della trappola della
liquidità. E il rifiuto di quasi tutti gli antikeynesiani di ammettere anche il minimo errore li sta facendo apparire
sempre più ridicoli. Potrebbe essere troppo poco e troppo tardi per evitare il disastro, specialmente in Europa.
Ma è comunque qualcosa che vale la pena festeggiare, senza troppo entusiasmo. Prezzi del petrolio e
pregiudizio deflazionistico. Lo so che tutti voi giovinastri non vi ricordate della storia antica, ma molto tempo
fa, in una galassia molto, molto lontana - anzi no, in realtà nel 2011 e proprio qui sul pianeta Terra - i prezzi
del petrolio e di altre materie prime stavano crescendo, non calando, e per effetto di questa crescita
l'inflazione primaria correva un po'. Qualcuno di noi diceva che l'inflazione di fondo era un indicatore molto più
attendibile per decidere la politica monetaria da adottare, e la Fed era d'accordo: ma i fanatici del pericoloinflazione si scatenarono e in Europa la Bce decise, con risultati catastrofici, di alzare i tassi di interesse.
Perciò, adesso che il prezzo del petrolio sta scendendo vertiginosamente, le stesse persone che vedevano
l'apprezzamento dell'oro nero come una ragione per alzare i tassi dovrebbero vedere questo calo come una
ragione per applicare politiche espansive, giusto? Sbagliato. Adesso ci dicono che non bisogna fare caso al
basso livello dell'inflazione primaria, perché è influenzata unicamente dal petrolio (anche se non è vero), e in
ogni caso il calo del prezzo del petrolio è già uno stimolo per l'economia. Insomma, quando il petrolio sale è
una ragione per applicare politiche restrittive, e quando scende è una ragione per non applicare politiche
espansive. E poi si domandano perché parlo di sadomonetarismo. (Traduzione di Fabio Galimberti)
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Krugman&Co. TUTTA L'ECONOMIA SUL WEB
07/12/2014
Il Sole 24 Ore
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Ivan Cimmarusti
le carte/pressioni sui politici pd e pdl sull'immigrazione
ROMA
C'è un filo che collega operazioni finanziarie sospette a San Marino con Mafia Capitale. Lo svela l'unità di
informazione finanziaria, l'ente antiriciclaggio della Banca d'Italia, in una lunga informativa alla Procura della
Repubblica di Roma in cui si fa il nome di Alessandro Febbraretti, imprenditore e «gestore del marchio
Trony» coinvolto in altre inchieste giudiziare anche se non indagato nell'inchiesta Mafia capitale. Dalle carte,
poi, emerge la richiesta di Gianni Letta al prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, di incontrare Buzzi e
Guarany - rivelatisi nell'inchiesta sodali di Massimo Carminati - che avrebbero voluto far sorgere un nuovo
centro di assistenza immigrati per ottenere finanziamenti pubblici.
Il filone San Marino
Gli atti di Bankitalia aprono un nuovo fronte che presto potrebbe riservare interessanti sorprese. «La
segnalazione in esame - è annotato - vengono trattate congiuntamente in quanto attinenti a nominativi
collegati a fattispecie che coinvolgono la Fidens Project Finance spa, finanziaria sammarinese plurisegnalata
alla scrivente Unità e indagata dalla Procura di Roma. Di particolare rilievo, il collegamento emerso tra la
citata Fidens e Alessandro Febraretti, dominus dell'omonimo gruppo attivo nel commercio all'ingrosso e al
dettaglio di elettronica di consumo, nonché gestore del marchio Trony, nell'ambito di una vicenda finalizzata
all'acquisizione della banca Credito Sammarinese».
Nell'operazione finanziaria segnalata dalla Banca d'Italia, per un trasferimento di 300mila euro, compare il
nome di Filippo De Angelis, il quale risulta essere iscritto nel registro degli indagati del procedimento madre
sulla mafia della Capitale, aperto dalla Procura della Repubblica nel 2010. Febbraretti è un personaggio noto
alle cronache giudiziarie, anche se non è indagato in questa inchiesta. Risulta amministratore della Edom,
che gestisce 14 società legate al marchio Trony. Attualmente risulta imputato per i reati di evasione fiscale e
falsa fatturazione in merito alla gestione di otto società del gruppo. Stando agli atti d'indagine, è «emerso un
utilizzo sistematico di fatture per operazioni inesistenti formalmente emesse dalla società Gruppo Edom spa
ma non registrate dalla stessa che, confluite nelle dichiarazioni Iva annuali delle altre società del Febbraretti,
hanno contribuito alla creazione artificiosa di fittizi crediti Iva per importi milionari in capo a queste ultime». Un
sistema che sarebbe servito «per neutralizzare i debiti Iva relativi alle operazioni attive e per effettuare, assai
verosimilmente, indebite compensazioni di debiti erariali, contributivi e assicurativi riferiti alle prestazioni rese
dai dipendenti e dallo stesso Febbraretti».
Il centro assistenza immigrati
Il boss delle coop Salvatore Buzzi e l'imprenditore Carlo Guarany, dunque, nello sviluppo del loro business
criminale premono per ottenere finanziamenti legati all'assistenza immigrati. Come registrato nell'informativa
del Ros dei carabinieri, Buzzi dice a Massimo Carminati che contatterà Gianni Letta per sviluppare il suo
progetto. Lo schema è semplice: avendo la disponibilità di una serie di immobili a Castelnuovo di Porto, Buzzi
vuole sfruttarli per ampliare il Cara (centro assistenza richiedenti asilo) già presente nella cittadina alle porte
di Roma. Farà pressioni su politici Pd e Pdl e se l'obiettivo sarà approvato ne otterrà, di conseguenza, fondi
dal ministero dell'Interno.
Ma l'operazione non passa. Comincia, in realtà, con una rgenerica ichiesta in prefettura, ma a palazzo
Valentini non rispondono e prendono tempo. Il motivo è semplice: a Castelnuovo di Porto c'è già un nucleo di
richiedenti asilo di alcune centinaia di persone, la cittadina ha circa 8mila abitanti e ampliare la quota di
immigrati presenti potrebbe far sorgere non poche problematiche. Ecco, così, la mossa politica che potrebbe
essere decisiva, suggerita da Luca Odevaine a Buzzi, come registrano gli investigatori: contattare Gianni
Letta, che potrà dirlo al prefetto. I fatti accertati dal Ros raccontano che Buzzi e Guarany vanno al Nazareno,
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Le operazioni sospette con San Marino
07/12/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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dove ha sede l'ufficio dell'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio. E di lì a qualche giorno vengono
ricevuti da Giusepppe Pecoraro. Perchè, nel frattempo, è intercorsa la telefonata tra il prefetto e Letta, che gli
ha chiesto di riceverli. Pecoraro sta al gioco, ma sa già come andrà a finire. L'ostacolo politico e tecnico alla
richiesta di Buzzi e company è lì pronto a deludere qualunque istanza o quasi. L'esito positivo del progetto di
Buzzi può avvenire soltanto con una forzatura indebita, ingiustificata, problematica. Come può essere
motivata dalla prefettura la decisione di far sorgere un nuovo centro, o quantomeno di aumentare in modo
consistente la sua capienza, in un paese di 8mila anime? Il prefetto di Roma dice agli ospiti che valuteràla
proposta ma per verificare la fattibilità della richiestadovrà in sostanza rimettere la palla al sindaco di
Castelnuovo di Porto. Che non può non dare il suo parere negativo. Per una volta tanto, la strategia criminale
di Mafia capitale fallisce.
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07/12/2014
Il Sole 24 Ore
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Ciucci: privatizzazione dell'Anas nel 2016
Giorgio Santilli
Giorgio Santilli pagina 15
roma
Rilancio degli investimenti, che nel 2015 dovrebbero fare il salto - in termini di spesa contabilizzata - da 2,2 a
oltre 3 miliardi. Ma anche la privatizzazione sul tavolo dei ministeri dell'Economia e delle Infrastrutture. Il
presidente dell'Anas, Pietro Ciucci, non si fa pregare. «L'approdo naturale della privatizzazione Anas - dice è la quotazione in Borsa, magari fatta in due tempi, con un collocamento istituzionale in una prima fase. Per
arrivare al meglio a quell'appuntamento, realisticamente possibile nel 2016, dobbiamo però spendere il 2015
a completare la privatizzazione formale avviata nel 2002 e a dare certezze alle fonti di finanziamento della
società». Ciucci richiama le prime privatizzazioni dell'Iri, quelle degli anni '90, quando era prima direttore
finanziario e poi direttore generale del gruppo, per ricordare che non gli manca l'esperienza in fatto di
privatizzazioni. «A quei tempi - rivendica - l'Iri era la più grande merchant bank d'Italia, privatizzazioni come
quelle non se ne sono più fatte». Ma su quelle di adesso, quella della società che guida da otto anni, pesa
come un macigno il tema di una struttura di ricavi «centrata su un sovracanone pagato dagli utenti delle
autostrade a pedaggio» e «proporzionale al traffico che, come è noto, si è fortemente ridotto negli anni scorsi
mentre quest'anno ha mostrato una modesta ripresa dell'1%». Sintesi, non senza un qualche riferimento
implicito ai "concorrenti" concessionari: «Noi non godiamo di aumenti tariffari».
Come si può affrontare il nodo della struttura dei ricavi?
Nel 2010 era stato approvato un decreto contenente la possibilità per l'Anas di applicare un pedaggio su
1.300 chilometri di raccordi autostradali in gestione. Penso che quella sia la strada giusta, tanto più valida se
parliamo di nuove opere da realizzare in project financing.
Parlando di privatizzazione, non crede ci sia anche un problema di migliore definizione della vostra missione?
Chi siete voi oggi, un concessionario come gli altri? Una struttura a servizio dello Stato?
Ricorderà forse che nel 2011 l'azionista ebbe qualche incertezza strategica e fu varata una norma che ci
imponeva di tornare a fare la struttura in house dello Stato. Mi pare che con gli ultimi due governi e grazie
all'importante ruolo del ministro Lupi si sia tornati con coerenza a disegnare un'Anas di mercato. In questo
senso, la missione è chiara: Anas è il gestore di 25mila chilometri di strade e autostrade, esattamente come i
concessionari privati. Si tratta ora di fare qualche passo avanti con l'obiettivo di uscire dalla lista Istat del
consolidamento del bilancio pubblico e uscire quindi dal perimetro della Pa.
Un obiettivo di deconsolidamento del vostro debito che farà certamente piacere al vostro azionista.
Penso proprio di sì, credo che il primo obiettivo sia completare la privatizzazione formale avviata nel 2002 e
perseguita a fasi alterne per poi passare alla privatizzazione sostanziale.
L'introduzione dei pedaggi su parte della vostra rete sarebbe la cerniera fra la privatizzazione formale
e quella sostanziale.
Toglierebbe quel tratto pubblicistico che ancora oggi ci frena e ci metterebbe in parità di condizioni con gli altri
concessionari.
Non avrete vita facile. Ricordo la minaccia di Alemanno di prendere a sprangate l'eventuale casello del
Grande raccordo anulare.
Non sto parlando del Gra, ma di un principio generale. È possibile in ongi caso prevedere norme a favore
degli utilizzatori frequenti.
Parità di condizioni con i concessionari? Ma voi godete ancora di trasferimenti dallo Stato.
L'attività di gestione e di manutenzione ordinaria è autofinanziata dalla società con le modalità che abbiamo
detto. Lo Stato paga gli investimenti che realizziamo per lui. Ma con il percorso che dicevo sarà possibile fare
debito prevalentemente sui mercati finanziari, riducendo il contributo pubblico al necessario, come d'altra
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'INTERVISTA
07/12/2014
Il Sole 24 Ore
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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parte succede per qualunque opera non ce la faccia a stare completamente sul mercato.
Il vostro bilancio ha avuto un riconoscimento con l'Oscar di bilancio per il 2013. Come andrà il 2014?
Lo scorso anno abbiamo avuto un utile di 3,38 milioni. La relazione semestrale 2014 prevede un utile di
periodo di 6 milioni che noi prevediamo arrivi a 16 milioni a fine anno. È, per le ragioni che dicevamo sui ricavi
bloccati, un utile che deriva solo dal lavoro di riduzione dei costi.
Sugli investimenti che previsioni fate per il 2015?
Quest'anno ci confermeremo ai livelli dello scorso anno, circa 2,2 miliardi. Per il 2015 ci aspettiamo invece
una forte accelerazione, oltre i 3 miliardi, per effetto del cambiamento delle politiche infrastrutturali.
Effetto dello sblocca-Italia?
Non solo: si è partiti dal "decreto del fare", si è andati avanti con la legge di stabilità 2014 e 2015 e poi con lo
sblocca-Italia. È stato finalmente riaperto il rubinetto dei finanziamenti per le infrastrutture. Vediamo una linea
di continuità estremamente positiva dal governo Letta al governo Renzi, che ci consentirà di avviare 50 nuovi
cantieri per un valore di 5 miliardi entro la fine del 2015.
Dov'era il blocco?
Nel nostro caso, certamente nei finanziamenti perché noi possiamo vantare un portafoglio di 134 progetti
cantierabili in tempi stretti per un valore di 10 miliardi. Non vorrei fare il keynesiano di ritorno, ma finalmente si
è capito, in Italia e in Europa, che una politica di crescita non può prescindere dagli investimenti in
infrastrutture che valgono doppio: riducono il il gap competitivo e sono occasione di lavoro immediato. Tanto
più questo vale per noi oggi che abbiamo accelerato soprattutto sulla manutenzione straordinaria che, oltre
ad essere essenziale per la sicurezza, presenta altre tre caratteristiche fondamentali: interventi di taglio
piccolo e diffuso che dà lavoro alle Pmi, rapido avvio dei cantieri (2-3 mesi) e completamento dell'opera entro
12-15 mesi.
Qual è oggi il quadro delle risorse?
Negli anni passati abbiamo toccato minimi storici di finanziamenti alle infrastrutture. Per alcuni anni abbiamo
avuto dal contratto di programma 300 milioni l'anno. Nel 2014, fra contratto di programma e decreto del fare,
potremo contare su poco più di un miliardo e nel 2015 su 1,2 miliardi. Inoltre, lo sblocca Italia con 1,5 miliardi
di risorse aggiuntive ci consente di avviare investimenti per 2 miliardi.
Sul fronte delle procedure, non prova un po' di invidia verso l'amministratore delegato delle Fs Elia
che vestirà i panni del supercommissario sulla Napoli-Bari?
Invidia direi proprio di no, siamo la prima stazione appaltante del Paese in termini di bandi di gara in numero
e in valore e abbiamo sempre operato con le procedure ordinarie. Fermo restando che occorre semplificare le
norme, la vera sfida è rispettare i tempi, che per altro con lo sblocca-Italia sono molto severi, rispettando le
procedure ordinarie. Per questo non basta l'impegno di Anas, ma è necessario quello di tutti i numerosi
soggetti pubblici e privati coinvolti. Per altro ho nella mia vita diverse esperienze di commissario e mi
permetto di dire che bisogna fare molta attenzione ai poteri commissariali perché ci sono norme ambientali e
di sicurezza che nessun potere in deroga è in grado di aggirare. Oltre alla constatazione, che abbiamo fatto
tempo addietro e che è diventata oggi patrimonio comune, che gran parte dell'illegalità che coinvolge il
mondo degli appalti deriva proprio dalle procedure in deroga.
In effetti negli ultimi mesi, dallo scandalo di Expo alle vicende di questi giorni di Roma, sul mondo degli
appalti si è abbattuta una nuova tempesta giudiziaria.
Vorrei sottolineare che l'argomento è delicato e che non si può generalizzare. Ad esempio l'Anas è
un'azienda che in tutti questi anni non è stata neppure sfiorata dagli scandali. Oltre ad operare sempre
secondo le norme ordinarie, abbiamo anche provveduto in via autonoma e ancor prima che ci venisse
richiesto a recepire tutti gli adempimenti in materia di anticorruzione e di trasparenza previsti dalla legge,
indipendentemente dal dibattito sull'applicabilità della normativa alle società per azioni a partecipazione
pubblica.
07/12/2014
Il Sole 24 Ore
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Lei dice che non siete stati sfiorati dagli scandali ma anche lei è stato iscritto nel registro degli indagati per
abuso d'ufficio nell'inchiesta per i lavori della statale 275.
Sull'indagine massima fiducia nell'operato della giustizia, a cui l'Anas assicura tutta la sua collaborazione. Ma
è evidente che l'indagine sulla statale 275 non ha niente a che vedere con le ipotesi di corruzione di cui si
parla a proposito di Expo e del Comune di Roma. Comunque, nel merito posso dire che l'Anas ha ribadito il
suo impegno alla celere realizzazione dell'opera, anche in occasione di incontri istituzionali con il territorio,
tenendo conto dei pareri legali dell'Avvocatura dello Stato.
Quali sono le opere fondamentali da fare per la rete stradale oggi?
La Sassari-Olbia, il completamento della Nuova statale Jonica 106 con il terzo megalotto, la Fano-Grosseto
(ma più in generale darei attenzione maggiore alle trasversali), le opere di accesso alla Valtellina e
l'Autostrada Roma-Latina che comprende, oltre alla Tor de' Cenci-Latina, anche la Tor de' Cenci -Fiumicino e
la Cisterna-Valmontone.
Qual è il suo bilancio sulla Salerno-Reggio Calabria? Un simbolo delle difficoltà del Paese - e del Sud in
particolare - con tempi lunghissimi e un costo esagerato di 9 miliardi di euro.
Il mio bilancio? Abbiamo realizzato l'autostrada più bella d'Italia. Ecco qual è il mio bilancio. Abbiamo
realizzato 355 km di autostrada e un investimento pagato di 5 miliardi (700 milioni nel 2013). Con un costo di
20 milioni a km assolutamente comparabile con le altre autostrade costruite in Italia. E non abbiamo costruito
in pianura, questa è un'autostrada di montagna, almeno in molti tratti, con ben 200 gallerie e 500 tra ponti e
viadotti in 440 chilometri di tracciato.
Si torna a parlare del Ponte sullo Stretto. Esiste davvero la possibilità di riprendere il progetto? E rischiate di
pagare una penale pesante?
Questo sarebbe possibile se ci fosse una decisione strategica del Governo in questo senso, ma non mi
sembra si vada in questa direzione. La legge prevede allo stato che al general contractor sia pagato il 10%
dell'attività di progettazione eseguita, circa 10 milioni di euro, e che il contenzioso è composto oggi di una
causa del general contractor contro Stretto di Messina e una di Stretto di Messina contro il general contractor.
L'esito, quindi, non si può dare per scontato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Fonte: Anas 2012 2013 Quoz. di indebitamento complessivo Manutenz.
straord. (annuale €/mil) Manutenz. straord. (2003-13 €/mil) Manutenz. straord. (fondi in gestione) Ricavi
esercizio rete / Totale ricavi Manutenz.ordinaria / Costi operativi Costi del Personale / Costi operativi
Manutenzione ordinaria (€/mil) Organico medio totale Lavori per manutenz. ord. (€/mil) Valore Aggiunto netto
(valori in €) Consumo totale energia (GJ) Produz. energia da fonti rinnova. (GJ) Utile netto (€/mil) Ebitda
(€/mil) ROE (Return on Equity) ROCE (Return on Capital Employed) 61,28% 2.202,42 24.289,17 0,761
79,73% 35% 43% 218,57 6.109 218,57 386.767.014 1.480.816 576 3,38 170,18 0,12% -0,10% 57,99%
2.284,45 22.086,75 0,719 80,58% 37% 42% 235,29 6.181 235,29 384.361.296 1.494.465 562 2,16 150,44
0,08% -0,63% L'ECONOMICITÀ LA GESTIONE OPERATIVA CORRENTE GLI INVESTIMENTI IN NUOVE
COSTRUZIONI LA GESTIONE FINANZIARIA LA SOSTENIBILITÀ SOCIALE ED AMBIENTALE Gli indici di
performance L'Anas: a confronto gli esercizi 2012 e 2013
lE CIFRE DEL GRUPPO
Dati Anas al 3 dicembre 2014
2,269
I miliardi
È il valore del capitale sociale
25.294,530
I chilometri
Le strade e le autostrade
dello Stato affidate all'Anas
07/12/2014
Il Sole 24 Ore
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23.984,368
L'estensione
Statali, svincoli, Nuove strade Anas (Nsa), complanari. In km
1.310,162
La gestione diretta
Autostrade gestite direttamente e raccordi autostradali (in chilometri)
Foto:
Al vertice. Pietro Ciucci è il presidente dell'Anas da otto anni
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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07/12/2014
Il Sole 24 Ore
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Nino Amadore
INTERVISTA A CANTONE
ROMA
«Da questa inchiesta romana emerge una classe politica completamente subalterna alle lobby criminali».
Raffaele Cantone, magistrato, presidente dell'Autorità anticorruzione parte da una considerazione sulla
permeabilità e subalternità del tessuto politico italiano alla luce degli atti dell'inchiesta "Mondo di mezzo" per
arrivare a considerazioni frutto della sua grande esperienza di magistrato a lungo impegnato in indagini
anticamorra su due elementi di questa indagine: la corruzione e l'intimidazione. Elementi che sono sempre di
più presenti insieme nelle inchieste sulla criminalità organizzata.
«La novità di questa inchiesta sta nel fatto di aver ipotizzato la corruzione come fatto prevalente nel
caratterizzare l'associazione mafiosa rispetto al momento intimidatorio che rimane comunque indispensabile dice Cantone - e in questo caso a me sembra che l'intimidazione ci sia. Quindi, a legislazione vigente, non si
può dire che la corruzione possa essere l'elemento determinante ma la presenza di un contesto intimidatorio
qualifica l'organizzazione criminale per quella che è».
Il procuratore nazionale antimafia sostiene che bisogna inserire anche la corruzione nelle previsioni
del 416 bis. Per il futuro, dunque, bisogna pensare a integrare questo articolo del codice penale
fondamentale per definire le organizzazioni criminali? La corruzione può essere elemento
qualificante?
Concordo con il procuratore ad inserire la corruzione fra le possibili modalità tipiche ma non in sostituzione
dell'intimidazione. Perché l'articolo 416 bis evidenzia un meccanismo che allo stato è ancora vitale. Anche
perché la tipologia classica di organizzazioni mafiose è tutt'altro che estinta.
Nel progetto legislativo della commissione Antimafia, presentato di recente, sono previste le misure
patrimoniali anche per i corrotti. Lei che ne pensa?
Ovviamente sono favorevole anche se mi sembra più una innovazione formale che sostanziale. Anche
perché si può già fare come ha dimostrato la Procura di Roma, che ha grande capacità di innovazione, la
quale ha disposto il sequestro nell'ambito delle inchieste sullo scandalo della Grandi eventi all'imprenditore
Anemone.
"Capitale corrotta uguale nazione infetta" mi par di ricordare era il titolo di copertina del settimanale
L'Espresso. Sono passati tanti anni, più di cinquanta, e la situazione, se possibile, è peggiorata,
aggravata dal metodo mafioso.
Emerge un'assoluta subalternità della politica alle lobby affaristiche e criminali. Noi vediamo un gruppo di
affaristi che è in grado di comprarsi chiunque. Ho letto in un'intercettazione che erano in grado di dirottare i
voti in quattro liste diverse. Emergono fatti che sono un pugno in faccia.
Da questa inchiesta emerge anche la capacità delle organizzazioni criminali di fare affari nell'ambito
del Terzo settore con le cooperative sociali. Come si può intervenire?
Vorrei dire con grande franchezza una cosa: il terzo settore è un elemento fondamentale del nostro Paese,
rappresenta la parte buona. Ma è anche vero che dietro questi meccanismi buoni si sono innestati da tempo
alibi di soggetti che fanno impresa e purtroppo in molti casi con metodi criminali. Ci sono molti fatti del genere
nel paese che coinvolgono le cooperative.
Secondo lei perché? Qual è il fatto scatenante?
I meccanismi dell'emergenza continua hanno creato danni incredibili. L'utilizzo dell'emergenza deve essere
un fatto veramente strutturale altrimenti diventa occasione solo per i criminali. Gli immigrati continuano ad
arrivare da anni e allora non si capisce, ormai, dove stia l'emergenza. Al Terzo settore dico che bisogna fare
attenzione perché dietro il grande merito c'è un meccanismo di speculatori. Su questo punto bisogna andare
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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«Ci sono corruzione e intimidazione»
07/12/2014
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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avanti con coraggio: fare controlli su tutti per salvare i soggetti sani.
Lei ha detto che avrebbe mandato a Roma una task force per verificare gli appalti.
Non c'è nessuna task force. Ho risposto a una sollecitazione del sindaco Ignazio Marino il quale mi aveva
segnalato che ci potevano essere gare sospette. Ho risposto che faremo le verifiche del caso e se ci sono le
condizioni procederemo con i commissariamenti.
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Foto:
Anticorruzione. Il presidente dell'autorità, Raffaele Cantone
07/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 15
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Adesso i territori delusi dalla politica cercano nuove radici
LE TENSIONI LOCALI I conflitti si creano dai luoghi di prossimità e dai bisogni più elementari come la casa
LO SPAESAMENTO Il malessere è ormai diffuso e trasversale: al momento del voto si sceglie di far parlare
l'astensionismo
di Aldo Bonomi
Gli analisti politici, a fronte del dilagare delle astensioni alle recenti elezioni regionali e al raffreddarsi dei
gazebo alle primarie del PD (soprattutto nel Nordest), hanno sentenziato che è finita la fase della politica
legata al territorio. Per molti siamo di fronte alla fine della retorica federalista e della devolution verso le
Regioni del Titolo V. Tendenza fiutata anche da Salvini che non parte più dalla filosofia del Cattaneo o del più
prossimo Miglio ma punta sul nazional-populismo da rinserramento contro migranti ed Europa. Eppure, da
analista territoriale dei microcosmi, mi tocca certificare che c'è fibrillazione sui territori.
Quasi ci si stia spostando dalla lotta di classe per appartenenze a conflitti che partono dai luoghi di
prossimità, da bisogni elementari come la casa che fibrillano le periferie, dallo spazio di posizione territoriale
rispetto ai flussi che vengono dall'alto, dallo Stato centrale, dall'Europa, dal capitalismo delle reti.
È, come vedremo, il ridisegnarsi delle terre di mezzo. Che, per essere chiaro, sono ben altro dal "mondo di
mezzo" apparso alle cronache del malaffare romano. Il quale, a mio parere, dilaga proprio perché siamo in
presenza di un eclissi di quella società di mezzo che rimandava alla capacità di canalizzare gli interessi e le
passioni attraverso le parti sociali o la forma partito in dialogo con le politiche. La delegittimazione della
società di mezzo e delle passioni è a rischio di farci ritrovare le bande del malaffare. Abbiamo abolito
province e ragionato sulle regioni come orpello con un furore tutto verticale che rimanda alla Commissione e
alla troika con lo Stato centrale come unico interlocutore, sulle aree metropolitane come polarità territoriali e i
comuni che stanno nell'orizzontalità territoriale, ai quali rimane la coperta stretta del welfare e l'aumento della
povertà nella crisi.
Per non sembrare un nostalgico retore del non più, non mi sfuggono i limiti e la crisi profonda delle forze
sociali e delle istituzioni della società di mezzo che abbiamo ereditato dal tardo '900. Segnalo che le
fibrillazioni territoriali, del non ancora, si stanno spostando dalla ricerca della terra promessa, fosse il
federalismo o l'Europa dell'Euro, alla terra di mezzo come spazio di resilienza del nuovo secolo. Elenco
pacatamente ciò che vedo andando per microcosmi. Tra Sassuolo e Maranello, dieci comuni di due ex
province Reggio-Modena, e di due distretti in metamorfosi, piastrelle e meccatronica, ragionano su come
sviluppare la città-distretto. Che forse andava pensata e programmata prima, essendo che, guardando i
numeri delle piastrelle, siamo scivolati al 6. posto della classifica globale dei produttori, anche se per fortuna
temiamo ancora il terzo posto globale nell'export.
E, per fermarsi al marchio Ferrari, che va benissimo, ci si interroga localmente se anche il grande marchio
volerà verso la Borsa di New York. Giustamente i dieci comuni si interrogano come, a fronte di questa
metamorfosi delle economie locali, si possa fare comunque città, essendo che i cittadini, a differenza delle
imprese, sono ben ancorati al territorio. Partendo dalla stazione Medio-padana di Reggio Emilia dell'alta
velocità, il Rotary, non Confindustria o i sindaci, ha recentemente convocato una serata sull'identità mediopadana, definita terra di mezzo con i suoi 2,5 milioni di abitanti che stanno tra l'area metropolitana di Milano
(3,5 mln) e quella di Bologna (1,5 Mln). C'erano industriali a forte export, Università, sindaci dell'asse padano
che ragionavano del futuro socioeconomico e industriale del loro territorio. Sussurri territoriali che
attraversano anche l'asse pedemontano lombardo, dove le città medie che fanno corona alla costituenda
area metropolitana si chiedono se avranno a che fare con una città-regione, una città globale o una città
anseatica e quale ruolo avrà la Regione nella governance dello spazio territoriale. Non è che le cose vadano
meglio nella costituenda area metropolitana in formazione.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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MICROCOSMI LE TRACCE E I SOGGETTI ...
07/12/2014
Il Sole 24 Ore
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Da Monza a Legnano, da Abbiategrasso a Trezzo d'Adda si ragiona sulle aree omogenee che verranno
disegnate, sul nuovo perimetro delle periferie della Milano di oggi e con quali risorse si disegneranno le reti
leggere di trasporto, del welfare metropolitano e della smart city che verrà. Spostandosi nel Nord Est il
racconto non cambia. Dal distretto di Montebelluna ai comuni consorziati a Trebaseleghe nel padovano
serpeggia l'idea di città-distretto. L'università di Padova con il suo progetto M.A.S.TER (Mediatori e Animatori
per lo Sviluppo del Territorio) da tempo lavora con i sindaci della città infinita veneta, spalmata sull'asse
pedemontano sul suo rapporto con l'area metropolitana di Venezia sempre più parco a tema globale.
Non vi è dubbio che le regioni sono troppo grandi per le fibrillazioni delle città distretto o delle "terre alte", oggi
non più margine ma centro per ambiente, acqua e attraversamento delle reti, e troppo piccole per aree
metropolitane che sono nodi globali. Non è un caso che proprio partendo dal territorio, e non dal ciclo del
fordismo disegnato dalla Fondazione Agnelli, la Società geografica italiana ha ridisegnato una mappa che è
una utile provocazione per le funzioni delle regioni. Che sono, anche loro, in fibrillazione guardando allo
spazio europeo delle macroregioni promosse dall'Europa che ne ha già approvate tre: quella Baltica, quella
Danubiana e la Macroregione Adriatico Ionica. In settimana si è tenuto a Milano il forum della Macroregione
Alpina officiata, in nome delle reti europee, da Chiamparino e Maroni. C'era un clima altro dal referendum
scozzese o catalano, che comunque sempre al malessere territoriale rimandano. Si potrà dire, da questo
breve racconto delle fibrillazioni territoriali del Nord, che così si è evoluta ed è cambiata quella che nel '900
abbiamo denominato come la "questione settentrionale" del nostro Paese. Il territorio non vola più nello
spazio della politica e sceglie di votare con i piedi, più che con la voce, facendo esodo con l'astensione.
Ricordandoci che anche così è caduto il muro di Berlino. Il tutto ci segnala uno spaesamento rispetto ai
partiti,ma soprattutto un bisogno di nuovo radicamento. Continuiamo a guardare il territorio e le sue
fibrillazioni perché, come ci ha insegnato Simone Weil, «chi è sradicato, sradica».
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07/12/2014
Il Sole 24 Ore - Nova 24
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Una politica per la ricerca
L'agenzia unica proposta presuppone la soluzione dei nodi di governance
Carlo Rizzuto
aPochi mesi fa il premier Matteo Renzi aveva proposto una serie di punti per la riforma dello Stato tra cui, per
la ricerca, si indicava una «riorganizzazione strategica della ricerca pubblica, aggregando gli oltre venti enti
che svolgono funzioni simili, per dare vita a centri di eccellenza». Recentemente la Commissione cultura del
Senato ha adottato una risoluzione, basata anche su molte audizioni di attori della ricerca, che propone il
trasferimento della ricerca pubblica, ora sparsa tra vari ministeri, sotto la Presidenza del consiglio, con la
costituzione di una Agenzia che gestisca i finanziamenti con criteri basati sulla qualità. Ci si può quindi
aspettare una nuova stagione di "riforme" che, come una specie di "global warming", potrebbe portare sia
una fresca pioggia che, come nel recente passato, una alluvione (sono in Liguria e ho spalato fango anche
oggi).
Per capire se questa riforma potrà essere positiva conviene vedere le maggiori differenze tra enti di ricerca
italiani e quelli dei Paesi in cui la ricerca funziona meglio sia nel produrre nuova conoscenza sia nel metterla
a disposizione della società. Senza dubbio, in Italia vi sono due rigidità tra loro collegate: una istituzionale e
una nella gestione del personale. Entrambe emergono chiaramente nell'indagine del Senato ed entrambe
sono legate al fatto che gli enti di ricerca sono regolati come tutti gli altri enti pubblici, con una sovrastruttura
"duale" che separa la responsabilità amministrativa da quella scientifica, e con personale inquadrato in
"quadri organici" rigidi e con procedure garantiste anziché elitarie e competitive.
La ricerca sotto la Presidenza del consiglio risolve queste rigidità? Un "ente pubblico" può avere, nella
Presidenza, le flessibilità che hanno, ad esempio, il Max Planck tedesco o il Fom olandese? I sistemi di
ricerca di successo sono organizzati a rete, con centri in cui la piena responsabilità è dei manager scientifici e
in cui il personale viene attratto dalle condizioni di lavoro (come avviene per un crescente numero di italiani...
fuori dall'Italia).
Gli enti di ricerca italiani sono sottoposti a un malinteso "controllo strategico" da parte dell'amministrazione
dello Stato (e qualche volta della politica). Anche senza citare la presidenza del Cnr del generale Badoglio, è
utile ricordare che nel Cnen (ora Enea), nell'Istituto superiore di sanità e nel Cnr, in particolare dopo i casi
Ippolito e Marotta (ma anche molto recentemente), si sono avuti direttori generali o commissari (legati o vicini
ai servizi segreti) che hanno costruito amministrazioni orientate più al controllo che al supporto della ricerca,
con strutture rigide del personale che possono, in qualunque momento, bloccare l'attività, controllando
acquisti, viaggi e carriere.
Per gli stessi motivi, si è avuta la dissoluzione dell'Istituto nazionale di fisica della materia e il tentativo di
mettere sotto controllo politico Elettra, quando entrambi, con una gestione scientifica e una continua
valutazione di livello europeo, hanno raggiunto la capacità di competere fuori dai confini della penisola.
Vi è, quindi, un "problema a monte" che va affrontato, e cioè lo spostamento del l'intero comparto della
ricerca fuori dal recinto rigido dell'amministrazione pubblica, con il criterio anglosassone (ma applicato in tutti i
Paesi avanzati) dell'"arm's length" tra politica e ricerca.
Come sviluppare questo spostamento? Se si vuole che la ricerca contribuisca al l'innovazione e alla
competitività del Paese si può cogliere l'occasione che viene offerta dalla recente partenza di nuovi enti
europei: reti di eccellenza come gli Eric (European research infrastructure consortia) alleggeriscono gli
apparati amministrativi in favore di direzioni scientifiche efficaci (senza smantellare le eccellenze che esistono
tra le istituzioni di minori dimensioni) e offrono un ruolo di coordinamento improntato a competizione,
condivisione dei saperi e rappresentanza di livello internazionale.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Riforme |Modelli|Proposte |
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Foto: Eccellenze. I sistemi di successo nella ricerca, come il Max Planck Institut, sono organizzati a rete, con
responsabilità di manager scientifici
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
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Chance in Albania per le nostre Pmi
Vittorio Da Rold
Energia e turismo sono i settori nei quali le nostre imprese possono fare affari in Albania.
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Il 44% dell'interscambio albanese si svolge con l'Italia, il 9% con la Grecia e il 5% con la Spagna. L'Italia ha
questo primato grazie anche alla presenza di ben 1.460 aziende tricolori che operano in Albania. Ci sono
molti terzisti per tessile, calzaturiero e parte dei circa 15mila addetti ai call center a ingrossare le cifre di
questi flussi attratti soprattutto dal basso costo del lavoro, che arriva a 150-200 euro di salario medio al mese.
Un addetto ai call center, per citare un esempio per tutti, può guadagnare 1,40 euro all'ora. Costi
decisamente competitivi, visto che non è difficile trovare personale che sappia parlare anche quattro lingue,
tra cui l'italiano, che è molto diffuso. Da ultimo si è aggiunta anche Agon Channel, di Francesco Becchetti, la
prima tv italiana visibile sul canale 33 del digitale, che produce i suoi programmi negli studi di Tirana.
Ma ci sono altri settori da esplorare, oltre a quelli tradizionali, per i nostri imprenditori come l'idroelettrico, i
giacimenti di petrolio e gas e lo sfruttamento turistico dei 400 chilometri di costa ancora incontaminata e a
tratti selvaggia.
«Ci sono almeno mille Megawatt di potenza ancora da realizzare in Albania rispetto ai 1.500 esistenti, grazie
all'abbondanza delle acque e dei dislivelli che permettono di sfruttarne le cascate per la produzione di energia
idroelettrica. Il Paese è secondo solo alla Norvegia in Europa per questa abbondanza e ricchezza
morfologica -afferma Giordano Gorini, amministratore di Essegei del Gruppo Camuna Idroelettrica, primo
produttore privato di energia idroelettrica nel Paese delle "due Aquile" -. Naturalmente ci sono anche dei
problemi, come il fatto che il Governo ci paga a nove mesi anziché a 30 giorni».
Comunque la svolta sarebbe rappresentata dall'interconnessione elettrica del Paese con l'estero, come
previsto dal progetto di posa di un cavo sottomarino che unisca il Montenegro con l'Italia, a cui sta pensando
Terna.
L'Albania ha significative riserve di petrolio e gas sia a terra sia nel mare. L'attuale attività di estrazione del
petrolio si concentra soprattutto nei distretti di Berat e Fier, dove è attiva una grande raffineria (Ballsh) che
garantisce ogni anno circa 500mila tonnellate di petroli. La canadese Bankers Petroleum, nella zona di Patos
Marinza, vicino a Fier, ha una licenza di sfruttamento di 25 anni e detiene i diritti per i giacimenti di Kucova.
La società ha investito 1,4 miliardi di dollari ed è il principale investitore straniero dell'Albania. Un altro
operatore già presente è sempre una società canadese, la Stream Oil&Gas. Verrà lanciata nei prossimi mesi
la gara per la privatizzazione della società di estrazione Albpetrol, al 100% di proprietà pubblica.
Un'occasione da non trascurare, vista la vicinanza dell'Albania.
Infine, il turismo che vede 400 chilomteri di costa ancora tutta da sfruttare, con acque pulite e incontaminate.
Il governo di centro-sinistra guidato dal giovane e dinamico premier Edi Rama vuole attrarre nuovi
investimenti internazionali realizzando una serie di riforme che mettano al passo il Paese con gli standard
europei.
«Il Paese va visto anche come un ponte sui Balcani, una base per raggiungere mercati verso est da 25
milioni di abitanti», spiega Daniele Scavaortz, da sette mesi alla guida della Veneto Banka, del gruppo
Veneto Banca, presente in Albania dal 2009 con 120 milioni di impeghi e 16 filiali. L'altra banca italiana molto
attiva nel Paese è Intesa Sanpaolo, al terzo posto nel mercato dopo la turca Bkt e l'austrica Raiffeissen.
L'Albania ha registrato tassi di crescita economica intorno al 6% annui tra il 2004 e il 2008, accompagnati da
una rapida riduzione della povertà. La prima fase della crisi finanziaria del 2008-2009 è stata superata
relativamente bene, con la crescita ancora intorno al 3%, ma l'esplosione della crisi dei Paesi periferici
europei, in particolare in Italia e Grecia, ha avuto effetti molto pesanti soprattutto sulle rimesse degli emigranti
(prima della crisi pari al 12-15% del Pil), riducendo ancora il ritmo dell'espansione, cui si è aggiunta l'esigenza
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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MONDO& MERCATI . MEDITERRANEO
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di tenere sotto più stretto controllo i conti pubblici. Oggi le stime dell'Fmi sono di una crescita del 2,1% nel
2014 e del 3,3% nel 2015.
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44%
Quota dell'interscambio commerciale con l'Italia
Foto:
A caccia di oro nero. Un giacimento petrolifero nell'area di Barat
nel Sud del Paese
08/12/2014
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Tessile e alimentare, distretti al femminile
Francesca Barbieri
Un'impresa su quattro è capitanata da una donna e il valore aggiunto totale prodotto ammonta a 280 miliardi
di euro l'anno. La media però nasconde risultati diversi a seconda dei settori. Dall'indagine di Red-Sintesi sul
oltre 70 distretti emerge che roccaforti femminili sono il tessile, dove le quote rosa superano il 44%, il settore
di pelli e calzature al 32% e quello alimentare al 29 per cento.
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Sono il distretto dell'abbigliamento della Valle del Liri, nel Lazio, e quello tessile della Maiella, in Abruzzo, i
due "fortini" dell'imprenditoria femminile: qui le donne al timone delle aziende superano gli uomini con
un'incidenza percentuale del 56,3% e del 52,8 per cento.
Le quote rosa sono "pesanti" anche in altri comparti: si arriva al 40% tra i produttori di pelli, cuoio e calzature
del Valdarno Superiore (Toscana) e al 37% nell'agroindustria di San Benedetto del Tronto (Marche).
E l'avanzata si registra anche in realtà più maschili, come il mobile della Brianza, la sedia del Friuli, la
metalmeccanica ed elettronica del Lecchese e Canavese (si veda l'infografica a lato). In Basilicata i due
distretti dell'agroalimentare sono roccaforti femminili e in Campania si distinguono cinque aree con un peso
delle donne superiore alla media nazionale, che nel settore manifatturiero è pari al 24%. In generale, poi, le
"capitane d'azienda" originano un valore aggiunto annuo di 280 miliardi di euro (dato ottenuto in base al
numero di imprese femminili totali al 30 settembre 2014).
I risultati emergono dal report realizzato dal centro studi Red-Sintesi per Il Sole 24 Ore su oltre 70 distretti
produttivi in tutto il territorio nazionale. Utilizzando la banca dati di Infocamere aggiornata al terzo trimestre
2014, sono state analizzate, per genere, le persone fisiche titolari di cariche nelle imprese attive registrate
alle Camere di commercio.
Nel complesso, su un arco di 5 anni, si evidenzia una maggiore presenza di donne tra i soci: sono il 38% del
totale, in crescita dell'1,1% rispetto al 2009.
Raggruppando i distretti per settore, a "vincere" sono tessile e abbigliamento (quote rosa al 44%),
confezionamento di pelli e calzature (32%), industria agroalimentare (29%).
Sul territorio, invece, a dominare sono Toscana e Veneto, mentre il Sud "batte" il Nord nell'agroalimentare: in
particolare nei distretti del Vulture e del Metapontino (Basilicata) il peso femminile è in aumento.
«Le quote rosa - spiega Catia Ventura, ricercatrice di Red - aumentano anche nei distretti produttivi di Parma
e del San Daniele, in Friuli, nonostante la recessione abbia lasciato segni pesanti. Nell'area veneta del
prosecco di Valdobbiadene e Conegliano, invece, malgrado la bassa incidenza della componente femminile,
il trend degli ultimi anni è positivo (+14,5%, ndr)».
La crisi ha penalizzato anche il settore dell'abbigliamento, ma le donne si sono difese meglio degli uomini. Ne
sono un esempio la realtà di Prato, il tessile abbigliamento di Santa Croce sull'Arno e di Casentino-Val
Tiberina, dove a lievi cali delle imprenditrici hanno corrisposto maggiori default tra gli uomini.
La stessa situazione si registra nei distretti del settore calzaturiero: le donne resistono nel Valdarno Superiore
e a San Mauro Pascoli (Emilia-Romagna), dove si sono verificati piccoli incrementi contro la diminuzione dei
maschi, trend che stanno alimentando l'effetto "sostituzione".
Nel mobile la maggior presenza femminile è nel distretto friulano della sedia (22,8%), mentre il settore della
meccanica e dell'elettronica - malgrado sia storicamente "dominato" dai maschi -, ha quote rosa importanti
nel Canavese e nella metalmeccanica del Lecchese (intorno al 22%).
Tra le altre manifatture si segnala il settore orafo ad Arezzo e a Valenza, dove è sempre più ampia la platea
di donne al comando.
Situazione opposta nell'occhialeria di Belluno: si sono persi due punti in percentuale e la contrazione delle
imprenditrici è stata più pesante.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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IMPRESA& TERRITORI . MANAGER
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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«In generale - conclude Lorraine Berton, presidente della sezione occhialeria di Confindustria Belluno
Dolomiti - l'imprenditoria femminile nel nostro territorio mostra segnali contrastanti, con una decisa crescita tra
il 2003 al 2005, seguita da un declino sino al 2010 e da una nuova inversione di tendenza a partire dal 2011».
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© RIPRODUZIONE RISERVATA FOCUS SUI SETTORI SUL TERRITORIO Imprenditori per genere e
tipologia di attività manifatturiera per incidenza donne sul totale. III trim 2014 Dove conta di più l'imprenditoria
femminile nei distretti per settore. III trimestre 2014. In % Numero di imprenditori donne Fonte: elaborazioni
Red-Sintesi su Osservatorio nazionale Unioncamere e Infocamere Tessile ed abbigliamento 42.632 44,10%
Pelli e calzature 10.934 32,00% Industria alimentare e bevande 34.832 29,10% Carta-Gomma-Plastica
24.544 25,10% Altre industrie 13.572 23,20% Lavorazione prodotti minerali 10.147 21,10% Meccanica Elettronica 58.793 18,90% Legno e mobili 15.473 16,20% Veicoli e mezzi di trasporto 9.591 15,30%
Incidenza donne in % Valli bresciane 22,6 20,1 21,8 23,4 24,6 26,0 47,2 52,8 56,3 24,3 20,8 22,5 40,1 38,1
36,4 35,0 32,4 37,0 Lecco Canavese Piemonte Nord Orietale Belluno Arezzo Carpi Maiella Valle del Liri
Sassuolo Civita Castellana Tiburtina Valdarno superiore San Mauro Pascoli Solofra Metapontino Vulture S.
Benedetto del Tronto Orafo, occhiali, rubinetteria Agroalimentare Tessile e abbigliamento Lavorazione prod.
minerali Meccanica - Elettronica Pelli e calzature MEDIA NAZIONALE 23,9% 22,1% 220.559 CARICHE
Donne sul totale dei imprenditrici titolari di impresa 37,8% Donne sul totale dei soci 21,5% Donne sul totale
degli amministratori
Foto:
La fotografia
L'imprenditoria femminile nei principali settori della manifattura italiana e nei distretti del made in Italy
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
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Se la crisi manda in tilt indicatori e statistiche
Fabrizio Galimberti
«Bugie, dannate bugie e statistiche!», sembra aver esclamato un giorno un primo ministro inglese
dell'Ottocento, Benjamin Disraeli. Non si sa che cosa avesse occasionato quell'autorevole intemerata, ma si
sa che la diffidenza verso le statistiche si ritrova spesso anche nel resto della popolazione, allora come
adesso. Forse la più accesa e recente diffidenza - una diffidenza che nessuna pacata ricerca è riuscita a
dissipare - sta negli effetti dell'euro sul livello dei prezzi in Italia. Eppure di statistiche - autorevoli e
indipendenti - c'è un disperato bisogno. Parafrasando quello che scrisse Keynes a proposito del ruolo
dell'economista (in una simpatica letterina alla moglie Lydia Lopokova): «In questo mondo moderno e
sovrapopolato, che può continuare a vivere solo con sottili aggiustamenti, [lo statistico] non è solo utile ma
necessario».
Ma il disorientamento di questi mesi è più complesso. Da una parte c'è una discrasia fra diversi dati,
quantitativi e qualitativi, sull'andamento dell'economia; una discrasia che esamineremo più avanti. Dall'altro
lato, ci sono equivoci e confusioni nei modi di calcolare e comunicare le statistiche: ultimo inciampo, quello
relativo ai due comunicati, il 28 novembre, dei dati sul mercato del lavoro: da un lato, l'aumento dei
disoccupati e la diminuzione degli occupati nei dati Istat; dall'altro lato, la creazione, nell'ultimo anno, di due
milioni e mezzo di posti di lavoro secondo i dati del ministero del Lavoro. Le due comunicazioni, anche se
riferite allo stesso periodo (gli ultimi 12 mesi) non sono incompatibili (il dato Istat comprende anche i lavoratori
autonomi), e Claudio Tucci, sul Sole 24 Ore del 29 novembre, ne ha fatto un'attenta analisi. Ma non vi è
dubbio che il lettore comune si trova disorientato quando nello stesso giorno due dati statistici sembrano dare
letture diverse del mercato del lavoro.
C'è bisogno di più "educazione statistica", certamente. Ma bisogna anche ricordare che oggi come oggi la vita
è difficile per gli statistici. Perché i dati siano significativi c'è bisogno di una certa continuità nel panorama di
fondo di un'economia.
Di solito i dati non sono censuari, a parte quelli, appunto, del censimento. Cioè a dire, sono dati raccolti da
campioni che vengono costruti al tempo X secondo tecniche che li rendono rappresentativi dell'universo di
riferimento. Ma se al tempo Y la struttura dell'economia comincia a cambiare, quei dati rischiano di non
essere più rappresentativi. Il problema non è solo quello di una fotografia che non riesce a catturare la
cinematografia.
Continua pagina 10
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C'è anche il problema di quali variabili vengono calcolate e quali non vengono calcolate. Sir Frank Holmes, un
economista neozelandese, scrisse: «Le statistiche economiche sono come i bikini; quello che rivelano è
importante, ma quello che nascondono è vitale». La battuta scherzosa ha una morale, specie in tempi, come
quelli che stiamo vivendo, di forti cambiamenti strutturali: le statistiche viaggiano guardando nello specchietto
retrovisore, mentre il panorama che si ha accanto sta cambiando.
L'economia italiana ha subìto l'urto della più grave lacerazione degli ultimi ottant'anni, aggravata poi dalla crisi
da debiti sovrani e dalle costrizioni di una austerità fine a se stessa. Sarebbe da meravigliarsi se questi urti
non avessero forzato cambiamenti profondi nel tessuto produttivo e sociale della nazione. Da questi
cambiamenti ha origine una discrasia illustrata nel grafico a fianco. Vengono riportati gli andamenti di nove
variabili, dall'inizio del 2013 a oggi; quattro di queste sono variabili "reali": produzione industriale, Pil reale,
fatturato reale, vendite di auto; e cinque sono variabili "qualitative", cioè basate su inchieste e giudizi:
superindice Ue, superindice Ocse, indice Pmi (media ponderata di manifatturiero e servizi), indici di fiducia
delle famiglie e di fiducia delle imprese. In un'economia "ben temperata" queste variabili dovrebbero andare
di conserva. Ma, come si vede, non c'è nessuna "conserva": in genere, le variabili qualitative danno
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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I NUMERI DELL'ECONOMIA
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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indicazioni più positive di quelle "quantitative". E le prime, in linea teorica, dovrebbero essere più pronte a
catturare i mutamenti nella struttura dell'economia. I dati statistici continuano a essere utili e indispensabili,
ma è bene tenere sotto controllo, nel cruscotto della congiuntura, più variabili di quelle che siamo soliti
seguire.
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© RIPRODUZIONE RISERVATA Fabrizio Galimberti Fonte: elaborazione del Sole 24 Ore su dati Istat,
Markit, Ocse, Ue 120 115 110 105 100 95 Gennaio 2013 Ultimo dato Produzione Indice Pmi Fiducia imprese
Fiducia famiglie Superindice Ocse Superindice Ue Fatturato reale Pil Vendite auto Statistiche a ventaglio
Foto:
Statistiche a ventaglio
Gennaio 2013 = 100
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La disclosure punta anche all'Italia
Si possono regolarizzare contanti, preziosi, immobili e altri beni «domestici»
Valerio Vallefuoco
Voluntary disclosure non solo dai paradisi fiscali. La legge sull'emersione e il rientro dei capitali dall'estero
appena approvata dal Parlamento prevede anche una procedura per sanare l'evasione di redditi con cui sono
stati formati capitali non esportati oltreconfine. L'emersione riguarda contanti (anche detenuti nelle cassette di
sicurezza) immobili «fantasma», beni ereditati e non riportati in successione. L'adeguamento in ambito
nazionale può completare l'iter per il rientro dall'estero.
pagina 5
La legge sull'emersione e il rientro dei capitali dall'estero approvata dal Parlamento la scorsa settimana (la
voluntary disclosure) prevede anche una procedura di collaborazione volontaria «nazionale».
C'è la possibilità di sanare, con la nuova procedura, anche l'evasione di redditi con cui siano stati formati
capitali non esportati all'estero: ad esempio, quelli detenuti nelle cassette di sicurezza.
Le riflessioni che sin da subito devono fare i contribuenti e i loro consulenti che vogliono far emergere delle
attività non dichiarate in Italia sono le reali motivazioni sottese all'uso del nuovo strumento.
Innanzitutto, se lo stesso contribuente ha deciso di aderire alla procedura di rientro dei capitali dall'estero,
deve valutare il pericolo di decadere dagli effetti favorevoli della voluntary disclosure. La normativa prevede
infatti - anche se non manca qualche opinione diversa - che la collaborazione sia completa; quindi, in caso di
successivo accertamento, il contribuente potrebbe subire la revoca e il disconoscimento degli effetti favorevoli
della procedura già azionata per i capitali all'estero che ormai però ha dichiarato.
Non mancherà infatti qualche soggetto che, nel clima di incertezza precedente all'approvazione della nuova
norma sul rientro dei capitali, avrà prelevato ingenti somme dal suo conto corrente estero nell'errata
convinzione che la chiusura del conto o i prelievi non siano poi riportati a tassazione una volta scoperti
dall'amministrazione.
Peraltro, proprio la collaborazione volontaria si presta a essere l'unico strumento lecito per sanare tali prelievi
magari detenuti in cassette di sicurezza o nelle case di questi contribuenti. Infatti, se i prelievi sono
compatibili con le somme da dichiarare, si potrà chiedere all'amministrazione di riconoscere che le somme
siano riconducibili ai capitali dichiarati.
Anche per le cassette di sicurezza detenute in Italia il cui contenuto non è stato dichiarato al momento della
successione ereditaria, questo strumento appare l'unico utilizzabile per evitare gravose sanzioni e la
sottoposizione a integrale tassazione ordinaria.
Si può ipotizzare anche l'utilizzo dello strumento per far emergere mobili e immobili non registrati (le
cosiddette case fantasma non registrate al catasto): questi beni possono infatti essere significativi di redditi
nascosti. Com'è noto, peraltro, l'uso del contante per pagamenti non può superare mille euro e ci sono
specifiche segnalazioni in caso di utilizzo anomalo e ripetuto nonché frazionato di contante per tutti gli
operatori commerciali, non solo per le banche. I mezzi di cui dispone l'Amministrazione finanziaria sono tali e
tanti che a oggi, più di qualche tempo fa, è impossibile pensare di sfuggire allo studio incrociato delle banche
dati di cui il Fisco dispone.
L'istituzione dell'archivio dei rapporti finanziari, come sezione dell'Anagrafe tributaria, con procedure
esclusivamente telematiche, rappresenta infatti un grande strumento di indagine per l'amministrazione, dal
momento che è ormai possibile confrontare le dichiarazioni dei contribuenti, anche passate, con i loro conti
correnti e con tutte le operazioni di acquisto, vendita e spese effettuate da loro, dai loro familiari e dai soggetti
da loro delegati.
Spesso, peraltro, prima della decadenza dell'ultimo anno di accertamento, partono richieste di informazioni e
giustificazione da parte del Fisco dalle quali scaturiscono accertamenti su tutte le annualità precedenti e sulle
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Dal provvedimento appena approvato un'opportunità per i contribuenti più a rischio di contestazioni
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
successive, perché si superano le soglie di rilevanza penale.
Anche il moltiplicarsi delle segnalazioni antiriciclaggio è un patrimonio informativo per l'amministrazione tale
da far scaturire numerosi accertamenti fiscali. Quindi, chi è consapevole che i movimenti dei propri conti
correnti, negli ultimi cinque anni, non sono coerenti con le dichiarazioni presentate, avrà un motivo in più per
riflettere sull'opportunità di aderire alla nuova procedura.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Pagina a cura di
Valerio Vallefuoco
I fondamentali
CHE COSA SI SANA E con quali EFFETTI
Si possono sanare redditi di ogni natura, esclusi quelli generati da reati non richiamati dalla legge sulla
voluntary disclosure. Chi aderisce alla voluntary nazionale prima di subire un accertamento non potrà essere
più punito per omessa o infedele dichiarazione, per una dichiarazione fraudolenta con uso di fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti, o per dichiarazione fraudolenta tramite altri artifici o per i reati
comunemente identificati come reati di frode fiscale e non risponderà di autoriciclaggio. Sono sanabili anche i
reati connessi di omesso versamento di Iva e ritenute certificate superiori a 50mila euro.
a chi bisogna rivolgersi
È opportuno rivolgersi a un professionista, perché è l'unico che gode del segreto professionale ed è idoneo a
valutare preliminarmente ogni singola fattispecie. Il professionista dovrà fare anche un'adeguata verifica
antiriciclaggio ma è esentato - al contrario di ogni altro operatore finanziario, bancario, assicurativo e
fiduciario - dall'effettuare la segnalazione di operazione sospetta
QUANTO COSTA L'ADESIONE
Visto che le situazioni contemplate dalla norma sono tra loro molto diversificate, è necessario ricorrere a un
professionista che possa valutare nel dettaglio la singola posizione.
Sarà necessario, infatti, pagare le imposte non prescritte e le sanzioni ridotte di un quarto e ulteriormente di
un sesto
entro quando si fa la disclosure
La domanda di voluntary disclosure, anche per una regolarizzazione nazionale, può essere presentata entro
il 30 settembre 2015. Al contribuente che non può accedere alla procedura di collaborazione volontaria,
poiché già sottoposto a controllo, resterebbe la possibilità di sanare almeno la propria posizione fiscale,
evitando il pagamento di pesanti sanzioni tributarie, con il nuovo ravvedimento operoso previsto dal Ddl di
Stabilità 2015
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La frenata del commercio: i negozi sfitti salgono del 16%
Pagina a cura di Michela Finizio
Le vetrine dei negozi, anche nelle più note vie dello shopping, continuano a spegnersi: rispetto al 2012 è
cresciuto del 16% il numero degli spazi sfitti, in cerca di un inquilino. Le unità commerciali da locare nelle
retail street in centro storico a Parma o Messina sono aumentate addirittura del 22 per cento.
Il fenomeno delle vetrine "spente" è una naturale conseguenza del crollo dei consumi che ha messo in
ginocchio molte attività: il saldo tra nuove imprese avviate e cancellazioni, tra il 2012 e il 2014, è negativo. Si
contano oltre 56.500 attività commerciali scomparse. Ecco perché gli immobili commerciali faticano a restare
occupati e i canoni di locazione segnano un meno 11% negli ultimi anni.
Servizio pagina 6
Non c'è black friday che tenga per risollevare il commercio. In attesa dei risultati del ponte dell'Immacolata,
mentre si moltiplicano gli inviti a tradurre all'italiana il noto "venerdì nero" che negli Stati Uniti dà l'avvio allo
shopping natalizio, la chiusura delle attività retail sta causando una nuova emergenza nei centri storici italiani.
Secondo Confesercenti i negozi sfitti hanno superato quota 600mila sul territorio nazionale. Oltre 40mila sono
gli spazi disponibili attualmente promossi su Immobiliare.it, il 16% in più rispetto al 2012. A Parma o a
Messina le unità commerciali in cerca di un inquilino sono aumentate addirittura del 22% in questi anni. Il
fenomeno delle vetrine "vuote o inattive" cresce man mano che si abbassano le saracinesche della vendita al
dettaglio.
La crisi dei consumi
A denunciare le chiusure degli esercizi commerciali è da sempre Confesercenti che, nel suo ultimo report
pubblicato lo scorso ottobre, ha registrato un saldo negativo - tra iscrizioni e cancellazioni - per 56.562 attività
in meno rispetto a due anni fa. Un trend che in passato è stato molto più accentuato (nel 2012 e 2013 ha
registrato la scomparsa rispettivamente di oltre 20mila e 18.600 attività) e nel 2014 accenna solo lievemente
a diminuire (-17.789 esercizi). Nel dettaglio, da inizio 2012 a oggi le vetrine che hanno dovuto chiudere i
battenti sono state più di 124mila, a fronte di circa 67.400 nuove realtà avviate. A soffrire maggiormente è il
segmento non alimentare (-106mila esercizi commerciali, contro i 17.931 del food).
Il mercato
Prendendo in esame le vie "commerciali" di maggior valore, Immobiliare.it ha registrato un crollo dei canoni di
locazione in tutti i grandi centri, a cui si devono aggiungere cifre sempre più significative legate alle "buone
uscite" o agli importi richiesti per l'ingresso nell'immobile. «Per la maggior parte dei retailer gli ultimi dodici
mesi sono stati caratterizzati da una revisione dei contratti di locazione, alla ricerca di condizioni più
vantaggiose», afferma Carlo Giordano, amministratore delegato del portale web di annunci immobiliari. Il
retail di vicinato soffre la crisi dei consumi delle famiglie: la spesa degli italiani è ai minimi da tre anni (-7%),
nonostante il piccolo recupero degli ultimi trimestri (in base ai dati Istat). Sul commercio al dettaglio pesa
sempre più anche il successo dei nuovi canali di vendita che prendono piede su internet: lo spazio fisico non
è più l'unico strumento per offrire prodotti e servizi. Per molte società si tratta di un'occasione per
razionalizzare il proprio patrimonio, riducendo la superficie di vendita e i costi di gestione, selezionando le
location. Per altri si tratta di riuscire a sopravvivere.
Il fenomeno
Ecco perché l'offerta di spazi da affittare - o messi in vendita in un secondo momento, per evitare l'eccessivo
peso di tasse e costi di gestione in assenza di inquilini interessati - è aumentata significativamente pressoché
ovunque. A Reggio Emilia e Bergamo i negozi da affittare sono aumentati di un quinto rispetto al 2012. Nelle
stesse città quelli messi in vendita sono lievitati rispettivamente del 10,8 e del6,3 per cento. «Il fenomeno ha
interessato perfino le vie principali delle grandi città, dove ciò non accadeva da oltre un decennio», aggiunge
Giordano. In corso Buenos Aires, una delle retail street più note di Milano, per 38 mq con magazzino nel
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
126
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Per i canoni di locazione ribassi dell'11%
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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2010 venivano richiesti in media 100mila euro di canone annuo e l'immobile non rimaneva sul mercato per
più di 45 giorni. Nel 2014, secondo i dati di Immobiliare.it, l'affitto è pari a 60mila euro e l'unità rimane non
locata per più di 45 giorni. Una dinamica simile si riscontra in via Condotti a Roma dove per 30mq con vetrina
quattro anni fa si chiedeva una cifra di ingresso pari a 160mila euro, oltre al canone annuo di 80mila euro;
oggi la buonuscita non viene più applicata e il canone è sceso a 72mila euro.
Prezzi in calo
La crisi si riflette anche sulle quotazioni: nelle principali vie dello shopping i canoni di locazione sono scesi
mediamente dell'11% e i prezzi di vendita del 14,2 per cento. In alcuni centri urbani la flessione è stata
contenuta, in particolare dove i proprietari più "rigidi" hanno preferito lasciare lo spazio sfitto in attesa di
condizioni di mercato migliori. Resistono meglio Perugia e Padova, dove gli spazi da affittare sono cresciuti
solo del 10 per cento. Oppure Venezia (+6,2%), location sempre più richiesta dove World Capital registra un
canone di locazione annuo di 4mila euro al mq (il più caro dopo Milano e Roma), in aumento dell'1,7%
nell'ultimo semestre.
© RIPRODUZIONE RISERVATA ROMAGNA LIGURIA LAZIO ABRUZZO MOLISE PUGLIA BASILICATA
CAMPANIA CALABRIA SICILIA SARDEGNA FRIULI VENEZIA GIULIA Torino 244 7,0% -16,9% Bergamo
414 6,3% -17,7% Verona 282 6,4% -14,0% Padova 251 4,7% -11,2% Venezia 499 6,7% -2,3% Bologna 359
8,8% -13,1% Modena 264 11,4% -5,3% Parma 202 6,0% -9,5% Reggio Emilia 226 10,8% -16,2% Firenze
318 6,0% -7,5% Catania 169 11,4% -8,8% Palermo 204 4,6% -13,4% Milano 528 4,4% -10,0% Perugia 193
9,1% -7,8% Pescara 223 5,8% -7,0% Roma 507 5,5% -8,9% Foggia 310 14,5% -5,6% Bari 204 8,8% -13,1%
Salerno 220 12,3% -14,2% Messina 242 9,7% -17,3% 19,4% BG 12,3% MI 14,0% TO 21,9% PR 16,8% MO
14,8% BO 19,7% RE 13,1% FI 8,0% PG 16,0% PE 13,0% RM 19,1% FG 16,8% BA 19,4% SA 16,6% PA
21,9% ME 15,5% CT 18,7% VR 8,3% PD VE NEGOZI DA AFFITTARE Unità commerciali in cerca di un
locatario nelle principali vie dello shopping delle grandi città italiane e le unità in vendita. Var. % 2014 sul
2012 Fonte: Elab. Su dati Confesercenti e Immobiliare.It
Foto:
La mappa del retail in crisi
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Dal petrolio al cotone, la discesa dei prezzi fa respirare l'industria
Bussi
Non solo petrolio. Anche i prezzi di altre materie prime essenziali hanno imboccato la via della discesa e
potrebbero portare un sospiro di sollievo per l'industria italiana in un momento di difficoltà. Secondo le stime
di Prometeia nel 2014 e 2015 il calo sarà a due cifre per i minerali di ferro, materia prima fondamentale per le
imprese siderurgiche. Buone notizie anche per la meccanica, grazie alle quotazioni degli acciai piani e lunghi.
Le aziende energivore potranno invece festeggiare, almeno sulla carta, il calo del prezzo dell'elettricità,
mentre il tessile dovrebbe trarre vantaggio dai costi di approvvigionamento ridotti di lana e cotone.
pagina 9
Non solo petrolio. Se la settimana scorsa le quotazioni dell'oro nero sono sprofondate al livello minimo degli
ultimi cinque anni, anche le altre materie prime essenziali per l'industria italiana archivieranno il 2014 con
quotazioni al ribasso. E per la maggior parte di esse il prezzo continuerà a scendere nel 2015. Una boccata di
ossigeno potenziale in tempi ancora difficili per i settori che le utilizzano. Lo rivelano le stime di Prometeia sui
prezzi medi annui in euro e lo confermano i dati elaborati dall'Ice: da gennaio ad agosto le importazioni
italiane di materie prime sono diminuite in valore dell'11% a quota 47,5 miliardi. «L'andamento delle materie
prime - sottolinea l'economista di Prometeia Federico Ferrari - risente di un quadro di consumi deboli a livello
globale sulla scia di un mix tra la frenata cinese e l'entrata a regime degli investimenti in nuove capacità
produttive (come lo shale oil negli Usa o i minerali di ferro) nei principali Paesi produttori. Il vantaggio sui costi
di approvvigionamento delle nostre imprese verrà però un po' attenuato dal rafforzamento del dollaro, che è
la valuta di scambio delle commodities». In un contesto di prezzi in calo l'unica eccezione sarà la cellulosa.
Secondo Prometeia il prezzo medio annuo del greggio in euro archivierà il 2014 in calo dell'8% e proseguirà
la discesa per arrivare a -17% il prossimo anno con il Brent sotto gli 80 dollari al barile. A festeggiare
saranno, oltre alle imprese energetiche, anche quelle della chimica, che si approvvigionano di derivati
petroliferi utilizzati come imput produttivi di base. L'andamento del petrolio avrà un effetto positivo per le
quotazioni di due materie prime «trasversali» per l'industria italiana: l'energia elettrica e il gas naturale. Il
prezzo nazionale all'ingrosso della prima dovrebbe scendere del 16% quest'anno, con un parziale recupero
nel 2015. Una buona notizia per il settore dei materiali da costruzione (vetro e cemento), caratterizzate da un
peso elevato dei costi dell'energia sul valore del prodotto finito, ma in generale su tutto il manifatturiero nel
suo complesso. Il vantaggio per il momento resta però solo teorico: «In Italia - spiega Ferrari - i prezzi
dell'energia elettrica per gli utenti industriali si mantengono su livelli molto più elevati rispetto alla media
europea, a causa di una fiscalità molto più penalizzante e al peso crescente degli oneri di sistema sulla
bolletta».
Quest'anno e il prossimo il calo delle quotazioni sarà a due cifre per i minerali di ferro, materia prima
fondamentale per l'industria siderurgica, con prezzi medi annui in euro che dovrebbero segnare -29% nel
2014 e -27% nel 2015. La materia prima, ingrediente dell'acciaio, viaggia ai minimi dal 2009, tanto che per
Goldman Sachs siamo arrivati alla «fine dell'età del ferro» (si veda Il Sole 24 Ore dell'11 settembre). Sempre
in calo, ma più contenuto, il prezzo dei rottami di ferro (-6% quest'anno e -12% il prossimo). «Il crollo dei
prezzi dei minerali di ferro - spiega il presidente di Federacciai Antonio Gozzi - porta benefici per le imprese
degli altiforni a ciclo integrale, mentre i rottami di ferro utilizzati dalla filiera del forno eletrico avranno un
vantaggio inferiore. Il calo delle quotazioni delle materie prime va però interpretato con cautela, perché non si
deve dimenticare che è lo specchio della crisi che stiamo vivendo. La diminuzione dei costi della materia
prima si traduce inoltre anche nella caduta del prodotto finito».
Segno negativo anche per il prezzo medio degli acciai piani (-8%) e di quelli lunghi (-6%) nel 2014, utilizzati
nell'industria meccanica. «Questo - dice Sandro Bonomi, presidente di Anima - dovrebbe consentire alle
imprese più accorte che hanno fatto una buona programmazione negli acquisti e hanno puntato sulla qualità
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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I benefici legati al trend delle materie prime
08/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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di migliorare i margini e migliorare la competitività».
L'industria della moda potrà invece contare su prezzi di approvvigionamento più bassi per cotone e lana. Le
quotazioni del primo avevano raggiunto in primavera i massimi da due anni a questa parte ma hanno poi
imboccato la strada del ribasso: secondo le stime di Prometeia il prezzo medio in euro scenderà quest'anno
del 9% e la caduta proseguirà nel 2015 con un calo del 14 per cento. Sarà invece più contenuta la
diminuzione del costo della lana. E dovrebbero archiviare l'anno con un calo medio del 22% i cereali. Per il
grano la flessione sarà del 15,3%, mentre il prezzo del mais registrerà una riduzione del 27,9 per cento. Per i
due cereali Prometeia stima con un timido recupero nel 2015, ma al di sotto della media storica recente. La
previsione sorprende però il presidente di Federalimentare Filippo Ferrua: «Per ora - dice - non vediamo
questo vantaggio, anche perché i costi di altre materie prime come il caffé e il cacao stanno salendo e
guardiamo con preoccupazione al rafforzamento del dollaro». Il settore alimentare sarà colpito anche
dall'aumento del costo della cellulosa, utilizzata per gli imballaggi. Secondo Prometeia il prezzo medio della
pasta per carta dovrebbe aumentare dell'8% quest'anno e del 4 il prossimo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Chiara Bussi L'IMPATTO SULL'INDUSTRIA ITALIANA L'impatto
dell'andamento delle principali materie prime sui settori industriali LE PREVISIONI La variazione percentuale
dei prezzi medi annui in euro nelle relative unità di riferimento Cereali Energia elettrica Petrolio Acciai piani
Acciai lunghi Minerali di ferro Rottami di ferro Cellulosa Cotone Lana Plastiche IMPATTO MATERIE PRIME
Nota: per l'energia elettrica si considera il prezzo nazionale all'ingrosso Fonte: Prometeia METALLURGIA
ENERGIA MECCANICA CHIMICA MATERIALI EDILI ALIMENTARE MODA LEGNO E CARTA Cereali
Cellulosa Metalli Plastica non ferrosi Gas naturale Alto Basso Medio 2014 2014 2014 2014 2014 2014 2014
2014 2014 2014 2014 -22 -16 -8 -8 -6 -29 -6 8 -9 -8 -3 -8 -2 -14 4 -12 -27 1 1 -17 8 5 2015 2015 2015 2015
2015 2015 2015 2015 2015 2015 2015 Cotone, lana Materie prime Petrolio siderurgiche Energia elettrica
47,5 miliardi Le importazioni Importazioni di materie prime da gennaio ad agosto secondo l'Ice
47,5 miliardi
Le importazioni
Importazioni di materie prime da gennaio ad agosto secondo l'Ice
Foto:
Lo scenario comparto per comparto
Quanto pesano le materie prime sui vari settori e le previsioni delle quotazioni per il 2014-2015
08/12/2014
Il Sole 24 Ore - Risparmio & famiglia
Pag. 11
(diffusione:334076, tiratura:405061)
L'investitore
saggio
Nell'anno compreso tra il 30 giugno 2013 e il 30 giugno 2014 le attività finanziarie detenute dalle famiglie
italiane e dagli enti senza scopo di lucro al servizio delle famiglie sono aumentate del 7,5%, da 3.751 miliardi
a 4.034 miliardi. Le passività sono rimaste praticamente invariate (da 922 a 916 miliardi di euro). Il saldo netto
dei flussi di nuove attività finanziarie negli ultimi cinque trimestri è stato pari a 40,9 miliardi. Quindi la gran
parte dell'incremento delle attività finanziarie è stata dovuta ai rendimenti degli investimenti (in particolare
concentrate nell'area del reddito fisso domestico, che ha alle spalle un biennio particolarmente felice).
Come conciliare il saldo positivo dei flussi con la congiuntura economica assai deludente? Difficile supporre
che gli afflussi siano attribuibili alla vendita di immobili o altre attività reali, a meno che non siano stati fatti tutti
a soggetti non residenti. Nel caso di cessione a un residente, infatti, l'effetto aggregato è neutrale perché
all'incasso di una famiglia corrisponde il deflusso (o l'aumento del debito) di un altro. Probabilmente, c'è un
effetto della ripresa della propensione al risparmio, magari dovuta proprio a una reazione precauzionale delle
famiglie alla crisi: secondo il sondaggio ACRI-Doxa pubblicato in occasione della Giornata del Risparmio,
negli ultimi due anni è aumentata dal 29% (minimo storico da quando viene effettuata la rilevazione) al 33%
la quota di famiglie che riescono a risparmiare.
Tutti da indagare invece sono i movimenti del considerevole sommerso, che in parte sono registrati nelle cifre
citate. Nonostante tutto, esiste ancora una imprecisata osmosi tra "nero" e circuito finanziario ufficiale, stante
il fatto che non tutti gli intermediari finanziari e i professionisti segnalano con il dovuto rigore i movimenti
anomali di contanti. Da valutare sono anche i casi riportati dalle cronache di scoperta da parte della GdF di
rimpatri di contanti alla frontiera con la Svizzera. Probabilmente si tratta di alcuni dei clienti con capitali non
dichiarati che vengono "espulsi" dalle banche elvetiche per via della stretta dell'antiriciclaggio internazionale.
@LieraMarco Marco Liera
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Se l'economia piange quando ride il risparmio
06/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 4
(diffusione:556325, tiratura:710716)
La poltrona ereditaria
SEBASTIANO MESSINA
CONFESSO di aver preso sempre con le pinze le analisi del Censis, che ogni anno ci raccontano come
siamo fatti. Sospettavo che fossero un po' romanzate, ecco.
Ieri ho dovuto ammettere che mi sbagliavo: ci prendono in pieno. Perché mentre il presidente del Censis,
Giuseppe De Rita, ci spiegava con dotte citazioni latine come gli italiani siano convinti che per farcela
«bisogna venire dalla famiglia giusta», accanto a lui sedeva la conferma vivente di questa teoria: il figlio
Giorgio, che pur essendo un ingegnere aeronautico era stato appena nominato segretario e direttore
generale del medesimo Censis.
