interventi dei relatori

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interventi dei relatori
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”
FACOLTÀ DI STUDI ORIENTALI
Atti del Convegno :
CONOSCERE LA COREA:
VIAGGIO ATTRAVERSO LA CULTURA, LA LINGUA, LA
STORIA E L'ECONOMIA
A cura di Antonetta L. Bruno
LA SAPIENZA ORIENTALE – SUSSIDI DIDATTICI ROMA
2010
Indice
Prefazione...............................................................................................................................7
Lingua coreana – Presentazione di studi coreani in Italia e studi italiani in Corea . .11
La Corea nelle relazioni internazionali tra il XIX° e il XX° secolo................................47
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico...................62
All'ombra del 38° parallelo Cinema coreano tra 'han' e riunificazione........................90
La cultura musicale coreana, oggi e ieri .......................................................................111
Corea del Sud: “Calma mattutina...................................................................................130
6
Atti del Convegno Conoscere la Corea
7
Prefazione
Il progetto di organizzare e ospitare presso la Facoltà di Studi
Orientali e il Dipartimento di Studi Orientali (oggi Istituto Italiano di
Studi Orientali) un Corso di Formazione per gli insegnanti della
scuola secondaria di secondo livello parte dalla Korea Foundation
(un ente affiliato al governo coreano), in sostituzione dell’invito, già
presentato a cadenza annuale a rappresentanti delle scuole
superiori, a visitare la Corea. La cattedra di Lingua e Traduzione
Coreana ha raccolto con gratitudine la proposta di includere la
Sapienza fra i tre atenei selezionati a questo scopo in Europa.
In occasione della pubblicazione degli Atti del Convegno
Internazionale dell’Association of Korean Studies in Europe del
2003, ebbi a scrivere: “finalmente Annibale ha attraversato le Alpi”.
Era infatti la prima volta, dalla fondazione dell’AKSE nel 1972, che
il convegno biennale dell’associazione si teneva in Italia, presso la
Facoltà di Studi Orientali (dal 9 al 13 aprile 2003; 250 sono stati i
partecipanti e 140 gli interventi). Oggi ribadisco la mia
soddisfazione nel vedere l'Italia ospitare il primo Corso di
Formazione per gli insegnanti delle scuole superiori, in
collaborazione con la Korea Foundation.
Parlare della Corea non è impresa semplice perchè di questo
Paese non si sa molto in Italia, e pochi sono interessati ad
approfondirne la conoscenza. Pertanto, anche da questo punto di
vista il Corso si presenta come una sfida, un vero atto pionieristico
che vuole rompere il silenzio e far arrivare ai giovani il sapere e il
retaggio culturale di questo Paese.
Negli Atti che qui presentiamo sono raccolti gli interventi dei
docenti del Corso, ad eccezione di quelli di Maurizio Riotto e
Andrea Resca che verranno stampati e distribuiti separatamente.
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La prima relazione, di cui è autrice Jung Imsuk, è una
presentazione generale degli studi di italianistica in Corea e di
quelli coreanistici in Italia, preceduta da una dettagliatissima
introduzione alle caratteristiche linguistiche della lingua coreana;
nella parte conclusiva illustra “la dimensione nascosta della cultura
coreana”, mettendo a confronto aspetti culturali peculiari della
Corea e dell’Italia, sempre nel quadro della comparazione
linguistica e culturale tra i due Paesi. L'intervento di Maurizio
Riotto ha per titolo Un rapido excursus storico sulla Corea, dalle
origini ai giorni nostri, e offre un inquadramento generale della
storia della Corea. Le successive relazioni analizzano periodi
specifici: Valdo Ferretti, in La Corea nelle relazioni internazionali
del XIX°-XX° secolo, si sofferma sulle tematiche geopolitiche che
investono l'area nord-orientale dell’Asia, ricostruendo il ruolo
svolto non solo da Cina e Giappone ma anche da Urss e Stati
Uniti circa il destino della penisola coreana, che paradossalmente
ebbe minor voce in capitolo; Antonio Fiori prosegue, in certo
senso, la relazione di Ferretti ma adotta un punto di vista sociopolitico: il suo contributo, La società civile in Corea tra transizione
e consolidamento democratico, ricostruisce l’apporto essenziale
della società civile al processo di instaurazione di un sistema
democratico, e arriva alla conclusione che la Corea costituisce un
esempio di democratizzazione “dal basso”. La storia rimane sullo
sfondo anche nelle relazioni seguenti. Stefano Locati, esperto di
cinema asiatico, sostiene che gli eventi sociali e politici
costituiscono una valida chiave di lettura della storia del cinema
coreano, e si sofferma in particolare sul fenomeno hallyu (Korean
Wave) nel suo articolo All'ombra del 38° parallelo. Cinema
coreano tra 'han' e riunificazione , dove a una interessante
ricostruzione storica e categorizzazione di produzioni
cinematografiche fa seguire alcune riflessioni sulla recente
rinascita del cinema coreano soprattutto sui mercati asiatici e nei
festival internazionali. Andrea Resca affronta temi legati al mondo
dell'economia, analizzando diffusamente la realtà delle piccole e
medie imprese dell'Estremo Oriente, con speciale attenzione a
quelle coreane. Per ultimo, il mio intervento dal titolo Corea del
Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”? presenta una lettura
semiotica della creazione dell’immagine-identità della Corea,
prendendo in considerazione gli aspetti culturali che hanno
determinato tale processo di creazione e ponendo a confronto
Atti del Convegno Conoscere la Corea
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l’immagine della Corea, come viene percepita in Occidente, e
quella che la Corea offre di sé.
Il mio ringraziamento va ai relatori del Corso, per il loro
prezioso contributo nei rispettivi settori di specializzazione, e per
avermi fornito anticipatamente le loro relazioni, in gran parte
raccolte nel presente volume, al fine di aggiornare il materiale di
consultazione che verrà offerto agli insegnanti durante le lezioni.
Sono molto grata agli insegnanti provenienti da Milano, Venezia,
Bologna, Roma e Napoli che hanno accettato il nostro invito a
sottoporsi a una “piena immersione” nella storia e nella cultura
della Corea. Last but not least, ringrazio Maria Cascone,
insegnante di discipline giuridiche ed economiche presso il Liceo
"Giordano Bruno", che nella sua veste ufficiale è stata di prezioso
aiuto per organizzare questo Corso nel modo più consono alle
esigenze dei riceventi.
Antonetta L. Bruno
Roma, 21 ottobre 2010
Lingua coreana – Presentazione di studi coreani in Italia e
studi italiani in Corea
Di Imsuk Jung
L’industria e la cultura coreane in questi ultimi anni hanno mosso i primi
passi in Italia e sono presenti sotto molti aspetti. Per fare qualche esempio
più evidente, basti pensare al successo di prodotti quali auto, computer,
televisori, telefonini, condizionatori ecc, o al richiamo che ha avuto la
recente cinematografia coreana, pellicole come Old Boy e Lady Vendetta di
Park Chan-wook o a Ferro 3 di Kim Ki-duk, accolta con entusiasmo da
pubblico e critica.
Il numero di italiani presenti in Corea, inoltre, è cresciuto negli ultimi due
decenni: oltre al personale della rappresentanza diplomatica, vi sono un
certo numero di dipendenti di aziende e di uffici italiani, insegnanti, borsisti,
ecc. Non si tratta quindi solo di importanti contatti economico-commerciali
ma anche di un accostamento maggiore a livello culturale e accademico. In
tale processo partecipa una gamma diversificata di istituzioni formative e
culturali coreane ed italiane come ambasciate, università, istituti privati e
associazioni di carattere linguistico-culturale.
Dopo anni e anni di oblio l’interesse verso questo paese sembra
finalmente andare incrementandosi. Nei primi anni’ 90 del secolo scorso la
casa editrice Giunti pubblica pionieristicamente alcuni testi di autori coreani
famosi e nel 1998 viene fondata perfino una casa editrice proprio con
l’intento di diffondere in Italia la cultura e la letteratura del sudest asiatico e
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Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
della Corea. Si tratta della O barra O (occidente barra oriente) . Grazie alla
O barra O edizioni sono stati pubblicati di recente una quindicina di romanzi
di autori coreani molto noti ma anche alcuni saggi sulla civiltà e le tradizioni
sociali coreane.
C’è poi un piccolo fenomeno editoriale di importazione coreana, di cui,
fra l’altro, siamo parzialmente artefici, che è molto più recente e che
sicuramente ha molta meno visibilità pur avendo iniziato ad assumere un
certa consistenza. Si tratta dei cosiddetti “manhwa”, ovvero fumetti per
ragazzi, molto simili ai più blasonati “manga” giapponesi, che si propongono
come un’alternativa allo strapotere di questi ultimi. L’interesse verso questo
tipo di prodotto ha portato grandi e piccoli editori di fumetti ad
interessarsene proponendo una certa varietà di titoli al pubblico italiano.
D’altro canto anche in Corea del sud l’interesse verso l’Italia è in crescita
costante. Il numero di coreani che arrivano in Italia per motivi di studio o
lavoro negli ultimi anni sta crescendo. Non bisogna certo trascurare il fatto
che la presenza dell’Italia in Corea, così come anche in tutto il resto del
mondo, si avverta oggi sotto forma di una certa influenza linguistica in
settori come la moda o la ristorazione. E’ estremamente forte il fascino
esercitato dall’arte culinaria italiana in Corea. Tant’è che di recente in TV
sono stati trasmessi dei drama (in Italia si direbbe fiction ovvero serie
televisive) che si occupano proprio di questi temi e che hanno riscosso
grande successo fra il pubblico, ne citiamo alcuni titoli: Coffee prince (in cui
si parla dell’arte di preparare il caffè all’italiana), Pasta (Si tratta di un drama
recentissimo, molto seguito, il cui tema era appunto la cucina italiana) e
Terrior (sul mestiere di sommelier e sui vini italiani e francesi). Fra i giovani
in Corea è molto in voga frequentare ristoranti italiani, consumando caffè e
cucina made in Italy.
Ciò che possiamo aggiungere è che l’opinione generale che si ha
dell’Italia in Corea del sud è da tempo una sorta di ideale a cui aspirare.
Nell’immaginario collettivo è infatti fortemente radicata un’immagine molto
positiva dell’Italia, dipinta spesso come un paese ricco di storia e di cultura,
un luogo dove si mangia e si vive bene, meta turistica dal grande patrimonio
artistico-culturale, paese di calcio, pizza e amore e con un popolo, quello
italiano, bello, allegro, accogliente e aperto alla gente.
L’obiettivo, qui, è quello di dare una misura di quanto oggi i due paesi si
tengano in considerazione a vicenda a livello culturale e accademico, e di
quale sia l’offerta formativa proposta agli studenti che intraprendano corsi di
studi di lingua e cultura coreana in Italia o di lingua e cultura italiana in
Corea del sud.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
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Accenniamo ora velocemente a come i vari capitoli della ricerca saranno
strutturati. Nel primo capitolo illustreremo le peculiarità della lingua coreana.
Nel secondo e nel terzo capitolo, invece, parleremo di quali tipi di istituzioni
esistono e quali strumenti didattici vengono utilizzati per quanto riguarda
l’apprendimento dell’italiano in Corea e del coreano in Italia..
1. Presentazione della lingua coreana
1. 1. Cenni storici sulla nascita della scrittura coreana
La lingua coreana utilizza un sistema di scrittura del tutto simile
all’alfabeto latino, chiamato han’gŭl. L’uso dell’han’gŭl venne ufficializzato
nel 1446 dal re Sejong (1397-1450), il quarto sovrano della dinastia Yi
(1418-1450). Fino ad allora i coreani non avevano avuto un sistema di
scrittura proprio ma si erano serviti unicamente dei caratteri del cinese
classico.
Il coreano appartiene al ceppo linguistico altaico, composto
principalmente dalle lingue turca, mongola e manciù, mentre il cinese
appartiene alla famiglia sino-tibetana, assieme al tibetano, al birmano e al
thai. E’ importante quindi sottolineare come coreano e cinese siano lingue
completamente differenti non solo nei suoni e nei segni ma anche nelle
strutture sillabiche, nella formazione delle parole e nella strutturazione della
frase.
Comunque sia in epoca precedente l’avvento dell’hangŭl lo studio del
cinese classico in Corea era considerato l’unico mezzo ufficiale di
comunicazione scritta. Per risolvere questa difficile situazione il re Sejong e
i suoi collaboratori dopo un lungo periodo di studi e ricerche riuscirono ad
elaborare un sistema di segni che meglio si adattava al parlato,
presentandolo al popolo il 9 ottobre 1446. I coreani celebrano ancora oggi
questo giorno come festa nazionale.
1. 2. Morfosintassi
Come già accennato in precedenza il coreano fa parte del ceppo linguistico
altaico. Qui di seguito elenchiamo le sue principali peculiarità
morfosintattiche.
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Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
A. Il coreano è una tipica lingua SOV secondo l’ordine dei costituenti
sintattici principali (soggetto, oggetto, verbo). Come altre tipiche lingue SOV
le proposizioni affermative, interrogative, imperative o propositive sono
distinte da differenti particelle poste a chiusura del periodo.
ES 1)
a.Frase affermativa: “Andrea ha mangiato la/una mela.”
Andrea-ka (S) sakwa-rŭl (O) mŏk-ŏt-ta (V)
1
2
3
Andrea-NOM mela-ACC mangiare-PASS -AFF
b.Frase interrogativa: “Andrea ha mangiato la/una mela?”
Andrea-ka sakwa-rŭl mŏk-ŏt-ŏ?
Andrea-NOM mela-ACC mangiare-PASS-INT
c.Frase propositiva: “Mangiamo la/una mela.”
sakwa-(rŭl) mŏk-cha.
Mela-(ACC) mangiare-PROP
d.Frase imperativa: “Mangia la/una mela!”
sakwa-(rŭl) mŏk-ŏ
Mela-(ACC) mangiare-IMP
B. Il coreano è una lingua altamente agglutinante e in quanto tale non
prevede l’uso di articoli e preposizioni. Le parole complesse sono formate
da affissi e composti e le funzioni grammaticali di una frase non sono
determinate dall’ordine delle parole ma da particelle (marcatura dei casi).
C. La morfologia dei verbi coreani consiste in un lessema verbale (tema
del verbo) seguito da più suffissi. Gli operatori grammaticali sono espressi
dai suddetti suffissi e l’ordine tra questi è fisso. Gli affissi verbali così
risultanti esprimono categorie grammaticali come tempo, aspetto e modo
ma non persona, genere e numero come accade nella lingua italiana. Oltre
ai suffissi verbali (i.e. morfemi verbali flessionali) esistono anche suffissi
connettivi (come –ko, -o, -osŏ e – nasŏ), nominali (-ŭm, -ki), aggettivali ((ŭ)n/(ŭ)l) (ES 2.c) e avverbiali (-kosŏ ‘dopo’, -myŏnsŏ ‘mentre’ e –ryŏko
‘affinché’). Inoltre due o più verbi possono essere coordinati dai connettivi –
o/-a o –ko (ES 2.b).
1
nominativo
accusativo
3
passato
2
Atti del Convegno Conoscere la Corea
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ES 2)
a.Verbi formati da affissi
ne-ka
ka-n-ta
4
Io-NOM andare-PRES -AFF (“Io vado.”)
ne-ka
an (prefisso)-ka-n-ta
5
Io-NOM NEG -andare-PRES-AFF (“Io non vado.”)
ne-ka
ka-t (infisso)-ta
Io-NOM andare-PASS-AFF (“Io sono andato/a.”)
b. Suffissi connettivi (particelle connettive)
kŭ-ka
mŏk-ko
cha-n-ta
6
Lui-NOM mangiare-CONN dormire-PRES-AFF (“Lui mangia e dorme.”)
c.Suffissi aggettivali
Ye-pŭn
in-hyŏng
Essere bello/a-SUFF.AGG bambola (“Una bambola bella”)
Hal
il
Fare-SUFF-AGG lavoro (“Il lavoro da fare”)
D. Il numero in coreano esiste ma il suo uso non è obbligatorio, anzì la
distinzione fra plurale e singolare non è un fattore rilevante.
E. In coreano i verbi non si coniugano, quindi sono in genere
accompagnati dal soggetto. Il sistema potrebbe sembrare simile a quello
francese ma non lo è affatto poiché nella lingua parlata spesso accade il
contrario ovvero un uso esagerato del soggetto appesantisce solamente il
discorso e a volte può dar fastidio a chi ascolta.
F. Nel parlato vengono spesso omessi soggetti, oggetti, complementi e a
volte addirittura anche i predicati.
G. Il coreano conserva un sistema onorifico altamente sviluppato.
4
5
presente
negativo
6
connettivo
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Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
1. 3. Peculiarità della lingua coreana per studenti stranieri
1. 3. 1. Sistema onorifico - descrizione generale
Secondo i linguisti il sistema onorifico è una delle caratteristiche che
maggiormente differenzia il coreano dalle altre lingue. Ogni lingua ha
espressioni per mostrare il rispetto verso l’interlocutore ma solo alcune
lingue hanno sviluppato un intero sistema di linguaggio onorifico a seconda
dell’età, sesso e livello sociale.
In coreano le formule onorifiche sono ordinate in un sistema complicato
che permette di scegliere fra una vasta gamma di parole ed espressioni per
produrre il grado di gentilezza che si desidera. Una semplice frase si può
esprimere in più di venti modi a seconda del livello di chi parla e in rapporto
alla persona a cui ci si rivolge. La decisione di un appropriato livello, per
quanto riguarda la cortesia, può essere difficile non solo per gli stranieri che
si avvicinano a questa lingua ma a volte per i coreani stessi, poiché il livello
è determinato da una complessa combinazione di fattori quali il livello
sociale, il rango, l’età, il genere e perfino i favori fatti o dovuti. Ci sono poi
termini umili che colui che parla usa quando fa riferimento a se stesso o a
cose collegate a sé. La distanza che si crea con l’uso di queste due
terminologie contrastanti esprime l’atteggiamento di rispetto verso la
persona a cui ci si rivolge.
Nonostante la lunga ricerca sull’origine del sistema onorifico coreano
non si sa precisamente quando e come sia nato. Lo studio dei documenti in
lingua coreana fa supporre solamente che esso abbia origini molto antiche.
Per esaminare questa caratteristica della lingua coreana molti studiosi
hanno dedicato tempo allo studio di questo sistema. Essendo un compito
difficile i loro studi non sono mai stati sufficienti, in effetti anche per un
coreano che è nato ed ha vissuto più di quarant’anni nel suo paese non è
facile conoscere tutte le formule onorifiche coreane. La lingua cambia
costantemente come se avesse vita, ma spesso questo mutamento è
talmente minuto che non ci se ne accorge subito. Solo col passare del
tempo, quando la quantità del cambiamento è aumentata ci si renderà
conto che la lingua è mutata rispetto al passato.
Nel sistema onorifico coreano c’è stata una grande variazione dopo il
1945, l’anno dell’indipendenza dal dominio giapponese. Prima di questa
data il rapporto tra gli uomini era influenzato da una società divisa ancora in
classi e quindi da una maggiore verticalità della stessa, perciò le formule
onorifiche erano suddivise molto rigorosamente. Dopo il 1945 la cultura
Atti del Convegno Conoscere la Corea
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occidentale, introducendo il principio di uguaglianza, provocò una
diminuzione delle formule onorifiche più complicate. Il sistema onorifico che
si usa oggi è quello ridotto dopo l’indipendenza, quindi lo studio riguarda
solo quest’ultimo. La lingua esprime la propria cultura e naturalmente anche
nel coreano sono nascoste la cultura, la storia e le convenienze dei coreani.
Oggigiorno per capire il modo di pensare e di comportarsi dei coreani risulta
necessario lo studio del sistema onorifico.
1. 3. 2. Schema e divisione del sistema onorifico
Il sistema onorifico coreano si divide in due grandi famiglie: Onorifici per il
destinatario e Onorifici per il referente, esso può essere schematizzato
come segue:
ONORIFICI (ON)
Onorifici per il Onorifici per il referente (OR)
destinatario
Onorifici per il soggetto Onorifici per l’oggetto (OO)
(OD)
(OS)
Questi onorifici in genere vengono espressi con suffissi flessionali che il
più delle volte seguono la radice verbale formando, insieme ad altri
operatori grammaticali, degli affissi verbali a volte anche molto complessi.
Onorifici per il referente
A questa famiglia appartengono onorifici per il soggetto e per l’oggetto
(vedi tabella sopra). Il suffisso onorifico per l’oggetto è – tŭli-, esso indica il
rispetto del parlante verso l’oggetto della predicazione. Molto più usato è
sicuramente il suffisso –(ŭ)si- che appartiene invece alla categoria degli
onorifici per il soggetto ed è, quindi, a sua volta indicatore di stima per il
soggetto della frase, esso si pospone sempre al tema del verbo.
Onorifici per il destinatario
La famiglia più grande degli onorifici coreani è sicuramente costituita dai
suffissi onorifici per il destinatario (ascoltatore), essi hanno funzione di
indicatori morfologici del linguaggio ovvero distinguono i livelli più o meno
formali dello “Speech style”. Esempio ne è il suffisso cortese –(ŭ)p-, esso
attribuisce minor importanza allo status del parlante dimostrando la cortesia
verso i destinatari. Questo suffisso si trova subito dopo il tema di un verbo o
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Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
può essere preceduto dal suffisso onorifico –(ŭ)si- e/o da un suffisso del
tempo verbale
I differenti livelli di linguaggio si dividono a loro volta in due grandi gruppi,
Linguaggio formale (Formal Speech Style) e Linguaggio informale (Informal
Speech Style). Ognuno di questi è suddiviso a sua volta in più parti. Il
Linguaggio formale è suddiviso in Formale di livello alto, livello neutro e
livello basso e il Linguaggio informale consiste in Informale di livello alto e
livello basso.
Schemi dei suffissi usati nel linguaggio formale e informale
<Formale>
H
N
L
Affermativo
Interrogativo
A
B
C
-ŭp/sŭpnita
-ŭp/sŭpnita
-(i)pnita
-ŭp/sŭpnikka
-ŭp/sŭpnikka
-(i)pnikka
A
-ne, -te, -(ŭ)nse
-(ŭ)nikka,
B
-ne, -te, -(u)i
C
-(i)ne. –(i)te,
-(i)lss
A
-n/nŭnta,
B
C
-(tŏ)ra
-nnira,
(ŭ)rira,
-(ŭ)ma
-ta, -(ŭ)nira,
Imperativ
o
Propositi
vo
Esclamativ
o
-(ŭ)sipsio
-(ŭ)sipsita
-nŭnkuryŏ
-(i)rokuryŏ
-ke
-(ŭ)lkka,
-(ŭ)nka, -tŏnka
-(ŭ)lkka,
-(i)nka,
(i)tŏnka
-
-nŭnkumŏn
-kumŏn
-(i)kumŏn
-o(a,yŏ)ra
-nŏra, -kŏra
(ŭ)ryŏmuna
, -(ŭ)ryŏm
-(ŭ)ni, -(ŭ)nya,
-(i)ni, -(i)nya
-(tŏ)ra
•A – verbi d’azione, B – verbi di stato, C – copula
•H - alto, N - neutro, L – basso
<Informale>
-se
-nŭnka, -tŏnka
-ni, -nŭnya
-kuryŏ
-cha
-kuna,
-(i)kuna
-nŭnkuna
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Atti del Convegno Conoscere la Corea
Affermativo Interrogativo Imperativ
o
H
A -o(a,yŏ)yo,
-chiyo
-o(a,yŏ)yo
B -o(a,yŏ)yo,
-chiyo
C -(i)chiyo,
-o(a,yŏ)yo,
-(io)/yŏyo
-(i)neyo,
-(i)teyo
-chiyo
-chiyo
-o(a,yŏ)yo
-(i)chiyo
A -o(a,yŏ), -chi -o(a,yŏ), -chi
L B -o(a,yŏ), -chi -o(a,yŏ), -chi
C -(i)ya,
(i)chi
-o(a,yŏ)yo,
-chiyo
Propositiv
o
Esclamativo
-o(a,yŏ)yo
-nŭnkunyo
-chiyo
-kunyo
-(i)kunyo
-(i)rokunyo
-o(a,yŏ),-chi -o(a,yŏ), -chi -nŭnkun, -kun
-(i)kun,
-(i)rokun
•A – verbi d’azione, B – verbi di stato, C – copula
•H - alto, L – basso
1. 3. 3. Importanza dal punto di vista culturale
Il fenomeno degli onorifici nella lingua coreana è forse la sfumatura che
più di tutti rispecchia una mentalità e un modo di vivere tipicamente coreani.
E’ affascinante come attraverso questa peculiarità linguistica si possa
leggere profondamente nel cuore di una comunità e scoprirne i valori più
importanti. Non bisogna certo essere degli indovini per notare che l’uso di
un sistema così complesso di formule cortesi denota, oltre naturalmente ad
un profondo rispetto per il prossimo e ad un forte attaccamento alle proprie
tradizioni, anche e soprattutto una forte necessità di regolare i rapporti
interpersonali distinguendo diversi livelli a seconda delle situazioni.
Pochi lo immaginano, ma una delle più grandi difficoltà di un coreano
che si avvicina alla cultura occidentale è proprio quella di non riuscire più a
distinguere questi diversi livelli, che risultano molto confusi e ciò spesso dà
luogo a malintesi o a situazioni difficili. Crediamo sia sempre molto
importante mettere in luce queste differenze e tener conto delle difficoltà
che esse comportano cercando in tal modo di allontanare lo spettro
dell’incomunicabilità in una società che va sempre più verso la multietnicità.
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Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
1. 3. 4. Appellativi
In Corea, diversamente dagli altri paesi, difficilmente ci si chiama per nome,
anzi ciò non è considerato quasi mai cortese. Per citare un banale esempio
è regola fissa di uso comune che la sorella più piccola chiami la maggiore
“ŏnni” (‘sorella più grande’ letteralmente), anziché usare il nome proprio,
perfino quando non si rivolge direttamente a lei, e la stessa cosa vale per il
fratello minore che però sostituisce “ŏnni” con “nuna” (vedi esempi sotto). E’
in genere quasi sempre l’età a contare in questi casi, è obbligatorio che si
usi sempre un maggior rispetto verso chi è più anziano anche se solo di
poco. In Corea ci si chiama per nome solo in tre casi:
1. fra due persone che si conoscono da poco, in questo caso però si
deve pronunciare cognome e nome per intero seguiti dal suffisso onorifico –
ssi o –nim.
2. tra amici coetanei.
3. nel caso in cui una persona superiore in età o livello sociale si rivolga
ad una inferiore (ma solo quando si è in rapporti sufficientemente intimi).
Qui di seguito sono elencati alcuni esempi usati più spesso nella vita
quotidiana. L’uso dell’appellativo sbagliato da parte di chi parla può
offendere chi ascolta per mancanza di rispetto, perciò è molto importante
saper usare sempre gli appellativi adatti.
Alcuni esempi:
<padre/madre>
apŏgi/ŏmŏni : appellativi usati dai figli
apŏnim/ŏmŏnim : appellativi usati dai generi/dalle nuore
ebi/emi : usati dai genitori in presenza dei figli (ovvero i nipoti di questi
ultimi)
<figlio/figlia>
con il nome : usato dai genitori
adŭl/tal : usati dai genitori in presenza di altri
adŭnim/tanim : usati da tutti gli altri
<fratello/sorella>
con il nome : usato da fratelli/sorelle più grandi
oppa/ŏnni : usati dalle sorelle più piccole
hyŏng/nuna : usati dai fratelli più piccoli
<nonno/nonna>
harabŏji/halmŏni: usato dai nipoti o giovani conoscenti/ amici.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
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harabŏnim/halmŏnim: usato dai nipoti o conoscenti/ amici di mezza età.
<ajŏssi/ajumŏni> usato dai giovani per amici/ conoscenti di mezza età.
Gli appellativi ‘oppa’, ‘ŏnni’, ‘nuna’, ‘hyŏng’ così come ‘harabŏji’ ‘halmŏni’
a differenza degli altri non presuppongono obbligatoriamente un legame di
parentela e sono usati comunemente anche fra amici o conoscenti in segno
di rispetto. Un po’ più complesso è invece il discorso per quanto riguarda gli
appellativi ‘ajŏssi’ e ‘ajumŏni’ che sono usati in genere dai giovani
unicamente per amici o conoscenti di mezza età e che non hanno affatto un
corrispettivo italiano preciso, potremmo collocarli a metà fra lo “zietto/a” e il
“signore/a” italiani ma denotano comunque un po’ meno intimità rispetto al
primo e un po’ di più rispetto al secondo, da qui l’impossibilità di rendere
bene il significato di questi termini che vanno adattati al meglio a seconda
dei casi.
Per quanto riguarda i nomi propri di persona, infine, si tenga presente
che in coreano, così come in cinese e in giapponese, il cognome precede
sempre il nome, anche se quando vengono presentati in occidente spesso
tendono a essere scambiati, ovvero il cognome viene spesso dopo il nome.
Il fenomeno degli appellativi onorifici nella nostra lingua è forse la
sfumatura che più di tutti rispecchia una mentalità e un modo di vivere
tipicamente coreani. E’ affascinante come attraverso questa peculiarità
linguistica si possa leggere profondamente nel cuore di una comunità e
scoprirne a volte perfino i valori più importanti.
1. 4. Punti deboli degli studenti coreani nelle competenze linguistiche e
interlinguistiche dell’italiano
1. 4. 1. Articolo, ausiliare e accordo
Per scoprire quali siano i motivi principali per cui gli apprendenti coreani
trovano certe difficoltà piuttosto che altre in italiano e perché, crediamo sia
opportuno fare un veloce accenno sul sistema della lingua coreana.
Iniziamo dicendo che il coreano ha una struttura nettamente diversa
dalle lingue occidentali, dove spesso il verbo si coniuga ed è l’elemento
centrale insieme al soggetto nella formulazione della frase. Nella lingua
coreana esso ha forma unica e fissa per ogni singolo tempo e si posiziona
nella parte finale della frase seguito da alcuni elementi morfologici, ovvero
22
Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
dei suffissi, che determinano in genere tempo e livello di cortesia. Il
coreano, inoltre, non prevede le categorie grammaticali di genere e numero
del nome. Non esistono né articoli né preposizioni. Esiste, invece, il sistema
della marcatura dei casi, ovvero posposizioni che indicano soggetto,
complemento oggetto, ecc. Infine la lingua coreana è una lingua regressiva,
cioè nella struttura il determinante precede il determinato. Sia nelle
produzioni scritte che in quelle orali gli apprendenti coreani tendono a
omettere gli articoli e a formulare frasi confuse e ciò è dovuto proprio alle
differenze strutturali che abbiamo appena citato.
Ecco perché essi non potrebbero mai ricorrere alla strategia del
trasferimento degli elementi della L1, che viene utilizzata spesso nelle fasi
iniziali dell’apprendimento. Le difficoltà di strutturare una frase in italiano da
parte dei coreani sono quindi maggiori. Nel caso in cui l’apprendente non
possa riconoscere l’equivalenza tra categorie grammaticali della lingua di
partenza e quella di arrivo il suo apprendimento della L2 non può essere
favorito, anzi la notevole distanza tipologica tra L1 e L2 rallenta lo sviluppo
dell’apprendimento.
Gli studenti coreani si trovano in difficoltà soprattutto nell’uso degli
articoli, nella scelta degli ausiliari e nell’accordo di genere, numero e
persona. Illustriamo qualche errore effettuato dagli studenti coreani:
- Articolo (forme, uso, ommissione, ecc.): il facoltà / il italiano / mi piace
pizza / mi piace dolci / mi piace le musiche italiane / mio italiano nome è
Luna / vivo con mia famiglia / studio grammatoca d’italia / mi piace storia
della Roma / sono studente di l’italiano / studio lingua italiana / passo tempo
libero con un amica...
- Ausiliare: Io sono frequentata all’università / lei è ventiquattro anni /io
sono frequentare il corso / ho nato...
- Accordo: sono nato, sono sempre allegro, sono coreano (detto da una
ragazza) / mi piace bello amico / lei è impiegato /questi città sono bellissimo
/ voglio incontrare ialiani bello / penso Italia è un bello paese / l’estate
scorso / io abita a Seoul...
L’accordo è un fenomeno linguistico molto diffuso che ricopre numerose
funzioni nelle dinamiche linguistiche. Tale fenomeno invece non è previsto
nella lingua coreana ed è il motivo principale per cui gli apprendenti coreani
fanno fatica nell’accordare in italiano.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
23
1. 4. 2. Prevalenza di test orali nel sistema scolastico italiano
I docenti di madrelingua italiana spesso si troveranno in difficoltà con gli
studenti coreani che in genere tendono a essere riservati e non esprimersi
la loro opinione nelle conversazioni in una classe di italiano. I docenti
possono fraintendere il comportamento di questi studenti e fare fatica a
coinvolgerli nella discussione con i compagni di classe e aiutarli nella loro
pratica della lingua italiana.
Probabilmente pochi sanno che nelle scuole coreane tutti gli esami
vengono effettuati esclusivamente sotto forma di test scritti, a parte rarissimi
casi. Sappiamo benissimo che nella produzione orale l’ansia è maggiore, in
questo caso lo studente non ha il tempo sufficiente per pianificare il suo
discorso e dare la sua risposta, dunque prova più imbarazzo. Al contrario
nello scritto ci si sente più a proprio agio e si organizza meglio il tempo
concesso per rispondere alle domande.
Una delle barriere incontrate da parte degli studenti coreani che arrivano
in Italia per studiare nelle scuole italiane è proprio quella di dover affrontare
esami orali. Prima di approdare al mondo del lavoro che richiede un
colloquio per l’assunzione, gli studenti coreani sono abituati a esprimersi in
modo passivo, quindi il livello di stress e la paura di sbagliare di fronte agli
altri sono molto alti, non solo sbagliare il concetto ma anche di non sapersi
esprimere correttamente, a maggior ragione se il colloquio si deve
sostenere in lingua straniera.
In classe dell’italiano L2 a volte viene adottato il metodo delle letture dei
testi: a voce alta e silenziosa. Tuttavia anche questo per loro è visto come
una forma di monologo o discorso, quindi hanno paura di sbagliare la
pronuncia davanti ai compagni di classe, specialmente se sono presenti altri
coreani e si sentono a disagio. Con le preoccupazioni quasi sempre non
riescono ad afferrare il significato di ciò che stanno leggendo. Invece la
modalità della lettura silenziosa è sicuramente più naturale, più adatta e più
apprezzata. Gli studenti coreani possono consultare il dizionario e usare il
tempo necessario che gli serve per assimilare meglio il significato del
contenuto.
24
Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
2. L’apprendimento dell’italiano in Corea
2. 1. Tipi di istituti
Fino al termine della scuola superiore gli studenti coreani hanno l’obbligo di
apprendere due lingue straniere. Essi si trovano di fronte alla scelta di una
lingua straniera oltre all’inglese, che naturalmente è d’obbligo. La loro
scelta, tuttavia, si limita perlopiù a cinque lingue: giapponese, cinese,
francese, tedesco e spagnolo. Di conseguenza lo studio dell’italiano è
possibile soltanto nella fase degli studi universitari.
L’insegnamento dell’italiano a Seoul ebbe inizio il primo marzo del 1963
e nel 1965 venne fondata l’Associazione Corea – Italia “Dante Alighieri”.
Attualmente è possibile studiare la lingua e la cultura italiana in Università,
come la HUFS (Hankuk University of Foreign Studies) nelle sedi di Seoul e
Yongin, la PUFS (Pusan University of Foreign Studies) di Pusan, la Catholic
University of Daegu di Daegu e la Sogang University di Seoul in
collaborazione con l’IIC (Istituto Italiano di cultura) di Seoul e in diversi
istituti privati. Questi ultimi sono più richiesti principalmente da coloro che
hanno intenzione di venire in Italia per approfondire i propri studi in campi
come moda, cucina, musica, architettura, ecc. L’importante è sapere che la
HUFS e la PUFS hanno un dipartimento d’italianistica automono all’interno
delle strutture universitarie e che presso l’IIC i corsi sono organizzati in base
a livelli di competenza che si avvicinano molto ai sei livelli previsti dal
Quadro Comune Europeo di riferimento per le lingue. Complessivamente, le
università con una facoltà o un insegnamento di italiano sono le seguenti:
Hankuk University of Foreign Studies (HUFS) : Dipartimento di italiano/
Sito web della facoltà di italiano
Pusan University of Foreign Studies : Dipartimento di italiano/ Sito web
della facoltà di italiano
Catholic University - Daegu (ovvero l’università femminile Hyosung)
Fino a non molto tempo fa gli studenti dell’italiano in Corea, non avevano
possibilità di valutare le proprie capacità linguistiche in italiano, mentre per
molte altre lingue occasioni del genere non mancavano. Di recente la HUFS
ha attivato un corso denominato FLEX (Foreing Language Examination).
per ogni dipartimento di lingue. Il conseguimento del certificato Flex è
obbligatorio in tutti i dipartimenti di lingua straniera e attesta il grado di
competenza linguistica di ogni studente. Inoltre l’Università per Stranieri di
Atti del Convegno Conoscere la Corea
25
Siena ha sottoscritto un accordo con alcuni istituti coreani offrendogli di
poter svolgere nella loro sede l’esame della CILS (Certificazione di italiano
come lingua straniera). Il numero degli studenti di italiano in possesso di
una certificazione è cresciuto. Gli istituti convenzionati sono:
Istituto italiano di cultura: http://www.italcult.co.kr/italia
Yujinbel language institute: http://www.yujin.com
2. 2. Corpo docenti
Le domande principali che possiamo porci per quanto riguarda il corpo
docenti di lingua e cultura italiana presente in Corea del sud sono le
seguenti:
Di che nazionalità sono i docenti che insegnano italiano?
Che tipo di formazione possiedono?
Dove e in che cosa si sono laureati?
Frequentano dei corsi di aggiornamento per la didattica della lingua
italiana?
Dato che ogni istituto dispone di non più di uno o due docenti di
nazionalità italiana, se ne deduce che la maggior parte di questi ultimi è di
madrelingua coreana. Si tratta soprattutto di laureati in Corea in lingua e
letteratura italiana e la maggior parte di loro sono in possesso di una più
generica preparazione in didattica delle lingue straniere. Alcuni di loro
hanno approfondito in Italia i loro studi in diversi settori come linguistica,
letteratura, sociologia, ecc.
Di recente per le competenze specifiche ed approfondite in didattica dell’
italiano come L2 il centro DITALS dell’Università per Stranieri di Siena ha in
progetto di promuovere negli ambienti universitari coreani la certificazione
DITALS, che valuta la preparazione teorico-pratica nel campo
dell'insegnamento dell'italiano a stranieri e garantisce un certo grado di
omologazione anche al di fuori di un percorso formativo specifico. Esso
offrirebbe sicuramente ai docenti coreani interessati ai corsi d’insegnamento
della lingua italiana a stranieri, l’opportunità di migliorare le loro competenze
in loco. Per finire, bisogna aggiungere che la maggior parte degli insegnanti
che lavorano in questi istituti non ha mai frequentato corsi di aggiornamento
nell’insegnamento di italiano come L2.
26
Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
2. 3. Corsi
L’italiano in Corea non è ancora considerato una lingua importante a livello
professionale a differenza di quanto accade per molte altre lingue straniere,
come il francese o il tedesco. Per questa ragione il numero degli studenti
d’italiano è abbastanza limitato e i motivi che in genere spingono a
intraprendere questo percorso accademico sono molto poco differenziati. Di
conseguenza anche le strutture didattiche dell’università adottano un
programma dai moduli poco diversificati.
La HUFS è il principale istituto universitario dove attualmente è possibile
conseguire una laurea quadriennale in lingua e letteratura italiana. Gli studi
dei primi due anni sono centrati fondamentalmente sulla grammatica,
accompagnata dagli esercizi di lettura, produzione scritta e orale, mentre
negli ultimi due anni gli studenti possono approfondire studi di carattere
socio-culturale, ovvero cultura, linguistica, economia e letteratura italiana.
