ZIBALDELLO 2007

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ZIBALDELLO 2007
LO ZIBALDELLO 2007
SOMMARIO:
Editoriale
Donato Sperduto
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I CORSI DI AGGIORNAMENTO
La formazione continua tra passato recente e futuro immanente
GABRIELLA SCHÄPPI BRUNO DI CLARAFOND
4
La formazione continua all’università: riflessioni su un’esperienza
ROSANNA M ARGONIS PASINETTI
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ASPETTI DELLA DIDATTICA DELL’ITALIANO PER STRANIERI
Insegnare una lingua straniera al liceo:
valori tradizionali e nuove sfide
Rosanna Margonis Pasinet ti
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Leggere per insegnare: una recensione didattica
Rosanna Margonis Pasinet ti
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Migrazioni e migranti
DONATO SPERDUTO
NA RRATORI D I U N SU D
Donato Sperduto
LE RECENSIONI
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D ISP ERSO
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Un libro per amico
MORENO M ACCHI
M. Agus, Mal di pietre
V. Andreoli, Lettera a un insegnante
L. Mancinelli, La Casa del tempo
P. Paterlini, Ragazzi che amano ragazzi
M Missiroli, Senza coda
E. De Luca, L’ultimo viaggio di Sindbad
E. De Luca, Un papavero rosso
E. De Luca, In nome della madre
P. Citati, La morte della farfalla
P. Citati, La colomba pugnalata
B. Fenoglio, La malora
N. Ginzburg, La strada che va in città
N. Ammaniti, Fango
V. Zucconi, Storie dell’altro mondo
C. Abate, Il mosaico del tempo grande
E. Ferrante, I giorni dell’abbandono
G. Carofiglio, Il passato è una terra straniera
Gli studenti di Comix, Sputtana il prof
M. Marcotullio, Il sangue dello scorpione
P. Roveredo, Capriole in salita
A. Vitali, Olive comprese
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L’EDITORIALE
DI DONATO SPERDUTO, PRESIDENTE
Care colleghe,
cari colleghi,
DELL’ASPI
mento. Il che non può che
rallegrare il Comitato dell’ASPI. Tale apprezzamento
riguarda ovviamente anche
i corsi in Ticino organizzati
da Valeria Sulmoni, che l’autunno scorso ha moderato
una giornata a Lugano sul
tema “Esperienze di scrittura
creativa in classe”. Vi invito
quindi a voler partecipare ai
nuovi corsi in programma.
È con soddisfazione pertanto
che vi comunico che la situazione finanziaria dell’Associazione è del tutto sana.
come avrete appreso dai
mass-media, a livello di
SSISS / SSPES / VSG ci si
sta muovendo al fine di stimolare l’introduzione di modifiche da apportare all’attuale sistema della maturità
federale. Si tratta di una tematica che non può lasciare
indifferenti: ne va del lavoro
quotidiano e di noi docenti
e dei nostri liceali. Mi pare
quindi utile invitarvi a seguire attivamente tale dinamica
anche in vista della prossima Inoltre, il Comitato è stato
Assemblea plenaria.
rieletto in occasione dell’ultima Assemblea plenaria e
Per quanto concerne l’ASPI, ne siamo particolarmente
mi fa piacere poter dire che soddisfatti perchè comporta
i nostri corsi di formazione insegnanti di diversi cantocontinua che si svolgono in ni e regioni. Mi pare giusto
Italia, organizzati da Ga- rilevare che detto Comitato
briella Schäppi, riscuotono funziona con un certo zelo e
sempre il vostro apprezza- con molta convinzione, aven-
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do in più trovato un luogo di
riunione che non ci costringe
a spostamenti troppo lunghi:
Berna.
collega Romano Mero di creare un volantino informativo
da distribuire nelle scuole
svizzere mirante ad invogliare gli studenti ad optare per
Devo però notare che, in me- la lingua italiana. Ulteriorito alla collaborazione con le ri iniziative individuali da
istituzioni italiane presenti in parte di altri soci dell’ASPI
Svizzera, visto il ciclico va e sono certamente benvenute e
vieni dei vertici, non è sempre potranno contare sull’interespossibile riuscire a instaura- samento del Comitato.
re rapporti a lungo termine.
Colgo infine l’occasione per
Spero comunque che nelle vo- ricordarvi l’indirizzo del nostre scuole l’italiano non ab- stro sito www.professoridibia una vita troppo difficile, taliano.ch, il cui completo
come purtroppo accade da rinnovamento è stato votato
qualche parte. Il Comitato all’unanimità dal Comitato,
dell’ASPI ha a questo propo- e vi saluto cordialmente
sito aderito, finanziariamente, all’iniziativa proposta dal
DONATO SPERDUTO
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LA FORMAZIONE CONTINUA
TRA PASSATO RECENTE
E FUTURO IMMINENTE
A CURA DI GABRIELLA SCHÄPPI BRUNO DI CLARAFOND
Ticino, 21-22 settembre 2007
“ESPERIENZE DI SCRITTURA CREATIVA IN CLASSE”
Corso organizzato da Valeria Sulmoni (prima parte: USI di Lugano)
e Gabriella Schäppi (sedonda parte: Como e dintorni)
L’alternanza tra corsi in Italia e corsi in Ticino è stata
ripetuta anche per l’anno
scolastico 2005/2006, grazie, in particolare, al dinamico contributo organizzativo di Valeria Sulmoni, la
nostra ex-segretaria (ma
chissà che non ritorni a far
parte del Comitato, in un
futuro non troppo lontano?).
Al corso di Siena di una settimana (primavera 2006,
42 partecipanti, organizzato
dalla sottoscritta) è stato affiancato quello organizzato
da Valeria a Lugano (autunno 2006, 13 partecipanti),
su “Esperienze di scrittura
creativa in classe”. Era costituito da due moduli articolaFormazione Continua
ti in due giornate: la prima
di intensi scambi d’informazioni, documenti e resoconti
con tre navigati docenti ticinesi che già si sono fatti
conoscere per la loro intraprendente passione per un
insegnamento innovatore;
la seconda destinata, come
di consueto (tradizionalmente si è sinora fatto), alla
“scoperta del territorio”, in
questo caso della limitrofa
provincia di Como.
Ilario Domenighetti, insegnante d’italiano nell’istituto di Commercio di Bellinzona, Simone Bionda, docente
d’italiano nel Liceo cantonale di Bellinzona e Claudia
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Patocchi Pusterla, docente
d’italiano nella Scuola specializzata per le professioni
sanitarie e sociali di Lugano,
hanno trattato l’argomento
della scrittura creativa sulla
base delle proprie esperienze
vissute con gli allievi secondo tre angolazioni del tutto
diverse, ma tutte egualmente convincenti e ricchissime
di spunti per rinnovare il
nostro insegnamento.
Ilario Domenighetti ha affrontato la questione di come
far scrivere gli allievi prima
sul piano teorico, con una
serie di lezioni sul meccanismo del racconto, fondandosi
sulle ricerche di Propp e sul
manuale di scrittura di Donna Levin (ma la bibliografia
che ci ha distribuito, abbondantissima e interessantissima, spazia da Eco a Genette,
include Patricia Highsmith e
Northrop Frye).
Questa prima fase di preparazione rappresenta anche
un’ottima introduzione all’analisi testuale, ma Ilario
Domenighetti se ne serve
essenzialmente per stabilire le regole di redazione
alle quali i ragazzi dovranno sottostare: solo 45 minuti
di scrittura in classe, niente
dialoghi e niente descrizioni, solo azione. Dopo queste
prime esercitazioni, i ragazzi
passano alla stesura a casa
di un racconto completo. Regole: minimo 5 pagine, impaginazione
professionale
(caratteri Garamond corpo
12, interlinea 1,5, margini
di tot. e così via con ciò che
potrebbe sembrare pignoleria ma non lo è, tutt’altro!).
Esiti ottimi: gli allievi hanno scritto molto di più di ciò
che era stato loro richiesto,
hanno scrupolosamente evitato i titoli banali, hanno
avuto grandi soddisfazioni
nel produrre testi di finzione
personali. Per stimolare meglio la creatività dei giovani, Domenighetti ha anche
creato una piccola antologia
di testi brevi che dimostrano
sia l’inversione della temporalità (la conclusione prima
dell’azione che la giustifica),
sia la predominanza di un
Formazione Continua
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senso (olfatto, udito) nella
materialità del racconto, sia
l’originalità di un punto di
vista. I ragazzi si familiarizzano così con l’incipit di un
racconto in “medias res”, apprezzano i risvolti saggistici
di certi testi, constatano che
autore e narratore possono
diventare oggetto della narrazione e sono invitati a imitare i “trucchi” dei più grandi scrittori.
Alla fine dell’accuratissima
presentazione del lavoro che
Ilario Domenighetti svolge nelle sue classi, un solo
dubbio sfiora il partecipante
al corso: il metodo e la sua
applicazione sono indiscutibilmente eccellenti, ma avrò
io l’abilità e la capacità di
navigare in queste acque o
bisognerebbe, come il nostro
docente ticinese, aver di per
sé l’anima dello scrittore?
Simone Bionda parte da altre premesse: partendo da
un articolo di Gorni pubblicato nel 1983 attorno agli
autoritratti di Vittorio Alfieri e Ugo Foscolo, il professore ticinese si chiede come
analizzare un testo poetico e
contemporaneamente servirsene per permettere un’attività creativa. Non è inutile
SEPOLCRETO DI A LESSANDRO VOLTA, COMO.
Formazione Continua
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ricordare qui che i testi sono
analizzati con allievi di lingua materna italiana; nel
caso in cui l’italiano sia studiato come seconda lingua,
solo ragazzi che hanno scelto
l’italiano come opzione specifica saranno forse in grado
di affrontare Alfieri e Foscolo. La fase analitica dimostra che le figure retoriche,
debitamente individuate e
spiegate, non sono elementi
spuri, ma sono solidali del
senso profondo del testo. La
fase creativa propone agli allievi di creare a loro volta un
sonetto autodescrittivo, esercizio stimolante in quanto
tutti sono confrontati, quotidianamente, con il proprio
corpo e la propria immagine,
specie in età adolescenziale.
L’obiettivo è evidentemente
ambizioso ma... “per aspera
ad astra”: i risultati ottenuti sono talvolta stupefacenti,
i ragazzi hanno raccolto la
sfida. Questi i vincoli imposti dal docente: autoritratto
imposto come tematica, autobiografia
rigorosamente
vietata. La pretesa non è
d’insegnare a far poesia ma
di sviluppare la capacità di
valutare un modello studiato per esser imitato. Simone
Bionda ricorda che si potrebbero proporre molti altri autoritratti letterari: da Govoni a Palazzeschi e conclude
dicendo: «A scuola più che
il saper fare deve contare il
sapere...», andando coraggiosamente controcorrente
rispetto ad alcune tendenze
furiosamente di moda oggi.