Non una ma due poltrone, per il De Rita-bis. Quella di segretario l'ha ereditata dal celebre papà, quella di
direttore generale era stata occupata per vent'anni da un urbanista. Senza figli, dobbiamo presumere.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
>BONSAI
06/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Orfini: "Bloccare le tessere? Potrei chiudere i circoli
Giuntella punta il dito sui "metodi aberranti". "Si versavano 20 euro e si votava per il segretario"
TOMMASO CIRIACO
ROMA. C'è del marcio nel cuore della Capitale e anche il Pd romano ha smarrito l'anima. Va bene il
garantismo, ma stavolta i guanti di velluto restino pure nell'armadio.E se l'incubo prende la forma di
tesseramenti gonfiati, primarie stravolte, ras invisibili che scalano circoli, come si salva il partito capitolino dai
«cattivi» evocati da Marino? Con una cura choc, progetta il commissario Matteo Orfini. Allontanando i signori
delle tessere, resettando - se serve - anche un'intera sezione inquinata. Da quando la segreteria nazionale
l'ha nominato commissario dei democratici romani, Orfini gode di poteri pressoché assoluti. «Azzerare e
ricostruire», ripete il giovane turco che ha scalato il Nazareno. Facile a dirsi, si dirà. Ecco il piano: «Ho
bloccato tuttii congressi peri segretari di zona. Ho chiesto di conoscere i numeri del tesseramento del 2014,
circolo per circolo, anomalia per anomalia, e quelli dell'anno precedente. E inizieremo uno screening serio in
vista del tesseramento del 2015». Niente azzeramento delle tessere dell'anno in corso, in ogni caso, perché
tra un mese si riparte e c'è subito l'occasione di cambiare, promuovendo una rigida selezione all'ingresso:
«Se un circolo vive non di un'attività reale, ma solo di una filiera verticale di correnti che gestisce il potere,
non c'è problema: lo commissario, lo azzero in modo da mettere fine alla cancrena correntizia. Se riscontro
anomalie in un tesseramento, lo blocco». E come si smantellano, queste benedette correnti che sembrano
spuntate un po' per caso, sempre figlie di nessuno? «Più che una soluzione tecnica - sostiene Orfini - serve
la politica». Occhi aperti per misurare la vitalità delle sezioni, ad esempio: «Capire se stanno nella città,
proprio quando il Pd sembra essersi ritirato dai problemi di Roma». Nel frattempo, via libera a un nuovo
direttivo cittadino, senza badare neanche un istante al Cencelli per le mille anime del Pd.
I numeri, intanto, raccontano più semplicemente di un disastro annunciato. Un fiume di tessere - almeno 15
mila, 20 euro il costo dell'iscrizione - ha invaso Roma tra il 2012 e il 2013. Stessa scena quasi ovunque nel
resto d'Italia, a dire il vero, in concomitanza con i due congressi nazionali. Pacchetti di voti utili ad eleggere i
vertici dei circoli e della città. Poi il declino naturale nel 2014, 7 mila tessere conteggiate fino a settembre. In
questi dati si annida il marcio? «Per la segreteria di Roma - ricorda Tommaso Giuntella, sconfitto da Lionello
Cosentino ora dimissionario a causa dell'inchiesta - era possibile iscriversi fino all'ultimo.
Un metodo aberrante. Entravi nel Pd e un attimo dopo votavi, tanto che sentii qualcuno dire: "In fondo, sono
primarie a venti euro"». Per uscire dall'angolo ecco che torna la politica, il legame tra militante e sezione.
«Come risolvi il problema? È semplice - spiega Goffredo Bettini, dominus incontrastato della Roma
veltroniana - Quando uno chiede di iscriversi, il segretario di circolo gli fa un bel colloquio di un paio d'ore.
Capisci chi è, le sue motivazioni o se invece gli hanno dato venti euro solo per farlo votare a un congresso».
Dei mali del partito capitolino Bettini scrisse in tempi non sospetti: «Nel 2009, furono pagine profetiche: parlai
di correnti e gruppi che si combattevano per opportunismo e potere». E prima, quando il "modello Roma"
sembrava imbattibile? «Non era così, non c'erano correnti».
Di certo, c'è uno spettro molto ampio anche nella degenerazione di un tesseramento. «C'è un sistema
regolare. E poi c'è quello irregolare - ricorda Roberto Morassut - Funziona così: un signore si presenta, mette
sul tavolo mille euro e prende cinquanta tessere. Le paga lui e le regala». A volte basterebbe "pesare" i
numeri per intercettare ospiti indesiderati. Se in una sezione un candidato vince cento a zero, qualcosa non
ha funzionato. «Non è più un circolo del Pd - sospira Bettini - ma il circolo di un capobastone...».
Urgono contromisure, e pure in fretta. «Io permetterei di votare solo a chi è tesserato da almeno un anno»,
ragiona Giuntella. E per le primarie che si fa? «Si organizzano solo per scegliere i ruoli istituzionali
monocratici», ipotizza Bettini. Per i sindaci, i presidenti di Regione, il segretario regionale e nazionale. Lì le
tessere contano meno e il loro peso si scioglie nei grandi numeri. Così grandi che inquinare risulta quasi
impossibile.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
132
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IL RETROSCENA
06/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Le tribù si scatenano in campagna elettorale"
I circoli poveri chiudono, altrove a sostegno di alcuni sbucano i pacchetti di tessere da venti euro
PAOLO BOCCACCI
ROMA. Morassut, lei ha parlato di lotta tra tribù assetate di potere all'interno del Pd romano. Anche a costo di
farsi corrompere? «Si sapeva che dal 2008 al 2013 in Campidoglio si era installata una destra predona
dominata da un grumo di ex terroristi neri. Quanto al Pd la vicenda addolora, spero che le persone coinvolte
ne escano a testa alta, ma resta il giudizio politico».
Quale? «Una vita interna intossicata negli ultimi anni da una competizione di puro potere». Delle avvisaglie
c'erano state. Le minacce di Di Stefano di rivelare i segreti delle primarie truccate, la polemica sui rom portati
a votare in cambio di soldi, sempre alle primarie, a Tor Bella Monaca.
«Le affermazioni di Di Stefano sono emerse dalle intercettazioni che lo riguardano. Su Tor Bella Monaca vi
furono proteste e segnalazioni di tanti iscritti di quel municipio.
Proteste rimaste senza risposta, chi le ha sollevate ha rischiato l'espulsione».
Come si finanziano le tribù del Pd romano in lotta tra loro? «Storici circoli come quelli di Cinecittà, Torre
Maura o della Muratella, hanno dovuto chiudere perché non avevanoi soldi per affittoe telefono, ma nelle
campagne elettorali si vedono poi schieramenti di fuoco a sostegno di singoli candidati e nei congressi
sbucano pacchetti di tessere a venti euro a testa per persone di cui poi si smarrisce la presenza». Dunque si
tratta di persone pagate da qualche tribù? «Sicuramente credo che sul tesseramento di questi ultimi anni
vada fatto un setaccio più che vigoroso».
Come fare pulizia? «Via le tribù e ricostruiamo tutto con democrazia dal basso, tesseramento libero e
individuale, controllo delle spese elettorali, anagrafe patrimoniale di eletti e nominati e uscita dai cda delle
aziende partecipate».
Foto: CON VELTRONI Roberto Morassut, ex assessore
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'INTERVISTA/ ROBERTO MORASSUT, DEPUTATO DEM
06/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 16
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"Pizzarotti non creda di cambiare il Movimento Grillo resta il Garante"
Fico, membro del direttorio: "Fuori chi tira la corda Decidono Beppe e Casaleggio. Al Colle un super partes"
Nessuno vorrebbe le espulsioni, ma se entri nel Movimento che ha semplici regole non puoi far finta di niente
ANNALISA CUZZOCREA
ROMA. Quando sa di dover dare una risposta dura, Roberto Fico sorride. Le espulsioni? «Chiè stato
mandato via si era messo fuori da solo». Le aperture di Renzi: «Bluffa come sempre». Il passo indietro di
Grillo? «Resta il nostro garante». Quantoa Federico Pizzarottie alla kermesse di domenica a Parma, cerca di
disinnescarlo: «Di incontri autoconvocati se ne fanno a centinaia, dipende da quel che accade». Sono passati
quasi dieci anni, dal giorno in cui l'attuale presidente della Vigilanza Rai fondò uno dei primissimi meet up
italiani, a Napoli. Ora abita in un ufficio austero, al secondo piano di palazzo San Macuto, ma non vuole sentir
parlare di leader e direttori.
Non è quello che siete, un direttorio? «Una direzioneè qualcosa che ti trasforma in un partito, e noi non lo
siamo. Siamo un fluidificante per tutto il Movimento. Faciliteremo il dialogo tra il Parlamento e Grillo e
Casaleggio, ma anche quello coni meet up. Suggeriremo loro di parlare di temi, perché quando si sta sui temi
non si litiga». Come si è arrivati a questa scelta? «In dieci anni il Movimento è cresciuto in modo vorticoso.
Siamo passati da 0 a 2000 tra consiglieri, sindacie parlamentari. Tutto attraverso la Rete e senza
finanziamenti pubblici.È aumentata la complessità, e Beppe e Casaleggio ci hanno chiesto una mano». Cosa
vi ha detto Casaleggio giovedì? «Abbiamo buttato delle idee sul tavolo, è stata la prima riunione».
Verrete incontro a una richiesta dei "dissidenti", certificherete i voti sul blog? «Con i voti del blog i famosi
dissidenti sono diventati parlamentari. O ti fidi o non ti fidi. Comunque, stiamo lavorando affinché da gennaio
ci sia la certificazione di tutte le votazioni da parte di un ente terzo. Vogliamo migliorare tutti i nostri processi».
Grillo stavolta nonè venuto. Il suo passo indietro porterà a un totale disimpegno? «Grillo è e rimane in
assoluto il garante dei 5 stelle, ora è il Movimento a dover fare un passo avanti». Qualcuno vi ha chiesto di
fermare l'espulsione di Artini e Pinna. Perché non l'avete fatto? «I capigruppo hanno parlato con Beppee
Casaleggio, non stava a noi intervenire».
Pensa siano state un errore? «Nessuno vorrebbe mai vedere delle espulsioni, ma se entri in un Movimento
che ha poche e semplici regole - la prima delle quali è occuparsi dei problemi dei cittadini - non puoi far finta
di niente. Chi è stato cacciato aveva tirato troppo la corda, si era messo fuori da solo». Chi va all'incontro con
Pizzarotti rischia qualcosa? «Se a Parma si presenta lo statuto della città, un'esperienza che può essere utile
ad altri amministratori, non c'è niente di male. Se le cose stanno diversamente, lo vedremo. Nel Movimento il
modo è sostanza, non può essere cambiato neanche in nome di un obiettivo, altrimenti diventiamo come gli
altri».
Tratterete con Renzi su riforme e Quirinale? «Renzi bluffa, non vuole trattare su niente, le sue aperture sono
puro marketing».
Come crede si dovrà arrivare all'elezione del prossimo capo dello Stato? «Spero solo che si arrivi a un nome
il più distante possibile dalla cultura del nostro attuale presidente, che ha firmato senza battere ciglio la
riforma Fornero».
PER SAPERNE DI PIÙ www.beppegrillo.it www.partitodemocratico.it
Foto: DI MAIO E GLI ALTRI Beppe Grillo sul palco di "Italia a 5 Stelle", al Circo Massimo. Alle sue spalle Di
Maio e Di Battista
Foto: DEPUTATO M5S ROBERTO FICO
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'intervista
06/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 16
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"Da noi troppe ambiguità sul salvataggio di Azzollini"
Mentre a Roma si commissaria il partito, al Senato la maggioranza vota contro una richiesta dei magistrati
LIANA MILELLA
ROMA. Casson? Che succede nel Pd al Senato? Si vota per salvare gli inquisiti come Azzollini e Papania?
«Mi pare che qualcuno stia perdendo la testa. Avevamo cominciato bene questa legislatura non frapponendo
ostacoli ai giudici né per Berlusconi né per Verdini. Adesso invece, in maniera per me incomprensibile, la
maggioranza del Pd sta bloccando indagini della magistratura».
Intanto, come mai lei non era in aula? Più importante andare al Copasir? «Lì si sta svolgendo un'indagine
molto delicata sui rapporti tra Stato e criminalità che potrebbero riguardare anche la famosa trattativa Statomafia. Ogni documento va accuratamente approfondito. Per di più era già girata la notizia del salvataggio dei
due senatori».
Non è invece che non voleva, ancora una volta, essere contro la linea ufficiale del Pd? «È notorio che su
questo tema ero già in forte dissenso. Su legalità e trasparenza non ho certo intenzione di recedere».
Azzollini e la Cmc. Un voto per salvare lui o la potente cooperativa di Ravenna? «La risposta è indifferente,
perché il risultato non cambia».
E Papania? Perfino sul voto di scambio il Pd si scopre garantista? «Ricordo che già quando voleva
candidarsi per questa legislatura avevo ritenuto inaccettabile, per l'etica del Pd, la sua, come altre presenze
fortemente imbarazzanti».
Proprio nello ore dello scandalo di Roma che effetto le fanno questi due salvataggi? «Mi sembra un caso di
schizofrenia politica.
Sea Roma si opta per il commissario al Senato bisogna essere coerenti. Per di più in presenza di
comportamenti della magistratura del tutto legittimi». Pd, Forza Italiae Lega che votano assieme togliendo
prove alle indagini sono il segno che l'asticella della legalità si sta abbassando? «Ho proprio questo timore.
Ed è davvero un pessimo segnale. Il Paese, dal Partito democratico, si aspetta altri comportamenti».
Foto: elice Casson
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'INTERVISTA/ FELICE CASSON, SENATORE DEM
06/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 30
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A novembre 321 mila in più, il 2014 sarà anno record Dati positivi oltre le attese. Retribuzioni in aumento Il
maggiore potere d'acquisto delle famiglie americane può spingere ancora la ripresa L'America unica
locomotiva della crescita globale mentre Europa e Cina annaspano
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI
NEW YORK. Proprio mentre i venti dell'economia globale soffiano in senso contrario, l'America accelera la
creazione di posti di lavoro. Malgrado il dollaro forte, la caduta della domanda in Cina, la depressione
europea, il mercato del lavoro Usa ha generato 321.000 posti netti aggiuntivi nel solo mese di novembre.
E' una vera escalation, il ritmo delle assunzioni passa ad una velocità superiore dopo essere stato in media
di 220.000 posti mensili per l'ultimo anno. Per ritrovare un mercato del lavoro così dinamico bisogna risalire al
1999: un anno che sembra appartenere ad un'altra era geologica, e non solo perché chiudeva il millennio
scorso. Il 1999 era l'apice dell'ultima Età dell'Oro: chiudeva il secondo mandato di Bill Clinton durante il quale
si era raggiunto il pieno impiego; l'euforìa dominava sui mercati grazie anche alla New Economy, come venne
battezzata la prima rivoluzione di Internet.
Tra le buone notizie di ieri ce ne sono altre. E' stato rivisto al rialzo anche il dato di ottobre e settembre, che
ora risulta incrementato di altri 44.000 posti.E soprattutto c'è stato a novembre un aumento delle retribuzioni
dello 0,4%. Modesto, certo, ma pur sempre il doppio delle previsionie il quadruplo rispetto ad ottobre. Questo
segnala forse l'ingresso in una fase nuova.
La ripresa americana è ormai ben oltre il suo quinto anno consecutivo, e tuttavia è stata una ripresa
anomala, per certi aspetti "malata". Dapprima fu chiamata la jobless recovery (ripresa senza posti di lavoro)
perché la rianimazione dell'occupazione era stata molto lenta, i primi anni sembrava impossibile riassorbire gli
8 milioni di licenziamenti della recessione. Poi il ritmo delle assunzioni accelerò ma si parlò di una raiseless
recovery (ripresa senza aumenti di stipendio).
Quest'ultimo dato era preoccupante perché si è accentuato in questi cinque anni di crescita una stortura che
già aveva caratterizzato il modello di sviluppo americano pre-2007 e cioè l'allargamento delle diseguaglianze.
Ora però anche gli stipendi cominciano a rialzare la testa, e se questa tendenza dovesse confermarsi nel
2015, verrebbe meno la preoccupazione fondamentale della Federal Reserve: la stagnazione del potere
d'acquisto delle famiglie. Un dato come quello di ieri accentua la divaricazione tra gli Stati Uniti e il resto del
mondo, con implicazioni cruciali per le politiche monetarie delle banche centrali. L'America si conferma l'unica
locomotiva della crescita globale in una fase in cui gli altri due big - Cina ed Europa - sono rispettivamente in
rallentamento e in depressione. A questo punto la Federal Reserve sarà incoraggiata a tirarne le
conseguenze. Già si è conclusa quella terapia d'emergenza durata cinque anni e andata sotto il nome di
"quantitative easing" cioè gli acquisti di bond che hanno generato liquidità, svalutato il dollaro, ri-finanziato la
crescita. Oltre alla fine del "quantitative easing", ora diventa più legittimo aspettarsi entro pochi mesi anche
un rialzo dei tassi direttivi, inchiodati dalla banca centrale a quota zero da cinque anni. Questa svolta accade
proprio mentre altre banche centrali fanno il cammino inverso: imitano la Fed (Giappone), riducono i tassi
(Cina). L'ultima è la Bce, che continua ad annunciare una sua versione del "quantitative easing" in futuro, ora
si dice a gennaio. L'impatto sulle valute dovrebbe essere un prolungamento della rivalutazione del dollaro.
Tanto più che il dinamismo dell'economia americana ne aumenta la capacità di attrazione verso gli investitori
del resto del mondo. Il dollaro forte ha anche il vantaggio di accentuare lo sconto sulla bolletta energetica già
generato dal calo del petrolio. Ai livelli attuali la benzina alla pompa sta regalando 600 dollari all'anno al
consumatore medio. Usa, i posti di lavoro creati in 3 anni +300 +200 +100 2012 2013 2014 +321.000
novembre Usa, il tasso di disoccupazione FONTE BUREAU OF LABOR STATISTICS 2012 2013 2014 5,8
novembre FTSE MIB + 3,41% DOW JONES + 0,32% EURO DOLLARO 1,2290 PETROLIO BRENT 68,93
$ AL BARILE TASSI ITALIANI A 10 ANNI 1,97%
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Usa, boom di nuovi posti mai cosi tanti dal 1999 e i mercati festeggiano
06/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 30
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Foto: IN ASCESA il mercato del lavoro americano continua a macinare record La disoccupazione è al 5,8%
tornando ai livelli pre crisi del 2008
06/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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Addio aumento di risorse per i contratti di solidarietà Sel e Fiom contro il
governo
Lo Stato potrà integrare al massimo il 60% dello stipendio perso
ROBERTO PETRINI
ROMA. Scoppia il caso del finanziamento dei contratti di solidarietà a rischio dal 1° gennaio del prossimo
anno. Nel testo del disegno di legge di Stabilità, approvato nei giorni scorsi dalla Camera e attualmente in
discussione al Senato, mancano le risorse per il finanziamento di questa forma di ammortizzatori sociali che
ha consentito di risolvere molte crisi aziendali a partire dalla Electrolux. I contratti di solidarietà consentono in
caso di crisi di ridurre l'orario di lavoro, di lasciare il dipendente in attività, seppure con un salario ridotto ed
evitano in molti casi la cassa integrazione, situazione ben più delicata e frustrante. Fino al 31 dicembre 2013
la percentuale di integrazione era pari all'80 per cento della retribuzione persa per via della riduzione di
orario. Quest'anno, dopo le modifiche intervenute, l'integrazione era scesa al 70 per cento della retribuzione
persa per via della riduzione dell'orario di lavoro. Il tetto in vigore è tuttavia dovuto ad un intervento-ponte che
eleva il livello standard del 60 per cento stabilito dalla legge: dunque se la legge di Stabilità 2015 non
introdurrà la proroga dell'integrazione al 70 per cento il contratto di solidarietà rischia di diventare difficilmente
praticabile e gli incentivi alla soluzione di crisi aziendali diminuirebbero. Tutto ciò dal 1° gennaio del 2015.
Della «dimenticanza» siè accorto il deputato di Sel Giorgio Airaudo che ha denunciato la vicenda: «E'
sconcertante che mentre Renzi vanta la risoluzione della vertenza Electrolux coni contratti di solidarietà gli
stessi vengano depotenziati». Alla situazione degli ammortizzatori sociali, mentre ci sono circa 170 crisi
industriali aperte, si aggiunge il debutto di nuove disposizioni di legge: dal 1° gennaio del prossimo anno, per
coloro che hanno più di 50 anni, scomparirà infatti la cosiddetta mobilità che ha la durata di tre anni e che
sarà sostituita dall'Aspi biennale.
Così Sel ha preparato un emendamento che rimedia alla vicenda e stabilisce che l'integrazione salga al 70
per cento anche per il prossimo anno con un intervento che resta ancorato ai 50 milioni. La questione sarà
oggetto di esame al Senato dove giunge l'eco anche dei maldipancia delle Forze armate peri tagli di bilancio.
All'attacco anche la Fiom. Il Governo Renzi, afferma Mirco Rota, segretario Fiom-Cgil della Lombardia e
responsabile nazionale per il Gruppo Marcegaglia, «non sta estendendo gli ammortizzatori sociali ma li sta
fortemente riducendo».
Si tratta - secondo il sindacalista della Fiom - di «un vero e proprio bluff», perché «depotenziare i contratti di
solidarietà significa favorire i licenziamenti, anziché favorire una riduzione degli orari di lavoro che
ridistribuisce il lavoro tra tuttii lavoratori. Chiediamo interventi migliorativi rispetto al testo e ci auguriamo che
al Senato il fondo venga ripristinato». «Il premier - conclude - non regge alla prova dei fatti».
LE RISORSE Sel ha preparato un emendamento che aumenta di 50 milioni la dotazione per i contratti di
solidarietà
I PUNTI MOBILITÀ OVER 50 Abolita la mobilità triennale per chi perde il lavoro dopo i 50 anni. Per loro 2
anni di sussidio
Foto: Giorgio Airaudo
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IL CASO
06/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 37
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ESSERE CATTIVI EUROPEI
"La pratica scorretta all'origine del disastro che sconvolge al rallentatore non è quella di Grecia Italia o
Francia È della Germania
PAUL KRUGMAN
L'ECONOMIA statunitense sembra una buona volta inerpicarsi fuori dalla voragine nella quale era entrata
durante la crisi finanziaria globale. Purtroppo, non si può dire altrettanto dell'Europa, l'altro epicentro della
crisi. La disoccupazione nella zona euro ristagna a un livello doppio rispetto a quello degli Usa, mentre
l'inflazione è molto in"feriore all'obbiettivo ufficiale e la deflazione è diventata in modo incontestabile un rischio
imminente. Gli investitori ne hanno preso nota: i tassi di interesse europei sono precipitati e i titoli tedeschi a
lunga scadenza fruttano soltanto lo 0,7 per cento. Di solito questo rendimento lo associavamo alla deflazione
giapponese, e in verità i mercati segnalano che l'Europa starebbe per conoscere il suo decennio perduto.
Come mai l'Europa si trova in simili disastrose ristrettezze? Tra i policy maker europei è opinione comune
che tutto ciò a cui stiamo assistendo sia frutto dell'irresponsabilità: alcuni governi non si sono comportati con
la prudenza che una valuta comune esigeva, scegliendo al contrario di assecondare un elettorato poco
avveduto e aggrappandosi a dottrine economiche fallite. Se mi chiedete un parere (o lo chiedete ad altri
economisti che hanno studiato a fondo la questione), vi dirò che questa analisi è fondamentalmente corretta,
tranne che in una cosa: l'identità dei cattivi è sbagliata.
Il comportamento scorretto all'origine del disastro che sconvolge al rallentatore l'Europa, infatti, non è quello
di Grecia, Italia o Francia. È quello della Germania. Detto ciò, non nego che il governo greco si sia
comportato in modo sconsiderato prima della crisi, né che l'Italia abbia un grosso problema con la sua
produttività stagnante. La Grecia, però, è un piccolo Paese il cui caos finanziario è peculiare, mentre i
problemi italiani di lunga data non sono all'origine del trend discendente deflazionistico in Europa. Se provate
a individuare i Paesi le cui politiche prima della crisi erano decisamente difformi, che dalla crisi in avanti
hanno danneggiato l'Europa, e che si rifiutano di imparare dalle proprie esperienze, vi ritroverete a puntare il
dito contro la Germania.
Prendete in considerazione, in particolare, il confronto tra Germania e Francia. La Francia è presa di mira
dalla stampa, che più di ogni altra cosa parla molto della sua presunta perdita di competitività. Tutto questo
gran parlare in effetti esagera la realtà. Da quanto riferiscono in genere i media non potreste mai sapere che
la Francia ha soltanto un piccolo deficit commerciale. Eppure, tenuto conto che un problema c'è, da dove
arriva? La competitività francese è stata davvero intaccata dall'eccessiva crescita dei costi e dei prezzi? No,
niente affatto. Da quando è nato l'euro nel 1999, il deflatore del Pil francese (il prezzo medio dei beni e dei
servizi prodotti in Francia) è salito dell'1,7 per cento l'anno, mentre su base annua il suo costo unitario del
lavoro è aumentato dell'1,9 per cento. Entrambi questi dati sono perfettamente in linea con l'obbiettivo della
Banca centrale europea di mantenere l'inflazione leggermente al di sotto del 2 per cento, e sono molto simili
a quelli degli Stati Uniti. La Germania, invece, è del tutto fuori asse, con una crescita dei prezzi e del costo
unitario del lavoro rispettivamente all'1e allo 0,5 per cento. Non è soltanto la Francia ad avere costi al livello al
quale dovrebbero essere. La Spagna ha visto aumentare costi e prezzi durante il boom immobiliare, ma a
questo punto ogni eccesso è stato spazzato via da anni di opprimente disoccupazione e di freno dei salari. La
crescita dei costi in Italia è stata effettivamente un po' troppo alta, ma anche così non è fuori linea quanto loè
la Germania sul versante diametralmente opposto.
In altri termini, nella misura in cui in Europa non c'è un vero problema di competitività, esso è in ogni caso
provocato in maniera preponderante dalle politiche tedesche del "rubamazzo" (che producono benefici
unicamente per il Paese che le adotta a discapito degli altri, NdT). E, dunque, la Germania di fatto esporta
deflazione a casa dei suoi vicini.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Lettere Commenti & Idee
06/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 37
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Ma che dire dell'indebitamento? L'Europa non tedesca non sta pagando forse il prezzo della sua
sconsideratezza finanziaria del passato? In realtà, questa storia riguarda soltanto la Greciae nessun altro.E
anziè particolarmente sbagliato parlarne a proposito della Francia, che non deve far fronte a nessuna crisi
finanziaria.
La Francia ora come ora può tranquillamente prendere capitali in prestito a lungo termine a un tasso record
di interesse, inferiore all'1 per cento. Ossia poco al di sopra del tasso tedesco.
Nonostante tutto, in ogni casoi policy maker europei paiono proprio decisi a rimproverare i Paesi sbagliati e
le politiche sbagliate per le difficoltà nelle quali sono impantanati. È vero, la Commissione europea ha
sbandierato un piano di stimoli all'economia con investimenti pubblici, ma rispetto all'entità del problema
l'investimento pubblico è talmente irrilevante che l'intero piano sembra quasi una barzelletta. Nel frattempo, la
Commissione sta mettendo in guardia la Francia, che ha i più bassi oneri finanziari della sua storia, che
qualora non tagliasse a sufficienza il suo deficit di bilancio potrebbe andare incontro ad ammende.
Che ne direste di risolvere il problema dell'inflazione troppo bassa in Germania? Una politica monetaria
molto aggressiva potrebbe servire allo scopo (anche se per quanto mi riguarda non ci farei troppo
affidamento), ma le autorità monetarie tedesche mettono in guardia da politiche di questo tipo, perché
potrebbero togliere dai guai i debitori.
Ciò a cui stiamo assistendo, in conclusione, è il potere infinitamente devastante delle cattive idee. Non è
tutta colpa della Germania: la Germania è una protagonista di primo piano in Europa, ma riesce a imporre le
sue politiche deflazionistiche soltanto perché gran parte dell'élite europea ha abboccato alla stessa falsa
storiella.
Non resta quindi che chiederci che cosa spingerà la realtà a fare irruzione sulla scena.
Traduzione di Anna Bissanti © 2014 New York Times News Service PER SAPERNE DI PIÙ
www.ecb.europa.eu www.censis.it
Foto: BUCCHI
07/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 4
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"Io, linciata per le vanterie di due mafiosi"
CONCETTO VECCHIO
ROMA. Ore 9 del mattino, il responsabile welfare del Pd Micaela Campana, bersaniana, risponde al telefono
con voce angosciata.
Onorevole Campana, come va? «Una merda. Sbattuta in prima pagina per due mafiosi che parlano di me fra
di loro, senza che ci sia la possibilità di potersi difendere».
Da martedì non si fa vedere alla Camera, né ha risposto alle ripetute chiamate.
«Qui si sta giocando con la vita delle persone. Hanno messo di mezzo anche il mio collaboratore, una cosa
indegna».
Buzzi, inercettato, sostiene di volerle dare 20mila euro per la campagna elettorale. È così? «Falso. La
conversazione risale a maggio 2013...».
Comunali di Roma? «Sì, e io in quella campagna elettorale non ci sono. Ero stata candidata alle politiche tre
mesi prima, in un listino bloccato, in una posizione molto favorevole: non avevo bisogno di finanziamenti».
Ma perché Buzzi si sarebbe inventato "mo' se me compro la Campana"? «E io che ne so?».
Quindi pensa che sia una vanteria nei confronti di Carminati? «Sì, si fanno belli tra loro».
Ma tra lei e Buzzi correva una certa confidenza. Come spiegare diversamente l'sms, "bacio grande capo"?
«Ma no, quello è il mio modo di esprimermi, l'avrò scritto a milioni di persone». Conferma che lui le aveva
chiesto di presentare un'interrogazione alla Camera per la sua coop? «Non l'ho presentata».
Perché? «Non mi convinceva».
Ricorda su cosa verteva nello specifico? «Non lo ricordo».
Com'è possibile che non lo ricorda? «Il fatto decisivo è che non fu presentata. Questo è facilmente
verificabile nella banca dati del sito della Camera». Chi era per lei Buzzi? «Il capo della più grande coop del
Centro Sud, un importante dirigente nazionale di Legacoop, a capo di un'impresa che fino a martedì scorso
era un fiore all'occhiello nel campo socialee nel reinserimento dei detenuti, e di cui tutta la sinistra andava
orgogliosa».
I suoi rapporti sembrano particolarmente stretti.
«Non potevo non conoscerlo. Vada a vedere cosa facevano in via Cupra, come accoglievano gli immigrati
del Nord Africa, davano lavoro a centinaia di persone, chi poteva mai immaginare? Quando io arrivo a Roma,
a 19 anni dalla Puglia, inserendomia Tiburtina, lui operava già da oltre un decennio. Ora apprendo con
sconcerto dei suoi rapporti con Carminati». Come l'ha conosciuto? «All'epoca Buzzi era già attivo nel sociale
e frequentava le iniziative del centrosinistra».
Lei è passata dalla circoscrizione a Montecitorio. Ci furono illazioni per la rapidità della sua ascesa? «Ho
iniziato giovanissima, servendo ai tavoli della Festa dell'Unità. Ho fatto molto partito, e poi come tutti le
parlamentarie. Non è stata una carriera fulminea, come ho sentito dire in questi giorni con toni maliziosi». Si
dimette? «Voglio leggere tutte le carte, è stata pubblicato solo la parte a me sfavorevole. Provo imbarazzo,
rabbia. Mi difenderò. Anche con le querele».
battuta in prima pagina, ma "bacio grande capo" l'ho scritto tante volte
Respingo le voci maliziose sulla mia carriera: servivo alla Festa dell'Unità "RESPONSABILE WELFARE PD
MICAELA CAMPANA
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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INTERVISTA MICAELA CAMPANA/ DIFENDERÒ IL MIO ONORE, BUZZI NON MI HA DATO SOLDI
07/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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EUGENIO SCALFARI
PER mettere davanti agli occhi della gente una situazione, un fatto, una persona, esistono almeno tre
strumenti visivi e quindi mentali: la fotografia, il video, il film. Danno risultati molto diversi l'uno dall'altro: la
fotografia ritrae in modo istantaneo, il video in modo animato, il film in modo narrativo e interpretativo. Infatti
nel film ci sono gli attori ma c'è anche un regista che guida gli attori, le luci, il montaggio. Qualche volta per
diventare il vero padrone del film l'attore fa anche il regista.
Quantoa noi giornalisti che abbiamo il compito di informare con spirito critico, noi guardiamo dall'esterno
queste rappresentazioni, le interpretiamo e talvolta le giudichiamo; se il giornale dove scriviamo è autorevole
possiamo anche condizionarli.
Il mio proposito è quello di raccontare oggi il film d'un personaggio molto spiccato e influente come Mario
Draghi e comprendere la sua tattica economica e politica alla luce della sua strategia e poi applicare a Matteo
Renzi questo stesso metodo. Credo sia il miglior modo per capire quanto sta accadendo in Italia e in Europa.
Il tema che più appassiona e coinvolge Draghi non è soltanto la politica monetaria che a stretto rigore è il suo
compito istituzionale, ma è la politica economica e l'assetto istituzionale dell'Europa.
Draghi è da tempo convinto che nella società globale i continenti diventati Stati hanno la forza sufficiente per
confrontarsi; la loro potenza deriva dall'ammontare della ricchezza, dalle risorse naturali e dalla demografia.
Se il continente non diventa uno Stato ma continua ad essere un bazar di tante entità nazionali, queste non
sono in grado di aver voce nella società globale, diventano staterelli con un ruolo secondario e quindi
subalterno. È il caso dell'Europa che non ha una sua politica estera, una difesa comune e neppure una
politica economica e fiscale.
Draghi questo problema lo sente come prioritario su tutti gli altri ed è questa priorità che spinge la sua
strategia di fondo; se non si tiene presente e ci si limita a fotografare le sue mosse senza inquadrarle, si
capisce ben poco. Lui d'altro canto deve tener conto dei binari dove corre il suo treno, delle stazioni dove
transita e dei capi che manovrano gli scambi e i semafori col disco verde che consente il passaggio e quello
rosso che lo impedisce.
Il suo obiettivoè di alzare il volume di liquidità della Banca centrale da lui guidata dai duemila miliardi attuali
ad almeno tremila e anche di più. Solo con questa massa di risorse monetarie può sbloccare il «credit
crunch» che ancora affligge molti Paesi dell'Eurozona. In realtà chi avrebbe maggior bisogno di trasferire
parte del proprio debito da creditori privati alle casse della Bce sono i Paesi economicamente in recessione,
ma questo riempirebbe di titoli assai poco appetibili la Banca centrale. Se non sono spazzatura poco ci
manca: Grecia, Portogallo, Italia (specie dopo il declassamento dell'agenzia di rating Standard & Poor's
dichiarato tre giorni fa). Di qui la decisione - se la «quantitative easing» sarà adottata - di applicarla a tutti i
paesi dell'Eurozona in proporzione al loro reddito. In quel caso nei forzieri della Bce entrerebbero anche bond
di elevata solidità. Per quanto riguarda l'Italia, noi riceveremmo una quota non superiore ai 90 miliardi, pari al
17 per cento del totale previsto per la «quantitative easing», ma tutta l'Europa tirerebbe un respiro di sollievo
per l'irrorazione monetaria ricevuta dall'intera Eurozona. Si farà o non si farà? La decisione dovrebbe essere
presa il 22 gennaio ma l'esecuzione non sarà comunque immediata. Questa è la fotografia della situazione. Il
quadro generale, economico e politico, perseguito da Draghi è però un altro: la vigilanza bancaria affidata alla
Bce, già in corso di esecuzione, l'unità del sistema bancario, anch'essa già parzialmente avviata, la garanzia
europea su tutti i depositi bancari che dovrebbe preludere ad un bilancio unico dell'Unione e infine il
trasferimento dei debiti sovrani ad un solo debito europeo con relativa cessione di sovranità fiscale. I singoli
Stati insomma avrebbero analogo rilievo nei confronti dell'Ue di quanto l'abbiano il Texas, la Virginia, il
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LA BANCA CENTRALE E L'ACQUISTO DI BOND I VERI OBIETTIVI DI
DRAGHI E QUELLI DI RENZI
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Massachusetts, il Mississippi e tutti gli altri verso la Presidenza e il Congresso degli Usa.
Questo è il traguardo a raggiungere il quale Draghi lavora e questo è il vero binario dove il suo treno
procede.
Non corre purtroppo, ma comunque avanza.
La Germania è naturalmente il Paese leader, senza l'appoggio del quale non è pensabile di realizzare
l'obiettivo. Continuerebbe a mantenere la leadership anche in un'Europa non più soltanto confederata ma
federata e un continente finalmente diventato uno Stato più ricco di risorse degli stessi Usa? Personalmente
penso di sì e credo che anche Draghi sappia che senza questa certezza sarebbe molto difficile che il treno
proceda: disco rosso e non verde. Ma la Germania non è il solo ostacolo.
C'è anche la «grandeur» della Francia e c'è anche l'ostacolo non trascurabile dell'Italia. Noi siamo un Paese
in pessime acque economiche e abbiamo sulle spalle il maggior debito pubblico d'Europa e uno dei più
elevati del mondo intero. Questa è senza dubbio la nostra debolezza ma paradossalmente anche la nostra
forza: un default del debito italiano farebbe saltare in aria tutto il sistema bancario del mondo occidentale, non
esclusi molti paesi asiatici; insomma un dissesto di gigantesche proporzioni.
Sicuramente Matteo Renzi utilizzerà questa nostra debolezza-forza nelle trattative che sta per intraprendere
con le autorità europee, la Commissione e i governi dell'Eurozona. Ma Renzi da che parte sta e che cosa
veramente vuole? Anche qui bisogna distinguere tra tattica e strategia, tra singole mosse che colgono il
presente e finalità proiettate sul prossimo futuro. Le sue mosse Renzi le ha da tempo dichiarate e le ripete
quasi quotidianamente: vuole prestiti europei previsti da Juncker e li vuole al più presto senza dover versare il
contributo che Juncker chiede agli Stati membri. Vuole l'autorizzazione ad una politica di «deficit spending»
destinata a investimenti da effettuare al di fuori del bilancio ufficiale. Il debito aumenterà, ma quello sul quale
mette gli occhi la Commissione europea no e quindi neppure il deficit del 3 per cento stabilito dall'accordo di
Maastricht, anche se Renzi chiede l'autorizzazione a superarlo fino al 2017 come la Francia.
Questi sono gli obiettivi immediati. Ma poi c'è l'obiettivo di fondo: rafforzare la struttura confederata
dell'Unione e non muovere nessun passo verso quella federale. Esattamente il contrario della strategia di
Draghi e la ragione è evidente: in una struttura federale il potere di Renzi, come di tutti i capi di governo dei
Paesi membri dell'Ue, diventerebbe simile al potere d'un governatore regionale o del sindaco di un'area
metropolitana. Renzi non vuole un declassamento di questo genere perciò si opporrà fino in fondo e farà
quanto gli è possibile perché tutti gli altri Paesi - a cominciare dalla Germania - facciano altrettanto. Ma ha la
forza sufficiente per farlo? In parte la sta perdendo e i sondaggi ne mandano un segnale. È questa una delle
ragioni per cui vuole procedere a tempo di record all'approvazione delle riforme, a partire da quella del lavoro,
dalla legge elettorale e dall'abolizione di fatto del Senato, dall'elezione del nuovo capo dello Stato (quando tra
poche settimane Napolitano darà le dimissioni) che sia di fatto uno strumento nelle sue mani.
Queste sono le sue finalità.
È coraggioso, non si vedono nel Pd alternative, anche se il suo «Jobs act» non crea nessun posto di lavoro
ed è di assai dubbia costituzionalità.
L'insoddisfazione degli italiani nei suoi confronti è in costante aumento, la diminuzione delle tasse e la
sconfitta dell'evasione fiscale sono favole che hanno molto poco da spartire con la realtà.
Questo è il quadro con cui gli italiani debbono confrontarsi, al quale c'è da aggiungere la forte sofferenza
della democrazia parlamentare di fronte ad una legge che abolisce il Senato e trasforma il sistema
consentendo al potere esecutivo di spolpare il potere legislativo e dove la corruzione continua a dilagare
come prima e più di prima. Aggiungo due parole (perché l'ho già detto domenica scorsa) sulla fiducia chiesta
per la legge delega relativa al «Jobs act». Salta agli occhi di tutte le persone consapevoli che è del tutto
irragionevole porre la fiducia sulle leggi delega. Così facendo si trasforma il libero voto in una situazione di
libertà forzosa, si chiude il deputato o il senatore aderenti al partito di maggioranza dentro una gabbia, si
reprime la libertà di dissenso sugli obiettivi che la delega si propone e che saranno resi esecutivi e precisati
nei loro fondamentali aspetti dai decreti costitutivi che non sono neppure discussi dalle Camere. Sono
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analizzati da una commissione che emette un parere soltanto consultivo.
La delega in sostanza è ottenuta con la gabbia della fiducia e non torna più in Parlamento.
L'incostituzionalità è evidente e penso che la Corte la dichiarerebbe se ne fosse investita nei modi
appropriati. Ma c'è anche un'altra osservazione sulla costituzionalità del «Jobs act»: esso contiene una
notevole diseguaglianza tra i lavoratori già occupati nelle aziende e quelli che vi accedono con un periodo di
prova e stipendi a tutele crescenti.
Questi lavoratori hanno un privilegio rispetto ai già occupati: le aziende che li assumono ed essi stessi sono
sgravati dal pagamento dei contributi mentre quelli già occupati non godono di queste facilitazioni. Per
converso questi ultimi sono ancora coperti dall'articolo 18 per quanto riguarda i licenziamenti, mentre i nuovi
assunti ancora precari non hanno questa protezione.
Al tirar delle somme i lavoratori che fanno il medesimo lavoro si trovano in condizioni molto diverse, il che è
palesemente incostituzionale.
Tendere alla produttività, alla competitività e all'aumento dei posti di lavoro fa parte purtroppo del mondo
delle favole, mentre il tempo passa, i sacrifici aumentano, l'economia è inceppata, la corruzione aumenta.
Scrive nella poesia "Le Campane" Edgar Allan Poe: «Batte il tempo, il tempo, il tempo, mentre suona a
morto, a morto, in un rùnico concerto, al rimbombo di campane, di campane, di campane... «. Campane a
festa o campane a morto?PER SAPERNE DI PIÙ www.ecb.europa.eu www.governo.it
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Ultimo scandalo Ior il Papa fa indagare l'erede di Marcinkus *
ALBERTO STATERA
DIAVOLO di un Papa (absit iniuria verbis). Roma è sottosopra per lo scandalo della Mafia Capitale,e
Bergoglio che fa? Dà il via libera e fa rendere nota, con procedura inedita, l'inchiesta del Promotore di
Giustizia del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano sull'Istituto per le Opere di Religione e i suoi
precedenti vertici amministrativi. < PAGINA TUTT' ALTRO che un caso fortuito, perché la banca della Santa
Sede è coinvolta in tutti i più grandi scandali finanziari che hanno funestato l'Italia per decenni, da
Tangentopoli alla scalata dei furbetti del quartierino, dalla Cricca delle grandi opere e della Protezione civile,
finoa Calciopoli, dalla Carige alla Lux Vide di Ettore Bernabei. Ma è anche uno dei terminali tradizionali usati
dalla criminalità capitolina fin dai tempi della banda della Maglianae del suo capo Renatino De Pedis, il
bandito ammazzato che fu sepolto come grande amico della Chiesa nella cripta di Sant'Apollinare. La
leggenda metropolitana vuole che Renatino fosse figlio del vicario di Roma cardinale Ugo Poletti (non risulta
abbia a che vedere col ministro in carica Giuliano, fotografato con la banda di grassatori capitolini). Ma i
successori della malavita romana Gennaro Mokbel e Massimo Carminati sono tutt'altro che ignoti nel Torrione
di Niccolò V.
Stavolta la giustizia vaticana parte da un caso semplice semplice di peculato. Ma, misurato il peso degli
indagati, si sa da dove muove, ma non si sa dove arriverà.
Angelo Caloia e Lelio Scaletti, rispettivamente ex presidente ed ex direttore generale dello Ior, insieme a un
avvocato, sono accusati di aver venduto a prezzi d'affezione parte del ricchissimo patrimonio immobiliare
della banca a società da loro controllate per rivenderlo poi a prezzi di mercato.
Quisquilie rispetto alla storia recente di un Istituto, nato come Ad Pias Causas, tappezzato di scandali
epocali, come la maxitangente Enimont dei primi anni Novanta, ma anche di cadaveri: da Roberto Calvi a
Michele Sindona fino al povero Giorgio Ambrosoli.
Si dà il caso che Angelo Caloia non sia un politicuccio come l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, ma un
principe della finanza cattolica e un vecchio democristiano dalle mille relazioni. Professore di Economia
politica alla Cattolica di Milano, democristiano d'antan, è esponente di quella "banda degli onesti" vicina al
banchiere Giovanni Bazoli e, onore sommo, è presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. Allo
Ior ha regnato per un ventennio, dal 1989 al 2009, e tutto si può dire della sua lunga opera, fuorché sia
riuscito a liberare la banca dall'influenza luciferina lasciata in eredità dal suo predecessore, l'arcivescovo Paul
Casimir Marcinkus, che ne aveva fatto la sentina di quasi tutte le schifezze finanziarie italiche all'insegna del
motto: "Non si può dirigere la Chiesa con le Ave Marie". Infatti preferì maneggiare per decenni con
disinvoltura lo "sterco del diavolo".
È difficile immaginare uno come Caloia, che presumiamo timorato di Dio più del suo predecessore
arcivescovo bon vivant, invischiato con il darwinismo criminale della "Terra di mezzo" capitolina, fatta di
omicidi, di "spezzaossa" e di sottopolitica debole e corrotta. Ma poi vai a vedere e lo scopri affaccendato in
frequentazioni poco commendevoli se non proprio indecenti. Avete presente lo scandalo dell'Expo di Milano?
Bene, quel Gianstefano Frigerio col suo socio Sergio Cattozzo, come risulta dagli atti processuali,
frequentavano l'esimio professore, che accettò di pranzare al milanese hotel Westin Palace, teatro degli affari
di quella banda, presente anche un dirigente di Publitalia 80, la società di Berlusconi.
Millanterie? No. Ma un pranzo naturalmente non fa un colpevole, anche se ormai pensar maleè d'obbligo di
fronte alle maleodoranti sorprese che il paese ci consegna giorno dopo giorno.
D'altra parte, c'è tra i giudici di Mani pulite chi ricorda che quando la Procura milanese gli chiese dettagli sulle
tangenti passate per lo Ior, Caloia rispose: «Ogni eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di
rogatoria internazionale». Deflette poi dal CaloiaStyle, che dovrebbe essere quello di un grande banchiere
per di più timorato di Dio, la storia col suo successore Ettore Gotti Tedeschi, che tentò di fare pulizia allo Ior.
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LA STORIA
07/12/2014
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Insomma, il professore un giorno va in televisione e lascia intendere più o meno che il suo successore è
coinvolto nei casi più oscuri della recente storia criminal-finanziaria,a cominciare da quello del banchiere
Gianmario Roveraro assassinato nel 2006. Quello gli fa causa e non accetta di ritirarla, come richiedono gli
avvocati di Caloia.
Quanto alla storia dei palazzi venduti a prezzi d'affezione, la spesa immobiliare a due soldi in Vaticano era
quasi un vezzo dei potenti. Molti durante l'epoca di Berlusconi e dei suoi infiltrati in Vaticano trai Gentiluomini
di Sua Santità (vedi Gianni Letta e Angelo Balducci) hanno acquistato da Propaganda Fide qualche
bell'appartamento o addirittura un palazzo nel centro di Roma, come ad esempio, tra i tanti, l'ex ministro
Pietro Lunardi. Ma quando mai la magistratura vaticana si era mossa pubblicamente con questa
determinazione, dopo decenni di rifiuto di ogni controllo esterno e di silenzio della magistratura interna?
Francesco, come è stato subito evidente, fa sul serio. Ben attento all'amministrazione, ha spazzato via quasi
tutti gli uomini del cardinal Tarcisio Bertone, che tiene sotto tiro anche per la reggia che l'ex segretario di
Stato si è fatto allestire in Vaticano e che ha inaugurato - narrano le cronache - con feste sardanapalesche.
Per cui è difficile prevedere dove andrà a parare l'inchiesta su Caloia, ma si prevede lontano, molto lontano.
E si sa: «è più facile che un cammello passi nella cruna dell'ago che un ricco entri nel regno dei cieli, come
diceva qualche Vangelo.
AL VERTICE CALOIA Angelo Caloia è stato presidente dello Ior dal 1989 al 2009. È indagato dal Promotore
di Giustizia del Vaticano per un'ipotesi di peculato VON FREYBERG Ernst Von Freyberg è stato presidente
dello Ior dal febbraio 2013 al luglio 2014. Lo scorso gennaio ha spinto per l'apertura delle indagini su Caloia
DE FRANSSU Jean-Baptiste de Franssu, attuale presidente Ior, ha sottolineato "l'impegno per la trasparenza
e la tolleranza zero, anche su fatti del passato"
PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.ior.va
AL VERTICE CALOIA Angelo Caloia è stato presidente dello Ior dal 1989 al 2009. È indagato dal Promotore
di Giustizia del Vaticano per un'ipotesi di peculato VON FREYBERG Ernst Von Freyberg è stato presidente
dello Ior dal febbraio 2013 al luglio 2014. Lo scorso gennaio ha spinto per l'apertura delle indagini su Caloia
DE FRANSSU Jean-Baptiste de Franssu, attuale presidente Ior, ha sottolineato "l'impegno per la trasparenza
e la tolleranza zero, anche su fatti del passato"
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Foto: LA SPINTA DEL PONTEFICE L'indagine del promotore di Giustizia del Tribunale del Vaticano è stata
resa pubblica per volere del Papa
07/12/2014
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Province, l'ora del caos per i ventimila esuberi porte chiuse dalle Regioni e
paghe a rischio nel 2015
Annunciate proteste clamorose. "Porteremo le fasce tricolori ai prefetti. Decidano loro se chiudere le strade e
spegnere le caldaie" Pastacci, presidente dell'Upi: "Non si possono certo abolire i servizi ai cittadini solo
perché le deleghe non sono ancora state trasferite"
PAOLO GRISERI
ROMA. Ventimila colletti bianchi in cerca di ufficio. E' la paradossale conseguenza di quello che Alessandro
Pastacci, presidente dell'Unione delle Province italiane, definisce «lo sfasamento dei tempi tra l'applicazione
della legge Del Rio e la necessità di fare cassa del ministero dell'Economia». Risultato: lo Stato chiede già dal
primo gennaio alle Province di tagliare un miliardo dalle loro uscite, l'equivalente degli stipendi dei 20.000
dipendenti che dovrebbero passare alle Regioni. Mentre le stesse 15 Regioni a statuto ordinario non li hanno
ancora assunti. E non li assumeranno per molto tempo perché per farlo devono concordare con i Comuni la
divisione dell'esercito degli impiegati in fuga dalle Provincie in via di progressivo smantellamento. Il pasticcio
è aggravato dal fatto che ormai da tempo lo Stato non trasferisce più fondi alle amministrazioni provinciali. La
conseguenza è che nel 2015 saranno le stesse Province a mettere mano al portafoglio versando nelle casse
di Roma il miliardo corrispondente al monte stipendi dei 20 mila impiegati. «Fino a quando non saranno
trasferite le competenze alle Regioni, quei dipendenti continueranno a lavorare per i nostri uffici.
Non si possono abolire i servizi ai cittadini solo perché non sono ancora stati trasferiti», aggiunge Pastacci.
Tra gli impiegati provinciali in attesa di un destino ci sono, ad esempio, i 6.000 dipendenti dei centri per
l'impiego e il fatto in sé è già abbastanza paradossale. Diventa assurdo se si aggiunge che ai 6.000 bisogna
aggiungere un altro migliaio di precari utilizzati negli stessi uffici: in Italia ci sono infatti 1.000 precari occupati
nei centri per l'impiego. Mercoledì si svolgeràa Roma una riunione del coordinamento per l'applicazione della
legge Del Rio e in quella occasione i nodi sembrano destinati ad arrivare al pettine. Il 1 gennaio si avvicina e
senza proroghe il caos è assicurato. «La legge Del Rio aveva stabilito tappe precise», ricorda Pastacci. Il
provvedimento, frettolosamente catalogato come «cancella-Province», aveva stabilito che alcune materie
sarebbero in realtà rimaste alle amministrazioni provinciali e alle dieci nuove città metropolitcane. In sostanza
strade, scuole e difesa del territorio continueranno ad essere curati dalle Province nella nuova versione: non
più amministrazioni elette dai cittadini ma enti i cui vertici sono eletti dai consiglieri comunali del territorio.
Tutte le altre materie dovranno invece passare, insieme ai dipendenti, alle Regioni o ai Comuni. Si tratta di
capitoli importanti come la formazione professionale, le agenzie per trovare lavoro ai disoccupati, alcune
competenze nei settori del turismo, della cultura, dell'agricoltura. Entro fine anno, stando al progetto Del Rio,
Regioni e Comuni avrebbero dovuto decidere come dividersi quelle materie e gli impiegati corrispondenti.
Secondo i calcoli resi noti a inizio settembre dal governo, degli oltre 47 mila attuali dipendenti delle
amministrazioni provinciali, 27 mila (13.500 nelle Province e altrettanti nelle dieci città metropolitane)
dovrebbero rimanere nei loro attuali uffici mentre i rimanenti ventimila dovrebbero migrare nelle altre
amministrazioni locali. Al trasferimento dei dipendenti corrisponderebbe il trasferimento delle funzioni alle
Regioni. Ma queste ultime resistono. «Uno dei paradossi - dicono all'Unione delle Province - è che in questo
modo tornerebbero alle Regioni molte funzioni decentrate alle stesse Province negli ultimi quindici anni in
base alle leggi Bassanini». Un movimento di andata e ritorno che ha consentito alle Regioni di diminuire
progressivamente i trasferimenti in denaro alle Province, erogati per ripagarle dei nuovi incarichi assunti. Così
oggi che quelle funzioni devono tornare al punto di partenza ci arrivano accompagnate da scarsissime risorse
finanziarie: un boomerang per le amministrazioni regionali.
La coperta è corta. Se le Province saranno costrette a mantenere le funzioni che dovrebbero essere
trasferite alle Regioni ma saranno obbligate a versare allo stato il miliardo del monte stipendi degli impiegati
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Gli enti locali Cortocircuito tra i tempi della riforma Delrio e il taglio di un miliardo dei fondi statali. I nuovi
compiti non sono ancora stati ripartiti tra le varie amministrazioni. E gli impiegati sono nel limbo
07/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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che garantiscono quelle funzioni, finiranno per trovarsi nell'incredibile condizione di dover pagare due volte i
dipendenti considerati in eccesso. Sarebbe il disastro finanziario. Monica Giuliano, presidente delle Province
liguri, sbotta: «Il taglio previsto dalla legge di stabilità è insostenibile. Se vogliono farci morire di asfissia
finanziaria lo dicano chiaramente.
Dal primo gennaio porteremo le nostre fasce tricolore al prefetto. Sarà lui a dover decidere se chiudere le
strade provinciali, spegnere il riscaldamento nelle scuole, lasciare la neve sulle strade». In questo quadro da
ultima spiaggia c'è chi ascolta l'orchestrina, come accadde sul Titanic. Accade in Toscana, a Siena, dove la
Provincia annuncia con decreto l'assunzione di8 nuove fiugure, quattro dirigenti e quattro membri di staff.
«Una decisione paradossale- attaccanoi sindacati- una decisione presa in solitudine mentre i dipendenti delle
Province vivono un momento di incertezza totale sul loro futuro». Personale impiegato nelle Province Quanti
dipendenti e quanti da trasferire Personale da ricollocare tra Regioni e Comuni Lombardia Piemonte Liguria
Toscana Lazio TOTALE Campania Calabria Basilicata Puglia Molise Abruzzo Umbria Marche Veneto 3.146
1.627 4,459 2.124 1.625 893 437 202 2.928 1.628 1.117 689 3.685 1.620 2.267 1.286 3.146 3.146 1.900 582
4.538 1.472 4.745 2.278 4.989 976 3.710 1.477 6.728 2.955 47.862 20.593 E. Romagna PER SAPERNE DI
PIÙ www.governo.it www.upinet.it
07/12/2014
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Pag. 26
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Al secondo round dei maxi-prestiti Bce le banche europee potrebbero
chiedere fino a 170 miliardi
Giovedì la nuova asta del Tltro dopo il semi-flop della prima Le italiane ancora protagoniste
VITTORIA PULEDDA
LA "seconda volta" della Bce è praticamente alle porte, con l'asta di giovedì prossimo che chiuderà per il
2014 i finanziamenti "mirati" (targeted) della Banca centrale, indirizzati a sostenere l'economia reale. L'11 si
terrà infatti la seconda asta Tltro, iniezioni di liquidità a tassi molto generosi (lo 0,15%) e di durata
quadriennale, a patto che gli ammontari richiesti siano impiegati - almeno in larga misura - per fare nuovi
prestiti alle imprese.
In realtà il vincolo non è assoluto: ci saranno verifiche periodiche e se le banche non avranno aperto
maggiormente i rubinetti del credito (rispetto ad un periodo precedente, che verrà preso come punto di
riferimento) dovranno restituire a metà percorso, dopo due anni, i finanziamenti ottenuti.
Non è un deterrente molto forte ad impiegare diversamente la liquidità ottenuta, ignorando quella "T"
(Targeted) che contraddistingue e vincola queste aste, però è sempre meglio di niente. E, grazie a queste
aste ma più in generale grazie al fiume di liquidità che in questo momento inonda le banche, il mondo del
credito sta registrando qualche timido segnale di ripresa.
Intendiamoci, nel senso che sta un po' rallentando la caduta degli impieghi rispetto ad un anno fa, non certo
che si è arrestata, così come starebbero migliorando i flussi di prestiti che entrano nella zona di attenzione, in
quando crediti dubbi.
Inoltre le banche pare abbiano ripreso a farsi concorrenza - vera nella ricerca della clientela, anche se la
caccia all'azienda da finanziare per il momento resta limitata alla fascia ultra-sicura di imprese (escludendo le
imprese medio-piccole, che hanno più bisogno di sostegno). La prima asta di Tltro era stata considerata un
flop in tutta Europa, con soli 82,6 miliardi richiesti. E stavolta? Le stime raccolte da Bloomberg parlano di 170
miliardi, con l'Italia in pole position. Certo, questa sarà l'ultima occasione, per entrare nel campione di banche
da monitorare - sotto il profilo degli impieghi - e partecipare alle successive aste trimestrali (che si terranno
nel 2015 e 2016): difficile che qualche banca voglia precludersi la possibilità di partecipare alle aste
successive, quindi chi non ha partecipato a settembre, ragionevolmente lo farà giovedì.
Foto: BANCHIERE Mario Draghi, presidente Bce. Giovedì nuova asta dei maxi-prestiti alle banche per
stimolare l'economia
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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IL PUNTO
07/12/2014
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Alfredo Reichlin
"La politica la fa chi crede in se stesso su di me ho avuto più di un dubbio"
IL MIO sguardo è attratto dal tappeto che divide il salotto dallo studio di Alfredo Reichlin. Un Kilim, precisa
Roberta Carlotto. La trama evidenzia l'inconfondibile testa di Lenin, il Cremlino, e la tomba mausoleo del
grande leader comunista. «Fu un regalo per gli ottant'anni di Alfredo», precisa la Carlotto. È il solo cimelio
che noto. Il solo richiamo a una stagione che non c'è più: scomparsa.
Morta e sepolta. Sono andato a trovare Alfredo Reichlin con un sentimento di sparizione. Il vecchio leader,
legato prima a Togliatti e poi a Berlinguer, compirà 90 anni tra qualche mese. Ha appena finito di scrivere un
pamphlet. Un trattatello denso, duro, acuto. Apparentemente pensato per la sinistra, o ciò che resta di essa;
in realtà scritto per raccontare ai più giovani un mondo diventato incomprensibile. Il titolo: Riprendiamoci la
vita (edito da Eir).
Come si sente nella parte del vecchio nonno che spiega ai nipoti cosa sta accadendo? «Come un uomo di
un'altra epoca. Inadatto. Non tanto a esprimere giudizi, ma ad azzardare previsioni.
Vedo una distanza incolmabile da tutto ciò che un tempo mi fu familiare. Non ho mezzi né energie.E tuttavia,
in questo cataclisma, le sole forze cui affidarsi sono le generazioni future».
E la sinistra? «Ha fallito. La sua crisi rientra nel più generale declino della civiltà europea. È finita
l'occidentalizzazione del mondo».
Siamo entrati nel turbo-occidente.
«Senza più valori né punti di riferimento. La potenza economica ha travolto il potere politico. Chi è oggi il
sovrano?». Si è dato una risposta? «I mercati governano, i tecnici gestiscono, i politici vanno in televisione.
Parlo non da esperto, ma da uomo che è vissuto a lungo».
Che bilancio fa della sua vita? «Un borghese diventato comunista. Mio nonno era un industriale svizzero. In
Puglia aprì una fabbrica chimica. Mio padre fece altro. Dopo la Grande Guerra divenne un dannunziano
convinto. La casa di Barletta, dove sono nato, piena di cimeli. Di frasi fatte e roboanti: "Ardisco e non
ordisco", la ricordo ancora. Ridicola».
Era l'anticamera del fascismo.
«Per qualche anno mio padre fu podestà di Barletta.
Poi preferì dedicarsi alla professione di avvocato e ci trasferimmo a Roma. Avevo cinque anni».
Agli occhi di un bambino cos'era quella Roma? «Provavo fastidio. Vedevo il contrasto tra quell'Italia,
meschina, retorica, piccolo borghese, e le mie origini a contatto con il mondo contadino. Senza diritti né
protezione. Gli anni del liceo al Tasso mi aprirono gli occhi. Fu lì, nella mia classe, che conobbi Luigi Pintor. E
attraverso lui il fratello Giaime. Di pochi anni più grande. Divenne la nostra guida intellettuale.
Ci fece leggere Rilke, che aveva appena tradotto, Ossi di seppia di Montale eI proscritti di Salomon.
Per la nostra crescita politica ci affidò a Eugenio Colorni. Che poi sarebbe morto tragicamente in un agguato
nel 1944».
Qualche mese prima morì Giaime.
«Saltò su una mina tedesca nel dicembre del 1943. Luigi venne a casa mia per darmi la notizia. Smunto, con
le labbra contratte, disse: dobbiamo vendicarlo».
Cosa intendeva? «Voleva dire cambiare la natura del nostro impegno politico. Diventammo gappisti;
entrammo in clandestinità. Un uomo misterioso, che poi risultò essere Valentino Gerratana, ci consegnò delle
armi. Furono mesi terribili. Consapevole che se fossi stato preso mi avrebbero torturato e poi ucciso. A un
certo punto qualcuno del nostro gruppo tradì. A un appuntamento con dei compagni arrivò la Banda Koch.
Arrestarono Luigi e pure Franco Calamandrei». Si scoprì chi aveva tradito? «Sì, il Cln, con a capo Giorgio
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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INTERVISTA R CULT Straparlando. Novant'anni tra pochi mesi ha vissuto da protagonista la storia del
comunismo italiano dalla Resistenza alla guida dell'"Unità" e al crollo dell'Urss "Ma oggi a governare sono i
mercati, e i tecnici gestiscono"
07/12/2014
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Amendola, processò il traditore che nel frattempo si era aggregato alla Banda Koch. La direzione dei Gap
decise che fossi io a dargli la caccia e ad eseguire la sentenza di morte. Riuscì a scappare a Milano. E solo
dopo seppi che era stato ucciso in uno scontro a fuoco con i partigiani».
Lei partecipò anche all'attentato di via Rasella? «Non direttamente anche se fummo noi gappisti a
organizzarlo». Cosa sa dell'assassinio di Gentile? «Ero a Roma. Mi giunse la notizia che i Gap avevano, nei
dintorni di Firenze, giustiziato Gentile. È quello che so. In quei giorni fui catturato da un paio di fascisti. Mi
trascinarono per la discesa di via Cavour. Pensai è finita. Quando, dal fondo della strada, comparve
improvvisamente Arminio Savioli. Un compagno. Puntò la pistola controi duee sparò. Uno cadde. Mi liberai
dell'altro. E cominciammo a correre».
Come ha vissuto in seguito quel clima di violenza? «Sono storie che non mi piacciono. Ma eravamo in
guerra. Bisognava sapere da che parte stare. Quello che venne dopo non fu facile».
Venne la Liberazione.
«Con gli americani a Roma ci fu un'esplosione di gioia. Era bello aver riconquistato la libertà. Ma al tempo
stesso Roma mostrava il suo volto peggiore. Le puttane, i borsaioli, i fascisti che ancora resistevano e
circolavano. Pensavo: ma per chi abbiamo combattuto e rischiato? Fui preso da una crisi di identità. Non
sapevo più chi fossi. Ero disorientato, caddi in depressione». Come reagì? «Ero in condizioni penose. Il
Partito comunista decise di fare incontrare i gappisti che a Roma avevano lottato per la Resistenza. Eravamo
una trentina. Molti di noi non si conoscevano. Ci vedemmo nella casa di uno di loro. Scoprii che tra gli altri
c'erano Calamandrei, Salinari, Bentivegna, Carla Capponi. Parlammo a lungo.
Ci abbracciammo. Improvvisamente il padre di quello che ci ospitava, un vecchio ferroviere, si sedette al
pianoforte. Cominciò a suonare le prime note dell' Internazionale . Era la prima volta che l'ascoltavo.
Qualcuno prese a cantare. Fu in quel momento che mi ritrovai». Fu in quel momento che iniziò la sua storia
nel Pci? «In un certo senso è così. Ero giovane. Togliatti rientrava dopo i lunghi anni passati in Unione
Sovietica.
Affamato di novità. Mi colpì il rigore, la cortesia, l'intelligenza, la disponibilità verso i più giovani».
Sembra descrivere un professore.
«In un certo senso lo era. Avrebbe potuto esserlo».
E lei tra gli allievi preferiti.
«Diciamo tra coloro che ascoltava con attenzione e piacere. Mi collocò all' Unità , a stretto contatto con
Pietro Ingrao, dove divenni direttore nel 1956».
Quell'anno ci fu l'insurrezione ungherese e l'invasione sovietica. Un anno terribile per il partito.
«Sì, dice bene: terribile».
La posizione troppo filosovietica del Pci indusse molti ad andarsene, a uscire dal partito.
«Ci furono dei casi di coscienza, che rispetto. Altri che uscirono per approdare a lidi politici completamente
opposti. Li rispetto un po' meno».
Lei non ebbe allora la consapevolezza che una frattura si stava consumando e che l'Unione Sovietica non
era poi quel mito di libertà che si immaginava? «A me dell'Unione Sovietica non fregava niente. Togliatti su
questo fu chiarissimo: la rivoluzione in Italia non si fa con il mito del socialismo, bensì portando a compimento
quella storia italiana che il Risorgimento non riuscì a realizzare».
Mi scusi, ma non è che i compagni del partito fossero tutti così disinteressati alle sorti dell'Urss.
«Il confronto fu aspro, duro, a tratti perfino violento. Non dimentichi che il partito aveva una base di due
milioni di iscritti, molti dei quali non avevano rinunciato a quel mito cui alludeva».
Personalmente come visse lo scontro? «La mia coscienza ne fu lacerata. Ma la scelta chiara: stare con i
miei».
Cioè stare con il partito? «Sì».
A un certo punto il partito la rimosse da direttore dell' Unità per posizioni troppo vicine a Ingrao.
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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«Io, Pintor e Vittorio Foa pensavamo che il quadro capitalistico stesse cambiando e che occorressero
posizioni politiche più avanzate. Questo creò un problema a Togliatti».
Quanto grande? «Parecchio. Ingrao non era ben visto da una parte cospicua del partito. Ricordo che
Togliatti mi convocò. Mi disse con una sfumatura paterna: "Alfredo, o mi dimetto io o ti dimetti tu". Mi mandò
prima in America Latina e poi mi spedì in Puglia».
Tornava alle sue origini.
«L'esperienza tra i braccianti pugliesi fu fondamentale. Durante la notte con il segretario dei braccianti
giravamo paese per paese per controllare i picchetti e farmi conoscere dai contadini. Dopotutto, ero in quel
momento il rappresentante di Togliatti».
È vera la storia che il suo nome fu storpiato in quello di un celebre cardinale? «Accadde durante un comizio
con i contadini. Il segretario provinciale introducendomi disse: ed ora diamo la parola al compagno
Richelieu!».
Non si sente parte, diciamo così, di una sinistra estetica? «Cosa vuol dire?».
Una sinistra che pensa e ragiona bene. Che si contorna di belle cose, che dialoga con gli scrittori e gli artisti.
Questo intendo.
«Cosa dovrei risponderle? Non eravamo solo noi ad andare verso la cultura, era la cultura attratta da noi».
Siete stati accusati di aver svolto un'egemonia culturale. Imponendo una linea a senso unico.
«Ci siamo difesi. Dovevamo lasciare il campo alla destra becerae incoltao alla Democrazia cristiana?E poi,
dico la verità, quale egemonia? Eravamo fuori da tutto: dall'università, dalla televisione. Il nostro punto di
forza fu la casa editrice Einaudi. Ma le assicuro che quanto a realismo nessuno superava quel rompicoglioni,
lo dico in senso affettuoso, di Giulio Einaudi».
Cosa pensa di Mario Alicata che, oltre a prendere il suo posto alla direzione dell' Unità , fu uno dei guardiani
di quella egemonia? «Uomo di grande intelligenza. Capacità lavorativa mostruosa. Affetto da un fanatismo
politico senza pari. Odiava Ingrao e questo me lo rese inviso. La politica è anche fatta di questo: amori e odi».
A proposito di amori, come fu quello con Luciana Castellina? «Fu la scoperta della felicità. Luciana era libera
da tutto. Una libertà che non avevo mai conosciuto. Furono anni straordinari e molto dolorosa la separazione.
Almeno così io la vissi».
Un'altra separazione, immagino anch'essa dolorosa, fu quella da Luigi Pintor quando, insieme ad altri, fu
espulso dal Pci. Cosa ha provato? «Dal punto di vista politico mi sembrava che la loro analisi fosse del tutto
sbagliata. Oggi se la raccontano in un altro modo, ma allora pensavano che in Occidente fosse maturo il
comunismo. Un abbaglio. Imperdonabile». I rapporti con Pintor, con l'amico più caro? «Quel senso di intimità
che per lungo tempo provammo si perse. Per me era sempre stato il punto di riferimento. Scoprii che
eravamo diventati diversi».
Quanto diversi? «Un giorno Gabriele De Rosa mi disse: Luigi ha un problema religioso. Ecco cosa è stato
Luigi: un grande moralista. L'ultima vacanza che facemmo assieme fu a San Candido. Erano i giorni di
Natale. Colsi, per la prima volta, la profondità del suo radicalismo etico. Improvvisamente capii che eravamo
diventate due persone distanti».
Chi la conosce dice: Reichlin è uno che non è mai stato veramente attratto dal potere. Cosa risponde?
«Forse è quel lato estetico al quale alludeva. Forse è il mio enorme limite. Non ho mai avuto niente. Neppure
una scorta, una macchina a disposizione».
Avverto una punta di snobismo.
«Mi ritengo un po' snob. Non so se sia un pregio o un difetto. Quello che so è che la politica la fa chi crede
fortemente in se stesso. Su di me ho avuto più di un dubbio. Che ho sciolto con qualche ironia e un certo
dilettantismo. Oggi nessuno capisce più niente di ciò che sta accadendo. Il primo che passa, con un po' di
parlantina, prende voti per il potere. Ma è questa l'Italia a cui pensavamo?».
Ha mai più avuto crisi di identità? «No, dopotutto mi ritengo un uomo fortunato. Ho goduto di alcuni privilegi.
Ho una moglie, Roberta, splendida, una vita felice. Due figli che hanno intrapreso una strada che non si
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interseca con la mia. Ma è la loro e del resto non ho avuto su di essi nessuna influenza». C'è una virtù che
rivendica? «Quella di ragionare. L'analisi è tutto. Fu una cosa che appresi da Togliatti».
Meglio lui o Berlinguer? «Due grandi leader. Diversi per tempi differenti».
Sente di essere stato un leader mancato? «I numeri uno sono rari, come la neve d'estate. Della politica ho
amato più l'intelligenza che l'azione. Ho sempre visto la grandezza di un problema, ma non ho mai avuto la
forza né la voglia di risolverlo. E per questo oggi ne posso parlare con la libertà di un novantenne».La
Liberazione Dopo la gioia Roma mostrò il lato peggiore tra puttane, borsaioli e fascisti ancora in giro
Pensavo: ma per chi abbiamo combattuto?
I nuovi statisti Nessuno capisce più nulla di quello che sta accadendo. Il primo che passa, con un po' di
parlantina, prende voti per il potereLE TAPPE IL PARTIGIANO Nato a Barletta, non ancora maggiorenne a
Roma entra a far parte dei Gruppi di Azione Patriottica per la liberazione della capitale, in particolare con la
Brigata Garibaldi nella rete coordinata da Calamandrei IL POLITICO Iscritto al Pci dal 1946, diventa
vicesegretario della Fgci. Entra in parlamento nel 1968 e vi rimane per sette legislature, seguendo il partito
nelle trasformazioni e contribuendo poi alla stesura del "Manifesto dei Valori" del Pd IL GIORNALISTA Entra
nella redazione dell 'Unità nel 1955 e l'anno successivo diventa vicedirettore. Passa alla direzione del
quotidiano fondato da Gramsci nel 1958 e la lascia nel 1962 per poi tornare nel 1977 fino al 1981
LO SCRITTORE Riprendiamoci la vita è l'ultimo libro (Eir, sarà presentato il 9 a Roma alla Sala Zuccari del
Senato) Ha scritto anche Il silenzio dei comunisti, con Vittorio Foa e Miriam Mafai (2002, Einaudi) e Il midollo
del leone (2010, Laterza)
Foto: LA BIOGRAFIA Alfredo Reichlin è un politico, giornalista e scrittore italiano, nato a Barletta il 26 maggio
1925. È stato direttore dell 'Unità, partigiano, parlamentare e dirigente del Pci e poi del Pds e del Pd,
collaborando alla stesura del suo "Manifesto dei valori"
Foto: DISEGNO DI RICCARDO MANNELLI
07/12/2014
La Repubblica - Bologna
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"Non c'è il rischio banlieue ma la tensione sociale unisce studenti e
dannati"
ELEONORA CAPELLI
«IO IL rischio banlieue qui non lo vedo proprio, mi sembra una definizione frutto di contingenze e superficiale.
Piuttosto questo è un caso di conflittualità sociale, in una città come Bologna che ha una consistente
presenza studentesca, con livelli di disponibilità al conflitto più elevata. È una socializzazione della politica
tradizionale, e visto chei dannati oggi sono gli immigrati e i nomadi, è su queste questioni che chi protesta si
mobilita».
Il sociologo Asher Colombo guarda agli eventi di questi giorni con la prospettiva non solo del professore
universitario, ma anche con quella del residente in Bolognina, nel quartiere dove si assiste alla "megaoccupazione" di via Fioravanti.
Professor Colombo, qualche giorno fa uno studio della Fondazione Leone Moressa definiva Bologna come la
città a più alto rischio banlieue, in base ad alcuni criteri tra cui la marginalità socio-economica degli stranieri.
Lei pensa che le occupazioni di questi giorni diano ragione agli analisti? «Vorrei smentire intanto alcuni luoghi
comuni, ad esempio quello che l'incidenza di immigrati in un quartiere faccia aumentare il conflitto sociale. A
Bologna il quartiere con più immigrati di tutti è la Bolognina e la conflittualità è zero. Anche per quanto
riguarda la disoccupazione, questo è un fenomeno che colpisce tutti, e solo un po' di più gli stranieri rispetto
agli italiani. Le diseguaglianze, a partire dagli anni '80 sono fortemente aumentate, ma per un lungo periodo
questo non ha prodotto conflittualità. Insomma, io credo che qui si debbano fare più analisi politiche e
sociali».
