vitaospedaliera vitaospedaliera - Provincia Romana Fatebenefratelli

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· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 1
VITAOSPEDALIERA
Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana
FEBBRAIO 2013
POSTE ITALIANE S.p.A. - SPED. IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, Comma 2 - DCB ROMA
ANNO LXVIII - N° 02
22 Febbraio: Festa della Cattedra di S. Pietro
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EDITORIALE
S O M M A R I O
RUBRICHE
4
Il significato cristiano del dolore
5
Quale consenso informato?
6
Keynes e anti-Keynes
7
Quale cultura per il fine vita?
EDB 2011
Prefazione del card. Dionigi Tettamanzi
8
Le cure palliative pediatriche
9
La revisione dell’anca:
una chirurgia ad alto impatto
10
Discusso periodo storico
(ora rivalutato), il Medioevo apre la strada alla
Rivoluzione Galileiana
XXIX – La riscoperta delle antiche fonti del sapere,
e il “dogmatismo medioevale”
11
Schegge Giandidiane N. 37
Da 25 anni a Manila
15
Due nascite da ricordare:
Mattia Preti e Joaquín Sorolla
16
Attualità in tema di infezioni urinarie
17
Seguire Cristo...si può!
DALLE NOSTRE CASE
18
Centro direzionale
Carisma: la cartella clinica digitalizzata,
il nuovo strumento di lavoro degli ospedali
19
Ospedale san Pietro - Roma
Le nuove frontiere della radioterapia
in oncologia
20-21
Ospedale Buccheri La Ferla - Palermo
Servizio civile. Il racconto dei volontari
22
Ospedale Sacro Cuore
di Gesù - Benevento
70 anni dopo. Ricordo di un’associazione
di azione cattolica in...ospedale
23
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VITA OSPEDALIERA
Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana
ANNO LXVII
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Di Camillo
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Finito di stampare: febbraio 2013
In copertina: In San Pietro la Gloria del Bernini
racchiude in un grandioso reliquiario bronzeo la
cattedra su cui in antico sedettero i Papi
DA ROMA E IN
NOME DI PIETRO
Q
uando nel 1987 per la prima volta
misi piede nelle Filippine, da buon
romano mi rallegrai che in inglese i
cattolici vi vengono chiamati, con più esattezza, non semplicemente catholic, ma roman catholic, al che scherzosamente feci loro
notare che se essi si gloriavano d’essere “romani”, io lo ero tre volte di più: per fede,
come loro, e in più per nascita e per battesimo, poiché nel 1938 al fonte battesimale della Basilica romana di Santa Croce in
Gerusalemme oltre al nome di Giuseppe mi fu dato anche quello di Romano, del
quale sono stato sempre fiero, tanto che più volte ho firmato con esso gli articoli
pubblicatimi su “Vita Ospedaliera”.
Oltre a fregiarsi del nome di romani, i cattolici filippini si sentono davvero legati
fortemente a Roma, tanto che la piazza di fronte alla Cattedrale di Manila s’intitola
a Roma e all’interno della Cattedrale spicca sulla destra una perfetta riproduzione della statua di San Pietro, assiso sulla cattedra papale, che attira gli sguardi di chi s’inoltra lungo la navata della Basilica Vaticana, nella quale i baci, con cui i pellegrini
per secoli hanno reso omaggio al piede dell’Apostolo, gli hanno consumato le dita
del piede. E nell’avanzare all’interno della Basilica Vaticana, lo sguardo dei fedeli finisce per centrarsi sul più famoso dei monumenti, la celebre “Gloria del Bernini”
che domina l’abside e che racchiude l’antica cattedra del vescovo di Roma, alla quale prestano omaggio i dottori della Chiesa, tanto d’Occidente quanto d’Oriente; certo, era troppo impegnativo replicare a Manila anche la “Gloria del Bernini”, però
hanno devozione per il tesoro che racchiude, come dimostra un qui ben noto dipinto a olio su rame, eseguito verso il 1815 da Damián Domingo, uno dei maggiori artisti filippini d’epoca coloniale, che l’intitolò Catedra de S. Pedro en Roma e che
qui riproduco, perché lo possiate raffrontare con la foto di copertina del capolavoro
del Bernini. Quando, dopo quella visita esplorativa del 1987, fra Pietro Cicinelli - che
era il Provinciale allora come adesso e che ben appropriatamente porta da frate il
nome dell’Apostolo cui è intitolata la Provincia Romana - decise nel gennaio 1988
di mandarmi a Manila quale Priore della prima Comunità della nostra Provincia nelle Filippine, apparve opportuno che come prima cosa io partissi con una benedizione speciale dal Papa, che era allora il Beato Giovani Paolo II. La mattina del 28 gennaio fui ammesso - assieme alle Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, che sarebbero venute con me a Manila per anche loro fondarvi una Comunità - a partecipare alla Messa privata del Papa, che al termine si trattenne paternamente con noi e,
dopo che gli esposi i nostri intenti, tracciò sulle nostre fronti un segno di croce, precisando che benediva noi e le attività che avremmo svolto nelle Filippine.
Possiamo pertanto ben dire che partimmo da Roma in nome di Pietro, dal cui successore eravamo stati benedetti. Sbarcammo all’aeroporto di Manila l’8 febbraio e il
22 febbraio, giorno scelto non a caso in quanto era la festa della Cattedra di San Pietro, fummo ricevuti insieme, frati e suore, dal card. Jaime L. Sin, cui presentammo
le credenziali delle nostre rispettive Curie Provinciali e che seduta stante ci rilasciò
il permesso canonico d’insediarci stabilmente nella sua Arcidiocesi.
La benedizione pontificia e la protezione dell’Apostolo San Pietro ci dettero
animo a vincere le difficoltà iniziali, tanto che in questo mese di febbraio siamo lieti
di celebrare congiuntamente, nella fatidica data della Cattedra di San Pietro, il 25°
del fruttuoso inserimento nelle Filippine della Famiglia Ospedaliera, che oggi vanta
le Case di Quiapo e di Amadeo per i Fatebenefratelli e quelle di Cebu, Pasig e New
Manila per le Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù.
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CHIESA E SALUTE
IL SIGNIFICATO CRISTIANO
DEL DOLORE
Fra Elia Tripaldi sac. o.h.
l dolore, lo sappiamo e spesso lo
abbiamo anche sperimentato sulla
nostra persona o vicino a noi, è un
fenomeno complesso, un enigma fatto
di interrogativi, di domande e di problemi che interpellano oltre che la
scienza, anche la coscienza umana, il
nostro mondo interiore; esso si inquadra nella prospettiva della morte. Per il
mondo greco-romano rappresenta
un’esperienza fatale, è il pathos che
originariamente significa “accadimento”, esperienza naturale e fatale. L’uomo non lo può eliminare, ma solo arginarlo, governarlo attraverso la scienza,
la virtù (virtus = l’abilità) e l’arte.
I
L’11 febbraio 1984 Giovanni Paolo II pubblicava
la lettera apostolica Salvifici Doloris sul senso cristiano della sofferenza
umana, piena di rimandi
alla Bibbia, il grande libro
sul dolore, che però “non
offre mai una teoria definitiva, unitaria e sistematica sul tema del male ma
cerca di gettare luce su
questo groviglio oscuro e
soprattutto di individuare
qualche itinerario di senso e di redenzione”1.
Molte religioni hanno cercato di dare
una soluzione al dolore nel credere alla vita dell’aldilà, rivolgendosi a Dio
con la preghiera e chiedendo il perdono dei peccati, causa del dolore. Esso,
in ogni cultura religiosa rappresenta
una purificazione e un interrogativo sul
perché si soffre, su un disegno divino
che umanamente diventa indecifrabile.
Nel mondo ebraico-cristiano il dolore
è entrato nel mondo a causa di una colpa, del peccato dell’uomo. Non è provocato dal fato, dal destino ma dalla libertà umana e che Giobbe, soltanto dopo averlo sperimentato, poté esclamare
a Dio: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto” (Gb 42,5).
Alla luce della fede in Cristo, il dolore acquista un significato salvifico. Gesù non mistifica il dolore, non si rassegna, non sta in silenzio, non dà alcuna
spiegazione teorica a esso, ma si fa presente nel nostro cammino quotidiano
assumendo il nostro dolore nel suo e si
avvia coraggiosamente verso Gerusalemme. La figura del Servo del Signore
“ci prepara ad accostarci al Nuovo Testamento, in particolare ai Vangeli, ove
il male sembra incombere come una
presenza drammatica ma non tragica”.
(...). “Il male fisico e morale, la morte e
lo scandalo della sofferenza furono subito considerati centrali nell’annuncio
cristiano, anche se illuminati dal fulgore della Pasqua”2. La risurrezione di
Cristo ci ha rivelato la gloria futura e ci
ha confermato, nel medesimo tempo, la
convinzione che la sofferenza di Cristo
è servita a operare la redenzione del
mondo.
Merita un accenno anche a una visione etica del dolore quando cioè si pone
davanti al medico, da una parte la dignità dell’uomo e dall’altra il progresso scientifico che pone a disposizione
nuovi farmaci che possono intaccare
l’integrità fisica e psichica della persona. La fenomenologia del dolore è varia e va dal dolore fisico a quello psichico, cronico, passeggero, forte, debole: ognuno soffre in modo diverso.
4
Pur senza voler cadere nel dolorismo
che è rassegnazione e quasi esaltazione
del dolore e della sofferenza, si può affermare con san Paolo che ogni cristiano deve completare nella sua carne
quello che manca ai patimenti di Cristo
(Col 1,24), non perché la sofferenza di
Cristo non è completa, ma perché la sua
sofferenza è “una fonte di forza per la
Chiesa e per l’umanità” (Savifici Doloris 31). Giustamente il Vaticano II, nel
suo Messaggio ai poveri, agli ammalati, a tutti coloro che soffrono, ha precisato che “Il Cristo non ha soppresso la
sofferenza; non ha neppure voluto svelarne interamente il mistero: l’ha presa
su di sé e questo è abbastanza perché noi
ne comprendiamo tutto il valore”.
La Chiesa che nasce dal mistero della
sofferenza e della redenzione di Cristo,
deve avvicinarsi all’uomo che soffre
come si è avvicinato Gesù il quale “passò beneficando e risanando tutti coloro
che stavano sotto il potere del diavolo”
(At 10,38), sensibile a ogni sofferenza
umana e nello stesso tempo consolando,
insegnando e ammaestrando tutti “a far
del bene con la sofferenza e a far del bene a chi soffre” (SD 30).
_________________
RAVASI G., Nel dolore è deposto un
seme di eternità, Osservatore Romano
10 febbraio 2010
2
Idem
1
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BIOETICA
QUALE CONSENSO INFORMATO?
Raffaele Sinno
L
a normale prassi medica prevede, per essere esplicata, l’acquisizione di un consenso che sia
informato, esplicito, libero, autentico,
personale, immune da vizi.1 Tale presupposto etico - deontologico rappresenta un superamento dei limitati orizzonti della medicina paternalistica, con
l’obiettivo di far emergere una tutela
della persona umana con i suoi diritti e
valori, determinando una gestione
sanitaria focalizzata sull’alleanza terapeutica tra l’équipe assistenziale e il
cittadino-utente-persona. Il dibattito
contemporaneo sul consenso informato
subisce l’influsso dell’elevata contrapposizione sociale tra le diverse figure
coinvolte nell’opera d’assistenza con
aspetti controversi di non facile risoluzione. Nella sua gestione pratica emergono erronee convinzioni, determinando comportamenti totalmente oppositivi rispetto al valore etico e deontologico di quest’atto comunicativo-relazionale. Una sorta di accettazione subcondizione, per inserirlo frettolosamente nell’iter diagnostico-terapeutico, una modulistica aggiuntiva da compilare, in sintesi un atto burocratico tra
gli altri. È fondamentale precisare che
non si tratta di uno strumento giuridico
a tutela dell’operatore professionale, e
spesso le procedure con cui è conseguito celano comportamenti consoni a
un’impostazione della medicina difensivistica, rispetto ad attacchi immotivati e ingiustificati dell’opera del professionista della salute. I motivi di questo crescente conflitto risiedono in una
progressiva perdita e fluidità dei ruoli,
un’incapacità comunicativa ampliata
da una gestione sanitaria eccessivamente impegnata in un’offerta della
salute secondo le logiche concorrenziali di marketing.
Le vicende della medicina contemporanea sono segnate da incomprensioni
reciproche, fallimenti della programmazione etica, obiettivi che si adattano
con superficialità alle contingenze, un
biodiritto incapace di tracciare situazioni chiare e nette, poiché tutto scivola nel
pendio della variabilità o nella catalogazione di casi di volta in volta oppositivi. A tale riguardo è rappresentativa la
questione del ruolo dell’amministratore di sostegno nei casi in cui il paziente
non è abilitato a decidere, figura introdotta nell’ordinamento normativo con
la legge del 9 gennaio 2004, n.6, oppure la situazione dello stato di necessità2.
