RASSEGNA STAMPA FALCRI DEL 10 NOVEMBRE 2008 A cura di

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RASSEGNA STAMPA FALCRI DEL 10 NOVEMBRE 2008 A cura di
RASSEGNA STAMPA FALCRI DEL 10 NOVEMBRE 2008
A cura di Manlio Lo Presti
Associazione Falcri
Banca Monte dei Paschi di
Siena____________________________________________________
ESERGO
Ci sono sulla terra tre forze capaci di vincere e conquistare per sempre la coscienza
degli uomini - esseri deboli e ribelli - per la loro stessa felicità, e queste tre forze sono:
il miracolo, il mistero e l’autorità.
DOSTOEVSKIJ, Il grande inquisitore, in I Fratelli Karamazov, Garzanti, 1990
www.avvenire.it
La Bce taglia i tassi al 3,25%, le Borse crollano
Sfuma l’effetto-Obama, in Europa persi 300 miliardi. Il Fmi: la crisi economica si
aggrava
DA MILANO MARCO GIRARDO
L’effetto Obama sui mercati è già esaurito. Spazzato dal Fondo monetario, che intravede nel 2009
la prima recessione per le grandi economie mondiali dal Dopoguerra, da un taglio dei tassi in
Europa – la Bce li ha portati al 3,25%, con una sforbiciata di 50 punti base – giudicato da molti operatori « poco coraggioso » e da una raffica di « allarme utili » sparata dall’Oriente. Come se non
bastasse, sono piovuti ieri nuovi, drammatici dati su disoccupazione e produttività negli Usa. È in
ogni caso dall’Asia che le Borse hanno iniziato a capitolare. Con Tokyo e Hong Kong scese rispettivamente del 6,53% e del 7,08%. Il colosso giapponese Toyota si ritrova con utili semestrali
dimezzati e stime sui profitti 2008- 09 riviste al ribasso del 56%. L’Europa ha poi mandato in
fumo altri 300 miliardi di capitalizzazione con perdite nell’ordine del 6,22% ( indice Dj Stoxx 50).
Milano ha bruciato il 5,06%, Londra il 5,70%, Parigi il 6,38% e Francoforte il 6,84%.
Dopo le chiusure in Europa il testimone è passato a Wall Street, con il Dow Jones che ha lasciato
sul campo il 4,8% e il Nasdaq il 4,26%. Sulle due sponde dell’Atlantico il malumore dei mercati è
stato fortemente influenzato anche da una nuova mareggiata sul fronte degli utili societari, in
molti casi deludenti. Ma il segnale più deprimente è quello sulla produttività non agricola dell’economia americana, scesa nel terzo trimestre all’ 1,1%. Quanto all’andamento del mercato del
lavoro Usa, le richieste settimanali di sussidio di disoccupazione sono scese di quattromila unità a
quota 481mila, e meno di quanto sperato.
Nel tentativo di rianimare un mercato creditizio asfittico la Banca d’Inghilterra ha tagliato i tassi
al 3%, con una riduzione ben sopra le attese e dell’ 1,5%. Non altrettanto coraggiosa è stata la
Banca centrale europea, che perfettamente in linea alle aspettative ha ridotto il costo del denaro
di mezzo punto, pur anticipando un nuovo taglio a dicembre. Un sondaggio condotto da Reuters
tra 57 economisti dopo l’annuncio della decisione che ha portato i tassi europei al 3,25%, minimo
degli ultimi due anni, evidenzia come la maggioranza degli analisti preveda un nuovo taglio di 50
centesimi entro fine 2009. « Tutto dipende dal prezzo di petrolio e materie prime » , si è limitato a
dire il numero uno dell’Eurotower, Jean- Claude Trichet.
Secondo il presidente migliorano infatti le prospettive di inflazione nell’area euro, ma restano «
straordinariamente alte le incertezze » sul futuro dell’economia con un « significativo
rallentamento della crescita». Nemmeno Trichet ha parlato di recessione. Senza tuttavia
escluderla: il presidente della Bce ha rinviato un’analisi più approfondita a dicembre, quando
disporrà di dati più certi.
A spaventare poi gli investitori le stime del Fondo monetario di una recessione globale per il
2009. Il Pil globale, secondo gli economisti dell’Fmi, crescerà quest’anno del 3,7% per poi
rallentare al 2,2% il prossimo.
Di recessione globale il Fondo Monetario Internazionale preferisce ancora non parlare perchè la
crescita, seppur «molto bassa», sarà positiva sia nel 2008 sia nel 2009. Ma per le economie
avanzate lo scenario è quello della prima recessione dal secondo dopoguerra, con l’economia
statunitense in calo dello 0,7% e quella italiana dello 0,6%. «Abbiamo davanti un periodo di forte
incertezza – ha commentato Olivier Blanchard, capo economista del Fondo – e i rischi sono due:
un inasprimento della crisi finanziaria e la deflazione che, comunque, al momento non sembra
probabile » .
Mutui, rate più leggere. E Bpm si «sgancia» dall’Euribor
DA MILANO
Nuova boccata d’ossigeno per i mutui variabili: l’Euribor a tre mesi, il tasso sui cui vengono
generalmente « agganciati » in Italia i prestiti per l’acquisto degli immobili, è sceso dal 4,663% al
4,592%, toccando nuovi minimi da marzo. Giù anche il tasso a un mese, da 3,767% al 3.692%.
Ma rompendo gl’indugi e giocando d’anticipo sulla concorrenza, proprio ieri la Banca Popolare di
Milano ha deciso di lanciare il suo « Euromutuo » , rispondendo a un suggerimento del
governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi: le rate non saranno più indicizzate all’Euribor ma a
quello di riferimento della Banca Centrale Europea, « limato » ieri al 3,25%. Finito sotto pressione
negli ultimi mesi a causa della crisi finanziaria, l’Euribor ha contributo a far lievitare, mese dopo
mese, la rata variabile degli italiani che avevano acquistato questo tipo di prodotto quando i tassi
di riferimento erano molto più bassi di questa prima parte del 2008. Oltre a Draghi, a suggerire
questa strada erano stati anche il componente del comitato esecutivo della Bce, Lorenzo Bini
Smaghi, e le associazioni dei consumatori.
Bpm spiega che Euromutuo permette una « maggiore trasparenza e una maggiore stabilità »
oltre a una maggiore convenienza dato che « negli ultimi cinque anni il tasso Bce ha evidenziato
una maggiore competitività rispetto all’Euribor » . Il nuovo « mutuo casa » sarà disponibile da
lunedì nella Banca milanese e prevede l’applicazione di
uno spread ( una « commissione » ) rispetto al tasso Bce dell’ 1,50% e una durata massima di 30
È stato del resto lo stesso presidente della Bce, Jean Claude Trichet, a invitare ieri le banche ad
assumersi ler loro responsabilità. L’Euribor e gli spread di mercato, ha detto Trichet, dovrebbero «
tornare a un livello che sconti tutte le decisioni che sono state prese » immettendo liquidità. Perché il mercato torni a funzionare, cioè, le banche commerciali devono prendersi il rischio di
tornare a prestarsi soldi, anziché trattenere la liquidità in eccesso come stanno facendo da
settimane: anche perché al diminuire dei rischi in capo agli istituti di credito – ha spiegato il numero uno dell’Eurotower – « è corrisposto un aumento dei rischi presi dai governi che hanno
dovuto garantire la tenuta delle banche stesse » .
Adusbef e Federconsumatori hanno naturalmente accolto con favore la decisione della Bce di
operare un ulteriore taglio dei tassi di interesse. Ma evidenziano al contempo la necessità di un
ulteriore abbassamento dei tassi e di agganciare la rata dei mutui a tasso variabile al tasso di
sconto, piuttosto che al tasso interbancario Euribor. Quello che ha fatto Bpm dando in questo
modo – secondo le associazioni dei consumatori – « un segnale di inversione di tendenza dei loro
comportamenti nei confronti dei cittadini » . Perché le famiglie risparmieranno in questo modo «
70- 80 euro al mese, in relazione all’abbattimento in due tranches
da 4,25 a 3,25 » .
Marco Girardo Denaro meno caro sull’interbancario PopMilano lancia il primo prestito agganciato
al tasso Bce
«In Italia una frenata meno brusca»
Il Fondo monetario: Pil in calo dello 0,6% nel 2009, ma banche più solide e non c’è bolla
immobiliare
DA MILANO
N on si salva l’Italia dai numeri presentati dal Fondo monetario internazionale. Non si parla di
recessione, ma è severa l’analisi degli economisti del Fmi, che con il «deteriorarsi delle prospettive
nell’ultimo mese», ha tagliato drasticamente le stime di crescita. L’economia italiana si contrarrà
sia quest’anno che il prossimo (-0,2% nel 2008 e -0,6% nel 2009), ma in complesso si trova in
una situazione migliore rispetto ai partner europei. «Abbiamo rivisto le stime per l’Italia al ribasso
per una caduta della fiducia nei mercati finanziari e per il rallentamento in generale della crescita
– spiega il numero due del dipartimento economico del Fmi, Jorge Decressin –. Ma a confrontare i
dati 2008 e 2009 per l’Italia si vede che c’è un rallentamento inferiore a quello di altri paesi,
come, Francia, Germania e Gran Bretagna. Il sistema bancario italiano è stato meno colpito, il
settore immobiliare non ha avuto in passato gli eccessi che si sono visti in altri paesi ma, dall’altra
parte in Italia c’è un basso potenziale di crescita e problemi strutturali». Rispetto alle previsioni
dello scorso ottobre, la crescita italiana è stata tagliata dello 0,1% a 0,2% quest’anno e dello
0,4% a -0,6% nel 2009. E proprio ieri ha preso il via la consueta missione in Italia degli ispettori
del Fmi, guidata da Paul Thomsen. Al vaglio del Fmi molteplici temi: a partire dalla crisi economica
internazionale e i suoi impatti su banche, consumi e investimenti per proseguire con i conti pubblici, il controllo della spesa, le politiche fiscali, il debito pubblico, le pensioni, ed anche argomenti
come il federalismo fiscale e la vicenda Alitalia. Oggi gli ispettori saranno al ministero
dell’Economia dove torneranno più volte fino al 18 novembre, ultimo giorno della missione quando
incontreranno il governatore e il direttorio di Palazzo Koch e poi presenteranno il documento
conclusivo al titolare del Tesoro, Giulio Tremonti.
L’Europa si prepara oggi al G20 di Washington Attese proposte concrete
Dopo i nuovi interventi delle banche centrali e passato il momento elettorale americano, i leader
mondiali tornano a incontrarsi per definire nuove misure anticrisi. L’attenzione è rivolta in
particolare, all’appuntamento del G20 a Washington il 15 novembre. Da lì «dovranno uscire
proposte concrete di riforma del sistema finanziario». È quanto prevede il testo redatto dalla
presidenza di turno dell’Unione Europea che verrà discusso al vertice straordinario europeo di oggi
a Bruxelles per preparare una linea comune. Il summit dovrebbe definire «immediate guidelines
per la governance a livello internazionale e precisare il programma di lavoro in base al quale entro
100 giorni dovranno essere presentate misure concrete». In Europa, il summit del 15 novembre,
che riunirà i più importanti paesi emergenti come Cina, India, Brasile, Corea del Sud e Sud Africa,
assieme alle grandi nazioni industrializzate, viene visto come l’avvio di un processo di revisione
dell’architettura finanziaria globale. Il premier italiano Berlusconi, che ieri ha incontrato il
presidente russo Dmitri Medvedev e il primo ministro Vladimir Putin, chiederà interventi
sull’economia reale. Questo fine settimana a San Paolo, in Brasile, si riuniranno i ministri delle
Finanze e i governatori delle banche centrali del G20, per preparare il campo e confrontarsi su
possibili riforme delle regole finanziarie. Per l’Italia, ci saranno il governatore di Bankitalia Mario
Draghi (a San Paolo anche lunedì 10 per la riunione della Banca dei regolamenti internazionali) e il
direttore generale del Tesoro,Vittorio Grilli. Ai lavori parteciperanno il presidente della Bce Trichet,
il direttore del Fondo monetario internazionale Strauss-Kahn e il presidente della Banca Mondiale
Zoellick.
Cassa depositi e prestiti, si cambia
La Cassa depositi e prestiti cambia faccia.