Quello che sta succedendo a Bologna è quindi il segnale di un malessere diffuso, oppure il tentativo di
guidare politicamente il disagio abitativo ed economico che c'è? «Si tratta del riemergere di una conflittualità
sociale che prende forme anche molto visibili, visti gli obiettivi designati. Nei gruppi e negli ambienti dei
collettivi universitari o di organizzazioni analoghe, c'è un comprensibile tentativo di capitalizzare un disagio
generalizzato». Alla protesta di chi è rimasto senza casa si somma quindi la protesta dei collettivi e dei centri
sociali? «C'è un cambiamento di percezione del futuro, oggi per la prima volta ci si aspetta che le cose
peggiorino sempre, invece che migliorare. La percezione di un futuro "bloccato" si somma al fatto che la
distribuzione della crisi non è stata uniforme, i giovani sono stati i più colpiti. E quindi riesplode un conflitto
sociale che è come un fiume carsico». In che senso? «Qualche tempo fa tutti ricordiamo l'occupazione di San
Petronio da parte degli immigrati che non trovavano casa. C'è un andamento in qualche modo "sotterraneo"
di queste problematiche, che riemerge ciclicamente. Poi, vedendo quello che accade in altre città, come
Milano, Torinoe Genova, può darsi che questa sia una nuova fase. Dobbiamo guardare bene quello che
succede da qui in avanti».
Quanto conta secondo lei il fatto che Matteo Salvini, leader in ascesa della Lega Nord, cerchi oggi di
cavalcare con nuova forza le difficoltà dell'integrazione tra stranieri e italiani? «Salvini sfrutta
intelligentemente a suo favore un vuoto lasciato dalla sinistra, sempre molto timida su questi temi. La
questione dello Ius Soli, il diritto di cittadinanza per i bambini figli di stranieri, ad esempio, era importante.
Invece un po' se ne parla, un po' no, alla fine prevale la timidezza nell'affrontare anche dei nodi simbolici, c'è
il timore che la società non sia pronta». E secondo lei la società è pronta? «Sì, ci sono statistichee studi che
lo dimostrano, la stragrande maggioranza degli italiani sarebbe d'accordo. Ma c'è l'incapacità di esplicitare un
disegno sulla questione della presenza di famiglie straniere nel nostro Paese. E questo lascia un vuoto, in cui
si innesta il processo di politicizzazione di un tema altrimenti sparpagliato nella vita quotidiana, fatta di
chiacchiere e mugugni al bar. I mugugni che adesso Salvini capitalizza».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'INTERVISTA
07/12/2014
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Ma quanto potrebbe servire un gesto simbolico a queste persone che non hanno la casa? «È l'unica cosa
che si può fare a costo zero, e proprio per questo sarebbe importante, in un momento in cui le risorse
scarseggiano».
PER SAPERNE DI PIÙ www.comune.bologna.it hobo-bologna.info
Foto: Asher Colombo
08/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
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Papa Francesco "I 7 impedimenti che vanno tolti ai divorziati"
intervista
ELISABETTA PIQUÉ
Papa Francesco "I 7 impedimenti che vanno tolti ai divorziati" A PAGINA 19 CITTÀ DEL VATICANO «DIO è
buono con me, mi dà una sana dose di incoscienza. Sto facendo quello che devo fare». «Fin dal primo
momento mi sono detto: "Jorge, non cambiare, rimani te stesso, perché cambiare alla tua età è ridicolo"».
Rilassato e di buon umore, Francesco concede a La Nación un'ampia intervista sui temi più caldi sui quali si
confronta oggi la Chiesa.
Il Rinnovamento della Chiesa, a cui lei richiama, mira anche a cercare le "pecorelle smarrite" e a frenare
l'emorragia di fedeli? «Non mi piace usare l'immagine dell'"emorragia", perché è molto legata al proselitismo.
Mi piace usare l'immagine dell'ospedale da campo: c'è gente molto ferita che aspetta che andiamo a sanare
le sue ferite, ferite dovute a mille ragioni. C'è gente ferita dall'incuria, dall'abbandono della Chiesa stessa,
gente che sta soffrendo terribilmente». Lei è un Papa che parla in modo diretto. Perché secondo lei ci sono
settori che si sentono disorientati, che dicono che «la barca è senza timone» dopo il recente Sinodo sulla
famiglia? «Mi stupiscono queste espressioni. Non mi risulta che siano state dette. In effetti, uno una volta mi
ha detto: "Questa cosa del discernimento fa bene, ma abbiamo bisogno di cose più chiare". E io gli ho detto:
"Guardi, ho scritto un'enciclica a quattro mani e un'esortazione apostolica. Faccio continuamente
dichiarazioni, omelie. Questo è ciò che io penso, non quello chei media dicono che io penso. Vada a vedere e
lo troverà, ed è molto chiaro; la Evangelii Gaudium è molto chiara"». Al Sinodo si è parlato dei gay?
«Nessuno ha parlato di matrimonio omosessuale. Abbiamo parlato di come una famiglia che abbia un figlio
omosessuale lo debba educare e di come aiutare questa famiglia. Dunque al Sinodo si è parlato della
famiglia e delle persone omosessuali in relazione alle loro famiglie, perché è una realtà che incontriamo nei
confessionali».
E dei divorziati risposati cosa dice? «Che facciamo con loro, che porta si può aprire? C'è un'inquietudine
pastorale: allora gli andiamo a dare la comunione? Non è una soluzione dargli la comunione. Questo soltanto
nonè la soluzione, la soluzione è l'integrazione. Non sono scomunicati. Ma non possono essere padrini di
battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione, non possono
insegnare il catechismo, non possono fare sette cose, ho l'elenco lì. Se racconto questo, sembrerebbero
scomunicati di fatto! Bisogna aprire un po' di più le porte. Perché non possono essere padrini? "Che
testimonianza darebbero al figlioccio?". La testimonianza di un uomo e una donna che dicano: "Guarda, io mi
sono sbagliato, sono scivolato su questo punto, ma credo che il Signore mi ami, voglio seguire Dio, il peccato
non mi ha vinto, vado avanti". Ma che testimonianza cristiana è questa? Se arriva uno di questi truffatori
politici che abbiamo, corrotti,a fare da padrino ed è regolarmente sposato per la Chiesa, lei lo accetta? E che
testimonianza darà al figlioccio? Testimonianza di corruzione?». Ogni volta che c'è un cambiamento dello
status quo , com'è stato il suo arrivo in Vaticano, è normale che ci siano delle resistenze. Dopo poco più di 20
mesi, questa resistenza, all'inizio silenziosa, sembra essere più evidente...
«Questa parola l'ha detta lei. Le resistenze adesso si rendono evidenti, ma per me è un buon segno che le
manifestino, che non le dicano di nascosto quando uno non è d'accordo. È sano chiarire le cose; è molto
sano».
La resistenza haa che fare con la pulizia che lei sta facendo, con la ristrutturazione interna della curia
romana? «Considero le resistenze come dei punti di vista diversi, non come una cosa sporca. Ha a che
vedere con delle decisioni che prendo, certo. Ci sono delle decisioni che toccano alcuni aspetti economici,
altre aspetti più pastorali».
È preoccupato? «No, non sono preoccupato, mi sembra tutto normale, perché sarebbe anormale che non
esistessero dei punti di divergenza. Sarebbe anormale che non venisse fuori nulla». È finito il lavoro di pulizia
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IL COLLOQUIO
08/12/2014
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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o prosegue? «Non mi piace parlare di "pulizia". Direi che si tratta di far camminare la curia nella direzione che
le congregazioni generali [le riunioni che precedono il conclave, NdT ] hanno chiesto. No, ma c'è ancora
molto da fare. C'è da fare, c'è da fare».
Ciò che si è trovato facendo pulizia è peggio di quello che si aspettava? «Prima di tutto, non mi aspettavo
nulla. Speravo di tornare a Buenos Aires ( ride ). E poi credo che, non so, Dio in questo è buono con me, mi
dà una sana dose di incoscienza. Sto facendo quello che devo fare».
Dell'essere Papa, che cosa le piace di più e che cosa le piace di meno? «Prima di venire qui, stavo per
ritirarmi. Una volta tornatoa Buenos Aires, ero d'accordo col nunzio di preparare una terna perché alla fine di
quell'anno [2013], si nominasse il nuovo arcivescovo. Pensavo ai confessionali delle chiese dove sarei
andato a confessare. Avevo anche progettato di trascorrere due o tre giorni a Luján e il resto in Buenos Aires.
Venuto qui, ho dovuto affrontare tutte queste cose nuove. Ma fin dal primo momento mi sono detto una cosa:
"Jorge non cambiare, rimani te stesso perché cambiare alla tua etàè ridicolo". Per questo, ho continuato a
fare le cose che facevo a Buenos Aires. Compresi gli sbagli magari, si può supporre. Ma preferisco essere
quello che sono. Evidentemente, questo ha creato alcuni cambiamenti nei protocolli, non in quelli ufficiali
perché li osservo bene. Ma il mio modo di essereè lo stesso chea Buenos Aires, e dunque quel "non
cambiare" mi ha inquadrato bene la vita».
Al ritorno dalla Corea del Sud, a una domanda, ha risposto che si aspettava tra due o tre anni di "tornare alla
casa del Padre", e molti si sono preoccupati per il suo stato di salute, pensando che fosse malato o qualcosa
di simile. Come sta? «Hoi miei acciacchie alla mia età gli acciacchi si sentono. Ma sono nelle mani di Dio,
finora posso sopportare un ritmo di lavoro più o meno buono». (Copyright La Nacion.
Traduzione di Louis Moriones)
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Foto: IL COMPLEANNO Papa Francesco compirà 78 anni il 17 dicembre LE RESISTENZE Per me è bene
che vengano fuori le resistenze. Le considero punti di vista diversi. Ed è sano chiarire le cose LA "PULIZIA"
Non mi piace parlare di "pulizia" Si tratta di far camminare la curia nella direzione richiesta I PROTOCOLLI
Dio è buono con me, mi dà una sana dose d'incoscienza Sono quel che sono Questo ha cambiato in parte i
protocolli
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ALBERTO D'ARGENIO
>Merkel attacca anche la Francia: sulle riforme non fate abbastanza. L'ira di Renzi: non ci terrà sotto scacco
Crociata anti-euro di Grillo: "Sono più vivo che mai". Pizzarotti con i dissidenti: riprendiamoci il Movimento
ROMA. Di buona mattina Matteo Renzi legge l'intervista alla Welt Am Sonntag nella quale Angela Merkel
boccia le riforme di Italiae Francia: sono «insufficienti», sentenzia la Cancelliera. Il premier italiano prende il
telefono e compulsa una serie di sms per attivare la contraerea. Non vuole rispondere pubblicamente ad
Angela, «con lei ho un buon rapporto basato sulla franchezza e quando non siamo d'accordo le cose gliele
dico in faccia», spiega ai suoi. E poi, racconta chi lo ha sentito nel corso della giornata, in Renzi le critiche del
leader tedesco hanno svegliato una certa «insofferenza», se non rabbia. «Se crede di tenerci sotto scacco - è
il giudizio del premier - si sbaglia di grosso». Così sono i più stretti collaboratori del premier italiano a
rispondere alla Cancelliera. La controffensiva la lancia il braccio destro di Renzi sullo scacchiere europeo, il
sottosegretario Sandro Gozi. Che prima si richiama a «questioni di stile» riferendosi al bon ton comunitario
secondo il quale «non sta ai capi di governo» fare le pulci ai partner. Poi a muso duro afferma che la logica
dei «compiti a casa è finita: la ragioneria e le pagelle devono lasciare posto alla politica». Il sottosegretario
ricorda che le riforme avviate dal governo Renzi «hanno ricevuto un coro internazionale di apprezzamenti»,
partendo da Obama fino al Fondo monetario e alla stessa Commissione Ue, che ha dato tempo finoa marzo
all'Italia per farle correre in Parlamento prima di emettere il suo giudizio definitivo sul Paese. Poi ricorda alla
Merkel, esattamente come lei ha fatto lei con l'Italia, i rilievi che Bruxelles da mesi muove a Berlino: «Forse la
Cancelliera potrebbe concentrarsi sulla domanda interna, sulla mancanza di investimenti o sugli squilibri della
bilancia dei pagamenti tedesca. Sarebbe un contributo importante che l'Europa aspetta da tempo». In serata
tocca al sottosegretario alla presidenza, Graziano Delrio, affondare il colpo davanti alle telecamere del Tg1:
«Noi siamo impegnati sulle riforme e sul risanamento, piuttosto è l'eccesso di surplus della Germania che
crea problemi agli altri paesi. Ognuno guardi in casa propria prima di giudicare».E sulla stessa linea si schiera
il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini.
Il botta e risposta tra Germania e Italia arriva alla vigilia di una riunione dei ministri delle Finanze europei che
si preannuncia incandescente. Già, perché oggi a Bruxelles i governi discuteranno le pagelle che la
Commissione ha pubblicato dieci giorni fa, quelle con il rinvio a marzo di Italia, Franciae Belgio. Coni falchi
del rigore - non più solo i nordici, ma anche i paesi passati dalle cure della Troika che non vogliono fare sconti
agli altri, come Irlanda e Portogallo - che chiederanno impegni stringenti per i prossimi mesi. Ed è questo che
fa infuriare Palazzo Chigi, dove si rimarca che «è sbagliato che un leader del peso della Merkel intervenga a
gamba tesa». E il giudizio non muta nell'ipotesi in cui l'intervento della Cancelliera non guardi a Bruxelles, ma
a casa propria. Già, perché domani a Colonia si riunisce il congresso della Cdu chiamato a confermare, dato
scontato, la leadership di Angie. Che potrebbe avere usato il randello giusto per compiacere l'ala più rigorista
del partito.
Sia come sia, la sortita della Cancelliera a Roma proprio non è piaciuta. Tanto che l'analisi dell'entourage
renziano è molto dura. «È deludente, attaccandoci ha dato vita ad un'operazione di piccolo cabotaggio». E il
premier assicura ai suoi che non si farà intimidire. A Bruxelles si discute di flessibilità e investimenti, ma la
vera svolta non è ancora arrivata.
E a marzo ci aspetta il giudizio definitivo della Commissione Juncker sui conti e sulle riforme.
Con Roma che vuole correre sul Jobs Act e sulle altre riforme in cantiere, ma non intende rimettere mano al
portafoglio. Già, perché la Ue potrebbe chiedere un'altra manovra aggiuntiva, la seconda dopo quella da 3,2
miliardi di ottobre, per abbassare il deficit strutturale e dunque il debito. E si teme che la Merkel abbia proprio
voluto giocare su questa ambiguità, cioè parlare di riforme per colpire sui conti. Ma se ci chiederanno un'altra
manovra aggiuntiva - spiega chi ha parlato con Renzi - «noi questa volta diremo di no». E pazienza se l'Italia
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Italia-Germania, è scontro
08/12/2014
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finirà in una procedura per il mancato rispetto della regola del debito, un meccanismo che potrebbe sfociare
in un commissariamento della politica economica e in sanzioni. Al contrario, per ora il governo di fronte a uno
scenario del genere non si fa spaventare: «Altro che manovra, in quel caso aumenteremmo la spesa,
facendo salire il deficit ora al 2,6%, per finanziarci da noi gli investimenti per la crescita», minacciano anche
dal Tesoro, dove di solitoi toni sono più pacati. Insomma, tra Roma e Bruxelles a primavera voleranno ancora
colpi di mortaio.
LE RIFORME
IL JOBS ACT Il governo accelera sulle riforme a cominciare dal Jobs Act: subito il decreto delegato sul
contratto a tutele crescenti e sulla cancellazione dell'articolo 18
AGENZIA LAVORO Entro febbraio l'ultimo tassello della riforma del mercato del lavoro: la nuova Agenzia
nazionale del lavoro per il reinserimento di chi perde il posto
MUNICIPALIZZATE Entro gennaio il governo vuole mandare in porto il piano per tagliare le ottomila
municipalizzate, definite da Renzi "una vergogna"
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Foto: ALLE PAGINE 2 E 3
Foto: L'ITALIA ALLA PROVA DEI MERCATI A destra, Matteo Renzi, presidente del Consiglio e Angela
Merkel, Cancelliera tedesca. Sopra, la Borsa di Francoforte. Italia alla prova dei mercati oggi dopo il
declassamento da parte di Standard & Poor's
08/12/2014
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Cantone: non si può arrestarli tutti
LIANA MILELLA
CANTONE? Poltrona scomoda la sua in queste ore... «La gente mi ferma per strada e mi dice: arrestateli
tutti». E lei si meraviglia? «La cosa mi preoccupa molto perché mi ricorda la voglia di forca e le monetine del
'93». Il presidente dell'Anac Raffaele Cantone rivela le sue preoccupazioni. A PAGINA 4 ROMA. Cantone?
Poltrona scomoda la sua in queste ore... «Non me ne parli... La gente mi ferma per strada e mi dice
"arrestateli tutti... "». E lei si meraviglia? «La cosa mi preoccupa molto perché mi ricorda la voglia di forca e le
monetine del '93».
Il presidente dell'Anac Raffaele Cantone rivela le sue preoccupazioni. Ci racconta della gente che la ferma,
dov'è successo? «Dovunque, a Roma, a Napoli, e in tutti i luoghi in cui mi sono recato in questi giorni».
E lei come si sente da uomo delle istituzioni, che risponde? «Sono preoccupato della generalizzazione nel
considerare tutta la politica corrotta. Ho provato a spiegare che noi dell'Anac non arrestiamo nessuno e che il
nostro compito è molto meno evidente nei risultati, ma ha un obiettivo più ambizioso, provare a prevenire la
corruzione». La gente vuole risultati immediati? «La gente, in questa fase, fatica a ragionare. In un Paese in
crisi, vedere chi ruba indigna ancora di più e quindiè difficile far ragionare la pancia delle persone. Ma il
nostro compito è ragionare e non farci prendere dall'emotività». Come dar torto a chi è indignato contro chi
ruba, quando, come dimostra il caso di Roma, ci sono politici del Pd a libro paga di un fascista? «Vorrei che
l'indignazione di un giorno delle persone e della politica fosse sostituita da un impegno duraturo. La
corruzione non è un male che si vince urlando due giorni, c'è bisogno di cambiamenti radicali da parte della
politica e dei cittadini».
La politica deve cambiare. Si dice a ogni inchiesta. Anziché fare il commissario anti-corruzione, non sarebbe
meglio che lei fosse il commissario che seleziona gli uomini politici? «Malgrado la difficoltà del periodo, io
vedo segnali positivi...».
Eh lo so, mi sta per parlare bene di Renzi...
«Sto per citare fatti, e non persone.
Ricordo la nomina all'unanimità del presidente dell'Anac, l'approvazione di una legge che ci ha consentito di
commissariare gli appalti dell'Expo e il consorzio Mose. Si può dire che non basta, ma certamente è un
segnale positivo. E poi non me la sentirei mai di fare il selezionatore della politica». Forse perché sa già che
sarebbe una sconfitta? «Io, al massimo, posso essere bravo ad applicare le norme, ma non certo a
selezionare gli uomini politici. E poi la selezione lasciata a una persona rischia di essere un pericolo. Qui c'è
bisogno di un gruppo di persone per bene in grado di allontanare le mele marce».
In questo clima nonè grottesco che nell'Italicum si parli di capilista bloccati e non scelti dalla gente? «Ma
l'indagine di Roma non ha dimostrato che i soldi servivano per comprare voti in qualche caso destinati perfino
alle primarie? Non è la prova che forse le preferenze rischiano di peggiorare la situazione?». La tabella dei
pagamenti di Carminati ai politici rivela che il problema della corruzione è lì, in chi si fa pagare...
«L'indagine va molto oltre la politica, coinvolge pezzi significativi del ceto amministrativo, dei portaborse dei
politici, degli amministratori delle società miste e mette in rilievo negativo perfino uno dei vanti della nostra
società, il mondo cooperativo».
Lei è al vertice dell'Anac dal 28 aprile.
Ma Roma è scoppiata lo stesso. Poteva fare di più? «Ho fatto tutto quello che umanamente era possibile
fare. In questi mesi, io e gli altri 4 quattro colleghi al vertice dell'Anac, siamo entrati in santuari intoccabili, di
Expo e del Mose già si sa, ma abbiamo imposto regole rigide di trasparenza alle società pubbliche, agli ordini
professionali, abbiamo attivato la vigilanza su un enorme numero di appalti, abbiamo stipulato convenzioni
con tutti gli organi per la formazione dei pubblici dipendenti, con Confindustria abbiamo lavorato al loro codice
etico...». Ma lei fino a oggi ha fatto arrestare qualcuno? «Io non sono più un pm... Certamente il nostro lavoro
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L'INTERVISTA
08/12/2014
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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potrà servire per inchieste future. Ma non è solo con gli arresti che si vince la corruzione. La politica deve
recuperare fino in fondo il valore etico della sua funzione".
PER SAPERNE DI PIÙ www.repubblica.it www.anticorruzione.it
Foto: ANTICORRUZIONE Raffaele Cantone dal 28 aprile presiede l'autorità anticorruzione voluta da Renzi
RADICALI "La corruzione non è un male che si vince urlando due giorni, c'è bisogno di cambiamenti radicali
FARE DI PIÙ "Potevamo fare di più da aprile? Ho fatto tutto quello che umanamente era possibile fare contro
il malaffare
08/12/2014
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Ecco le prove delle tangenti "In due anni 44 bonifici per pagare 226mila
euro"
I pagamenti delle coop di Buzzi all'ex moglie e al figlio di Odevaine, il destinatario finale
FABIO TONACCI
ROMA. Quarantaquattro bonifici bancari in due anni transitati dalle cooperative di Salvatore Buzzi sui conti
correnti dell'ex moglie e del figlio di Luca Odevaine. Che poi li giravano dopo pochi giorni a lui, l'uomo che
giocava su tre tavoli. Tutti i passaggi di denaro sono stati fatti attraverso la Banca Popolare di Verona,
semplicemente taroccando le causali dei versamenti.
A volte erano fatture inesistenti, altre volte rate di mutuo per appartamenti mai affittati. Un totale di 226mila
euro in entrata, e 248mila in uscita.
Eccola qui la prova di come Mafia Capitale pagava tangenti. Nero su bianco, in 44 distinte riferite ad
altrettante operazioni fatte tra il 12 gennaio 2012 e il 10 febbraio 2014, rintracciate dagli investigatori del Ros
che a Odevaine hanno dedicato ben quattro informative e più di duemila pagine. Le merita tutte, il
personaggio. Perché l'ex direttore di gabinetto di Veltroni e del prefetto Morcone, nonché ex capo della polizia
provinciale di Roma e gancio di Carminati e Buzzi al Tavolo per l'accoglienza dei rifugiati al Viminale, è un
uomo che conta parecchio, in questa storia. Non per niente lo chiamano "il Padrone".È l'unico che riesce a
muoversi e a muovere pedine sui tre tavoli che interessano ai sodali per i loro affari: Campidoglio, Provincia
di Roma, ministero dell'Interno.
Un uomo da coccolare, appunto, con uno stipendio parallelo.
Pescando a caso tra i bonifici, l'8 maggio 2012 la Eriches 29 di Buzzi gira sul conto di Lozanda Hernandez
Nitza del Valle, la ex di Odevaine (si erano sposati nel 2011) 5.000 euro per "canoni locazione mese maggio".
Sei giorni dopo la donna li ritrasferiscea Odevaine in due tranche, da 2.000 e 3.000 come "restituzione
prestito". Ma verificando all'Agenzia delle entrate, i carabinieri scoprono qualcos'altro.
«Non esiste alcun contratto di locazione - si legge nell'informativa del 30 luglio scorso- tra gli immobili a
disposizione di Odevaine o dei suoi congiunti e le società riconducibili a Buzzi».
Le transazioni si ripetono 44 volte, cambiano solo i beneficiari (a volte è lei, altre volte è il figlio Thomas
Edinzon Enriques Lozada) e le causali: "affitto settembre", "saldo fattura", "trasferimento fondi", "affitto
gennaio", "anticipo fattura", "restituzione prestito". Non cambia il destinatario finale, Luca Odevaine. Ma in
calcea questa sfilza di cifre, i carabinieri scrivono una frase che assomiglia tantoa uno scacco matto: «Tali
bonifici non sono giustificati dall'esistenza di rapporti lavorativi tra i titolari dei conti e le cooperative». Solo
Thomas, il figlio acquisito di Odevaine, tra il 2010 e il 2012 ha avuto rapporti con le coop Eriches 29, Abitus e
Percorso, «ma gli importi erano molto inferiori rispetto a quelli successivi». Usano pure una parola in codice,
per il sollecito. «Puoi verificarmi gli affitti - chiede a Buzzi con un sms il 15 febbraio 2013 - Sono un po' in
difficoltà. Grazie, un abbraccio». "Affitti", stando alle indagini era il segnale che l'appetito era tornato. E infatti
dopo quel messaggino la segreteria di Buzzi si attivò per saldare il "canone di maggio" di una casa - stando
alle indagini - inesistente. A Odevaine viene anche offerto di entrare, attraverso la Fondazione IntegrAzione di
cui è presidente, nella gestione del centro di Anguillara. «Si stanno mettendo un po' sporche le cose?», gli
chiede preoccupata Rossana Calistri, funzionario del Campidoglio. «So' loro che so' storti...».
Del resto di conoscenze da spendere, Odevaine, ne ha parecchie. E nei posti giusti. È stato mandato al
Tavolo del Viminale dall'allora presidente della Provincia Luca Zingaretti, e lì è rimasto fino al giorno
dell'arresto, peraltro senza averne titolo, perché il suo mandato con l'Unione province italiane era scaduto.
«Sono in grado di orientare i flussi», si vanta, per accreditarsi quale soggetto da "ungere" con mazzette per
riempire di rifugiati gli 8 centri romani che interessavano a Buzzi. Un credito che anche gli investigatori gli
riconoscono: «Aveva influenza sui vertici del Dipartimento immigrazione del ministero dell'Interno». Il
riferimento è al prefetto Mario Morcone, di cui è stato capo di gabinetto quando fece il commissario di Roma
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IL RETROSCENA
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dopo le dimissioni di Veltroni. Nel giugno scorso Morcone è stato nominato dal governo proprio capo di quel
Dipartimento.
E Odevaine commenta così: «Hanno fatto questa scelta perché io sono andato a parlare con questo qua
della segreteria del Pd... M'ha chiamato pure per ringraziarmi (si riferisce a Morcone, ndr), perché si vede che
gli hanno detto che c'è stato un mio intervento...». Millanterie, o forse qualcosa di più, dell'uomo che giocava
su tre tavoli.
Foto: I CONTI
Foto: IN CELLA Qui sopra, Luca Odevaine.
In alto, la ricostruzione dei bonifici sul suo conto fatta dal Ros
08/12/2014
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"Mai fatto pressioni per favorire Buzzi ma nel Pd un degrado
impressionante"
PAOLO BOCCACCI
ROMA. Onorevole Bettini, discutendo di come aggiudicarsi l'appalto di un centro per immigrati Salvatore
Buzzi dice "a noi ci manda Goffredo".
E quel "Goffredo" sarebbe lei.
«Si esaltano notizie di carte che non hanno per la Procura rilievo nell'indagine. È il modo per salvare i corrotti
e sporcare chi ha fatto della correttezza una ragione di vita. Querelo chi dovesse affermare che ho compiuto
pressionio ingerenze per favorire la cooperativa 29 Giugno. Non so neanche cosa sia quell'appalto». Ma lei
Buzzi lo conosceva o no? «Questo è il dramma, il paradosso: la 29 Giugno è stata fin dalla nascita un
simbolo della sinistra. Tutti avevano rapporti con loro. Come si poteva immaginare quello che c'era dietro? È
ridicolo dire: mai conosciuti! Il suo era un mondo con riferimenti lontani da me, come si evince da alcune
intercettazioni. Ma io non ho mai pensato, e ancora oggi sono allibito, che lì dentro ci fosse corruzione. Ho già
segnalato il rischio che si arrivi alla impraticabilità di campo per ogni tipo di impegno pubblico, perché si arriva
perfino a maledire un incontro, una chiacchierata, un consiglio. Non si sa più con chi si parla. Ma allora muore
la democrazia, la politica».
Bettini, lei è stato il dominus del Pd romano per vent'anni.
Recentemente ha parlato di un partito balcanizzato. Chi sono i "capibastone" a Roma? «Ho parlato in termini
politici». E in termini politici chi sono? «È un sistema di vita complessivo del partito. Riterrei sgradevole
utilizzare questo momento, di grande dolore e sconcerto, per lucrare qualche misero vantaggio politico.
Posso dire che in tempi non sospetti, era il 2009, scrissi parole profetiche nel mio libro Oltre i partiti : "Il
campanello d'allarme va suonato, non ci vogliono i giudici per comprendere che la corruzione è tornata e
nessuno può pensare che si fermi sulla soglia del centrosinistra"». Alle europee lei è stato molto combattuto
da alcuni capicorrente. Chi erano? Gasbarra? Marroni? O chi altro? «Che senso ha soffermarsi sui nomi?
Con Gasbarra per anni ho avuto rapporti di amicizia. La verità è che, dopo la vittoria di Alemanno, molti
dissero che era fallito il "modello Roma" anche per sbarazzarsi di una classe dirigente autorevole e capace,
ma ritenuta soffocante, tant'è che io subito dopo lasciai ogni incarico politicoistituzionale e me ne andai
all'estero a occuparmi di cultura e a scrivere libri».
È vero che qualsiasi persona può andare in un circolo Pd e comprare cento, mille tessere, che poi regalaa
chi vuole in cambio di un voto? «Il Pd, non solo a Roma, ha raggiunto livelli preoccupanti di degrado della vita
interna. Il tesseramento spesso si è fatto procurandosi tessere a 10 euro da distribuire. Anche a persone del
tutto estranee. Le correnti non hanno quasi mai un significato politico ideale, ma sono gruppi spuri che mirano
al potere. Da anni invoco un partito di persone che decidono in libertà contro la logica "proporzionale" delle
correnti». Di Stefano, il deputato del Pd indagato per una tangente, in uno sfogo arriva a dire che le primarie
del Pd sono state truccate e minaccia rivelazioni clamorose.
«Non so se il termine "truccate" sia giusto, so che quando le primarie non sono per ruoli di spicco, come un
sindaco o un premier, che riguardano centinaia di migliaia di elettori, finiscono per esaltare il condizionamento
interno delle correnti. Detto questo, il Pd rimane uno straordinario campo di energie positive e di persone
perbene».
Foto: SPORCARE
Foto: Ho fatto della correttezza una ragione di vita, non mi faccio sporcare da accuse senza fondamento
Foto: CON VELTRONI Goffredo Bettini è stato braccio destro di Veltroni al Campidoglio e senatore del Pd. È
eurodeputato dem
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'INTERVISTA/ GOFFREDO BETTINI
08/12/2014
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Quattrocento a Parma, nasce la corrente dei dissidenti La deputata Sarti: discutiamo se togliere Beppe dal
simbolo
ANNALISA CUZZOCREA
"PARMA. Alla fine di una giornata interminabile, fatta di parole, lacrime, applausi, abbracci, telecamere,
palchetti improvvisati e streaming che si inceppano, Federico Pizzarotti legge sul suo Android il post di Beppe
Grillo,e ride. La risposta del fondatore dei 5 stelle a coloro che hanno osato sfidare la sua leadership dicendo:
«Il Movimento siamo noi» appare debole e sfocata rispetto alla forza di quei numeri e di quelle facce.
«Sono vivo e più vivo che mai», dice Grillo, annunciando che il 13 dicembre comincerà la raccolta firme per il
referendum contro l'euro. «Non ho fatto un passo indietro, ma avanti», è il messaggio. Peccato che - all'hotel
Villa Ducale di Parma - sembrava andasse avanti senza di lui.
Sono arrivati fin dal mattino, i quattrocento, di cui 160 eletti e molti attivisti della prima ora («Ad altri 100
abbiamo dovuto dir di no»). C'erano l'europarlamentare Marco Affronte, i deputati Rizzetto, Rostellato, Bec h i
s , I a n n u z z i , Baldassarre,Turco, Sarti, Mucci, Montevecchi, Barbanti. Il sindaco di Pomezia Fabio Fucci
(quello di Livorno, Filippo Nogarin, alla fine è rimasto a casa, ma ha mandato un messaggio di "vicinanza").
Poi i senatori espulsi, Romani, Mussini, Bencini, Bignami. Perché «dietro le etichette, ci sono le persone»,
dice il sindaco. Non è arrivato l'ultimo messo fuori, Massimo Artini, ma c'è e resta tutto il tempo l'ex
consigliere emiliano Andrea Defranceschi, cacciato anche lui («Avrei voluto che la sua esperienza fosse
usata in campagna elettorale - si rammarica Pizzarotti- tutti abbiamo avuto pressioni per non attestare
vicinanza a questo o a quello, me ne sono vergognato, non ho più intenzione di farlo»).
Pretende libertà, il sindaco di Parma. Mostra un filmato della serie americana Newsroom , in cui l'anchorman
Will McAvoy ammette che gli Stati Uniti non sono il Paese migliore del mondo: «Non eravamo così paurosi,
per risolvere un problema bisogna riconoscere che ce n'è uno», sono le parole di Jeff Daniels sullo schermo.
«Ci dobbiamo dire quali sono i nostri problemi apertamente - dice il sindaco in sala - possiamo dirci quel che
pensiamo senza la paura di essere mandati via?».
Prende fiato: «Io non vado da nessuna parte, io sono del Movimento 5 Stelle e vorrei che il Movimento
riconoscesse il lavoro che faccio». Standing ovation, e si riparte da lì. Dalla necessità di non avere paura.
«Del giudizio degli attivisti, dei parlamentari, delle filastrocche».
«Quella della settimana scorsa sul blog non era di buon gusto, non ha insegnato niente, è questo che
dobbiamo superare». Racconta di una telefonata con Luigi Di Maio, il vicepresidente della Camera ed
esponente di punta del direttorio: «Gli ho detto che dobbiamo parlarci, che serve un incontro, una grande
assemblea con 500-600 persone». Un congresso? «Chiamatelo come volete». Come per incanto, voci
spesso timide in Parlamento escono fuori con tutta la forza e l'emozione dei giorni importanti. La deputata
imolese Mara Mucci piange dicendo che autocriticaè una parola bellissima,e che «se chi insulta non si rende
conto che dietro la tastiera ci sono persone perdiamo umanità». Giulia Sarti ragiona sulle espulsioni: «Il
problema non è che è stata saltata l'assemblea, Beppe Grillo ha la proprietà del simbolo, può cacciare chi
vuole. Forseè di questo che dovremmo discutere. Non deve essere un tabù». Pizzarotti propone che si riveda
la decisione sulle espulsioni, ma «devono chiederlo i parlamentari, hanno i numeri per farlo. Senza Grillo non
saremmo qui, ma se non raccogliessimo le firme, se non andassimo nei consigli, non esisteremmo. Il
Movimento siamo noi e siete voi». È la fine della paura. Ed è contagiosa: «Beppe ha acceso la scintilla, ma
se non ci fossimo stati noi il Movimento non esisterebbe», dice Gessica Rostellato. «Oggi è il giorno della
rinascita del Movimento, noi siamo il Movimento 5 stelle», quasi urla il solitamente silente Tancredi Turco. Il
cuore di tutto, è nelle parole del capogruppo dei 5 stelle a Parma, Marco Bosi: «Nel 2010 non ci chiedevamo
come avere consenso, ma come risolvere i problemi. Ci serve la forza di tornare ai contenuti. Non ci sono
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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M5S, la sfida di Pizzarotti "Autocritica e niente espulsioni Grillo è già un
passo indietro" Il leader: io più vivo che mai
08/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 12
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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soluzioni semplici, la politica non è semplice, ma le cose si possono cambiare». I PROTAGONISTI GIULIA
SARTI "Non deve essere tabù ridiscutere la proprietà del simbolo" dice la deputata ANDREA
DEFRANCESCHI Ex consigliere emiliano, espulso: "Ripartire da Parma contro l'estinzione" FABIO FUCCI Il
sindaco 5 stelle di Pomezia dice "basta a espulsioni e scie chimiche" WALTER RIZZETTO "Oggi non c'è
alcuna conta.
Questa non è una Leopolda, né una scissione" dice il deputato PROPRIETÀ DI GRILLO Il logo del M5s
appartiene a Beppe Grillo, ricorda la deputato Giulia Sarti: "Non deve esserne tabù discuterne la proprietà".
D'accordo Pizzarotti.
IL SIMBOLO
Foto: MENO SCONTRINI
Foto: "Riscopriamo i valori delle origini Meno scontrini, più contenuti. Il passo indietro di Grillo? È nei fatti
Foto: FEDERICO PIZZAROTTI
Foto: VIVO PIÙ CHE MAI
Foto: Sono vivo più che mai. Nonostante questo tentativo di seppellimento mio, di Casaleggio e del
Movimento
Foto: BEPPE GRILLO
Foto: SENZA PAURA Federico Pizzarotti all'assemblea di Parma.
"Dobbiamo dirci quel che pensiamo - ha detto tra l'altro - senza paura di essere mandati via"
08/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 23
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LA DEBOLE POLITICA ESTERA DELL'ITALIA
MARIO PIRANI
SOLO in qualche rivista, letta al più da interessati ambasciatori in pensione, possono riesumarsi, con qualche
curiosità, corposi articoli, sapide rubriche sulle attività altrimenti ignote delle nostre feluche, ricordi di vita
diplomatica coltivati da studenti speranzosi in un futuro egualmente brillante a quello dei loro predecessori.
Eppure ogni illusione dovrebbe essere svanita da tempo e neppure un attento entomologo riuscirebbe a
reperire al giorno d'oggi tracce valide di una politica estera italiana. Ne parliamo, dunque, a puro scopo
didattico e formativo così che i giovani iscritti a Scienze politiche o a discipline similari possano esser convinti
a dare un senso ai loro curricula scolastici. Peraltro, in Italia tutto è possibile se solo nell'ultimo giorno di
settembre stava per ricevere con tutti gli onori il portafoglio della Farnesina una giovanissima laureata, Lia
Quartapelle, da Varese, certamente di valore, ma i cui titoli non oltrepassavano una fresca laurea triennale
trasformata in extremis in perfezionamento quinquennale. Una brillante carriera bloccata dal pignolo
presidente della Repubblica che trovò eccessiva una partenza tanto accelerata, non bastando a nobilitarla
l'inedito bacio accademico di Matteo Renzi, convinto all'ultimo istantea ripiegare su Paolo Gentiloni, "un usato
sicuro", privo di sorprese.
In ogni modo ci sarebbe tempo non solo per recuperare quello perduto quanto per non dilapidare il frutto di
antiche presenze. In primo luogo non lasciando del tutto cadere il classico tridente della politica estera
italiana (Europa, rapporto transatlantico, Nato) che ormai per ignavia ci vede in ultima istanza più deboli con
l'Unione europea e meno credibili con gli Usa.
Nel frattempo abbiamo disperso l'iniziativa quanto meno economica che Sarkozy aveva cominciato ad
elaborare di una Unione per il Mediterrraneo, presto fallita in seguito alle "primavere arabe". Reso vano ben
presto anche il tentativo di mantenere con la Libia una nostra punta di penetrazione nel Maghreb, senza
cercare di unificare su questo punto gli alleati possibili come la Germania che non aveva partecipato al
conflitto e non aveva interesse a destabilizzare Gheddafi. Del resto, neppure gli Usa ne erano convinti fin
dall'inizio. Invece ci siamo aggregati a una scomposta coalizione di "volenterosi" che ci ha trattato come gli
ultimi della classe, senza nemmeno che ci sfiorasse il dubbio che l'operazione franco-britannica era diretta
soprattutto contro ogni nostra residua influenza.
Se esploriamo anche altri quadri dei nostri possibili interessi ci rendiamo presto conto di quanto siano vitali i
legami con la Russia, per cui non ha alcun senso per noi mantenere le sanzioni contro Mosca, peraltro
pericolosee destabilizzanti perché accentuerebbero il vuoto strategico nella grande area a Nord del Caucaso.
Da riempire con cosa? Con la Cina? La quale, peraltro, non vuol saperne. Del resto al di là delle
recriminazioni economiche, non siamo ancora riusciti a coagulare un fronte che non sia necessariamente pro
Putin, ma che riguardi un progetto economico e strategico complessivo per trattare con la nuova Russia che
si sta definendo in questi mesi.
L'altro argomento finora di basso profilo malgrado la sua grande importanza è il Medio Oriente. Una nota
riservata di un nostro diplomatico nella regione, che abbiamo potuto esaminare rapidamente, ci riconduce a
vecchi giudizi antisemiti che dipingono Israele come guerrafondaio, adeguandosi al larvato e spesso non
larvato antisemitismo della Ue, la cui classe politica sembra non capire l'espansionismo del nuovo Califfato e
gioca su una amicizia a parole nei confronti di Gerusalemme, che giustamente il governo israeliano non tiene
troppo in conto. Sarebbe importante invece ripensare i nessi strategici bilaterali tra Israele e Italia, perché per
ricordare solo un piccolo fatto se si rompesse l'equilibrio israeliano in Medio Oriente, milioni e milioni di
profughi arriverebbero sulle nostre coste e questo sarebbe solo l'inizio. Nell'assieme non c'è ancora alcun
serio progetto politico a meno dell'operazione decisa poco tempo fa dalla Nato contro l'Isis. Non c'è alcuna
linea interpretativa seria sul fenomeno Califfato. La classe politica lo legge come parte del disastro di
riformulazione del nuovo grande Medio Oriente ma non ne riconosce i tratti di pericolo e nemmeno le possibili
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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LINEA DI CONFINE Lettere Commenti & Idee
08/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 23
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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aggregazioni extra siriane o extra irachene, e non capisce il ruolo di un membro della Nato che invece è
chiarissimo, la Turchia.
Se si incendia il grande Medio Oriente l'Iran sarà costretto, come ha iniziato a fare, a entrare in gioco non
facendo sconti a nessuno dei suoi nemici storici. Il nostro Paese e l'Iran hanno finora retto i loro rapporti in
termini puramente economici, come al solito. Ma l'appiattimento verso gli Usa rischia di essere una
debolezza. Spetta al neo ministro Gentiloni il difficile compito.
06/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
FRANCESCO MANACORDA
Le speranze sugli annunci fatti a raffica da Matteo Renzi sono, o almeno sono state, alte. Le constatazioni su
quanto è stato realizzato finora, invece, suscitano più di un timore. CONTINUA A PAGINA 9 SEGUE DALLA
PRIMA PAGINA Se si legge il giudizio dato ieri da Standard & Poor's in una pagella che porta il debito
italiano a livello di BBB- (appena un gradino sopra quello che i mercati finanziari considerano «spazzatura»),
risuonano subito all'orecchio le opinioni espresse in queste ultime settimane degli investitori internazionali che
dall'arrivo del governo Renzi si sono affacciati sul nostro Paese. Prima, per l'appunto, con entusiasmo per
quel ciclone che annunciava di volere e potere spazzare via ogni resistenza al cambiamento; adesso con
alcune perplessità in più sulla possibilità di attuare davvero riforme incisive, anche per le opposizioni della
sua stessa maggioranza. Una prospettiva fosca per gli investitori che puntano sulla nostra economia: loro,
adesso, dal governo si aspettano il «delivery», la consegna di quanto promesso, perché l'Italia possa
diventare di nuovo un Paese competitivo. Il tempo rischia di scadere presto, visto che le previsioni sulla
crescita anche nel 2015 sono decisamente deboli. E sarebbe illusorio cullarsi in una fase di stabilità politica e
di spread sui titoli di Stato bassi - che al momento non paiono segnalare particolari urgenze per evitare di
affrontare i problemi. Il rischio è che tra qualche anno, finita la fase di tassi bassi e denaro facile dalla Bce, ci
si ritrovi alle prese con condizioni meno favorevoli e un'economia che non ha saputo curare le sue debolezze
strutturali. Del resto, oggi, la mancata competitività dell'Italia, influenza in parte anche il peso della finanza
pubblica. Standard & Poor's punta il dito sul nostro livello di debito pubblico, che stima possa essere a fine
2017 di 80 miliardi più alto di quanto previsto. È il prezzo che l'Italia paga in parte per un alleggerimento del
controllo sui conti - quello a cui Bruxelles ha per il momento di fatto detto sì, rinviando a marzo il giudizio sulla
Legge di Stabilità - ma soprattutto per la crescita che manca: un Pil più basso significa anche un debito che a
parità di dimensioni pesa di più in termini relativi. È proprio qui che si inserisce l'importanza delle riforme,
compreso quel Jobs Act che i mercati internazionali, e con loro l'agenzia di rating americana, hanno accolto
con soddisfazione, e la parallela importanza dei tagli alla spesa pubblica che consentano anche di ridurre un
carico fiscale che schiaccia l'economia. Standard & Poor's cita esplicitamente le «riforme del mercato del
lavoro, dei prodotti e dei servizi», come quelle essenziali per la crescita: se dalla carta si trasferiranno nella
vita comune allora il rating dell'Italia aumenterà - e anche per questo il nostro debito pubblico costerà di meno
- se invece non si concretizzeranno, allora Btp e Cct rischiano di finire tra i titoli di Stato meno pregiati, mentre
aumenterà il costo del nostro debito. Ha senso chiamare bocciatura, quella di Standard & Poor's? Di certo
non è un giudizio lusinghiero, ma il fatto che il governo lo abbia accolto in modo quasi caloroso, sottolineando
che si tratta di uno sprone a spingere ancora sulle riforme, mostra che per Renzi e i suoi anche questo «
vincolo esterno» può essere politicamente utile per sostenere la loro azione.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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E I MERCATI ORA CHIEDONO RISULTATI
06/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Dal doping alla protezione Divi della tv e calciatori si rivolgevano a De
Carlo
Spiccano i rapporti coi vip dell'ultimo uomo arrestato
[G. LON.]
ROMA Se nel mondo di sopra, per dirla con le parole dell'ex Nar Carminati, ci stanno i politici e in quello di
sotto i criminali, nel mondo di mezzo è davvero tutto possibile. Anche che vip del mondo dello spettacolo e
del calcio chiedano aiuto a chi oggi è dietro le sbarre. Per carità, nessuno dei beniamini del pubblico risulta
indagato, e nessun episodio è di rilievo giudiziario, ma da intercettazioni e pedinamenti si registrano singolari
frequentazioni - a partire dalla bella Belen - e ancor più sorprendenti richieste d'aiuto. Come quella del
conduttore tv Teo Mammuccari che ha bisogno di sostanze dopanti per la palestra, o la protezione sollecitata
dal centrocampista della Roma Daniele De Rossi dopo una turbolenta serata in discoteca. Destinatario delle
sollecitazioni è sempre Giovanni De Carlo, l'ultimo ad essere arrestato (non per associazione mafiosa ma per
trasferimento fraudolento di valori e favoreggiamento, con l'aggravante di aver agevolato il sodalizio
criminale) perché si trovava in vacanza in Thailandia. Uno che gira in Ferrari per il centro di Roma e abita in
un lussuoso appartamento di 8 camere vicino a Castel Sant'Angelo. I carabinieri del Ros, agli ordini del
generale Parente e il colonnello Russo, intercettano De Carlo che risponde alle pressioni di Mammuccari
sulla corsa in farmacia. «ahò e mo ce vado... mo ce vado... mo vado e almeno non spiattello i cavoli tua in
giro... non dico che vuoi diventà Hulk». L'altro ride e dice: «Eh hai capito... dai allora se beccamo più tardi me
fai sapè... ciao Giò...». È invece alle 3 del mattino del 30 settembre 2013, che Daniele De Rossi contatta sul
cellulare De Carlo. Due chiamate vanno a vuoto. Ma alla fine Giovanni telefona al calciatore «chiedendogli di
cosa avesse bisogno e lui spiega che in quanto, assieme al compagno di squadra Mehdi Benatia, aveva
avuto poco prima una discussione con un ragazzo all'interno di un locale notturno e temendo ulteriori
conseguenze, aveva pensato a De Carlo». De Rossi: «No, avevo pensato che aveva chiamato qualche
malandrino... qualche coattone... ho detto famme sentì Giovanni». In realtà nel frattempo era intervenuta la
polizia e di De Carlo non c'era stato più bisogno. Ma lui «dando prova di grande confidenza, gli confermava di
poter contare sempre sul suo aiuto: "chiamame sempre... bravo! Hai fatto bene Danie', amico mio». Il
centrocampista giallorosso, intervistato da Roma Radio, si difende: «Chiamai De Carlo solo perché era in
quel locale e conosceva il tipo con cui avevo litigato». L'orecchio investigativo ha poi permesso di appurare
«numerosi contatti e frequentazioni di questo De Carlo con le showgirl, come Ludovica Caramis, Alessia
Tedeschi, (rispettivamente compagne dei calciatori professionisti Matteo Destro e Blerim Dzemaili, ospitate
per diversi giorni all'interno della propria abitazione) e in ultimo Belen Rodriguez e Stefano De Martino». Poi
c'è il capitolo del cantante Gigi D'Alessio. De Carlo fu pedinato mentre si recava a casa sua dopo che aveva
subito il furto di una collezione di Rolex dal valore di quattro milioni. Ma l'artista replica: «Non ho mai
conosciuto questa persona, parlerò attraverso il mio avvocato». E De Carlo si dava alla bella vita, Carminati
si vantava dell'amicizia con Fabio Panetta, numero 3 della Bce: «Ognuno ha preso la strada ahò, chi è
diventato un bandito da strada ...chi è che si è laureato... a quei tempi ci stava gente che adesso sta
nell'ufficio studi della Banca di Italia, che stavamo insieme a fare politica quando eravamo ragazzini. Ci sta
Fabio Panetta, il numero 3 della Bce, quello, l'unico della Banca d'Italia che si è portato Draghi io ci ho fatto le
vacanze insieme per tutta la vita è uno dei miei migliori amici, ogni tanto mi chiama». Mentre l'ex moglie del
re delle cliniche Angelucci, Martina Sonni, millantava una relazione con Carminati per minacciare il marito
«per questioni giudiziarie inerenti alla causa di separazione».
Foto: Giovanni De Carlo con Belen Rodriguez, nota showgirl
Foto: ANSA
Foto: ANSA
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Retroscena
06/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:309253, tiratura:418328)
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Foto: Il conduttore tv Teo Mammuccari era alla ricerca di anabolizzanti
Foto: ANSA
Foto: Il calciatore
Foto: Nelle carte anche una telefonata tra De Rossi e De Carlo
Foto: A. VILLA/WIREIMAGE
Foto: Il cantante
Foto: De Caro fu pedinato mentre si recava a casa D'Alessio
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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06/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Pd diviso Per Renzi la strada è ora più complicata
MARCELLO SORGI
Gli esiti dell'inchiesta su "Mafia capitale" si intrecciano con il declassamento al livello BBB -, appena superiore
a quello dei titoli spazzatura, piovuto ieri sera da Standard e Poors sull'Italia. Il governo, in una nota, tende a
non drammatizzare e a leggere nel giudizio dell'agenzia di rating una serie di chiaroscuri non
necessariamente negativi, oltre a un invito ad accelerare sulle riforme. Ma non c'è dubbio che nel giro di
pochi giorni, e malgrado il varo del Jobs Act, il quadro si è complicato per Renzi. L'inchiesta romana continua
a produrre rivelazioni. Dopo quelle di Salvatore Buzzi, il secondo principale indagato dopo l'ex terrorista nero
Massimo Carminati, con il ministro del lavoro Poletti, che lo aveva incontrato come Presidente della Lega
delle cooperative, ieri sono uscite le foto dello stesso Buzzi con il sindaco Marino, che dalla cooperativa finita
nel mirino della Procura di Roma aveva ricevuto un contributo per la campagna elettorale. Giusto giovedì
sera a Otto e mezzo Marino aveva smentito di aver mai incontrato Buzzi, ieri ha dovuto precisare di averlo
fatto nel corso di una visita all'insediamento della coop. Buzzi inoltre avrebbe pure partecipato alla recente
cena di fundraising organizzata da Renzi all'Eur: ne è nata una polemica interna, il lettiano Boccia ha chiesto
che i soldi pagati dall'indagato siano restituiti. Politicamente si fa sempre più difficile salvare l'amministrazione
del Campidoglio, ieri assediato fino a tarda sera da una manifestazione del Movimento 5 stelle, e forse anche
il consiglio comunale, minacciato di scioglimento. A chiedere nuove elezioni è un'inedita alleanza tra
Berlusconi e i grillini, che puntano a incassare nelle urne il vantaggio di non essere stati in alcun modo
coinvolti nelle indagini che hanno colpito Alemanno, da una parte, per il coinvolgimento dei suoi più stretti
collaboratori, e il Pd, per quello del suo ex-segretario romano Cosentino e di alcuni alti funzionari che
avevano collaborato anche con le precedenti amministrazioni di sinistra. A sorpresa Marino ha aperto a una
proposta venuta dall'ex-sindaco Rutelli: una giunta di emergenza, con tutti i partiti, compreso M5s, dentro, per
far fronte alla situazione eccezionale che s'è determinata nella Capitale. È l'estremo tentativo di evitare nuove
elezioni anticipate a Roma o la sopravvivenza, con qualche rattoppo, dell'attuale amministrazione, che
verrebbe comunque esposta a un processo di logoramento, per l'incalzare degli sviluppi dell'inchiesta e per la
svolta verso un ostruzionismo permanente di un'opposizione finora in gran parte consociativa. Ma almeno per
il momento, né Forza Italia, né il M5s sembrano disposti a puntellare un Pd al cui interno la resa dei conti
deve ancora cominciare.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Taccuino
06/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 6
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Bindi a Renzi: il Pd non dovrebbe far avvicinare quelli come Buzzi
"Giusto commissariare il partito a Roma, ma avrei evitato un romano"
FRANCESCA SCHIANCHI ROMA
«Come Commissione antimafia avevamo acceso i riflettori su Roma, eravamo al corrente di un lavoro della
Procura che ha portato a individuare un modello di mafia "originario e originale". Una mafia di Roma, non una
mafia a Roma. Ora è chiaro che continueremo il nostro lavoro». Rosy Bindi, presidente della Commissione
antimafia, come pensate di continuare? «Giovedì ascolteremo nuovamente il procuratore Pignatone. Non
potremo evitare di sentire anche un rappresentante delle cooperative sociali: una delle cose più tristi di
questa vicenda è che le imprese coinvolte fossero cooperative, che dovrebbero invece presentare un
particolare profilo di eticità. Convocheremo anche il prefetto, il sindaco Marino e i rappresentanti delle forze
politiche». E' il caso di sciogliere il comune, come chiede il M5S? «Con gli elementi che abbiamo finora non si
può dire "sciogliamo il comune", ma certo ci sono i presupposti per procedere alle verifiche necessarie per
stabilire se il comune vada sciolto. Io però avrei una proposta per Marino». Dica. «Se fossi io il sindaco direi
al prefetto e al ministro dell'Interno: aiutatemi a capire dove sta il marcio, e ad asportarlo. Sciogliere un
comune è sempre un trauma per la comunità: affiancare al sindaco una struttura di supporto per l'opera di
bonifica del comune potrebbe essere la soluzione». Renzi ha fatto bene a commissariare il Pd di Roma? «Sì,
anche se avrei evitato di nominare commissario un romano». Bisogna azzerare il tesseramento e ricostruire il
partito romano? «Se le accuse dovessero essere confermate, anche il nostro partito si troverebbe a essere
coinvolto in maniera tutt'altro che irrilevante. Non è questione di azzerare il tesseramento, ma un partito che
dice "non ce n'eravamo accorti" deve chiedersi perché debbano sempre arrivare prima i magistrati. Io credo ci
sia un problema di finanziamento della politica: io sono per quello pubblico, controllato e nella giusta quantità,
perché quello privato, anche trasparente, non è mai gratuito». Renzi dice che non sa se Buzzi possa essere
stato a una cena di finanziamento del Pd. Ma, ricorda, sono cene trasparenti. «Io ritengo che non si
dovrebbero usare pratiche che consentano ai Buzzi di potersi avvicinare al partito, o ai Di Stefano (deputato
Pd indagato in un'altra inchiesta, ndr.) di coordinare i tavoli della Leopolda». Ma se si vogliono partiti aperti,
non c'è sempre il rischio di qualche «cattivo incontro»? «I partiti vanno aperti non per prendere finanziamenti,
ma per stare in mezzo alle persone. La politica che trasforma i diritti in favori per scambiarli con i voti non fa il
suo mestiere». Lei ha detto che anche il ministro Poletti, comparso in una vecchia foto con alcuni indagati,
deve chiarire. «Deve dare un contributo perché anche le Coop rosse chiariscano. La teoria del "mariuolo" era
quella di Craxi con Chiesa; Poletti ci deve rassicurare che il sistema delle Coop è sano». Qualcuno ha fatto
polemica anche per una foto dell'europarlamentare Bonafè, in campagna elettorale, con Buzzi. «Se i partiti di
sinistra frequentassero di più le fragilità e le emergenze sociali, saprebbero riconoscere chi invece ne
approfitta».
Poletti A cena nel 2010 con Alemanno, Panzironi e altri indagati
Foto: Ignazio Marino con Buzzi, uomo chiave dell'inchiesta di Roma
Foto: ANSA
Foto: Rosy Bindi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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ROMA IL CAOS POLITICO Intervista
06/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 8
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Palazzo Chigi: le riforme ci aiuteranno a ripartire
Lo spread sotto 120. Il premier: se ne parla poco
ALESSANDRO BARBERA ROMA
Quando ieri pomeriggio, di rientro da Francoforte, Piercarlo Padoan ha varcato la soglia di Palazzo Chigi, era
già al corrente di quel che di lì a poco sarebbe stato annunciato dall'agenzia americana. Un gradino in meno
sulla scala del rating non sarebbe la fine del mondo se non fosse quello che precede l'abisso del «junk», i
titoli italiani ridotti al rango di «spazzatura». È vero, le «tre sorelle» non contano più come una volta. Non
singolarmente, almeno. Il giudizio sulla base del quale le banche d'affari e i grandi fondi decidono i propri
investimenti è un paniere nel quale confluiscono non solo S&P, ma anche Moody's, Fitch e i canadesi di
Dbrs. Per il momento nessuna di queste ha un giudizio negativo quanto quello di S&P. Lo spread tra Btp e
Bund ieri è scivolato ai minimi dal maggio 2010, al di sotto dei 120 punti base. «Nove mesi fa era a
duecento», sottolinea Renzi. «Eppure trattandosi di una buona notizia non va oltre i trafiletti». La Borsa di
Milano ha chiuso in rialzo del 3,4 per cento. Rimanendo superficialmente a quel che si vede, la situazione è
persino positiva. L'attesa per il piano di acquisti di titoli di Stato da parte della Bce è enorme, e i mercati
continuano a riflettere quella attesa. Ma il rischio che il vento cambi rapidamente è altissimo. Ad esempio:
quanti sono gli investitori che oggi scommettono contro l'Italia attraverso i famigerati Cds, i credit default
swap? Secondo una stima citata ieri da Avvenire, ne circolano per 407 miliardi di dollari, con un indice di
rischiosità dell'1,24 per cento. Quel che conta in questo caso non è l'indice (non è fra i più alti), ma
l'ammontare dei contratti usati sui mercati per assicurarsi da una eventuale bancarotta. Tanto più è alta la
quantità di Cds in circolazione, tanto più è alta la percezione del rischio. Il problema italiano era e resta
sempre lo stesso: la sostenibilità del debito. Standard&Poor's inizia a dubitare che - stante la sostanziale
stagnazione dell'Europa - l'Italia reggerà il peso di quello stock. È una tesi che sta prendendo piede fra alcuni
economisti, da Barry Eichengreen a Lucrezia Reichlin. Il debito «è sostenibile», aveva ribattuto Padoan da
Francoforte, e lo si vede «dal surplus primario che solo Germania e Italia hanno mantenuto positivo». È vero,
ammette Padoan: quel debito è il risultato di una bassa crescita e di un passivo accumulato negli anni, ma
«dal 2016 comincerà a scendere». Gli economisti sopracitati sono convinti che per rendere quel debito
sostenibile occorrerebbe ristrutturarlo. Ma Padoan fa capire di essere del tutto contrario a questa tesi: la
strategia per ridurre il debito ruota attorno alla crescita per la quale «non ci sono né scorciatoie né bacchette
magiche». Per quanto buone, gli esperti dell'agenzia americana temono che le riforme del governo Renzi non
saranno sufficienti a far ripartire l'economia. Per dirla in una battuta: per quanto si ridurrà il costo del lavoro,
l'Italia resta zavorrata, oltre che dal debito, da rendite e corporazioni. Da Palazzo Chigi cercano di vedere il
bicchiere mezzo pieno: «Il giudizio non è una bocciatura del Jobs Act, dicono che le riforme vanno bene ma
bisogna andare più veloci». La cosa «positiva» è che Standard and Poor's «vede elementi buoni nelle riforme
ma non tali da compensare il debito e risvegliare a breve l'economia». La cosa forse è positiva per la
reputazione del governo, pochissimo per quella dell'Italia. Twitter @alexbarbera
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Retroscena
06/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:309253, tiratura:418328)
I timori di Berlino per Roma: un voto anticipato fermerebbe di nuovo le
riforme
CONTATTI La rete di Schaeuble nelle capitali del Sud Europa
TONIA MASTROBUONI INVIATA A FRANCOFORTE
Nella fase più acuta della crisi dei debiti sovrani e dell'euro, Wolfgang Schaeuble prese una decisione delle
sue: creativa ma solida. Decise che i funzionari delle ambasciate andavano bene per i rapporti in tempi di
pace, ma che per essere informato sulla guerra totale dei mercati contro la moneta unica e contro gli anelli
deboli dell'Europa, doveva affiancare ai diplomatici dei super esperti economici e finanziari. Schaeuble
mandò uomini e donne del suo ministero nelle capitali dei Paesi in crisi come la Spagna, l'Italia o la Grecia;
fedelissimi che stilano ad oggi rapporti frequenti sullo stato di avanzamento delle riforme e degli
aggiustamenti economici, tecnici che conoscono a fondo non solo i numeri, ma anche il funzionamento delle
leggi. Gli uomini di Schaeuble sono abituati a martellare ministri e dirigenti dei ministeri chiedendo persino
conto dei decreti attuativi. A volte, danno anche consigli: tempo fa prepararono un rapporto per il dicastero
dell'Economia sui costi delle elezioni italiane e su quanto si potrebbe risparmiare accorpando i giorni o
attraverso altre piccole accortezze organizzative. Dunque, se il tedesco ha detto ieri all'omologo italiano Pier
Carlo Padoan «non vorrei essere nei suoi panni», è perché sa di cosa parla, sa che agisce in un Paese che
ha una montagna di impegni da affrontare per tornare competitivo. Non è una minaccia: è un'attestazione di
stima verso un collega che il politico cristianodemocratico rispetta da tempo. Quanto fatto finora dall'Italia, ha
aggiunto infatti il tedesco, «va nella giusta direzione». Da un po' di tempo, però, anche ad altri livelli
istituzionali, dal presidente della Repubblica Joachim Gauck in giù, la Germania sta aumentando la pressione
sui suoi interlocutori italiani per ottenere dettagli maggiori sulla tabella di marcia delle riforme: sono abituati ad
ignorare gli annunci e temono che l'Italia si fermi di nuovo. E forse, alla luce delle elezioni anticipate di cui si
vocifera di nuovo da settimane, non hanno tutti i torti. In camera caritatis, poi, Schaeuble ha rivolto parole di
grande elogio verso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ne ha ricordato il ruolo di interlocutore
di primo piano con l'Europa nei momenti più drammatici degli ultimi anni, di uomo di grande equilibrio. E'
chiaro che Berlino seguirà con grande attenzione anche quella partita, se davvero si aprirà anticipatamente,
all'inizio dell'anno prossimo. E non senza ansia. Berlino, ovviamente, ha anche le sue priorità, ha una sua
scaletta di misure che l'Italia dovrebbe approvare in fretta per diventare più competitiva e per attirare di nuovo
investimenti stranieri. Per gli imprenditori tedeschi una priorità cui il governo italiano dovrebbe mettere mano
sono ad esempio i tempi mostruosamente della giustizia civile e la mole di burocrazia che si abbatte su
qualsiasi azienda voglia fare affari ma anche assunzioni in Italia. E pare che Renzi, nei colloqui con i
tedeschi, abbia dato rassicurazioni sia sull'intenzione di mettere mano ai tempi insopportabilmente lunghi per
ottenere un responso dei tribunali civili, sia sulla sburocratizzazione.
135,5%
il debito È il rapporto tra il debito pubblico italiano e il prodotto interno lordo del Paese: troppo alto
300
miliardi Il piano Juncker dovrebbe risollevare la crescita europea, ma la Germania non sembra convinta
3%
la soglia È il limite del Pil oltre il quale non può crescere il deficit secondo le regole dell'Europa
Foto: Il tedesco Il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble ha spiegato a Padoan i dubbi del suo Paese
sull'Italia
Foto: ANSA/KAY NIETFELD
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Retroscena
06/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 19
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Poco lavoro, il quintuplo di carcerati L'integrazione è rimasta un sogno"
Etzioni: una società non può reggere con queste ingiustizie
DALL'INVIATO A NEW YORK PAO. MAS.
Amitai Etzioni è sconsolato: «Niente, abbiamo fallito». Il padre del «comunitarismo» si riferisce all'idea che
aveva avanzato nel saggio «The Monochrome Society», e in vari scritti successivi: «Pensavo - spiega - che la
società americana fosse arrivata al punto di potersi mettere alle spalle le divisioni razziali, puntando invece
sui valori condivisi che la univano. La mia speranza si basava su alcuni elementi concreti. Ad esempio il fatto
che un terzo dei neri era entrato nella classe media, mentre gli ispanici rappresentavano un'opportunità,
perché sul piano etnico erano facilmente assimilabili ai bianchi. Il successo degli asiatici dimostrava che era
possibile integrarsi, e la pace sociale conveniva anche ai bianchi sul piano economico. Le proteste di questi
giorni, con il loro significato che va ben oltre gli episodi di brutalità della polizia da cui sono nate, dimostrano
che quella speranza era vana». Di chi è la colpa? «Tutti hanno la loro parte di responsabilità». Cominciamo
dal sistema giudiziario? «Le discriminazioni e i pregiudizi sono evidenti, a chiunque faccia una analisi onesta.
Vi do un esempio: un nero che consuma eroina o crack finisce in galera per anni, mentre un bianco che
prende cocaina non viene neanche processato. Così si riempiono le nostre carceri, si distruggono vite e
famiglie, e si creano i presupposti per l'odio». Bisognerebbe lasciarli fare? «No, però una società non può
reggere quando ci sono diseguaglianze così evidenti nel trattamento davanti alla giustizia. E non sono le
sole». Quali sono le altre? «L'economia americana si sta riprendendo, ma la disoccupazione tra i neri
continua a essere il doppio di quella dei bianchi». È colpa dei bianchi? «In questi anni di crisi economica ha
aumentata l'avversione per le minoranze, come succede sempre in questi casi. Serve un capro espiatorio, e
infatti in Europa sta tornando l'antisemitismo. In America poi il sistema politico democratico è bloccato. Non si
riesce a varare alcuna iniziativa capace di sanare le ferite razziali, perché il Congresso è in mano al Partito
repubblicano, una formazione ormai composta da soli bianchi che si basa sull'odio razziale». All'inizio aveva
detto che le responsabilità di questo fallimento sono diffuse. Cosa rimprovera ai neri? «Ad esempio quello
che ha denunciato lo stesso Presidente Obama: troppo spesso gli uomini afro americani non fanno i padri
come dovrebbero. Questo porta alla creazione di famiglie disfunzionali, dove poi difficilmente i figli avranno
l'opportunità di crescere sviluppando a pieno le loro potenzialità». I neri sono frenati dall'ambiente in cui
crescono, dai pregiudizi contro di loro, o dall'assenza di opportunità? «Tutti questi elementi contribuiscono a
discriminarli, favorendo poi le reazioni violente. Le comunità afro americane, però, hanno la responsabilità di
non mettere nell'istruzione la stessa enfasi degli altri gruppi etnici, tipo gli asiatici. Questa mancanza di
preparazione diventa un freno insormontabile per i giovani». Quali soluzioni suggerisce? «È una crisi molto
grave, perché il risentimento dei neri si sta saldando con quello dei bianchi che si sentono vittime delle
diseguaglianze economiche. L'idea di unirci intorno ai valori americani condivisi è fallita, e purtroppo io non ho
un'altra soluzione a portata di mano».
Le vittime che hanno incendiato la piazza Tamir Rice Afroamericano di 12 anni,viene ucciso a novembre
mentre stava giocando con una pistola giocattolo Michael Brown Diciotto anni, lo ammazza il 9 agosto a
Ferguson, un sobborgo di St. Louis, Missouri, l'agente Darren Wilson Eric Garner Il 17 luglio viene atterrato
da quattro agenti a Staten Island dopo una lite: muore soffocato
Sociologo Amitai Etzioni, 85 anni, padre del Comunitarismo, spiegò la società post-razziale
Foto: AFP
Foto: ROBERT COHEN/REUTERS
Foto: REDUARDO MUNOZ/REUTERS
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Intervista
06/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 27
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"La Bce salvi l'Europa dalla deflazione"
Il governatore di Bankitalia sta con Draghi: l'acquisto di bond non è contro il divieto di finanziamento agli Stati
Anche l'austriaco Novotny sostiene il numero uno della banca centrale
TONIA MASTROBUONI INVIATA A BERLINO
La data della prima cannonata non è ancora stabilita con certezza, probabilmente sarà fine gennaio. Ma
siccome la guerra contro i cannoni è cominciata da un pezzo, in vista del momento in cui accenderà la
miccia, Mario Draghi ha iniziato a schierare le sue truppe. E se un banchiere di lunga esperienza come la
componente del board Sabine Lautenschlaeger, ha rotto la tradizionale regola del silenzio della vigilia del
consiglio - il purdah - per esprimere la sua contrarietà alle prossime mosse annunciate dal presidente della
Bce, o il ministro delle Finanze Schaeuble si è opposto ieri alle politiche monetarie espansive, «che sono la
causa, non la soluzione dei problemi», è chiaro che i tedeschi sono pronti a schierare l'artiglieria pesante.
Che una parte del governing council, persino del comitato esecutivo, sia scettica sul quantitative easing,
sull'acquisto di titoli privati e pubblici in larga quantità, è un fatto stranoto da mesi. Così come è nota la
posizione di Schaeuble, diversa da quella della cancelliera Merkel che ha sempre difeso Draghi a spada
tratta, anche di recente. Ieri, inoltre, il numero uno dell'Eurotower ha ricevuto l'appoggio esplicito di due
banchieri centrali di peso: il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco e il numero uno della Banca
centrale austriaca, Ewald Nowotny. E la novità non è da poco: mentre gli oppositori dell'italiano hanno fatto
sapere in questi mesi e soprattutto nelle ultime settimane la loro opinione fino alla nausea, è raro che i
favorevoli a una soluzione «all'americana» si schierino apertamente. E ad oggi è comunque chiaro che
Draghi possa contare ancora su una comoda maggioranza dei 23 banchieri centrali per sparare il primo
colpo. Dopo la conferenza stampa di fuoco di giovedì e l'annuncio fatidico che il numero uno dell'Eurotower
ha intenzione di far votare il quantitative easing anche a maggioranza, il banchiere centrale più loquace, Jens
Weidmann ha ribadito durante una conferenza a Francoforte che l'acquisto in massa di titoli è sbagliato, anzi,
che già oggi le politiche monetarie della Bce sono «troppo espansive per la Germania». Il numero uno della
Buba ha anche sottolineato che l'eurozona non è paragonabile agli Stati Uniti, e che la politica monetaria non
può sostituirsi alle mancate riforme e ai mancati aggiustamenti dei Paesi. Ma da Roma, Ignazio Visco ha
ricordato qual è la vera emergenza europea, oggi. L'obiettivo della Bce, ha sottolineato, «è quello di
contrastare il rischio di restare per un periodo troppo lungo in una situazione di bassa inflazione, ed evitare di
cadere in deflazione». Una minaccia, ha sottolineato il governatore della Banca d'Italia, «non trascurabile»;
ma nell'Eurotower «siamo consapevoli delle gravi conseguenze che ne potrebbero derivare data la
dimensione dei debiti pubblici, e privati, in tutta l'area». Nell'attuale discussione su quanto il quantitative
easing rispetti o tradisca il mandato della Bce, Visco si schiera apertamente con Draghi: «Ritengo che si
possa affermare che acquisti sul mercato secondario necessari per la politica monetaria non sono
formalmente in conflitto con il divieto in questione», cioè il divieto di un finanziamento monetario degli Stati.
Anche se, aggiunge, «si tratta di un'interpretazione che alcuni ritengono contestata», in particolare se gli
acquisti sono «massicci». Se ne discuta apertamente, osserva il numero uno di via Nazionale, fermo
restando che «per garantire la stabilità dei prezzi la politica monetaria non può esimersi dall'usare tutti gli
strumenti a sua disposizione». Una posizione analoga è stata espressa ieri dall'austriaco Nowotny: «La
posizione della Banca centrale austriaca è quella espressa da Draghi: il bilancio della Bce deve essere
allargato per contrastare l'inflazione e il Pil in calo». E la guerra continua.
Foto: ANSA
Foto: Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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IL TEDESCO SCHAEUBLE ALL'ATTACCO: LE POLITICHE MONETARIE ESPANSIVE SONO LA CAUSA,
NON LA SOLUZIONE DEI PROBLEMI
06/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 27
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"La Germania sbaglia il piano dell'Eurotower è un vantaggio per tutta l'Ue"
Pissarides: un patto Italia-Francia per fare pressing I RISCHI PER L'EURO «Serve l'unione politica e temo il
referendum in Gran Bretagna»
LUCA FORNOVO MILANO
«La Banca centrale europea avrebbe dovuto lanciare due anni fa il quantitative easing, il programma di
acquisto dei titoli di Stato. Siamo in grave ritardo e gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: l'Europa continua a
essere in recessione e la deflazione si sta avvicinando a grandi passi». Sir Christopher Pissarides, Premio
Nobel per l'Economia nel 2010 è sul banco dei relatori nella sala napoleonica dell'Università statale di Milano:
sta per intervenire all'ottava edizione dell'Ibm Rotating Chair in studi del lavoro. Il piano di acquisto di bond
della Bce slitta al nuovo anno. Quali sono i rischi? «La Bce rischia di perdere credibilità sui mercati finanziari,
le Borse hanno preso davvero male questo rinvio. Il presidente Mario Draghi deve essere più aggressivo
come ha fatto la Federal Reserve: deve spingere l'acceleratore sulla politica monetaria che deve essere più
espansiva: bisogna portare in fretta l'inflazione al 2%». Ma i membri lussemburghesi e soprattutto tedeschi
all'interno della Bce remano contro il quantitative easing... «Proprio non lo capisco perché i tedeschi siano
contrari al piano di acquisto dei bond. La Germania deve essere più flessibile e capire che ciò è nell'interesse
non solo dell'Europa, ma anche del suo Paese. Prima si riprende l'Europa e prima la locomotiva tedesca si
rimette in moto. Lo ripeto, se non ritrova l'unità la Bce rischia di perdere la sua credibilità». Intravede dei rischi
per l'euro? «Due anni fa era davvero forte il pericolo di uno spezzatino tra il Nord e il Sud Europa. Ora questo
rischio non c'è più, ma solo con l'unione monetaria non si va da nessuna parte ci vuole l'unione politica, come
dimostrano la storia degli Usa e anche della riunificazione della Germania». Teme il referendum in Gran
Bretagna sull'euro? «Sì perché il partito indipendentista sta cavalcando molto i timori degli inglesi per
l'aumento dell'immigrazione. e c'è il rischio che dicano no all'euro. Ma è anche vero che senza il libero
scambio dei capitali la finanza britannica ne uscirebbe molto penalizzata». Parliamo dell'Italia: cosa deve fare
per uscire dalla crisi? «Quello che il governo Renzi sta già facendo: continuare a fare pressing sulle istituzioni
europee per convincerle che è necessaria più flessibilità sul debito, il deficit e che servono più investimenti. E
deve rafforzare l'asse con la Francia per fare pesare di più la sua voce». Al dibattito di oggi (ieri per chi legge,
ndr) ci sono anche i consiglieri di Renzi, Tommaso Nannicini e Filippo Taddei. Che cosa gli vuol dire sulla
riforma del lavoro, il Jobs Act, che il governo ha appena varato? «L'Italia è tra i Paesi che ci sta mettendo più
impegno per battere la disoccupazione. Sono abbastanza positivo sul Jobs Act: è giusto rendere più flessibile
il mercato del lavoro sul assunzioni e licenziamenti, a patto che ci siano delle garanzie valide. E quindi bene
l'introduzione di un contratto di lavoro unificato a tutele crescenti e anche il sussidio di disoccupazione per chi
perde il lavoro. Si va verso la direzione della flexicurity, la flessibilità ma in sicurezza. è la strada giusta. Per
vedere l'impatto del Jobs act sul lavoro ci vorranno però 3-4 anni».