Cosa passa per la testa del
partecipante al corso quando ascolta alla fine di tutto
ciò la lettura di un sonetto
(eccellente, devo precisarlo?)
di un’allieva del professor
Bionda? Che forse non domina la metrica con la stessa
disinvoltura del conferenziere? Che bisognerebbe ridimensionare le nostre ambizioni con allievi di italiano
“lingua due”?
Si cambia ancora radicalmente registro con la professoressa Claudia Patocchi
Pusterla, curatrice di un
Formazione Continua
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bellissimo libro “Liberi tutti!
Storie sottobanco. Scrivere
e narrare a scuola”, Casagrande, Bellinzona 2005.
L’approccio è quasi psicoterapeutico, i ragazzi si liberano attraverso la scrittura
di frustrazioni mal digerite,
esprimendosi imparano a conoscersi e si aprono agli altri.
Dal fascicolo che la docente ticinese ci ha distribuito
dopo averci raccontato come
ha motivato i suoi allievi alla
scrittura, cito alcuni brani
significativi. «La prima considerazione da fare è che ho
mentito nelle motivazioni
di questa tesi. Già, non ho
scritto una manciata di pagine per aiutar chicchessia a
evitare la tossicodipendenza,
bensì ho proposto il suddetto
lavoro onde mostrare, a chi
avrà la voglia di leggermi,
uno stralcio di vita vissuta.
Una vita che mi ha segnato;
forse per sempre. Sono adirato». (Alex Rusca). «Avevo
pensato per molte sere, prima di addormentarmi, su
come cominciare il mio lavoro. L’esperienza mi aveva riFormazione Continua
cordato che «l’inizio è sempre
il più difficile» e questo caso
non faceva eccezione. Molti
fogli sono finiti nel cestino,
durante il disperato tentativo di trovare una frase che
potesse piacermi. Per finire,
dopo svariati etti di carta
sprecati, mi dissi che «il principio dello scrivere è scrivere». Abbandonai così l’idea di
cominciare con una bella frase. Lasciai la penna libera di
trascrivere confusamente i
miei pensieri. Insomma non
mi preoccupai della forma,
ma unicamente di trasmettere, attraverso lo scritto, le
emozioni che avevo provato.
Ne ricavai un discreto contenuto arricchito da un pizzico
di ironia». (Monica Rusconi)
Merito della docente è stato
di salvare dall’oblio questi
scritti, di ottenere da ognuno
degli scriventi che si erano
espressi secondo le quattro
formule del diario (“journal
intime”), dell’autobiografia,
della rivisitazione di un’esperienza o di una passione e
per finire del racconto, l’au-
foto: Gravestmor
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EX CASA DEL FASCIO, COMO.
torizzazione di pubblicare i
loro testi. A pubblicazione
avvenuta, sta a ciascuno di
noi trarne insegnamento.
Ancora una volta, il partecipante al corso s’interroga:
come giungere a questi risultati? Lo chiediamo alla
nostra conferenziera: nel suo
caso è evidente che l’implicazione affettiva è molto importante, come la sua irriducibile convinzione che i ragazzi
hanno veramente qualcosa
da dire... e quel qualcosa è
importante che sia espresso.
Rinfrancati da questa gior-
nata passata con insegnanti d’italiano di grandi risorse, ci buttiamo, l’indomani,
dopo la tradizionale cena
in comune, alla scoperta di
Como: visita del museo della seta, particolarmente ben
concepita dal punto di vista
didattico, monumenti e ville comaschi, giro in barca
sul lago. Insomma, s’impara
anche bighellonando, scambiandoci informazioni e
impressioni sino al ritorno a
Lugano dove ci separiamo.
Un corso intenso e formativo, come si vorrebbe che
fossero tutti.
Formazione Continua
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Lugano, 26-28 aprile 2007
“LA LINGUA ITALIANA E LE NUOVE FRONTIERE
DELLA COMUNICAZIONE”
per numero d’iscrizioni insufficiente
rinviato al 17-19 aprile 2008
Il corso, intitolato “La lingua italiana e le nuove
frontiere della comunicazione”, presentato in maniera inadeguata sulla Webpalette, non è andato a buon
fine per molteplici cause: vi
risparmio i dettagli. È sufficiente sapere che il nome di
vari colleghi che pensavano
di essere regolarmente iscritti, non erano reperibili sugli
elenchi informatici del CPS e
alcuni, purtroppo, non erano
neppure al corrente del fatto
che il corso fosse stato annullato. Prego tutti coloro che
sono incorsi in questi inconvenienti di scusarmi.
due primi giorni, un giovedì
e un venerdì, di presentare
questa moderna facoltà di
una giovane università che
ha appena oltrepassato il decennio di vita. Dopo aver definito l’interdipendenza delle
diverse discipline – scientifiche, umanistiche, socio-economiche e tecnologiche – che
convergono per permettere
l’approccio di quel fenomeno
estremamente complesso che
è la comunicazione umana,
si parlerà delle professioni
che si aprono ai diplomati
(alcune delle quali ancora da
inventare...) e della filosofia
che sottende l’impostazione
pedagogico-didattica dei vari
D’accordo con il decano della corsi, suddivisi in cinque
Facoltà di Scienze della co- aree. Sono previste relazioni
municazione dell’Università su storia dei media, sviluppo
della Svizzera italiana (USI), e prospettive della televisioprofessor Giuseppe Richeri, il ne, argomentazione e comucorso è stato rinviato al 17-19 nicazione interculturale, soaprile 2008. Si tratterà, nei ciologia dei mass media (la
Formazione Continua
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televisione come interfaccia
sociale), l’eLearning all’USI
(Campus Virtuale Svizzero),
genere e mass media (rapporto tra pari opportunità e
comunicazione di massa), comunicazione visiva in funzione didattica. Il corso si concluderà il sabato mattina con
la visita alla Radio-Televisio-
ne della Svizzera italiana.
A questi due giorni e mezzo
in Ticino si aggiungerà, per
l’anno scolastico 2007 la settimana dedicata alla scoperta (o riscoperta per molti di
voi, suppongo) delle Langhe,
inevitabilmente legate ai
due grandi scrittori, Cesare
Pavese e Beppe Fenoglio.
Santo Stefano Belbo, 1-5 ottobre 2007
“LANGHE: SUI SENTIERI DI PAVESE E FENOGLIO”
iscrizioni già aperte sulla Webpalette
Arrivando a S. Stefano Belbo nella mattinata di lunedì
primo ottobre 2007, e ripartendo al sabato mattina 6
ottobre, disporremo di una
settimana
praticamente
completa per raggiungere
due scopi: approfondire la
conoscenza che abbiamo dei
due scrittori piemontesi con
l’aiuto studiosi come Franco Vaccaneo (presidente del
Comitato scientifico della
Fondazione Cesare Pavese)
CESARE PAVESE.
Lorenzo Mondo, e testimoni privilegiati come Marisa quindi, entrare in contatto
Fenoglio, la sorella di Bep- con la realtà geografica dei
pe, anche lei scrittrice, e, luoghi che sono così intimaFormazione Continua
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mente legati alla loro opere.
Per capire quali trasformazioni hanno subito le Langhe
da allora, incontreremo Grazia Novellini, giornalista e
collaboratrice di Slow Food,
che ci parlerà dello sviluppo attuale del turismo nella
zona. Per l’ultima giornata
del corso saremo a Pollenzo
dove si è insediata nel complesso carloalbertino restaurato la prima Università
di Scienze Gastronomiche:
ve ne saranno svelati i programmi e i metodi.
Avremo anche l’occasione
di ascoltare un antropologo, Piercarlo Grimaldi dell’Università del Piemonte
Orientale, anch’egli docente
a Pollenzo. Alla Fondazione
S. Giorgio Scarampi, nelle
vicinanze di Santo Stefano,
incontreremo Marco Drago
e Gianni Farinetti, scrittori
che rappresentano la scrittura odierna nella regione.
Pranzi all’aperto, cene in
trattoria, degustazioni enologiche ci daranno la misura
del livello gastronomico della Provincia Granda come è
definita la provincia di Cuneo in riferimento alla sua
estensione. Non a caso il movimento Slow Food è nato a
Bra... Un’antiquaria monregalese, alla quale chiedevo
un indirizzo dove mangiar
bene nelle vicinanze mi rispose alcuni anni fa: «Mi
faccia riflettere, perché mangiare è una cosa seria».
Corso in preparazione
“VITERBO E GLI ETRUSCHI”
date possibili: autunno 2008 e/o primavera 2009
Nel corso della riunione tenutasi a Siena con tutti i
partecipanti era emersa una
netta preferenza per Viterbo
come meta e prossima tappa
di formazione in Italia. Ho
riunito una discreta docuFormazione Continua
mentazione, ricevuto preziosi suggerimenti, telefonato
ad alcune persone, ma tutto
dovrà concretizzarsi attraverso i contatti sul posto. Ho,
per il momento, soltanto l’assicurazione delle presenza di
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Melania Mazzucco, incontrata a Ginevra a fine gennaio:
in questa occasione, ci ha
offerto una fertile giornata
di riflessione sulla biografia
letteraria e sui rapporti tra
realtà e finzione. Esemplare.
Sarei lieta di farvela incontrare. Tra l’altro scrive a lungo della Provincia Granda in
“La camera di Baltus” e ne
“Il bacio della Medusa”.
per me organizzare l’invito
a Stefano Petrocchi (Fondazione Bellonci), come mi era
stato richiesto a Siena. Doveva parlare del nuovo Premio Strega Europeo, di cui si
sta occupando. Purtroppo ho
dovuto disdire l’incontro per
scarsità di iscrizioni: parlerà
soltanto a Zurigo, invitato
dalla Dante Alighieri.
Eppure una circolare è stata
distribuita grazie al diretUn’ultima constatazione: non tore del Liceo Madame de
sempre i desideri dei par- Staël di Ginevra, Jean-Ditecipanti ai corsi sono da dier Lorétan, a tutti i grupprendere alla lettera. Una pi d’italiano del cantone di
grande delusione è stata Ginevra. Un buco nell’acqua.
PALAZZO DEI PAPI, VITERBO,.