Nasce la figura dell’ad che si affiancherà a quella del presidente, assumendo la maggior parte dei
poteri attualmente delegati al direttore generale. Il cambio della governance è stato approvato ieri
a larga maggioranza dai soci di Cdp nel corso di un’assemblea straordinaria che ha approvato
anche modifiche allo statuto di Cassa. Per il ruolo di nuovo ad della Cassa, in pole position c’è
Massimo Varazzani, ex segretario generale del Banco di Napoli, commissario Enav e ad di
Sanpaolo Imi private equity e Sanpaolo Imi investimenti, nonché curatore del piano casa per il
ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Il nome di Varazzani, la cui investitura ufficiale è
rimandata a un’altra data, sembra incontrare anche il favore delle Fondazioni ex bancarie,
azioniste di minoranza di Cassa con il 30%, per le quali non rappresenta un problema il fatto che
sia diretta espressione del Ministero del Tesoro, azionista di maggioranza al 70%. Con l’arrivo di
Varazzani, il presidente Alfonso Iozzo e il direttore generale, Antonino Turicchi, dovranno cedere
parte delle proprie deleghe al nuovo amministratore. Cdp potrebbe iniziare ad agire come
investitore diretto in infrastrutture e opere pubbliche, senza dover necessariamente passare per il
prestito all’ente territoriale preposto.
L’intenzione, espressa anche dal ministro Tremonti, è quella di consentire a Cdp di assumere «la
regia delle grandi opere che sono fondamentali per il Paese» e lo stesso Giuseppe Guzzetti,
presidente dell’Acri ha detto la scorsa settimana che la Cdp è «lo strumento principe per realizzare
un piano nazionale di edilizia sociale, per i fondi di private equity, per il venture capital della
ricerca, per le infrastrutture».
Ieri a San Paolo in Brasile i ministri economici e finanziari del Gruppo dei Venti hanno
preparato il terreno all’incontro di big negli Stati Uniti
vertici Verso il summit a Washington per definire nuove regole. Obama: non c’è un
momento da perdere
Riforma dei mercati, Usa e Ue più vicini
La Casa Bianca: intesa possibile. Il G20: più peso agli emergenti
DA MILANO MASSIMO CALVI
Il cammino verso la riforma del sistema finanziario mondiale sembra aver accelerato il passo.
Sarà per la maggiore consapevolezza circa la necessità di misure urgenti contro il dilagare della
crisi, o sarà per il venir meno dell’incertezza legata all’attesa per le elezioni americane, negli ultimi
giorni della settimana appena conclusa il dibattito sulle ricette per risollevare l’economia e ridare
fiato ai mercati ha registrato un importante cambio di passo. Una marcia più rapida – se non altro
in rapporto alla lentezza delle risposte sin qui fornite dal- le istituzioni internazionali – che è di
buon auspicio in vista del vertice del G20 di sabato a Washington.
Ieri la portavoce della Casa Bianca, Dana Perino, ha dichiarato che c’è «un terreno d’intesa» tra
Europa e Stati Uniti sulla necessità di una riforma del sistema finanziario mondiale. Indicazione
importante, all’indomani del Consiglio europeo straordinario nel quale l’Europa, decidendo di incominciare a parlare con una voce sola – obiettivo dichiarato e perseguito dal presidente di turno
dell’Unione, François Sarkozy – ha incalzato gli Stati Uniti evidenziando la necessità di definire
provvedimenti urgenti e di fissare un calendario di verifiche sugli esiti delle misure che via via
verranno intraprese.
«Pensiamo ci sia un terreno d’intesa su numerosi aspetti nel nostro approccio per affrontare la
bufera sui mercati finanziari», ha detto ieri la Perino, mentre il presidente uscente degli Usa,
George W. Bush, sempre ieri ha voluto rimarcato con enfasi che «per contribuire a risolvere la
crisi finanziaria globale, la mia amministrazione ospiterà uno storico vertice internazionale il 15
novembre a Washington».
Non ci sarà, a quel vertice, il presidente eletto Barack Obama. Ma avrà probabilmente già
formato la squadra economica e indicato il successore di Henry Paulson al Tesoro. Obama ieri è
tornato a ribadire, nel suo primo discorso radiofonico settimanale, l’importanza di azioni urgenti,
poiché «non c’è un attimo da perdere». Gli Usa, è persuaso il presidente eletto, «avranno bisogno
di altre misure nel periodo di transizione e nei mesi seguenti», e in particolare di «un piano di
salvataggio per la classe media e di soccorso per le famiglie che vedono ridursi i salari e svanire i
risparmi di tutta una vita». Tutti d’accordo i Paesi sull’importanza di una nuova Bretton Woods per
ridisegnare l’architettura finanziaria mondiale, restano i nodi da sciogliere su assetti istituzionali e
misure anticrisi.
Ieri a San Paolo in Brasile i ministri finanziari e i governatori delle banche centrali del Gruppo che
riunisce i venti Paesi più ricchi del pianeta e gli emergenti, hanno preparato il terreno al summit
che si terrà tra una settimana negli Stati Uniti. E tra le indicazioni emerse vi è quella – significativa, considerata l’estensione della tempesta finanziaria – di aumentare l’influenza del Gruppo dei
Venti nel governo del sistema finanziario globale, come ha chiesto il 'padrone di casa' Luiz Inacio
Lula da Silva, e spiegato il presidente della Banca centrale dell’Argentina, Martin Redrado: «Ci
stiamo muovendo verso un consenso per dare un maggior peso al G20», ha detto Redrado,
sostenendo la necessità che il Gruppo dei 20 – dunque Paesi emergenti compresi – sostituisca il
G7 come forum principale per le decisioni sul sistema finanziario.
Il G20 di San Paolo ha discusso anche della possibilità di ulteriori tagli dei tassi di interesse come
argine alla crisi. Misura caldeggiata anche del Fondo monetario internazionale. Proprio in vista del
summit di Washington il Fmi ha chiesto ai leader di discutere «di misure fiscali e monetarie
supplementari ». Lo si evince dalla lettera del 6 novembre inviata ai capi di governo dal direttore
generale del Fondo, Dominique StraussKahn, nel quale è stato sottolineato che «c’è un margine
per una espansione fiscale in numerose economie di mercato avanzate e in alcune economie
emergenti; e con l’inflazione in calo, alcune banche centrali hanno un margine per un ulteriore
alleggerimento monetario».
CONSUMI IN PICCHIATA
Assofin registra per la prima volta un segno negativo sui flussi di mutui erogati. Piano
Mortari: «Già dall’inizio dell’anno si acquistano meno beni Non c’è dubbio che c’è un
rallentamento»
Meno spese e stop ai debiti Le famiglie tirano la cinghia
DA MILANO GIUSEPPE MATARAZZO
L a recessione fa paura. E le famiglie italiane, che fanno i conti con la ristrettezza della propria
ricchezza, si muovono adesso con i piedi di piombo. La crisi dei consumi è lo specchio evidente di
un nuovo approccio con le spese e la gestione del bilancio domestico. Negli ultimi anni, è cresciuto
il ricorso al debito, attraverso la richiesta di mutui, prestiti finalizzati e personali, e la diffusione di
carte di pagamento varie. Una «esposizione» tuttavia moderata rispetto ad altri Paesi europei e
all’America, dove vivere una vita al di sopra delle proprie possibilità è stata per anni la regola. In
Italia il rapporto tra consistenze di credito alle famiglie e Pil è pari al 22%, meno della metà di
quello medio dell’Ue-15, il 51%. Nel secondo trimestre 2008, secondo i dati di Bankitalia, i debiti
delle famiglie italiane sono tornati a crescere attestandosi a 844 miliardi. Ma adesso? Di fronte alla
crisi che sta travolgendo anche il nostro Paese, come si comporteranno le famiglie? Continueranno
a indebitarsi oppure no? Sentendo gli istituti di credito al consumo, la tendenza è chiara: basta
debiti. Perché la previsione sul futuro non è per nulla positiva. Quindi, meno mutui e prestiti e
meno «strisciate» con le carte di credito. Così parlare di «crisi» del credito al consumo oggi non è
un azzardo. I dati registrati a settembre dall’Assofin – l’associazione che riunisce 78 società di
credito al consumo, fra intermediari finanziari, banche e compagnie di assicurazione – sono
indicativi. Due su tutti: 9,8% sui flussi di mutui immobiliari alle famiglie nel primo semestre 2008
e -10,8% sui prestiti finalizzati. «Da anni si registra un rallentamento nella crescita dei mutui –
afferma Giuseppe Piano Mortari, direttore operativo di Assofin –. Ma nell’ultimo semestre si è
arrivati addirittura a un segno meno. E la tendenza può peggiorare nell’ultimo trimestre. I nuovi
mutui sono diminuiti del 16%, mentre sono aumentate del 42% le sostituzioni, le rinegoziazioni e
tutti i contratti previsti dalle nuove norme sulla portabilità » . Tutti segnali di evidenti difficoltà.
«Già dall’inizio dell’anno – conferma Piano Mortari – le famiglie acquistano meno beni e ricorrono
meno al credito al consumo. Rimandano le scelte di acquisto di beni importanti, quelli durevoli o
l’abitazione. La flessione è forte». Sul fronte prestiti, netto il calo dei finanziamenti finalizzati. Nel
settore auto si registra un -11,5%, in linea con il calo di vendite del settore. A «pareggiare i conti»
e far chiudere il settore con un +2,9% a settembre, influisce la crescita dei prestiti personali
diretti (+14%) e il boom della cessione del quinto (+31,6%).
Un focus a parte meritano le «carta di credito». In America, dopo la bolla dei mutui subprime, il
rischio è che a scoppiare sia proprio quella delle 'card'. Nei giorni scorsi è scattato l’allarme.
Oltreoceano spopolano le 'revolving', quelle che consentono al cliente di rimborsare a rate il saldo
di fine mese. A fine 2007, ogni famiglia americana aveva verso le carte di credito un debito medio
di 9.800 dollari. In Italia, dove l’uso delle carte è limitato, non ci sono questi numeri. I possessori
di carte di pagamento (di credito, di debito e prepagate) sono 23 milioni, per un totale di 67 milioni di carte. Il 64% la usa solo da una a quattro volte al mese. Quelle revolving in Italia sono
cresciute nel valore delle operazioni del 7,9% nel periodo gennaio settembre 2008, toccando gli
oltre settemilioni. Una cifra comunque significativa, pur rappresentando «il 2% del totale del
transato di tutti gli stumenti di pagamenti », come sottolinea il direttore generale di Visa Italia,
Davide Steffanini, che parla di situazione assolutamente «sotto controllo». Tant’é che il ministro
dell’Economia, Giulio Tremonti, ha assicurato: «L’impatto di una eventuale crisi specifica nel
settore delle carte di credito non sarà consistente».
I dati sull’andamento delle spese con carta di credito sono piuttosto controfersi, e fermi a
giugno. «Nonostante il momento di crisi internazionale – dicono da CartaSi –, l’utilizzo della carta
di credito non ha registrato variazioni importanti negli ultimi 6 mesi, sia per i volumi di spesa, sia
per il numero di transazioni ». Lo stesso si afferma in casa Visa. Ma per Assofin, invece, è
probabile che «i segnali di rallentamento ci saranno presto anche sulle carte».
Rallenta il credito al consumo. Calano le richieste di mutuo (-10%). E si rinviano gli acquisti più
importanti, come l’auto. Sulle carte di credito, nessun allarme in Italia. Ma i timori non mancano.
LE CIFRE
+14,7% PRESTITI PERSONALI
-10,8% PRESTITI FINALIZZATI
-11,5% PER AUTO E MOTO
-9,8% MUTUI CASA
+7,9% CARTE REVOLVING
1.500 EURO IL CREDITO AL CONSUMO PRO CAPITE IN ITALIA. IN SPAGNA È DI 2.200
EURO, IN FRANCIA DI 2.500 EURO , IN GERMANIA DI 2.800 EURO.
i mutui
La proposta dei consumatori: così aiutiamo i cittadini Il governatore Draghi: rivedere i
parametri E Bpm lancia Euromutuo
«Basta Euribor, applichiamo i tassi Bce»
DA MILANO
« Basta con l’Euribor. È un tasso privato definito dai banchieri e indipendente dalla politica di Bce
»: le associazioni dei consumatori chiedono che venga sostituito con un «tasso istituzionale». In
Italia, lo scorso luglio 2008 – spiega una nota di Adusbef e Federconsumatori – il tasso medio sui
mutui (5,86 %) superava di oltre mezzo punto quello medio europeo (5,31 %). La differenza tra il
tasso di riferimento Bce, sceso al 3,25% e il tasso Euribor trimestrale (al quale sono legati la
maggior parte dei mutui indicizzati) al 4,474%, è diventata intollerabile, presentando un
differenziale dell’1,28% dopo che per anni è stato di circa un quarto di punto (0,25%)». Se i tassi
indicizzati fossero stati agganciati al tasso Bce invece che all’Euribor, moltissime famiglie
avrebbero potuto risparmiare in media 4.800 euro negli ultimi 4 anni, secondo i calcoli di Adusbef
e Federconsumatori. Considerazioni che fanno un po’ tutte le associazioni di consumatori, che si
auspicano anche che adesso scendano i mutui immobiliari che pagano le famiglie.