Le attività didattiche sono suddivise in due semestri ogni anno, uno da
marzo a giugno e l’altro da settembre a dicembre, ciascuno dei quali
prevede una prova intermedia e si conclude con quella finale per ogni
materia. Una volta conseguita la laurea quadriennale gli studenti possono
accedere al master in lingua e letteratura italiana organizzato dalla
medesima università. Presentiamo infine tutti i corsi attivi all’interno del
corso di laurea:
1. Introduzione alla cultura italiana: Questo corso introduce alla
conoscenza della cultura e civiltà italiana.
2. Corso elementare di grammatica italiana: Il corso procede con la
grammatica solo dopo essersi accertati che lo studente riesca davvero ad
applicare le strutture studiate.
3. Corso elementare di comprensione e ascolto dell’italiano: Lo scopo
delle lezioni consiste nel proporre un apprendimento mirato a sviluppare la
competenza auditivo-comunicativa di base del discente, tenendo
particolarmente conto della capacità di ascolto e comprensione utilizzando i
mezzi audiovisivi e internet a disposizione.
4. Corso elementare di conversazione italiana: Gli obiettivi del corso
mirano a promuovere la competenza linguistica degli studenti, integrando le
conoscenze con elementi di civiltà e cultura in un'ottica interculturale al fine
di rafforzare il dialogo e accrescere un sapere condiviso e collettivo.
5. Corso elementare di composizione italiana: Il corso mira a sviluppare
la capacità degli allievi di esprimersi per iscritto partendo dalle nozioni
Atti del Convegno Conoscere la Corea
27
basilari ossia il vocabolario e le strutture grammaticali di base per parlare di
sè e descrivere le cose che ci circondano.
6. Corso elementare di comprensione dell’italiano: Lezioni mirate a
sviluppare competenza nel leggere e comprendere i testi italiani.
7. Introduzione alla traduzione: Gli studenti del corso di Introduzione alla
traduzione avranno elevate competenze teoriche e pratiche nell'ambito della
traduzione.
8. Introduzione all’interpretazione: Sviluppo dell'abilità generale di
interpretare dall’italiano al coreano basato sulla conoscenza della
grammatica e sul mettere in pratica quello che i discenti hanno imparato.
9. Corso intermedio di grammatica italiana: Fornisce agli studenti gli
elementi grammaticali necessari per poter dialogare spaziando negli
argomenti più comuni della vita di ogni giorno arricchendo il loro vocabolario
e le frasi del loro scritto e parlato.
10. Corso intermedio di comprensione e ascolto dell’italiano: Qui si attua
un percorso didattico mirato principalmente allo sviluppo di abilità ricettive
inserite in un contesto situazionale, di modo che vengano messe in risalto le
componenti socio-pragmatiche e le funzioni che permetteranno allo
studente di poter comunicare.
11. Corso intermedio di conversazione italiana: Lo scopo consiste
nell'acquisizione di una competenza comunicativa interculturale. Questo
corso mira a fare far pratica agli studenti delle strutture fin qui apprese e
accrescere in loro la capacita' di raccontare, esprimere il proprio giudizio su
fatti e situazioni e conversare in gruppi.
12. Corso intermedio di composizione italiana: Miglioramento dell'abilità
generale di esprimersi con l'ausilio di forme verbali meno elementari.
13. Corso intermedio di comprensione scritta italiana: Sviluppo dell'abilità
di comprensione e sintesi di testi letterari, giornalistici e specialistici.
14. Corso avanzato di conversazione italiana: Scopo del corso è di
mettere gli studenti in condizione di poter conversare liberamente e
correttamente su tematiche di diverso genere: attualità, opinioni, politica,
economia, ecc. e guidarli ampliando anche il vocabolario e i modi di dire.
15. Esercizi di traduzione: Gli studenti avranno la possibilità di sviluppare
elevate competenze nella traduzione, in due lingue straniere, di testi nelle
varie tipologie testuali di discipline diverse, quali ad esempio l'economia, il
diritto, le scienze naturali, le scienze fisiche, le scienze sociali, la
multimedialità, l'informatica, oppure di testi di saggistica umanistica, di
letteratura.
28
Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
16. Italiano corrente: Oltre a imparare la lingua si può conoscere anche
la cultura italiana, la sua storia, capire la sua situazione economica, sociale
e politica e tenersi sempre aggiornati sull’attualità.
17. Storia della letteratura italiana: Il corso intende ripercorrere la storia
della letteratura italiana a partire dall’origine, studiando i grandi scrittori.
18. Studi delle novelle italiane: Il corso è dedicato alla lettura e all’analisi
delle novelle.
19. Studi delle poesie italiane: Questo corso aiuta chi vuole continuare a
migliorare l'italiano orale e conoscere la bellezza della poesia e dei poeti
italiani.
20. Storia della lingua italiana: Ripercorre la storia della lingua italiana
volutamente semplificata presentando una serie di testi, dai primi documenti
in volgare all’italiano contemporaneo.
21. Storia dell’Italia: Il corso mira a far conoscere agli studenti la storia
italiana dal Medioevo fino ad oggi.
22. Studi sulla politica e la società italiana: Approccio teorico ai vari
aspetti della politica e della società italiana.
23. Public speaking in italiano: Questo corso mira ad aiutare gli studenti
a migliorare la loro capacità di organizzare le idee in modo chiaro e la loro
espressione, e da agli studenti la possibilità di spiegare le loro opinioni
utilizzando la lingua italiana su vari temi in classe.
24. Studi su Dante: Studi su Dante Alighieri e le sue opere principali.
7
25. FLEX italiano: Preparazione per l’esame FLEX (Foreign Language
Examination) attraverso esercitazioni orali e scritte. L’esame FLEX è un
requisito necessario per laurearsi. Questo corso aiuta gli studenti a
superare l’esame FLEX.
26. Pratica di conversazione italiana: Questo corso è indicato per tutti
coloro che vogliono comunicare correntemente nella vita di tutti i giorni.
Attraverso diverse attività ed esercizi pratici, si acquisiscono e sviluppano
progressivamente le strategie necessarie per capire e comunicare
nell’italiano parlato e scritto.
27. Scrittori italiani: Studio monografico dei più importanti autori della
letteratura italiana; analisi testuale e critica letteraria.
28. La letteratura italiana del novecento: Il corso è dedicato al panorama
letterario del novecento. Mira a definire i caratteri della letteratura italiana
del novecento attraverso i grandi scrittori e le opere di narrativa.
7
Il FLEX è rilasciato dall’Università Hankuk degli Studi Stranieri. E’ adottato come
certificazione che attesta il grado di competenza linguistico-comunicativa da molte imprese pubbliche e private.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
29
29. Seminario sulla letteratura italiana: Analisi e dibattito sulla storia della
letteratura italiana.
30. Seminario sulla cultura italiana: Il corso mira ad analizzare la
situazione italiana dal punto di vista metodologico per capire meglio i
fenomeni sociali presenti sul territorio italiano.
31. Introduzione alla linguistica italiana: Scopo di questo corso incentrare
gli studi sulla fonetica, la fonologia, la morfologia e la sintassi, elementi
fondamentali della linguistica italiana.
32. Studi locali sull’Italia: Il corso mira ad approfondire i problemi e i
fenomeni politici, economici, sociali, civili e culturali italiani.
33. Letteratura moderna italiana: Il corso vuole fornire la conoscenza del
Romanticismo lettarario in Italia come una tendenza prevalente
nell’Ottocento. E far conoscere il concetto di modernità studiando le opere
di Leopardi e Manzoni.
34. Lettura dei pensatori italiani: Questo corso mira a informare sulla
storia della cultura e dell’arte italiana attraverso la lettura dei pensatori
italiani.
35. Opere letterarie italiane: Il corso mira a comprendere il panorama
della letteratura italiana attraverso le opere principali di alcuni scrittori.
36. Studi sul teatro italiano: Il corso mira a far conoscere il panorama del
teatro italiano e comprenderne le caratteristiche attraverso l’analisi del suo
sviluppo, con il supporto di strumenti audiovisivi e multimediali.
2. 4. Metodologie e strumenti didattici adoperati nell’insegnamento
Quali metodi e quali strumenti didattici vengono adottati nell’insegnamento
dell’italiano? In genere viene adottato un metodo misto, che integra
l’approccio tradizionale-grammaticale con quello comunicativo, in ogni
modo quest’ultimo non esclude la riflessione metalinguistica.
In realtà la maggior parte delle lezioni sono frontali, il docente trasmette
delle informazioni, sollecita risposte e propone delle attività ai propri
studenti. Questi ultimi sono impegnati in attività di comprensione
nell’ascolto, talvolta integrato dalla lettura silenziosa dei testi proposti dal
docente. Non possiamo dire che questa struttura di comunicazione sia
negativa, anzi essa è molto utile nei diversi momenti dell’apprendimento.
Questa metodologia, tuttavia, viene integrata da quella di interazione
aumentando l’intensità della comunicazione. Durante le lezioni spesso sono
previste attività di gruppo: qui il docente funge da vero e proprio ponte per i
propri studenti dirigendo i loro flussi comunicativi. Questa metodologia
30
Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
comunicativo-integrata può avere esito positivo grazie anche a strumenti
didattici adatti.
Gli stumenti didattici utilizzati nell’insegnamento dell’italiano sono:
manuali di grammatica, testi letterari, testi per gli esercizi, fotocopie di
articoli dei giornali, audiocassette, cd-rom ecc. Inoltre frequentemente
utilizzati sono anche i laboratori linguistici, dove gli studenti possono avere
supporti di tipo multimediale e software informatico adatto all’insegnamento/
apprendimento della lingua italiana.
L’HUFS fornisce un buon numero di sale multimediali all’interno del
dipartimento di lingue. Qui gli studenti possono usufruire gratuitamente di
materiale come dvd, videocasette, tv, ecc. Vengono messi a disposizione
diversi canali internazionali, compresa le rai, per la lingua italiana. Inoltre si
possono noleggiare dvd e cassette e utilizzarli sul posto o portarli via per
alcuni giorni stabiliti dall’università stessa. Nei laboratori informatici
naturalmente è possibile utilizzare i computer.
2. 5. Attività e iniziative
La HUFS organizza incontri, serate, manifestazioni e diversi altri tipi di
eventi. Ogni anno, inoltre, gli studenti organizzano la cosiddetta Seminjŏn,
festa della cultura e dei costumi del mondo. La festa è aperta al pubblico e
ha in genere la durata di una settimana. Per l’occasione ogni dipartimento
prepara vari eventi legati alla cultura del paese straniero che lo riguarda. In
questi giorni si possono assaggiare piatti esotici preparati appositamente
dagli studenti. Inoltre durante tutta la settimana vengono proiettati molti film
stranieri in lingua originale. Di solito nell’ultima serata si tiene un grande
spettacolo dove si possono ammirare danze e canzoni tipiche di diversi
paesi. E’ un evento che mira ad avvicinare maggiormente gli studenti alla
cultura, alla storia e ai diversi aspetti sociali delle realtà a cui si accostano
studiando.
Per quanto riguarda il dipartimento d’italiano in realtà lo scarso numero
di studenti crea difficoltà nell’organizzare eventi tipo: “La serata italiana”. La
cosa, invece, è molto più facile per quello di inglese o francese dove il
numero di studenti e insegnanti è molto superiore e la ingente presenza di
lettori madrelingua suscita ancora di più la curiosità e l’interesse per la
cultura e per i costumi del paese in questione. Sono momenti extradidattici
importanti quanto quelli didattici per l’apprendimento di L2.
Infine, ancora riguardo alle iniziative didattiche, l’università collabora con
l’istituto italiano di cultura e stipula accordi di interscambio linguistico-
Atti del Convegno Conoscere la Corea
31
culturale con altre università straniere, come l’università per stranieri di
Siena o la Ca’ Foscari di Venezia, che operano attivamente nel settore
dell’insegnamento della lingua e della cultura italiana.
3. L’apprendimento del coreano in Italia
3. 1. Tipi di istituti
La Corea è presente in Italia sotto molti aspetti. Nel corso degli ultimi
decenni l’interesse culturale verso questo paese sembra finalmente andare
incrementandosi. Tutto ciò avviene soprattutto grazie al numero cresciuto
dei coreanisti in Italia. L'interesse degli italiani per la coreanistica si è
andato diffondendo con l'istituzione di un insegnamento di coreano presso
l’Università degli studi di Napoli - L’Orientale a partire dal 1960 con il dott.
Park Sun-jae, con la nascita di un corso di coreano presso l’Università Ca’
Foscari di Venezia e con la creazione di un corso di lingua coreana nella
sezione milanese dell’Istituto per il Medio ed Estremo Oriente (Is.M.E.O.),
ora Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (Is.I.A.O.) dal 1980. A partire dal
mese di novembre 2000 si è aperto anche un corso di lingua e letteratura
coreana presso l'Università La Sapienza di Roma, il primo centro di studi
coreani in Italia, dove è possibile laurearsi con il coreano come lingua
principale. A Milano dal febbraio 2010 sono iniziate le lezioni di lingua
coreana contemporanea presso la Facoltà di Scienze politiche, corso di
laurea in Mediazione linguistica e culturale. Qui di seguito elenchiamo una
serie di istituti dove si può apprendere il coreano come L2:
Istituto universitario orientale Napoli - Lingue e culture dell’Asia e
dell’Africa (prof. Maurizio Riotto)
Università degli studi di Roma La Sapienza – Lingue e civiltà orientali
(prof.ssa Antonetta Bruno)
Università degli studi di Venezia – Lingue e culture dell’Asia orientale
(prof.ssa Vincenza D’Urso)
Ci sono anche delle associazioni italiane che si occupano della Corea da
un punto di vista puramente linguistico e culturale:
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Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
Asian Studies Group: Associazine specializzata sita in Milano nella
formazione linguistica e culturale, coinvolta in progetti di comunicazione e di
mediazione con l’Asia orientale con l’attenzione per la lingua cinese,
giapponese e coreana/ corso di coreano e corso di buisiness culture e
formazione manageriale su Korea.
Associazione Culturale Italia-Corea "Calmo mattino" : L'associazione
nasce nel 2005 con l’obiettivo di promuovere e diffondere il dialogo culturale
fra due paesi, Italia e Corea, solo in apparenza agli antipodi, valorizzando le
esperienze artistiche, culturali e sociali, favorendo la cooperazione
internazionale e la mediazione culturale.
Associazione Toscana-Korea: L'associazione si occupa in particolare
dell'organizzazione del Korea Film Fest - Festival Cinematografico Coreano
in Italia e dell'organizzazione di mostre d'arte e manifestazioni culturali in
Italia e in Corea, promuovendo la cooperazione culturale e istituzionale tra
la Toscana e la Corea.
Centro Ricerche Culturali fra Corea e Italia (CRICCI) : Il centro è
attivamente impegnato nell'insegnamento dell'italiano ai coreani e del
coreano agli italiani, oltre che in lavori di traduzione e interpretariato.
Pubblica il mensile "Noi Cricci" distribuito gratuitamente e collabora
all'organizzazione di conferenze e mostre.
3. 2. Corsi
Come abbiamo accennato prima, in Italia sono principalmente tre gli istituti
universitari che provvedono a un corso ufficiale di laurea in lingua coreana.
In questo contributo incentreremo le nostre ricerche sul centro di studi
coreani della Sapienza di Roma, tenendo in considerazione il suo numero
elevato di iscritti nonché la possibilità di scegliere il coreano come prima
lingua straniera.
Gli studi coreani presso la Facoltà degli Studi Orientali sono iniziati
nell’anno accademico 2000-2001, con l’attivazione di un corso di laurea
triennale e magistrale. Fin dalla nascita il centro gioca una posizione geopolitica importante in Italia come referente di studi coreani nel Sud Europa
dove la tradizione sugli studi coreani è ancora carente (Spagna, Grecia,
Turchia) rispetto al resto dell’Europa.
Chi si iscrive alla Facoltà di Studi Orientali, si iscrive obbligatoriamente
all’unico corso di laurea triennale in Lingue e civiltà orientali. Dal 2001 la
Facoltà assume una posizione autonoma, staccata dal Dipartimento di
Atti del Convegno Conoscere la Corea
33
lettere e filosofia e offre circa 80 materie in cinque diversi settori; filologici,
archeologici, storici, artistici e religiosi.
A partire dall’anno accademico 2010-2011 l’iscrizione è a numero
programmato, chi intende iscriversi al corso dovrà quindi superare un test di
ingresso il cui bando è pubblicato sul sito della Sapienza. Al momento
dell’immatricolazione gli studenti si trovano a dover scegliere la loro prima
lingua orientale da apprendere tra arabo, cinese, coreano, ebraico,
giapponese, hindi e persiano, dopodiché possono sceglierne un’altra come
seconda tra tibetano, urdu, sanscrito, ebraico, persiano, bengali.
Il corso triennale del curriculum coreano è dedicato allo studio della
lingua e concerne l’apprendimento della grammatica, le esercitazioni di
lettura, di traduzione e di composizione in coreano. Sono previste
conversazioni e prove pratiche presso il laboratorio linguistico perché lo
studente possa perfezionare la propria capacità comunicativa orale e scritta
imparando anche a tradurre da e in coreano. Le esercitazioni di lettura e
conversazione vengono svolte da lettori madrelingua, mentre, per quanto
riguarda la letteratura, il programma prevede lo studio di un periodo
specifico della Storia della letteratura coreana. Oltre alla parte generale lo
studio comprende letture, analisi e traduzioni guidate delle opere più
significative. L’analisi testuale delle opere letterarie ha l’obiettivo di fornire
agli studenti un primo approccio alle tecniche e ai problemi della traduzione
letteraria.
Terminati i corsi della laurea triennale gli studenti possono accedere alla
laurea magistrale in Lingue e civiltà orientali in cui si ha la possibilità di
scegliere il coreano. Il corso di Lingua e traduzione coreana della Laurea
magistrale ha la finalità di approfondire l’assimilazione delle regole
grammaticali più complesse, l’acquisizione lessicale del linguaggio dei
settori specifici, l’analisi dei testi e delle traduzioni di varie opere. Gli
studenti affrontano la lettura e la traduzione di brani tratti da quotidiani e
riviste i cui argomenti spaziano dall’economia alla cultura ecc. Tutte le
esercitazioni vengono guidate dai lettori madrelingua.
Presentiamo tutti i corsi attivi all’interno del corso di laurea con
curriculum coreano:
1. Archeologia e storia dell’arte della Corea: Il corso mira a tracciare le
linee evolutive dell’arte coreana tradizionale.
2. Civiltà coreana: Il corso mira a fornire un quadro generale della civiltà
coreana. Le lezioni toccano temi svariati e sono tenute da professori
stranieri, coreanisti invitati da università europee nell’ambito del progetto
34
Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
"Exchange Programme of European Lecturers" organizzato da AKSE
(Association of Korean Studies in Europe) e Korea Foundation. Da questo
punto di vista il corso si presenta come occasione unica di confronto e di
stimolo per accedere direttamente agli ultimi sviluppi di ricerca relativi
all’ambito degli studi coreani.
3. Letteratura coreana: Il corso offre un panorama della letteratura
coreana del periodo moderno e contemporaneo. L’obbiettivo principale è
di introdurre agli studenti le grandi tematiche affrontate nell’ambito letterario
degli eventi socio culturali che hanno segnato l’epoca presa in
considerazione.
4. Lingua e traduzione coreana: Il corso triennale è dedicato
all’apprendimento dei fondamenti della lingua. Esso comprende nozioni di
grammatica, esercitazioni di lettura, di traduzione e di composizione in
coreano. Il corso di lingua è sostenuto da conversazioni e prove pratiche
presso il laboratorio linguistico. Alla fine del triennio lo studente dovrà
possedere una buona capacità comunicativa orale e scritta, ed essere in
grado di effettuare traduzioni da e in coreano.
5. Lingua e letteratura coreana: Il corso ha come finalità
l’approfondimento e l’assimilazione di regole grammaticali complesse e
l’acquisizione lessicale del linguaggio dei mass-media. Quest'anno il corso
si basa sull'apprendimento di teorie e metodologie della traduzione dal
coreano all'italiano.
6. Religioni e filosofie dell’Asia orientale: Il corso intende approfondire gli
elementi caratterizzanti del Buddhismo del Grande Veicolo in Asia
Orientale attraverso l'evoluzione delle sue dottrine e delle relative tematiche
socio-culturali.
7. Storia dell’Asia orientale: Il corso prevede la presentazione dei
caratteri fondamentali della civiltà sinica che sono alla base delle culture
dell’Asia Orientale, e l’approfondimento della storia sociale, intellettuale e
antropologica della Cina imperiale.
Quanto all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale il corso di laurea
triennale in Lingue e culture dell’Asia e dell’Africa si articola in quattro
percorsi distinti per grandi aree geopolitiche: Vicino Oriente, Asia Centrale e
Meridionale, Asia Orientale, Africa, ciascuno articolato sul doppio versante
antico e moderno, e ricco di un’ampia e diversificata offerta di contenuti
linguistici e storico-culturali. Gli studenti avranno una buona conoscenza del
partimonio storico-culturale oltre alla formazione linguistica della lingua
dell’area scelta. I curriculum che dispongono di lezioni di lingua e letteratura
Atti del Convegno Conoscere la Corea
35
coreana sono i seguenti: Asia Orientale Antica (AsOrA) e Asia Orientale
Moderna (AsOrM).
Infine lo studente può accedere al corso di Laurea Magistrale in Lingue e
Culture dell’Asia e dell’Africa per l’approfondimento di lingue e culture dei
paesi asiatici e africani. Il suo percorso formativo è connotato in senso
storico-culturale e letterario. Alla fine del corso i laureati acquisiranno
conoscenze avanzate della storia e della realtà culturale, nelle sue differenti
dimensioni, di una delle civiltà dell’Asia e dell’Africa.
3. 3. Strumenti didattici adoperati nell’insegnamento
Data la scarsa presenza di materiale didattico in italiano si utilizza spesso
testi scritti in inglese per l’insegnamento della lingua coreana. Fino a poco
tempo fa testi di riferimento adoperati alla Sapienza erano in inglese:
8
Integrated Korean Beginning e Integrateed Korean Workbook per la parte
riguardante la grammatica e le esercitazioni in lingua, Anthology of Korean
9
10
Literature per la letteratura e, di recente, Storia della letteratura coreana
11
per lo studio della letteratura coreana, Corso di lingua coreana per la parte
grammaticale e pratica.
Purtroppo non è stato facile procurarsi un manuale di lingua coreana,
scritto in italiano e mirato agli apprendenti italiani. Dato che il numero degli
studenti è sempre in aumento si avrà bisogno del materiale adatto a partire
dai manuali di grammatica ai dizionari, fino ai testi letterari e culturali.
Tuttavia si sta lavorando per cercare di colmare questa lacuna.
Infine con la diffusione della rete (internet) come mezzo comunicativo si
ha la possibilità di imparare online sempre più agevolmente la complessa
lingua coreana. E’ un nuovo metodo di apprendimento e come tale ancora
da sperimentare. A tal proposito riportiamo l’elenco di alcuni siti che offrono
corsi di coreano online:
SNU (Seoul National University)- Korean Language Education Center :
http://language.snu.ac.kr/site/kr/klec/click-korean/index.jsp
Sillabo
composto da 20 unità didattiche.
8
Ho-min Sohn e Carol Schulz, University of Hawaii Press, Honolulu, 2000
Ho-min Sohn e Carol Schulz, University of Hawaii Press, Honolulu, 1981
10
Maurizio Riotto, Storia della letteratura coreana, Novecento Editrice, Palermo,
1996
11
Antonetta L. Bruno e Ahn Miran, Corso di lingua coreana, Hoepli, Milano, 2009
9
36
Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
SOGANG University – Korean Language Education Center :
http://korean.sogang.ac.kr/ - Il programma è suddiviso in vari livelli.
KOSNET
(Korean
Language
Study
on
the
Internet) :
http://www.kosnet.go.kr/ - Presenta materiale per l’apprendimento del
coreano e fornisce test ed esercizi.
FRIENDLY KOREA: http://prkorea.com/english/e_learn/e_learn3_1.htm Oltre al programma per lo studio del coreano fornisce le informazioni utili
sulla Corea.
Radio Korea International: http://rki.kbs.co.kr/learn_korean/lessons/ Presenta un’introduzione generale del coreano e le lezioni sono divise in
capitoli con aiuti audio-visivi.
Korea-edu. com: http://www.korean-edu.com/ - I corsi sono organizzati
da un livello più elementare a quello avanzato. Sono disponibili CD e altro
materiale scaricabile da internet.
Korean Practice: http://www.lifeinkorea.com/Language/korean.cfm Fornisce le frasi essenziali e gli elenchi dei vocaboli più usati.
3. 4. Attività e iniziative
L’importanza del centro di studi coreani presso la Facoltà degli Studi
Orientali è stata riconosciuta da istituti, università e fondazioni
internazionali. Per la prima volta l’Italia ha potuto far parte attivamente
nell’arena europea dove gli studi coreani sono forti (Germania, Francia,
Inghilterra e Olanda). Le attività culturali organizzate dal centro in questi
anni sono stati esempi di quanto esso ha investito per promuovere scambi
tra l’Europa e la Corea. In proposito sembra opportuno mezionare qualche
esempio.
L’Associazione di Studi Coreani in Europa (AKSE) riuscì a promuovere
una conferenza in Italia (Frascati, 2003), per la prima volta dopo la sua
fondazione nel 1997. La conferenza ospitò circa 200 partecipanti con 140
relazioni di ricerca. Il centro collabora con le altre università in Europa
invitando 6 studiosi all’anno per lezioni tramite il programma EPEL
(Exchange Program of European Lectures) sposorizzato dalla Korea
Foundazione e amministrato dall’AKSE. Il programma EPEL ha organizzato
un simposio sulla Linguistica Comparativa tra il coreano e il giapponese, i
lavori raccolti sono stati pubblicati sulla Rivista di Studi Orientali nel 2009.
Con l’iniziativa dell’Università di Leiden è stata creata una società su studi
coreani, vi partecipano l’Università di Leiden, la SOAS (School of Oriental
and African Studies) dell’Università di Londra, l’Università Ruhr di Bochum,
Atti del Convegno Conoscere la Corea
37
l’Università degli studi di Roma ‘La Sapienza’ e l’Ecole des Hautes Etuedes
di Parigi.
Inoltre il centro ha instaurato l’accordo MuO (Mutual understanding
agreements) con le università coreane come la Seoul National University e
la Hankuk University of Foreign Studies per promuovere programmi di
scambio per studenti e studiosi. Va sottolineato anche che il centro di Roma
è l’unica università in Italia che offre agli studenti livelli completi di studio,
ovvero BA, MA e PhD.
Sono diverse le attività culturali organizzate dal centro. Il festival del film
coreano ogni anno. Il festival ha presentato vari film coreani agli studenti di
ogni dipartimento, incentivando in questo modo l’interesse verso la Corea e
la sua cultura. La conferenza sul film coreano in collaborazione con Korean
Film Festival di Firenze ha avuto luogo presso la Facoltà degli Studi Coreani
con la partecipazione di esperti italiani sul cinema e giornalisti. In
collaborazione con il Film Festival di Napoli gli studenti della laurea
magistrale hanno preparato interviste in coreano per i registi coreani.
Il workshop sullo sciamanesimo coreano, organizzato in collaborazione
con i musei di folclori coreani e italiani, ha avuto luogo ad aprile del 2005
ospitando otto sciamani compresa Kim Kum-hwa, dichiarata dall’UNESCO il
patrimonio dell’umanità.
4. Conoscere la Corea: la dimensione nascosta della cultura coreana
Nelle interazioni interculturali i diversi orientamenti temporali possono
creare fraintendimenti e diventare fonti di tensione. I coreani sono molto
orgogliosi della propria cultura e della propria identità nazionale, non a caso
12
in Corea si usa spesso il pronome ‘noi’ in luogo di ‘io’ . Questo ‘noi’ non
eprime solo ‘un insieme’ ma anche e soprattutto una ‘sensazione di
13
appartenenza’ . I coreani sono piuttosto amichevoli e farebbero di tutto per
12
Es. nostro padre per mio padre, nostra sorella per mia sorella, nostro nonno per
mio nonno, la nostra cucina per la cucina coreana, la nostra nazione per il mio paese, la
nostra scuola per la mia scuola, il nostro ufficio per il mio ufficio, ecc.
13
Un’inchiesta sulle ricerche psicologiche in un’università di Canada ha preso in esame studenti canadesi e coreani e nella domanda “Qual è la prima cosa che ti viene in
mente pensando alla parola ‘noi’” il 75% degli studenti canadesi hanno risposto: ‘io e te’
o ‘l’unione di più due persone’ mentre il 76% degli studenti coreani hanno risposto: ‘sensazione di calma’, ‘una sola cosa’ e ‘sensazione di appartenenza’ (Choi & Yoon
38
Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
aiutare gli amici. Anche la famiglia è estremamente importante nella cultura
coreana ed anche l’obbedienza ed il rispetto verso i più anziani. D’altro
canto il mondo del lavoro e le scuole in Corea sono fortemente influenzati
dal sistema monocronico americano. Come afferma Hall (1990:58), ‘tutte le
culture orientate all’alta tecnologia sembrano incorporare le funzioni
policroniche e quelle monocroniche.’
L’Italia è invece considerata da Hall (1959) un paese con culture
policroniche. Gli Italiani potrebbero essere visti quindi dai coreani come
persone a volte troppo flessibili, perché affrontano molti argomenti
contemporaneamente, non in modo ordinato, cambiano senza problemi
programmi già predefiniti, danno meno importanza al rispetto delle
scadenze e alla puntualità. Gli Italiani, però, dal canto loro, potrebbero
vedere i Paesi delle culture monocroniche come inflessibili, ossessionati da
regole e procedure, troppo formali e rigidi perché poco aperti al
cambiamento.
Per comunicare efficacemente in un contesto multiculturale è
necessario, quindi, essere coscienti degli effetti che una differente
concezione del tempo può provocare sulla negoziazione, in particolar modo
sulla creazione di “malintesi”. Bisogna rispettare l’approccio dell’altro,
trattenersi dai pregiudizi e dagli stereotipi e cercare di adattare il proprio
stile a quello della controparte senza comunque perdere la propria identità
culturale.
4. 1. Velocità vs lentezza.
La Corea moderna è caratterizzata senz’altro dai frenetici ritmi lavorativi.
Dopo la liberazione dalla sofferta e lunga dominazione giapponese (19091945) e dalla guerra di Corea (1950-1953), il governo coreano adottò lo
slogan “Viviamo una vita dignitosa”, ciò sottintendeva “lavoriamo duro e
velocemente per portare il paese verso una migliore condizione
economica”. Le regole stabilite dal presidente Park Jeong-Hee (1917-1979)
erano autoritarie, basate sul potere militare. Per superare la povertà del
dopoguerra l’idea della velocità divenne un valore fondamentale nella
società coreana. L’espressione ppalli ppalli, che significa ‘veloce veloce’
divenne molto frequente in ambiente lavorativo e nella gran parte delle
industrie. L’attitudine dei coreani è orientata molto verso il valore della
velocità (Lee 2009:5).
1994:69).
Atti del Convegno Conoscere la Corea
39
Nella società coreana il concetto di velocità si presenta in vari contesti:
nel lavoro, nelle scuole, nei servizi pubblici e in vari altri sistemi. Potremmo
portare diversi esempi a riguardo. I lavoratori coreani hanno soltanto un’ora
di pausa pranzo e nessuno di loro torna a casa a mangiare, cosa
impossibile. Fortunatamente nei ristoranti l’attesa è minima e i piatti
vengono serviti immediatamente. In Corea non si vedranno quasi mai file
agli sportelli delle banche, alle poste o nei supermercati. Le spedizioni o le
consegne a domicilio risultano essere sempre velocissime ed efficienti,
nonostante ciò quando un coreano ordina da mangiare da casa, aggiungerà
quasi sempre “Ce lo porti il prima possibile”. Nelle mail scambiate per affari
“Aspettiamo una vostra risposta al più presto possibile” o “Restiamo in
attesa di un vostro sollecito riscontro” sono frasi ricorrenti. Ma c’è di più, la
Corea è prima in classifica fra i paesi considerati all’avanguardia nella
connettività internet super veloce, tuttavia non sembra aver voglia di
fermarsi. Il governo coreano infatti ha in progetto di investire 24,6 miliardi di
dollari entro il 2012 per il miglioramento dell’infrastruttura internet attraverso
collegamenti digitali, il che dovrebbe consentire la nascita di linee
broadband con capacità di 1 Gb al secondo. Un sistema così frenetico e
non certo privo di risvolti negativi, ha di certo mutato sensibilmente nel
tempo il carattere dei coreani. Noteremo, per esempio, come essi di fronte a
un’attesa tendano presto a innervosirsi o ad apparire impazienti. A volte
sarebbe utile un po’ di respiro e relax, un aspetto che oggi viene troppo
trascurato nella società coreana.
La gestione del tempo diventa quindi di cruciale importanza nelle
relazioni di lavoro e nelle scuole. In questo ambito professionale tutto
procede a ritmo spedito e la gestione del tempo e dei programmi è molto
rigida. Nelle scuole coreane non esiste la bocciatura, l’anno scolastico si
suddivide in due semestri e ogni semestre prevede un esame intermedio e
finale. Chi si trova indietro con gli studi fa lezioni di recupero e alle fine
dell’anno deve raggiungere il punteggio minimo per passare all’anno
successivo. Dopo le superiori gli studenti coreani sono sottoposti a un
esame scritto statale (dura quasi tutta la giornata, circa 8 ore) che
comprende tutte le materie apprese nell’arco di tre anni, il risultato
dell’esame servirà a potersi candidare per l’iscrizione alle varie università
che in Corea sono tutte a numero chiuso. Ogni anno la competizione per
accedere agli istituti di maggior fama è altissima. Chi accederà ad
un’università rinomata avrà la garanzia di trovare un buon lavoro. Le
università non prevedono studenti fuori corso, tutti coloro che iniziano
finiranno in quattro anni. Di conseguenza i laureati in genere avranno 23 e
24 anni (fatta eccezione degli uomini che nel frattempo dovranno prestare
40
Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
due anni e mezzo di servizio militare e che quindi termineranno il loro
percorso di studi soltanto a 26/27 anni) e nel mondo del lavoro tra i requisiti
richiesti esiste quasi sempre il limite di età. Chi non riesce ad entrare
all’università all’età prevista e laurearsi nei tempi previsti, quindi, non
troverà un impiego facilmente. Quello coreano è forse il sistema
monocronico per eccellenza dove il cambiamento e la flessibilità non sono
ammessi.
4. 2. Puntualità
Essere puntuale per un coreano corrisponde ad osservare un leggero
anticipo rispetto all'orario stabilito, per un italiano invece un ritardo di
qualche minuto è più che tollerabile. In Italia, infatti, esiste il famoso ‘quarto
d’ora accademico’ nelle università, che sta ad indicare l’inizio delle lezioni
con un massimo di 15 minuti di ritardo (Balboni 2007). Le scuole coreane
invece sono famose per l’importanza che attribuiscono alla puntualità, un
sistema davvero rigido che prevede tolleranza zero per il ritardo. Esiste
perfino un riconoscimento per gli studenti che osservano scrupolosamente
gli orari stabiliti e che non si assentano mai a lezione. Si chiama kae-kŭnsang (perfect attendance award), per ottenere tale premio bisogna non
essere mai stato assente né essere mai arrivato in ritardo a scuola nel
corso dei tre anni per le scuole medie e superiori o dei sei previsti per le
scuole elementari. E’ un criterio atto a sottolineare e incentivare la diligenza
e la puntualità in una persona. Bluedorn (2002:92) afferma che anche le
scuole americane del dicianovesimo secolo monitoravano un rigido criterio
di puntualità e prevedevano un premio di non assenza. L’autore riporta
come esempio il certificato di presenza che ricevette sua nonna quando
aveva 13 anni. C’è scritto che si premia la suddetta studentessa per non
14
essere mai stata assente né arrivata in ritardo .
In genere nelle scuole coreane sono presenti un insegnante, detto ju-im,
e un gruppo di rappresentanti degli studenti chiamati ju-bŏn o sŏn-do.
Queste figure hanno il compito di controllare la buona condotta degli
studenti e quindi la puntualità o meno di ognuno di loro. Quando al mattino
gli studenti iniziano ad arrivare essi li attendono di già all’ingresso. Circa
due o tre minuti dopo l’orario previsto dell’inizio delle lezioni (cioè la
massima tolleranza per il ritardo nelle scuole coreane ) al rintocco della
campana, il cancello dell’ingresso viene chiuso. Chi arriva tardi, anche solo
14
“having been neither absent nor tardy during the month ending.”
Atti del Convegno Conoscere la Corea
41
per pochissimi minuti, si becca una nota in pagella e viene
automaticamente escluso dalla premiazione del kae-kŭn-sang.
Coma abbiamo accennato sopra nella cultura monocronica si tiene tanto
a rispettare non solo l’ora d’inizio di un evento ma anche l’ora della fine
quindi quando l’insegnante continua la sua lezione sforando rispetto
all’orario previsto non è più ben visto dagli studenti.
Conclusioni
Per quanto ci è stato possibile in questa presentazione, abbiamo
cercato, seppur in modo non del tutto esauriente, di tracciare un quadro
delle realtà e dei problemi con cui si confrontano ogni giorno gli studenti di
italiano nella Repubblica di Corea e quelli di lingua coreana in Italia.
Abbiamo visto come spesso risulti arduo per loro intraprendere nel loro
paese un cammino formativo nell’ambito di tali culture che non sia qualcosa
di superficiale e poco utile a livello professionale.
Tutta una serie di osservazioni, infatti, ci hanno indotto a trarre queste
conclusioni; a partire dall’assenza di un numero sufficiente di istituti
universitari che offrano tali insegnamenti, alla carenza di personale
specializzato negli stessi, giungendo mestamente a constatare perfino la
mancanza di strumenti indispensabili allo studio di una lingua, come un
buon libro di grammatica o un accurato e rigoroso dizionario.
L’Italia e la Corea, insomma, investono incomprensibilmente ancora
molto poco l’una nell’altra in termini di formazione universitaria e, di
conseguenza, nella creazione di figure competenti e utili a incrementare un
certo interscambio culturale fra i due paesi. Tutto ciò, come si è già detto,
avviene nonostante negli ultimi anni si sia assistito a un progressivo e
inevitabile avvicinamento fra le due realtà, sia in ambito economicocommerciale che culturale. Il paradosso, quindi, stà nel fatto che delle figure
competenti di cui sopra si avverte sempre di più la necessità in ambedue le
realtà.
Abbiamo analizzato caratteristiche importanti della lingua coreana come
la complessa e intricata rete di onorifici, ci siamo soffermati su qualche suo
aspetto interessante come la totale mancanza delle categorie di genere e
numero, tutto ciò tenendo sempre ben presente le difficoltà
d’apprendimento.
Il nostro intento non consiste tanto nella volontà di colmare quella che
consideriamo una grossa lacuna, ma piuttosto nell’offrire un’idea di quanto
e dove le due lingue risultino strutturalmente così diverse. Ci sembra anche
42
Lingua coreana – studi coreani in Italia e studi italiani in Corea
questo un motivo più che valido perché si profonda un maggior impegno
nell’agevolare lo studio del coreano in Italia e quello dell’italiano in Corea.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
43
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La Corea nelle relazioni internazionali tra il XIX° e il XX°
secolo
di Valdo Ferretti
La penisola coreana tra la fine del XIX° secolo e l’inizio del secondo
dopoguerra ha rappresentato un punto di riferimento importante per
l’evoluzione della politica di potenza a livello mondiale in due fasi cruciali
nella storia del mondo contemporaneo e da questo punto di vista ha avuto
un ruolo non meno importante dei Balcani o del Medio Oriente. Nello stesso
tempo queste gravi vicende internazionali hanno inciso sulla sua storia
nazionale e hanno lasciato una traccia ancora visibile sul problema della
sua unità politica.
Il primo dei due riguarda gli ultimi due decenni dell’800 e coincide con
quello in cui si coagulano le premesse della prima guerra mondiale. L’altro
si colloca al tempo della Prima Guerra Fredda e della nascita del
bipolarismo originato dall’esito della Seconda Guerra Mondiale con le sue
conseguenze nell’area del Pacifico.
