VERSO UNA CRESCITA SOSTENIBILE:

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VERSO UNA CRESCITA SOSTENIBILE:
Programma ACT – Azioni di sostegno
per l’attuazione sul territorio delle
politiche del lavoro
INDICE GUIDATO:
FLESSIBILITÀ ORGANIZZATIVA E
PARTECIPAZIONE FEMMINILE AL
MERCATO DEL LAVORO.
UNA PANORAMICA EUROPEA SU
FINLANDIA, FRANCIA E GERMANIA
Documento di lavoro
Versione Febbraio 2016
DOCUMENTO DI LAVORO
VERSIONE FEBBRAIO 2016
INDICE DI ALCUNI DOCUMENTI DI RIFERIMENTO IN TEMA DI
FLESSIBILITÀ ORGANIZZATIVA E PARTECIPAZIONE
FEMMINILE AL MERCATO DEL LAVORO
Sommario
A. EVOLUZIONI INDUSTRIALI, VITA LAVORATIVA E ORARIO DI LAVORO ............... 3
B. FINLANDIA .................................................................................. 6
C. FRANCIA ................................................................................... 14
D. GERMANIA ................................................................................. 23
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INDICE DI ALCUNI DOCUMENTI DI RIFERIMENTO IN TEMA DI
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FEMMINILE AL MERCATO DEL LAVORO
A supporto delle attività di confronto internazionale in tema di quarta rivoluzione
industriale, lavoro 4.0 e innovazioni organizzative per rafforzare la partecipazione
femminile al mercato del lavoro, sono stati selezionati alcuni documenti in contesto
europeo ritenuti rilevanti. Le indicazioni relative a documenti di carattere generale, utili a
delineare un quadro d’insieme dei temi trattati, sono seguite da approfondimenti
riguardanti tre paesi: Finlandia, Francia e Germania.
A. EVOLUZIONI INDUSTRIALI, VITA LAVORATIVA E ORARIO DI
LAVORO
A. 1) Roland Berger Strategy Consultants, “Industry 4.0. The new industrial revolution.
How Europe will succeed”, marzo 2014
Link:
http://www.rolandberger.com/media/pdf/Roland_Berger_TAB_Industry_4_0_20140403.pd
f
Il documento analizza il potenziale innovativo legato alla quarta rivoluzione industriale e
alle innovazioni in campo tecnologico e digitale in grado di trainare un rilancio del settore
manifatturiero europeo, al cui interno si è registrata negli ultimi anni una contrazione
della domanda di lavoro specie in contesti nazionali, quale quello francese o britannico,
dove ha prevalso la spinta verso la terziarizzazione. Incrociando informazioni relative
all’eccellenza industriale e alle reti di valore, gli analisti hanno costruito un indice
(“Industry 4.0 Readiness Index”) che sintetizza l’attuale capacità e predisposizione di
ciascun paese a sviluppare modelli industriali 4.0. Incrociando questo dato con la quota
detenuta dal settore manifatturiero nel complesso dell’economia nazionale, i paesi sono
raggruppati in 4 clusters: il gruppo dei paesi pronti alla nuova rivoluzione industriale è
infatti diviso tra pionieri (tra cui la Germania e l’Irlanda) e paesi potenzialmente in grado
di passare all’industria 4.0 (es. Francia e Regno Unito); tra i paesi che presentano un più
basso valore in riferimento all’“Industry 4.0 Readiness Index”, si distingue invece tra
tradizionalisti (tra cui alcuni paesi dell’Europa orientale) ed esitanti. In questo ultimo
gruppo viene collocata l’Italia, considerata relativamente poco pronta all’industria 4.0 e il
cui settore manifatturiero rappresenta una quota contenuta del Prodotto Interno Lordo.
A. 2) ADAPT, “Lavoro e Relazioni industriali in Industry 4.0. Posizione del problema e
prime interpretazioni”, Francesco Seghezzi in Bollettino speciale ADAPT n. 2/2016
Link: http://www.bollettinoadapt.it/wp-content/uploads/2016/01/wp-1.pdf
Nell’ambito di un numero speciale del bollettino ADAPT interamente dedicato a “Industry
4.0 e lavoro futuro”, l’articolo offre un’utile ricostruzione del dibattito internazionale
sull’impatto che la “grande trasformazione” della rivoluzione digitale potrà produrre sul
lavoro, in particolare su modelli contrattuali e relazioni industriali. Il paper utilizza “un
approccio non economico e neanche giuslavoristico, concentrandosi invece sul dato
antropologico e sociologico” del cambiamento in atto, per inquadrare il fenomeno in
termini generali e offrire spunti preliminari per successivi approfondimenti.
In particolare si sostiene la crisi del paradigma del lavoro subordinato, e la possibilità di
nuovi scenari collaborativi per i sistemi di relazioni industriali caratterizzati da: una nuova
figura di lavoratore con elevate competenze costruite attraverso percorsi formativi e
lavorativi individuali e con compiti e mansioni flessibili; una nuova centralità del livello
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aziendale della contrattazione collettiva rispetto a quello nazionale, data la non
uniformità dei modelli produttivi della manifattura digitale, e l’emergere di un livello
individuale di contrattazione relativamente alle figure professionali con competenze più
elevate; nuovi rapporti tra fattori produttivi – capitale e lavoro -, in cui si accresce la
dimensione partecipativa e la condivisione degli obiettivi aziendali e la
responsabilizzazione del lavoratore rispetto ai risultati; un legame stretto tra produttività
e salario (anche attraverso pratiche di condivisione degli utili e del rischio d’impresa);
ruolo centrale delle competenze nel nuovo compromesso tra le parti, come strumento di
“autodifesa” del lavoratore rispetto alle fluttuazioni del mercato, che l’avvento della
manifattura digitale tende ad amplificare. I contenuti della nuova contrattazione dovranno
invece riguardare il superamento delle declaratorie contrattuali a vantaggio di una ampia
flessibilità e diffusione del team working; il lavoro agile, in cui luoghi e tempi del lavoro
sono differentemente declinati, e le implicazioni in termini di salute e sicurezza e sul
work-life balance; la formazione come elemento centrale della scambio lavoro-impresa.
A. 3)
Eurofound, "Developments in collectively agreed working time 2014”, luglio 2015
Link:
https://www.eurofound.europa.eu/sites/default/files/ef_comparative_analytical_report/
field_ef_documents/ef1539en.pdf
Il Rapporto offre una panoramica dell’orario di lavoro negoziato collettivamente negli Stati
membri dell’Unione Europea e in Norvegia nel rispetto della legislazione nazionale e della
Direttiva europea che fissa a 48 ore la durata massima della settimana lavorativa. Nei
paesi considerati, l’orario di lavoro medio ha ecceduto leggermente, nel 2013 come nel
2014, le 38 ore settimanali. Su base annua, i lavoratori europei impiegati a tempo pieno
nel 2014 hanno prestato in media 1.707 ore di servizio, benché si rilevino delle differenze
tra i 5 settori di attività considerati (chimico, metalmeccanico, bancario, commercio al
dettaglio e pubblica amministrazione), e i contratti collettivi hanno riconosciuto loro il
diritto a una media di 25 giorni all’anno di ferie retribuite. Complessivamente, il sommarsi
di giorni di ferie e giorni festivi si traduce in paesi quali la Germania, la Danimarca,
l’Austria o la Francia in circa 40 giorni di assenza dal lavoro; in altri Paesi (per es. Belgio,
Ungheria, Polonia o Romania), invece, i lavoratori sono impegnati in media due settimane
in più all’anno avendo diritto a un totale di circa 30 giorni di assenza dal lavoro per ferie o
festività nazionali. Il Rapporto rileva infine il perdurare delle differenze di genere nel
numero medio di ore lavorate da quanti siano occupati a tempo pieno: nel 2014, gli uomini
hanno lavorato in media 2 ore in più delle donne e in casi come quello italiano, irlandese o
del Regno Unito lo scarto registrato si aggira attorno alle 3 ore.
A. 4) Eurofound, “Developments in working life in Europe. EurWORK annual review
2014”, novembre 2015
Link:
http://www.eurofound.europa.eu/sites/default/files/ef_publication/field_ef_document/e
f1551en.pdf
Il Rapporto, scaturito dalla sesta indagine europea sulle condizioni di lavoro, illustra i più
recenti sviluppi in materia di relazioni industriali e condizioni lavorative nei vari Stati
dell’Unione Europea e in Norvegia. Il documento richiama temi quali l’allungamento della
vita lavorativa, la segregazione di genere e l’ampliamento della partecipazione al mercato
del lavoro. Rispetto all’orario di lavoro, rilevato l’incremento dei lavoratori impegnati a
“tempo parziale lungo” (tra le 21 e le 34 ore settimanali) e a “tempo parziale breve” (fino
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a 20 ore settimanali), emerge come la maggior parte dei lavoratori rispetti un orario
stabilito dal datore di lavoro e come siano prevalentemente le donne a godere di maggiore
autonomia nella programmazione dell’orario. Viene inoltre rilevata una crescente
sfumatura nei confini tra vita personale e vita lavorativa, spiegata anche dal diffondersi di
mansioni lavorative richiedenti competenze specifiche e al diffondersi delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione: se queste tendenze possono in alcuni casi
risolversi in una riduzione del tempo effettivamente dedicato alla vita privata, in altri casi
favoriscono comunque la possibilità di utilizzare un po’ di tempo per questioni personali o
familiari durante l’orario lavorativo. Quanto al luogo di lavoro, il 78% delle donne e il 62%
degli uomini svolge il proprio lavoro dalla medesima sede (aziendale in caso di lavoratori
subordinati o propria in caso di lavoratori autonomi). Infine, quasi il 70% dei lavoratori
gode della possibilità di influenzare l’organizzazione del proprio lavoro e tale possibilità di
partecipazione dei lavoratori viene confermata come strumento migliorativo della qualità
della vita lavorativa e della sua produttività.
A. 5) European Trade Union Institute (ETUI), Cristophe Degryse, “Digitalisation of the
Economy and its impact on labour markets” Working Paper 2016/02
Link: https://www.etui.org/Publications2/Working-Papers/Digitalisation-of-the-economyand-its-impact-on-labour-markets
Il documento riporta il punto di vista dell’Istituto Sindacale Europeo in merito all’impatto
della 4a rivoluzione industriale sul mondo del lavoro. A fronte delle grandi opportunità
offerte dalla rivoluzione digitale i cambiamenti sociali da essa indotti si presentano come
una “tempesta perfetta” che richiede l’impegno e la responsabilizzazione di politici e
partner sociali innanzitutto nella comprensione dei fenomeni in corso e nella loro gestione
anticipatoria, al fine di evitare i possibili effetti di polarizzazione tra chi sarà in grado di
affrontare il cambiamento e chi invece ne resterà escluso.
A livello generale l’analisi dell’ETUI, basata sulla letteratura disponibile e su informazioni
e approfondimenti dello stesso sindacato, per lo più a livello settoriale, è sintetizzata in
uno schema di SWOT analysis che mette sinteticamente a confronto le categorie classiche
dei “punti di forza/punti di debolezza” e “opportunità/minacce” (v. pag. 51).
Il tema centrale del rapporto è quello della polarizzazione e delle disparità sociali. Lo
studio analizza 4 differenti dimensioni del cambiamento del lavoro che, combinati insieme,
sono suscettibili di produrre fenomeni di polarizzazione sociale, con pochi “winners” e
masse di “losers”:
1. La creazione di nuovi posti di lavoro, con la creazione di nuovi settori, nuovi
prodotti e servizi;
2. Il cambiamento del lavoro, con la nascita di nuove forme di interazione uomomacchina e di nuove forme di lavoro -es. cd “uberizzazione”- che implicano nuovi
rischi (es. in termini di intensificazione del lavoro, di salute e sicurezza e di
politiche di conciliazione, disallineamenti tra formazione e skills richieste dal
mercato del lavoro, discriminazione), nonchè di un nuovo management digitale;
3. La distruzione di posti di lavoro come tendenza generale dei prossimi due decenni,
specialmente in alcuni settori produttivi, e come fenomeno di grandi dimensioni,
sebbene al momento non ci sia un consenso sulla sua entità;
4. Lo spostamento del lavoro, ovvero una nuova divisione internazionale del lavoro,
resa possibile dalle piattaforme digitali, da Paesi con livelli di welfare elevati verso
Paesi in via di sviluppo con una bassa protezione sociale.
Il documento presenta uno schema dei settori/professioni più esposti al rischio di
polarizzazione e identifica tra i nuovi jobs creati dalla digitalizzazione quelli ad alto
contenuto di competenze e quelli di coloro che il report non esita a definire i “nuovi
schiavi” dell’economia digitale (v. pag 23).
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L’ultima parte il report si interroga sul ruolo che il sindacato può svolgere nell’economia
digitale e riporta una rassegna di alcune iniziative sindacali in corso a livello nazionale ed
europeo. Recentemente, a partire dal 2014, molti sindacati nazionali si sono mossi sul
tema della digitalizzazione dell’economia con iniziative autonome, per lo più a carattere
conoscitivo e settoriale, o nell’ambito di procedure di consultazione e dialogo sociale nate
su iniziativa del governo. A livello europeo ETUC e sindacati di settore hanno prodotto
contributi di riflessione sul tema nella forma di seminari, documenti e position papers, ed
è stata avanzata la proposta di un Forum permanente tra Istituzioni comunitarie e Parti
sociali sull’impatto sociale della digitalizzazione. Anche nell’ambito del dialogo sociale
europeo ricorre il tema delle nuove tecnologie e di nuove regole a tutela del lavoro.
B. FINLANDIA
B. 1)
OECD, “OECD Economic Surveys: Finland 2014”, OECD Publishing, febbraio 2014
Link: http://dx.doi.org/10.1787/eco_surveys-fin-2014-en
Nel rapporto economico 2014 sulla Finlandia l’OCSE evidenzia i principali ambiti di riforma
strutturale portati avanti nel paese e il loro grado di attuazione, per consolidare le finanze
locali, stimolare l’aumento di produttività nei servizi pubblici per mantenere il loro costo
accessibile alla crescente quota di popolazione che ne ha bisogno, prolungare la
permanenza al lavoro a fronte di una riduzione della popolazione attiva e migliorare le
competenze della forza lavoro. Affrontare queste sfide porterebbe a ridurre la
disoccupazione strutturale e aumentare la crescita economica del paese.
Sono state introdotte dunque delle riforme per affrontare l’invecchiamento della
popolazione, una riforma fiscale, una riforma della finanza locale. Al momento della
pubblicazione del rapporto gli esiti di queste riforme sono ancora incerti. Nell’Economic
Outlook vengono espresse alcune raccomandazioni rilevanti ai fini dell’analisi sulla
produttività e le condizioni di vita lavorativa in contesto internazionale: in particolare sono
rilevanti quelle sulla riforma del mercato del lavoro e delle pensioni per contrastare gli
effetti dell’invecchiamento della popolazione e quelle sulla riforma per promuovere
l’innovazione e la crescita “verde” dell’economia.
In merito all’invecchiamento si ritiene opportuno aumentare gradualmente l’età minima
per la pensione, creando un collegamento tra l’età pensionabile e l’ammontare della
pensione in base all’aspettativa di vita. Si suggerisce inoltre di eliminare l’elevata
integrazione contributiva ai fini previdenziali in favore dei lavoratori anziani part-time,
perché se questo da una parte pospone l’entrata nel pensionamento vero e proprio
dall’altra riduce le ore lavorate con conseguenti ripercussioni sulla produttività
complessiva del sistema paese. Piuttosto si ritiene doveroso continuare con gli schemi che
promuovono la formazione per tutto l’arco della vita, in quanto consente una maggiore
permanenza nel mercato del lavoro, e rafforzare le politiche attive per aumentare la
partecipazione al lavoro dei giovani, delle donne in età fertile e dei disoccupati di lunga
durata.