Formazione Continua
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Un ultimo annuncio che riguarda soprattutto ginevrini
e vodesi per ragioni geografiche, ma chiunque è interessato
sarà graditissimo partecipante: si tratta di una
LETTURA-CONVERSAZIONE CON LIVIO ROMANO
2 novembre 2007
GINEVRA, ore 18, seguirà una cena con lo scrittore
Livio Romano è nato nel
1968 a Nardò (LE) dove,
dopo diverse peregrinazioni in giro per l’Italia, vive e
insegna inglese nella scuola
primaria. Oltre a una ventennale attività di collaborazione giornalistica per testate locali e nazionali che
tuttora prosegue, ha pubblicato tre racconti su “Sporco
al sole” ed. Besa, un saggio
su “Da dove vengono le storie” ed. Lindau, un racconto
su “Narrative Invaders”, ed.
Testo & Immagine curato da
Renato Barilli, un racconto sull’antologia “Disertori”
ed. Einaudi, un racconto su
“Mica male il tuo libro” edito da Aliberti. Ha curato un
radiodocumentario in cinque
puntate per Radio Rai 3. Ha
partecipato alla rassegna di
giovani autori “Ricercare” a
Formazione Continua
Reggio Emilia e alla Biennale Internazionale dei giovani artisti (BIG) di Torino.
Nel 2001 ha pubblicato la
raccolta di racconti “Mistandivò”, ed. Einaudi, fra l’altro
adottato dal dipartimento
di italianistica della New
York University. Nel 2002 ha
pubblicato il reportage narrativo “Porto di mare”, ed.
Sironi, vincitore del premio
“Delfino” città di Pisa. Fra il
2002 e il 2005 ha continuato
a pubblicare racconti e saggi su opere collettive, riviste,
quotidiani, fra cui “Breve
lamento del giovane padre
progressista” su Linus. Tiene conferenze e laboratori di
scrittura creativa nei licei,
presso la Facoltà di Scienze
della Comunicazione di Lecce e per l’Associazione Internazionale Dante Alighieri
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(workshops in Svizzera e a
Southampton). Nel 2003 ha
sceneggiato un film mai uscito nelle sale per il produttore
Sidecar e uno degli episodi
del lungomentraggio “A Levante”, Saietta Production,
approdato, fra l’altro, alla
Mostra di Venezia e a quella
di Berlino. Nel 2005 ha pubblicato il reportage dall’Erzegovina “Dove non suonano
più i fucili”, ed Big Sur. È appena uscito il terzo libro, il
romanzo “Niente da ridere”
per Marsilio (al quale si sono
dimostrati molto interessati
diversi editori stranieri) ed
è pronto un pamphlet sulla
scuola scritto a quattro mani
con lo scrittore-maestro Giuseppe Caliceti. Sta lavorando
a un romanzo noir ambienta-
to fra Mostar, Tel Aviv, Gallipoli e Verona.
Durante una lettura-conversazione, Livio Romano ci presenterà l’iter che ha seguito
per render conto nei suoi romanzi delle problematiche
della sua terra, il Salento, i
problemi di chi vive in una
regione con un altissimo tasso di disoccupazione giovanile, le nuove strategie familiari in cui il ruolo del padre è
ridefinito. Chi ha conosciuto
lo scrittore durante il corso
di formazione continua che
ha avuto luogo a Lecce sarà
interessato dalla nuova svolta della sua narrativa, gli altri scopriranno uno scrittore
impegnato nella vita culturale del Salento.
Per i due corsi programmati in Italia, Langhe
e Viterbo, se le iscrizioni fossero troppo
numerose, la priorità sarà data agli esclusi
del corso precedente e comunque tutte e due le
iniziative potrebbero essere ripetute nell’anno
scolastico 2008-2009.
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LA FORMAZIONE CONTINUA
ALL’UNIVERSITÀ: RIFLESSIONI
SU UN’ESPERIENZA
DI ROSANNA MARGONIS PASINETTI
Il 29 e il 30 marzo scorsi, l’Università di Losanna, con il patrocinio
del Consolato Generale d’Italia a
Losanna, ha organizzato un corso
di formazione continua destinato
ai docenti d’italiano delle scuole
secondarie, provenienti dal cantone o da fuori.
Di primo acchito, il titolo è
allettante: «Nuovi testi letterari,
nuovi contesti e nuove tecnologie.
L’insegnamento della lingua e
della letteratura italiana nelle
scuole secondarie»; segue un programma ricco di contenuti e di
conferenzieri dai nomi conosciuti
e reputati.
Gli insegnanti d’italiano nelle
scuole secondarie e secondarie
superiori del cantone non sono
molto numerosi; praticamente
tutti si conoscono, si ritrovano
con piacere per lavorare, discutere e condividere il loro amore
per l’italiano; la voce si sparge,
«se ci vai, vengo anch’io», l’afflusso è importante: docenti collaudati, in carica nei licei o nella
scuola media, formatori, studenti
universitari e studenti dell’Alta
Scuola Pedagogica.
Formazione Continua
Sin dalle prime parole scambiate con i primi arrivati, emerge
l’augurio di sempre: la speranza
che le cospicue proposte previste
dal programma vadano ad arricchire un insegnamento quotidiano che ha costantemente bisogno
di essere nutrito. È per tutti
un’evidenza il fatto che non si
possa pretendere di partecipare
a questo tipo di formazione per
portarsi via un pacchettone di
ricette, per ricevere senza sforzo alcuno dei materiali didattici
immediatamente spendibili; tutti
si aspettano però delle proposte
che non stiano ad anni luce da
quello che si può, si vuole, si deve
fare con i nostri allievi non italofoni, inseriti in classi d’italiano
lingua straniera.
La speranza, dunque... L’inizio è
promettente: due giovani docentistudiosi presentano un progetto
novatore per il rinnovamento dell’approccio antologico nell’insegnamento dell’italiano a italofoni
nei licei italiani. Ci rendiamo
conto, con sollievo ma anche con
una leggera inquietudine, che lo
studio storico-analitico di certi
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UNIVERSITÀ DI LOSANNA.
testi risulta arduo anche per gli
allievi italofoni; d’altra parte, i
due giovani ci fanno capire che
non si tratta di far meno, ma
di far diversamente, proprio in
vista di una più grande efficacia
del dispositivo antologico, proponendo a esempio un’entrata tematica che può mettere a confronto
grandi autori, italiani o no.
Con il procedere delle conferenze,
la speranza iniziale si attenua.
Sarebbe evidentemente inopportuno e totalmente ingiustificato
mettere in dubbio le incredibili competenze dei conferenzieri,
fatte di anni di studio e di ricerche di indubbio interesse, oppure
l’impegno di chi ha organizzato
queste giornate; ma a volte noi
stessi, provvisti di licenza e rotti
all’avventura della grande letteratura, facciamo fatica a star
loro dietro... figuriamoci i nostri
allievi.
Risentiamo dunque la perplessità
di cui parlava Gabriella Schäppi
nel contributo precedente, quando faceva riferimento agli insegnamenti proposti dal corso in
Ticino; come fare con i nostri
ragazzi per non far meno, ma
fare diversamente? Occorrerebbe
forse riesaminare la posizione
alquanto intransigente che consiste nel mettere il sapere al di
sopra di tutto e nel trattare il
saper fare e il saper essere come
cose di poco conto. Perché non
prefiggersi dapprima degli obiettivi più realistici e pragmatici,
prendendo i nostri allievi là dove
stanno, dal punto di vista del loro
livello linguistico, ma anche della
loro maturità, per poi condurli il
più lontano possibile, magari fino
al grande sapere?
Per far questo, fare diversamente, soprattutto nell’ambito culturale e letterario, i docenti avrebbero però bisogno di contributi
formativi più mirati, fatti di proposte di approcci della cultura
e della letteratura realizzabili
in una classe di italiano lingua
straniera.
Lasciando l’aula universitaria, la
speranza rinasce: forse la prossima volta... Rimane comunque
la soddisfazione intellettuale e
il piacere di avere ancora una
volta gustato la nostra bella lingua e alcune delle sue più celebri
manifestazioni.
Formazione Continua
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Insegnare una lingua straniera al liceo:
VALORI TRADIZIONALI E NUOVE SFIDE
DI ROSANNA MARGONIS PASINETTI
Nel nostro paese e in tutta
Europa, l’ambito dell’insegnamento/apprendimento delle lingue straniere, a scuola e al di
fuori di essa, è attualmente coinvolto nei procedimenti di armonizzazione scolastica previsti
a livello internazionale (COE),
nazionale (CDIP), intercantonale
(CIIP) e cantonale.
Negli ultimi decenni, numerosi
progetti di ricerca e di teorizzazione dell’apprendimento delle
lingue straniere hanno cercato
di formulare dei modelli che permettano all’insegnamento delle
lingue in ambito istituzionale
di raggiungere l’efficacia comunicativa, intesa come la capacità
di affrontare qualsiasi situazione di comunicazione e di portare
a termine ogni tipo di atto
comunicativo.
Per capire, padroneggiare e mettere in pratica quotidianamente gli attuali orientamenti della
didattica e della valutazione
in materia di lingue straniere,
abbiamo da poco a disposizione due strumenti, che si tratta
di conoscere, comprendere e promuovere, senza per questo rinnegare i valori tradizionali che
sono stati da sempre alla base
dell’insegnamento liceale.
Didattica
Il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue trova origine
nei lavori di politica linguistica condotti dal Consiglio d’Europa: fondato nel 1949, con sede
a Strasburgo, esso annovera 46
paesi membri; la Svizzera ne fa
parte dal 1963.
Il Consiglio d’Europa si occupa
di tutti i problemi fondamentali
della società europea e quindi
anche di educazione e di cultura,
in particolare del problema delle
lingue. Gli obiettivi prioritari
della politica linguistica condotta
dal Consiglio d’Europa mirano
essenzialmente a realizzare la
comprensione fra tutti i cittadini
dei paesi europei, il rispetto e la
difesa della loro diversità linguistica e culturale, la difesa e lo
sviluppo del plurilinguismo per
ognuno di loro, l’aiuto allo sviluppo di un apprendimento autonomo
della propria lingua e di quella
degli altri, la trasparenza e la
coerenza a livello dei programmi
d’insegnamento delle lingue.