Nel primo caso inoltre, ci troviamo di fronte ad una fase drammatica nella
storia coreana vista dall’interno, dato che negli stessi anni ebbe termine
l’isolamento internazionale attuato dalla dinastia Yi e cessò il secolare
vassallaggio verso l’impero cinese; la società cominciò faticosamente a
modernizzarsi e in uno spazio di pochi anni il paese passò sotto la
48
La Corea nelle relazioni internazionali tra il XIX° e il XX° secolo
dominazione coloniale giapponese, la quale, malgrado il suo autoritarismo,
contribuì a modernizzare la società locale.
Gli anni dopo la seconda guerra mondiale invece furono segnati dal
ritorno alla piena indipendenza, ma anche dalla divisione in due stati. In
questo caso il condizionamento internazionale, ancora una volta decisivo, fu
dovuto alla sistemazione dell’Estremo Oriente dopo la sconfitta del
Giappone nel 1945. Giocò un’importanza tutta particolare il delicato
rapporto che prese forma dopo il 1948, fra la Repubblica Popolare Cinese e
l’Unione Sovietica, dietro la facciata dell’alleanza del 1950.
In tutti e due i momenti si assiste all’interazione tra fattori esterni e
variabili appunto nazionali. Sia nel primo che nel secondo caso l’ingerenza
e l’interesse delle potenze straniere fu sollecitato, anche se non
esclusivamente, dalla turbolenza interna dovuta alla lotta politica fra le forze
della Corea stessa,. Tutto sommato appare qui confermata un’immagine
consolidata che nel tempo è diventata quasi convenzionale. Malgrado la
sua sostanziale omogeneità culturale raggiunta da secoli, questo paese
risultava troppo debole per difendere la propria indipendenza o la sua
collocazione internazionale in un’epoca di profondi cambiamenti. Da un lato
la maggiori potenze appuntavano la loro attenzione sull’Asia Orientale,
dall’altro alcuni stati non-europei si aggiungevano al loro gruppo o
contribuivano ad influenzare la dinamica dei rapporti reciproci. In particolare
pesa il ruolo della Cina, che con la Corea ha relazioni territoriali e storiche
molto specifiche, e del Giappone, che nella seconda metà del XIX° secolo è
il primo paese di civiltà non cristiana ad assumere la veste, ancora a livello
locale, di grande potenza, e anche esso è orientato dai condizionamenti
della geopolitica a puntare gli occhi sul vicino regno distante, al di là di un
ponte di piccole isole, meno dell’Africa dalla Sicilia.
Vale la pena di considerare che forse non è un caso se alla fine del XX°
secolo , quando l’Asia Orientale è diventata un sistema autonomo rispetto a
quello” occidentale”, specialmente dopo la fine del bipolarismo e dell’Unione
Sovietica, assistiamo ad alcuni passi significativi verso il ritorno all’unità
nazionale, ora che i residui dell’età dell’imperialismo si sono oramai
diradati .
Entreremo ora un po’ più nei particolari sui due tornanti storici che
abbiamo indicato più avanti. Sotto la dinastia Yi o ChÌson (1392-1910), la
Corea, il “regno eremita” come spesso veniva chiamata nell’800, fu il più
fedele fra i “ vassalli” dell’impero cinese, sia sotto la dinastia dei Ming (13681644) che sotto i Qing (1644-1912), i quali successero loro nel XVII° secolo.
Essa inviava periodicamente ambascerie a Pechino, riconoscendo la
Atti del Convegno Conoscere la Corea
49
celeste superiorità del Figlio del Cielo, che secondo la dottrina tradizionale
era l’unico sovrano sulla terra titolare del cosiddetto “ mandato celeste”, il
quale accettava di avere rapporti solo con i re che riconoscessero la sua
speciale posizione di superiorità. A sua volta in linea di principio egli non si
ingeriva nella politica interna del paese e prospettava la sua benevola
protezione ai monarchi vassalli, i quali, senza però rigidi impegni
formalmente fissati e vincolanti, si aspettavano di essere protetti da lui sia
in caso di minacce provenienti dall’esterno che di ribellioni interne. Nel caso
della Corea, tuttavia, questo sistema, talvolta chiamato “sinocentrico”
oppure “ confuciano” assumeva sfumature particolari dato che la vicinanza
alla capitale imperiale ne faceva una specie di “passerella” geografica, per
invasori o nemici provenienti da Sud i quali intendessero invadere la Cina,
puntando direttamente sulla capitale. Di conseguenza per ragioni
strategiche il controllo di questo paese era fondamentale per la sicurezza
della Cina e per l’integrità del suo confine marittimo, data la prossimità del
paese al Mar Giallo e al Golfo del Pechili. Per questa ragione Pechino era
molto più attenta alle faccende coreane di quanto non fosse nel caso degli
altri stati tributari e le attribuiva un peso maggiore.
Fino all’inizio della seconda metà del XIX° secolo la Corea praticò, ad
imitazione della Cina, una politica di chiusura alle relazioni con gli altri
paesi, esclusi limitati rapporti col Giappone dei Tokugawa. Nello stesso
tempo l’autorità della monarchia e delle classi dominanti fu però
intermittentemente scossa da movimenti e ribellioni popolari, anche a
sfondo religioso, che davano sfogo all’insofferenza soprattutto della classe
contadina e fra i quali assunsero un rilievo particolare le sollevazioni dei
cosiddetti Tong-hak. Il governo reale prese anche un atteggiamento
persecutorio di fronte ai primi tentativi di evangelizzazione missionaria,
offrendo così il fianco all’intervento di potenze europee, che cercavano di
rompere l’isolamento del paese.
Tutta questa situazione subì una brusca accelerazione negli ultimi tre
decenni dell’’800. In quel momento la Cina, sconfitta nelle due “ guerre
dell’oppio” e il Giappone, che aveva subito l’apertura imposta dalle potenze
straniere e i “ trattati ineguali” del 1854 e del 1858, accettano di aprirsi al
commercio internazionale e intraprendono vasti programmi di riforme
interne, molto più radicali ed efficaci nel secondo caso, con l’obiettivo di
recuperare quei lembi di sovranità tariffaria e giudiziaria di cui sono stati
privati e allo stesso tempo mettersi in condizioni di resistere alla pressione
straniera. Ambedue però mirano anche a creare una potenza miliare di
tipo moderno per confrontarsi con le potenze straniere. Inevitabilmente
50
La Corea nelle relazioni internazionali tra il XIX° e il XX° secolo
questo le rende più rigide nella tendenza a controllare i paesi vicini. In quel
momento per la politica estera del Giappone Meiji la Corea diventa lo
scenario principale e quello ove il nuovo regime di Tokyo si misura con la
Cina. Inoltre la vicinanza geografica e il fatto di aver avuto contatti
dall’epoca precedente ne fa un obiettivo privilegiato per i primi mercanti
giapponesi che, dopo l’ “apertura” del loro paese, si affacciano sui mercati
esteri. Inoltre diventa presto chiaro per ragioni militari che se il “ regno
eremita” fosse caduto sotto il dominio di una potenza europea,
automaticamente ne sarebbe derivata per il Giappone una grave minaccia.
Sono questi fattori, più che le prime forme di ideologia imperialista più o
meno visionaria, a motivare la politica nipponica verso il paese vicino, che
alla metà degli anni ’70 viene obbligato ad aprire i suoi primi porti. Giova
tuttavia ricordare che in quegli anni la Cina proietta ancora, fra gli stati
dell’Estremo Oriente, l’immagine di una potenza. Negli anni fra il 1884 e il
1885 essa conduce una guerra contro la Francia che sta avanzando
nell’odierno Vietnam e il governo di Parigi sonda la possibilità di
raggiungere un’intesa con Tokyo, la quale già nel 1882 è arrivata al limite
dello scontro con l’impero celeste proprio a causa della penetrazione in
Corea. Il Giappone però, in quel momento è ancora timoroso della potenza
del gigantesco vicino, suo maestro di civiltà, e delle sue armate moderne, e
non risponde alle aperture dei francesi. Intanto in Corea la situazione si fa
sempre più complessa. Nella pubblica opinione una corrente di intellettuali
modernizzatori è attratta dal tipo di riforme introdotte nel Sol Levante ed è
critico del forte conservatorismo della corte reale, la quale rimane a sua
volta fedele al vassallaggio verso i Qing, mentre al suo stesso interno un
agguerrito partito xenofobo , guidato dal padre del re, aspira a ristabilire
l’isolazionismo. I cinesi stessi però lo ostacolano quando esso cerca di
organizzare un colpo di stato e un atto di forza contro il Giappone nel 1882,
perché si rendono conto che se la Corea continuerà ad aprirsi
moderatamente, in particolare la Russia, fra tutte le potenze la più
interessata ai porti coreani, frenerà l’espansionismo del rivale paese
asiatico, salvando in concreto i tradizionali legami fra Seul e Pechino. Nello
stesso tempo si sente anche l’influenza della rivalità anglo-russa in Asia e
nel 1885 sia S. Pietroburgo che Londra cercano di ottenere un porto sul
territorio coreano e poi rinunciano alle loro pretese. Nel 1887 la Cina e il
Giappone raggiungono un accordo che segna un confine fra due epoche.
Entrambi ritireranno le forze militari che hanno nella penisola , con la
clausola che, in caso di gravi turbamenti, potranno inviarne di nuovo,
purché in pari misura e previo un reciproco preavviso. Il governo di Tokyo
Atti del Convegno Conoscere la Corea
51
interpreta questo accordo nel senso che esso poneva fine al protettorato
cinese, creando un altro punto di attrito, per ora solo virtuale, con Pechino,
ma negli anni seguenti, mentre il re Kojong tenta di avviare un timido
programma di riforme, lo scenario si complica ancora. Da un lato
l’espansionismo russo in Asia diventa più vivace dopo il viaggio del principe
ereditario in Estremo Oriente nel 1890 e il varo del progetto della ferrovia
transiberiana. A questo punto la Cina decide di trasformare il blando
rapporto con Seul in un protettorato di tipo moderno ispirato ai modelli
occidentali e di interferire più profondamente nelle questioni locali. Il
Commissario dei Porti, cioè il vicerè imperiale incaricato della difesa
marittima, Li Hongzhang, invia come Residente ( anban) in Corea un
giovane ufficiale, Yuan Shikai, con un contingente di truppe addestrate alla
maniera europea e avvia la repressione del partito più simpatizzante verso il
Giappone, anche soltanto sul piano intellettuale. Nel 1894 un esponente di
quest’ultimo, Kim Okkyun, verrà attirato a Shanghai e assassinato in un
episodio clamoroso che contribuirà a scaldare gli animi in un momento di
crisi decisiva. Intanto dal 1893 si riaccendono in Corea le rivolte dei Tonghak e l’anno seguente la situazione precipita. Il governo reale, seguendo la
tradizione del vassallaggio, chiede aiuto all’imperatore cinese, che invia in
Corea forze militari, le quali soffocano la rivolta. Il Giappone richiede
l’applicazione del trattato di Tianjin del 1887 e ne invia a sua volta, in
numero maggiore, proponendo nello stesso tempo alla Cina un piano di
riforme da suggerire alla corte coreana e da introdurre sotto la vigilanza di
tutti e due. Dopo un elenco di trattative infruttuose, nel luglio del 1894 si
verificano una serie di gravi incidenti, fra i quali l’occupazione del palazzo
reale coreano da parte di soldati giapponesi, finché all’inizio di agosto
cominciano le ostilità vere e proprie, con quella che da allora viene
chiamata la guerra sino-giapponese. Nel corso della guerra la Cina viene
rapidamente sconfitta e il trattato di Shimonoseki, firmato nell’aprile del
1895, sancisce ufficialmente la fine del protettorato cinese sulla Corea, che
durante la guerra è occupata dal Giappone. Per un breve periodo il paese
diventa perciò pienamente indipendente e il re si fregia in conseguenza del
titolo di imperatore. La sua precaria indipendenza trova però fondamento
soltanto nell’equilibrio fra le potenze contrapposte fra loro, le quali
intendono impedire alle loro rivali di affermarvi pienamente la loro influenza.
Il caso di questo paese suscita tuttavia simpatie nelle opinioni pubbliche dei
paesi europei e questo giova moderatamente alla sua causa. Il Giappone,
che cerca di frenare l’avanzata russa nell’Asia Nordorientale, nel 1898,
dopo che il governo zarista ha ottenuto dalla Cina una base a Port Arthur e
52
La Corea nelle relazioni internazionali tra il XIX° e il XX° secolo
il possesso della penisola del Liaodong sul Mar Giallo, riesce a vedersi
riconosciuti dalla Russia, con un gesto però vuoto di significato pratico, i
suoi interessi economici sulla penisola con i cosiddetti accordi Nishi-Rosen.
Fra il 1897 e il 1901 si sviluppa intanto in Estremo Oriente il movimento e
poi il grave incidente che ha preso nome dai cosiddetti boxers e nel 1900
porterà all’invasione della Cina del Nord e all’occupazione di Pechino da
parte di un’armata internazionale. Nello stesso periodo un esercito russo
occupa la Manciuria, la grande provincia cinese confinante con la Corea.
Quando gli eserciti alleati lasciano Pechino, un accordo improvviso con i
cinesi autorizza l’esercito zarista a rimanere. La diplomazia avvia i negoziati
che porteranno nel 1902 alla conclusione dell’alleanza anglo-giapponese.
Nel frattempo vengono avviate trattative anche con la Russia, che il
Giappone cerca di costruire sullo schema di uno scambio di riconoscimento
di sfere di influenza ( la Manciuria alla Russia contro la Corea al Giappone).
Esso cerca anche di ottenere nei negoziati col governo britannico l’esplicito
riconoscimento dei suoi interessi sulla penisola, ma proprio per i timori di
Whitehall di reazioni negative da parte della propria opinione pubblica, deve
accontentarsi alla fine di un impegno molto più vago. Dopo l’inizio della
guerra sino-giapponese nel 1904, la Corea viene occupata dall’esercito
nipponico, il quale costringe il governo reale a firmare una serie di accordi,
che modificano la status internazionale del paese. Con un primo trattato del
23 febbraio 1904, il governo coreano si impegnava ad accettare i consigli
del Giappone relativamente ai “miglioramenti nell’amministrazione” e a non
prender impegni internazionali in contrasto con questi. Con un altro trattato
del 22 agosto, esso si obbliga ad accettare un consigliere suggerito dal
governo di Tokyo e a trattare secondo i suoi suggerimenti le faccende
finanziarie. Alla stessa maniera un consigliere straniero, ma raccomandato
dal governo giapponese, sarebbe stato impiegato anche nelle questioni
diplomatiche, mentre più genericamente la Corea prendeva l’impegno di “
consultare preventivamente il governo giapponese riguardo alla firma di
trattati e convenzioni con potenze straniere ed ad altre questioni
diplomatiche”.
Infine con un terzo trattato del 17 novembre 1905, sulla cui validità molti
giuristi hanno tuttavia formulato gravi dubbi, a causa della minacciosa
presenza delle truppe giapponesi intorno al parlamento coreano quando fu
votata la ratifica, il Giappone assunse la rappresentanza internazionale del
regno nella sua interezza. Praticamente, seguendo un modello tipico del
periodo “ imperialista”, in questo modo veniva stabilito un protettorato di tipo
moderno del Giappone sulla Corea. Il trattato di Portsmouth, che pose
Atti del Convegno Conoscere la Corea
53
termine alla guerra russo-giapponese, dal canto suo, contiene il
riconoscimento da parte della Russia degli interessi giapponesi in Corea,
così come il testo dell’alleanza anglo-giapponese firmato nell’agosto 1905,
che inserisce anche il territorio coreano nell’area geografica coperta dagli
impegni militari dei due contraenti a venire in soccorso l’uno dell’altro in
caso di aggressione da parte di una terza potenza.
Nel quadro di tutta questa situazione, il Giappone si sforzò di rendere
tutta la sua posizione più forte e nella convenzione segreta che
accompagnò il trattato concluso con la Russia nel luglio del 1907 ottenne da
S. Pietroburgo ulteriore conferma dei suoi “speciali interessi” nella penisola.
Gli anni seguenti sono segnati dalla competizione fra il Giappone,
sempre più vicino alla Russia zarista, per gli investimenti ferroviari nell’Asia
Nordrientale, e gli Stati Uniti che sfidano la posizione di queste due
potenze. L’oligarca ItØ Hirobumi uno dei capofila dell’avvicinamento a San
Pietroburgo, viene assassinato nel 1909 ad Harbin in Manciuria proprio da
un nazionalista coreano, ma nel 1910 Russia e Giappone conclusero un
altro trattato ancora più impegnativo e lo stesso anno Tokyo annesse
formalmente il paese, pur garantendo al re gli onori e un trattamento
confacenti alla sua dignità.
Per circa trentacinque anni la Corea cessa da allora di esistere come
stato indipendente, ma un movimento di opposizione che combatte la
dominazione straniera continua ad esistere.
Un governo in esilio si stabilisce a Shanghai dal 1919 e alcuni esponenti
di quest’ultimo organizzano nel 1932 un attentato a Shanghai, che
contribuisce ad aggravare consistentemente la crisi internazionale,
cominciata col cosiddetto Incidente Mancese dell’anno precedente. Fra i
personaggi più noti di questi gruppi affiora Syngman Rhee, un aristocratico
nato nel 1875 e imparentato con la famiglia reale, che per la sua attività
politica aveva trascorso alcuni anni in prigione e si era convertito al
Cristianesimo. In seguito si era trasferito negli Stati Uniti dove nel 1910
conseguì il dottorato all’università di Princeton. Nel periodo fra le due guerre
rimase prevalentemente in America, pur mantenendo rapporti col governo
provvisorio stabilito a Shanghai, del quale rinunciò tuttavia alla presidenza,
ma di cui cercò di farsi portavoce negli Usa. In particolare dopo l’attacco a
Pearl Harbor, Rhee riuscì a coltivare amicizie e relazioni
nell’amministrazione Roosevelt, ma, a quel che sembra, senza riuscire a
costruire una rete di sostenitori realmente convinti delle sue posizioni o
delle sue capacità. In questo periodo tuttavia si sforzò anche senza
54
La Corea nelle relazioni internazionali tra il XIX° e il XX° secolo
successo di ottenere dall’amministrazione americana un impegno per
l’indipendenza del paese una volta sconfitto il Giappone.
All’interno del “ Club Indipendentista” di Shanghai compare un altro
leader, anche più influente e contrario alla dominazione giapponese, fu Kim
Ku, che condivideva con Rhee un accentuato conservatorismo e riuscì a
costituire una stretta alleanza con il Guomindang. Negli anni della Guerra
del Pacifico il governo provvisorio coreano si stabilì a Chungking,
confermando la sua prossimità al regime di Chiang Kai-shek.
Già nel periodo fra le due guerre si sviluppò intanto un attivo movimento
comunista in Corea, il quale si diffuse anche per l’elevato numero di coreani
che si trovavano fuori dei confini nazionali, in Manciuria e in Siberia.
All’inizio degli anni ’20 il movimento era ancora molto diviso e La 2a
internazionale ( il Komintern) da Mosca non riuscì a stabilire un fermo
controllo su di loro. Mentre il Partito Comunista coreano venne fondato nella
clandestinità a Seul nel 1925, si formarono in territorio sovietico e cinese
almeno tre gruppi o fazioni. Una aveva il suo centro a Shanghai, era più
attenta a rivendicare la propria autonomia rispetto all’Internazionale con
sede a Mosca e mostrava inclinazione a collaborare con gli indipendentisti
conservatori vicini al Guomindang. L’altra assunse presto il nome d gruppo
di Irktusk ed era fedele alla leadership sovietica. Nel 1921 un sanguinoso
scontro, risolto dal pesante intervento dell’esercito russo, si svolse nella
città siberiana. Dopo il 1929 poi, un’altra formazione comunista si forma in
Cina, in contatto col Partito Comunista Cinese. Il Partito esistente in Corea
subì una pesante repressione da parte della polizia giapponese, che, a
causa dei suoi metodi, contribuì ad esacerbare l’astio dei nativi verso la
potenza occupante. Come suo capo emerse la figura di Pak Hon-yong, che
ufficialmente fondò di nuovo il partito l’12 dicembre 1945, poche settimane
dopo la sconfitta del Giappone. Era intanto emerso il personaggio destinato
ad essere il principale leader comunista del secondo dopoguerra. Kim
Song-ju, che in seguito assunse il nome di Kim Il Sung, era di origine
contadina e in gioventù partecipò ad azioni di guerriglia contro i giapponesi,
dopo il 1919. Fu in seguito attratto dai modelli di Stalin e di Mao Zedong e si
stabilì a Khabarovsk, in territorio sovietico; nel 1941, dopo essere emigrato
in Manciuria, per combattere durante la guerra come sottufficiale
nell’esercito russo. Per quanto se ne sa, non aveva rapporti in quel periodo
col partito comunista coreano. Nel 1945 perciò, i comunisti erano
approssimativamente suddivisi in quattro diramazioni, una ortodossa e
fedele a Mosca, due rispettivamente guidate da Pak e da Kim e una,
cosiddetta di Yenan, vicina al Partito Comunista cinese.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
55
L’equilibrio e la fortuna di queste frazioni fu sostanzialmente determinato
dall’intervento dell’Urss nella guerra del Pacifico e dalle decisioni delle
potenze vincitrici. Durante la guerra del Pacifico gli Stati Uniti e le potenze
europee interessate si orientarono nel senso che, con la sconfitta del
Giappone, la Corea venisse sottoposta ad una forma di amministrazione
fiduciaria, la quale avrebbe dovuto precedere il ritorno all’indipendenza. Alla
conferenza del Cairo nel 1943, Rodsevelt, Churchill e Chiang Kai-shek
convennero in linea di principio di mirare a questo obiettivo , come dice un
documento americano preparatorio “ appena possibile”, mentre la
conferenza di Teheran stabilì nel dicembre che l’Urss sarebbe entrata nella
guerra in Estremo Oriente e che il primo regime da applicare alla Corea,
una volta sconfitto il Sol Levante, sarebbe stato l’amministrazione fiduciaria.
Stalin accettò questa formula, ma alcuni ritengono che egli fosse convinto
che comunque l’evoluzione della situazione avrebbe favorito o determinato
l’ingresso della penisola nella zona d’influenza russa in Asia Orientale.
Nella primavera del 1945, mentre si preparava l’intervento della Russia
contro il Giappone, il governo americano iniziò a prendere in considerazione
l’idea di occupare una parte della Corea, eventualmente anche prima di
invadere il Giappone propriamente detto, cominciando altresì a riflettere
sulle conseguenze che l’ingresso dell’esercito russo nella penisola avrebbe
comportato. Da un lato non sembrava opportuno lasciarla interamente al
controllo dei sovietici, dall’altro era evidente che la loro azione avrebbe
contribuito a rendere più rapida la sconfitta del nemico nipponico. Almeno in
un primo momento però, era desiderata una soluzione che non creasse
attriti con Mosca. La soluzione di due diverse zone d’occupazione al 38°
parallelo parve subito convincente, anche se alcuni suggerirono il 39°
oppure il 40°, perché sarebbe bastato a lasciare la capitale nell’area
controllata dagli Usa, ma anche a causa di precedenti storici, che risalivano
addirittura ai negoziati fra il condottiero giapponese Hideyoshi e la Cina nel
1593 oppure a quelli per divisione dl paese in due sfere d’influenza nel
1895. Alla fine tale formula fu accolta dal Presidente Truman, presentata a
Stalin e accettata dal dittatore georgiano.
L’invasione del paese fu seguita da un’ondata di reazione popolare
soprattutto nelle campagne, la quale diede origine alla comparsa di
numerosi “comitati di villaggio”, i quali esprimevano speso orientamenti
politicamente radicali, i quali davano sfogo al risentimento popolare verso
quei notabili che avevano collaborato con l’amministrazione coloniale
giapponese e aveva lasciato dietro di sé un’ondata di risentimento. Dove i
capi e gli anziani dei villaggi erano rimasti estranei a queste accuse, la
56
La Corea nelle relazioni internazionali tra il XIX° e il XX° secolo
rabbia dei contadini li risparmiò e ciò parve confermare che il
comportamento dei comitati in questione non dipendesse dall’influenza dei
comunisti. L’amministrazione americana che subentrò nella Corea del Sud
però non si rese conto di tutti gli aspetti di questa dinamica e rimase sotto
l’impressione che nel paese si agitasse una vena rivoluzionaria, in sostanza
senza capire che la sua tendenza a continuare almeno provvisoriamente a
fare uso del personale del periodo giapponese generava astio e avversione
a livello popolare.
Intanto il progetto di trusteeship trovava gravi difficoltà ad essere tradotto
in pratica. Alla fine dell’anno infatti, quando già la situazione in Europa
cominciava ad evolversi verso a Guerra Fredda, esso venne largamente
svuotato alla cosiddetta Conferenza di Mosca del dicembre 1945, alla quale
prese parte anche la Gran Bretagna. Sotto l’influenza sovietica, venne
deciso che il futuro del paese sarebbe stato deciso attraverso tre fasi; una
prima segnata dall’intesa tra le autorità militare delle due potenze occupanti,
che avrebbe dovuto essere seguita da una presa di contatto di entrambe
con le forze politiche coreane, in vista di successive elezioni per preparare
l’indipendenza. Solo successivamente si sarebbe dato avvio
all’amministrazione fiduciaria .
Nel Sud del paese però, il partito di destra che si raccoglieva intorno a
Rhee e Kuang Ku fece di tutto per sabotare questo processo, giungendo al
punto di organizzare un’ondata di disordini e di scioperi contro gli americani
che costarono l’eclisse politica. D’altro canto sempre nel Sud si era formato
anche un Partito Democratica Coreano, orientato a sinistra ma non
comunista, che preferiva la continuazione dell’accupazione Usa alla
trusteeship. Seguì la formazione di un Consiglio Democratico
Rappresentativo, al quale prendevano parte sia elementi di sinistra
democratica che conservatori e che gli Americani tendevano a vedere come
rappresentativo di politici locali con cui trattare. L’applicazione dell’accordo
di Mosca intanto fu rallentata dai sospetti fra le due superpotenze quando la
Commissione Congiunta prevista dalle intese di Mosca si riunì nel marzo
1946. Intanto Rhee fondò una Società per la Rapida Realizzazione
dell’Indipendenza e fallì un tentativo americano di dare origine a un
comitato che raccogliesse esponenti politici locali di sinistra democratica e
conservatori e alla fine furono tenute elezioni provvisorie, le quali, anche a
causa pare di brogli, diedero il vantaggio alla corrente di Rhee.
Mentre in Europa si accelerava il corso della Guerra Fredda e veniva
enunciata la dottrina Truman nel 1946, il clima nel Sud del paese si fece
sempre più teso, a causa dei contrasti fra i partiti coreani, spingendo le
Atti del Convegno Conoscere la Corea
57
autorità Usa a rilanciare il cammino verso indipendenza e convocando la
Commissione Mista, i cui lavori furono però frenati dall’intransigenza dei
sovietici, ostili sia al dialogo con la destra di Rhee che alla trusteeship, e
alle pressioni dei fautori di quest’ultimo per arrivare subito all’indipendenza.
Dopo svariate traversie la commissione si riunì nell’agosto del 1947 per
scontrarsi sul problema delle modalità delle elezioni che avrebbero dovuto
tenersi. Alla fine gli Usa, convinti che sul piano strategico la penisola non
fosse di primaria importanza, optarono per l’idea di elezioni controllate dalle
Nazioni Unite su tutto il paese per attuare l’indipendenza. La proposta
venne approvata e la commissione nominata, sebbene diversi fra i membri (
specialmente India, Australia e Canada) non condividessero gli schemi
americani. Essa però non ebbe accesso nel Nord. L’esito del ballottaggio
portò, fra molte critiche, alla vittoria del blocco conservatore e , nel luglio del
1948 Rhee fu eletto presidente della Repubblica di Corea, mentre le
Nazioni Unite nominarono una nuova commissione , Uncok, per seguire il
problema della riunificazione.
Diversamente andavano intanto le cose nel Nord, dove successivamente
all’occupazione sovietica alla fine del 1945 si affermò l’autorità di Kim Ilsung
e si formò nel 1946 un comitato ad interim per preparare la riunificazione e
l’indipendenza mentre proseguivano le trattative che sopra abbiamo
riassunto. Gradualmente le altre formazioni politiche scomparvero e venne
avviata una riforma agraria su linee analoghe a quella programmata, e
attuata in seguito, nella Cina di Mao. Nel 1948 le ruppe russe evacuarono il
paese e nel luglio un’assemblea nazionale approvò una costituzione. Il
regime si dotò con la collaborazione sovietica di potenti forze armate e già
fra la fine del 1948 e il 1949, documenti di intelligence americani e inglesi
prevedevano che in caso di guerra il Nord avrebbe presumibilmente avuto
la meglio sul Sud.
In questo periodo si notarono anche una serie di episodi e di incidente
lungo la linea divisoria di confine. Come da tale situazione si arrivasse alla
guerra de 1950 è stato un argomento polemicamente discusso per molto
tempo, con forti coloriture ideologiche, come è naturale, fino a quando la
parziale apertura degli archivi diplomatici russi seguiti alla fine dell’Unione
Sovietica, non ha probabilmente offerto nuovi e decisivi elementi.
Certamente Kim si rivolse a Stalin nel corso del 1949 per ottenere
l’autorizzazione a risolvere il problema con le armi e altrettanto di sicuro
giocò a suo favore la dichiarazione del Segretario di Stato americano
Acheson, per la quale la Corea non rientrava nel “ perimetro difensivo” degli
Usa. Stalin comunque mise in chiaro con lui che l’Urss non avrebbe potuto
58
La Corea nelle relazioni internazionali tra il XIX° e il XX° secolo
offrire aiuto diretto in caso di guerra e suggerì al leader coreano di rivolgersi
alla Cina di Mao, con cui nel marzo 1950 l’Urss concluse un’alleanza
difensiva. Non è chiaro ed è molto discusso oggi se in realtà il dittatore
georgiano stesse indirettamente favorendo un attacco della Corea del Nord
contro quella del Sud, forse pensando, secondo una teoria mai però
dimostrata, a un conflitto lì come banco di prova per un’offensiva da
scatenare anche in Europa contro l’alleanza occidentale. Kim comunque
restava persuaso, almeno sembra, che gli Usa non sarebbero intervenuti e
nel maggio del 1950 rassicurò Mao a Pechino che le sue forze sarebbero
bastate a conseguire la vittoria. Nel giugno 1950, avuta via libera dalle due
grandi potenze comuniste, le forze del Nord diedero inizio all’invasione del
Sud passando il 38° parallelo.
Gli eventi della guerra sono noti e la storiografia recente ha chiarito
abbastanza i termini dell’intervento cinese dopo la ferma reazione delle
Nazioni Unite e le riserve e resistenze di una parte dei dirigenti e dei capi
militari cinesi a seguire le sollecitazioni di Stalin e le richieste di aiuto di
Kim, quando il suo esercito giunse sull’orlo dell’annientamento nell’autunno
del 1950. Analogamente non ci occuperemo delle vicende belliche che in
sostanza riportarono i due contendente al confine precedente nella prima
metà del 1950, aprendo la strada ai negoziati che si conclusero con
l’armistizio di Panmunjun nel 1953, dopo un’interminabile trattativa che si
concentrò ampiamente sul problema del destino dei prigionieri nordcoreani
catturati, i quali eventualmente non volessero essere restituiti al paese di
origine.
Conviene comunque ricordare in conclusione alcuni punti che
probabilmente aiutano a inquadrare certe costanti del problema coreano,
ridivenuto di attualità non a caso subito dopo la fine definitiva della Guerra
Fredda e che ancor oggi fa parlare di sé.
Fino alla seconda metà dell’800 abbiamo visto che la Corea fu soggetta
alla pressione di potenze politiche situate a Nord ( la Cina, la Russia etc.)
oppure provenienti dalla regione oceanica ( principalmente il Giappone).
Data questa posizione già in epoca premoderna essa fu al centro della
rivalità fra i suoi vicini ( basti ricordare la crisi, lontane nel tempo, dei secoli
VII° e XVI°). La tendenza all’isolamento degli stati dell’Estremo Oriente e il
protettorato cinese le garantirono però una situazione tranquilla, per quanto
stagnante, nel periodo della dinastia dei Qing, fino all’avvento
dell’espansione occidentale in Asia e alla modernizzazione del Giappone
nella seconda metà dell’800. Da quel momento il “regno eremita” viene
coinvolto nei contrasti internazionali. Si riapre la concorrenza fra i potenti
Atti del Convegno Conoscere la Corea
59
vicini situati a Nord e a Sud, che si conclude con l’annessione al Giappone
nel 1910. Si affaccia però in questa fase la tendenza ad una sua divisione in
sfere di influenza, vagamente preannunziata anche in epoca antica, durante
la fase diplomatica che precede la guerra russo-giapponese,
significativamente lungo il confine geografico del 38° parallelo..
Dopo il recupero dell’indipendenza, le vicende che abbiamo descritto
portano ancora una volta ad una divisione di fatto in due stati, ciascuno dei
quali legato alle potenze confinanti al Nord ( la Russia principalmente, ma
anche la Cina almeno fino alla rottura cino-sovietica del 1960) oppure a
quelle dell’area marittima, sebbene nel secondo dopoguerra la relazioni fra
la Corea del Sud e il Giappone si siano normalizzate lentamente, malgrado
la comune collocazione nell’area delle alleanze degli Usa.
La situazione si modifica però nell’ultimo decennio del’900, con la fine
dell’Urss e, dopo la morte di Deng Xiaoping nel 1997, con la fine del
rapporto amichevole con la Cina, comunque mai spentosi del tutto. Ciò
spinge la Corea del Nord a inseguire la sicurezza militare dotandosi di
armamenti nucleari, stimolando il riarmo anche del Giappone nel momento
stesso in cui finisce il bipolarismo. Ciò conduce agli eventi dal 1903 in poi,
che vedono un particolare interesse cinese nella questione, per evitare che
il riarmo della Corea del Nord favorisca quello del Giappone e nello stesso
tempo che eventuali sanzioni internazionali contro Pyongyang inneschino
una grave crisi internazionale nella regione.E’ appunto per iniziativa della
Cina che dal 2003 iniziano i cosiddetti six powers talks, i quali fra ostacoli e
rallentamenti mirano a scoraggiare le iniziative nucleari della Corea del
Nord e da alcuni sono considerati un germe da cui potrebbe nascere in
futuro un’organizzazione internazionale della sicurezza in Asia Orientale.
Giova ricordare tuttavia che questo processo presenta anche un altro
aspetto Dal 1998, segnatamente nel 2000, per iniziativa del presidente della
Corea del Sud Kim Dae Jung è iniziato un processo di riconciliazione fra le
due Coree, che trova sostegno in una parte della pubblica opinione del Sud.
Poiché però, per i timori dovuti alla questione del nucleare, la Corea del
Nord resta un paese oggetto di gravi sospetti da parte degli Stati Uniti e dei
loro alleati, si assiste oggi ad un certo malcontento contro l’America nella
Corea Meridionale, che preoccupa il governo e potrebbe disturbare la
stabilità della regione. L’intreccio fra tensioni interne e impulsi condizionanti
a livello internazionale resta così caratteristico della vita de paese.
60
La Corea nelle relazioni internazionali tra il XIX° e il XX° secolo
Nota bibliografica
Limitandosi alla produzione in italiano, ricordiamo alcuni titoli. Sebbene
evidentemente molti dati siano da aggiornare resta utile leggere l’opera
panoramica di G. Paresce, La Korea nella Competizione Internazionale, A.
Giuffré, Milano, 1966. Sulla guerra di Corea e la situazione del dopoguerra
ci sono alcuni libri recenti, fra i quali segnaliamo, L.H.Stiven, La guerra di
Corea, Il Mulino, Bologna, 2003, A. Campana, Una Nazione Divisa:
relazioni internazionali nel Nord-Est Asiatico, 1945-1996 , Roma, Koiné 1997
e dello stesso autore, Il dilemma coreano. Gran Bretagna fra Stati Uniti e
Cina (1945-1953), Franco Angeli, Milano, 1995. Segnaliamo inoltre due
articoli, che riassumono il dibattito recente, aggiungendo riferimenti alla
bibliografia internazionale: V. Ferretti, “ Alcuni particolari sull’ingresso della
Cina nella guerra di Corea”, Mondo Cinese, n.97, 1998, pp. 39-53 e ,dello
stesso autore, “ Aspetti della recente storiografia sulla guerra sinogiapponese”, in, C. Bulfoni, a cura di, Tradizione e Innovazione Nella Civiltà
Cinese, Atti del VII Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana di Studi
Cinesi, Franco Angeli, Milano, 2002, pp. 265-274. I materiali relativi
all’annessione della Corea da parte del Giappone possono essere
agevolmente visti in, O. Barié et. al. , a cura di, Storia delle relazioni
internazionali. Testi e Documenti ( 1815-2003) , Monduzzi, Bologna, 2004,
pp. 99-100.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
61
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento
democratico
Antonio Fiori
15
In Corea la democrazia è un elemento allo stesso tempo antico e recente.
Dal 15 agosto 1948, tre anni dopo la liberazione del paese dal giogo
coloniale nipponico, la Corea è divenuta una repubblica presidenziale in cui
erano formalmente presenti tutti gli elementi caratteristici di una democrazia
liberale: l’esistenza di una carta costituzionale, la separazione dei poteri
costituenti lo Stato, il suffragio universale, elezioni, partiti politici, gruppi di
interesse, media e così via. Fino alla metà degli anni ’80, tuttavia, la Corea
non ha potuto in alcun modo essere considerata una democrazia compiuta:
la costituzione è stata frequentemente emendata al fine di eliminare
qualunque limite temporale al mandato presidenziale; l’esecutivo – e in
particolar modo la presidenza – ha dominato sul legislativo e sul giudiziario;
le elezioni non potevano essere considerate eque e libere; i partiti politici
venivano creati e smantellati secondo le inclinazioni personali dei leader;
alcuni gruppi di interesse funzionavano come istituzioni quasi governative; i
media erano rigidamente controllati e monitorati dallo Stato. Malgrado la
facciata procedurale e la retorica ufficiale, la democrazia liberale non ha
avuto modo di manifestarsi nel paese nelle quattro decadi successive
all’inaugurazione della repubblica.
15
Ove non altrimenti specificato, con Corea si intende in questo articolo la
Repubblica di Corea.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
63
Solo alla metà degli anni ’80 il concetto di democrazia liberale ha
cominciato ad assumere un significato nuovo e reale in Corea. Nel giugno
del 1987, infatti, Roh Tae-woo, il candidato conservatore alle successive
elezioni presidenziali nonché ex-delfino del dittatore Chun Doo-hwan, dette
alla luce un documento in cui venivano incorporate la maggior parte delle
richieste provenienti dai partiti di opposizione e dai movimenti sociali aventi
come obiettivo la trasformazione in senso democratico del paese. Questo
passo ha avuto delle ricadute significative per la vita politica della Corea. La
contestazione politica è diventata molto meno radicale e molto più
trasparente, aumentando così la possibilità per gli esponenti dei partiti di
opposizione di riuscire ad essere eletti; la pratica di censurare la stampa è
stata abbandonata; le leggi sull’occupazione sono state completamente
riviste; i prigionieri politici sono stati rilasciati e, soprattutto, le libertà civili
hanno goduto di una espansione mai sperimentata in precedenza. Il
controllo civile sull’apparato militare, requisito integrante per la
sopravvivenza e la protezione della democrazia liberale, è stato
considerevolmente aumentato. Avvalendosi di una accresciuta equità nel
panorama politico, dell’espansione dei diritti civili, e di un rinvigorito
controllo civile sull’apparato militare, la Corea è riuscita a completare la
transizione da un regime autoritario a quello democratico.
Che cosa ha generato l’innesco del processo di democratizzazione in
Corea, innegabilmente il cambiamento politico di maggiore importanza nella
storia moderna del paese? Le risposte a questa domanda sono state
molteplici. Alcuni studiosi hanno posto in risalto il ruolo dei fattori esterni – in
particolare l’atteggiamento degli Stati Uniti – come facilitanti l’avvio della
fase di transizione democratica. Altri invece hanno sostenuto che la
transizione democratica si basava principalmente – se non esclusivamente
– su una serie di calcoli e interazioni concordate da alcune elite politiche.