IL GOVERNO RENZI Deve convincere l'Ue che serve più flessibilità, bene il Jobs Act ma per vedere
l'impatto ci vorranno tre o quattro anni Christopher Pissarides
Foto: Nobel all'Economia
Foto: Christopher Pissarides ha vinto il Premio nel 2010
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Intervista
07/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Il presidente delle Coop "Noi parte civile contro Buzzi Il nostro sistema è
sano"
Lusetti: scorretto generalizzare come ha fatto la Bindi Se vuole una risposta chieda a noi, non a Poletti
FRANCESCA SCHIANCHI ROMA
«Se Rosy Bindi vuole sapere se il sistema delle Coop è sano non deve chiedere a Poletti, che oggi è ministro
e risponderà del governo, ma a noi». Mauro Lusetti, successore di Poletti alla presidenza nazionale di
Legacoop, reagisce con uno scatto di orgoglio all'intervista della Bindi sulla Stampa di ieri. E lei come le
risponde? È sano il sistema delle Coop? «La vicenda di Roma è grave, e noi abbiamo assunto provvedimenti
adeguati: abbiamo sospeso gli indagati e gli arrestati dagli organi di tipo associativo, e chiesto alle imprese di
cui fanno parte di adottare analoghe decisioni. Inoltre, come Legacoop ci costituiremo parte civile. Detto
questo, però, il sistema delle Coop è sano». Viene però da chiedere anche a voi, come ai partiti, perché non
vi siate accorti di nulla finché non è intervenuta la magistratura. «Noi siamo un'associazione di imprese, non
un'associazione investigativa. La magistratura ci è arrivata in anni di indagini. Se avessimo saputo qualcosa
saremmo andati subito in Procura». Voi quali controlli fate ai vostri associati? «All'interno della cooperativa,
come in qualsiasi impresa, c'è un consiglio, un collegio sindacale, si ricorre a una società per revisionare i
bilanci. E poi ogni due anni viene fatto un controllo per verificare il rispetto dei principi mutualistici: chi non li
rispetta, o si mette in regola o viene espulso. Per scoprire un sistema criminale come quello contestato, cosa
avremmo dovuto fare, mettere delle microspie? Se qualcuno ha sbagliato pagherà, ma mi fa rabbia la
tendenza a generalizzare che ho visto fare ad esempio dalla Bindi o dalla Camusso: non mi sembra
rispettoso verso le migliaia di soci perbene, tra cui ci sono elettori della Bindi e sindacalisti dell'organizzazione
della Camusso». Quello che sconvolge è la speculazione sui più deboli: gli immigrati rendono più della droga,
si sente dire in una intercettazione... «Infatti Legacoop, che in passato non si era mai costituita parte civile
contro chicchessia, stavolta lo farà. Perché l'odiosità dei comportamenti è tale che non aspettiamo la
sentenza della magistratura: indipendentemente dal profilo penale, chi ha detto quelle cose per noi è fuori».
Lo ha detto Buzzi, responsabile della Cooperativa 29 giugno, già condannato per omicidio: era la persona
giusta per una responsabilità simile? «Il presidente e il CdA delle cooperative vengono eletti dai soci, non è
Legacoop a decidere. Certo, bisognerà raddoppiare l'attenzione, questo è vero». Come? «Ad esempio,
dobbiamo rendere più stringenti le regole dei mandati limitati. Serve per garantire un ricambio generazionale,
e serve anche come elemento di trasparenza, non si può avere un presidente per vent'anni». C'era anche lei
alla ormai famosa cena in cui è stato fotografato Poletti? «No. Ma vede, Poletti pensava di essere a cena col
suo mondo, e certo non poteva pensare ci fosse di mezzo un'associazione criminale. Io sono presidente da
maggio: sa quanta gente in questi mesi ho conosciuto, quante foto ho fatto? Non posso fare il mio mestiere
pensando di aver di fronte un disonesto».
Così su La Stampa Rosy Bindi chiedeva chiarimenti sulla gestione delle Coop rosse e in particolare voleva
che il ministro Giuliano Poletti «rassicurasse che il sistema delle coop è sano».
Hanno detto
Le foto imbarazzanti Poletti pensava di essere a cena col suo mondo, non poteva sapere
La nomina di Buzzi Era condannato per omicidio ma l'incarico lo danno i soci, non la Legacoop
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Intervista
07/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Rixi: "Alternativi a tutti e radicati sul territorio"
"Ci apriamo al bacino del mediterraneo"
FRANCESCO MAESANO ROMA
Quarantenne, anche lui appartenente a quella generazione nata a metà degli anni '70 che sembrava perduta
e invece eccola che si prende il paese; da una settimana Edoardo Rixi, genovese, è vicesegretario della Lega
Nord, scelto da Salvini sorprendendo un po' tutti, «compreso me che lo conosco da quindici anni - spiega - e
me l'ha detto il giorno prima dell'annuncio». Genova è un po' ai confini della Padania. (Ride) «È un'apertura al
bacino mediterraneo». E pare di capire che lei sarà ambasciatore al sud. «Il punto è far crescere il movimento
puntando su questa nuova linfa che sta entrando da tutte le parti. Con i tagli ai finanziamenti pubblici e il
bilancio che ci siamo ritrovati sarà difficile costruire una struttura ma, per quanto leggera, dobbiamo averla. A
differenza del M5S vogliamo essere radicati sul territorio». Cos'avete in testa? «Costruiremo un movimento
che si ispira alla figura di Matteo Salvini. Nel simbolo non ci sarà neanche il nome Lega. Sarà un contenitore
che terrà insieme forze politiche che già esistono insieme alle energie di chi magari non ha mai fatto politica.
L'idea è quella di tornare a pensare alla Lega come alternativa al centrodestra e al centrosinistra». Niente
accordi? Volete il 50 per cento più uno come i Cinque stelle? «Vediamo come si porrà il tema delle alleanze.
Per intenderci: un conto è essere un vagone, un altro è essere il locomotore di una eventuale coalizione.
Grillo lo conosco e sotto alcuni aspetti lo apprezzo, ma è poco concreto. Con la valanga di voti che hanno
preso tra lui e il centrodestra oggi Renzi dovrebbe stare all'opposizione». Su quali tasti batterete al sud?
«Dobbiamo sostenere la battaglia di chi vuole tornare ad essere padrone nel proprio territorio, di chi vuole
finirla con questo centralismo esasperato: di Roma come di Bruxelles». Ora che progettate la Lega nazionale
che ne è del sogno della secessione? «Pánta rêi, tutto scorre. Se lo Stato è vessatorio il popolo è legittimato
a ribellarsi. Ora però la scommessa è quella di cambiare lo Stato». Quando lo stato eravate anche voi molte
cose che ora invocate non le avete fatte, penso al piano nomadi finanziato per anni dal ministero degli Interni.
«Da Maroni a oggi è cambiato il mondo, è arrivata la crisi. Oggi lo Stato deve occuparsi prima di chi perde il
posto, poi del resto. A prescindere da chi ci lucra il sistema non funziona». @unodelosBuendia
Foto: Numero due Edoardo Rixi è stato nominato vice segretario della Lega
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Intervista
07/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 13
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Berlusconi insegue Salvini Vuole la doppia moneta
Il leader di FI rispolvera vecchie ricette: ma gli economisti lo bocciano
UGO MAGRI ROMA
Pungolato dalla concorrenza di Salvini, l'ex Cavaliere balza in groppa a certi vecchi destrieri su cui lui
medesimo non aveva mai seriamente puntato. La «flat tax», anzitutto: cioè una sola aliquota Irpef uguale per
ricchi e poveri nella misura del 20 per cento. Ai tempi del suo secondo governo, Berlusconi di aliquote ne
promise due, salvo lasciarle cadere entrambe; nel suo terzo governo e nel quarto non ne fece più cenno. Un
libro sulla «flat tax» restò per oltre un anno sulla sua scrivania, intonso. Ora però la Lega si è impossessata
del tema. Il 13 dicembre Salvini ha invitato a Milano il massimo luminare dell'imposta unica: l'americano Alvin
Rabushka che ha fornito il modello teorico a quei paesi dell'Est, una dozzina, dove la «flat tax» è stata
entusiasticamente perseguita. L'ossessione per Salvini è tale che Silvio l'altro giorno ha messo in circolo un
videomessaggio dove di punto in bianco rivendica la paternità dell'idea e la rilancia. Ne ha profittato per
nuove grandiose promesse: via l'Irap, via per sei mesi l'imposta di registro sulle compravendite, pensioni
minime a 1000 euro. E siccome la Lega sta facendo campagna per uscire dalla moneta unica, ecco
Berlusconi estrarre dal suo cilindro il coniglio della «doppia moneta», che dovrebbe permetterci di sommare il
meglio dei due mondi: tornare alla vecchia lira senza abbandonare l'euro, restare in Europa e al contempo
«recuperare in pieno la nostra sovranità valutaria». Ma davvero si può? E perché nessuno ci aveva mai
pensato? Il Cav resta sul vago, dice che ancora ci sta ragionando, ipotizza per ora «una seconda valuta che
possa essere collocata sul mercato, che poi fisserà il cambio con l'euro». L'importante, ha sottolineato ieri, «è
riprendere a stampare moneta». Chi gli sta intorno garantisce che l'idea è tutta sua, al massimo era circolata
sui blog grillini e se ne era fatto paladino il solito vulcanico Calderoli. Quanti di finanza ne capiscono (a
cominciare da Brunetta) hanno tentato di placcarlo, ma inutilmente: la «doppia moneta» diventerà presto un
mantra della propaganda berlusconiana. Zero i commenti accademici. Nessuno ha preso la provocazione sul
serio, eccezion fatta per il professor Luigi Zingales, economista che insegna negli Usa. Premessa: in sé per
sé la doppia moneta non sarebbe una bestemmia, «quando si sono trovati con l'acqua alla gola molti paesi
dell'America Latina hanno operato con due valute, quella locale e il dollaro. Quest'ultimo per i beni che hanno
un mercato internazionale, la moneta locale per tutto il resto, pensioni e salari inclusi». Si generano tensioni
sociali e sperequazioni, questo è scontato. Ultima a liberarsi della doppia circolazione è stata Cuba un
mesetto fa, per decisione di Raul Castro. Osserva Zingales: «Lo Stato italiano, se riprendesse a stampare
lire, dovrebbe poi accettarle per il pagamento delle imposte». A quel punto però l'Erario si troverebbe a
incassare in lire e a coprire in valuta forte la montagna del debito. Una condizione insostenibile, peggio
dell'attuale. In alternativa, ipotizza Zingales, l'Italia «dovrebbe rinominare il suo debito in lire», cioè dichiarare
che lo ripagherà nella valuta locale anziché in euro. Nessuno sa a quel punto che cosa potrebbe accadere.
Qualche ipotesi: panico, si salvi chi può, corsa dei risparmiatori agli sportelli, banche e imprese indebitate in
euro che vanno a zampe per aria, inflazione galoppante, caos finanziario, Merkel inferocita e non solo lei...
Tanto varrebbe a quel punto uscire direttamente dall'euro, senza bisogno di strani sotterfugi.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Retroscena
08/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
LUIGI A SPINA
Dopo la bocciatura di Standard&Poor's arriva l'insufficienza della Merkel sui compiti finora fatti da Renzi. Non
sono proprio auguri incoraggianti quelli che piovono sul nostro premier in occasione del suo primo anno dalla
presa del potere nel suo partito, tappa fondamentale per il successivo balzo a palazzo Chigi. È vero che i
giudizi delle agenzie di rating hanno un po' perso l'aura di indiscutibilità di un tempo e che quella del
cancelliere tedesco è l'opinione del capo di un governo estero. Ma nessuno, nemmeno l'inossidabile
ottimismo del presidente del Consiglio, potrà scrutare senza una certa ansietà l'effetto sui mercati del verdetto
di S.&P. Né potrà sottovalutare la critica del più importante partner europeo. Al di là delle impressioni che sul
lavoro del governo a r r i va n o f u o r i d a i n o s t r i confini, anche dai sondaggi diffusi in Italia sembra
crescere il filo di delusione per i concreti risultati degli sforzi riformistici compiuti finora da Renzi. Può essere il
risultato delle eccessive promesse del premier e di un annunciato calendario di scadenze che ignorava i ritmi
bizantini della politica nazionale. Sicuramente la giovanile baldanza del nostro premier ha trascurato le
pervicaci resistenze al cambiamento non solo della classe politica, ma anche, e soprattutto, di una società
bloccata da interessi corporativi consolidati da decenni e impegnati in una difesa del potere che punta più sul
logoramento dell'avversario che su una aperta ribellione. Infine, è certamente ingenuo pensare che gli effetti
di riforme difficili come quella sul mondo del lavoro, comunque portata a termine, si possano constatare in
pochi mesi o che processi di cambiamento delle istituzioni, come quello dell'abolizione del bicameralismo
perfetto, non possano seguire le complesse norme prescritte per una revisione costituzionale. Scontata la
necessità di una accelerazione sui progetti del governo, del resto condivisa dal premier e dai suoi ministri,
sarebbe opportuno rivedere le priorità delle riforme, secondo una diversa urgenza e, forse, riequilibrando gli
indirizzi di politica economica, finora troppo concentrati sul sostegno all'offerta e meno preoccupati di
rafforzare la domanda, la grande debolezza dell'Italia d'oggi. Il vero pericolo, però, è la rassegnazione.
Rassegnazione all'impossibilità di attuare nel nostro Paese vere riforme, che abbiano l'efficacia
indispensabile per dare una scossa a quell'Italia dall'economia stagnante. Rassegnazione a quell'Italia del
malaffare, dove la mafia non è più un nome proprio, con una propria regione di appartenenza e regole
criminali proprie, ma è diventata l'etichetta infamante di un costume politico comune, allargato all'intera
comunità nazionale degli affari e dell'amministrazione pubblica. Una rassegnazione che non ci possiamo più
permettere.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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SIAMO INDIETRO MA QUALCOSA È STATO FATTO
08/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Merkel scorretta un leader straniero non dà le pagelle"
L'irritazione di Palazzo Chigi: non ci facciamo intimidire «Per marzo dobbiamo avere tutto pronto: lavoro,
giustizia e p.a.»
R. GIOVANNINI- C. BERTINI ROMA
Non ci facciamo condizionare e intimidire , avanti per la nostra strada». È questa, decisamente irritata, la
reazione del premier Matteo Renzi nei suoi colloqui privati alle parole del Cancelliere Angela Merkel. La
Merkel, stavolta, «è stata scorretta - dicono a Palazzo Chigi - perché un capo di Stato non assegna pagelle
agli altri». Non c'è dubbio che a Firenze, nel corso del bilaterale previsto a gennaio tra il premier e la
Cancelliera, ci sarà modo di chiarirsi di persona, insomma dirsi le cose in faccia, come usano fare solitamente
i due leader. A Palazzo Chigi si ha l'impressione che forse in questo caso la Cancelliera Merkel parlasse
soprattutto ad uso interno. Quel che è certo è che comunque per il governo fare di più «significa accelerare le
riforme e i decreti attuativi del "Jobs Act" - è il ragionamento di Renzi - dobbiamo far trovare tutto pronto per
marzo: giustizia, pubblica amministrazione, decreti legislativi sul lavoro». Per sperare di ottenere flessibilità
sul rientro del debito ed evitare che scatti la procedura per debito eccessivo. Del tutto diversa nei toni la
reazione al ministero dell'Economia. Nessun commento ufficiale da parte del ministro Pier Carlo Padoan, ma i
suoi collaboratori fanno notare che «il riferimento all'Italia arriva in una domanda formulata alla Cancelliera
nel contesto di un'intervista di una pagina. È del tutto inutile - si chiarisce dunque al ministero di Via Venti
Settembre - costruire un botta e risposta su di un punto già tante volte chiarito. La Commissione Europea ha
detto che l'Italia deve fare le riforme, l'Italia sa benissimo di doverle fare. E le sta facendo». In ogni caso, a
scanso di equivoci, il mondo che ruota intorno a Matteo Renzi replica con grande durezza all'osservazione di
Merkel. «Non c'è nessuno che fa i compiti e nessuno che esegue - ribatte dalle telecamere del «Tg1» il sotto
segretarioalla Presidenza Graziano Delrio - noi siamo impegnati su moltissime riforme e nel risanamento del
debito. Piuttosto l'eccesso di surplus della Germania crea problemi. Ognuno metta ordine a casa propria
prima di giudicare». «La logica dei compiti a casa è finita, si concentri sulle cose tedesche», attacca il
sottosegretario all'Europa, Sandro Gozi, secondo cui «dispiace molto che le riforme avviate dal governo
Renzi, che hanno ricevuto un coro internazionale di apprezzamenti, dal Presidente degli Stati Uniti Obama al
Fondo Monetario, siano ritenute insufficienti dal Cancelliere tedesco Merkel». «Oltre la questione dei
contenuti afferma Gozi - ce n'è anche una di stile. Non sta ai capi di governo interpretare le opinioni della
Commissione europea. Il governo italiano non si è mai permesso di dare pagelle su un Paese membro della
Unione, e chiediamo lo stesso rispetto alla Germania». Che forse farebbe meglio, è la conclusione, a
concentrare la sua attenzione sulla domanda interna, sulla mancanza di investimenti o sugli squilibri della
bilancia dei pagamenti tedesca. Sarebbe un contributo i m p o r t a n t e c h e l ' E u ro p a aspetta da tempo
da parte di Berlino e che sinora non è arrivato». E il numero due del Pd, Lorenzo Guerini afferma che «non ci
servono lezioni dalla Germania, noi le riforme le stiamo facendo davvero e non abbiamo bisogno che ce lo
dica lei. Piuttosto la Merkel non sia da ostacolo al cambiamento della politica economica dell'Europa per
sostenere la crescita. Si lavori invece in Ue per sostenere crescita e investimenti».
Ognuno metta ordine a casa sua prima di parlare: il surplus tedesco è un problema Graziano Delrio
Sottosegretario presidenza del Consiglio
Non sta ai capi di governo giudicare E la logica dei compiti a casa è finita Sandro Gozi Sottosegretario
agli Affari europei
Non ci servono lezioni dalla Germania Noi le riforme le stiamo facendo davvero Lorenzo Guerini
Vicesegretario del Partito Democratico
Abbiamo sbagliato due volte: accettando le correzioni, e oggi facendoci umiliare Daniele Capezzone
Commissione Finanze Forza Italia
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Retroscena
08/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 5
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Sarti: il nome Grillo sul simbolo si può discutere
FRANCESCA SCHIANCHI PARMA
Dopo tre ore di dibattito, la deputata Giulia Sarti esce per fumare una sigaretta. L'accerchiano. Non si è mai
tirata indietro quando si è trattato di commentare le critiche rivolte al Mov i m e n t o. S i a dall'esterno che
dall'interno. «Q uest'iniziativ a s t a v e n e n d o molto bene, è un b e l m o m e n t o d i c o n d i v i s i o n e. I
l confronto serve, e m aga r i è u n p o' mancato in ques t' u l t i m o p e r i o do». Sembra una provocazione.
È soltanto una analisi libera. Non temete l'espulsione? «Perché dovremmo ragionare con quest'ipotesi in
testa? Questa è un'iniziativa del M5S, non stiamo facendo niente per essere cacciati. Dovrebbero essercene
mille di iniziative così, c'è bisogno di aprirsi di più, di arrivare a persone che magari hanno smesso di votare o
che pensano che siamo come gli altri». Pizzarotti propone di rivedere alcune espulsioni, è d'accordo? «Non
penso sia possibile, perché ha votato la rete, credo sarebbe complicato tornare indietro. Io sarei d'accordo a
fare tesoro degli errori fatti. Non fossilizziamoci sulle regole che abbiamo avuto fino ad oggi, possiamo anche
darci regole un po' diverse. E poi ricordiamoci che la proprietà del simbolo è di Beppe Grillo, sul simbolo c'è
scritto beppegrillo.it, anche questo può essere un nodo da discutere per il futuro». Ridiscutere il nome nel
simbolo e la proprietà? «In futuro discuterei anche questo, deve essere non un tabù ma una cosa di cui si
può e si deve parlare. Grillo è proprietario del simbolo: se ritiene siano state violate regole e quindi due pers o
n e n o n r i spondano più ai p r i n c i p i d e l M5S può toglier e i l s i m b o l o quando vuole. E' su questo
che bisogna ragionare».
Foto: Aperta alle novità Giulia Sarti viene dal mondo del M5s emiliano
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Interviste La deputata critica
08/12/2014
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Pag. 5
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Della Valle: persa un'occasione per tacere
FRANCESCO MAESANO ROMA
Ivan Della Valle, deputato torinese del M5S, guarda le immagini in diretta streaming da Parma ed è furente.
«Se in campagna elettorale prometti ai cittadini di chiudere l'inceneritore e poi fai discorsi come questi o hai
mentito o non sei capace di fare i conti. Io per Pizzarotti ho messo la faccia, ho fatto campagna e giravamo
con un aggeggio a forma di inceneritore con sopra lo scheletro della morte». Lui dice che quando si governa
è diverso. «Quando si governa bisogna e s s e re co e r e n t i . S e guendo ques t a l o g i c a a v r e m m o d
ov u t o fa re l'alleanza col Pd a livello nazionale, snaturando l'80 per cento del nostro programma. Così
Pizzarotti giustifica il modo di fare degli altri partiti. È assurdo». Ha anche auspicato che la smettiate di tirarvi
calci tra di voi. «E allora la smettano loro di tirarli». Loro chi? «Questa esigua minoranza interna. Era stato
assicurato che all'incontro di Parma si sarebbe parlato dello statuto comunale, invece ho sentito parlare solo
di politica nazionale. Pizzarotti non ha mantenuto la parola data». Giulia Sarti vuole discutere la proprietà e il
nome sul simbolo del M5S. «Ha perso un'altra occasione per stare zitta. È inaccettabile. Se non le andava
bene il nome poteva andare in un altro partito. Quando si è candidata lo sapeva. Poteva evitare, magari era
meglio». Dissidenti: dentro o fuori? « Au s p i co c h e r i mangano, ma rispettando le scelte prese a
maggioranza sia in assemblea che sul blog. Ma si ricordino che il nemico sta dall'altra parte». Può restare
anche Pizzarotti? «Dovrà impegnarsi molto». @unodelosBuendia
Foto: Fedele alla linea Ivan della Valle, deputato torinese del M5S
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Interviste /L'ortodosso grillino
08/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 7
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"Renzi si fermi Con le preferenze addio trasparenza"
CARLO BERTINI ROMA
«Faccio un appello: Matteo fermati finché sei in tempo, perché rischiamo di espandere il marcio di Roma su
scala nazionale se riapriamo la pratica delle preferenze che furono la causa di tangentopoli». Roberto
Giachetti, renziano doc, capogabinetto di Rutelli sindaco e oggi vicepresidente della Camera, da quando è
scoppiata la grana romana ha un solo assillo: prevenire il peggio. «Chi deve spendere cento mila euro per la
campagna deve trovare i soldi e le preferenze non si conquistano da sole...». Quindi? «Bisogna tornare alla
formula originaria dell'Italicum, un simbolo con tre nomi sulla scheda, liste corte con tre candidati che la gente
sul territorio conosce. Punto». Torniamo a bomba, però. «Io dico che il consenso andrebbe raggiunto più
sulla base della politica e meno degli interessi. Ci sono comportamenti che non sconfinano nell' illegalità ma
che non sono consoni. Il problema non è solo quando arriva un avviso di garanzia. E' un problema che non
riguarda solo Roma e che investe tutta la politica e quindi anche il Pd». Quale? «Se ricevi migliaia di euro
anche se certificati, non va tutto bene. Visto che non c'è più il finanziamento pubblico, un conto è se un
partito fa una cena di autofinanziamento e raccoglie centinaia di migliaia di euro. E un mese fa alla cena
romana nessuno sapeva che personaggio fosse Buzzi. Ma se alcuni esponenti di un p a r t i t o r i cevo n o f i
n a n z i a menti da cooperative, gruppi o imprenditori, anche se non c'è niente di illegale, politicamente è un
problema». E come si fanno le campagne elettorali d'ora in poi? «Ecco: se in questo momento non si ha la
lucidità di fermarsi ed evitare di trasportare anche sulla legge elettorale nazionale il sistema delle preferenze
che è la madre di tutte queste vicende, quando andremo a votare scopriremo l'acqua calda: questi fenomeni
invece di diminuire aumenteranno. Se una campagna costa centinaia di migliaia di euro è evidente che
diventa il traino di un rapporto perverso e di un'esplosione dei costi della politica». Voi renziani avete notato
che qualcosa non andava a Roma ai tempi delle primarie? «Ce ne siamo accorti e lo abbiamo denunciato: è
chiaro che c'era un sistema organizzato, una guerra per bande che pesava su qualunque decisione. Le
primarie per essere sane devono essere regolate per legge». Esami agli iscritti, commissioni per valutare la
passione politica? Sarà la fine del modello di partito aperto a tutti? «No, anzi questo sistema romano non
consentiva apertura a tutti, perché era fin troppo organizzato e diventava refrattario per la gente comune».
Blindate Marino e volete evitare le urne a Roma dopo averlo messo all'indice come inadeguato? «Sul fatto
che Marino sia una persona onesta non ho mai avuto dubbi. Ma avevo e ho delle riserve sulla tenuta della
sua amministrazione. A prescindere da questa vicenda, Roma necessitava di una forte stretta di bulloni
perché l'amministrazione faticava».
Bisogna tornare alla formula originaria dell'Italicum, un simbolo con tre nomi sulla scheda Roberto
Giachetti Deputato Pd
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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LE INTERVISTE Il renziano Roberto Giachetti
08/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 7
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"Sul peso dei clan la sinistra sbaglia a minimizzare"
GUIDO RUOTOLO ROMA
Da giurista, insegna Diritto penale alla Università di Palermo, Giovanni Fiandaca spiega di non aver alcun
dubbio dal punto di vista tecnico: «"Mafia capitale" può rientrare tra le organizzazioni criminali che operano
con metodo mafioso». E sulla ventilata ipotesi di commissariamento del Campidoglio, Fiandaca invita i
supporter della giunta Marino alla cautela: «Per la credibilità degli strumenti dell'antimafia non si possono
usare due pesi e due misure». Professore, il comune di Roma va commissariato? «Mi sorprende che il
neocommissario del Pd romano, Matteo Orfini, se ne sia uscito con molta sicurezza - in realtà direi con
imprudenza ed eccessiva tendenza alla minimizzazione - nell'escludere che possano esserci i presupposti
per lo scioglimento dell'assemblea capitolina per inquinamento mafioso». Quindi per lei i presupposti ci sono?
«Lo scioglimento lo si può disporre quando emergono elementi di collegamento diretti o indiretti con la
criminalità organizzata o forme di condizionamento degli amministratori stessi che compromettono la libera
determinazione degli organi elettivi e il buon andamento o regolare funzionamento dell'amministrazione
comunale. Tutto ciò potrebbe essersi già verificato a Roma». Ma per Roma i contraccolpi sarebbero
durissimi. «Se il Campidoglio fosse tuttora in mano al centrodestra, il centrosinistra invece di minimizzare
avrebbe già chiesto tutto e di più». "Mafia capitale" - questo è il ragionamento dei "minimalisti" che non
credono alla associazione mafiosa - sembra più un associazione di reduci neofascisti che fanno affari con la
corruzione... «Per il legislatore non è importante che la specifica forma di organizzazione criminale si connoti
come mafia classica. L'ultimo comma dell'articolo 416 bis del Codice penale estende l'associazione mafiosa a
tutte le organizzazioni comunque localmente denominate. L'importante è che si avvalgano della forza
intimidatrice del vincolo associativo e che perseguano scopi corrispondenti a quelli della mafia». Insomma,
esiste una mafia autoctona, locale, romana? «Devo dire che sulla base di ciò che ho letto sui giornali in questi
giorni, la prospettiva dell'associazione mafiosa mi sembra plausibile e non una forzatura. Del resto è nota la
preparazione tecnica e la prudenza del procuratore Pignatone che se si è spinto alla contestazione
dell'associazione mafiosa evidentemente deve avere elementi molto seri». I critici all'impostazione della
Procura riducono il clan Carminati a una associazione finalizzata alla corruzione... «Le analisi criminologiche
sulle associazioni mafiose degli ultimi decenni hanno messo in evidenza che le organizzazioni di tipo mafioso
nel mondo contemporaneo utilizzano la corruzione come metodo di condizionamento dei pubblici poteri. Sullo
sfondo rimane sempre la possibilitã di intimidazione attraverso la violenza. E non c'é bisogno del ricorso
concreto alla violenza, è sufficiente che l'interfaccia, sia esso una vittima o un colluso, sia ben consapevole
della caratura criminale del suo interlocutore».
Lo scioglimento si può chiedere quando vi siano forme di condizionamento degli organi elettivi
Giovanni Fiandaca Università di Palermo
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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LE INTERVISTE/Il giurista Giovanni Fiandaca
06/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Rigenerare i partiti e spazzare le cricche
Alessandro Campi
L'invito a delimitare le responsabilità penali per definizione individuali, colpendole duramente se provate, e ad
evitare accuse sommarie e generiche o attribuzioni collettive di colpa, rischia di apparire, dopo la bufera
mediatico-giudiziaria che ha investito Roma, persino tardivo. La tentazione sarebbe infatti quella di cedere al
sentimento di denuncia e riprovazione - lo schifo per usare un'espressione di Renzi verso tutto e tutti, verso la
politica in ogni sua espressione, che molti cittadini in questo frangente coltivano. Ma invece di aggiungere
macerie alle macerie, abbandonandosi ai processi sommari e agli insulti, non è preferibile trarre da questa
vicenda, per quanto possibile, qualche lezione salutare, che aiuti a cambiare rotta a questo Paese ormai
disperato? Esemplare il caso - strumentalmente politico - per cui alcuni stanno chiedendo in queste ore lo
scioglimento del Comune di Roma per infiltrazioni mafiose. Ma una simile débacle istituzionale, che
comunque dovrebbe essere sorretta da inoppugnabili ragioni tecnico-legali e non rispondere a un generico
bisogno di cambiamento e trasparenza, è davvero la risposta migliore a fronte del verminaio politicoaffaristico che ci è stato messo dinnanzi agli occhi? L'esistenza di una corruzione capillare non implica una
corruzione assoluta. Se esiste - come è certo anche in questo caso - una riserva pubblica di onestà,
competenza e decenza, tra rappresentanti del popolo e funzionari dell'amministrazione, da qui converrebbe
ripartire. Continua a pag. 26 segue dalla prima pagina A meno che non si ritenga che la politica può
rigenerarsi solo dopo averne fatto tabula rasa. Lo squallido scenario venuto a galla dovrebbe anche servire
per separare definitivamente i farabutti che usano la politica come pretesto per arricchirsi, finendo per
prendere ordini e soldi da avanzi di galera, da chi la pratica mosso da passione civile, non per affossarli tutti
insieme in attesa di un mondo perfetto che verrà. Ciò detto, anche i politici perbene, che meritano di poter
continuare il loro impegno e che anzi proprio adesso vanno sostenuti con più forza, dovrebbero farsi molte
domande su quanto accaduto sotto i loro occhi, per ricavarne degli ammonimenti per il futuro. Ecco, un
politico serio non può distrarsi o comportarsi con leggerezza nelle sue relazioni pubbliche e istituzionali, come
invece a Roma sembrerebbe essere stata la regola. Una buona politica è probabilmente una politica che torni
ad essere selettiva, che stabilisca dei filtri e dei criteri di affidabilità, non rispettando i quali - come si è visto in
Italia in questi anni - si rischia di essere travolti dal discredito e di trovarsi alla mercé degli avventurieri. Serve
una maggiore prudenza, o semplicemente più accortezza, nella scelta dei propri collaboratori o interlocutori:
una regola peraltro elementare e antica, ma che evidentemente è stata dimenticata. Se ciò è successo,
naturalmente, non è per caso. Una politica destrutturata sul piano organizzativo, priva di addentellati nel
territorio, priva altresì di un suo progetto culturale intrinseco, dunque votatasi solo al pragmatismo e al fare, è
inevitabilmente esposta alle infiltrazioni di chi - proprio perché privo di orizzonti ideali e interessato
unicamente al guadagno - nelle sigle di partito vede solo un mezzo attraverso il quale incunearsi nella
macchina pubblica per lucrare a danno della collettività. C'è insomma da ricostruire il tessuto della politica,
partendo in particolare dal basso, dove esso appare da anni più slabbrato: è infatti nel livello perifericoamministrativo, come mostrano l'esperienza e il susseguirsi nel tempo di scandali e inchieste, che si è
prodotta più facilmente quella commistione dei ruoli e delle funzioni che ha favorito la degenerazione
affaristica del governo locale. Il male dei partiti organizzati di una volta erano le correnti, nonché i loro
apparati pletorici, che per essere sostenuti necessitavano di risorse finanziarie spesso attinte attraverso
finanziamenti illeciti (come dimostrò Tangentopoli). Il male dei partiti liquidi di oggi è se possibile peggiore ed
è rappresentato dalle cricche o consorterie che, senza più nemmeno avere legami organici col centro, senza
più nemmeno alcuna giustificazione ideologica o ideale, finiscono per incistarsi al loro interno sul territorio con
l'unico obiettivo di fare affari coi soldi pubblici. Ancora una volta è un problema di filtri e barriere che le forze
politiche debbono tornare ad imporre a coloro che entrano nei loro ranghi, invece di accogliere chiunque ne
faccia richiesta, ivi inclusi i malintenzionati. Quel che si vorrebbe sperare è che il "mondo di mezzo" emerso a
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Etica e garantismo
06/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Roma sia in realtà un mondo vecchio o declinante, nato e consolidatosi solo grazie allo sbandamento che
l'Italia ha vissuto negli ultimi due decenni, trascorsi invano nell'attesa di stabilizzare nuovi equilibri istituzionali.
Ora ci sono a livello nazionale degli interessanti segnali di cambiamento il cui interprete, piaccia o meno, è
Matteo Renzi, che non a caso molto insiste sulla necessità di spezzare le logiche consociative e corporative
che hanno per troppo tempo dominato le relazioni di potere in questo Paese. E quello romano è appunto un
caso esemplare di amalgama-commistione tra destra e sinistra, tra politica e burocrazia, tra imprenditoria e
amministrazione che annullando le differenze, le responsabilità e le competenze ha finito per produrre opacità
e dunque malcostume affaristico. Bene, questo sforzo che si sta facendo al centro di rinnovare la prassi
politica, le sue articolazioni istituzionali e le sue logiche di funzionamento andrebbe perseguito a maggior
ragione al livello delle autonomie e degli enti locali, che sembrano essere divenuti il vero punto debole quanto a sprechi, inefficienza, bassa qualità del personale politico, clientelismo e corruzione - del sistema
politico italiano.
06/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Il premier blinda Marino: avanti con le Olimpiadi
Alberto Gentili
Matteo Renzi blinda Ignazio Marino: «È una follia parlare di scioglimento del Comune per mafia». A pag. 7
ROMA Matteo Renzi blinda Ignazio Marino: «E' una follia parlare di scioglimento del Comune per mafia», ha
ripetuto parlando con i suoi. Ma blinda anche la città, tant'è che conferma l'intenzione di candidare Roma alle
Olimpiadi. Lo slogan «Non consentiremo, insieme al sindaco e ai cittadini onesti, che la Capitale sia
accostata a fenomeni squallidi di corruzione e disonestà». E il premier non è certo impressionato che alla
richiesta di scioglimento per mafia del Campidoglio si sia associato Silvio Berlusconi. Per Renzi si tratta solo
di una «disperata operazione politica» per tentare di «lucrare su una vicenda che fa letteralmente schifo».
IL PD FA QUADRATO Che questa sia la linea lo dimostrano le parole di Matteo Orfini, il presidente
nazionale del Pd che il segretario ha spedito a commissariare il partito romano dopo che nell'inchiesta su
"Mafia Capitale" sono finiti il presidente del Consiglio comunale Mirko Coratti, l'assessore alla Casa Daniele
Ozzimo e il consigliere regionale Eugenio Patané. «Berlusconi vuole lo scioglimento della giunta Marino per
infiltrazioni mafiose? Strano e curioso, forse si è sbagliato», ironizza Orfini, «immagino che quando l'ex
Cavaliere parla di scioglimento, si riferisca alla giunta guidata da Alemanno. Le vicende agghiaccianti
descritte dall'inchiesta della Procura romana, con il malaffare insediato in Campidoglio, riguardano infatti gli
anni in cui era il suo partito, il Pdl, a guidare la Capitale. Ma la giunta Alemanno, per fortuna, l'hanno già
sciolta nel 2013 i cittadini romani...». Secco anche il niet allo scioglimento di Lorenzo Guerini, il vicesegretario
del Pd: «Marino ha dimostrato con gli atti della sua giunta e in base a quanto si legge nelle intercettazioni,
che è stato un argine alla criminalità romana. E di certo non si può colpire con lo scioglimento
un'amministrazione che ha alzato un muro contro le infiltrazioni criminali. Ma queste sono valutazioni
politiche, la decisione tecnica sta in capo al prefetto e al ministro dell'Interno cui spetta, per legge, decidere
l'eventuale scioglimento». Non è un caso che Guerini rimandi la palla nel campo di prefetto e ministro. I
segnali che arrivano da Giuseppe Pecoraro sono infatti rassicuranti: dopo l'incontro di giovedì pomeriggio con
Marino, il prefetto ha definito «prematuro parlare di scioglimento», mentre in mattinata era stato decisamente
meno prudente. E anche Alfano si è detto contrario all'ipotesi di lasciare senza governo la Capitale: «Lo
scioglimento è un procedimento molto complesso e bisogna andarci con i piedi di piombo, anche perché il
sindaco Marino non è coinvolto in queste vicende e Roma è una città sana. Non è marcia».
LE DIMISSIONI FORZISTE Eppure, Berlusconi insiste. Alla disperata ricerca di un modo per riprendere
l'iniziativa politica e mettere in difficoltà il Pd, l'ex Cavaliere tramite il suo braccio destro Giovanni Toti ha
invitato i consiglieri comunali alle dimissioni di massa «per tornare alle urne». Una linea condivisa da Fratelli
d'Italia e dai Cinquestelle. «Peccato però», dice Orfini, «che per ottenere lo scioglimento servono le dimissioni
della maggioranza più uno dei consiglieri. E i numeri non li hanno. Ma in fondo il rischio neppure c'è: vogliamo
proprio vedere i consiglieri d'opposizione rinunciare alla poltrona, il cappone non insegue il Natale...». Alberto
Gentili
Foto: Ignazio Marino parla all'orecchio di Matteo Renzi L'intervista Alfano ieri sul Messaggero
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Il retroscena
06/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:210842, tiratura:295190)
E il boss si vantava così: Cola l'ho messo io in Finmeccanica
LA PREOCCUPAZIONE DOPO L'ARRESTO DELL'EX AD EUR: «IN CARCERE GLI ABBIAMO TROVATO
CALORE UMANO»
Sara Menafra
ROMA Non è salito ai vertici di Finmeccanica. Ma c'è arrivato davvero vicino. E' lo stesso Massimo Carminati,
il Cecato, a raccontare quanto è arrivato in alto nella gestione della più grande azienda ancora a
maggioranza pubblica. Lo fa chiacchierando nel suo quartiere generale, il distributore Ip di Corso Francia,
con l'ex direttore commerciale di piazza Montegrappa, Paolo Pozzessere. E' il 13 giugno 2013, e da poco è
finito in carcere Riccardo Mancini, uomo di riferimento per gli affari della mafia capitale. Carminati non ha
problemi ad ammettere che è stato lui a presentare Lorenzo Cola alle persone giuste, quando questo era il
braccio destro dell'ad Guarguaglini. «DICONO CHE DECIDO TUTTO» Carminati: «E' chiaro che se io ho
presentato, per dire a Cola qualcuno..Poi loro dicono "no... dietro..." la solita cazz, "Grande Fratello..."! Eh, va
be'.. tutte 'ste minchiate» Pozzessere: «L'appuntamento...»; Carminati: «E lo sanno che (con Riccardo
Mancini ndr) ce conosciamo da trent'anni, tanto è vero che a me dicono "come mai solo a te?". Abbiamo fatto
le rapine. Io con Riccardo ho pigliato pure le sveglie. Non è perché è un grassone...»; Carminati: «Mo tutti
fanno finta di non conoscere Cola, ma Cola entrava con i piedi a da' i calci alle porte là, Cola era un
personaggio, si vedeva». LO SFOGO DI POZZESSERE La conversazione spazia, i due commentano la
figura di Guarguaglini, che a detta di Carminati era «uno valido», che «si occupava sostanzialmente di
Telecom». Paolo Pozzessere parla anche di Sergio Di Gregorio, attualmente protagonista a Napoli del
processo sulla compravendita di parlamentari da parte di Berlusconi. Pozzessere: «Di Gregorio me veniva a
trova'....» Carminati: «Che latrineria eh?» Pozzessere: «Basta guardarlo in faccia ... penso che abbia
abbuscato pure da noi... perché lui è stato presidente della Commissione Difesa al Senato, chiedeva in
continuazione...». C'è anche spazio per Berlusconi ed Esteban Caselli, eletto all'estero e finito nell'inchiesta
su Finmeccanica a Napoli. Pozzessere: «Senti questa.. mi chiama Berlusconi, il Presidente le deve parlare,
mi alzo stavo a tavola...mi fa "senti Paolo ci sarebbe un mio carissimo amico, una persona specchiata"»;
Carminati: «Se la presenti te? Brutto c...» Pozzessere: «Specchiata e "che ha delle forti aderenze in
Indonesia e ti voleva dare dei suggerimenti, te lo passo". Come fai a dirgli di no?». CALORE PER MANCINI
Certo è che, proprio il ruolo di Riccardo Mancini sembra preoccupare l'organizzazione, specie quand
quest'ultimo finisce in carcere. Come ha dimostrato questa inchiesta, in cui lo stesso Mancini è accusato di
associazione mafiosa, il suo ruolo era fondamentale per tutto ciò che toccava gli appalti provenienti da Eur
Spa, posizione da cui avrebbe favorito anche le richieste di Cola. E infatti quando lo arrestano Salvatore
Buzzi è inquieto. Buzzi: «Comunque se sta a comportà bene, però quando l'hanno arrestato un pò de paura
ce l'hai no...» Campennì (un collaboratore): «Si ma poi là dentro gli ho fatto trovare un pò di calore (secondo i
pm si tratta di utilità economiche ndr)» Buzzi: «Non usciva dalla cella s'era messo paura, perché lui era
abituato bene. Era abituato con quattro domestiche». L'organizzazione, è l'accusa dei pm Michele Prestipino
Paolo Ielo, Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli, avrebbe fatto in modo di affiancargli un avvocato che lo
convincesse a mantenere il silenzio.
Foto: Riccardo Mancini
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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IL RETROSCENA
06/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 21
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Visco: «C'e un conflitto nella Bce»
«Le norme consentono se necessario di acquistare titoli di stato sul mercato» IL GOVERNATORE:
PROBLEMI CI SAREBBERO IN CASO DI ACQUISIZIONI MASSICCE PADOAN APPOGGIA LA LINEA DI
DRAGHI: BENE IL QUANTITATIVE EASING
Rosario Dimito
MILANO La Banca d'Italia porta alla luce del sole le divergenze in corso da oltre un anno all'interno della Bce
e riproposte nel direttivo di giovedì scorso. «C'è un conflitto di cui dobbiamo discutere apertamente», ha detto
ieri il governatore della banca centrale italiana e membro del board Bce, Ignazio Visco, a proposito del nuovo
rinvio della decisione di acquistare titoli pubblici. Un rinvio sine die, non a tempi brevi. «Se necessario,
saranno introdotte ulteriori misure per accrescere la dimensione del bilancio della Bce - ha proseguito Visco L'obiettivo è contrastare il rischio di restare per un periodo troppo lungo in una situazione di bassa inflazione,
ed evitare di cadere in deflazione. Un rischio non trascurabile, siamo consapevoli delle gravi conseguenze
che ne potrebbero derivare data la dimensione dei debiti pubblici, e privati, in tutta l'area». Gli schieramenti
nel board di Eurotower sono cristallizzati: la maggioranza, tra cui Visco, appoggia Draghi a tenersi pronti ad
attivare le misure non convenzionali, come il Quantitative easing (acquisto di titoli di Stato sul mercato), una
minoranza si oppone per motivi interpretativi, cioè che l'acquisto di titoli violi la norma di non poter finanziare
direttamente gli Stati. Sicché anche l'altro giorno il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, il
membro tedesco Sabine Lautenschlaeger, il rappresentante olandese Klaas Knot e Yves Mersch, l'esponente
lussemburghese, hanno avuto da ridire su questioni di lana caprina. GLI STRUMENTI A DISPOSIZIONE
Secondo Visco «acquisti sul mercato secondario necessari per la politica monetaria non sono formalmente in
conflitto con il divieto del Trattato». Ammette che può esserci trade off «nel caso di acquisti massicci sul
piano sostanziale». Ma non esita a parlare chiaro: «Il conflitto può essere discusso apertamente, senza
esprimere valutazioni particolari sull'ortodossia eccessiva o sul lassismo finanziario, in un'interpretazione
rigorosa del Trattato. Resta il punto che per garantire la stabilità dei prezzi la politica monetaria non può
esimersi dall'usare tutti gli strumenti a sua disposizione». Draghi ha subito raccolto l'appoggio anche del
ministro Pier Carlo Padoan: «Si dovrebbe andare verso il Quantitative easing, anche se un ministro
dell'Economia non dovrebbe mai commentare la politica monetaria».
Foto: Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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LA POLEMICA
07/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 41
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Guerra sulla Commissione Trasparenza Centrodestra contro la presidenza
al M5S
IN CASA PD RITIRATA LA MOZIONE DI SFIDUCIA NEI CONFRONTI DEL SEGRETARIO FABIO MELILLI
Fa.Ro.
Nessun soccorso a Ignazio Marino, che anzi per Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio dovrebbe fare un
passo indietro «per il bene della città e del Paese». Ma il Movimento 5 stelle adesso punta a prendersi quella
commissione trasparenza (riservata da sempre all'opposizione) che gli era stata sottratta a inizio consiliatura,
con una manovra interna al centrodestra finita negli atti dell'inchiesta su Mafia Capitale. «Così faremo
chiarezza nel torbido romano», sottolinea il capogruppo M5s Marcello De Vito che, come attuale vice
presidente della commissione, potrebbe essere il candidato pentastellato per succedere al dimissionario
Giovanni Quarzo. Per arrivare alla presidenza, però, i pentastellati dovranno ottenere il via libera delle altre
forze d'opposizione, che non è scontato. Nel centrodestra - dove la parola d'ordine è «non partecipiamo più
alle nomine in questa consiliatura, che consideriamo conclusa» - in molti vorrebbero però tentare un secondo
sgambetto al M5s. «La commissione deve andare a un esponente dell'opposizione - dice, a microfoni spenti,
uno dei capigruppo della maggioranza - Ma i grillini non hanno certo brillato per l'attività di contrasto alla
giunta Marino: tanto per fare un esempio, in diverse occasioni hanno aiutato il centrosinistra a garantire il
numero legale in aula Giulio Cesare». LE IPOTESI Come nome alternativo ai consiglieri M5s, tra i banchi
della minoranza qualcuno pensa a Mino Dinoi, capogruppo di Movimento cantiere Italia. Ma il diretto
interessato smentisce un suo interessamento: «Continuo a essere convinto, come al momento della
formazione delle commissioni, che la guida della trasparenza debba andare ai Cinque stelle, che è stato il
secondo partito più votato alle elezioni comunali di Roma», sottolinea Dinoi. Difficile, peraltro, che il
centrodestra possa organizzare altri blitz anti-M5s, dopo quello di luglio 2013. Soprattutto dopo aver disertato
l'elezione del nuovo ufficio di presidenza, sottolineando così di non voler più partecipare alle trattative
nell'attuale consiglio e scegliendo la strada dell'opposizione dura e senza sconti. LA SFIDUCIA Intanto, in
casa Pd, è stata ritirata la mozione di sfiducia che era stata presentata dieci giorni fa contro il segretario
regionale Fabio Melilli. Il documento aveva raccolto complessivamente 114 firme provenienti da diverse
anime dei democrat. Un segnale di svolta nel partito dove, dopo la bufera dell'inchiesta su Mafia capitale, dal
Nazareno è arrivata forte è chiara la richiesta di azzerare le correnti, bloccando le tante sfide aperte all'interno
dei democrat di Roma e del Lazio. Giovedì la questione sarà discussa nella direzione regionale del partito. LA
PRECISAZIONE Riguardo alla mozione di sfiducia nei confronti del sindaco, presentata dall'opposizione nel
consiglio comunale straordinario sul "Pandagate", i Cinque stelle precisano intanto che «la mozione di
sfiducia è stata sottoscritta dai consiglieri M5s De Vito, Frongia, Raggi e Stefàno, i quali hanno raccolto le
adesioni degli altri componenti dell'opposizione (tranne quella di Dinoi)». Gli esponenti M5s hanno integrato
la mozione «con l'ulteriore elemento relativo al Multagate» e proceduto, quindi, «a far convergere su di essa
anche le altre forze dell'opposizione».
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I componenti della commissione trasparenza del Campidoglio
Foto: L'ingresso del Palazzo Senatorio in Campidoglio
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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IL RETROSCENA
07/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
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Il governo: Roma non andrà al voto Grillo attacca Marino: deve lasciare
Marco Conti
La faccia la metterà di nuovo alla "Leopoldina". Per Renzi il vorticoso giro corruttivo è un'occasione
importante per cambiareil Pd romano. A pag. 5 Stanganelli a pag. 5
IL RETROSCENA R O M A La faccia ce l'ha messa e la esporrà di nuovo domani quando interverrà alla
"Leopoldina", l'assemblea dei giovani del Pd che oggi pomeriggio - all'ex Mattatoio - aprirà il sindaco di
Roma. Per Matteo Renzi il vorticoso giro corruttivo, emerso dall'inchiesta del procuratore Giuseppe Pignatone
e che coinvolge buona parte del Pd romano, è un'occasione importante per mettere le mani su una
federazione che da tempo sfugge al controllo di via del Nazareno.
INNESTI Intorno alla blindatura del sindaco Marino il segretario del Pd intende raccontare un nuovo modo di
amministrare la cosa pubblica riprendendo, sull'onda degli arresti, ciò che fece a Milano quando scoppiò il
bubbone dell'Expo che venne affidato alle cure del magistrato Raffaele Cantone. L'azzeramento dei vertici e il
commissariamento del partito affidato a Matteo Orfini rende la strategia del presidente del Consiglio ancor più
sottile perché Orfini è un ottimo conoscitore del partito romano. Soprattutto nella ramificazione tra ex
dalemiani come Marroni, ex veltroniani come Zingaretti ed ex democristiani come Gasbarra. Ad Orfini tocca
quindi imbracciare l'accetta imponendo il passo indietro a molti dei suoi compagni di partito ed ex colleghi di
corrente, come a Marino il compito di individuare i giusti innesti in giunta. Novità anche eclatanti che
permettano di dare il segno di un drastico cambio di passo e pongano un argine a quella caduta d'immagine
della Capitale che rischia di travolgere anche quella del Paese. L'incontro con i giovani democratici di domani,
seppur organizzato da tempo, rappresenta per Renzi l'occasione per dare il senso di una svolta imminente di
metodo anche attraverso i sessanta tavoli sparsi per gli ampi locali dell'ex Mattatoio. Tra questi anche quello
sulle mafie coordinato da due giovani che al toscano e deputato del Pd Federico Gelli, al magistrato Silvia
della Monica e a Salvatore Calleri, presidente della fondazione Antonino Caponnetto, chiederanno risposte in
linea con gli scandali.
DESTINO Renzi domani interverrà con inusitata durezza sollecitando la giovane generazione del Pd a
«prendersi» il partito dal basso. Una richiesta di mobilitazione e l'avvio di un cantiere di idee per cambiare le
città che non riguarda solo Roma, ma che serve a trasferire sul territorio quella «volta buona» e quel «cambio
di marcia» che il presidente del Consiglio sottolinea ogni volta da palazzo Chigi. La blindatura del sindaco
Marino che per Renzi è stato «pretestuosamente attaccato sulla Panda proprio mentre in Procura si
scrivevano i mandati d'arresto», cementa un tale legame tra Campidoglio e palazzo Chigi da unirne i destini.
Orfini ieri, per dare ancor più il senso di un partito che si affida alla faccia del sindaco-marziano, ha sostenuto
che la giunta non va a casa e che comunque anche se ci fossero elezioni, il candidato sarebbe ancora
Marino. Per evitare che l'inchiesta sul sacco di Roma lambisca palazzo Chigi, Renzi non solo ha messo il
lanciafiamme nelle mani di Orfini, ma dal presidente del partito si attende una relazione sugli iscritti e sulle
casse del partito. Così come la chiusura di molti circoli aperti e gestiti a "titolo personale" e il rinvio dei
congressi cittadini. Battere il ferro finché è caldo sia sul fronte del partito sia sul fronte capitolino appoggiando
il cronoprogramma che Marino ha fissato nella recente assemblea capitolina e che l'inchiesta rende ancor più
urgente. Compresa la rotazione dei dirigenti e dei funzionari capitolini che Renzi, da ex sindaco, sponsorizza
a spada tratta.
Foto: Matteo Renzi con Matteo Orfini
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Il Campidoglio
07/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 3
(diffusione:210842, tiratura:295190)
L'EX SENATORE DEM DI GIOVAN PAOLO: «CENE E SOLDI, TUTTI SAPEVANO MA NESSUNO HA
AGITO ORFINI NON SI LIMITI A UNA RIVERNICIATA»
Ma.Con.
L'INTERVISTA R O M A «Spero che Orfini vada fino in fondo e non si limiti ad una riverniciata». Roberto Di
Giovan Paolo, ex senatore del Pd, le primarie del 2013, quelle delle tessere comprate a pacchetti all'ultimo
secondo, le ricorda bene per essere stata una delle vittime del metodo Di Stefano e non ricandidato. «Più che
parlamentarie furono correntarie. Furono decise il 22 dicembre e svolte il 30, mentre noi eravamo a votare la
legge di stabilità». Sorpreso di quanto emerso in questi giorni o se l'aspettava? «La dimensione mi ha
sorpreso, ma se uno cambia sei partiti negli ultimi dieci anni e resta solo se fa l'assessore non c'è poi da
meravigliarsi. Se c'è chi fa decine di cene con decine di persone e nessuno del partito si interroga dove
prende i soldi, perché poi si scandalizza. La verità è che mi trovo a combattere nel Pd le correnti così come le
combattevo nella Dc». Ora con l'arrivo di Orfini deciso da Renzi pensa possa cambiare qualcosa? «Orfini
conosce il territorio. Sarà per lui una sfida e dovrà decidere se tornare alla competenza e dire cose che non
vanno più di moda, o limitarsi ad una verniciata». Cosa non va più di moda? «Che il finanziamento pubblico ai
partiti, controllato, è molto meglio dei soldi che ti danno i privati perché tanto le campagne elettorali costano
uguale. Comunque spero che Orfini non si limiti all'immagine ma si basi sulle competenze e su coloro che
possono dare un contributo». Orfini conosce il territorio o conosce anche le persone finite in questa
inchiesta? «Conosce tutto, come ognuno di noi conosce le persone con le quali ha fatto politica in questi anni.
Il problema è vedere se deve solo garantire a Renzi che il problema scompaia dai giornali o se vuole
premiare uno stile di fare politica fatto di sobrietà, di riunioni serali in un circolo e non di serate passate a
feste con vip e calciatori. Non è sfoggio di virtù ma necessità fondamentale per sviluppare una militanza in
grado anche di controllare e frenare certi appetiti». Nel Lazio la fusione tra ex Dc ed ex Pci sembra avvenuta
sugli affari. Non crede? «Avendo combattuto per molti anni lo sbardellismo posso dire che molti ex Ds, non
provenienti dal Pci, abbiano trovato grande fratellanza con coloro che utilizzavano la Dc come un autobus per
il potere e i propri interessi». Alemanno, complice o raggirato? «Il limite di Alemanno è sempre stata la classe
dirigente di cui si è circondato composta da camerati e basata più sulla fedeltà che sulla competenza».
Parteciperà all'assemblea di mercoledì a Laurentino 38? «Certo, d'altra parte ora ho capito anche perché
persi la battaglia per chiudere i campi rom favorendo l'integrazione».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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«Io e la beffa delle parlamentarie Pd truccate»
07/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Sonia Oranges
L'INTERVISTA R O M A «L'unica soluzione possibile è andare alle elezioni». Giovanni Toti, consigliere
politico di Forza Italia, conferma la linea del voto subito come anno zero dell'amministrazione di Roma,
travolta dagli scandali. Con volti nuovi e possibilmente puliti. Perché esclude altre soluzioni? «Una capitale
commissariata sarebbe un pessimo segnale dato agli italiani come all'estero. E sarebbe incomprensibile se il
prefetto Giuseppe Pecoraro decidesse di non sciogliere il consiglio comunale, visto che altrove è accaduto
per molto meno. Dal canto suo, il sindaco Ignazio Marino ha dato ampia prova di non saper gestire nemmeno
l'ordinaria amministrazione, figuriamoci questa crisi. Non vedo altra strada se non che tutti i partiti si
assumano la responsabilità della soluzione, dimettendosi e lasciando scegliere ai romani il futuro della città.
Non possiamo attendere che la magistratura faccia il suo corso, dobbiamo essere noi a dimostrare di aver
compreso la gravità della situazione e delle conseguenze politiche che potrebbe produrre sul Paese. Serve
un colpo di reni». L'ex sindaco Gianni Alemanno è indagato. Ed era un esponente del Pdl. «Se Alemanno ha
avuto condotte di rilevanza penale, lo deciderà l'inchiesta. Di sicuro ha fatto errori politici e di valutazione
molto gravi. Quando parlo di un colpo di reni, parlo di un'assunzione di responsabilità della politica, se non
vogliamo che gli italiani disertino definitivamente le urne. Servono risposte nette. Torniamo al voto, con liste
pulite, escludendo chiunque sia coinvolto in queste vicende, direttamente o indirettamente. Tolgano le mani
dalla capitale». Il governo, invece, sembra blindare il Campidoglio. «Matteo Renzi è stato durissimo. Parole
condivisibili e che devono avere una conseguenza. Non può essere Marino a portare la città fuori da questo
schifo. Né la politica può tirare per la giacca il prefetto per evitare lo scioglimento. La soluzione è quella
delineata da Silvio Berlusconi. Se i partiti non daranno risposte adeguate in termini di rinnovamento,
efficienza e moralità, non ricostruiremo mai più il rapporto tra i cittadini e i loro rappresentanti. La fiducia degli
elettori non si recupera con le autorità anticorruzione tanto care a Renzi. Gli elettori in Emilia Romagna gli
hanno già dato un segnale. A Roma ora servono scelte concrete, non proclami. Facendo anche qualche
scelta dolorosa. Qui non si tratta di abbandonare il solco del garantismo, pietra miliare dell'azione politica di
Forza Italia, ma di riuscire a coniugarlo con una risposta credibile e doverosa al Paese». C'è una relazione tra
gli scandali e la bocciatura di S&P? «C'è una relazione diretta tra il taglio del rating e le politiche economiche
improduttive e le riforme inattuate. Una politica incapace di dare alle persone risposte ai temi che riguardano
le loro vite, dal lavoro ai servizi, e che ora offre pessimi esempi, come quelli romani. Acuendo la crisi sociale
e la sfiducia nelle istituzioni».
Foto: Giovanni Toti
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Toti: «Il Prefetto sciolga il Consiglio comunale. È la sola via»
07/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 15
(diffusione:210842, tiratura:295190)
HA APPRESO DA FACEBOOK DELLA MORTE DEL FIGLIO, SUA MOGLIE NON LO CHIAMÒ. MA LUI LA
DIFENDE: «È UNA MADRE SPECIALE»
N.C.
IL RETROSCENA dal nostro inviato SANTA CROCE CAMERINA (Ragusa) Pietà, compassione o altro
ancora, magari la comprensibile decisione presa in famiglia di dirgli solo di persona, una volta a casa, quello
che è accaduto. O addirittura la disperata idea che si risolva tutto prima che lui lo sappia. Fatto sta che
nessuno avverte Davide, il padre di Loris, per lunghissime ore. Alle quattro del pomeriggio di sabato scorso l'allarme della scomparsa è stato dato poco prima dell'una -, decide allora di muoversi il maresciallo di Santa
Croce, Luigi Valenti. Comanda la stazione del paese da 18 anni, sa quali sono le parole giuste. Va da
Veronica, la mamma di Loris, e la convince ad avvertire il marito. Davide con il suo camion è all'altezza di
Perugia, sta andando a Nord. Chi lo conosce sa quanto gli sia caro quel figlio, sa quanti messaggini si
scambiano mentre lui è lontano, quanti pensieri, quanti abbracci. E Davide non ha dubbi, fa marcia indietro e
lascia a Napoli il suo camion, da lì un aereo per Catania. Ma intanto le ore passano. Alle cinque il cacciatore
Orazio Fidone scopre il corpo, si scatenano i siti e le televisioni, ma nessuno trova la forza o il coraggio di
chiamare ancora il papà di Loris, tanto meno Veronica. Saprà della morte di suo figlio, del piccolo amatissimo
Loris, di quel furetto delle arti marziali, soltanto da un annuncio su facebook, l'amico di un amico, una notizia
rimbalzata da chissà dove. Eppure in questa settimana di dolore e di perquisizioni, di sospetti atroci e anche
di volgarità, Davide Stival, 29 anni, non s'è fatto né sentire né vedere. Solo ieri pomeriggio ha affidato al suo
avvocato, Francesco Villardita, poche parole: «Veronica è una mamma speciale, non voglio che s'infanghi il
suo nome».
Foto: Fiori e biglietto per Loris
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Nessuno avvertì il padre della tragedia
08/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Ma Renzi irritato tira dritto «Non ci faremo intimidire»
IL PREMIER SICURO: «VADO AVANTI PER LA MIA STRADA, ENTRO MARZO TUTTI GLI IMPEGNI
SARANNO RISPETTATI»
Alberto Gentili
R O M A Matteo Renzi non ha preso bene la bacchettata di Angela Merkel. Non l'ha presa bene per una
questione politica: «Non mi piace che qualche altro capo di governo ficchi il naso in modo così sgradevole
nelle nostre politiche». E perché la scudisciata della Cancelliera tradisce una simpatia manifestata, con
battute e sorrisi, in tutte le occasioni in cui i due si sono incrociati. Una chimica che ora sembra in crisi, anche
sei i due avranno modo di chiarirsi già al Consiglio europeo del 18 e 19 dicembre. E poi, in forma ufficiale, in
occasione del vertice bilaterale tra Italia e Germania in programma a Firenze in gennaio. «La Merkel è stata
molto scorretta, ha deragliato e ha avuto una caduta si stile: un capo di governo non dovrebbe mai
permettersi di dare pagelle agli altri partner europei», sostiene uno strettissimo collaboratore di Renzi, «forse
la Cancelliera ha voluto lanciare un messaggio al suo partito in vista della riconferma a segretario della Cdu.
Ma da una leader del suo livello non ci si saremmo mai aspettati una strumentalizzazione così becera a fini
interni delle delicate relazioni europee». Nella giornata di riposo a Pontassieve dedicata alla famiglia, Renzi
non è voluto uscire personalmente allo scoperto. Per rispondere alla Merkel ha mandato avanti prima il suo
sottosegretario all'Europa, Sandro Gozi e Graziano Delrio. Il leitmotiv è una forte irritazione verso la
Cancelliera. Tanto più che la stroncatura di Frau Merkel cade a ventiquattr'ore dal declassamento del debito
italiano da parte di Standard & Poor's e a due giorni dalla faticosa approvazione del Jobs act, una riforma
strutturale con la quale Renzi sperava di mettere a tacere i critici. «Forse la Merkel ha detto quelle parole per
mettere sotto pressione l'Italia», dicono a palazzo Chigi, «ma noi non accettiamo diktat e non ci faremo né
intimidire, né condizionare. Andiamo avanti con la nostra strada». Ed è una strada, quella di Renzi, che porta
a una «fortissima accelerazione» di tutte le riforme. Dal varo a inizio gennaio dei decreti attuativi della riforma
del mercato del lavoro, all'approvazione delle nuove regole su fisco, pubblica amministrazione, giustizia,
scuola, legge elettorale. Guarda caso i temi toccati dalle raccomandazione della Commissione recapitata a
Roma in giugno. L'obiettivo del premier: «Ci faremo trovare pronti per marzo», quando Bruxelles sarà
chiamata a dare una nuova valutazione, dopo aver approvato la nostra legge di stabilità con riserva. E
quando Roma spera di veder confermata l'applicazione (in cambio delle riforme strutturali) della tanto
invocata flessibilità delle regole di bilancio. «E' evidente», aggiungono a riguardo a palazzo Chigi, «che
Merkel ha giocato sull'ambiguità, visto che la Commissione ha detto che dobbiamo fare di più. Ma per noi "di
più" vuol dire approvare tutte le riforme entro marzo, non farne di altre e tantomeno varare manovre correttive
che strozzano la crescita».
Foto: La sede del governo
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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IL RETROSCENA
08/12/2014
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 13
(diffusione:210842, tiratura:295190)
«Abbiamo perso l'emozione Il logo? Tema da affrontare»
Ste.Pi.
P A R M A Giulia Sarti, la deputata che non ha escluso un simbolo del Movimento senza il nome di Grillo, è al
centro dell'attenzione di giornalisti e militanti. Lei ha detto che il simbolo non è un tabù, cosa intende? «Non
bisogna girarci tanto attorno. Il simbolo è di proprietà di Beppe Grillo che in quanto garante, se volesse,
potrebbe anche non farci votare. È un problema che va discusso». Può esistere un movimento senza Beppe
Grillo? «Non è in discussione, adesso». Perché è stata una giornata importante oggi? «Qui abbiamo capito
che il confronto serve e che dobbiamo aprirci di più. Abbiamo capito cosa vuol dire essere maggioranza, un
aspetto che non è stato sempre affrontato. Qui possono darci molti consigli perché dobbiamo imparare a
essere credibili come alternativa di governo. I cittadini hanno un enorme bisogno di sentirci di più, qui ho visto
proprio la foga della base di parlare e farsi ascoltare». Come sono visti Grillo e Casaleggio dagli attivisti che
ha incontrato oggi? «Ho sentito degli interventi molto duri e critici». Cosa apprezza del sindaco Federico
Pizzarotti? «Il saper spiegare alle persone i bellissimi risultati raggiunti e la capacità di parlare a molti». Come
gliela tradurrà questa giornata al direttorio? «Dirò che abbiamo parlato dello statuto, abbiamo capito molto di
più qua cosa significa governare. E che serve quando si sta all'opposizione». Sul referendum lanciato da
Grillo, lei è per rimanere dentro l'euro o per uscire dalla moneta unica? «Sono per uscire, abbiamo indetto un
referendum apposta. Perché stiamo perdendo sovranità. Ma bisogna anche capire che idea hanno i cittadini
dell'Europa. E un referendum può essere utile». Come si fa a tornare al movimento delle origini?
«Confrontandosi e anche emozionandosi. Io sono nel movimento dal 2007, siamo cambiati. L'aspetto
dell'emozione è un qualcosa che abbiamo perso. E poi mi piacerebbe tornare al confronto che c'era una
volta». Dopo oggi come cambiano i rapporti col vostro gruppo a Roma? «Non cambiano in alcun modo.
Avremo la possibilità di coinvolgere meglio i nostri colleghi. Proveremo a organizzare una giornata come
questa a Roma. Anzi, possibilmente anche più partecipata». Come se lo immagina il prossimo Presidente
della Repubblica? «Sicuramente onesto, alta caratura morale, uno non politicizzato, che non abbia posseduto
tessere di partito. Vorremmo un percorso condiviso come quello seguito per l'elezione dei giudici della Corte
Costituzionale. Ma ci penseranno le nostre quirinarie a tirare fuori dei nomi. Io mi immagino uno come
Stefano Rodotà. La rete, gli attivisti non ci hanno mai deluso e sapranno indicarci anche stavolta, come per le
ultime votazioni, nomi all'altezza».
Foto: «PER IL COLLE PENSO A UN PERCORSO CONDIVISO, NOI FAREMO LE QUIRINARIE IO
IMMAGINO UN UOMO COME RODOTÀ»
Foto: Giulia Sarti, deputata del Movimento Cinquestelle
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'intervista Giulia Sarti
06/12/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Se un alieno atterra sul Colle
Marcello Veneziani
Certo che sarebbe bello un parto extrauterino per il Quirinale. Non un Presidente partorito dal ventre stanco
della politica, ma una personalità venuta fuori dalla cultura, dall'arte, dalla società civile. Sarebbe anche più
coerente con un Paese anomalo e speciale come l'Italia che dà il meglio di sé in quei campi e tra quelle
svettanti solitudini, piuttosto che nello Stato, nei partiti e nelle istituzioni. Però quando sento i loro nomi
s'incrina la mia convinzione. Pescare per esempio il presidente tra i senatori a vita nominati da Napolitano,
tutti pendenti a sinistra, significa fare già una scelta partigiana; Elena Cattaneo e il Renzo Piano non
sembrano adatti al ruolo (e col secondo sarebbe un caso acuto di renzite nei Palazzi). Ancor peggio sarebbe
un Umberto Eco, intellettuale settario, un po' giacobino e girotondino. Il Quirinale non è il risarcimento per il
Nobel, una specie di Nobel casereccio. Un consenso più esteso, anche nel versante destro, potrebbe
riscuotere Riccardo Muti, che di amor patrio e di attitudine a dirigere se ne intende. Ma le candidature illustri
servono in realtà a due scopi. Uno, a far fare bella figura a chi le lancia, sapendo poi che gli altri le
bruceranno, e così puntare sul candidato vero e più malleabile. Due, nel caso di Renzi, a non avere altro
politico al di sopra di sé, nessuno che manovri sulla sua testa, ma un «libero professionista» con ufficio al
Quirinale, privo di truppe, scarso di agganci parlamentari e privo d'uso politico. Però sarebbe bello, e poi,
piuttosto che un Prodi...
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Cucù
07/12/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 11
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Italicum, tempi stretti Si cerca il compromesso sullo sbarramento al 4%
Per gli azzurri è ancora possibile trovare l'accordo. Ma avvertono: Renzi rispetti i patti
FdF
Roma La trattativa sull'Italicum continua ma il timore di un «accordo capestro» resiste nello stato maggiore di
Forza Italia. «Non siamo sereni» è l'ammissione che risuona tra i massimi dirigenti azzurri. Il partito non
sembra disposto ad alzare le barricate sul premio alla lista, così come sulla possibile riduzione dei seggi
bloccati (anche se dopo lo scandalo romano nel Pd è nuovamente in corso una riflessione sull'opportunità di
aumentare il numero degli eletti con le preferenze). Si attende, invece, un segnale da via del Nazareno sulla
soglia di sbarramento, «altrimenti Renzi smentirebbe quello che ha sempre detto, e ha detto anche a noi sul
potere di ricatto dei piccoli partiti», dice in privato Berlusconi. Un compromesso potrebbe essere trovato sullo
sbarramento al 4%, ovvero quello già applicato per Europee e Regionali. C'è anche chi sostiene che qualora
Renzi dovesse decidere di tenere duro e non smentire l'accordo stipulato con la sua maggioranza (con la
soglia al 3%), potrebbe su questo pun to dettare una disciplina non troppo ri gida ai suoi senatori nel
momento in cui si voterà in aula. In ogni caso bisognerà vedere quale testo davvero il Pd porterà in
Commissione. Martedì si voterà l'ordine del giorno Calderoli che punta a rimandare l'entrata in vigore della
nuova legge elettorale al via libero definitivo della riforma costituzionale. Dopo il voto sulla proposta del
Carroccio dovrebbe esserci la presentazione, da parte della presidente della commissione e relatrice Anna
Finocchiaro, degli emendamenti del Pd. Mercoledì scade il termine per gli emendamenti, 24 ore dopo quello
per i sub-emendamenti. Insomma nell'ar co di 48 ore si deciderà molto del desti no dell'Italicum e del patto
del Nazareno. Paolo Romani, capogruppo azzurro a Palazzo Madama, parlando ad Affaritaliani , manifesta
un prudente ottimismo. È ancora possibile un accordo tra il Pd e Forza Italia sulla legge elettorale? «Ci
stiamo lavorando, nel senso che al Senato, in prima Commissione, attendiamo la proposta della relatrice
Finocchiaro che immagino riprenda in parte o interamente gli argomenti che sono stati oggetto degli ultimi
incontriRenzi- Berlusconiesuquellabase poi abbiamo tempo fino a mercoledì di fare degli emendamenti. Mi
pare chela materianonsia stata del tutto risolta, soprattutto per quanto riguarda le preferenze. Quindi c'è
ancora spazioetempoperlavorare ».Sullosfondo Raffaele Fitto continua il pressing su
BerlusconieDenisVerdiniperconvincerli a convocare le primarie in Puglia. L'europarlamentare pugliese si dice
convinto di riuscire a portare alle urne più votanti dei 140mila che hanno partecipatoallapreselezionedelcandidato Pd, Michele Emiliano.Unsuccesso di partecipazione che potrebbe
contribuireaportareentusiasmoeriaprire una partita sulla carta già chiusa, vista la popolarità di cui gode l'ex
sindaco di Bari.
0,2% La quota di voti con cui, spiegailCav,lasinistraha vinto le elezioni: la maggioranza è inesistente
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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il retroscena
08/12/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 13
(diffusione:192677, tiratura:292798)
«Così fan tutti (o quasi) Ora serve trasparenza si muova il Parlamento»
GSu
Ci avete provato già due anni fa a smascherare i furbetti del sindacato. Marco Paolo Nigi, segretario generale
della Confsal, non è cambiato nulla? «La ratio della nostra ricerca era far percepire quanto fosse grave la
mancata trasparenza sul numero degli iscritti nel settore privato. Era ed è resa possibile dalle dichiarazioni
senza riscontro "fondato" sulla certezza del numero delle deleghe fatte annualmente da ogni sindacato al
ministero del Lavoro e consentiva "azzardi numerici" che sostenevano e giustificavano gli "azzardi mediatici"
di qualche particolare sigla confederale». Denuncia caduta nel vuoto? «Non facemmo che dire "il re è nudo"
in quanto, da confederazione autonoma sganciata dalla politica, trovavamo non solo sospetto ma anche
pericoloso che sigle "baciate" dal favore partitico-politico potessero motivare così il loro diritto di sedersi ai
tavoli di concertazione». Ma così fan tutti, o no? «Qualche anno fa feci una sorta di autodenuncia. Dicevo che
la cifra da noi dichiarata al ministero era maggiore per necessità, poiché altre confederazioni meno
consistenti di noi dichiaravano così tanto da rendere impossibile la nostra verità. Ora si faccia chiarezza e si
vedrà che la Confsal è la vera quarta confederazione sindacale». Chi bluffa allora? «Non credo che le grandi
confederazioni abbiano bluffato sul numero dei loro iscritti, non ne hanno bisogno. E poi - a parte il caso
palese dell'Ugl - un range di qualche punto percentuale va concesso, proprio per la vita "mobile" del
sindacato nel corso della quale può accadere che ci siano alcuni slittamenti di consensi e di tessere». Si può
«cambiare verso» al sistema? «Il governo proponga e il Parlamento vari finalmente una legge sulla
rappresentanza e rappresentatività sindacali. Non basta un semplice accordo facilmente eludibile. Serve un
sistema che consenta di calcolare i reali numeri sindacato per sindacato, confederazione per
confederazione». Intanto i sindacati restano nel mirino. «Verità dei numeri, chiarezza della rappresentatività,
nuova dignità della rappresentanza: di questo il sindacato ha bisogno. È e deve essere in proporzione al
mandato dei suoi iscritti e nessuno, neanche un premier, può negare il dovere e il diritto di rappresentanza».
