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NOTE SULLA QUESTIONE DEI FIGLI PER IL CONVEGNO DELLA CAMERA CIVILE DEL 30 GIUGNO 2016: LE NUOVE FRONTIERE DELLA “FAMIGLIA”. di Giuseppe Castellini Come si è da più parti lamentato, la nuova legge 20 maggio 2016, n. 76: “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, tanto nella prima parte, riguardante le unioni civili tra persone dello stesso sesso (art. 1, comma 1° - 35), come in quella che regola le convivenze di fatto in genere (eventualmente formalizzate in un contratto di convivenza), senza più distinguere circa il sesso dei conviventi (comma 36 - in fine), che deve quindi ritenersi applicabile sia alle coppie omosessuali sia eterosessuali, tace riguardo alla questione dei rapporti con i figli di entrambi ovvero solo dell’altro convivente, se si esclude il controverso richiamo contenuto nel comma 20 a “quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti” (su cui infra). Parrebbe che il legislatore si proponga 1 di intervenire successivamente in questa materia. Nell’evenienza dunque di un probabile “ritorno” del legislatore, occorre usare avvertenza alle diverse sfaccettature con cui il problema dei figli del partner si presenta nella casistica. A. Anzitutto, per le coppie eterosessuali che abbiano figli propri, la lacuna legislativa si può agevolmente colmare alla stregua delle recenti disposizioni del codice civile. Anche in mancanza di un espresso rinvio - in aggiunta a quelli ad alcuni capi e titoli del libro I e II del cod. civ., contenuto nel comma 19 e 21 della legge - vige pur sempre il titolo IX del libro I: Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio (all’espressione “responsabilità”, di derivazione comunitaria, che nel nostro sistema evoca altri riferimenti, il prof. Rescigno, in un commento alla legge sulla filiazione in Giur. It., ritiene maggiormente significativa l’originaria figura della “potestà dei genitori”), che, come è risaputo, in virtù della riforma della filiazione - grazie all’importante legge del 10 dicembre 2012, n. 219, completatasi l’anno successivo con il Dlgs 2 28 dicembre 2013, n. 154 – ha definitivamente sancito il principio dell’unicità dello stato giuridico di figlio, di cui al novellato art. 315 del codice civile, onde, anche per i figli nati fuori dal matrimonio, opera la relativa disciplina comune (abrogate le norme disciplinanti in passato poteri e doveri derivanti al genitore dal riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio: vecchi artt. 260 e 261 cc). In questa materia, in determinati casi, è stata mantenuta la competenza del Tribunale per i minorenni (art. 38, comma 1° disp. att. al codice civile). Per il caso di cessazione della convivenza tra genitori di sesso diverso, soccorre l’art. 337ter del codice civile, il quale offre un’ampia disciplina delle vicende famigliari, che la citata legge sulla filiazione, come dispone espressamente l’art. 337-bis del capo II del codice civile, intitolato all’esercizio della responsabilità genitoriale, applica non solo in tutti i casi di crisi della famiglia di diritto (separazione, divorzio, annullamento e nullità del matrimonio), ma anche - apparentemente sul piano processuale, ma che si riflette su 3 quello sostanziale - “nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio”, laddove riconosce ai figli minori, senza più distinzioni, “il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”: si tratta dell’istituto noto come “affidamento condiviso”, introdotto con la legge 8 febbraio 2006, n. 54, che per la prima volta lo aveva reso applicabile ai “procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”. In caso di scioglimento delle unioni tra persone di sesso diverso, regolate dalla nuova legge, dunque, troverebbero applicazione le norme sull’affidamento condiviso. I provvedimenti sull’affidamento dei minori in queste vicende rientrano nella competenza del tribunale ordinario, che in casi particolari attualmente è concorrente con quella del tribunale per i minorenni (art. 38, comma 1° e 2° disp. att. al codice civile). B. Si può poi verificare il caso, non infrequente, di convivenze fra persone 4 eterosessuali, una delle