Molti tra gli analisti del processo di democratizzazione coreano sono
concordi però nel sostenere che la transizione democratica sia stata
veicolata principalmente dai movimenti sociali. Secondo questa tesi sono
stati principalmente i gruppi della società civile a facilitare
significativamente, se non a causare direttamente, le varie fasi del processo
di democratizzazione in Corea. Alcuni in particolare hanno messo in risalto
come i gruppi studenteschi, le organizzazioni sindacali e quelle religiose
abbiano condotto intense lotte pro-democrazia già a partire dai primi anni
’70. Uniti sotto la leadership di molteplici organizzazioni a carattere
nazionale, questi gruppi riuscirono nel 1987 a dare mobilitazione ad una
grande alleanza democratica contro il regime autoritario.
64
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico
In prospettiva comparata quindi il caso della Corea differisce da altre
esperienze sud-europee o sud-americane in quanto i conflitti, le
negoziazioni, e le alleanze strette tra le elite politiche non hanno costituito la
determinante principale del processo di democratizzazione. Piuttosto, come
nel caso di Taiwan e delle Filippine o di alcuni paesi africani, si deve proprio
alla società civile il merito di avere iniziato e diretto il processo di
democratizzazione attraverso l’istituzione di un’alleanza pro-democratica
all’interno della società civile, dando vita ad una grande coalizione con i
partiti politici di opposizione e costringendo il regime autoritario a cedere
alla pressione popolare.
Ciò che è ancora più intrigante rispetto al caso coreano è la assoluta
centralità della società civile anche nella fase di consolidamento
democratico del paese. Di norma, gli studi relativi ai processi di
democratizzazione e consolidamento democratico sono concordi nel
ritenere che la società civile – nel caso in cui essa ricopra un qualche ruolo
nella transizione – si “de-mobilita” immediatamente dopo la conclusione
dello stesso processo di transizione, e tende poi ad essere
16
significativamente marginalizzata durante la fase di consolidamento. Con
la progressiva istituzionalizzazione dell’arena politica e il consolidamento
del regime democratico, le redini del gioco passano in modo incrementale
nelle mani della società politica. In Corea, invece, la società civile non ha
subito un forte contraccolpo, riuscendo a darsi obiettivi e stimoli nuovi
rispetto al passato. I gruppi organizzati hanno cominciato ad investire le
proprie risorse al fine di concorrere alla ripulitura e alla ricostruzione di una
società politica tradizionalmente debole e sotto-rappresentata. Al contempo,
la relazione tra la società civile e lo stato ha subito un cambiamento
sostanziale passando da una opposizione totale e antitetica a forme di
cooperazione e confronto su singoli aspetti di policy.
Di seguito, quindi, verrà analizzato il contributo fornito dalla società civile
al processo di democratizzazione della Corea, ponendo l’attenzione
sull’eredità lasciata dai gruppi organizzati e sul loro impatto sull’ulteriore
consolidamento e radicamento del regime democratico in Corea.
16
S. Fish, Rethinking Civil Society: Russia’s Fourth Transition , “Journal of
Democracy”, 5/3 (1994), p. 34.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
65
Le origini storiche della società civile in Corea
Una delle conseguenze dirette del periodo coloniale in Corea, protrattosi
dal 1910 al 1945, fu l’emersione di un rapporto altamente conflittuale tra lo
17
stato e la società civile.
Il governo coloniale deteneva un potere pressoché sconfinato sul potere
legislativo, giudiziario, amministrativo, sugli affari militari – diretti dalla
madrepatria – ed era meglio organizzato di quanto la monarchia precoloniale coreana fosse mai stata. Allo stesso tempo, però, l’imperialismo
nipponico rese possibile l’emersione in Corea di una società civile
altamente resistente, militante e antagonista. L’afflusso dei capitali
giapponesi apportò dei cambiamenti significativi nell’organizzazione della
società coreana: mentre l’influenza dei capitalisti e dei proprietari terrieri fu
ridimensionata, quella di operai e agricoltori crebbe considerevolmente. Fu
proprio grazie allo sforzo di questi ultimi attori che alla metà degli anni ’20
vennero create molteplici organizzazioni nazionali, come per esempio la
Federazione Coreana dei Lavoratori e la Federazione Coreana degli
Agricoltori. Attraverso la nascita di questa associazioni gli operai e gli
agricoltori coreani poterono non solo difendere i diritti delle proprie
categorie, ma anche lanciare una lotta di indipendenza nazionale che
favorisse la fine dell’imperialismo giapponese. Tali organizzazioni,
assolutamente fuorilegge, presero a simboleggiare l’infaticabile lotta del
popolo coreano contro il colonialismo nipponico. Il vastissimo network di
controllo poliziesco giapponese, spalleggiato da gruppi di collaborazionisti
coreani, permise il quasi totale annientamento di questi gruppi di
opposizione.
A seguito della resa nipponica nel conflitto mondiale nell’agosto del
1945, lo stato coloniale giapponese in Corea si dissolse rapidamente. Le
autorità giapponesi trasferirono i poteri nelle mani di Yo Un-hyong, un
esponente moderato vicino alla sinistra. Yo istituì la Commissione di
Preparazione per l’Istituzione di un Nuovo Stato ( Konjun) che avrebbe
sostituito l’apparato statale nipponico. In due sole settimane la
Commissione istituì 145 uffici locali. L’8 settembre 1945 venne proclamata
la Repubblica Popolare di Corea ( In’gong) e gli uffici locali vennero
convertiti in commissioni dei cittadini (Inmin Wiwonhoe), altamente efficienti
nell’assicurare l’ordine, la sicurezza e la fornitura di cibo.
17
H. Koo, Strong State and Contentious Society , in H. Koo (a cura di), State and
Society in Contemporary Korea, Ithaca, Cornell University Press.
66
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico
Dopo un lungo periodo di soppressione sotto la colonizzazione dei
giapponesi, le organizzazioni civili potevano finalmente mostrarsi
apertamente. Molte organizzazioni facenti capo soprattutto ad operai e
contadini, ma anche a studenti, donne e sette religiose cominciarono ad
emergere nel rinnovato panorama nazionale. Capitalizzando lo spontaneo
attivismo dei lavoratori e degli agricoltori, il Partito Comunista Coreano
(Choson Kongsandang) sostenne alla fine del 1945 l’istituzione e la
proliferazione di numerose organizzazioni, come il Consiglio Nazionale dei
Sindacati dei Lavoratori (Chonp’yong) e della Federazione Nazionale dei
Sindacati degli Agricoltori (Chonnong), e prese l’iniziativa anche
nell’organizzazione della Federazione dei Giovani Democratici Coreani
(Minch’ong), l’Unione Nazionale delle Donne ( Puch’ong), la Federazione dei
Giovani Comunisti (Kongch’ong). Al 15 febbraio 1946 il numero delle
diverse organizzazioni sociali aveva raggiunto quota 35. È necessario
tuttavia sottolineare come queste organizzazioni non fossero interamente
sotto il controllo e l’influenza dei comunisti. In questo periodo, anzi, tali
gruppi godevano di ampia funzionalità ed autonomia. In risposta
all’apparizione di questi gruppi “pro-comunisti”, tuttavia, sorsero anche delle
18
organizzazioni di destra, come l’Associazione Patriottica Coreana delle
Donne (Han’guk Aeguk Puinhoe) e l’Associazione Giovanile Coreana
(Taehan Ch’ongnyondan). Nel periodo immediatamente successivo alla
liberazione, quindi, la Corea fu attraversata da due correnti nettamente
opposte: da una parte l’aggressiva proliferazione ed espansione dal basso
delle organizzazioni sinistrorse, dall’altra la costruzione dall’alto quasi per
reazione delle organizzazioni di destra. In senso generale comunque la
Corea post-liberazione era dominata dalla prima tipologia di organizzazioni.
Il debutto del governo militare statunitense in Corea nel settembre del
1945 segnò la fine della dominazione delle organizzazioni di sinistra,
trasformando al contempo in maniera drammatica lo scenario politico del
paese. Allarmato dalla connessione tra diversi movimenti sociali e i
comunisti, gli americani decisero di porre un freno alla diffusione di queste
organizzazioni. I movimenti sociali neo-costituiti venivano sistematicamente
soppressi e depoliticizzati. Il 10 ottobre il governo militare statunitense negò
al paese lo status di Repubblica Popolare, promulgando peraltro alcune
leggi che proibivano la costituzione di movimenti operai. Molte altre
organizzazioni – sia nelle aree urbane che nelle aree rurali – vennero
18
In molti casi si trattava di organizzazioni che avevano supportato i giapponesi
durante il periodo coloniale.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
67
smantellate. Alcuni gruppi risposero a queste misure di oppressione da
parte degli americani con violenti scioperi e dimostrazioni. Malgrado queste
proteste, però, il governo militare statunitense portò avanti tali misure,
smantellando i partiti di sinistra, chiudendo e sospendendo i giornali di
sinistra, ed imprigionando i leader più vicini alla sinistra. Allo stesso tempo,
le organizzazioni di destra presenti nella società coreana e coloro che
avevano precedentemente appoggiato i giapponesi vennero incoraggiati a
dar vita ad una serie di organizzazioni civili. Gli esponenti di destra, quindi,
si radunarono sotto la bandiera comune dell’anticomunismo e dell’antisovietismo sventolata dal governo militare statunitense.
Con la proclamazione della Repubblica di Corea, nell’agosto del 1948, i
movimenti sociali che avevano fatto la loro comparsa immediatamente dopo
la liberazione dai colonizzatori giapponesi vennero considerati una minaccia
alla neonata democrazia liberale e furono costretti allo scioglimento o alla
clandestinità. La Legge di Sicurezza Nazionale ( Kukka Poanbop), adottata
poco dopo l’inaugurazione della repubblica, venne utilizzata di frequente al
fine di sopprimere i gruppi civili antigovernativi. L’accusa di sedizione era
talmente onnicomprensiva che la legge poté essere usata come uno
strumento politico dalle autorità al fine di eliminare virtualmente qualunque
tipo di opposizione. Ma proprio nel momento in cui la frattura tra il regime
democratico “ufficiale” e la realtà politica dell’autoritarismo cominciava ad
allargarsi verso la fine degli anni ’50, la società civile militante rialzò la testa
in qualità di movimento pro-democrazia. In modo particolare, la società
civile di questo periodo cominciò a scagliarsi con veemenza contro il
presidente Syngman Rhee. La presidenza di quest’ultimo ha spesso
assunto caratteri di aperto autoritarismo. Per questo motivo, oltre che per la
dilangante corruzione del governo e la forte depressione economica gli
studenti presero a manifestare spesso contro Rhee, avendone in risposta
una selvaggia repressione. Tale situazione raggiunse il climax il 19 aprile
1960, quando masse di studenti scesero per le strade di tutto il paese
protestando contro il governo. Dopo questa massiccia dimostrazione, Rhee
fu costretto ad annunciare la fine del proprio progetto politico e lasciare il
paese.
La Seconda Repubblica (agosto 1960-maggio 1961) venne istituita dopo
l’elezione dell’Assemblea Nazionale il 29 luglio 1960. Nel corso di questa
elezione, il Partito Democratico, all’opposizione durante la Prima
Repubblica, diventò il nuovo partito di maggioranza. In brevissimo tempo ,
tuttavia, i democratici si frantumarono in fazioni distinte e Chang Myon, vicepresidente nella Prima Repubblica, divenne il nuovo Primo Ministro il 19
68
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico
agosto 1960, sebbene con un margine molto risicato. Anche il governo di
Chang Myon, tuttavia, riuscì a deludere profondamente i coreani imponendo
delle misure fortemente anti-democratiche. A dispetto di quanto i cittadini si
figuravano, l’instabilità politica e sociale della Seconda Repubblica era
altrettanto seria quanto nella Prima. Malgrado fosse più democratica della
Prima Repubblica in termini istituzionali, la Seconda Repubblica perse il suo
controllo in ambito sociale, politico, ed economico a causa della scarsa
istituzionalizzazione della governance e delle intense lotte politiche tra
partiti.
In questa situazione di particolare instabilità, i militari, con un enfasi
sull’importanza della stabilità politica e sociale per il bene del paese,
cominciarono ad esprimersi in maniera piuttosto critica a riguardo del
regime di Chang Myon. Essi, oltretutto, si sentivano minacciati dalla Corea
del Nord e cominciarono a perseguire l’obiettivo di un cambiamento
strutturale attraverso l’intervento diretto sulla scena politica. Così, il 16
maggio 1961, i militari guidati dal generale Park Chung-hee, assunsero il
controllo del paese attraverso un colpo di stato esautorando il governo
civile. La legge marziale immediatamente proclamata in tutta la nazione
venne mantenuta fino al tardo 1963. Il 18 maggio 1961 i 33 membri del
governo si riunirono per l’ultima volta, decretando così la morte formale
della Seconda Repubblica. I leader militari avanzarono due buone ragioni
per “giustificare” il colpo. La giunta militare sostenne che il colpo di stato era
inevitabile a causa della instabilità politica e dell’inefficienza del sistema
economico.
L’epoca di Park
Dopo tre anni di controllo militare esercitato rigidamente sul paese, Park
dichiarò che si sarebbe ritirato e avrebbe assunto un ruolo nel governo
civile che stava per nascere. Egli si dimise dal suo incarico formale il 30
agosto, per unirsi al Partito Democratico Repubblicano ( Minju
Konghwadang), formato principalmente da ufficiali in ritiro. In seguito, Park
divenne il candidato presidenziale del Partito Democratico Repubblicano e
vinse le elezioni del 15 ottobre 1963. Il suo partito, inoltre, ottenne la
maggioranza dei seggi in Assemblea Nazionale nelle elezioni di novembre.
Attraverso questo doppio successo, Park pose le basi per controllare
politicamente a lungo il paese, aprendo una nuova fase storica e politica.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
69
Gli obiettivi principali del regime di Park erano quelli dello sviluppo
economico e della sicurezza nazionale. Nondimeno, sin dall’inizio del
regime, l’opposizione prese posizione contro la legittimità del regime.
Oltretutto, alle elezioni presidenziali del 1971 Park riuscì solo di un soffio a
sconfiggere il suo rivale del partito avverso, Kim Dae-jung. Dopo questo
episodio Park capì che il suo stretto margine di vittoria alle elezioni era il
risultato soprattutto di una scarsa legittimazione popolare.
Basandosi sulla Costituzione vigente, il regime di Park aveva dei limiti di
natura politica e legale nel difendersi dal movimento anti-governativo. Di
conseguenza, il presidente Park decise di cambiare il sistema politico così
che fosse possibile rintuzzare più efficacemente le minacce portate dalle
forze di opposizione. Per fare ciò, tuttavia, il presidente necessitava di
nuove basi politiche e legali per reprimere i movimenti pro-democratici. Il
primo passo in questo senso fu quello di adottare la Costituzione Yusin nel
1972, cosa che gli consentì di disfarsi dell’Assemblea Nazionale e di
rimpiazzarla con un governo di emergenza, proibire qualunque attività
politica, e attuare una larga revisione della Costituzione, che di fatto fece
assumere al sistema politico i caratteri dell’autoritarismo. In base alla nuova
Costituzione, infatti, il presidente sarebbe stato eletto in maniera indiretta da
un collegio nazionale e, soprattutto, qualunque limite temporale al mandato
presidenziale sarebbe stato abolito, proprio come Park desiderava. Al
presidente, inoltre, veniva concessa la facoltà di eleggere un terzo dei
membri dell’assemblea legislativa. In un solo colpo, quindi, Park si trovava a
detenere praticamente l’intero potere politico nelle sue mani.
Le ragioni principali alla base del lancio del regime Yusin stavano – nelle
dichiarazioni di Park – soprattutto nell’incoraggiamento dello sviluppo
economico della sua nazione e nella promozione dell’unificazione della
penisola. La politica di sviluppo economico del paese, in modo particolare,
enfatizzata sin dal colpo di stato del ’61, era di cruciale importanza per la
legittimazione del regime autoritario. Park provò anche a giustificare la
nascita del regime Yusin facendo ricorso all’argomento della sicurezza
nazionale. In base a questa tesi, tutte le risorse nazionali avrebbero dovuto
essere controllate dallo stato centrale fino alla scomparsa della minaccia
comunista della Corea del Nord. Di conseguenza, Park prese a sostenere
che il regime Yusin costituiva nient’altro che una esperienza transitoria per
affrontare una reale emergenza. Senza ombra di dubbio questa
argomentazione non era sufficiente a giustificare l’abolizione di qualunque
istituzione e pratica democratica. Park, di conseguenza, dovette fare
affidamento sul tema della assoluta necessità per il paese di giungere ad un
70
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico
alto livello di sviluppo economico. Buone performance in ambito economico,
egli sostenne, erano essenziali per trionfare sulla Corea del Nord: a questo
fine era raccomandato che tutte le risorse fossero concentrate nelle mani di
un singolo attore, lo stato per l’appunto.
Subito dopo la promulgazione della nuova Costituzione, il regime Yusin
prese a reprimere violentemente la società civile, provvedendo al contempo
a dare vita ad organizzazioni controllate direttamente, sia a livello
organizzativo che finanziario, che non potevano quindi avanzare alcuna
critica alle azioni del regime. I movimenti sociali realmente antagonisti, in
particolare quelli composti dagli studenti, continuarono tra molte difficoltà a
combattere per il ritorno ad un regime democratico. I leader di questi gruppi
erano fermamente convinti di essere gli unici in grado di mobilitare i propri
membri per contrastare il regime e chiedere la fine della dittatura. Le
difficoltà di questi gruppi erano però molteplici. In primo luogo una forte
debolezza di carattere istituzionale. A causa della decisa persecuzione di
cui erano vittime era molto difficile per questi gruppi dotarsi di una struttura
forte ed istituzionalizzata e ciò le rendeva facile preda degli apparati del
regime. La mera sopravvivenza diventava quindi il primo obiettivo di questi
attori per i quali la violenza diventava la forma principale di resistenza al
regime. In secondo luogo una estrema frammentazione degli attori della
società civile, in termini ideologici e strategici, che fece sorgere una serie di
conflitti interni ai gruppi che sfociarono in una assoluta mancanza di
coerenza. Il terzo, fondamentale, fattore limitante l’azione dei movimenti
sociali in questo periodo stava nella mancanza di supporto pubblico, in
particolare di quello della classe media. Numerose erano le ragioni di
questo atteggiamento della classe media: mancanza di auto-riconoscimento
come parte integrante della società civile, mancanza di coscienza politica,
mancata condanna del regime, disprezzo per l’approccio violento tenuto
dagli studenti. Nondimeno, la lotta dei vari attori della società civile andò
avanti, sebbene in maniera fortemente disomogenea.
La società civile nel periodo di transizione
La morte di Park Chung-hee, nell’ottobre del 1979, sembrava poter
chiudere definitivamente un’epoca particolarmente travagliata per la Corea.
Subito dopo la morte di Park, e nonostante la legge marziale
immediatamente proclamata dal primo ministro Choi Kyu-ha, molti gruppi
Atti del Convegno Conoscere la Corea
71
organizzati tentarono di riorganizzarsi e di uscire nuovamente allo scoperto,
ponendosi il solo obiettivo della transizione in tempi brevi ad un regime
pienamente democratico. Purtroppo, le speranze di questi gruppi sarebbero
rimaste tali ancora a lungo.
Meno di due mesi dopo la morte di Park, infatti, un altro gruppo di
militari, raccolti intorno alla figura del generale Chun Doo-hwan, conquistò il
controllo dell’esercito: divenne immediatamente chiaro che anche in questo
caso l’obiettivo finale era quello di impossessarsi del controllo del paese.
Consci di questa possibilità, i gruppi studenteschi cominciarono a protestare
duramente contro l’imposizione della legge marziale nel paese, arrivando a
radunare una folla di 100.000 persone presso la stazione di Seoul il 15
maggio 1980. La risposta dei militari non si fece attendere e si sostanziò
nella imposizione di una serie di misure altamente repressive, come
l’estensione della legge marziale a tutta la nazione, la proibizione di
qualunque raduno di natura politica, la censura agli organi di informazione,
la chiusura delle università. Al fine di far rispettare queste misure furono
inviati alcuni contingenti militari in varie zone del paese e alcuni leader
politici di opposizione, come Kim Dae-jung, vennero immediatamente
imprigionati con l’accusa di incitare le masse alla rivolta.
Di lì a poco gli eventi sarebbero decisamente precipitati. Il 18 maggio gli
studenti della Chonnam National University di Kwangju cominciarono a
dimostrare energicamente contro l’arresto di Kim Dae-jung e la chiusura
delle università. Questo era il pretesto a lungo cercato dai militari per
intervenire direttamente e con durezza sulla scena politica del paese. Il
regime decise infatti di mandare le forze speciali dell’esercito a fronteggiare
19
gli studenti, dando inizio a un confronto serrato ed estremamente violento.
L’intervento dei militari provocò la rabbia dei cittadini di Kwangju, che
decisero di scendere in strada al fianco degli studenti per protestare contro
il regime. Le iniziali dimostrazioni limitate ad alcuni gruppi studenteschi
crebbero così di intensità, trasformandosi in vere e proprie sommosse. I
civili si impossessarono del controllo della città, ma dovettero capitolare
quando, il 27 di maggio, cinque divisioni dell’esercito sferrarono l’attacco
decisivo. Sulle cifre effettive di quello che viene di norma indicato come il
20
“massacro di Kwangju” c’è ancora molta discordia: è certo comunque che
centinaia di persone perirono negli incidenti e migliaia furono i feriti. Gli
19
D.N. Clark, The Kwangju Uprising: Shadows Over the Regime in South Korea ,
Westview Press, Boulder 1988.
20
I.S. Han, Kwangju and Beyond: Coping with Past State Atrocities in South Korea ,
“Human Rights Quarterly”, 27/3 (2005), 998-1045.
72
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico
avvenimenti di Kwangju sancivano ancora una volta il predominio dei militari
e la misera sconfitta della società civile.
Chun Doo-hwan venne formalmente eletto presidente nel febbraio del
1981, dopo aver abbandonato la carriera militare. I primi anni del suo
mandato furono caratterizzati da un atteggiamento di feroce repressione nei
confronti della società civile. Già immediatamente dopo gli avvenimenti di
Kwangju, il regime autoritario portò avanti una serie di campagne al fine di
“ripulire” l’intera società, arrestando migliaia di politici, uomini pubblici,
professori, preti, giornalisti e studenti accusandoli variamente di corruzione,
istigazione alle dimostrazioni antigovernative, tentativo di insurrezione. Al
contempo, un’assemblea legislativa pro-tempore, il Consiglio Legislativo per
la Sicurezza Nazionale (Kukpowi), introdusse numerose leggi
antidemocratiche limitando la competizione politica, restringendo le libertà
democratiche di base, istituendo un sistema molto elaborato di censura
della stampa, sopprimendo i sindacati dei lavoratori.
Dalla fine del 1983, però, il controllo esercitato dal regime sulla società
civile si ridusse considerevolmente, dando inizio ad una fase di
21
“decompressione”. Il regime nutriva ormai una fiducia sconfinata nei suoi
mezzi, e si era ormai convinto del fatto che la sua legittimità non avrebbe
potuto in alcun modo essere minata da una timida apertura. I vertici del
regime, oltretutto, avevano compreso l’inefficacia di una politica repressiva
che non aveva sortito alcun effetto se non quello di rendere un numero
crescente di cittadini comuni più inclini a sostenere la lotta pro-democratica
dei movimenti studenteschi. In questo senso, la strategia della
decompressione era finalizzata a ridurre i costi della coercizione facendo
più affidamento sull’indottrinamento ideologico e meno sulla repressione
fisica. Alla Corea poi era stata anche affidata l’organizzazione dei Giochi
asiatici del 1986 e, soprattutto, dei Giochi olimpici del 1988, e perciò i
militari avrebbero dovuto fare ogni possibile tentativo per dimostrare alla
ribalta internazionale che nel loro paese vigeva una sana e stabile
“democrazia”. Era quindi essenziale permettere ed incoraggiare una
maggiore partecipazione politica e perfino la possibilità, seppur limitata, di
contestare il regime. La decompressione, in ultima analisi, costituiva una
sorta di strategia alternativa per risolvere i problemi del regime di Chun.
21
S. Mainwaring, Transition to Democracy and Democratic Consolidation:
Theoretical and Comparative Issues, in S. Mainwaring, G. O’Donnell, J.S. Valenzuela (a
cura di), Issues in Democratic Consolidation: The New South American Democracies in
Comparative Perspective, University of Notre Dame Press, Notre Dame 1992.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
73
Il regime decise di consentire ai professori ed agli studenti
dichiaratamente antigovernativi di fare ritorno alle università, richiamando la
polizia militare che stazionava all’interno dei campus, riabilitando i
prigionieri politici e rimuovendo ogni misura restrittiva alle attività di
22
propaganda politica. Lo scopo di questo notevole allentamento del
controllo esercitato dal regime stava nella volontà di rendere il partito del
presidente più popolare possibile e, di conseguenza, rilevante a livello
elettorale. Contrariamente alle aspettative del regime, però, la conseguenza
di questo allentamento nelle misure coercitive fu la “resurrezione della
23
società civile”. Numerosi gruppi organizzati, in particolare quelli che erano
stati duramente colpiti e decimati dalla repressione del regime tra il 1980 e il
1983, tornarono rapidamente sulla scena. Il rilassamento del regime
autoritario aveva fornito alla società civile una opportunità di
24
controbilanciamento, e la vigorosa ripresa dei gruppi organizzati finì per
contagiare anche la sfera politica. Molti dei politici di opposizione, tornati in
auge in virtù delle misure di liberalizzazione, dettero vita al Partito
democratico della nuova Corea (NKDP, Sinhan Minjudang) nel gennaio del
1985, immediatamente prima delle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea
nazionale. Fu proprio la formazione del NKDP e l’avvio di un fronte unito con i
gruppi organizzati a dare una spinta determinante al processo di
democratizzazione del paese.
Il periodo a cavallo tra il 1986 e il 1987 fu senz’altro quello più florido di
iniziative pro-democratiche. L’obiettivo dichiarato dei gruppi organizzati era
quello di costringere il regime a emendare la costituzione, in modo che il
presidente potesse essere eletto a suffragio diretto. Alcune manifestazioni
organizzate congiuntamente da alcuni gruppi organizzati e dal NKDP ebbero
luogo nelle principali città del paese, mostrando come la società coreana
nella sua interezza – studenti, lavoratori, agricoltori, impiegati, leader
religiosi – fosse ormai unita sotto il vessillo della lotta all’autoritarismo.
Due furono gli avvenimenti cruciali nel mantenere alto il livello di
mobilitazione delle masse. Il primo, avvenuto all’inizio del 1987, fu costituito
dalla morte di Park Chong-chul, uno studente della Seoul National
22
W. Dong, University Students in South Korean Politics: Patterns of Radicalization
in the 1980s, “Journal of International Affairs”, 40/2 (1987), 233-55.
23
G. O'Donnell, P. Schmitter, Transitions from Authoritarian Rule: Tentative
Conclusions about Uncertain Democracies, Johns Hopkins University Press, Baltimore
1986, pp. 48-56.
24
A. Przeworski, Democracy and the Market, Cambridge University Press,
Cambridge 1991.
74
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico
University, torturato durante un interrogatorio della polizia. Fu la stessa
polizia a sostenere – in un primo momento – che la morte era sopraggiunta
a causa di un attacco cardiaco, fino a quando non venne scoperto che la
morte era stata invece causata dalle percosse ricevute. La notizia della
morte dello studente e soprattutto il tentativo da parte del regime, in
combutta con la polizia, di occultare le reali responsabilità aumentarono a
dismisura la rabbia e la forza della coalizione pro-democratica. Il secondo,
fu rappresentato dalla dichiarazione rilasciata da Chun il 13 aprile 1987
secondo cui non sarebbero state più tollerate inutili discussioni circa una
possibile revisione costituzionale, e che le successive elezioni si sarebbero
tenute verso la fine del 1987 con il solito sistema indiretto. La decisione
unilaterale di sospendere il dibattito relativo alla possibile revisione della
costituzione rese ancora più decisa la mobilitazione delle masse. Violente
proteste anti-governative inscenate dagli studenti, dai sindacati, e da altri
gruppi organizzati esplosero in tutto il paese.
Nel maggio del 1987, alcuni gruppi organizzati diedero vita al Movimento
nazionale per una costituzione democratica ( Kookmin Undong Bonbu). Tale
organizzazione mise immediatamente in atto una serie di dimostrazioni antiregime, che si radicalizzarono soprattutto dopo il ferimento – e la successiva
morte – di uno studente della Yonsei University, colpito da un lacrimogeno il
9 giugno. Questo ennesimo avvenimento contribuì a convincere i cittadini
del ceto medio dell’immoralità, illegittimità, violenza, natura repressiva del
regime, spingendoli a scendere in piazza al fianco dei gruppi prodemocratici. Il 10 giugno il Movimento nazionale manifestò contro la
decisione di Chun del 13 aprile e a favore della democratizzazione. Il 26
giugno fu organizzata la “parata della pace” alla quale un milione di persone
prese parte. Non c’erano più opzioni valide per il regime di Chun. A quel
punto Roh Tae-woo, delfino del presidente e prossimo candidato alla
presidenza, dopo una conversazione con lo stesso Chun annunciò che le
richieste dei gruppi sarebbero state accolte il 29 giugno. E proprio in quel
giorno venne ratificata l’immediata introduzione dell’elezione presidenziale a
suffragio diretto, accogliendo così le richieste dei gruppi organizzati.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
75
La società civile nella fase di consolidamento: Roh Tae-woo e Kim
Young-sam
La “resurrezione” della società civile nel periodo di transizione e il
raggiungimento degli obiettivi da essa perseguiti per decenni con estrema
sofferenza sembrarono non giovare più di tanto alla sua causa. Anzi,
proprio le elezioni del 1987, quelle che avrebbero dovuto sancire la rinascita
del paese dopo una lunghissima parentesi autoritaria, concorsero a lasciare
in eredità una società civile frammentata e marginalizzata. Proprio la
competizione elettorale per la nomina del presidente catalizzò l’interesse
generale della popolazione coreana, contribuendo a svuotare di significato
la società civile. Del resto, dopo aver tentato invano di ricomporre la
divisione tra i due candidati dell’opposizione alle elezioni presidenziali, Kim
Dae-jung e Kim Young-sam, i gruppi organizzati si divisero su quale dei due
candidati andava sostenuto. La divisione interna del fronte progressista non
poteva non consegnare il paese al partito di maggioranza, determinando
un’assoluta incapacità di reazione da parte della società civile, che si ritrovò
divisa, indebolita e frastornata.
Il momento di sbandamento durò però molto poco, dato che sin dal
principio del mandato presidenziale di Roh Tae-woo i gruppi organizzati
ritrovarono lo smalto opponendosi con forza ad un presidente che vedevano
come legato inestricabilmente al passato autoritario dal quale si pensava
che la nazione si fosse affrancata ormai definitivamente. Agli occhi di molti il
neo presidente Roh non rappresentava un distacco sostanziale dal passato
ma anzi, a causa dei suoi trascorsi nell’esercito e del legame di amicizia che
lo legava a Chun, una mera estensione del periodo autoritario. Proprio per
questo motivo i gruppi organizzati ritennero che proseguire la lotta per la
25
completa democratizzazione del paese fosse vitale.
D’altra parte, l’episodio della “grande fusione” del 1990 mostrò con forza
come il regime di Roh Tae-woo fosse un legittimo erede del passato
autoritario e come i partiti di opposizione fossero assolutamente inaffidabili.
All’inizio del 1990, Roh – che in qualità di leader di un partito di minoranza
era sempre stato molto preoccupato della sua vulnerabilità politica
nell’Assemblea nazionale – riuscì nell’operazione di fondere il suo partito
con altri due partiti di minoranza, dando vita al Partito democratico liberale
(Minjadang). È importante notare come uno dei due partiti che andarono ad
25
S. Kim, State and Civil Society in South Korea’s Democratic Consolidation: Is the
Battle Really Over?, “Asian Survey”, 37/12 (1997), 1135-44.
76
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico
unirsi a quello di Roh fosse quello di Kim Young-sam, storico oppositore del
regime autoritario. I termini dell’accordo che portò Kim Young-sam a legarsi
a Roh rimangono segreti, ma è lecito credere che Kim abbia garantito
l’impunità a Chun e Roh in cambio del supporto – politico e finanziario – alle
successive elezioni presidenziali, in cui Kim Young-sam avrebbe dovuto
26
vedersela con il suo eterno rivale Kim Dae-jung. Questa improvvisa
trasformazione dello scenario politico venne visto da molti gruppi
organizzati come un attacco frontale al processo di consolidamento della
democrazia nel paese; di conseguenza, la risposta della società civile non
poteva essere che quella di intensificare la lotta pro-democratica.
È molto strano, tuttavia, che la minaccia principale nei confronti della
società civile coreana sia venuta dal successivo governo di Kim Youngsam, il primo ad aver spezzato la “tradizione” di presidenti con un passato
militare nei tre decenni precedenti. Negli anni immediatamente successivi
alla sua elezione, nel 1992, Kim Young-sam attuò una serie di riforme di
estrema importanza per il paese, dalle campagne contro la corruzione nel
mondo politico alla riforma del sistema bancario, preoccupandosi
27
costantemente di consolidare il controllo sui militari. La relazione che Kim
volle instaurare con i gruppi organizzati, inoltre, mirava ad una progressiva
normalizzazione nei rapporti, anche con le frange più radicali. La
progressiva crescita di popolarità del nuovo presidente e la normalizzazione
nei rapporti di due entità che erano rimaste per lungo tempo distinte e
addirittura contrapposte privarono i gruppi organizzati di qualunque
obiettivo, costringendoli ad una progressiva marginalizzazione. In maniera
singolare, quindi, i gruppi organizzati che per decenni avevano dovuto
sopportare le angherie dei regimi autoritari, si trovarono a dover affrontare
28
una seria crisi di identità proprio sotto il primo vero governo democratico.
Lo stallo della società civile non durò a lungo. I gruppi organizzati
ripresero immediatamente a lavorare, contribuendo all’avvio del processo di
consolidamento del regime democratico attraverso una continua pressione
sul governo su temi di estrema rilevanza come la completa rottura col
29
passato autoritario o nuovi temi sociali come l’ambientalismo.
26
J.M. West, Martial Lawlessness: The Legal Aftermath of Kwangju, “Pacific Rim Law
and Policy Journal”, 6/1 (1997), 85-168.
27
V.D. Cha, Politics and Democracy Under the Kim Young Sam Government:
Something Old, Something New, “Asian Survey”, 33/9 (1993), 849-63.
28
Kim, The Politics of Democratization in Korea, cit. 118-19.
29
Kim, State and Civil Society in South Korea’s Democratic Consolidation, cit. 1138.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
77
Una delle issue che più coinvolse i gruppi organizzati alla metà degli anni
’90 fu proprio quella relativa alla “liquidazione” del passato autoritario del
paese, un passo di fondamentale importanza nel processo di
consolidamento di qualunque nuova democrazia. Nel 1994, dopo una lunga
indagine, venne confermato il ruolo di Chun e Roh come ispiratori del colpo
di stato del 12 dicembre 1979 e del massacro di Kwangju dell’anno
successivo. Ciò nonostante, nel 1995, Kim Young-sam dichiarò che i due
ex-presidenti non sarebbero stati perseguibili sia per le limitazioni legate al
ruolo da essi rivestito, sia per evitare di mettere in pericolo il sentimento di
unità nazionale, ma anche e soprattutto perché il loro operato sarebbe stato
30
“lasciato al giudizio della storia”. Com’è facile immaginare, questo
annuncio scatenò un’intensa reazione da parte dei gruppi organizzati che
condusse sull’orlo di una crisi nazionale. A peggiorare la situazione
concorse la rivelazione secondo cui Roh avrebbe accumulato illecitamente,
durante la sua presidenza, una notevole somma di denaro. Il sospetto che
anche Kim Young-sam in qualità di successore politico di Roh, potesse aver
fruito di questo denaro cominciò a farsi largo nell’opinione pubblica. A
questo punto le pressioni esercitate dalla società civile si fecero troppo forti,
e il governo dovette cedere accettando di processare Chun e Roh nel 1996
con le accuse di corruzione, insurrezione e tradimento. Dopo essere stati
giudicati colpevoli, entrambi gli imputati – su raccomandazione del
successivo presidente, Kim Dae-jung – vennero amnistiati e rilasciati nel
dicembre 1997. Questa vicenda segnò profondamente il paese,
dimostrando però come, grazie alla presenza di una società civile
particolarmente attenta, ci si stesse oramai incamminando verso un
processo sostanziale di consolidamento del regime democratico.
Un altro duro confronto tra il governo di Kim Young-sam e la società
civile ebbe origine alla fine del 1996, allorché il partito del presidente
propose l’introduzione di alcune leggi di riforma del lavoro e una legge di
riforma dell’agenzia di intelligence del paese. La possibile introduzione di
questi provvedimenti legislativi era stata aspramente contestata: quelle sul
lavoro avrebbero indebolito sensibilmente i sindacati favorendo la possibilità
di ricorrere facilmente al licenziamento dei lavoratori, mentre quella
sull’agenzia di intelligence avrebbe – a detta di alcuni gruppi organizzati –
ampliato a dismisura il suo potere investigativo. Nonostante le critiche
piovute da più parti, questi provvedimenti vennero introdotti attraverso una
convocazione “clandestina” dell’Assemblea nazionale alle 6 del mattino del
26 dicembre e senza la presenza delle forze di opposizione. Tale modalità,
30
West, Martial Lawlessness, cit. 105.
78
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico
fuori dal comune in un regime democratico, irritò moltissimo i gruppi
organizzati spingendoli a manifestare per le strade delle principali città
chiedendo l’immediato ritiro dei provvedimenti adottati. La ferma
opposizione del governo ad una situazione di compromesso peggiorò
notevolmente la situazione, facendo piombare il paese in una spirale di
scioperi e manifestazioni. Il labile legame che univa la società civile al
governo di Kim Young-sam si era definitivamente spezzato e questa serie di
manifestazioni anti-governative non fecero altro che macchiare l’immagine
democratica che aveva contraddistinto la nascita di questo governo.
L’estrema difficoltà nel fronteggiare la grave crisi economica che stava
abbattendosi sul paese rese Kim Young-sam il più impopolare dei presidenti
nella storia della Corea.
La società civile al potere: l’era di Kim Dae-jung
Il 1997 è stato un anno di fondamentale importanza per la Corea. È proprio
nel corso di quell’anno che la crisi economica che avrebbe portato il paese
sull’orlo del collasso cominciò a manifestarsi in tutta la sua forza. La rapida
31
discesa cominciò con il fallimento di una delle principali chaebol , la Hanbo
32
Steel Co., il 23 gennaio. Nello spazio di alcune settimane, altri grandi
gruppi industriali diventarono insolventi, entrando in regime di
amministrazione controllata. Le banche e gli investitori stranieri, guardando
con estremo timore alla situazione che andava rapidamente delineandosi,
decisero di ritirare i propri fondi dalla Corea, determinando in questo modo
una immediata crisi di valuta estera. Nonostante i tentativi compiuti dal
governo e dalla Banca di Corea, il tasso di cambio e il mercato azionario
crollarono, mettendo il paese nella posizione di non poter onorare ai debiti
concessi dall’estero. Il 3 dicembre, infine, il Fondo monetario internazionale
(FMI) accettò di erogare alla Corea – che ne aveva fatto richiesta un paio di
settimane prima – un prestito di 57 miliardi di dollari. Si trattava del prestito
33
più ingente mai concesso dal FMI. In cambio del pacchetto di aiuti, il FMI
31
Le chaebol sono i grandi conglomerati industriali coreani.
J. Mo, C.I. Moon, Democracy and the Origin of the 1997 Korean Economic Crisis ,
in C.I. Moon, J. Mo (a cura di), Democracy and the Korean Economy, Hoover Institution
Press, Stanford 1998.