In molte situazioni cliniche, in effetti,
bisogna intervenire rapidamente con un
paziente impossibilitato a prendere una
decisione libera, autonoma, consapevole. Apparentemente si tratta di una situazione di facile risoluzione: si ricorre,
là dove possibile,
alla dichiarazione
del tutore legale, e
nel caso di necessità s’interviene
direttamente in
ragione della prognosi quoad vitam del paziente.
Tale logica non
sempre corrisponde a un’equilibrata
valutazione
delle situazioni, e l’imminente pericolo
non configura, di fatto, un silenzio comunicativo, perché spesso l’urgenza si
commista all’emergenza, del resto la
temporalità non può assurgere a unico
parametro di riferimento. A conferma di
ciò diverse sentenze hanno evidenziato
questo dato, come quella del Tribunale
di Palermo del 2000, dove si rigettava
la decisione di sottoporre un paziente
con demenza senile a un delicatissimo
intervento ortopedico, con decisione intrapresa direttamente dal tutore legale,
mentre si affermava che deve essere il
medico “a valutare in scienza e coscienza l’idonea terapia, tenendo in
considerazione un equilibrio tra benefici e rischi, nell’ottica che ogni atto sanitario è obbligato e finalizzato a un’opera professionale”3.
Per ovviare alla crescente diffidenza
degli operatori professionali e alla corrispettiva sfiducia nel paziente, è fondamentale compiere un consenso che
testimoni attenzione alle necessità, un
confronto propositivo dove l’autorevolezza non escluda l’ascolto, la possibilità di cooperare per scelte ragionevoli
e realizzabili, un superare le logiche dei
tempi, nella consapevolezza che la sofferenza e il dolore si combattano nel
sorreggersi a vicenda, per edificare una
medicina condivisibile, opportuna, coincidente4.
_________________
Comitato Nazionale di Bioetica, Documento su Informazione e Consenso dell’atto medico, Roma 1992
2
Nella Convenzione di Oviedo all’art. 8
si dichiara: “Quando in ragione di una
situazione di emergenza, il consenso
appropriato non può essere ottenuto, si
potrà procedere immediatamente a
qualsiasi atto medico indispensabile per
il beneficio della salute della persona”.
3
Decreto del Giudice Tutelare del Tribunale di Palermo, Il Tutore o il curatore non può prestare il consenso
informato su di un intervento chirurgico, 19 dicembre 2000
4
Raffaele Sinno. Corso agli operatori sociosanitari, Viterbo, 28 dicembre 2012
1
5
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SOLIDARIETÀ TRA I POPOLI
KEYNES E ANTI-KEYNES
Simone Bocchetta
C
ome dall’alba dell’umanità (cfr
Urano, Crono, Zeus, ecc.), l’immagine del padre che divora i
suoi figli non è estranea anche alla vita
sociale ed economica, così non è estraneo
il contrario, cioè i figli che divorano il padre: la vicenda dell’economista Keynes e
delle strutture finanziarie da lui create, la
Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, ne è un esempio.
La radicale dismissione della teoria
economica che guidò Lord Keynes nell’ideare la Banca Mondiale e il FMI e la
successiva funzione assunta da queste
istituzioni come legislatori globali informali hanno trasformato la politica
economica globale. Per ironia della sorte, dunque, oggi le due creature di Keynes rappresentano ovunque i principali
ostacoli all’adozione di politiche keynesiane, nonostante gli evidenti fallimenti
dei modelli neoliberisti (cfr il default argentino degli anni scorsi, tanto per fare
un esempio). In presenza di questa nuova costituzione economica globale, nessuno Stato oggi potrebbe avere un ruolo
nella gestione dell’economia tanto significativo da lanciare iniziative economiche o incidere sul mercato del lavoro.
La tendenza imposta dalle istituzioni di
Bretton Woods è quella di deregolamentare, ridimensionare, appaltare e
privatizzare: «Il fatto che le istituzioni
create da Keynes siano svuotate delle
stesse politiche keynesiane si spiega con
la natura espansionista dell’economia
politica liberista, la quale non potrebbe
aprire i mercati mondiali al saccheggio
delle corporation se non avesse poteri
istituzionali. Le politiche keynesiane, al
contrario, fondate sulla centralità dello
Stato, erano di natura locale oppure, come modelli di sviluppo internazionale,
richiedevano Stati relativamente forti e
ben strutturati. Di qui l’enfasi posta sul-
6
la modernizzazione giuridica degli apparati statali nei paesi del terzo mondo,
un obiettivo che le agenzie di sviluppo
hanno abbandonato ben prima che venisse raggiunto. Infine, l’insieme di
complesse politiche economiche keynesiane era legato a uno specifico contesto, quello successivo alla Depressione,
e certamente non era troppo ottimista riguardo alle possibilità di un’illimitata
espansione capitalista su larga scala»1.
La filosofia neoliberista è l’opposto di
quella di Keynes. Fin dalle prime misure
adottate, il modello neoliberista mise seriamente in crisi quello keynesiano, così
da svilupparsi insieme a una visione
estremamente ottimistica e auto celebrativa dei meriti dell’espansione capitalista.
Il neoliberismo beneficiò inoltre della
sconfitta del socialismo sovietico e dell’esplicita ambizione della Cina ad aderire agli standard capitalistici occidentali.
È possibile dunque ritenere il neoliberismo una politica economica sostanzialmente monopolistica, nel senso che per
lungo tempo non ha dovuto affrontare la
competizione o l’opposizione da parte di
politiche alternative. I tentativi di screditare radicalmente l’economia keynesiana, soprattutto da parte della scuola monetarista di Chicago2, e la diffusa convinzione che un sistema tecnocratico fosse
più efficiente del processo politico (che va tuttora via via espandendosi), sono tutti fattori che
spiegano i cambiamenti nell’orientamento intellettuale e nella
funzione politica delle istituzioni di Bretton Woods. Lo scenario
giuridico prodotto su scala mondiale dall’impostazione di questa
filosofia giuridica ed economica
globale è l’ambiente ideale per il
saccheggio delle risorse dei più
poveri da parte dei più ricchi.
Per ottenere un paradiso neoliberista
diffuso, in cui gli attori con più potere
nel mercato possono trasformare ogni
individuo in un consumatore e ogni lavoratore non specializzato in una merce, i piani di sviluppo indicano cinque
aree principali, che è imperativo riformare: «1. Lasciare che i prezzi siano determinati dal libero mercato. 2. Ridurre
il controllo statale sui prezzi. 3. Trasferire le risorse dallo Stato al settore privato. 4. Ridurre il più possibile il budget statale. 5. Riformare le istituzioni
statali (tribunali e burocrazia) a vantaggio del settore privato (governante e regime di legalità)»3.
Cinque passi devastanti soprattutto per
le economie ai primi stadi di sviluppo,
che semplicemente non sono in grado di
competere con quelle pienamente sviluppata, per cui aprirle all’investimento
estero selvaggio equivale a firmare un
assegno in bianco ai predatori delle corporation transnazionali, i quali mettono
facilmente fuori gioco ogni attività economica locale. Ovviamente, la teoria del
vantaggio comparato privilegia gli
obiettivi di crescita selettiva rispetto alle politiche di distribuzione del reddito,
e cancella immoralmente le differenze
nelle condizioni di partenza.
_________________
Ugo Mattei e Laura Nader, Il saccheggio. Regime di legalità e trasformazioni globali, Bruno Mondadori,
Milano-Torino 2010, pp. 46-47
2
Cfr ibid.
3
Ibid., p. 65
1
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INVITO ALLA LETTURA
QUALE CULTURA
PER IL FINE VITA? EDB 2011
Prefazione del card. Dionigi Tettamanzi
Miguel Moreno
I
l testo Quale cultura per il fine
vita raccoglie gli atti di un convegno promosso dalla Sezione di
Bioetica del Servizio per la Pastorale
della Salute dell’Arcidiocesi di Milano, svoltosi per riflettere sulle coordinate antropologiche, sociali, etiche,
filosofiche, scientifiche e pastorali, dei
temi trattati dalla promulgazione trent’anni orsono, nel maggio 1980, del
documento Iura et Bona della Congregazione della Dottrina della Fede. È
noto che tale documento ha segnato il
dibattito sui delicati temi etici di fine
vita, rappresentando un costante riferimento nel confronto culturale contemporaneo.
La capacità di coniugare aspetti convergenti della vita umana, nella sua
fase finale, è prospettata secondo un
approccio non riduttivo, presentando
l’evento finale come non isolato, o in
contraddizione, con un percorso
umano capace di interagire con innumerevoli interrogativi che si pongono
di fronte.
Nel testo emerge una capacità di sintesi tra le diverse riflessioni degli esperti i quali, pur rilevando che il clima culturale in questi decenni è profondamente mutato, evidenziano che le scelte etiche di fine vita devono conseguire precisi indirizzi etici, evitando facili riduzionismi. Le complessità delle posizioni attuali dipendono dal fatto che il
morire, o il buon morire, resta circoscritto in un dibattito tecno-scientifico,
mentre il valore della persona umana è
sminuito tra divieti contrapposti, poiché si è smarrito il senso del morire,
mentre è necessario riscoprire e rilanciare una pedagogia della vita, non
della morte, concetto espresso nella
prefazione dal card. Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano (Cf p 7).
I temi di fine vita pongono alle
coscienze degli interrogativi di estrema
complessità, poiché affiorano le nostre
contraddizioni di fronte alla realtà della
vita, alla sua dignità, al rapporto da
attribuire agli altri, al silenzio dell’inevitabilità della nostra finitudine, ai limiti con i quali scienza e tecnica devono
costantemente interagire. Per evitare le
nudità della morte, si ricorre a facili
percorsi: si muore soli, confidando
nella tecnica che non interroga, evitando di dare fastidio, poiché la vita è oramai letta, narrata, e interpretata, nella
sua esclusiva visione edonistica.
La sofferenza diviene scandalo, la
morte orpello inutile. Questa errata
visione degli eventi di fine vita si stratifica in una cultura eutanasiaca che non
nasconde, come nel passato, i suoi obiettivi reali: indipendenza in ogni caso, predeterminazione senza ragioni, diritto alla
morte come coronamento della totale
autonomia. Tale posizione è stata ben
espressa dalla riflessione del Papa,
Benedetto XVI, che nella Caritas in veritate osserva: “…Va facendosi strada una
mens eutanasica, manifestazione non
meno abusiva di dominio sulla vita, che
in certe condizioni viene considerata
non più degna di essere vissuta. Dietro
questi scenari stanno posizioni culturali
negatrici della dignità umana. Queste
pratiche, a loro volta, sono destinate ad
alimentare una concezione materiale e
meccanicistica della vita umana”.1
Le diverse questioni dell’abbandono
terapeutico o dell’accanimento, della
proporzionalità e futilità delle cure, dei
livelli di assistenza nei pazienti in stato
vegetativo o in quelli minimi di
coscienza, sono aspetti ben indagati nel
corso del Convegno, e presentati alla
luce delle attuali complessità, con riferimenti costanti alle dichiarazioni della
Iura et bona. Si osserva una circolarità
d’intenti: ossia indagare le differenze
con una riflessione critica, in cui le
variabilità delle situazioni riguardanti
lo stato psico-fisico della persona non
possono diventare il lasciapassare per
l’arbitrio personale. (Cf p 73). Si riportano, in tal modo, le coscienze di tutti a
un appello di responsabilità nei confronti di un momento fondamentale
della vita, perché nel suo stadio finale è
buona se può contare sulla presenza
benefica, competente e amorevole del
prossimo. (Cf p 70).
In ragione di ciò, è compito di ogni
credente evitare che il percorso della
vita si spersonalizzi nel suo momento
di massima relazione: l’incontro con il
Padre Creatore della Vita, ciò consente
di saper discernere tra il lecito e il futile, l’amore e la solitudine, un abbandono amorevole e uno sproporzionato
accanimento, poiché: “È molto importante oggi proteggere, nel momento
della morte, la dignità della persona
umana contro un tecnicismo che diviene abusivo. Di fatto alcuni parlano di
diritto alla morte che non prefigura il
diritto di morire come si vuole o procurarsi la morte, ma di morire in serenità
con dignità umana e cristiana”2.
_________________
P. BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, n.75
2
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA
DELLA FEDE, Dichiarazione sull’eutanasia
Iura et Bona, IV, Roma 5 maggio 1980
1
7
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SANITÀ
LE CURE PALLIATIVE
PEDIATRICHE
Mariangela Roccu
I
bambini, come gli adulti, possono
essere affetti da malattie inguaribili e, indipendentemente dall’età, si
trovano a dover affrontare tutte le problematiche cliniche, psicologiche, etiche e spirituali connesse all’incurabilità e alla morte.
In Italia 11.000 bambini con malattia
inguaribile e/o terminale hanno necessità di cure palliative pediatriche. L’obiettivo delle cure palliative è di migliorare la qualità di vita del bambino e
della famiglia, rispettandone l’intimità
e la privacy.