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'INTERVISTA NIGI (CONFSAL)
08/12/2014
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 30
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Il codice etico del duplicatore di ricevute
Paolo Granzotto
Caro Granzotto, so che è banale dire che nei suoi aspetti di accusa, difesa, strumentalizzazioni, amnesie,
chiamate in correo e a discolpa, «Mafia Capitale» svela il volto ipocrita del teatrino della politica. Ma, come
diceva il filosofo, non si fa lega con la vita se non quando con tutto il cuore si dice una banalità. Mario Righetti
e-mail Teatrino del quale i Buzzi, i «mafiosi» alla vaccinara, i bulletti capitolini e l'intera compagnia dei
magnaccioni impallidisce nel ruolo di comparsa, caro Righetti. Svettando sulla scena Ignazio Marino. Al
quale, per grazia ricevuta da Matteo Renzi - lui, il rottamatore: non gliela perdonerò mai - dell'imbroglio
capitolino gli si consente di chiamarsi fuori, lavandosene le mani. Dispensandolo così dal rendere in qualche
modo conto delle azioni dei suoi collaboratori, dei suoi uomini di fiducia, dell'intero governo della sua città. Bel
colpo. Applausi. Non pago, s'è poi eretto a paradigma della legalità, del rigore etico. A immagine del politico
senza macchie o scheletri negli armadi o trascorsi o frequentazioni dubbie, odoroso di bucato ancor più
dell'uomo in lavatrice di Bio Presto. In tale veste impartendo lezioni sulla dirittura morale, sull'onestà e la
rettitudine calpestata, invece, sotto i suoi occhi, entro le stanze adiacenti a quella del primo cittadino. Ebbene,
a Renzi che glielo lascia fare vorrei ricordare che Marino fu accusato dal datore di lavoro, l'Università di
Pittsburg, di aver prodotto « a dozens of duplicate originals of receips » - una montagna di ricevute duplicate,
false - traendone forte lucro personale. E che di conseguenza fu condannato alla restituzione dei soldi rubati,
alla rinuncia alla liquidazione e all'allontanamento immediato sia dalla Pittsburg University come dal Centro
dei trapianti Ismet di Palermo, dallo stesso ateneo finanziato e del quale era direttore. Il campione di virtù.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
203
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L'angolo di Granzotto
06/12/2014
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:105812, tiratura:151233)
«Troppi gli allarmi inascoltati Non c'è alternativa ai salvataggi»
Schiavone, segretario Asgi (Studi giuridici sull'immigrazione): basta con operazioni di fortuna
ILARIA SESANA
L'Italia riprenda l'operazione Mare Nostrum così come era originariamente concepita, come scelta politica e di
civiltà». È la richiesta di Gianfranco Schiavone, membro del consiglio direttivo dell'Asgi, l'Associazione studi
giuridici sull'immigrazione, all'indomani della notizia della morte di 17 profughi nel Canale di Sicilia. «Sono le
prime vittime ufficiali del mare dopo la fine di Mare Nostrum. E, stando alle informazioni fornite, i decessi sono
stati causati da ipotermia e disidratazione - sottolinea Schiavone -. E questo è un elemento di cui tenere
conto». Perché? Non si è trattato di un naufragio che, solitamente, avviene nell'arco di poco tempo. Il fatto
che queste persone siano morte di freddo e di sete vuol dire che il gommone è rimasto alla deriva per molto
tempo, forse anche un giorno, senza che nessuno intervenisse. Se fosse stato attivo un sistema di
monitoraggio effettivo, i tempi per l'avvistamento e il salvataggio non sarebbero stati così lunghi e queste
persone avrebbero potuto salvarsi. Cosa è cambiato con il passaggio da Mare Nostrum a Triton? Le
operazioni di salvataggio in acque internazionali avvengono in maniera fortunosa. Il Canale di Sicilia ora non
viene più pattugliato sistematicamente e questo significa che nessuno vede più quello che avviene al di là
delle 30 miglia, che rappresentano il limite delle operazioni di Triton. E anche se qualcuno riuscisse a lanciare
l'allarme, potrebbe essere troppo tardi per intervenire. Cosa chiede l'Asgi per scongiurare il ripetersi di
tragedie come questa? Torno a ribadire quello che chiediamo da tempo assieme ad altre associazioni: il
governo riprenda l'operazione Mare Nostrum con quelle medesime caratteristiche con cui era stata pensata.
E se l'Italia, giustamente, ritiene di non potersi far carico da sola di questo impegno, allora faccia pressione
sull'Unione europea perché diventi un'operazione condivisa. Mare Nostrum è la sola risposta a queste
tragedie? Oppure si può pensare a soluzioni alternative come la creazione di corridoi umanitari? Qualsiasi
soluzione "terza" non è alternativa ai salvataggi in mare. Si possono mettere in campo varie risposte, tutte
parziali, ma con un obiettivo unico: ridurre i drammi in mare e "avvicinare" la protezione alle persone che ne
hanno bisogno. Vanno sicuramente portate avanti altre iniziative, anche in Paesi al di fuori dall'Unione
Europea. Penso, ad esempio, a una diversa politica dei visti per motivi umanitari o al lancio di un vero piano
europeo per il resettlement (il trasferimento di quote di profughi presso Paesi sicuri, ndr ). C'è però un rischio
da evitare. Quale? Non bisogna commettere l'errore di esternalizzare il diritto d'asilo, affidando la gestione
delle domande di protezione a Paesi terzi, spesso dittatoriali o instabili, che non offrono nemmeno le garanzie
minime per il rispetto dei diritti umani. Periodicamente si torna a parlare della realizzazione di campi di
transito in Paesi come la Libia. Che cosa pensa di questa proposta? Sono assolutamente contrario. La Libia
oggi è un Paese disgregato, uno Stato che non possiamo nemmeno più definire tale. Pensare di affidare
questo compito alla Libia ha il sapore della beffa, di cosa stiamo parlando? Chi dovrebbe controllare cosa? E
con quale autorità? Cosa può fare l'Italia in sede europea? Oltre a richiedere la partecipazione dell'Unione a
Mare Nostrum, deve fare pressioni per cambiare la politica europea sull'asilo. La gestione dei profughi e dei
richiedenti asilo è una questione europea, per questo bisogna rivedere il Regolamento di Dublino per fare in
modo che ci sia una redistribuzione dei profughi soccorsi in mare tra tutti i Paesi dell'Unione.
Foto: ESPERTO. Gianfranco Schiavone
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'intervista
06/12/2014
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:105812, tiratura:151233)
Intervista a De Poli «Assemblea fondativa a Roma il 21 o 22 dicembre. Guardiamo ai 9 milioni di moderati
che non votano più. E sui temi sensibili al Senato saremo decisivi»
ANGELO PICARIELLO ROMA
Area popolare non sarà solo un gruppo parlamentare. Diventerà anche un nuovo soggetto politico, molto
presto. Antonio De Poli, portavoce e numero due dell'Udc annuncia un'assemblea nazionale fondativa già
prima di Natale: «Alle Regionali vorremmo essere presenti massicciamente e non c'è molto tempo». Iniziamo
però dal Parlamento. Su che numeri potete contare? Il processo che vede l'adesione di esponenti di Ncd,
Udc, e Popolari per l'Italia non si è ancora concluso. Le adesioni sono già circa 70, ma contiamo di poter
raggiungere gli 80 a breve: c'è interesse anche da parte di alcuni esponenti di Scelta civica, Forza Italia e
anche M5S. Detta così può però apparire un'operazione di Palazzo, magari per contare nella corsa per il
Quirinale. In tal caso non avremmo grande fretta visto che per noi Napolitano deve restare, almeno fino a che
lo riterrà e solo dopo si porrà il problema, non facile, di individuare un profilo politico di pari valore. Invece?
Invece c'è un vuoto enorme di 9 milioni di voti moderati, che non si sentono rappresentati e rappresentano la
componente più significativa di quel 50 per cento, o anche più, che ora non va a votare. A Roma leggendo le
cronache di questi giorni, questa area è la grande assente, fra destra e sinistra coinvolte nelle inchieste. Col
senno di poi la crisi di rappresentanza che vive da alcuni anni l'area moderata nella Capitale si rivela un
punto a favore, si potrebbe dire... Esistono però i peccati di omissione. Infatti, una proposta politica che
riprenda in mano la tradizione popolare non può che partire da Roma, anche alla luce delle terribili vicende
che stanno emergendo. A Roma, fra l'altro, terremo la nostra assemblea fondativa, probabilmente il 20 o il 21
dicembre, la prossima settimana lo annunceremo in una conferenza stampa. Si era parlato anche di contatti
con Raffaele Fitto, il cui dissenso dentro Forza Italia non è per niente rientrato. L'ascesa di Salvini mette
Forza Italia in una condizione molto difficile, che noi rispettiamo: con Fitto possono esserci contatti, ma i
tempi non sono maturi. In ogni caso, noi siamo nel Ppe e siamo convintamente in Europa, per cui posizioni
alla Le Pen sono inconciliabili con la nostra, sebbene noi guardiamo con attenzione alle istanze federaliste e
ad altri esponenti della Lega. Sui temi cosiddetti sensibili Forza Italia e Pd sbandano spesso verso posizioni
laiciste. Voi come vi porrete? Saremo laici, ma non laicisti. Non ci metteremo di traverso sul riconoscimento
dei diritti, ma se ci fosse il tentativo di introdurre dei simil-matrimoni faremo pesare i nostri voti, che al Senato
sono ampiamente decisivi. Il Ncd ha già chiesto un chiarimento in Commissione Giustizia e con la
costituzione del gruppo potremo far valere le nostre ragioni con più forza.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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«Il lancio di Area Popolare prima di Natale»
06/12/2014
Libero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:125215, tiratura:224026)
Claudio Martelli: «I socialisti? Alla fine si sono tutti sistemati»
GIANCARLO PERNA
Sarà per il successo della sua autobiografia, Ricordati di vivere , fatto sta che Claudio Martelli è le
settebellezze. I capelli graziosamente brizzolati sono il solo indizio dei 71 anni del Giovin Signore del
socialismo italiano nei tempi in cui la Prima Repubblica declinava. «Confesso di non avere letto il tuo libro,
anche se è vecchio di un anno», (...) segue a pagina 11 segue dalla prima (...) dico io. «Mai avuto illusioni sui
giornalisti. Ho qui una copia», dice lui e me la porge. «L'avrei letto comunque. Hai avuto solo recensioni
positive. Inconsueto per un politico,che in genere attira antipatie», dico io. «Ha stupito anche me», risponde e
sediamo all'aperto in un Caffè di Villa Borghese nonostante sia buio e la serata umida. «Sembri uno 007»,
dice Martelli accennando al lungo impermeabile con sciarpa che indosso. «Sono vestito esattamente come
te», replico, squadrandolo. «Infatti, ci prenderanno per cospiratori», dice e aggiunge: «Ci penso io». Chiama il
cameriere e ordina: «Grog al cognac con cannuccia». Con la pozione fumante davanti e il suo modo
leggiadro di succhiare, Claudio assume l'aria del perfetto dandy che richiama irresistibilmente il Martelli degli
anni '80 quando sfoggiando i suoi blazer era il Lord Brummel dei palazzi romani. Siamo socialmente riabilitati
e nessuno potrà più prenderci per truci scagnozzi. «Seicento pagine! - esclamo, sfogliando il libro -. Perché
hai pensato che un tale malloppone su di te potesse interessare?». «Sono presuntuoso e i fatti mi hanno dato
ragione. Alla Bompiani sono felici. Si aspettavano un saggio noioso, è invece un racconto con aneddoti e
personaggi. Non sono molti i libri sulla storia italiana dal '68 agli anni '90. Trentamila copie vendute, e si
vende ancora dopo un anno. Due premi: il Carlo Levi e il Vincenzo Padula». «Più tante lodi», aggiungo. «Ho
infranto un pregiudizio» racconta. «Diversi mi hanno detto: "Pensavo tu fossi il tipico rampante socialista.
Letto il libro, mi devo ricredere"». «Quando scrivevi eri forse già cambiato rispetto al presuntuoso delfino di
Bettino Craxi», osservo. «Il merito è del tempo che ha riabilitato la politica della Prima Repubblica. Nel libro
riporto questa frase del procuratore Borrelli, gran sacerdote di Mani pulite: "Dobbiamo chiedere scusa agli
italiani. Non valeva la pena buttare via il mondo precedente, per cadere in quello attuale". Per me, è come
avere vinto. Se poi pensi che Di Pietro -l'eroe eponimo di Tangentopoli che ha distrutto un'intera classe
politica sul finanziamento illecito dei partiti - è stato accusato di intascare i soldi del suo, il cerchio è chiuso».
Gli chiedo: «Meglio la vita da politico o gli ultimi vent'anni dopo il tuo ritiro?». «Quella da politico era la mia
giovinezza ed è difficile non rimpiangerla. Quella dell'ultimo ventennio ha avuto varie fasi. Sei anni li ho
dedicati ai processi e fare l'imputato non è un bel mestiere. Liberato da quel peso, pensando a Bettino ormai
morto, volevo rimettere in piedi il Psi, senza capire che era tutto cambiato. I socialisti si sparpagliavano tra
destra e sinistra. Cercavo di riunire e quelli obiettavano: "Non si può. Oggi va il bipolarismo". Menavo il can
per l'aia. Fu il periodo peggiore della mia vita. Poi vidi un battibecco tv con due ex psi, Fabrizio Cicchitto e
Giorgio Benvenuto, in cui uno rappresentava la destra di Fi, l'altro la sinistra del Pd. Stessa scuola ma
schieramenti opposti. Allora, mi dissi: "Si sono sistemati, perciò non mi danno retta"». Povero Claudietto, si è
incupito. Ha resistito al tracollo di tre matrimoni con quattro figli da mogli diverse, ma non digerisce la
diaspora socialista. So che da anni ha smesso di votare, ma chissà se avrà ancora le sue simpatie e quali.
Glielo chiedo. Ci pensa, ordina un secondo grog e prima di rispondere spazza via le patatine che facevano da
ancelle all'aperitivo. Poi dice: «Se qualcuno combatte una battaglia liberale o socialista, sono pronto a
battermi con lui. Socialisti e liberali, questo è il mio mondo». Come vivi la crisi italiana? «Malissimo,
malissimo, malissimo. Vorrei fare qualcosa. Detesto l'inconcludenza». Allusione alla politica attuale?
«Girando per presentare il libro, ho visto che la gente ha un bisogno spasmodico di concretezza e verità. Che
mancano del tutto. Ecco perché uno su due non vota. C'è solo populismo che fabbrica nebbia. Uno
sfinimento democratico del quale qualcuno potrebbe profittare». Matteo Renzi? «All'inizio, ci sono cascato
anch'io vedendolo sbaraccare il fortilizio comunista. Ma l'estinzione di quel Jurassic Park era nelle cose più
che dovuta alla bravura di Renzi. Non poteva sopravvivere». Sarò più preciso: il profittatore che esce dalle
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Le interviste di «Libero»
06/12/2014
Libero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:125215, tiratura:224026)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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nebbie è Renzi? «Renzi non ha né una cultura politica, né un disegno, né una visione dell'Italia. Ha un
progetto di potere che persegue con determinazione alla ricerca della sua personale supremazia. Cambiare
per cambiare non risolve. Il cambismo non è riformismo». Gioca a fare il salvatore dell'Italia. È pericoloso? «Il
salvatore in Italia è sempre uno che vuole un potere unico e personale. Tuttavia, o Renzi fa cose serie o sarà
travolto. Perciò non mi fa paura. Inoltre è giovane, con grandi possibilità di migliorare. Nel frattempo, l'Italia va
a fondo. Siamo il solo Paese Ue ancora in recessione». Di fronte al declino che avrebbe fatto il duo
CraxiMartelli? «Aggredito le questioni fondamentali: troppo debito, troppe spese, troppe tasse. Nell'ordine,
Perna». Uscire dall'euro o vent'anni di vacche magre agli ordini dell'Ue? «Affrontiamo il debito, sfruttando il
nostro patrimonio pubblico e privato. Convertiamo parte delle azioni di imprese di Stato - Eni, Enel,
Finmeccanica, ecc- e di partecipate locali dandole a privati in cambio di denaro per abbassare il debito
pubblico. Diminuiti gli interessi sul debito, che oggi ammontano a 80 miliardi l'anno, si potranno ridurre le
tasse. E il più sarà fatto». Il grosso del debito fu opera del governo Craxi tra il 1983 e il 1987 . «Luogo
comune. Con noi, il debito passò dal 70 al 90 per cento del Pil. In gran parte per spese decise in precedenza
dai governi del compromesso storico, specie per Sanità e Previdenza. Con Craxi, aumentò invece il Pil, in
media del quattro per cento. Crescita che tenne il debito sotto controllo». A causa del referendum sul
nucleare voluto da te, la bolletta energetica del Belpaese è la più cara d'Europa. «L'Italia non è un Paese per
il nucleare. Troppo limitato e sismico. Non sapremmo neanche come smaltire correttamente le scorie. Di
fronte alla complessità, gli italiani cercano scappatoie. Non siamo tedeschi o giapponesi. Conoscendo i miei
concittadini, mi confermo di avere avuto ragione». Giuliano Amato al Quirinale? «Solo se vogliamo un
presidente che non faccia ombra a Renzi. Amato è un perfetto secondo». L'inquilino ideale per il Colle? «Un
presidente politico con le palle. Un Pertini, attualizzato». Tu, ex Guardasigilli, al contrario di molti, dici che la
trattativa Stato-Mafia c'è stata. Ma, se era per evitare un danno, dov'è lo scandalo? «Lo scandalo è che la
neghino. La domanda è: la trattativa ha impedito nuove stragi? No. Vedendo i cedimenti dello Stato, Riina
ordinò: "Bisogna dare ancora un colpettino". E sono seguite le bombe di Milano, Firenze e Roma. Chi si fa
pecora, il lupo se la mangia». L'inumano e incostituzionale carcere duro è stato introdotto da te. Buttando
Beccaria alle ortiche. «Tu sei completamente fuori di testa ( è alterato, ndr ). Detenzioni speciali per criminali
incalliti ci sono in tutto il mondo. Rispetto agli Usa, il 41 bis è un cinque stelle. È solo un isolamento severo,
non è che vengano picchiati o altro». Berlusconi? «Non lo capisco più. Non so se sia in una fase di genio
creativo o sia bollito. Non può contemporaneamente nominare propri eredi Renzi e Salvini che sono opposti.
Un modo certo per distruggere Fi e regalare gli elettori ai due Mattei». Hai un Paese modello? «La Svezia.
Tante tasse e tanti bei servizi». Sei socialista nelle budella. Se da noi finisse male, ti rifugi lassù? «Resterei
qui. Per vivere la catastrofe con le persone cui voglio bene».
Foto: L'ex Guardasigilli Claudio Martelli è nato a Gessate il 24 settembre 1943 [Ansa]
07/12/2014
Libero - Ed. nazionale
Pag. 12
(diffusione:125215, tiratura:224026)
«Sogno una scissione nel Pd per fare il partito dei moderati»
Beatrice Lorenzin (Ncd): «Salvini l'ha creato il Cav, il centrodestra non esiste più Sposarmi? Me lo devono
chiedere. Io incinta? Spero di dare presto il lieto annuncio»
BARBARA ROMANO
Ministro, lei si è vaccinata con il Fluad contro l'influenza? «Ho fatto quel vaccino per cinque anni di seguito,
ma quest'anno non l'ho ripetuto per altri motivi». È in dolce attesa, come sostiene il settimanale Oggi?
«Diciamo che le mie attuali condizioni di salute mi proibiscono di sottopormi a un vaccino». Ha lanciato una
campagna per la natalità spronando gli italiani a fare più figli. Lei quando darà il lieto annuncio? «Spero
presto». Come ha vissuto il giorno in cui il vaccino è stato sospettato di aver ucciso alcuni pazienti? «Sono
state le 24 ore più terribili da quando sono al ministero della Salute. Un incubo. Ho temuto che si bloccasse la
campagna che porto avanti da oltre un anno sui vaccini, che salvano milioni di persone. Per fortuna l'allarme
è rientrato». Lei ha puntato il dito contro le Regioni e Chiamparino l'ha accusata di fare lo «scaricabarile».
«Da questa situazione è emersa una falla nella farmacovigilanza dei vaccini, che è in mano alle Regioni, sulla
quale ho intenzione di intervenire per la sicurezza di tutti.Anche se la legge lo permette, non è corretto che
ogni Regione agisca a modo proprio, specie quando si tratta con i virus. Sostengo la riforma del titolo V che
prevede che la politica del farmaco e della prevenzione abbia nuovamente un carattere nazionale». Marino
ha detto: «Ho fatto sei vaccini in quattro giorni e sono ancora qui». Si aspettava un assist dal sindaco di
Roma, contestato ogni giorno dal Ncd? «Sìperché Marino è un medico e chi è addetto ai lavori ha il dovere di
dire la verità. L'anno scorso sono morte 8.000 persone per la mancata vaccinazione contro l'influenza». A
Roma è emerso un secondo cupolone, mafioso. Lei conosce bene la Capitale: se ne era mai accorta? «Una
cosa cosìera inimmaginabile. Ma nel Lazio c'è un'atmosfera pesante ormai da anni, che è assolutamente
trasversale. Fa male vedere la nostra Capitale tacciata come simbolo della mafia». Marino deve dimettersi?
«Uno scioglimento del Campidoglio per mafia avrebbe ripercussioni pesantissime sull'immagine dell'Italia nel
mondo». Come giudica il sindaco? «Basta sentire i commenti sull'autobus. Se Marino aveva in mente una
politica innovativa per Roma, non l'ha capita nessuno». C'è aria di elezioni anticipate a Roma. Lei
sosterrebbe Meloni, Marchini o chi altri? «In una situazione del genere ci vuole un politico, che abbia la forza
di reggere l'urto e reagire. Un sindaco civico non ce la potrebbe fare». Il medico di Emergency colpito
dall'Ebola è in gravi condizioni. Gli ha parlato? «Non voglio usare un malato come vetrina per un passaggio in
tv. Sono in contatto con l'associazione. Sento due volte al giorno i dirigenti dell'ospedale, monitoriamo le
procedure e ho chiamato ministri della Salute di altri Stati per avere i farmaci. C'è una collaborazione
internazionale stupenda». State collaborando anche con Emergency? «Ho parlato con Cecilia Strada e
abbiamo concordato un metodo di approccio nel rispetto della persona e della sua famiglia, anche per
assicurare la maggiore tranquillità possibile allo Spallanzani, dove ci sono trenta persone che lavorano solo
intorno a lui. Abbiamo garantito gli straordinari e cambiato i turni di lavoro. Stiamo tutti facendo il tifo per il
medico di Emergency, una persona straordinaria. Pur avendo figli, si è messo volontariamente a rischio per
aiutare gli altri. Era l'unico virologo presente per Emergency. È un vero combattente, anche in queste ore».
Esiste oggi un rischio contagio Ebola in Italia? «Assolutamente no. Ebola arriva dalla "prima classe":
operatori, cooperatori, altissimi funzionari che escono dal West Africa senza i controlli adeguati, senza aver
fatto i 21 giorni di quarantena o senza che le Ong ce li segnalino. Ci sono stati numerosi falsi allarmi in questi
mesi, quindi abbiamo avuto modo di stressare le strutture e sappiamo di essere in grado di far fronte alle
emergenze senza che ci siano rischi di contagio. Certo, se in Africa si scatenasse una pandemia ci
troveremmo davanti una situazione inimmaginabile». Però ogni giorno, dall'Africa, arrivano centinaia di
migliaia d'immigrati che potrebbero portare il virus qui. Cosa state facendo per scongiurare il pericolo?
«Appena è partito Mare Nostrum abbiamo cominciato a controllare a tappeto gli sbarchi per la poliomielite e
la tubercolosi. Abbiamo monitorato e vaccinato più di centomila persone. Da quando è scattato l'allarme
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
208
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Il ministro della Salute: nessun rischio Ebola e i vaccini sono sicuri INTERVISTA
07/12/2014
Libero - Ed. nazionale
Pag. 12
(diffusione:125215, tiratura:224026)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Ebola abbiamo rafforzato gli strumenti e il personale di monitoraggio nei punti di sbarco. Inoltre nella legge di
Stabilità abbiamo garantito una copertura per i controlli nella fase di passaggio e stanziato un fondo per
completare il padiglione dello Spallanzani specializzato nella cura dell'Ebola e per fornire al personale tutto il
materiale necessario». Intendete agire anche sul piano legislativo? «Ho presentato un emendamento che non
ha avuto buon esito alla Camera, quindi lo ripresenterò al Senato, con il quale chiedo di rafforzare gli Uffici di
sanità marittima, aerea e di frontiera, con 60 medici specializzati per vigilare anche sulle merci, perché i virus
non passano solo attraverso le persone. Ma abbiamo riscontrato uno strano atteggiamento dal Ministero
dell'Economia...». Padoan non vi dà i soldi? «Nel suo ministero fanno resistenza contro i concorsi, perché c'è
il blocco del turnover». Sognava di fare il ministro della Salute da bimba? «No. Fino a 13 anni volevo fare
l'archeologa. Poi la scrittrice, ma dopo i primi racconti fallimentari capii che non era la mia strada. Quindi
decisi di fare la giornalista, anche perché avevo il mito di Oriana Fallaci e vedevo i film con Jane Fonda
cronista d'inchiesta. Ma dopo poco mi resi conto che raccontare i fatti non mi bastava, dovevo essere dentro
le cose». La sua prima cotta? «Alessio, un compagno del ginnasio che non mi vedeva nemmeno, anche se io
disegnavo tanti cuoricini sul diario. Il primo amore ricambiato l'ho vissuto a 16 anni». E la sua prima volta?
«L'ultimo anno di liceo. Ma mia madre non lo sa ancora». Lei è fidanzata ufficialmente. Perché non vi
sposate? «Per sposarmi me lo devono chiedere...». Messaggio inviato. È un addio per sempre quello a Fi?
«In politica la parola "sempre" non esiste. Di sicuro oggi non ci sono le condizioni per tornare insieme, perché
Fi si sta schiacciando sulle posizioni di una destra lepenista». Quella è la Lega. «Che Fi sostiene. È stato
Berlusconi a creare il fenomeno Salvini. Prima gli ha dato la volata sul suo giornale e nelle sue tv, poi gli ha
regalato il candidato leader del centrodestra in Emilia trainando voti di lista da Fi alla Lega e infine gli ha dato
un'investitura ufficiale». I suoi rapporti con Renzi? «Sono molto buoni, ma in Consiglio dei ministri mi scavalca
sempre a destra». Lei dove vede il futuro del Ncd, nel centrodestra o nel Partito della nazione? «Non c'è più
una coalizione di centrodestra di stampo moderato, esiste solo l'interesse della nazione e dei cittadiniche è la
nostra unica priorità». Quindi finirete nel Pd di Renzi. «Noi andiamo verso un nuovo gruppo allargato, per fare
quel grande partito popolare europeista che manca in Italia. Osserviamo con grande attenzione le evoluzioni
del Pd. Se lì avvenisse una scissione e diventasse un partito non ideologizzato che raccoglie il meglio del
centrosinistra e del centrodestra...». Lei ci andrebbe. «Magari. Per me sarebbe la Terra promessa».
Foto: «VOLEVO FARE L'ARCHEOLOGA...»
Foto: Beatrice Lorenzin è nata a Roma il 14 ottobre 1971 ed è stata eletta per la prima volta alla Camera nel
2008 (col Pdl). «Fino a 13 anni», racconta, «volevo fare l'archeologa. Poi la scrittrice, ma dopo i primi racconti
fallimentari capii che non era la mia strada» [Fotogramma]
06/12/2014
Il Secolo XIX - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:103223, tiratura:127026)
Grillo: «Io, in isolamento con la Bibbia di Fazio»
«Volevo mandare vino a Vespa, la guardia ha avvisato i pm»
RENZO RAFFAELLI
LA SPEZIA. È un uomo provato Luigi Grillo ma non rassegnato. Dopo 83 giorni di isolamento in carcere e 96
di arresti domiciliari nella sua casa di Monterosso, l'ex Parlamentare Pdl parla delle sua esperienza con
eloquio sorvegliato. E dice: «Per i prossimi due anni continuerò a bere l'amaro calice della giustizia, mi
impegnerò nei servizi sociali cui sarò affidato dal giudice, leale e rispettoso come deve fare un uomo delle
istituzioni. Poi racconterò la mia verità». E si capisce che la sua verità non è quella che emerge dalle carte
processuali. Oggi, tornato in libertà, non vuol parlare dell'inchiesta sugli appalti pilotati dell'Expo 2015 e della
sanità lombarda in cui è stato coinvolto. Accusato di associazione per delinquere finalizzata a corruzione e
turbativa d'asta, ha patteggiato 2 anni e 8 mesi. Sette mesi li ha già fatti tra il carcere e i domiciliari, restano
appunto due anni e poco più di servizi sociali. Grillo, come è cambiata la sua vita dopo questa esperienza?
«Quando ti capitano vicende come questa rivedi la moviola di tutta la tua vita e impari ad apprezzare cose
che prima non apprezzavi sino in fondo. Per 34 anni ho corso, sempre: in auto, in treno o in aereo per fare
tante cose e accontentare tante persone. In carcere capisci che è importante fermarsi a pensare e impari così
a cogliere anche i gesti semplici della quotidianità. In isolamento sono riuscito a resistere grazie alla famiglia,
agli amici e alla Fede». Una scoperta o una riscoperta la Fede? «Ai Salesiani alla Spezia ho studiato, giocato
al calcio e pregato. Ma non avevo mai provato la gioia della preghiera come in carcere. Nell'ora d'aria in
cortile passeggiavo e pregavo. Ed era un piacere vero». Leggeva? «Certo. Ho letto sempre la Bibbia che mi
aveva fatto avere l'ex governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, il quale mi ha inviato anche un libro su
Paolo VI e gli scritti di un sacerdote. Poi ho letto una dozzina di libri di Arrigo Petacco, la storia raccontata con
l'agilità e la curiosità di un cronista. E ogni giorno avevo 35-40 lettere a cui rispondere». Chi le scriveva?
«Familiari, amici e conoscenti. Ne ho ricevute in tutto 1200 di cui 365 da mia figlia Giulietta. Ogni giorno
l'arrivo della posta era un rito molto laborioso al secondo piano di Opera dove si trovava la mia cella numero
10. La guardia deve aprire ogni busta davanti al detenuto e controllare che non ci sia null'altro che lo scritto.
Ci volevano 35-40 minuti per espletare quella procedura che mi riguardava». Una volta - era uscito sui
giornali - ha tentato di comunicare con l'esterno... Sorride. «Quando ho potuto incontrare per la prima volta i
miei familiari mi ero segnato su un foglietto le cose da dire loro. C'era un nome in testa alla lista ed era quello
di Bruno Vespa. Volevo che gli inviassero un paio di bottiglie della nostra nuova produzione di sciachetrà. So
che è un intenditore e possiede anche lui un'azienda vinicola. La guardia ha requisito il biglietto e lo ha fatto
avere al pm. E sui giornali è uscita quella notizia». Una lunga carriera politica: parlamentare, presidente di
commissione, relatore di leggi importanti, uomo di governo. Nell'inchiesta sulla "Cupola degli appalti" la
funzione che le viene accreditata è quella di uomo di collegamento tra il mondo della politica e quello delle
imprese. Lo stesso Antonio Rognoni, ad di Infrastrutture Lombarde, ha dichiarato al Pm che lei era
considerato il numero uno in Italia nel settore infrastrutture soprattutto per le questioni attinenti al project
financing, la finanza di progetto di pubblico e privato. Era questo il suo ruolo? «Per dieci anni ho presieduto la
commissione Lavori Pubblici e trasporti al Senato e nell'ambito di quella funzione ho conosciuto tutti i più
grandi imprenditori e manager italiani. Non c'è nessuno di loro che possa dire che ho utilizzato questi rapporti
per chiedere qualcosa di men che lecito». Ha conosciuto anche Enrico Maltauro, l'ad dell'omonima spa, che
avrebbe liquidato a Sergio Cattozzo, l'ex segretario ligure dell'Udc, una consulenza da 150 mila euro e gli
avrebbe versato 400 mila euro per alcuni appalti? «L'ho conosciuto nel 1983 ma non l'ho mai frequentato più
di tanto. Quando ero parlamentare mi cercava ogni due mesi circa per conoscere il quadro politico e i progetti
in cantiere. Non mi ha mai offerto un caffè. Negli ultimi due anni a Natale è venuto a Monterosso dove ho
l'azienda vinicola Buranco a comprare bottiglie per omaggi ai suoi dirigenti». La corruzione è un male
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
210
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
INTERVISTA ALL'EX PARLAMENTARE PDL: ARRESTATO PER GLI APPALTI DELL'EXPO, HA
PATTEGGIATO 2 ANNI E 8 MESI L'INTERVISTA
06/12/2014
Il Secolo XIX - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:103223, tiratura:127026)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
211
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
endemico del nostro Paese e un ostacolo alla crescita. E anche la sua vicenda giudiziaria si colloca in questo
quadro di malcostume nazionale «Guardi, sono convinto anch'io che la corruzione sia uno dei freni allo
sviluppo del nostro Paese. Devo aggiungere che oggi è rischioso fare il politico perché i confini del lecito e
dell'illecito non sono molto netti. Il mio ruolo nella vicenda degli appalti Expo in sostanza sarebbe quello di
aver fatto da garante, sul versante politico, alla carriera di Antonio Rognoni e di Angelo Paris, direttore
generale di Expo 2015. Ma i diretti interessati hanno dichiarato di non aver mai avuto da me promesse o
impegni a sostenere la loro carriera». La politica è uscita dai suoi orizzonti? «Sì. Ho dato le dimissioni dal Ncd
e non parteciperò all'attività di nessun partito. Mi occuperò dell'azienda, della famiglia e degli amici. E farò il
commercialista, una professione che ho sempre amato».
LA CONOSCENZA CON SERGIO CATTOZZO
L'ho conosciuto nel 1983, mai frequentato più di tanto. Viene da me a comprare il vino da regalare ai
clienti LUIGI GRILLO ex parlamentare Pdl
Foto: Luigi Grillo, 71 anni, dopo la laurea in Economia entra nella Dc. Prima di patteggiare, è stato 83 giorni in
cella a Opera e 96 ai domiciliari
06/12/2014
ItaliaOggi
Pag. 1
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Veltroni ora se lo sogna il Colle dopo lo scandalo del Pd capitolino
GOFFREDO PISTELLI
Pistelli a pag. 5 Veltroni ora se lo sogna il Colle dopo lo scandalo del Pd capitolino Per chi ami la politica, da
giornalista, da addetto ai lavori o da semplice cittadino, Massimo Bordin, direttore di Radio Radicale, è un po'
uno di famiglia. Si è così abituati a sentire il suo Stampa e regime, rassegna quotidiana dell'informazione, che
pare di conoscerlo da sempre, questo romano, classe 1951. Domanda. Direttore, l'inchiesta romana, sulla
mafia in Campidoglio, ha diverse conseguenze politiche. La prima è che rafforza il sindaco Ignazio Marino?
R. Diciamo che si sposta il faro dalla Panda in divieto di sosta.E se, come si diceva, c'era un scontro fra lui e
l'apparato del Pd nell'Urbe, mi pare che ora stia messo peggio quest'ultimo. D. Eppure l'apparato, alle
primarie votò per Marino. Paolo Gentiloni, il candidato renziano, non toccò palla. R. È vero, i Nicola Zingaretti,
i Goffredo Bettini sostennero Marino, forse pensando che fosse più malleabile. Il sindaco si dice invece che
sia persona poco incline a lavorare in gruppo, che abbia i suoi obiettivi e li porti avanti. D. E questo scandalo
non potrebbe nuocere a Renzi stesso? In fondo, la sua battaglia politica ha spesso sfi orato l'antipolitica e
oggi, nei giudizi sommari della gente, si tende ad accumunare un po' tutti. R. Non credo, perché quel tipo di
assetto, è pre-esiste al ciclone Renzi. È un assetto diverso, di un gruppo dirigente romano che non ha saputo
governare. Nella migliore delle ipotesi. D. Il premier, già in calo di gradimento, non ne soffrirà, insomma... R.
Renzi sicuramente non sarà stato contento ma, fra tutti i dirigenti del Pd, è l'unico che ancora può dire di voler
cambiare verso al partito. Quello che succede è l'esito del verso precedente. Anche se, da un'altra storiaccia,
viene fuori Marco Di Stefano, l'ex-assessore regionale, con un curriculm già inquientante... D. ...che è fi nito a
coordinare un tavolo all'ultima Leopolda... R. Eh sì, tutti saltano nel carro del vincitore, specialmente se il
bigliettaio è distratto. Però, Renzi, a differenza di altri, può dire sono qui per cambiare e questa storia la può
cavalcare. D. Altre conseguenze politiche: fi ne della corsa di Walter Veltroni al Quirinale? L'inchiesta colpisce
uomini che gli sono stati molto vicini. R. Eh sì, il colpo c'è. Veltroni ha una storia politica di rilievo nazionale
ma ha sempre avuto a che fare con le cose romane. Di più: è stato sindaco. Mettiamola modo elegante:
questa vicenda non lo rafforza. D.A proposito di Quirinale, la corsa è partita. E s'è registrato subito un
singolare intervento di Silvio Berlusconi, che ha bruciato la candidatura di Giuliano Amato, anche sei suoi
dicono che invece il Cav creda davvero nelle possibilità del Dottor Sottile. R. Una sortita che mi ha colpito per
la sua assoluta inutilità. Una cosa da kamikaze. Anche nella logica della mera trattativa, il primo nome che si
fa, inevitabilmente cade per l'opposizione dell'altro contraente, no? Ma il problema di Amato, peraltro, è un
altro. D. Quale? R. E cioè è il Pd che non lo vota. Si è già visto quando è stato eletto Giorgio Napolitano. E
forse B. l'ha fatto per quello: era cioè un c a n d i d a t o bruciato in partenza. Eh, naturalmente, spiace per il
professore Amato, che questo trattamento non lo merita. D. Senta, in questi giorni sono partiti i primi
retroscena: Repubblica ne ha rivelato uno che vorrebbe la minoranza del Pd pronta a schierare un suo uomo,
forte addirittura di 100 grandi elettori... R. Guardi, qui c'è una tradizione della prima repubblica: quella che
riguarda i candidati del partito di maggioranza, i quali si devono inevitabilmente guardare dal partito stesso. È
stato così per la Dc, il cui candidato di bandiera è stato regolarmente impallinato dai suoi. C'erano sempre i
franchi tiratori. Salvo nel caso di Francesco Cossiga, che Ciriaco De Mita fece eleggere al primo colpo. E
questo è un pezzo di eredità democristiana del Pd. D. Le elezioni per il Colle potrebbero essere un test per le
possibili collaborazioni Pd-M5s, di cui si è parlato in questi giorni, dopo l'incrinatura del Patto del Nazareno?
R. Quello è un altro mistero. Beppe Grillo, con le sue chiusure e il suo arroccamento, ha praticamente
provocato la seconda elezione di Napolitano. Ora potrebbe di nuovo risultare decisivo. D. E come? R.
Impegnandosi a sbattere fuori la gente dal suo gruppo parlamentare, ormai ha creato un novero consistente
di fuoriusciti, dandogli quella possibilità di trattare che prima non avevano. E questa sarà una delle novità: un
nucleo importante di eletti M5s che non dovranno avere il via libera di Grillo e Gianroberto Casaleggio. D. E
comunque se, come ha scritto qualcuno, il M5s vuole tentare il premier proponendo una donna come la
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INTERVISTA LO DICE MASSIMO BOLDRIN
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costituzionalista Lorenza Carlassare, mi pare fuori strada: la professoressa ha attaccato Renzi in tutte le
salse. R. E infatti, mi pare diffi cile che Renzi ci possa stare. D. Il quale Renzi farà di tutto per avere a Palazzo
del Quirinale una personalità che gli sia amica, come lo è stato Napolitano. R . U n a s p o n d a a l Colle è
sempre stato il sogno di ogni p r e s i d e n t e del Consiglio, perché, chécché se ne dica, mai si è creduto che
il capo dello Stato fosse un signore che tagliava nastri e basta. Chi lo fa, dimentica che quella personalità ha
poteri veri, non simbolici e, soprattutto, sta in carica per sette anni, e nessuno può mandarlo via. I grandi
scontri politici prima dell'elezione di un presidente si rintracciano anche per Luigi Einaudi, fi gurarsi. D. E
anche le presidenze di Giovanni Gronchi e Antonio Segni non furono così docili. R. Assolutamente, il primo
grande dibattito pubblico sull'esondazione di un presidente dalle proprie prerogative si registrò a metà degli
anni '50, con lo stesso Gronchi, che intervenne sul finanziamento alla scuola, in polemica col governo. Era
uno scontro tutto democristiano con A m i n t o r e Fanfani, allora a Palazzo Chigi. E vinse Gronchi, peraltro.
D. Insomma non c'è stato solo il Picconatore Cossiga, col quale scoprimmo il potere di esternazione. R. Ma
anche con Cossiga, De Mita pensò di aver trovato il presidente amico da opporre a Bettino Craxi. D. Mal
gliene incolse... R. E infatti, travolse anche lui. D. Ma torniamo a Renzi. Secondo lei che sta facendo su
questo fronte? R. Sta sondando qualche grand commis d'Etat, alla ricerca di un personaggio che gli dia affi
damento. La comparsa di Sabino Cassesse, sabato scorso, in tv, da Lilli Gruber, mi pare signifi cativa. D.
Sarebbe un buon presidente per il premier? R. Gli è stato chiesto e pure direttamente. E Cassese ha risposto
col famoso aforisma francese: «Gli incarichi pubblici non si richiedono, né si rifi utano». D. Quanto alle
riforme, sembra il premier voglia occuparsi prima dell'Italicum che chiudere il percorso della legge
costituzionale sul Senato. Fatto che metterebbe in crisi anche il Patto del Nazareno. R. Ah, sul N a z a r e n o
ci si perde un po'. E si perde forse l'essenziale di questa riforma costituzionale. D. Ossia? R. Che è una
schifezza. D. Non le manda a dire, lei... R. Massì, se c'è un'area della politica nazionale che mostra, da
tempo, i propri limiti, in modo più che palpabile, è proprio quella regionale e che si fa? Gli regaliamo il
Senato? Guardi che tutte le critiche dei costituzionalisti, da Stefano Rodotà a Gustavo Zagrebelski, non sono
campate in aria. D. Sull'Italicum, Renzi potrebbe cedere sullo tema dello sbarramento e forse sulle
preferenze, ma non sull'impianto che prevede un forte premio di maggioranza... R. E infatti, su quello sarà
irremovibile. Si tratta della riforma a cui tiene di più e sulla quale fonda la possibilità di durare e incidere. D.
Più che gli avversari politici sarà l'economia, coi suo dati negativi, a fermare Renzi. Lo pensano in molti, è
d'accordo anche lei? R. Gli economisti dicono che la famosa uscita dal tunnel non ci sarà e ancora per molto
tempo. Ma qui entra in ballo l'Europa, un capitolo appassionante. D. In che senso? R. Che si sta per chiudere
il Semestre italiano, alla vigilia annunciato come importantissimo. E il bilancio qual è? continua a pag. 5
SEGUE DA PAGINA 5 D. Lo dica lei... R. Aldilà delle male parole con Jean Claude Juncker, che cosa si
ricorderà? Abbiamo convinto l'Europa a superare l'austerità? Se è successo qualcosa, in questo senso, direi
che è merito di Mario Draghi. D. Eppure si è detto che Renzi avesse fortemente voluto guidare lui il
Semestre. Anzi, secondo alcuni, è stato il vero motivo del «dimissionamento» di Enrico Letta. Però si dice
anche che poi il premier si sia disamorato del giocattolo. R. Beh, sa, il giocattolo è complicato. Per
padroneggiarlo occorrono anche molte relazioni e, in questo, credo che Renzi si sia dimostrato un presidente
ancora molto giovane. D. Radio Radicale come va, Bordin? R. Svolge il suo ruolo politico nella galassia
radicale. Qualcosa di originale rispetto alla tradizione dei partiti perché, è infatti un organo di partito molto
particolare: non si chiude infatti nella rappresentazione della politica radicale ma offre un servizio pubblico di
informazione non mediata sulla vita istituzionale e politica del Paese. D. E sempre con una linea chiara... R.
Che è sempre stata quella di Marco Pannella, com'è giusto che fosse. È apparentemente un paradosso ma il
massimo garante dell'autonomia della radio, anche dal partito, è sempre stato lui. D. E in questi anni, qual è il
fatto, raccontato dalla radio, che ne fotografa più di ogni altro l'essenza? L'anima di questa emittente è stata
più raccontare la morte di Giorgiana Masi sul Lungotevere, nel 1977, o le segreteria telefoniche aperte agli
sfoghi di tutti nel 1986? R. Lei ricorda due vicende, ognuna delle quali emblematica. Perché sul caso della
Masi, Radio Radicale documentò accuratamente, con un'autentica inchiesta, tutta la vicenda. D. E su quella
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che fu chiamata «radio parolaccia»? R. Fu una previsione, con metodo del tutto originale, di quello che stava
per succedere. Allora il linguaggio, specialmente quello della politica, era più paludato.E quella esperienza
dette elementi utili a capire a come si sarebbe arrivati ad avere certi personaggi in Parlamento. Allora nessun
poteva pensare che un Antonio Razzi potesse diventare deputato e che lo stessero pure a sentire. Da quelle
segretarie telefoniche si capiva come il Paese stesse cambiando. Ma ci furono altri momenti importanti. D.
Per esempio? R. Direi la liberazione del giudice Giovanni D'Urso, nel 1980, da parte della Br che l'avevano
rapito. D. Voi radicali foste gli unici a dichiarare necessaria una trattativa. R. Pannella parlava di «dialogo»,
per la verità, sostenuto da Leonardo Sciascia, che intervenne anche in radio. D. I Radicali, in questi anni,
sono stati protagonisti di una diaspora che li ha portati nei vari schieramenti. È stato meglio così? R. È una
storia antica, è la teoria della semina, un fenomeno oggettivo. Discutibile che sia stato produttivo per quelli
che sono rimasti. Certamente lo è stato per le carriere di molti, alcuni dei quali sicuramente meritevoli. twitter
@pistelligoffr
Foto: Massimo Bordin
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Governo Renzi, qualche risultato concreto ora comincia a vedersi
Ma non è detto che siano suffi cienti ad avviare la ripresa
SERGIO SOAVE
Non si può più dire, dopo l'approvazione della delega assai corposa per la riforma del mercato del lavoro e
delle norme per il rientro dei capitali, che l'azione dell'esecutivo si limita agli annunci. Se si andrà con lo
stesso ritmo, varie altre questioni cruciali, compresa la riforma della pubblica amministrazione e quelle
istituzionali, dovrebbero arrivare presto alla conclusione del loro iter. Non si tratta più di capire se Matteo
Renzi è in grado di realizzare il suo programma (naturalmente con gli adattamenti imposti dalle situazioni
mutevoli), visto che è risuscito a far digerire alla sinistra misure che sembravano inimmaginabili solo un anno
fa, ma di comprendere se questo pacchetto di iniziative è in grado di promuovere un'effettiva crescita
economica e di consolidare un assetto politico che resta assai fragile ed esposto ai rischi di crollo repentino
sotto la sferza dello scandalismo dominante. Le due questioni non sono automaticamente connesse: basta
guardare alle vicende della vicina Spagna, dove la politica di riforme liberiste del governo di Mariano Rajoy ha
ottenuto un successo considerevole nell'azione per riavviare la crescita dopo una crisi peggiore di quella
subita dall'Italia, ma rischia di subire una pesante punizione elle elezioni politiche di primavera per la crescita
di un movimento estremistico chiamato Podemos, che secondo i sondaggi ufficiali dovrebbe addirittura
ottenere il primo posto nelle preferenze dei cittadini spagnoli. L'ondata di scandali per corruzione e la protesta
per le condizioni sociali ancora assai pesanti fanno premio, almeno a sentire chi interpreta gli orientamenti
dell'opinione pubblica, sui risultati dell'azione di governo. In Italia la situazione è ancora più complessa,
perché non si vede ancora né si può sapere se e quando si vedrà, un effetto concreto delle riforme che si
cominciano ad attuare. In realtà un dato positivo c'è, e riguarda il costo del servizio del debito pubblico, che si
è dimezzato in un periodo abbastanza breve, il che dà un sollievo ai conti pubblici assai problematici del
nostro paese. Ma i cittadini non si orientano in base allo spread, hanno dato credito alle promesse di Renzi,
almeno nel voto europeo, ma bisogna vedere se ora che quelle promesse si traducono in realtà,
naturalmente meno mirabolanti delle promesse, continueranno a puntare su quella proposta di rinnovamento
o se cercheranno altre ipotesi, magari più illusorie ma apparentemente più gratifi canti. Sarebbe saggio
tenere i nervi saldi e utilizzare il tempo della legislatura per completare i processi di riforma anziché affi darsi
alla roulette russa delle elezioni anticipate, ma non sempre la saggezza prevale. © Riproduzione riservata
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IL PUNTO
06/12/2014
ItaliaOggi
Pag. 5
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Troppa Google-fobia fa il gioco di Big G
MAURO MASI*
I lettori di questa ormai più che triennale rubrica ben sanno che il vero fi lo rosso che vi si può individuare è la
battaglia perché anche su Internet siano in vigore, pur con le ovvie specifi cità della rete, quelle poche e
chiare regole che nel mondo non digitale tutelano gli elementi di base del vivere civile (tutela della privacy;
della sicurezza) e dello sviluppo economico (tutela del diritto d'autore/copyright). Siamo stati tra i primi in Italia
a sottolineare come le aziende cosiddette «over the top» (Google, Facebook, Twitter, Microsoft, Amazon,
Apple) fi nissero per assumere un potere eccessivo sulla rete proprio perché, nella sostanza, non
rispondevano a nessuna regola in nessun paese. Così come ci siamo schierati senza se e senza ma dalla
parte degli editori italiani quando (così come hanno fatto i loro omologhi in tante altre parti del mondo)
chiedevano a Google di riconoscere anche patrimonialmente i loro giusti diritti. Ora però ci sembra che
questa «Google fobia» che sembra aver contagiato alcune alte autorità dell'Ue e molti membri del parlamento
europeo sia francamente eccessiva e, paradossalmente, fi nisca per fare il gioco di Big G. Stiamo ai fatti. Che
Google sia dominante sul mercato non c'è alcun dubbio (secondo gli ultimi dati copre circa il 70% delle
ricerche web negli Usa; più del 90% in molti dei paesi dell'Ue) è invece piuttosto dubbio che «abusi» di
questa oggettiva dominanza. Anche perché la supremazia sul mercato non è stata conseguita attraverso
pratiche discutibili (tipo quelle di Microsoft contro Netscape della fi ne degli anni 90) ma da una conclamata
superiorità del proprio prodotto rispetto agli altri offerti dai concorrenti. E poi va considerato che la rete offre
possibilità di accesso per nuove imprese molto più agevoli che non su mercati tradizionali non digitali e quindi
i «monopoli» digitali devono sempre difendere le proprie quote di mercato non cercando di alzare impossibili
barriere ma sostenendo la superiorità tecnica e commerciale del loro prodotto. Se dietro la battaglia del
Parlamento Ue c'è la voglia di far pagare a Big G e agli altri over the top le tasse nei paesi dove producono
reddito, ben venga ma se la battaglia nasconde la voglia di difendere il «prodotto» europeo, la strada legale
temo serva a poco: le imprese europee dovrebbero invece essere aiutate a elaborare un algoritmo più effi
cace di quello di Google. Se ci riescono. Voglio ringraziare i tanti lettori che hanno mandato commenti e
valutazioni sulla rubrica della scorsa settimana relativa all'ipotesi di assicurazione obbligatoria contro i danni
catastrofali. Ad alcuni ho risposto direttamente; più in generale, mi sembra che ci siano dubbi che il sistema
assicurativo sia in grado di gestire senza rischi speculativi un mercato di questo genere in Italia. Non so se
ciò sia vero, constato però che un sistema di assicurazione obbligatoria presuppone che lo stato regolamenti
il mercato in maniera chiara e precisa e ciò sia intervenendo direttamente oppure fi ssando «paletti» per
premi e prestazioni. Non è detto poi che il sistema dell'assicurazione universale obbligatoria sia il migliore dei
modi possibili (tra l'altro lascia aperti problemi notevoli come quello dei danni alle infrastrutture) ma è
sicuramente quello che meno impegna risorse pubbliche (e ben conosciamo gli attuali vincoli di bilancio) e
permette rimborsi ragionevolmente certi e puntuali. * delegato italiano alla proprietà intellettuale CONTATTI:
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IL PUNTO DI MAURO MASI*
06/12/2014
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The prime minister believes supply flows will soon come more from the south than east
JAMES POLITI - ROME
A day after Vladimir Putin made his surprise move to scrap a grandiose pipeline meant to carry fresh supplies
of Russian gas to Europe for generations to come, Matteo Renzi, the Italian prime minister, was in Algiers
plotting a very different vision for Europe's energy policy. Standing beside his Algerian counterpart,
Abdelmalek Sellal, in the windswept north African capital, Mr Renzi suggested on Monday that the east-west
pipelines that have fed gas to the continent would be eclipsed. "In the future the energy question will
increasingly be [developed] in a north-south direction," the Italian prime minister said. "And so the relationship
with African countries will be very important." The remarks were not mere flattery for his Algerian hosts. One
of Mr Renzi's most significant foreign policy efforts since coming to power in February has been a "pivot to
Africa" based partly on the need to diversify supply sources. Italy imports about 90 per cent of its gas - and in
the first 10 months of this year, 46 per cent was supplied by Russia, followed by north Africa, northern Europe
and Qatar, according to the Italian ministry of economic development. That mix appears increasingly
untenable at a time when relations between Russia and the west are turning hostile as they spar over
Ukraine. "At a time of geopolitical instability, diversifying energy sources has become a very important
theme," says one senior Italian official. To encourage the shift, Mr Renzi has been working closely with Eni,
Italy's largest energy group. As it happens, the company, which is 30 per cent owned by the Italian
government, is a partner in the stalled South Stream project with Russia's Gazprom, and still has close ties to
Moscow. Still, Eni has made a huge bet on Africa in recent years, which has paid off with a large discovery of
natural gas just off the coast of Mozambique. With Claudio Descalzi, Eni's chief executive, Mr Renzi made a
trip to sub-Saharan Africa in July, with stops in Mozambique, Angola and Congo-Brazzaville. He also met
Armando Guebuza, Mozambique's president, in Rome on Wednesday. "We have always had strong and
structured relationships with north Africa and they are a source of diversification," says Carlo Calenda, Italy's
vice-minister for economic development. "But if you are looking for a contribution from other areas like subSaharan Africa in 10 years' time, you need to lay the groundwork now. If Eni is investing billions in
Mozambique, it can be of significant help." The EU and its member states have long talked about reducing
their dependence on Russian gas - particularly after supply cuts in 2006 and 2009 - only to see it grow in
recent years. Analysts are sceptical that will change meaningfully anytime soon. For Italy, in particular, the
close ties to Gazprom and Mr Putin have prompted criticism for Rome's supposed reluctance to join western
partners in imposing tough sanctions on Moscow. , To the extent it succeeds, the Africa pivot may be one
way to try to defuse that. "Italy has real interests in Africa and is building those up," says one European
diplomat. "That was part of signalling that Italy could survive without Russian gas if it were turned off." But
there are limits. Matteo Verda, an energy policy analyst at the University of Pavia, who is affiliated with the
Institute for the Study of International Politics in Milan, cautions that bringing sub-Saharan African gas to
Europe remains a distant and very costly prospect. "While the attention to north Africa really is about Italy's
energy security, when it comes to sub-Saharan Africa it's about supporting Eni because most of that
production won't be destined towards the Italian market," says Mr Verda, who believes it is more likely to
supply faster growing Asian markets, or African countries themselves. And relying on African gas carries its
own risks, as Italy knows. Under Muammer Gaddafi, Libya was a vital gas supplier to Italy. But flows halted
for months in 2011 during the civil war that toppled him. Italian officials argue there are other benefits to Mr
Renzi's African push. The creation of closer trade and investment relations might also help stem the numbers
of migrants to Europe crossing the Mediterranean Sea. "This is a long-term strategy that will help tackle the
deepest roots of illegal immigration," says Luigi Marras, the director-general for global affairs at the Italian
foreign ministry. To diversify away from Russia, Mr Renzi has also sought closer ties with Caspian producers
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Renzi woos Africa to wean Italy off Russian gas
06/12/2014
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Pag. 4
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such as Azerbaijan and Turkmenistan. But during his Algerian trip he said that "even greater determination"
was needed to explore the north-south axis. "It's obvious," says Mr Calenda, "that a shift is under way."
Matteo Renzi and Congo-Brazzaville president Denis Sassou Nguessou wave to crowds in Brazzaville, the
capital, in July - GUY-GERVAIS KITINA/AFP/GETTY
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Financial Times
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Opening shot
Simon Kuper
You walk around Reggio Emilia and you think: this is paradise. Here, on a sun-dappled autumnal morning,
was the paceless, impeccable life of a northern Italian provincial town. Well-dressed locals swarmed through
ancient piazzas. But it was an illusion of paradise. That morning, the locals were swarming to Reggio's giant
open-air clothes market where prices started at 50 cents. New shoes cost €6. As Italy sinks, people keep up
appearances. "Crisis" isn't the word for Italy any more, says John Foot, a British historian of Italy. A "crisis"
ends, whereas Italy just keeps declining, like almost no other developed country since 1945. Over three visits
to northern Italy this autumn, I've tried to understand how ceaseless decay changes the way a country lives.
The "lost generation" of young Italians suffers most. They sit chatting on the steps of Bologna Cathedral,
reluctant to spend €1 on a perfect espresso in a café. Italy's demographic pyramid functions as follows: the
old have nice pensions, the middle-aged are unsackable and the young fight for temporary contracts. A
common situation: a highly educated young Italian performs menial tasks for a less qualified older boss, often
for free. "It's not like you can have life plans like having a baby or buying a house," says Marianna Albini, a
young writer. "If you have a contract for six months, you wonder if you should join the gym. What's a career?"
she laughs. But the new dispensation has upsides, she says. If you have no chance of a career, staying late
in the office is pointless. Instead, younger Italians seek fulfilment outside work, in personal projects like blogs
or evenings with friends, says Albini. Another solution: forfeit the good Italian life and emigrate. A banker's
wife told me of a recent party for Milan's elite where almost everybody seemed to have sent their children
abroad. When even the elite flees, there's a problem. Many southern Italians are desperate. But in northern
families, hardship typically remains limited. Italian families have relatively little private debt. Because few
people are now having babies, families are dying out, which diminishes the need to save. So northern families
slowly consume their wealth, and even the young get their share. Some 37-year-olds still live with their
parents, the generations clamped in a perverse alliance. In one of Elena Ferrante's novels, a woman wears
her dead mother's underwear, "much mended and with ancient elastic that showed here and there through
the torn seams". You wish this were only a metaphor. Older Italians often dismiss young people as "big
babies" who won't grow up. The writer Giuliano da Empoli told me that in fact it's the older generation incarnated by Silvio Berlusconi - whose shortsighted teenage self-gratification created today's mess. Most
young people don't want much, says Gianni Riotta, a senior Italian journalist: just the simple Italian life of
good food and drink, and a seaside holiday in summer. That's the sogno italiano, or "Italian dream", to borrow
the slogan of a Reggio ice-cream parlour. Even an unambitious job for life used to buy you that. But young
people cannot get jobs for life. The consequence: hopelessness. In an extreme version of the western
condition, many Italians seem to believe in nothing any more. In Tommaso Pellizzari's latest novel, a new
nihilistic leader exhorts Italians: "Ask not what your country can do for you. It can do nothing, nothing at all."
The historian Paul Ginsborg, grappling for positives, says that at least democracy hasn't collapsed. Political
passions are so exhausted that even Italy's eternal right-versus-left domestic "cold war" has wound down. Not
long ago, Berlusconi's rants against "communists" still excited rightists. Now, a hedge-fund manager so
rightwing that he once supported South African apartheid confided to me that he'd voted for the centre-left
prime minister Matteo Renzi. Renzi, famously, is 39, which in gerontocratic Italy is almost like being 14.
Instead of waiting his turn for ever, he enacted a fantasy of young Italians: elbow aside the geriatrics and take
over. Now he just needs to save Italy. The country has one last great asset: the Italian quality of life. "What is
the hipster movement?" Erik Jones, of the Johns Hopkins School of Advanced International Studies in
Bologna, asked me over another wonderful lunch. "Hipsters celebrate the excellence of everyday life. The
Italians are the original hipsters in that respect." Increasingly, they are flogging Italian living to foreigners.
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How Italy lost la dolce vita
06/12/2014
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Pellizzari took me to the vast Milanese branch of the food market Eataly. Here's a plausible future: Italy as
Eataly, a food hall with some museums attached, a staging-post for Asian tour groups. Italy can undoubtedly
do better than that but nobody I spoke to could quite see how. [email protected] a frenetic period of
travel involving 10 separate trips overseas in the past three months, I am trying to catch my breath, shake off
the jet lag and make sense of what I have seen. Leaving aside the big geopolitical themes, one tentative
conclusion I have reached is that world leaders and hotel lobbies do not mix. This first struck at the Ritz Hotel
in Madrid as I waited to greet Mariano Rajoy, the Spanish prime minister, who was the guest-of-honour at the
FT's Spain Summit. On one side of the lobby was a bank of photographers and TV crews. I was standing on
the other side with a couple of FT colleagues and the hotel management. Rajoy's limo drew up and we could
see him and his entourage heading towards the entrance. Just at that moment, a party of elderly Americans
came out of the lift, clad in their trademark tracksuit bottoms and fluorescent visors, and began to totter
across the lobby, demanding loudly, "Where's the coach?" The hotel manager froze - torn between the desire
to shove the Americans out of the way and his duty to be courteous. He just about pulled it off but it was a
close-run thing. The following week in Milan, I encountered a variant of the same scene at the Westin Hotel,
which was being used as a base by several world leaders during an Asia-Europe summit in the city. Tourists
with shopping bags meandered through the lobby, apparently oblivious to the fact that just off to the side, in
the delightfully named Casanova restaurant, Vladimir Putin was dining with Angela Merkel, François Hollande
and Ukraine's president Petro Poroshenko. I only realised something was up when I spotted Dmitry Peskov,
Putin's blow-dried spokesman, muttering into his mobile by the concierge desk. Eventually, the doors of the
Casanova opened, disgorging the leaders. First out were Merkel and Hollande, chatting away as they made
for their cars, their heavies holding back a media scrum. Next out was an expressionless Putin, surrounded
by security guards whose bulk only accentuated the Russian leader's diminutive size. I was at the Westin to
meet another leader, Japan's prime minister. Shinzo Abe was in a first-floor conference room, surrounded by
advisers and press people. We had last spoken at the World Economic Forum in Davos in January, where I
had asked him an apparently unexpected question about the risk of war between China and Japan. Abe's
surprisingly frank reply - comparing the situation in east Asia to Europe before the first world war - had
caused him a bit of trouble. So this time his advisers had asked for questions before the interview and, in a
moment of weakness, I had agreed. Big mistake. As soon as I asked my first question, the prime minister
opened a large briefing book on his lap and began to read out an answer. For the remaining 45 minutes, my
colleague James Politi and I did our best to coax the Japanese leader into saying something spontaneous.
Afterwards, in a state of some anxiety, we tried to identify some news in Abe's carefully phrased responses.
The best we could come up with was an apparent hint that Abe might postpone a rise in Japan's consumption
tax. It seemed rather drily technical at the time. But just a few weeks later, Abe called a snap election: the
consumption tax was crucial to his decision to go to the polls. I am still not sure if he had deliberately used our
interview to signal a change in policy, or whether that is just how it worked out. Interviewing prime ministers
can be exciting but the most memorable meetings are often with people further down the food chain. In Kiev,
for example, I met a Ukrainian-American who had just returned from fighting with the Azov battalion - a
paramilitary organisation battling Russian-backed separatists (and plain old Russians) in eastern Ukraine.
The Azov battalion is a controversial outfit that the Russians have accused of harbouring neo-Nazis. When I
asked my interviewee about this, he responded with surprising geniality - "Oh no," he said. "No neo-Nazis that
I've noticed, but quite a lot of pagans and sun-worshippers." Then I met a taxi driver. (I know it is a terrible
cliché for journalists to quote taxi drivers, and I was once advised by a colleague to refer to any cabby I
quoted as a "small-business man". But I'll be honest, he was a taxi driver.) The two of us spent so long
together that by the end of the day we were discussing the existence of God. As well as being a skilled
linguist, my driver turned out to be an original theologian. As he put it: "I like to keep fish. My fish think they
understand their world. They are battling for control of their fish tank, But what they do not know is that
standing outside the tank is Me. I like my fish. But if something more important comes along, I will go away
06/12/2014
Financial Times
Pag. 1
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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and let them die - and buy some more fish when I come back. It is like that with God. We are battling for
control of our world, and he is watching us. But I think he is running several universes and our world is just
one of them. We have to hope he does not lose interest in us." I was about to get him to expand on this
intriguing line of thought, when we arrived at the airport. Gideon Rachman is the FT's chief foreign affairs
commentator Luke Waller
08/12/2014
Financial Times
Pag. 11
(diffusione:265676, tiratura:903298)
EUROPE
Wolfgang Münchau
The European debate about quantitative easing has reminded me of Zeno's paradox of motion: Achilles could
never catch up with a tortoise - because whenever he had bridged the distance between them, the tortoise
advanced. Same here: whenever the conditions seemed to be in place for QE, new ones popped up. All that
changed on Thursday. The European Central Bank voted to elevate the €1tn increase in the size of its
balance sheet from something it expected to happen to something it intends to accomplish. This is more than
a rhetorical change. Without QE the target cannot be reached. By committing to this number, the ECB in
effect agreed to QE. Those who have opposed the programme know that once the ECB has a balance sheet
target, QE will follow by default. The ECB's existing programmes are not big enough to reach that goal. In
light of this new situation, the question is no longer whether QE will happen but how it will work. I would
expect the size of any programme to be about €500bn. With that, the balance sheet target could be in reach.
So what would €500bn buy? The total amount of the eurozone's government debt is about €9tn, so such a
programme would just be 5.5 per cent of the total. Compare this to the UK, where the Bank of England's
stock of government debt was about 25 per cent of the total issued as of 2013. If the ECB wanted to do as
much as the BoE did from 2009 onwards, in relative terms, it would have to commit to asset purchases of
more than €2tn. In fact, it has to do quite a bit more because it has started much later, and because the
situation in the eurozone is more serious. Those on the ECB's governing council who oppose QE fear that it
would trigger a larger programme later on. This is why I expect Berlin to mount a legal challenge in the
European Court of Justice. A €2tn programme, or something approaching that, would have a similar
economic effect to a eurozone bond - that is, a jointly issued debt security - which is something Germany has
been resisting. In that scenario the ECB would absorb a big chunk of the outstanding debt of highly indebted
eurozone countries, and keep it on its books forever. The alternative to a large programme is an inadequate
one - for example, one that stops at €500bn. It would meet less opposition in Berlin. Unfortunately, it would
also be economically irrelevant. To see this, one should consider the channels through which QE works. The
most direct impact would be on the interest rates of the securities purchased. If the central bank buys fiveyear government bonds, the price of those bonds will rise and the yield will fall. Since those bonds serve as a
benchmark for bank loans, the interest rates on banknotes may fall as well, in theory, though probably not in
the eurozone. Then there is the "portfolio rebalancing channel": when banks sell bonds to the ECB, they will
need to buy something else instead. They might lend it out. They might buy other risky securities. This may
well be the most important effect but it will probably not be as effective as it was in the US and the UK, when
asset prices were lower. What about the exchange rate? This is the most overrated channel. The euro's
trade-weighted exchange rate has fallen by only 4 per cent in the past year. It could come down a little
further, but this is not going to do the heavy lifting. The eurozone is simply too big for that. The only truly
significant conduit of a QE programme would be a debt relief channel. If the ECB were to buy, and retire, a
quarter of Italian debt, life in Italy would become a lot easier. That, however, is not going to happen - either
because the programme is too small or, if not, Berlin would challenge it legally. If you want to push the money
through these channels into the economy, you will need a lot of money and a lot of pushing. Ideally, you
would not start from here but from where the US Federal Reserve or the Bank of England started in 2008 and
2009 respectively. My fear is that a European QE programme will happen but still stay trapped in Zeno's
paradox. [email protected]
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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The ECB, demigods and eurozone quantitative easing
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Financial Times - Weekly review
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(diffusione:265676, tiratura:903298)
THE LAST WORD
John Plender
For much of this year the equity market story has been about central banks conducting levitation in share
prices through the jerky ratchet known as risk-on, risk-off. Investors' perceptions about whether monetary
tightening would come sooner or later have caused markets to twitch up and down, yet the overall trajectory
has remained upwards. The big question has been whether corporate earnings could rise sufficiently to justify
the valuation uplift. But since June something real has been going on that greatly improves the prospects for
both economic growth and corporate earnings in a developed world that has been suffering from anaemic
growth. The fall in oil prices of more than 30 per cent over that period gives consumers in the advanced
economies the equivalent of a tax break at the expense of oil producers. Since advanced countries spend
more of their income than emerging market oil producers the outcome is a boost to aggregate demand. This
is a boon, especially in the eurozone, which suffers acutely from deficient demand. Yet many fear that the
energy-induced decline in the price level will tilt the eurozone into deflation and put it on to the road to
perdition. I have long been worried that the European Central Bank has been slow to address the threat of
deflation. But a fall in energy prices is not a good reason for panic because deflation can be good, bad or
something in between. In the depression of the 1930s it was undoubtedly bad, because it reflected excess
supply and deficient demand. In the late 19th century it was good. During the misnamed Great Depression of
1873-96, there was average annual real growth of 2 per cent despite a decline in the general price level,
spurred by shrinking land values and falling prices in older industries. The experience of falling energy prices
comes closer to the 19th century example than the 1930s. The problem with a malign deflation is that
consumers defer spending decisions because they expect things to become cheaper. Yet history suggests
that a rise in real incomes resulting from falling energy prices is more likely to encourage people to spend.
That said, there are other very powerful deflationary forces at work in the eurozone, such as the restrictive
German fiscal diktat and an ECB monetary policy that is delivering below-target inflation of just 0.3 per cent.
By putting downward pressure on inflation, the fall in energy prices will add to the pressure on the ECB to
move to full US-style quantitative easing. Here, paradoxically, there could be a malign impact. For if the ECB
moves to full QE against the wishes of the German members of the governing council, the damage to the
ECB's credibility would be devastating. It is hard to see how the eurozone central bank could operate without
the support of Europe's economic superpower. Yet if Mr Draghi, the president, does persuade the Germans
that the ECB's legal mandate cannot be fulfilled without QE, it would send a curious signal. The Germans are
not alone on the governing council in being sceptical about QE, given the very different financial structure in
the eurozone compared with the US. While markets, gripped by a hunger for yield, are currently fired up
about the prospect, they would ultimately have to recognise that a move to QE would be a sign of desperation
- the last throw of the eurozone dice. Indeed, investors are placing a euphoric bet on a policy of probably
limited effectiveness. To return to energy prices, the big corporate losers will be fracking companies and other
high-cost producers. That is a worry for investors in credit, since the energy sector is a big chunk of the highyield bond and leveraged loan markets. Risk premia in credit markets are already astonishingly low relative to
government securities thanks to the search for yield. A rash of energy sector defaults, especially if combined
with worries about the ECB's credibility, could spell the beginning of the end of the great yield mania.
[email protected] If the European Central Bank moves to full QE against the wishes of the German
members of the governing council, the damage to the ECB's credibility would be devastating - Thomas
Lohnes/Getty
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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QE is the last throw of the eurozone dice
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International New York Times
Pag. 10
(diffusione:222930, tiratura:500000)
International New York Times
''E-commerce is a very analytical and process-driven business, while luxury is very visual - it's all about
creativity, the content and image.''From page 9 British fashion vendor owned by the Swiss luxury group
Richement, or members-only flash-sale sites like Vente Privée of France or Gilt.com, which is based in New
York.The e-luxury sites have grown by serving as online merchants for the designer brands. But Yoox also
makes about one-third of its revenue - which totaled 456 million euros, or about $563 million last year - by
providing the back-end technology for the designers' own websites, including Valentino, Alexander Wang,
Dolce & Gabbana and Jil Sander. The pickup in luxury e-tailing could enable Yoox to grow and prosper. The
risk, though, is that as more luxury brands recognize the possibilities of online commerce, they will elect to
take that business in-house, rather than farm it out to Yoox.''Yoox was a shortcut for luxury brands to go
online at a time when online was seen as something exotic and separate,'' Mr. Solca said. ''The more that the
large brands realize that this is strategic, the risk is that they become less willing to accept the powered-byYoox offer.''Founded in 1999 by Mr. Marchetti, Yoox was one of the earliest entrants to the online luxury
market. At the time, Mr. Marchetti - the son of a Fiat warehouse manager and a telephone operator - was a
recent graduate of Columbia Business School in New York with a background in investment banking and a
passion for technology and beautiful things. He was also very busy. ''The definition of luxury is so different to
many people,'' Mr. Marchetti said. ''For me it's time, I was buying luxury, but I didn't have time to go around to
the shops. I wanted this kind of a store, to be able to find everything I wanted in one place.''The result was
Yoox - the name refers to the Y and X chromosomes, with the ''OO'' meant to evoke binary digital code which made its debut with just over $1.5 million in venture capital funding. Ten years later, in 2009, the
company listed on the Milan Stock Exchange.Yoox has a stock market value of just over ¤1 billion. But the
share price is down more than 40 percent this year, slumping along with many European retailing stocks, in
light of the region's flagging economy. Still, Yoox remains one of the few online luxury players to turn a
consistent profit throughout the downturn. Its net earnings rose 24 percent in 2013, to ¤12.6 billion, and the
company expects both sales and operating profit to increase by 20 percent for full-year 2014.One key to that
profitability is maintaining a tight lid on costs, Mr. Marchetti said, which Yoox seeks to do through its highly
automated Bologna operation. Next door to its robot-driven warehouse is a mechanized studio, where
employees continually dress and photograph a parade of plexiglass mannequins as they glide along rails.
Twothirds of the images for Yoox.com's catalog are produced this way - up to 200 images per hour.Given the
breadth of its inventory and distribution network - the company has sent more than 30 million items to more
than 100 countries - Yoox is sometimes referred to as the Amazon of high fashion. And with 14 million
fashionistas trawling through its stores each month, Yoox also sits on a global gold mine of information about
its customers, who spend an average of $250 per order.Those databanks might reveal, say, which colors or
skirt lengths are most popular in Shanghai or São Paulo, or track a fading taste in Germany for lowrise skinny
jeans.''The sheer amount of data they have really puts them in a superior position,'' said Philip Guarino, a
Paris-based luxury consultant. ''It's a huge asset.''Some Yoox executives say they are flattered by any
comparisons to Amazon - up to a point.''We are one-one thousandth of their size,'' said Alberto Grignolo,
Yoox's general manager, who helped write the roughly 500,000 lines of software code that drive the
company's stores. ''We are similar in that we keep in mind that the customer is the key person on the other
side of the screen. And we exploit the same kinds of numbers and processes to the benefit of the
customer.''But in terms of the shopping experience, Mr. Grignolo said, the companies could not be more
different. ''If you go and search 'Bottega Veneta' on Amazon, it might come up with a book, an off-brand
handbag or maybe some razor blades,'' Mr. Grignolo said.Yoox also tries to distinguish itself from the fashion
e-tail pack by acting as a behind-the-scene contractor. Since 2006, it has quietly run the websites, order
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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With Yoox, luxury brands shake off digital fears
06/12/2014
International New York Times
Pag. 10
(diffusione:222930, tiratura:500000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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fulfillment, logistics and customer service operations of more than threedozen different designers. Yoox
provides these services for a commission of about one-third of the retail sales value of each online purchase.
''Yoox already had critical mass, rich expertise and rich teams,'' said Stefano Sassi, chief executive of
Valentino, which enlisted Yoox to run its online store in 2008.Valentino - whose products are also sold on the
websites of high-end department stores like Neiman Marcus and Saks Fifth Avenue - has seen its ecommerce transactions grow to as much as 8 percent of its sales, up from less than 1 percent five years ago,
Mr. Sassi said.Two years ago, Yoox landed its most prominent e-commerce partnership to date: a seven-year
deal with the French luxury conglomerate Kering to manage the online stores of seven of its most popular
labels, including Balenciaga, Alexander McQueen and Stella McCartney. The arrangement is structured as a
joint venture, and Kering has said it is open to letting Yoox drive the online stores of its other brands, which
include Gucci, Christopher Kane and Boucheron jewelry. Kering hopes the venture with Yoox can bolster its
online sales to as much as ¤1 billion by 2018 - equivalent to around 10 percent of its revenue last year.Yet
despite this momentum, some analysts worry that Yoox risks losing its early advantages. Generalist e-tailers
like Amazon and T-Mall in China are eager to grab a slice of the luxury pie. That shift could force companies
like Yoox to adjust their strategy to confront a more crowded digital marketplace. It might also mean that
Yoox, which has spent years courting luxury companies, may wind up being pursued by one itself.''I could
foresee interest from one of the big groups, maybe even Kering itself - much in the same way that Richemont
bought Net-a-Porter,'' in 2010, said Mr. Guarino, the Paris analyst. Mr. Marchetti said he had no illusions
about the rapidly changing dynamics of luxury retail. To try to keep a step ahead, he said Yoox was already
adapting in response to expectations of web-savvy brands by offering consulting services that now include
digital marketing, social media strategy and advanced customer analytics.''We are someone to leverage on,''
Mr. Marchetti said. ''We provide the car, but for us the best thing is if we have a great driver. And the driver is
the brand.''
