Medioevo Afghanistan - Rappresentanza Permanente Nato
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Medioevo Afghanistan - Rappresentanza Permanente Nato
PRIMO PIANO Nel villaggio di Jabar, un gruppo di donne davanti ai resti della casa distrutta da un bombardamento Usa. Sotto: truppe talebane a Ghazni, nel sud dell’Afghanistan. In basso: l’inviato di “Repubblica” Daniele Mastrogiacomo. A sinistra: poliziotti afgani accanto a un’autobomba esplosa sulla strada che da Kabul porta a Longar Medioevo Afghanistan Sequestri. Imboscate. Autobombe. Corruzione. Bande criminali di ogni tipo. E la ricostruzione civile sembra ogni giorno più difficile an McNeill, generale a quattro stelle degli Stati Uniti, da poche settimane comandante di tutte le truppe della Nato in Afghanistan (32 mila soldati), non ha perso tempo dopo il suo insediamento nel quartier generale della missione Isaf della Nato a Kabul. Ai comandanti sul campo delle cinque regioni in cui è stato di- D 40 viso il Paese McNeill ha chiarito: «Noi non ci fermiamo neanche un giorno in attesa della primavera-estate e dell’offensiva annunciata dai talebani». Tattica chiarita con le stesse parole anche in un incontro con “L’espresso” sabato 24 febbraio, in un ufficio tutto legno e iper riscaldato. Il generale americano ha mantenuto la parola. Dieci giorni dopo, all’alba di martedì 6 marzo, è scattata l’Operazione Achil- le, 4 mila e 500 uomini tra soldati americani, inglesi, canadesi supportati da aerei ed elicotteri, accompagnati anche da alcuni reparti del neonato esercito afgano, la struttura militare su cui la Nato conta in tempi medio brevi per aumentare la sicurezza nel Paese. Epicentro di Achille, Kandahar, nel sud del Paese, dove non passa giorno in cui non ci sia un attacco dei talebani o un contrattacco della Nato. ScaraL’espresso Foto: M. Sadeq - AP / Lapresse, R. Maqbool - AP / Lapresse, V. de Viguerie - WPN / Neri di Antonio Carlucci da Kabul mucce o vere battaglie condite spesso da autobomba e trappole esplosive. Con i talebani che vanno e vengono liberamente dal Pakistan, che da un mese occupano la cittadina di Musa Qala e che mantengono le posizioni con tenacia perché nel Sud c’è il loro tesoro: le migliaia di ettari di coltivazioni di papavero da oppio. La sicurezza non è garantita per nessuno nel sud dell’Afghanistan. Tanto che l’inviato di “Repubblica” Daniele Mastrogiacono è finito nelle mani dei talebani mentre faceva il suo lavoro sulla strada che da Kandahar porta a Lashkar Gash dove Emergency ha il suo ospedale. Con Mastrogia15 marzo 2007 como sono stati rapiti anche il suo interprete e l’autista (due afgani): tutti e tre sarebbero nelle mani del mullah Dadullah, capo talebano di quattro province che fanno perno su Helmand. Con l’Operazione Achille in corso, dunque con una situazione ancora più complicata per i movimenti e i contatti, è partita la macchina politica e diplomatica che ha come obiettivo la libe- razione di Mastrogiacomo e degli afgani. La prima partita che si gioca oggi in Afghanistan è quella di consentire ai quasi 30 milioni di abitanti di riprendere una vita in pace e in sicurezza. Senza questa non c’è neanche la possibilità di fare piani a medio termine per la ricostruzione. Ci sono luoghi più o meno tranquilli, ma è l’intero Afghanistan che si può trasformare improvvisamente in una trappola. Per i militari come per i civili. L’ultimo mese è cominciato con l’attacco notturno ad alcune postazioni militari Usa vicino ai confini con il Pakistan ed è finito con l’autobomba contro un convoglio americano cui è seguita una reazione armata che ha fatto strage di civili e un bom- Una grande manifestazione allo stadio per chiedere l’amnistia totale. Anche per i criminali di guerra 41 PRIMO PIANO militari dei 37 paesi della coalizione. Ma quanti problemi ci sono da risolvere. Uno per tutti: accadeva regolarmente che i soldati andassero ogni tanto a casa, a decine, se non centinaia di chilometri dalle loro caserme per portare alle famiglie una parte della loro paga. Poi sparivano, per settimane: un po’ per gli inesistenti mezzi di trasporto, un