Per perseguire i principi delle cure palliative che devono essere applicati in
modo appropriato, è fondamentale che il
team curante sia composto da professionisti esperti: medico, infermiere, assistente sociale, psicologo, consigliere spirituale. Alcuni di questi principi riguardano il rispetto della volontà del bambino e della famiglia, garantire informazioni semplici e accurate in merito alla
gestione del dolore, fornire supporto fisico ed emotivo ai care giver (persone vicine al bambino). La presa in carico del
bambino e della famiglia da parte dell’équipe curante deve avvenire al momento della diagnosi, proseguire nel decorso
della malattia, garantendo la continuità
assistenziale nei vari contesti di cura.
L’OMS (Organizzazione mondiale
della sanità) definisce le Cure Palliative
Pediatriche (C.P.P.) come l’attiva presa
in carico globale del corpo, della mente,
dello spirito del bambino e che comprende il supporto attivo alla famiglia
(Cancer Pain Relief and Palliative Care
in Children, WHO-IASP, 1998).
Nel nostro contesto culturale, malattia
grave e morte di un bambino sono percepite come qualcosa di iniquo e di in-
8
giusto e l’informazione a riguardo è
quanto mai carente e negata.
Questa scarsa informazione è un fattore che limita lo sviluppo delle cure palliative, blocca la richiesta da parte di chi
ne ha bisogno e diritto. L’informazione,
pertanto, deve essere sviluppata per favorire la conoscenza della rete assistenziale, al fine di garantire a ciascun minore bisognoso di cure palliative pediatriche, la risposta ai suoi principali bisogni di salute attuali ed evolutivi e a quelli della famiglia.
La cura prestata a domicilio resta, per
l’età pediatrica, l’obiettivo principale
da raggiungere, ma possono coesistere
particolari condizioni transitorie delle
famiglie che richiedono una soluzione
residenziale: in questi casi il luogo di
cura deve essere dedicato ai minori e il
personale specificatamente formato per
le cure palliative.
Varie esperienze sono state condotte in
diversi Paesi e in alcune realtà italiane,
per dare risposta organizzata e continua
ai bisogni di C.P.P.
Tutte si fondano sull’attuazione e\o diversa integrazione tra l’assistenza residenziale e quella domiciliare. La prima
effettuata in strutture specifiche per bambini inguaribili (es. hospice) o nei reparti di degenza per acuti. Nelle C.P.P. domiciliari il minore è seguito a domicilio
da un’équipe ospedaliera oppure da una
équipe territoriale o mista (ospedale territorio). Nessuno fra questi modelli risulta essere quello ideale e per questo
motivo, quasi tutti i modelli assistenziali di C.P.P. attualmente in corso, hanno
utilizzato una combinazione tra quelle
descritte. Molte esperienze internazionali propongono l’organizzazione di un
centro di eccellenza di riferimento e di
una rete di C.P.P. su macroaree. La rete è
costituita dal centro specialistico coordinatore che lavora in stretta collaborazione alle più ampie reti assistenziali ospedaliere e territoriali.
L’esempio rappresentativo nel nostro
Paese riguarda il Veneto, regione in cui è
stata privilegiata la strutturazione di una
rete regionale di C.P.P. che vede il centro
di riferimento specialistico regionale in
un hospice pediatrico localizzato a Padova. L’équipe multiprofessionale di
C.P.P. del centro, offre reperibilità continuativa, supervisione, formazione e presa in carico integrata con i servizi territoriali e ospedalieri.
Il nostro Paese, dispone, inoltre, di una
legge (n. 38 del 15 marzo 2010) atta a garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore anche del soggetto
in età pediatrica. Pediatri e Infermieri dovranno, quindi, dopo attenta valutazione
degli strumenti messi a loro disposizione, operare in una rete di servizi definita
e attivata nelle diverse realtà territoriali,
sulla base dei principi di umanizzazione
e di qualità.
La condivisione dei percorsi e delle informazioni, delle metodologie utilizzate,
dei problemi incontrati, consentirà un migliore coordinamento nell’attività di programmazione e un’azione comune più efficace, facilitando, inoltre, l’assistenza alle famiglie nell’elaborazione dell’evento
luttuoso dopo la perdita del bambino.
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 9
LA REVISIONE DELL’ANCA:
UNA CHIRURGIA
AD ALTO IMPATTO
Antonio Piscopo
L
a mia esperienza in tema di chirurgia di revisione dell’anca mi
porta a considerare un impianto
protesico come “fallito”, in tre circostanze:
a) quando dopo anni di “life service”
incomincia a evocare dolore e non è
più in grado di assicurare una normale
funzione dell’ articolazione. Sul piano
radiografico si evidenziano chiari segni di usura e mobilizzazione di una o
più componenti dell’impianto nonché
una più o meno marcata perdita del capitale osseo nelle aree periprotesiche;
b) anche in assenza di dolore e perdita di funzione, ma in presenza di:
1: segni radiografici di usura e/o
mobilizzazione di uno o più componenti con associata osteolisi periprotesica;
2: presenza di versamenti periarticolari (pseudotumori) in impianti
metallo-metallo.
c) in caso di sepsi dell’impianto.
In base all’eziologia un fallimento si
classifica in settico e asettico.
migrate persino nello scavo pelvico
(fig.1). Si passa, quindi, da una chirurgia
di difficoltà e costi contenuti a una chirurgia ad alto impatto sia per le difficoltà tecniche sia per l’aspetto economico.
La chirurgia di revisione complessa in
Italia viene eseguita in pochi e selezionati centri: la UOC di Ortopedia del Fatebenefratelli di Benevento è un centro
di riferimento; negli ultimi sei anni sono stati eseguiti oltre seicento interventi di revisione dell’anca con tecniche di
ultima generazione, vale a dire: ripristino del capitale osseo e del centro di rotazione dell’anca, ricostruzioni biologiche dell’acetabolo con biomateriali ad
alta porosità (tantalio) e accoppiamenti
che vantano alta resistenza alla usura
(fig.2).
Nel 20% dei casi questa chirurgia è
stata rivolta ai fallimenti settici; i pazienti compresi in una fascia di età al di
sotto dei 50 anni erano oltre il 30% dei
casi. All’incirca nel 10% dei casi la chirurgia è stata eseguita in pazienti over
80, in seguito a fratture periprotesiche
del femore o dell’acetabolo, su impianti ampiamente mobilizzati per sepsi o
meno.
L’approccio a questa chirurgia è necessariamente di tipo pluridisciplinare:
un percorso ben definito accoglie questi pazienti sia prima che dopo la realizzazione della procedura chirurgica.
Anestesisti e rianimatori, cardiologi, internisti, radiologi, banca dell’osso, banca del sangue, personale infermieristico
e riabilitatori dedicati, sono artefici coprimari con l’équipe di chirurgia ortopedica nella realizzazione di questi complessi interventi.
Se da un lato diverse competenze collaborano per la realizzazione di una chirurgia tanto complessa, c’è da dire che
il tutto è possibile solo grazie alla volontà e all’impegno profuso dall’Ordine dei Fatebenefratelli a costo di grossi
esborsi economici (i costi reali di una
revisione vanno ben oltre il rimborso
elargito dal SSN). È nella secolare tradizione di carità di san Giovanni di Dio
che i Fatebenefratelli profondono il loro impegno e le loro risorse per la salute dei pazienti.
È grazie al loro impegno e alla loro
disponibilità che il nostro lavoro riceve
consensi e considerazione tra i pazienti
e, inoltre, assume particolare visibilità
in ambienti medici e scientifici.
La chirurgia di revisione, vale a dire
un intervento di sostituzione parziale o
totale dell’impianto fallito, se eseguito
precocemente ha lo stesso impatto di un
primo impianto protesico, sia sotto l’aspetto della difficoltà tecnica, sia sotto
l’aspetto dei costi.
Vuoi per le perplessità del paziente non
sempre perfettamente erudito, vuoi per
una non corretta indicazione, vuoi per
mancanza della cultura del controllo periodico dell’impianto protesico, molto
spesso questa chirurgia viene ritardata di
anni fino alla realizzazione di quadri anatomo-radiografici e clinici veramente
drammatici con componenti protesiche
Fig.1: migrazione intrapelvica di acetabolo
Fig. 2: ricostruzione in tantalio
9
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 10
IL CAMMINO DELLA MEDICINA
DISCUSSO PERIODO STORICO
(ORA RIVALUTATO),
IL MEDIOEVO APRE LA STRADA
ALLA RIVOLUZIONE GALILEIANA
XXIX – La riscoperta delle antiche fonti del sapere, e
il “dogmatismo medioevale”
Fabio Liguori
C
onvenzionalmente distinto in
Alto medioevo (sec. V-X) fino
all’anno 1000, e Basso medioevo (sec. XI-XV), con questi termini s’identifica quel lungo periodo compreso tra la fine dell’era antica (476
d.C., caduta dell’Impero Romano
d’Occidente) e l’inizio dell’era moderna (1492, scoperta dell’America). A
torto considerato “oscurantista”, il Medioevo viene ora rivalutato.
Con il declino di Roma subentra, in
Europa, un generale decadimento a
causa di caotiche, continue guerre tra
popolazioni già sottomesse all’impero
e che anelavano a liberarsi e migliorare. L’inarrestabile crisi è economica,
produttiva, politica (corruzione) e sociale (decremento demografico, peggioramento del livello di vita), mentre
nel campo delle scienze l‘assoluto bisogno di nuove acquisizioni non è suffragato da mentalità nuova nella ricerca e nuovi indirizzi nella sperimentazione.
Il successivo proliferare di Università, nel Basso medioevo, sarà la testimonianza della necessità infine avvertita di riscoprire le antiche fonti del sapere (Atene, Roma: nel campo medicobiologico, il “De Medicina” di Cornelio Celso, 14 a.C.–37 d.C.; e il “De rerum natura” di Lucrezio Caro, 98–53
a.C.), così come ampliare le conoscenze immettendo opere dal vicino (Bisanzio) e lontano Oriente (culture asiatiche). Sarà poi frutto della nuova mentalità razionale se, al Medioevo, seguirà la rivoluzione galileiana che aprirà la
10
strada a nuove comprensioni dell’uomo
e delle sue idee, quindi al progresso.
Frattanto, già al passaggio del primo
millennio dopo Cristo la Chiesa ha ultimato l’evangelizzazione degli europei
“barbari”. La profonda vitalità dell’Europa cristiana esplode nella costruzione
di splendide cattedrali e abbazie. Nascono Ordini religiosi al servizio delle
popolazioni più povere, e una santa
analfabeta, Caterina da Siena (13471380), “insegna cosa fare” al Papa.
La carenza di validi strumenti diagnostico-terapeutici lasciava inspiegate
molte malattie. Di conseguenza il rapporto medico-paziente si permea, nel
Medioevo, del principio della trascendenza: quanto, cioè, va oltre la realtà finita della natura e dell’uomo. Sofferenza e
morte appartengono alla
vita terrena e, per quanto
il medico possa operare a
beneficio del paziente,
salute e malattia vanno
rapportate alla Creazione e a Dio. È solo l’ultraterreno che dà un senso alla finitezza dell’essere, e l’idea di una salute totale è illusoria.
La medicina, che si stava orientando verso il sano criterio dell’osservazione pratica, viene accusata di “semplicismo”.
In università in cui dominavano la dialettica e la
retorica dei giuristi, avversato e disprezzato l’insegnamento medico precipita in inutili dispute verbali simili a
quelle del diritto. Al progresso in campo medico si frappone, inoltre, un grosso ostacolo: il dogmatismo medievale,
una verità “assoluta e indiscutibile” riassunta nel termine intransigente ipse
dixit che bloccava ogni tentativo di evoluzione. A quel tempo opporsi a “dogmi” significava un sacrilegio, anche
perché i “depositari delle verità” si riassumevano (nientemeno) nei nomi di: Ippocrate per la clinica, Galeno per la biologia e la fisiologia, e Plinio per la storia naturale.
A sostegno di questo edificio dialettico occorrevano testi “sacri”: e quali migliori di quelli di Galeno che comprendeva “tutta” la medicina? Quale autorità superiore a Ippocrate? Ecco come il
dogmatismo infallibile prende forma.
Tanto che, se capitava di riscontrare differenze anatomiche tra quelle descritte
da Galeno e la realtà, si arrivò ad affermare che era la natura a essere cambiata e non Galeno a essersi sbagliato. Oppure che erano stati gli amanuensi a copiar male l’inattaccabile dogma.
La medicina galenica finirà così per
dominare la scena ancora per secoli, condizionando staticamente ogni cammino.
Dialettica
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 11
Schegge Giandidiane N. 37
Da 25 anni a Manila
Questa rinnovata presenza a Manila nacque in maniera tortuosa e
non troppo felice, ma Dio scrive
dritto anche su righe storte, sicché
la nostra presenza è riuscita a consolidarsi e a ben inculturarsi, essendo formata oggi da filippini e da
solamente due italiani, fra Vittorio
Paglietti e me, sicché già da molto
tempo è stato possibile affidare ai
confratelli nativi le maggiori responsabilità sia di governo, sia di
formazione.