33
T.Y. Kong, The Politics of Economic Reform in South Korea , Routledge, London
and New York 2000.
32
Atti del Convegno Conoscere la Corea
79
chiedeva alla Corea di prendere un impegno formale su alcuni fattori di
peso, come l’implementazione di politiche macro-economiche molto severe
e stringenti, la ristrutturazione del settore finanziario e di quello aziendale, la
rapida liberalizzazione del capitale e del commercio, la creazione di un
sistema maturo di welfare. L’intervento del FMI ha determinato l’inizio di un
periodo di grandi difficoltà e di riforma del settore economico in Corea.
La crisi economica, d’altro canto, si lega inestricabilmente al principale
cambiamento politico avvenuto in Corea negli ultimi decenni, e cioè la
vittoria alle elezioni presidenziali del candidato di opposizione, Kim Daejung. L’elezione di Kim, oltre a rappresentare una vittoria personale per una
persona che aveva subito le continue persecuzioni dei regimi autoritari, era
molto indicativa della sostanziale libertà raggiunta in occasione dell’ultima
tornata elettorale. Tali indicazioni erano assolutamente confortanti rispetto
al processo di consolidamento democratico del paese.
Anche sotto Kim Dae-jung la società civile ricoprì un ruolo di
fondamentale importanza. Tanto più che per gran parte della presidenza
Kim il partito di opposizione, il Grande partito nazionale ( Hannara-dang), si
mostrò particolarmente ostile rendendo così i lavori parlamentari
estremamente difficili da svolgere. Dato questo complesso quadro politico di
riferimento, dovette essere ancora una volta la società civile a mobilitarsi e
a fare pressione sul governo affinché si seguisse un percorso realmente
riformista.
L’attività dei gruppi organizzati durante il periodo della presidenza di Kim
Dae-jung si focalizzò prevalentemente sulle riforme sociali. La crisi
economica, infatti, aveva concorso a creare uno scenario assolutamente
nuovo per la Corea, facendo schizzare la disoccupazione a livelli mai
raggiunti in precedenza. Questa nuova situazione dette origine ad una serie
di problemi sociali collaterali – aumento della povertà, della criminalità, dei
divorzi, dei suicidi, dei senzatetto – che rivelarono come l’aver storicamente
fatto affidamento sulla piena occupazione senza che a questa si
accompagnassero altre misure di welfare era stato un grave errore. Nel
periodo immediatamente successivo alla crisi, molti gruppi organizzati
fecero pressione sul governo perché implementasse delle misure atte a
migliorare la condizione sociale della popolazione. In alcuni casi, addirittura,
gli stessi gruppi organizzati furono chiamati dal governo in qualità di
“consulenti” per formulare e presentare delle policy alternative, dando così
vita ad un confronto costruttivo tra le due sfere.
L’obiettivo principale dei gruppi organizzati coreani in questo momento
era quello di trasformare profondamente la società coreana, da tutti i punti
80
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico
di vista, soprattutto in ambito politico ed economico. Parlando di riforma del
mondo politico veicolata dalla società civile, è indispensabile fare
riferimento alle vicende legate alle elezioni del 2000 per il rinnovo
dell’Assemblea nazionale. Proprio in vista di quella competizione elettorale,
alcuni gruppi organizzati crearono una organizzazione denominata
Solidarietà dei cittadini per le elezioni generali ( CAGE; Ch’ongson yondae). Al
momento della sua fondazione, si decise che l’attività di questa
organizzazione si sarebbe snodata attraverso due tappe principali: in prima
battuta sarebbe stata compilata una lista di uomini politici che non
avrebbero dovuto essere scelti dai partiti per partecipare come candidati
alle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale; in seguito, nel caso i
partiti avessero deciso comunque di candidare le persone presenti sulla
lista, il movimento avrebbe condotto una dura campagna di opposizione.
I segnali che arrivavano dal governo di Kim Dae-jung erano d’altra parte
particolarmente incoraggianti. Lo stesso presidente neo-eletto costituiva un
punto di riferimento per i gruppi organizzati, forte della sua lunga esperienza
come attivista sotto i regimi autoritari. Kim Dae-jung chiese subito
l’abrogazione dell’articolo 87 della legge elettorale, che proibiva qualunque
34
tipo di intromissione da parte della società civile nelle elezioni. D’altra
parte, però, la Commissione elettorale nazionale aveva subito dichiarato
illegale la possibilità che il CAGE fornire una lista di candidati “non idonei” a
sedere in parlamento, perché ciò avrebbe violato proprio l’articolo 87.
Sentendosi spalleggiati dall’intervento di Kim Dae-jung, i gruppi organizzati
coinvolti nel CAGE decisero di andare avanti perseguendo la strada della
35
disobbedienza civile.
Qualche giorno dopo l’incontro di apertura, il CAGE rese pubblica una
prima lista contenente i nomi di sessantasei politici che non avrebbero
dovuto essere candidati alle successive elezioni per il rinnovo
dell’Assemblea nazionale. L’inclusione nella lista era determinata da vari
fattori, come il coinvolgimento in episodi di corruzione, violazione delle leggi
elettorali, scarsa partecipazione alle attività del parlamento, cooperazione
con i regimi autoritari, rifiuto di firmare la legge anti-corruzione, e così via.
L’iniziativa del CAGE riportò immediatamente molto successo nell’opinione
34
S. Kim, South Korea. Confrontational Legacy and Democratic Contributions, in M.
Alagappa (ed.), Civil Society and Political Change in Asia, Stanford University Press,
Stanford 2004, p. 152.
35
Ibid.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
81
pubblica coreana, stanca della dilagante corruzione nel mondo politico del
36
paese e vogliosa di rinnovamento.
In aprile il CAGE annunciò l’avvio della seconda fase della campagna, con
la pubblicazione di una lista finale che conteneva ottantasei nominativi. Di
questi, sessantaquattro erano presenti sulla lista originaria ma erano
comunque stati candidati dai partiti di riferimento, mentre i restanti ventidue
erano finiti sulla lista perché avevano delle caratteristiche particolarmente
negative e configgenti con la possibilità di sedere in parlamento. Alle
elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale, tenutesi il 13 aprile 2000,
cinquantanove degli ottantasei candidati presenti nella lista del CAGE non
37
risultarono eletti. Il CAGE si sciolse immediatamente dopo le elezioni,
rivendicando però di aver contribuito significativamente a far crescere la
coscienza politica degli elettori e a far nascere una nuova classe politica in
Corea.
In effetti, molteplici furono i risultati conquistati dalla campagna del CAGE.
Innanzi tutto essa dimostrò in che misura la società civile potesse incidere
sulla società politica, agendo su di essa come vettore di profondo
cambiamento. Attraverso questa iniziativa la società civile coreana dimostrò
la sua importanza non solo come baluardo nella lotta ai regimi autoritari, ma
anche come attore in grado di contribuire profondamente a migliorare la
qualità della democrazia. La campagna del CAGE, inoltre, servì moltissimo
come collante tra i vari gruppi organizzati, che per la prima volta lavorarono
insieme su un obiettivo ben preciso. E servì moltissimo anche per
risvegliare le nuove generazioni dal torpore e dal senso di scollamento
rispetto al mondo politico del proprio paese. La campagna rivelò
naturalmente anche dei lati negativi, come l’essere scarsamente propositiva
(essa indicava chi non meritava di essere votato, ma non indicava invece
chi aveva i meriti per essere votato) o lo scarso coinvolgimento dei gruppi
più radicali. Nondimeno essa rappresentò un esperimento molto
interessante condotto dalla società civile coreana.
36
A. Fiori, Società civile e democrazia in Corea: una valutazione dell’esperienza del
CAGE, “Quaderni Asiatici”, 82 (2008), 41-56.
37
H.R. Kim, Dilemmas in the Making of Civil Society in Korean Political Reform,
“Journal of Contemporary Asia”, 34/1 (2004), 55-69.
82
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico
La società civile e l’impeachment a Roh Moo-hyun
Il 19 dicembre 2002 Roh Moo-hyun venne eletto nuovo presidente della
Corea. Anche Roh, come Kim Dae-jung, era stato un attivista per i diritti
umani, ma a differenza del suo predecessore, mancava di esperienza
politica. Essendo nato nel 1946, Roh era l’esponente di una nuova classe
politica e si era sempre contraddistinto – nella sua carriera politica – per la
sua ostinatezza e la ferma volontà di perseguire un percorso di riforma della
sfera politica e di quella economica in Corea. L’arrivo di Roh Moo-hyun alla
presidenza rappresentò anche l’apice dell’ascesa dei progressisti in Corea.
Con Roh, quindi, si è assistito a un graduale ma inarrestabile passaggio di
consegne in ambito politico, dai vecchi conservatori ai giovani progressisti –
molti dei quali avevano preso parte alle lotte pro-democratiche durante il
periodo dei regimi autoritari.
Durante la presidenza di Roh, i gruppi organizzati ampliarono fortemente
il proprio raggio di azione, cominciando a interessarsi seriamente anche di
politica estera e relazioni internazionali. Nel 2003, per esempio, alcuni
gruppi protestarono ferocemente contro la decisione del governo di Roh di
inviare alcuni contingenti militari in Iraq a supporto delle truppe statunitensi.
Inoltre, durante queste manifestazioni contro la guerra organizzate dai
gruppi organizzati cominciarono a vedersi nuove forme di protesta, come le
veglie alla luce delle candele o le proteste via computer.
Il periodo di presidenza di Roh è stato segnato in maniera profonda
dall’impeachment che il presidente ha subito nel 2004. Ufficialmente la
ragione dell’impeachment stava nella dichiarazione del presidente di voler
sostenere il suo partito in occasione delle successive elezioni generali
dell’aprile 2004. Tale dichiarazione fu giudicata assolutamente inappropriata
dalla Commissione elettorale nazionale. I partiti di opposizione chiesero a
gran voce le scuse del presidente, intimandolo a non lasciarsi più andare a
tali dichiarazioni. Roh rifiutò di presentare le sue scuse, aggiungendo che i
cittadini avrebbero giudicato le sue dichiarazioni attraverso il voto nelle
ormai prossime elezioni. Il rifiuto di Roh e le ulteriori dichiarazioni di sfida
non fecero altro se non esacerbare una situazione già critica con i partiti di
opposizione. A seguito di ciò i partiti di opposizione decisero di procedere
all’impeachment del presidente facendo ricorso al voto in sede di
Assemblea nazionale, dove i numeri erano per l’appunto favorevoli
Atti del Convegno Conoscere la Corea
83
38
all’opposizione. La decisione assunta dall’Assemblea nazionale venne
sottoposta al vaglio della Corte costituzionale che aveva il potere –
derivatogli dalla costituzione – di procedere o meno all’ impeachment.
La società civile si divise profondamente sulla questione
39
dell’impeachment al presidente Roh. Ciò comunque non significa che si
fosse creata una situazione di caos politico nel paese. Alcuni gruppi
conservatori non poterono che dirsi soddisfatti dell’ impeachment, mentre
altri – precisamente i Nosamo (acronimo coreano che sta per “un gruppo di
persone che ama Roh Moo-hyun”) – organizzarono delle veglie chiedendo il
ritiro dell’impeachment. Nonostante questa netta contrapposizione tra le
due posizioni espresse dalla società civile, non furono riportati episodi di
scontri fisici o espressioni di violenza. La popolazione rimase quindi calma
nell’attesa della decisione della Corte costituzionale, mentre il primo
ministro – in qualità di presidente ad interim – gestì l’amministrazione
quotidiana senza grossi intoppi.
I cittadini decisero di dare un giudizio sull’ impeachment presidenziale
attraverso le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale del 15 aprile
2004. Queste elezioni, tenutesi prima che la Corte costituzionale si
pronunciasse sul caso, divennero di fatto un referendum sull’ impeachment
presidenziale. Il verdetto delle urne fu tale che il partito del presidente
conquistò più della metà dei seggi disponibili per l’Assemblea nazionale.
Per la prima volta dopo l’avvio del processo di democratizzazione, il partito
espressione del presidente riusciva ad assicurarsi la maggioranza in
parlamento. Gli elettori coreani, essendo stati colpiti in maniera negativa
dalla procedura di impeachment, si erano recati alle urne e avevano dato
fiducia al presidente e al suo partito. La gente era rimasta molto colpita
dalla possibilità di perdere il leader nazionale, il presidente. Subito dopo le
elezioni i partiti di opposizione dovettero ammettere di aver sbagliato nella
decisione di sottoporre il presidente all’ impeachment.
38
Il 12 marzo 2004, mentre i deputati appartenenti al partito del presidente
occupavano lo scranno dello speaker per sabotare la mozione di impeachment, 195
deputati presero parte alla votazione. L’impeachment passò con 193 voti favorevoli e
due contrari. La procedura di impeachment del presidente richiede almeno 181 voti
favorevoli, equivalenti ai due terzi dei componenti l’Assemblea.
39
Da una indagine condotta in quel periodo risultò che più del 60% degli intervistati
riteneva che il presidente dovesse scusarsi con i partiti di opposizione, ma lo stesso 60%
credeva che la procedura di impeachment fosse una mossa sbagliata. Joong-Ang Ilbo,
11 marzo 2004.
84
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico
Il risultato elettorale fu seguito dalla decisione della Corte costituzionale
di rimettere al suo posto il presidente Roh, mettendo così fine alla
“sospensione” del suo incarico, durata due mesi.
Quale società civile nell’epoca del “bulldozer”?
Il 25 febbraio 2008 Lee Myung-bak ha formalmente assunto i poteri di
presidente, avendo ricevuto il 48.7% delle preferenze alle elezioni tenutesi
nel dicembre del 2007. Lee, conservatore soprannominato “bulldozer” per
la sua determinazione e per i suoi trascorsi alla guida della Hyundai
costruzioni, si era posto tre obiettivi principali in campagna elettorale: la
crescita economica del paese e la creazione di posti lavoro; una maggiore
intransigenza – soprattutto in relazione alle politiche di apertura dei suoi
predecessori progressisti – nei confronti della Corea del Nord; il
riavvicinamento agli Stati Uniti dopo il raffreddamento nei rapporti tra i due
paesi avutosi durante l’amministrazione Roh.
Proprio nel quadro di una maggiore collaborazione con gli Stati Uniti, e in
virtù della ratifica del Trattato di libero commercio tra i due paesi, Lee
Myung-bak in aprile – ancor prima di far visita al presidente Bush nel ranch
texano – ha deciso di rimuovere il bando sull’importazione di manzo
americano imposto nel 2003 a seguito di alcuni casi di sindrome della
“mucca pazza” che avevano colpito le mandrie statunitensi. Questa
decisione si è immediatamente rivelata molto impopolare, sia per i rischi che
la popolazione coreana avrebbe potuto correre, sia perché dal blocco delle
importazioni il mercato coreano aveva sostituito i prodotti statunitensi con
prodotti locali e con prodotti importati dall’Australia. L’eliminazione del
divieto, inoltre, costituiva un simbolo classista, dal momento che l’elite
coreana non avrebbe avuto alcuna necessità di consumare la carne
americana perché avrebbe potuto continuare a mangiare la carne prodotta
in Corea – più costosa – mentre il resto della popolazione sarebbe stata
obbligata a comprare carne a rischio.
In opposizione al reintegro della carne statunitense sul mercato interno,
un piccolo gruppo di liceali – organizzatesi attraverso internet e per questo
etichettati “netizens” – ha dato vita ad una veglia fuori dal municipio. Le
proteste degli studenti si legavano anche ad alcune misure di riforma
proposte dal governo atte a rendere il sistema educativo ancor più
competitivo di quanto non fosse già; il focus della protesta riguardava però
Atti del Convegno Conoscere la Corea
85
adesso la carne. I media hanno cominciato da subito ad interessarsi di
quanto stava avvenendo, così come l’intera società coreana, che è
diventata immediatamente solidale con gli studenti. Questi ultimi, attraverso
l’uso della rete informatica, sono riusciti a coinvolgere un largo numero di
persone, di tutte le estrazioni sociali. Il 10 giugno – il 21˚ anniversario delle
dimostrazioni che avevano rovesciato la dittatura militare – mezzo milione di
persone sono scese in piazza a manifestare contro l’importazione di carne
dagli Stati Uniti. Le manifestazioni erano ovviamente più festose e meno
militanti di quelle dei decenni precedenti, ed hanno contribuito a portare in
strada migliaia di persone di tutte le età ed estrazione sociale con la
candela in mano. Nondimeno, i partecipanti sono riusciti ad integrarsi
perfettamente e a convergere sull’obiettivo di resistere alle riforme del
governo di destra.
Le manifestazioni hanno avuto un impatto devastante sul nuovo
governo, che ha visto ridursi sensibilmente in pochi mesi la propria
popolarità. Al fine di ricostruirsi un seguito, il governo ha messo in atto
alcune mosse ad effetto, prima cercando di far dimettere tutti i ministri
coinvolti nella ratifica dell’accordo, e successivamente mandando dei
negoziatori negli Stati Uniti per cercare almeno di bloccare le importazioni
dei capi con più di trenta mesi di anzianità. Anche la credibilità del
presidente Lee ha risentito della faccenda, dato che il “bulldozer” ha dovuto
presentarsi per ben due volte in televisione per porgere le sue scuse per
aver trascurato le preoccupazioni della popolazione, promettendo di
apportare dei cambiamenti all’accordo con gli Stati Uniti.
Il Congresso statunitense, tuttavia, non ha voluto tornare sui suoi passi,
ed ha ritenuto sufficiente stringere un semplice accordo con gli allevatori per
non esportare capi con più di 30 mesi. La società civile coreana, da parte
sua, ha rifiutato questa offerta e ha deciso di continuare la protesta,
causando un cambiamento drastico nella risposta governativa. Lee infatti ha
dichiarato che tutto ciò che poteva essere fatto era già stato fatto, e che
tutte le dimostrazioni avrebbero dovuto cessare immediatamente perché
stavano danneggiando l’economia e paralizzando la società intera. Dopo
essere passati dal disprezzo all’accondiscendenza nei confronti dei
manifestanti, non rimaneva che provare con la forza. A partire dalla fine di
giugno, il governo ha lasciato che la polizia intervenisse con violenza contro
i manifestanti per sedare la protesta. Il risultato è stato di decine di persone
40
arrestate o ferite. La tradizionale militanza degli studenti coreani ha
consentito loro di resistere alla violenza della polizia e rispondere a tono:
40
The New York Times, 30 giugno 2008.
86
La società civile in Corea tra transizione e consolidamento democratico
gran parte dei media hanno ignorato deliberatamente le provocazioni della
polizia focalizzando invece l’attenzione sull’indole violenta dei dimostranti.
Questa tattica ha consentito al governo di isolare il movimento e di acuire
l’uso della violenza contro di esso. Quando però il movimento è sembrato in
pericolo, ha ricevuto l’aiuto dei preti progressisti cattolici e protestanti e dei
monaci buddisti, che hanno costituito un argine alle violenze della polizia.
La paura era che Lee potesse in qualche modo fare ricorso a metodi
autoritari del passato nei confronti della società civile. Anche i sindacati
hanno partecipato attivamente alle proteste. Quando il governo ha chiesto
di distribuire la carne giunta dagli Stati Uniti e stipata nei porti, i lavoratori si
sono rifiutati di scaricare i container. All’inizio di luglio perfino i lavoratori
della Hyundai – l’antica “dimora” di Lee – hanno scioperato per due ore
camminando al fianco dei dimostranti.
Sembra insomma che la strada per il nuovo governo sia tutta in salita, e
che il confronto con questa società civile sia destinato a riproporsi con
frequenza.
Conclusioni
Come si è potuto osservare leggendo questo lavoro, la società civile ha
contribuito largamente alla transizione e al consolidamento democratico –
tuttora in divenire – della Corea. Anzi, come si è cercato di dimostrare, è
stata proprio la società civile a consentire l’avvio del processo di
democratizzazione del paese. Durante il processo di transizione è stata
proprio la “resurrezione” della società civile a spingere il regime verso una
storica svolta democratica. Diversamente da altre esperienze di
democratizzazione, inoltre, la società civile coreana non ha ritenuto
terminato il suo compito con l’avvio del processo di transizione ad un
regime democratico, ma anzi ha svolto un compito di fondamentale
importanza nel pressare e, laddove possibile, coadiuvare il regime
democratico nel processo di riforma della politica, dell’economia e della
stessa società.
È necessario tuttavia comprendere che una società civile molto forte non
costituisce sempre il bene supremo per un regime democratico, in particolar
modo in quelle realtà – come la Corea – dove la società politica rimane
ancora poco sviluppata, poco affidabile e ostaggio di malfunzionamenti
Atti del Convegno Conoscere la Corea
87
41
come il regionalismo. La società civile non dovrebbe in alcun modo
sostituirsi alla società politica, dato che ciò non farebbe altro che mettere a
repentaglio il consolidamento democratico nel paese. Bisognerebbe che il
confronto tra la società civile e la società politica si reggesse su un
sostanziale bilanciamento. E fino a quando questo bilanciamento non si
realizzerà la democrazia coreana rimarrà instabile e non pienamente
consolidata.
41
Con regionalismo, o più esattamente “sentimento regionale” (jiyeok gamjeong), si
intende comunemente quell’attitudine o comportamento elettorale che spinge i cittadini a
votare per i candidati o per i partiti esclusivamente in base alle loro specifiche origini
regionali. Sull’argomento la letteratura è estremamente vasta. Per una rassegna si veda
“Korea Journal”, 43/2 (2003), numero interamente dedicato all’argomento.
88
All'ombra del 38° parallelo Cinema coreano tra 'han' e riunificazione
Atti del Convegno Conoscere la Corea
89
90
All'ombra del 38° parallelo Cinema coreano tra 'han' e riunificazione
All'ombra del 38° parallelo Cinema coreano tra 'han' e
riunificazione
di Stefano Locati
Parlare di cinema coreano significa oggi in larga parte parlare di cinema
proveniente dalla Corea del Sud. Anche il Nord ha una propria tradizione
cinematografica, pur esigua, per la costante fragilità economica, e tenuta
sotto controllo dal regime. L'ermetica chiusura del paese verso l'esterno
preclude però un qualsiasi studio sistematico che punti ad andare oltre gli
stereotipi e la parzialità della prospettiva dettata dalla sua scarsa
42
diffusione . Per questo motivo nelle pagine seguenti si parla principalmente
di cinema sud coreano, l'unico in grado di confrontarsi ad armi pari sul
mercato internazionale e capace di penetrare non solo nei paesi asiatici
circostanti, ma anche di ritagliarsi una propria riconoscibilità in Occidente. È
un dato ormai assodato, infatti, come a cavallo del nuovo millennio
l'industria culturale coreana nel suo complesso sia esplosa fuori dai confini
nazionali, tanto da portare al conio di un termine unificante come Korean
Wave, o hallyu, traslitterazione dei caratteri cinesi che per la prima volta
43
sono stati utilizzati per descriverla . Non solo il cinema, ma anche musica,
serie televisive, cartoni animati, fumetti e videogiochi autoctoni hanno
42
Per un confronto tra le due cinematografie nazionali cfr. Lee Hyan-jin, Il cinema
coreano contemporaneo. Identità, cultura e politica, ObarraO, Milano 2006, che presenta
dal punto di vista sociologico e politico differenze e similitudini di approccio a temi
comuni.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
91
contribuito a diffondere l'identità coreana nel resto del mondo, guadagnando
consensi, introiti, creando uno star system riconosciuto e portando al
diffondersi di una richiesta più ampia – come l'aumento di corsi di lingua
coreana, il proliferare di ristoranti etnici coreani e l'ascesa della Corea come
meta turistica. La portata di questa invasione culturale è ancora dibattuta
44
nelle sue fasi e nelle sue prospettive future , ma porta alla luce una
specificità coreana e indica una possibile strada di sviluppo economico a
partire dal terreno culturale. Si tratta di un modello che potrebbe essere
preso ad esempio da molti paesi, Italia compresa, fino a sfatare il mito che
45
la cultura sia solo un costo o un fondo perduto .
La Korean Wave ha preso il via a partire dalla musica dance/pop e dai
melodrammi televisivi in Cina, Taiwan, Hong Kong, Singapore, Vietnam e si
è poi diffusa in Giappone, Indonesia, Malesia, Thailandia fino ad arrivare più
di recente in molti paesi arabi e negli Stati Uniti, allargandosi
progressivamente agli altri media. Il cinema è quindi solo una parte di
questa diffusione capillare, è però una parte importante, perché la più
visibile – anche in Europa, grazie a festival e rassegne – e probabilmente la
più immediata nel presentare la cultura d'origine. Il cinema in effetti può
essere uno strumento immediato per immergersi in tradizioni, temi e
mentalità di un altro paese: lo è tanto di più per una cinematografia come
quella della Corea del Sud, legata a doppio filo alla storia nazionale, agli
stenti del colonialismo, della divisione e delle dittature.
In questa breve introduzione al cinema coreano ci si propone per prima
cosa di dare uno sguardo alla storia del cinema, mettendo in evidenza i
43
Per un esame della nascita del termine cfr. Shin Jee-young, “Globalisation and
New Korean Cinema”, in Shin Chi-yun, Julian Stringer (a cura di), New Korean Cinema,
Edinburgh University Press, Edinburgh 2005, pp. 51-62, e Jang Soo-hyun,
“Contemporary Chinese Narratives on Korean Culture”, in Korea Journal, vol. 43 no.1,
primavera 2003, pp. 129-53. Per un esame approfondito cfr. Chua Beng Huat, Iwabuchi
Koichi (a cura di), East Asian Pop Culture. Analysing the Korean Wave , Hong Kong
University Press, Hong Kong 2008.
44
cfr. ad esempio il recente articolo di Yoo Soh-jung, “Hallyu faces turning point”, in
The Korea Herald, 15 aprile 2010, http://www.koreaherald.com/entertainment/Detail.jsp?
newsMLId=20100415000637, che riporta di un convegno internazionale sul tema in cui
si sono dibattute fasi e prospettive di questa diffusione culturale.
45
Non è da sottovalutare come si sia iniziato a parlare di Korean Wave all'inizio del
nuovo millennio, appena oltre la grave crisi economica che nel 1997 ha colpito le “tigri
asiatiche”. Il fenomeno dell'hallyu è dunque stato in qualche modo uno dei motori della
ripresa. Per un'analisi anche economica si veda Cho Hae-joang, “Reading the Korean
Wave as a Sign of Global Shift”, in Korea Journal, vol. 45 no. 4, inverno 2005, pp. 14782
92
All'ombra del 38° parallelo Cinema coreano tra 'han' e riunificazione
legami profondi e indissolubili con la storia del paese, in modo da farne
emergere la specificità; si presenta poi un percorso tematico – tra i tanti
possibili – della rappresentazione della divisione tra nord e sud, per
esplorare gli stimoli e le peculiarità di una cinematografia vivace, che può
emozionare anche un pubblico solo apparentemente distante come quello
italiano.
1.
Affondare nella storia. Il cinema dentro la società
Il cinema, come ogni prodotto culturale, è sempre legato alla società in cui
si sviluppa. Nel caso coreano questo legame è evidente e strettissimo:
esiste una corrispondenza biunivoca ineliminabile tra storia socio-politica e
produzione artistica, un legame fatto di sconfinamenti, stenti, controlli. La
vicende coreane contemporanee hanno infatti influenzato e informato con
continuità le modalità di produzione e fruizione del cinema nel paese. Già
solo scorrendo a grandi linee la storia del paese è evidente come il cinema
abbia dovuto adattarsi e al contempo si sia fatto promotore di istanze nate
dal susseguirsi di occupazioni, guerre, regimi, corruzione e aneliti di portata
storica. Gli eventi hanno in qualche modo dato forma alle possibili
46
espressioni cinematografiche .
Scorrendo molto brevemente i principali avvenimenti del Novecento, è
subito evidente come la penisola coreana, sotto l'influsso di domini esteri o
di dittature, si sia sempre trovata in una condizione precaria, in cui censura
e controllo governativo hanno imposto limiti precisi d'azione e indirizzato in
qualche modo i temi affrontabili al cinema. Dal protettorato giapponese,
iniziato nel 1905, alla firma dell'annessione nel 1910, fino all'inasprirsi del
controllo nipponico con l'avvicinarsi della seconda guerra mondiale; dagli
esiti incerti della liberazione al conflitto tra i due blocchi ideologici nella
guerra di Corea; dall'aspirazione alla democrazia alla disillusione di
continue dittature, fino al sempre più spietato regime di Park Chung-hee;
dai primi timidi segni di apertura, vessati comunque da corruzione e
controllo militare, all'avvento dell'era pienamente democratica, fino al
tracollo economico che ha colpito le “tigri asiatiche” nel 1997; la storia
coreana è un susseguirsi di crisi che colpiscono in primo luogo la società,
47
inscrivendosi indelebilmente nell'immaginario collettivo .
46
cfr. I Hyo-in, “Il rapporto tra cinema e storia”, in Aprà Adriano (a cura di), Il cinema
sudcoreano, Marsilio, Venezia 1992, pp. 59-72
Atti del Convegno Conoscere la Corea
1.1.
93
La dominazione giapponese
Confrontare questi avvenimenti storici con la storia del cinema coreano è
illuminante. Il cinema fa il suo primo ingresso documentato in Corea nel
1903: nell'edizione del 23 giugno del Hwangseong Daily è infatti data notizia
di una proiezione pubblica a pagamento presso gli stabilimenti della Seoul
Electric Company, che intendeva così pubblicizzare le linee tramviarie da
essa gestite. L'anno della prima proiezione ufficiale rimane dibattuto, ma da
questa prova scritta è chiaro come la diffusione al pubblico abbia inizio
proprio in prossimità del conflitto e dell'annessione.
L'industria cinematografica coreana nasce sotto il diretto controllo
finanziario del dominatore: stabilimenti di posa e cinema, che iniziano a
diffondersi dal 1909, sono quasi invariabilmente proprietà di affaristi
giapponesi. Il primo periodo è comunque comparativamente libero, tanto
che le sale di proiezione e i teatri sono nella sostanza gli unici posti in cui i
coreani possono liberamente aggregarsi, anche se la creazione rimane in
mano agli occupanti. La prima notizia di una produzione autoctona risale
infatti solo al 1919: il Maeil Newspaper del 27 ottobre riporta della
proiezione di Fight for Justice/Loyal Revenge (Uilijeog guto), diretto da Kim
Do-san e prodotto da Park Seung-pil. Si tratta però di un ibrido che alterna
scene teatrali dal vivo a spezzoni filmati. Il primo vero film autonomo
coreano è prodotto tra il 1923 e il 1924, a seconda se si vuole dare
preminenza rispettivamente a The Vow Made below the Moon (Weolha-ui
mangseo), finanziato però anche con capitali giapponesi, o a The Story of
Jang-hwa and Hong-ryeon (Janghwa Hongryeon jeon), prodotto invece da
Park Seung-pil.
Il vero punto di svolta dell'industria è comunque il 1926, quando esce
Arirang, diretto e interpretato dal giovane Na Woon-gyu, considerato
pioniere e padre della cinematografia coreana. È la storia di un ragazzo, il
folle del villaggio, che prima schiaffeggia un poliziotto giapponese, poi irride
un proprietario terriero, connesso con i dominatori, salvo poi finire arrestato
per aver tentato di difendere la sorella dalle avance del latifondista. È una
evidente parabola dello stato di prostrazione in cui vessa la Corea, primo
emergere dell'han, quel complesso e sfaccettato sentimento insieme di
47
Per una più esaustiva introduzione alla storia della penisola coreana si rimanda
all'intervento di Maurizio Riotto in questo volume. Cfr. inoltre Riotto Maurizio, Storia della
Corea. Dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Milano 2005; Pratt Keith, Everlasting
Flower. A History of Korea , Reaktion Books, London 2007; Kim Djun-kil, The History of
Korea, Greenwood, Santa Barbara 2005; Lee Ki-baik, A New History of Korea, Harvard
University Press, Cambridge 1984 (quest'ultimo si ferma però agli anni '60).
94
All'ombra del 38° parallelo Cinema coreano tra 'han' e riunificazione
oppressione/abbandono e rivalsa/rancore che può essere preso a esempio
della parabola storica coreana.
Arirang riuscì a passare la censura, appena istituita, solo perché il
protagonista era dichiaratamente pazzo, e suscitò grande commozione,
diventando il primo grande successo di pubblico locale. Il titolo del film fa
riferimento a una canzone tradizionale, e si dice che durante le proiezioni gli
spettatori si alzassero a cantare a gran voce. È l'inizio di un periodo di
sperimentazione e di sottili tentativi di aggirare la censura, con parabole e
allusioni, ma il clima si inasprisce durante il conflitto sino-giapponese e
soprattutto dagli anni '40, quando ogni sforzo produttivo è incanalato dai
dominatori verso produzioni di propaganda bellica.
Il primo film sonoro esce nel 1935, The Story of Chunhyang (Chunhyang
jeon), di Lee Myeong-woo, ispirato a una antica novella coreana su una
relazione d'amore osteggiata, simbolo di purezza e identità nazionale, già
trasposto in almeno due occasioni nel periodo muto. Il ritardo rispetto ad
altre nazioni nell'introduzione del parlato è dovuto da un lato alle difficoltà
tecniche cui andavano incontro maestranze e operatori, dall'altro alla
diffusione del sistema dei byeonsa, figure professionali di narratori (comuni
al Giappone e ad altri paesi asiatici) che non si limitavano a raccontare il
film, ma lo costruivano a seconda del proprio estro e interpretazione. Dal
1910 al 1935 sono loro, prima ancora degli attori sullo schermo, le vere star
del cinema: i byeonsa più famosi avevano rubriche sui giornali e alla radio,
48
e le loro parole erano molto seguite .
La storia del cinema coreano sotto il dominio giapponese evidenzia già
le prime caratteristiche unitarie, nell'anelito alla libertà e nella
rappresentazione dell'han, quel senso di oppressione e rivalsa delle classi
sottomesse, con la nostalgia per un passato mitico e la sopportazione di un
presente aspro, rappresentato tramite il ricorso a metafore più o meno
esplicite. È dunque la situazione storica che indirizza tematicamente la
produzione e che allo stesso tempo la vincola dal punto di vista stilistico,
49
con il ricorso ad allusioni ed ellissi .
48
Sulla storia del periodo muto e degli ultimi anni della dominazione giapponese si
vedano in particolare i capitoli 1-5 di Lee Young-il, Choe Young-chol, The History of
Korean Cinema, Jimoondang, Seoul 1998, pp. 19-82, fondamentale per il lavoro primario
sugli archivi, anche dal punto di vista iconografico, e i capitoli 1-2 di Min Eung-jun, Joo
Jin-sook, Kwak Han-ju, Korean Film. History, Resistance and Democratic Imagination ,
Praeger, Westport 2003, pp. 1-56, oltre al breve riassunto storico di Chung Yong-tak,
“Breve storia del cinema coreano”, in Müller Marco (a cura di), Cinemasia. Giappone,
Corea, Cina, Hong Kong, Malesia, Marsilio, Venezia 1983, pp. 67-72.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
95
Questa storia è però fortemente influenzata da un dato con cui ogni
studioso deve fare i conti: la quasi totalità dei film del periodo muto e la
larga parte dei film sonori fino alla liberazione sono andati perduti. La
ricostruzione di Arirang e delle altre pellicole è avvenuta solo in base a fonti
documentarie o rare interviste con membri della troupe ancora in vita. La
perdita delle pellicole, inizialmente mal conservate o distrutte durante i
diversi conflitti, è in effetti il dato più pregnante di tutta la prima fase del
cinema coreano, e tocca purtroppo anche gli anni '50 e '60, pur se in modo
meno consistente. Secondo i dati del Korean Film Archive, non esistono
oggi reperti risalenti agli anni '10 e '20, mentre solo il 6,8% delle pellicole
prodotte negli anni '30 si è conservata, il 16,9% degli anni '40, il 17,3% degli
50
anni '50 e il 39.2% degli anni '60 . Fino a non molto tempo fa il primo film
coreano conservato era considerato Sweet Dream/Lullaby of Death
(Mimong), di Yang Ju-nam, uscito nel 1936: non restava dunque nulla della
produzione muta. Fortunatamente nel 2007 è stato ritrovato da un
collezionista privato, figlio di un proprietario di sala nel periodo della
liberazione, Turning Point of the Youngsters (Cheongchun-ui sibjalo),
diretto da Ahn Jong-hwa e risalente al 1934. È la storia di un fratello e una
sorella che in momenti diversi emigrano a Seoul dalla campagna e
affrontano per la prima volta la frenetica vita moderna. Una produzione non
memorabile, ma comunque significativa perché l'unica fonte completa (sono
stati restaurati sette rulli sugli otto complessivi) appartenente a un periodo
altrimenti completamente annichilito dalla storia.
1.2.
Dalla liberazione al tramonto della Golden Age
Alla liberazione dal Giappone corrisponde una nuova ondata di speranza.
Per la prima volta il paese poteva sperimentare l’indipendenza
riconquistata: un sogno di breve durata. In Hurrah for Freedom/Viva
Freedom! (Jayu manse), proiettato in pubblico a partire dal 21 ottobre del
1946, si assiste alla ricostruzione di alcuni episodi della resistenza contro
l'esercito giapponese e alle difficoltà cui va incontro un gruppo di
nazionalisti. Da un punto di vista tecnico il film presenta tutte le incostanze e
49
Per un profilo sulla retorica dell'oppressione nel cinema coreano cfr. Chu Jin-suk,
“Personaggi oppressi nei film coreani”, in Aprà Adriano (a cura di), op. cit., pp. 83-97
50
I dati, aggiornati al settembre 2010, sono presi dal sito del Korean Film Archive
(KOFA), http://www.koreafilm.org/, cui si rimanda anche per i dati su ritrovamento,
conservazione e restauro di queste pellicole.
96
All'ombra del 38° parallelo Cinema coreano tra 'han' e riunificazione
le arretratezze inevitabili in un paese ancora in ginocchio, con un audio
registrato in condizioni precarie e un montaggio non privo di sbavature, ma
il messaggio di fondo era talmente forte che si tramutò in un grande
successo. I coreani erano desiderosi di festeggiare e Hurrah for Freedom
offriva un'occasione unica per farlo insieme: lo sceneggiatore Jeon Changgeun ricorda che la sera della prima il teatro era talmente gremito da temere
51
che sarebbe esploso . Oltre ai forti sentimenti anti-giapponesi, c'è
comunque la volontà di inserirsi in un discorso di genere, con accenti di
melodramma e d'azione. Un approccio che coniuga e confonde su più livelli
l'intrattenimento escapista con messaggi politici evidenti, si tratti di
deprecazione del colonialismo o di anti-comunismo; il film diventa un
modello riutilizzato in decine di occasioni negli anni successivi.
Le speranze della liberazione sono subito messe a tacere. Con lo
scoppio della guerra civile il cinema subisce un nuovo arresto forzato.
Durante il nuovo conflitto, ancora più devastante per il paese (i continui
bombardamenti distruggono molti depositi dove erano custodite pellicole di
vecchi film), vengono sostanzialmente prodotti solo cinegiornali e reel di
propaganda. Tra le rovine, l’industria è costretta ancora una volta a
reinventarsi. Il decennio che va dalla metà degli anni '50 alla prima metà
degli anni ’60 rappresenta un nuovo inizio: un’altra versione di The Story of
Chunhyang, uscita nel 1955, richiama almeno 200 mila spettatori nei
cinema della sola capitale e segna la ripresa. È il primo segnale di uno
sviluppo senza precedenti, non a caso definito Golden Age, che porta nel
corso degli anni '60 a una produzione di una media annuale di oltre
duecento film, complice anche la detassazione sulle ammissioni per i film
nazionali. In questo contesto – pur sotto l'egida di un sistema produttivo
fortemente irregimentato, in cui il governo detiene il potere ultimo, e
nonostante la costante minaccia di censura e pene detentive innescate
della National Security Law, intesa a proteggere gli interessi nazionali
contro la minaccia del Nord comunista – si crea una fucina di autori sempre
molto attenta a bilanciare ricerca stilistica e necessità di mercato. Emergono
figure importanti come Han Hyung-mo, Yoo Hyeon-mok, Shin Sang-ok, Lee
Man-hee o Kim Ki-young, ciascuno in grado di costruire una propria poetica
riconoscibile pur entro i dettami dell'impronta fortemente commerciale.