po’ perché arrivati al villaggio c’erano altri lavori da fare. «Abbiamo deciso di aprire una quarantina di sportelli nelle caserme per favorire il trasferimento dei soldi alle famiglie a costo zero. Così, abbiamo ottenuto anche il risultato di creare istituzioni finanziarie nei villaggi più sperduti», racconta il generale Durbin. Costruire un esercito, oggi composto da oltre 30 mila effettivi (l’obiettivo è di disporre di 82 mila uomini) in grado di garantire livelli decenti di sicurezza, significa anche cominciare a pensare alla riduzione del contingente militare straniero e destinare maggiori investimenti alla ricostruzione del Paese. Offre un esempio di quante risorse potrebbero liberarsi Daan Everts, olandese, rappresentante della Nato in Afghanistan: «Oggi un soldato del contingente Isaf costa 5 mila dollari al mese, escludendo gli equipaggiamenti militari e i costi della logistica per mantenerlo in questo Paese. Un soldato afgano costa soltanto 100 dol- Gli integralisti fanno propaganda con volantini che minacciano chi aiuta gli americani lari». Creare una nuova polizia è impresa da far tremare i polsi a chiunque. Primo problema, la corruzione. Essendo lo stipendio medio di un poliziotto intorno ai 70 dollari al mese, l’abitudine era (ed è ancora) quella di arrotondarlo nei modi più svariati e illegali. Il cattivo esempio arrivava regolarmente dai gradi più alti, i quali taglieggiavano innanzitutto i loro sottoposti. Come? Fino a poco tempo fa lo stipendio dei poliziotti passava per la mani dei capi. I quali trattenevano per se stessi 10 dollari su 70, mentre altri 7 dollari restavano nel- Siamo cresciuti a pane e Kalashnikov Parla Humaira Haq Mal. E spiega il cammino difficile verso la normalità Humaira Haq Mal fa parte della Loya Jirga della provincia del Maidan Wardak. Per alcuni aspetti si dichiara soddisfatta della situazione della sua zona. Racconta: «Il processo di transizione verso la democrazia procede abbastanza bene perché in questa area c’è il supporto degli afgani. Inoltre si è riuscito a stabilire un’intesa proficua tra le istituzioni nascenti e il sistema di direzione tribale, il consiglio degli anziani e la Loya Jirga di cui fanno parte oltre a me anche altre donne». I diritti umani sono ancora un grande problema in Afghanistan: «L’unico modo di garantirli sempre di più, a cominciare dalle donne che sono le prime vittime di chi non rispetta le regole, passa attraverso il rafforzamento del governo centrale». Di problemi da risolvere ce ne sono tanti: «Non ci sono abbastanza scuole per le bambine e non esistono scuole superiori: chi può e vuole continuare gli studi deve andare fin nella capitale». Anche l’informazione è un problema: «Nella nostra provincia non c’è né radio, né televisione». Hunaira Haq Mal denuncia anche la totale mancanza di ambulatori, persino nella città più grande, a Maidan Shahar: le autorità hanno deciso di non investire contando sulla relativa vicinanza di Kabul. Quando le si chiede quale sia lo stato della corruzione, Humaira allarga le braccia: «Che vi aspettate, che tutto finisca nel giro di una notte? Le ultime tre-quattro generazioni di afgani sono cresciute con la guerra, non sanno cosa vuol dire una società civile, che pensa solo al proprio sviluppo». Humaira segnala infine un problema che se non affrontato in tempo può complicare la crescita delle istituzioni appena nate. E riguarda le Ong. «Si rischia che molti afgani non vogliano più lavorare per il governo a livello locale perché lo stesso mestiere che conoscono, l’autista, il contabile, l’infermiere, viene retribuito molto di più se lo fanno per le Organizzazioni non governative che stanno aiutando il mio Paese a riprendere la strada della normalità». Foto: R. Maqbool - AP / Lapresse (2), R. Gul - AP / Lapresse, Antonio Carlucci bardamento dal risultato analogo. La capitale Kabul non fa eccezione, nonostante misure di sicurezza impressionanti, intorno al quartiere generale dell’Isaf, alle ambasciate, al palazzo del presidente afgano Hamid Karzai. Jalalabad Street, il lungo rettilineo che dal centro di Kabul si dirige