TAVOLO LAVORO NUOVO Lo abbiamo chiamato lavoro nuovo
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TAVOLO LAVORO NUOVO Lo abbiamo chiamato lavoro nuovo
TAVOLO LAVORO NUOVO Lo abbiamo chiamato lavoro nuovo perché oggi ci sono tanti lavori e tanti lavoratori che sfuggono classificazioni e definizioni. Ci sono creatività e fluidità, idee e progetti, prototipi, esperimenti: un’innovazione continua che non sarebbe giusto ostacolare con l’imposizione di regole pensate per altri generi di professioni e attività. E d’altra parte l’innovazione non può essere la scusa per comportamenti che mortifichino la dignità delle persone. È questa la difficoltà: tenere insieme il lavoro nuovo, l’innovazione e i diritti. La fluidità non può essere un sinonimo cool di precarietà, e d’altra parte non si può negare l’evidenza: le fabbriche come le abbiamo conosciute non esistono - quasi - più, adesso iniziano a sparire anche gli uffici come li abbiamo costruiti fino a oggi. Le aziende che, sempre più numerose, sperimentano lo smart working (in questo caso sì il termine cool definisce qualcosa di completamente diverso rispetto al fallimentare telelavoro) fanno sparire dei posti di lavoro fisici: non esistono più le scrivanie individuali, qualche giorno o qualche ora al mese si lavora da casa, dal bar sotto casa, dal parco. In questo caso fluidità, innovazione e diritti stanno insieme. Qualche settimana fa si è iniziato a parlare di Foodora, e di come la multinazionale tedesca con filiali a Torino e a Milano gestisse i rapporti di lavoro con i propri fattorini, le ragazze e i ragazzi che ci portano a casa il cibo in bici o in motorino. Si è scoperto che c’erano molte zone d’ombra in questi rapporti, si è scoperto che era molto difficile trovare degli interlocutori, si è scoperto che sulla linea non sottile che divide il lavoro dai lavoretti qualcuno ha pensato di costruire un modello di business. Al tavolo IL LAVORO NUOVO: COME TENERE INSIEME INNOVAZIONE E DIRITTI abbiamo avviato la discussione su come – partendo da casi come quello di Foodora - dare risposte di sinistra alle sfide del mercato. Abbiamo chiamato a raccontare le proprie esperienze: Giuseppe Cannizzo rappresentante di Deliverance Project, il gruppo attorno al quale si stanno aggregando i fattorini che rivendicano condizioni di lavoro più dignitose; Matteo Castronuovo socio di Urban Bike Messengers, una delle aziende milanesi di corrieri in bicicletta, la dimostrazione che ci può essere innovazione con la sostenibilità e fluidità con il rispetto delle regole; Salvatore Saldano fondatore di FabLab Milano, un luogo dove progettare e sviluppare la propria creatività, dove le macchine e i cervelli si fondono per dare vita a lavori nuovi o a lavori vecchi capaci di attraversare il presente e arrivare nel futuro; Nicola Ciancio di Gallab, un’officina e falegnameria nata nel Gallaratese con il crowdfunding civico del Comune di Milano; Giulia Maffei di Entonote, associazione per la promozione dell’entomofagia, il regime dietetico che vede gli insetti come alimento; Massimo Bonini segretario generale della Camera del lavoro di Milano (Cgil). Le parole chiave di questo tavolo-non-tavolo sono state: quartiere, manualità, fatica, occasioni, sostenibilità, formazione, mestieri, welfare, laboratori. Su Foodora abbbiamo ascoltato il racconto di chi sta cercando un dialogo con l’azienda, ancora prima che una trattativa, e abbiamo capito che non è vero che quel genere di attività sia incompatibile con i diritti di chi lavora: la precondizione è saper far funzionare il lavoro. Perché paradossalmente il fatto che i fattorini di Foodora guadagnino così poco, così troppo poco, è legato al fatto che non sono gestiti bene. Il lavoro nuovo funziona se lo sappiamo far funzionare. Abbiamo anche imparato che non tutti possono o vogliono fare gli imprenditori, che la risposta non può essere sempre “aprire una startup” o “mettersi in proprio”. Abbiamo scoperto che cosa sono i certificati bianchi, la conferma che impresa e sostenibilità funzionano. Abbiamo visto con piacere un grande sindacato che sta affrontando il percorso verso il sindacato nuovo, che conosce e comprende le dinamiche dei lavori nuovi: Massimo Bonini ci ha ricordato che di lavoro si parla troppo poco e se ne parla male e che la salute e il welfare dovrebbero essere rimessi al centro della discussione. Al Comune si è fatto riferimento in più di una circostanza: come punto di aggregazione sul territorio (gruppi di lavoro specifici in ogni Municipio) e come struttura che potrebbe fare da collante, collegamento, tramite tra i cittadini eventualmente discriminati e le aziende o i sindacati. Abbiamo ascoltato un intervento che ci ha ricordato come il lavoro stia diventando un prodotto, con aziende che vendono il lavoro usando anche tecniche di marketing molto aggressive. Ci hanno ricordato come lavoro e sostenibilità, intesa in senso ampio, debbano viaggiare sempre insieme. Insomma: è – ancora - importante parlare di lavoro. E Massimo Bonini pensa che la politica nazionale ne parli troppo poco. Il lavoro si connette con il territorio e con il tema della rigenerazione urbana. I governi tendono a trattare il lavoro per categorie, ma il lavoratore è uno solo. Ci sono degli strumenti e delle cose che si possono fare: un sistema di welfare forte; la formazione di tutte le generazioni; chiedere alle imprese di investire. Il lavoratore autonomo deve essere aiutato (regimi fiscali). E un ragionamento sul salario minimo andrebbe fatto da subito. Anzi, più che un ragionamento: andrebbe introdotto. Ci siamo lasciati naturalmente con l’idea di rivederci presto e anche su altri tavoli nuovi. Cesare Castelli – moderatore gruppo di lavoro