06/12/2014
International New York Times
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Italian proposal counters bid by Chinese group in heated takeover fight
BY DAVID JOLLY Laure Fourquet contributed reporting.
Andrea C. Bonomi, the Italian businessman who is fighting a Chinese investor for Club Méditerranée, raised
his bid on Friday for the French resort operator, extending the life of what is already France's longest-running
takeover battle.Mr. Bonomi's Global Resorts consortium said it was now offering 24 euros, or $29.60, a share,
topping the ¤23.50 offered on Monday by Gaillon Invest II, a rival consortium led by Fosun Industrial, a
Chinese conglomerate that has the backing of Club Med's management.The new bid, the third time in less
than a month that the price has been raised, values the company at ¤915 million, Global Resorts said in a
statement.The consortium recently increased its financial muscle by opening its doors to the Wall Street
private equity investor Kohlberg Kravis Roberts as a minority investor.Mr. Bonomi insisted that his rivals'
strategy overemphasizes Asian growth at the expense of Europe and said it unrealistically aims on moving
upmarket in search of profit.''China is important, but it's not unique,'' he told a Paris news conference. ''You
can't be strong elsewhere if you're not strong in your own country.''Global Resorts said the new offer was
''fully financed with equity, which allows for the continuation of the industrial expansion strategy of Club
Méditerranée and return to profitable growth.''Club Med has been ''in play'' since May 2013, when
management announced a plan with Fosun and AXA Private Equity, now known as Ardian, to take the
company private at ¤17 a share; opposition from minority shareholders led them to raise the offer to ¤17.50.
Mr. Bonomi upended what had been looking like a sure deal in June with a ¤21-ashare offer.The French
market regulator, the Autorité des Marchés Financiers, has begun to accelerate the bidding process in a push
for a conclusion after a year and a half of uncertainty. The authority, which had given Mr. Bonomi until Dec.
17 to raise his bid or walk away, said on Friday that it was setting a Dec. 19 deadline for Fosun and its allies
to act.Club Med shares rose 2.2 percent on Friday afternoon, to ¤24.33, suggesting investors expected a
counterbid from the Chinese side.Fosun's Gaillon Invest II is ''reviewing the situation,'' a spokeswoman
saidClub Med, which operates 70 vacation villages in 40 countries around the world, last year played host to
about 1.2 million visitors. Its business performance has weakened as its core European customer base has
suffered since the financial crisis.Both bidders say they will invest more in fast-growing emerging markets
including China and Brazil, and in many ways their offers have begun to look similar.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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A new offer promises to extend battle for Club Med
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International New York Times
Pag. S4
(diffusione:222930, tiratura:500000)
What actually constitutes an economic giant? We all know that the United States is one - its economy still
makes up some 20 percent of global gross domestic product despite a modest relative decline in recent
years. But who else? And does the word ''giant'' refer only to economic size, or should it also reflect a
country's wealth, its people's prosperity and other measures of their lifestyle - perhaps even their freedoms?It
isn't easy to make simple distinctions, other than for the United States, which on virtually all criteria is easily at
the top of such a group, and looking into the future - at least the next 20 to 30 years - seems set to remain
so.A country's economic size is essentially driven by two long-term forces: the nation's workforce in terms of
the number of people able and eligible to work, and its productivity. The size of the workforce is mostly driven
by the country's demographics, although its immigration policies, its stance on when young people can begin
work and its retirement age all have an influence.On the list of the top 20 largest economies in the world,
most have large populations. From the developed world, the United States is No. 1, with Japan (No. 3),
Germany, France, the United Kingdom and Italy all among the top 10 - although their relative ranking has
slipped in the past decade as China, Brazil and Russia have entered this group.Over the remainder of this
decade, Italy might find it a challenge to remain in the top 10, and going into the 2021-30 decade, the other
developed economies outside of the United States will, too.While Japan and Germany's economies might be
considered large by developed country standards, these countries are not economic giants. China has the
second-largest economy in the world; it has become almost twice the size of Japan's and is bigger than
Germany's, France's and Italy's combined.Is China a giant? If it doesn't have a gargantuan economy already,
it is certainly headed in that direction. In addition to being as big as continental Europe's three largest
economies put together, China's economy is about 55 percent the size of the United States' in current U.S.
dollars, and based on recent estimates from the World Bank International Comparison Program, it is probably
slightly bigger than the United States' in purchasing power parity terms.China is also, in U.S.-dollar terms, one
and a half times the size of the other three so-called BRIC economies combined (Brazil, Russia, India and
China), and if its growth continues in the 7-7.5 percent vicinity, with inflation around 3 percent and the value of
its renminbi stable to modestly rising, it is adding another $1 trillion to global GDP every year. I often point out
to people that China is adding another India to the world economy every two years.Still, it seems to me that
although China's current wealth is in the $7,000$8,000 per capita vicinity because of its 1.3 billion people,
which is multiples lower than that of the United States and other developed economies, China should be
considered a giant. While its growth rate has slowed, and is likely to slow further, I still believe that sometime
around 2025-27, China's economy has a reasonable chance of becoming as large as the United States' in
U.S.-dollar terms. It is already the major trading partner for many countries - both exports and imports - and I
would expect that before this decade is over, possibly quite a bit before, China will replace the United States
as the world's largest importer. From the rest of the world's perspective, China will certainly be an economic
giant then.What about the other BRIC countries? Today, the economies of Brazil, India and Russia are all
generating around 3 percent of global GDP, similar to Italy. But the countries' big populations and reforms to
increase productivity still mean their economies have a reasonable chance of going above the 5 percent
threshold. They may someday become giants.I amquite confident that India will make this leap - its economy
has a really good chance of becoming the world's third-largest before 2040. The country has exceptionally
favorable demographics, and in electing Prime Minister Narendra Modi, India has given itself the best chance
in at least 30 years of being run by a government that is not smothered by its democracy but flourishes
instead.Brazil and Russia's economies have different reasons for their recent disappointments, but they share
a dilemma: They are too dependent on volatile commodities. Unless they can shift away from that
dependency, their paths will remain volatile, influenced by the vagaries of commodity prices. With reforms,
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And the next economic giants are...
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International New York Times
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(diffusione:222930, tiratura:500000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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both Brazil and Russia could generate more than 5 percent of global GDP.Of the rest of the world's largest
populated countries, I believe none has a realistic chance of producing 5 percent of global GDP or more, but
there are a few that could reach the 3-5 percent range, or more than Italy, which currently has the world's
eighth-largest economy. Mexico, Indonesia, Nigeria and Turkey - the so-called MINT economies - along with
the more developed South Korea, have this chance. Mexico in some ways is going to be especially
interesting to watch for the rest of this decade, since the scale of reforms undertaken by its government are
vast. Creating a more competitive energy industry with cheaper electricity costs might not solve all the
country's problems, but many parts of the economy should benefit.
08/12/2014
International New York Times
Pag. 18
(diffusione:222930, tiratura:500000)
REUTERS
BRUSSELS The guessing game over the timing of eurozone stimulus will intensify as the European Central
Bank releases a closely watched gauge of policy this week, the highlight of a calendar dominated by Europe's
malaise.On the other side of the Atlantic, investors will continue placing their bets on a different but equally
crucial event: when the Federal Reserve will raise interest rates. Economic data from the United States and
several Fed policy makers will give a sense of the speed of the recovery and when a rate rise might be
merited.Oil prices and Chinese data will provide more for markets to digest.''The key story is going to be in
the eurozone,'' said James Knightley, the senior economist at the Dutch bank ING, referring to the
announcement on Thursday of how banks have chosen to participate in the E.C.B.'s targeted longterm
refinancing operations, the lowcost loans known as T.L.T.R.O.'s.The loans are one of the E.C.B.'s main ways
to push money into the stagnating eurozone economy.''If the takeup is poor, that could increase market talk
that the E.C.B. is going to step in and use other tools,'' Mr. Knightley said.That could mean a program to buy
sovereign bonds, like the quantitative easing programs used in the United States, Britain and Japan.
Germany fears bond-buying by the E.C.B. would encourage reckless state borrowing and fuel inflation. Such
a program might come early next year, analysts say. ''The takeup of T.L.T.R.O.s could swing the E.C.B.'s
Governing Council between January and March, depending on how the number looks,'' said Guillaume
Menuet, a Citigroup economist.In the first round of the E.C.B.'s targeted refinancing, in September, banks
borrowed 83 billion euros, or $102 billion. Hopes are higher for this time, but forecasts hover around the ¤150
billion mark, which would leave the E.C.B. short of the ¤400 billion it was prepared to offer banks in total.On
Monday in Brussels, Mario Draghi, the president of the E.C.B., was expected to tell eurozone finance
ministers that no amount of stimulus could replace reforms to tax, labor and pension systems to bring down
near-record unemployment.New forecasts by the E.C.B. predict that the eurozone, which generates a fifth of
global output, will grow just 1 percent in 2015, rather than the 1.6 percent predicted three months ago.Data on
German industrial production for October and French business sentiment for November, due on Monday, are
likely to show the weakness of the rebound as the bloc struggles to overcome its debt and banking
crises.Falling oil prices will also have an effect on the E.C.B.'s thinking as it deals with low inflation. Brent
crude slipped 57 cents to settle at $69.07 a barrel on Friday, averaging below $70 in the week for the first
time since 2010.Eurozone finance ministers will also try to decide on how to best help Greece in the coming
weeks because a new credit line for Athens will not by ready by the original Monday deadline.It's a different
story in the United States, where the economy is recovering strongly. American employers added the largest
number of workers in nearly three years in November, and wage gains picked up. That could push the Fed
closer to raising interest rates.The Fed has held overnight borrowing costs near zero since December 2008.
Some economist predict that the first rate increase will come in September of next year, but others see rates
rising in July.With a weak global economy, some investors fear that strong short-term growth in the United
States may give way to slower expansion beginning in the middle of next year, leaving inflation below the
Fed's target levels and influencing the timing of a rate increase.Investors are waiting for the next meeting of
the United States central bank's policy makers, the Federal Open Market Committee, on Dec. 17, but will be
treated to a host of data before then including November retail sales and October wholesale inventories. One
Fed policy maker, Dennis Lockhart, was to speak on Monday, while producer prices for November and
consumer sentiment will be published during the week.Many expect the Fed to soon eliminate its guidance
that it will keep rates near zero for a ''considerable time.''''The removal of 'considerable time' at the December
F.O.M.C. meeting is very likely,'' BNP Paribas said in a report.Beyond Europe and the United States, Chinese
data will give the latest snapshot of the pace of that economy following November's interest-rate cut.On
Monday, China's trade balance for November will show how exports have fared after slowing foreign sales in
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Loans will set a bar for E.C.B. stimulus
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International New York Times
Pag. 18
(diffusione:222930, tiratura:500000)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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October and could prompt policy makers to roll out more stimulus measures. Beijing will release consumer
and factory inflation data on Wednesday.
08/12/2014
The Guardian
Pag. 15
29 June head among 37 arrested in Italian capital Allegations of bribes over migrant camp contracts
The Guardian Domestic edition
week. "We're not interested," said a man at the gate. "We're not giving interviews - or anything." Was there no
one in charge? "No." Three days earlier, the head of the 29 June co-operative, Salvatore Buzzi, was among
37 people arrested in raids that prosecutors claim sliced through a web of links between city hall officials,
neo-fascist militants and mobsters. More than 100 other people have been formally placed under
investigation, including Gianni Alemanno, the mayor of Rome from 2008 to 2013 and a former member of the
neofascist Italian Social Movement (MSI).Buzzi, who has not been charged with any offence and denies
wrongdoing, was jailed for murder in 1984. He is alleged by prosecutors to have been the "entrepreneurial
right hand" of Massimo Carminati, the man they identify as the top mobster.A former member of the NAR
neo-fascist terrorist group who lost an eye when he was shot by police in 1981, Carminati also denies
wrongdoing. Dubbed "the last king of Rome" by his associates, he too has been jailed but not charged.His
organisation is claimed to have bribed officials to win contracts, including for the management of migrant
holding facilities and Roma camps. Evidence submitted by police in support of their application for warrants
includes a wiretapped phone conversation in which one speaker is claimed to be 59-year-old Buzzi."Do you
know how much you earn from immigrants?" the speaker asks. "Drug trafficking earns less."Assets worth €
204m (£ 161m) were seized from Carminati's home, including artworks by Andy Warhol and Jackson Pollock.
The alleged ringleader owns a home in Notting Hill and has plans to invest elsewhere in London. Other illegal
profits have been traced to the Bahamas, Switzerland and Venezuela, Rome's Il Messaggero newspaper said
on Sunday.Prosecutors claim it was at the 29 June co-operative's headquarters that bribes were readied for
delivery in the form of envelopes stuffed with bank notes.The organisation Carminati is alleged to have
created is not a branch of any of Italy's established mafias. But the prosecutors' claims suggest that Mafia
Capitale, as they have dubbed it, operates in much the same way - forging close links with politicians in Rome
and perhaps the surrounding region of Lazio.Last week's arrests are certainly embarrassing for the leader of
the Italian right, Silvio Berlusconi. Alemanno was elected mayor as the candidate of Berlusconi's Freedom
People (PdL) alliance, though since his defeat in an election last year he has left to join another
party.Berlusconi has called for Rome's city council to be dissolved, a drastic move which has the backing of
Beppe Grillo's Five Star Movement (M5S). Such a suggestion is not without precedent. Two years ago the
council of Reggio Calabria, a regional capital in the toe of Italy's boot, was swept aside over ties to the
wealthy 'Ndrangheta mafia.One so far unresolved question is the extent to which Alemanno's election led to
the preferment of other former neofascists, including Carminati. The latest allegations also pose a threat to
the centre-left Democratic party (PD) of the prime minister, Matteo Renzi: those arrested last week included
two municipal councillors and a regional lawmaker from the PD.Another question is whether the
administration that replaced Alemanno's unknowingly inherited the links with Mafia Capitale or had a more
active relationship. The PD mayor, Ignazio Marino, at first said he had "never held conversations" with Buzzi.
Yet the two appear in a photograph on the co-operative's website, apparently talking earnestly. In a message
posted to Facebook after the photo was publicised, the mayor said: "I visited the 29 June co-operative for
social reinsertion during the electoral campaign. The photographs in circulation, including those with Buzzi,
were taken on that occasion."
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Co-operative said to be mafia-style gang base
08/12/2014
The Guardian
Pag. 27
Facing the deepest crisis in its history, the EU now needs the voices of those who have grown up with it
The Guardian Domestic edition
'Iwas mad at you," says Mario, an Italian student. He was angry about a column I wrote just after the
European elections in May arguing that to choose JeanClaude Juncker as president of the European
commission was the wrong answer to the continent-wide discontent. Well, as the commission president,
Juncker, proposes a prestidigitated investment package to boost the European economy, and the former
Polish prime minister Donald Tusk prepares to chair his first summit of EU heads of government, it's worth
asking again who is going to save the European project. My answer: it will not be saved without the more
active engagement of Mario and his contemporaries - the Erasmus and easyJet generation.Of course, the
rescue also requires good policies from above. But Super Mario - that's Draghi, chairman of the European
Central Bank, not Balotelli, the Instagram footballer - can't do it on his own, even with another €1tn on his
balance sheet. It needs young Mario too.I have never known a time when there was so much intellectual
pessimism about the future of the EU among those (including myself) who have been its ardent supporters.
Here are three big reasons for this pessimism. First, the eurozone. Loukas Tsoukalis, a pro-European expert,
notes that "the design was wrong, and so was membership". Too many, too diverse economies were hitched
together in a common currency without a common treasury. These fundamental design flaws have been
exacerbated by German-led austerity policies, which underestimate the differences between national
economic cultures, and the need for more investment and demand.Second, the politics. Election after election
has revealed that European voters are deeply disillusioned with their current politics and political elites. That
expresses itself both in more apathy and in more votes for antiestablishment, anti-system parties of every
colour - from Hungary's Jobbik and France's Front National, through Britain's Ukip, all the way to Italy's Five
Star Movement and Greece's Syriza.If this is so within the member states of the EU, how much more is it true
of the European institutions? Planet Brussels has become the showcase example of remote elites. The
television shots from European summits show endless middle-aged men in suits getting in and out of large
black cars.Despite direct elections to, and enhanced powers for, the European parliament, there is scant
sense of popular representation. Fewer than 500,000 Europeans watched any of this spring's three panEuropean televised debates between the main party groupings' lead candidates for the post of European
commission president, whereas more than 67 million Americans watched the first US presidential debate
between Barack Obama and Mitt Romney in 2012.This brings me to a third ground for gloom: there is no
shortage of manifestos, plans and books dedicated to saving the European Union, but most of them are
written by people the wrong side of 50. Appeals for more "leadership" pour from retired leaders, who imply
that everything was better in their day.I see few proposals coming from the generation of young Mario. On the
face of it, this is odd, because his is the first generation to have enjoyed Europe as a single space of freedom,
from Lisbon to Tallin and Athens to Edinburgh. When I invited suggestions for this column on Twitter, Dan
Nolan replied: "Compulsory Erasmus for all".He linked to an interview with Umberto Eco in which that great
sage argued that the university exchange programme Erasmus "has created the first generation of young
Europeans. I call it a sexual revolution: a young Catalan man meets a Flemish girl - they fall in love, they get
married and they become European, as do their children. The Erasmus idea should be compulsory - not just
for students, but also for taxi drivers, plumbers and other workers."Quite what the 17th-century Catholic priest
Desiderius Erasmus of Rotterdam would make of becoming a synonym for sexual revolution I'm not sure, but
there is something in this. There is a lived, everyday Europe of transnational intermingling. In the EU-wide
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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TEACH CHIRCHILL VALUES IN CLASS? NO THANKS
08/12/2014
The Times
Pag. 33
Philip Willan Rome
The "king of Rome" has been in the city's Queen of Heaven prison since last Tuesday, but the incarceration
of the one-eyed bandit accused of suffocating the capital in a criminal embrace has done little to reassure
Italians.Recordings of police phone taps and bugs released since the arrest of Massimo Carminati have
painted an alarming picture of a criminal organisation that systematically paid local politicians and officials to
obtain lucrative public contracts. If mild forms of persuasion failed to work, it called on former terrorists,
mobsters and thugs.In one recorded conversation, Carminati described how members of the gang would
decide in the morning who would be killed that evening. However, he insisted that he had never been
involved in drug-trafficking. "I used to rob ten banks a month," he said.His fondness for weapons is evident. In
another recorded conversation, he is allegedly heard praising a silenced Makarov pistol: "You don't even hear
the clack. Before anyone notices, the pool of blood is already spreading."For other forms of persuasion,
Carminati, 56, is said to have relied on a muscle-bound "thumb-breaker", referred to as "Watson the
elementary" for his limited intellectual prowess.The combination of violent intimidation and corruption served
to create a business empire specialising in environmental services and camps for displaced Roma and
asylum seekers, which Carminati ran from a petrol station on the northern edge of Rome.He boasted of
contacts including mafia bosses, senior managers at the Bank of Italy, the state-controlled arms
conglomerate Finmeccanica, and the former mayor of Rome, Gianni Alemanno, who is under investigation for
corruption.Carminati, a former member of the right-wing Armed Revolutionary Nuclei, lost an eye in a gunfight
with police in 1981. Over the years, he has been accused of involvement in the Bologna station bombing in
1980, the assassination of a journalist, and a robbery at a bank inside Rome's main judicial complex, which is
believed to have netted sensitive documents belonging to magistrates. He has never been convicted of the
most serious charges.With big corruption inquiries under way in Milan and Venice, the discovery that the town
hall of the capital was in the pocket of a crime gang is another blow to Italy's battered reputation.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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'King of Rome' shocks Italy with boasts of mafia terror
08/12/2014
La Tribune Quotidien
Pag. 46
LATRIBUNE.FR
La chancelière allemande estime que les réformes engagées jusqu'ici par Paris et Rome ne sont pas
suffisantes.La France et l'Italie doivent entreprendre davantage de réformes afin de s'assurer que leurs
budgets 2015 respecteront les règles de l'Union européenne, déclare Angela Merkel dans une interview
publiée dimanche par Die Welt. La chancelière allemande estime que la décision européenne de donner plus
de temps à Paris et Rome pour finaliser leurs programmes de réformes se justifie, mais elle ajoute : "La
Commission a dit clairement que ce qui a été mis jusqu'à présent sur la table n'est pas suffisant. Je suis
d'accord avec cela."RÉPIT JUSQU'AU PRINTEMPSBruxelles a accordé un ultime répit à Paris et à Rome il y
a une semaine, en reportant au printemps son verdict sur leurs budgets 2015 mais en évoquant un risque
d'infraction avec les règles de l'UE et en exigeant plus d'efforts. La Commission européenne a averti la
France qu'elle n'hésiterait pas à la sanctionner si elle ne met pas rapidement en oeuvre des réformes
structurelles pour améliorer ses perspectives de croissance et ses finances publiques.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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MERKEL APPELLE LA FRANCE ET L'ITALIE A REFORMER PLUS
08/12/2014
La Tribune Quotidien
Pag. 94,95
La Tribune
Le propriétaire de la holding, Andrea Bonomi, a contré l'offre du chinois Fosun qui proposait 23,5 euros par
action lundi dernier. L'AMF a décidé de suspendre la cotation. La société Global Resorts, qui porte l'OPA
lancée sur Club Méditerranée par l'homme d'affaires italien Andrea Bonomi, a surenchéri vendredi 5
décembre, proposant plus que le Chinois Fosun : à savoir 24 euros par action, a indiqué à l'AFP une source
proche du dossier. Le conglomérat chinois Fosun avait en effet relevé son offre lundi à 23,50 euros par action
avec un nouvel allié, le Brésilien Nelson Tanure. M. Bonomi et ses alliés avaient quant à eux jusqu'au 17
décembre pour revoir leur copie.SUSPENSION DE SÉANCELe titre de Club Méditerranée a été suspendu à
la mi-journée entre 12h20 et 15h30 à la Bourse de Paris, à la demande du régulateur. Après la surenchère de
Fosun lundi, le conseil d'administration de Club Méditerranée s'était dit "préoccupé des conséquences des
surenchères compte tenu des impératifs de rendement qu'elles impliquent et de leur impact sur l'intérêt
social, les salariés et les partenaires de Club Méditerranée".
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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CLUB MED: NOUVELLE SURENCHERE DE GLOBAL RESORTS
06/12/2014
Le Figaro
Pag. 8
RICHARD HEUZÉ ROME
ITALIE Le pays a l'impression de vivre un cauchemar : un gang composé d'extrémistes de droite et de
truands affiliés à Cosa Nostra est parvenu au fil des années à faire main basse sur le Capitole, la mairie de
Rome. Corrompant hommes politiques, conseillers municipaux, fonctionnaires, policiers, et rançonnant
industriels et commerçants. Cette « Coupole » arrogante et avide ne connaissait pas de limites. Une vaste
opération de police baptisée « le Monde du milieu », en référence au Seigneur des anneaux, a conduit, mardi
dernier, à 37 arrestations, une centaine de mises en examen et autant de perquisitions.En apprenant
l'ampleur du phénomène criminel, Matteo Renzi s'est mis en colère. Il a démis mercredi matin les
responsables du Parti démocrate (PD) de Rome, et désigné le président du parti auquel il appartient, Matteo
Orfini, commissaire extraordinaire. « Sur neuf conseillers de la junte Ignazio Marino (le maire de gauche élu
en mai 2013, NDLR), six sont dans notre poche », se vantaient les mafieux au téléphone. Son prédécesseur,
Gianni Alemanno (maire de 2006 à 2013), a également été mis en examen pour connivence présumée. Son
entourage immédiat, composée d'anciens activistes de droite, est directement impliqué. Certains de ses
membres ont été arrêtés. Alemanno, qui provient lui-même de l'extrême droite, proteste de son innocence,
tout en admettant « une erreur de casting ».Adjudications truquées des marchés publics, gestion frauduleuse
des fonds d'aides aux immigrés et aux Roms, usure, racket, trafic de fausse monnaie : la liste des méfaits
semble infinie. Les mafieux avaient apparemment leurs petites entrées au Capitole. Les écoutes
téléphoniques rendues publiques par la police sont édifiantes. Parlant des fonctionnaires corrompus,
Salvatore Buzzi, le « trésorier » de la bande criminelle, un ancien meurtrier sorti de prison en 1991, y déclare
: « À un tel, 5000 euros par mois : ça suffitÀ tel conseiller municipal, 10 000 euros. Il nous a rapporté 40
millions d'euros en contrats. Franco Panzironi (ex-président de l'agence de la voirie municipale AMA, arrêté,
NDLR) nous demande 2,5 % pour tout contrat qu'il nous obtient. Donnons-les lui ! » Après un épisode
neigeux sur Rome en février 2012, la province débloque 200000 euros d'aides d'urgence. « X me demande
40000 euros. Je dois encore en trouver 15. Quelles sangsues, ces politiques !!! », se plaint le « trésorier »
mafieux.Les immigrés rapportent gros. Les centres d'accueil perçoivent 42 euros par jour pour chacun d'eux,
80 pour chaque mineur. Une véritable aubaine pour Salvatore Buzzi, dont la « coopérative sociale 29 juin »
fait main basse sur une partie de ces fonds, jusqu'à cinq millions d'euros par mois. « De quoi te plains-tu ?
Les immigrés nous rapportent plus que la drogue », dit Buzzi à l'un de ses contacts.Au domicile d'un jardinier
de la mairie, la police a découvert 570 000 euros dans un coffre-fort dissimulé dans un mur. Chez une
secrétaire, elle a saisi une liste complète de noms d'industriels et d'hommes d'affaires qui étaient rançonnés,
avec les tarifs habituellement pratiqués. Quelque 200 millions d'euros ont été séquestrés sur divers comptes
en banque. Riccardo Mancini, ex-président d'un organisme public chargé de la promotion de Roma-Capitale,
a été arrêté : en son temps, il avait fait du lobbying pour que la Ville éternelle se porte candidate aux JO de
2024 et accueille un Grand Prix de Formule 1. Certains agents de la police municipale étaient également de
mèche avec la bande criminelle.Giuseppe Pignatone avait pourtant multiplié les mises en garde. Samedi
dernier encore, le procureur en chef de la capitale dénonçait les « inquiétantes compromissions » entre
pouvoir et argent à Rome. Quant à Paola Severino, Garde des sceaux de 2011 à 2013, elle a créé un
Observatoire de la criminalité et s'inquiétait, il y a une semaine, de la prolifération de locaux, bars, restaurants
et boîtes de nuit ouverts avec des capitaux d'origine douteuse.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La pieuvre étrangle la capitale italienne
06/12/2014
Le Figaro
Pag. 25
L'Italien a relevé le prix de son offre d'achat. Il propose une stratégie différente de celle du management.
Andrea Bonomi n'est pas encore propriétaire du Club Med, mais sa formation de GO avance à grand pas.
L'homme d'affaires italien a en tout cas fait preuve d'un parfait sens du timing pour annoncer le dernier
rebondissement dans le feuilleton de l'OPA sur le groupe de tourisme.Vendredi, Henri Giscard d'Estaing, le
PDG du Club Med, associé au groupe chinois Fosun dans son offensive pour prendre le contrôle du groupe,
recevait à Val Thorens 700 invités venus de 26 pays pour un week-end d'inauguration du village 4 tridents de
Val Thorens. Au moment même où Henri Giscard d'Estaing prononçait son discours, Andrea Bonomi
convoquait une conférence de presse. Un peu plus tard, l'Italien relevait son offre à 24 euros, soit 50
centimes de plus que celle de Fosun, rehaussée lundi. Très loin de l'offre de départ du chinois lancée mi2013, à 17,50 euros.« Il y a toujours eu un côté irrationnel au Club Med, que ce soit chez les managers, les
investisseurs et les clients » , a reconnu Serge Trigano, ex-PDG du Club, destiné à en prendre la présidence
non opérationnelle si Bonomi (associé au fonds d'investissement américain KKR, qui pourrait détenir jusqu'à
40% du groupe) l'emporte.Bonomi et Trigano, qui s'exprimaient pour la seconde fois depuis leur offre de juin,
ont critiqué la focalisation du management du Club sur la montée en gamme et le développement en Chine.
«La montée en gamme a commencé en 1954 lorsque nous sommes passés des tentes, qui prenaient l'eau,
aux cases polynésiennes, rappelle Serge Trigano. Le Club a besoin de se réinventer dans son concept. Je ne
suis pas là pour être le protecteur de l'ADN du Club mais pour lui redonner une dynamique.» Sans détailler
ses idées, le fils du fondateur a précisé qu'il fallait améliorer à la fois l'état des villages 3 tridents, leur offre, la
commercialisation et la tarification. «Le Club ne doit pas abandonner le moyen de gamme à Look et
Marmara», martèle Serge Trigano.Fosun peut surenchérir jusqu'au 19 décembre« Si les résultats sont si
mauvais, ce n'est pas parce que tout le monde est contre le Club Med, a surenchéri Andrea Bonomi,
soulignant l'habitude du management de trouver chaque saison des raisons conjoncturelles aux piètres
performances. Le marché du tourisme n'est pas facile, mais aucun marché n'est facile. Le groupe a besoin
d'amour pour se relancer. » L'Italien a prévenu que le retour aux bénéfices prendrait plusieurs années,
précisant : «Notre plan est un plan de croissance, pas de coupure d'effectifs et de cessions d'actifs. »Pendant
ce temps, à Val Thorens, Henri Giscard d'Estaing, cigarette à la main, ne contenait pas sa mine défaite. Et la
consternation régnait au sein du comité de direction. Réunis autour du bar, un autocollant «Go for our
Strategy» au logo du Club collé sur leur Tshirt, une dizaine de salariés expliquaient leur soutien à la stratégie
de montée en gamme, menée par Henri Giscard d'Estaing depuis dix ans. Mais la plupart des GO de Val
Thorens semblaient surtout préoccupés par les agapes. L'Autorité des marchés financiers a fixé au 19
décembre la limite de l'éventuelle prochaine surenchère de Fosun. Les représentants du groupe chinois, qui
arrivent samedi à Val Thorens, n'auront pas beaucoup l'occasion de skier. S'ils décident de poursuivre la
bataille, l'AMF fixera un nouveau butoir, qui sera peut-être définitif.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Club Med: Bonomi charge la direction du groupe
08/12/2014
Le Figaro
Pag. 2
NICOLAS BAROTTE CORRESPONDANT À BERLIN @nbarotte
EUROPE Rarement, elle a été aussi directe. Pour Angela Merkel, le compte n'y est pas. La France n'a pas
mené les réformes nécessaires et met en danger non seulement l'équilibre économique de l'Europe mais
aussi la crédibilité des règles communes, en ne respectant pas les limites de déficit autorisées dans la zone
euro. Dans une autre mesure, l'Italie non plus. Alors Berlin a décidé d'accentuer la pression sur Paris, comme
sur Rome, les deux pays dans le viseur de la Commission européenne. Dans une interview au quotidien
Weltam Sonntag parue dimanche, la chancelière invite les deux capitales à beaucoup plus d'efforts.« La
Commission européenne a établi un calendrier selon lequel la France et l'Italie devront présenter des
mesures supplémentaires. C'est justifié car les deux pays se trouvent effectivement dans un processus de
réformes », explique Angela Merkel au journal, qui l'inter-roge sur l'absence de sanctions àl'encontre des
deux pays. « Mais la Commission a aussi dit de façon claire que ce qui est jusqu'à présent sur la table n'est
pas encore suffisant. Ce avec quoi je suis d'accord. »L'argument italienLa Commission s'est laissé un délai
supplémentaire avant de rendre un avis sur le budget français et une éventuelle procédure de sanction. Il
faudra attendre début mars pour connaître le verdict. Il reviendra ensuite au Conseil européen de se
prononcer le cas échéant. L'avis de l'Allemagne sera évidemment déterminant.Angela Merkel se retranche
derrière l'analyse de Bruxelles pour critiquer la France. Elle cherche à minimiser le sentiment d'affrontement
entre Paris et Berlin en englobant l'Italie dans son constat. Mais, sur le fond, le cas italien et le problème
français sont perçus différemment en Allemagne. Le président du Conseil, Matteo Renzi, élu cette année, est
déjà en train de mettre en oeuvre ses réformes tandis que celles de FrançoisHollande se font attendre, dit-on
à Berlin. La patience allemande a atteint ses limites. En novembre, le commissaire européen à l'Économie
numérique, l'allemand Gunther Öttinger, avait déjà appelé Bruxelles à la fermeté contre la France, un pays «
déficitaire récidiviste ».L'Allemagne craint la tentation du statu quo ou de la paralysie de l'autre côté du Rhin.
Dans une note parue en novembre, la fondation Konrad Adenauer, proche de la CDU, semble déjà tirer un
trait sur les deux années à venir en France. « 2017 est-elle plus importante que les réformes ? », s'interroge
le texte en étudiant les alternatives possibles à droite et à gauche à François Hollande. « Le gouvernement
n'a plus la force politique ni la base » pour agir, explique-t-on. Cette analyse est contestée à Paris où l'on
défend les réformes engagées. « La fenêtre de tir restante pour agir est courte pour le gouvernement Valls »,
explique cependant un interlocuteur français du premier ministre.En prônant la rigueur vis-à-vis de la France,
Angela Merkel satisfera la base de la CDU, exaspérée par le « laxisme » des pays en crise. Sans rival, la
chancelière est assurée de sa réélection à la tête de la famille chrétienne-démocrate, qui tient son congrès
cette semaine à Cologne. En 2012, elle avait été réélue présidente de la CDU avec 97,9des voix.Malgré le
plébiscite annoncé, Angela Merkel tient à faire taire les critiques au sein du parti sur son virage social. Depuis
un an, la CDU a beaucoup cédé à la gauche au sein de la grande coalition au pouvoir et laissé un petit
espace à sa droite au nouveau parti anti-euro AfD.Contrairement à François Hollande, Angela Merkel n'a pas
à se poser la question des prochaines élections, prévues en 2017. Selon un sondage Emnid paru dimanche
dans Bild, 56 % des Allemands souhaitent qu'elle soit réélue pour un quatrième mandat. Sa popularité est au
beau fixe dans l'opinion, même si le débat commence à s'ouvrir sur les fragilités de l'économie allemande et
les réformes que le pays devra mener. Si l'Allemagne n'est pas dans une situation d'urgence comme la
France, elle a des défis de long terme à relever, comme son tournant énergétique ou le vieillissement de sa
population.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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ANGELA MERKEL MET EN GARDE ET SES REFORMES INSUFFISANT
06/12/2014
Le Monde - Dossier
Pag. 4
(diffusione:30179, tiratura:91840)
L'homme d'affaires italien Andrea Bonomi a décidé, vendredi 5 décembre, de surenchérir à nouveau pour
s'offrir le Club Méditerranée. Il propose désormais 24 euros par action, soit 2 % de plus que l'offre du
conglomérat chinois Fosun qui tenait jusqu'à présent la corde. Son offre valorise à 916 millions d'euros le
groupe français de tourisme, alors même que celui-ci perd de l'argent depuis plusieurs années.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Andrea Bonomi surenchérit pour s'offrir le Club Med
07/12/2014
Le Monde - Dossier
Pag. 4
(diffusione:30179, tiratura:91840)
L'agence de notation américaine Standard & Poor's a annoncé, vendredi 5 décembre, avoir abaissé la note
souveraine de l'Italie de BBB à BBB-, la ramenant à un cran au-dessus de la catégorie spéculative. L'agence
de notation estime en effet que la faible croissance du pays ainsi que sa compétitivité détériorée mettent
désormais en péril la viabilité de sa colossale dette publique.
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La note de l'Italie dégradée par Standard & Poor's
07/12/2014
Le Monde - Dossier
Pag. 6
(diffusione:30179, tiratura:91840)
Audrey Tonnelier
Eu-pho-rique. Difficile de penser à un autre qualificatif pour décrire le comportement des investisseurs
américains. Depuis le début de l'année, le S & P500, l'indice-phare de la Bourse new-yorkaise, a battu son
record historique pas moins de... 47 fois en clôture - sans doute bien davantage en prenant en compte les
plus hauts atteints en cours de séance.Dernier exploit en date : mardi 2 décembre, à plus de 2 074 points. De
quoi assurer au S & P500 une hausse d'au moins 12 % depuis le début de l'année, quand l'Eurostoxx, son
homologue pour les marchés européens, se " traîne " à un peu plus de 4 % de gain depuis le 1er janvier.Les
raisons de ce décalage ? Elles sont connues. Il y a le rebond de l'économie américaine. Partant, la bonne
tenue des profits des entreprises de l'Oncle Sam, largement tirés par la bonne santé leur marché
domestique.Il y a aussi le retour à meilleure fortune du marché de l'emploi : vendredi, le département du
travail américain a indiqué que les créations d'emploi s'inscrivaient au plus haut depuis janvier 2012, et le
taux de chômage, au plus bas depuis six ans, à 5,8 %. Enfin, il y a l'effet bénéfique des monceaux de
liquidités déversés par la Fed jusqu'en octobre.Conséquence : quand Wall Street grappille des points, séance
après séance, se rapprochant doucement mais sûrement de nouveaux sommets, les Bourses du Vieux
Continent font du yo-yo au gré des annonces et des petites phrases.Parfois, cela revient à peu près au
même. Comme durant la semaine écoulée, où la quasi-totalité des grandes places mondiales a fait du
surplace en cinq jours. Le CAC 40 a crû de 0,67 %, tandis qu'en Allemagne, le Dax s'adjugeait 1,06 % et le
Footsie londonien, 0,30 %. Outre-Atlantique, le Dow Jones a gagné 0,73 % et le Nasdaq était en baisse de
0,23 %.Pourtant sur le fond, si les marchés américains ont retrouvé le sourire, l'Europe, elle, a encore besoin
de trouver des raisons d'y croire. Elle pensait en tenir une, et lui avait même trouvé un nom : Super
Mario.Las, Mario Draghi, le président de la Banque centrale européenne, a plutôt déçu les marchés cette
semaine. Les grandes Bourses ont reculé, jeudi 4 décembre, après la réunion de politique monétaire de
l'institut francfortois.M. Draghi a pourtant indiqué que le conseil des gouverneurs s'était penché sur " plusieurs
options d'assouplissement quantitatif " - les fameux rachats d'actifs - et avait " intensifié la préparation " de
nouvelles mesures de soutien à l'économie. " Mais il y a encore du travail à faire " avant leur éventuelle mise
en œuvre, a-t-il ajouté.Les investisseurs, eux, avaient déjà acheté la rumeur : ils voyaient Super Mario, en
sauveur de la zone euro, donner le coup d'envoi à une politique de rachat massif d'actifs sur les marchés - et
notamment de dette souveraine." Les marchés sont trop pressés. La communication ces dernières semaines
de Mario Draghi et de son numéro deux, Vitor Constâncio, a certes contribué à développer des anticipations
hasardeuses au sein de la communauté financière. Pourtant, avant le TLTRO - méga-prêt aux banques - du
11 décembre - ... - , il apparaissait peu probable qu'un - rachat - d'obligations souveraines soit lancé ",
tempéraient les analystes d'Aurel BGC dans une note, vendredi matin.Et de conclure : " La question qui se
pose après la BCE n'est pas de savoir si un QE - quantitative easing, assouplissement quantitatif - de titres
souverains sera mis en place, mais quand il le sera. " Dont acte. Les débats entre observateurs portent
désormais sur la date à laquelle sera annoncée cette nouvelle politique : lors de la prochaine réunion de la
BCE, le 22 janvier, ou lors de la suivante, en mars ?En attendant, les marchés ont dû chercher d'autres
raisons de retrouver le sourire. Ils ont sauté sur l'occasion, vendredi 5 décembre, d'une amélioration de la
croissance au troisième trimestre dans la zone euro : le PIB y a crû de 0,2 %, a confirmé Eurostat en publiant
une deuxième estimation de cet indicateur. Une embellie bien modeste, mais réelle après une croissance de
seulement 0,1 % au deuxième trimestre.Il en est que ces atermoiements ne semblent guère gêner : il s'agit
des financiers qui se livrent à une incroyable bataille rangée pour mettre la main sur le Club Med. Vendredi,
l'homme d'affaires italien Andrea Bonomi a décidé de surenchérir une nouvelle fois face au conglomérat
chinois Fosun. M. Bonomi propose 0,50 euro par action de plus que son concurrent... qui avait lui-même
surenchéri quatre jours plus tôt, de 0,50 euro par action !Après plus d'un an et demi de surenchère, le groupe
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Les marchés veulent y croire
07/12/2014
Le Monde - Dossier
Pag. 6
(diffusione:30179, tiratura:91840)
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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présidé par Henri Giscard d'Estaing est désormais valorisé à 916 millions d'euros. Une somme étonnante,
pour ne pas dire incongrue, pour une société en perte chronique.
08/12/2014
Les Echos
Pag. 4
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Loraine Donnedieu de Vabres-Tranié
Dans une interview à la presse allemande, la chancelière somme la France d'aller plus loin dans les
réformes. A la question posée à Angela Merkel - à la veille de sa réélection à la tête de la CDU - sur le répit
de trois mois accordé par Bruxelles à la France et l'Italie pour améliorer leurs finances, la réponse a fusé. Le
délai accordé n'est justifié que parce que les deux pays se sont engagés dans un processus de réformes,
mais pour la chancelière allemande, ce qui est sur la table « ne suffit pas ». Au-delà du calcul de politique
intérieure, pour donner un gage à l'aile droite du parti conservateur et obtenir un sacre demain à Cologne, la
chancelière allemande est très inquiète de la situation en France, qui vient d'adopter in extremis quelques
mesures fiscales supplémentaires. Le doute sur la capacité de la France et de l'Italie à se réformer s'est
installé outre-Rhin, malgré le projet de loi Macron. L'inquiétude est grande, confirme Michel Barnier, ancien
commissaire européen : « Le problème d'un pays devient très vite le problème de tous. Les pays européens y compris du Sud - veulent que le règlement de copropriété de l'euro soit respecté par tous. » Il faut donc dire
les choses et les marteler avant qu'il ne soit trop tard. C'est encore le temps de la prévention, chère à la
Commission, avant celui de la sanction. En mars prochain, la France, si elle ne réduit pas son déficit, risque
en effet d'être sanctionnée par Bruxelles, ce qui peut aller jusqu'à la mise sous tutelle de son budget. Le FN
en tirerait, une nouvelle fois, les bénéfices. Angela Merkel ne l'ignore pas. D'un autre côté, elle n'a pas à se
mêler du détail des mesures que la France doit prendre pour respecter ses engagements budgétaires. Dans
l'Hexagone, des voix se sont élevées pour dénoncer les effets désastreux des politiques d'austérité. Pour
Anne Hidalgo, maire de Paris, « l'investissement public, quand il prépare l'avenir, n'est pas une mauvaise
dépense. » C'est aussi l'avis du FMI. Sa directrice générale considère que les annonces d'investissements
dans la zone euro ne suffiront pas à relancer la croissance. Côté allemand, on ne l'entend pas de cette
oreille. Pour Berlin, c'est aux autres pays d'être à l'équilibre budgétaire. Pas question de s'endetter pour
investir plus. La peur viscérale du retour de l'inflation n'est jamais loin. Ceci explique-t-il la réponse cinglante
de la chancelière ? Christine Lagarde, interrogée par téléphone du Chili où elle se trouve, tente la synthèse :
« La réforme n'est pas une destination, mais un mouvement. » Des deux côtés du Rhin, les gouvernants
feraient bien de s'en inspirer.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La mise en garde de Merkel à la France
08/12/2014
Les Echos
Pag. 26
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Tourisme : Engagée le 30 juin, la bataille boursière pour la prise de contrôle du Club Méditerranée est à
nouveau relancée. Le groupement d'investisseurs mené par l'homme d'affaires italien Andrea Bonomi a
relevé, vendredi, son prix, le portant de 23 à 24 euros par action, soit 50 centimes au-dessus du dernier prix
du consortium mené par Fosun, le partenaire chinois du Club.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Club Med : Bonomi défie à nouveau Fosun avec une nouvelle surenchère
08/12/2014
Les Echos
Pag. 42
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Pierre Moscovici
La baisse des cours pourrait faire basculer l'euro dans la déflation... ... ou favoriser un plan de relance
providentiel pour la croissance. Les prix du baril de brent ont chuté de presque 40 % depuis juin. Le
mouvement a été accentué le 27 novembre par la décision de l'Organisation des pays exportateurs de
pétrole - l'Opep - de maintenir son plafond de production. Tous les pays ne sont pas affectés de la même
manière. Les producteurs d'or noir voient leurs revenus d'exportation diminuer, ce qui représente un risque
réel pour la stabilité économique et financière de certains, comme la Russie. Pour 2015, les prévisions
d'évolution du prix du pétrole, notamment sur la base des marchés à terme, laissent présager une tendance
stable. Les prévisions économiques d'automne de la Commission européenne avaient déjà revu ses
estimations sur le brent. Or ces prix pourraient être encore plus bas. Il faudra donc évaluer l'ampleur et la
constance de cette tendance à moyen terme, pour en estimer tous les effets sur la croissance européenne et
mondiale. En territoire négatif La dépréciation de l'euro a légèrement atténué l'impact de la baisse des prix du
pétrole, libellés en dollars, sans pour autant stériliser totalement son effet sur l'inflation. Le président de la
BCE, Mario Draghi, a souligné le 4 décembre la nécessité d'évaluer les conséquences des récents
développements du prix du pétrole sur l'inflation à moyen terme au sein de la zone euro. Empiriquement, on
constate qu'une diminution de 10 % des prix du pétrole a un impact négatif sur l'inflation de 0,1 à 0,3 point la
première année. Alors que l'inflation en zone euro est aujourd'hui très basse, le risque de passer en territoire
négatif doit être surveillé, même si la menace déflationniste (anticipations générales de baisse future des
prix) ne semble pas probable. La zone euro serait cependant plus sereine si l'inflation était à 2 %. La BCE a
clairement indiqué qu'elle était prête à mettre en oeuvre une large palette d'outils, y compris non
conventionnels, pour sortir de cette situation. Au-delà de ce risque, la baisse du pétrole est une bonne
nouvelle pour la zone euro, importateur net, car elle constitue un choc d'offre positif, bénéfique pour la
demande intérieure. C'est un facteur de soutien au pouvoir d'achat et à la croissance. Un choc négatif de 10
% sur les prix du pétrole produirait ainsi selon certaines estimations une hausse de la croissance de 0,1 à 0,2
point. A l'échelle mondiale, elle permet une légère augmentation de la demande globale, en redistribuant la
richesse des pays exportateurs nets vers les pays importateurs nets (Union européenne, Japon, Chine ou
Inde). La situation doit aussi encourager les responsables européens à enclencher des mesures concrètes
de préparation à la transition énergétique. C'est en période de baisse des prix que la mise en place de
dispositifs d'incitation à la sortie progressive des énergies fossiles - par exemple par l'annonce crédible d'une
trajectoire de renchérissement du carbone dans le futur - est la plus aisée politiquement. Par ailleurs, le plan
européen d'investissement, porté par le président Jean-Claude Juncker et la nouvelle Commission, constitue
un outil ambitieux pour soutenir le financement de projets d'infrastructure et de recherche dans ce domaine.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La chute du pétrole, une opportunité à saisir pour la zone euro
08/12/2014
Les Echos
Pag. 43
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Stéphane Courbit
80 % de la production française est perdue, du jamais-vu depuis 60 ans. Quels enseignements tirer de
l'histoire de la mouche de l'olive? L'histoire de la mouche de l'olive , si elle est dramatique pour les
oléiculteurs francais, ne devrait pas créer de séisme dans l'économie européenne en cette fin 2014.
Toutefois, elle est une parfaite illustration de l'incompréhension qui persiste entre les acteurs de l'écologie et
les acteurs économiques de notre pays. Le bilan risque d'être lourd Pour rappel, les trois quarts de la
production mondiale d'huile d'olive proviennent d'Europe du Sud, dont deux tiers pour l'Espagne et l'Italie. Or
cette année, la sécheresse en Espagne, la douceur de l'hiver et l'humidité excessive en Italie devraient
réduire cette production de moitié. Une aubaine pour les producteurs français ? Hélas non. La faute à cette
fameuse mouche qui, de son côté, grâce à un hiver très doux, s'est développée à son aise sur les oliviers du
sud de la France. Conséquence : jusqu'a 80 % de la production française est perdue (du jamais-vu depuis
près de 60 ans), bien pire que pour nos voisins. La question que l'on peut se poser est donc : aurions-nous
pu éviter cette catastrophe ? « Oui » selon Olivier Nasles, le president de l'Afidol (Association française
interprofessionnelle de l'olive), mais pas dans le cadre réglementaire actuel très contraignant en termes de
produits tolérés. La prolifération de cette mouche, connue depuis 50 ans, laissait dès les mois de juin et juillet
présager du pire. « Les traitements autorisés ne permettaient pas d'éviter la catastrophe annoncée. Et, pour
ceux qui l'étaient, comme le traitement par l'argile, il eût fallu en passer toutes les semaines. » Le bilan risque
donc d'être lourd pour les producteurs, mais également par ricochet pour les transformateurs, moulins,
coopératives, sans oublier toutes les structures commerciales qui ont investi dans l'huile de France. Tous ces
professionnels bénéficieront peut-être d'une aide de l'Etat, mais cet argent aurait pu être « mieux » utilisé, y
compris a des fins écologiques. Un des buts de l'écologie étant le maintien du tissu économique rural. Ne
pourrait-on pas de temps en temps assouplir quelques règles, se parler un peu plus, ne pas considérer
l'écologie comme ennemie de l'économie ? Et si Bactrocera oleae (la mouche de l'olive) était la mouche qui
devait nous piquer ?
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Crise de l'huile d'olive : la France tiraillée entre l'écologie et l'économie
08/12/2014
Les Echos
Pag. 44
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Guillaume Cerutti
Le CCSF devrait parvenir à un compromis le 15 décembre sur les critères de comparaison des offres
d'assurance de crédit. Déblocage en vue dans le très sensible dossier de l'assurance des crédits immobiliers.
Le Comité consultatif du secteur financier (CCSF) est sur le point de trouver, enfin, un accord sur les points
qui permettront aux lois Lagarde et Hamon de produire leur effet. Celles-ci avaient ouvert la possibilité aux
particuliers de faire jouer la concurrence pour le choix de l'assurance de leur prêt. Souvent méconnu, l'enjeu
pour l'emprunteur est pourtant de taille, puisque le coût de cette assurance, qui couvre notamment les
risques liés au décès, à l'invalidité ou à l'incapacité, peut représenter jusqu'à 25 % du montant total du coût
du prêt immobilier. Il restait cependant à définir les modalités concrètes de mise en jeu de cette avancée
consumériste. Pouvoir discrétionnaire La banque garde en effet le pouvoir de refuser le contrat d'assurance
alternatif apporté par son client si ce contrat ne présente pas un niveau de garanties jugé « équivalent » à
celui qu'elle offre. Un pouvoir discrétionnaire dénoncé par les associations de consommateurs, notamment
l'UFC-Que Choisir. Le CCSF, qui réunit assureurs, banquiers et représentants des consommateurs, a donc
été chargé de trouver un compromis avant la fin de l'année. A l'issue de la réunion du 3 décembre,
Emmanuel Constans, son président, s'est dit « confiant dans l'aboutissement d'un accord "gagnant-gagnant"
pour toutes les parties, vers davantage de transparence pour les consommateurs et davantage de
concurrence entre les acteurs ». Au coeur des débats : la question du moment où l'emprunteur peut
effectivement faire jouer la concurrence, et les critères selon lesquels les offres peuvent être comparées.
Pour Eric Lombard, directeur général de Generali France, qui reflète la vision des « pure players » de
l'assurance, l'emprunteur « doit pouvoir faire jouer la concurrence le plus en amont possible de la signature
du prêt ». Chez les bancassureurs, à l'instar d'Henri Le Bihan, directeur général de Crédit Agricole Creditor
Insurance, on souligne surtout l'importance de la personnalisation de l'offre d'assurance selon le profil de
l'emprunteur, et donc la nécessité de comparer finement les contrats dans la phase finale de la conclusion de
l'offre de prêt. Réponse espérée le 15 décembre, à l'issue de la réunion plénière du CCSF.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Un accord de place en vue pour l'assurance emprunteur
08/12/2014
Les Echos
Pag. 46
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Jean-Michel Blanquer Emmanuel Hoog
Politique et pragmatique, le président de la Banque centrale européenne abat progressivement ses cartes.
On le croyait banquier. Mario Draghi en 2014 s'est affirmé d'abord comme un grand politique. Par touches
successives, depuis son accession à la tête de la Banque centrale européenne (BCE) en 2011, il a réussi à
imprimer sa marque. Formé par les jésuites, passé par le MIT et Goldman Sachs, professeur à Florence et à
Turin, « Super Mario » a tout d'un condottiere moderne, habile et conquérant. Tel un joueur avisé, il abat
progressivement ses cartes. En 2012, il apparaît aux yeux du monde entier comme le sauveur de la zone
euro prise dans la tourmente de la crise des dettes souveraines en abaissant les taux d'intérêt et en injectant
des liquidités. A cette occasion, au-delà de sa maîtrise technique, il a montré sa capacité à être un homme de
communication qui sait parler aux marchés. Son engagement à racheter de la dette souveraine avait été
suffisant pour restaurer la confiance sans qu'il fût nécessaire de passer à l'acte. L'euro fut sauvé, mais
l'Europe toujours pas guérie. En août 2014, il abat une nouvelle carte importante. Son discours de Jackson
Hole, au milieu des banquiers centraux de la planète, est un tournant dans un milieu, habitué à la continuité
et à la mesure. Il édicte ses « Draghinomics » pour affronter la crise. Il identifie clairement le chômage de
masse et la déflation comme la menace qui guette l'Europe, et il assigne à la BCE un rôle majeur dans la
résolution du problème. Avec sa dernière conférence de presse du 4 décembre, Draghi s'est positionné sur
une sorte de troisième voie entre l'approche allemande, rivée sur les risques d'inflation et les déficits
budgétaires, et l'approche française, toujours tentée par la relance de la demande. Un axe Juncker Draghi Il
réaffirme clairement la complémentarité de deux politiques. D'un côté, les réformes de la fiscalité et du
marché du travail sont indispensables, notamment dans des pays comme la France et l'Italie. De l'autre, la
BCE doit assurer un environnement économique favorable au rebond de la croissance. Il n'y a donc pas une
seule formule, mais une combinaison de facteurs à réunir. Si Draghi semble préparer les esprits à de
possibles « QE » (rachats d'actifs) de la part de la BCE en 2015 - une nouvelle divergence avec la position
allemande -, il lui reste à définir techniquement comment cela pourra être efficace. Politiquement, il s'est
affirmé comme le patron, prêt à compter sur une majorité des membres de son Conseil des gouverneurs,
même en cas de veto allemand. Il lui faudra trouver aussi une complémentarité avec la politique de relance
de la Commission. L'axe Juncker-Draghi comme moteur de l'Europe est peut-être ce qui pourra relayer le
moteur franco-allemand, aujourd'hui en panne.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Mario Draghi, le Latin qui ne perd pas le nord
08/12/2014
Les Echos
Pag. 46
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Olivier Gonzalez
A un tournant historique, la BCE fait de l'euro un de ses outils pour éviter la déflation. La baisse de l'euro, une
bonne ou une mauvaise nouvelle ? La monnaie unique, qui n'avait paradoxalement pas été affectée par la
crise de la zone euro, a entamé depuis septembre une baisse très prononcée. Aujourd'hui autour de 1,23
dollar, l'euro affiche un recul de près de 11 % depuis le début de l'année. Une bouffée d'oxygène pour les
exportations et l'emploi de la zone euro. Celle-ci doit beaucoup au président de la Banque centrale
européenne (BCE), Mario Draghi, qui avait annoncé qu'il ferait tout pour sauver l'Europe de la déflation. Les
banques centrales s'efforcent d'exporter à leurs partenaires leur problème principal, la déflation (baisse
généralisée et durable des prix). Affaiblir sa monnaie est la solution de facilité, et même dans certains pays
(Japon), la solution de la dernière chance. La « guerre des changes », la course aux dévaluations
compétitives sont devenues un conflit mondial avec l'entrée de l'euro. Jusqu'ici, ce dernier avait été plutôt
neutre dans ce conflit. Mais la nette détérioration de la conjoncture en Europe ne lui laisse pas d'autre
alternative. Japonisation contre germanisation La baisse de l'euro ne fait pas l'unanimité en Europe. Selon
Berlin, elle doit s'accompagner impérativement de réformes structurelles pour être bénéfique sur le long
terme. D'ailleurs, la chancelière allemande Angela Merkel a de nouveau encouragé Français et Italiens, dans
une interview à « Die Welt », à se focaliser en priorité sur les réformes. Elle est favorable à l'idée de donner
plus de temps à Paris et Rome, mais reste inflexible sur le respect des déficits publics. Baisser sa devise,
même fortement comme dans le cas du yen, n'a pas tous les effets bénéfiques escomptés. La BCE est à la
croisée des chemins face aux risques d'une longue période de japonisation, une dépression économique
prolongée sans espoirs de reprise. Pour éviter ce piège, elle voudrait que ses membres se réforment vite, en
s'inspirant du modèle allemand.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La baisse de l'euro ne fait pas l'unanimité
08/12/2014
Les Echos
Pag. 46
(diffusione:118722, tiratura:579000)
Bruno Lafont
Les taux d'intérêt à long terme sont historiquement bas. L'impact sur l'économie dépendra notamment de la
réponse des Etats. Les Etats peuvent emprunter à des taux historiquement bas. Pour la première fois, cette
année, le taux français à 10 ans est tombé en dessous de 1 %, à 0,944 %, vendredi dernier. En Italie et en
Espagne, le coût d'emprunt a atteint un niveau jamais vu, respectivement à 1,931 % et à 1,759 %. Cette
baisse est la conséquence des annonces de la Banque centrale européenne (BCE) qui prévoit de déployer
un programme de rachats d'obligations d'Etat. Cette situation de très bas taux d'intérêt à long terme devrait
durer. Selon AXA IM, le taux d'intérêt moyen de la dette publique française pourrait ainsi descendre de 2,5 %
(en 2013) à un plancher de 1,9 % en 2017. Pour les Etats endettés, cette baisse est une aubaine. Non
seulement elle facilite les perspectives de refinancement, car simultanément les « spreads » (différentiel de
taux, notamment entre la France et l'Allemagne) restent stables, mais encore elle en réduit le coût, qui
diminue la charge financière et les déficits. Mais cette aubaine pourrait être de courte durée. Car, dans le
même temps, les perspectives économiques se dégradent. Dans la zone euro, le produit intérieur brut reste
inférieur de 3 % à celui d'avant-crise et l'investissement des entreprises a baissé de 17 % depuis 2007, selon
Natixis. La BCE vient de revoir à la baisse ses prévisions de croissance pour 2015 (de 1,6 à 1 %) et
d'inflation (de 1,1 à 0,7 %). Spectre de la déflation Cette dégradation aura mécaniquement un impact négatif
sur les comptes (moins de recettes) et sur les dettes publics. Nombreux sont ceux qui évoquent de plus en
plus souvent le spectre de la déflation, spirale négative de la baisse des prix sur les revenus, sur les
anticipations des acteurs économiques et donc sur la croissance. Plus généralement, l'impact de cette baisse
des taux sur l'économie, l'investissement, la croissance et l'emploi dépendra surtout de la réponse des Etats.
Potion potentiellement magique si les Etats ne se contentent pas de profiter de l'aubaine créée par la baisse
des taux mais l'utilisent pour accélérer les réformes structurelles et réduire le déficit. Cadeau empoisonné si
cette baisse reste insuffisante pour avoir un impact sur l'économie réelle et si, suite à l'action insuffisante des
Etats, elle conduit, comme l'indiquent certains scenarii, à de nouvelles dégradations des notations financières
(la France est sous perspective négative, l'Italie a été dégradée vendredi par S&P) et bien sûr à de nouvelles
cures d'austérité... D'où la question d'un bon calibrage de cette baisse de taux.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Les taux très bas, une potion magique ?
08/12/2014
Les Echos
Pag. 51
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Jean-Pierre Mustier
L'Opep fait plus que les Etats européens pour aider la BCE. L'or noir deviendrait-il un chèque en blanc ?
Après la décision de l'Opep, la semaine dernière, de ne pas réduire sa production de pétrole brut et la
dégringolade du prix du baril, de 36 % depuis le mois de mai, la question mérite d'être posée. Car il est
probable que le cours du bidon d'huile - actuellement proche de 70 dollars - pourra baisser encore, car il se
situe dans la fourchette haute des prix avant la crise financière qui a débuté en 2008. Et il faut s'en réjouir :
rarement une baisse des prix du pétrole aura été autant utile aux consommateurs et aux sociétés non
énergétiques, qui sont les grands gagnants de cette évolution. L'impact positif sur le PIB européen est estimé
entre 0,25 et 0,5 % l'année prochaine, selon les économistes d'UniCredit. Les impacts économiques négatifs
s'avèrent en revanche plus limités, pour l'essentiel hors d'Europe : moins d'investissement dans le gaz de
schiste aux Etats-Unis et forte baisse de revenus sur quelques pays producteurs qui n'ont ni modernisé ni
développé leurs outils industriels, comme la Russie, le Venezuela et l'Iran. Sur les marchés actions, si le
secteur pétrolier en a fait les frais, vu l'impact lourd sur ses bénéfices, les marchés obligataires, eux,
semblent aujourd'hui focalisés sur le risque de baisse de l'inflation, et peut-être même de déflation, lié à cette
baisse du prix des hydrocarbures. C'est probablement une surréaction, cet effet n'étant que temporaire,
concentré sur l'année 2015 et certainement plus limité que prévu, car les baisses de prix sont souvent moins
retransmises aux consommateurs. Par exemple, en Europe, la composante hors taxe du prix du carburant n'a
baissé que de 16 % en moyenne depuis mai, moitié moins que le prix du baril. Mais pour la Banque centrale
européenne, avoir à gérer une baisse de l'inflation et même peut -être un taux négatif au premier trimestre
constitue une belle raison supplémentaire de mettre en place sa politique d'assouplissement quantitatif, la
dernière roue de secours de la croissance européenne. Un gros chèque de liquidités à venir pour l'économie.
M. Draghi pourra remercier les cheikhs de l'Opep !
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Le bidon a du bon !
08/12/2014
Les Echos
Pag. 57
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En France l'art-thérapie est encore embryonnaire en matière de RH. Mais dans la santé, c'est un outil
précieux comme le montrent les 15 associations qui l'utilisent en structures médicales et ont été
récompensées le 2 décembre par l'opération de mécénat du GPMA avec le soutien de Generali. Depuis huit
ans, 658 associations ont participé à ce prix, chaque année sur un thème, et 104 ont été distinguées.
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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L'art-thérapie primée par Atout Soleil 2014
08/12/2014
Liberation
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Mafia : Rome, ville offerte
Monde - Par Éric Jozsef Correspondant à Rome
«Panzironi : 15 000 euros par mois. Odevaine : 5 000 euros. Alemanno : 75 000 euros en banquets
électoraux»... Entre conseillers municipaux et régionaux, fonctionnaires et policiers, ils sont des dizaines à
figurer dans le carnet noir de la corruption romaine saisi mardi par les carabiniers au terme d'une opération
antimafia spectaculaire : 37 personnes ont été appréhendées, 76 autres sont visées par une enquête, dont
l'ancien maire de droite Gianni Alemanno. Avec, en toile de fond, une conviction des enquêteurs : la
criminalité organisée a fait main basse sur l'administration de Rome. De droite comme de gauche, des élus
faussaient, en échange de pots-de-vin, les appels d'offres pour le nettoyage urbain, les transports publics ou
encore la gestion des camps de nomades au profit d'un clan organisé autour de Massimo Carminati, un
ancien activiste néofasciste. Personnage tout droit sorti du livre Romanzo criminale, de Giancarlo De
Cataldo, celui-ci a longtemps fréquenté, dans les années 70, la redoutable Banda della Magliana, avant de
faire fructifier sa propre entreprise mafieuse. Surnommé le «Borgne» parce qu'il a perdu un œil lors d'un
échange de coups de feu avec la police, il serait, au fil des ans, devenu le nouveau roi de Rome. Capable,
avec son bras droit et ancien meurtrier Salvatore Buzzi, de piloter les attributions de fonds publics ou
d'imposer des changements dans le budget de la capitale. Malgré son passé tumultueux, Massimo Carminati,
âgé de 56 ans, avait su se faire discret au cours des dernières années, préférant gérer dans l'ombre, au
milieu de ses tableaux d'Andy Warhol et de Jackson Pollock, son énorme pouvoir sur la ville. «Ville
contaminée». «La mafia de Rome ne tue pas, elle corrompt. Elle n'use pas d'intimidations à travers le
contrôle du territoire mais en s'appuyant sur la réputation criminelle de certains de ses responsables, passés
du terrorisme d'extrême droite à la délinquance commune», souligne le Corriere della Sera. «Le nom de
Carminati est murmuré avec peur dans la ville», confirme le spécialiste de la mafia Lirio Abbate. Convaincu
que les mondes de la légalité et de l'illégalité sont destinés à se côtoyer, Carminati a forgé sa «théorie du
monde du milieu» : «Il y a les vivants au-dessus et les morts en dessous. Et nous, nous sommes au milieu, là
où tout le monde se rencontre», explique-t-il à l'un de ses complices dans une conversation interceptée par la
police. Dans la capitale, Massimo Carminati a parfaitement mis en pratique sa théorie. Son organisation
criminelle serait parvenue à détourner au bas mot 60 millions d'euros par an en rémunérant des édiles et
bureaucrates dociles pour s'adjuger les marchés publics. Y compris ceux concernant les centres d'accueil
des réfugiés. «Tu as une idée, toi, de combien je gagne sur les immigrés ? Le trafic de drogue rapporte
moins», avance, dans une conversation, Salvatore Buzzi. Des policiers véreux étaient aussi régulièrement
arrosés. «C'est l'instantané d'une ville contaminée jusqu'au sommet», résume le Corriere della Sera alors que
le scandale fait aujourd'hui trembler une bonne partie du monde politique italien. Massimo Carminati aurait
notamment profité pleinement de l'élection à la mairie en 2008 du post-fasciste Gianni Alemanno. Le chef du
cabinet du maire semble avoir été à la pleine disposition du Borgne. De même que Franco Panzironi, l'expatron de la très appétissante entreprise municipale de nettoyage. Incriminé, Alemanno se défend en jurant
n'avoir jamais rencontré Carminati : «J'aurais dû faire davantage attention dans le choix de mes
collaborateurs.» Mais à gauche aussi, l'enquête du parquet antimafia provoque un séisme. Plusieurs
responsables locaux sont visés. Notamment Luca Odevaine, l'ancien bras droit de Walter Veltroni (exministre et maire de Rome de 2001 à 2008) ou Mirko Coratti, le président de l'assemblée municipale qui a
démissionné. La mafia romaine aurait également financé la campagne électorale de l'actuel maire démocrate,
Ignazio Marino, pour tenter de le conditionner. Matteo Renzi a fait savoir qu'il était «choqué». Le chef du
gouvernement italien a décidé de mettre sous administration spéciale la section romaine du Parti démocrate
(PD). Si son courant n'est pas directement touché, le jeune Premier ministre craint qu'après les scandales de
l'Expo 2015 à Milan (1) et ceux du chantier «Moïse» à Venise (2), ces nouvelles affaires viennent obscurcir le
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Récit. Une vaste opération policière menée mardi éclabousse des dizaines d'hommes politiques et montre
une capitale sous la coupe du parrain local, Massimo Carminati.
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Liberation
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vent de renouveau qu'il s'emploie à incarner. «Ménage». De son côté, Roberto Saviano, l'auteur de Gomorra,
est intervenu pour demander des comptes à Giuliano Poletti, ministre du Travail et ancien président de la
puissante Ligue des coopératives, liée au Parti démocrate. Sur la photo d'un dîner tenu en 2010, celui-ci est
en compagnie de l'ex-maire Alemanno, de l'ancien patron de l'entreprise de nettoyage Panzironi, mais surtout
de Salvatore Buzzi, le bras droit de Carminati. Pour l'heure, Matteo Renzi est venu au secours de son
ministre. Mais au sein du Parti démocrate, on craint de nouvelles révélations. L'instrument des primaires du
PD est notamment fortement mis en cause. Il aurait favorisé les malversations et les clientélismes. «Seuls
30% des citoyens y participent parce qu'ils y croient. Les autres sont contrôlés par les caciques locaux ou
payés pour voter», se désole un ancien adjoint au maire, Roberto Morassut. Matteo Renzi veut en tout cas
faire «un ménage complet». Il y a urgence. Dans son dernier rapport, publié mercredi, Transparency
International indique que l'Italie est devenue, avec la Grèce, le pays plus corrompu de la zone euro. (1) La
mise au jour d'un vaste réseau de corruption politico-financière portant sur les marchés publics de
l'Exposition universelle a mené en début d'année à de nombreuses arrestations. (2) Une enquête pour
corruption et blanchiment d'argent vise ce chantier d'installation de digues géantes pour protéger la ville.
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Wall Street Journal
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BY IAN TALLEY
'It's good news for the global economy,' said Christine Lagarde.Many of the world's top policy makers are
rewriting their economic forecasts for the U. S., Europe and elsewhere in the world, betting that plummeting
oil prices will boost growth by handing consumers and manufacturers a windfall.Officials at the International
Monetary Fund, U. S. Federal Reserve and European Central Bank have in recent days shrugged off
concerns that the tumbling cost of crude signals a global economic slowdown. Instead, they project cheaper
oil will be a shot in the arm for the world economy overall, especially countries with high energy tabs.Stanley
Fischer, vice chairman of the U. S. Federal Reserve, called it a "supply shock" that will help the U.S. "It's
more likely to increase GDP than reduce it," he said."The effect is unambiguously positive," European Central
Bank President Mario Draghi declared after the bank's monthly meeting last week.Some economists warn
that the nearly 40% plunge in crude- oil prices in recent months is more a harbinger of gloom as Europe flirts
with recession, Japan tries to recover from its own slump and China's slowdown risks morphing into a steeper
pullback. Indeed, historically, sharp drops in oil prices tend to be associated with recessions as energy
demand collapses.This time, though, a range of supply- boosting factors is shifting the calculus for many
officials and economists-from advanced drilling techniques to a revival in Libyan oil supply and a bid by some
Middle East producers to price competitors out of the market."This time is different," said Guy Caruso, a
former head of the U. S. Energy Information Administration and a senior adviser at the Center for Strategic
and International Studies.Whether the recent price tumble is driven more by a supply glut or a drop in
demand could determine the direction of the global economy in the coming year.Falling energy prices are
clearly hurting major oil exporters such as Iraq, Algeria and Nigeria that rely heavily on petroleum revenues. It
is particularly bad news for countries such as Russia, Venezuela and Iran already facing deep economic
problems.But for major oil importers such as Japan, Italy and Germany, the IMF calculates the price plunge
since June could add nearly a percentage point of gross domestic product to their economies. The IMF is
raising its forecast for U. S. growth next year to 3.5% from its last estimate of 3.1%, in part because of
expected lower energy costs."There will be winners and losers, but on a net-net basis, it's good news for the
global economy," said IMF Managing Director Christine Lagarde at The Wall Street Journal CEO Council
annual meeting last week.The fund attributes roughly 80% of the fall in oil prices to supplyside causes, such
as decisions by the Organization of the Petroleum Exporting Countries and fuel- efficiency standards, and
only 20% to declining demand from slowing growth.J. P. Morgan Chase economists put the ratio lower: 55%
because of supply and 40% from weaker emergingmarket growth. The bank still estimates, however, that the
price decline could add 0.7 percentage point to global growth over the next two quarters.Part of the boost
comes from lower transportation and manufacturing costs, particularly for energyintensive industries such as
airlines and steelmaking. The primary benefit is more cash in consumers' wallets as they spend less of their
paychecks fueling their vehicles, spurring more consumer spending.Research group IHS Global Insight says
the average U. S. household should have an extra $750 in its pockets over the next year compared with the
last 12 months, if prices hold.One risk for policy makers: Viewing the drop in oil prices as a net positive could
cloud an underlying sluggishness in the global economy. Key emerging markets from Brazil to South Africa to
India have been struggling for more than a year."China is the big issue," said Kevin Book, managing director
at Clear View Energy Partners. Mr. Book is skeptical that growth in oil demand next year will come close to
the International Energy Agency's estimate of 1.1 million barrels a day. The reason: slower growth than
currently expected from the world's No. 2 economy. "And weakness in one place generally portends
weakness elsewhere," especially in Europe, he said."It seems unreasonable to think that the industrial engine
of the emerging markets is somehow disconnected from the consuming engine of the developed world," Mr.
Book said.Most previous major oil- price drops accompanied recessions, or at least signaled downturns. A
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Tumble in Oil Prices Spurs Bet On Growth
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series of contractions in the U.S. economy and other major powerhouses of the global economy in the early
1980s are blamed for sending inflation-adjusted prices from a high of $116 a barrel in April 1980 to a 13-year
low of $25 by 1986. Prices also skidded in the wake of the Asian financial crisis in the late 1990s and the
2008 global financial crisis.Economists generally agree the current drop is partly due to anemic growth in
Europe and a slowdown in China. But the IEA and other experts say outsize oil production is largely behind
the decline.
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La Repubblica - Affari Finanza - N.41 - 8 dicembre 2014
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(diffusione:581000)
Federico Fubini
Ci sono classifiche dove la Germania è ai primi posti, per esempio esportazioni e occupazione giovanile. Altre
invece possono far pensare a un marziano sbarcato sulla Terra che la Germania è un piccolo Paese. Vanta il
surplus più vasto al mondo, eppure i tedeschi non compaiono fra le prime venti nazionalità del pianeta per
acquisti di beni di lusso. E' la quarta economia al mondo, eppure nelle graduatorie relative al settore
finanziario la Germania emerge come un Paese di media grandezza. Nell'elenco del Financial Stability Board,
fra le 29 banche globali d'importanza sistemica figurano tre istituti francesi, due spagnoli, due svizzeri e un
unico tedesco: Deutsche Bank. Uno solo è espresso anche dall'Olanda, dagli scandinavi e dall'Italia. Può
apparire strano ma, come spiega questo numero di Affari e Finanza , non lo è se si considera che, dopo il
brusco declino di Commerzbank durante la crisi, l'unica banca di respiro nazionale in Germania è Deutsche
Bank. Una poderosa economia da oltre tremila miliardi di fatturato, capace di dominare i mercati globali dei
beni ad alto valore aggiunto, ha un solo istituto di credito indipendente che non sia provinciale. Un'occhiata
alle 19 banche tedesche esaminate dalla Bce nei suoi ultimi stress test rivela che gli altri sono locali,
regionali, finanziarie di gruppi dell'auto o braccia operative del governo. Quel mondo fa credito in gran parte
al riparo di una garanzia del governo e ha ricevuto salvataggi pubblici per 144 miliardi di euro negli ultimi
anni, contro i 6 del sistema finanziario italiano o i 26 di quello francese. Soprattutto, quel mondo è quasi
completamente a controllo pubblico. Appartiene alle autorità locali e regionali ed è a partire dalle città di
provincia tedesche che la politica distribuisce cinquemila posti nei consigli di amministrazione. La taglia
ridotta di queste aziende finanziarie e i salvataggi di cui esse hanno avuto bisogno ne rivela le difficoltà. Quel
mondo viene gestito come a molti acerrimi critici della cancelliera Angela Merkel piacerebbe avvenisse in
tutto il mondo: la politica azionista delle banche le tratta come una sorta di servizio sociale, ancelle
dell'industria, non come imprese il cui primo obiettivo è il profitto. La redditività degli istituti nella Repubblica
federale è insufficiente, la gestione dei risparmi della clientela mediocre, di conseguenza questo ecosistema
detesta l'inflazione. Anche quella moderata e sana. Quando il denaro rende zero, persino un carovita 2%
distrugge ricchezza in termini reali. È dunque probabile che dietro la resistenza della Bundesbank a una
politica più attiva della Bce contro la deflazione agisca questa realtà di provincia. In questo senso è
incompatibile con la vita nell'euro perché non ne accetta gli obiettivi di inflazione, e andrebbe modernizzata,
tanto quanto dovrebbe accadere a molte istituzioni economiche italiane. Né di più, né di meno.