Tutto nacque per iniziativa di un
personaggio un po’ bislacco, fra
Francesco Gillen, nato a Boston e
di etnia irlandese, che dal 1973 fu
per 15 anni di Comunità nel nostro Ospedale dell’Isola Tiberina.
Nel 1985, in occasione di un suo
viaggio a Boston per visitare la madre, fece tappa a Manila, dove parlò col card. Sin, che ne era l’arcivescovo e che l’autorizzò a svolgere attività vocazionale. Al rientro
a Roma, convinse noi della Provincia Romana, nonché le Suore
Ospedaliere del S. Cuore di Gesù,
ad accogliere persone con vocazione religiosa ospedaliera da lui contattate nelle Filippine. Fu così che
dal dicembre 1985 le Suore Ospedaliere iniziarono a ricevere aspi-
Dopo aver verificato le offerte
fatteci dai presuli di Cebu e di Cagayan de Oro, apparve migliore
quella del card. Jaime L. Sin, che
ci mise a disposizione gratuita i locali di un Dormitorio per studenti
a Quiapo, che è uno dei quartieri
più poveri di Manila. Dopo un ulteriore incontro di fra Pietro col
card. Sin, venuto a Roma per il Sinodo nell’ottobre 1987, fu deciso
di prendere in consegna l’edificio
di Quiapo a fine marzo 1988, ossia
alla chiusura dell’anno scolastico,
in modo da non creare problemi ai
circa 80 studenti che ospitava.
Anche le Suore Ospedaliere nel
luglio 1987 vennero a parlare a
Manila col card. Sin, che le incoraggiò ad insediarsi in Diocesi, sicché presero contatto con Madre
Flora Zippo, Superiora a Manila
delle Suore Francescane dei Sacri
Cuori, affinché cercasse un villino
da affittare col nuovo anno. Suor
Agnese Baldi fu designata come
Superiora e partì il 7 febbraio con
suor Maria Antonietta Seghetti e
suor Anna Antonietta Minafra
per insediarsi nel villino fittato a
Pasig; ad accompagnare le tre pioniere si aggiunse suor Raffaella Patacchiola, loro Provinciale, e il
sottoscritto, quale rappresentante
dei frati. Prima di prendere l’aereo
per Manila, tutti noi ottenemmo
di essere ricevuti dal Papa, che il
Benedetti uno per uno dal Papa prima che partissimo per le Filippine
F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 37 - Da 25 anni a Manila
N
ranti filippine nel Noviziato di Viterbo e anche noi dall’aprile 1986
prendemmo a riceverne nel nostro
Noviziato di Genzano. Ci si rese
però presto conto che sarebbe stato meglio organizzare per loro un
Centro di Formazione nella loro
patria e pertanto l’allora Provinciale fra Pietro Cicinelli si recò nel
marzo 1987 nelle Filippine assieme a fra Francesco, al prof. Luisandro Canestrini e al sottoscritto,
per studiare dove aprire tale Centro e quale tipo di attività assistenziale annettervi.
165
el mese di febbraio sono già
25 anni da quando iniziò la
nostra nuova presenza nella
Diocesi di Manila, in cui il nostro
Ordine Ospedaliero fu per secoli
presente in epoca coloniale, tanto
che ancora v’esiste l’Ospedale San
Juan de Dios, gestito fino al 1866
dai nostri confratelli spagnoli.
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 12
Dal card. Sin il 22 febbraio 1988
28 gennaio benedisse i nostri progetti e ci donò un Rosario, affinché
il nostro impegno missionario nelle Filippine fosse accompagnato e
sostenuto dalla preghiera a Maria.
166
F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 37 - Da 25 anni a Manila
L’8 febbraio giungemmo a Manila, dove era ad attenderci fra Francesco, giunto fin dal 7 gennaio per
incontrarvi i nostri Consiglieri
Generali fra Brian O’Donnell e fra
Emerich Steigerwald, che s’erano
fermati nelle Filippine dall’11 al
18 gennaio per valutare la fattibilità dei nostri progetti. La mattina
del 22 febbraio suor Raffaella, suor
Agnese, fra Francesco e me fummo
ricevuti dal card. Sin, cui consegnai le mie credenziali e suor
Agnese le sue, ricevendo seduta
stante il permesso canonico di insediarci nell’Arcidiocesi, che in
quel tempo comprendeva tutte le
17 città, tra cui Pasig, che formano la cosiddetta Metro Manila.
Con tale permesso fu possibile
ottenere il rapido riconoscimento
della personalità giuridica delle
due Comunità Religiose, concesso
dal Governo il 26 aprile alle Suore e il 6 maggio a noi.
Son passati 25 anni e anche se nessuna delle vocazioni indirizzate da fra Francesco al nostro Ordine ha poi
perseverato, poco a poco la
nostra presenza s’è rafforzata
con nuove più solide vocazioni ed è potuta divenire
una Delegazione Provinciale, formata dalle due Comunità di Manila e di Amadeo.
Anche le Suore sono potute divenire Delegazione Provinciale,
comprendente le tre Comunità di
Pasig, Cebu e New Manila, formate oggi da consorelle filippine e da
una sola italiana, suor Mariella
Giannini.
me ospiti fra Pietro Cicinelli e fra
Bartolomeo Coladonato durante
la loro imminente visita a Manila,
ma contiamo d’invitare poi i numerosi amici filippini che ci offersero un prezioso aiuto nell’ardua
fase del primo inserimento.
Quanto alla pattuglia iniziale
che giunse nel 1988, fra Francesco
dopo un anno decise di lasciare
l’Ordine e fondò in Diocesi di Malolos un’Associazione di Fedeli,
approvata dal vescovo nel 1998 e
che gestisce un Ospizio; le tre suore Ospedaliere furono man mano
sostituite, sicché di quel gruppetto
son rimasto sulla breccia solo io,
quale memoria storica locale delle
vicende iniziali, finché il Signore
mi conserverà lucido. Ovviamente, fuori delle Filippine ci sono ancora varie persone che furono protagoniste di quegli eventi e in particolare fra Pietro Cicinelli, che
era nel 1988, e lo è di nuovo ora,
il Superiore della Provincia Romana e che a febbraio avremo la
gioia d’avere nostro ospite a Manila per una ventina di giorni.
Anche se le attività da noi portate avanti nelle Filippine sono rimaste costantemente autonome
da quelle delle Suore, l’identità di
carisma ci ha mantenuti sempre
molto uniti, stimolando in noi un
forte senso di appartenenza ad
un’unica Famiglia Ospedaliera. Ne
è un esempio la decisione di formare un Comitato congiunto per
celebrare assieme il Giubileo d’Argento di quel 22 febbraio 1988,
quando contemporaneamente noi
e loro ricevemmo dal card. Sin il
permesso canonico di aprire le prime Comunità.
Proprio per recuperare qualche
vecchio ricordo, stiamo pensando
di organizzare durante l’anno una
serie di incontri OLMER (Old
Memories Roundtable), ossia delle
tavole rotonde cui saranno invitati personaggi che ebbero un ruolo
negli inizi della nostra presenza
nelle Filippine. Ovviamente, il
primo incontro OLMER avrà co-
La Comunità di Manila
Momento inaugurale dell’anno
celebrativo del nostro comune
Giubileo sarà una Messa celebrata
a Quiapo dal card. Gaudenzio B.
Rosales, arcivescovo emerito di
Manila e primo successore del defunto card. Sin. Per l’occasione sarà inoltre allestita una mostra documentativa itinerante, che accompagnerà le celebrazioni che si
susseguiranno nelle cinque Comunità delle Filippine e della quale
anticipo alcuni dati illustranti il
volto odierno d’ognuna di esse.
MANILA
Manila
La nostra Comunità di Manila, intitolata a San Giovanni di Dio, è oggi la sede
della Delegazione Provinciale delle Filippine, dei Centri
di Formazione per Aspiranti,
Prepostulanti e Scolastici,
nonché della Redazione dei
notiziari virtuali Melograno e
Newsletter e del sito web della Casa. Ospita inoltre le seguenti attività caritative, ge-
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 13
Consultorio Familiare
Inaugurato il 20 marzo 1996 in
collaborazione con l’Associazione
Pro-Life, fondata nel 1975 da suor
Mary Pilar Verzosa r.g.s., deceduta lo
scorso 9 settembre. Dispone anche
di una linea di telefono amico, che
è pubblicizzato e che facilita i contatti iniziali con le ragazze madri.
Scuola per l’Infanzia Disabile
Fu aperta il 15 luglio 1996 per i
bambini audiolesi, utilizzando uno
speciale approccio audio-verbale
che consente loro di apprendere a
parlare. Oggi accoglie un’ampia
gamma di altri disabili fisici e psichici. Legalmente riconosciuta dal
Ministero dell’Educazione.
Centro di Riabilitazione
Inaugurato il 20 luglio 2009, dispone dei Servizi di Fisioterapia, di
Terapia del Linguaggio e di Terapia Occupazionale. Gode di riconoscimento legale del Ministero
degli Affari Sociali e accoglie sia
pazienti esterni, sia gli alunni della nostra Scuola per Disabili.
Quiapo Tanglaw Buhay
Creato il 27 luglio 1997 e forte
oggi di 180 soci, è un Club per la
Terza Età che offre agli anziani di
Quiapo un accogliente punto d’incontro e di socializzazione. Fu
chiamato in tagalog Tanglaw Buhay, ossia Fiaccole di Vita, per porre in evidenza i valori che gli anziani hanno modo di trasmettere ai
giovani. Tra le iniziative del Club
c’è dal gennaio 2012 quella di collaborare l’ultimo sabato d’ogni
mese con i frati e altri volontari,
tra cui anche le Suore Ospedaliere
del S. Cuore di Gesù, a organizzare le festicciole OPEN (Older P eople Encounter) per gli indigenti anziani del quartiere, che trascorrono da noi l’intera giornata tra giochi, danze, canti, proiezioni, buon
cibo in tavola e attenzioni personali quali taglio dei capelli e cura
delle unghie.
Bahay San Rafael
Aperto il 15 giugno 1996, è un
piccolo Orfanotrofio per Disabili
che fu designato col termine tagalog Bahay, ossia Casa, per evidenziarne l’organizzazione tipo famiglia, legalmente riconosciuta dal
Ministero degli Affari Sociali, sicché noi frati siamo divenuti a tutti gli effetti i loro tutori. Con loro
fu usata, per la prima volta nelle Filippine, la tecnica riabilitativa della Conductive Education, messa a
punto dall’ungherese Andrea Petö, che ha consentito ad alcuni di
loro, fino a quel momento completamente immobilizzati nel letto, di apprendere nel giro di uno o
due anni a nutrirsi da soli e a camminare.
AMADEO
Amadeo
La nostra Comunità di Amadeo,
intitolata a San Riccardo Pampuri, fu fondata nel 1990 ed è sede dei
Scuola S. Raffaele per
Disabili
Avviata nel luglio 2008, oggi è
articolata in tre distinti settori, tut-
La Comunità di Pasig
F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 37 - Da 25 anni a Manila
La Comunità di Amadeo
Poliambulatorio
Aperto il 21 settembre 1988 come Dispensario Antitubercolare
gratuito, divenne Poliambulatorio, disponendo degli ulteriori Servizi di Medicina Generale (dal
1988), Odontoiatria (dal 1996),
Oculistica e Optometria (dal
1997), Ostetricia e Ginecologia
(dal 1997), Pediatria (dal 1999),
nonché dotato dei Gabinetti di
Laboratorio Analisi (dal 1988) e di
Radiologia (dal 1996).
Centri di Formazione per i
Novizi e i Postulanti della
Delegazione, nonché della
Redazione del foglio a stampa John of God e del sito web
della Casa. Ospita inoltre le
seguenti attività caritative,
gestite da una nostra ONG,
la St. Raphael School for Special Children, Inc., riconosciuta giuridicamente il 18
gennaio 2010, e svolte con l’aiuto di personale salariato e di volontari:
167
stite da una nostra ONG, la
Granada Education Foundation, Inc., riconosciuta giuridicamente il 26 agosto 1988,
e svolte con l’aiuto di personale salariato, di volontari e
di una piccola Comunità di
tre Suore di Santa Maria di
Leuca:
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 14
ti già legalmente riconosciuti dal Ministero dell’Educazione: la Scuola per l’Infanzia
Disabile, che nelle Filippine
è strutturata nei tre livelli di
Nido, Giardino d’Infanzia e
Preparatoria; la Scuola Elementare per Disabili; i Corsi
di Educazione Speciale per
Adolescenti Disabili. Essendo una Scuola per Disabili,
dispone dei Servizi di Terapia
del Linguaggio, di Terapia Occupazionale e di Fisioterapia, nonché di
serre per apprendere l’orticoltura e
di un Laboratorio per apprendere
tecniche artigianali.
168
F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 37 - Da 25 anni a Manila
Va anche segnalato che v’è un
accordo con l’Orfanotrofio gestito
a Trece Martires dai Missionari
della Carità, che è il ramo maschile delle Suore fondate da Madre
Teresa di Calcutta, sicché la nostra
Scuola per l’Infanzia Disabile ha
creato una Sezione staccata per seguire in tale Orfanotofio i loro disabili.