In merito alla crescita della green economy, si raccomanda di continuare a sostenere
l’innovazione in senso ampio, monitorare l’impatto dei finanziamenti pubblici per
assicurare l’allocazione appropriata di risorse e dare priorità a quelle attività capaci di
generare esternalità positive, quali ad es. la ricerca di base e l’istruzione. La Finlandia
dovrebbe, per contro, abbandonare l’incentivazione dell’industria ambientale,
considerando i suoi effetti più vasti sul piano socio-economico e sulla competitività.
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Ministero dell’Economia, “Piano Nazionale di Riforma 2015”, aprile 2015
Link: http://ec.europa.eu/europe2020/pdf/csr2015/nrp2015_finland_en.pdf
Anche nel Piano Nazionale di riforma del 2015 si riprendono le raccomandazioni contenute
nel rapporto OCSE, con alcuni aggiornamenti rispetto all’avanzamento delle riforme. Per
quanto riguarda l’invecchiamento della popolazione e la riforma delle pensioni, viene
stabilita la nuova soglia minima di età per andare in pensione, viene eliminato il sussidio
alle pensioni part-time e si varano misure per ridurre il numero di pensioni di invalidità,
che abbassano enormemente l’età media del pensionamento (portandola a 52 anni). La
strategia varata nel 2012 per includere quante più persone nel mercato del lavoro,
prolungare la durata e migliorare la qualità della vita lavorativa viene descritta con
maggiore dettaglio nel punto 4. del presente documento (La Strategia Nazionale per lo
sviluppo della vita lavorativa entro il 2020). Tra il 2013 e il 2015 è stato condotto un
programma che offre supporto specifico per le persone con capacità lavorativa ridotta,
affinché possano continuare a lavorare o inserirsi nel mercato del lavoro non “protetto”. Il
programma si basa su due principali elementi: 1) un modello di intervento che aiuti le
persone con parziale incapacità di lavoro a rimanere in occupazione o a entrare nel mdl e
2) modifiche legislative che consentono alle persone con parziale incapacità lavorativa e
rimanere nel mdl. A tale scopo sono stati formati dei tutor, è stato sperimentato il modello
di intervento in alcune aziende pilota, ed è stata avviata una ricerca per validare
l’effettiva praticabilità del modello sul piano finanziario. Sulla base di queste valutazioni,
il Governo dovrebbe decidere se prorogare il programma fino al 2018.
Al fine di prolungare complessivamente la durata della vita lavorativa è stata avanzata una
proposta operativa da parte di diversi attori nel campo della sicurezza e della salute nei
posti di lavoro, da cui il Ministero delle Politiche Sociali e della Salute ha tratto spunto per
avviare misure specifiche in tal senso in cooperazione con gli attori del mercato del lavoro
e le parti sociali.
B. 3) “Rapporto di valutazione dell’attività di Tekes”, a cura del Ministero del Lavoro e
dell’Economia della Finlandia, giugno 2012
Link: https://www.tem.fi/files/33176/TEMjul_22_2012_web.pdf
La Finlandia è dotata di un forte settore manifatturiero, anche se sottoposto a forte
concorrenza da parte di paesi con bassi costi di produzione, e il cui sviluppo è minacciato
dagli stessi trend che accomunano i principali paesi industrializzati, quali la
globalizzazione, a cui si contrappone anche una tendenza all’individualismo,
l’invecchiamento della popolazione, la sostenibilità ambientale, la specializzazione. Per
rispondere ad alcune di queste sfide, negli ultimi anni la Finlandia ha sperimentato una
serie di programmi diretti a promuovere una crescita della produttività e del cambiamento
sostenibile, attraverso ricerca, sviluppo e innovazione (RDI). Questo piano di investimenti è
stato avviato in stretta collaborazione con le associazioni di categoria, dei lavoratori, le
Università e gli altri istituti di ricerca.
Dal 2007 al 2011 il Governo ha investito, attraverso l’Agenzia per il finanziamento della
tecnologia e l’innovazione (Tekes1), circa 1,7 miliardi di Euro (93% del totale speso in RDI)
nelle imprese per favorire la loro crescita. Gli altri finanziamenti sono andati alle
1
Tekes è l’Agenzia Nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione. E’ stata creata nel 1983 nell’ambito
del Ministero del Lavoro e dell’Economia. È il principale Istituto per il sostegno alla ricerca in
Finlandia.
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università e politecnici (€579 milioni) e a istituti di ricerca pubblici (€302 milioni). Il
finanziamento di progetti alle imprese era destinato a trasformare le idee di business in
imprese concrete, e prevedeva la combinazione di finanziamenti a fondo perduto con
prestiti garantiti da Tekes, vincolati al successo del business. Obiettivo del piano
riguardava anche l’innalzamento della produttività e qualità della vita lavorativa e il
supporto ai processi di apprendimento.
Nel 2012 il Governo ha inoltre varato una strategia specifica sul miglioramento delle
condizioni di lavoro, con l’obiettivo di sviluppare in Finlandia la migliore vita lavorativa
entro il 2020. Il documento, denominato “National working life development strategy to
2020”2, intende sostenere i processi di crescita dei lavoratori, mediante modalità
innovative di gestione, di organizzazione e di realizzazione del lavoro stesso, in relazione
ai cambiamenti nei luoghi di lavoro che sono determinati dalle nuove modalità produttive.
Emerge il concetto di interazione nell’organizzazione, vale a dire la possibilità di mettere
assieme differenti competenze e capacità, per realizzare una conoscenza comune e
condivisa. Viene dato inoltre particolare risalto alla capacità per le aziende di interagire
non solo con altri contesti produttivi, ma soprattutto con le istituzioni educative e di
ricerca.
Il rapporto di valutazione dell’attività svolta da Tekes dal 2007 al 2011 dimostra che i
risultati sono stati raggiunti in massima parte. Tra i più concreti, rilevati da studi specifici,
rientra il c.d. “effetto catalizzatore”, secondo cui le aziende che hanno usufruito dei
finanziamenti di Tekes per R&S hanno poi aumentato gli investimenti in R&S con fondi
propri, creando così nuova occupazione, aumentando il numero di brevetti e innalzando il
livello di innovazione e di produttività.
In generale, si può affermare che l’attività promossa da Tekes abbia contribuito allo
sviluppo innovativo di alcuni settori tradizionali (es. industria forestale, servizi, ICT),
nonché alla creazione di nuovi settori produttivi per la Finlandia (es. biomateriali). Questo
ha implicato ricadute positive anche in termini di crescita del capitale umano e sviluppo di
sistemi organizzativi. Tuttavia va rilevato, ai fini dell’analisi sulle condizioni di vita
lavorativa e innovazione organizzativa, che l’Agenzia Tekes ha avuto impatto diverso a
seconda del grado di maturità dell’industria e del suo ciclo di vita. Promuovere
cambiamenti strutturali in settori produttivi tradizionali e dei servizi pubblici è più difficile
rispetto a quelli nuovi, tuttavia i progetti finanziati da Tekes puntano a promuovere il
cambiamento anche sulle competenze e sulle organizzazioni in genere, come conseguenza
delle innovazioni di prodotti o di processi introdotti, fino a svolgere un ruolo centrale nello
sviluppo dei luoghi di lavoro (work place development). La tecnologia non è fondamentale
nell’innovazione dei servizi poiché è il lavoratore in primis che promuove l’innovazione: i
progetti di Tekes finanziano pertanto l’innovazione nei processi lavorativi,
nell’organizzazione del lavoro, nei metodi di lavoro, nello sviluppo delle reti per l’aumento
della produttività e della qualità della vita lavorativa (orientata ai bisogni del lavoratore).
B. 4) “La Strategia Nazionale per lo sviluppo della vita lavorativa entro il 2020”, a
cura del Ministero del Lavoro e dell’Economia della Finlandia, dicembre 2012
Link: https://www.tem.fi/files/35434/Tyoelaman_kehittamisstrategia2020_A4_eng.pdf
Nel 2012 è stata lanciata la strategia, che dovrà essere completata da un piano di
attuazione che comprende anche un programma per lo sviluppo dell’organizzazione del
lavoro, su proposta di Tekes e dell’Istituto Nazionale per l’Occupazione e la Salute (FIOH).
Nel documento strategico si propongono misure per rafforzare la capacità competitiva del
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https://www.tem.fi/files/35434/Tyoelaman_kehittamisstrategia2020_A4_eng.pdf
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sistema produttivo, tramite l’aumento della partecipazione al lavoro e l’aumento della
produttività, man mano che cambiano la struttura dell’impresa, dell’industria e
dell’economia in generale. Si ritiene che dando giusta rilevanza al tema della qualità della
vita lavorativa e del benessere nel luogo di lavoro, la produttività e la redditività possano
crescere in maniera sostenibile.
In Finlandia, le strutture produttive e le prassi nei luoghi di lavoro sono ancora improntate
alla produzione di massa, mentre in futuro prevarranno il lavoro in rete, la formazione
permanente, la fornitura di servizi. La vita lavorativa viene rimodellata a partire da un
cambiamento tecnologico-economico, che si fonda sull’adozione massiccia, non ancora
sperimentata sinora, di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT).
In confronto con altri paesi europei, la qualità del lavoro in futuro dovrà essere migliore in
Finlandia per spronare sempre più donne e uomini a partecipare al mercato del lavoro,
continuare la propria attività in buone condizioni di salute, con una forte spinta
motivazionale e per un periodo più duraturo. Per quanto riguarda l’allungamento della vita
lavorativa, è fondamentale riuscire a ridurre i periodi di disoccupazione e, al tempo stesso,
promuovere la partecipazione al lavoro di gruppi a maggiore rischio di esclusione quali
immigrati, persone con parziali capacità lavorative, persone sottoccupate.
Se nel settore privato le imprese più competitive e produttive generano nuovi posti di
lavoro, ottengono migliori risultati economici, sono più pronte a rispondere alle esigenze
dei propri clienti e anche dei propri dipendenti, nel settore pubblico il successo si misura
sull’efficacia dei servizi resi, intesa come maggiore benessere sociale e in base a come
viene percepita dai cittadini. Le condizioni di lavoro positive e il benessere di chi lavora
creano nuovi prodotti e nuovi servizi.
Il documento si occupa dei seguenti aspetti:
 innovazione e produttività;
 fiducia e cooperazione;
 salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
 adeguatezza delle competenze della forza lavoro.
Innovazione e produttività sono i motori della crescita economica. L’aumento della
produttività e la qualità della vita lavorativa vanno di pari passo. Il cambiamento
strutturale tra settori e diverse industrie, o tra imprese e singole unità produttive, non
rappresenta più il solo fattore di crescita della produttività. Attualmente il differenziale in
produttività si crea nel contesto di una comunità professionale, proprio come conseguenza
di come viene svolto il lavoro e di come il lavoro sta cambiando. Dobbiamo essere in grado
di comprendere questo cambiamento e come beneficiare da nuove pratiche, quali sono le
nuove competenze associate al “luogo di lavoro” di una comunità professionale e quali
sono le opportunità offerte dallo sviluppo tecnologico.
Questo richiede un rinnovamento e nuove pratiche da parte di tutti gli attori sociali,
comprese le istituzioni preposte ai processi educativi e formativi, così come va aggiornata
la ricerca sulla vita lavorativa.
Gli investimenti in salute e il benessere nel luogo di lavoro devono abbracciare l’intera
comunità lavorativa affinché funzioni bene, in modo tale che ci sia il ritorno
sull’investimento. Il benessere della comunità professionale è uno dei concetti chiave per
sviluppare ambienti di lavoro produttivi e capaci di attrarre sempre più persone a
partecipare al mercato del lavoro, vanno inoltre aggiornati i criteri con cui si valuta la
sicurezza in luoghi di lavoro dove si utilizzano nuove tecnologie, dove sostanzialmente si
creano nuovi ambienti di lavoro e nuove condizioni.
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Legato a questo, viene considerato il tema di una forza lavoro competente, quale
elemento chiave per la crescita di un’impresa. Nel lavoro del futuro è sempre più
necessario rispondere a cambiamenti rapidi e sapere di conseguenza adattare le
competenze dei lavoratori attraverso l’intero ciclo di vita lavorativa. Quindi sarà sempre
più importante per le imprese riuscire a far crescere le competenze dei propri lavoratori,
investendo in formazione, sia in impresa che all’esterno.
Si prospetta un cambiamento necessario per rinnovare il mondo del commercio e
dell’industria, che implica anche una distruzione creativa, in cui i lavori a bassa
produttività dovrebbero lasciare il posto a quelli nuovi. Il focus si è spostato da ciò che sta
avvenendo tra settori e industrie, attraverso ciò che succede dentro le imprese nei luoghi
dove esse operano, per analizzare piuttosto il cambiamento strutturale che sta avvenendo
sulle singole funzioni, poiché esse possono essere decentralizzate perfino a livello
individuale e distribuite a livello globale. Il cambiamento strutturale avviene anche nel
settore pubblico, non solo nelle industrie tradizionali, basti pensare all’invecchiamento
della popolazione e alla necessità di garantire maggiori servizi di welfare.
Questi cambiamenti strutturali aumenteranno inevitabilmente il bisogno di sviluppare e
aggiornare le competenze della popolazione adulta. La performance lavorativa implicherà
sempre più competenze basate su conoscenze specialistiche, tanto che la tradizionale
distinzione tra lavori blue e white collar andrà sfumando.
Dal punto di vista dello sviluppo della vita lavorativa, il modo più efficiente per
promuovere la crescita economica è di supportare contemporaneamente i due principali
fattori coinvolti: la produttività e la partecipazione al lavoro. Le condizioni di lavoro sono
regolate attraverso un’ampia legislazione, che prevalentemente impone obblighi ai datori
di lavoro. Gli accordi collettivi definiscono i diritti minimi che devono essere garantiti ai
lavoratori, la maggior parte delle norme è ispirata alle raccomandazioni dell’ILO, mentre
la legislazione sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro trae forza dai provvedimenti
emanati dalle istituzioni dell’Unione europea. Rispetto ad altri paesi europei la Finlandia,
e in genere i Paesi del Nord Europa, hanno livelli elevati di produttività e di qualità del
lavoro; anche la cultura del dialogo sociale è molto diffusa e ha radici antiche. Tuttavia ci
sono ambiti che devono essere sostenuti maggiormente per favorire i cambiamenti in atto,
ad es. la cultura del lavoro (valori, atteggiamenti, abitudini), la salute e sicurezza al
lavoro, la gestione dei ritmi di lavoro, le capacità manageriali. In questo nuovo contesto
che si va creando bisognerà porre maggiore attenzione al benessere e al buon
funzionamento delle comunità professionali nei luoghi di lavoro (workplace communities),
oltre che della loro capacità di performare i propri compiti.
A parte Svezia e Danimarca, le più numerose riforme sono state realizzate in Finlandia per
promuovere la produzione di tecnologie e le riorganizzazioni produttive. Rispetto alla
Danimarca, per esempio, la Finlandia detiene un approccio non gerarchico al lavoro e una
maggiore mobilità professionale, che consentono una maggiore partecipazione ai processi
innovativi sia da parte dei clienti che dei lavoratori delle imprese. Anche il lavoro
autonomo è molto più diffuso nei paesi nordici, insieme a Irlanda e Lussemburgo, che in
altri paesi europei, e questo significa per esempio che i lavoratori finlandesi hanno più
possibilità di determinare autonomamente come espletare le proprie funzioni lavorative.