Ma sull’Euribor il dibattito è più che animato. Lo stesso governatore della Banca d’Italia, Mario
Draghi, nei giorni scorsi, ha invitato a trovare «parametri diversi per calcolare il tasso sui mutui».
Per Draghi «in prospettiva, è opportuno che le banche utilizzino per l’indicizzazione dei mutui a
tasso variabile parametri più strettamente collegati all’effettivo costo della raccolta».
«L’indicizzazione dei tassi dovrebbe essere al tasso Bce e non all’Euribor», ha proposto Lorenzo
Bini Smaghi, membro del Comitato della Bce. «Oggi il mercato non funziona, il tasso interbancario
è totalmente fuori linea e a pagarne il prezzo sono i cittadini che hanno il loro mutuo indicizzato
all’Euribor – spiega ancora Bini Smaghi –. Non è giusto che a pagare il prezzo della sfiducia fra le
banche siano loro. Bisogna cambiare i meccanismi di indicizzazione, bisogna rivedere i contratti
come viene fatto in altri casi per rivedere l’indicizzazione non più all’Euribor ma al tasso della
Bce». Da qui l’invito agli istituti di credito: «È importante che le banche ricomincino a prestarsi
denaro fra di loro e che i tassi dell’Euribor scendano, perché non è giusto che i cittadini paghino le
resistenze delle banche». Discussioni che piacciono all’opposizione. Tanto che esponenti del Pd
hanno commentato: «Finalmente il totem dell’Euribor è in discussione».
E i primi segnali arrivano anche dalle banche. Da Bpm ecco spuntare «Euromutuo», il mutuo con
un tasso di interesse agganciato a quello ufficiale di riferimento della Bce. Un’iniziativa del gruppo
Bpm (Banca Popolare di Milano, Banca di Legnano e Cassa di Risparmio di Alessandria) rivolta alle
famiglie. I vantaggi per chi aderirà a questa proposta – informa l’istituto in un comunicato – sono
significativi: soprattutto il tasso, che essendo agganciato a quello ufficiale di riferimento della Bce
e non più a quello interbancario, offre una maggiore trasparenza e una maggiore stabilità. I primi
mutui potranno essere sottoscritti nelle filiali del Gruppo Bpm da domani e prevedono
l’applicazione di uno spread, rispetto al tasso Bce, dell’1,50% e una durata massima di 30 anni.
Giuseppe Matarazzo
Come mi finanzio
CARTE DI CREDITO
Al posto dei contanti
Le carte di pagamento permettono al titolare di acquistare beni o servizi senza un esborso
immediato di denaro. Si dividono in: carte di debito, collegate a un conto corrente con transazione
immediata; carte di credito, che consentono di spendere fino a un limite mensile; prepagate, per
spendere un importo preventivamente caricato.
LE «REVOLVING»
Rimborsi a rate, con interessi
Particolari carte di credito utilizzabili in tutti i negozi convenzionati a cui è associata una linea di
credito rotativa (fido che si ricostituisce via via che si procede nei rimborsi). La somma disponibile
viene rimborsata mensilmente pagando degli interessi, in base a un piano di ammortamento
flessibile.
Sono utilizzate per pagamenti rateali. Configurano un credito nei confronti del titolare.
MUTUI E PRESTITI
Per gli acquisti importanti
Il mutuo bancario è la forma più diffusa di mutuo ed è un prestito erogato da un istituto di
credito, solitamente per importi di un certo rilievo, contro la prestazione di una garanzia. Il caso
tipico è il mutuo per l’acquisto di un immobile.
Nell’ambito dei prestiti ci sono i finanziamenti 'finalizzati' all’acquisto di uno specifico bene,
richiesti direttamente nei negozi. E quelli 'personali' richiesti agli istituti.
CESSIONE DEL QUINTO
Trattenute in busta paga
La cessione del quinto dello stipendio è una tipologia di prestito personale da estinguersi con
cessione di quote dello stipendio fino al quinto dell’ammontare dell’emolumento valutato al netto
di ritenute. La particolarità di questa soluzione di finanziamento è che il rimborso avviene con
trattenuta della rata direttamente in busta paga.
L’EFFETTO DELLA CRISI
Lo Stato sottoscriverà obbligazioni degli istituti, ipotesi meno invasiva dell’acquisto di
azioni
Banche, la verità sui conti Aiuto del governo in arrivo
In settimana la diffusione dei bilanci trimestrali dei principali istituti. Martedì l’emendamento che
definisce l’intervento di sostegno al settore e per il credito alle imprese
DA ROMA EUGENIO FATIGANTE
Scoccherà questa settimana l’ora degli aiuti a banche e imprese. Martedì o mercoledì dovrebbe
arrivare in commissione Finanze della Camera, dove sono fermi i due decreti varati il 9 e 13
ottobre, l’emendamento (uno o più) che inserirà nuovi elementi per il sostegno agli istituti di credito colpiti dalle turbolenze finanziarie mondiali.
Un aiuto che verrà, curiosamente, proprio nei giorni in cui le maggiori banche nazionali si
trovano a scoprire le proprie carte sui conti trimestrali aggiornati. Sempre martedì si riuniscono
infatti i consigli d’amministrazione di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bpm e Ubi Banca; il giorno dopo
toccherà a Mediolanum e giovedì 13 chiuderà il senese Monte dei Paschi. Solo allora si potrà
sapere se nell’ultimo mese la Borsa ha visto giusto, portando le quotazioni delle banche sui minimi
storici o se, al contrario, c’è davvero una sottovalutazione del valore dei nostri istituti (Unicredit, a
esempio, è crollato di quasi il 75% dai massimi del 12 dicembre 2007, prima della recente
ripresa). L’aspetto che stanno scandagliando i tecnici del Tesoro, assieme a quelli di Bankitalia e
dell’Abi, riguarda le modalità di questo soccorso pubblico. I decreti già varati prevedono che sia la
singola banca a chiedere l’intervento (e vi sarebbero già almeno 5 'grossi nomi' fra i potenziali
interessati). Ma questo la metterebbe in cattiva luce e pertanto l’associazione bancaria sta
premendo perché ci sia una sorta di richiesta concordata fra le banche. Inoltre vanno definiti i
vincoli che verrebbero posti agli istituti, in termini di credito da erogare.
La via delle proposte di modifica è stata scelta per evitare un terzo decreto-legge (anche se i
primi due - il 'salva-banche' e il 'salvaliquidità' - in realtà saranno accorpati durante l’iter e sono
attesi per il 17 in aula) che andrebbe a ingolfare i lavori parlamentari. In fondo si tratta di
aggiustamenti alle misure precedenti dato che, come ha anticipato il direttore generale del Tesoro,
Vittorio Grilli, l’intervento potrebbe consistere nella sottoscrizione da parte dello Stato di obbligazioni perpetue. Questa soluzione si affiancherebbe alla facoltà di rilevare azioni privilegiate (senza
diritti di voto), prevista dal primo decreto, ma avrebbe un carattere meno invasivo e per questo è
vista con maggior favore dai banchieri. In questo modo le banche vedrebbero rafforzato il loro
patrimonio, in particolare l’indice 'Tier 1' che - pur partendo da migliori condizioni di partenza - le
vede oggi in posizione di inferiorità rispetto alle banche concorrenti europee, che hanno già
goduto del soccorso dei loro governi. Sempre attraverso la via degli emendamenti sono attese le
prime misure già annunciate per le imprese, come il Fondo di garanzia da 650 milioni per quelle
medie e piccole e lo spostamento del versamento dell’Iva, non più all’emissione della fattura, ma
quando si riceve il pagamento. Mentre, come Berlusconi ha detto venerdì, il pacchetto per le
famiglie non verrà prima di dicembre. Intanto ancora ieri a Sanremo il presidente di Confindustria,
Emma Marcegaglia, è tornato a chiedere «supporti all’economia e supporti di natura fiscale».
Difficile che passi però la detassazione degli utili reinvestiti, troppo costosa. Resta da capire la
disponibilità dello Stato su deducibilità degli interessi passivi e sugli incentivi per chi fa produzioni
meno inquinanti.
Negozianti: sconti del 20% a Natale
DA MILANO
Niente saldi anticipati sul modello inglese ma a dicembre potrebbe arrivare lo «sconto natalizio».
Il presidente della FismoConfesercenti (settore moda), Roberto Manzoni, apre all’ipotesi di
promozioni prenatalizie nei negozi di abbigliamento a patto però che il governo venga incontro ai
commercianti e soprattutto che non si tratti di veri e propri saldi. «I saldi sono una misura
eccessiva – ha spiegato Manzoni – perché i negozianti non riuscirebbero a coprire i costi.
Anticiparli non è pensabile, non si ricoprono le spese di gestione. Una soluzione intermedia come
lo sconto natalizio tra il 10 e il 20%, invece, potrebbe essere presa in considerazione». Di parere
contrario le associazioni dei consumatori, che invece chiedono la possibilità di saldi tutto l’anno.
Per il presidente dell’Adusbef, Elio Lannutti, non è possibile far pagare alcuni capi poco prima di
Natale il 30-40% in più e poi con i saldi fare sconti fino al 50%.
www.corriere.it
IL 48% ACQUISTA PRODOTTI A BASSO COSTO
Gli italiani? Vivono low cost
Una ricerca: non solo risparmio, ma un nuovo stile di vita
MILANO – Crisi finanziaria, inflazione, consumi divenuti improvvisamente proibitivi. Gli italiani si
scoprono – loro malgrado – un popolo di risparmiatori, alla continua ricerca di offerte che
consentano di fare acquisti senza dissanguare le proprie finanze. Dagli alimentari all’abbigliamento
ai viaggi, tutto diventa “low cost”. Ma le soluzioni a basso costo rappresentano sempre reali
occasioni di risparmio e convenienza? Secondo più della metà degli italiani, si. Da un’indagine
commissionata all’istituto di ricerca Nextplora e i cui dati sono resi noti dal Centro studi e
documentazione della compagnia di assicurazione diretta Direct Line, emerge che per il 64% degli
italiani acquistare un prodotto low cost significa acquistare un prodotto con un ottimo rapporto
qualità/prezzo.
STILE DI VITA - Il concetto di “basso costo” non sembra più solo sinonimo di risparmio ma sta
diventando espressione di un nuovo stile di vita. Per esempio, il 47% degli italiani dichiara di
essere intenzionato ad acquistare un’automobile “low cost”; il 72% ritiene infatti che rappresenti
un’ottima occasione di risparmio, il 35% pensa che si tratti di auto molto funzionali, infine il 23%
ritiene che acquistare un’auto a basso costo sia indice di un atteggiamento di acquisto
responsabile ed intelligente. A conferma di questa tendenza i dati relativi all’acquisto di polizze
assicurative da compagnie dirette. Il 42% del campione dichiara di essere intenzionato a stipulare
un contratto di polizza con una compagnia diretta. Secondo il 75% degli intervistati le polizze
offerte da una compagnia diretta assicurano un buon rapporto qualità/prezzo, oltre alla semplicità
di acquisto, via Internet o via telefono (50%) e alla possibilità di “personalizzare” il prodotto alle
proprie esigenze (24%).
QUALITA’ - Solo per il 2% un prodotto a basso costo è sinonimo di bassa qualità, il 20% associa
invece l’acquisto di prodotti low cost a una limitata disponibilità economica. Tra i prodotti low cost
più venduti, al primo posto, i generi alimentari (53%), al secondo posto i capi d’abbigliamento
(51%), al terzo posto i biglietti aerei seguiti dai viaggi (41%), dai prodotti tecnologici (32%) e dai
farmaci (31%). Ma cosa spinge gli italiani ad acquistare prodotti low cost? Se il 42% sceglie di
acquistare prodotti a basso costo perché rispondenti a una ridotta disponibilità di spesa, è
significativo che il 29% consideri la gamma dei prodotti low cost più ampia e in grado quindi di
assicurare una maggiore libertà di scelta e che il 26% preferisca i prodotti e servizi a basso costo
perché è possibile acquistarli on line in modo semplice e veloce. Internet si conferma come il
mezzo più utilizzato per l’acquisto dei prodotti low cost: ben il 55% degli italiani infatti compra on
line prodotti a basso costo mentre il 42% si reca in un punto vendita.