PASIGi
La Comunità che nel 1988 le
Suore avviarono a Pasig, intitolata a San Benedetto Menni e sita in
un primo momento in zona Kapitolyo e definitivamente nel
Northwood Village, è attualmente
la sede della Delegazione Provinciale delle Filippine e dei suoi
Centri di Formazione per le Aspiranti e le Postulanti. Ospita inoltre le due seguenti attività caritative, svolte con l’aiuto di personale salariato e di volontari:
Centro Scolastico Angeli Custodi
Avviato nel 1991, comprende la
Scuola dell’Infanzia e la Scuola
Elementare, ambedue riconosciute
dal Ministero dell’Educazione; a
esse si è affiancato nel 2007 un Programma di Aiuto agli Alunni Disabili, che facilita e guida il loro inserimento in classi normali.
riconosciuta giuridicamente
nel maggio 1998, e svolta con
l’aiuto di personale salariato
e di volontari:
Centro “Insieme si può”
Creato nel 1999 con l’aiuto della ONG italiana “Insieme si può per
una solidarietà più viva”, il centro offre borse di studio e sostegno sociosanitario ai ragazzi di famiglie indigenti. Al momento segue un duecento alunni, iscritti in differenti
Scuole di Pasig, Cainta, Binangonan e Antipolo.
Centro di Cura Maria Josefa
Recio
Questo Centro Terapeutico per Disturbi Mentali che,
al pari del Noviziato, prende
il suo nome dalla Fondatrice,
iniziò a funzionare nel dicembre 1999 e ha come obiettivo
principale la riabilitazione sociale
e psicologica di pazienti mentali in
via di miglioramento. A tal fine riceve pazienti sia in Day Hospital,
sia per brevi ricoveri, e altri li segue a domicilio. Offre anche sedute di psicoterapia individuale e di
famiglia, e lezioni d’Igiene Mentale per congiunti e badanti.
CEBU
Cebu
La presenza delle Suore in Cebu
iniziò già nel 1988 nella zona di
Mabolo con delle consorelle spagnole, cui s’avvicendarono nel
marzo 1992 quelle italiane, che vi
apersero il Noviziato, intitolato alla Fondatrice della Congregazione,
la Venerabile M. Giuseppina Recio. La Comunità si trasferì poi nella zona di Talamban, che attualmente ospita sia il Noviziato, aperto da poco anche alle candidate indiane, sia la seguente attività sanitaria, gestita da una loro ONG, la
Josefa Hospitaller Foundation, Inc.,
NEW
MANILA
New
Manila
In Quezon, che è un’altra delle 17
città che formano la cosiddetta
Metro Manila, le Suore aprirono il
31 gennaio 2001 nella zona di New
Manila un Centro di Formazione,
che intitolarono a Maria Angustias
Gimenez Vera, confondatrice della Congregazione. La Casa ospita le
consorelle Juniores, ossia quelle
che, dopo aver emesso i Voti Temporanei, si preparano ai Voti Solenni frequentando in qualche
Università o Centro di Formazione
dei corsi di cultura religiosa o di formazione professionale.
La Comunità di Cebu
La Comunità di New Manila
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 15
“I L M E L O G R A N O ”
DUE NASCITE DA RICORDARE:
MATTIA PRETI
E JOAQUÍN SOROLLA
Fra Giuseppe Magliozzi o.h.
N
el mese di febbraio ricorrono
le nascite di due famosi pittori che hanno un importante legame con i Fatebenefratelli: Mattia Preti, del quale ricorre il 24 febbraio il IV
Centenario della nascita, e Joaquin Sorolla, del quale ricorrono il 27 febbraio
i 150 anni della nascita.
intarsiato dell’altar maggiore; inoltre, negli Atti del Capitolo Conventuale del 4
maggio 1644 è annotato il suo intento di
sponsorizzare una nuova facciata della
nostra Chiesa. Lo stemma dei Ferrati,
con chiaro riferimento al cognome, mostra un’inferriata con dietro un braccio
impugnante una spada.
Mattia Preti, detto anche il Cavaliere
Calabrese perché nato in Calabria a Taverna il 24 febbraio 1613 e creato poi
cavaliere da papa Urbano VIII durante
la sua attività a Roma, vi restò dal 1630
per un venticinquennio, subendovi l’influsso dello stile Caravaggesco, da cui
apprese a raffigurare i personaggi con
vigoroso realismo corporeo e grande attenzione ai valori ideali da cui furono
animati. Roberto Longhi lo definì pittore “corposo e tonante, veristico e apocalittico, secondo solo a Caravaggio”.
Tra le sue migliori opere romane è la tela della Flagellazione di Cristo, adornante fino al 1741 la nostra Chiesa dell’Isola Tiberina, in cui era
sopra l’arco d’accesso alla poi scomparsa cappellina laterale della Madonna della Lampada; oggi il
quadro è custodito nella
Sala Capitolare.
Joaquín Sorolla y Bastida, nato in Spagna a Valencia il 27 febbraio 1863 e
morto in Provincia di Madrid il 10 agosto 1923, fu acclamato autore di oltre
2.000 dipinti, contrassegnati da una sapiente attenzione ai riflessi di luce. La
grande tela (cm 212 x 288) che qui riproduciamo, ebbe nel 1900 a Parigi il
Gran Prix dell’Esposizione Universale;
e in Spagna ottenne nel 1901 la Medaglia d’Onore all’Esposizione Nazionale
di Belle Arti.
All’angolo della tela c’è
lo stemma del committente, che fu Durante Ferrati,
residente a Roma con la
moglie Lucia e insigne
benefattore del nostro
Ospedale Tiberino, tanto
che ne figura lo stemma
non solo sulla lapide del
loculo che nel 1639 volle
approntarsi nella cripta
della nostra Chiesa, ma
anche su entrambi i lati
dello splendido paliotto
L’artista dipinse la tela nell’estate del
1899, ispirandosi alla scena che vide a
Valencia nella spiaggia della Malvarro-
Joaquín Sorolla (1863-1923):
Triste Herencia
sa su cui affacciava un Ospizio per ragazzi rachitici e poliomielitici, aperto in
zona da San Benedetto Menni nel 1887
e già dal 1892 trasferito accanto alla
spiaggia per meglio curarli con l’elioterapia e per stimolarne la motilità portandoli ogni giorno a nuotare in mare. I
bimbi vi appaiono festanti tra le onde,
ma ce n’è in primo piano un gruppetto
che avanza sulla spiaggia: uno, più
grandicello, aiuta con spontaneo cameratismo un compagno più piccolino,
mentre il frate incoraggia un altro più
grande. Sorolla volle affidare al quadro
un messaggio sociale e l’intitolò perciò
Triste Herencia (Triste Eredità), affinché suonasse invito ad occuparsi delle
frange più trascurate della popolazione:
e per accentuare la drammaticità della
scena, la inquadrò nella tenue luce del
tramonto, delimitandola in alto con una
sottile fascia di cielo dai toni smorzati.
Mattia Preti (1613-1699): Flagellazione di Cristo
Proprio per il messaggio polemico del quadro,
il Governo si rifiutò di
comprarlo e l’acquistò
uno spagnolo residente
negli Stati Uniti. L’opera
tornò nel 1981 in patria,
avendola acquistata una
Banca di Valencia, che
tuttora la custodisce e che
ne ha donato nel 2009
una replica al nostro Istituto San José di Madrid
per la piscina della Sezione d’Idroterapia Riabilitativa, nella quale i Fatebenefratelli assistono i
disabili con la stessa fraterna premura del confratello figurante nel dipinto
di Sorolla.
15
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 16
PA G I N E D I M E D I C I N A
ATTUALITÀ IN TEMA
DI INFEZIONI URINARIE
Franco Luigi Spampinato
G
eneralmente le Infezioni Urinarie sono causate dal passaggio e
dalla risalita dei batteri attraverso l’uretra, con conseguente loro sviluppo all’interno dell’apparato urinario. In
altre condizioni, come in caso di lesioni
infiammatorie batteriche addominali o a
distanza, Tubercolosi Urogenitale o Bilharziosi, i batteri possono giungere alle
vie urinarie per via linfoematogena.
Le Infezioni Urinarie, se non opportunamente diagnosticate con gli esami clinici del caso e conseguentemente trattate, possono provocare lesioni gravi a tutti gli organi dell’apparato urinario e genitale.
La sintomatologia varia in relazione
agli organi generalmente colpiti. In caso di prevalente interessamento di reni e
ureteri saranno presenti dolori in sede
lombare con possibile irradiazione addominale, stato febbrile, frequente
emissione di urine torbide a volte anche
con ematuria. In caso di prevalente interessamento di vescica, prostata, uretra,
la sintomatologia prevalente sarà di disturbi tipo “cistitico“, con emissione di
urine torbide e spesso ematuria. In alcuni casi, le due sintomatologie possono
essere variamente combinate.
I batteri più frequentemente rilevati
nelle Infezioni Urinarie e Genitali Aspecifiche sono l’E. Coli, il Proteus, la
Klebsiella, gli Enterococchi, lo Pseudomonas, le Clamidie, il Trichomonas, il
Gonococco.
Un posto a parte va riservato alle Infezioni Urinarie Specifiche, come la Tubercolosi Urogenitale e la Bilharziosi
Urogenitale, quest’ultima è un’infestazione parassitaria tropicale. Queste due
Infezioni devono essere sempre sospettate quando si studiano pazienti provenien-
16
ti da aree depresse o da zone asiatiche e
africane con storia di febbre, dimagrimento, disturbi cistitici ed ematuria.
I fattori di protezione immunitari sierologici e citologici, per problemi fisico-chimici, hanno minore attività all’interno del parenchima renale.
Esistono poi i fattori di protezione non
immunitari.
Il primo è l’aumento dell’apporto
idrico, con incremento della diuresi,
con conseguente diluizione della carica batterica e aumento della sua eliminazione. È noto che tutti i fattori
che causano ostacolo al deflusso delle urine favoriscono le Infezioni Urinarie e che, pertanto, devono essere
corretti.
Il secondo è la peristalsi degli ureteri
e la competenza degli sfinteri vescicoureterali e uretrali, che si oppongono alla risalita dei batteri.
Il terzo fattore è costituito da molecole
che rivestono internamente l’urotelio
di tutti i condotti impedendo l’adesione dei batteri alle pareti dei medesimi.
Malattie debilitanti generali, quali il
diabete, le nefropatie, le epatopatie, i
deficit immunologici e metabolici, favoriscono le Infezioni Urinarie.
Le Infezioni Urinarie conseguenti a
manovre invasive urologiche, la più comune e semplice delle quali è il cateterismo vescicale, rivestono grandissima
importanza in ambito ospedaliero, per
le complicanze e gli elevati costi relativi al loro trattamento, pertanto tutte
queste manovre devono essere eseguite
con la più rigorosa sterilità e, se del caso, sotto copertura antibiotica.
La prevenzione delle Infezioni Urinarie si basa ovviamente sulla correzione
di tutte le condizioni cliniche favorenti,
con particolare riguardo a quelle caratterizzate da alterato deflusso delle urine,
come a esempio le malformazioni, la
calcolosi, le patologie prostatiche e uretrali, ove spesso sono indicati trattamenti chirurgici o endoscopici.
Altro elemento importante nelle misure di prevenzione è costituito dal controllo delle abitudini igieniche e sessuali e dall’integrazione dietetica con prodotti ad azione protettiva.
In particolare, il succo di mirtillo rosso rinforza l’azione di protezione delle
molecole che rivestono l’urotelio dei
condotti dell’apparato urinario, opponendosi anch’esso all’adesione dei batteri a tali pareti.
Lo jogurt inoltre, ricco di fermenti e
microrganismi, interferendo con la flora
batterica patogena intestinale, costituita
anche dai batteri che provocano le Infezioni Urinarie, spostano l’equilibrio biologico tra germi patogeni e non a favore di questi ultimi.
Un corretto approccio alle Infezioni
Urinarie richiede un corretto inquadramento clinico e adeguate terapie.
La terapia antibiotica deve essere attentamente valutata, possibilmente sulla
base di un esame microbiologico delle
urine. A tale proposito, è opportuno valutare bene le caratteristiche dell’antibiotico che si ha intenzione di somministrare, tenendo presente che è perfettamente inutile somministrare il farmaco
più recente e magari più costoso, quando è possibile risolvere validamente l’infezione con un antibiotico meno recente,
ugualmente attivo, ma di costo inferiore.
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 17
ANIMAZIONE GIOVANILE
SEGUIRE CRISTO… SI PUÒ!
Fra Massimo Scribano o.h.
I
l tema di questo articolo che ho
scelto per questo mese è dedicato
interamente alla chiamata, per far
si che i giovani e le persone del nostro
tempo possano essere consapevoli che
una chiamata è possibile. Quante
volte stiamo in ascolto della Parola di
Dio? Quante volte sentiamo l’eco di
Dio in diversi modi? Quante volte
sentiamo Dio e non lo ascoltiamo?