La combinazione dei due fenomeni citati, una volta analizzati i contesti di altri paesi,
porta a considerare che questi siano due fattori fondamentali per rispondere ai
cambiamenti strutturali in atto e creare migliori condizioni di vita lavorativa per tutti. Da
ricerche condotte sui lavoratori finlandesi, inoltre, emerge che, grazie a un miglioramento
della vita lavorativa, un numero sempre più ampio di persone di età almeno superiore ai 50
anni prevede che rimarrà al lavoro anche dopo i 60. Le indagini dimostrano che gli
elementi chiave per prolungare la vita lavorativa sono il clima e l’ambiente lavorativo
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DOCUMENTO DI LAVORO
VERSIONE FEBBRAIO 2016
INDICE DI ALCUNI DOCUMENTI DI RIFERIMENTO IN TEMA DI
FLESSIBILITÀ ORGANIZZATIVA E PARTECIPAZIONE
FEMMINILE AL MERCATO DEL LAVORO
positivo, un rapporto di lavoro stabile, il lavoro interessante e il coordinamento di
supervisori (leggi “capi”) competenti e corretti. La maggior parte delle inabilità al lavoro e
delle assenze derivano, per contro, da patologie legate a problemi dell’apparato muscoloscheletrale e dei tessuti connettivi, e disturbi alla psiche.
Sebbene la popolazione finlandese possa vantare un continuo miglioramento delle
competenze e conoscenze possedute, rimane una fetta consistente di persone che entrano
nel mercato del lavoro ogni anno con livelli di istruzione troppo bassi rispetto alle
opportunità di lavoro offerte. La partecipazione nei percorsi di studio è distribuita in
maniera squilibrata tra gruppi di persone e tra le varie funzioni: alcuni mancano
completamente di formazione professionale, mentre altri hanno acquisito un grado di
istruzione elevata, ma in un campo non in linea con la domanda del mercato del lavoro. I
lavori che richiedono un basso livello di istruzione generalmente sono a bassa produttività,
e le pre-condizioni per migliorare la qualità della vita lavorativa possono perciò essere
fragili. In questo contesto si ritiene opportuno intervenire attraverso la formazione on-thejob, con un’attenzione particolare alle prospettive di sviluppo. La ricerca evidenzia che il
successo delle organizzazioni è influenzato dalla bontà del management e dalle buone
pratiche di gestione delle risorse umane, che devono stimolare comportamenti
partecipativi e l’incoraggiamento dei lavoratori, per aumentare contemporaneamente i
livelli di produttività e la qualità della vita lavorativa.
La vita lavorativa, a parte i cambiamenti nel settore ICT che comunque impattano su di
essa, è tuttavia fortemente interessata da un cambiamento di tipo culturale, ovvero
l’aumento dell’autonomia individuale dei lavoratori e un grado di libertà maggiore nello
svolgere le proprie funzioni. A mano a mano che il lavoro diventa sempre più autonomo, le
persone si devono assumere maggiore responsabilità per ottenere i risultati del proprio
lavoro, e questo introduce nuove sfide sia per il ruolo del management e per le
competenze dei lavoratori. Invece di agire in un contesto organizzativo definito,
relativamente stabile, il manager deve concentrarsi maggiormente su una rete in continuo
divenire, composta da numerosi tipi di attori diversi, e da “comunità di valori”. All’interno
di questi network, anche la gestione delle risorse è più frammentaria, richiede abilità di
dialogare con entità diverse e di considerare differenze individuali tra i lavoratori stessi.
Nella visione strategica la Finlandia dovrà essere il paese europeo con le migliori condizioni
di vita lavorativa nel 2020. Poiché lo sviluppo della vita lavorativa dipende da ogni singola
unità organizzativa, l’obiettivo della strategia è di intervenire per delineare i contesti
lavorativi dal punto di vista della qualità delle condizioni di lavoro e del benessere diffuso.
La qualità della vita lavorativa dovrà essere garantita in futuro secondo uno schema di
miglioramento progressivo: le organizzazioni svilupperanno per tappe le condizioni
qualitative, secondo uno schema che viene rappresentato nelle tabelle sotto riportate
(Tab. 1 e Tab. 2). La strategia si rivolge a tutte le imprese, affinché si possano raggiungere
risultati basilari, intermedi o eccellenti, a seconda del punto di partenza. Per ottenere
questi risultati bisognerà investire per lo sviluppo delle funzioni manageriali e di
coordinamento, per promuovere atteggiamenti cooperativi, oltre che per rafforzare
l’impegno e l’affezione al lavoro. Bisogna inoltre introdurre nuovi metodi di lavoro, che
spingano le persone a partecipare nei processi per dare il meglio di sé, con le proprie
differenze e diversi portati culturali, perché solo in questo modo possono offrire un
contributo fattivo in termini di creatività, conoscenze e competenze da mettere a
disposizione del contesto lavorativo.
Programma ACT – azioni di sostegno per l’attuazione sul territorio delle politiche del lavoro
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DOCUMENTO DI LAVORO
VERSIONE FEBBRAIO 2016
Tab. 1
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FEMMINILE AL MERCATO DEL LAVORO
3
Percorsi di sviluppo in specifici contesti lavorativi e obiettivi nell’ambito della
strategia per lo sviluppo della vita lavorativa
Buon livello di base
Sviluppatori
Pionieri
Tutte le condizioni basilari sono
realizzate, il lavoro quotidiano
e i compiti individuali sono
svolti regolarmente. L’obiettivo
è di raggiungere in ogni luogo
di lavoro un buon livello di base
Gli sforzi per lo sviluppo sono
portati avanti attraverso singoli
progetti, e poi attraverso un
approccio sistematico e
versatile. Questo livello include
anche gli ambiti descritti per il
buon livello di base.
Prodotti, servizi, approcci
operativi, comunità lavorative
eccellenti a livello mondiale in
continuo sviluppo. Questo livello
include anche gli ambiti descritti
per la fase dello sviluppatore
Quando si raggiunge questo
stadio, vengono sfruttate le
opportunità di crescita e, nel
caso di organizzazioni
pubbliche, di offerta di servizi
più efficaci, oltre a sviluppare
nuovi approcci operativi.
Il personale, i clienti e i partner
sono coinvolti nello sviluppo.
Questo gruppo è caratterizzato
dall’agilità, competitività,
capacità di creare nuova
occupazione e offrire servizi ai
clienti.
Si sfruttano meglio i servizi per
promuovere lo sviluppo
dell’azienda, in base ai suoi
bisogni.
Si opera in linea con la
legislazione e i contratti
collettivi.
Il personale è consultato.
Si promuovono l’uguaglianza e
la lotta alla discriminazione.
Si sfruttano le opportunità
offerte dagli accordi collettivi e
la legislazione per la
conciliazione tra vita e lavoro.
C’è spazio per diversi tipi di
persone nella comunità
professionale, che rimane
aperta a nuovi ingressi.
Si fanno sforzi per lo sviluppo
del management, e del ruolo
dei coordinatori.
Si presta attenzione allo
sviluppo delle capacità
collaborative necessarie in
futuro, le competenze
organizzative, negoziali, e delle
competenze necessarie per la
gestione autonoma della
propria funzione.
Si promuove ulteriormente la
conciliazione, considerando le
esigenze dei lavoratori e
dell’impresa negli orari e nei
tempi di lavoro.
Queste qualità sono sostenute
attraverso partnership che
funzionano, reti, acquisizioni di
aziende e ristrutturazioni.
La diversità è sfruttata e gestita.
Ugualmente ci si assume rischi e 12
si contempla la possibilità di
compiere errori.
Il lavoro è caratterizzato
dall’impegno, l’assunzione di
responsabilità e l’entusiasmo.
L’organizzazione innovativa del
lavoro prende in considerazione i
bisogni individuali del
lavoratore, e gli orari possono
essere facilmente adattati in
base alla situazione lavorativa e
alle preferenze individuali.
3
Per entrambe le tabelle 1 e 2 la fonte è la Tavola rotonda sulla produttività (2011): Industrie per
lo sviluppo della produttività e della qualità della vita lavorativa.
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FEMMINILE AL MERCATO DEL LAVORO
Tab. 2
Supporto allo sviluppo del contesto lavorativo previsto dal progetto di cooperazione
nazionale
Attori Nazionali
Per attuare la strategia per lo
sviluppo della vita lavorativa
nei luoghi di lavoro pubblici e
privati, sarà lanciato un
progetto ampio di
cooperazione nazionale che
coinvolgerà i luoghi di lavoro,
le organizzazioni del mercato
del lavoro, i prestatori di
servizi, sia statali che privati.
In quanto parte di questo
progetto Tekes lancerà un
programma specifico per lo
sviluppo dell’organizzazione
del lavoro.
Le reti per lo sviluppo
nazionali metteranno in
relazione fra loro esperti,
ricercatori, prestatori di
servizi e luoghi di lavoro
interessati in questo
programma. Le imprese e le
organizzazioni pubbliche
possono partecipare alle
attività di questo network in
base alla propria
pianificazione e ai bisogni.
Il raggiungimento degli
obiettivi prefissati nella
strategia di sviluppo, così
come le condizioni della vita
lavorativa, saranno monitorati
attraverso una serie di
metodi, tra cui un nuovo
strumento di monitoraggio in
fase di elaborazione.
Industrie del settore pubblico e
privato e federazioni
dell’industria
Diverse industrie (che aderiscono
al progetto di cooperazione
nazionale) si impegnano in progetti
comuni in un determinato settore,
per sviluppare vantaggi reciproci,
e il successo dell’impresa o
dell’organizzazione, così come dei
propri lavoratori.
I temi includono i luoghi di lavoro
del futuro, l’aumento della
produttività e della qualità della
vita lavorativa, buone condizioni di
lavoro per il datore e il lavoratore,
riduzione dell’assenteismo a causa
di malattie, il prolungamento delle
carriere, ecc.
Le federazioni industriali hanno il
migliore accesso alle imprese e
alle organizzazioni nei propri
settori.
I progetti possono essere attuati
anche superando i confini settoriali
in molte industrie, gli sforzi per lo
sviluppo possono prolungarsi nel
tempo e sono efficaci.
Le federazioni industriali possono
inoltre assumersi la responsabilità
dei progetti ed essere attivamente
coinvolte nel networking
nazionale.
Fornitori di servizi e
attori regionali
Un quadro di riferimento
per le attività è composto
da prestatori privati di
servizi, gruppi di
coordinamento regionale,
consulenti aziendali e del
lavoro, istituzioni
educative e formative a
livello locale.
Insieme questi sono i più
indicati per raggiungere i
posti di lavoro nel
territorio.
Il progetto di cooperazione
nazionale punta a sfruttare
le strutture e i gruppi
esistenti in ambito locale.
I fornitori di servizi e i
consulenti aziendali
promuovono la fiducia e la
cooperazione, insieme allo
sviluppo, nei luoghi di
lavoro.
Nelle questioni legate alla
vita lavorativa, i servizi al
lavoro sono disponibili sia
nel settore privato che in
quello pubblico.
La legislazione rappresenta
un’entità chiara, equilibrata,
che tiene conto dei
cambiamenti nei luoghi di
lavoro e nella società che li
circonda.
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FEMMINILE AL MERCATO DEL LAVORO
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C. FRANCIA
C. 1)
“Industria del futuro”, a cura del Ministero dell’Economia, maggio 2015
Link: http://www.economie.gouv.fr/files/files/PDF/pk_industry-of-future.pdf
Nel 2013 la Francia ha avviato un programma nazionale di potenziamento del settore
industriale, “La nouvelle France industriale” che, a partire dalla definizione di priorità in
materia di politica industriale, identifica 34 iniziative da portare avanti mediante la
costruzione di sinergie tra le forze produttive e il governo, allo scopo di rinnovare e
potenziare la competitività nazionale sui mercati globali. Nel 2015 è stata avviata la
seconda fase del programma, che punta su modernizzazione e digitalizzazione del sistema
produttivo francese, molto caldeggiate anche nello studio pubblicato nel 2014 dalla società
di consulenza Roland Berger4. Il manifesto del progetto “Industria del futuro” fa della
formazione dei lavoratori uno dei 5 pilastri attorno al quale costruire, in stretto raccordo
con le parti sociali, la rinascita industriale francese.
Negli ultimi anni numerosi sono stati gli approfondimenti sviluppati dietro impulso
governativo in materia di potenzialità e rischi connessi al diffondersi delle tecnologie
dell’informazione e alla digitalizzazione della sfera produttiva. Rispetto a queste
tematiche si rimanda ai seguenti documenti, che hanno preceduto il c.d. “Rapporto
Mettling”, di cui si dà conto nel punto successivo (C.2):

“Rapporto sulla fiscalità dell’economia digitale presentato al Ministero
dell’Economia e al Ministero dello Sviluppo Produttivo”, gennaio 2013
Link: http://www.economie.gouv.fr/files/rapport-fiscalite-du-numerique_2013.pdf

“Rapporto Jules Ferry 3.0. Costruire una scuola creativa e giusta nel mondo
digitale”, Consiglio Nazionale Francese sul Digitale, ottobre 2014
Link: http://www.cnnumerique.fr/wpcontent/uploads/2014/10/Rapport_CNNum_Education_oct14.pdf

“La nuova grammatica del successo. La rivoluzione digitale dell’economia
francese”, Rapporto al Governo di Philippe Lemoine, novembre 2014
Link: http://www.economie.gouv.fr/files/files/PDF/rapport_TNEF.pdf

“Ambizione digitale. Per una politica francese ed europea della transizione
digitale”, Rapporto al Primo Ministro a cura del Consiglio Nazionale
Francese sul Digitale
Link: https://contribuez.cnnumerique.fr/sites/default/files/media/CNNum-rapport-ambition-numerique.pdf
4
http://www.rolandberger.com/media/studies/2014-09-29-rbsc-pub
Digital_journey_An_opportunity_for_France.html
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C. 2) Rapporto al Ministero del Lavoro, dell’Occupazione, della Formazione Professionale
e del Dialogo Sociale, “Lavoro, occupazione, digitale: le nuove traiettorie”,
Consiglio Nazionale Francese sul Digitale, gennaio 2016
Link: http://www.cnnumerique.fr/wp-content/uploads/2015/12/Rapport-travail-versionfinale-janv2016.pdf
Dietro incarico del Ministero del Lavoro, il Consiglio Nazionale Francese sul Digitale ha
analizzato l’impatto della rivoluzione digitale rispetto a tre tematiche: a) quali sono le
nuove occupazioni, e le competenze richieste per svolgerle, e come guidare la
trasformazione digitale delle imprese?; b) quali sono le tecnologie e le soluzioni digitali
adottate dai servizi pubblici per l’impiego in tutto il mondo?; c) quali effetti producono
l’automatizzazione e la digitalizzazione sulle mansioni lavorative e sulle condizioni di
lavoro?
Per orientare l'azione pubblica e privata attraverso traiettorie di sviluppo dall’esito
incerto, il Consiglio ritiene necessario puntare alla realizzazione di alcuni obiettivi chiave:
 valorizzare e tutelare i percorsi occupazionali ibridi, caratterizzati da numerose
transizioni professionali;
 trasformare le organizzazioni e farne luoghi di emancipazione ed apprendimento;
 supportare lo sviluppo di nuove forme di collettività coerenti con le attuali modalità
di lavoro affinché i singoli non perdano titolarità ai diritti sociali e possano essere
rappresentati a tutti livelli di dialogo sociale;
 rimodulare i rapporti di lavoro e gli schemi di redistribuzione della ricchezza;
 favorire lo sviluppo di talenti e capacità individuali.
Il Rapporto scaturito dall’indagine si apre con una panoramica sul dibattito pubblico,
accademico, sindacale e datoriale – e delle contraddizioni insite in esso – relativo al
futuro dell’occupazione e al mutare del concetto di lavoro, sempre più difficilmente
analizzabile mediante le categorie di pensiero preesistenti. Il documento rinviene
infatti nell’epoca contemporanea il verificarsi di un mutamento sistemico, di una
metamorfosi verso scenari di difficile previsione, la cui gestione deve passare per una
rivoluzione epistemologica in grado di provvedere a nuove categorie analitiche per
affrontare minacce quali la paventata compressione di posti di lavoro prodotta dalla
digitalizzazione. I dibattiti riassunti ed ampliati dal documento sono relativi a nove
tematiche controverse, rispetto alle quali il gruppo di lavoro ha raccolto, mediante
interviste, il parere di sociologi, economisti, avvocati, funzionari pubblici, esponenti
delle parti sociali e del terzo settore:
 quale sarà lo statuto del lavoro nella società di domani?
 la digitalizzazione promuove l’emancipazione e la conquista di autonomia dei
lavoratori?
 il lavoro salariato è superato?
 la digitalizzazione accentua la segmentazione del mercato del lavoro? Si tratta di un
fenomeno transitorio o strutturale?
 vendere beni o servizi mediante piattaforme è una forma di lavoro a tutti gli
effetti?
 le aziende tendono inevitabilmente alla “uberizzazione”5?