Questi obiettivi si concretizzano in un progetto centrale che
si conclude con la pubblicazione
del Quadro. Questo documento,
elaborato grazie a una ricerca
scientifica e a una importante
– 19 –
consultazione, è uno strumento
pratico che intende permettere di
stabilire chiaramente gli obiettivi
comuni da raggiungere a ogni
successiva tappa dell’apprendimento di una lingua straniera;
si tratta contemporaneamente di
uno strumento ideale per paragonare a livello internazionale i
risultati della valutazione dell’apprendimento in questo campo. Il
Quadro fornisce una base comune per il riconoscimento reciproco
delle qualifiche linguistiche, facilitando in questo modo la mobilità
educativa e professionale. Esso
viene inoltre sempre più usato per
condurre le riforme dei curricoli
nazionali e i paragoni fra le varie
certificazioni internazionali.
Si tratta di un documento che
descrive nel modo più completo
possibile tutte le abilità linguistiche, tutte le conoscenze necessarie al loro sviluppo, tutte le
situazioni e gli ambiti di cui un
individuo può avere bisogno per
comunicare tramite una lingua
straniera. Ancora poco conosciuto,
o unicamente tramite i suoi tratti
più diffusi, come i famosi livelli, il
Quadro è stato spesso vittima di
giudizi avventati, primo fra tutti
quello che lo definisce come superficiale e tendente a escludere le
dimensioni tecniche e culturali
della lingua, per far posto unicamente al “tutto comunicativo”.
Il Quadro ha invece una forte
dimensione integrativa e non
esclude nessun aspetto dell’apprendimento di una lingua straniera, tranne quelli che sono
ritenuti come inerenti all’apprendimento della lingua prima o
lingua materna; gli esperti sono
già al lavoro per proporre delle
soluzioni a questo inconveniente.
Si tratta prima di tutto di elaborare una versione aggiornata
del Quadro che riesca a descrivere, attraverso i vari livelli, lo
sviluppo della cosiddetta “abilità
letteraria”, intesa come qualcosa
che va al di là della semplice
ricezione del testo detto letterario, che rende capaci di farne
un approccio analitico e critico.
In secondo luogo, i ricercatori
europei intendono proporre un
modello che descriva i processi e
le tappe di apprendimento della
lingua prima, cioè di quella lingua che pur non essendo sempre
madre è perlomeno quella della
società in cui l’allievo vive e della
scuola che frequenta.
Nell’ambito scolastico a noi noto, il
Quadro non è lo strumento dell’allievo; torna utile alle persone che
concepiscono i programmi e creano i manuali, agli insegnanti e ai
loro formatori, agli esaminatori.
Permette di gestire tutti gli aspetti legati direttamente all’insegnamento: definizione degli obiettivi
da raggiungere, scelta delle metodologie da applicare, creazione dei
dispositivi di valutazione.
Didattica
– 20 –
Il Quadro definisce sei livelli di competenza, che vanno da
A1 (livello preelementare) a C2
(livello postavanzato); i livelli e
la loro definizione rappresentano l’elemento chiave del concetto,
poiché fissando un numero limite
di livelli certificati, essi hanno
permesso di far scomparire le
numerose definizioni approssimative usate dai diversi sistemi educativi. Il Quadro descrive in modo
praticamente esauriente tutto ciò
che viene incluso in questi livelli di competenza in materia di
capacità; lo fa tramite i cosiddetti
descrittori, cioè delle proposizioni
affermative che iniziano invaria-
Didattica
bilmente con le espressioni «Sa...»
oppure «È capace di...».
Allievi e insegnanti delle nostre
scuole conoscono da tempo l’approccio comunicativo, che mette
l’accento sulla comunicazione fra
le persone e pone l’allievo al centro del processo d’apprendimento,
affidando all’insegnante il ruolo
di sostegno e aiuto verso l’uso
attivo e autonomo della lingua.
Vista unicamente come approccio
della comunicazione quotidiana
di base, questa metodologia ha
fatto nascere seri dubbi nei ranghi degli insegnanti liceali, che
hanno temuto un’eccessiva sem-
– 21 –
plificazione delle nozioni apprese e un’esclusione programmata
degli aspetti più complessi inerenti all’apprendimento di una
lingua straniera, come le finezze
sintattiche o i generi testuali.
Ora il Quadro intende proprio
integrare ogni dimensione dell’apprendimento di una lingua; esso
riprende i principi dell’approccio
comunicativo, ma vi aggiunge la
dimensione “funzionale-azionale”:
colui che impara una lingua è
considerato come un “attore sociale”, capace di convocare tutte le
sue conoscenze e le sue capacità
per portare a termine un compito
inserito in una situazione comunicativa, sia essa quotidiana, scolastica o settoriale.
Se il Quadro è inteso in ambito
scolastico come guida all’insegnamento, strumento dell’insegnante,
il Portfolio è stato concepito come
strumento derivato dal Quadro e
destinato all’allievo. Esso intende
permettere all’allievo, inserito in
un sistema scolastico orientato
verso l’approccio funzionale-azionale, di sviluppare l’autonomia
d’apprendimento, l’autovalutazione e la capacità di far valere tutto
quello che ha imparato a scuola e
al di fuori di essa.
Il Portfolio contiene un passaporto delle lingue, regolarmente
aggiornato dal suo proprietario.
Uno schema autovalutativo gli
permette di definire le sue com-
petenze linguistiche secondo dei
criteri riconosciuti in tutti i paesi
europei, complemento ideale alle
tradizionali certificazioni scolastiche. La biografia linguistica
dettagliata contiene tutte le esperienze relative alle lingue straniere frequentate o imparate dall’allievo; essa deve permettergli di
orientare e valutare i suoi apprendimenti in materia di lingue straniere. Un dossier permette all’allievo di riunire e presentare tutti
i lavori personali che attestano gli
obiettivi raggiunti.
Gli insegnanti liceali di lingue
straniere hanno dunque oggi un
doppio compito da svolgere, arduo
ma appassionante: impadronirsi
di questi documenti, alla cui portata internazionale sembra difficile e inopportuno sottrarsi, e
farne gli strumenti di una scuola
capace di insegnare una lingua
straniera come canale comunicativo ma anche come riflesso di
una cultura e di una letteratura,
che possono concorrere allo sviluppo armonioso della personalità
e delle conoscenze dei loro allievi.
Incuriositi? Perplessi?
Entusiasti?
Andate a dare un’occhiata
a questi strumenti su:
www.coe.int
www.portfoliodellelingue.ch
Didattica
– 22 –
LEGGERE PER INSEGNARE: UNA RECENSIONE DIDATTICA
MASSIMO VEDOVELLI
Guida all’italiano per
stranieri. La prospettiva
del Quadro comune
europeo per le lingue
Carocci Editore, Roma 2002
Segnaliamo a tutti i colleghi che
non hanno avuto la fortuna di
partecipare al nostro bel soggiorno a Siena, che ha avuto luogo
ormai più di un anno fa, che il
professor Massimo Vedovelli è l’attuale rettore dell’Università per
stranieri di Siena. Nella stessa
Università, il professor Vedovelli
insegna inoltre Glottodidattica e
Semiotica e dirige il Centro CILS
(Certificazione di italiano come
lingua straniera) e il Centro di
eccellenza della ricerca chiamato “Osservatorio linguistico per-
M ASSIMO VEDOVELLI.
Didattica
manente dell’italiano diffuso fra
stranieri e delle lingue immigrate in Italia”.
Fra le innumerevoli pubblicazioni in più lingue dedicate all’ormai noto Quadro, il professor
Vedovelli ce ne propone una molto
completa in italiano.
Partendo da un presupposto che
gli sta a cuore, il professore ci
rammenta che l’italiano è una
lingua sempre più insegnata e
appresa nel mondo. Negli ultimi anni la sua condizione come
lingua seconda o lingua straniera è mutata profondamente: non
è più una lingua appresa solo
per il legame con una tradizione
di alta intellettualità, ma anche
perché l’Italia è uno dei paesi
più industrializzati del mondo.
Si sono rinnovati i metodi e gli
strumenti didattici; in Italia e
all’estero, nuove categorie di persone imparano l’italiano, primi
fra tutti gli immigrati stranieri,
con una gamma diversificata di
bisogni formativi. Sono emerse
parallelamente nuove esigenze
di qualificazione dei docenti di
italiano lingua seconda o lingua
straniera.
Il volume, destinato agli studenti
dei corsi universitari e delle alte
scuole pedagogiche e ai docenti
italiani e stranieri di italiano
lingua seconda o lingua stranie-
– 23 –
ra, in una prima parte dedicata
ai concetti, analizza dapprima
il Quadro, il più diffuso degli
strumenti di politica linguistica
del Consiglio d’Europa, partendo
dalle sue origini, per poi parlare delle scale e dei livelli che lo
caratterizzano e del ruolo che
assumono negli ambiti della valutazione e della certificazione.
Il professor Vedovelli si sofferma in seguito sull’importanza del
testo nel Quadro, analizzando i
concetti di testo autentico e testo
non autentico, suggerendo dei criteri che permettono la selezione
dei testi a fini didattici, per poi
inserire il testo nella prospettiva
comunicativa.
La seconda parte, dedicata ai
metodi, propone dapprima una
rif lessione sulla situazione
comunicativa più vicina all’allievo, vale a dire la comunicazione
didattica realizzata nel gruppo
classe. Il professor Vedovelli tratta in seguito dell’unità didattica, particolarmente quella che si
costruisce attorno al testo, per
poi terminare proponendo una
serie di percorsi didattici, elaborati a seconda di differenti
profili di apprendenti d’italiano
lingua straniera, e alcuni
strumenti che ci permettono di
analizzare programmi e materiali d’insegnamento.
Un interessante volume teoricopratico, arricchito da un’imponente bibliografia, che ci permetterà
eventualmente di “andare oltre”,
secondo la formula consacrata.
VITO A. COLANGELO
MIGRA Z ION I E M IGRA N TI TRA
STORIA , CRON A CA E LETTERA TU RA
Scrittura & Scritture
altro, e altresì da un continente a
un altro, evidenziando significativamente le cause che ne sono alla
base nonché gli effetti sortiti da
quelli che Carlo Levi considerava
“esili forzati”.
L’oggetto di Migrazioni e migranti è pertanto l’uomo in viaggio e,
come osserva Colangelo, Ulisse «è
il prototipo dell’eroe del viaggio».
Come noto, partito da Itaca, dopo
la guerra di Troia Odisseo fa una
serie di viaggi che lo conducono
Questo di Vito Colangelo è uno
studio sullo straziante fenomeno
delle migrazioni umane, considerato dal punto di vista storico e
letterario. Colangelo scandaglia
infatti con obiettività gli spostamenti dell’uomo da una regione a
un’altra, oppure da un paese a un
ROSANNA M ARGONIS-PASINETTI
Recensioni
– 24 –
finalmente nuovamente a Itaca.