L'EURO SI RAFFORZA SUL DOLLARO E SALE A QUOTA 1,2789
Wall Street chiude in rialzo. Tokyo a picco, bene l'Europa
Euribor ai minimi dallo scorso marzo. Bene i mercati del Vecchio Continente, Milano recupera nel
finale (+1,36%)
NEW YORK - Chiusura in rialzo per Wall Street. Il Dow Jones sale del 2,90% a 8.948,35 punti, il
Nasdaq avanza del 2,41% a 1.674,40 punti, mentre lo S&P 500 mette a segno un aumento del
2,87% a 930,87 punti. La Borsa di New York ha viaggiata in terreno positivo nonostante la
giornata «nera», a cominciare dalla situazione del mercato del lavoro, che ha evidenziato 240mila
occupati in meno a ottobre, con il tasso di disoccupazione salito al 6,5%. Oltre a questo, i risultati
trimestrali delle ex regine dell'auto sono stati pesanti, in particolare quelli di General Motors, a
corto di liquidità da qui alla fine dell'anno. Il titolo è arrivato a perdere il 16%, a poco più di
quattro dollari. L'economia è ufficialmente in recessione, come ha sentenziato il National Bureau
of Economic Research, eppure il mercato azionario va su, anche perché in queste condizioni
appare inevitabile l'ennesimo taglio del costo del denaro a dicembre.
TOKYO - Non si ferma invece l'emorragia sul mercato finanziario nipponico. A differenza del
Vecchio Continente dove, almeno le piazze europee tornano a vedere il sereno, la Borsa di Tokyo
chiude gli scambi in ribasso del 3,55%, sulla scia del calo di Wall Street di giovedì e della forte
flessione dei dati di bilancio del gigante dell'auto Toyota. L'indice Nikkei scende a 8.583 punti,
316,14 in meno della chiusura di giovedì, dopo aver toccato in mattinata ribassi di oltre il 7%.
BORSE EUROPEE - In Europa, dunque, si respira un'aria diversa. Piazza Affari torna a sorridere:
dopo una settimana in altalena, con gli indici che sono sprofondati anche a -5%, il listino milanese
si riprende e compie un mini rimbalzo trascinato dalla buona intonazione di Wall Street e dal resto
delle Borse europee. Il Mibtel chiude con un incremento dell'1,36%, mentre lo S&P/Mib guadagna
l'1,41%. A spingere gli indici, soprattutto, il settore dell'energia con Eni ed Enel, ma anche
Telecom e Unicredit. Pesante Fiat che sconta le incertezze del settore. Anche le altre principali
Borse europee archiviano la seduta all'insegna dei guadagni: Parigi segna un +2,42%, Francoforte
avanza del 2,59%, Londra del 2,69%, Zurigo avanza dell'1,89%, Madrid dell'1,82% e Amsterdam
dell'1,96%.
SITUAZIONE IN ASIA - Torniamo in Asia. A differenza di Tokyo rimbalzano le altre piazze
asiatiche. L'indice Hang Seng della Borsa di Hong Kong ha registrato un guadagno del 3,3%,
mentre l’indice di Taiwan è aumentato dell'1,03% e quello di Shangai dell'1,75%. Il risultato
migliore è arrivato da Seul, dove l’indice Kospi è passato da un calo del 4,9% a un rialzo del
3,87% quando è stata diffusa la decisione della Banca centrale sudcoreana di ridurre di un quarto
di punto, dal 4,25% al 4%, il tasso d’interesse di riferimento, nel tentativo di stimolare l’economia
colpita dalla crisi finanziaria mondiale. La decisione è conseguente alle analoghe riduzioni della
Banca centrale europea e della Banca d’Inghilterra.
EURO/DOLLARO - Giornata di oscillazioni contenute. L'euro si è mantenuto stabile ed è
scambiato a 1,2789 contro dollaro, mentre il cambio dollaro/yen avviene a 98,05. E la debolezza
del dollaro sull'euro fa risalire il petrolio al Nymex: il light crude ha chiuso in rialzo di 27 cent, a
61,04 dollari al barile.
TASSO EURIBOR - Infine, continuano a scendere i tassi interbancari. Il giorno dopo il taglio dello
0,50% da parte della Bce, l'Euribor a tre mesi, su cui vengono indicizzati i mutui per l'acquisto
degli immobili, è calato al 4,474% dal 4,592% di ieri, toccando i nuovi minimi da marzo. Giù
anche il tasso a sei mesi, che passa dal 4,651% al 4,544% e quello a una settimana che scende
da 3,692% a 3,484%.
SCESI ANCHE I TASSI A UN MESE E A SEI MESI
Ancora in calo l'Euribor a 3 mesi
Il tasso è stato fissato oggi al 4,733%, nuovo minimo da inizio aprile
MILANO - Un nuovo segnale positivo sul fronte dei prestiti tra banche. Ancora un arretramento per
l'Euribor a tre mesi che scende per il ventesimo giorno consecutivo. Il tasso è stato fissato oggi al
4,733%, nuovo minimo da inizio aprile, in ribasso rispetto al 4,76 di venerdì. Tensioni in rientro
anche per gli altri tassi dell'interbancario: quello a un mese è sceso al 4,412% (4,434% venerdì) e
quello a sei mesi è arretrato a 4,786% (4,804%).
OLTRE IL 40% DEGLI IMPRENDITORI SEGNALA UN PEGGIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DEL
CREDITO
Bankitalia: nel 2008 salgono al 17% le imprese in perdita, fermi gli investimenti
Nel 2007 erano l'11% le aziende italiane in rosso. L'occupazione però dovrebbe rimanere
stazionaria
ROMA - La crisi economica sta già colpendo duro in Italia. Tanto che nel 2008 salirà dall'11% dello
scorso anno al 17% la quota di imprese in perdita.
È quanto risulta da un'indagine della Banca d'Italia tra 4.107 imprese dei settori industria e
servizi. Dalla stessa indagine emerge anche che «risultano in aumento sia le imprese che hanno
rivisto al ribasso i programmi di espansione della capacità produttiva per l'anno corrente sia quelle
che prevedono di diminuire gli investimenti per l'anno prossimo». Oltre il 40% delle imprese evidenzia ancora Bankitalia - «segnala un deterioramento delle condizioni del credito, e questo
peggioramento tende ad avere un impatto negativo sulla realizzazione dei piani di investimenti».
OCCUPAZIONE - L'occupazione quest'anno dovrebbe rimanere invece «sostanzialmente
stazionaria». La maggior parte delle imprese (60%), infatti, «ritiene che i livelli occupazionali
rimarranno invariati nella media del 2008, rispetto all’anno scorso, mentre si equivale il numero di
quante prefigurano un incremento (19,2%) con quante ne anticipano una diminuzione (20,8%)».
INVESTIMENTI - Anche per il 2009 la situazione appare abbastanza statica: il 53,6% delle imprese
infatti dice che farà gli stessi investimenti rispetto a quest'anno, mentre il 27,5% annuncia una
spesa inferiore e solo il 18,9% investirà di più.
IL PRESTITO. OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI PERPETUE ALL'8-9%
Crisi, verso un bond del Tesoro
15 miliardi a dieci grandi banche
L'ingresso nel capitale solo a richiesta L'ipotesi Fondazioni per la quota di Zaleski in Intesa
Sanpaolo, ma gli enti: disponibili solo a rafforzare l'istituto
MILANO — Dovrebbe aggirarsi fra i 10 o più probabilmente 15 miliardi l'ammontare del prestito
che lo Stato si avvia a erogare alle banche per rafforzare il patrimonio al fine di adeguarlo ai livelli
europei dopo gli interventi di sostegno delle banche centrali. Nei giorni scorsi è circolato fra le
aziende di credito il regolamento che contiene le condizioni del bond convertibile perpetuo, che
probabilmente sarà assorbito da dieci (al massimo 12-15) grandi istituti. Obiettivo è portare il
core- tier1 (cioè il rapporto fra capitale subito disponibile e attivi ponderati per il rischio) all' 8%:
in questa occasione tale ratio potrebbe comprendere anche un titolo per sua natura "ibrido" (in
genere compreso nel solo tier1).
Alcuni dettagli tecnici andrebbero ancora definiti. In linea di massima però si tratterebbe di
un'obbligazione convertibile probabilmente in azioni ordinarie (anche perché molti statuti bancari
non prevedono l'emissione di altre tipologie di azioni) con una cedola compresa fra l'8 e il 9%
subordinata al dividendo: il bond sarà subito considerato capitale perciò se la banca sarà in
condizioni di remunerare gli azionisti pagherà anche lo Stato e contemporaneamente la politica di
dividendi dovrà tener conto dell'onere del prestito. Gli istituti potrebbero poi avere a disposizione
tre opzioni: conservare il bond perpetuo pagando le relative cedole; restituire dopo 2-3 anni cash
il prestito pagando un premio; convertire (solo su richiesta della banca) l'obbligazione in azioni.
Al finanziamento potrebbero aderire i big del credito, da Unicredit a Intesa Sanpaolo, da
Montepaschi a Banco Popolare e Bpm. Il problema dell'adeguatezza patrimoniale non è comunque
l'unico a interessare in questo momento il mondo bancario. Sui tavoli degli istituti ci sono anche
alcuni casi che «scottano», a partire da quello relativo a Romain Zaleski, che ha fatto della sua
Carlo Tassara un'holding di partecipazioni acquistando titoli indebitandosi con banche italiane ed
estere. Alcuni istituti italiani hanno deciso nei giorni scorsi di subentrare a Bnp e Royal bank of
Scotland che avevano intenzione di revocare le linee di credito. Il rimborso del finanziamento
prevedrebbe la graduale cessione di alcuni pacchetti di azioni che fanno capo a Zaleski. Fra questi
il 5% della Intesa Sanpaolo. Sarebbe stata fatta l'ipotesi di un intervento delle fondazioni azioniste
(dalla Compagnia di San Paolo e Cariplo fino a Carisbo), che tuttavia in alcune pre-verifiche
avrebbero fatto capire di non essere disponibili. Per almeno due ragioni. Da un lato non
desidererebbero concentrare ulteriormente i portafogli. Dall'altro prenderebbero parte a iniziative
(se richiesto, ma al momento è escluso) solo per rafforzare la banca e non acquistando azioni per
«salvare» Zaleski.
Sergio Bocconi
www.milanofinanza.it
Crisi mercati: Berlusconi,sospendere quotazioni se non rispettano realtà
07/11/2008 18.00
"Se fosse possibile, ho proposto, nelle Borse, dove la societa' 'x' fa profittii 'y' ed è quotata oltre le
venti volte i profitti... e sarebbe eccessiva, servirebbe una sospensione, per un periodo di tempo,
non come accade per la sospensione per eccesso di rialzo o di ribasso". Lo propone il presidente
del Consiglio, Silvio Berlusconi, come misura che "metta fine al divorzio tra realtà dei mercati e
realtà delle aziende". Berlusconi riferisce, al termine del Consiglio Ue straordinario, di averne
parlato con il presidente della Bce, Jean Cluade Trichet, e suggerisce una misura del genere anche
quando le quotazioni scendono "sotto 8 volte le quotazioni".
www.ilsole24ore.com
Sarkozy: titoli tossici per 630 miliardi in Europa
di Adriana Cerretelli
Cento giorni, a partire dalla riunione del G-20 il 15 novembre, per presentare proposte «concrete
e operative» per le riforme giudicate prioritarie e porre le basi di una nuova governance
internazionale. È questa l'ambizione di Nicolas Sarkozy che, in qualità di presidente della Ue, ha
convocato per oggi a Bruxelles un vertice-lampo tra i 27, chiamati ad approvare una linea comune
da portare al G-20 di Washington. E durante un incontro di lavoro in preparazione del summit,
Sarkozy ha affermato che nelle banche europee ci sono titoli tossici per 800 miliardi dollari ( 630
miliardi di euro).
Nelle tre pagine che oggi saranno distribuite ai capi di Governo dell'Unione, la Francia ha riassunto
tabella di marcia e punti prioritari, già discussi qualche giorno fa dall'Ecofin, eliminando ogni
riferimento che potesse far sospettare alla Germania l'intenzione di creare una qualche forma di
governo europeo dell'economia.
A parte le misure da adottare per garantire una maggiore trasparenza dei mercati finanziari,
migliore individuazione dei rischi, maggior convergenza delle norme contabili e prudenziali, una
vigilanza più attenta e coordinata, il testo insiste sul nuovo compito da attribuire al Fondo
monetario internazionale.
L'Fmi deve avere «un ruolo centrale in un'architettura finanziaria più efficace e inclusiva», deve
cioè diventare «la principale organizzazione con il compito di garantire la stabilità». In quest'ottica
dovrà meglio articolare i lavori con il Financial Stability Forum per prevenire le crisi finanziarie,
rinnovare gli strumenti di intervento per poter agire in via preventiva, veder rafforzate le proprie
risorse per poter aiutare in modo sostanziale i Paesi in difficoltà.