 è auspicabile scollegare lavoro e reddito?
 qual è il futuro del dialogo sociale nell’epoca digitale?
5
Il neologismo rimanda alle nuove modalità di offerta, mediante il contatto tra erogatore e fruitore
su apposite piattaforme informatiche, di servizi di trasporto o di alloggio, per esempio, da parte di
persone non professionalmente impegnate a tempo pieno in quel settore. Questo modello
economico “on demand”, se adottato a livello aziendale, può essere foriero di ulteriore agilità
produttiva.
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15
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
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è auspicabile scollegare i diritti alla protezione sociale dalla condizione
occupazionale?
A partire da queste domande su lavoro e occupazione, il Rapporto formula 20
raccomandazioni, riguardanti sia azioni a carattere legislativo da intraprendere nel medio
periodo che potenziali linee di sperimentazione, raccolte lungo sei assi principali.
Una prima serie di sfide concerne i percorsi di carriera ibridi che toccano sempre più
lavoratori, e richiamano la necessità di implementare dispositivi di accompagnamento
personalizzati e incentivanti lungo i percorsi lavorativi. Il secondo asse di intervento è
relativo alla regolamentazione dei rapporti di lavoro alternativi all’occupazione standard,
che vanno diffondendosi coerentemente con le aspirazioni a una maggiore autonomia da
parte dei lavoratori e le esigenze di flessibilità e snellezza produttiva delle aziende
appartenenti al settore privato tradizionale o organizzate secondo i criteri della
cooperativa e dell’economia sociale. Rispetto alla possibilità di delineare uno scenario
industriale altamente innovativo a livello sia nazionale che europeo, il Rapporto sollecita
l’adozione di strategie basate sulla complementarità tra sistema di istruzione e
formazione, ricerca avanzata e produzione industriale e il diffondersi di una cultura
aziendale basata su criteri di innovazione aperta e licenze libere. Il quarto asse è relativo
all’ammodernamento dei sistemi di istruzione e formazione e contiene raccomandazioni
relative alla necessità di formazione lungo tutto l’arco della carriera lavorativa a beneficio
non solo dei lavoratori dipendenti ma anche, per esempio, dei quadri e dei dirigenti
aziendali. Rispetto al tema delle relazioni industriali viene caldeggiata l’adozione di un
modello molto aperto di dialogo sociale, centrato su principi democratici e sull’adeguata
trattazione di temi rispondenti ai cambiamenti in corso nel mondo del lavoro. Il documento
si chiude con la proposta di modelli di redistribuzione basati sul principio della solidarietà
e la raccomandazione di proseguire nella valutazione e nella sperimentazione di uno
schema di reddito minimo universale e incondizionato a contrasto dei rischi di esclusione e
disuguaglianza.
C. 3) “Trasformazione digitale e vita lavorativa”, Rapporto al Ministero del Lavoro,
dell’Occupazione, della Formazione Professionale e del Dialogo Sociale, settembre 2015
Link: http://travail-emploi.gouv.fr/actualites/l-actualite-du-ministere/article/remise-durapport-mettling
Nel marzo 2015, il Ministro francese per il lavoro, l’occupazione, la formazione
professionale e il dialogo sociale ha incaricato Bruno Mettling, vice direttore generale e
responsabile delle risorse umane e della comunicazione interna del Gruppo Orange, di
esaminare la questione del’impatto della trasformazione digitale sulla vita lavorativa. Il
Rapporto, scaturito dall’attività di indagine condotta da una Commissione di esperti
accademici, aziendali e sindacali e presentato al Ministero del Lavoro francese nel
settembre 2015, analizza tre aspetti principali in relazione ai cambiamenti in corso nel
settore tecnologico:
 condizioni e contesto lavorativo;
 organizzazione del lavoro e qualità della vita lavorativa;
 gestione delle risorse umane da parte dei vertici aziendali e, specialmente, da
parte dei dirigenti di primo livello con funzioni intermedie tra lavoratori e top
management.
Avendo la rivoluzione digitale un impatto estremamente visibile tanto sulla vita privata dei
cittadini quanto sulla qualità della vita lavorativa, la sfida è saper cogliere
contemporaneamente i vantaggi connessi alle innovazioni tecnologiche tanto sul fronte
produttivo che in direzione di un miglioramento della dimensione lavorativa. Il
raggiungimento di questo duplice obiettivo di sviluppo economico e progresso sociale
richiede un intervento politico consapevole e lungimirante e un adeguato
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ammodernamento della cornice legislativa. Affinché il diffondersi di metodologie
lavorative caratterizzate da frequente ricorso agli strumenti digitali dispieghi i suoi migliori
esiti in termini di trasversalità e flessibilità dell’organizzazione del lavoro, il Rapporto
insiste sulla cooperazione e il dialogo sociale tra tutti gli attori coinvolti in questo processo
di trasformazione socio-culturale, Nel corso del Rapporto, inoltre, si individua nella
Conferenza sociale la sede adatta ad avviare il dovuto dibattito su questi temi: la
Conferenza, tenutasi nell’ottobre 2015 a circa un mese dalla pubblicazione del Rapporto
Mettling, ha visto la partecipazione di Governo e parti sociali ed ha discusso, tra i punti
all’ordine del giorno, il tema della trasformazione industriale e tecnologica del Paese e le
36 raccomandazioni per la gestione della fase di trasformazione in corso formulate a
conclusione del Rapporto.
Principali effetti della digitalizzazione e messaggi chiave
Il documento si apre con una breve panoramica dei principali effetti della digitalizzazione:
diffusione di massa di nuovi strumenti di comunicazione nell’espletamento di molte
mansioni lavorative; evoluzione delle competenze richieste per svolgere mansioni anche
non immediatamente pertinenti il settore delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione; cambiamento nel rapporto tra vita privata e vita lavorativa di molti
dirigenti d’azienda sottoposti a ritmi di lavoro elevati e caratterizzati da un notevole
livello di autonomia circa l’organizzazione dei propri impegni; mutamenti
nell’organizzazione del lavoro, che sempre più spesso viene svolto a distanza e assume i
connotati del lavoro di squadra, portato avanti in uno spirito collaborativo e in un’ottica
progettuale; esigenza di modelli manageriali rinnovati, al cui interno assume rilievo la
gestione per progetti ed obiettivi, la gestione in remoto e la capacità di animare comunità
di lavoratori; diffusione del lavoro autonomo e di molte relazioni lavorative alternative alla
forma del lavoro subordinato svolto all’interno dell’azienda.
All’enunciazione di queste linee di tendenza seguono cinque messaggi chiave, che
anticipano in parte le raccomandazioni sviluppate a conclusione del documento e sono
relativi a: rilevanza di un ampio dibattito e di una condivisa linea di azione economicosociale; necessità di adottare politiche pragmatiche per regolamentare al meglio gli
sviluppi in corso; esigenza di modifiche legislative a carattere incentivante in materia di
orario di lavoro, tutela dei lavoratori e tassazione delle imprese; consapevolezza del
rischio di divario digitale, scongiurabile tramite opportuni programmi formativi a beneficio
di tutte gli attori coinvolti; adozione di un approccio preventivo sia rispetto ai nuovi rischi
di esclusione sociale che in materia di salute e benessere dei lavoratori impegnati al di
fuori dei tradizionali luoghi di lavoro rappresentati dai locali aziendali.
Le sfide relative ai contratti di lavoro, alla qualità della vita lavorativa e alla gestione
aziendale
Opportunità e rischi della trasformazione digitale sono stati analizzati dalla Commissione
guidata da Mettling in relazione a tre macro-temi: A) contesto lavorativo; B) qualità della
vita lavorativa; C) funzioni manageriali.
A) Rispetto al primo ambito, viene fatto notare come attualmente vi sia grande
eterogeneità tra un’impresa e l’altra nell’organizzazione spaziale del lavoro e come il
lavoro a distanza nelle sue diverse forme stenti a diffondersi in Francia a causa della
radicata cultura della presenza fisica sul luogo di lavoro. Ciononostante, la formula del
telelavoro interessa un numero crescente di dipendenti (si è passati dall’8% del 2006 al
16,7% nel 2012) e il lavoro a distanza risulta chiaramente associato a miglioramenti della
vita lavorativa e della produttività individuale e aziendale, come dimostrato
dall’esperienza svolta presso il gruppo Mazars dove, dopo la firma di un accordo che
prevedeva adeguata formazione circa la gestione del lavoro a distanza da parte dei
manager, l’8% dei lavoratori è interessato dal telelavoro. La raccomandazione contenuta
del documento è di favorire la sperimentazione di ulteriori schemi di telelavoro,
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coerentemente con l’accordo nazionale interprofessionale sottoscritto nel luglio 2005, e di
introdurre adeguamenti normativi, in particolare rispetto alle regole che tutelano il
lavoratore che svolge le sue mansioni all’esterno dell’azienda dal rischio di incidenti, che
siano adeguate a questa modalità lavorativa.
Altro aspetto del contesto lavorativo su cui la digitalizzazione esercita il suo impatto è
rappresentato dall’orario di lavoro, dal momento che gli strumenti tecnologici possono
aprire la strada a un’intensificazione della mole di lavoro dovuta alla sempre più sfumata
distinzione con la vita privata e alla difficile misurazione del tempo dedicato al lavoro. La
questione è particolarmente rilevante non solo e non tanto per i lavoratori dipendenti che
lavorano in remoto, quanto per i lavoratori autonomi sempre più coinvolti nella
realizzazione di progetti, il cui carico di lavoro è molto difficile da stimare. L’equilibrata
articolazione tra vita privata e lavorativa è considerata uno dei fattori chiave del successo
della trasformazione digitale, dal momento che permette anche un miglioramento della
qualità della vita lavorativa. Senz’altro la maggior parte dei lavoratori è interessata a
conservare il controllo e l’autonomia nella gestione e organizzazione delle due dimensioni,
ma il Rapporto evidenzia come non tutti abbiano sufficiente potere negoziale per
difendere questo confine che diventa sempre più labile per quanti facciano abituale ricorso
ai supporti informatici nell’espletamento delle mansioni lavorative; viene pertanto evocato
il diritto/dovere dei lavoratori alla “disconnessione” dal lavoro una volta a casa, il cui
esercizio non può essere lasciato alla capacità individuale ma deve essere opportunamente
sostenuto sul luogo di lavoro e mediante la regolamentazione nell’uso degli strumenti
informatici (e a tal proposito vengono citate esperienze di limitazione della reperibilità,
tanto dei quadri quanto dei lavoratori, in alcune fasce orarie, giorni della settimana o
periodi di ferie).
Tra i contratti di lavoro risulta inoltre più sfumato che in passato il legame di
subordinazione. A prescindere infatti dal grado di innovazione tecnologica, in un crescente
numero di casi il lavoro è finalizzato alla realizzazione di progetti, cosa che rende a volte
impossibile ai superiori gerarchici, che non siano anche responsabili di progetto, emanare
le direttive e controllarne lo svolgimento da parte dei lavoratori. Le innovazioni digitali
aggiungono ulteriore complessità alla gestione dei progetti lungo la gerarchia manageriale
e, specie nel caso di quanti svolgano da remoto mansioni ad alta intensità di conoscenza,
comportano la diffusione di contratti di lavoro centrati, più che sul legame della
subordinazione, su impegni in termini di performance e raggiungimento di obiettivi che i
lavoratori sono tenuti a onorare.
Il quadro giuridico attuale consente una notevole flessibilità nei contratti di lavoro, come
evidente dall’affermarsi di nuove forme di occupazione che, nei casi più virtuosi,
rispondono contemporaneamente alle esigenze di autonomia dei lavoratori ed a quelle di
agilità produttiva e snellezza organizzativa delle aziende. A proposito delle nuove forme di
impiego, il Rapporto cita la possibilità di condivisione dei lavoratori tra le aziende, favorita
da una legge del 2011 che consente ai lavoratori interessati di essere temporaneamente
distaccati presso altre realtà produttive per fare fronte ai picchi di lavoro, così come il
vistoso incremento dell’occupazione autonoma che, se in alcuni casi mette il lavoratore in
condizioni di parasubordinazione, privandolo però delle tutele tipiche del contratto di
lavoro dipendente, in altri casi è invece indicatore affidabile del diffondersi di figure quale
quella dei crowd workers, che offrono prestazioni lavorative mediante l’uso di piattaforme
informatiche, e di attività economiche organizzate, per esempio, secondo il principio della
cooperativa. Come nel contesto tedesco o in quello statunitense, si pone in modo sempre
più urgente la questione delle tutele e della protezione sociale dei lavoratori autonomi,
che potrebbe richiedere una riforma degli istituti esistenti o la creazione di strumenti ad
hoc rivolti a questa crescente platea di occupati, come richiamato anche in una delle
raccomandazioni che chiudono il rapporto.
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B) La digitalizzazione può essere foriera di un significativo miglioramento della vita
lavorativa purché la fase di trasformazione venga gestita a partire da una accurata
identificazione dei rischi che la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione inevitabilmente comporta. Rispetto a questa sfida, il Rapporto sottolinea
innanzitutto l’importanza della regolamentazione dell’uso dei mezzi di comunicazione
digitale e cita alcuni esempi sperimentali in materia di gestione della posta elettronica e
di altri strumenti di comunicazione utilizzati sul luogo di lavoro. Queste sperimentazioni,
sicuramente opportune a sensibilizzare i lavoratori e i datori di lavoro sull’argomento,
vanno tuttavia ulteriormente ampliate prima che si possa parlare di reali cambiamenti nei
flussi di comunicazione tra i lavoratori.
In molti ambiti produttivi, la chiara connessione tra orario di lavoro e mole di lavoro ha in
passato funzionato da tutela del lavoratore; la rivoluzione digitale, tuttavia, indebolisce
visibilmente questo legame offrendo l’opportunità di sviluppare indicatori alternativi e più
affidabili del reale carico di lavoro. Le indagini relative al migliore strumento per la
rilevazione delle attività svolte (quantità di lavoro) sono in corso da tempo, e il governo
può favorire la diffusione dei risultati già raggiunti affinché le aziende siano facilitate nel
provvedere alla messa a punto di strumenti efficaci nel rilevamento della mole di lavoro
entro le singole realtà produttive, auspicabilmente a livello di team piuttosto che a livello
individuale e basate su riscontri raccolti anche presso i lavoratori interessati.
La nuova organizzazione degli spazi di lavoro ha senz’altro permesso ad aziende a già
avanzato livello di digitalizzazione di adottare innovazioni ergonomiche positive in termini
di benessere dei lavoratori, di rendimento e produttività e di attrazione dei talenti. Il
Rapporto riconosce come la possibilità di prevedere sul luogo di lavoro spazi adeguati alla
collaborazione tra i lavoratori, al consumo dei pasti, alla concentrazione necessaria per lo
svolgimento di determinate mansioni dipenda dalle risorse finanziarie disponibili, oltre che
dalle dimensioni aziendali, e incoraggia gli investimenti a favore di tali iniziative che, se
condotte in un approccio di co-innovazione con i dipendenti, costituiscono un’opportunità
offerta dalla trasformazione digitale in grado di influire molto positivamente sul benessere
del lavoratore e la qualità del lavoro. Su questo tema viene richiamata l’esperienza
virtuosa di una PMI del settore edilizio, che ha implementato un’innovativa strategia di
community building approfittando di strumenti tecnologici all’avanguardia e adottando un
metodo di lavoro e rapporto con i clienti ispirato da principi di flessibilità e coinnovazione.