L’Odissea di Omero è dunque il
poema del ritorno (nostos) nel
paese natale del protagonista che
nell’arco delle sue peregrinazioni
sente costantemente un disperato bisogno di patria.
Tuttavia, in realtà non ogni indi-
viduo (o collettività) è stato ossessionato dalla nostalgia del nido
d’infanzia.
Conseguentemente,
all’Ulisse
omerico Colangelo oppone giustamente l’Ulisse dantesco artefice
di un viaggio (in greco il termine nostos può anche significare
ULISSE, VILLA DI TIBERIO, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI SPERLONGA.
Recensioni
– 25 –
‘viaggio’), ma questa volta senza ritorno in patria. Senza voler
analizzare in modo esaustivo
questa interessante tematica, mi
limito a dire che l’Ulisse di Dante
rappresenta l’emigrante che non
desidera più il ritorno in patria,
simbolo dell’individuo in cui l’alfa
e l’omega non coincidono.
Con l’intento di far meglio comprendere e capire le migrazioni
attuali, il libro di Colangelo offre
così una lodevole panoramica delle migrazioni umane (capitolo I), i
cui protagonisti potrebbero essere considerati, a seconda dei casi,
degli Ulissi (collettivi o individuali) omerici oppure danteschi.
Prendendo successivamente in
considerazione la piaga delle migrazioni italiane nel Novecento
(capitolo II) e in particolare quelle che hanno spopolato e lacerato i
comuni lucani di Stigliano e Aliano (capitolo III), Colangelo analizza importanti opere letterarie
concernenti i flussi migratori (capitolo IV). Il centro d’interesse è
costituito, ovviamente, dall’Italia
toccata costantemente e profondamente da questo esodo – per
troppo tempo incredibilmente
trascurato dalla storia ufficiale.
L’emigrazione dei nostri connazionali nei più disparati paesi ha
interessato particolarmente autori come E. De Amicis, G. Pascoli,
Amy A. Bernardy, M.G. Mazzucco,
G. A. Stella e R. Nigro. E Colangelo passa tra l’altro al vaglio, oltre
che Giobbe di Joseph Roth e Mi-
granti di C. Camarca, scritti quali
Sull’Oceano, Vita, L’orda e Diario
Mediterraneo al fine di ricordarci i problemi che hanno assillato
gli emigranti italiani – e di cui lo
Stato italiano ben poco si è occupato – per evitare di crearne analoghi oggi nell’Italia che da paese
d’emigrazione è diventata paese
d’immigrazione.
Il capitolo V riguarda infine Carlo Levi e l’emigrazione. A questo
proposito, ritengo fondamentale il
fatto che Colangelo non abbia circoscritto la sua indagine a Cristo
si è fermato a Eboli, ma che abbia splendidamente tenuto conto
altresì di altre opere in prosa di
Levi come anche di poesie e quadri leviani, e finanche dei disegni
della cecità dell’artista torinese.
Inoltre, nel presente libro se da
un lato viene considerata l’opera
di Carlo Levi scrittore e pittore,
dall’altro viene doverosamente
presentato l’importante operato
in favore degli emigranti italiani
del Levi ‘politico’ o, meglio, uomo.
Reputo comunque essenziale che,
nonostante tutto, la Basilicata
non venga riduttivamente ritratta come una valle di lacrime. Non
l’ha fatto a suo tempo Carlo Levi
e non lo fa adesso nemmeno Vito
A. Colangelo.
DONATO SPERDUTO
– 26 –
FILIPPO LA PORTA,
NA RRA TORI D I U N SU D
L’A N CORA
D ISP ERSO
D EL MED ITERRA N EO
Partendo da un fenomeno esclusivamente letterario, e cioè l’emergere in questi anni di una corposa
narrativa meridionale dai tratti
ben riconoscibili, nel suo bel libro
Filippo La Porta confessa di aver
cercato di allargare la visuale e di
aver sottoposto a verifica la stessa categoria di Sud (del mondo),
così cara a Ignazio Silone. L’autore (si) pone provocatoriamente
domande del tipo: quanto è legittimamente utilizzabile nell’epoca
della globalizzazione e dell’omologazione del pianeta la categoria
di narrativa meridionale? Continua ad avere una portata non
solo geografica ma anche sociale
e culturale? Può diventare la bandiera di un’opposizione a modelli
e a sistemi di vita dominanti, tutti rigorosamente nordici?
La risposta a queste domande è
rappresentata dagli appassionanti cinque capitoli del libro
che viene giustamente presentato come un percorso letterario
insolito, fatto di cortocircuiti e di
escursioni impreviste alla ricerca del Sud perduto: dal ventre di
Napoli ai bassifondi di Marsiglia,
da Don Chisciotte al Gattopardo,
da Albert Camus a Carlo Levi,
fino al folklore da esportazione.
Si tratta di un saggio-inchiesta
che esplora in forma di tour, non
Recensioni
solo letterario, l’Italia della scrittura contemporanea, ripensando
la contrapposizione sociale tra
mondi diversi che producono letterature contrapposte.
La Porta afferma che i personaggi
di Silone, di Levi, i tristi tropici
di scrittori del Caribe, i detective di Sciascia forse non esistono,
ma attestano comunque un’immaginazione riottosa, volatile,
indisciplinata, che non ha smesso
di interrogare o di turbare la coscienza contemporanea.
Dunque, il Sud di cui parla La
Porta non concerne semplicemente il Mezzogiorno, ma comprende
l’intero Sud del mondo: la narrativa meridionale esiste anche fuori
dai confini d’Italia. E se dal punto
di vista sociale il Sud è costituito
dalla parte più povera, arretrata
sofferente ma anche più vitale del
mondo, dal punto di vista letterario questa realtà pullula di elementi contrastanti, di mentalità
tanto messianiche quanto eretiche, e di un atteggiamento millenaristico (di attesa del Regno di
Dio) e di tendenze alla rivolta.
Il libro in questione può allora essere considerato una ‘sintesi’ – in
senso kantiano –, cioè un’esposizione ‘sintetica’ delle forme
letterarie di ciò che costituisce
l’insieme del Sud del mondo. In effetti Kant intende per sintesi l’atto
di raccogliere e unificare il molteplice. Propria del processo sintetico è l’individuazione dell’unità
– 27 –
li distorce (la camorra, la mafia)
oppure sono i messaggi ad essere
sbagliati ma solo la ricerca periferica li può mettere in evidenza.
La mia personale interpretazione
è che tra questo rapporto centro
e periferia vige un rapporto
osmotico a vantaggio del centro e
a basso potenziale di scambio della periferia» (p. 91).
Trovo poi molto suggestiva la descrizione che La Porta fa di quella che può essere considerata la
multiforme filosofia del Sud: egli
la individua nella diffidenza verso la perfezione imparentata con
un’altra «...vocazione costitutiva,
FILIPPO L A PORTA. quella al narrare. La finzione romanzesca infatti ha il compito di
nella molteplicità.
Il lavoro di Filippo La Porta fa ve- riempire le insufficienze, gli inedere come i molteplici narratori liminabili scompensi della vita.
del Sud del mondo hanno un che Mentre l’esistenza che è o si sente
di comune che ne consente l’unifi- perfetta non soltanto non ha bisocazione, dando luogo alla rileva- gno del ‘contatto’ con l’altro, ma
zione di un insieme: la – multifor- neanche avverte alcuna spinta a
raccontars.» (p. 113).
me – ‘filosofia’ del Sud.
E l’Autore dà correttamente la Desidero infine sottolineare che
parola a vari narratori del Sud. nel libro in questione viene presa
Mi pare di grande interesse tra in considerazione anche la musil’altro ciò che dice lo scrittore An- ca del – o dei – Sud: Filippo La
tonio Pascale sulla narrativa del Porta manifesta apertamente di
Sud: «Non parlerei poi di Sud e non gradire i prodotti musicali di
Nord, ma di centro e periferia. Renzo Arbore che definisce pizza
Ecco quello che è interessante è napoletana da esportazione.
cercare di verificare, di volta in
DONATO SPERDUTO
volta, e in campi diversi, se è la
periferia ad inseguire il centro o
viceversa. Se insomma è il centro
a lanciare messaggi corretti che
la periferia nell’affanno di seguir-
Recensioni
– 28 –
UN LIBRO PER AMICO
A CURA DI MORENO MACCHI
“La gente dice che ciò che conta è vivere, ma io preferisco leggere.”
L. P. Smith
MORENO M ACCHI.
ROMANZO
MILENA AGUS,
MA L D I P IETRE
NOTTETEM P O
Quanto ci è piaciuto questo breve
romanzo che non assomiglia proprio a nessun altro!
Una mano nuova, una scrittura
particolarmente nervosa, precisa,
incisiva, allegra, che fa sorgere pagina dopo pagina, dapprima l’universo del dopoguerra con le sue
difficoltà ma con le piccole gioie riservate alle esistenze semplici, poi
i periodi seguenti con le loro tor-
un Libro per Amico
mentate vicende di piccole rivolte
e di grande emancipazione.
Lo sfondo è essenzialmente la solare, rossa Sardegna. Ma c’è anche
una capatina nella brumosa e affumicata Milano del boom economico e dell’emigrazione dei terùn,
come li chiamavano allora.
Un pianoforte che riempie una
vita, un’amicizia che ne sconvolge
un’altra durante un soggiorno in
una casa di cura per malati di calcoli renali (il “mal di pietre”, appunto), dei personaggi teneri, belli
e veri, legati tra loro a formare
un’originalissima famiglia. È un
universo atipico, quello che sgorga
dal racconto della soave narratrice, dolce ma energica, una narratrice attenta ai dettagli, grande
osservatrice delle passioni, delle
stravaganze, delle grandezze, dei
dubbi e delle umane debolezze.
Una storia che coinvolge quattro
generazioni di donne diversissime
tra loro, che amano scrivere e che
incrociano diversissimi destini,
ma che in comune hanno quel pizzico di follia che rende unici.
E poi c’è tutto lo charme di
quell’amore bellissimo perché
impossibile e forse perduto.
O inventato...
– 29 –
LETTERA - SAGGIO
VITTORINO ANDREOLI,
LETTERA A U N IN SEGN A N TE
RIZZOLI
«Sei un insegnante? Allora questo libro può solo interessarti!»
E se ci permettiamo di darvi del
“tu” è proprio perché così l’autore si rivolge al suo lettore.
Lettera-libro indirizzata, dunque, agli insegnanti, ma anche a
tutti quelli che per una ragione o
per l’altra con la scuola hanno a
che fare (allievi, genitori, direttori, ispettori, ecc.).