L’ascolto, il silenzio sono fattori che
servono per comprendere la chiamata
del Padre nella nostra vita. Dio ci ama
di amore grande e immenso perché
siamo figli suoi. Vuole la nostra realizzazione e la nostra felicità: non
quella del mondo, ma la vera felicità.
Seguire il mondo o seguire Cristo?
Siamo in un mondo dove la società ci
attrae e sembra che il messaggio evangelico sia offuscato da tante cose inutili alla nostra esistenza. Molto spesso
ci addentriamo in un progetto che
apparentemente ci sembra utile o utilitaristico per i nostri scopi e interessi,
ma più tardi ci accorgiamo che abbiamo preso un abbaglio. Con Dio non
prendiamo abbagli, perché ci ama.
Dio è quel Padre che aspetta il figlio
che spunta all’orizzonte, un figlio che
non ha mai dimenticato. Noi siamo
percepiti e pensati da Dio ogni attimo
della nostra vita. “Io non scorderò mai
il mio popolo... può una mamma scordare il suo piccolo? Può una donna
scordare il bimbo che ha in sé?... Io
non mi scorderò mai di voi”; sembra
la lettera di un innamorato, di una persona che ama teneramente il proprio
amore. Dio è innamorato di noi e non
vuole toglierci la libertà, vuole condividere con noi i nostri progetti che
sono i suoi. Dio vuole indicarci la
strada per evitare di sbattere in situazioni che possono arrecare danno alla
tua vita. Non è un Dio che ci priva ma
ci dona la consapevolezza di poter
contare su di Lui.
“Dio ha tanto amato il mondo da dare
il suo Figlio”. La domanda che viene in
mente, che dà il titolo a questo articolo
è proprio quella che richiama l’attenzione a dire: “È possibile seguire Cristo?”
Come potremmo rispondere a questa
domanda? Solo con la testimonianza di
chi ha vissuto realmente l’amore di Dio
incarnato può dare una risposta simile.
Se seguiamo attentamente la vita dei
santi possiamo scorgere un valido aiuto
per comprendere che la sequela di Cristo è possibile. San Paolo ci aiuta a riflettere sulla sequela: “Per me vivere è
Cristo e morire un guadagno”. Facendo
un escursus sull’itinerario che alcune figure hanno tracciato, possiamo identificare: san Pio da Pietrelcina, madre Teresa di Calcutta, papa Giovanni Paolo II,
san Giovanni di Dio, i Santi e Beati del
nostro Ordine e molti altri che hanno lasciato traccia della loro santità. Siamo
tutti chiamati alla santità: ”Voi siete santi perché io sono santo”, questo è l’invito di Dio Padre a cambiare rotta nella nostra vita, prendere in mano la situazione
chiara della domanda di senso che ogni
uomo è chiamato a formulare: Chi sono
io e quale è il mio ruolo nel mondo?
San Giovanni di Dio ha saputo afferrare la sua chiamata, percepita con l’esperienza all’Ospedale Reale di Granada. L’esempio di san Giovanni di Dio è
attualissimo ai nostri giorni. E leggendone la vita si scopre, come tutti i santi, che non hanno fatto nulla di straordinario, ma nell’ordinario Dio ha parlato
a loro. Allora dire sì alla chiamata del
cuore è possibile; solo con l’amore e
l’ascolto della Parola di Dio noi possiamo percepire la nostra realizzazione alla sequela di Cristo.
Se vuoi fare esperienza di Cristo nel
mondo della sofferenza puoi contattarmi ai seguenti recapiti:
cellulare 3382509061,
mailbox: [email protected],
o consultate il sito:
www.pastoralegiovanilefbf.it
Con l’augurio di trovare in voi la via
che solo Dio sa donare, auguro un proficuo cammino e un buon inizio di Quaresima, che ci porta al fulcro dell’anno
liturgico: passione, morte e resurrezione di Cristo.
17
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 18
CENTRO DIREZIONALE
CARISMA: LA CARTELLA
CLINICA DIGITALIZZATA,
IL NUOVO STRUMENTO
DI LAVORO DEGLI OSPEDALI
Marco Bruschi
S
i chiama CARISMA, che ufficialmente sta per Cartella Clinica Integrata in Smart Access, ma
viene comunemente chiamata “Cartella
Clinica Informatizzata”.
CARISMA sostituirà lo strumento di
lavoro principe per i medici e gli infermieri dei nostri ospedali: la
“vecchia” cartella clinica
cartacea. È un cambiamento
enorme per chi da anni è stato abituato a scrivere su carta e che, per prima cosa, avvicinandosi a un paziente
prendeva in mano la sua cartella e la consultava. In futuro, medici e infermieri
avranno a disposizione un
carrello con sopra un PC portatile e per prima cosa, anziché aprire un foglio, selezioneranno il paziente con il
mouse. Usando il computer
potranno fare tutto ciò che una volta era
riservato alla penna. Scrivere decorsi
clinici, prescrivere terapie, scrivere rapporti e consegne, ecc. Non solo: potranno anche consultare tutti gli esami di laboratorio, tutti i referti, la storia clinica;
insomma, avranno a disposizione molte
informazioni in più.
Noi preferiamo chiamarla Cartella
Clinica Integrata perché il punto è proprio quello: l’integrazione. Grazie a
questo nuovo strumento infatti il lavoro di medici e infermieri si fonderà ancora di più diventando una vera e propria simbiosi. CARISMA infatti è una
fusione fra la cartella clinica dei medici e la cartella infermieristica. Se un medico prescrive una nuova terapia essa
18
compare in tempo reale agli infermieri,
che potranno poi convalidarla – cioè dichiarare di averla somministrata e a che
ora. Tutti gli aggiornamenti fatti dai medici compariranno in tempo reale sulla
parte infermieristica e viceversa, creando un vero e proprio dialogo, uno scambio continuo di informazioni che po-
tranno essere consultate da qualsiasi
computer dell’ospedale dopo aver effettuato l’accesso con il proprio nome e
password.
Alcuni reparti pilota sono già stati avviati. All’inizio il personale ci ha guardato con un po’ di diffidenza. Noi arrivavamo lì con questa cosa e volevamo
cambiare le carte in tavola. “Ma ora si
farà tutto sul computer?”. Ci aspettavamo un po’ di timore, soprattutto da parte dei medici, che si vedevano “invadere” il campo da questo carrello bianco e
azzurro con sopra un PC acceso e in attesa di ricevere dati. Il ghiaccio si è rotto quando uno di loro, durante la visita,
ha chiesto se un referto era ancora arrivato dalla radiologia. Intendeva dire il
referto cartaceo naturalmente. “Si può
guardare qui” abbiamo consigliato noi.
“Ah, davvero?”
Da lì è iniziata la scoperta dello strumento e lo stupore nel constatare che
grazie a esso molte procedure sono
estremamente velocizzate, perché il dialogo fra i diversi applicativi del sistema
informativo rende tutte le informazioni
a portata di mano direttamente nella
stanza del paziente. Sono cominciate ad
arrivare anche le critiche naturalmente –
e noi ne siamo felici. Le critiche costruttive sono sempre segno che qualcosa non passa inosservato, che suscita interesse e che se ne vedono le potenzialità. CARISMA è ancora uno strumento
in divenire che deve modellarsi alla variegata realtà ospedaliera e soddisfare le
esigenze di tutti. Da quando
siamo effettivamente entrati
in reparto, ora l’applicativo è
già cambiato in molte delle
sue sfumature. Stiamo lavorando insieme a chi è effettivamente tutti i giorni sul
campo per affinare il più possibile CARISMA in modo
che sia una vittoria per tutti:
per il medico, per l’infermiere ma anche, forse soprattutto, per il paziente stesso. La
Cartella Clinica Integrata
fornisce infatti una visione
olistica del paziente, in cui il
tutto è veramente superiore alla somma
delle parti.
Siamo consci che CARISMA rappresenta un grande cambiamento nella quotidianità lavorativa, ma crediamo anche
fermamente nei vantaggi che porterà
quando sarà modellato a dovere e avrà
una risposta immediata a ogni possibile
richiesta. Come ogni innovazione tecnologica porta intrinsecamente con sé
anche una rivoluzione. La considerazione migliore che abbia sentito su questo
punto l’ha fatta un’infermiera. Dopo
aver finito di spiegarle il programma lei
è stata zitta un secondo, riflettendo, e poi
ha sorriso e ha detto: “Ci sono alcune cose che non mi sono ancora chiare, ma poi
sarà solo questione di abitudine”.
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OSPEDALE SAN PIETRO - ROMA
LE NUOVE FRONTIERE
DELLA RADIOTERAPIA IN ONCOLOGIA
Fra Gerardo D’Auria o.h.
M
artedì 15 Gennaio si è svolto
nella sala convegni dell’Ospedale san Pietro Fatebenefratelli un workshop scientifico dal titolo “Alta tecnologia e pratica clinica nella radioterapia oncologica”. Moderatore del simposio è stato il prof. Riccardo Maurizi Enrici dell’Ospedale sant’Andrea di Roma,
il quale spiegando l’importanza della tecnologia nella moderna pratica radioterapica, ha affrontato il discorso delle competenze e capacità necessarie per utilizzare apparecchiature delicate e innovative come il True Beam.
Il workshop infatti è stato capace di unire l’approfondimento clinico delle alte
tecnologie con la presentazione del nuovo centro di radioterapia a Roma:
l’UPMC san Pietro Fatebenefratelli.
Questa nuovissima struttura sorge all’interno dell’Ospedale san Pietro, già riconosciuta come leader nella capitale per
quanto riguarda il settore oncologico, arricchendo ancora di più l’innovazione sul
territorio di Roma Nord.
“L’acceleratore True Beam della Varian Medical Sistem è unico nel suo genere - ha affermato il prof. Piercarlo Gentile, responsabile del nuovo centro, nel
corso del suo intervento -. Appena inaugurato vanta già diversi primati: è il primo acceleratore totalmente digitale in
grado di garantire prestazioni elevate e
tecniche speciali come stereotassi, IGRT,
tecniche 4D e ipofrazionamenti”.
Peculiarità di questa nuova
apparecchiatura è infatti la
possibilità di trattare una vasta
gamma di patologie con una
precisione millimetrica, senza
colpire gli organi a rischio circostanti, grazie anche al lettino
speciale di cui è dotato, il “Robotics”, che permette di correggere l’eventuale posizione
errata in 6 direzioni spaziali,
mentre i normali lettini di terapia arrivano solo a 3 direzioni.
“Per questo - ha continuato il prof Gentile - disponiamo dei sistemi di riposizionamento del paziente più evoluti sul mercato che permettono di trattare lesioni
inoperabili anche molto piccole e quindi
di effettuare radiochirurgia.”
I risultati delle terapie che possono essere effettuate con il nuovissimo treu
beam, in dotazione al centro di alta specializzazione UPMC san Pietro Fatebenefratelli, sono stati ampliamente trattati
nel workshop dal prof Dwight Heron dell’Università di Pittsburgh, primo in America ad utilizzare questa apparecchiatura,
ormai 10 anni fa.
Il workshop scientifico si è concluso con
il ringraziamento della dr.ssa Laura Raimondo, vice presidente per gli affari esteri di UPMC-University of Pittsburgh Medical Center, al superiore provinciale della Provincia Romana di san Pietro Apostolo Fatebenefratelli,
fra Pietro Cicinelli, il
quale, dopo un breve
discorso, ha ricordato ai
presenti come le difficoltà iniziali possono,
con pazienza e fiducia,
diventare qualcosa di
importante e bello come
il progetto Università di
Pittsburgh-Ospedale
Fatebenefratelli.
Benedizione dei locali da parte di mons. Pinto
Fra Gerardo, dr.ssa Raimondo,
dr. Bogosta
Alla fine del convegno, con la benedizione di mons. Pio Vito Pinto, - decano
della Sacra Rota e presidente della Corte
d’Appello del Tribunale Ecclesiastico - e
il taglio del nastro da parte del direttore generale, fra Gerardo D’Auria, della dr.ssa
Laura Raimondo e del vice presidente esecutivo di UPMC, Charles Bogosta è stato
inaugurato il nuovo centro UPMC san
Pietro Fatebenefratelli.
A seguire la visita della nuova struttura
con la spiegazione scientifica e qualche
esempio pratico della nuovissima strumentazione disponibile, tra i quali la TC
di simulazione della Ge healthcare, i sistemi Exac Track per il monitoraggio LIVE della patologia del paziente durante la
seduta di radioterapia, le telecamere per il
gating 4D e i cuscini per l’immobilizzazione dei pazienti che effettuano terapie di
radiochirurgia.
Fra Pietro
e la dr.ssa Raimondo
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· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 20
O S P E D A L E B U C C H E R I L A F E R L A - PA L E R M O
SERVIZIO CIVILE.