Infine, la Commissione evidenzia come la digitalizzazione possa produrre un aumento dello
stress lavoro-correlato e comportare una diffusione di rischi psico-sociali e ricorda come
l’accordo interprofessionale nazionale del 2008, concernente il rischio di stress sul posto di
lavoro, non includa disposizioni specifiche a favore dei lavoratori della conoscenza o che
fanno largo ricorso agli strumenti digitali nell’espletamento delle loro mansioni. A tal
proposito vengono quindi richiamati il principio del diritto-dovere di “staccare”
dall’attività lavorativa così come quello di una nuova attenzione al carico di lavoro,
piuttosto che al solo orario di lavoro.
C) La trasformazione digitale rende particolarmente importante il ruolo di dirigenti di
primo livello e supervisori (“management de proximité”), figura che si è andata evolvendo
con l’affermarsi del “modello Hollywood”, in cui la squadra di lavoratori viene formata in
vista del raggiungimento di un obiettivo e il ruolo gestionale prevede non solo l’esercizio di
funzioni di leadership rispetto a un team avente spesso una durata temporale limitata ma
anche l’aumentata interazione con figure esterne (ad esempio fornitori e lavoratori
autonomi) e un maggiore impegno in termini di reporting sull’avanzamento del progetto.
Oltre alle competenze in materia di coordinamento gerarchico e coordinamento di
progetto, i dirigenti che fungono da collegamento tra lavoratori e top management
svolgono pertanto una funzione di coordinamento a carattere reticolare e hanno bisogno di
Programma ACT – azioni di sostegno per l’attuazione sul territorio delle politiche del lavoro
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delicate competenze anche nella gestione delle tensioni e delle contraddizioni che
scaturiscono dalla necessità di controllo e supervisione, da un lato, e dalla maggiore
autonomia nell’organizzazione del proprio lavoro da parte dei lavoratori, dall’altro. Altro
nodo delicato rimanda poi alla giustapposizione tra settori aziendali particolarmente
innovativi e aperti a collaborazioni con realtà economico-produttive terze, e settori invece
più ancorati a logiche di riservatezza e segreto professionale.
Identificazione degli obiettivi e valutazione dei risultati sono rese complicate
dall’ibridazione tra forme di coordinamento (gerarchico, di progetto e di rete). Il
coordinamento reticolare apre la strada ad approcci gestionali e dirigenziali più diretti e
collaborativi, e i manager del futuro dovranno essere in grado di esercitare con stile
consensuale funzioni di leadership e animazione di squadre di lavoratori sempre più
autonomi, dovranno essere aperti alle innovazioni e saper trovare il giusto equilibrio, a
seconda della natura dell’attività svolta, tra modalità gestionali tradizionali basate sul
principio gerarchico, gestione trasversale delle risorse e forme di “coaching”. Viste le
opportunità aperte dalla digitalizzazione sul fronte del lavoro da remoto, il ruolo dei
manager è poi ulteriormente complicato dall’esigenza di gestire equilibratamente distanza
e presenza di un numero crescente di lavoratori, di conservare l’affiatamento e favorire la
comunicazione tra lavoratori di una stessa squadra che lavorano a distanza, di saper
riconoscere e valorizzare alcune mansioni svolte da remoto.
Se i dirigenti di primo livello vedono il loro ruolo trasformarsi rapidamente con il
diffondersi della digitalizzazione, il Rapporto evidenzia i cambiamenti e l’impatto che essa
provoca anche presso i vertici aziendali, chiamati a riconoscere nella gestione del
benessere dei lavoratori una questione strategica della loro attività di leadership. Questo
può significare che le implicazioni della digitalizzazione possono essere oggetto di
approfondimento entro i Consigli di amministrazione, che i criteri di valutazione delle
performance devono essere ampliati tenendo conto di elementi relativi a indicatori di
soddisfazione del personale o di tutela rispetto agli incidenti di lavoro, che le attività di
“reporting” svolte dai manager di primo livello vanno accuratamente regolate e che vi
deve essere buona predisposizione ad adottare una cultura di impresa coerente con il
diffondersi di metodi di lavoro digitali basata, ad esempio, su modelli di gestione
partecipativi. Un esempio di gestione partecipativa viene fornito con riferimento
all’azienda Edenred che, al fine di coinvolgere i clienti in programmi informatizzati di
miglioramento dei prodotti, ha organizzato gruppi di lavoro comprendenti diversi livelli
manageriali per co-costruire il piano di gestione partecipativa; Spotify viene invece citata
come esempio di organizzazione snella, al cui interno i piccoli gruppi di lavoro procedono
in relativa autonomia rispetto al top management nel raggiungimento degli obiettivi loro
assegnati.
Le raccomandazioni formulate per favorire il successo della trasformazione digitale
La Commissione di indagine ha individuato sei obiettivi di ordine generale, per il cui
conseguimento vengono proposte una serie di raccomandazioni utili a facilitare ed
accelerare la rivoluzione digitale, facendone un’opportunità di successo economico per le
imprese del paese e di miglioramento della vita lavorativa.
A) Sviluppare il sistema di istruzione e formazione includendovi programmi utili alla
diffusione dei nuovi strumenti digitali. L’educazione al digitale è infatti centrale in questa
fase di transizione ma risulta ancora poco sviluppata nonostante l’esigenza di continui
aggiornamenti in questo campo e le possibilità che la digitalizzazione può aprire invece in
termini di posti di lavoro presso settori più ricettivi delle innovazioni nella cultura
organizzativa quali l’affermarsi del lavoro in rete, della cultura dell’autonomia e di
modelli gestionali snelli, trasversali e cooperativi. La digitalizzazione può contribuire alla
promozione della diversità e della partecipazione al mercato del lavoro di gruppi target,
per es. delle donne. Pertanto, il Rapporto sollecita i vari settori professionali ad effettuare
e aggiornare costantemente, anche in raccordo con Ministero del lavoro e parti sociali, una
Programma ACT – azioni di sostegno per l’attuazione sul territorio delle politiche del lavoro
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stima dei fabbisogni professionali e delle competenze richieste e una valutazione dei costi
necessari a formare queste risorse. Lo stanziamento di risorse a favore della formazione
viene indicato come metodo imprescindibile per assicurare che la digitalizzazione non
produca nuove fratture sociali e forme di esclusione a danno di alcuni segmenti della forza
lavoro. A tal proposito viene citata l’esperienza formativa di cui hanno beneficiato,
grazie alla collaborazione con IBM, i dipendenti dei Centri per l’impiego (Pôle emploi),
basata su un approccio di rete e altamente collaborativo che ha visto, tra l’altro, il ricorso
a metodi di apprendimento innovativi, quale quello della “didattica capovolta”6. Le
competenze digitali dovrebbero inoltre essere materia di apprendimento già durante i cicli
scolastici, e l’alfabetizzazione informatica dovrà avere come obiettivo quello di
permettere a tutti i cittadini di acquisire almeno le nozioni di base circa il funzionamento
delle nuove tecnologie. Per colmare il deficit di competenze digitali si rende necessaria la
mobilitazione congiunta di attori imprenditoriali, accademici e provenienti dalle start up
ad alto contenuto innovativo, eventualmente coordinata dalla BPI (Banca Pubblica di
Investimento francese).
B) Rendere la trasformazione digitale un elemento chiave dei dispositivi di
professionalizzazione e dei criteri per l’avanzamento di carriera. Rispetto a questo
obiettivo generale, il Rapporto raccomanda l’adozione di politiche delle risorse umane
basate su aggiornamento continuo delle competenze e riqualificazione dei lavoratori,
indipendentemente dall’età o dal livello, per riuscire contemporaneamente a potenziarne
l’occupabilità e favorirne lo sviluppo professionale ma anche ad aumentare la produttività
delle imprese e conservarne la competitività sul piano internazionale. In particolare, viene
poi raccomandato di garantire un supporto formativo per la riqualificazione delle persone
più deboli sul mercato del lavoro, al fine di scongiurare il divario digitale. Nel
perseguimento di questo obiettivo, si caldeggia di porre adeguata attenzione alla
formazione dei formatori così come all’aggiornamento dei dirigenti, in particolare dei
dirigenti di primo livello, che si trovano di fronte a cambiamenti del lavoro dovuti al
diffondersi di nuove forme di lavoro che richiedono rinnovate competenze gestionali.
L’educazione digitale, inoltre, viene considerata lo strumento adatto a fare della
digitalizzazione un’opportunità per alcuni segmenti della forza lavoro tra cui le donne,
che tuttora soffrono dello svantaggio derivato dal pregiudizio circa la scarsa
propensione femminile per le attività tecniche e la contrazione di posti di lavoro in
alcuni settori altamente femminilizzati. L’impronta tradizionale della formazione
superiore, che tuttora valorizza la cultura del segreto aziendale e del brevetto, andrebbe
infine adattata a nuove strategie produttive basate invece su cooperazione, networking
inter-aziendale, diffusione di licenze libere, miglioramento dei prodotti tramite il
raccoglimento di suggerimenti da parte dei consumatori.
C) Delineare una cornice giuridica e fiscale che supporti le aziende e protegga
adeguatamente i lavoratori è un passo centrale nel processo di adattamento dei contesti
lavorativi agli sviluppi tecnologici in corso. Complessivamente, la Commissione reputa che
la normativa vada snellita e semplificata, di modo da facilitare il diffondersi di pratiche
quali, ad esempio, la dotazione dei dipendenti di strumenti tecnologici di proprietà
aziendale; e che il quadro normativo vada ammodernato anche dal punto di vista
dell’imposizione fiscale e tributaria a carico non solo dei lavoratori ma anche delle
imprese, che richiedono ulteriore supporto per poter investire in innovazione e contribuire
al lancio di start up. Il Rapporto dedica tuttavia particolare attenzione alla legislazione
6
Il metodo delle “classi capovolte” o “didattica capovolta” (flipped learning) si è sviluppato molto
recentemente negli Stati Uniti e inizia a essere adottato anche nei contesti europei più aperti
all’innovazione. Esso lascia la possibilità agli studenti di seguire da casa lezioni, video o spiegazioni
preparate dai docenti in formato video, podcast o testo e prevede che durante gli incontri in aula si
studi, prevalentemente in gruppo e con l’ausilio di strumenti informatici, per risolvere problemi e
sperimentare quello che si è imparato.
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concernente i lavoratori autonomi, e/o che lavorano a distanza, e raccomanda un
adeguamento della normativa nazionale in particolare per quanto concerne gli aspetti
della salute e della sicurezza dei lavoratori e gli orari di lavoro. I cambiamenti nei modelli
di lavoro, così come la diversificazione dei percorsi di carriera, rendono necessario
l’adeguamento della regolamentazione in materia di protezione sociale e la costruzione di
un nucleo di diritti legati alla persona, trasferibili lungo i diversi cambiamenti di lavoro che
le persone sperimentano sempre più frequentemente e validi su base sovranazionale, al
fine di rimuovere gli ostacoli alla mobilità all’interno e tra le imprese. Il sistema di diritti e
doveri sociali va poi aggiornato in riferimento a forme di produzione del reddito tipiche
dell’economia collaborativa o peer to peer, come evidenziato dal diffondersi di
piattaforme informatiche per lo scambio di prodotti e, ancora di più, di servizi.
Chiaramente, queste raccomandazioni vanno di pari passo con l’esigenza di chiarire la
distinzione tra lavoro dipendente e tutte le altre forme di lavoro che non implicano la
subordinazione, come evidenziato anche dal dibattito in corso in altri paesi. Il
raggiungimento di questi obiettivi, viene infine raccomandato, può essere facilitato dalla
creazione di strumenti, quali banche dati pubblicamente consultabili che garantiscano a
tutti i cittadini accesso a informazioni aggiornate e precise.
D) Mettere gli sviluppi digitali al servizio del miglioramento della qualità della vita
lavorativa. Il buon equilibrio tra lavoro e vita privata è una condizione essenziale per
completare con successo la trasformazione digitale e cogliere le opportunità che essa offre
in termini di miglioramento della qualità di vita. Il diritto/dovere alla “disconnessione”
richiama responsabilità individuali e collettive e rimanda a tematiche quali la corretta
valutazione del contributo lavorativo apportato da ciascun lavoratore mediante strumenti
di misurazione delle performance alternativi all’orario di lavoro, la regolamentazione
dell’uso di dati e informazioni digitali e la capacità di creare un senso di collettività anche
tra persone che raramente lavorano interfacciandosi di persona. A tal proposito, la
Commissione considera molto positivamente, ove possibile, l’istituzione di spazi aziendali
adeguati alla creazione di un clima collaborativo e paritario utile non solo a un proficuo
confronto lavorativo ma anche alla condivisione di momenti di convivialità sulla cui base è
più semplice coltivare relazioni lavorative a distanza. Ancora nell’ottica di una
valorizzazione della dimensione collettiva che potrebbe di primo acchito essere sacrificata
dall’adozione di uno stile di vita e di lavoro basato in larga misura sull’utilizzo di strumenti
di comunicazione digitale, viene caldeggiata innanzitutto la valutazione delle performance
collettive, invece che esclusivamente individuali. Il Rapporto dedica inoltre particolare
attenzione alla tematica della prevenzione di rischi professionali associati alle nuove
modalità di organizzazione del lavoro e alla capacità dei manager, che si ritrovano a
gestire una comunità di collaboratori, di svolgere un ruolo di ascolto e supervisione anche
rispetto alla dimensione sanitaria di quanti lavorano al di fuori delle mura aziendali e
possono essere soggetti a fattori di stress particolarmente dannosi per l’equilibrio tra vita
privata e vita professionale; entro gli accordi nazionali andrebbe inoltre chiarita la
questione della responsabilità in casi di incidenti di lavoratori che prestano i loro servizi da
luoghi alternativi ai locali aziendali. Un’ulteriore raccomandazione concerne la diffusione
del lavoro a distanza, significativo per il miglioramento della qualità della vita, e il
Rapporto esorta le parti sociali a sfruttare le opportunità di telelavoro offerte entro i
contratti nazionali e ad adottare una logica di organizzazione a livello di gruppo o di
squadra di lavoro nella considerazione di queste modalità organizzative, che non
dovrebbero più essere oggetto di negoziazione tra il singolo lavoratore e l’azienda ma
possono progressivamente diventare il nuovo quadro di riferimento nell’espletamento di
mansioni aventi a obiettivo la realizzazione di un progetto cui concorrono più competenze.
In quest’ottica, si incoraggia la creazione luoghi condivisi di lavoro “terzi”, a cura delle
municipalità o delle regioni, che permettano di ridurre il pendolarismo e contrastare lo
spopolamento di aree meno vantaggiose in termini di possibilità occupazionali. Le aziende
vengono inoltre incoraggiate ad accogliere, entro le rispettive politiche retributive,
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parametri che misurino la capacità di adattamento dei lavoratori e l’eventuale formazione
alle novità introdotte dalla digitalizzazione del lavoro. I dipartimenti aziendali di risorse
umane, infine, dovrebbero regolare, possibilmente in collaborazione con le associazioni di
rappresentanza dei lavoratori, l’utilizzo e la registrazione dei dati relativi ai loro
dipendenti raccolti mediante il monitoraggio di e-mail, messaggi istantanei, telefonate,
pagine internet visitate.
E) Puntare a un sistema economico-produttivo basato su co-costruzione e co-innovazione.