a est verso l’omonima città, è una fotografia dettagliata della situazione afgana. L’asfalto c’è solo in alcuni tratti, è trafficato da ogni genere di veicoli militari e civili, alterna confusi mercati, lunghe fila di baracche e case fatte con mattoni di fango, qui e là svettano alcuni capannoni industriali come solitari funghi. Ma, soprattutto, è considerata la strada più pericolosa della capitale, quella dove i talebani potrebbero apparire all’improvviso per una imboscata di quelle che segnano tutti i giorni la vita dell’Afghanistan: una trappola esplosiva nascosta in una bicicletta o in un carretto. Meno probabile l’ipotesi di un commando che si espone al contatto diretto con i militari Nato. Poco prima di lasciare definitivamente Kabul s’incontra uno degli obiettivi più appetiti dagli insorti: il complesso dove si addestra il nuovo esercito dell’Afghanistan. «Per dare maggiore sicurezza bisogna impegnarsi a fondo per costruire due istituzioni: l’esercito e la polizia», spiega il generale americano Robert Durbin che ha l’incarico di ricostruire la struttura della sicurezza per l’intero Paese: «L’esercito non esisteva più, è tutto da costruire. La polizia, invece, è da riformare e bisogna farlo bene e in fretta perché rappresenta il volto del nuovo governo afgano per le strade e nei villaggi più remoti». Un lavoro per nulla facile per il quale viene investito un miliardo di dollari l’anno: l’obiettivo è fare in modo che soldati e poliziotti afgani siano in grado di svolgere le mansioni oggi assegnate ai le mani del vicecapo locale. Così il poliziotto pensava subito a come rifarsi su qualcun altro, ovvero sul cittadino comune che lui dovrebbe proteggere. Se Kabul è il laboratorio centrale dove tra mille errori, contraddizioni e incertezze si sta cercando la strada per traghettare nel Ventunesimo secolo un Paese che prima i sovietici, poi la guerra civile infine i talebani avevano riportato al Medioevo, mettersi in viaggio all’interno dell’Afghanistan offre immediatamente la prova di quanto titanica sia l’impresa cominciata nel 2001 con la cacciata dei seguaci di Osama Bin Laden. E appare chiaro che le polemiche intorno all’interrogativo se la missione sia di guerra o di pace, di rapina coloniale o di ricostruzione, sono fondate su dogmi assai lontani dalla realtà afgana. A Gardèz, per esempio, città di media grandezza a 120 chilometri a sud-est di Kabul, oggi convivono il riconoscimento dei diritti delle bambine e la negazione dei diritti delle donne: sono state costruite e aperte nuove scuole femminili (dei sei milioni di studenti, due sono di sesso femminile), ma per le strade della città non si vedono donne adulte, neanUn uomo che ha perso una gamba su una mina e, accanto, Humaira Haq Mal. In alto: soldati Usa sparano dalla base di Orgun. A destra: attentato a Barayekab e, sotto, un soldato inglese di pattuglia a Kabul che al mercato e neanche imprigionate nel celeste del burka. A Maidan Shahr, 50 chilometri a sud-ovest della capitale, Abdul Jabbar Naeemi, il governatore della provincia di Maidan Wardak (un milione di abitanti), rivendica come risultato degno di nota la totale scomparsa dal suo territorio delle coltivazioni di papavero da oppio, la pianta che ha fornito nel 2005 una produzione totale di 4 mila e 100 tonnellate di oppio basico, ovvero il 90 per cento della produzione mondiale. Com’è accaduto? Racconta Naeemi: «Dal giorno in cui mi sono insediato, per due lunghi mesi nel mio ufficio non si è affacciato nessuno. Allora sono andato a parlare con tutti i capi mujaheddin e con gli anziani dei villaggi per far capire loro che dovevamo lavorare tutti insieme per ricostruire il nostro Paese. Hanno accettato e alla prima riunione eravamo in quasi 500 persone. Ho detto chiaro che l’oppio era non soltanto vietato dalla Costituzione, ma che era contro i nostri interessi. Giorno dopo giorno ho convinto tutti». Ma in questa provincia alla dichiarata ri- duzione a zero delle coltivazioni di oppio fa da contrappeso una discreta attività dei talebani. Persino di propaganda. Solo pochi giorni fa hanno distribuito tra gli