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IL WELFARE DEL CREDITO PER LE IMPRESE DI ANGELA
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La Repubblica - Affari Finanza - N.41 - 8 dicembre 2014
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Titoli italiani vincitori e vinti nel collasso dei prezzi del greggio
Luca Pagni
Titoli italiani vincitori e vinti nel collasso dei prezzi del greggio a pagina 16 C'è chi sostiene che sia una g u e r
r a c o m m e r c i a l e mossa dall'Arabia Saudita nei confronti degli Stati Uniti per frenare il fenomeno shale
oil: mantenere bassi i prezzi del greggio per rendere economicamente insostenibile la ricerca di nuovi
giacimenti di petrolio estratto dagli strati rocciosi del sottosuolo. E chi, invece, ritiene che arabi e americani
siano - in realtà - alleati per mettere in difficoltà stati "politicamente" avversari come la Russia, l'Iran, il
Venezuela, l'Algeria, i cui conti pubblici e le possibilità di crescita si basano su un livello del greggio
scambiato sui mercati internazionali a 100-120 dollari. Ma il dibattito geopolitico interessa fino a un certo
punto fondi e istituzioni finanziarie. Quello che conta, per programmare gli investimenti del 2015, è la
decisione dell'Opec di lasciare invariate le quote di produzione. Il che ha convinto gli analisti che i prezzi del
Brent (il prezzo di riferimento del mercato di Londra) e il Wti (la quotazione a New York) rimarranno a bassi
livelli per i prossimi mesi. Un dato che non può non aver ripercussioni anche sui piani delle società quotate a
Piazza Affari i cui business principali sono strettamente legati al mercato degli idrocarburi. Ma non è detto che
le ricadute del caro-greggio siano per tutti negative. C'è chi potrebbe addirittura approfittarne per aumentare
la redditività con nuove occasioni di business. Non è il caso di Eni. Il principale gruppo di Piazza Affari per
capitalizzazione risente oltremodo della situazione: nelle ultime settimane i manager del gruppo sono
impegnati nel rivedere gli obiettivi, visto che il piano finanziario e i target sono allineati a un prezzo del petrolio
compreso da 90 e i 100 dollari. Secondo le stime degli analisti, ogni dollaro di calo del barile riferito al Brent
equivale alla perdita di 100 milioni di euro di free cash flow . In discussione sono gli utili del 2015 da
distribuire nel 2016, se la situazione di ribasso dovesse perdurare: Banca Imi arriva a ipotizzare fino a un
taglio del 40% degli utili, il che potrebbe portare a una riduzione dei dividendi. Il problema per il gruppo di
Metanopoli è doppio, perché coinvolge anche la controllata Saipem : il calo delle quotazioni sta portando alla
sospensione di molti nuovi progetti di esplorazione. Il che potrebbe penalizzare le società di ingegneria
specializzate nella tecn o l o g i a Exploration&Production. Eni potrebbe così essere costretta a rinviare la
vendita della sua quota del 42%, nell'ambito di un piano che prevede operazioni straordinarie per almeno 6
miliardi nel 2015. Ripercussioni negative sul breve, ma opportunità di guadagno in prospettiva per il gruppo
Saras . La società controllata dalla famiglia Moratti è reduce da una trimestrale ancora in rosso per 29,5
milioni, anche per la riduzione di valore degli inventari petroliferi in seguito al calo dei prezzi. Allo stesso
tempo, la società potrà ora acquistare materia prima da raffinare a prezzi più convenienti. Inoltre, rispetto ai
competitor è in grado di lavorare anche nuove produzioni di "olio" con caratteristiche chimico-fisiche molto
particolari. Per cui la maggior parte degli analisti prevede un lieve incremento dei margini di raffinazione per il
2015. Nel caso di Saras, pesa anche la situazione geopolitica. A causa delle sanzioni della Ue nei confronti
della Russia non è ancora operativa la joint venture con il gruppo Rosneft, che ha rilevato il 21% della
società. Non c'è dubbio che la riduzione degli investimenti per i progetti che hanno ritorni sopra i 90 dollari
rischia di penalizzare società come Tenaris . Il gruppo della famiglia Rocca fornisce soprattutto manufatti per
l'industria estrattiva e la Borsa ha già scontato il calo dei prezzi nelle valutazioni dell'utile del prossimo anno.
Ma la società è ben posizionata in nazioni con grande potenziale di crescita nella produzione come il Brasile
e il Messico. Buone potenzialità anche in Argentina, dove tutto è legato allo sviluppo dell'enorme giacimento
di shale gas di Vaca Muerta. Se il prezzo del petrolio dovesse rimanere a questi livelli, si aprirebbero nuove
opportunità di business per Maire Tecnimont , specializzata nella costruzione di impianti per il settore energia
e della chimica. Le raffinerie, ad esempio, possono potenziare gli impianti per la lavorazione di distillati di
qualità più alta destinata ai motori Euro 5 e 6. Mentre dallo sviluppo dello shale gas possono arrivare
commesse per il metano consumato "in loco". Come dimostra, il contratto da 1,6 miliardi appena stipulato da
Maire Tecnimont negli Usa per un grande complesso di fertilizzanti nello stato dell'Indiana. Una via di mezzo,
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finanza e borsa
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infine, è rappresentata da Snam. La società guidata da Carlo Malacarne ha già esaminato i possibili
svantaggi: una riduzione degli investimenti complessivi non può che riguardare anche il settore del
downstream del gas. Ma il calo del petrolio porterà all'allineamento dei prezzi spot con quelli di lungo periodo
( take or pay ), spesso legati alle quotazioni del greggio. Il che - considerano gli analisti della società dovrebbe portare a un aumento della liquidità sul mercato e a maggiori scambi, la situazione ideale per chi
incassa garantendone il trasporto.
Foto: Qui sopra, l'ad di Eni, Claudio Descalzi (1) e Paolo Rocca (2), presidente e ad di Tenaris MOVIMENTI
AL RIBASSO Qui sopra, l'andamento del titolo Tenaris in Borsa. A sinistra, sopra la foto, quello dell'azione
Eni
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Burocrazia più efficiente la chiave della ripresa
Paolo De Ioanna
La prima lettura alla Camera della legge di stabilità ha chiarito che il Governo, più che una manovra
espansiva, ha messo in campo misure che consentono una mancata restrizione rispetto ai vincoli esterni,
rinviando al 2017 l'obiettivo del saldo strutturale del bilancio pubblico. Molto opportunamente si è aperta una
discussione critica sul metodo con cui questo saldo strutturale viene costruito in sede europea, con specifico
riferimento alla disoccupazione, e le recenti indicazioni dell'Ocse, in particolare proprio sul calcolo della
disoccupazione strutturale, hanno rafforzato la posizione tecnica del Governo italiano. In questo contesto,
rimane piena la convergenza, in Italia e in Europa, sulla necessità delle riforme strutturali e di una forte
ripresa degli investimenti pubblici. Per riavviare gli investimenti pubblici e privati, è necessario eliminare gli
ostacoli normativi e ripensare gli strumenti di finanziamento; semplificare il quadro giuridico e riprendere con
buona lena la via della riforma della pubblica amministrazione. Comunque la si giri, per far ripartire gli
investimenti occorre una PA performante. segue a pagina 10 segue dalla prima Che cosa sono infatti le
riforme di struttura? Sistemi nazionali che garantiscano terreni fertili per i semi della crescita: dunque riforma
fiscale, infrastrutture adeguate, istruzione, ricerca e innovazione al passo coi tempi, investimenti adeguati
nello sviluppo di sistemi complessi - trasporti, digitalizzazione e telecomunicazioni avanzate, reti energetiche
liberalizzazioni in alcuni settori e mercato del lavoro più chiaro e semplice. Per progredire su questi terreni ci
vuole una macchina pubblica efficace, presente su tutto il territorio, competente e trasparente. Il Governo
pare intenzionato a riprendere con decisione il filo di questo discorso facendo centro su cinque macro temi e
su un certo numero di missioni specifiche, affidate a ben individuati centri di responsabilità: il metodo sembra
interessante e varrà la pena seguire con cura la fase attuativa. E' dal 1992 (decreto legislativo " Cassese" n.
29 e poi decreti legislativi "Bassanini", 1998-1999) che le parole d'ordine di ogni governo sono le stesse:
semplificazione del contesto normativo e della regolazione; efficacia e chiarezza delle disposizioni che danno
corpo a specifiche politiche pubbliche e delle relative responsabilità, enfasi sulla verifica dei risultati. Anche la
riforma "Brunetta" (2009) era incentrata su questi nodi. Tuttavia nonostante una certa continuità, anche nelle
strutture di supporto dei ministri, poco o nulla è cambiato in oltre venti anni. Che cosa non ha funzionato?
Colpa del cattivi burocrati? Della debolezza dei cosiddetti legisti, cioè di chi traduce in norme l'input politico?
Della debolezza degli specialismi che danno corpo alle politiche pubbliche? Colpa di un federalismo che ha
ulteriormente offuscato poteri e responsabilità politiche, fiscali e gestionali? Nel momento in cui il Governo
rilancia questo nodo forse è utile cercare di riproporre queste domande per imboccare la strada giusta e non
finire ancora una volta su un binario morto. Anche se si intende centrare la costituzione economica materiale
in prevalenza sul controllo della finanza pubblica, per realizzare questo assetto ci vuole comunque metodo,
chiarezza di obiettivi, trasparenza, capacità di programmare, controllare e monitorare; soprattutto capacità di
capire e correggere in tempo gli effetti economici reali delle misure finanziarie. Ma ci vogliono competenze
economiche e gestionali che si sono inaridite nella macchina pubblica. A questo inaridimento c'è una prima
risposta in chiave storica: la fuga dalla programmazione si può leggere come la debolezza di una classe
politica che non ha compreso, al momento giusto, la rilevanza di una macchina pubblica rinnovata,
competente, capace di tessere e rafforzare il contesto della legalità e di mettere in campo una regolazione
chiara, che interconnettesse pubblico e privato, proprio a partire dagli investimenti e dalle politiche pubbliche
sul territorio. Una classe politica che poi ha inseguito la riforma della PA sempre dentro la stessa cornice
giuridico procedurale. Oggi l'amministrazione, con poche eccezioni, non è in condizione di fare nessuna
politica di infrastrutturazione ben programmata del territorio; questa è una debolezza cruciale rispetto alle
altre economie europee, Francia e Germania in testa. L'amministrazione pubblica, che dovrebbe sciogliere e
integrare le complessità della gestione dei territori, si presenta invece come una rete non al servizio dei
bisogni del cittadino e delle imprese, ma tutta svolta all'interno della dimensione giuridica. Il buon andamento
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[ IL COMMENTO ]
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dell'amministrazione sembra essere stato di fatto devoluto alla sola magistratura attraverso interventi
sanzionatori di attività illegali, "assolvendo da questi compiti la dirigenza pubblica (e la politica) che sono
chiamate a rispondere solo di comportamenti giuridicamente rilevanti, ma non del cattivo utilizzo delle risorse
pubbliche derivante dalla loro allocazione subottimale, da processi ridondanti, strutture inutili, investimenti
fallimentari, elementi che possono essere propriamente valutati solo sotto un profilo economico-gestionale."
Qui c'è una questione di risorse, ma ancora di più c'è una questione di organizzazione, di competenze, di
chiara imputazione delle responsabilità e dunque anche di regole da semplificare. Una seconda questione,
legata alla prima, sta proprio nella conoscenza reale dei processi di produzione delle amministrazioni,
dell'impiego dei fattori, dei costi, della produttività, dei prodotti. Si tratta di costruire il vestito procedurale e
formale di ogni specifica azione amministrativa solo dopo aver definito strumenti e modalità economico
gestionali che devono costituire i vincoli operativi per l'azione degli amministratori; vincoli saldamente ancorati
ai bisogni e alle esigenze dei cittadini e degli operatori economici. Probabilmente le norme per fare tutto ciò ci
sono già tutte, si tratta di rinnovare a fondo le strategie di gestione. Se la revisione della spesa ha come
scopo l'innovazione strutturale delle politiche e il forte rilancio degli investimenti, dentro una visione chiara e
una scala nitida di priorità, può essere il metodo e l'occasione per superare il nostro federalismo senza
risorse e un contabilismo fine a se stesso, senza orizzonte valutativo e senza bussola. Si tratta di far
avanzare il ruolo di un ceto tecnico, di specialisti delle politiche pubbliche, ai quali i giuristi offriranno solo la
veste per soluzioni innovative, dentro le priorità economiche nitidamente scelte dalla politica.
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La Repubblica - Affari Finanza - N.41 - 8 dicembre 2014
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Andrea Greco Andrea Tarquini
L'ultimo scandalo in ordine cronologico è stato piccante e galeotto, di natura sessuale. Walter Kleine, 55 anni,
ha dovuto gettare la spugna dopo aver molestato per mesi alcune dipendenti giovani e carine. Può succedere
ovunque. Ma il caso di Herr Kleine, numero uno appena dimessosi della Sparkasse di Hannover è solo la
punta dell'iceberg. Di un iceberg visibile, anzi: Sparkassen e Landesbanken sono un mondo opaco. segue
alle pagine 2 e 3 con un commento di Rainer Masera segue dalla prima Le Sparkassen sono le casse di
risparmio, le Landesbanken sono le banche che appartengono in comproprietà ad alcuni dei sedici
Bundeslaender, cioè gli Stati che compongono la Repubblica federale. Lobbyismo, complicità, amicizie e
favori con i poteri politici locali e federali, perdite per miliardi, affari illeciti. Se la trojka fosse stata incaricata di
indagare su Sparkassen e Landesbanken con la durezza con cui ha posto sotto esame la Grecia, la
Bundesrepublik ne sarebbe uscita male. Ma non è stato così: solo sei Landesbanken sono state sottoposte
agli stress test e poi alla vigilanza unica della Banca Centrale Europea, e hanno passato l'esame. Le altre
Landesbanken, e le Sparkassen, no. Ma è il sistema bancario tedesco nel suo complesso, che sembra
essere sempre un po' "più uguale degli altri". Come ha detto Ignazio Angeloni, membro del supervisory board
della vigilanza bancaria europea, i criteri di discrezionalità nazionali utilizzati in occasione dei due test di
stress e sulla qualità degli attivi sono stati ben 103. E hanno pesato molto nel risultato finale, finendo per
gonfiare di 126 miliardi la patrimonializzazione del campione esaminato. Parlando di singoli paesi, Angeloni
ha notato che le banche tedesche hanno beneficiato di filtri prudenziali e altri tipi di deroghe per oltre 30
miliardi, quelle spagnole circa 25 miliardi, mentre per le italiane l'ammontare delle eccezioni è attorno ai 15
miliardi. «Ci vorrebbe più trasparenza su queste esenzioni, e in generale più certezza nelle misure di gestione
e aumento di capitale, le quali non dovrebbero essere dipendenti da discrezionalità nazionali», ha dichiarato
Angeloni all'agenzia Bloomberg. Ecco tre esempi di trattamento dispari: i crediti ristrutturati in Germania
possono diventare immediatamente «buoni», mentre in Italia per almeno due anni le partite ristrutturate
devono permanere tra i crediti deteriorati. Oppure i criteri di calcolo del valore delle garanzie: sempre a fair
value al di qua delle Alpi, al valore nominale se si tratta di garanzie immobiliari tedesche. O infine gli
avviamenti, che in Germania sono inclusi nel patrimonio, una possibilità che la Banca d'Italia non concede. Ci
sono poi le asimmetrie risultanti dal modo in cui le verifiche sugli attivi svolte dalla Bce (i cosiddetti Aqr)
hanno ponderato diversi tipi di rischi. Mentre i crediti sono stati falcidiati, l'Eurotower ha usato la mano
leggera per derivati e strutture finanziarie complesse, quelle per cui la contabilizzazione è delegata a sistemi
interni agli istituti. Le quattro banche europee più esposte su questi attivi, chiamati «di terzo livello», sono Bnp
Paribas, Crédit Agricole, Bpce e Deutsche Bank, che a fine 2013 ne detenevano per 74 miliardi di euro. Ma in
seguito agli Aqr le rettifiche complessive sono state di appena 1,2 miliardi di euro, l'1,6 per cento del valore di
quegli attivi. E Deutsche Bank, che ne è un po' la regina - nel 2013 aveva attivi level 3 pari al 70 per cento del
patrimonio netto tangibile - le rettifiche sono state di 94 milioni, lo 0,32 per cento; fortuna che si parla di
strumenti ad alto rischio e prezzi incerti. Ma si sa, ovunque un meccanismo collettivo veda la presenza
dominante d'una potenza egemone, se tutti sono uguali alcuni sono più uguali degli altri. Per cui ad esempio
gli aumenti di capitale sostenuti dalla mano pubblica per le banche. I dati ufficiali dell'Unione Europea parlano
chiaro: tra il 2008 e il 2012 la Germania ha rimpolpato con 64 miliardi di euro il suo sistema bancario malato,
che all'inizio della crisi dei subprime si fece trovare zeppo (circa 500 miliardi) di mutui immobiliari statunitensi
di basso valore e alto rendimento, e quando scoppiò la crisi sovrana si rivelò il primo investitore dei debiti di
Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna (altri 535 miliardi). Per questo la mano pubblica tedesca ha dovuto
pagare forte, un assegno pari al 2,4% del Pil. E qui si sorvola sul doppio gioco politico, perché è ormai una
verità storica che la severità dei tedeschi nelle istituzioni comunitarie nei confronti dei paesi cicala è servita
anche a proteggere l'esposizione e il rientro in emissioni periferiche delle banche teutoniche. In Italia, invece,
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Banche, il lato oscuro di Berlino
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gli aiuti di Stato sono stati quasi assenti: 6 miliardi nei quattro anni neri, uno 0,5% del Pil tricolore e quasi tutti
restituiti con gli interessi (resta solo un miliardo di bond convertibili al Monte dei Paschi). E qui parliamo delle
sole banche semipubbliche o locali che sono state 'visitate' dagli stress test: chissà quanto hanno intascato le
altre, esentate a seguito del vittorioso pressing del potere il cui volto è inevitabilmente, sulla scena globale,
quello di Angela Merkel. Le Landesbanken che sono state sottoposte allo stress test sono solo una parte, le
Sparkassen si sono salvate. E anche questo non è stato un vantaggio da poco, per Berlino. Quando ai primi
di settembre la Bce pubblicò l'elenco delle 120 banche che sarebbero finite sotto la lente della vigilanza
unica, emerse rumorosamente l'assenza di mezza Germania bancaria: ben 1.697 banche su 3.532 tedesche
non superavano la soglia sistemica, quindi sarebbero rimaste sotto l'ombrello grigio delle vigilanze locali. Tra
queste tutte le Sparkassen, tutte le cooperative ( V o l k s b a n k e n o R a i f f e i s e n banken), che
costituiscono l'ossatura finanziaria di imprese e politica locali in tutto il paese. L'autorevole pensatoio
bruxellese Bruegel mise a nudo la cosa, negoziata al Consiglio Ecofin nove mesi prima: «L'eccezione fu
introdotta durante il negoziato al Consiglio, apparentemente dopo la forte insistenza della Germania - ha
detto l'economista Nicolas Véron - le conseguenze sulla struttura dell'Unione bancaria sono asimmetriche.
Bisogna vedere se genereranno, o meno, tensioni politiche in futuro». Ma parliamo delle sei Landesbanken,
tutte promosse agli esami della Bce. Bayerische Landesbank, 10 miliardi bruciati per affari oscuri con la AlpeAdria e con l'allora governo dello Stato austriaco di Carinzia ai tempi di Joerg Haider, il leader fondatore della
nuova destra euroscettica austriaca, che poi morì guidando in eccesso di velocità sotto effetto di alcol e
droghe dopo un party omosessuale. Hsh, la banca pubblica del Nord, uscita malissimo nei media per
un'inchiesta. Landesbank Baden-Wuerttemberg; Landesbank Berlin della capitale iperindebitata che non
riesce neanche a costruirsi un aeroporto moderno, decente e sicuro; la Landesbank che unisce l'Assia (lo
Stato di Francoforte) e la Turingia, Stato-pilota dell'ex Est tedesco. Davvero sono tutte più sane e credibili
delle banche italiane o di altri Stati dell'Europa meridionale bocciate negli stress test? E davvero non
andrebbero esaminate, in nome di un settore bancario sano nell'Unione Europea, anche le Sparkassen? Le
risposte dei massimi economisti tedeschi tendono a essere prudenti e quasi assolutorie, eppure qua e là
ammettono o lasciano capire che qualcosa non va. «Le Sparkassen si sono rivelate un fattore di stabilità
durante la crisi finanziaria internazionale», dice la professoressa Dorothea Schaefer, massima esperta in
materia del Diw, forse il più indipendente tra i grandi istituti di analisi economica qui. E aggiunge: «Non è un
problema di situazioni tipo 'too big to fail, le Sparkassen hanno i loro affari tradizionali con clienti tradizionali,
cioè depositi di risparmio e crediti ad aziende locali». Ma sulle Landesbanken già il giudizio di Schaefer si fa
più differenziato: «Sono state fortemente coinvolte nella crisi, e una, la Westdeutsche Landesbank, è stata
chiusa». E poi ancora: «I bilanci delle Landesbanken si sono molto rimpiccioliti, forse le Landesbanken sono
ancora troppe, sebbene gli sviluppi degli ultimi anni vadano nella direzione giusta. In tema responsabilità c'è
ancora molta strada da fare». Allora, continuare a chiudere? E come peserebbe ciò sul rating della potenza
egemone d'Europa? Qui le risposte si fanno più possibiliste e vaghe. «Visto che la maggioranza delle banche
tedesche hanno superato gli stress test, ciò riguarda sicuramente anche le Landesbanken esaminate»,
continua Dorothea Schaefer, e aggiunge: «E verosimilmente l'avrebbero superato anche la maggioranza
delle Sparkassen. I loro affari sono soprattutto locali e vista la stabile situazione economica non hanno tanti
crediti in sofferenza». Verità ufficiali, verità parziali. Le perdite delle Landesbanken negli ultimi anni
ammontano a miliardi di euro, per crediti e affari dubbi decisi e conclusi con l'intesa dei poteri politici locali.
Dalla Baviera, dove si parla appunto di 10 miliardi in rosso per lo scandalo dell'appoggio ad Alpe-Adria ai
tempi di Haider, fino alla LBBW, la Landesbank del ricchissimo BadenWuerttemberg, i cui dirigenti sono stati
oggetto di indagini della magistratura per sospetto di malversazione. O al caso limite della WestLb,
Westdeutsche Landesbank, quella che appunto è stata costretta a chiudere dopo aver parcheggiato i propri
affari più sofferenti e sporchi in una bad bank appoggiata dal potere pubblico locale. Il problema, dice Rolf
Hess del sito investigativo Jungle World, è anche la confusione giuridica: le Landesbanken sono 'istituzioni di
diritto pubblico', che però con le spalle coperte dai poteri politici si presentano sui mercati come banche
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d'affari. E insieme ai Bundeslaender, i loro proprietari o azionisti di riferimento sono le Sparkassen.
Coesistenza d'affari e interessi diversi, perché appunto le Sparkassen vivono di piccola clientela prima di
tutto, le Landesbanken appoggiano le grandi medie e piccole aziende locali. Con quali controlli, con quali
garanzie di rigore? La HSH Nordbank, la banca semipubblica dei Bundeslaender di Amburgo e
SchleswigHolstein, si è salvata di recente solo con aiuti per diversi miliardi di denaro dei contribuenti, dopo
anni di pratiche finanziarie disinvolte e di retribuzioni spaventosamente alte dei suoi dirigenti. La WestLB è
stata chiusa, come scrivevamo, ma solo per il pressing - un'eccezione - delle autorità di Bruxelles. I miliardi di
perdite alla fine erano diventati troppi: 1,2 miliardi di perdite dopo la restituzione alle autorità di 1,4 miliardi di
aiuti ritenuti illeciti dalla Ue nel 2004, poi 3,4 miliardi di altri aiuti illeciti denunciati e bocciati da Bruxelles nel
2010, alla fine (2013) perdite totali per 18 miliardi di euro. Dieci almeno, sempre secondo i media liberal
tedeschi, sono i miliardi bruciati dalla Bayerische Landesbank con Alpe Adria ma anche, denuncia la
Sueddeutsche, col controverso Bernie Ecclestone. E sospetti - nati in Austria sul conto della Bayerische
Landesbank - di falso in bilancio.
Foto: [ AL VERTICE ] Nella foto, il primo ministro tedesco Angela Merkel e il presidente della Banca Centrale
Europea Mario Draghi Il ceo di Deutsche Bank Juergen Fitschen (1) JohannesJörg Riegler (2) ceo di Bayern
LB Constantin von Oesterreich (3) presidente di Hsh NordBank
Foto: Sopra, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble (1) Ignazio Angeloni (2) Supervisory Board
Bce
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Adriano Bonafede
Il fondo immobiliare costituito a Bologna per realizzare nuove e moderne scuole pubbliche funziona in modo
semplice: il Comune ha conferito i suoi beni - edifici utilizzati come istituti educativi ma non adatti a tale scopo
- e si impegna ad alimentarlo con gli affitti. Invimit, la società che fa capo al ministero dell'Economia, è entrata
nel fondo con una quota e si è incaricata di far costruire le nuove scuole necessarie mentre poi ristrutturerà i
vecchi edifici e li metterà sul mercato una volta valorizzati. segue a pagina 8 segue dalla prima Poi la stessa
Invimit cercherà altri soci (è già arrivata Inarcassa, l'istituto di previdenza di ingegneri e architetti) che
investano soldi nel fondo in cambio di un rendimento, non elevato ma certo, intorno al 4 per cento. Alla fine
saranno tutti contenti: il Comune di Bologna perché realizzerà le nuove scuole necessarie guad a g n a n d o
c i a n c h e qualcosa dalla vendita dei vecchi edifici; chi ha investito nel fondo, perché avrà un rendimento
dignitoso per un investimento sociale; i costruttori e il loro indotto perché avranno finalmente lavoro. Il
classico uovo di Colombo per vendere finalmente gli immobili pubblici e rilanciare il mercato delle costruzioni?
Forse, ma di sicuro siamo di fronte all'innesco di un circolo virtuoso del Mattone di Stato, che per fortuna non
è più un fatto isolato. Invimit, infatti, ha già fatto l'istruttoria e sta per entrare con il suo Fondo di fondi in altri
quattro strumenti costituiti da enti locali. Perché il Fondo di fondi intervenga, infatti, devono essere rispettate
alcune condizioni: il fondo immobiliare locale deve essere già stato costituito anche con l'intervento dei privati
e il rendimento non deve essere inferiore al 3,5 per cento. Forse non un target goloso per i Soros o le
Goldman Sachs, i grandi speculatori immobiliari internazionali, ma un più che dignitoso impiego del capitale
per molti investitori istituzionali. La società di gestione del risparmio del ministero dell'Economia ha elaborato
e diffuso una sorta di "manuale" a uso degli enti locali in modo che questi possano comprendere quali sono le
condizioni cui devono sottostare perché Invimit possa investire. Invimit ha a disposizione per i suoi interventi
la somma iniziale di 1,4 miliardi fornita dall'Inail per investimenti in fondi immobiliari che diano un rendimento
obiettivo pur basso ma sufficiente. Ma non dobbiamo dimenticare che di questi tempi un Btp decennale rende
meno del 2 per cento. «L'idea che sta dietro al fondo dei fondi - dicono in Invimit - è di utilizzare questo
strumento per far crescere il Pil perché nelle varie valorizzazioni necessarie le imprese di costruzione hanno
lavoro». L'effettiva partenza di Invimit, guidata da Elisabetta Spitz e creata dall'ex ministro dell'Economia
Vittorio Grilli, è il vero fatto nuovo dopo tanti discorsi sul Mattone di Stato. Si sa che dietro questa partenza
c'è stato nei mesi passati un lavoro di crescita della struttura manageriale accelerato dal consiglio
d'amministrazione, in vista dell'approssimarsi della piena operatività. Un lavoro che ha portato e sta portando
all'arrivo di qualificati tecnici in grado di padroneggiare una materia, quella immobiliare, particolarmente
complessa perché piena di numerosi risvolti e di interessi contrapposti. Certo, rispetto ai tempi passati in cui
si annunciava trionfalmente una grande vendita (o svendita) di immobili pubblici per 400 o 500 miliardi, un
sogno a lungo covato da tanti che speravano di abbattere in questo modo parte del mostruoso debito
pubblico italiano, s t i a m o e v i d e n t e mente parlando di briciole. Finiti i sogni di gloria rimane la cruda
realtà: immaginare di vendere una massa così grande di immobili pubblici in poco tempo è quasi una
contraddizione in termini. A meno di non pensare a operazioni forzose (e qualcuno lo ha fatto) come la
creazione di un unico fondo nazionale e il suo collocamento obbligatorio presso i risparmiatori italiani ai quali
verrebbe riservato in compenso un piccolo rendimento. La minima entità degli attuali interventi di Invimit non
cambia anche se consideriamo l'operatività degli altri due soggetti mobilitati, e cioè la Cassa depositi e prestiti
e il Demanio. La Cassa, che peraltro continua ad avere una sua sgr e diversi fondi immobiliari (Fiv, per la
valorizzazione degli immobili pubblici; Fit, per gli investimenti nel turismo e Fia per l'housing sociale) ha nel
nuovo sistema il ruolo di acquirente da una parte e di "vetrina" per la vendita ai privati dall'altro. Acquirente
perché si è impegnata con il ministero dell'Economia e delle Finanze a comprare, per quatto anni, 500 milioni
all'anno di immobili che sono già stati regolarizzati dal punto di vista catastale con mutamento della
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Il Mattone dei Comuni si ricomincia da tre
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destinazione d'uso e quindi pronti per essere ristrutturati. Venditrice perché deve poi trovare un privato che
compri questi immobili. In tutto stiamo parlando di 2 miliardi in quattro anni, che sommati agli 1,4 di Invimit
costituiscono un intervento non enorme ma non disprezzabile. Altri interventi la Cassa li mette in piedi con i
tre fondi che abbiamo visto. C'è poi il ruolo del Demanio, che con una recentissima ricerca ha - provocando
un po' di sorpresa - di fatto ridotto a 58,9 miliardi di euro il valore del patrimonio effettivo dello Stato (vedi
grafico in pagina), la maggior parte del quale è occupato da uffici della stessa pubblica amministrazione
centrale (47,1 miliardi). Il lavoro al quale è chiamato il Demanio, oggi guidato da un politico, l'ex
sottosegretario Roberto Reggi, è importante e delicato perché va a ledere e smuovere interessi consolidati. Si
tratta infatti di razionalizzare gli spazi, risparmiare sui consumi e, per questa via, arrivare ad alienare (alla
Cdp principalmente) immobili detenuti inutilmente. In soccorso di Reggi c'è il Dl 66/2014 che costringe tutte le
Pa a ridurre del 30 per cento gli spazi utilizzati e del 50 per cento le "locazioni passive" entro il 2016. Vale la
pena soffermarsi su quest'ultima anomalia. Pur avendo a disposizione spesso immobili poco utilizzati o
addirittura chiusi, lo Stato spende cifre colossali, nell'ordine di miliardi, per prendere in affitto degli uffici dagli
enti locali - che, non dimentichiamolo, sono proprietari dei tre quarti degli immobili pubblici) o dai privati. Da
qui l'idea, obbligatoria per legge ma cavalcata da Reggi, di spingere verso la razionalizzazione. Ed ecco il
guizzo originale: è in dirittura d'arrivo il "Fondo locazioni passive" di Invimit. Caserme, prefetture, altri enti
dello Stato trasferirebbero a questo fondo il canone che pagano agli enti territoriali. Invimit subentrerebbe
nella proprietà consentendo agli enti locali di poter abbattere il debito con il ricavato. Poi lo stesso fondo
costruirebbe uffici più idonei, magari nelle periferie, liberando gli immobili più centrali, rimettendoli a posto e
infine cedendoli a prezzi di mercato. Demanio, Cdp e Invimit costituiscono dunque un "sistema tripolare"
capace almeno di uscire dalla palude delle parole vuote, valorizzando finalmente gli immobili pubblici e
risparmiando sulle spese vive degli affitti e della gestione. L'input politico fa riferimento al ministro
dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ma il coordinamento sul campo sembra far capo al nuovo direttore
generale del Demanio, catapultato lì con un blitz del governo dello scorso settembre, tanto da far immaginare
un piano dello stesso presidente del Consiglio Renzi o comunque da lui sostenuto. Ma Reggi non ha un
potere formale né sulla Cassa né su Invimt, le quali restano entità autonome ciascuna delle quali controllate
dallo stesso ministero dell'Economia. Il raccordo fra le varie iniziative è però necessario per evitare che, come
spesso accaduto, ogni ente corra per conto suo. Reggi è fortemente determinato a lavorare per realizzarlo in
termini sostanziali. Soltanto il tempo dirà se ci riuscirà. © RIPRODUZIONE RISERVATA FONDO INAIL
FONDO INPS FONDO REG LAZIO FONDO UNIVERSITA` FONDO STATO DIFESA FONDO LOCAZIONI
PASSIVE FONTE DIPARTIMENTO TESORO MEF BANCA D'ITALIA MEF
240 MILIARDI DI EURO A tanto ammonterebbe l'effettivo valore di tutti gli immobili pubblici, quasi la metà di
quello che era stato immaginato negli anni scorsi sulla base di una parziale valutazione del ministero
Foto: Qui sopra, Franco Bassanini (1), pres. Cdp, Piero Fassino (2), pres. Anci e Elisabetta Spitz (2), ad di
Invimit LA STRATEGIA Il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il ministro Pier Carlo Padoan (nella foto)
credono nella strategia dei piccoli ma concreti passi per valorizzare gli immobili pubblici
Foto: Nei grafici a sinistra, l'ultima valutazione del Mef sugli immobili pubblici Quelli degli enti locali
rappresentano i tre quarti del totale
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Ilva, voglia di Stato le lezioni dall'estero
Paolo Griseri
Nazionalizzare si può. Da slogan degli economisti della sinistra radicale la ricetta del ritorno dello Stato in
consiglio di amministrazione sta diventando realtà con il governo Renzi. Complice il disastro dell'Ilva, una
delle più grandi acciaierie d'Europa che senza la mano pubblica rischia la chiusura. segue a pagina 4 con un
articolo di Eugenio Occorsio segue dalla prima «Se perdessimo le produzioni italiane di acciaio spiega il
patron di Brembo Alberto Bombassei - questo avrebbe pesanti conseguenze sull'intero sistema della nostra
manifattura». Interesse nazionale dunque. E, pare di capire da quel che trapela negli uffici dell'esecutivo,
anche una presenza, temporanea, dello Stato, nell'azionariato. Per salvare non solo le migliaia di dipendenti
e l'economia di un'intera città. Ma anche una parte non irrilevante della struttura economica d'Italia. E'
davvero una bestemmia immaginare di avere, per quanto in situazioni eccezionali, il ritorno dello Stato
padrone? In giro per l'Europa non è peccato. Uno dei motivi che da noi rendono abbastanza impopolare il
ritorno del pubblico in cda è la storia del capitalismo italiano del Novecento. L'epoca dei boiardi, dei signori
dell'azione pubblica. Quando lo Stato produceva i panettoni della Sme e aveva la maggioranza delle quote
nelle società dei servizi. Quando alle assemblee Telecom i piccoli azionisti discutevano per l'intera giornata
sprecando energie in liti e tornei oratori fino al momento in cui un signore si alzava dalle prime file, andava al
microfono e con tono pacato faceva un breve discorso che suonava immancabilmente così: «Buongiorno.
Sono l'avvocato Tali e in questa assemblea rappresento il Tesoro (cioè, all'epoca, l'80 per cento delle azioni
n.d.r. ). Sono favorevole alla proposta presentata dal Consiglio di amministrazione e voterò sì. Arrivederci».
Fine dell'assemblea. Torneranno quei tempi? Probabilmente no e molti se lo augurano. Semplicemente
perché non è automatico che la proprietà pubblica, o anche solo una golden share pubblica, debbano per
forza coincidere con inefficienze e sprechi. Il caso virtuoso è quello tedesco. Dove grandi aziende
manifatturiere pubbliche non ci sono ma dove esiste una notevole capacità del pubblico di condizionare le
scelte delle aziende private. Ad esempio attraverso le quote dei Lander, i potenti governi regionali. Il Land
della Bassa Sassonia possiede il 19,9 per cento della Volkswagen, casa automobilistica indubitabilmente
privata. Quella minoranza di blocco in mano al governo regionale può fermare ogni decisione considerata
strategica per il futuro dell'azienda. Invano nel corso degli anni l'Unione Europea ha tentato di ottenere da
Berlino l'abrogazione della cosiddetta «legge Volkswagen» che garantisce il potere del socio pubblico fin dal
dopoguerra. Ancora lo scorso anno l'Ue ha perso di fronte alla Corte di Strasburgo l'ultimo ricorso. Il modello
pubblico/privato tedesco sembra in Europa quello che attualmente garantisce i migliori risultati economici.
Come è noto prevede anche un forte coinvolgimento dei sindacati nelle scelte delle grandi aziende. Il caso
della Francia è noto per il grande ruolo che gioca in ogni caso la mano pubblica. Anche quando, è il caso di
Air France, lo stato possiede solo il 15 per cento del gruppo nato dalla fusione con gli olandesi di Klm.
Oltralpe il peso delle scelte politiche è ben maggiore delle partecipazioni azionarie. Quando l'attuale crisi
industriale ha cominciato a far sentire i suoi effetti in Europa, il governo di Parigi ha deciso di stanziare 6
miliardi di euro a sostegno dell'innovazione della propria industria automobilistica. Non solo di Renault, in
mano pubblica dal 1935 al 1996, ma anche di Peugeot, all'epoca totalmente privata. Un finanziamento statale
che fece scandalo ma che consentì al governo di imporre ai costruttori nazionali di continuare a produrre in
Francia e non delocalizzare all'estero. Ancora oggi, dopo la privatizzazione e l'alleanza con Nissan, lo Stato
possiede il 15 per cento della Regie Nationale des Usines Renault. Mentre l'esecutivo di Parigi ha giocato un
ruolo decisivo nel salvataggio di Peugeot, da sempre privata e ora posseduta al 20 per cento dal governo e al
20 per cento dai cinesi di Dongfeng. Perché, nonostante gli aiuti di Stato e la presenza del governo nella
proprietà delle aziende, la mano pubblica non è riuscita a mettere al riparo le aziende dalla crisi e dal rischio
di soccombere. Del resto, nel settore automobilistico il ricorso alla mano pubblica è stato necessario anche
nel tempio dell'iniziativa privata: ancora oggi i puristi del liberismo rinfacciano al governo Obama i salvataggi
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[ L'INCHIESTA ] Un'immagine dell'Ilva di Taranto, che il governo vuole pubblicizzare
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di Chrysler e General Motors. Una storia certamente paradossale è quella del ritorno della Gran Bretagna alle
ferrovie pubbliche. La privatizzazione di Railtrack era stato uno dei vanti dei governi conservatori di
Margareth Thatcher. Cedere ai privati la gestione della rete dei binari era parsa una buona idea per
recuperare valore e far ritirare lo Stato da uno dei servizi chiave. Ma ben presto il piano si rivelò un disastro.
L'incidente del 17 ottobre del 2000, quando 4 persone morirono per il deragliamento di un treno ad alta
velocità sulla tratta Londra-Edimburgo, mise in evidenza le gravi carenze nella manutenzione affidata alla
società privatizzata. Soprattutto, i vertici di Railtrack si resero conto di aver esternalizzato ad altri privati tutte
le competenze di manutenzione: così la società non era più in grado di ricostruire la storia e i problemi delle
singole tratte. Presto Railtrack fallì: il timore di nuovi incidenti aveva imposto velocità commerciali troppo
basse finendo per paralizzare il traffico. Toccò allo Stato fondare (e foraggiare con i denari del contribuente)
una nuova società pubblica, la Network Rail, incaricata di rimettere in piedi la rete ferroviaria britannica. Il
piano di privatizzazioni dei governi di centrodestra guidati da José Maria Aznar aveva già portato nella
seconda metà degli anni Novanta 32 miliardi di euro nelle casse dello Stato spagnolo. Erano passate in altre
mani società come l'energetica Endesa, finita all'Enel, mentre di Telefonica era stato ceduto un pacchetto del
21 per cento. Ora invece il governo Raoy ha in programma la privatizzazione di Aena, l'operatore dei servizi
aeroportuali. Una società che vale 16 miliardi e che il governo di Madrid intende cedere al 49 per cento in due
tranches. L'obiettivo è quello di incassare, al netto dei debiti, circa 2,5 miliardi di euro. Rimangono ancora in
mano pubblica le ferrovie, che presto saranno a loro volta privatizzate a partire dalle linee di alta velocità
gestite dall'operatore pubblico Renfe che collegano Madrid alla costa. Un discorso a parte merita infine la
Tve, la tv pubblica spagnola che usufruisce di sovvenzioni statali e in cambio da quest'anno non trasmette più
pubblicità nei suoi programmi. Le possibilità di intervento pubblico in giro per l'Europa sono dunque numerose
e non necessariamente considerate un'eresia. Quasi sempre l'intervento delle casse dello Stato viene
giustificato con la necessità di tutelare attività economiche ritenute strategiche o di rimettere in sesto aziende
disastrate dalla mala gestione dei privati, com'è accaduto con le ferrovie inglesi. Quasi mai accade invece
quel che si è verificato per molti decenni in Italia: l'intervento della mano pubblica come ammortizzatore
sociale, per garantire cioè un reddito a decine di migliaia di persone che il sistema privato non sarebbe in
grado di mantenere. 4 AIR FRANCE RENAULT DEUTSCHE BAHN VOLKSWAGEN FINMECCANICA ENI
ENEL
[ GLI ESEMPI ] Alcuni esempi di aziende pubbliche presenti e future in Europa: l' Aena (1), l'operatore
aeroportuale spagnolo che il governo Rajoy vuole privatizzare; l 'Ilva ( 2), che il governo Renzi vorrebbe
affidare allo Stato; la Renault (3), da moltissimi anni a maggioranza pubblica; l'operatore della rete ferroviaria
britannica Railtrack (4), ripubblicizzato dopo una fallimentare privatizzazione negli anni '80 e ridenominata
Network Rail
Foto: Piero Gnudi (1), commissario staordinario dell' Ilva ; Alexandre de Juniac (2), presidente dell' Air France
e Carlos Ghosn (3), presidente della Renault
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Acciaio, un business dominato dai gruppi asiatici
IN TESTA ALLA CLASSIFICA, SPECCHIO DELLA FORZATA INDUSTRIALIZZAZIONE DELL'EST,
L'INDIANA MITTAL CHE HA ACQUISTATO LA FRANCESE ARCELOR, QUINDI NIPPON STEEL E POI
UNA LUNGA TEORIA DI NOMI CINESI: HEBEI, BAOSTEEL, WUHAN. SESTI I COREANI
Eugenio Occorsio
Ètutta asiatica la classifica dei gruppi mondiali dell'acciaio, quelli contro cui dovrà battersi la rinnovata Ilva,
privata o pubblica che sia. Un'impressionante lista di bandierine cinesi in primis e poi indiane, giapponesi,
sudcoreane, per la maggior parte gruppi nati negli ultimi decenni, quelli della prepotente industrializzazione
ad est. Per trovare un nome occidentale bisogna scendere fino alla casella 13, occupata dalla gloriosa US
Steel, peraltro con una produzione ormai ridotta a non più di 20 milioni di tonnellate. Che sono poi
esattamente quelli che potrebbe produrre, secondo la capacità installata, una rilanciata Ilva (ora siamo su
livelli assai inferiori, non più di 8 milioni autorizzati dalla gestione commissariale di cui solo 5,7 effettivamente
prodotti nel 2013). Per la verità il primo gruppo in classifica, l'ArcelorMittal, risulta con sede a Lussemburgo.
Ma è solo una soluzione, ovviamente, fiscale. In realtà i proprietari sono gli indiani della famiglia Mittal, che
hanno acquistato per 30 miliardi di euro nel 2006 la Arcelor (che derivava a sua volta dalla fusione della
francese Usinor, erede della storica siderurgia pubblica dell'Alsazia-Lorena, con la spagnola Aceralia). Fu
un'acerrima battaglia contro i russi delle Severstal che erano a un passo dall'affare: i Mittal si inserirono a
gamba tesa all'ultimo momento scompaginando i piani con un takeover ostile che alla fine ebbe la meglio su
quello concordato che invece stava per chiudersi. Non solo l'inizio fu rocambolesco: nel 2008 il Ceo Lakshmi
Mittal annunciò il licenziamento di 30mila dipendenti e la chiusura di diversi impianti specialmente in Europa
ma anche in America (quello della controllata Bethlehem vicino New York e quello della Ltv Steel nell'Illinois).
I travagli non erano finiti: pochi mesi dopo il gruppo fu coinvolto in un'accusa di cartello mossa dal
commissario europeo alla concorrenza Joaquin Almunia, che scoprì che 17 società siderurgiche europee si
scambiavano sottobanco informazioni e direttive per tenere artificiosamente alti i prezzi dell'acciaio da ben 18
anni. Finì con maxi-multe per tutti, e l'ArcelorMittal pagò la più salata (era la principale accusata). Oggi il
gruppo produce 96,1 milioni di tonnellate di acciaio: a conferma del trend orientale di cui si diceva, è un netto
calo dai 116,4 del 2007 mentre i concorrenti asiatici sono tutti in vertiginoso aumento. Al secondo posto in
classifica troviamo la Nippon Steel, che ha prodotto l'anno scorso 50,1 milioni di tonnellate con un secco
incremento rispetto ai 35,7 del 2007 a dispetto della crisi del Paese, aumento dovuto però per lo più al
merger con la Sumitomo Metal (nel 1970 aveva invece rilevato la Fuji Iron & Steel). Nata nel 1950, la società
è diventata forse più di qualunque altra il simbolo della ricostruzione e della tumultuosa crescita del Giappone
nel dopoguerra fino al ruolo di seconda potenza mondiale (oggi è stata superata dalla Cina e si batte spalla a
spalla con la Germania per restare sul podio). La Nippon Steel è oggi quasi miracolosamente visto
l'"ecosistema" in cui si trova ad operare, una società sana con 125mila dipendenti, 45 miliardi di euro di
fatturato e 2 di utile netto, ma in passato ha avuto i suoi guai. In particolare, nel 1981 scoppiò una violenta
crisi con la necessità di massicci licenziamenti: ma in osservanza alla (buona) abitudine giapponese di non
licenziare mai nessuno, a parte i prepensionamenti si inventò una serie di diversificazioni anche impensate,
dalla chimica fino ai semiconduttori, dal parco a tema Space World fino addirittura alla coltivazione di funghi
che utilizza il calore prodotto delle fornaci. La crisi fu comunque lunga da superare perché in quegli anni
stavano emergendo i concorrenti sudcoreani e di altre neo-tigri (infine la Cina), che facevano concorrenza
soprattutto per il costo del lavoro. Solo negli anni '90 la Nippon ne venne a capo, ma la vera svolta è degli
anni 2000, quando con il nuovo partner Sumitomo sperimentò nuove soluzioni tecnologiche (come il carbone
derivante dai rifiuti in plastica o nuove leghe superleggere per i container) che ripristinarono a forza di
investimenti da molti miliardi di yen la profittabilità. Il terzo gruppo mondiale del settore è la Hebei, colosso
cinese da 40 miliardi di dollari di fatturato nato nel 2008, così come cinesi sono la Baosteel (quarta), che ha
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[ IL RETROSCENA ]
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legato il suo nome a quella che è rimasta per molti anni la principale Opa sulla Borsa di Shanghai
(l'equivalente di 1,5 miliardi di euro nel 2000) e la Wuhan Iron and Steel. Sono tutte aziende statali, che
beneficiano più di quelle di qualsiasi altro settore, di una razionale e minuziosa pianificazione. Per ognuna
viene identificata un'area, poi le vengono assegnati i migliori ingegneri disponibili a seconda della zona e
della specializzazione, le viene attribuito un giusto numero di commesse pubbliche e l'accesso alle miglior
tecnologie disponibili. Oggi tutte e tre producono intorno ai 40 milioni di tonnellate, con aumenti esponenziali
soprattutto per la Wuhan che ha raddoppiato dal 2007 ad oggi. Al sesto posto compare la già citata e potente
sudcoreana Posco, fondate nel 1968 con 38,4 milioni di tonnellate prodotte (erano 31,1 nel 2007), 64 miliardi
di dollari di fatturato e 3,2 miliardi di utile l'anno scorso. In aggiunta, la Posco ha in corso una jointventure con
la Us Steel che ha un importante stabilimento in California. È un gruppo interamente pubblico: nel 1997 il
governo di Seul annunciò l'intenzione di privatizzarlo almeno in parte, ma i primi tentativi di emettere azioni
rivelarono una risposta di mercato così negativa che un anno dopo il progetto rientrò. La top ten della
siderurgia si chiude con un'altra sfilza di società cinesi - Jiangsu Shagang, Anstee e Shougang - e infine con
una giapponese, la Jfe. Per la cronaca, all'undicesimo posto c'è il gruppo indiano Tata, al 12° ancora uno
cinese, Shandong, e al tredicesimo come si diceva ecco gli americani. ARCELOR MITTAL LUSSEMBURGO
NIPPON STEEL GIAPPONE HEBEI STEEL GROUP CINA WUHAN STEEL GROUP CINA POSCO COREA
ILVA ITALIA
Foto: La classifica dei gruppi siderurgici del mondo, dove l' Ilva sta precipitando nelle zone più basse; a
destra la sede della Nippon Steel a Tokyo
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La Repubblica - Affari Finanza - N.41 - 8 dicembre 2014
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L'OSSERVATORIO SULLE POLITICHE RETRIBUTIVE 2014-2015 DI TOWERS WATSON CONDOTTO SU
500 AZIENDE MEDIO-GRANDI, APPARTENENTI A TUTTI I PRINCIPALI SETTORI AD ESCLUSIONE DEI
SERVIZI FINANZIARI, IN ESCLUSIVA PER AFFARI & FINANZA
Luigi Dell'Olio
La fuga dei cervelli, partita dai giovani neolaureati, rischia di allargarsi a quadri e dirigenti. Con ricadute
nefaste per la competitività delle aziende italiane. I manager che hanno varcato le Alpi negli ultimi anni
costituiscono già una schiera numerosa, da Vittorio Colao (ceo di Vodafone) a Diego Piacentini (vice
president di Amazon), da Luca Maestri (cfo di Apple) ad Alberto Cribiore (vice chairman di Citigroup), ma in
questi casi si tratta di professionisti che avevano già un profilo globale. Diverso è il discorso per quanti
decidono di trasferirsi oltreconfine nell'impossibilità di trovare condizioni contrattuali adeguate nel nostro
Paese. Il rischio è concreto a scorrere l'Osservatorio sulle politiche retributive 2014-2015 di Towers Watson
(condotto su 500 aziende, prevalentemente medio-grandi, appartenenti a tutti i principali settori ad esclusione
dei servizi finanziari), che Affari&Finanza pubblica in esclusiva. Si scopre che negli ultimi anni si è allargata
sensibilmente la forbice retributiva tra le professionalità elevate impiegate in Italia e negli altri Paesi europei.
Da noi un top manager (direttore, secondo la classificazione della ricerca), che pure non può lamentarsi a
fronte di una retribuzione lorda media di 228mila euro lordi annui, guadagna al netto il 14% in meno di un
tedesco e il 13% nei confronti di uno inglese. Non solo: il vantaggio è ormai quasi azzerato per le aziende
attive nella Penisola anche con i mercati emergenti come la Polonia e la Turchia. Il differenziale rispetto alle
retribuzioni nel resto d'Europa è ancora più marcato tra i dirigenti (nella ricerca vengono identificati così quelli
di seconda fascia), che in Italia portano a casa mediamente 110mila euro lordi annui e che in termini di
retribuzione netta significa il 13% meno degli omologhi francesi e britannici, ben il 20% rispetto a quelli
tedeschi. La situazione è particolarmente difficile per i quadri, che nell'ultimo triennio hanno visto addirittura
contrarsi le retribuzioni (-3,3%, ma la perdita di potere d'acquisto è superiore all'8% considerando l'impatto
dell'inflazione) e oggi guadagnano mediamente 55mila euro lordi. I quadri in Francia portano a casa il 38% in
più rispetto ai pari livello italiani e gli inglesi ci superano addirittura dell'80%. "Le riorganizzazioni aziendali
hanno colpito soprattutto questa fascia di lavoratori", spiega Rodolfo Monni, responsabile indagini retributive
di Towers Watson Italia. "Molti middle manager senior sono usciti dal mondo del lavoro e sono stati sostituiti
da profili più giovani, con retribuzioni contenute". Senza trascurare i casi dei contratti di solidarietà applicati
durante la crisi e di quelli rinegoziati al ribasso pur di salvaguardare il posto. Si difendono invece i sales
(51mila euro annui di media), che nell'ultimo triennio hanno visto crescere intorno al 15% le retribuzioni e oggi
guadagnano più o meno in linea con i colleghi europei. Un trend che si spiega con la persistente crisi dei
consumi nella Penisola, che spinge le aziende a premiare maggiormente i venditori più abili a districarsi in
questo contesto. Di positivo c'è che in Italia tendono a calare le differenze retributive tra uomini e donne. Tra i
quadri si aggirano intorno a un punto percentuale, che salgono a tre nel caso dei dirigenti. L'eccezione è
rappresentata dal settore vendite, dove la forbice arriva al 12%. "Va comunque detto che solo poche donne
arrivano a occupare posizioni di vertice: sono appena il 16% dei direttori attivi nelle aziende della Penisola, il
23% dei dirigenti e il 35% dei quadri", sottolinea Monni. Detto della situazione attuale, lo studio di Towers
Watson si proietta anche verso il futuro. Le aziende intervistate hanno messo a punto budget per gli aumenti
salariali di tutte le categorie di lavori sostanzialmente omogenee: per i direttori ci sono spazi per rialzi del
3,0%, per i dirigenti e i venditori del 2,9%, infine per i quadri e gli impiegati del 2,8%. Se queste intenzioni si
trasformeranno in decisioni concrete, i lavoratori italiani potranno prendere una boccata d'ossigeno,
considerato che l'inflazione è destinata a restare debole ancora per qualche tempo. Alla fine, molto dipenderà
dall'andamento dei conti aziendali, ai quali è legata la retribuzione variabile, che assume un peso crescente
via via che si sale nella scala delle responsabilità aziendali. S.DI MEO
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I manager italiani guadagnano sempre meno e ora guardano all'estero
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Foto: Nei grafici, le retribuzioni medie dei manager in Italia e il confronto con altri paesi
Foto: Qui sopra, Rodolfo Monni (1) e Diego Piacentini (2)
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Saipem ai minimi, i fondi pronti all'assalto
L'ANNULLAMENTO DEL GASDOTTO SOUTH STREAM, PER IL QUALE LA SOCIETÀ AVEVA CONTRATTI
PER 2,4 MILIARDI DI EURO, INSIEME ALLA PREVEDIBILE FRENATA DELLE NUOVE ESPLORAZIONI,
HA PENALIZZATO IL TITOLO E RISVEGLIATO L'INTERESSE DEI PRIVATE EQUITY
(l.pa.)
Davanti alla possibilità di un buon affare non ci sono controindicazioni geo-politiche che tengano. Così, i
grandi fondi di private equity anglosassoni non hanno potuto che applaudire Vladimir Putin quando ha
annunciato di voler cancellare dalle cartine geografiche il progetto South Stream. Improvvisamente, il
presidente russo si è trasformato da nemico delle economie occidentali nonché anti-democratico che vuole
invadere un paese sovrano come l'Ucraina, nell'uomo che potrebbe favorire un'operazione quanto mai
profittevole. L'annullamento del cantiere per la costruzione del gasdotto che avrebbe dovuto portare 63
miliardi di metri cubi di gas in Europa, passando sotto il Mar Nero, ha fatto crescere l'interesse dei grandi
fondi internazionali per Saipem. I quali ora sarebbero pronti a mettersi in fila con l'advisor Credit Suisse per
rilevare il pacchetto di maggioranza della società di ingegneria, il 42 per cento del capitale che Eni ha deciso
di mettere in vendita entro il 2015. Sembra un paradosso: come ha confermato la stessa società, le penali
previste in contratto coprono solo per una parte il mancato incasso, un contratto complessivo da oltre 2,4
miliardi di euro (di cui 1,25 già previsti per il 2015) anche se in una nota ufficiale ha scritto che «non è
possibile determinare gli impatti economici della sospensione in quanto non è nota la durata né è prevedibile
la decisione finale del cliente». Lo stop imposto dal Cremlino alla sua controllata Gazprom scombussola i
piani di Saipem. Tanto che l'ad Umberto Vergine - in un'intervista a Sole24Ore - ha ammesso che «il 2015
doveva essere l'anno del consolidamento e, invece, sarà ancora un anno di transizione». La batosta del
South Stream ha avuto immediate ripercussioni in Borsa. I titoli della società di Metanopoli hanno perso fino
al 15 per cento dal giorno dell'annuncio di Putin, arrivando a toccare il minimo storico a 9,7 euro, con una
capitalizzazione di 4,4 miliardi. Per Eni una perdita di valore che complica i piani di vendita: soltanto due anni
fa la società valeva 40 euro (massimo storico) e la quota in capo a Eni valeva 7,5 miliardi mentre ora si è
ridotta a meno di 2. Un crollo causato da due profit warning in poco più di un anno innescati dall'inchiesta
della procura di Milano su presunte tangenti pagate da dirigenti Saipem in Algeria che ha portato Vergine
(subentrato a Pietro Tali, indagato dai giudici) a svalutare molti contratti, aggiornandone i valori. Una
situazione di difficoltà culminata con il rosso con cui è stato chiuso il 2013 (404 milioni di perdite), cui si sono
aggiunte le revisioni al ribasso degli obiettivi del 2014, con il ritorno all'utile ma nella parte bassa della
forchetta annunciata al mercato (non più di 280 milioni). Tutto questo a fine ottobre, prima del crollo verticale
del prezzo del greggio - che potrebbe portare al blocco di molti progetti di ricerca di nuovi giacimenti a livello
globale - e dell'annuncio della Russia sul South Stream. Tutto questo spiega perché, nonostante le difficoltà,
sia cresciuto l'interesse per Saipem da parte dei fondi. Ovviamente, Eni non ha intenzione di vendere un
asset che viene comunque considerato un gioiello della tecnologia e con un portafoglio ordini importante. Una
società con profondi legami con le università italiane e con la filiera dell'energia: ecco perché si sta lavorando
anche a una possibile cordata con il Fondo Strategico della Cdp pronto a rilevare una quota del pacchetto in
mano a Eni, in alleanza con il fondo sovrano di un paese che conosce bene il business (Qatar o Kuwait) o la
tecnologia della ricerca di idrocarburi (Corea). Anche se a Eni conviene aspettare tempi migliori in Borsa.
Foto: In basso, l'ad Saipem Umberto Vergine (1) e Francesco Carbonetti (2), presidente
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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Milano
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L'IMPORTO DOVREBBE FERMARSI POCO SOTTO QUELLA CIFRA, IN LIEVE AUMENTO RISPETTO AI
18,35 RICHIESTI ALL'ASTA PRECEDENTE. MEDIOBANCA, BPER E UNICREDIT HANNO GIÀ ESAURITO
IL PLAFOND. LE RICHIESTE DI UBI E BPM
Vittoria Puledda
Le tesorerie delle banche italiane stanno facendo gli ultimi conti, ma i giochi sono praticamente fatti e non si
discosteranno troppo dal canovaccio già andato in scena nella scorsa Tltro, l'asta di finanziamento della Bce
finalizzata al sostegno dell'economia reale: anche al prossimo appuntamento dell'11 dicembre non ci sarà
ressa per prendere i fondi offerti dalla Banca centrale, al tasso dello 0,15%, ma certo l'asta non andrà
deserta. «Non mi aspetto una forte domanda all'asta Bce - conferma Angelo Baglioni, professore di
Economia politica all'Università Cattolica e redattore de la voce.info del resto non si può dare tutta la colpa
alle banche: la domanda di credito resta debole, le previsioni di crescita continuano a essere riviste al ribasso
e il rischio di credito rimane alto». Dai primi conteggi, dieci banche italiane chiederanno complessivamente un
importo che dovrebbe fermarsi poco sotto i 21 miliardi di euro rispetto ai 18,35 richiesti all'asta precedente
dallo stesso campione di istituti. Non parteciperanno a quest'asta perché hanno già ric h i e s t o t u t t o
l'importo disponibile (si possono richiedere fondi fino al 7% degli impieghi erogati al 30 aprile scorso, esclusi i
mutui) M e d i o b a n c a , Bper e Unicredit ( q u e s t ' u l t i m a probabilmente concorrerà per i fondi relativi
all'Austria, chiedendo due miliardi). Al contrario, farà il suo esordio in asta Tltro la Bpm, con una richiesta di
1,5 miliardi, così come parteciperanno per la prima volta Ubi (con una richiesta intorno ai 3 miliardi) Popolare
Vicenza (1,2 miliardi) e Veneto Banca (950 milioni). Per Intesa invece si tratta di una seconda puntata, ma
ben più corposa: a settembre erano stati presi 4 miliardi, ora dovrebbero essere 8,5. Quasi triplicata la
domanda per il Banco Popolare, che aveva chiesto un miliardo la volta scorsa e ora si attesterà a 2,7 mentre
Mps ha ripartito esattamente a metà l'importo: 3 miliardi a settembre, altrettanti ora. In generale, però, anche
questa seconda asta di Tltro ripropone il nodo dell'altra volta: la liquidità non manca, e anche a buon prezzo,
quel che è più difficile individuare sono impieghi remunerativi. La sensazione è che non poche banche si
stiano facendo avanti adesso solo perché altrimenti avrebbero la strada preclusa in seguito, alle altre aste
(trimestrali). Dal 2015 in poi, infatti, i finanziamenti saranno per importi parametrati all'andamento degli
impieghi nei periodi di osservazione pregressi (in teoria fatti proprio grazie alle due aste Tltro 2014):
insomma, chi non si fa avanti almeno in una delle due scadenze di quest'anno rimane escluso anche dalle
aste successive. Senza questo incentivo, è probabile che qualche banca non si sarebbe nemmeno
presentata all'appuntamento. Il coro, in generale, è infatti che il cavallo (le imprese) ancora non beve. «Alla
fine sono gli imprenditori che devono ritrovare la fiducia nel Paese e decidere se i segnali che ricevono dalle
istituzioni sono sufficienti per ricominciare ad investire - spiega Giuseppe Castagna, amministratore delegato
di Bpm - la cosa positiva è che se c'è la domanda, le banche hanno tanta liquidità a disposizione per fare più
impieghi. Per quanto ci riguarda, il nostro obiettivo è crescere nei prestiti». A livello di sistema, gli impieghi
continuano a scendere anche se a ritmo più basso; inoltre, gli ultimi dati aggregati si fermano ad ottobre:
troppo presto per valutare l'effetto delle aste Tltro. Un elemento qualitativo, invece, è abbastanza condiviso, a
livello di sistema: la concorrenza tra le banche, per conquistare clientela per fare impieghi, comincia ad
essere pressante. Per il momento riguarda quasi solo le società di maggiori dimensioni e di più alta
affidabilità, insomma dal circuito continuano ad essere abbastanza escluse le Pmi. Ma, ma dal punto di vista
dell'offerta, il mercato ha ricominciato a mettersi in moto. UNICREDIT INTESA SANPAOLO MONTE PASCHI
ICCREA BPER BANCO POPOLARE CREVAL CREDEM CARIGE MEDIOBANCA
Foto: 1
Foto: Qui sopra, l'ad di Intesa Sp, Carlo Messina (1) e l'ad di Bpm, Giuseppe Castagna (2)
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Bce, 21 miliardi alle banche italiane
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Foto: A destra, le sottoscrizioni delle banche italiane alla prima asta, nel settembre scorso, di Tltro
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NEGLI USA I RIACQUISTI DI AZIONI PROPRIE SONO ESPLOSI: PIÙ 20% NEL 2013, PIÙ 26%
QUEST'ANNO E PIÙ 18 NEL 2015. IN ITALIA LA SITUAZIONE È STABILE: LA METÀ LO FA PER
SUPPORTARE I PIANI DI STOCK OPTION DESTINATE AI DIPENDENTI
Filippo Santelli
Rompicapo quotidiano da direttore finanziario: come impiegare gli utili? Si possono reinvestire in azienda.
Oppure distribuire agli azionisti. La soluzione sarà sempre in mezzo, ma dopo la crisi la seconda opzione,
almeno negli Stati Uniti, sta assumendo un peso sempre maggiore. Cresce la quota di liquidità destinata ai
dividendi. Ma soprattutto esplodono i buyback , i riacquisti di azioni proprie da parte delle società. Su del 20%
nel 2013, del 26 quest'anno e ancora del 18 il prossimo, stima Goldman Sachs, quando toccheranno la cifra
record di 707 miliardi di dollari contro i 740 spesi in conto capitale. Un'impennata che in Europa, considerato
che qui si è partiti più tardi, potrebbe essere pure più decisa. Ma che a meno di sorprese non dovrebbe
coinvolgere il mercato italiano. Le nostre imprese ricomprano, certo, tra le ultime Eni, Impregilo e Gtech. Ma
più che come politica di redistribuzione lo fanno per alimentare i piani di stock option o stabilizzare l ' a n d a
m e n t o del titolo. Oltre Oceano sono in particolare i giganti high tech, seduti su montagne di liquidità, a
trainare la tendenza. Giusto un anno fa Microsoft ha annunciato un programma di buyback da 40 miliardi di
dollari. Solo nell'ultimo trimestre Apple ne ha spesi 17 in azioni proprie. Secondo Goldman Sachs il totale dei
riacquisti a fine anno per l'S&P500 sarà di 600 miliardi di dollari. Dopo il crollo del 2009, acme della crisi
finanziaria, una crescita costante, che nel 2015 porterà ad aggiornare il precedente massimo. Effetto della
fragile ripresa globale, spiega Carla Scarano, 37 anni, portfolio manager dell'azionario Usa per Anima Sgr. Gli
incentivi a investire in azienda, in assenza di chiare prospettive di crescita, diminuiscono: «Al di là della
ripresa americana l'Europa resta in stallo e la Cina dà segni di rallentamento. I Cfo delle multinazionali
rimangono poco fiduciosi». Più sicuri gli effetti dei buyback, spingere utili per azione e valore del titolo. Dalla
sua creazione nel 2007 il Bloomberg Buyback Index, paniere delle cento società Usa a più alta incidenza di
riacquisti, è cresciuto d e l 6 4 % , c o n t r o i l 2 5 % dell'S&P500. Ma non è detto che duri, avvertono gli
analisti. Facebook, per esempio, è stata premiata dalla Borsa proprio perché continua a destinare molte
risorse agli investimenti societari. Mentre le azioni Ibm sono state vendute, nonostante l'annuncio di un
buyback da 5 miliardi. Segno che un piano di riacquisto non basta a compensare i dubbi sulla crescita
organica: «Al mercato piace un utilizzo oculato della cassa. Ma se un'impresa fatica, quel che si vuole vedere
sono interventi sul business», dice Scarano. Alcuni economisti, per esempio Mariana Mazzucato, hanno
suonato un campanello d'allarme. Dirottare tanta liquidità sugli azionisti, dicono, potrebbe danneggiare
innovazione e crescita economica nel lungo periodo. Non secondo Scarano: «Si tratta comunque di risorse
che rimangono nel sistema: la ricchezza è trasferita, non distrutta». Dal 2016, poi, gli investimenti dovrebbero
tornare a crescere più veloci dei buyback, +8% contro +5%. Il boom di riacquisti, secondo JpMorgan,
potrebbe allora trasferirsi in Europa, dove la ripresa sarà anemica per molti trimestri e i buyback
rappresentano al momento solo l'1,2% della capitalizzazione dello Stoxx 600, contro il 3% abbondante
dell'S&P 500. Nelle ultime settimane Nestlè, Glencore e Moeller Maersk hanno varato operazioni su azioni
proprie per un totale di 11 miliardi: potrebbe essere un indizio. Anche qualche big italiana si è mossa. Salini
Impregilo ha da poco avviato un piano di riacquisto, fino al 10% del capitale, così come Gtech e Recordati.
Stm lo ha appena concluso. Mentre è in corso da inizio anno quello di Eni: nel mirino sempre il 10% del
flottante, per un impegno stimato vicino ai 6 miliardi di euro. Casi che però a sentire gli operatori non rivelano
una tendenza: «La situazione è stabile», commenta Nicola Giaretta, 50 anni, del Corporate solutions group di
Banca Imi, società che segue una trentina di quotate italiane in fase di buyback, circa la metà del totale.
Spiega Giaretta: «Il 50% lo fa per supportare i piani di stock option rivolti ai dipendenti». È il caso di Stm e
Recordati. «Un 30% per stabilizzare il titolo in caso di fluttuazioni eccessive», l'obiettivo di Gtech. «L'ultimo
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Eni, Salini Impregilo, Gtech la via nazionale al "buyback"
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20% per incrementare il valore della società». Eni per esempio, anche se l'operazione, annunciata a inizio
anno sta procedendo a rilento. «In Italia la tendenza è far approvare il buyback dall'assemblea e utilizzarlo
successivamente, in caso di necessità - conclude Giaretta - ma nella grande maggior parte dei casi non viene
poi attuato». «Nelle fasi di stress può essere un messaggio di fiducia per il mercato e sostenere il titolo»,
riconosce Alberto Zorzi, 49 anni, responsabile investimenti retail di Arca Sgr. Convinto però che i riacquisti a
Piazza Affari rimarranno limitati. Di certo i conti delle nostre quotate non scintillano. E almeno per le banche
negli ultimi mesi il problema è stato opposto: raccogliere capitale, spesso tra mille difficoltà. «In Italia i pochi
buyback sono inseriti all'interno di piani strategici pluriennali», spiega Vincenzo Capizzi, 43 anni, professore
di Finanza all'Università del Piemonte orientale. «Negli Stati Uniti invece sono usati in maniera tattica, come
alternativa ai dividendi». Spesso più conveniente, perché più flessibile: «Alzare la cedola crea nel mercato
aspettative future, mentre i riacquisti non vincolano». Più che di ciclo economico, allora, il professore ne fa
una questione di consapevolezza finanziaria: «Credo che con gradualità si diffonderanno anche in Italia».
FONTE COMPUSTAT AND GOLDMAN SACHS GLOBAL INVESTMENT RESEARCH
Foto: 1
Foto: Qui sopra, l'ad del Nyse, Jeffrey Sprecher (1) e l'ad di Borsa Italiana, Raffaele Jerusalmi (2)
Foto: A sinistra, la costante crescita dei buyback nel corso degli ultimi cinque anni
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Auto, linea di montaggio 2.0 per Marchionne rivoluzione a metà
LA NUOVA FILOSOFIA ADATTA I MOVIMENTI DELLA CATENA AGLI UOMINI: RUOTA LE SCOCCHE
PER RIDURRE LA FATICA E TAGLIARE LE PAUSE. UN SONDAGGIO TRA I DIPENDENTI DI TRE
STABILIMENTI ITALIANI MOSTRA PERÒ RISULTATI CONTRASTANTI
Paolo Griseri
Work in progress: sta cambiando il modo di lavorare in Fiat, ma non dappertutto agli stessi ritmi. La fotografia
che emerge dai 5.000 questionari distribuiti dalla Fim Cisl ai dipendenti degli stabilimenti italiani mostra
vantaggi e limiti del Wcm, la metrica introdotta da Marchionne, in Italia prima e in America poi. La filosofia del
nuovo modo di lavorare sembra semplice: diminuire la fatica contenuta in ogni singolo gesto degli operai in
linea e aumentare la produttività. La discussione sulla metrica è sempre stata il punto di incontro/scontro in
tutte le fabbriche del mondo. Perché chi decide la metrica ha in mano il potere. Non per caso l'introduzione
del Wcm ha scatenato lo scontro tra Fiat e Fiom e ha diviso i sindacati. Negli anni Sessanta e Settanta del
Novecento la metrica la decidevano i cronometristi: si sistemavano a lato degli operai di linea e misuravano il
tempo che ciascuno impiegava a compiere ogni singolo gesto. Poi sommavano i gesti e decidevano i tempi
necessari per chiudere un ciclo di operazioni prima di ricominciare da capo. Particolare decisivo perché quei
tempi definivano la velocità della linea e dunque la fatica che ciascuno compie durante la giornata. Il Wcm è
l'ultima evoluzione del sistema. Prevede postazioni di lavoro meno faticose. L'esempio classico è quello delle
lavorazioni sotto la scocca dell'automobile: un tempo svolte alzando le braccia e oggi realizzate ad altezza
d'uomo perché è la scocca che ruota su se stessa. Un dettaglio che riduce molto la fatica. Analogamente, il
Wcm prevede la preparazione dei pezzi in modo da evitare il più possibile agli operai gli spostamenti a lato
linea per prendere viti, tappi di gomma, guarnizioni. Oggi c'è un carrello che segue ogni addetto alla
postazione abbattendo i suoi tempi di spostamento. Sono solo alcuni esempi per far capire le innovazioni
concrete dell'ultima metrica. Che hanno avuto una conseguenza immediata: il taglio delle pause previste dai
precedenti accordi sindacali. Il ragionamento dell'azienda era semplice: se le innovazioni riducono la fatica, si
possono ridurre le pause per il recupero delle forze stabilite ai tempi del sistema precedente. Questo era
stato il primo oggetto di scontro con l'azienda e di divisione tra i sindacati: le riduzioni di fatica consentite dal
nuovo sistema giustificavano la riduzione delle pause? Ma il Wcm non è solo metrica. E' anche appiattimento
della tradizionale piramide aziendale. Anche qui più che inventare qualcosa di nuovo si organizza e si spinge
al massimo quel che era stato intuito negli anni precedenti. Nel sistema tradizionale per ogni dipendente
produttivo ce n'era un altro che svolgeva funzioni di controllo o amministrative. Organizzazione piramidale
che in Fiat era esasperata dalla tradizione militare sabauda. Abbattere il numero dei controllori e
responsabilizzare i controllati è stata una sorta di rivoluzione copernicana. Il passaggio dal capo al team, la
discussione comune sui miglioramenti del processo produttivo parevano un obiettivo irraggiungibile quando
vennero enunciati la prima volta nella Fiat di Romiti. Sembravano molto più realizzabili quando a dirigere il
gruppo è arrivato il manager con il maglioncino. Con il Wcm è davvero così? Davvero la piramide si è
appiattita, davvero le decisioni vengono prese anche dalle tute blu? La questione della fatica e quella del
coinvolgimento degli operai sono inevitabilmente i due punti dirimenti per rispondere al quesito di fondo: con il
Wcm in Fiat si lavora meglio? I 5.034 questionari restituiti alla Fim dei dipendenti Fiat rappresentano
certamente il più vasto campione di indagine svolto in tempi recenti negli stabilimenti italiani del gruppo. I dati
sono stati elaborati da docenti dei politecnici di Torino e Milano. La presentazione dell'analisi completa dei
risultati verrà fatta nelle prossime settimane a Roma a cura del Ciret, il centro interuniversitario dedicato alla
figura di Ezio Tarantelli. I primi risultati della ricerca sono stati anticipati nel maggio scorso al Politecnico di
Milano. Emerge innanzitutto che dove il Wcm è applicato in maniera estesa e completa, l'indice di
soddisfazione dei dipendenti è tendenzialmente maggiore. E' il caso dello stabilimento di Pomigliano dove più
del 77 per cento dei rispondenti dichiara che con il nuovo sistema è diminuita la fatica e, più in generale, sono
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Torino
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migliorate le condizioni di lavoro. Ma a Melfi solo il 18 per cento dichiara che oggi il lavoro è meno faticoso e
addirittura l'87 dichiara che è aumentato lo stress. Analogamente a Pomigliano ben il 96,3 per cento dei
rispondenti dichiara di «sentirsi parte di un team di lavoro» mentre a Melfi la percentuale crolla al 36,5, più
bassa di quella di Mirafiori Carrozzerie dove il Wcm non è introdotto perché si lavora qualche giorno al mese.
I risultati completi e l'interessante geografia interna agli stabilimenti italiani saranno commentati nel convegno
in calendario a Roma. Oggi si può dire che la trasformazione è a metà strada.