Il Rapporto rileva che le realtà produttive che hanno già adottato una cultura aziendale
partecipativa e collaborativa ricorrendo a strumenti quali, ad esempio, la rilevazione del
parere dei dipendenti circa lo sviluppo di nuovi prodotti o l’adozione di nuovi processi,
hanno tratto enorme giovamento da queste pratiche di co-costruzione e co-innovazione sia
in termini di performance e produttività complessiva che di miglioramento della qualità
della vita lavorativa (e dunque produttività) individuale. Un primo passo per il
raggiungimento di questi obiettivi potrebbe essere l’ampliato ricorso a strumenti tecnici e
digitali nel dialogo sociale; il miglioramento del dialogo sociale scaturito dall’uso delle
tecnologie digitali può essere reso possibile da nuove forme di comunicazione,
informazione e aggiornamento a cura dei sindacati, rigorosamente individuate in
collaborazione con i vertici aziendali.
F) Comprendere e anticipare le sfide della trasformazione digitale. A tal fine la
Commissione ritiene essenziale portare avanti, anche a livello sperimentale, la ricerca nel
campo delle scienze umane e sociali, finanziandola opportunamente dal momento che per
anticipare le sfide della digitalizzazione, piuttosto che reagire ad esse ex post, il paese
necessita di mobilitare le sue risorse in materia di ricerca sviluppando una visione
strategica e un quadro di riferimento al cui interno gestire i futuri cambiamenti. Al fine di
costruire e sviluppare un paradigma francese della società digitale, l’ultima
raccomandazione contenuta nel Rapporto è di discutere la tematica in sede di Conferenza
sociale: le sfide poste dalla trasformazione digitale, soprattutto in termini di occupazione
e coesione sociale, sono infatti di una tale portata che il coinvolgimento politico delle
autorità pubbliche e il confronto sistematico con le parti sociali vengono considerati di
primaria importanza.
D. GERMANIA
D. 1) “Raccomandazioni per l’implementazione dell’iniziativa strategia INDUSTRIA 4.0”
Rapporto conclusivo del Gruppo di lavoro Industria 4.0, aprile 2014
Link:
http://www.acatech.de/fileadmin/user_upload/Baumstruktur_nach_Website/Acatech/roo
t/de/Material_fuer_Sonderseiten/Industrie_4.0/Final_report__Industrie_4.0_accessible.pdf
Nel 2011 il Governo tedesco ha lanciato l’iniziativa “Industrie 4.0”, centrata sull’adozione
di strumenti e modelli propri delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione
entro il settore produttivo manifatturiero. L’introduzione negli ambienti manifatturieri di
“Internet of things and services”, mettendo in rete risorse, informazioni, obiettivi e
persone, è di stimolo di nuovi sistemi produttivi associati al diffondersi delle smart
factories, i cui potenziali si riferiscono alla flessibilità produttiva, all’aumentata capacità
di soddisfazione delle richieste dei singoli acquirenti, alla trasparenza assoluta dei processi
produttivi e, in linea generale, all’affermarsi di modelli di business innovativi. Il
documento del Gruppo di lavoro, richiamando la già consolidata competitività globale del
sistema manifatturiero tedesco, insiste sulla capacità dell’economia nazionale di trarre
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massimo giovamento dalle opportunità connesse alla quarta rivoluzione industriale e
relative, tra le altre cose, alla soluzione di sfide contemporanee quali il mutamento
demografico e il conseguente invecchiamento della popolazione così come le crescenti
esigenze di conciliazione vita-lavoro legate all’accresciuta partecipazione femminile al
mercato del lavoro.
Al fine di portare a compimento positivamente il passaggio verso il modello industriale 4.0,
il gruppo di ricerca caldeggia innanzitutto l’adozione di strategie economico-produttive,
come l’ulteriore integrazione di strumenti informatici e delle tecnologie della
comunicazione nei settori produttivi high-tech e il consolidamento del mercato dei
prodotti e delle tecnologie connessi ai sistemi ciber-fisici, volte a garantire al Paese una
posizione di spicco entro i mercati globali più innovativi e remunerativi. In secondo luogo,
vengono incoraggiati investimenti in ricerca e sviluppo, iniziative industriali e scelte di
politica industriale attinenti alcune aree di particolare rilievo:
 sviluppo di un quadro di riferimento contenente standard condivisi per l’attivazione
di collaborazioni e partenariati tra aziende
 individuazione di metodi e strumenti necessari alla gestione di sistemi complessi
 diffusione di reti internet a banda larga
 elaborazione di un quadro di riferimento in materia di sicurezza integrata, a tutela
non solo dei lavoratori e dell’ambiente ma anche dei prodotti, dei dati e delle
informazioni industriali
 adozione di modelli lavorativi partecipativi e implementazione di misure di lifelong
learning
 promozione di buone pratiche in materia di aggiornamento continuo delle
competenze, eventualmente mediante il ricorso a tecniche di apprendimento
digitali
 adeguamento della normativa in materia di protezione dei dati aziendali, gestione
dei dati personali e restrizioni commerciali
 oculata valutazione del rapporto tra risorse energetiche e materie prime utilizzate
nelle aziende 4.0, da un lato, e possibilità di risparmio che si aprono nelle smart
factories grazie all’efficientamento energetico e alla maggiore produttività delle
risorse, dall’altro.
L’obiettivo dell’iniziativa tedesca, cui è dedicata la Piattaforma “Industrie 4.0” 7, è di
assicurare il successo di questa nuova vision economico-produttiva, che presuppone
l’implementazione di cambiamenti, a volte radicali, entro i modelli aziendali sia in
riferimento agli aspetti esclusivamente produttivi che in termini di innovazione sociale: dal
punto di vista organizzativo, infatti, vi è ampio riconoscimento delle implicazioni che gli
sviluppi tecnologici avranno per i lavoratori, come successivamente approfondito dal Libro
Verde pubblicato dal Ministero Federale del Lavoro e degli Affari Sociali.
D. 2) “Ri-pensare il lavoro. Libro Verde sul Lavoro 4.0”, Ministero Federale del Lavoro e
degli Affari Sociali della Repubblica federale Tedesca, aprile 2015
Link: http://www.bmas.de/DE/Service/Medien/Publikationen/A872-gruenbuch-arbeitenvier-null.html
Nel 2015 il Ministro del Lavoro e degli Affari Sociali tedesco (BMAS) ha invitato ricercatori,
parti sociali, associazioni e cittadinanza in generale a partecipare a un ampio dibattito
pubblico sulla società del lavoro del futuro, i cui primi sviluppi sono già in via di
consolidamento. Il Libro Verde rappresenta il punto di partenza per la ricerca di risposte e
soluzioni condivise alle esigenze poste dai profondi cambiamenti che sono riconducibili alle
innovazioni tecnologiche e al significativo impatto che esse esercitano sull’organizzazione
7
http://www.plattform-i40.de/I40/Navigation/DE/Home/home.html
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e sull’espletamento delle mansioni lavorative così come sulla sfera valoriale di riferimento
dei cittadini. Il documento associa infatti alla quarta rivoluzione industriale in corso
l’affermarsi di una “società del lavoro 4.0”, contraddistinta, al pari delle precedenti fasi,
da cambiamenti nella dimensione produttiva e nell’organizzazione del lavoro e
dall’emergere di interessanti prospettive di sviluppo per i lavoratori, che richiedono
tuttavia di essere opportunamente gestite dallo stato sociale mediante il disegno condiviso
e l’implementazione di interventi correttivi a tutela dell’umanità e della dignità del
lavoro.
Nel documento si identificano i principali scenari della rivoluzione digitale nel contesto
produttivo e, quindi, le principali sfide da affrontare nel modellare il lavoro del futuro,
individuando per ciascuna di esse le principali aree di intervento e le maggiori questioni
aperte e prestando particolare attenzione a tematiche concernenti innanzitutto una
rinnovata definizione di attività lavorativa e, in secondo luogo, l’importanza di conciliare
le esigenze dei lavoratori 4.0 con aspettative, lavorative e personali, adeguate alle diverse
fasi della vita e della carriera occupazionale. Alla luce delle possibilità di flessibilità
offerte dai cambiamenti in corso risulta cruciale intervenire per assicurare la coniugazione
di flessibilità individuale e protezione sociale, provvedendo a un aggiornamento del
sistema di protezione sociale coerente con i mutamenti, frutto di scelte individuali e
deliberate o di cui invece i lavoratori si sentono vittime.
A partire dallo sviluppo del concetto di “Lavoro 4.0” il Green Paper delinea le tendenze in
corso, individua le aree di intervento e gli obiettivi e formula le questioni chiave, tra le
quali una nuova nozione di lavoro in base alla quale riformare diritti e doveri di tutte le
parti coinvolte. Si apre ora la fase di dialogo con tutti gli stakeholders, in un confronto tra
esperti e specialisti ma anche con il più ampio pubblico, chiamato a partecipare, tra
l’altro, facendo eventualmente uso degli strumenti tecnologici messi a disposizione proprio
dalla rivoluzione 4.0 che sta rimodellando il mondo del lavoro: l’obiettivo del BMAS è di
pervenire a un White Paper contenente le conclusioni tratte da questo confronto allargato
sul tema del lavoro di domani.
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L’evoluzione della società del lavoro: tendenze e scenari
A partire dalla consapevolezza che siamo una società del lavoro in evoluzione, il primo
capitolo del Green Paper offre una panoramica delle tendenza in atto in materia di
digitalizzazione e automazione dei processi produttivi, di società globale della conoscenza
e di mutamenti nei paradigmi culturali di riferimento. Queste tematiche sono
strutturalmente integrate all’emergere di nuovi mercati e nuovi prodotti e, ancora più
interessante in un’ottica di Lavoro 4.0, di generale mutamento demografico,
trasformazione culturale e rimodulazione delle strategie lavorative dei singoli così come
all’interno della coppia.
La digitalizzazione su scala globale, i cui effetti si rilevano in tutti i settori della vita
culturale ed economica contemporanea, sta producendo, dal punto di vista del mercato
del lavoro, un’ulteriore intensificazione della divisione internazionale del lavoro e dei
meccanismi competitivi che la caratterizzano. In Germania si calcola che più della metà
dei lavoratori tedeschi abbia usato un computer connesso a Internet nel 2014, che un
quarto della produzione industriale tedesca sia automatizzata e che più di un milione di
lavoratori siano occupati nel settore delle TIC. La panoramica generale offerta da questi
dati va poi integrata tenendo conto della sempre maggiore diffusione del telelavoro e del
“crowdworking”, che rimanda alla possibilità di distribuire mediante l’uso di apposite
piattaforme informatiche mansioni e compiti a dipendenti dell’azienda o a lavoratori
autonomi esterni ad essa. La ricerca contemporanea sul mondo del lavoro dimostra come
tali processi di automazione abbiano prodotto una compressione di ruoli lavorativi
mediamente qualificati, ripetitivi e ad alta intensità di lavoro, provocando e
accentuando fenomeni di polarizzazione occupazionale che in alcuni paesi, quali gli Stati
Uniti, si sono accompagnati anche a un vistoso accentuarsi della polarizzazione
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reddituale. Pertanto, una delle questioni irrisolte in questo contesto rimanda al rapporto
effettivo tra posti di lavoro resi superflui e obsoleti dal diffondersi delle innovazioni
tecnologiche, da un lato, e creazione, dall’altro lato, di nuove opportunità lavorative
legate a digitalizzazione e dematerializzazione dei processi produttivi.
Guardare al lavoro del futuro significa inevitabilmente contemplare il sistema di divisione
internazionale del lavoro e impegnarsi per un suo sviluppo egualitario (in termini di
distribuzione della ricchezza e del benessere così come di opportunità individuali e
collettive) e sostenibile (dal punto di vista ambientale). Il contesto della globalizzazione
rende la conoscenza un elemento centrale nella competitività economica: nella
“knowledge society” il lavoro va concentrandosi nel settore terziario ed è sempre più
caratterizzato dallo svolgimento di mansioni di natura intellettuale, per le quali si rende
necessaria un’adeguata preparazione che solo l’accesso a sistemi di istruzione validi può
garantire. Gli alti livelli di qualificazione richiesti, insieme alla domanda di soft skills
legate alla capacità di risolvere problemi, alle competenze comunicative e alla
predisposizione analitica, favoriscono, in Germania più che in altri stati europei, un ritorno
in termini di livelli retributivi sull’investimento formativo effettuato in gioventù così come
durante l’intero corso della vita lavorativa. L’esigenza di forza lavoro qualificata si
interseca con gli effetti del cambiamento demografico che sta producendo un visibile
invecchiamento della popolazione, con la conseguenza che molti lavoratori di oggi, una
volta usciti per motivi anagrafici dal mercato del lavoro, non saranno rimpiazzati da nuove
coorti di lavoratori altrettanto numerose: queste dinamiche rendono necessario un
adattamento delle condizioni lavorative (mediante formazione e aggiornamento
professionale ma anche tramite la promozione di luoghi di lavoro adatti e la tutela della
salute e della sicurezza dei lavoratori) alla presenza di lavoratori non più giovani, onde
favorirne il prolungamento al lavoro. La domanda di lavoratori qualificati infatti non può
essere soddisfatta puntando solo sull’inserimento ex novo di giovani altamente qualificati,
ma va affrontata investendo sulla capacità lavorativa degli anziani e di categorie la cui
partecipazione al mercato va ulteriormente ampliata, tra cui le donne.
I cambiamenti in corso non sono solo di natura tecnologica e il Green Paper dedica
attenzione al consolidarsi di nuovi riferimenti culturali che incidono in misura significativa
su valori e preferenze concernenti, ad esempio, l’organizzazione della vita privata e la
progettazione della vita familiare, oltre che le aspettative lavorative.
Tra i fenomeni più evidenti in quest’ambito si registra senz’altro l’aumentata
partecipazione femminile al mercato del lavoro, che ha due conseguenze principali:
innanzitutto, l’uscita delle donne dall’ambiente domestico produce un’aumentata
domanda di servizi che spaziano dalla cura e l’educazione dei bambini alla produzione di
alimenti industriali; in secondo luogo, si sono andate consolidando presso varie coorti di
età (e non solo, come più immediatamente intuibile, presso la Generazione Y che
comprende i nati tra la metà degli anni ’80 e i primi del 2000), aspettative importanti
rispetto alla conciliazione tra impegni familiari e lavorativi.
I dati presentati, infatti, evidenziano come in meno di un ventennio si siano registrati dei
significativi cambiamenti nella distribuzione dei ruoli lavorativi all’interno delle famiglie
tedesche: nel 1996 all’interno di più di un terzo delle coppie l’uomo era impiegato a
tempo pieno e la donna era inattiva e in circa un quarto dei casi si presentava una
situazione di lavoro a tempo pieno per gli uomini e part time per le donne. Nel 2013,
quest’ultima combinazione risulta maggioritaria, mentre in meno di un quarto delle
famiglie censite si ritrova la figura della casalinga. Va poi notato come il diffondersi del
part time femminile non possa essere semplicemente letto in direzione di uno
“svuotamento” della categoria delle donne che non lavorano, ma sia spiegato anche da una
contrazione nella percentuale delle coppie al cui interno entrambi i partner lavorano full
time: se nel 1996 il 26% delle coppie era da considerarsi a tutti gli effetti una famiglia a
doppio reddito, nel 2013 questa percentuale è scesa al 18%, facendo emergere come in un
numero crescente di casi all’interno della coppia uno dei partner, verosimilmente la
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donna, opti per il part-time, più adatto alla parziale conservazione di un ruolo di cura e
gestione degli impegni familiari. La tematica del work-life balance, peraltro, risulta
connessa a quella della “working time sovereignity”, cioè della possibilità, per i
lavoratori, di intervenire sulla definizione del loro orario di lavoro. Quasi la metà dei
tedeschi ritiene infatti “non molto facile” la conciliazione degli impegni lavorativi e
familiari, a fronte di una sempre più diffusa aspettativa, specie tra i lavoratori più giovani,
di accesso a opportunità non solo formative e di crescita professionale ma anche di
flessibilità oraria che un buon lavoro dovrebbe garantire. Le difficoltà si rilevano in
particolar modo durante alcune fasi della vita tra cui la cosiddetta “rush hour of life”, che
copre il periodo che va dall’ingresso definitivo nell’età adulta (che si sposta sempre oltre i
canonici 18 anni in particolare per i giovani a più alto livello di qualifica e titolo di studio)
fino ai 40-50 anni, durante la quale il singolo è chiamato ad impegnative scelte relative
tanto alla sua carriera formativo-occupazionale quanto alla eventuale progettazione
familiare.