Andreoli, lavora e vive tra gli adolescenti; ne conosce quindi assai
bene i comportamenti, le passioni. Nella sua “lettera” si rivolge a
chi insegna per dirgli - tra le altre cose - che deve credere fino in
fondo a quello che fa. Sennò lasci
perdere. Un insegnante è uno che
aiuta a vivere, non deve correre
dietro i programmi che “vanno
finiti”, non deve distribuire l’illusione del sapere, deve dire cose
che fanno pensare, che fanno meditare, cose che (poi) continuano
(o dovrebbero continuare) a crescere nella testa dei ragazzi. Un
insegnante dovrebbe riuscire a
inserire i ragazzi nella storia e
nella cultura di una città, di una
nazione, del mondo. Abbiamo forse un po’ tutti dimenticato che il
sapere serve sempre, anche se
non garantisce necessariamente un lavoro o il successo, che va
considerato come un investimento e che costa - naturalmente anche un certo sforzo.
Dopo aver analizzato le discriminazioni e alcuni comportamenti
“marginali” che caratterizzano
certi allievi nel gruppo-classe,
Andreoli ci dà un certo numero di
suggerimenti (ma intendiamoci,
non abbiamo in mano un libro di
“ricette” per risolvere i “problemi
scolastici”!) per evitare le emarginazioni, le aggressioni, i comportamenti violenti, le opposizioni, ricordando però che la rivolta1
è anche spesso alla base della
creatività, perché è capacità di
dire di no, ma dopo aver valutato
le situazioni.
È poi magari utile ricordare a
certi insegnanti che il computer
(davanti al quale i ragazzi passano già molto tempo per conto loro)
è una matita un po’ più complessa, ma che rimane uno strumento del sapere. E che come diceva
Chester Himes «è un attrezzo
utilissimo nelle mani di colui che
sa, ma in quelle di un cretino è
come un revolver maneggiato da
un cieco in mezzo alla folla»2.
A buon intenditor...
un Libro per Amico
– 30 –
ROMANZO
LAURA MANCINELLI,
La casa del tempo
RACCOLTA DI TESTIMONIANZE
PIERGIORGIO PATERLINI
Ragazzi che amano ragazzi
Einaudi
Feltrinelli
Magari la trama proprio proprio
originalissima non è, anzi, ci ricorda certamente qualcosa, ma
questo garbato romanzo della ben
nota medievalista qualcosa di fresco, di immediato, di accattivante
ce l’ha.
Orlando, certo, non se li aspettava di sicuro i tiri mancini della
vecchia casa rosa della maestra,
un po’ sperduta nei campi, che
sembra tutto voler fare tranne il
piegarsi alla volontà di chicchessia. Certo, Orlando, non si aspettava né di comprarla (si chiederà
il perché di quell’assurdo acquisto
fino alla fine del romanzo!), né di
scoprirci misteriosi segreti tenuti nascosti per tanti, lunghi anni,
né di dover intraprendere – grazie a lei – un inatteso, introspettivo viaggio nel tempo su su fino
all’infanzia, ai tempi della scuola,
all’adolescenza, e ancora meno di
doverla amare...
Così tra un flash back e l’altro, tra
un avvenimento “soprannaturale” e l’altro, tra inattesi incontri
(quello strano bambino, quel rosmarino, quel gatto nero, quella
parietaria, quelle talpe), la storia
scorre via e ci porta via con sé,
stregandoci e incuriosendoci assai
piacevolmente.
Nel 1988 l’autore intraprende un
viaggio-inchiesta che lo porterà
su e giù per tutta la penisola “alla
ricerca dell’adolescenza omosessuale sommersa”. Il libro raccoglie quindi le dichiarazioni di un
significativo gruppo di ragazzi tra
i 15 e i 20 anni che – essendo fuori
dagli schedatissimi giri della prostituzione e della violenza – era
come se nemmeno esistesse.
E le cose non sembrano cambiate in modo radicale in quasi
vent’anni.
Incontriamo così Stefano, Paolo,
Luca, Antonio e molti altri ragazzi
simili a tutti gli altri, che ci parlano delle loro vite, delle loro esperienze, delle loro paure, delle apprensioni, delle inquietudini, delle
ossessioni, ma anche di terribili rifiuti da parte di genitori, amici, insegnanti, autorità. Perché le loro
vite sono del tutto normali tranne
per una cosa. Che questi “ragazzi
amano ragazzi”. Secondo le statistiche sono due a tre per classe...
Una lettura bella e sconcertante
che ancora oggi (anche se il fenomeno gay è forse un filino più
visibile) ci sembra di un’attualità
scottante.
Dopo le testimonianze vere e proprie, troviamo le bellissime lettere
che, tra la prima edizione e quella
un Libro per Amico
– 31 –
che abbiamo tra le mani, l’autore
ha ricevuto dai suoi lettori, giovani e meno.
ROMANZO
MARCO MISSIROLI,
Senza coda
Fannucci editore
Nato nel 1981 a Rimini (e quindi
giovanissimo) Missiroli pubblica il
suo primo romanzo nel 2006 e si
porta via un premio al Campiello.
Non male.... Tanto più che Missiroli si cimenta in un’ardua e assai
difficile impresa, che già in parecchi hanno tentata con risultati più
o meno felici. Pensiamo ad Ammaniti e ad Alajmo per citarne due
tra i più recenti in Italia, a Donna
Tartt, Truman Capote, Henry James e a Harper Lee per i grandi
classici americani. La sfida è quella – assai acrobatica e perigliosa
– del narrare una storia come se
la raccontasse un bambino, attraverso lo sguardo di un bambino (o
comunque di un puro) e a far sì
che l’illusione funzioni per il lettore. Abilità ce ne vuole senz’altro
perché il famoso sguardo innocente che intravediamo sulla bella
copertina (per una volta in vera
sintonia col contenuto del romanzo), lo perdiamo tutti abbastanza
presto. Troppo presto. E chi riesce
a conservarlo (o a far finta di averlo conservato) è davvero bravo.
Pietro è un bimbo che vive un po’
nella nostra realtà e molto nel suo
sogno (folli corse con il suo amico
Nino, il giardiniere, verso il mare
o ai monti, al volante della Bianca, la mitica auto decappottabile
di papà relegata sotto un telone
in garage), che inventa commoventi e particolarissime preghiere
al Bambino Gesù, preghiere dalla
chiave misteriosa e che restano un
mistero irrisolto per molte pagine.
Pietro, poi, colleziona code di lucertola (da qui il titolo del romanzo), che taglia con un affilatissimo
coltello, con molta maestria e con
la complicità di Luigi (un amichetto) o di Nino, e che conserva a non
si sa quale scopo in un boccale di
vetro. Pietro si reca poi regolarmente ma controvoglia in auto
(con madre autista e scorta) in città, una puzzolente e strana città,
da un tale Carmine, a portargli
una misteriosa lettera del padre.
Carmine, il cui ruolo nella storia
scopriremo solo progressivamente,
man mano che diventa chiaro per
il bambino... Scopriremo anche chi
è quel padre severo, irascibile, violento, manesco, terribilmente sentenzioso, ambiguo e tiranno che
esercita su tutto e su tutti il suo
strapotere.
Sorta di romanzo iniziatico dunque, nel quale le durezze della
vita si svelano gradualmente al
piccolo Pietro, in un lento tirocinio, una vita dura come può esserlo quando ci si mette di buzzo
buono. Scritto con stile limpido,
semplice ma estremamente curato
un Libro per Amico
– 32 –
ed efficace, «Senza coda» piacerà
senz’altro a chi ama avventurarsi
in quei romanzi che hanno un che
di intimistico e di fresco, con una
punta di mistero e quel che basta
di tristezza.
RACCONTO TEATRALE
ERRI DE LUCA,
L’ultimo viaggio di Sindbad
Einaudi
Il regista Maurizio Scaparro, nel
2002, ha dato l’incarico al nostro
autore di imbastire “qualcosa” sul
personaggio di Sindbad.
Il marinaio delle Mille e una notte
diventa quindi il personaggio/pretesto di questo brevissimo testo (49
pagine di cui alcune riempite solo
a metà) nel quale De Luca affronta in modo elegante e scarno (per
non dire ellittico) il tema scottante dell’emigrazione clandestina.
Sindbad è qui il capitano di una
vecchia nave che nasconde nella
stiva un impressionante carico di
emigranti, che sono in viaggio verso le coste italiane, specie di terra
promessa o novello Eden per quei
disperati fuggiaschi. Un tema caro
a molti autori quello dell’emigrazione (da Baricco a Sciascia), che è
qui trattato in modo nuovo perché
avulso dal tempo e quindi investito di una dimensione terribilmente
universale. Echi biblici, mitologici
e letterari (Dante, Caronte, Moby
Dick, Giona, Mosè, Paolo di Tarso,
Noè, Gesù di Nazareth...) punteg-
un Libro per Amico
giano un testo bello e ricco che non
dimenticherete tanto presto.
TESTI BREVI
ERRI DE LUCA,
FOTOGRAFIE DI DANILO DE MARCO
UN P AP AVERO ROSSO ALL’OCCHIELLO
SEN ZA COGLIERN E IL fiORE
OLM IS
Testi rari, testi che furono assai
difficili da trovare prima di questa bella raccolta dal formato più
piccolo di un normale tascabile,
stampata su carta patinata arricchita da alcune splendide foto di
Danilo de Marco, complice e amico dell’autore.
Sono quelli che De Luca scrisse
per il quotidiano Il manifesto tra
il 1998 e il 1999 e per L’avvenire
nel luglio del 20003.
Tesi brevissimi (lo spazio nelle
ERRI DE LUCA.
– 33 –
pagine dei quotidiani è spesso
imposto. Purtroppo per certi, fortunatamente per altri!); testi belli nella loro semplicità intensa ed
essenziale, quasi lapidaria; testi
molto incisivi che affrontano temi
diversissimi tra loro, da quello
dell’inevitabile e inarrestabile
immigrazione da tutti i possibili
sud, a quello della violenza, dell’odio, del perdono, degli acquisti
natalizi, del timor di Dio (e altri
timori più o meno ingiustificati),
o ancora a quello della poesia,
della rima, della canzone. Testi
che coinvolgono, testi che sembrano istantanee, ma di quelle che
ti pongono un problema, che ti
fanno cambiare lo sguardo sulle
cose; testi che sono decisamente
pre-testi per parlare di umanità,
di incomunicabilità, d’amore universale, di tolleranza.