quali od entrambe abbiano figli nati da precedenti unioni (di diritto, in caso di separazione e divorzio, ovvero di fatto), oppure concepiti mediante fecondazione artificiale. In simili ipotesi, in costanza di convivenza, si rende indispensabile un’apposita disciplina per regolare i rapporti di ciascun partner con i figli dell’altro (l’art. 258 cc dispone che il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio produce effetti esclusivamente riguardo al genitore da cui fu fatto, oltre che riguardo ai suoi parenti). Il legislatore mostra di non ignorare la possibile presenza di figli di uno dei conviventi nel comma 42 della legge, laddove, in caso di decesso del proprietario della casa di comune residenza, assicura al convivente di fatto superstite il diritto all’abitazione per un determinato periodo (non inferiore a tre anni), ove vi coabitino figli minori o figli disabili dello stesso convivente superstite. Nell’evenienza di crisi della convivenza, per stabilire la sorte dei figli “unilaterali”, allevati da entrambi i conviventi, occorrerebbe un’interpretazione estensiva della normativa 5 sull’affidamento condiviso, di cui all’art. 337ter cc, così da renderlo operante per tutti i procedimenti relativi a figli nati fuori dal matrimonio, anche se figli di un solo genitore (ossia una questione analoga al caso di una coppia omosessuale, sottoposto alla Corte Costituzionale, su cui infra). C. Simmetrico infatti al caso precedente, quello in cui uno o entrambi i conviventi dello stesso sesso abbiano figli generati in precedenti unioni, legali o di fatto, ovvero concepiti artificialmente. Anche in simili casi, nell’àmbito della legge sulle unioni civili registrate, oltre che di fatto, si pone l’esigenza di regolare i rapporti con i figli del partner, in costanza dell’unione e successivamente in caso di crisi. Riguardo al primo problema, la nota legge tedesca sulle convivenze registrate tra persone dello stesso sesso (Lebenspartnerschaftsgesetz – LPartG - del 16 febbraio 2001, più volte novellato, sul quale il prof. Carlo Rimini ci ha intrattenuto all’epoca del disegno di legge sui “Dico”), ha da tempo introdotto un’apposita disposizione (il § 9, 6 composto da 7 comma), per regolare i rapporti con il figlio del partner. Invero l’eventuale adozione di quest’ultimo appare nella legge tedesca come l’ultimo dei problemi: la disposizione privilegia infatti gli accordi tra i partner per condividere l’educazione dei figli rispettivi (comma 1°), con la possibilità che in caso di urgenza uno solo possa prendere iniziative (comma 2°), che il giudice della famiglia possa intervenire a limitare o escludere questo esercizio in comune quando il bene del figlio lo richieda (comma 3°); che la disposizione del primo comma non valga se i partner vivono separati non occasionalmente (comma 4°); il comma 5° prevede che, se un figlio non sposato coabiti con la coppia, possa essergli attribuito il nome della LPart; il comma 6° prevede che, nel caso in cui il partner adotti un bambino, possa a sua volta adottarlo, richiamando le norme per l’adozione in comune del codice civile (il BGB); infine, il comma 7° consente che uno dei partner possa adottare da solo i figli dell’altro partner, sia minori che maggiorenni, ovviamente con il consenso di quest’ultimo (la cd Stiefkindadoption), con ampi 7 rimandi alle corrispondenti norme del codice civile, le quali a loro volta, per quanto riguarda il nome da dare all’adottato, richiamano il LPartG. La Corte Costituzionale di Karlsruhe, il 19 febbraio 2013, ha ritenuto illegittimo il divieto di una seconda adozione (adozione successiva). Per maggiori ragguagli, si rimanda al celebre Commentario breve PALANDT al BGB e alle leggi complementari, edito a Monaco. In sostanza, la legge n. 76/2016 ha dato vita, per le unioni tra persone dello stesso sesso, ad una disciplina simile a quella della legge tedesca anteriormente alle modifiche (introdotte pare con la nuova legge sulla tutela del 2005), in punto di rapporti con i figli del partner, in precedenza gestiti dal giudice dei minori. Nella nostra legge (in séguito alle opposizioni che paventavano, per le coppie maschili, l’apertura alla gravidanza