In The Hand of Destiny (Unmyeong-ui son), uscito nel 1954, Han Hyungmo prende a spunto il terrore dell'infiltrazione comunista (la protagonista è
una spia nordcoreana) per costruire un thriller con venature noir. Nel
successivo Madame Freedom (Jayubuin), del 1956, si accenna ai malanni
51
cfr. il libretto bilingue in allegato all'edizione in dvd del film edita dal Korean Film
Archive.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
97
dell'attrazione per il modello di vita occidentale, da cui è attratta una
giovane moglie, tra lavoro fuori casa e possibili flirt. Più duro, e per questo a
rischio censura, è Aimless Bullet (Obaltan) di Yoo Hyeon-mok, del 1961,
amara riflessione sui costi sociali della ricostruzione, venato da un dolente
realismo. Si tratta di uno dei film più intensi dell'intera Golden Age in cui di
nuovo emerge la rabbia impotente del popolo coreano di fronte ai clangori
della storia. Il protagonista è infatti un padre di famiglia che con il magro
stipendio deve far fronte a una serie montante di problemi: sua madre è
impazzita per il dolore della guerra, sua moglie è ammalata per
malnutrizione, suo fratello è sempre in mezzo ai guai, la sorella è diventata
una prostituta per i soldati stranieri, il figlio chiede di avere delle scarpe
nuove. L'uomo cade preda di una inquietudine sempre più onnivora che lo
porta a vagare per le strade di una città cadente. Pervaso dalla stessa vena
malinconica è ad esempio anche il successivo The Guests of the Last Train
(Makcharo On Sonnimdeul), del 1967, in cui la relazione tra due coppie si
intreccia con la malattia terminale del protagonista, che si limita a osservare
ciò che gli succede intorno, attratto e travolto dall'inevitabile gorgo della
morte.
Shin Sang-ok e Lee Man-hee sono più propensi a un cinema di
intrattenimento, ma lo stesso affondano in radici comuni che fanno i conti
con il passato e le sue conseguenze. Shin Sang-ok, regista eclettico e abile
produttore, ha lavorato in tutti i generi, passando senza difficoltà dalla
commedia ai film di guerra, dal dramma sociale ai thriller. In The Flower in
Hell (Jioghwa), del 1958, racconta di un gruppo di coreani specializzato in
furti ai danni dei soldati americani, intrecciando la vita d'espedienti,
prostitute e mercato nero tipica delle periferie con l'attrazione di due fratelli
per la stessa donna. In Mother and a Guest (Sarangbang Sonnimgwa
Eomeoni), del 1961, il tema è invertito: in questo caso un artista di Seoul si
reca in provincia, affittando una camera da una vedova e sua figlia. Il marito
della donna era un amico dell'uomo; ora tra lei e l'artista si crea un'intesa,
ma anche la figlia è attratta dall'ospite. Tra i tre protagonisti non c'è però
possibilità di sviluppo, muovendosi entro i rigidi codici sociali dell'epoca,
quindi l'amore viene sublimato nel semplice addio, quando giunge il
momento di tornare in città. Lee Man-hee, altrettanto versatile, si è fatto un
nome con i film di guerra, ma riesce a raccontare con eguale livore storie di
amanti sfigurate a causa di una violenza carnale, come in Black Hair
(Geomeun Meori), del 1964, o difficili relazioni esistenziali, come in A Day
Off/Holiday (Hyuil), del 1968: qui un uomo è in cerca dei soldi per pagare
l'aborto alla sua fidanzata, a rischio di morte se dovesse portare a termine
la gravidanza, ma dato che tutti gli amici gli rifiutano un prestito si riduce a
98
All'ombra del 38° parallelo Cinema coreano tra 'han' e riunificazione
rubare. Lasciata la ragazza in ospedale, l'uomo si ritrova a bere e sprofonda
in uno stato di depressione, innescando un flirt con una sconosciuta.
Quando torna in sé è ormai troppo tardi e il fato nega ogni speranza,
lasciandogli solo ricordi del passato.
Figura ancora più emblematica è infine Kim Ki-young, il cui cinema è
pervaso da una carica di tensione ed erotismo pronti a esplodere, che
prendono a modello una figura di donna misteriosa, spesso simbolo
mascherato della Corea o del popolo coreano. Il suo film più conosciuto è
senza dubbio The Housemaid (Hanyeo), del 1960, complesso thriller
familiare in cui una domestica irrompe progressivamente nella vita dei
proprietari della casa, svelando oscuri segreti appartenenti al passato. Il film
– proprio nel 2010 oggetto di un remake da parte di Im Sang-soo, che ne
attualizza ambientazione e sostrato – è un coacervo di pulsioni sopite e
sublimate: riesce a rendere conto per mezzo della metafora horror di un
sistema sociale oppressivo e di un passato che insegue e informa il
presente, in un modo simile a quanto fa il pur inferiore The Devil's
52
Stairway/The Evil Stairs (Maeui gyedan) di Lee Man-hee, del 1964 .
Il periodo della Golden Age ha significato un'esplosione di temi e
produzioni senza precedenti per il cinema coreano, rinsaldando la fiducia
dell'industria nelle possibilità della ricostruzione. Come già visto per il
passato, la storia però riserva un destino beffardo, e si profila un nuovo
stop. Negli anni '70 il dittatore Park Chung-hee inasprisce le leggi
autoritarie, rinfocola la censura e stringe gli operatori in una morsa alla
lunga deleteria, legando l'importazione di film stranieri alla produzione di
film locali. Il declino era comunque già iniziato nel decennio precedente.
Nonostante il volume di film rimanga elevato fino ai primi anni '70, la qualità
stava già calando drasticamente. Nel nuovo decennio c'è posto per molti
film affrettati tratti da opere letterarie, per dare una patina artistica di
facciata, e tanti b-movie. Questo non vuol dire manchino esempi anche
illuminati, con film di autori affermati o esordi interessanti, ma l'industria
appare disomogenea, divisa, non più focalizzata.
52
Sul periodo che va dal dopoguerra agli anni '70 si vedano in particolare i capitoli 610 di di Lee Young-il, Choe Young-chol, op. cit., pp. 83-208; il capitolo 2 di Min Eung-jun,
Joo Jin-sook, Kwak Han-ju, op. cit., pp. 25-56; McHugh Kathleen, Nancy Abelman (a
cura di), South Korean Golden Age Melodrama. Gender, Genre and National Cinema ,
Wayne State University Press, Detroit 2005.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
1.3.
99
Dalla New Wave al nuovo cinema coreano
Gli anni '80, che si aprono con il massacro governativo di inermi civili
nell'isola di Gwangju, appaiono ancora incerti. Il numero di pellicole
distribuite cala vertiginosamente, passando dalle oltre duecento di media
annua della Golden Age a 122 nel 1972, fino al picco negativo di soli 73 film
53
nel 1986 . L'industria è più che dimezzata, ma sotto le ceneri covano braci
pronte a riprendersi: una nuova generazione di intellettuali e giovani cinefili,
sospinta dal diffondersi della cultura dei festival e delle rassegne
cinematografiche, è desiderosa di mettersi in luce, approfittando dei timidi
spiragli di democratizzazione e liberalizzazione del mercato di fine
decennio, anche in vista delle Olimpiadi. Qualche critico parla persino di
New Wave – in similitudine alle nouvelle vague che si sono succedute pochi
anni prima a Taiwan (con gli esordi di Hou Hsiao-hsien, Edward Yang, Tsai
Min-liang) e Hong Kong (con i primi lungometraggi tra gli altri di Patrick
Tam, Ann Hui, Tsui Hark).
Si assiste così all'esordio di registi come Bae Chang-ho, Jang Sun-woo e
Park Kwang-su. Nello stesso periodo il veterano Im Kwon-taek, già attivo
dai primissimi anni '60, si converte a un cinema più autoriale, affrontando
argomenti toccanti e poetici con una nuova sensibilità. Il regista, che a oggi
ha all'attivo oltre cento film, non rappresenta solo il legame vivente tra la
Golden Age e il nuovo cinema coreano, ma è anche un simbolo della
continuità tematica dell'industria stessa, in grado di trovare sempre nuove
strade per confrontarsi con il passato e i problemi del presente. Mentre suoi
film come la trilogia sul periodo coloniale giapponese, iniziata con The
General's Son (Janggunui adeul) nel 1990, scalano le classifiche locali,
pellicole più dolenti come The Surrogate Mother (Ssibati), del 1987, si
aprono al mondo: presentato a Venezia quello stesso anno, il film vinse il
premio per la migliore attrice. Il vero fulcro della nuova poetica rimane
comunque Sopyonje, del 1993, che ha frantumato tutti i precedenti record
d'incasso stuzzicando la nostalgia per un passato tradizionale visto in
controluce. Ambientato negli anni '60, racconta di un uomo che, in cerca di
cure per il figlio malato, si imbatte in una cantante di pansori, una forma di
canzone tradizionale, e ricorda il passato. Tramite una serie di flashback,
pensa all'amica di infanzia con cui ha condiviso la passione per il canto e gli
stenti della crescita senza genitori, essendo entrambi orfani. Mentre lui
decide di fuggire dal loro istruttore, lei rimane e dedica tutto all'arte, fino a
perdere la vista. Il tono elegiaco e la raffinatezza delle ricostruzioni
53
cfr. Bono Francesco, “L'industria cinematografica”, in Aprà Adriano (a cura di), op.
cit., p. 34
100
All'ombra del 38° parallelo Cinema coreano tra 'han' e riunificazione
sprofondano lo spettatore in un mondo scomparso, un miraggio carico di
rimpianti, con quel tipico struggimento senza via di sfogo apparente che è
54
caratteristica della sensibilità coreana .
I registi della nuova generazione sono più espliciti e guardano ai
problemi dei giovani e alle nuove sfide di un paese ormai industrializzato e
in crescita economica. In Whale Hunting (Goraesanyang), del 1986, Bae
Chang-ho racconta di un uomo che, dopo una delusione amorosa, decide di
lasciare la casa per andare a caccia di balene. Si ritrova invece a vagare
per le strade notturne insieme a un senzatetto e a una prostituta muta, cui è
deciso a ridare la voce. Nel successivo Deep Blue Night (Gipgo puleun
bam), del 1985, la metafora del viaggio e della ricerca si fa ancora più
spietata. L'incedere da thriller (per ottenere un permesso di soggiorno un
uomo non esita a rubare e ingannare), le scompaginature erotiche (i patinati
amplessi di contorno) e l'ambientazione statunitense (non è un caso il ruolo
preminente della Death Valley) non nascondono la problematizzazione
dell'uomo coreano, che si muove senza più punti di riferimento in una
società irriconoscibile.
Il rapporto tra l'individuo e la nazione, o meglio tra il singolo e il portato
collettivo del corpo sociale, è approfondito dall'esordio di Park Kwang-su,
Chil-su and Man-su (Chil-su wa Man-su), del 1988, e dal successivo Black
Republic (Guedeuldo ulicheoleom), del 1990. Nel primo è messo in scena lo
spaesamento del lavoratore medio, attratto dai modelli occidentali che non
è però in grado di imitare; nel secondo si affrontano invece i dubbi degli
intellettuali, costretti a nascondersi, qui in una miniera di carbone, per
sfuggire alla repressione del regime. I risvolti sono inevitabilmente tragici –
da un lato il surreale assedio ai due protagonisti, barricati su una insegna
pubblicitaria gigante che stavano dipingendo ( Chil-su and Man-su); dall'altro
la diaspora forzata del protagonista e la distruzione delle speranze della
prostituta e del figlio del proprietario della miniera ( Black Republic). Temi
affini, ma con sguardo più caustico, affronta The Age of Success (Seonggong si Dae), di Jang Sun-woo, uscito nel 1988, in cui un rampante
promoter di un'azienda è disposto a tutto in vista di fama e successo, anche
a fingere una relazione con una donna pur di avere informazioni riservate
sulla compagnia rivale. Qui lo spaesamento è rivoltato in beffa e al
protagonista non resta che l'oblio. Il cinema di Jang Sun-woo cresce
comunque con il tempo, fino a sbocciare in A Petal (Kkochip), del 1996, in
54
Sull'importante figura di Im Kwon-taek cfr. James David E., Kim Kyung-hyun (a
cura di), Im Kwon-taek. The Making of a Korean National Cinema , Wayne State
University Press, Detroit 2002, che nella sua analisi si concentra soprattutto sul periodo
precedente.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
101
cui una ragazza è trasformata dall'angosciante e inesprimibile ricordo della
strage di Gwangju, e in Timeless, Bottomless (Nappeun yeonghwa), del
1997, che segue con stile libero e slegato da patemi narrativi un gruppo di
55
ragazzi di strada, tra droga, sesso e violenza .
La cosiddetta new wave di fine anni '80 è in realtà un nuovo inizio, una
delle molte partenze cui è stato costretto il cinema coreano, che fa da
sfondo alla vera rinascita, che avviene nella seconda parte degli anni '90 e
poi in modo esponenziale nel nuovo millennio. A partire dal 1992, con la
commedia The Marriage Life/The Marriage Story (Gyeolhon-i-yagi), si fa
strada una nuova pratica produttiva che vede gli investimenti diretti dei
chaebol, i grandi conglomerati industriali tipo Hyundai e Daewoo. Le
corporazioni cercano in questo modo di chiudere il cerchio, essendo
proprietarie di molte sale e catene di cinema, oltre che spesso produttrici di
supporti tecnologici come telecamere, videocassette o videoregistratori. Il
modello garantisce un aumento di afflusso di denaro, ma è di breve durata,
naufragando nella crisi del 1997. Sembra l'ennesimo collasso di un'industria
destinata a una spirale di partenze e riflussi, ma anche a fronte di una
temporanea diminuzione nella produzione, l'industria regge l'urto, segno di
una ritrovata maturità. Con il pronto supporto del governo, è l'inizio di una
56
periodo di espansione che travalica i confini nazionali e quelli asiatici .
Nel 1996 c'è l'esordio di autori ormai noti nel circuito internazionale dei
festival come Kim Ki-duk (Crocodile/Ageo) e Hong Sang-soo (The Day a
Pig Fell into a Well/Doejiga umul-e ppajin nal). Nel giro di pochi anni si
assiste agli esordi di Lee Chang-dong ( Green Fish/Chologmulgogi, del
1997), Im Sang-soo (Girls' Night Out/Cheonyeodeul-ui jeonyeogsigsa , del
1998) e Bong Joon-ho (Barking Dogs Never Bite/Peullandaseu-ui gae), del
2000), senza dimenticare l'impegno nel cinema di genere di Park Chanwook (Threesome/Sam-injo, del 1997) e Kim Jee-won ( The Quiet
55
Sul cinema negli anni '70 e sulla rinascita degli anni '80 e primi anni '90, cfr. Park
Seung-hyun, “Korean Cinema After Liberation. Production, Industry and Regulatory
Trends”, in Gateward Frances (a cura di), Seoul Searching. Culture and Identity in
Contemporary Korean Cinema, State University of New York Press, Albany 2007, pp.
15-36; Moon Jae-cheol, “The Meaning of Newness in Korean Cinema: Korean New
Wave and After”, in Korea Journal, vol. 46 no. 1, primavera 2006, pp. 36-59; An Byungsup, “L'evoluzione del cinema coreano”, in Aprà Adriano (a cura di), op. cit., pp. 51-8; I
Hyo-hin, “Il cinema indipendente degli anni Ottanta”, in Aprà Adriano (a cura di), op. cit.,
pp. 125-36.
56
cfr. Darcy Paquet, “The Korean Film Industry: 1992 to the present”, in Shin Chiyun, Julian Stringer (a cura di), New Korean Cinema, Edinburgh University Press,
Edinburgh 2005, pp. 32-50.
102
All'ombra del 38° parallelo Cinema coreano tra 'han' e riunificazione
Family/Jo-yonghan gajok, del 1998). È un cambio generazionale quasi
completo che sancisce l'ingresso della Corea nelle nazioni produttrici più
quotate e agguerrite. Nel nuovo millennio sono molti i film che si impongono
alle platee internazionali, con successi insperati anche in Italia – come
dimostrano ad esempio Ferro 3 (Bin jip), di Kim Ki-duk, risalente al 2004, o
57
Old Boy (Oldeu Boi), di Park Chan-wook, del 2003 . Un trend che
purtroppo negli ultimi anni nel nostro paese si è arrestato, nonostante
alcune uscite direttamente nel mercato home video. Il nuovo cinema
coreano è però ormai preparato al terreno di scontro globale, non più
rinchiuso entro i confini nazionali come in passato, e nonostante un relativo
calo di qualità degli ultimi due anni, continua a garantire piccoli gioielli,
misconosciuti solo in Italia, fortunatamente recuperabili in dvd esteri, con
sottotitoli in inglese, o tramite rassegne specialistiche sempre più diffuse
come il Korean Film Festival di Firenze e il Far East Film Festival di Udine.
2.
Percorsi tematici
Per quanto necessariamente stringata, questa breve cronistoria mostra
quanto difficoltoso eppure tenace sia stato il cammino di consolidamento
dell'industria cinematografica coreana. In conseguenza di questa strenua
lotta per emergere in un contesto ambientale difficile, è possibile notare una
serie di idee ricorrenti nelle produzioni delle diverse epoche, sviluppate in
modo più o meno esplicito, più o meno consapevole, come dei fantasmi che
riemergono e ritornano a far sentire la propria voce. Il cinema ha fatto da
eco a quelle che nel corso dei decenni sono state le paure e le speranze del
popolo coreano, penetrando in profondità con variazioni tematiche anche in
film in apparenza di puro escapismo. E vista la travagliata storia del paese,
un ruolo fondamentale giocano riflessioni sul rapporto con la storia, sul
sentimento di oppressione e rivincita, sul ruolo della memoria e sulla ricerca
di una identità nazionale propria. Da questo punto di vista il cinema non ha
57
Sul cinema coreano del nuovo millennio cfr. Paquet Darcy, New Korean Cinema.
Breaking the Waves, Wallflower, London 2009; Kim Kyung-hyun, The Remasculinization
of Korean Cinema, Duke University Press, London 2004; Rissient Pierre (a cura di),
Stagioni e passioni. Il cinema coreano tra passato e presente , Cineteca Speciale,
Cineteca di Bologna, Bologna 2005; Paquet Darcy, “Il cinema sudcoreano, 1999-2008”,
in Havis Richard James (a cura di), Far East: dieci anni di cinema (1999-2008), Centro
Espressioni Cinematografiche, Udine 2008, pp. 160-201; Howard Chris, “Contemporary
South Korean Cinema: National Conjunction and Diversity”, in Hunt Leon, Leung Wingfai (a cura di), East Asian Cinemas. Exploring Transnational Connections on Film , I.B.
Tauris, London 2008, pp. 88-102;
Atti del Convegno Conoscere la Corea
103
solo fatto da specchio della realtà, ma ha anche contribuito a suo modo ad
alimentare un dibattito presente a tutti i livelli nella società coreana.
Le generalizzazioni sono sempre fuorvianti e foriere di errori,
specialmente se si tenta di comprendere con un numero limitato di concetti
un periodo tanto vasto, ma guardando nel suo insieme la produzione
coreana salta all'occhio come sia possibile estrapolare nuclei tematici forti,
diramazioni che è possibile seguire nel loro sviluppo temporale. In
moltissimi film di diverse epoche e generi c'è ad esempio un forte
sentimento nazionalista, più o meno mascherato sotto metafore e allusioni,
conseguenza dei passati domini cinese e giapponese, a cui si collegano le
memorie del colonialismo. Insieme al discorso sull'identità nazionale, da
proteggere rispetto alle influenze dei paesi circostanti, c'è poi una sorta di
paranoia sulla sicurezza, che ha trovato la sua coniugazione principale nel
paradigma dell'anti-comunismo: un sentimento che rimanda alla divisione
58
del paese e alla volontà di riunificazione . In senso più generale, come già
messo in luce, il cinema coreano è percorso da una venatura nostalgica,
ma non doma, rappresentata dal sentimento dell' han, che informa tanti film
anche diversi tra loro. Uno snodo cruciale, in questo senso, è rappresentato
dall'incontro tra un passato che non vuole scomparire e un presente incerto:
non solo in film espliciti come Peppermint Candy (Baghasatang), di Lee
Chang-dong, del 1999, o il già citato A Petal, ma anche anche in generi in
apparenza insoliti, per esempio nei melodrammi che collegano il passato al
presente per via fantastica, come Il mare (Siwore) e Ditto (Donggam),
entrambi del 2000, o in thriller e horror come la saga di Whispering
Corridors (Yeogogoedam), iniziata nel 1998, o il più enigmatico The Last
59
Witness (Choehu-ui jeung-in), del 1980, oggetto di un remake nel 2001 .
2.1. Oppressione, divisione, riconciliazione. Tra le due Coree
Tra tutti questi temi e i molti altri possibili, si è scelto di approfondire il
discorso sulla divisione del paese e l'evoluzione dei sentimenti in proposito,
58
cfr. Robinson Michael, “Contemporary Cultural Production in South Korea:
Vanishing Meta-Narratives of Nation”, in Shin Chi-yun, Julian Stringer (a cura di), op. cit.,
pp. 15-31
59
cfr. Kim So-young, “Do Not Include Me in Your Us: Peppermint Candy and the
Politics of Difference”, in Korea Journal, vol. 46 no.1, primavera 2006, pp. 60-83
104
All'ombra del 38° parallelo Cinema coreano tra 'han' e riunificazione
perché particolarmente rappresentativo non solo del cinema, ma anche
della società coreana in generale.
Ancora prima dello scoppio della Guerra di Corea, il cinema prova a
indagare sul significato di una divisione già percepibile nel quotidiano:
Breaking the Wall (Seongbyeog-eul ttulhgo), film del 1949 di Han Hyungmo, contrappone due fratelli che si ritrovano ai lati opposti delle barricate
ideologiche (un meccanismo usato spesso anche in seguito, ad esempio in
Taegukgi/Taegukgi Hwinallimyeo, di Kang Je-gyu, del 2004). A maggior
ragione dopo il 1953 la divisione effettiva del paese entra di prepotenza nel
repertorio cinematografico, da una parte come dispositivo drammatico utile
a richiamare il dolore, le perdite e lo sconforto derivanti dalla guerra e dalla
diaspora, dall’altra come strumento di controllo sociale in funzione anticomunista. La cinematografia coreana ha iniziato a confrontarsi in presa
diretta con avvenimenti storici ancora vivi e tragicamente dolorosi. Ma
inizialmente lo ha potuto fare solo con una tesi pregressa e rigidamente
controllata alla fonte: ogni tentativo, anche involontario, di andare contro la
rappresentazione autorizzata dei fatti è stata sanzionata. Un evidente
paradosso: al cinema è stato quasi imposto di puntare i riflettori sulla
separazione delle due Coree, come strumento di propaganda, ma
acriticamente, senza potervi riflettere sopra, di fatto azzerando la sua
funzione di critica sociale.
I film bellici sono numerosi, e quasi sempre estremamente manichei,
anche quando sono ottimi film, come nel caso di The Marines Who Didn't
Come Home (Toraoji annun haebyong), di Lee Man-hee, uscito nel 1963,
che presenta sorprendenti ricostruzioni di battaglie e una morale anti-bellica
di fondo, o The Red Muffler (Ppalgan Mahura), di Shin Sang-ok, del 1964,
che guarda al conflitto dal punto di vista dell'aviazione. I film più ambigui,
che sembrano in qualche modo umanizzare il “nemico”, vengono non a
caso messi all'indice. Piagol, di Lee Gang-cheon, del 1955, è il primo film
bandito in base alla National Security Law, proprio perché, nel ritrarre il
conflitto, non aderiva, secondo i censori, ai dettami anti-comunisti imperanti.
A due anni dal cessate il fuoco, è girato in zone in cui erano ancora attivi
nuclei comunisti e la guerra era ancora una realtà palpabile. Il film segue un
gruppo di guerriglieri nordcoreani braccati e in fuga sulle montagne. Nel film
non si vedono mai soldati dell’esercito sudcoreano, i guerriglieri sono
protagonisti assoluti: la conseguente umanizzazione dei personaggi era
considerata inaccettabile. Perché il film potesse essere riammesso si
dovette editare il finale, con una sovrimpressione della bandiera
sudcoreana, per rendere più chiara la diserzione dei guerriglieri verso la
“parte libera”.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
105
In seguito si è arrivati persino a una condanna, nel caso di The Seven
Female POWs (Chilinui yeoporo) di Lee Man-hee, prodotto nel 1965 e
purtroppo non conservato. La sinossi descrive la storia di un gruppo di
infermiere del Sud catturate da un ufficiale del Nord. Le truppe comuniste
difendono le donne da un tentativo di stupro da parte di soldati cinesi,
quindi, per timore di essere giustiziati, i nordcoreani si convincono a
disertare. Il governo lesse nella pellicola una glorificazione dell’esercito
nordcoreano e il regista venne arrestato. Fu rilasciato sulla parola dopo che
acconsentì a modificare il montaggio e a cambiare il titolo nel più neutro
Return of the Female Soldiers.
Solo con l'alleggerirsi della situazione politica e la fine almeno nominale
delle dittature, a partire dagli anni '90, il clima è mutato e si è potuto provare
a guardare con più serenità ai rapporti tra i due paesi. Proprio nel 1990
esce North Korean Partisan in South Korea (Nambugun), di Chung Jiyoung, che racconta la guerriglia dell'esercito del Nord nelle montagne del
Sud. A fungere da fulcro narrativo non sono qui però la disumanità e la
violenza, come in Piagol, quanto gli stenti e la disorganizzazione
dell'esercito, la durezza del clima, l'orrore della morte. Un cambio di
prospettiva che si radicalizza ancora in seguito, quando alla necessità della
divisione della guerra fredda si sostituisce una volontà di riunificazione e
riconciliazione, nel tentativo di chiudere una ferita che continua a
sanguinare. The Tae Baek Mountains (Taebaegsanmaeg), di Im Kwon-taek,
del 1994, offre una prospettiva umanista, riunendo le vicissitudini di un
villaggio preso tra le due ideologie: il film si sforza di offrire diversi punti di
vista e ha un afflato metaforico che si dispiega nella figura della sciamana e
del rituale che deve compiere. Certo poi rimangono film come Shiri (Swiri),
di Kang Je-gyu, il più grande incasso del 1999, che presentano le
pericolose macchinazioni del nord per annichilire la repubblica del Sud, ma
a questi film si aggiungono visioni complesse come lo straordinario Joint
Security Area (Gongdonggyeongbiguyeok), di Park Chan-wook, del 2000, o
il poetico Welcome to Dongmakgol, di Park Kwang-hyun, del 2005. Il primo
parte come un film procedurale, con l'indagine sulla morte di un soldato
lungo il confine che separa i due paesi, ma svela presto la sua natura
conciliatoria nel presentare in flashback la progressiva amicizia tra le
guardie dei due schieramenti. Pur nella retorica, Park Chan-wook riesce a
ribaltare le carte del discorso anti-comunista: non sono i governi, isolati
nelle loro stanze dei bottoni, che pagano le conseguenze della divisione,
ma la popolazione, indistintamente, che stia al Nord o al Sud, e da loro
deve quindi venire la volontà di unità. Welcome to Dongmakgol è invece a
metà tra una ricostruzione storica della guerra di Corea e la narrazione
106
All'ombra del 38° parallelo Cinema coreano tra 'han' e riunificazione
fantastica: ripercorre le peripezie di due gruppi di soldati degli opposti
schieramenti che si trovano isolati in un villaggio di montagna. Dopo la
diffidenza iniziale, che causa l'esplosione del granaio del villaggio, i soldati
uniscono le forze per aiutare i civili. Oltre le divise, emergono gli uomini,
uguali tra loro, con identiche aspirazioni, sogni e necessità. Il messaggio è
talmente esplicito da risuonare ancora più forte. È come se con i toni della
favola il cinema si riappropriasse della storia, riscrivendola e disinnescando
decenni di messaggi guerreschi con lo sguardo innocente proprio dei
bambini - o dei folli: non a caso il deus ex machina della riappacificazione è
60
la ragazza un po' matta del villaggio .
Dagli iniziali problemi con la censura, il cinema si è aperto a una
riflessione ad ampio respiro, contribuendo ad alimentare il dibattito e
aumentando la consapevolezza delle ragioni e delle conseguenze della
divisione: si dimostra così una preziosa cartina di tornasole per
comprendere la società coreana nelle sue dinamiche di rielaborazione del
proprio passato.
60
Per una discussione più approfondita di questo tema cfr. Locati Stefano, “38°
parallelo. Il cinema sudcoreano all'ombra delle due Coree”, in Cinergie 20, luglio 2010
Atti del Convegno Conoscere la Corea
107
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La cultura musicale coreana, oggi e ieri
Un’introduzione
di Daniele Sestili
PREMESSA
Nel classificare le proprie musiche, raccolte sotto il termine complessivo di
kugak, traducibile come “musica nazionale”, i sud-coreani oppongono alla
tradizione di corte (aak) un vasto corpus folklorico (minsok ŭmak), che
include il canto popolare (minyo).
Va detto che il vocabolo indicato nei dizionari come corrispondente a
‘musica’, ŭmak, è invalso nell’uso da poco più di un secolo, con il fine di
rendere un concetto di natura onnicomprensiva, essenzialmente di
derivazione occidentale, estraneo, in origine, alle culture dell’Est Asia.
L’attuale predominanza della musica euroamericana o di stile occidentale
ha però influito fortemente sull’accezione del vocabolo in questione: a ben
vedere, ŭmak indica, quando senza ulteriori specifiche, i generi occidentali,
siano essi classici o popular (Killick, 2002a: 804). E’ infatti la musica
occidentale, o di origine occidentale, a dominare lo stile di vita dei sudcoreani. Nelle grandi città, tale musica ha un largo seguito e gode di un
notevole prestigio sociale. Nella capitale sud-coreana l’orchestra filarmonica
di Seoul è affiancata dalla Orchestra sinfonica del KBS (Korean
112
La cultura musicale coreana, oggi e ieri
Broadcasting System) e dall’Orchestra sinfonica di Corea; orchestre locali
sono presenti a Pusan, Taegu e altri centri urbani. La facoltà di musica
dell’Università nazionale di Seoul è una delle tante dove si può studiare
composizione. Il livello dei dilettanti è molto alto, come accade in altri Paesi
est-asiatici.
Anche nell’ambito della popular music, la Repubblica di Corea vive un
periodo di successo, seppure ridimensionatosi economicamente dopo i
primissimi anni 2000. La pervasiva diffusione della cultura di massa
coreana, inclusa la locale musica pop, in Cina, Taiwan e altri Paesi
dell’area, ha raggiunto il suo apice nel 2002. Negli anni Novanta la
“maggiore età” del K-pop ha portato all’elaborazione di una ricca scena, che
oggi spazia dal rap al metal, fino al punk.
Notevolmente differente risulta invece la situazione della Repubblica
democratica popolare di Corea, dove le musiche tradizionali vivono da
decenni una situazione di estrema difficoltà e la popular music viene
strettamente controllata dal governo. Alcune orchestre, cori, compagnie
artistiche di stato sono attive nella capitale nord-coreana, inclusa
61
un’orchestra specialista dell’opera di Isang Yun . Gli Studi cinematografici
di P’yŏngyang sono committenti di colonne sonore per i film prodotti. Presso
l’Università di musica e danza della capitale vengono impartiti gli
insegnamenti di musica tradizionale e occidentale (Howard, 2001).
In questo scritto, dopo aver proposto un breve panorama storicomusicale,
focalizzerò il mio interesse sul kugak, analizzandone gli
strumenti, i generi e il linguaggio, e cercando, nel contempo, di evidenziare
62
le continuità e gli sviluppi rilevabili nella cultura musicale coreana. Lo
scopo del mio intervento è incoraggiare il lettore ad avvicinare una
tradizione sonora estremamente affascinante, e ciononostante totalmente
sconosciuta in Italia. In questo senso va utilizzata la Discografia con cui si
chiude il contributo, che propone registrazioni rappresentative di vari
generi, corredate di commentari in lingue occidentali.
61
Isang Yun [Yun Yisang] (1917-1995), lungamente il più noto tra i compositori
coreani fuori dalla Penisola, è stato attivo in Germania dal 1956 fino alla sua morte.
62
Per un maggiore approfondimento sul kugak, collocato nel più ampio contesto estasiatico, si rinvia a Sestili, 2010.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
113
I. UNA BREVE STORIA DELLA MUSICA IN COREA
I primi riferimenti alla vita musicale coreana giungono da un testo cinese,
Sanguo zhi (Storia dei Tre regni), romanzo storico di Chen Shou (233-297
d.C.): in esso si afferma che nella Corea sud-occidentale musica, danza e
libagioni erano impiegate per celebrare le fasi del lavoro agricolo.
1.1. Il periodo dei Tre regni (57-668)
Solo nel IV secolo d. C., dunque nella fase in cui il Paese è diviso fra tre
regni, appaiono alcune pitture parietali di soggetto musicale in differenti
tombe ubicate nella parte settentrionale della Penisola. Le immagini gettano
una prima luce sulla storia musicale locale: vi sono comprese raffigurazioni
63
di danzatori e strumenti, quali tamburi, campane, gong, flauti, liuti e
64
cetre , tutti di chiara matrice cinese. Oltre a strumenti stranieri, alcune
pitture di tombe e bassorilievi su pietra e metallo coevi raffigurano però uno
oggetto tutt’oggi centrale nella pratica musicale coreana: il changgo,
tamburo a forma d clessidra. Sepolcri del V-VI secolo, infine, rivelano
immagini di cetre con tasti, antenati del kŏmun’go, una cetra ritenuta
strumento autoctono. Alcuni documenti storici forniscono informazioni anche
sul kayagŭm, altra importante cetra coreana. Se da una parte la Corea
introduce, in questa fase, strumenti e generi musicali stranieri, dall’altra va
ricordata la diffusione delle musiche coreane nel resto dell’Asia orientale,
sia in Giappone che in Cina, già nel primo millennio.
1.2. Silla unificato e Koryŏ (668-1392)
L’unificazione del Paese (668) segna il massimo sviluppo del Buddismo e
della sua salmodia, entrambi introdotti nel tardo IV secolo tramite la Cina.
Tra gli strumenti emersi in questa fase, il flauto traverso taegŭm è
sicuramente uno dei più importanti.
Con l’ascesa al potere della dinastia Koryŏ (918-1392), si realizza
l’adozione della musica rituale cinese (yayue): nel 1116 l’imperatore cinese
63
Il liuto (ingl. lute) è una famiglia di cordofoni in cui si distinguono un manico e una
cassa. Il liuto a corde sfregate e una sottotipologia anche nota come viella (cfr. nota 5).
64
Il vocabolo cetra (ingl. zither) indica una famiglia di cordofoni in cui non si
distinguono un manico e una cassa. Le cetre a tavola (ingl. board zither), cioè costituite
essenzialmente da una tavola, e con ponticelli mobili sono tipiche dell’Asia orientale (si
pensi al zheng cinese o al koto giapponese).
114
La cultura musicale coreana, oggi e ieri
Huizong dona alla corte coreana 428 strumenti, costumi e accessori per la
danza impiegati nello yayue. Questo repertorio orchestrale, denominato aak
in coreano, divenne velocemente elemento indispensabile delle cerimonie
della corte, affiancandosi alle musica cinese da banchetto e musica
65
autoctona. Tra gli strumenti del periodo, lo haegŭm, una viella, è citato per
la prima volta in una poesia nel XIII secolo. Oltre a questo strumento di
origine mongola, durante il periodo Koryŏ venne introdotta dalla Cina la
cetra a corde sfregate ajaeng.
1.3. Il primo Chosŏn (1392-1592)
L’affermazione del Neoconfucianesimo, che caratterizza la parte iniziale del
periodo Chosŏn ( 1392-1910), stimola una ‘restaurazione’ della musica
confuciana, fatto estremamente rilevante anche per la vita musicale
contemporanea. Le pratiche esecutive dello aak di oggi sono infatti dirette
discendenti di quelle del XV secolo. Di fatto il tentativo di restaurazione
degli originari caratteri cinesi dello aak ne avvia la coreanizzazione.
Il XV secolo è anche il secolo della massima fioritura di studi
musicologici nella corte coreana. Fondamentale è lo Akhak kwebŏm (Guida
allo studio della Musica, 1493), trattato redatto sotto la guida di Sŏng Hyŏn.
Tale opera descrive nel dettaglio le teorie cinese e coreana, gli insiemi
strumentali e i singoli strumenti, con misure e dettagli di costruzione. Sotto
il regno di Sejong (1418-50), il teorico Pak Yŏn, direttore dell’Ufficio della
Musica, produce oltre cinquanta scritti su strumenti, cerimoniale della
musica, calcolo delle altezze.
1.4. Il tardo Chosŏn (1593-1910)
Eventi drammatici - tre invasioni, una giapponese (1593) e due mancesi
(1627 e 1636) - spingono la Corea alla chiusura verso il mondo esterno. Lo
stato di guerra aveva comunque già influito in modo negativo sulla pratica
della musica di corte aak. Nel corso del XVII e XVIII secolo, tra i
rappresentanti della classe dominante e delle classi medie si diffondono i
generi vocali noti come sijo, kasa e kagok e un repertorio puramente
strumentale.
Fuori dalla corte, negli ultimi due secoli del periodo Chosŏn, nascono o si
sviluppano rilevanti generi popolari. Il p’ansori, repertorio paragonabile a
65
Con ‘viella’ (ingl. fiddle) si indica una sottofamiglia di liuti le cui corde sono sfregate
con un arco.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
115
quello dei cantastorie, è praticato da artisti itineranti. Nel tardo XIX secolo
nasce il sanjo, genere strumentale improvvisato. La sua creazione è
attribuita a Kim Ch’angjo (1865-1919), virtuoso della cetra kayagŭm.
La politica isolazionista avviata nel XVII secolo giunge a un termine nel
1882, sotto la pressione delle potenze occidentali. Arrivano così i primi
missionari protestanti, i quali introducono la musica occidentale. Nel 1900
viene fondata la prima banda reale, addestrata dal tedesco Franz Eckert. I
sostenitori della modernizzazione guardano con ammirazione alla musica
occidentale in quanto simbolo di ‘progresso’, mentre le musiche tradizionali
vengono viste come segno di arretratezza.
1.5. Il periodo coloniale giapponese (1904-1945)
L’occupazione giapponese ha effetti complessi sulle tradizioni musicali in
Corea. Se la musica di corte viene vietata, con l’eccezione del repertorio
confuciano (aak in senso stretto), il periodo coloniale non sancisce il declino
delle musiche tradizionali, per quanto l’amministrazione occupante
cercherà, spesso, di usarle come mezzo di propaganda e imporrà
l’educazione musicale su basi occidentali. Nel 1927 viene inaugurata la
prima stazione radio coreana; radio e i dischi diffondono ppongtchak
(canzoni influenzate da quelle giapponesi note come enka) e i cosiddetti
sin minyo, “nuovi canti popolari”, che uniscono melodie di tipo tradizionale a
strumenti occidentali.
Terminate la Seconda guerra mondiale, la divisione tra Nord e Sud
(1948) determinerà un sviluppo ineguale per le culture musicali dei rispettivi
territori.
1.6. Dal secondo dopoguerra
La feroce occidentalizzazione della Corea del Sud porta, negli anni
Sessanta, a temere addirittura la scomparsa delle musiche tradizionali. Il
governo cerca di scongiurare il pericolo con alcuni provvedimenti ad hoc: la
legge per i beni culturali immateriali porta ad incaricare alcuni maestri di
trasmettere il loro sapere a giovani musicisti; vengono inoltre protetti diversi
generi o repertori. L’attenzione per il kugak è determinata anche dal
progetto nazionalista portato avanti dai vari governi autoritari che si
susseguirono in quei decenni. I tardi anni Settanta segnano invece una
tendenza inversa di rivalutazione dal basso delle musiche tradizionali: nel
116
La cultura musicale coreana, oggi e ieri
1978 viene fondato il gruppo neotradizionale SamulNori, la cui musica si
ispira a quella dei contadini (questa denominata p’ungmul o nongak).