IL RACCONTO DEI VOLONTARI
Cettina Sorrenti
Q
uesto racconto scritto con la testimonianza di sette volontari
che fanno parte del progetto di
Servizio Civile che si svolge in Ospedale dal mese di giugno scorso, vuole trasmettere e far conoscere il significato di
questa esperienza per ciascuno di loro.
Lucrezia Perricone, l’artista
“Sono qui con te”, è il titolo del progetto di Servizio Civile Nazionale a cui
partecipo. L’obiettivo è quello di rassicurare e aiutare il paziente o il familiare, con un gesto, con un sorriso o anche
con la sola compagnia. Il 2 luglio, ho indossato per la prima volta la polo colorata (la divisa) e finalmente dopo un mese di formazione eccoci in postazione.
Il primo giorno ero emozionata. La mia
testa era inondata da mille pensieri e domande: “Sarò in grado di dare le giuste
informazioni?”, “e se sbaglio qualcosa?...”.
un colloquio e la speranza per ognuno
di noi che quell’incontro andasse bene.
Poi ecco l’attesissima graduatoria con i
nomi dei quattordici fortunatissimi ragazzi. Sono una studentessa universitaria e non credevo ai miei occhi quando
nella lista ho visto il mio nome. È stata
un’emozione immensa. Per me poter far
parte del Servizio Civile significava
crescere, ma allo stesso tempo apprendere lezioni di vita che nessun libro potrà mai insegnarmi! Nei primi giorni ha
prevalso la timidezza e grande era la voglia di conoscere gli altri. I lavori di
gruppo durante la formazione hanno reso tutto più facile.
Ricordo benissimo che durante le lezioni ero sempre in ansia, il mio cuore
batteva a mille e le mani sudavano freddo. Espormi davanti agli altri e parlare
di me mi imbarazzava. Leggere di fronte a tutti mi metteva agitazione e ogni
volta che la nostra responsabile pronun-
ciava il mio nome facevo di tutto per nascondermi dagli altri.
La formazione è servita a darmi le basi e gli strumenti per affrontare questa
nuova esperienza, ma una volta in
“campo” tutto è stato ampliato: emozioni, paura di dare informazioni scorrette e timore di dimenticare qualcosa.
Mi sono chiesta spesso se così timida,
un po’ fragile, alla mia prima esperienza con il pubblico, fossi stata all’altezza di aiutare, consolare o indirizzare la
persona che ne avrebbe avuto bisogno.
Col tempo i sorrisi, i ringraziamenti sinceri, gli improvvisi ritorni solo per salutarmi, mi hanno fatto capire che sono
riuscita a entrare realmente negli obiettivi del progetto e a superare molte delle mie paure.
Simone Rosselli, il futuro medico
Perché un ragazzo dovrebbe scegliere
di vivere l’esperienza del Servizio Civile? E perché proprio in ospedale?
Le motivazioni che mi hanno spinto a
sfogliare il bando, presentare la domandina e affrontare il colloquio sono ben
Col passare dei giorni, le mie paure e
insicurezze sono scomparse, grazie anche al sostegno e all’affiancamento di
tutto il personale sanitario che ci segue,
creando intorno a noi un ambiente lavorativo sereno; ma soprattutto grazie
agli sguardi, ai sorrisi e ai ringraziamenti sinceri delle persone che aiutiamo. Molte volte dando una semplice informazione mi sento ripagata e ancor
più quando offro la mia compagnia o
conforto al paziente che attende la visita o al familiare che aspetta in corridoio.
A ringraziarci sono gli stessi pazienti:
“Sei un angelo” qualcuno mi dice, altri
si congedano con la frase “ù signori tu
paga”. Tutto ciò per me è di conforto e
da stimolo per fare sempre meglio.
Martina Cottone racconta
Tutto ebbe inizio con l’uscita del bando, la presentazione della domanda per
la partecipazione al progetto, seguito da
20
I 14 Volontari del Servizio Civile
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 21
diverse da quelle che elencherei ora. A
chi me lo avesse chiesto allora avrei detto che lo facevo per avere un primo approccio con il mondo del lavoro, per conoscere la quotidianità dell’ambiente
ospedaliero dall’interno, per aiutare chi
vive un momento difficile.
Sono passati cinque mesi dall’inizio di
questa avventura. Adesso la mia risposta
sarebbe: “Perché ti cambia la vita in meglio”. È difficile spiegare la soddisfazione e la pienezza che si prova nel ricevere anche solo uno sguardo di gratitudine da parte della persona che hai appena aiutata, che spesso non si aspetta un
simile trattamento. Il sentirsi parte di un
organismo complesso come un ospedale, essere come quattordici piccoli ingranaggi che insieme contribuiscono a
rendere questo posto più accogliente è
una sensazione molto appagante, che ti
forma come uomo e come cittadino.
Simona Carratello, l’infermiera del
gruppo scrive
Quando a giugno ci presentammo per il
primo giorno di formazione, non sapevamo ancora come sarebbe stata quest’esperienza. Non ci conoscevamo ed
eravamo tutti un po’ imbarazzati all’idea di lavorare insieme. Col tempo siamo diventati un gruppo. Tra di noi c’è
chi studia, chi ha finito di studiare e cerca impiego, chi disegna, chi cucina, chi
strimpella … e poi ci sono io, infermiera a tempo perso. Per me l’ambiente
ospedaliero non è una novità; è per questo che ho scelto di prendere parte al
progetto. La cosa più bella nell’essere
Volontaria del Servizio Civile è quando
ripenso alle persone che aiuto, ai loro
volti sorridenti, ai loro “grazie” e sento
di fare qualcosa di importante, qualcosa che sorprendentemente mi rende felice. A volte basta poco per fare del bene: un sorriso, una parola, qualche battuta al momento giusto, rende più leggera l’attesa e la permanenza dei pazienti in Ospedale.
Emanule Gambino, il musicista
Mi è capitato decine di volte di entrare
negli ospedali, ma il primo giorno in cui
sono entrato in questo come volontario
del Servizio Civile è stato tutto diverso.
Da quel momento ho cominciato a osservare l’interno dell’ospedale con occhi diversi. Varcare la soglia della portineria è stato come camminare in una
stanza buia, anche se quel giorno brillava il sole. In quell’istante mi ero già calato nella parte immedesimandomi nelle persone che per la prima volta entrano in un nuovo ospedale. La sensazione
è di spaesamento e di disorientamento.
Ora a distanza di qualche mese, le mie
emozioni sono diverse. Sono quelle che
ricevo e vivo negli ambulatori o nelle
sale d’attesa, che mi giungono dai pazienti. Mettermi al ‘’servizio’’ del prossimo, mi dà la forza di continuare a dare sempre il massimo. Questo è il segreto che sta dietro il Servizio Civile,
mettersi a disposizione di chi in quel
momento ne ha più bisogno, anche solo
con un sorriso.
Avevo già intuito il mio lavoro e sapevo che non sarebbe stato facile come
passeggiare al parco. Sapevo che avrei
avuto a che fare con il disagio della gente e comprendere gli stati d’animo delle persone non è affatto facile. Entrare,
anche per un solo minuto nella vita della persone è il nostro scopo, l’importante è farlo con moderazione e rispetto. Mi
rendo conto di quanto sia difficile soffermarsi a guardare e riflettere. A volte
basterebbe mettersi nei panni di una
persona sofferente per capire quanto sia
doloroso e una mano, una frase, un sorriso non fanno altro che migliorare una
situazione instabile. Dobbiamo anche,
in qualche modo con la nostra presenza
spazzare via la solitudine che avvolge la
gente; questo è un compito importante
e fondamentale all’interno di un ospedale. L’altruismo è il nostro pane quotidiano e adesso entrando in ospedale non
vedo più il buio, vedo gli occhi della
gente, occhi nei quali rispecchiarmi.
Giuseppe D’Angelo, lo studente
Noi volontari partecipando al progetto “Sono qui con te”, abbiamo scelto un
ambito non comune, non facile. Ogni
giorno conviviamo con le persone, con
le loro emozioni, con le loro paure, con
le loro aspettative. I quattordici ragazzi siamo tutti diversi l’uno dall’altra,
ognuno ha una caratteristica propria,
c’è la persona più simpatica, quella più
sensibile, quella più dolce, quella più
forte.
Guillermo Byron Piscitelli, l’anziano del
gruppo (solo 29 anni)
Nonostante io abbia
già altre piccole esperienze “lavorative” ricordo il nervosismo, la
preoccupazione e l’ansia avuti durante il colloquio di selezione per
il Servizio Civile. Ma
ancor di più ricordo
quel senso di leggerezza e felicità nell’apprendere di essere stato scelto tra i numerosi candidati presenti in
quei giorni.
Svolgendo il servizio civile in Ospedale, giorno dopo giorno capisco sempre meglio cosa è l’empatia e quanto sia
importante l’ascolto. Quotidianamente
sento che cresce la mia sensibilità, sono sempre più in grado di controllare e
gestire le mie emozioni. Nonostante
non abbiamo una formazione sanitaria;
per i pazienti con il nostro servizio rappresentiamo una figura d’aiuto, un sostegno morale, un punto di riferimento.
In alto: Emanuele, Giuseppe, Martina, Lucrezia
In basso: Simone, Simona, Guglielmo
21
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 22
OSPEDALE SACRO CUORE DI GESÙ - BENEVENTO
70 ANNI DOPO. RICORDO DI
UN’ASSOCIAZIONE DI AZIONE
CATTOLICA IN…OSPEDALE
Lorenzo Daniele
L
a Chiesa Cattedrale di Benevento, chiusa al culto dal maggio
2005, è stata interessata da una
serie di interventi di ristrutturazione. In
tale contesto si pensò anche di sostituire i tre portoni lignei della facciata, ormai fatiscenti, con tre porte dì bronzo (le
due laterali senza alcun motivo figurativo; quella centrale, invece, modellata
sulla settecentesca porta orsiniana, detta Janua Maior, così come si presentava
prima della distruzione bellica del settembre 1943).
Il 18 dicembre 2012 l’arcivescovo
Mugione ha inaugurato ufficialmente il
complesso ristrutturato della Chiesa
Cattedrale e ha benedetto le tre nuove
porte, che con la loro bellezza bronzea
valorizzano sul piano estetico i portali
di età romanica e l’intera facciata del sacro edificio.
La cerimonia è stata suggestiva e partecipata. Alle autorità presenti e ai responsabili della Soprintendenza per i
Beni architettonici, paesaggistici, storici e etnoantropologici delle province di
Caserta e Benevento, l'Arcivescovo, alla fine dell'incontro, ha consegnato attestati di riconoscenza per aver consentito, con il loro impegno, di dotare la
Cattedrale sia delle tre porte e sia dell’agibilità della stessa. Anche a me che
scrivo, l’Arcivescovo ha offerto, anche
a nome della Chiesa beneventana tutta e in segno di perenne gratitudine, una targa d'argento per
il recupero da me effettuato nel
1943 (circa 70 anni fa!) delle formelle
della originaria porta di bronzo, sventrata dai bombardamenti e ora, restaurata, è collocata all'inizio dell'aula liturgica.
Approfittando dell'ospitalità beneventana, ho visitato successivamente la
Chiesa dell' Ospedale Sacro Cuore di
Gesù dei Fatebenefratelli, che, ai tempi
della mia gioventù, fungeva da Chiesa
parrocchiale.
Ho rivisto il fonte battesimale nel quale fui battezzato, l’immagine maestosa
del Sacro Cuore di Gesù che domina il
presbiterio e I'altare ai piedi del quale ho
ricevuto la prima comunione e la cresima.
Passando nel portico dell’OspedaIe,
mi è sembrato riudire la voce dei tanti
ragazzi del quartiere, detto dei ferrovieri, che a me erano stati affidati dall’Azione Cattolica.
Ho visualizzato il Parroco (il sapiente, operoso e santo don Pasquale Mazzone, che nessuno nel tempo citerà tra i
sacerdoti maestri e sentinelle della
Chiesa beneventana), il caro e indimenticabile fra Vito Mongelli (che fungeva
da catechista), il sorridente arcivescovo Agostino Mancinelli, con il suo segretario don Angelo Mariani (v. foto scattata
nel maggio 1943 e cioè a pochi
mesi dai bombardamenti su
Benevento). Era allora difficile
dire ai ragazzi: “State fermi...
perché siamo in un ospedale!”
Foto del 1943 a sx fra Vito Moncelli (vedi freccia)
22
Appena potevano, giocavano
spensierati e giulivi a calcio con
Cattedrale di Benevento
una palla fatta di stracci e... i frati (fra
Angelico Russotto, fra Vito Mongelli,
fra Angelo Santoro e finanche il burbero, ma buono fra Pietro) chiudevano gli
occhi, forse perché legati alla figura del
loro confratello Riccardo Pampuri (oggi
Santo), che prima di entrare nell'Ordine
dei Fatebenefratelli e diventare medico,
era stato presidente dell’Azione Cattolica di Trivolzio.