abitanti un minaccioso manifesto firmato Califfato islamico dell’Afghanistan. Si legge: «Dovete tenere lontani i vostri bambini dagli americani e dai loro collaboratori, l’esercito nazionale afgano e la polizia nazionale afgana. Non guidate le loro auto. E la notte, durante gli attacchi dei combattenti per la libertà, non uscite dalle vostre case. E non fate la spia per conto degli americani. Chi non osserva le nostre disposizioni, sarà trattato con severità e sarà responsabile delle punizioni che riceverà». L’Afghanistan offre oggi mille prospettive diverse, a seconda del punto in cui ci si trova. Guardando ai cinque anni trascorsi dalla cacciata dei talebani gli elementi positivi non mancano. Soprattutto di miglioramento delle condizioni di vita in una nazione dove la mortalità infantile è del 160 per mille (in Italia del 4,4 per mille) e dove l’attesa media di vita è di 43 anni (in Italia di 79 anni): dall’8 all’83 per cento la popo43 PRIMO PIANO Foto: Antonio Carlucci, D. Guttenfelder - AP / Lapresse Un gruppo di reclute dell’esercito afgano. Accanto: soldati italiani a Kabul lazione che ha accesso alla medicina di base; da 1,2 a 6 milioni di ragazzi e ragazze che ogni giorno vanno a scuola; da 189 a 299 dollari il reddito lordo pro capite in soli tre anni; 304 milioni di dollari di tasse riscossi dallo Stato, un segno che le istituzioni primarie cominciano a funzionare. Basta spostarsi un poco per guardare un Afghanistan diverso. Quello dei signori della guerra e dell’oppio. Che si sono manifestati pubblicamente venerdì 23 febbraio allo stadio Ghazi di Kabul, il complesso sportivo che nell’era talebana era diventato il luogo delle punizioni pubbliche. Lo stadio si è riempito di quasi 15 mila persone per reclamare a gran voce l’amnistia generale. Per ore la folla ha condito gli interventi degli oratori con slogan contro gli Stati Uniti e, soprattutto, contro Malalai Joya, la più giovane deputata del parlamento afgano, che solo pochi giorni prima aveva tuonato, tra sberleffi e aperte minacce di stupro, contro coloro che «vogliono fare leggi a favore dei signori della guerra e dei criminali e contro i diritti del popolo dell’Afghanistan». Sul palco degli oratori c’erano alcuni beneficiari di rango dell’eventuale amnistia, finora bloccata dal tiepido no del presidente Hamid Karzai. Signori della guerra (e qualche volta anche signori dell’oppio) che siedono in Parlamento, hanno posti di governo o sono stati scelti da Karzai per incarichi delicatissimi: i due vice presidenti dell’Afghanistan, Karim Khalili e Ahmad Zia Masoud, il ministro dell’Energia Ismail Khan, quello dei Rifugiati Ustad Akbar, il consigliere anziano del presidente Qasim Fahim e il suo capo di gabinetto Abdul Rashid Dostum, il potente deputato di Kabul Abdul Rab Rasul Sayaf, sul quale pesano i 70 mila civili morti a Kabul durante la guerra civile. Resisterà Karzai alle pressioni che vogliono un colpo di spugna? La legge rischia di cancellare non solo i crimini contro l’umanità commessi dai potenti di oggi nei 30 anni di guerra che hanno distrutto l’Afghanistan, ma manderà nell’oblio persino i crimini commessi dall’attendente di Osama Bin Laden, il mullah Mohammad Omar. n L’espresso 15 marzo 2007 Scuole contro i talebani La missione italiana punta su piccole e grandi opere. E, più dei terroristi, teme la malavita organizzata di Antonio Carlucci da Herat M aria Martucci è un tenente della riserva dell’Esercito italiano. Fino a qualche tempo fa, da architetto civile, si occupava in Campania di sanità. Da qualche mese, ha reindossato la mimetica, gli anfibi, il giubbotto antiproiettile, l’elmetto (e quando esce dalla base è sempre armata) e segue gli stessi problemi a Herat, città dell’Afghanistan occidentale che insieme all’intera regione è stata affidata all’Italia. Il tenente Martucci ha seguito da vicino il completamento di un poliambulatorio nel villaggio di Jeghartan (121 mila dollari), di una scuola femminile a Jeebrail (quasi 200 mila dollari) e il completamento in corso dell’unico ospedale pediatrico dell’intera regione ovest dell’Afghanistan (320 mila