Una nuova governance mondiale credibile richiede d'altra parte, si legge sempre nel testo,
l'attuazione rapida delle misure di stabilizzazione dei mercati e al tempo stesso l'allargamento del
G-8 per associare i Paesi emergenti alla rifondazione dell'ordine mondiale.
Merrill, per banche italiane dividendo zero nel 2009
Dividendo zero per tutte le principali banche italiane nel 2009 con l'eccezione di Mediobanca e Ubi
e ancora nessun payout nel 2010 per UniCredit, Mps e Banca Italease, «che puntano ad accelerare
la ricostruzione del patrimonio». Queste le previsioni di uno studio di Merill Lynch sulle banche
italiane.
L'istituto Usa ha tagliato le previsioni di utile per azione delle banche italiane del 12% per il 2009
e del 15% per il 2010, a causa del rallentamento della crescita dei ricavi e dell'aumento degli
accantonamenti per perdite su crediti, come riflesso del deterioramento dello scenario
macroeconomico.
Quanto alle prossime mosse del Governo, secondo Merill Lynch l'esecutivo italiano sceglierà la
strada di un intervento leggero concentrandosi sul capitale ibrido. Per la banca d'affari «c'è spazio
per l'emissione di 13 miliardi in azioni privilegiate prima che i titoli raggiungano il limite del 20%
del Tier 1». (Il Sole 24 Ore).
www.ilmanifesto.it
EUROPA/CRISI FINANZIARIA
Vigilare sui mercati: la mediazione dei 27 in vista del vertice G20
ALBERTO D'ARGENZIO
BRUXELLES
Direzione Washington, l'Europa ha buttato giù il suo piano da presentare al vertice del G20 del 15
novembre, un piano non particolarmente creativo e sui cui pesano le diverse impostazioni che si
respirano in Francia e in Germania. Dal testo sono spariti infatti tutti i riferimenti potenzialmente
conflittuali, su tutti quel 'governo politico dell'economia' che tanto piace a Nicolas Sarkozy e che
invece non piace per nulla ad Angela Merkel. «Non c'è ombra di disaccordo tra me e la Merkel»,
assicura il Presidente di turno della Ue, ma non sono nemmeno tutte rose e fiori.
Alla fine l'Europa si ritrova intorno a 5 punti: più peso per l'Fmi; controllo delle agenzie di rating;
coordinamento degli standard contabili; regolamentazione e supervisione di tutti i mercati
finanziari e codici di condotta per evitare che l'industria finanziaria assuma rischi eccessivi. Nel
testo si parla anche di lotta ai paradisi fiscali, chiamati «centri non cooperativi», e di un sistema di
allerta precoce in caso di nuove tormente. Il tutto sotto lo slogan «nulla sfugga alla
regolamentazione» e se non ce la si fa con la regolamentazione, che «almeno non sfugga alla
vigilanza». Poche cose, ma molta determinazione, almeno a parole.
Secondo il presidente francese il G20 dovrà darsi «cento giorni per mettere in atto le decisioni di
principio che saranno prese». «Nessuno - ha detto ancora - potrà dirci 'circolate, non c'è nulla da
vedere' dopo che la crisi sarà passata: noi non lo accetteremo». Insomma, la Ue vuole risposte
concrete e in tempi relativamente brevi e per avere più peso e più forza ha messo in scena questo
vertice straordinario che in fondo aveva un obiettivo assai poco ambizioso: andare negli Usa con
un mandato che rappresentasse tutti i 27 in un'assise in cui siederanno invece solo Francia,
Germania, Regno unito, Italia, Commissione Ue e forse la Spagna, con Zapatero che ha
praticamente trovato una sedia che non la faccia sentire un potenza di serie B. Questo per quel
che riguarda la crisi finanziaria, per i suoi pesanti risvolti sull'economia reale bisognerà attendere
il vertice dei capi di stato e di governo dell'11 e 12 dicembre. Solo allora si parlerà di misure a
sostegno della produzione, una discussione che lascia presagire, ancora una volta, un mezzo
faccia a faccia Francia-Germania, con la seconda che preferisce interventi nazionali e mal digerisce
iniziative comuni, anche perché alla fine in Europa il conto lo paga sempre Berlino. «La crisi è più
lunga e profonda di quanto immaginassi», ha detto il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude
Juncker. Per provare a superarla Berlusconi ha fornito ai 27 un contributo importante, la storiella
di un saggio indiano, un «aneddoto», lo chiama il premier, che indica come «tutti noi dovremmo
infondere serenità e un po' di ottimismo».
SBILANCIAMOCI · Crisi della finanza e dell’economia reale, un seminario promosso
insieme all’associazione Lunaria
Vie d’uscita dal cul de sac in cui è finito il «capitalismo cieco»
CARLO LEONE DEL BELLO
Sembra ormai essere chiaro a tutti, anche ai non addetti ai lavori, che la crisi attuale – che deve
ancoramostrare i sui effetti più devastanti – non possa essere considerata alla stregua di un
banale «incidente di percorso». Quello in atto è infatti il vero e proprio fallimento del modello
economico e sociale fatto sviluppare negli ultimi trenta anni.
Questi temi sono stati oggetto del seminario-dibattito promosso dall’associazione Lunaria e da
Sbilanciamoci. Erano presenti all’incontro – moderato da Roberta Carlini e Mario Pianta – Pascal
Petit, docente di economia presso l’università Paris 13; Bruno Cartosio, storico dell’università di
Bergamo e Mattia Diletti dell’università di Teramo.
Per Claude Serfati ad essere in atto è una crisi strutturale della globalizzazione, a causa della sua
traiettoria insostenibile in senso economico, sociale ed ambientale. Non solo infatti la
disuguaglianza è cresciuta in tutto il mondo negli ultimi venti anni, ma la crescita
(diseguale) della ricchezza intesa come prodotto interno lordo sta portando alla distruzione delle
risorse ambientali. Se infatti il Pil
è aumentato di 3,5 volte (350%) negli ultimi venti anni, secondo un indicatore «alternativo» ed
eterodosso come il Gpi (Genuine progress
index, che tiene conto del depauperamento ambientale ed altre «esternalità»), la crescita è stata
solo del 20%.
Pascal Petit, membro del Cnrs (il Cnr francese)
condivide le preoccupazioni del direttore del Fmi Dominique Strauss-Khan su quella che potrebbe
essere la recessione più grave dagli anni 30. Le cause sarebbero però da ricercarsi nel cambio di
paradigma economico avvenuto nel corso degli anni ottanta, ovvero nel passaggio da quella che
ha chiamato «convenzione keynesiana» alla «convenzione
liberalista (o liberista come si traduce sovente in italiano)». Praticamente, si è passati da un
ambiente economico e politico nel quale lo stato interveniva attivamente nel mediare fra salari e
profitti, a un ambiente in cui al mercato viene affidato il compito di autoregolarsi e di gestire la
transizione verso un «capitalismo moderno». Le conseguenze di questa impostazione sono
scoppiate innanzitutto
nel mondo della finanza, dove le «asimmetrie informative» sono preponderanti. Evidentemente
poi, sempre secondo Petit, esiste un
problema di controlli. Le agenzie che valutano la solvibilità delle aziende sono infatti private e
quindi in palese conflitto di interessi.
Per il futuro, Petit vede con preoccupazione il ritorno di soluzioni autoritarie e fasciste, ma c’è un
ampio spazio per il dibattito fra i cittadini, per individuare dove il sistema è marcio e dove va
cambiato.
A inquadrare gli eventi attuali in una prospettiva storica, prevalentemente prendendo ispirazione
dai processi che portarono alla
Grande Depressione, è stato Bruno Cartosio. Allora – come oggi – ilmeccanismo generatore fu
l’indebitamento delle famiglie, provocato da una crescita del reddito insufficiente a garantire una
piena domanda di beni di consumo. Gli anni di svolta negativa anche per Cartosio sono gli anni del
reaganismo che, anche per reazione alle lotte operaie degli anni ’70, spianarono la strada alla
delocalizzazione, alla ristrutturazione industriale e alla desindacalizzazione della forza lavoro.Oggi i
salari reali ancora stentano a raggiungere il livello che avevano negli anni settanta, mentre
l’indebitamento delle famiglie ha superato il 130% del Pil. Conseguentemente è anche aumentata
la sperequazione nella distribuzione della ricchezza,ma le masse si sono «passivizzate» sempre
più. «Il capitalismo è cieco», ha ricordato Cartosio citando Hobsbawm. A chi toccherà aprire gli
occhi ora?
www.ilgiornale.it
LE GRANDI BANCHE IN DIFESA DEI PROPRI CAPITALI
di Redazione
Tra i debiti del finanziere ci sono 1,7 miliardi erogati da Intesa, a fronte di 2 miliardi
investiti nella banca stessa
Le nostre banche sono le più solide d’Europa, forse del mondo. Lo ripetono banchieri e politici
dall’inizio di questa crisi finanziaria, ed è sicuramente vero. Ma, certo, fa un po’ impressione
vedere scritti nero su bianco sul Sole-24 ore, e non smentiti, i debiti di Romain Zaleski verso i
grandi gruppi bancari del Paese. Unicredit ha prestato al finanziere franco-polacco, molto vicino a
Giovanni Bazoli, e che vive da anni a Brescia, 1,8 miliardi; Intesa Sanpaolo è a quota 1,7. Poi ci
sono Mps (330 milioni), Ubi Banca (200) e Bpm con 170 milioni.
Zaleski è sì titolare di un’azienda industriale, la Carlo Tassara, impresa siderurgica che però, nei
fatti, è ben più nota per la sua attività di finanziaria di partecipazione, avendo accumulato nel suo
portafoglio quote rilevanti di numerosi gruppi nazionali. A cominciare dalle banche, con il 5,9% di
Intesa (che vale 2 miliardi), il 2,2% di Mediobanca, il 2,5% di Mps, il 2,2% di Ubi, il 20% di Mittel
o il 2,3% di Generali. Ed ecco il punto: prestare enormi cifre a uno come Zaleski, che di mestiere
fa - se non il trader - di certo il finanziere nei giochi del grande potere, appare un’operazione
quantomeno bizzarra da parte delle solide banche italiane. Anche perché i crediti erogati
corrispondono in gran parte alle cifre investite nelle stesse banche, a fronte delle stesse azioni
date in garanzia dei crediti. Con il rischio, sottolineato dal Giornale già dal gennaio scorso, che in
caso di discesa dei mercati azionari vengano meno le garanzie. Come è puntualmente avvenuto.
In altri termini Zaleski è alle prese con un indebitamento garantito dagli stessi titoli nei quali ha
investito, dati in pegno alle stesse e ad altre banche, anche straniere.
Ecco perché, in questi giorni, è stato organizzato un cordone sanitario per tutelare la posizione
della Tassara: le principali banche creditrici hanno garantito a Zaleski un rifinanziamento di 1,6
miliardi per subentrare ai pegni di Royal Bank of Scotland e Bnp Paribas. Un intervento definito di
«sistema» per salvare Zaleski e, in ultima analisi, anche i crediti delle banche stesse, legate a
doppio filo alle sorti del finanziere, grande azionista di Intesa. Un «sistema» che funziona, però, a
corrente alternata: quando Hopa, qualche mese fa, si trovò in situazione analoga, esposta con Rbs
a fronte di un pegno su titoli Telecom Italia, le banche non mossero un dito. E Hopa finì sull’orlo
del fallimento. Salvata in extremis dalla Mittel. Di Zaleski.