Foto: Qui a lato, i primi risultati del sondaggio condotto dalla Fim Cisl negli impianti di Melfi, Pomigliano e
Mirafiori
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La Repubblica - Affari Finanza - N.41 - 8 dicembre 2014
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I DATI DI UBS: DA NOI LA RICCHEZZA AUMENTA PIÙ VELOCEMENTE DELLA MEDIA EUROPEA. NEL
MONDO PER PORTAFOGLI SUPERIORI A 30 MILIONI DI DOLLARI IN TESTA GLI USA, IN EUROPA LA
GERMANIA . CHE PRECEDE REGNO UNITO, SVIZZERA E FRANCIA
Mariano Mangia
Roma Èuna ricchezza in gran parte ereditata, quella degli ultra milionari italiani, ma è una ricchezza che
cresce più velocemente della media europea. E' quanto emerge dall'ultima edizione del "Wealth-X and UBS
World Ultra Wealth Report 2014" che traccia una panoramica completa della popolazione definita Ultra High
Net Worth, i fortunati individui in possesso di un patrimonio netto ultra elevato, in soldoni, una ricchezza dai
30 milioni di dollari in su. Il numero di ultra milionari è cresciuto in tutto il mondo: a giugno 2014 erano
211.725, nuovo record, il 6% in più rispetto al 2013; rappresentano appena lo 0,004% della popolazione
mondiale adulta, ma detengono quasi il 15% della ricchezza complessiva, il loro patrimonio è misurato in
29.700 miliardi di dollari. Ricchi, ma con una predisposizione alla liquidità: quasi un quarto della ricchezza
totale, si legge nel rapporto, è detenuta in asset liquidi. A dispetto di un'economia che fatica a crescere, è
l'Europa a far meglio di America e di Asia in termini di incremento del numero di ultra-milionari, +6,5%, e del
loro patrimonio complessivo, 8.355 miliardi di dollari, in crescita dell'8,9%. La performance dell'Europa è
dovuta, secondo gli estensori della ricerca, alla sua solida reputazione e alle opportunità che molti dei suoi
mercati, relativamente stabili, offrono. L'Europa e in particolare l'Europa Occidentale sono diffusamente
considerati il "porto sicuro", tanto per il capitale finanziario che per quello umano. "Anche con un conflitto in
corso tra Ucraina e Russia, invece di vedere un forte calo nella popolazione e nella ricchezza Uhnw nell'area,
registriamo movimenti al suo interno di persone e di patrimoni. Questo fenomeno permetterà all'Europa di
mantenere la sua posizione di seconda maggior area geografica Uhnw del mondo nei prossimi cinque anni". I
tre paesi europei con una popolazione di ultra ricchi più ampia sono la Germania, che con 19.095 ultra
milionari è anche il secondo paese al mondo, dopo gli Stati Uniti, per numerosità e per patrimonio, il Regno
Unito e la Svizzera. Il nostro paese si colloca al quinto posto, preceduto dalla Francia e seguito dalla Spagna.
Sono 2.295 gli italiani che vantano una ricchezza personale superiore ai 30 milioni di dollari, il loro numero è
cresciuto del 10,6% nel 2014, contro una media europea del 6,5%, il patrimonio complessivo ha raggiunto i
270 miliardi di dollari, con una crescita del 14,9% ben superiore, anche in questo caso, alla media europea
dell'8,9%. Solo 250 di questi milionari sono di sesso femminile, ma, curiosamente, le donne hanno in media
12 milioni di dollari di patrimonio in più rispetto alle loro controparti maschili. Come si spiega la performance
del mercato italiano, visto l'andamento economico del nostro paese? La risposta degli estensori del rapporto
è che gli ultramilionari italiani traggono profitto da settori specifici, hanno costruito la maggior parte della loro
ricchezza in mercati di nicchia, come il tessile, l'abbigliamento e i beni di lusso, un'industria da cui derivano le
fortune di oltre il 13% di queste persone; altri due settori importanti sono il manifatturiero e le costruzioni, a
livello mondiale è invece il settore finanziario la maggior fonte di ricchezza. Uno dei motivi principali per cui la
popolazione più ricca del paese ha fatto registrare una crescita così elevata è rappresentato dal fatto che la
maggior parte di loro "adotta modelli di business orientati verso una dimensione internazionale, guarda oltre il
mercato interno, limitando così l'esposizione alle volatili, e qualche volta precarie, condizioni socioeconomiche del paese". I 2.295 ultra-milionari italiani possiedono solo il 2,5% della ricchezza totale del
paese, la quota più bassa tra tutti i paesi oggetto del report, un dato probabilmente influenzato dal fatto che
molti milionari, nati in Italia o eredi di facoltose famiglie italiane, si sono trasferiti in paesi vicini, come la
Svizzera, lasciando così alla fascia più alta della piramide del nostro paese una percentuale più bassa di
ricchezza rispetto alle altre nazioni analizzate nel rapporto. A caratterizzare la fascia più elevata di milionari
italiani è, tuttavia, soprattutto l'origine della loro ricchezza: in Italia, si legge nel rapporto, c'è una
predominanza di ricchezza ereditata. Solo il 41% della popolazione più ricca italiana è interamente self-made,
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In Italia crescono i milionari ma il patrimonio è ereditario
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di tutti i paesi analizzati nel rapporto, solo la Germania ha una percentuale altrettanto bassa. C'è un 24% che
conta esclusivamente su patrimoni ereditati e un altro 35% la cui ricchezza deriva in parte da eredità e in
parte è frutto della propria attività imprenditoriale o professionale, un patrimonio ereditato ma accresciuto,
quindi. Per aumentare la fascia di popolazione più ricca del nostro paese e la sua ricchezza, conclude il
rapporto, è necessaria una nuova ondata di imprenditori. Ma c'è speranza: la nuova generazione di ultra
milionari italiani è costituita da imprenditori e da persone che hanno ereditato ricchezza e più della metà ha
ulteriormente accresciuto tale ricchezza con le proprie forze. S.DI MEO [ LA SCHEDA ] I tre paesi europei
con la maggiore popolazione Uhnw sono Germania (19.095 individui); Regno Unito (11.510); e Svizzera
(6.635). La Germania è seconda al mondo, dopo gli Usa, sia in termini di dimensioni della popolazione che di
ricchezza. La popolazione Uhnw Londra controlla da sola quasi il 9% della ricchezza totale del paese. l 75%
degli individui Uhnw del Regno Unito è self-made, la percentuale più alta tra i paesi europei analizzati nello
studio.
Foto: AI 2.295 ultramilionari italiani il 2,5% della ricchezza totale
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La Repubblica - Affari Finanza - N.41 - 8 dicembre 2014
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Mix di valute per guadagnare, il dollaro in testa
L'ANALISI DI ADRIAN OWENS, DIRETTORE INVESTIMENTI DI GAM, PREVEDE CHE L'EURO
PROSEGUIRÀ NEL SUO CALO, MENTRE SI RAFFORZERÀ ANCORA IL BIGLIETTO VERDE. TRA LE
POSSIBILI SORPRESE POTREBBE SPUNTARE LA CORONA NORVEGESE
Luigi Dell'Olio
Londra «La diversificazione valutaria non può mancare nei portafogli di una certa consistenza, e questo vale
a maggior ragione oggi, a fronte di opportunità di rialzo un po' limitate delle altre asset class, dato che i
mercati azionari sono reduci da una lunga corsa e i bond hanno poco spazio di crescita a fronte dei tassi ai
minimi storici». E questa la convinzione di Adrian Owens, direttore investimenti di Gam, gruppo di asset
management quotato al listino Six Swiss Exchange di Zurigo con 124,1 miliardi di franchi svizzeri (poco più di
100 miliardi di euro) in gestione, nonché gestore del fondo Gam Star Global Rates e del fondo Gam Star
Discretionary FX. Nella seconda parte dell'estate l'euro ha cominciato a indebolirsi verso il dollaro e il trend è
proseguito fino all'inizio di novembre, mentre nelle ultime settimane si è assistito a una fase sostanzialmente
laterale intorno a 1,23-1,25, pur con diverse oscillazioni. A suo avviso si è raggiunto un livello di equilibrio tra
le due valute più importanti al mondo? «Direi di no, almeno se ragioniamo in un'ottica di medio periodo,
quella che dovrebbe sempre caratterizzare la clientela private. A nostro avviso, vi sono ancora spazi per una
discesa dell'euro, anche sotto quota 1,20, probabilmente fino a 1,15. In questo modo il cambio tra la moneta
unica europea e la divisa americana si avvicinerebbe alla media storica. Del resto, se guardiamo ai principali
indicatori dell'economia reale - dai nuovi ordini del settore manifatturiero all'andamento della disoccupazione si vede chiaramente che le due sponde dell'Atlantico hanno intrapreso direzioni opposte. A questo va
aggiunto, poi, il differente orientamento delle banche centrali, con la Fed che sta valutando il rialzo dei tassi,
mentre la Bce ragiona su ulteriori misure di allentamento monetario». Ritiene possibile un aumento dei tassi
negli Usa già nella prima metà del 2015? «Al momento è impossibile fare previsioni perché gli indicatori
economici non danno indicazioni chiare. Ma, nell'ottica dei risparmiatori, è più importante prendere
consapevolezza che il rialzo partirà con il nuovo anno, anche se sarà molto graduale, complice la mancanza
di pressioni inflazionistiche. Infatti, se da una parte la progressiva discesa del tasso di disoccupazione - ormai
al di sotto del 6% - fa immaginare una futura pressione sui salari, dall'altra il calo dei prezzi petroliferi aiuta a
raffreddare i prezzi». In questo scenario, sono possibili turbolenze a breve? «Come si è visto nelle ultime
settimane, potranno esservi aggiustamenti nei cambi tra le due valute, ma senza particolari scossoni. Il
dollaro è destinato a rafforzarsi anche perché questo trend può contribuire al riequilibrio dell'economia
globale. Vale la pena notare che i governi di Nuova Zelanda, Corea, Israele e Repubblica Ceca sono tutti
intervenuti per deprezzare le rispettive valute quando il dollaro si era indebolito». Ritiene che la forza del
dollaro potrà contagiare anche le valute dei Paesi più legati al biglietto verde, come il peso messicano e il
dollaro canadese? «Sì, soprattutto il peso perché il Messico sta registrando buone performance sul fronte dei
consumi interni e si sta dimostrando capace di attrarre investimenti dall'estero. Di recente, sia la Bmq, che la
Toyota hanno annunciato l'apertura di stabilimenti nel Paese, nonostante un costo del lavoro ben più alto
rispetto a molti Paesi asiatici. Le ragioni sono principalmente due: il dinamismo dell'economia messicana (il
Pil dovrebbe crescere intorno al 2,5% quest'anno e tra il 3 e il 4% nel 2015, ndr), favorito da una riforma
fiscale che incoraggia gli investimenti internazionali, e nella presenza di manodopera qualificata. Condizioni
ideali per servire il mercato interno e quello nord - americano». Vi sono altre valute con potenziale di
rivalutazione? «Guardiamo con interesse alla corona norvegese, che nelle ultime settimane ha sofferto per il
deprezzamento del petrolio. Abbiamo approfittato della debolezza attuale per incrementare la nostra
posizione, convinti da fondamentali molto solidi. A questo va aggiunto l'accelerazione dell'inflazione, che si
sta avvicinando al target della banca centrale, fissato al 2,5%. Un trend che dovrebbe spingere a una stretta
monetaria già nel corso del prossimo anno, mentre le stime fino a qualche tempo fa indicavano tassi fermi
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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INTERVISTA
08/12/2014
La Repubblica - Affari Finanza - N.41 - 8 dicembre 2014
Pag. 40
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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all'attuale 1,5% fino al 2016». L'andamento delle valute è il più difficile da stimare, considerato che i
movimenti non sono dettati solo dall'andamento delle rispettive economie nazionali, ma anche dalle mosse
delle banche centrali. Non ritiene che un'eccessiva esposizione su questo fronte possa alzare troppo il rischio
di portafoglio? «Riteniamo che la componente di investimenti in valute debba essere presente in un
portafoglio diversificato. Teniamo conto delle esigenze degli investitori e nel nostro fondo Gam Star
Discretionary FX puntiamo su un basket di valute che reputiamo destinate a un rafforzamento nei mesi a
venire». S.DI MEO
Foto: Adrian Owens direttore investimenti Gam gruppo di asset management quotato a Zurigo
08/12/2014
Corriere Economia - N.41 - 8 dicembre 2014
Pag. 1
Intervento pubblico: facile innamorarsi, difficile lasciarsi
MASSIMO FRACARO
La memoria corta dello Stato. Sono in tanti quelli che in questi mesi hanno bussato alla porta del Pubblico. E
molti altri seguiranno se non si troverà, finalmente, una via d'uscita dalla crisi. Se non si accelererà sul piano
delle riforme. La tentazione di ascoltarli (con il retro-pensiero di acquistare potere) è forte. Tanto le risorse
non sono mai un problema: si prendono dalle tasche dei cittadini... E poi su una spesa pubblica di 800
miliardi che differenza fa... Rispetto al passato, poi, manager bravi, globalizzati, sul mercato ce ne sono. Ma
quanti saranno in grado, una volta dentro, di capire che l'intervento pubblico, se proprio strettamente
necessario, deve essere breve e puntato alla rapida uscita e non alla permanenza dello Stato nell'economia?
Quanti ricordano i danni dell'ultima fase dell'Iri? E chi ha ancora in mente quanto ci è costato l'Efim (la crisi
dell'ente ha provocato perfino una crisi valutaria...). Negli ultimi anni avevamo assistito, finalmente, a una
parziale ritirata dello Stato. Ma anche alla crescita, grazie ai risparmi dei cittadini, del potere e della forza
della Cassa depositi e prestiti. Tutti hanno cercato di coinvolgerla per risolvere situazioni critiche o per
potenziare le infrastrutture. Certe volte è riuscita a resistere. Altre no. Ha fatto operazioni buone, investendo
su aziende che dovevano crescere. E altre volte no. Non sempre è stata chiara la finalità di certe sue
operazioni. In qualche caso gli interessi dei privati, beneficiati dagli interventi, sono sembrati prevalere su
quelli del Pubblico. Eravamo partiti dal fatto che si dovesse privatizzare e siamo arrivati a ipotizzare massicci
interventi statali. A spremere le aziende pubbliche per incassare lauti dividendi. Giusto occuparsi dei problemi
sociali e industriali. Non dimenticando, però, l'Iri, l'Efim, le vecchie Eni ed Enel ai tempi dei boiardi. Lo Stato
pasticciere ha fatto fin troppi danni. Non ha bisogno di nuovi dolcetti.
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IL PUNTO
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Corriere Economia - N.41 - 8 dicembre 2014
Pag. 1
Ilva e le altre Il rischio Iri: due leggi per avere più Stato
ALESSANDRA PUATO
Oltre l'Ilva ci sono altre aziende in difficoltà che potrebbero vedere l'intervento dello Stato. Italtel, per
esempio, o Natuzzi, Esaote. Al ministero dello Sviluppo ci sono 152 tavoli di confronto attivi per le imprese in
crisi. E nei diversi ministeri si lavora a strumenti di supporto pubblico. Uno è la revisione della congelata legge
181, che consentirebbe a Invitalia di rilevare quote nelle aziende: dovrebbe essere pronta a inizio 2015.
L'altro è un nuovo fondo misto, banche-Cdp, per ristrutturare i debiti. A pagina 2
Chi sarà il prossimo? L'Italtel, Natuzzi, Esaote? Oltre all'Ilva, ci sono altre aziende italiane in difficoltà che
potrebbero invocare l'intervento dello Stato. Sono meno grandi e diverse, ma rappresentano l'Italia
e il governo è al lavoro per trovare soluzioni. Un'idea, in queste o altre situazioni, è intervenire con il supporto
pubblico, cercando però di non replicare l'Iri. Non è semplice e la situazione è tutt'altro che definita.
Le novità
Al ministero dello Sviluppo (Mise) ci sono 153 tavoli di confronto attivi sulle imprese in crisi, coinvolgono 140
mila dipendenti (ultimi dati a fine novembre, vedi grafico; 152 tolta l'Ast di Terni, risolta la scorsa settimana).
Secondo fonti diverse, sono almeno quattro le possibilità allo studio per l'eventuale supporto dello Stato: 1)
rianimare la congelata legge 181, cioè Invitalia; 2) varare un fondo pubblico-privato fra banche e Cdp per
ristrutturare i debiti; 3) rilanciare la legge Sabatini per il finanziamento dei macchinari; 4) promuovere il credito
d'imposta sulla ricerca. Vediamo.
La legge 181/89 è quella per il rilancio delle aree industriali colpite da crisi di settore. Consente a Invitalia,
agenzia del Tesoro (ex Sviluppo Italia), di rilevare in minoranza quote delle aziende sane, dice ora la norma,
per uscirne dopo cinque anni e averle rilanciate. Settori attuali: manifatturiero, estrattivo, servizi, elettricità.
Per Invitalia, stoppata nelle partecipazioni quattro anni fa, sarebbe un clamoroso rilancio. «In questi anni è
mancato l'intervento diretto dello Stato nel sistema produttivo - dice Domenico Arcuri, amministratore
delegato -. Dal 2008 al 2013 il Pil dell'Ue è sceso dello 0,8%, quello dell'Italia dell'8,9%. Il Paese soffre una
crisi più profonda degli altri ma non ha disegnato un modello di sviluppo». Negli ultimi nove mesi, sottolinea
Arcuri, «solo per i contratti di sviluppo Invitalia ha promosso e finanziato investimenti per 1,8 miliardi, il 43%
dei quali con investitori esteri. In passato ha svolto un contributo nelle aree di crisi che può essere riproposto
in forme diverse». La 181? «Era stata messa in cantina, ora viene rinnovata. Noi eroghiamo contributi e
agevolazioni, ma anche acquistiamo capitale di imprese che investono. Nel primo trimestre 2015 dovrebbe
partire». Fra le aree d'intervento si pensa all'indotto siderurgico a Taranto, Napoli, Brindisi, Genova; a
elettrodomestici e ceramiche in Marche ed Emilia; alla bonifica intorno a Porto Marghera. Ci sarebbero
«centinaia di milioni da investire». Ma non tutti, al governo e nell'industria, sembrano d'accordo.
Il «turnaround»
Il fondo chiuso pubblico-privato di turnaround, per la ristrutturazione finanziaria delle aziende, avrebbe invece
una dotazione di almeno 500 milioni. Sarebbe finanziato da banche e Cdp. Le prime potrebbero convertire in
quote azionarie il debito con le imprese in portafoglio; la seconda entrerebbe con un 10-15%, ma dietro
garanzia del Tesoro, per proteggere il risparmio postale sul quale basa la raccolta. Non è semplice trovare la
quadra, perché per il Tesoro questo può significare l'aumento del debito pubblico.
Il neo-fondo potrebbe comunque, in linea teorica, essere utilizzato per Italtel, ma anche con Sirti, Fila, Safilo
(che nell'elenco del Mise non ci sono): aziende importanti, ma con debito alto. Peraltro, partecipate finora da
fondi privati.
La Finanziaria
Gli altri due strumenti sono entrambi per le aziende senza debiti. Con la Nuova Sabatini si concedono alle
aziende prestiti agevolati per l'acquisto dei macchinari, attraverso capitali messi a disposizione delle banche
da Cdp. La Camera ha appena approvato un emendamento alla Legge di Stabilità per ri-finanziarla in modo
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Pubblico Da Italtel a Natuzzi i piani anticrisi
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Corriere Economia - N.41 - 8 dicembre 2014
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da erogare altri 2,5 miliardi alle imprese: si vedrà l'esito degli ulteriori passaggi legislativi.
Il credito d'imposta per la ricerca, infine, prevede sconti sulle tasse alle aziende che investono in innovazione.
Ma è tutto da vedere.
Resta poi, naturalmente, il Fondo strategico (Fsi) della Cdp, con i suoi vincoli: aziende in utile e in settori
strategici. Interviene direttamente nel capitale delle imprese ma non può rischiare, gioca su imprese diverse
rispetto alle 152 all'attenzione del Mise. È ancora però allo studio, secondo fonti, l'ipotesi di un suo ingresso
in Ilva attraverso Arvedi (o una sua controllata), oppure attraverso Marcegaglia con un veicolo specifico: però,
diverso dalla newco già proposta.
Dei 153 tavoli di novembre al Mise, 18 riguardano aziende su tutto il territorio nazionale, per il resto con sedi
in pari quota a Nord e Sud. Fra i casi, Alcoa e Alcatel, Ideal Standard, e Valtur, Ferretti e Cementir. All'unità di
crisi del dicastero guidato da Federica Guidi lavorano giorno e notte, in contatto con i sindacati, e per una
crisi che si chiude ce n'è una che si apre. Settimana scorsa si è risolta Ast ed partito il tavolo sulla Sangalli di
Manfredonia, vetri a tecnologia avanzata. L'obiettivo è dare una risposta a tutte le crisi, da Termini Imerese
alle raffinerie. Fra i dossier scottanti, la Natuzzi che sembrava un caso risolto, invece no; la storia infinita di
Esaote; l'Idi, Istituto dell'Immacolata concezione che ha azzoppato la Nerviano Medical Sciences. Dietro le
tanta difficoltà non c'è solo la crisi di settore, ma anche la gestione. Dei privati.
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Foto: In questi anni è mancato l'intervento diretto del pubblico nel sistema produttivo. Noi siamo pronti
Progetti Domenico Arcuri, a capo di Invitalia
08/12/2014
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Pag. 1
Finmeccanica: più leggera e si spera più competitiva
fabio tamburini
A pagina 4
L'eventuale uscita da Mbda, il salotto europeo dei produttori di missili, in cui Finmeccanica è presente con
una partecipazione del 25 %, e la fine del programma avviato con i russi di Sukhoi per jet di nuova
generazione. L'intenzione di crescere nel consorzio Atr, leader negli aerei regionali, e le verifiche sulla
dismissione dell'americana Drs technologies, che fornisce servizi di elettronica per la difesa. Il ruolo sempre
più centrale degli elicotteri di AgustaWestland e la selezione delle attività nell'aeronautica di Alenia Aermacchi
sostituendo quella che l'amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti, chiama «carpenteria
metallica», cioè le attività a basso valore aggiunto, con prodotti di tecnologia avanzata. Questi sono i
passaggi chiave del piano strategico di Finmeccanica che, come annunciato dallo stesso Moretti nei giorni
scorsi, è allo studio e verrà presentato entro gennaio, con l'obiettivo di ridisegnare la mappa del gruppo.
Aria di svolta
Una dichiarazione, quella di Moretti, accolta con favore anche dai consiglieri di amministrazione perché il
clima è di attesa per una svolta vera, destinata a modificare il perimetro di uno dei pochi gruppi italiani con
dimensioni multinazionali. Punto di partenza, a sette mesi dalla nomina, sono due certezze
dell'amministratore delegato. Prima di tutto la necessità di trasformare Finmeccanica da conglomerata a
holding che punta le risorse disponibili su un numero ristretto di business in cui ha leadership sui mercati di
tutto il mondo, abbandonando settori e attività giudicate non strategiche. Poi l'emergenza debito, che richiede
interventi altrettanto determinati.
L'uscita da Mbda, il consorzio europeo costruttore di missili e tecnologie per la difesa, permetterebbe
d'incassare 1-1,2 miliardi, certamente non trascurabili per ridurre significativamente l'esposizione verso le
banche. Nell'ultimo bilancio è risultata intorno a 4 miliardi ma la media annuale, come ha dichiarato Moretti, è
molto superiore: 5 miliardi, con punte fino a 6 su ricavi che nel 2013 hanno superato di poco i 16 miliardi. Il
debito è davvero insostenibile? L'amministratore delegato ne è convinto anche se il suo predecessore,
Alessandro Pansa, era di opinione esattamente opposta.
La rinuncia a Mbda, peraltro, non è scontata perché significa abbandonare un consorzio che produce utili
(superiori al 10 % dei ricavi) ma che, soprattutto, permette di sedersi al tavolo delle grandi aziende della
difesa europea. E di partecipare a forniture che servono a completare la gamma di altri prodotti del gruppo o
di alleati, per esempio equipaggiando gli elicotteri di AgustaWestland e le navi militari di Fincantieri. Ecco
perché il rischio è di trarre un beneficio immediato dalla vendita della partecipazione, ma pagando pegno nel
medio e lungo periodo.
La selezione dei business su cui puntare è però la strada scelta da Moretti e dipenderà dalle analisi avviate,
d'intesa con i consulenti McKinsey, sulla redditività e sulle prospettive delle singole linee di prodotto, con la
rinuncia a quelle non sufficientemente profittevoli. La conseguenza, nell'immediato, potrebbe risultare una
caduta dei ricavi destinata a marginalizzare l'insieme del ruolo di Finmeccanica ma che, invece, secondo il
Moretti pensiero, funzionerà esattamente come la potatura delle piante, con meno rami ma più rigogliosi.
Scelta a Tolosa
Tra questi spiccherà Atr, la joint venture alla pari con Airbus group nel segmento del trasporto regionale. Atr è
un successo, ma risulta frenato nello sviluppo di nuovi prodotti da Airbus, che non intende fare concorrenza ai
più piccoli di gamma dei suoi aerei. Convincere i francesi a mollare la presa è davvero immaginabile? E, se
questo accadrà, l'Atr made in Italy riuscirà a sopravvivere avendo il quartier generale a Tolosa, in Francia,
circondato dall'ex partner? L'alternativa potrebbe essere mantenere la joint venture con Airbus e investire in
solitudine nello sviluppo, considerando che la piattaforma Atr è l'unico prodotto Alenia Aermacchi con
prospettive davvero interessanti sui mercati internazionali.
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La cura Moretti
08/12/2014
Corriere Economia - N.41 - 8 dicembre 2014
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Sempre nelle joint venture aeronautiche, molto probabilmente, è destinata a terminare un'altra alleanza: il
programma avviato con la russa Sukhoi negli aerei di portata regionale, che finora non ha avuto le
performance immaginate e che richiederebbe di essere rilanciato con investimenti significativi, difficili da
immaginare come priorità. L'operazione era nata con prospettive ambiziose ma non è mai decollata, anche
per problemi non banali di messa a punto del prodotto. In più, dopo le sanzioni decise per l'Ucraina, non è
certo un momento favorevole alle alleanze con partner russi.
Tra le potature annunciate sta andando avanti la cessione di Fata, nell'impiantistica, dopo lo scorporo delle
attività nella logistica, e sono in arrivo sia lo sfoltimento delle attività di Selex nell'elettronica civile sia il
verdetto finale sulla presenza nello spazio, cioè le joint venture con la francese Thales e la partecipazione in
Avio, leader nella propulsione spaziale.
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Foto: Top Mauro Moretti, da sette mesi alla guida del gruppo Finmeccanica Conferme Giovanni De Gennaro,
presidente del gruppo Finmeccanica
08/12/2014
Corriere Economia - N.41 - 8 dicembre 2014
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Unicredit La svolta verso l'hi-tech «Il nostro modello? Amazon»
Parla il dg Nicastro: «Più semplicità di utilizzo del web per avvicinare il cliente»
stefano righi
I principali concorrenti di Unicredit? Non sono Intesa, Banco Popolare, Ubi o, all'estero, BnpParibas,
Deutsche, Hsbc. Si chiamano Amazon, ApplePay, Paypal. Non sono banche, ma venditori di servizi,
soprattutto sono aziende globali che hanno stabilito un elevato standard qualitativo nel rapporto con la propria
clientela.
Cambiamenti
«In effetti - spiega Roberto Nicastro, direttore generale del gruppo Unicredit - più che a veri concorrenti ci
troviamo in una situazione di co-opetition , perché non è chiaro quanto Amazon, ApplePay e Paypal siano
competitor e quanto nostri cooperatori, partner di un certo modo di fare business. L'unica cosa chiara è che
Unicredit ha avviato un profondo mutamento del suo essere banca». L'hanno chiamata Trasformazione
Digitale ed è un progetto a cui sono stati destinati, nell'arco di cinque anni, investimenti per 1,5 miliardi di
euro. Una cifra importante, considerando che le architetture digitali, al netto del layout linguistico, saranno
disponibili in maniera uniforme in tutti i paesi in cui Unicredit è presente.
«Le direttrici su cui abbiamo sviluppato il nostro progetto di Trasformazione Digitale - spiega Nicastro - sono
molteplici. Volendo sintetizzare, le più importanti mi paiono essere la volontà di arricchire l'esperienza del
cliente e la semplicità. Se il focus è l'investimento nella customer experience , allora dobbiamo sapere che
oggi il nostro cliente si forma le proprie aspettative sul servizio che riceve da Amazon, che quindi diventa il
benchmark . E questa esperienza noi la ridisegniamo in continuo dialogo coi clienti con l'obiettivo di un
customer journey , lo abbiamo chiamato così, integrato, multicanale».
Unicredit offre insomma - come altre banche - diverse modalità di accesso ai propri servizi, dall'agenzia
bancaria, al tablet , dal pc d'ufficio allo smartphone . Piattaforme profondamente diverse che devono trovare
un momento di sintesi e sincronizzazione per facilitare l'esperienza del cliente e arrivare in minor tempo a
soddisfare la sua domanda. Evitando lo spiacevolissimo episodio del «riassunto delle puntate precedenti»,
che paga il costo certo della perdita di tempo e ingigantisce il rischio di perdere qualcosa strada facendo.
Nuova «app»
«L'aspetto poi più distintivo - sottolinea Nicastro - una vera e propria linea guida di tutto il progetto di
Trasformazione Digitale è la nostra marcata volontà di semplificazione. Oggi l'informatica è in grado di fornire
una massa enorme di dati che si traducono in operatività spesso complesse e distraenti. Ecco, noi non
vogliamo questo. Vogliamo cose semplici, applicazioni semplici, per facilitare l'esperienza del nostro cliente,
non per complicarla. È l'idea che ha portato in Italia a Subitobanca , la app appositamente pensata per un
pubblico digitale spesso sottovalutato, quello dei pensionati che si avvicinano alle potenzialità del web, i
cosiddetti silversurfers». In Subitobanca ha vinto il principio di sottrazione: meno cose, meno complessità. «Il
tutto per arrivare a offrire maggiore semplicità d'uso, non solamente per favorire gli anziani - evidenzia
Nicastro - ma anche per agevolare tutta quella fascia di clientela di prima immigrazione che non è ancora
pienamente a proprio agio con la lingua italiana».
Leadership
Oggi, in Italia, Unicredit conta circa 3,5 milioni di utilizzatori attivi dei servizi di Internet e Mobile banking, che
salgono a 5 milioni considerando i soli abilitati. Soprattutto il gruppo, che considerando la clientela ha una
quota di mercato in Italia che varia tra il 13 e 14 per cento - percentuali abbastanza simili al totale del parco
agenzie - arriva a superare il 25 per cento se si considerano i clienti digitali attivi. Quasi il doppio. A questo
risultato concorre per il 7 per cento Fineco, la digital bank del gruppo recentemente quotata in Borsa, e per il
18 per cento la banca «tradizionale». Cosicché, sia considerando i dati separatamente che aggregandoli,
l'impatto della digital bank all'interno del gruppo guidato dall'amministratore delegato Federico Ghizzoni
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La svolta Nel progetto Trasformazione Digitale il gruppo investirà 1,5 miliardi di euro in cinque anni
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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equivale a una percentuale da leadership nazionale.
«Cerchiamo di essere molto attenti alle esigenze della nostra clientela - conclude Nicastro -. In 20 paesi
ormai il digitale si integra con l'agenzia Unicredit, che permane vincente per i servizi a elevata intensità di
fiducia. La stessa Fineco, nostra punta di diamante e pioniere del digitale in Italia combina una multicanalità
di eccellenza con il servizio superpersonalizzato dei promotori. Poi c'è il servizio di Personal financial
manager e MoneyMap, che permettono un miglior controllo delle spese e dei risparmi. Sono già 700 mila i
clienti italiani che usano abitualmente queste opportunità. Ora lo esportiamo anche all'estero. Infine tutti i
servizi di semplificazione vera e propria, come la firma grafometrica che abbatte la produzione cartacea.
Siamo stati i primissimi in questo settore».
Il 2015 in casa Unicredit non sarà solo l'anno del rinnovo del board , con la discussione sul futuro del
presidente Giuseppe Vita che è già iniziata. Sarà anche il momento di una più profonda trasformazione
dell'intero gruppo creditizio nel segno della digitalizzazione dei servizi.
@Righist
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Foto: Piazza Aulenti Il direttore generale Roberto Nicastro
Foto: Amazon Il fondatore Jeff Bezos
Foto: eBay Il «ceo» John Donahoe
Foto: DEI CLIENTI SUL WEB 25% La quota di Unicredit che ha circa il 13% del mercato totale
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Corriere Economia - N.41 - 8 dicembre 2014
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Al Fondo italiano piace il paradiso delle viti inventato dal cavalier Brugola
CARLO TURCHETTI
Il Paradiso della Brugola. In un film del trio Aldo, Giovanni e Giacomo era l'insegna (di fantasia) di un negozio
di ferramenta. Nome icona, perché brugola identifica ovunque un prodotto usato in 50 stabilimenti
automobilistici al mondo (da Ford a Volkswagen, a Gm, da Peugeot e Renault a Volvo e Bentley). Ossia le viti
di fissaggio delle testate cilindri con il caratteristico incavo esagonale. E Brugola Oeb è l'azienda di Lissone,
alle porte di Milano, che ne produce per un miliardo e mezzo di pezzi all'anno, fin dal 1926 quando il
fondatore Egidio Brugola brevettò quelle viti con la testa cava. Oggi l'azienda guidata dal figlio Giannantonio,
cavaliere del lavoro, 71 anni, e dal nipote Egidio «Jody», di 35, si appresta a chiudere il bilancio con ricavi in
crescita dell'8% a 130 milioni. E forse un record planetario: il 100% dei ricavi all'export.
Per 88 anni è rimasto tutto in famiglia, a parte due piccole quote indirette di Fontana e Agrati, gli altri nomi
noti della bulloneria del distretto brianzolo. Ma presto il capitale verrà aperto a un partner di standing primario:
il Fondo italiano d'investimento (Fii) promosso quattro anni fa da Mef, Cdp, Abi, Confindustria e dalle tre
maggiori banche del Paese. Il fondo presieduto da Innocenzo Cipolletta e guidato dall'ad Gabriele Cappellini
sta infatti negoziando l'ingresso nella Brugola Oeb (una lettera d'intenti risulterebbe già firmata) per fornire
nuovi capitali destinati allo sviluppo. Top secret le cifre dell'affare, che però non dovrebbero discostarsi molto
dal ticket medio che Fii ha destinato ai 37 investimenti diretti fin qui realizzati (10-15 milioni) per quote di
minoranza nel range 10-20%.
Le officine brianzole hanno raddoppiato i ricavi dal momento nero del 2009, l'anno più buio per l'automotive di
Detroit, grazie alla ripresa del mercato internazionale (un record di 80 milioni di vetture a livello globale nel
2013), al parco clienti che è guidato da Ford e Volkswagen (in pratica manca solo Fiat Chrysler di cui non è
fornitore di riferimento) e alla tecnologia brevettata delle viti Polydrive, un'evoluzione del disegno esagonale. I
debiti sono scesi a una ventina di milioni, ben sotto il patrimonio. E l'ebitda ha superato l'8% del fatturato.
Anche l'andamento degli ordinativi lascia intravvedere uno spazio di crescita ulteriore. Ora c'è un nuovo
impegno da finanziare: il primo stabilimento all'estero nel Michigan destinato al cliente Ford, che dovrebbe
partire entro sei mesi con una cinquantina di dipendenti (alla casa madre di Lissone lavorano 300 addetti).
Da qui i colloqui avviati con il Fii che, pur avendo finora impegnato 785 milioni su una dotazione totale di 1,2
miliardi (tra partecipazioni in aziende e impegni in altri veicoli di private equity), ha ancora spazio per altri
investimenti diretti. Sempre con un orizzonte di medio periodo, prima di valutare l'uscita dal capitale, e con la
missione industriale di favorire processi di aggregazione ed espansione all'estero nel mondo delle medie
aziende.
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Foto: Brevetto Giannantonio Brugola, presidente delle officine Oeb
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Operazioni
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Corriere Economia - N.41 - 8 dicembre 2014
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Siti web Edison vince l'oro tra le aziende non quotate
Prima con 51 punti. La seguono Sea, Sace, Fs, Wind, Sisal Mercoledì 10 dicembre per tutti la premiazione al
«Corriere»
MASSIMO SIDERI
Edison, Sea, Sace, Ferrovie dello Stato, Wind, Sisal, Expo 2015, Chiesi, gruppo Menarini e Bnl. Ecco le dieci
migliori società, tra quelle non quotate, in termini di comunicazione finanziaria online. Per la prima volta la
ricerca Webranking Comprend-Lundquist - nota per quello che potremmo definire lo «stress test» sull'utilizzo
del web e dei social media per la comunicazione con gli stakeholder - ha allargato il proprio campo di analisi,
finora limitato alle maggiori società quotate in Europa, fino alle aziende non quotate.
L'obiettivo è capire come queste rispondano alla crescente richiesta di presa di responsabilità da parte dei
clienti e della comunità interessati a conoscere cosa sta dietro a prodotti e servizi. Edison, dunque, che è
stata considerata tra le società non quotate poiché in Borsa con sole azioni di risparmio pari al 2% del
capitale sociale, ha ottenuto un punteggio pari a 51, un risultato che le avrebbe permesso di superare lo
stress test delle cugine maggiori, quelle quotate (guarda la classifica su CorrierEconomia del primo
dicembre). Ma già dalla seconda posizione, quella di Sea, si scende a 39,5 punti mentre la terza si ferma a
32,4.
Dimensioni
In Italia le aziende fuori dal circuito di Piazza Affari rappresentano una parte fondamentale dell'economia. E
pur non avendo gli obblighi di trasparenza delle società quotate va considerato che, avendo un ruolo vitale
per il territorio, hanno stakeholder simili alle società presenti sul listino. «Spesso competono sugli stessi
mercati, devono attrarre dipendenti qualificati, hanno la necessità di mantenere buoni rapporti con i media,
viene loro richiesto di dare conto dell'impatto sul territorio, devono attrarre finanziatori ed eventualmente
investitori. E dunque - spiega Joakim Lundquist, fondatore dell'omonima società di consulenza - una
maggiore trasparenza dimostra l'abilità di governare la propria reputazione sui canali digitali, poiché permette
di ottenere una maggiore credibilità nei confronti degli stakeholder. Questa si traduce in un migliore accesso
al mercato dei capitali, una maggiore fiducia presso i consumatori e una maggiore capacità di attrarre i talenti
o di definire i temi chiave in un particolare settore».
In termini di risultati medi le aziende non quotate italiane mostrano poca trasparenza sui canali digitali. Il
campione comprende grandi aziende con un peso importante per l'economia del Paese, società a
partecipazione pubblica ma anche realtà che hanno mostrato in questi anni di considerare la quotazione nel
loro orizzonte temporale.
Numeri
In media queste aziende che sono state valutate sulla base di 78 criteri (contro i 100 delle quotate) hanno
ottenuto il 23% del punteggio massimo totale, contro il 42% delle altre. In generale mancano informazioni un
po' su tutto il range di elementi messi sotto la lente, tranne che per la sezione about us : almeno è rispettata
la tradizionale capacità della cultura italiana di saper parlare di se stessi. La sostenibilità, al contrario, non è,
evidentemente, considerata un fattore distintivo e l'84% delle aziende non presenta il bilancio di quest'area
per il 2013. Maggiore attenzione, se si confronta il risultato pari al 23% delle aziende contro il 30% delle
quotate, sembra esserci per i siti responsive, cioè con la capacità di adattarsi al tipo di device da cui l'utente
si collega. Una caratteristica che in piena migrazione al «mobile» riveste una particolare importanza in termini
di soddisfazione e accessibilità.
Passando all'analisi per settori merceologici colpiscono gli scarsi risultati ottenuti dai classici cavalli di
battaglia del made in Italy: moda e food, i due fanalini di coda con punteggi molto bassi. Nemmeno le società
che hanno espresso l'intenzione di collocarsi in Borsa negli ultimi due anni (alcune hanno poi interrotto l'iter di
quotazione) hanno ottenuto punteggi significativamente superiori al resto del campione (21,8 punti rispetto a
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Award Il test Comprend-Lundquist per la prima volta esce da Piazza Affari
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Corriere Economia - N.41 - 8 dicembre 2014
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18,3). La comunicazione digitale non viene utilizzata da queste società come strumento per creare
reputazione in vista di una possibile quotazione, per attirare investitori e per far conoscere l'azienda a un
pubblico più ampio. Sono proprio le aree relative alle informazioni finanziarie e alla governance ad aver
ottenuto i punteggi più bassi.
Mercoledì 10 dicembre, presso la Sala Buzzati del Corriere della Sera , si terrà l'annuale appuntamento
dell'Italian Webranking Award, durante il quale, oltre alla premiazione delle migliori società, si discuterà del
settore per condividere esperienze, risultati e obiettivi della comunicazione finanziaria online.
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Edison3 Sea Sace Ferrovie Stato Italiano Wind Sisal Expo 2015 Chiesi Gruppo Menarini BNL Enav Sky Italia
Sia Mapei Alitalia Barilla Bracco Lavazza Costa Crociere Gruppo Cremonini De Agostini Poste Italiane
Ferrero Intercos Gruppo Grimaldi Marcegaglia Fedrigoni Esselunga Ermenegildo Zegna Gruppo Coin Ilva
Coop Italia Perfetti Van Melle Segafredo Zanetti Api Favini Rai Artsana Calzedonia Bolton Group Gruppo Illy
Dolce & Gabbana Gruppo Armani Società 1° Fonte: Webranking by Comprend in collaborazione con
Lundquist Bruno Lescoeur, amministratore delegato Edison Alessandro Castellano, amministratore delegato
Sace Pietro Modiano, presidente Sea 1) Le 43 società sono state selezionate in base al fatturato, il numero di
dipendenti, la rappresentatività del marchio nell'ambito del «Made in Italy» e il peso sul sistema Paese, così
come l'essere prossime a quotazione o averla considerata in passato. 2) Il protocollo per le società non
quotate considera 78 criteri per un totale di 80 punti, ed è stato ottenuto eliminando criteri specifici delle
aziende quotate (informazioni sul titolo, informazioni per gli analisti, dettagli sul debito, ecc.) dal protocollo
Webranking 2014, che contiene 100 criteri per un totale di 100 punti. La «percentuale sul punteggio
massimo» permette di raffrontare il punteggio delle non quotate agli 80 punti totali e di confrontarlo con quello
delle società quotate (calcolato su 100 punti massimi). 3) Edison è considerata tra le società non quotate
poiché quotata solo con azioni di risparmio (che corrispondono al 2% del capitale socia
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Milano Finanza - N.240 - 6 dicembre 2014
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Rinvii pericolosi
Marcello Bussi
La reazione a caldo delle borse ha mostrato tutta la delusione dei mercati per il nulla di fatto uscito dall'ultimo
Consiglio direttivo della Bce. E così giovedì 4 dicembre a Piazza Affari il Ftse Mib ha chiuso in ribasso del
2,8%. Ma il giorno successivo ha messo a segno un rialzo del 3,4%, non solo recuperando tutte le perdite,
ma riportandosi addirittura sopra quota 20mila. Che cosa era cambiato nel frattempo? Niente. Anzi, venerdì 5
si è capito che quelle di un'acutissima divisione del Consiglio direttivo sull'opportunità di lanciare il Qe, ovvero
di acquistare titoli di Stato, non erano solo voci. Sul quantitative easing della Bce «c'è un conflitto di cui
dobbiamo discutere apertamente», ha affermato senza mezzi termini il governatore della Banca d'Italia
Ignazio Visco nel suo intervento alla celebrazione del centenario della nascita di Federico Caffè, il maestro
del presidente della Bce Mario Draghi, i cui insegnamenti, secondo alcuni critici, vengono quotidianamente
sconfessati dalle azioni dell'allievo. Visco ha spiegato che nei trattati europei viene dato alla Bce un mandato
«molto chiaro»: conseguire la stabilità dei prezzi. «Il problema», ha osservato il governatore, «è che, nel
momento in cui per conseguire questo obiettivo si acquistano titoli pubblici, si può mettere in discussione un
altro vincolo: non finanziare monetariamente i Paesi membri. È un conflitto di cui bisogna discutere
apertamente. Ci sono diverse considerazioni possibili, prima di esprimere un giudizio sull'ortodossia, la non
cooperazione o la ristrettezza mentale di alcuni o sull'interpretazione poco rigorosa di altri». L a d i v i s i o n e
e s i s t e, quindi. E non è limitata all'opposizione del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Secondo
il quotidiano tedesco Die Welt, infatti, Draghi avrebbe perso la maggioranza all'interno del direttorio della Bce:
tre dei sei membri avrebbero votato contro il documento da lui sostenuto. Ai no della tedesca Sabine
Lautenschlaeger e del lussemburghese Yves Mersch, che già si erano detti scettici sull'acquisto dei titoli di
Stato, si sarebbe infatti aggiunto quello del francese anche Benoit Coeure. Così si spiegherebbe il motivo per
cui Draghi non è passato all'azione giovedì 4. Il passaggio dell'esponente francese al fronte tedesco è
particolarmente preoccupante. Ecco perché Draghi, da qui alla prossima riunione del Consiglio direttivo,
composto da 24 membri in programma il 22 gennaio, cercherà di convincere la maggior parte dei recalcitranti
a dare il via libera al Qe, che in teoria può prevedere l'acquisto di qualsiasi asset a eccezione dell'oro, come
ha affermato lo stesso numero uno dell'Eurotower in conferenza stampa. Draghi ha anche ricordato che già
altre volte la Bce ha preso «decisioni rilevanti a maggioranza». Ma un conto è avere il voto contrario del solo
Weidmann, come è successo per il varo dell'Omt, il piano per acquistare i titoli di Stato di quei Paesi che ne
facessero richiesta a condizione che attuino le famose riforme strutturali (nessuno ne ha mai chiesto
l'attivazione, alla fine è stato solo un modo per dare un minimo di sostanza alla famosa promessa fatta da
Draghi il 26 luglio 2012, «la Bce è pronta a fare tutto il necessario a preservare l'euro. E credetemi: sarà
abbastanza»), un altro paio di maniche e lanciare il Qe con una maggioranza risicata, così come ha fatto
recentemente il governatore della Banca del Giappone, Haruhiko Kuroda, che ha dato il via a un nuovo super
allentamento quantitativo con solo 5 voti favorevoli e 4 contrari. Può darsi che per convincere il maggior
numero di esponenti del Consiglio direttivo, Draghi si prenda tempo fino alla riunione del 5 marzo nella
disgraziatissima Cipro, l'isola ormai nota per il prelievo forzoso sui conti correnti. Nel frattempo, grazie anche
al crollo dei prezzi del petrolio, Eurolandia potrebbe essere finita in deflazione conclamata, rendendo così più
difficile per Weidmann sostenere che in realtà il calo-greggio equivale a un mini-stimolo per l'economia. Il
problema è che più passa il tempo senza fare niente, più Draghi rischia di perdere autorevolezza. E nel
mentre la situazione rischia di deteriorarsi ulteriormente, come ha dimostrato venerdì 5 il taglio del rating
dell'Italia operato da Standard & Poor's, da BBB a BBB-, appena un gradino al di sopra della spazzatura ( si
veda il box a pagina 11 ). C'è poi il rischio che i mercati siano afflitti da una volatilità molto alta e che le
dichiarazioni del più marginale esponente del Consiglio direttivo della Bce possano provocare sconquassi. Il
tutto prima del mezzogiorno di fuoco fra Draghi e Weidmann del 22 gennaio. Sfida finale che potrebbe essere
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ASPETTANDO IL QE
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Milano Finanza - N.240 - 6 dicembre 2014
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rinviata al 5 marzo, ma non oltre. Perché un'ulteriore dilazione innescherebbe quasi sicuramente un patatrac
sui mercati, al punto da rimettere in discussione la sopravvivenza dell'euro. (riproduzione riservata)
SPREAD BTP/BUND GRAFICA MF-MILANO FINANZA Differenziale di rendimento tra i titoli di stato G'14 F L
MAASMOGND
INFLAZIONE EUROLANDIA 2013 2014 2012 '11
Foto: Mario Draghi
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Milano Finanza - N.240 - 6 dicembre 2014
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Il paradiso è perduto
Antonio Satta
Addio Lugano bella. Il canto degli anarchici di fine 800 diventerà l'inno di tutti quei correntisti italiani di banche
elvetiche che finora sono riusciti a mantenere l'anonimato nei confronti del fisco? A sentire un esperto come
Giuseppe Corasaniti, avvocato dello Studio Uckmar, la storia è ormai scritta. Domanda. Cominciamo
dall'inizio. Conviene aderire alla voluntary disclosure? Risposta. Dipende. E dipende da tanti fattori, a
cominciare da quanto tempo si detiene il deposito all'estero. Se sono capitali stagnanti da molti anni o sono di
più recente formazione. Se si sono formati in epoche remote, pur applicando il raddoppio dei termini di
accertamento, e pur considerando quel capitale come reddito sottratto a tassazione, ormai non si può più
tassare la fonte produttiva ma soltanto i rendimenti. Se viceversa il capitale è stato costituito in tempi recenti è
ovvio che l'amministrazione tributaria vorrà conoscere in modo analitico e preciso la genesi di quel deposito e
quindi sapere tutto degli imponibili sottratti che hanno alimentato quegli stessi investimenti. Se un
professionista non ha denunciato alcuni proventi, percependoli all'estero, nel momento in cui accede a questa
collaborazione volontaria dovrà ricostruire in maniera analitica, documentata e dimostrabile la storia di quei
compensi, nonché fornire ogni informazione sui redditi che quegli investimenti all'estero hanno prodotto. D. In
sostanza lei sta dicendo che conviene più per i depositi più remoti che per quelli recenti. R. Dal punto di vista
dei costi, non c'è dubbio che sia così. Ma non metterei la questione sul piano della convenienza. Stiamo
parlando di un'adesione necessitata. Questo non è uno scudo, ma un ravvedimento operoso di tipo speciale.
Il contribuente si autodenuncia e dichiara tutti gli investimenti che si sono formati nel corso degli anni. Il vero
problema, quindi, è la complessità della procedura, perché non solo si devono dichiarare le consistenze
detenute ma si deve ricostruire in modo puntuale l'origine degli investimenti, producendo anche i movimenti
bancari che li hanno determinati. D. Mettiamola in altri termini. Il prezzo è giusto? R. Il prezzo dipende
dall'obiettivo, che è quello di recuperare le imposte dovute, fino all'ultimo centesimo, Irpef, Irap, Iva, tutto.
Quindi non stiamo parlando di un condono o di uno scudo fiscale, ma come ho già detto, di un ravvedimento
operoso sui generis che consente di rettificare le dichiarazioni passate, con l'unico beneficio di ottenere una
riduzione delle sanzioni e la non punibilità dei reati tributari,o almeno di quelli più gravi. In sostanza non si
verrà puniti per le fatture emesse su operazioni inesistenti, per la sottofatturazione o per gli altri artifici
attraverso i quali si sono costituiti i fondi esteri. Le tasse, invece, bisognerà pagarle. D. A proposito di reati
penali. La nuova formulazione dell'autoriciclaggio funziona o no? R. C'è ancora molto dibattito. Certo è
difficile tracciare un confine netto sull'utilizzo personale (non punibile) rispetto alle altre fattispecie. Mi spiego:
se con i soldi depositati all'estero ho acquistato la casa in cui abito e in cui, magari, ho anche lo studio
professionale, si tratta di un reimpiego per attività personali o per attività finanziarie o economiche? Nel primo
caso non sarei punibile nel secondo sì, ma come si fa a distinguere le due fattispecie. E se con i soldi ho
acquistato un quadro, l'ho fatto per il mio gusto personale o per speculazione? Forse servirà ancora qualche
aggiustamento, almeno interpretativo. D. Mi scusi, gliela formulo in maniera diversa, ma la domanda è
sempre la stessa: perché chi ha portato i soldi all'estero dovrebbe farli rientrare? Che convenienza ha? R.
Continua a metterla sul piano della convenienza. La realtà è che non ha alternativa. Lo scambio
d'informazioni tra i paesi è un processo inarrestabile, basta vedere come il Facta sta cambiando i rapporti tra
gli Stati Uniti e le altre nazioni. Anche Guernsey e le Isole del Canale si stanno adeguando al nuovo sistema.
Con la Svizzera è solo questione di mesi. La situazione è veramente cambiata, anche rispetto ai tempi dello
scudo fiscale. In più c'è la novità del reato di autoriciclaggio. Non c'è alternativa all'emersione. D. L'obiettivo
del governo d'incassare almeno 5 o 6 miliardi di gettito è realistico? R. Non saprei fare una stima precisa.
Certo in questo anno e mezzo di gestazione delle norme alcune procedure d'emersione sono già state
avviate e altre addirittura concluse, generando gettito fiscale aggiuntivo. In ogni caso ogni operazione fa
storia a sé, un conto è l'emersione di capitali contenuti, che fanno riferimento a persone fisiche e un altro è il
SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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RIENTRO CAPITALI/2 INTERVISTA
06/12/2014
Milano Finanza - N.240 - 6 dicembre 2014
Pag. 17
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SCENARIO POLITICO/ECONOMICO - Rassegna Stampa 08/12/2014
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caso di cifre consistenti detenute magari attraverso soggetti interposti. Con lo scudo fare previsioni era
semplice, tanti soldi emersi, tanto gettito incamerato, bastava fare un calcolo percentuale, qui stiamo
parlando del recupero di tributi molto diversi tra loro. (riproduzione riservata)
Foto: Giuseppe Corasaniti
07/12/2014
The Sunday Times
Pag. 42
Nicholas Farrell @stforeign
ITALIAN farmers are resorting to video cameras and armed guards to protect olive groves as soaring prices
attract thieves to what is left of their ravaged crops.After torrential rain in July and August, followed by
apocalyptic hailstorms in September, olive production has slumped by 40% from the average and wholesale
prices have doubled.The weather created ideal conditions for the olive's deadliest enemy - a fruit fly,
Bactrocera oleae, whose larvae disfigure the fruit and destroy its taste.Olives are harvested between
November and December and in some parts of Italy the harvest is 90% down on last year. Italy is the world's
second-biggest olive producer after Spain, where the outlook is just as bad. The Mediterranean grows 90% of
the world's olives.The crisis has encouraged criminals to steal olives or olive oil from farmers, especially in the
southern regions of Calabria and Puglia.It has also prompted them to palm off inferior foreign oil, especially
from north Africa, as Italian. Tunisia has enjoyed a vintage olive harvest this year."Last year the average
wholesale price of olive oil was €3 [£2.40] a litre; this year it is at least €6," said Giampiero Cresti, of the
Association of Tuscan Olive Farmers, a cooperative that represents 800 growers. "For Tuscan olive oil it is
now €9 or €10, compared with €6 or €7 in 2013."Producers are desperate to keep prices down and are using
reserves from the 2013 harvest to meet the shortfall so as to avoid passing the price rise on to consumers.
But experts say the cost of a bottle of basic supermarket olive oil, currently around £3.40 a litre in Britain,
could rise by £2."It's the worst crisis any of us can recall," said Cresti. "No one is going bankrupt yet, but only
because olive farmers don't just rely on olives, but are diversified."Some olive farmers are asking regional
governments to declare a state of emergency and provide them with cash help. Growers in Arezzo, in
southeast Tuscany, told the city council last week the crisis risked causing "the death of an entire agricultural
sector, which would have devastating economic and social consequences for our community".
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Gangsters and fruit flies terrorise Italy's olive farms
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Science poilitique
Autrefois, les députés et les ministres de la lit République la portaient bien fournie. Aujourd'hui, la barbe a
disparu en politique. Petite théorie d'un poil devenu rebelle
PHILIPPE AZOURY
On caresse là peut-être le livre le plus drôle de l'année, en tout cas le moins barbant : taillé à la serpe (143
pages qui rentreraient dans la poche d'un jean). « La Barbe ! », de Xavier Mauduit (agrégé en histoire,
producteur d'émissions sur France-Inter et Arte) est un précis qui pique quand on l'embrasse. Il a la drôlerie
de faire l'historiographie d'une disparition : celle de la barbe en politique. Mais, histoire de ne raser personne,
il le fait tout en fantaisie, sous la forme semi-hallucinée d'une correspondance mail entre l'auteur
([email protected]) et Julien ([email protected]), oui, Julien l'empereur (331-363) qui
la portait plutôt en pointe avant un jour de la tailler, en ayant soupe des railleries sur sa barbe. Pauvre
Julien... L'apostat ne pouvait savoir qu'il lançait là un mouvement de fond qui habite aujourd'hui l'ensemble de
la classe politique française : une politique glabre, qui n'irrite pas le discours, qui ne va jamais contre le sens
du poil. Une politique de politiciens rasés. De droite comme de gauche, le barbu a bel et bien disparu du
champ politique. Les visages, tous semblables, voudraient nous faire croire qu'ils n'ont plus rien à cacher.
Quand, à l'inverse, on peut tout aussi bien se dire qu'ils ont perdu du poil de la bête. On a beau chercher, il
n'y a plus grand monde : où êtes-vous Charles Hernu, et derrière vous, où sont passés ces colliers socialistes
qui fleuraient bon le congrès d'Epinay ? Disparue avec l'union de la gauche, la barbichette façon nain de
jardin ou santon de Provence que seul Robert Hue garde encore, contre vents, marées et glasnost ? Envolé
avec le Grand Soir, le poil contestataire, cette barbe en désordre et libre, que portait tout gauchiste qui se
respectait dès le 22 mars 1968 ? Où s'est enfoui le temps où la droite aussi s'affichait barbue (on met de côté
l'éternelle exception Séguin, qui sur la fin la portait « à la Pialat »). Oui, il faut être historien comme Xavier
Mauduit pour se souvenir de la partie de billard à trois barbes que se livrèrent les orléanistes (qui arboraient
des favoris), les légitimistes (qui leur préféraient le collier à la Henri IV) et les bonapar- / tistes (barbichette
toute). Tout ça a bel et bien disparu d'un coup de rasoir. LE BUSINESS POLITIQUE Pour Philippe Moreau
Chevrolet, conseiller en communication politique, la fin du poil en politique est le signifiant absolu d'une
génération politique qui se vit en chef d'entreprise : « L'homme politique veut montrer qu'il gère les dossiers,
parfois 24 heures sur 24, toujours sur le pont, le doigt sur la couture du pantalon, ne prenant jamais de
vacances. Il doit être mince, sportif, performant. La barbe est désormais réservée en France à ceux qui se
sont mis en retraite ou ceux qui veulent bien apparaître de temps en autre dans un magazine en "mode
week-end" ; alors la barbe devient un insigne vestimentaire, un prolongement du "casual friday". » La
première image qui vient à l'esprit est évidemment celle d'un Sarko retiré des affaires et qui, n'y pensant plus
en se rasant le matin, en oublie complètement de la raser. Cette petite barbe circa 2012-2014, qui lui donnait
de faux airs de « bad boy gay » selon le mot extraordinaire de Roselyne Bachelot, a disparu, aussitôt
amorcée sa tentative de reconquête de l'UMP. A gauche, l'image de DSK à Rikers Island, façon usual
suspect, a fait beaucoup de mal. On a ainsi vu un strauss-kahnien, Jérôme Guedj, lâcher dans le même
mouvement sa barbiche un rien d'Artagnan et son mentor. On remarquera chez les lisses éléphants du PS, la
valse-hésitation d'un Moscovici, effaçant toute trace de barbe à son entrée au gouvernement Ayrault, ou au
contraire la barbe repoussant sur le visage de Benoît Hamon, une fois la liberté de parole retrouvée après
avoir quitté le gouvernement Valls. Le cas Frédéric Cuvillier est unique : en juin, en pleine crise, le ministre
des Transports aimait faire un point média au petit matin. Et bien sûr, il adorait le faire non rasé, tant la nuit
avait été longue en négociations. Il y a un moment dans le bras de fer politique où on a plus important à faire
que de se raser le matin. HOMME RASÉ, HOMME LISSÉ Pour le reste, c'est la non-identification à tous les
étages. Si on veut reconnaître une couleur politique, il faut chercher du côté de la cravate (violette chez JeanChristophe Lagarde, de l'UDI, rouge chez Mélenchon). Comme si l'imagerie politique vivait encore sous les
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HISTOIRE TENDANCES
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prédictions apocalyptiques de François Mitterrand déclamant qu'après lui il n'y aurait plus que des
comptables. Lesquels ont tous voulu ressembler désespérément à des comptables. Au risque d'asseoir l'idée
d'une pensée unique passant par une représentation unique du politique. C'est en historien que Xavier
Mauduit pose la question de la synthèse impossible entre la différence des idées et l'indistinctibilité des
apparences : « D'une part les idées de l'homme rasé ne sont pas celle de l'homme barbu ; d'autre part, la
barbe s'est raréfiée en politique : est-ce là l'explication de la pensée unique ? » Même inquiétude du côté de
Philippe Moreau Chevrolet : « L'absence d'identification visible appuie la thèse UMPS, et c'est quelque chose
de dangereux à quoi les politiques devraient faire attention. A l'heure où le trentenaire urbain, ayant compris
deuxtrois choses des codes de la société dans laquelle il vit, porte quasi obligatoirement la barbe, nos
politiques, comme avec un train de retard, l'ont éliminée en tant que signe. » Pourtant, comme Xavier
Mauduit l'écrit dans son livre, « la barbe a une utilité symbolique. Elle affiche la force, la virilité et la
domination. Quand sont apparues les premières civilisations, elle fut un signe de puissance ». Les mauvaises
langues voient en son effacement, une métaphore de l'impuissance du politique. D'une politique qui
n'accroche plus ? Mais déjà Philippe Moreau Chevrolet observe un nouveau virage dans la représentation
politique dont l'incarnation est Matteo Renzi : « Le président du Conseil italien s'imagine lui aussi en chef
d'entreprise, mais il se met du côté de l'innovation, de l'entreprise cool, des "start-uppers". Dans cette
logique, la barbe comme insigne politique devrait revenir. » Nous devrions le savoir, et depuis longtemps : en
politique comme en toute chose, la jeune barbe toujours repousse. D - La Barbe ! La politique sur le fil du
rasoir ». de Xavier Mauduit, Les Belles Lettres, 9 euros.
MEDIAS
SoPresse P. 126
MODE D'EMPLOI
Lebonnet P. 127
Linge de maison®
p. m
Foto: Nicolas Sarkozy. Benoît Hamon.
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Closer Voici
HEBDO DU GROUPE PRISMA MÉDIA CRÉÉ EN 1987 IDYLLE AU PALAIS C'est la photo derrière laquelle
couraient tous les paparazzis depuis un an : François Hollande et Julie Gayet ensemble. Pionnier de la
presse people en France, « Voici », qui s'était laissé distancier sur ce sujet par « Closer », a décroché la
timbale en publiant la photo des amoureux, attablés, en tête à tête dans les très privés jardins de l'Elysée. La
semaine suivante, il remettait une pièce dans le juke-box avec cette une : « II a revu Valérie en secret ».
TAUPES SARKOZYSTES ? L'Elysée n'a pas cru une seconde à l'affirmation de « Voici » selon laquelle la
photo aurait été prise au téléobjectif depuis une planque située hors de l'enceinte du palais. Le cliché
indiscret devient un fait politique dès lors que le couple a été photographié avec un smartphone depuis une
des fenêtres de l'appartement privé. Selon l'Elysée, quatre des cinq coupables potentiels qui travaillaient au
service privé du président avaient été nommés par Sarkozy. Et la photo litigieuse a transité par Sébastien
Valente, ami de Caria Bruni et photographe attitré de Sarko... POLITIQUE COMMERCIALE En 2013, les
ventes de « Voici » avaient reculé de 13% (306 521 exemplaires en moyenne), la concurrence étant
multiforme. La plupart des magazines féminins et des news font désormais du people. Sans même parler
d'internet. Sur les neuf premiers mois de l'année, « Voici » s'est vendu en moyenne à 292 953 exemplaires. A
la peine, l'hebdo a sorti une nouvelle formule en juin. LE VERDICT « Closer », dirigé par Laurence Pieau (à
dr.), tient la corde. Son scoop de janvier et ses répercussions - séparation, livre de Valérie Trierweiler,
vengeance de l'ex à l'étranger... ont fait l'année de la presse people, qui a trouvé là un supplétif à la téléréalité. Mais le filon n'est pas inépuisable. « Sorti de Nicolas Sarkozy et François Hollande, ça ne marche pas
très bien », confiait, dernièrement, Manon Alombert, rédactrice en chef de « Voici » (à dr). VÉRONIQUE
GROUSSARD HEBDO DU GROUPE MONDADORI CRÉÉ EN 2OOS VAUDEVILLE A L'ELYSEE En
photographiant un François Hollande, casqué, en scooter, arrivant nuitamment à l'immeuble de Julie Gayet,
rue du Cirque, et n'en ressortant que le matin, « Closer », l'hebdo du groupe italien Mondadori, déclenchait, le
10 janvier, une bombe à fragmentation : séparation de François et Valérie, « best-seller » de la femme
trompée (« Merci pour ce moment »), propos vengeurs de la même distillés lors de sa tournée de promo à
l'étranger... TAUPES SARKOZYSTES (BIS) ? L'idée que la filière sarkozyste ait pu alimenter « Voici » éclaire
d'un jour nouveau le scoop de « Closer ». Le paparazzi qui a surpris François entrant chez Julie avait-il été
informé, lui aussi, par une taupe à l'Elysée ? Dans « Sarko s'est tuer », Fabrice Lhomme et Gérard Davet
rapportent ces propos de Sarkozy, montrant qu'il était au parfum deux mois avant « Closer » : « Hollande qui
sort trois fois par semaine de l'Elysée en scooter pour aller voir sa bonne amie... Que font les journalistes ?
Rien, bien sûr. » COMMERCE POLITIQUE Averti de l'info sensible de « Closer », Carminé Perna, le patron
France de Mondadori, avait un peu avancé son retour de Milan. Et, le jour J, avait pu vérifier dès son jogging
que les kiosques étaient en rupture de stock. François et ses femmes ont fourni à « Closer » la matière de
seize unes en onze mois. Après une année 2013 en berne, les ventes ont augmenté de 4% sur les neuf
premiers mois de l'année, avec une moyenne de 348137 exemplaires.
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LE DUEL
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"LES BANQUES CENTRALES VONT SOUTENIR LA CROISSANCE"
Philippe Waechter, directeur de la recherche économique de NatixisAsset Management, estime que les
conditions sont plus favorables dans la zone euro en 2015
® PROPOS RECUEILLIS PAR THIERRY SERROUYA
Le FMI table sur 3£% de croissance économique mondiale en 2014. N'est-ce pas décevant ? Ça l'est par
rapport à ce qui était attendu à la fin de 2013. Les Etats-Unis semblent avoir digéré le choc de 2008-2009
même si l'ajustement du marché du travail est encore incomplet Point nouveau, ils ne jouent plus le rôle de
locomotive capable de changer rapidement la trajectoire de l'économie mondiale. En zone euro, certains
pays périphériques (Espagne, Portugal) ont surpris positivement, les inquiétudes s'étant déportées sur la
France, l'Italie et l'Allemagne. Au Japon, les « Abenomics » n'ont pas généré les effets escomptés et
l'économie est retombée en récessioa Quant à la Chine, sa croissance sera au-dessous de 7,5% cette année
et montre de véritables signes d'essoufflement Les banques centrales vont donc rester à la manœuvre? Elles
vont continuer d'œuvrer pour soutenir la reprise mondiale. Elles en ont la volonté. La Banque centrale
européenne (BCE) va prendre le relais de la Réserve fédérale américaine en apportant d'importantes
liquidités. La Banque du Japon va aussi continuer d'intervenir massivement. Aux Etats-Unis, la FED pourrait
opter pour une remontée de ses taux d'intérêt dans la seconde partie de 2015. Mais elle serait plus à son
aise pour le faire si la croissance globale était plus robuste. La question est posée aussi pour la Banque
d'Angleterre, qui a repoussé le moment où elle remontera son taux d'intérêt de référence. Mario Draghi,
président de la BCE, veut se donner les moyens d'une véritable politique monétaire accommodante pour
faciliter la croissance et éloigner le risque de déflation. Il s'est pour cela prononcé en faveur d'un policy-mix
intégrant des politiques budgétaires plus favorables et mieux coordonnées, leur donnant une dimension
presque fédérale afin d'en améliorer l'efficacité. Cela évitera-t-il à la zone euro la ? déflation? | Pour Mario
Draghi, la politique de taux ï zéro actuelle est encore trop restrictive, " Pour réduire le risque de basculer en
déflation, elle doit être encore plus accommodante via un ajout massif de liquidités. Des mesures techniques
(TLTRO ou opérations de refinancement ciblées à long terme) et des rachats d'actifs financiers ont déjà été
mis en place. Mais si cela n'était pas suffisant, il pourrait décider début 2015 d'aller plus loin en achetant des
dettes souveraines. Quels autres soutiens voyez-vous pour2015? La reprise américaine restera un élément
clé. La baisse du prix du pétrole observée cette année constituera un soutien fort pour le consommateur et le
rétablissement des marges des entreprises. De même, la poursuite de la dépréciation de l'euro, fruit de la
politique menée par la BCE dans la durée, sera un facteur essentiel pour l'ensemble des pays de la zone. Au
G20, l'accent a été mis sur l'investissement jugé insuffisant. Un axe de soutien également retenu par JeanClaude Juncker, président de la Commission européenne, qui propose un plan d'investissement de 300
milliards d'euros. C'est aussi un objectif du CICE et du pacte de responsabilité en France. Après 0,3% de
croissance au troisième trimestre, la France entrevoit-elle enfin le bout du tunnel? Ce chiffre est meilleur
qu'attendu, et tant mieux. Cependant, la dynamique reste faible puisque, depuis le premier trimestre 2011, la
croissance du PIB n'est que de 0,4% en rythme annualisé. En outre, au troisième trimestre la croissance a
reposé principalement sur les stocks. Le moral chancelant des entrepreneurs noté dans les enquêtes et le
repli des commandes suggèrent une liquidation des stocks qui pèsera sur le chiffre du dernier trimestre. La
croissance devrait néanmoins être proche mais au-dessous de 0,4%. Le point à souligner est la mise en
place de conditions plus favorables en zone euro. La baisse de l'euro, du prix du pétrole, la politique
monétaire durablement accommodante et une politique budgétaire moins restrictive devraient permettre de
retrouver une trajectoire d'expansion plus robuste favorisant une dynamique intraeuropéenne plus durable.
C'est cela qu'il faut viser pour 2015, et la zone euro peut avoir les moyens de sortir de cette longue période
de stagnation. G
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SPECIAL PLACEMENTS LAVIS D'UN EXPERT
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LES VALEURS EUROPÉENNES ONT LA COTE
Taux d'intérêts bas, croissance aux Etats-Unis et perspective de relance en Europe : les Bourses ont déjà
repris leur progression. Comment en profiter ?
&> THIERRY SERROUYA
Après un début d'année difficile, les marchés actions se sont bien repris. Certes, l'exercice n'est pas clos,
mais au 27 novembre, les principales places financières - excepté Londres (-0,38%) - affichent une
performance positive en devises locales : le DAX gagne 4,43% ; le CAC 40,2,01% ; le Nikkei, 7,17%. Quant à
la Bourse de New York, elle poursuit sa marche en avant Les indices Dow Jones et S&P 500 progressent
respectivement de 7,55% et de 12,14%. « L'économie américaine est sur le chemin de la reprise (2,2% en
2014, selon l'OCDE) et absorbe assez bien la fin du "quantitative easing", c'est-à-dire de la politique
monétaire non conventionnelle, indique Laurent JacquierLaforge, directeur de la gestion actions chez La
Française AM. Déplus, à la différence des entreprises européennes, les sociétés américaines enregistrent
une hausse régulière et soutenue de leur résultat. » II est vrai qu'en zone euro, l'activité tourne au ralenti. Les
prévisions de croissance ne cessent d'être revues à la baisse par le FMI et l'OCDE, qui l'estiment à 0,8% en
2014. Ailleurs, le Japon peine à sortir de vingt ans de déflation et est retombé en récession. Quant à la Chine,
sa croissance économique connaît aussi un ralentissement et ne devrait afficher que 7% de croissance,
contre un objectif officiel de 7,5%. Dans un contexte de croissance mondiale modérée (3,7% en 2015, selon
l'OCDE), les banques centrales vont rester à la manœuvre, mais avec des divergences entre les régions.
Avec une reprise économique robuste - le PIB du troisième trimestre a été revu à la hausse à 3,9% -, la
question de l'augmentation des taux d'intérêt aux Etats-Unis se pose. Mais Janet Yellen, présidente de la
Fed, se veut prudente en annonçant que la politique monétaire était « data dépendent ». Traduction : la Fed
agira quand tous les voyants seront au vert. Rien ne sera »-» w* entrepris pouvant compromettre la reprise.
L'absence de plein emploi, de pression salariale combinée à une faible inflation militent pour une hausse
plutôt fin 2015, voire début 2016. Si l'économie américaine peut se passer de relance monétaire à son
échelle, c'est loin d'être le cas pour les autres zones économiques. La Banque du Japon, la Banque populaire
de Chine (PBOC) et la Banque centrale européenne (BCE) ont annoncé successivement des mesures pour
soutenir leur économie. La première va augmenter son programme de rachats d'actifs. De son côté, la PBOC
a, par surprise, décidé de baisser ses taux directeurs - une première depuis juin 2012 - pour stimuler sa
croissance. Enfin, face à une croissance atone et une inflation anémique en zone euro, la BCE, par la voix de
son président Mario Draghi, s'est dite prête si nécessaire à revoir la taille, le rythme et la composition de ses
rachats d'actifs. Comprendre la mise en place d'un «quantitative easing» européen. Par conséquent, «en
2015, l'environnement pourrait se révéler porteur pour les actions car les taux d'intérêt vont rester bas encore
longtemps et les banques centrales vont continuera injecter des liquidités », déclare Marco Bruzzo, directeur
général délégué de Mirabaud Asset Management. Dès lors, quelles zones géographiques privilégier? «La
vigueur des résultats trimestriels et des derniers indicateurs économiques devrait continuer à porter le
marché américain», déclare Laurent JacquierLaforge. Le S&P 500 se paye aujourd'hui 15,8 fois les bénéfices
et les estimations misent sur 14 fois en 2015. L'appréciation du dollar bénéficie aussi aux valeurs
domestiques et attire les flux de capitaux. De même, la forte baisse du prix du pétrole joue positivement sur la
consommation des ménages et l'investissement, et renforce les marges des entreprises. Sur ce point, Marco
Bruzzo fait remarquer que, « en raison d'un cycle économique faible et prolongé, les marges sont peu
élevées. Il y a donc un potentiel de levier considérable au moment de la reprise de la croissance. » Pour
Laurent JacquierLaforge, « il faudra surveiller attentivement les chiffres d'affaires des entreprises
européennes, car on constate qu'ils sont stables et que leur activité ne croît pas ». Mais pour 2015, il y a «
davantage de raisons de croire à la croissance des bénéfices », assure Marco Bruzzo. La politique
accommodante de la BCE, le plan de relance budgétaire de 315 milliards d'euros d'investissement de la
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Commission européenne, la baisse de l'or noir et de l'euro face au dollar sont autant d'éléments favorables. «
Une croissance supérieure à 10% l'an prochain est envisageable », déclare Laurent Jacquier-Laforge, qui
privilégie « les sociétés européennes réalisant une part importante de leur activité en dollars, et celles qui
exportent en produisant essentiellement en Europe. » Quant au Japon, une hausse de 10% des résultats est
anticipée pour 2015. Le marché est bien orienté alors que l'archipel est en récession et que le yen se
déprécie. Une fois sa zone définie, vers quels secteurs s'orienter ? Si la reprise se confirme, cela profitera
aux valeurs cycliques et de croissance. « Les stress tests des banques de la zone euro ont été bons dans
l'ensemble, ce qui donne une certaine solidité au secteur : une croissance des bénéfices par action, une
demande de crédit en hausse et des valorisations raisonnables », affirme Marco Bruzzo. Même choix pour
Laurent Jacquier-Laforge, qui estime que «les banques devraient profiter de l'action de la BCE, notamment
les banques espagnoles et italiennes ». Les valeurs technologiques européennes, comme les SSII [sociétés
de services en ingénierie informatique, NDLR], profiteront de la reprise américaine avec des valorisations
inférieures de l'ordre de 25% par rapport à leur moyenne historique. De même pour les softwares, qui
accusent un retard en termes d'investissements. Les secteurs automobile (renouvellement du parc) et de la
construction ont aussi les faveurs des gérants. En revanche, Laurent Jacquier-Laforge reste à l'écart des
valeurs défensives qui présentent une valorisation trop élevée. Enfin, le thème du rendement soutient l'attrait
des actions et de certains secteurs, mais il convient d'être sélectif. D
Foto: Les valeurs à Wall Street, la Bourse de New York.