Nell’ambito dei compositori di scuola occidentale, appaiono le prime
opere specificamente dedicate agli strumenti coreani già negli anni
Sessanta, grazie ad autori come Hwang Byungki [Hwang Pyŏnggi] (classe
1936), virtuoso di kayagŭm. Negli anni Settanta il genere t’ong kit’a, della
“chitarra acustica”, influenzato dal canto di protesta americano gode di larga
popolarità; il norae undong (“movimento della canzone”), con temi
prettamente politici, caratterizza invece gli anni Ottanta.
Gli ultimi decenni, come accennato, hanno visto l’esplosione della cultura
di massa sud-coreana e la definitiva inclusione del Paese est-asiatico
nell’arena della globalizzazione. L’inizio del XXI secolo saluta la cosiddetta
Korea Wave, ovvero la diffusione della cultura di massa coreana - quindi
musica pop, ma anche film, soap opera, moda - in Cina, Taiwan e altri
Paesi dell’area. La Repubblica di Corea manterrà una posizione forte, in
competizione con il Giappone, nella cultura di massa dell’area est-asiatica
e, più in generale, asiatica. Resta da capire quale ruolo le musiche del
kugak riusciranno a conquistare in tale scenario.
Nella Repubblica popolare democratica, seguendo il modello maoista,
Kim Il Sung [Kim Ilsŏng] con i suoi Discorsi con gli scrittori e gli artisti
(1951), ha sancito che la musica deve essere ‘popolare’ e non elitaria,
vincolando la produzione musicale dei decenni a venire. In breve emerge
una vitale produzione di canti di natura prevalentemente propagandistica,
66
definiti “canti “autarchici” e poi “canti delle masse”, taejung kayo . Più
recentemente si è sviluppata una musica popular con chitarre elettriche e
sintetizzatori, che insieme a video per karaoke, sono penetrati nella nuova
produzione pop nord-coreana.
II. STRUMENTI MUSICALI E VOCE
La Corea del Sud presenta una ricca varietà organologica - 45 tipologie in
uso nella pratica attuale (Song, [1979]: 30). Molti strumenti, importati da o
tramite la Cina nel corso della storia, sono stati oggetto di significativi
adattamenti, al fine di rispondere alla sensibilità estetica coreana.
Nel Nord alcuni strumenti sono stati “migliorati” cioè trasformati, per
esempio con l’aggiunta di chiavi ai flauti, o con l’aumento delle corde e
66
Esempi di questa produzione di musica ‘patriottica’ si possono ascoltare tramite il
sito (in coreano): http://www.big.or.jp/~jrldr/(consultato agosto 2008).
Atti del Convegno Conoscere la Corea
117
l’impiego di materiali non tradizionali per le stesse: si pensi al “nuovo
kayagŭm”, a 21 corde di nylon. Altri, invece, sono semplicemente caduti in
disuso, a causa del discredito che ha colpito la musica tradizionale nelle
Repubblica democratica.
2.1. Strumenti a corde
Rappresentante coreano della famiglia delle cetre a tavola con ponticelli
mobili, tipiche dell’Est Asia, è il kayagŭm, con 12 corde di seta. La
denominazione, “cetra di Kaya”, allude alla tradizione che ne colloca
l’origine nell’omonimo, piccolo regno situato nella Corea meridionale e
prospero tra IV e V sec. Appartengono sempre alla famiglia delle cetre il
kŏmun’go e lo ajaeng. Il primo, munito di sei corde pizzicate con un
bastoncino di bambù, è stato storicamente lo strumento preferito dai letterati
coreani. Lo ajaeng è invece una rara cetra a corde sfregate.
Tutte e tre le cetre vengono caratterizzate da una tensione moderata
delle corde: ciò risponde al gusto coreano per il registro basso e permette,
nel contempo, un vibrato ampio e irregolare e la fluttazione dell’altezza
prodotta. Queste qualità del suono sono specificità idiomatiche della
tradizione coreana, in particolar modo di quella folklorica.
Di notevole importanza è il già citato haegŭm, viella con piccola cassa
ottagonale e munita di due corde di seta. Ampiamente impiegata nelle
tradizioni di corte e folkloriche, verosimilmente fu importata dalla Cina
durante il periodo Koryŏ (918-1392).
2.3. Strumenti a fiato
Tutti i flauti traversi coreani sono dotati di mirliton, cioè di un membrana
vibrante che arricchisce di una sonorità nasale il timbro dello strumento. La
tipologia più popolare è il taegŭm, con sei fori digitali; si tratta di uno degli
strumenti protagonisti del genere noto come sanjo. Il flauto dritto con
imboccatura a tacca, tanso, vanta un suo repertorio solistico di corte, ma è
usato occasionalmente anche per il sanjo.
67
L’oboe detto p’iri conosce una larga diffusione sia nell’ambito di corte
che folklorico, mentre quello noto come t’aepyŏngso domina la rara musica
67
Il termine ‘oboe’ (ingl. oboe, shawm) indica una famiglia di aerofoni dotato di ancia
doppia, cioè formata da due linguette contrapposte. L’ancia è un dispositivo sonoro
costituito da una lamina elastica (legno, bambù, metallo), singola o doppia, applicata
all’imboccatura dello strumento o in corrispondenza del flusso d’aria.
118
La cultura musicale coreana, oggi e ieri
reale processionale e quella del contesto buddhista. Quesr’ultima tipologia
di oboe può avere il ruolo di strumento melodico nella musica contadina
(nongak), dove viene denominato, con termine onomatopeico, nallari. Il
68
saenghwang, organo a bocca , ha un repertorio solistico ora molto limitato,
connesso alla corte; occasionalmente viene suonato in duo con il tanso.
69
2.4. Strumenti a percussione (membranofoni e idiofoni)
Largamente presente nei differenti generi tradizionali, il changgo è un
tamburo a clessidra. Sebbene sia considerato strumento autoctono, lo
Akhak kwebŏm ne ritraccia l’origine in alcuni tamburi della Cina del periodo
Han.
Il puk, tamburo a barile percosso con una sola robusta bacchetta, ha un
ruolo rilevante in due generi folklorici: insieme al changgo e a due differenti
tipi di gong anima sia la musica contadina (p’ungmul) che il suo derivato
neotradizionale, il samullori. Nel p’ansori è invece l’unico strumento che
accompagna la voce del cantastorie.
Una grande varietà di tamburi trova utilizzo nell’orchestra dello aak, la
musica rituale confuciana, mentre tamburi di ampie dimensioni sono
presenti nei templi buddisti, dove vengono suonati dai monaci durante le
funzioni.
Due gong, insieme ai tamburi suddetti, completano il quartetto di
percussioni della musica contadina. Il ching, di maggior diametro, fornisce la
scansione di base del ciclo ritmico, mentre il kkwaenggwari realizza
complesse figurazioni ritmiche, da cui il nome, onomatopeico.
La batteria di campane ( p’yŏnjong) e quella di litofoni ( p’yŏn’gyŏng),
entrambe di chiara origine cinese, circoscrivono il loro uso allo aak. Utensili
del Buddhismo sono i cimbali e i ‘tamburi’ a fessura, noti come mokt’ak. I
cimbali trovano ampio uso anche nelle pratiche sciamaniche, affiancati dai
68
‘Organo a bocca’ (ingl. mouth organ) indica un aerofono dotato di ance singole
libere, cioè non in contatto diretto con la bocca, ma che vibrano sollecitate dal flusso
d’aria.
69
Il termine ‘percussioni’, con cui si identifica nel linguaggio non specialistico
l’insieme di membranofoni e idiofoni, è organologicamente parlando improprio, perchè
fa riferimento alla modalità di produzione del suono, e non al materiale vibrante, questo
criterio di base del moderno sistema classificatorio scientifico. Sono membranofoni quei
strumenti in cui una membrana tesa è il primario agente vibrante: il gruppo più ampio dei
membranofoni è rappresentato, pertanto, dai tamburi. Sono idrofoni, invece, glistrumenti
il cui corpo principale è il primario agente vibrante, senza ausilio di parti aggiunte poste
in tensione (membrane, corde) o di aria.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
119
campanelli (pangul). Entrambi sono tra i paraphernalia impiegati dalla
sciamana mudang durante la danza.
2.5. Tradizioni vocali
Il canto coreano può essere sostanzialmente classificato in due ampi
gruppi: di corte e folklorico. Nella tradizione classica, la voce è
generalmente di petto, caratterizzata da un vibrato ampio e lento. Per
contro, una voce di testa, nasalizzata, con un vibrato ampio e irregolare è
tipica della pratica folklorica.
Un significativo e complesso sviluppo vocale interessa il p’ansori, il
repertorio dei cantastorie. Sebbene i suoi interpreti siano spesso donne,
tale genere è caratterizzato da un ‘colore’ classicamente roco, determinato
dalla gola contratta.
Nella pratica vocale folklorica sono identificati quattro stili. Caratteri tipici
del canto popolare possono essere una voce fortemente nasale e
contrassegnata da un ampio vibrato; oppure una significativa contrazione
della gola accompagnata una marcata risonanza di petto (Howard, 1999:
113-115).
Discorso a parte va fatto, infine, per il canto liturgico buddista: esso si
ricollega alle grandi tradizioni vocali buddhiste dell’Asia orientale e sudorientale, e ha caratteri stilistici simili, in modo sorprendente, alla salmodia
tibetana (Lee B., 2003: 9).
III. IL LINGUAGGIO MUSICALE
3.1. Scale
Le musiche tradizionali coreane sono caratterizzare da diverse tipologie
e sottotipologie di scale. La loro riconoscibilità è data, oltre che dalla
struttura intervallare, anche dalla presenza del vibrato, che interessa il
centro tonale, e di glissando che caratterizzano altri gradi rilevanti della
scala. Due scale modali, citate nei trattati musicali storici, sono quella
p’yŏngjo e quella kyemyŏnjo. Il modo pentatonico p’yŏngjo è rilevato sia
nelle tradizioni folkoriche che di corte: utilizzando la terminologia
occidentale può essere descritto come sol-la-do-re-mi. In origine
pentatonico, il kyemyŏnjo ora prevale nelle forme tritoniche, cioè imperniato
120
La cultura musicale coreana, oggi e ieri
su tre gradi, ad intervalli, rispettivamente, di una quarta e una terza minore
(mib-lab-si; Provine, 2002b: 882) o seconda maggiore (mib-lab-sib; Han,
1973: 95). Un altro modo, tipico dei canti folklorici del Sud-ovest, è quello il
cui nucleo è dato da una quinta più una terza minore: re-la-do.
3.2. Ritmo/tempo e forma
Elemento centrale del kugak è il changdan, ovvero il ciclo ritmico, articolato
in numerosi tempi (fino a ventiquattro), sotteso alla stragrande maggioranza
dei generi. Le possibili realizzazioni sono virtualmente infinite e vengono
affidate, sia in ambito popolare che di corte, principalmente ai tamburi
changgo o puk. Nella pratica folkorica, una ricca variazione nella
realizzazione del changdan è possibile ad ogni ripetizione (Provine, 2002 a;
Um, 2002b). Il ruolo essenziale ricoperto nella maggioranza dei generi
tradizionali dai changdan - attestati già nelle più antiche notazioni, risalenti
al XV secolo - è paragonabile, in qualche modo, a quello svolto dall’armonia
funzionale nella musica classica europea sette-ottocentesca.
Il ritmo libero caratterizza numerose tradizioni, sia in ambito folklorico
che di corte. Esso è particolarmente diffuso nel canto liturgico buddhista. La
pulsazione, quando presente, è raramente isocrona: alcuni studiosi coreani
sottolineano questa sua natura flessibile affermando che è il respiro il
modello di riferimento per la realizzazione di un changdan.
Un tempo particolarmente lento, specchio della moderazione propugnata
dal Confucianesimo, distingue i repertori di corte, abbinato nell’esecuzione
a lunghe note tenute, sfumature sia microtonali che dinamiche. All’estremo
opposto, la musica neotradizionale samullori, ispirata dal p’ungmul, può
presentare invece sezioni con tempi estremamente veloci.
Le forme che strutturano i brani dei differenti repertori sono determinate
dalla giustapposizione consecutiva di differenti changdan. Esempio classico
è quello del sanjo, il genere improvvisativo per un solo strumento
accompagnato da un tamburo: le sue sezioni sono basate su cicli ritmici
sempre più veloci.
Il complessivo impianto dei brani, quando il genere in questione prevede
70
più strumenti melodici, è di natura eterofonica : nel caso, per esempio,
dell’insieme strumentale che accompagna la poesia cantata kagok, l’oboe
p’iri e il flauto traverso t’aegŭm eseguono una versione ornamentata della
70
L’eterofonia è una prassi musicale che comporta l’esecuzione simultanea di una
stessa melodia, nella quale ogni musicista abbellisce la linea melodica secondo le
caratteristiche idomatiche del proprio strumento.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
121
melodia di base, questa enunciata dalla cetra kŏmun’go. La diffusione delle
pratiche eterofoniche è strettamente connessa al gusto per l’inflessione
timbrica del singolo strumento che appare evidente in molti generi di kugak.
Nell’ambito propriamente folklorico, l’improvvisazione gioca un ruolo di
rilievo nell’elaborazione di preesistenti materiali melodici e ritmici condivisi
da differenti generi su base regionale. Anche nel folklore ‘professionale’ (il
genere sanjo, per esempio), la capacità dell’allievo di creare sfumature e
ornamenti rispetto al modello appreso dal maestro è altamente apprezzata.
3.3. Estetica
Il pensiero coreano può associare la musica, anticamente definita p’ungnyu
(letteralmente “vento e flusso”), alla natura. Nella Penisola la pratica
musicale delle élite è dominata, come accade negli altri Paesi est-asiatici,
dalle idee confuciane, che impongono la moderazione quale valore
fondamentale.
Alcuni concetti estetici, appaiono tuttavia tipicamente coreani. Di
notevole rilevanza è la nozione di yŏŭm (“retro-suono”), con cui si indica il
decadimento del suono dovuto alla progressiva diminuzione della
vibrazione, caratteristico di strumenti a corde pizzicate, e la sfumatura
acustica ad esso connessa. Il gusto per lo yŏŭm è uno degli elementi di
base della fruizione (Hwang B., 2002) .Inoltre, tutte le tradizioni coreane
pongono una grande attenzione al trattamento del suono, tramite variazioni
di volume, altezza e timbro: prevale dunque l’estetica del singolo suono,
piuttosto che quella che enfatizza il profilo melodico.
IV. I PRINCIPALI GENERI NELLA REPUBBLICA DI COREA
4.1. Le tradizioni di corte
La musica di corte coreana può essere suddivisa in tre generi. Il primo, lo
aak, è composto dalla musica per il culto di Confucio e musica per il culto
degli antenati reali. Gli altri due generi sono il tangak, musica conviviale di
origine cinese, e lo hyangak, corpus autoctono. Tutti e tre i repertori sono di
tipo orchestrale e possono essere abbinati alla danza.
La musica del culto confuciano, eseguita oggi due volte all’anno nel
Santuario della letteratura dell’Università Songgyun’gwan di Seoul, è
122
La cultura musicale coreana, oggi e ieri
suonata da due gruppi, che si alternano nel rito. Secondo la visione
confuciana, essi rappresentano, rispettivamente, il Cielo e la Terra; la
presenza dei danzatori completa la triade cosmica con l’Uomo. Come la
musica, anche la danza è lenta e solenne.
La musica per il culto degli antenati è presentata invece una volta
all’anno presso il Santuario degli antenati, con simile doppia orchestra. La
strumentazione delle due compagini differisce leggermente. Entrambe sono
dominate dalle batteria di campane (p’yŏnjong) e di litofoni (p’yŏn’gyŏng). Il
corpus per il culto degli antenati reali mescola strumenti di origine cinese a
quelli percepiti come coreani, quali taegŭm o haegŭm.
Connessa alla tradizione di corte propriamente detta è la cosiddetta
musica aristocratica (chŏngak, “musica appropriata”), in quanto in passato
praticata dai nobili in contesti non ufficiali. Si articola in corpus vocale (tre
generi: kagok, sijo, kasa), accompagnato da un piccolo insieme
strumentale, e corpus puramente strumentale.
4.2. Le musiche religiose
La musica vocale dei monaci buddhisti presenta tre stili. Quello più solenne
è noto come p’ŏmp’ae, e può essere accompagnato dal ‘tamburo’ a fessura
mokt’ak, dal gong ching o da una campanella. Unico in Asia orientale, il
Buddhismo coreano utilizza, in speciali circostanze, una musica puramente
strumentale, imperniata su l’oboe t’aep’yŏngso, accompagnato da gong
(ching), tamburo a barile ( puk), cimbali (chegŭm) e trombe; l’esecuzione,
affidata a professionisti laici, è simultanea al canto dei monaci. Nelle
cerimonie buddhiste possono essere presenti delle danze rituali (chakpŏp).
Lo sciamanesimo coreano (mu) fa largo utilizzo di musica durante i suoi
rituali (kut). La sciamana (mudang) esegue i canti sciamanici ( muga) e si
accompagna con il changgo. Quando danza, il tamburo a clessidra è
affidato alla sua assistente, che di norma è invece responsabile del gong
ching. La musica strumentale (muak o sinawi) per la danza è eseguita da
professionisti: questi generalmente suonano l’oboe p’iri, il flauto taegŭm e la
viella haegŭm; si possono aggiungere la cetra a corde sfregate ajaeng, e le
cetre pizzicate kŏmun’go o kayagŭm (Bruno, Sestili, 1998).
4.3. Le musiche popolari
L’idea di ‘musica folklorica’ è stata fatta propria della cultura coreana,
ampliandone però l’accezione: minsok ŭmak indica infatti sia i generi tipici
Atti del Convegno Conoscere la Corea
123
dei professionisti e fruiti da un pubblico non partecipante, che quelli diffusi
come pratica condivisa tra i membri di una comunità. Di conseguenza,
possiamo dividere il minsok ŭmak in musica professionale (diversa da
quella di corte) e musica folklorica in senso stretto. Alla prima categoria
appartiene il p’ansori, il repertorio dei cantastorie, descritto a volte nei testi
in lingue occidentali come “opera di una persona sola”. Il narratore impiega
un ampio spettro vocale che spazia tra declamato, per la narrazione, e
cantato, sostenuto da una ricca gestualità. Il puk, tamburo a barile, è l’unico
strumento che interviene nel p’ansori. Il percussionista è incaricato anche di
punteggiare l’esecuzione del narratore con interiezioni vocali di
incoraggiamento.
Altro genere dei professionisti è il sanjo, letteralmente “melodie
disperse”. Si tratta di musiche per un solo strumento melodico (per esempio
la cetra kayagŭm, oppure strumenti a fiato come taegŭm, o, ancora, la viella
haegŭm) accompagnato dal tamburo changgo. Articolato su diversi
movimenti, impiega vari cicli ritmici (changdan), passando dal più lento al
più veloce, con un graduale accelerando.
La musica folklorica, nell’accezione ristretta, è costituita innanzitutto dai
canti popolari, noti come minyo. Questi possono essere privi di
accompagnamento, oppure essere sostenuti dal solo changgo, o, ancora,
coinvolgere un gruppo strumentale, a volte anche ampio. Lo stile varia da
area ad area; si riconoscono cinque regioni (centrale, sud-ovest, nord-est,
orientale, isola di Cheju). La forma comunque prevalente è quella strofaritornello, spesso affidati a due differenti esecutori (o a un solista opposto al
coro). Molti minyo solo legati ai lavori fisici: nascono dunque come canti di
lavoro.
Lo sinawi, è una musica di insieme improvvisata, originaria del Sudovest. Oltre ad accompagnare i rituali sciamanici (cfr. supra), questa
tradizione si è sviluppata come genere autonomo: è eseguita da
professionisti e presenta, accanto all’elaborata realizzazione dei cicli ritmici
(changdan), una ricca tessitura, determinata dall’improvvisazione collettiva.
Il p’ungmul, noto anche come “musica dei contadini” ( nongak), costituisce
l’altro genere rappresentativo del folklore strumentale. Alcuni studiosi
vedono nella pratica attuale addirittura uno specchio delle musiche,
connesse ai lavori agricoli, a cui si fa riferimento nel testo cinese Sanguo
zhi (Storia dei Tre regni) del III sec. d.C.
Sviluppato da un quartetto di ‘percussioni’ ( changgo, puk, ching e
kkwaenggwari), a volte rinforzato dall’oboe nallari e unito a danze, il
p’ungmul tradizionalmente scandiva le fasi della vita comunitaria nei villaggi.
Scomparsa la maggior parte delle occasioni del calendario rituale che ne
124
La cultura musicale coreana, oggi e ieri
aveva determinato la nascita, la musica dei contadini si è perpetuata grazie
a professionisti itineranti. Negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, il
p’ungmul è diventato centro dell’interesse degli studenti universitari,
trasformandosi in una potente icona identitaria. Questa tendenza ha
generato un repertorio neotradizionale, il cui capostipite è il già citato
SamulNori. Il genere, detto samullori dal nome del gruppo pioniere, unisce
strumentazione e cicli ritmici tradizionali a contaminazioni di vario tipo.
Due forme teatrali, entrambe folkloriche, sono caratterizzate dalla
presenza di musica. Sia il t’alch’um (teatro in maschera) che il kkoktu kaksi
(teatro dei burattini) sono accompagnati da gruppi strumentali simili a quelli
delle cerimonie sciamaniche o a quelli del nongak.
V.
LA
SITUAZIONE
NELLA
REPUBBLICA
DEMOCRATICA
POPOLARE DI COREA
La politica culturale del governo nord-coreano ha largamente inciso sul
destino dei generi tradizionali in questa parte della Penisola. La linea
indicata da Kim Il Sung [Kim Ilsŏng] nei già ricordati Discorsi con gli scrittori
e gli artisti (1951) ha, di fatto, compromesso la continuità dei generi di corte
o comunque di quelli legati alle vecchie classi aristocratiche. Alcuni
strumenti, e i repertori ad esso connessi, sono caduti in totale abbandono:
per esempio il kŏmun’go, in quanto strumento tipico della classe dominante.
Analogo destino ha interessato le forme tradizionali di teatro, come p’ansori,
ch’anggŭk e t’alch’um (Killick, 2002b: 946). La direttiva per un’arte
‘popolare’ ha colpito a morte le stesse basi della tradizione musicale
coreana: l’organizzazione sui cicli ritmici (changdan) e le scale
pentatoniche, tetratoniche e tritoniche sono stati sostituiti, rispettivamente,
da semplici metri e tonalità su base diatonica.
Anche la rivalutazione del canto folklorico, avviata già alla fine degli anni
cinquanta, ha comportato un riarrangamento in senso diatonico delle
melodie e la ‘normalizzazione’ della vocalità tipica del nord-est della
Penisola (incluso nel territorio della Repubblica democratica popolare),
caratterizzata in origine da forte nasalizzazione e incontenibile pathos
(Kwon, 2007). Tale stile vocale sopravvive in una forma più tradizionale
presso gli emigrati nord-coreani presenti nella Corea del Sud. Alcune nuove
composizioni, create spesso da collettivi di compositori, accolgono elementi
di musica tradizionale, principalmente del canto folklorico, della musica
contadina e della musica che accompagnava il t’alch’um (Howard, 2002a).
Atti del Convegno Conoscere la Corea
125
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Antologie
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Musique traditionelle de Corée, Buda records, 3016605, s.d. (2 cd)
129
130
Corea del Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”?
Corea del Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”?
di Antonetta L. Bruno
L’illusione di un immaginario di identità in conflitto
La creazione e il consolidamento dell’immagine di un Paese attraverso i
mezzi di comunicazione è uno degli strumenti adottati dai governi, nell’era
postmoderna, al fine di raggiungere l’obiettivo strategico dell’affermazione
dell’identità nazionale. L’identità-immagine che ogni Paese attribuisce a se
stesso ingloba e condensa l’idea di un sé unico, diverso da ogni altro, che
funga per così dire da impronta digitale, capace di distinguerlo all’interno di
un insieme di immagini omologate sotto la spinta della globalizzazione.
Nella creazione di un marchio d’identità svolgono un ruolo attivo le memorie
collettive del patrimonio culturale e storico, come il cibo, le tradizioni, i
costumi, la tecnologia, l’economia e l’ideologia dietro l’asserzione del
riconoscimento dell’autonomia di ciascuna cultura. Persino gli stereotipi e i
luoghi comuni utilizzati per screditare un popolo trasformandone la cultura
del cibo in un “emblema d’identità” e riducendo la complessità di una storia
culturale a semplici abitudini alimentari (ad es., il considerare gli italiani
71
come “macaronis”, i coreani forse come “ kimch’i ”, gli inglesi come
71
Pietanza a base di verza cinese macerata con peperoncino, aglio, succo di pesce e
altra verdura, che accompagna tutti i pasti dei coreani. In Corea ci sono oltre
cinquecento musei del kimch’i, che ne illustrano le varietà regionali e le proprietà
salutari.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
131
72
“rosbifs”, i francesi come “frogs” ), finiscono anch’essi per alimentare la
memoria conoscitiva di un immaginario collettivo. Tali stereotipi, infatti,
contribuiscono a sviluppare dinamiche di assimilazione, conscie o
inconscie, spontanee o programmate, tra un popolo e certe immaginiidentità, le quali così entrano a far parte della sua tradizione culturale.
L’immagine di sé che la Corea proietta all’esterno e all’interno è il
risultato complesso di un insieme di modi di concepire anzitutto la realtà
dello Stato, in cui è ricompresa anche la dimensione intellettuale. Tale
realtà, da una parte, è tendenzialmente confuciana e si regge sui valori del
collettivismo, della gerarchia, del verticalismo e del patriarcalismo, e
dall’altra, recepisce l’influenza di fenomeni di derivazione occidentale, come
la globalizzazione, l’individualismo, la competizione e l’ottenimento del
profitto più per la persona che per il gruppo. Dall’incontro-scontro di questi
valori nascono profonde contraddizioni che i coreani si trovano ad affrontare
nella loro vita culturale e sociale. Un lungo elenco di dicotomie, in cui si
trovano in contraddizione la tradizione e il moderno, l’orientale e
l’occidentale, è senz’altro un buon punto di partenza per analizzare la
società postmoderna in Corea.
Più ambizioso è l’obiettivo di cercare di spiegare le ragioni per cui la
percezione dell’immagine della Corea prevalente in Occidente sia così
diversa da quella diffusa nella stessa Corea. Agli occhi dell’Occidente la
Corea appare come una realtà ambigua, contradditoria, incomprensibile o
disarmonica: cosa che non trova riscontro nel sentire dei coreani, che
hanno invece un’idea molto ottimistica di sé e vedono il proprio Paese come
proiettato nel futuro, dinamico, armonioso grazie alla capacità di conciliare
gli opposti e trarre il meglio proprio dall’incontro tra forze contrastanti.
L’immagine della Corea in Occidente e la risposta della Corea
Uno sguardo generale all’immagine della Corea diffusa in Occidente rivela
una situazione alquanto complessa. Per l’Occidente, la Corea è legata al
destino particolare di essere “un Paese by-passed”, per usare la definizione
73.
di Shim et al. , ossia collocato geograficamente tra i due giganti d’Oriente:
la Cina e il Giappone la Corea viene raggirata. La condizione di “Paese bypassed” non si limita però alla posizione geografica; essa si estende alla
storia, all’economia, alla politica e alla vita culturale, che seppure siano
72
73
Jean-François Bayart:188.
Shim et al.:4-8.
132
Corea del Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”?
“viste”, percepite come elementi specifici della Corea suscitano interesse e
acquisiscono significato solo in relazione alle dinamiche che coinvolgono i
suoi vicini. Indicare un Paese come termine medio di “Paese by-passed”
suggerisce l'idea di essere di “passaggio”, come tramite o per essere
raggirato, cioè che lo sia in relazione a due punti situati nelle proprie
vicinanze, rispetto ai quali diventa oggetto di inevitabile confronto. Ne
consegue che la percezione che si ha in Occidente della Corea è dettata
dal riconoscimento di due forze direzionali, di cui una ha come focus la Cina
in relazione alla Corea, e l’altra il Giappone in relazione alla Corea. Si
ignora in questo modo la terza forza dinamica, che parte dalla Corea in
direzione di ciascuno dei due Paesi confinanti.
In altre parole, si osserva l’incontro-scontro di percezioni contrastanti
relative alla Corea: quella occidentale, del by-passed, che diminuisce la
visibilità di qualsiasi evento di rilevanza interna o internazionale che abbia
luogo nel territorio della penisola, per cui gli eventi coreani (Y) vengono
automaticamente letti e interpretati in funzione di quelli dei due giganti (X); e
quella coreana, in cui il Paese appare non solo capace di raggiungere
traguardi impossibili, ma anche e soprattutto diverso per storia e per cultura
dai suoi vicini. Questo contrasto di percezioni richiama alla mente una
celebre fotografia che ritrae l’antropologo Malinoskwi seduto all’interno di
una tenda, lo sguardo rivolto all’esterno dove gli aborigeni in fila si
accostano e a loro volta guardano dentro: ma i loro sguardi non si
incontrano.
Entrambi i soggetti hanno percezione dell’altro: l’antropologo è lì per
osservare il suo oggetto di studio, cioè gli aborigeni, e nel contempo diviene
egli stesso oggetto di studio per i nativi che in qualità di soggetto sono lì in
fila ad osservare l’antropologo: sia l’uno che gli altri sono nel contempo
soggetto e oggetto di osservazione. Nella foto la tenda impedisce qualsiasi
comunicazione diretta tra soggetto e oggetto; lo spiraglio concesso
dall’apertura della tenda non è sufficiente perché l’osservatore possa
illudersi che le diversità fra sé e l’osservato siano superate.
Ho richiamato questa immagine per introdurre l’obiettivo del mio
intervento, che è quello di leggere, con gli strumenti della semiotica, le
immagini che la Corea crea di sé e quelle create dall’Occidente. La lettura
semiotica di materiale visivo, dai video-clip alle didascalie, dalle fotografie
ad altre immagini tratte da siti internet, porta all’individuazione di vie di
comunicazione parallele, analizzabili in prospettiva etica ed emica in
contenuti culturali il cui significato è mediato, in quanto va a collocarsi
all’interno di dinamiche volte alla modificazione delle immagini-identità della
Corea e al loro adattamento a quelle proprie della globalizzazione.
Atti del Convegno Conoscere la Corea
133
L’affermazione dell’immagine-identità di un Paese all’interno della
globalizzazione può dar luogo a un’illusione: mentre si crede di esprimere
una verità intrinseca, in realtà i valori locali vengono adattati a quelli imposti
dall’Occidente, cosa che ribadisce il perdurare, ancora oggi,
dell’eurocentrismo e dell’occidentalismo. Se nella foto di Malinowski
l’illusione riguardava il superamento delle diversità, nella lettura del
materiale relativo all’immagine-identità della Corea l’illusione sembra essere
quella di riuscire a creare un’immagine di sé autentica e isolata dalla
globalizzazione, cioè a conservare la propria diversità.
Un esempio interessante di come un soggetto-oggetto utilizzi la propria
immagine per creare un’identità che sappia anche adattarsi a significati
culturali trasformati e trasformabili nel tempo è la storia del kimch’i, che
vede i coreani dapprima contrapporsi ai giapponesi per ottenere il
riconoscimento dell’origine coreana di questo piatto particolare, di cui, tra
l’altro, si vergognavano perché maleodorante e dal sapore pungente; in un
secondo momento, innalzare il piatto a simbolo dell’identità nazionale, con
la scoperta di tratti comuni tra il consumatore e l’oggetto di consumo
(piccante, forte, pungente, unico); e da ultimo, impegnarsi affinché il gusto
del kimch’i venga accolto fra quelli accettati dal “palato globale”, e a tal fine
trasformarlo in una pietanza priva di odore e dal sapore deciso, capace di
“viaggiare” (viene servito ai passeggeri delle linee aeree nonché agli
astronauti coreani), ricco di caratteristiche salutari, e conveniente perchè
economico. Il kimch’i è così diventato un piatto “buono da mangiare”, per i
coreani e, quindi, per tutti.
Il relativismo dell’essere “by-passed”
L’occhio occidentale si interessa a questo Paese in modo distratto e ne
parla “per sentito dire”: l’immagine non è definita, e la Corea continua ad
essere un luogo di “Paese by-passed”. Tutto ciò si ripercuote sui piani
cognitivo, psicologico e comportamentale, come vedremo in seguito.
Questo vale, ad esempio, per gli esperti di economia e di politica non
solo occidentali, ma spesso anche provenienti dall’Estremo Oriente. Shim
individua quattro principali ragioni del suo essere “by-passed”:
1)la Corea, come l’imbottitura di un “panino”, è stretta fra due giganti
dell’economia come Cina e Giappone, e non avendo alcuna risorsa naturale
è destinato ad essere ignorato dalle potenze mondiali, nonostante sia sede
di importanti multinazionali quali Hyundai, Samsung e LG, spesso
considerate, erroneamente, società giapponesi;
134
Corea del Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”?
2)la Corea si trova a metà fra Cina e Giappone, che hanno più volte
adottato una politica espansionistica nei suoi confronti;
3)la percezione che la Corea aveva di sé come “Paese eremita”, chiuso al
mondo esterno, ha anch’essa alimentato l’idea del by-passed;
4)la plurisecolare dipendenza culturale e politica dalla Cina è un ulteriore
motivo che spiegherebbe l’oscuramento della Corea come Paese
indipendente.
Tra i punti sopra citati, i primi due rispecchiano una reale specificità della
situazione coreana, nella quale si è radicata l’immagine della Corea come
Paese di importanza “minore”, e di conseguenza, poco interessante per il
mondo occidentale. I restanti due punti sono, in effetti, applicabili anche ad
altre realtà del panorama asiatico: anche in Giappone e Cina ci sono stati
periodi di chiusura al mondo occidentale, agli inizi del ‘900, e inoltre, la
civiltà del “Paese di mezzo”, cioè la Cina, ha costituito per secoli un modello
da imitare o a cui ispirarsi per gran parte dell’Asia.
Il concetto della Corea come Paese compresso tra due giganti ha finito
per creare uno stereotipo giornalistico affermatosi anche in Italia. Al
perdurare di questa immagine, ereditata dal passato e ormai superata dalla
realtà, ha peraltro contribuito la Corea stessa. La Corea risponde al luogo
comune del “Paese by-passed”, lo capovolge a proprio vantaggio, ossia
creando l’immagine positiva di un Paese al centro tra la Cina e il Giappone.
Il “Paese by-passed” diventa il Paese tramite, il Paese in mezzo, quindi il
“centro”. In questa prospettiva, il ruolo della Corea è quello di mediare tra la
Cina e il Giappone nell’ambizioso progetto di dar vita a un Nord-est dell’
Asia in cui sono coinvolti i tre Paesi.
La funzione e il significato della centralità assunta dalla Corea in questo
progetto vengono più volte menzionati nella Relazione presentata nel 2009
da Massimo Andrea Leggeri, già Ambasciatore d’Italia in Corea:
Nell’ambito del citato programma del Governo LEE di rendere la Corea
lo snodo finanziario e logistico del Nord-est asiatico, in modo da approfittare
della sua strategica posizione centrale tra Cina e Giappone, sono state
varate in Corea diverse riforme (soprattutto del settore bancario e
finanziario), per incoraggiare gli investimenti stranieri ed il trasferimento in
Corea delle sedi regionali di grandi multinazionali e società di servizi. […]
Nel quadro del programma volto a rendere la Corea lo snodo economico,
logistico e finanziario del Nordest asiatico, l’attuale Governo sta favorendo,
tramite interventi legislativi e regolamentari, una maggiore presenza di
capitali nel mercato finanziario e borsistico coreano, nei settori bancario ed
Atti del Convegno Conoscere la Corea
135
assicurativo, nelle industrie ad alto tasso di innovazione tecnologica
(aeronautica, elettronica, meccanica, biotecnologie, ecc.).
Qui non solo si riconosce il nuovo ruolo strategico della Corea, che
passa dalla periferia al centro, e diventa protagonista di un progetto che
interessa una vasta regione dell’Asia, ma si scorge tra le righe l’impegno
con cui il governo coreano mira a essere presente, attivo sulla scena
internazionale; dietro al governo si muovono i grandi conglomerati d’affari, i
ben noti chaebol, coinvolti nella gestione del potere così come qusto è
inteso in Corea (tema che affronteremo più avanti).
Vanno individuati ulteriori aspetti che spieghino le ragioni della
conoscenza superficiale della Corea diffusa in Occidente, compresi gli Stati
Uniti che, oltre a svolgere un ruolo di primo piano nella vita politica moderna
e contemporanea, hanno avuto un’esperienza diretta del Paese durante la
guerra di Corea (1950-53). In Italia l’idea di Estremo Oriente, risolta in
sostanza nel binomio Cina-Giappone, è diventata parte integrante di un
nostro sapere, di un nostro bagaglio culturale, che soddisfa l’immaginario
occidentale, fossilizzato nella memoria del sapere collettivo. L’Italia conosce
poco o nulla della Corea. Pochi sono stati gli eventi coreani che hanno
riguardato direttamente l’Italia, e viceversa (ad eccezione dei campionati
mondiali di calcio del 2002). Nei migliori casi la Corea si conosce di
sfuggita, a volte la si sente citare all’interno di discorsi incentrati
sull’economia della Cina o del Giappone, come detto si confondono le sue
grandi aziende con quelle giapponesi, o ancora la si cita nell’ambito della
questione nucleare storpiando il nome di Kim Jong Il (che si pronuncia “il”,
come l’articolo determinativo), che diventa Kim Jong II (“secondo”), o
ancora si confonde la Reppublica Popolare di Corea con la Corea del Sud
per quell’aggettivo, “popolare”, che diventa un sinonimo di “democrazia”.
Nei peggiori casi la si ignora nella sua specifica e complessa realtà, anche
quando, per sua fortuna o sfortuna, riesce a conquistare la prima pagina dei
quotidiani o una menzione nei notiziari (ad esempio, ancora, durante i
campionati mondiali di calcio). Nei testi scolastici viene solo citata in
relazione al colonialismo giapponese, e purtroppo non sempre in modo
obiettivo ma sulle tracce di una lettura che richiama da vicino l’ideologia del
periodo Meiji, quando al fine di giustificare l’invasione nipponica venne
creata l’immagine della Corea “piccolo fratello” del Giappone, la cui
arretratezza giustificava, legittimava l’impero nipponico quale portatore di
civiltà, democrazia e modernizzazione. Questa ideologia è entrata a far
parte parte di un sapere collettivo, grazie anche alla grande diffusione di
136
Corea del Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”?
opere narrative di autori del Sol Levante, su cui si basa gran parte del
nostro immaginario sull’ “Oriente”.
Questo tipo di atteggiamento, sommario e superficiale, sembra però
lasciare il posto a una realtà ben diversa quando si prendono in
considerazione le immagini e i contenuti presenti su internet in relazione a
temi specifici. Intendo usare i dati della ricerca on-line come spunto di
riflessione e come base su cui ricostruire l’immagine che una certa Italia ha
della Corea, allo scopo di verificare se essa sia compatibile con quella che
la Corea ha di sé e dell’ “altro”. Tra il materiale in italiano (che si suppone
sia rivolto al pubblico italiano), i commenti alle statistiche mondiali
evidenziano la particolarità di porre al centro dell’attenzione l’Italia, e in
secondo luogo alcuni Paesi europei come la Germania, la Francia,
l’Inghilterrra e la Spagna (il più delle volte quest’ultima figura come termine
di paragone in posizione più arretrata rispetto all’Italia), oltre agli Stati Uniti.
Raramente si trovano citati paesi dell’Europa orientale, settentrionale e
meridionale, ad esempio la Grecia e la Turchia. Ciò potrebbe indurre a
credere che anche in questi testi lo scacchiere internazionale sia in realtà
confinato al mondo occidentale, o meglio all’Europa centrale e agli Stati
Uniti. Ma altri esempi, come quelli sotto riportati, offrono uno scenario
diverso.