dollari). Antonio Santoro è un colonnello del Genio in missione in Afghanistan. Mercoledì 28 febbraio ha fatto l’ultima ricognizione in elicottero nei pressi di Shindand, 200 chilometri a sud di Herat dove gli italiani cominceranno presto la costruzione di un ponte del valore di 800 mila euro per consentire alle popolazioni locali di collegare due aree dove muoversi è difficile a causa di un fiume che spesso ha delle piene improvvise e pericolose. Gli italiani hanno de- ciso di utilizzare un sistema in cui non c’è bisogno di tecnologia avanzata (da pagare fuori dall’Afghanistan). Hanno riunito la shura locale degli anziani e dei capi villaggio e hanno ottenuto la disponibilità di quasi 500 lavoratori. Che significa per la zona un doppio guadagno: oltre al ponte, un lavoro e un reddito temporaneo per la popolazione locale. Ecco il lavoro svolto da due dei mille militari italiani spediti nella regione ovest dell’Afghanistan (gli altri 900 sono nell’area di Kabul). L’immagine dell’italiano brava gente è spesso lo stereotipo obbligato delle missioni di peacekeeping tricolori, ma contiene sempre un fondo di verità. Certo gli italiani non dispongono di mezzi in grado di cambiare dal giorno alla notte la situazione della regione. Ma di soldi, nell’area ne sono stati investiti parecchi. A cominciare dai fondi del ministero della Difesa con il programma Cimic (2.5 milioni di euro nel 2005, 5,3 milioni nel 2006), per continuare con quelli della cooperazione del ministero degli Esteri e per finire con quelli che arrivano dai donatori internazionali. «Il successo pieno della missione», dice il colonnello Filippo Ferrandu che dirige il locale Provincial Reconstruction Team, «arriverà quando i Prt saranno composti da 45 PRIMO PIANO Dall’oppio alla morfina una maggioranza di civili». Oggi sono solComprare con fondi pubblici italiani l’oppio di produzione afgana, tanto sei i non militari, uno inviato dalla per trasformarlo in morfina e codeina utilizzabili nelle terapie del dolore: è la Farnesina, altri cinque dalla Cooperazioproposta di Rifondazione, Verdi e Rosa nel pugno, con l’obiettivo di combattere il traffico ne. Una presenza quasi insignificante. di droga e di offrire ai produttori di papavero - il 50 per cento del Pil afgano è legato a questa coltura - un’alternativa ai circuiti dell’illegalità. Il progetto ha però destato critiche. Le abbiamo Il contingente italiano può lavorare in un girate a uno dei promotori, Gennaro Migliore, capogruppo di Rifondazione alla Camera. clima di relativa sicurezza. «La situazione Massimo D’Alema è apparso interessato, ma ha obiettato che l’Italia non potrebbe acquistare appare più stabile rispetto a quella di altre l’oppio poiché «la sua produzione è illegale per il governo afgano». province dell’Afghanistan», dice il genera«Non proponiamo di scendere a patti con talebani e signori della guerra, ma una le Antonio Satta, comandante della regiosperimentazione con piccoli produttori, concordata con il governo di Kabul, cercando ne Ovest: «In quest’area più che un probledi avviare nello stesso Afghanistan la trasformazione in morfina e codeina, e quindi di offrire ma di talebani ideologicamente identificaanche un’occasione di sviluppo. Si tratta anche di evitare un grave errore politico, la saldatura ti, ci sono problemi di insorti legati al crifra talebani e contadini senza alternative, che fornisce ai primi una base di consenso». mine organizzato». In ogni caso la sicurezL’ex direttore dell’ufficio Onu per il controllo della droga, Pino Arlacchi, za di Camp Arena, la base dove oltre agli sostiene che la domanda di farmaci antidolore è già ampiamente soddisfatta. italiani c’è un nutrito gruppo di militari «Non sono dello stesso parere né l’Oms né il Senlis Council. I due terzi di questi farmaci sono spagnoli, viene al primo posto nei pensieri utilizzati in pochi paesi occidentali: bisogna estendere il loro uso anche nei paesi poveri ». del generale Satta e dell’invisibile esercito Sempre secondo Arlacchi, l’effetto della proposta sarebbe di far aumentare i prezzi di uomini che curano questo problema. Ma