De Luca fa parte di quegli scrittori che l’azzeccano di più col testo corto, perché fa parte dei pochi eletti che posseggono quello
sguardo acuto sulle piccole cose
che noi poveri mortali non vediamo nemmeno, e che ne sanno cogliere sostanza, significato, messaggio, monito.
TESTO BREVE
ERRI DE LUCA,
IN N OM E D ELLA M A D RE
mo ribadire che nel genere “testo
breve” è un vero asso), dovremo
servirci di un insolito aggettivo.
Un aggettivo che forse non sarebbe d’uopo usare per un libro.
Osiamo. Questo è un testo dolce.
Dolce per il soggetto trattato con
estremo garbo e tanta delicatezza, dolce perché per scrivere un
libro così ci vuole tanto amore,
tanta leggerezza, tanta tenerezza. Come parlare di Miriàm/Maria e dire cose non ancora dette,
come toccare (sfiorare sarebbe
meglio) un tale argomento senza
rischiare di piombare nella facilità, nella banalità nel già visto,
già letto, già sentito? Sì è possibile, ma solo usando un frasario
semplice e tuttavia ricercatissimo, dove nulla è superfluo e tutto
è essenziale, dicendo unicamente
l’indispensabile per giungere al
cuore del lettore più che al suo
cervello. Ci verrebbe da dire la
sua anima, ma non vogliamo neppure noi cadere nella tentazione
della faciloneria. De Luca volteggia sul filo del rasoio. Senza passi
falsi, senza acrobazie retoriche,
senza trucchi. Da vero trapezista.
Così. Con grande abilità e con la
tenuità del grande scrittore. Dolcemente, ma con sicurezza.
FELTRIN ELLI
Ecco, per quest’altro breve, recente testo di De Luca (dobbia-
un Libro per Amico
– 34 –
SAGGIO
PIETRO CITATI,
LA M ORTE D ELLA FA RFA LLA
MON D A TORI
Chi ci legge sa che le nostre preferenze vanno - generalmente - al
romanzo, o in ogni caso al testo
narrativo. Parranno quindi magari un po’ strane queste righe dedicate a un testo che di romanzesco
non ha proprio nulla. Ma Fitzgerald è da sempre uno dei nostri
due o tre autori preferiti e pensiamo del resto che The great Gatsby
sia uno dei migliori romanzi in assoluto del secolo scorso...
Affrontare due mostri sacri come
Francis Scott Fitzgerald e sua
moglie, l’inquietante, splendida, esotica ed enigmatica Zelda
non è assolutamente impresa da
poco. In più, potrebbe sembrare
un progetto non solo rischioso ma
anche relativamente superfluo,
visti gli oceani d’inchiostro già
versati su di loro. Non è così. Citati si muove in modo nuovo tra i
due personaggi quasi leggendari
che hanno formato la più celebre
coppia dell’America degli anni del
charleston e riesce a buttare nuova luce sulla loro enigmatica, passionale e tragica relazione, che si
muove tra pesanti eredità, fiumi
di alcool, impensabili stravaganze, allucinanti e allucinati viaggi,
epiche notti brave (o prave?), litigi
burrascosi, separazioni, veri o presunti tradimenti, riconciliazioni,
un Libro per Amico
megalomanie, metamorfosi, vani
tentativi di non dilapidare fortune
colossali e (non molto) ordinaria
follia. Sembra così di penetrare
con loro in un mondo ancora più
smodato e improbabile di quello
della felliniana Dolce vita: i due
fanno bagni vestiti nelle fontane,
viaggiano sul tetto dei taxi, improvvisano spogliarelli durante le
rappresentazioni teatrali, si picchiano con i poliziotti, si prendono
sbornie disperate, sciupano, dissipano, distruggono e pensano di
poter rendere felici tutti gli esseri
umani. Si attorniano così sistematicamente di gente, troppa gente.
E credono che quelle persone siano persone vere, mentre erano soltanto la proiezione dei dèmoni che
portavano dentro di sé.
Forse, i due, nel profondo, avrebbero voluto che la realtà non esistesse.
Malgrado quello che scriverà Scott:
«Saremmo stati molto più felici
se io avessi sposato un’altra donna e lei un altro uomo», la coppia
sembra indissolubile, inscindibile,
L’uno non può assolutamente fare
a meno dell’altra: Zelda disegna
con grande abilità, su immacolati
fogli, i personaggi che Scott non
riesce a visualizzare per il suo Gatsby; Scott copia le lettere e i diari
di Zelda inserendoli di nascosto
nei suoi romanzi.
Audace (ma per nulla ingiustificato) il paragone di Citati con l’opera
di Proust e col suo famoso temps
– 35 –
che inesorabilmente passa, colle
sensazioni che non durano ma che
rendono immensamente felici, in
una quasi estasi impossibile da
condividere...
SAGGIO
PIETRO CITATI,
LA COLOM B A P U GN A LA TA
MON D A TORI
Non capita spesso che un saggio
si legga come un piacevolissimo
romanzo...
Entusiasmati dal testo qui sopra,
ci siamo buttati a capofitto su un
quest’altro scritto, che Citati proponeva qualche anno fa4 e che
- chissà perché - non abbiamo notato malgrado il nostro pluriennale interesse per la letteratura
francese.
Anche qui l’autore non scherza
e affronta ancora un gigante del
romanzo, lo stesso che era “sfuggito” ad André Gide, che ai tempi
ne aveva rifiutato il manoscritto
(ciò che per anni ha fatto piangere l’editore Gallimard5); nientepopodimenoche l’immenso Marcel
Proust.
Sul quale hanno scritto praticamente tutti i grandi della critica mondiale da Alain de Botton6
a Jean-Yves Tadié7 passando
per Samuel Beckett8, Gérard
Genette9 e Jean Rousset10 solo
per citarne alcuni.
Nelle pagine di Citati incontriamo
sì - evidentemente - il “personag-
gio” Proust, “sempre schiacciato da
una perpetua stanchezza”, “malato di tutte la malattie”, in guerra
perpetua contro le correnti d’aria,
“che sembrava un Pierrot” -al
punto che qualcuno gli chiese perfino di recitare la parte del lunare
personaggio in una commedia-,
grande esploratore dell’universo
della sofferenza e del dolore. Ma
assistiamo anche alla sfilata di un
corteo di figure dell’epoca, fasciate nei loro preziosi, elegantissimi,
ineccepibili abiti. In ordine sparso ricorderemo: Anne de Noailles
(che gli fa scoprire l’arte del fondu, arte suprema dei maestri che
Proust utilizzerà con grande maestria nella sua Recherche), il dandy Robert de Montesquiou-Fezenac (che oltre ad aver scritto delle
noiosissime Memorie ispirerà - a
detta di molti - il personaggio di
Swann), la contessa de Fitz-James
(“abito di popeline nero, ombrello
PIETRO CITATI.
un Libro per Amico
– 36 –
blu incrostato di turchesi”), Reynaldo Hahn (cantante e musicista
di gran talento e amico-amante),
Lucien Daudet (che rimpiazzerà
Hahn nel cuore di Marcel) e molti
altri di cui fu complice, corrispondente, ammiratore, amico. Da non
dimenticare, poi, l’imponente (e
assai ingombrante) figura della
madre dello scrittore, Madame
Proust, vera incarnazione della
civiltà borghese francese; madre
onnipresente, dittatoriale e asfissiante (non per nulla Marcel soffrirà d’asma per tutta la vita)11,
maestra del ricatto affettivo a cui
Marcel era legato da un indissolubile, morboso legame.
Citati ci fa così “riscoprire” la
figura del romanziere, prima attraverso un’intelligente lettura delle
sue opere giovanili (Jean Santeuil,
Contre Sainte-Beuve, Les Plaisirs
et les Jours), che come poche altre nella letteratura mondiale “ci
conducono [così] vicino al mistero della creazione artistica” e poi
naturalmente grazie a uno sguardo in cinemascope sulla genesi
sul suo capolavoro che purtroppo
- malgrado l’“eccesso di volontà”
dell’autore - rimase incompiuto; il
celeberrimo A la recherche du temps perdu.
Per tutti quelli che vogliono
saperne di più.
ROMANZO
BEPPE FENOGLIO,
LA M A LORA
EIN A U D I
Fa bene ogni tanto ritornare ai
“classici”, anche perché - nella marea delle novità - è facile perdersi o
magari lasciarsi invischiare negli
“effetti moda” che ci strombazzano
in faccia troppi nomi di troppi presunti nuovi geni della letteratura.
E questo un “classico” lo è
senz’altro.
Pubblicato per la prima volta nel
1954, scritto con uno stile scarno
ma nitido e pulito con invenzioni
linguistiche originali, il racconto (abbiamo detto romanzo, ma è
un romanzo molto breve) narra
la semplice storia di una famiglia delle Langhe. Una famiglia di
una povertà che abbiamo troppo
in fretta dimenticata “grazie” al
BEPPE FENOGLIO
un Libro per Amico
– 37 –
boom degli anni ’60. La povertà
della campagna, quella che raccontava papà, quella per via della
quale le famiglie - raccolte intorno
al tavolo di cucina – insaporivano
la polenta intingendola (si fa per
dire) in un’acciuga sospesa a un
filo che pendeva dal soffitto e che
durava giorni e giorni... Quella povertà che prometteva come “tredicesima” un paio di pantaloni nuovi
se si era lavorato bene e sodo tutto
l’anno. Molto sodo. Pantaloni che
poi con una scusa o con l’altra (il
raccolto misero, il gelo traditore,
la tempesta improvvisa e devastatrice, una bestia morta...) non si
ricevevano mica sempre. Storie di
sensali che combinavano poverissimi matrimoni, dove la sposa portava in dote quattro marenghi (se
il marito li valeva) e per i quali si
imbastivano “sontuosi” banchetti,
dove la gallina e il suo brodo erano
un lusso, il salame uno stravizio,
il vino un rarissimo nettare. Storie di contadini che si storpiano a
forza di piegarsi sotto il giogo dei
padroni. Storie di donne che continuano anche malate ad accudire
mariti figli e nipoti e a far quadrare lo scheletrico bilancio. Storie di
ragazzi che sognano un’altra vita
ma che la campagna non molla,
tranne se vanno a studiare in seminario in città, dove però la vita
è altrettanto grama.
Troppo in fretta la generazione
del telefonino, della Mercedes, delle vacanze ai Carabi (o più lontano
che è ancora meglio) e dell’internet ha scordato da dove veniva.
Ricordarlo un po’ ogni tanto fa
anche bene.
Torniamo quindi a qualche
“classico”...