Le trasformazioni in corso si riverberano in misura visibile sul progressivo contrarsi del
bacino di lavoratori interessati da un’occupazione stabile, definita scientificamente negli
anni ’80 come rapporto di lavoro subordinato alle dirette dipendenze di un’azienda (cioè
escludendo i somministrati), a tempo indeterminato ed il cui orario sia stabilito
chiaramente entro il contratto di lavoro – definizione, questa, abbastanza coerente con
l’idea che tuttora i lavoratori hanno di cosa significhi svolgere un lavoro dignitoso.
In Germania una buona parte dei lavoratori è inserita in contesti occupazionali stabili e
garantiti e la flessibilità del mercato del lavoro tedesco è stata costruita con metodi
concertativi mediante negoziazione tra le parti sociali. Ciò nonostante, la quota di
lavoratori occupati in modalità non standard, in particolare per numero di ore lavorate o
per durata temporale del contratto di lavoro, è in progressivo aumento, specie nella
componente femminile. Effettivamente è sempre più difficile la distinzione tra
occupazione standard e non standard, mentre la copertura della contrattazione
collettiva è progressivamente in diminuzione. Questo insieme di elementi esemplificati
dalla generale instabilità delle carriere occupazionali si sta traducendo in una
dualizzazione del mercato del lavoro tedesco, al cui interno va riducendosi la mobilità
ascendente dai segmenti più flessibili del mercato del lavoro. Benché molta forza lavoro
subisca questa precarietà occupazionale, non va taciuto che molte situazioni lavorative
considerate non standard sono invece frutto di una scelta deliberata dei lavoratori, come
accennato a proposito del diffondersi della preferenza per il part time e di modalità di
organizzazione flessibile del lavoro, che accordano maggiore autonomia al lavoratore con
riferimento, in particolare, a spazi e tempi di lavoro.
Le sfide: aree di intervento e temi chiave
Delineati i cambiamenti di scenario in atto, il Green Paper ripercorre le aree di intervento
per una transizione socialmente sostenibile verso la definitiva affermazione del modello, o
dei modelli, del “Lavoro 4.0”. La sfida che in particolar modo la politica si trova ad
affrontare riguarda l’assicurazione di un lavoro retribuito per coloro che sono in condizioni
per lavorare e, contemporaneamente, l’adeguatezza della situazione occupazionale in
base alle caratteristiche del lavoratore. Questo obiettivo si riallaccia poi a quello di
riformare i sistemi di protezione sociale alla luce delle capacità reddituali dei lavoratori,
ma anche alla necessità di offrire sistemi educativi e formativi rispondenti alle richieste di
domanda di lavoro qualificata e alle aspirazioni di quanti ne usufruiscono. Un’ulteriore
sfida, necessaria al raggiungimento dell’obiettivo di diffusione di relazioni lavorative
dignitose, si presenta per le aziende che sono chiamate ad accogliere e implementare al
proprio interno la cultura della sostenibilità sociale d’impresa e della partecipazione
democratica dei lavoratori alla governance aziendale.
Anche alla luce dei cambiamenti nelle aspettative lavorative, nella cornice valoriale e nel
generale sistema di scelte e strategie di vita, rimane stabile il principale obiettivo delle
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economie sociali di mercato (cioè di sistemi economici competitivi ma ugualmente capaci
di garantire la partecipazione al mercato del lavoro e il buon funzionamento di criteri di
equità sociale): realizzare la piena partecipazione al mercato del lavoro di quanti siano
in grado di farlo, a dispetto della sempre più difficile possibilità di portare avanti carriere
lavorative a tempo pieno e stabilmente alle dipendenze dello stesso datore di lavoro. La
situazione tedesca risulta complessivamente positiva: nell’ultimo decennio è diminuita la
disoccupazione e alcune zone sono vicine all’obiettivo della piena occupazione. Ciò
nonostante, per alcuni segmenti più svantaggiati della forza lavoro si registra una tenuta
dei più alti livelli di disoccupazione e va diffondendosi la percezione di una crescente
insicurezza occupazionale legata al timore di perdere il lavoro. Pertanto, l’obiettivo del
lavoro per tutti rimane centrale a tutte le politiche del lavoro.
La previsione della “fine del lavoro” circolata in alcuni ambienti scientifici qualche
decennio fa si è rivelata infondata dal momento che il progresso tecnologico e la
digitalizzazione hanno sì comportato la scomparsa di alcune mansioni e occupazioni ma
hanno al contempo creato nuovi profili occupazionali e nuove opportunità lavorative,
favorendo peraltro l’ingresso e la permanenza sul mercato del lavoro di categorie che,
senza i dispositivi tecnologici oggi disponibili, avrebbero continuato ad essere emarginate
dalla vita economica e produttiva, quali ad esempio le persone solo parzialmente abili al
lavoro. In Germania le misure di politica attiva del lavoro tengono in grande considerazione
l’adattamento dei luoghi di lavoro alle esigenze dei lavoratori disabili, coerentemente con
le possibilità offerte dai recenti sviluppi delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione e con la certezza che i benefici dell’attivazione lavorativa di questo
segmento della popolazione vadano ben oltre gli effetti direttamente registrati mediante i
canonici indicatori del mercato del lavoro e rappresentino un investimento di ampio
respiro all’interno di una società che tende all’invecchiamento demografico e vede
innalzarsi progressivamente le aspettative di vita, anche lavorativa. Tra le sfide indicate
sul fronte dell’ampliamento della partecipazione al lavoro di categorie a più debole
occupabilità (non solo disabili, ma anche disoccupati di lunga durata, stranieri, genitori
soli, giovani provenienti da contesti di svantaggio e deprivazione), è importante che lo
stato sappia garantire il giusto supporto alla creazione della domanda di lavoro, il che
richiede una stima degli effetti che i cambiamenti, specie digitali e tecnologici, producono
in termini di distribuzione dell’occupazione presso diversi settori produttivi.
I perdenti sono oggi rappresentati da lavoratori scarsamente qualificati che più facilmente
in passato avrebbero invece trovato collocazione occupazionale in mansioni ripetitive:
attualmente, il loro tasso di disoccupazione in Germania è circa quattro volte quello
registrato presso i tedeschi che abbiano portato a termine la formazione professionale, tra
cui la disoccupazione si attesta attorno al 5% (mentre per i laureati tedeschi si registra un
tasso di disoccupazione del 2,5%). Pertanto, nel contesto attuale, il valore della
formazione aumenta ulteriormente e richiama l’importanza di varare programmi di
qualificazione professionale rispondenti alla domanda di lavoro per assicurare
l’occupabilità del maggior numero di persone. Rispetto alla sfida del lavoro per tutti, le
questioni centrali individuate dal Green Paper attengono dunque alla ricerca di ulteriori
misure volte ad assicurare ai lavoratori una preparazione adeguata alle richieste della
domanda, allo scopo di ottenere una più ampia partecipazione lavorativa; in questo quadro
è chiaro che l’individuazione delle qualifiche e delle competenze maggiormente utili a
potenziare l’occupabilità dei lavoratori gioca un ruolo chiave.
Grosso rilievo viene inoltre riconosciuto al tema della conciliazione e dell’adozione di un
approccio basato sulle diverse fasi della vita nel settore delle politiche sociali e del
lavoro. La strutturazione flessibile dell’orario di lavoro degli ultimi due decenni è una
delle ricadute delle innovazioni digitali, che hanno sicuramente favorito la diffusione del
telelavoro e, in generale, l’espletamento delle mansioni lavorative al di fuori dei locali
aziendali. Tuttavia, non solo l’accresciuta libertà che deriva da quest’organizzazione più
flessibile riguarda una quota ancora abbastanza esigua della forza lavoro, ma molto spesso
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essa si traduce in un’intensificazione delle prestazioni lavorative, sempre più collegate al
raggiungimento di risultati prestabiliti, e in un aumento dello stress lavoro-correlato
dovuto alla maggiore pressione cui i lavoratori sono sottoposti per rispondere
positivamente alle aumentate richieste aziendali: in Germania, nel 2013, si calcola che più
della metà dei lavoratori si sia vista costretta a lavorare, almeno saltuariamente, durante
il fine settimana o di notte per tenere il passo con le scadenze aziendali. Assicurare
adeguati livelli di protezione sociale, innanzitutto, ma anche di tutela dei diritti di questi
lavoratori flessibili in visibile aumento, è una delle sfide centrali alla tematica del
controllo del lavoratore sul proprio lavoro e sul suo combinarsi con impegni e
responsabilità familiari e privati. Questa sfida risulta particolarmente difficile alla luce
dell’individualizzazione che la flessibilità porta con sé, con la conseguente contrazione di
luoghi e tempi condivisi che rappresentano la condicio sine qua non per il riconoscimento
di esigenze comuni e la loro traduzione in rivendicazioni di carattere collettivo.
Questi risvolti vanno in direzione opposta all’obiettivo della conciliazione tra i tempi di
lavoro e quelli dedicati alla famiglia e alla vita privata ed hanno conseguenze pesanti in
nuclei familiari dove, in presenza di figli, entrambi i genitori sono occupati. In effetti, si
rileva che il modello familiare che vede impegnati entrambi i genitori a tempo pieno
funziona ancora con difficoltà e, come già accennato, ciò induce molte madri a scegliere la
via del part time, tanto che nel giro di 10 anni si è registrato in Germania un incremento,
da meno di due milioni a più di otto, nel numero delle donne impiegate con un orario
compreso entro le 32 ore settimanali, tra le quali rimane peraltro diffusa l’aspirazione ad
incrementare il proprio monte ore lavorative – e, specularmente, si rileva un diffuso
desiderio di maggior tempo per la famiglia presso i genitori uomini impiegati a tempo
pieno. La risposta politica è già in via di implementazione: ad esempio, il “Parental
Allowance Plus” incoraggia entrambi i genitori di bambini nati a partire da luglio 2015 ad
adottare una strategia di congedi complementari, per una durata complessiva fino a 28
mesi in luogo dei 14 precedentemente accordati, basata sulla scelta di un monte ore
lavorativo compreso tra le 25 e le 32 ore settimanali, cioè di un quasi tempo pieno
(essendo il part time definito come impegno lavorativo fino a 20 ore settimanali). Ad oggi,
comunque, questa opzione di “part time plus”, “full time lite” o quasi tempo pieno, come
si voglia definire l’impegno lavorativo superiore al part time ma ancora inferiore alle 40
ore settimanali del full time, è poco diffusa sia per motivi legati alla proporzionale
riduzione di reddito, che per timore di ripercussioni professionali nel lungo periodo, cioè
alla perdurante difficoltà di riconvertire il tempo parziale in tempo pieno. Le difficoltà
materiali cui si incorre scegliendo un coinvolgimento parziale nel mercato del lavoro sono
inoltre chiaramente accentuate nei casi di resistenza di modelli familiari più
“tradizionali”, in cui gli uomini svolgono l’attività professionale coerente con il mercato
del lavoro e alle donne rimane il lavoro di cura.
Dal momento che la problematica della conciliazione si pone anche in altre fasi della vita
rispetto a quella circoscritta alla presenza di bambini, urge l’individuazione di un nuovo
compromesso flessibile in grado di definire nuovamente i limiti della relazione di lavoro
standard e di garantire la diffusione di modelli lavorativi basati sull’approccio delle fasi
della vita, che permetta ai lavoratori di ridurre il carico lavorativo in particolari
circostanze senza rimanere intrappolati in part time involontari nei periodi successivi e
avendo adeguate garanzie di conservazione di dignitosi livelli reddituali. L’adozione in
seno alle politiche sociali e del lavoro di un approccio “life-phase” permetterebbe
l’universalizzazione di alcune soluzioni già frammentariamente sperimentate a beneficio
dei lavoratori inseriti in contesti lavorativi organizzati secondo un’ottica di responsabilità
sociale d’impresa, di riconoscimento di facilitazioni ai propri dipendenti in materia di
conciliazione e flessibilità organizzativa. Tuttavia, in particolare presso le aziende di
ridotte dimensioni, l’implementazione di schemi e dispositivi rispondenti alle diverse fasi
della vita dei lavoratori rimane decisamente difficile. A tal proposito il Green Paper indica
una sfida centrale nella ricerca di soluzioni alla tematica della conciliazione in grado di
rispondere contemporaneamente alle esigenze dei lavoratori e del mondo produttivo.
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Le economie sociali di mercato puntano alla realizzazione di equità sociale, prosperità e
buona qualità della vita per tutti i cittadini e nella concretizzazione di questi obiettivi è
chiaramente contemplato l’intervento correttivo dello stato, ove necessario, volto a
proteggere i cittadini dai potenziali rischi legati alle diverse fasi della vita, a migliorare le
opportunità di partecipazione sociale ed economica, a fronte di eventuali fallimenti di
mercato che provochino risultati in contrasto con il raggiungimento di obiettivi di bene
comune ed equità sociale. L’armonizzazione delle esigenze economiche e sociali è
infatti uno dei mandati principali della politica e in Germania si rileva la partecipazione di
lavoratori e datori di lavoro, su basi paritarie e in diversi contesti, alla costruzione di un
sistema inclusivo. Tuttavia, il carattere universalistico di questo modello è a rischio: la
ricchezza nazionale risulta più concentrata di solo un decennio fa, i salari reali stentano a
crescere e la quota di persone intrappolate in settori lavorativi scarsamente remunerati va
aumentando, a detrimento in particolare del segmento femminile dell’offerta di lavoro. Il
superamento del gender gap (divario di genere) rimane infatti una sfida
multidimensionale, che riguarda ambiti quali le retribuzioni, il tempo di lavoro, le
aspettative di carriera, la possibilità di mettere da parte risparmi, l’entità dei versamenti
contributivi e in seguito dei redditi da pensione.
L’ineguaglianza nella distribuzione dei redditi, peraltro, ha effetti negativi anche dal
punto di vista macro-economico, oltre che sociale, come dimostrato dall’OCSE che ha
calcolato che la Germania sarebbe cresciuta di 6 punti percentuali in più tra il 1990 e il
2010 se la struttura della distribuzione dei redditi fosse rimasta invariata, invece che
seguire la tendenza alla concentrazione. Questi peggioramenti, suggerisce il Green Paper,
vanno almeno in parte letti alla luce del declino nella copertura della contrattazione
collettiva, a cui lo Stato è chiamato a rispondere o ripristinando le condizioni necessarie al
buon funzionamento di questo strumento delle relazioni industriali o appianando le
disuguaglianze economiche mediante strumenti di politica sociale ampiamente intesa a
beneficio, in particolare, di quanti siano coinvolti in relazioni lavorative non standard. In
questa direzione, un passo importante è stato compiuto con la recente introduzione del
salario minimo, ma molto rimane da fare per accompagnare i lavoratori durante le
traiettorie occupazionali (ingresso nel mercato del lavoro, cambiamenti di lavoro, ritorno
al lavoro dopo un periodo di disoccupazione, passaggio da occupazioni marginali a meglio
tutelate relazioni lavorative, pensione) che sempre più diffusamente mettono a rischio la
costanza del rapporto di lavoro con ovvie ripercussioni sia imminenti, relative alle
temporanee perdite di reddito, che nel più lungo periodo, cioè dal punto di vista dei futuri
redditi da pensione cui si accumulano diritti su base contributiva. La sfida principale per le
politiche del lavoro è quella di proteggere le persone durante le transizioni lavorative
ma anche lungo il dispiegarsi di carriere occupazionali molto lontane dallo standard del
lavoro subordinato: in particolare, le leggi per la protezione sociale vanno adeguate al
diffondersi della figura del lavoratore autonomo e senza dipendenti o collaboratori (“solo
self-employed person”), al fine di garantire a questa figura professionale livelli di reddito
costanti e adeguati oltre che l’intero pacchetto di diritti connessi alla protezione sociale.