Dal punto di vista quantitativo, la Corea è citata soprattutto per il suo
sistema educativo. I testi sono qui presentati come se si trattasse di un
“racconto” on-line, con tutte le caratteristiche di trama/storia,
fabula/intreccio. Sottolineatura è una mia aggiunta: l’intento è segnalare le
parole marcate come “parola chiave”.
In un articolo dal titolo “Classifica dei paesi del mondo dove si vive
meglio: Male l’Italia, relegata al 23esimo posto” si legge: “Newsweek ha
stilato la classifica relativa ai migliori Paesi al mondo, sulla base di 5
differenti parametri: istruzione, salute, qualità della vita,dinamismo
economico e contesto politico. [...] Prima di analizzare le varie voci
anticipiamo che l’Italia si è piazzata al 23° posto nella classifica generale,
due posti sotto la Spagna e dietro ad altri 11 Paesi Europei.
[...] Per quanto riguarda le classifiche relativamente ai singoli parametri
considerati, l’Italia si colloca al 34° posto per quanto riguarda il sistema
educativo, in una graduatoria che vede primeggiare ancora la Finlandia,
74
seguita da due paesi asiatici: Corea del Sud e Singapore. ”
74
In
http://www.blogrisparmio.it/politik/classifica-dei-paesi-del-mondo-dove-si-vivemeglio-male-italia-relagata-al-23-posto.html (17/09/2010)
Atti del Convegno Conoscere la Corea
137
In un commento ai risultati di un’indagine Ocse-Pisa, ci si sofferma sul
confronto tra il sistema scolastico coreano e quello filandese:
“L’Ocse ha valutato l’evoluzione del lavoro e della società fino al 2020 ed
ha rilevato che serve un sapere duttile, capace di aggiornarsi in
continuazione e di dare risposte ad esigenze in costante progressiva
evoluzione. [...] La Corea del Sud che ha classi molto numerose si colloca in
graduatoria tra i primi quattro posti. I ragazzi finlandesi, primi nella lettura e
in scienze e secondi in matematica, non è detto che stiano sui libri tutto il
giorno: anzi hanno meno ore di lezione dei loro coetanei di altri Paesi.
L’Agenzia di consulenza McKinsey ha individuato in tre elementi le chiavi
del successo di Hong Kong, Finlandia, Corea del Sud, Giappone, Canada, i
cinque Paesi in testa alla classifica del PISA: professori migliori, un loro
impiego al meglio, adozione di misure adeguate quando il rendimento
scolastico declina. I professori sono la chiave del successo scolastico.
Come ha dichiarato un funzionario coreano a The Economist a commento
della ricerca McKinsey, “la qualità di un sistema educativo non può essere
migliore di quella dei suoi professori”. Secondo alcuni analisti statunitensi,
se si prendono alunni di capacità media e si affidano a professori scelti nel
20 per cento tra i migliori nella categoria, i voti degli allievi risulteranno nel
10% dei casi più alti; se invece si affidano a professori del 20% più bassi, i
voti peggioreranno. Negli Stati Uniti i professori provengono in media dal
30% dei laureati con voti e test mediocri; nella Corea del Sud i professori
sono reclutati nel 5 % dei laureati migliori. [...]”
La relazione prosegue con interessanti e dettagliate proposte volte a
ottenere docenti migliori, e solo alla fine del documento si trovano riflessioni
75
sulla situazione italiana.
In un altro commento sulle statistiche dell’Ocse-Pisa, il discorso verte
sugli aspetti in comune tra la Finlandia e la Corea: su questa base si offrono
riflessioni sulla situazione educativa italiana e si tenta di individuare i
possibili motivi del successo coreano:
“Corea e Finlandia i «secchioni» che battono la crisi”
Di sottoosservazione
Nell’articolo: “Nell’annuale rapporto Pisa dell’Ocse sui risultati scolastici,
gli alunni coreani sono in testa alle classifiche in matematica e scienze, le
basi dell’economia moderna. Il rimbalzo della Corea dopo una recessione
nient’affatto profonda è stato vigoroso”.
Alessandro Merli per “Il Sole 24 Ore”
75
In http://antoniociancio.files.wordpress.com/2009/07/vitelliscuola.pdf (27/09/2010)
138
Corea del Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”?
Le peregrinazioni ormai senza sosta del circo di policy-maker e media
che si muove fra G-8, G-20 e altri incontri internazionali hanno toccato nel
giro di pochi giorni Corea del Sud e Finlandia. [...]
Entrambi i paesi hanno costruito il proprio successo economico nel giro
degli ultimi decenni, partendo da uno stato di profonda arretratezza, e
hanno sofferto negli anni ‘90 crisi bancarie devastanti. Nell’un caso e
nell’altro, per riprendersi dalle crisi e raggiungere la condizione attuale, le
chiavi di volta sono stati gli investimenti in ricerca e sviluppo e in istruzione.
La Corea viene da più lontano. Negli anni ‘60, il reddito pro capite era
inferiore a molti paesi africani. Altro che tigre asiatica. L’economista Vito
Tanzi la porta a esempio, in un confronto di opposti con l’Argentina, per
dimostrare che il destino di nessun paese è segnato, ma che le politiche
giuste sono le armi dello sviluppo. Oggi è uno dei paesi più ricchi del mondo
e una grande potenza industriale. I suoi grandi gruppi fanno concorrenza ai
giapponesi. Molti fanno della tecnologia la carta vincente: dallo 0,5 del
1970, la percentuale del Pil destinata a ricerca e sviluppo è salita
rapidamente oltre il 3 per cento.
[...] Non così brillante è stato il recupero della Finlandia, che aveva
subito la crisi più pesantemente di altri paesi dell’area euro. Ma che ora sta
cavalcando la ripresa della Russia, il suo partner commerciale più
importante. I suoi conti sono fra i più in ordine di Eurolandia e il rischio
Finlandia di poco superiore a quello tedesco, ben lontano dal panico che ha
investito la periferia europea.
[...]
La ricetta coreana e finlandese ha altri ingredienti specifici dei due paesi
(Seul tra l’altro ha l’uso della leva del cambio, che Helsinki non ha più) ma
le basi sono ricerca e capitale umano. L’uovo di Colombo, predicato da tutti,
dall’Ocse all’agenda di Lisbona. I risultati di Corea e Finlandia mostrano che
76
funziona. Si può ignorarli, ma ne va della crescita.
Il nostro “racconto” sul rapporto competitivo tra la Finlandia e la Corea si
arrichisce di uno stile di sottile ironia nella “puntata-articolo” seguente, in un
triangolo oramai stabile formato da Finlandia, Corea e Italia:
76
In
http://sottoosservazione.wordpress.com/2010/06/16/corea-e-finlandia-i%C2%ABsecchioni%C2%BB-che-battono-la-crisi/#more-14423 (27/09/2010)
Atti del Convegno Conoscere la Corea
139
Corea, Trento e Trieste (15.01.08)
La Corea del Sud si è stancata di arrivare sempre seconda dietro la
Finlandia e così ha creato nell’ambito del suo Ministero dell’Istruzione un
“Dipartimento Finlandia” che deve studiare, analizzare e monitorare il
sistema scolastico finlandese. Così i finlandesi si stanno trovando sempre
più spesso i coreani tra i piedi, che vorrebbero fortemente imparare come si
fa ad arrivare primi. Noi che invece stiamo intorno al 28° posto su 32 Paesi
non ci curiamo molto delle classifiche e abbiamo iniziato a mettere in
discussione il sistema Ocse-Pisa delle rilevazioni internazionali. Tra l’altro
siamo tutti certi che se anche il nostro Ministero della Pubblica Istruzione
istituisse un Dipartimento per studiare la Finlandia e uno per studiare la
Corea poi ci metterebbe dentro la gente con criteri bizzarri, senza magari
tenere conto di chi sa parlare finlandese e coreano o magari qualcuno si
metterebbe a studiare la Corea e la Finlandia da Viale Trastevere. Dunque
meglio restare senza questo tipo di Dipartimenti.
Il dato interessante è che i secondi in classifica vanno a studiare i primi,
non i trentesimi. Quando da noi sono venuti gli svedesi a studiare le Scuole
dell’infanzia di Reggio Emilia ci siamo ben guardati dal copiare quelle
scuole e molti hanno dedotto che tutte le Scuole d’Italia erano le migliori del
Mondo, dato che anche gli svedesi venivano a studiarle. Mi pare chiaro che
sarebbe più serio che noi uscissimo dall’Ocse-Pisa, dall’autonomia
scolastica e dal Protocollo di Lisbona. Ma dato che per ora continuiamo a
starci prendiamo almeno nota che la Finlandia ha un sistema scolastico con
un’altissima autonomia, senza programmi nazionali, con una flessibilità
assoluta, senza bocciature e che comincia a mandare a scuola i suoi
bambini a 7 anni. Dobbiamo copiare tutto questo? Io penso di no. Ma far
finta che non esiste è una brutta cosa, che i coreani paiono aver capito
prima di noi.
[...] La logica coreana vorrebbe che tutta l’Italia si uniformasse al sistema
trentino: regionalizzazione degli organici, sistema unico e integrato
dell’istruzione e della formazione professionale, alta autonomia delle scuole,
quota regionale del curricolo gestita in funzione delle esigenze locali, bassa
acquisizione delle circolari, delle ordinanze e dei decreti ministeriali,
considerati ormai un retaggio del passato. Ma noi italiani, giustamente, non
abbiamo una logica coreana e dunque non impariamo un bel nulla da
Trento. Là gli insegnanti hanno gli stipendi più alti? Meglio non
strombazzarlo, meglio averli tutti più bassi con un mastodontico Contratto
nazionale, piuttosto che più alti con un leggero contratto regionale. I risultati
degli studenti? Variabile secondaria, quasi collaterale. [...]
140
Corea del Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”?
Se proprio non sappiamo come fare chiediamo almeno al “Dipartimento
Finlandia” del Ministero dell’Istruzione coreano di dirci cosa ha trovato.
77
Così, per curiosità.”
E noi, “per curiosità”, navighiamo ancora e questa volta approdiamo alla
Relazione dell’Ambasciatore Leggeri:
La Corea è un Paese tecnologicamente avanzato, il terzo al mondo dopo
Svezia e USA per diffusione e utilizzo di tecnologie ICT, primo per utilizzo di
telefonia mobile (l’82% della popolazione con 40 milioni di cellulari), l’unico
al mondo ad avere più dell’80% delle famiglie con una connessione internet
ed uno dei più efficienti in materia di pagamento e trasferimento di valuta
per via elettronica. Ha inoltre una rete infrastrutturale efficientissima, un
aeroporto internazionale giudicato il migliore del mondo e per ciò che
riguarda le grandi città, esse offrono una buona qualità della vita. La
capitale Seoul è in costante mutamento, proiettata verso una massiccia
opera di internazionalizzazione e di ammodernamento dei propri servizi e
strutture. [...] Largamente superata la crisi finanziaria mondiale del 2008inizio 2009, il Paese continua a ritenere che le sue principali “chiavi” di
crescita risiedano nella Ricerca scientifica e nell’Innovazione tecnologica
[…]. In termini programmatici, gli orientamenti del Governo hanno portato a
concentrare gli sforzi di R&S in settori specifici selezionati ai fini di un
miglioramento delle condizioni di vita e di un incremento di competitività e
capacità innovativa dell’industria, sia in termini di consolidamento, sia di
sviluppo di nuove tecnologie e processi. Le “core technologies” generali
individuate dal Governo sono: Tecnologie dell’Informazione, Scienze della
vita e Tecnologie mediche, Tecnologie Ambientali ed Energie rinnovabili
(eolico, fotovoltaico, celle a combustibile), Robotica, Nanotecnologie,
Tecnologie Energetiche e Tecnologie Aerospaziali. La grande attenzione
dell’industria e gli investimenti posti dal Governo Coreano nel settore della
Ricerca e della Innovazione tecnologica ha prodotto risultati rilevanti per la
a
Corea a livello mondiale in termini di Ricerca e di produzione industriale: 3
a
posizione mondiale nella Competitività Scientifica e 14 in quella
Tecnologica (IMD, International Institute for Management Development,
a
2009); l’obiettivo 2012 è di mantenere la 3 posizione mondiale nella
a
Competitività Scientifica e di raggiungere la 5 in quella Tecnologica.
Segue una lunga e dettagliatissima lista di “primati” della Corea nel
settore scientifico-tecnologico; se ne citano qui solo alcuni:
77
In http://www.pavonerisorse.it/appunti/corea.htm (27/09/2010)
Atti del Convegno Conoscere la Corea
141
- 12° posto (2009) in termini di pubblicazioni scientifiche (SCIE-Science
Citation Index Extended) e 30° posto per citazioni; l’obiettivo 2012 è di
a
a
raggiungere rispettivamente la 10 e 20 posizione;
- 2 Università coreane rientrano tra le principali 100 a livello mondiale nel
2009, con l’obiettivo di averne 5 nel 2012; nel 2005 la Corea occupava il 21°
posto per presenza internazionale delle Università (NSI-National Science
Indicator-Thomson Institute for Scientific Information, USA) e nel 2008 il 31°
(IMD) per competitività globale nell’Istruzione universitaria;
a
- 4 posizione mondiale 2007 nel deposito di brevetti (7,061 nel 2007
come “international application” con una crescita del 18.8% rispetto al 2006
e del 50.6% rispetto al 2005 (WIPOWorld Intellectual Property Organization:
a
[...] Italia 11 ); il deposito di brevetti è in particolare concentrato su ICT,
nano-tecnologie, nuovi materiali, biotecnologie;
- 12° Paese (2008) per numero totale assoluto di ricercatori Scientifici
(ca. 260,000 unità con il 25% di PhDs e di cui oltre il 70% a tempo pieno);
- 5° Paese per potenza nucleare installata con 20 centrali operative
−5° Paese nel settore auto (2008);
−5° Paese per sviluppo della Robotica e 2° per densità di robot rispetto alla
popolazione ;
−- 1° Paese per cantieristica navale mercantile ed LNG ad alto tonnellaggio
a
(2 Cina e 3° Giappone);
- 1° Paese per dissalatori industriali, frigoriferi e condizionatori d’aria
(2008);
- 2° Paese produttore nel settore tessile (2006);
- 1° Paese (su 180) nel 2005-2007 per indice DOI (Digital Opportunity
Index) (MKE-Corea 2007);
- 1° Paese per sviluppo dell’ “e-Governance” (UN Global E-Government
a
a
Survey, 2010; U.S.A. 2°, Canada 3°, UK 4 , Olanda 5 , Giappone 19°, Cina
a
36 );
- 8° Paese (2008) per ICT-Industry Competitiveness Index (previsto 3°
posto nel 2012);
- 2° Paese per per diffusione e utilizzo di tecnologie ICT (National
Informatization Index, NIA 2008);
- 2° Paese per ICT Development Index (ITU 2007);
- 1° Paese per connessioni internet in banda larga nelle abitazioni (96%
a
delle utenze (2009), 1° Paese in ambito OECD (2008), Italia 25 );
- 5° Paese OECD per diffusione di Personal Computer (79.6% delle
abitazioni, MKE(Corea) 2007);
142
Corea del Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”?
- Internet: l’88.4 % della popolazione (48.6 milioni totali) utilizza internet
ed il 77% con frequenza giornaliera e 13.7 ore/settimana (comScore Inc.
(USA) 2008, MKE(Corea) 2007, KCC(Corea) 2009) e tra questi:
- il 99% della popolazione tra 10 e 39 anni utilizza quotidianamente
internet
- il 60% (2007) legge giornali in rete
- il 58% (2007) possiede e gestisce homepages o blogs
- oltre il 60% (2008) fa acquisti via internet (e-commerce di 545.4 miliardi
di USD (National Statistic Office))
- i conti di internet-banking risultano 52.6 milioni nel 2008 (Bank of
Korea);
- 8° Paese per utilizzo di internet /100 abitanti (ITU 2007);
- 1° Paese per utilizzo di telefonia mobile (93% della popolazione,
KCC(Corea) 2009);
- 2° produttore mondiale di apparecchi per telefonia mobile (31.6%
(2009) del mercato, dietro Finlandia-Nokia con il 36.6%): Samsung (2°), LG
(3°);
- nel campo dell’industria ICT la Corea copre:
- il 7.8% ca. del mercato mondiale dell’elettronica (1° esportatore ICT tra
i 30 Paesi OCSE, con un fatturato 2008 di 120.9 miliardi di US$)
- il 56.9% (2009) del mercato delle memorie DRAM (Dynamic Random
Access Memory) (1° a livello mondiale)
- il 49.3% (2009) di quelle NAND-Flash (NotAND Memory) (1°)
- l’11.3% (2009) dei semiconduttori (2°)
- il 48.0% (2009) dei monitor LCD-TFT (1°)
- il 51.5% (2009) del mercato LCD (1°)
- il 29.1% (2009) dei TV-LCD (1°)
- il 56.0% (2008) dei display PDP per televisori digitali (1°)
- il 32% (2008) dei display OLED (Organic Light Emitting Diode) (1°)
- il 59% (2007) dei CRT (Cathode Ray Tube) (1°)
oltre il 20% (2007) dei riproduttori MP3.
[...]
Di questa Relazione a noi interessa interpretare i dati dal punto di vista
culturale e sociale. Tuttavia, non ci si può astenere dal considerare la
grande importanza attribuita alla ricerca, al sistema educativo, e
domandarsi quali siano le ragioni per cui un governo decida di investire
sulla ricerca tanto da costituire una priorità assoluta (come dimostrano i
tempi stabiliti per gli obiettivi).
Atti del Convegno Conoscere la Corea
143
Il sistema educativo coreano ha accolto nel corso degli anni numerosi
spunti e stimoli da parte del sistema scolastico occidentale, specialmente
quello americano al cui interno si sono specializzati molti studiosi coreani fin
dall’inizio del ’900. Il “trapianto” non ha intaccato i valori morali insegnati
nelle scuole di base, che rimangono di natura confuciana: il rispetto della
gerarchia, il collettivismo, il forte senso di appartenenza, l’umiltà verso i
superiori, l’obbienza e la disposizione al sacrificio per il bene del gruppo.
Nella prospettiva del confucianesimo l’istruzione è sempre stata la pietra
miliare del sistema culturale, del potere e dello status. Lo stretto rapporto tra
potere e status è un concetto fondamentale ereditato dal confucianesimo e
costituisce, ancora oggi, la forza trainante e il più importante obiettivo da
raggiungere per molte famiglie coreane. In passato era il superamento degli
esami di Stato a costituire l’obiettivo degli yangban, i letterati. Il sistema
degli esami veniva teoricamente considerato come strumento di mobilità
sociale, ma in sostanza produceva la legittimazione di uno status in quanto
consentiva ai candidati vinicitori di entrare a far parte della classe dirigente,
di acquisire status e potere. Con questo obiettivo, investire sull’istruzione
dei figli e consentire loro di frequentare le migliori scuole, meglio se
all’estero, induceva e tuttora induce intere famiglie a sopportare enormi
sacrifici. Vasta è letteratura in proposito: diari, racconti orali, romanzi, film
testimoniano storie drammatiche segnate dalla fame, da ore e ore di duro
lavoro, da sacrifici che genitori, zii e fratelli accettano pur di contribuire al
futuro educativo del ragazzo più portato allo studio. Ancora oggi questi
ricordi sono vivi, e si fa sempre più diffuso il fenomeno delle cosiddette
“famiglie di oche selvatiche” (wild geese families), nelle quali madre e figlio
si trasferiscono in città, dove si trova la scuola, separandosi dal padre.
Un esempio paradossale dell’importanza attribuita all’istruzione è dato
da una tendenza recente, anche se sporadica, di famiglie di condizione
medio-alta che mandano i figli all’estero come ripiego, in quanto hanno
fallito l’esame di ammissione presso le più prestigiose univeristà della
Corea. La scelta del Paese e del particolare istituto a cui iscriversi è spesso
dettata dalla presenza di condizioni agevolate (esami non troppo difficili,
professori disponibili e garanzia dell’ottenimento del certificato di laurea o di
dottorato); in questi casi, l’obiettivo nobile di mandare un figlio all’estero per
migliorare la sua formazione culturale è sostituito da un interesse più
pragmatico. L’istruzione è un obiettivo ambizioso per molte famiglie
coreane, e non sorprende che queste arrivino a spendere il 40% delle
entrate mensili per garantire ai figli un percorso formativo che li renda
competitivi.
144
Corea del Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”?
Questa disposizione a investire sulla formazione si collega a un’altra
diffusa abitudine sociale, che è alla base anche del successo economico
78
coreano. Si tratta dell’applicazione del concetto di na-do , anch’io, tanto
nella sfera privata che in quella pubblica, dove diventa un potente incentivo
e stimolo a migliorare. Il concetto è il seguente: “Se un vicino è riuscito a
mandare i propri figli a studiare all’estero, allora anch’io, anche noi
possiamo farcela”. Ed ecco che a tale scopo si mobilita tutta la famiglia. Sul
piano nazionale, il na-do può diventare una parola d’ordine capace di
garantire il raggiungimento di un traguardo. Un esempio interessante si ha
nel caso della pubblicità dei telefoni cellulari. In Corea la promozione
commerciale non è focalizzata sul risparmio, ma sulla costruzione di
accattivanti immagini focalizzate sulla moda, su modelle che possegono
l’oggetto desiderato, sul significato del possesso come simbolo di
appartenenza: “anch’io devo assolutamente averlo”.
Come abbiamo visto, la Corea viene citata in positivo non soltanto in
riguardo al sistema educativo, ma anche per altri elementi, come i livelli
retributivi e, in generale, il successo economico:
Il “Rapporto Italia 2010”, un’analisi sullo stato della politica,
dell’economia e della società italiana, redatto dall’Eurispes, come avviene
ogni anno, mostra la situazione italiana degli stipendi lavorativi. Nella
classifica Ocse, si collocano tra i primi dieci: Corea del Sud (39.931 dollari),
Regno Unito (38.147), Svizzera (36.063), Lussemburgo (36.035), Giappone
(34.445), Norvegia (33.413), Australia (31.762), Irlanda (31.337), Paesi
79
Bassi (30.796) e Usa (30.774).
L’immagine di un Paese tra i più potenti sul piano economico emerge
anche dalla già citata Relazione di Leggieri:
La Corea, con una popolazione di 48,7 milioni di abitanti ed
un’estensione territoriale di 99.274 Km², è oggi la tredicesima economia
mondiale (con un PIL stimato a circa 832,9 miliardi USD), la quarta in Asia
dopo Giappone, Cina e India, una delle realtà più solide tra i paesi
emergenti. [...] La Corea e’ un Paese moderno, industrializzato e membro
dell’OCSE. [...] Sta sempre di piu`affermandosi come uno dei Paesi
protagonisti della scena economica mondiale. […] La SACE colloca la
78
Molti dei concetti citati nel presente lavoro sono tratti da Shim et al. a cui rimando
per esempi e approfondimenti.
79
In http://www.businessonline.it/3/LavoroeFisco/2698/rapporto-italia-eurispes-2010la-situazione-salariale.html (27/08/10)
Atti del Convegno Conoscere la Corea
145
Repubblica di Corea nella categoria di minor rischio “0” dell’OCSE. Ciò
significa che sono confermate condizioni di garanzia e di affidabilità e non
sono previste restrizioni nei riguardi di questo Paese.
Studi condotti sugli aspetti sociali e culturali del successo economico
della Corea individuano nel concetto di potere uno dei fattori determinanti.
La Corea eredita dal Confucianesimo l’idea di un potere organizzato
gerarchicamente e centralizzato, che procede dall’alto verso il basso, dal
sovrano ai sudditi, dal centro alle periferie, dalla corte reale alle
amministrazioni locali e ai Paesi-cuscinetto. Per i coreani il senso del potere
ha una connotazione fortemente personale, essendo legato allo status
sociale al principio di gerarchia piuttosto che a meccanismi di tipo
istituzionale. Il Confucianesimo è stato un potente strumento di
organizzazione dello Stato e della società sotto l’egida di una classe
dirigente che trovava e trova la sua legittimazione proprio nel concetto di
potere e nella sua stretta connessione con lo status. Il Confucianesimo,
inoltre, è stato ed è ancora oggi il valore morale a cui l’autorità si appoggia
per il consolidamento della gerarchia, e per ottenere dai sudditi/cittadini
rispetto, obbedienza, fiducia e disposizione al sacrificio. Secondo alcuni
studiosi lo sviluppo economico coreano è risultato della combinazione di
due elementi: l’autorità investita in una singola figura e l’idea di Statocostituente, di derivazione giapponese, che pone lo Stato come principale
attore della politica economica (Shim et al.: 10).
Sui cardini del Confucianesimo si innesta la democrazia capitalistica del
periodo moderno, che vede il rafforzamento delle relazioni tra Stato e
società secondo la rielaborazione di un ideale democratico sviluppato dagli
illuministi coreani durante i primi del ’900, e da loro propagandato nelle
campagne politiche per la democratizzazione. Tale ideale si basava sul
principio di kwan-min, ossia ufficiali e cittadini, o Stato e società civile, e si
contrapponeva a quello di kun-sin, ossia monarca e ministro. Il concetto di
kwan-min consiste sostanzialmente nell’affermazione del ruolo dello Stato
quale partecipante attivo e dirigente nei settori economici e politici, nei quali
viene data priorità all’incremento, all’ottenimento dei massimi benefici per lo
80
Stato e non per il singolo individuo (Mc Namara ). L’analisi del modello di
sviluppo economico coreano indica una stretta combinazione fra poteri del
governo, del cittadino e del mondo economico sotto la guida onnipotente
della classe dominante. Quest’ultima è composta dallo Stato, che dirige i tre
enti: le istituzioni politiche (il governo), l’economia ( chaebol) e il mercato del
capitale (le banche). Ciò ha prodotto il cosiddetto Third party lending
80
citata da Shim et al.10-11.
146
Corea del Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”?
81
system , finalizzato al raggiungimento di risultati pianificati al livello
nazionale. E' identificato nella stretta connessione tra il potere, lo status e il
desiderio di conservare entrambi uno dei motori trainanti dello sviluppo
economico coreano. Questi tre elementi, “potere”, “status” e “desiderio di
conservarli” costituiscono i fondamenti culturali del passato, nonché la base
dei valori odierni, sebbene in forma modificata e modificabile.
In breve, il potere, secondo i valori confuciani ereditati e reinterpretati dai
coreani di oggi, viene adoperato per spianare la strada allo sviluppo
economico e si caratterizza, come detto, per un legame forte tra lo Stato, la
società e i gruppi finanziari sotto la guida dello Stato. A rafforzare questo
legame concorrono altri valori culturali, come la contrapposizione fra ingroup e out-group operata da soggetti che condividono gli stessi interessi: è
da questa dicotomia che la Corea trae la forza che le ha permesso di
assumere un ruolo importante e strategico nel processo di globalizzazione,
perchè essa “legittima” il diritto di un determinato gruppo di conservare lo
status e il potere.
Il concetto di in-group ha una lunga tradizione in Corea, e si trova riflesso
nella storia (ad esempio nelle lotte tra le “fazioni” durante il periodo
Choson), come nella lingua (si veda il concetto di uri, “noi”). Esso indica il
legame che si instaura tra membri che condividono l’esperienza di
appartenere a una stessa istituzione, che si tratti della scuola, del paese
natio, o di un’associazione culturale, religiosa, sportiva, politica, civica o
culturale. Questo concetto matura anzitutto nell’ambito della famiglia, dove il
bambino viene indottrinato sul significato dei legami di parentela. Nella fase
adulta ad esso si sovrappone il concetto di in-gan, “tra uomini”, che consiste
in una sorta di cameratismo, di fiducia e di garanzia reciproca. Questi valori
consentono una lettura chiarificatrice degli eventi politici ed economici degli
ultimi anni. Ad esempio, negli anni ’90 i trenta grandi conglomerati, i
chaebol, hanno ampliato la composizione della dirigenza includendovi
membri ad essa vicini secondo il criterio in-gan, vale a dire parenti, familiari,
originari della stessa regione, ex compagni di scuola, i quali stringono fra
loro un saldo legame al fine di raggiungere un obiettivo comune. E’ un
sistema che viene adoperato ogni qualvolta il gruppo dirigente rischia di
perdere la propria autorità: entra in funzione per salvare la politica dei
dirigenti, per garantire solidarietà, rafforzare i legami di interdipendenza tra i
membri includendone di nuovi e controllabili in quanto condividono gli stessi
valori (rispetto della gerarchia, collettivismo, senso di appartenenza,
disposizione al sacrificio per un obiettivo comune).
81
Shim et al..12
Atti del Convegno Conoscere la Corea
147
A rafforzare il senso di appartenenza di tipo in-gan e in-group concorre
poi l’atteggiamento detto out-group, che viene assunto nei confronti dello
“straniero”, di chi non fa parte del proprio gruppo. Il concetto out-group è
speculare rispetto all’in-group: se tra i membri di quest’ultimo regnano
solidarietà, prontezza al sacrificio, senso di protezione e fiducia, sentimenti
opposti sono riservati a chi è “esterno” al proprio gruppo. L’atteggiamento
out-group è perciò caratterizzato da competizione, ostilità e aggressività, e
spesso viene scambiato dagli occidentali per nazionalismo o per una forma
di individualismo (cfr. la Relazione di Leggeri).
Ma da dove nasce questa sicurezza o meglio dire l'arroganza e la nontrasparenza?
Come si è visto, i valori culturali su cui si reggono i concetti di potere e di
status, nonché le strategie messe in campo per la loro conservazione, sia
all’interno che all’esterno della Corea, stanno dietro al successo coreano in
seno alle dinamiche di globalizzazione. Essi, però, informano anche
l’immagine della Corea che l’Occidente ha sviluppato, spesso in modo
critico. La Corea ha resistito duramente alla globalizzazione, e la crisi del
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FMI ha aperto una voragine di riflessioni e auto-critiche che hanno
indentificato nei valori tradizionali le cause principali di tale resistenza.
Questi valori non sono stati affatto abbandonati, ma semmai adattati a
quelli, nuovi, portati dall’Occidente nel percorso della globalizzazione.
Torniamo ora alla Relazione dell’ex ambasciatore Leggieri: le critiche
negative in essa contenute, alla luce di quanto detto, ci appaiono ora
perfettamente leggibili:
Non mancano i problemi, nonostante i notevoli miglioramenti. Le
industrie lamentano infatti la lentezza, gli alti costi e le procedure
farraginose dell’apparato giudiziario, che non assicurano sempre
un’adeguata protezione degli interessi economici soprattutto delle piccole e
medie aziende. La Corea presenta in tutti i settori, sia nell’apparato pubblico
che all’interno delle aziende, livelli di corruzione molto alti per un’economia
sviluppata. La burocrazia statale continua ad essere caratterizzata da
pratiche opache, una regolamentazione a volte intrusiva e in continuo
mutamento, nonché da sacche di corruzione. […] Il Paese è effettivamente
di difficile penetrazione sia per la lingua (l’inglese è poco diffuso, anche
82
FMI ci si riferisce al Fondo monetario internazionale che ha imposto condizioni
rigide alle nazioni nell'Asia orientale e Sud orientale che avevano in precedenza ricevuto
sostegno economico.
148
Corea del Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”?
nella capitale Seoul), che per i costumi sociali improntati, come in altri Paesi
asiatici, ad una forte gerarchizzazione ed al rapporto personale che va
pazientemente coltivato. In tal senso, la mentalità “mordi e fuggi” di parte
dei nostri imprenditori mal si presta a un Paese che richiede un lungo
investimento in termini di tempo e denaro per ottenere risultati ed un
continua collaborazione con i partner locali. Sono frequenti i casi, denunciati
sia all’ICE che all’Ambasciata, di Joint Ventures o relazioni commerciali
fallite per malafede del partner, per mancati pagamenti o altre pratiche
scorrette (anche da parte italiana). I migliori successi aziendali sono quelli
delle società che si sono radicate nel Paese, con una loro presenza stabile
e personale espatriato (o, al limite, con agenti di fiducia e frequenti visite
dall’Italia per seguire le maggiori questioni). […] L’IMD (International
Institute for Management Development di Losanna) World Competitiveness
Yearbook 2009 ha posto la Corea al 54esimo posto come meta preferita per
un investimento su un totale di 57 Paesi, citando come cause principali un
sostanziale atteggiamento di diffidenza del Paese, al limite del
nazionalismo, verso l’attività straniera e l’introduzione di prodotti di imprese
straniere nel mercato interno (basti ricordare la forte, iniziale reticenza
dell’opinione pubblica verso la conclusione degli accordi di libero scambio).
[…] Un’altra critica comune delle imprese straniere verso l’ambiente
imprenditoriale coreano è il basso grado di trasparenza delle politiche
fiscali, con la sensazione comune che queste ultime abbiano per gli stranieri
valore più tassativo in confronto alle imprese locali. […] Entrambi i Paesi
difettano di una diffusa conoscenza delle rispettive potenzialità
economiche: da un lato, infatti, l’Italia non è preferita come meta di
investimenti, dacché gli investitori coreani privilegiano i paesi emergenti
rispetto a quelli ad economia matura, dall’altro scarsa è la percezione della
Corea come potenza industriale altamente sviluppata e con un ottimo
settore di ricerca tecnologica.”
La Relazione evidenzia gli aspetti negativi della Corea agli occhi
dell’Occidente; noi abbiamo cercato di individuare i fattori sociali e culturali
che stanno dietro a questi aspetti “negativi”. E’ fuor di dubbio che i concetti
di in-group e di in-gan siano alla base di “pratiche opache”, viste come
forma di “corruzione”, così come è evidente che i valori confuciani siano
responsabili della “forte gerarchizzazione”, o del fatto che in Corea “il
rapporto personale va pazientemente coltivato”, mentre l’ “atteggiamento di
diffidenza del Paese, al limite del nazionalismo” si spiega con il concetto di
out-group applicato agli stranieri. I risvolti negativi di questi elementi culturali
rendono non chiara la distinzione tra interesse pubblico e privato. Il caso
Atti del Convegno Conoscere la Corea
149
della crisi provocata dal FMI è stato più volte citato dagli studiosi come
esempio della debolezza del concetto in-group, dei valori tradizionali, del
collettivismo e dell’in-gan, che hanno generato dispotismo, regionalismo e
fazionalismo.
In conclusione, la ricerca on-line ha portato in superficie dati e traguardi
raggiunti dalla Corea nel relativamente breve periodo della
modernizzazione; ciò costituisce ragione di apprezzamento e di
riconoscimento da parte di soggetti stranieri, mentre all’interno della Corea
viene considerato come un dato ormai acquisito, e semmai un’ulteriore
conferma delle grandi potenzialità del Paese. I coreani non si sentono
minacciati dai vicini e né li considerano “giganti”: questo sostantivo lo
applicano a se stessi. Questa spavalda coscienza di sé si riflette nel
cambiamento dell’appellativo con cui viene definita la Corea in contesti
ufficiali: da The Land of the morning calm (Terra della calma mattutina) a
Dynamic Korea (Corea dinamica), a sottolineare una nuova identità che
sembra rispecchiare meglio la realtà di un Paese in continua
trasformazione, sempre al passo con i tempi. Il primo appellativo si rifa ad
un idea già presente in Corea dell'etimologia “Choson”, “calmo mattino”,
nome della dinastia che ha regnato da 1392 a 1910 e prima di allora a
Choson Antico del II secolo a.C. ma acquista un certo successo tra gli
occidentali dopo che il poeta indiano Rabindranath Tagore lo riprende
intitolando The Land of the morning calm una poesia composta durante un
viaggio in Corea negli anni '20. Si tratta, tuttavia, di un’immagine che non ha
avuto particolare fortuna tra i coreani in quanto estranea al loro
immaginario, ma che è stata regolarmente utilizzata, in inglese, sia dai
coreani che da stranieri. Dynamic Korea è certamente l’espressione
preferita dal governo sud coreano in sostituzione del precedente. Un altro
appellativo, di uso meno frequente, è Sparkling Korea (Corea
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effervescente)
Le immagini multi-mediali, ad esempio le fotografie, materiale visivo, i
video-clip, nacondono spesso l’intento di influenzare la percezione di un
Paese da parte di un osservatore esterno. Dietro il cambiamento
dell’appellativo ufficiale della Corea c’è il rifiuto di un’immagine che la ritrae
come regno della serenità, della tranquillità propria della calma mattutina,
ma che invoca anche un senso di eternità, di immobilità e, in accezione
negativa, del rifiuto di ogni trasformazione, dell’orgoglio di un ancoramento
83
Dynamic Korea http://www.youtube.com/watch?v=rH8-CjW_fXc&feature=related
Korea
Sparkling
http://www.youtube.com/watch?
v=UsR5xek7HHU&feature=related
http://www.dynamic-korea.com/ (16/10/10)
150
Corea del Sud: “Calma mattutina” o “Corea dinamica”?
al passato, a una perenne tradizione. L’intento è, perciò, di annullare questi
significati “negativi” e sostituirli con un’idea di Corea come Paese deciso,
forte, senza sfumature o chiaroscuri, dinamico, frenetico, e al contempo
capace di armonizzare le contraddizioni, gli opposti, lo ying e lo yang, il
femminile e il maschile, così come rappresentato dal simbolismo filosofico
della bandiera coreana.
Le immagini di sé che la Corea propone on-line hanno un effetto non
sempre positivo in Occidente. Spesso la curiosità degli italiani viene
sopraffatta da un certo senso d’inquetudine, come nel caso delle immagini
84
dei Reeds , tifosi coreani truccati da diavoli e con indosso magliette rosse
che occupavano interi settori di stadi anch’essi colorati di rosso durante i
campionati mondiali di calcio del 2002. Il nuovo volto della Corea dinamica
e frenetica suggerisce anche l’immagine di un Paese orgoglioso, ambizioso,
agressivo e a volte arrogante, come confermano le critiche contenute nella
Relazione di Leggieri. Similmente, il riconoscimento dell’efficienza che ha
permesso al governo coreano di rispettare gli impegni presi entro il termine
stabilito ha avuto come controparte un atteggiamento dubbioso circa
l’effettiva qualità dei risultati. Ancora una volta, agli occhi del’Occidente la
Corea finisce per essere associata al Giappone, e non alla Cina, della quale
ha invece subito per secoli l’influenza culturale; tanto meno le si riconosce
un percorso proprio.
La dinamicità del nuovo appellativo vuole far riferimento sia alla velocità
con cui questo Paese è riuscito a uscire dalle devastazioni che hanno
caratterizzato il lungo periodo della soggezione coloniale e della guerra con
la Corea del nord, sia alla tenacia con cui ha importato, assimilato e
trasformato i modelli del capitalismo democratico occidentale, in particolare
americano, ponendosi su un piano di parità con i Paesi più avanzati. Questo
dinamismo è indicato dall’espressione ppalli ppalli, presto presto, diffusa in
tutti i contesti della vita pubblica dei coreani che sta a indicare come spesso
sia più importante concludere un progetto in tempo piuttosto che curarne la
qualità. La cultura del ppalli ppalli è più che mai presente oggigiorno
nell'attività che si inseriscono nel processo di segyehwa, globalizzazione: in
ambito lavorativo essa implica un radicale cambiamento del ritmo di lavoro,
della sua esecuzione ma anche delle procedure decisionali, che ha di fatto
2002
Reeds
korea
http://www.youtube.com/watch?
v=hFnD6yOm3Ws&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=lcMEzp4I9CI&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=cisMSSPbEqU(16/10/10)
84
Atti del Convegno Conoscere la Corea
151
superato le lentezze che ancora caratterizzano gran parte del mondo
85
occidentale .
85
Yi Jeong Duk: 11-16.
Bibliografia
BAYART Jean-François, The Illusion of Cultural Identity, Londra, Hurst &
Comapany, 2005.
McNAMARA D.L. (a cura di), Corporatism and the Korean Capitalism, New York,
Routledge, 1999.
SHIM et al., (a cura di), Changing Korea. Understanding Culture and
Communication, New York, Peyr Lang, 2008.
YI Jeong Duk, Globalization and Recent Changes to Daily Life in th Republic
of Korea, in Korea and Gloabalization, Politics, Economics and
Culture (a cura di) James Lewis e Amadu Sesay, New York,
Routledge, 2002.