IFIL Grande Stevens, Gabetti e Marrone rinviati a giudizio per aggiotaggio
di Redazione
Franzo Grande Stevens, Gianluigi Gabetti e Virgilio Marrone sono stati rinviati a giudizio per
aggiotaggio informativo per la vicenda dell’equity swap che portò Ifil a mantenere il controllo di
Fiat nonostante l’esercizio del prestito convertendo da parte delle banche creditrici. I giudici
vaglieranno anche la posizione di Ifil e della Giovanni Agnelli & C. Sapa, che compariranno come
persone giuridiche. La decisione è stata presa dal giudice per l’udienza preliminare Francesco
Moroni, che ha respinto l’eccezione di costituzionalità dell’articolo 185 del Testo unico per le leggi
finanziarie presentato dalla difesa nelle udienze scorse. La prima udienza del processo si terrà il
26 marzo. «Sono certo di aver rigorosamente rispettato la legge nel tutelare gli interessi della Fiat
in un momento drammatico - ha commentato Gabetti in una nota - e non dubito che ciò mi sarà
riconosciuto nelle debite sedi, nella consapevolezza che esiste pur sempre una differenza tra
accusa e condanna». L’inchiesta nasce da vicende del 2005, quando la holding della famiglia
Agnelli, ricorrendo a contratti di equity swap, riuscì a mantenere il 30% di Fiat dopo la
conversione in azioni del prestito concesso da otto banche. Consob ha multato Ifil e sospeso per
alcuni mesi dai rispettivi incarichi Gabetti, Grande Stevens e Marrone per comunicazioni fuorvianti
sull’equity swap.
indiscreto
di Massimo Restelli
Aria di ritocchi al piano nobile di Ubi Banca, dove l’ad Giampiero Auletta Armenise starebbe per
incoronare un altro vicedirettore generale, accanto a quelli già in carica come Ettore Medda (legale
e societario), Elvio Sonnino (sistemi informativi), Francesco Iorio (commerciale) e Rossella Leidi
(area strategica). La scelta potrebbe ricadere su Antonio Muto, ex uomo Capitalia e attuale
«supervisore» del Centro-Sud per Unicredit, cui andrebbe l’area «crediti» (ora affidata a Giovanni
Lupinacci). Vista la crisi finanziaria, una voce di business ancora più centrale per Ubi, dove nel
frattempo prosegue il conto alla rovescia per l’aggiornamento del piano industriale. Auletta aveva
detto che nel riscrivere i numeri avrebbe tenuto conto della crisi mondiale. Ecco perché la base di
Ubi teme di andare incontro a un dimagrimento, magari per il blocco dei contratti a termine. A fine
ottobre il sindacato della Fabi ha lanciato l’allarme e la prossima settimana sono attese le prime
proteste a Brescia.
Le famiglie si aspettano una boccata d’ossigeno Ma i primi «alleggerimenti» saranno a
dicembre
di Redazione
PARAMETRI I mutui a rata mensile con l’Euribor calcolato a fine mese sono i più avvantaggiati
In banca il riallineamento è automatico e previsto dal contratto di mutuo. Esso tuttavia non è
immediato (i primi effetti si avranno sulle rate in scadenza a dicembre) e non è uguale per tutti i
mutui, in quanto esiste una serie di variabili che possono far cambiare anche in misura rilevante la
somma risparmiata. In primo luogo si deve considerare la scadenza della rata, a cui corrisponde
un tasso diverso: se essa viene pagata ogni 30 giorni si prende a riferimento l'Euribor 1 mese (che
attualmente è al 4,101 per cento), se la scadenza è trimestrale l'Euribor 3 mesi (4,474), se
semestrale l'Euribor 6 mesi (4,544 per cento).
Bisogna poi fare attenzione a come la banca calcola questo tasso. Ogni istituto applica una sua
strategia, che risente anche della congiuntura finanziaria. Alcuni scelgono il valore rilevato il primo
giorno del periodo (mese, trimestre o semestre precedente), altri l'ultimo giorno del periodo, altri
ancora applicano la media dei valori rilevati. In una situazione come l'attuale, con i tassi in rapida
discesa, avranno un risparmio maggiore i titolari di mutui a rata mensile con valore dell'Euribor a
fine mese (nettamente più basso rispetto a 30 giorni prima), mentre l'effetto sarà più o meno
diluito negli altri casi.
Bisogna infine notare che, siccome l'interesse viene calcolato sul capitale residuo, beneficeranno
maggiormente del calo dei tassi quanti sottoscrivono oggi un nuovo mutuo, mentre chi ha già
rimborsato una parte del capitale ne risentirà in misura proporzionalmente minore. Chi ha acceso
un mutuo, quindi, si trova di fronte a un piccolo rompicapo se vuole capire quanti euro potrà
risparmiare in questa fase. Al cliente della banca resta comunque un'arma per spuntare condizioni
migliori: andare allo sportello e ridiscutere il contratto, oppure trasferirlo in un altro istituto che
pratica clausole più convenienti.
I tassi scendono ma i mutui non si muovono
di Stefano Filippi
Difficile per il signor Rossi capire che cosa sta succedendo: l’Euribor - il tasso di riferimento per i
finanziamenti - in un mese è calato dal 5,4 al 4,6 per cento ma la rata che gli arriva a casa non se
n’è accorta. Le banche rispondono: «È ancora presto...»
DUBBI Meglio i prestiti legati al saggio della Bce? Difficile dirlo: tra il 2001 e il 2003 è stato
superiore all’Euribor
Per il signor Rossi erano nomi in codice. Bce, Euribor, non parliamo dello spread. La prima volta
che li ha visti scritti fu quando si presentò allo sportello della sua banca non per prelevare soldi
suoi, ma per chiederli in prestito. Un mutuo, la casa, il sogno che si realizza, il miraggio fatto
realtà. Il signor Rossi aveva firmato fidandosi del signore in giacca e cravatta che gli parlava
calmo, gli toglieva ogni dubbio, lo rassicurava, e quella scomoda poltroncina girevole dove il
consulente l'aveva fatto accomodare gli sembrava d'un tratto confortevole come quella del salotto
nuovo.
La seconda volta che il signor Rossi ha sentito parlare dell'Euribor è stato l'anno scorso. Il tg
raccontava che i mutui affondavano le banche americane, ma chi va a pensare che i problemi si
sarebbero trasferiti dai grattacieli di Manhattan alla sua villetta a schiera. Invece le brutte notizie
gli erano arrivate chiuse in una busta della banca che gli annunciava l'aumento della rata. Il signor
Rossi era tornato nella filiale, e l'impiegato in giacca e cravatta (e con i capelli ingrigiti) l'aveva
frastornato a suon di tassi che salgono, banche che chiudono, case pignorate. Bisognava tirare la
cinghia. «Mi terrò più informato», si era ripromesso il signor Rossi. E sul giornale dell'altro giorno
ecco il titolone a lungo atteso: altro taglio del tasso Bce. Ormai sapeva che la sigla stava per
Banca centrale europea, quella presieduta dal francese Jean-Claude Trichet, aveva imparato
anche che l'Euribor è il tasso al quale è agganciato il suo mutuo indicizzato. Insomma, la rata
scende. Il signor Rossi è tornato nuovamente in filiale per sapere di quanto. Il funzionario,
stempiato, ha preso la calcolatrice. Gli ha ricordato che finalmente i tassi avevano invertito la
marcia: ai primi di ottobre, l'Euribor 6 mesi (i tassi interbancari sono una quarantina) viaggiava
attorno al 5,4 per cento mentre giovedì, dopo il ribasso del tasso ufficiale Bce, era sceso al 4,6.
Mai così basso da febbraio.
«Che cosa mi cambia?», ha chiesto il signor Rossi. Dipende, ha risposto il bancario: «Dalla durata,
dal tasso, dalla scadenza della rata, dal capitale residuo. Direi sui 30 euro per rata». «E quanto
durerà il ribasso?». Dipende, ha ripetuto l'altro. «E' ancora presto per capire se le oscillazioni di
questi giorni sono un assestamento fisiologico o una tendenza consolidata». La nebbia scende sul
signor Rossi.
Ma le sue domande non sono finite. «Ho sentito che una banca lancerà mutui legati al tasso Bce e
non più all’Euribor». È il gruppo Bipiemme, l'aveva letto sul giornale: «Maggiore trasparenza,
maggiore stabilità, maggiore convenienza», era scritto. «In effetti, negli ultimi cinque anni il tasso
Bce è stato più competitivo rispetto all'Euribor - ha precisato l'uomo dello sportello -. Oggi è al
3,25 per cento, 0,85 punti meno dell'Euribor 1 mese e 1,35 punti meno dell'Euribor 6 mesi».
«Quindi?». «Quindi è un’alternativa interessante, ma tenga conto che bisogna dare ai mercati il
tempo di assorbire il calo dopo i forti rialzi dei mesi scorsi. La scelta del tasso Bce non le
garantisce di godere sempre di un tasso più basso. Dal 2001 al 2003 è stato superiore, e in
condizioni normali la differenza con l'Euribor non supera lo 0,2-0,3 per cento».
Il signor Rossi era partito con un interrogativo semplice e si è ritrovato una risposta molto
complicata. Decide di approfondire. In una filiale della Banca Mediolanum gli spiegano: «Noi
abbiamo deciso di abbassare unilateralmente tutti gli spread, compresi quelli dei vecchi mutui.
Quando calano i tassi, il beneficio è limitato al capitale residuo; ma tagliando tutti i tassi
estendiamo i vantaggi anche a chi era già nostro cliente». «Un bel costo per la vostra banca».
«Che però si è rivelato un investimento: abbiamo ricevuto 22mila nuove richieste di mutuo di cui
la metà di surroghe di vecchi contratti». Perché il taglio dello spread si applica anche a chi
trasferisce un mutuo già acceso altrove.
Nella filiale della Barclays Italia, il signor Rossi si imbatte in Stefano Dragoni, responsabile del
Business mutui. «C'è ancora grossa carenza di liquidità - gli dice il manager -. Il calo dell'Euribor è
ancora modesto, anche se va apprezzata l'operazione voluta dalla Bce per infondere fiducia nel
mercato ancora in preda alle turbolenze. Il taglio dei tassi favorisce la circolazione dei capitali
interbancari, per i consumatori il vantaggio è relativo». Che odissea. Meglio il tasso fisso o
variabile? L'Euribor o il Bce? Scadenza ravvicinata o prolungata? Il signor Rossi torna nella sua
banca. «Vorrei ricontrattare il mio mutuo». E il consulente: «Sono qui apposta, sono certo che
troveremo un accordo».
Lula: «Occorrono nuove regole per la finanza mondiale» In discussione altri possibili
tagli dei tassi di interesse
di Redazione
Il ministro delle Finanze inglese, Jim Flaherty, ha detto che sarebbe utile effettuare ulteriori tagli
dei tassi di interesse per contenere gli effetti della crisi finanziaria globale. «La Gran Bretagna ha
deciso un taglio abbastanza importante e sulla questione si sta discutendo moltissimo - ha
commentato - anche se c’è meno spazio per ulteriori riduzioni negli Usa rispetto, per esempio, al
Canada». A proposito di misure per rivitalizzare l’economia il ministro delle Finanze canadese ha
osservato che appare improbabile uno stimolo fiscale coordinato nell’ambito del G20. Per l’Italia
sono presenti al G20 il governatore di Bankitalia, Mario Draghi e il direttore generale del Tesoro
Vittorio Grilli.
Intanto il seminario dei direttori di Confindustria ha sostenuto essere fondamentale che il sistema
bancario si assuma la responsabilità del ruolo che rappresenta. «Se la visione è solo di redditività
dell’azienda banca - è stato detto - c’è il rischio di andare incontro a una selezione del credito». E
questo, secondo la tecnostruttura di Confindustria, è un problema. Ed è per questo che gli
interventi del governo a sostegno proprio del credito, dicono i direttori di Confindustria, sono
fondamentali per la tenuta del sistema economico italiano.
www.lastampa.it
Aiuti di Stato, 5 banche in prima fila
Anche Mediobanca e Ubi potrebbero usare il sostegno da 15-20 miliardi complessivi
FRANCESCO MANACORDA
MILANO
Cinque grandi banche quotate - Intesa-Sanpaolo, Unicredit, Montepaschi, Banco Popolare e
Popolare di Milano - in prima fila per dividersi il grosso del prestito statale destinato a rafforzare il
patrimonio del sistema creditizio italiano. Altri due istituti - Mediobanca e Ubi Banca - con una
situazione patrimoniale più solida e che potrebbero dunque fare a meno di usufruire
dell’obbligazione di Stato, in queste ore stanno comunque valutando l’opportunità di accedere
all’intervento pubblico.
In attesa di martedì prossimo, data entro la quale il governo presenterà alla Commissione Finanze
della Camera un emendamento ai due decreti sulle banche già emanati in ottobre - ma ieri sera è
rispuntata anche la possibilità di un terzo decreto ministeriale - è questo 5 + 2 lo schema di
partecipazione che si delinea. La partecipazione volontaria da parte degli istituti avverrebbe di
fronte a un piano pubblico che dovrebbe mettere a disposizione delle banche, sotto forma di
obbligazioni convertibili perpetue emesse dai singoli istituti e sottoscritte dal Tesoro, una somma
compresa tra i 15 e i 20 miliardi di euro. C’è chi azzarda una cifra più precisa: 18 miliardi, il
massimo di disponibilità di fondi pubblici che si sarebbe riusciti a trovare. L’obiettivo sarebbe
comunque mettere «in sicurezza» la patrimonializzazione dei principali istituti quotati,
possibilmente arrivando a un livello di Core Tier 1 pari all’8%.