Comunque, come da un blocco di
marmo l’artista cava, a poco a poco il
suo capolavoro, così l'impresa mia e di
fra Vito nella Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù fu simile all'opera dell’artista: sviluppare, pur nei limiti delle nostre capacità organizzative, le potenzialità, non solo di ordine soprannaturale
ma anche naturali, dei tanti ragazzi a noi
affidati e trarne dei capolavori di uomini e dei cristiani per un mondo migliore.
Nel tempo, con fra Vito, trasferito all'Ospedale Madonna del Buon Consiglio in Napoli e dove, appena potevo andavo a trovarlo, ci chiedevamo se eravamo riusciti o no nell’impresa.
Di certo, nella nostra Associazione
del Sacro Cuore (chiusa dopo i fatti bellici) si formarono bravi professionisti,
medici, professori universitari, ottimi
ufficiali.
In tutti i ragazzi di allora e, soprattutto, in quelli che nel tempo io e fra Vito
siamo stati in contatto, è restato il ricordo della loro spensierata gioventù, la
gratitudine ai Fatebenefratelli di averli...
sopportati, la certezza della protezione
continua del Sacro Cuore di Gesù.
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 23
MISSIONI FILIPPINE
NEWSLETTER
UN ANNO IN CIFRE
Nel Poliambulatorio di Manila durante il 2012 abbiamo assistito gratis
11.838 malati. In testa per afflusso di pazienti il Servizio di Odontoiatria, con
complessive 3.321 prestazioni, tra cui
1.878 estrazioni dentarie e 562 sedute
laser; ne hanno beneficiato 2.842 pazienti, di cui la metà venuti per la prima
volta durante tale anno. Secondo il Servizio di Medicina Generale, con 2.086
pazienti, di cui 447 per affezioni polmonari. Terzo il Dispensario Antitubercolare, con 1.757 pazienti, dei quali 212
venuti per la prima volta; 195 sono risultati con processi in atto; 75 pazienti
hanno iniziato la terapia durante l’anno,
858 l’hanno proseguita e 34 conclusa.
Quarto il Servizio di Ostetricia e Ginecologia, con 1.336 pazienti, delle quali
349 venute per la prima volta; in 46 casi è stata eseguita un’ecografia. Quinto
il Laboratorio Analisi, con 899 pazienti
e 1.320 esami, dei quali 320 per ricerca
nell’escreato di bacilli della tubercolosi, evidenziati in 46 casi. Sesto il Servizio di Pediatria, con 801 pazienti, di cui
una metà nuovi. Settimo il Servizio di
Radiologia, con 779 pazienti, di cui 214
con lesioni tubercolari nei polmoni. Ottavo il Consultorio Familiare, con 585
persone assistite. Nono il Servizio di
Oculistica, con 525 pazienti di cui 342
venuti per la prima volta; è stata rimossa ambulatorialmente la cataratta a 44
pazienti. Ultimo il Settore della Riabilitazione, con 133 pazienti, di cui 43 in
Fisioterapia, per 490 sedute complessive; 40 in Logoterapia, con 733 sedute;
e 50 in Terapia Occupazionale, con
1.871 sedute
Da menzionare, inoltre, le numerose
attività sociali svolte dal nostro Club
della Terza Età, arrivato a 180 soci, e le
feste mensili OPEN (Older People Encounter), nelle quali nel 2012 sono state registrate 602 presenze di indigenti
anziani del quartiere di Quiapo, ospitati per l’intera giornata, con buon cibo e
tante gare e spettacoli e perfino taglio
dei capelli, manicure e pedicure.
VECCHI RICORDI
A Manila l’Ufficio Diocesano per la
Pastorale Sanitaria ha organizzato il 12
gennaio una Messa per tutti gli addetti
alla Sanità, che il card. Luis Antonio Tagle, nostro arcivescovo, ha celebrato
nella Cappella che l’Ordine di Malta ha
costruito dove fu la nostra sede iniziale
a Manila, dataci in uso gratuito per vent’anni dalla Diocesi. Era una costruzione di legno, ormai corrosa dalle termiti
e che allo scadere dei 20 anni fu concessa all’Ordine di Malta, che ritenne
L’omaggio dei Provinciali alla tomba del Servo di Dio William Gagnon
Nella Cappella dell’Ordine di Malta
indilazionabile demolirla e vi costruirà
la nuova sede della propria Ambasciata,
ma finora ha solo finito un magazzino e
l’accennata Cappella.
Confesso che è stato emozionante il rimettere piede dove ho trascorso i primi
vent’anni di Missione a Manila. Nulla
più resta degli antichi locali, ma mi ha
commosso potermi inginocchiare negli
antichi banchi della Cappella, rimasti gli
stessi, tranne che ora vi hanno scolpito
lo stemma dell’Ordine di Malta; in più,
ho notato con piacere in Cappella una
scultura del mio Patrono San Giuseppe,
sita proprio dov’era la mia stanza.
VERTICE INTERPROVINCIALE
Nei giorni 28 e 29 di gennaio nella nostra Comunità di Tan Bien in Vietnam
c’è stato un vertice interprovinciale,
presieduto da fra Joseph Smith, quale
Delegato Generale per l’Asia, e al quale hanno preso parte i Provinciali fra Timothy Graham dell’Oceania, fra Peter
Pham Van Phu del Vietnam, fra Antony
Palamattom dell’India, fra John Jung
della Corea, fra Pablo Lopez degli Stati Uniti e fra Eldy L. de Castro, Delegato Provinciale delle Filippine; animatore è stato il marista p. Michael Mullins
e segretario fra John Conway. Tra gli argomenti discussi, il ruolo del Delegato
Generale e l’avvio a Manila di un Centro Interprovinciale di Formazione.
23
· VO n 02 febbraio 2013_Febbraio 2013 18/02/13 11.03 Pagina 24
I FATEBENEFRATELLI
ITALIANI NEL MONDO
I Fatebenefratelli d'ogni lingua sono oggi presenti in 52 nazioni con circa 290 opere.
I Religiosi italiani realizzano il loro apostolato nei seguenti centri:
CURIA GENERALIZIA
www.ohsjd.org
• ROMA
Centro Internazionale Fatebenefratelli
Curia Generale
Via della Nocetta 263 - Cap 00164
Tel 06.6604981 - Fax 06.6637102
E-mail: [email protected]
Ospedale San Giovanni Calibita
Isola Tiberina 39 - Cap 00186
Tel 06.68371 - Fax 06.6834001
E-mail: [email protected]
Sede della Scuola Infermieri
Professionali “Fatebenefratelli”
Fondazione Internazionale Fatebenefratelli
Via della Luce 15 - Cap 00153
Tel 06.5818895 - Fax 06.5818308
E-mail: [email protected]
Ufficio Stampa Fatebenefratelli
Lungotevere dÈ Cenci 4 - Cap 00186
Tel 06.68219695 - Fax 06.68309492
E-mail: [email protected]
• CITTÀ DEL VATICANO
Farmacia Vaticana
Cap 00120
Tel 06.69883422
Fax 06.69885361
• PALERMO
Ospedale Buccheri-La Ferla
Via M. Marine 197 - Cap 90123
Tel 091.479111 - Fax 091.477625
www.ospedalebuccherilaferla.it
• ALGHERO (SS)
Soggiorno San Raffaele
Via Asfodelo 55/b - Cap 07041
MISSIONI
• FILIPPINE
San Juan de Dios Charity Polyclinic
1126 R. Hidalgo Street - Quiapo 1001 Manila
Tel 0063.2.7362935 - Fax 0063.2.7339918
E-mail: [email protected]
http://ohpinoy.wix.com/phils
Sede dello Scolasticato e Postulantato
della Delegazione Provinciale Filippina
San Ricardo Pampuri Center
26 Bo. Salaban
Amadeo 4119 Cavite
Tel 0063.46.4835191 - Fax 0063.4131737
E-mail: [email protected]
http://bahaysanrafael.weebly.com
Sede del Noviziato della Delegazione
PROVINCIA ROMANA
PROVINCIA LOMBARDO-VENETA
www.provinciaromanafbf.it
www.fatebenefratelli.it
• ROMA
Curia Provinciale
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.33553570 - Fax 06.33269794
E-mail: [email protected]
Centro Studi e Scuola Infermieri Professionali
“San Giovanni di Dio”
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.33553535 - Fax 06.33553536
E-mail: [email protected]
Sede dello Scolasticato della Provincia
Centro Direzionale
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.3355906 - Fax 06.33253520
Ospedale San Pietro
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.33581 - Fax 06.33251424
www.ospedalesanpietro.it
• GENZANO DI ROMA
Istituto San Giovanni di Dio
Via Fatebenefratelli 3 - Cap 00045
Tel 06.937381 - Fax 06.9390052
www.istitutosangiovannididio.it
E-mail: [email protected]
Sede del Noviziato Interprovinciale
• PERUGIA
Centro San Niccolò
Porta Eburnea
Piazza San Giovanni di Dio 4 - Cap 06121
Tel e Fax 075.5729618
• NAPOLI
Ospedale Madonna del Buon Consiglio
Via A. Manzoni 220 - Cap 80123
Tel 081.5981111 - Fax 081.5757643
www.ospedalebuonconsiglio.it
• BENEVENTO
Ospedale Sacro Cuore di Gesù
Viale Principe di Napoli 14/a - Cap 82100
Tel 0824.771111 - Fax 0824.47935
www.ospedalesacrocuore.it
• BRESCIA
Centro San Giovanni di Dio
Via Pilastroni 4 - Cap 25125
Tel 030.35011 - Fax 030.348255
[email protected]
Sede del Centro Pastorale Provinciale
Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico
San Giovanni di Dio
Via Pilastroni 4 - Cap 25125
Tel 030.3533511 - Fax 030.3533513
E-mail: [email protected]
Asilo Notturno San Riccardo Pampuri
Fatebenefratelli onlus
Via Corsica 341 - Cap 25123
Tel 030.3501436 - Fax 030.3530386
E-mail: [email protected]
• CERNUSCO SUL NAVIGLIO (MI)
Curia Provinciale
Via Cavour 2 - Cap 20063
Tel 02.92761 - Fax 02.9241285
Sede del Centro Studi e Formazione
Sede Legale
Milano: Via San Vittore 12 - Cap 20123
e-mail: [email protected]
Centro Sant’Ambrogio
Via Cavour 22 - Cap 20063
Tel 02.924161 - Fax 02.92416332
E-mail:a [email protected]
• MONGUZZO (CO)
Centro Studi Fatebenefratelli
Cap 22046
Tel 031.650118 - Fax 031.617948
E-mail: [email protected]
• ROMANO D’EZZELINO (VI)
Casa di Riposo San Pio X
Via Cà Cornaro 5 - Cap 36060
Tel 042.433705 - Fax 042.4512153
E-mail: [email protected]
• SAN COLOMBANO AL LAMBRO (MI)
Centro Sacro Cuore di Gesù
Viale San Giovanni di Dio 54 - Cap 20078
Tel 037.12071 - Fax 037.1897384
E-mail: [email protected]
• SAN MAURIZIO CANAVESE (TO)
Beata Vergine della Consolata
Via Fatebenetratelli 70 - Cap 10077
Tel 011.9263811 - Fax 011.9278175
E-mail: [email protected]
Comunità di accoglienza vocazionale
• SOLBIATE (CO)
Residenza Sanitaria Assistenziale
San Carlo Borromeo
Via Como 2 - Cap 22070
Tel 031.802211 - Fax 031.800434
E-mail: [email protected]
Sede dello Scolasticato
• TRIVOLZIO (PV)
Residenza Sanitaria Assistenziale
San Riccardo Pampuri
Via Sesia 23 - Cap 27020
Tel 038.293671 - Fax 038.2920088
E-mail: [email protected]
• VARAZZE (SV)
Casa Religiosa di Ospitalità
Beata Vergine della Guardia
Largo Fatebenefratelli - Cap 17019
Tel 019.93511 - Fax 019.98735
E-mail: [email protected]
• VENEZIA
Ospedale San Raffaele Arcangelo
Madonna dellʼOrto 3458 - Cap 30121
Tel 041.783111 - Fax 041.718063
E-mail: [email protected]
Sede del Postulantato e dello Scolasticato
della Provincia
• CROAZIA
Bolnica Sv. Rafael
Milosrdna Braca Sv. Ivana od Boga
Sumetlica 87 - 35404 Cernik
E-mail: [email protected]
MISSIONI
• ERBA (CO)
Ospedale Sacra Famiglia
Via Fatebenefratelli 20 - Cap 22036
Tel 031.638111 - Fax 031.640316
E-mail: [email protected]
• ISRAELE - Holy Family Hospital
P.O. Box 8 - 16100 Nazareth
Tel 00972.4.6508900 - Fax 00972.4.6576101
• GORIZIA
Casa di Riposo Villa San Giusto
Corso Italia 244 - Cap 34170
Tel 0481.596911 - Fax 0481.596988
E-mail: [email protected]
• TOGO - Hôpital Saint Jean de Dieu
Afagnan - B.P. 1170 - Lomé
Altri Fatebenefratelli italiani sono presenti in:
• BENIN - Hôpital Saint Jean de Dieu
Tanguiéta - B.P. 7