sul mercato illegale, rendendolo sempre più interessante per i contadini. le sorprese sono possibili, come la biciclet«La politica di Arlacchi all’Onu, quella delle eradicazioni, è stata fallimentare, ta bomba fatta esplodere domenica 4 marcome dimostra la crescita a dismisura del traffico illegale. Il totale delle eradicazioni zo sulla strada che dalla base porta dritta non ha superato i 6 mila ettari, a fronte della triplicazione delle superfici coltivate nel cuore di Herat. Altri problemi ci sono a papavero. Non sono stati penalizzati i narcotrafficanti bensì i contadini». Paolo Forcellini stati negli ultimi mesi nella Zeerko Valley con una serie di omicidi a Un paracadutista italiano per le strade di Herat. In alto: sfondo tribale per il controllo il capogruppo di Rifondazione del territorio. E più recenteGennaro Migliore mente, nell’ultima settimana un centro di rieducazione per di febbraio, la temperatura è i minori e una prigione femsalita a Farah, la città più meminile. E poi le necessità più ridionale della regione Ovest, elementari, come l’acqua: con un paio di attentati ai poogni volta che è possibile vieliziotti afgani: è il risultato ne scavato un pozzo in un vilnon voluto dell’Operazione laggio, cercando di dotarlo Medusa condotta dalla Nato anche di una pompa elettrinel Sud tra dicembre 2006 e ca. Per contrastare le culture gennaio 2007 per allontanare di oppio i militari italiani i talebani dall’area di Kanstanno seguendo due strade: dahr (si sono spostati in altre consegnando ai contadini seregioni). mi di zafferano, prodotto Nel quadriennio 2002-2005 con un mercato sicuro, e dil’Italia ha speso per la ricostribuendo un totale di 185 struzione in Afghanistan 178 mila alberi da frutta a chi demilioni di dollari: il 42 per cide di lasciar perdere il pacento per la ricostruzione del L’obiettivo è un’azione capillare pavero. sistema giudiziario e per la Uno dei progetti più aplotta ai trafficanti di oppio; il che porti benefici anche nei 29 per la sanità; il 17 per le villaggi più sperduti in montagna prezzati è quello delle scuole. Il Prt di Herat ha lanciaemergenze impreviste, il 10 per le infrastrutture, il 2 per l’educazione. zio nei centri più grandi poi a macchia ver- to il programma “Una scuola per ogni distretto”: spesa di 2,4 milioni di euro. Il lavoro che ora comincia a essere visibile so i villaggi più sperduti. è quello portato avanti dal Prt di Herat. Ma quello che gli afgani sembrano apprez- Con l’accordo preventivo delle autorità Con i fondi di donatori internazionali zare di più sono le iniziative, anche picco- afgane vengono scelti i villaggi dove co(giapponesi, sauditi, Banca di sviluppo del- le, che vengono realizzate e consegnate al- struirle: cinque sono state già consegnal’Asia) è iniziato il lavoro di ristrutturazio- la popolazione in un periodo relativamen- te, altre sette sono nelle fase finale per ne degli aeroporti della regione ovest per fa- te breve. «Non ci sono risorse per fare tut- l’anno scolastico che si apre alla metà di cilitare i movimenti (in Afghanistan c’è una to e così bisogna scegliere», spiega il gene- marzo. Dice il colonnello Ferrando: sola strada asfaltata per il 90 per cento del- rale Satta. La sicurezza per cominciare, che «Otterremo importanti risultati se oltre la sua lunghezza ed è il cosiddetto Ring significa aiutare la polizia afgana con mez- a costruire la scuola, la riforniamo di l’anello che collega le cinque regioni del zi concreti, dalle divise alle motociclette o tutto quanto serve per la didattica e conPaese). Sono state individuate le zone di svi- con l’addestramento per la custodia alle trolliamo anche che ci siano gli inseluppo che in fasi successive saranno coper- frontiere nel quale sono impegnati alcuni gnanti. Questo è il vero inizio della trante da investimenti in infrastrutture, all’ini- uomini della Guardia di Finanza. Oppure sizione verso un futuro migliore». n 46 15 marzo 2007 L’espresso Foto: Antonio Carlucci, Tania - A3 Avviare coltivazioni controllate per produrre farmaci antidolore. Gennaro Migliore spiega il senso della sua proposta-choc