La tempistica con cui ricorrere all’intervento pubblico è però tutt’altro che indifferente. Nessuno
vuole essere il primo ad approfittare dei bond di Stato, per timore che una mossa di questo
genere equivalga ad un’ammissione di debolezza patrimoniale e abbia quindi influenza sulle
quotazioni del titolo. Ma d’altro canto, per ogni istituto è difficile - se non impossibile - restare
fuori dalla partita se i propri concorrenti di dovessero avvantaggiare del sostegno pubblico.
Possibile quindi che le banche, una volta esaminate a fondo le condizioni del prestito - un’altra
questione aperta rimane quanto e come incisive saranno le norme nel chiedere che a fronte del
bond gli istituti si attivino sul fronte degli impieghi verso la clientela - decidano di presentarsi in
gruppo per usufruire dell’intervento pubblico. Affidarsi a un emendamento per il piano del Tesoro
potrebbe portare comunque a tempi più lunghi rispetto a quelli previsti finora. Una prospettiva che
non piacerebbe al ministro dell’Economia Giulio Tremonti e che invece non causerebbe disappunto
in Banca d’Italia, dove nelle scorse settimane si è sempre sottolineato come la situazione
patrimoniale del sistema creditizio non desti preoccupazioni e non renda necessari interventi
d’urgenza.
Proprio ieri, intanto, l’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo è stato nominato
presidente del consiglio della Federazione bancaria europea. Dal 1° gennaio Profumo sarà il
presidente dei banchieri d’Europa, succedendo al presidente di Bnp-Paribas Michel Pèberau. La
nomina, che pare segnare anche la fine di un lungo periodo di polemica di Profumo con
l’Associazione bancaria italiana, potrebbe avere anche l’effetto di rafforzare il banchiere - negli
ultimi tempi sotto una forte pressione per il crollo del titolo Unicredit - sul fronte nazionale e in
particolare nei suoi rapporti con il sistema politico.
Intesa Sanpaolo: fiducia da Finotti, ma il titolo soffre
FTA Online News
Finale di ottava difficile per i titoli del settore bancario. Anche Intesa San Paolo perde terreno,
nonostante le dichiarazioni rassicuranti di Antonio Finotti, presidente della Fondazione Cassa di
risparmio di Padova e Rovigo. La Fondazione e' uno degli azionisti "di peso" dell'istituto guidato da
Corrado Passera dato che detiene il 4,18% del capitale.Finotti ha detto che l'operato del
management e' stato finora positivo, soprattutto per quanto riguarda l'attuazione del piano
industriale. Si tratta di un significativo segnale di fiducia in un momento oggettivamente difficile
per gli operatori del settore creditizio.A riprova di questa ultima considerazione c'e' il caso Zaleski.
Il finanziere franco-polacco si trova in una situazione difficile dato che la sua esposizione nei
confronti del sistema bancario ammonterebbe a ben 6,2 miliardi di euro garantiti da pegni su
partecipazioni importanti come quelle in Generali, Mediobanca e nella stessa Intesa San Paolo.La
flessione dei corsi dei titoli in borsa ha messo in crisi Zaleski e secondo indiscrezioni le banche
italiane starebbero cercando di rilevare i crediti di BNP Paribas e Royal Bank of Scotland, pari a
1,6 miliardi di euro, per ricondurre l'esposizione del finanziere entro ambiti nazionali. Troppo
elevato il rischio che quote "sensibili" del capitale dei pilastri del sistema finanziario italiano
passino nelle mani di soggetti esteri. (SF)
www.lavoce.info
UNA CASSANDRA A WASHINGTON
di Nicola Persico 06.11.2008
A scatenare la crisi finanziaria è stato lo scoppio della bolla dei mutui subprime negli Stati Uniti.
Ma come si è creata la bolla? Bisogna risalire a due agenzie semiprivate, Fannie Mae e Freddie
Mac. Ma anche dare un'occhiata alla carriera di un influente avvocato americano, che contro le
due società ha pubblicamente preso posizione. Ed è caduto in disgrazia. Perché le istituzioni
troppo grandi e potenti combattono a livello politico chiunque tenti di regolamentarle, senza
risparmiare le minacce e senza badare a spese. Due strade per risolvere la commistione pubblicoprivato.
A scatenare la crisi finanziaria è stato, si sa, lo scoppio della bolla dei mutui subprime negli Stati
Uniti. Ma come si è creata la bolla? Perché le banche hanno erogato prestiti a chi non poteva
ripagare i mutui? Per capirlo, bisogna risalire a due agenzie semi-private, Fannie Mae e Freddie
Mac: comprano i mutui accesi dalle banche, fino a poco tempo fa senza preoccuparsi troppo della
loro qualità. Quindi, le banche potevano accendere mutui senza andare troppo per il sottile,
purché i mutui soddisfacessero gli standard (bassi) delle due agenzie e fossero a queste
rivendibili.
La domanda successiva, ovviamente, è perché mai le agenzie fossero disposte a comprare mutui
ad alto rischio. La risposta è un esempio interessante di come grandi imprese combattano la
regolamentazione, talvolta con successo e, nel caso specifico, con risultati catastrofici per il
sistema finanziario internazionale.
LA CARRIERA DI PETER WALLISON
Un buon punto di partenza per la nostra storia è la carriera di Peter Wallison.
Peter Wallison è un distinto avvocato di quasi settanta anni e un esperto in materia di mutui. Oggi
vive metà dell’anno in Colorado e metà a Washington. Scrive libri, talvolta articoli per il New York
Times e il Wall Street Journal, ed è un membro dell’American Enterprise Institute, un think-tank di
Washington. Insomma, è certamente una persona interessante e relativamente influente. Si
potrebbe dire, tuttavia, che la sua carriera non ha mantenuto le promesse. A quaranta anni,
Wallison era il capo dell’ufficio legale del dipartimento del Tesoro, a quarantacinque anni
consigliere legale della Casa Bianca per il presidente Reagan. Dopo, per i successivi vent’anni,
niente. Cosa è andato storto? Perché in dodici anni di amministrazione repubblicana, Wallison non
è mai stato richiamato in gioco?
Una colpa di Wallison è di avere preso pubblicamente posizione contro Fannie e Freddie. Per tutta
la sua carriera “post-governativa,” Wallison ha fatto la Cassandra sul mercato dei mutui. Nel
1999 per esempio, in un’intervista al New York Times, disse che Fannie e Freddie stavano creando
una pericolosa situazione di azzardo morale analoga alla crisi dei savings and loans del 1980. (1)
In un libro pubblicato nel 2004 riprendeva l’argomento e avvertiva del rischio di una crisi
“sistemica” generato dal comportamento irresponsabile di Fannie e Freddie. (2) Oggi sappiamo
che aveva ragione.
GUERRA ALLA REGOLAMENTAZIONE
L'argomento di Wallison è che de jure, Fannie e Freddie sono private, e quindi hanno manager i
cui salari sono legati in parte al fatturato. Ma de facto, sono sempre state percepite dal mercato
finanziario come implicitamente sostenute dal governo Usa, e quindi non soggette al fallimento.
Questa percezione ha consentito a Fannie e Freddie di prendere denaro a prestito a tassi molto
bassi, e così di eliminare la concorrenza e crescere a dismisura. Col tempo, sono diventati dei
giganti: Fannie Mae da sola possiede e garantisce mutui per circa 3 trilioni di dollari, più del 20
per cento del Pil americano. Giganti di questa dimensione giocano duro per mantenere il loro
business model, che nel caso di Fannie e Freddie è garanzia governativa e poca regolamentazione
della loro attività.
Per difendere il loro modello di business, Fannie e Freddie si sono progressivamente trasformate in
“macchine da guerra” politiche. La minaccia più immediata è la regolamentazione: Fannie e
Freddie sono regolate dall’Office of Federal Housing Enterprise Oversight e in teoria questo ufficio
avrebbe potuto contrastare vigorosamente l’espansione del credito subprime. In pratica, Fannie e
Freddie si sono premunite influenzando i politici, che a loro volta hanno esercitato pressioni sul
regolatore. L’influenza sui politici ha preso molte forme: per esempio, contributi diretti alle
campagne elettorali di politici, repubblicani e democratici, che avessero un ruolo nella regolazione
dei mercati finanziari. Fannie e Freddie assumevano poi lobbisti per decine di milioni di dollari
l’anno, spendevano decine di milioni di dollari in pubblicità e, attraverso fondazioni, distribuivano
milioni in piccoli eventi locali. A prescindere da questi canali di influenza, poi, i loro manager
avevano un obbiettivo in comune con i democratici: espandere il credito ai poveri e alle minoranze
razziali. Quindi i politici sono stati ben contenti di passare leggi che consentivano più prestiti a
queste categorie naturalmente rischiose, e Fannie e Freddie sono state più che contente di
ottemperare al mandato.
Nella lotta contro questi “poteri forti,” anche un personaggio influente come Peter Wallison ha
scoperto di non avere chance. Innanzi tutto, i politici non avevano interesse ad ascoltare le
Cassandre. E poi, Fannie e Freddie giocano duro. Per esempio, Wallison ha rivelato in una
intervista televisiva di essersi dovuto dimettere dal consiglio di amministrazione di una impresa
finanziaria in affari con Fannie Mae, dopo che il presidente di Fannie Mae aveva fatto sapere che
non avrebbe più fatto affari con quell’impresa finchéWallison fosse rimasto in carica. (3) Questo
tipo di intimidazione, esercitata con ogni sorta di politici e membri dell’establishment, è valsa a
Fannie e Freddie la definizione di “organizzazioni politiche casualmente operanti nel business dei
mutui”. (4)
La bolla dei mutui subprime fornisce dunque un esempio evidente della difficoltàdi regolare le
grandi istituzioni. La lezione generalizzabile èche tali istituzioni non accettano passivamente la
regolamentazione, ma la combattono a livello politico, spesso senza andare troppo per il sottile.
Nel lungo periodo, le conseguenze possono essere catastrofiche. Una lezione non irrilevante per
l’Italia.
Nel caso di Fannie e Freddie, una caratteristica peculiare èstata la commistione di carattere
pubblico e privato. Ed ènecessario risolverla. Una possibilitàèdi rendere queste aziende
formalmente pubbliche e quindi sottoporle a una serie di restrizioni che dovrebbero impedire loro
di catturare il regolatore. La seconda soluzioneèrendere le aziende pienamente private
eliminando l'implicita garanzia statale. Ciòdovrebbe eliminare le posizioni dominanti, dando luogo
a una costellazione di aziende piùpiccole e quindi meno capaci di catturare il loro regolatore. La
frammentazione renderebbe anche credibile l’eliminazione della garanzia. Senza la garanzia
statale, si presume che gli investitori di Fannie e Freddie siano piùattenti alla gestione, riducendo
cosìla possibilitàper il management di gonfiare il giro d’affari con prestiti discutibili.
Oggi, Peter Wallison èdi nuovo sulla cresta dell’onda. Viene intervistato in televisione e si era
arrivati a parlarne come di un possibile segretario del Tesoro sotto una eventuale amministrazione
McCain. Per chi fosse curioso, Wallison propone di risolvere il pasticcio di Fannie e Freddie con la
privatizzazione.
(1) New York Times, 30 Settembre 1999 “Fannie Mae Eases Credit To Aid Mortgage Lending” di
Steven A. Holmes.
(2) Privatizing Fannie Mae, Freddie Mac, and the federal home loan banks: why and how. Peter J.
Wallison, Thomas H. Stanton, and Bert Ely. American Enterprise Institute, 2004.
(3) Il programma televisivo è Q&A with Brian Lamb, puntata del 14 settembre, 2008. La
compagnia di Wallison è la Mortgage Guarantee Insurance Corporation.
(4) L’espressione è ripresa dal programma televisivo Q&A with Brian Lamb, puntata del 14
settembre, 2008.
NEL FUTURO DELLE BANCHE UN RITORNO AL PASSATO
di Daniel Gros e Stefano Manzocchi 06.11.2008
Solo un intervento concertato dei paesi dell'Unione Europea ha salvato dal collasso il sistema
bancario europeo, messo in difficoltà da capitalizzazioni non sempre adeguate. La situazione è
diversa da paese a paese, ma nel prossimo futuro il settore finanziario si dovrà progressivamente
ritirare entro i confini del sistema bancario in senso stretto. E anche in questo ambito si tornerà
alle attività tradizionali della raccolta di depositi, protetti da garanzie pubbliche, e dei prestiti al
settore reale: imprese, famiglie. La situazione dell'Italia.