Tra le potenziali risposte politiche, il Green Paper accenna alla possibilità di valutare come
possibile strategia di lungo periodo l’istituzione di uno schema di assicurazione contro la
disoccupazione a livello europeo, la cui proposta è in discussione.
La transizione verso il Lavoro 4.0, associata alla generale trasformazione degli stili di vita,
produce riconfigurazioni delle carriere occupazionali a tutti i livelli di qualifica. Affinché
ciò non si traduca in svantaggi in termini innanzitutto di occupabilità, è fondamentale che
al già altamente regolato sistema di istruzione e formazione professionale vada
affiancandosi un adeguato sistema di formazione e aggiornamento delle competenze
tagliato sulle diversi fasi della vita e operante lungo l’intera vita lavorativa dei
cittadini. Attualmente, le opportunità di formazione continua sono distribuite in modo
poco egualitario tra i lavoratori, dato che si registra un tasso di partecipazione a iniziative
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e programmi di aggiornamento e riqualificazione professionale visibilmente basso presso i
dipendenti delle imprese di piccole dimensioni, i lavoratori anziani e quelli scarsamente
qualificati. Inoltre, l’incremento dell’occupazione non standard spinge ulteriormente in
direzione della contrazione delle risorse aziendali investite in questo settore, con risultati
complessivamente negativi non solo per i lavoratori, ma anche dal punto di vista
produttivo poiché le aziende si scontrano con la crescente scarsità di risorse
adeguatamente preparate proprio in un’epoca in cui le competenze professionali risultano
fattore centrale alla conservazione della competitività economica. Il consolidamento e la
messa a sistema di misure di istruzione e formazione continua rappresenta quindi
un’urgenza imprescindibile che deve essere affrontata tenendo conto dell’importanza
dell’alfabetizzazione digitale: meno del 10% dei lavoratori tedeschi risulta non aver mai
usato un computer, ma circa un quarto degli occupati manca di nozioni e competenze
informatiche elementari – dati, questi, che evidenziano l’importanza di conoscenze di base
circa l’uso del computer e di altri dispositivi di comunicazione, fermo restando che la
profondità e l’ampiezza di queste nozioni varia al variare del livello di istruzione e
specialmente delle mansioni cui è adibito il singolo lavoratore. Per un crescente numero di
cittadini attivi sul mercato del lavoro si rende cruciale l’apprendimento, e il costante
aggiornamento, di una combinazione di conoscenze specifiche al lavoro svolto e
competenze informatiche, esigenza tanto più impellente quanto meno qualificati o più
svantaggiati sul mercato del lavoro risultano i lavoratori interessati. L’economia della
conoscenza, inoltre, richiede sempre maggiori abilità in termini di lavoro di squadra che
trascende i confini organizzativi interni all’azienda o addirittura interaziendali, e soft
skills quali la creatività, la socialità, il pensiero analitico sono essenziali non solo alla
realizzazione di percorsi di mobilità ascendente per i lavoratori ma anche al successo delle
imprese.
L’importanza di strutturare rinnovati sistemi di istruzione e formazione coerenti con le
esigenze della domanda di lavoro e le aspirazioni in termini di carriera di quanti ne
usufruiscano richiama una molteplicità di sfide. Innanzitutto, il consolidarsi di una cultura
della formazione continua in Germania può essere facilitato dall’opportuna integrazione
dei benefits formativi previsti in alcuni contratti aziendali o collettivi, da un lato, e un
efficace intervento statale, che contempli eventualmente forme di finanziamento misto di
tali iniziative. Tra gli attori chiamati alla costruzione di una strategia di risposta nazionale
alla domanda di formazione continua dei lavoratori, anche di quelli già occupati, rientra
senza dubbio il servizio pubblico per il lavoro, ma un ruolo di rilievo può essere attribuito,
con modalità da definire, anche alle parti sociali e alle rappresentanze di categoria. Infine,
l’accessibilità e l’adeguata organizzazione del sistema di life long learning deve essere
tale da sanare lo svantaggio che caratterizza alcuni segmenti di forza lavoro quali i meno
qualificati e i dipendenti delle piccole e medie imprese, affinché venga universalizzato il
diritto in particolare delle persone meno preparate a entrare nella schiera dei lavoratori
adeguatamente qualificati.
Il pieno passaggio al sistema industriale 4.0 richiede adeguata tutela delle esigenze e dei
diritti dei lavoratori affinché i successi della trasformazione digitale non rimangano
circoscritti alla sola dimensione della produttività ma vengano integrati con condizioni di
lavoro dignitose. La dimensione spaziale ha un ruolo di primo piano in questa fase di
trasformazione, come evidenziato da un’indagine commissionata dal Ministero del Lavoro e
degli Affari Sociali tedesco, che ha registrato come nel 2013 circa un terzo dei lavoratori
non impiegati in mansioni manuali abbia lavorato da casa almeno occasionalmente e come
il 12% si sia trovato costretto a lavorare durante il tempo libero più di una volta alla
settimana. La possibilità di lavorare fuori dagli spazi aziendali, pertanto, va colta
supportando lo sviluppo di forme di flessibilità compatibili con le esigenze, innanzitutto in
termini di conciliazione, dei lavoratori, piuttosto che condannando questi ultimi a una tale
sovrapposizione tra i tempi lavorativi e quelli dedicati alla vita privata da produrre una
riduzione significativa del tempo libero. L’accresciuto ricorso ai dispositivi tecnologici
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permette infatti il superamento di molti confini quali le strutture organizzative
precedentemente imposte ai lavoratori dalle aziende e rappresentate dalla location,
dall’orario di lavoro e dalla sua organizzazione, ma va considerato anche quel contraltare a
tali conquiste e libertà rappresentato invece dal rischio di un’intensificazione dei ritmi di
lavoro. In Germania, ad esempio, risulta particolarmente importante indagare con apposite
ricerche sulle condizioni non solo lavorative e retributive ma anche attinenti alla vita
privata di lavoratori formalmente autonomi che offrono prestazioni nel settore del
terziario mediante le piattaforme informatiche (secondo il già citato sistema del
“crowdworking”).
La questione centrale relativa all’obiettivo di tutelare condizioni di lavoro dignitose a
fronte delle trasformazioni digitali concerne quindi il tema dell’umanizzazione del lavoro,
cioè dell’adattamento dei contenuti lavorativi e delle condizioni di lavoro alle esigenze di
chi lo svolge affinché i lavoratori 4.0 siano tutelati da rischi quali lo stress lavoro-correlato
e altre malattie legate alla mancata sicurezza delle condizioni di lavoro.
Tutte le tematiche sin qui richiamate (conciliazione vita-lavoro, istruzione e formazione
continua, opportunità di carriera e sviluppo personale, salute dei lavoratori e buona
capacità gestionale del management, organizzazione del lavoro appropriata alle fasi della
vita ed al loro succedersi fino alla transizione verso l’inattività e la pensione) sono
immediatamente connesse a politiche delle risorse umane smart e all’avvicinarsi
progressivo di tutti i settori produttivi a una cultura aziendale improntata ai principi della
responsabilità sociale di impresa, che presuppongono innanzitutto il coinvolgimento, la
codeterminazione e la partecipazione democratica dei lavoratori alla vita aziendale.
In Germania è ampiamente riconosciuto il legame tra codeterminazione e successo
economico aziendale e il Green Paper presenta prove scientifiche circa la correlazione
positiva tra l’esistenza dei “Consigli del Lavoro” (organismi di rappresentanza di tutti i
lavoratori di un’azienda, indipendentemente dalla loro iscrizione al sindacato), da un lato,
e alti livelli di produttività, predisposizione all’innovazione, ridotte differenze retributive
su base di genere e scarsi tassi di assenteismo presso il personale, dall’altro. Vi è già una
notevole consapevolezza presso gli ambienti aziendali dei benefici di lungo periodo della
cultura della codeterminazione, che ha peraltro dispiegato i suoi vantaggi durante la crisi
economica con l’implementazione di misure a tutela, contemporaneamente, di lavoratori e
aziende basate sulla riduzione dell’orario lavorativo. Tuttavia, la cultura della
codeterminazione non è ugualmente diffusa tra Länder occidentali e orientali del paese o
presso tutti i settori produttivi indistintamente, così come molte disparità si rilevano tra
aziende di diverse dimensioni; essa risulta inoltre in declino presso i lavoratori che non
sono legati al luogo di lavoro grazie al telelavoro e presso i lavoratori autonomi, che
prestano i loro servizi come esterni invece che nelle vesti di dipendenti aziendali.
D’altro canto, nei casi di maggiore virtuosismo si rileva come le aziende sappiano andare
anche oltre la codeterminazione coltivando una vera e propria cultura della partecipazione
democratica e aderendo, in alcuni casi, all’iniziativa tedesca per la nuova qualità del
lavoro (“New Quality of Work Initiative”), promossa a partire dai primi anni 2000 da
Governo Federale, Stati, parti sociali, camere di commercio, Agenzia Nazionale per il
Lavoro, mondo accademico e imprenditoriale, che sta veicolando un approccio aziendale
centrato sui lavoratori e sulla loro partecipazione alla gestione aziendale. Le aziende
attivamente coinvolte in queste iniziative hanno adottato misure quali la proprietà
cooperativa delle strutture o la loro organizzazione decentrata, l’elezione da parte dei
dipendenti del management in carica per periodi di tempo predeterminati o la
consultazione dei dipendenti su materie retributive o concernenti i benefici aziendali.
In sintesi, le opportunità di partecipazione dei lavoratori differiscono considerevolmente a
seconda dell’occupazione, del settore e delle dimensioni aziendali e non sempre sono in
grado di rispondere adeguatamente alle mutate preferenze dei dipendenti, pertanto nel
rivisitarle in un’ottica migliorativa esse andrebbero ridisegnate in modo coerente sia con le
aspettative dei lavoratori che con le possibilità e le sfide con cui le aziende si confrontano.
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La partecipazione democratica, intesa come coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni
relative allo sviluppo strategico aziendale e all’organizzazione del lavoro, va ben oltre la
codeterminazione e probabilmente una soluzione di successo può essere rinvenuta nelle
nuove forme imprenditoriali di stile cooperativo o connesse all’imprenditoria sociale.
Lo stato sociale e le sue istituzioni
Le istituzioni dello stato sociale rivestono un ruolo centrale nel modellare adeguatamente,
e in uno spirito di partenariato, il mondo del lavoro 4.0, il cui dispiegarsi secondo criteri di
sicurezza occupazionale, equità retributiva e adeguata conciliazione con altre dimensioni
della vita offre prospettive di crescita economica e progresso sociale per la Germania. Il
libero ed equo sviluppo dell’economia di mercato tedesco deve quindi accompagnarsi al
consolidamento e all’aggiornamento delle istituzioni caratteristiche dello stato sociale,
quali le leggi sul lavoro, la rappresentanza dei lavoratori, la contrattazione collettiva, la
salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro, la tutela del diritto al lavoro e un robusto sistema
di assicurazione sociale.
Le norme sul mercato del lavoro sono destinate a conservare grande rilevanza nella
regolamentazione delle relazione tra lavoratori e datori di lavoro, e il principio della
protezione dei lavoratori storicamente consolidatosi manterrà la sua validità anche nella
società in via di costituzione basata sull’accentuata digitalizzazione di tutte le dimensioni
dell’esistenza.
La rappresentanza collettiva degli interessi dei lavoratori nel delineare le loro condizioni di
lavoro pure è asse portante del diffondersi di modelli di azienda democratici, e lo stato
sociale è chiamato a tutelare i diritti alla partecipazione delle istituzioni di rappresentanza
collettiva degli interessi dei lavoratori alle decisioni concernenti strategie aziendali e
l’organizzazione dell’ambito lavorativo, supportando l’impegno già profuso da sindacati e
associazioni datoriali verso la diffusione di modelli di dialogo tra le parti centrati sul
principio della codeterminazione.
Un sistema pluralistico di contrattazione collettiva è assicurato in Germania dalle garanzie
costituzionali e rappresenta un’esigenza imprescindibile del sistema tedesco, la cui
validità è stata ampiamente dimostrata e la cui sopravvivenza è nel diretto interesse di
lavoratori e datori di lavoro e deve essere supportata, con eventuali azioni di
ammodernamento, dallo stato sociale.
La sicurezza occupazionale, così come la legislazione concernente orario di lavoro e
generale salubrità delle condizioni lavorative devono evolversi di pari passo con
l’affermarsi di modelli produttivi ad elevato contenuto tecnologico, affinché le pressioni in
termini, ad esempio, di intensificazione del lavoro, vengano contenute e prevalgano invece
sviluppi maggiormente in linea con gli interessi dei lavoratori, quali una maggiore
umanizzazione del mondo del lavoro.
La promozione e la tutela dell’occupazione, intesa come prevenzione e riduzione della
disoccupazione, rappresenta un elemento centrale del sistema di sicurezza sociale
tedesco, di pari passo alla rete di sicurezza economica che trova nell’assicurazione contro
la disoccupazione e nel reddito minimo a favore di quanti siano alla ricerca di lavoro altri
due importanti istituti. I servizi per il lavoro hanno importanti responsabilità in materia di
potenziamento dell’occupabilità dei disoccupati. Le future azioni di promozione
dell’occupazione e di miglioramento della struttura occupazionale tedesca dovranno essere
disegnate coerentemente con il delicato equilibrio tra sistema assicurativo e assistenza
sociale, puntando in direzione di un potenziamento del principio assicurativo. In questo
quadro, prevenzione e intervento precoce giocano un ruolo sempre più rilevante e va
diffondendosi la consapevolezza che il supporto alla flessibilità professionale, in
particolare mediante strumenti di riqualificazione e aggiornamento delle competenze
lungo tutto l’arco della carriera lavorativa, assicuri i migliori risultati in una fase di rapidi
cambiamenti del lavoro e delle qualificazioni richieste dal mercato, con le conseguenti
sfide che ciò pone non solo al sistema dei servizi per il lavoro ma anche a quello
dell’istruzione e della formazione professionale.
Programma ACT – azioni di sostegno per l’attuazione sul territorio delle politiche del lavoro
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DOCUMENTO DI LAVORO
VERSIONE FEBBRAIO 2016
INDICE DI ALCUNI DOCUMENTI DI RIFERIMENTO IN TEMA DI
FLESSIBILITÀ ORGANIZZATIVA E PARTECIPAZIONE
FEMMINILE AL MERCATO DEL LAVORO
Andando, infine, al sistema pensionistico si rileva l’esigenza di una definitiva
universalizzazione della copertura di lavoratori inseriti in relazioni occupazionali
alternative a quelle standard per affrontare adeguatamente il rischio che l’ampliarsi
dell’area del lavoro non standard provochi un approfondirsi del divario in termini di
protezione sociale. Su questo fronte, un lavoro importante è richiesto per una rinnovata
definizione delle molteplici attività che generano reddito e sono classificabili come
“lavoro” e per un generale ampliamento della platea dei cittadini attivi coperti da istituti
di protezione sociale.
Ammodernamento e irrobustimento delle istituzioni dello stato sociale, come evidente,
richiedono capacità di innovazione e coraggio. Dal punto di vista dei policy maker,
supportare e stimolare la crescita economica significa organizzare un quadro di garanzie e
protezione a tutela, ad esempio, dei giovani in grado di avviare start up creative per le
quali spesso non bastano creatività e disponibilità a rischiare e mettersi in gioco, ma vi è
bisogno di sicurezza materiale e di fiducia nell’intervento di una rete di protezione a
supporto dei sacrifici iniziali e a tutela di eventuali fallimenti.
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Programma ACT – azioni di sostegno per l’attuazione sul territorio delle politiche del lavoro