surrogata, problema che si ripropone, riguardo alle coppie femminili, per le quali è ormai consentita l’inseminazione artificiale, impedendo al figlio in entrambi i casi di risalire alle proprie origini genetiche), non è più prevista l’adozione del figlio (o dei figli) del partner, né ha avuto séguito 8 l’emendamento per sostituirla con una sorta di “affido rinforzato”. Nel testo della legge sono dunque rimasti due soli riferimenti alla legge sull’adozione: l’equiparazione a “coniuge o coniugi” non si applica alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184 (diritto del minore ad una famiglia, che disciplina l’affidamento famigliare e l’adozione), mentre “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti” (comma 20, ult. parte). Forte di tale inciso, la nostra giurisprudenza di merito (confermata dalla recente sentenza della Cassazione), ha ritenuto legittimo applicare alle coppie omosessuali l’istituto dell’adozione in casi particolari, che, per superare il divieto di cui al comma 20 citato, in determinate situazioni consente effettivamente l’adozione anche da parte di chi, ancorché non coniugato, sia unito al minore da un preesistente rapporto stabile e duraturo (art. 44, comma 1°, lett. a) e comma 3° della legge 184/1983). Soprattutto in una materia così delicata come l’adozione dei figli del partner nelle convivenze disciplinate dalla nuova legge, occorre 9 analizzare la casistica con cui la questione si presenta. Come è stato rilevato (vedi l’editoriale del Prof. Melloni, apparso su Repubblica il 21 gennaio scorso, dal titolo “Il mandato di Francesco”), il problema si pone in modo ben diverso a seconda che si tratti di figli avuti da precedenti unioni, oppure generati artificialmente o ricorrendo a gravidanza surrogata: nel primo caso, stante l’esistenza dell’altro genitore biologico (che deve prestare l’assenso di cui all’art. 46 della legge n. 184/1983), l’applicazione analogica dell’istituto dell’adozione in casi particolari da parte di chi non è coniugato, potrebbe trovare minori difficoltà; infine, nel caso infausto della scomparsa del genitore biologico, la possibilità di adozione da parte dell’altro convivente si presenterebbe secondo i criteri ordinari: in casi simili i nostri giudici hanno provveduto, dichiarando l’adottabilità del minore in stato di abbandono da parte del convivente dello stesso sesso. Nella seconda serie d’ipotesi, per soddisfare il desiderio di genitorialità delle coppie omosessuali, contribuendo a svolgere un ruolo educativo nei confronti del figlio del 10 partner - evitando ad un tempo di frapporre un’ulteriore diaframma al suo anomalo concepimento – parrebbe opportuno provare a percorrere altre misure, alternative all’adozione, limitandola al caso eccezionale di scomparsa del genitore biologico. In generale, infatti, in tutti i casi che si possono presentare, prima ancora della stessa possibilità di adozione, ispirandosi alla legge tedesca, si dovrebbero introdurre disposizioni per regolare nel quotidiano la convivenza con i figli del partner, sulla falsariga di quanto previsto da questa stessa legge a favore del convivente di fatto nei comma 38, 39 e 40, riguardo ai diritti di visita nelle strutture penitenziarie e ospedaliere, per la rappresentanza in caso di malattia, altro impedimento o morte del convivente, ovvero, come nel comma 42 sopracitato, per il diritto all’abitazione dei figli minori del convivente alla morte del proprietario della casa comune. La legge tedesca non sembra invece occuparsi del problema della sorte dei rapporti con i figli del partner dopo la fine dell’unione (ovviamente 11 se non vi sia stata adozione), che è stato invece affrontato dalla nostra giurisprudenza. Recentemente, al Tribunale di Palermo si era rivolta una donna che aveva convissuto per otto anni con altra donna la quale aveva avuto due figli in séguito ad un progetto condiviso di genitorialità, realizzatosi grazie al ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (ormai divenute lecite anche nel nostro ordinamento), per chiedere di poter conservare, dopo la cessazione della convivenza, i contatti con i figli dell’altra, che aveva contribuito ad