Il sistema bancario europeo si è salvato dal collasso solo grazie a un intervento concertato degli
Stati membri dell’Unione Europea, deciso in un summit urgente dell’Eurogruppo, con la
partecipazione del Regno Unito.
TENDENZA ALLA CONCENTRAZIONE
Uno degli aspetti chiave dell’evoluzione del mercato bancario europeo dopo l’introduzione dell’euro
è stata la tendenza alla concentrazione. Nella maggior parte degli Stati membri, le cinque
banche principali rappresentano oggi la quota preponderante delle attività, e questi campioni
nazionali si sono evoluti in grandi gruppi bancari integrati su scala internazionale.
Paradossalmente, si tratta di gruppi che sono “troppo grandi per fallire”, ma anche “troppo grandi
per essere salvati” da un qualunque singolo governo nazionale.
In ogni caso, se la capitalizzazione di tutti questi istituti fosse stata adeguata, la loro crescita
internazionale non avrebbe di per sé contribuito alla crisi attuale. Ma grazie alle condizioni
monetarie e finanziarie favorevoli del primo decennio di vita dell’euro, i regolatori nazionali hanno
consentito ai grandi gruppi bancari europei di aumentare eccessivamente la leva finanziaria. Ciò
ha messo in difficoltà le banche europee proprio nel momento in cui le condizioni finanziarie
generali si sono improvvisamente deteriorate.
CAPITALIZZAZIONI PAESE PER PAESE
La situazione è tuttavia molto diversa da paese a paese. La tavola 1 mostra come le attività delle
prime cinque banche inglesi rappresentino più di tre volte il Pil del Regno Unito, mentre quelle
delle prime cinque italiane sono “solo” 1,3 volte il Pil del paese. Questo spiega perché il governo
inglese abbia insistito affinché gli altri Stati membri adottassero politiche simili alle proprie per la
salvaguardia delle banche. Anche il grado di esposizione immediata delle banche alle turbolenze
dei mercati, che si può approssimare con l’inverso del capitalization ratio, il rapporto tra capitale
proprio e attività totali, cambia considerevolmente tra paesi. In Germania, le banche sono poco
capitalizzate rispetto al resto d’Europa, con solo 2,5 euro di capitale per ogni 100 euro di attivo.
La capitalizzazione delle principali banche italiane è circa il triplo: 7,4 euro per 100 di attivo.
Tavola 1 Prime cinque banche per Stato membro
Stato
Francia
Germania
Italia
Regno
Unito
Attivi / PIL
(%)
293
165
131
Prestiti / Attivi
(%)
29
23
61
Own Equity / Attivi
(%)
3.5
2.6
7.4
313
44
3.9
Fonte: calcoli propri sulla base di dati Bankscope.
Ma le differenze vanno oltre: la deregulation degli ultimi decenni ha prodotto ovunque una
espansione delle attività bancarie e para-bancarie, anche se non dovunque con la stessa intensità.
Il grafico 1 mostra come negli anni Settanta-Ottanta il comparto dell’intermediazione
finanziaria costituisse una piccola parte dell’economia, tra il 4 e il 5 per cento anche negli Stati
Uniti. Quello che si osserva in seguito è una divaricazione: la quota dell’intermediazione finanziaria
sul Pil raddoppia fino a raggiunger quasi il 9 per cento negli Usa, mentre è stazionaria in Italia e
Germania, dove rimane sempre tra il 4-5 per cento del Pil.
L’intermediazione finanziaria ha potuto crescere così tanto per via della deregolamentazione, che
tra l’altro ha consentito ad attori non bancari di svolgere funzioni tipicamente bancarie, spesso
senza dover sopportare gli stessi vincoli regolatori. Al tempo stesso, le banche si sono dedicate ad
attività diverse dal passato: la colonna 2 della tavola 1 mostra come le grandi banche francesi e
tedesche abbiano destinato ai prestiti una quota minore dell’attivo, mentre in Italia la quota
restava attorno al 60 per cento.
Naturalmente, non tutta la “nuova finanza” è da rigettare: ad esempio, l’Italia è rimasta indietro
nel venture capital, con una raccolta di circa 2 miliardi nel 2004-06, rispetto ai 3 della Spagna, ai
5 della Francia ed ai 18 del Regno Unito (di cui nulla per la fase di start-up: si veda la tavola 2).
Flussi di investimento di Private Equity (2004-2006)
Fonte: European Private Equity & Venture Capital Association
Il sistema para-bancario è finalmente emerso in questa crisi, e ha mostrato la sua rilevanza
‘quantitativa’. Ma gli eventi dell’ultimo anno mostrano che è molto fragile e che i governi sono
molto meno disposti a salvarlo rispetto alle banche. Il caso di Aig negli Stati Uniti è forse
l’eccezione. Ma anche in quel caso il governo Usa ha sì evitato l’insolvenza, decidendo però di
“collocare a riposo” l’impresa.
Nel prossimo futuro, il settore finanziario si dovrà progressivamente ritirare entro i confini del
sistema bancario in senso stretto. E nell’ambito del sistema bancario si tornerà alle attività
tradizionali: raccolta di depositi, protetti da garanzie pubbliche, e prestiti al settore reale, ovvero
imprese e famiglie. Il settore finanziario si contrarrà in alcuni paesi europei, come il Regno Unito e
forse l’Irlanda, ma molto meno in altri, Italia inclusa.
www.loccidentale.it
Le misure che aiuteranno le famiglie
di
Giovambattista Palumbo
6 Novembre 2008
Le politiche fiscali possono anche aiutare il contribuente in condizioni di crisi come quella che
stiamo attraversando. Le misure allo studio del Governo sono tante. Elenchiamone di seguito
alcune.
Per le prestazioni di lavoro rese dal primo luglio è già stata prevista la detassazione delle parti
variabili del salario (straordinari e premi di produzione). La detassazione degli straordinari e dei
premi legati alla produttività, fino ad un tetto massimo di tremila euro lordi, riguardava però
soltanto i lavoratori dipendenti del settore privato che nel 2007 avevano dichiarato un reddito
lordo non superiore ai trentamila euro.
La misura, in un primo momento, è stata prevista, in via sperimentale, per un periodo di sei mesi,
dal primo luglio fino al 31 dicembre 2008.
Durante tale periodo le somme erogate per prestazioni di lavoro straordinario e tutte le parti
variabili del salario erogate a livello aziendale in relazione ad incrementi di produttività,
innovazione ed efficienza organizzativa, fino, come detto, ad un tetto massimo di tremila euro
lordi, vengono dunque assoggettate ad un'imposta sostitutiva, con aliquota fissa del 10 per cento,
contro l’aliquota ordinaria, dal 23% al 43% a seconda dello scaglione di reddito.
La detassazione si applica inoltre anche per le prestazioni di lavoro supplementari, rese in
funzione di clausole elastiche, ovvero per prestazioni effettuate nel periodo luglio-dicembre con
esclusivo riferimento a contratti di lavoro a tempo parziale stipulati prima dell’entrata in vigore del
provvedimento (in sostanza per il lavoro supplementare part time).
Lo “sconto” viene riconosciuto direttamente dal sostituto di imposta (datore di lavoro).
Per fare un esempio concreto, un dipendente con un reddito di 30.000 Euro, con straordinari per
3.000 Euro, paga così circa 700 Euro di tasse in meno. Questo già da luglio.
Tale periodo sperimentale, che, come detto, doveva terminare al 31 dicembre, dovrebbe però ora
essere prorogato e diventare anzi strutturale. La detassazione, inoltre, dovrebbe essere estesa
anche ai lavoratori pubblici.
Il condizionale è comunque in questi casi sempre d’obbligo, visto che la fattibilità o meno
dell’operazione dipende dalla possibilità di superare vincoli contabili e di bilancio (anche
comunitari) particolarmente stretti.
Per gli stessi motivi un’altra misura già proposta da ampi settori della maggioranza e già prevista
comunque all’interno del programma della PDL (nonostante i recenti tentativi del centro sinistra di
appropriarsene, con violazione quindi del “diritto d’autore”), la detassazione delle tredicesime.
L’applicazione di una misura del genere su tutte le tredicesime costerebbe però qualcosa come 9
miliardi di Euro e in un periodo di crisi come quello attuale risulta quindi difficilmente attuabile.
Potrebbe allora, al limite, avvenire in misura solo parziale e limitata magari alle tredicesime dei
lavoratori rientranti nelle fasce di reddito medio-basso, quali, per esempio, i pensionati; ma anche
in questo caso il costo dell’operazione sarebbe notevole, aggirando
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BCE, BOE e FMI
La ricreazione è finita e il taglio dei tassi non basta ai mercati
di Alessandra Mieli
L’happy hour dei mercati è finito presto. Archiviata l’elezione del nuovo presidente degli Stati
Uniti, l’attenzione è tornata pessimisticamente a focalizzarsi sulla crisi in corso. L’attesa per il
taglio dei tassi da parte della Banca Centrale Europea (Bce) è andata parzialmente delusa
soprattutto se il raffronto è con la simultanea decisione della Banca d’Inghilterra (Boe). A
Francoforte prudentemente si è scelto di tagliare 50 punti base portando i tassi al 3,25% mentre
Londra ha optato per una riduzione di un punto mezzo facendo scendere il costo del denaro al 3%.
Tuttavia Jean-Claude Trichet, non ha escluso una nuova mossa al ribasso, forse già in dicembre,
quando il Consiglio si riunirà a Bruxelles. “Non escludo un nuovo taglio dei tassi - ha detto Trichet
- tutto dipende dai dati e dalle cifre in arrivo e, a dicembre, avremo il nuovo set di stime su
crescita e inflazione”. La Bce preferisce essere “pragmatica” e non impegnarsi anticipatamente
scegliendo un percorso obbligato come ha spiegato Trichet. C’è però un problemino: la
complessità dell’iter decisionale dell’Eurotower rischia di far arrivare i banchieri europei sempre in
ritardo rispetto a quanto sta succedendo. Nell’Eurozona l’inflazione è in calo ed è prevista intorno
al 2% nel 2009, mentre la crescita è in netta frenata e resterà così, a causa di una domanda
apatica, “per un periodo di tempo prolungato”, mentre le turbolenze dei mercati finanziari si
stanno facendo sentire sempre di più sull’economia reale.
Il Consiglio, però, “non ha discusso” di un possibile taglio di 100 punti base, come speravano i
mercati, e, anzi, ha evocato la possibilità contraria di una riduzione di soli 25 punti base. Non
esattamente quanto auspicato dalle borse. Per di più sempre ieri è arrivata ancora una doccia, che
più che fredda, si potrebbe definire gelata dal Fondo monetario internazionale. “Temo di essere
nuovamente portatore di cattive notizie - ha detto il nuovo capo-economista, Olivier Blanchard
alludendo al taglio delle stime già operato a ottobre - ma la situazione è peggiorata rapidamente
nel corso delle ultime settimane inducendoci a una nuova revisione”.L’anno che verrà si
preannuncia con una ventata di recessione che colpirà le economie avanzate con una crescita
modestissima dello 0,3% e un globale che non dovrebbe superare la soglia del 2,2%. Il Fondo,
per tradizione, considera l’economia globale in recessione se cresce al di sotto del 3%. Resta
comunque la realtà di un’economia in piena frenata con un 2009 che si preannuncia da recessione
per le locomotive tradizionali, e cioè Stati Uniti (-0,7%), Eurozona (-0,5%) e Giappone (-0,2%).
L’Fmi mette in conto anche una frenata della Cina che ora vede in crescita nel 2009 “solo”
dell’8,5% contro la stima precedente del 9,3% anche se la situazione potrebbe migliorare se il
Governo di Pechino dovesse annunciare un piano di stimoli fiscali. Riguardo al pericolo di una
spirale deflazionistica, ormai paventato da numerosi commentatori, Blanchard ha spiegato di
attendersi per il breve periodo dei dati di crescita negativa dell’inflazione sulla scia del drastico
ridimensionamento del prezzo del greggio e delle commodities in generale ma si è detto convinto
che i rischi di una deflazione sostenuta, di lungo periodo, siano per il momento ancora molto
bassi. A fine giornata il magro bilancio: le mosse della Bce e della Boe non sono riuscite a
risparmiare ai listini una nuova giornata nera. E’ stata Francoforte la peggiore (-6,8%), mentre a
Milano -5,06% l’S&P/Mib e -4,68% il Mibtel. A Piazza Affari sono andati male bancari e
costruzioni, giù anche le materie prime con il greggio ai minimi da due anni. Tonfo di Tenaris (12%) e diMediaset (-8,8%). Unicredit a -8,4%. Eni ha lasciato sul terreno oltre il 7%, Telecom il
6,6%.