allevare, senza tuttavia disporre di alcun titolo per agire in giudizio (tanto che ha dovuto intervenire il Pubblico Ministero, facendo proprie le conclusioni della ricorrente nell’interesse dei minori). Il Tribunale (con decreto del 13 aprile 2015, diffusamente motivato con richiami alla Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’UE, alle decisioni della Corte di Giustizia e della Corte di Strasburgo), alla stregua di una interpretazione dunque costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell’art. 337-bis e -ter del codice 12 civile, aveva disposto, nell’esclusivo interesse dei minori, la regolamentazione della frequentazione tra i minori e la madre “sociale” secondo i tempi e le modalità suggeriti dalla consulenza richiesta dall’ufficio. La locale Corte d’Appello, in sede di reclamo (con ordinanza del 17 luglio 2015, ne Il Corriere Giuridico 2015, p. 1555, con nota di S. VERONESI), ha preferito rimettere la questione alla Corte Costituzionale, denunciando l’illegittimità della norma dell’art. 337-ter del codice civile, nella parte in cui non consente all’autorità giudiziaria di valutare il best interest del minore a mantenere rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico, con il quale era stata accertata l’esistenza di un pregresso nucleo famigliare di fatto, in violazione degli art. 2, 3, 30, 31 e 117, comma primo (sub specie di contrasto con l’art. 8 della CEDU, quale norma interposta). La pronuncia della Corte sulla questione rimessale dai giudici di Palermo potrebbe contenere un espresso monito al legislatore a integrare la normativa vigente sull’affidamento condiviso, ovvero risolversi in una pronuncia interpretativa di rigetto. 13 In definitiva, l’intervento che il legislatore nazionale dovrebbe compiere, per definire lo statuto dei figli del genitore biologico, tanto nelle coppie omosessuali come in quelle eterosessuali, potrebbe svolgersi prioritariamente, ispirandosi alla legge tedesca nei punti che trovano condivisione e che presentano maggiore impellenza, come la facoltà di prendere decisioni nel caso di impedimento del genitore biologico. Secondariamente, nell’evenienza di disgregazione della convivenza omo o eterosessuale di nuova istituzione, così come di quelle che si sottraggono ad ogni regolamentazione, l’intervento legislativo volto a conservare i rapporti con il figlio del partner potrebbe consistere nell’operare, con gli opportuni adattamenti, un’ulteriore estensione del collaudato strumento dell’affidamento condiviso, nella sua ampiezza e nelle sue articolate specificazioni: dai figli di genitori non coniugati, ovvero con unioni registrate, applicandolo ai figli di un solo genitore biologico, conviventi in coppie omosessuali o eterosessuali, anche di fatto (inserendo nella 14 nuova normativa un apposito richiamo alla disciplina del citato art. 337-ter e seguenti del codice civile, sul quale si attende la pronuncia della Corte Costituzionale sopra citata). Concludendo, le innovazioni che il legislatore nazionale (avvalendosi della delega al Governo di cui al comma 28, lettera c), ove si faccia questione del “coordinamento con la presente di altre disposizioni di legge”), potrebbe compiere per colmare le lacune legislative segnalate - nel variegato fenomeno, tanto dei minori conviventi in coppie omosessuali quanto in quelle eterosessuali (ossia il caso di figli di un solo genitore biologico, nati da precedenti unioni, ovvero ricorrendo alla fecondazione eterologa, di figli rimasti orfani del genitore biologico), così in costanza di convivenza come alla sua eventuale fine - non dovrebbero incontrare soverchie opposizioni: ricordo che, al tempo della prima riforma del diritto di famiglia del 1975, per vincere le resistenze al riconoscimento di maggiori diritti per i figli nati fuori dal matrimonio (allora detti “naturali”), sui quali non possono ricadere le “colpe” dei genitori, si soleva citare il noto 15 proverbio che le Scritture annunziano superato: “i padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono alligati” (Geremia, 31, 29; Ezechiele, 18, 2). Giuseppe Maria Castellini, già Consigliere della Corte d’Appello di Milano [email protected] 16