ROMANZO BREVE
NATALIA GINZBURG,
LA STRA D A CH E V A IN CITTÀ
EIN A U D I TA SCA B ILI
Questo testo (il primo dell’autrice) scritto nel 1941, sprigiona una
freschezza incredibile. Non ha una
ruga. Sembra scritto ieri. O oggi.
E dire che la Ginzburg lo pubblicò
sotto lo pseudonimo di Alessandra
Tornimparte. Per fortuna lo abbandonò quasi subito. Lo pseudonimo.
Ripubblicato poi con altri testi nel
volume Cinque romanzi brevi, è
ora disponibile separatamente. Ed
è veramente da (ri)scoprire questa
storia di una famiglia, di una relazione, di un matrimonio d’interesse, di un parto, ma soprattutto
di una donna che vuole crescere.
In fretta. Troppo. Una storia che
ci fa rivivere un’Italia di ieri così
diversa da quella che conosciamo,
nella quale la vita di città e quella della campagna sono separate
da un baratro, non sempre facile
da varcare, nemmeno per chi ha
vaste ambizioni. Una città e una
campagna che non hanno nome e
che potrebbero situarsi ovunque
nella penisola, nelle quali evolvono la narratrice (Delia) e tut-
un Libro per Amico
– 38 –
ti quelli che le orbitano intorno,
dalla sorella cittadina, mondana,
spregiudicata e adultera, al fratello che intesse affari poco chiari e
relazioni che non lo sono di più, al
cugino amato/respinto che finisce
nella spirale dell’alcool, ma la cui
presenza apre e chiude il romanzo.
Non dite «Sì, ma la Ginzburg....».
Leggetelo!
RACCONTI
NICCOLÒ AMMANITI,
FA N GO
Oscar Mondatori
Un vero fuoco d’artificio (scoprirete velocemente perché...) il primo
racconto della raccolta12. Un infernale (e abbastanza letale) count
down scandisce la notte di San
Silvestro di un non meglio precisato anno (la datazione si limita a
199...), in un quartiere residenziale (si suppone di lusso), a Roma,
sulla Cassia: il “Comprensorio delle isole”, che include due eleganti palazzine, la palazzina Ponza
e la palazzina Capri. Un elevato
numero di personaggi (non temete, è IMPOSSIBILE confonderli!)
si ritrovano concentrati proprio
lì per ragioni assai svariate. Chi
per suonare l’arpa (!) al Lupo
mannaro (la discoteca del rione),
chi per suicidarsi, chi per rubare,
chi per vizio, chi per mestiere, chi
per regolare definitivamente una
pendenza amorosa, chi semplicemente per festeggiare la fine del-
un Libro per Amico
l’anno (del millennio?). Ammaniti
accumula eventi e una coloratissima galleria di personaggi più o
meno strani, assatanati dal sesso,
innamorati del denaro, allucinati
dalle droghe e dai solventi (sic!),
disgustati da tutto, alla ricerca
di qualcosa, spiritati, nostalgici
del fronte (quale?); bonaccioni alcuni, infingardi gli altri, ma tutti
evocati con qualche tratto decisamente originale. Una tragicomica
sarabanda quindi, che finisce in
modo comunque poetico e con un
“messaggio” di speranza da dopo
diluvio universale. Belle alcune
trovate, belle molte invenzioni,
stile ginnicamente snello, da assaporare per dimenticare tutte le
preoccupazioni.
P.S.: Gli altri racconti ve li
lasciamo scoprire.
RACCONTI IN COSTUME
VITTORIO ZUCCONI,
STORIE D ELL’A LTRO M ON D O
OSCA R MON D A D ORI
Se il titolo non ci dice un gran
che, il sottotitolo ci informa meglio sui contenuti del volume, indicandoci che si parlerà qui de La
faccia nascosta dell’America. Infatti, Zucconi è andato a scovare
storie di varia attualità e cronaca, curiosità e fattacci a volte allucinanti, a volte raccapriccianti,
spesso divertenti, ma sempre singolari e originali presi in prestito
dalla cronaca più o meno “nera”
– 39 –
degli Stati Uniti d’America, che
ci racconta in brevi capitoletti di
una o due pagine e mezza al massimo. Ottima occasione per chi
ha voglia di addentrarsi nei labirintici e sorprendenti retroscena
di quel grande paese che tende
(troppo) spesso a esser presentato su carta patinata o in pacchetti
regalo ricchi di glamour e nastrini. Leggiamo quindi queste piccole storie di varia umanità che
vanno a frugare dietro le quinte
e che ci parlano di bambine truccate come vamp (e che come certe
vamp fanno una ben triste fine),
di giornaliste che devono farsi
strada nello spietato mondo maschile a colpi di... spogliarello, di
nonne che decidono di pagare in
blocco i parcheggi degli studenti
universitari chiusi nelle aule a
studiare prima che i poliziotti di
turno gli appioppino una contravvenzione e che poi vengono condannate ma subito riscattate dal
pubblico osannante, di cacciatori
condannati per aver ucciso lupi
(non mannari, lupi tout court), di
genitori-gangster, ecc.
«Meglio un marito assassino una
volta alla settimana che un marito
noioso tutti i giorni» recita la “morale” (e chiamala morale!) di uno
degli spaccati di vita, nel quale si
racconta di una signora che, annoiata dal marito assai ricco, dapprima si dedica alle opere di bene
andando a visitare i carcerati, poi
decide di divorziare e di sposarsi
con un serial killer rinchiuso nel
braccio della morte, che può andare a trovare - appunto – solo
una volta alla settimana...
Con brio e con un costante umorismo che va dal faceto al decisamente cinico, Zucconi dispiega
una carrellata di ritratti, di storie
e di personaggi tutta da scoprire
e da godere.
Ideale per chi ama la letteratura
da centellinare e per chi teme di
lanciarsi negli enormi (e a volte
noiosissimi) polpettoni estivi di
varia provenienza...
ROMANZO
CARMINE ABATE,
IL M OSA ICO D EL TEM P O
GRA N D E
MON D A D ORI
Esattamente come le tessere di
un mosaico o come i tasselli di un
puzzle gli uni negli altri con precisione s’incastonano formando
disegni e immagini limpide e godibili per i nostri occhi, così i capitoli del romanzo, organizzandosi
pazientemente nella nostra mente
e trovando ognuno il suo posto, ricompongono poco a poco le vicende
parallele (nello spazio ma non nel
tempo) di Antonio Damis e Drita,
di Michele (il narratore neo-laureato) e della bella Laura (sempre
affiancata dal suo fratellino Zef,
ammirato e amato da tutti malgrado il suo caratterino piuttosto
“selvatico”) e quella ben più antica
del papàs Dhimitri Damis, sorta di
un Libro per Amico
– 40 –
patriarca, che fondò una comunità
albanese in Calabria dopo la fuga
dall’originario villaggio di Hora in
Albania, incendiato dagli invasori
turchi e dei suoi successori tutti
implicati nella ricerca di un fantomatico tesoro...
Ricchi di colori, di sfumature e
d’avventure, i personaggi sembrano uscire da rare, pregiate icone o
da preziose cappelle bizantine e
sgranano davanti ai nostri occhi
il rosario variegato delle loro intrepide vite. La sottile analisi dei
sentimenti dei personaggi e del
loro agire che intreccia la storia,
è accompagnata da splendide descrizioni delle loro apparizioni (in
assolo o in gruppo), quasi come se
d’un tratto venissero colti dalla
luce di un riflettore e sorgessero
dal buio per abbagliarci. Non potremo così scordare quegli sguardi
intensi, quegli occhi azzurri come
l’acqua del mare quando lambisce
la riva, o allora scuri e profondi
come fiamma che si cela sotto la
cenere, quei visi che rivaleggiano
con quelli di santi o di madonne e
che sembrano brillar di luce propria come meteore che attraversino la nostra lettura.
Di storie di rifugiati, profughi ed
emigranti ne abbiamo lette a iosa.
Questa ci è sembrata particolarmente bella perché dolce e violenta al tempo stesso, misteriosa
e affascinante, sospesa tra racconto, storia e leggenda, trattata
poi con stile sicuro e incisivo, che
un Libro per Amico
ricorda, qui, i toni dell’epopea, là
quelli del romanzo d’amore della
migliore tradizione; stile sostenuto da audaci metafore e da tutto
l’apparato retorico13 che deve arricchire l’opera letteraria, nonché
da un uso abile e preciso della
lingua. Così anche quando i personaggi parlano nel loro antico e
per noi strano idioma, ci accorgiamo che – inspiegabilmente - li capiamo benissimo anche senza le
famose note a piè di pagina...
ROMANZO
ELENA FERRANTE,
I GIORN I D ELL’A B B A N D ON O
ED IZION I E /O
Dubbi, rabbie, disperazioni, rivolte, sofferenze (come evitarle in
caso di abbandono?), di una donna piantata in asso da un marito
che, un giorno, viene colto da un
improvviso “vuoto di senso” (non
di sensi!). Dopo questa prima fase,
subentra quella caratterizzata
dall’affannosa voglia di sapere
chi è l’altra lei e dove abitano quei
due e naturalmente cosa fanno
insieme (e qui si apre il ben noto,
inverosimile, variabile e sempre
assurdo ventaglio delle probabili e improbabili azioni eseguibili
da due amanti, che noi tutti abbiamo elencato almeno una volta
nella mente).
Però l’assurda speranza che l’essere amato torni abita sempre e
comunque l’abbandonato/a di tur-
– 41 –
no. Così la
narratrice
aspetta
pazientemente che
il marito
ritorni a
casa come
(purtroppo) tornano
puntualmente
(alla stagione giusta) le formiche nel suo appartamento. In lunghe file nere
(minacciosa metafora di altri
tenebrosi avvenimenti) e perfettamente restie a tutti gli stratagemmi escogitati negli anni per
farle secche...
Il risultato di tale esacerbata attesa è che così, il marito assente
è sempre più presente nei ricordi,
nell’ira, nei rimproveri (verbalizzati e no) dell’infelice donna-madre-ex moglie.
L’abbandono, si sa, è poi sempre
accompagnato da deleteri effetti
collaterali. Quali? Per esempio
nelle relazioni con gli amici (di
lui, di lei). Ci sono quelli che restano ma soprattutto quelli che
ci mollano – codardamente e vigliaccamente – nelle difficoltà...
I servizi pubblici dalla tentacolare burocrazia che non dà presa
all’utente nascondendosi dietro
metalliche, scoraggianti segreterie vocali o fantomatici scher-
mi di computer o ancora dietro
“porte allarmate” (cioè dotate di
allarme), da parte loro, non hanno assolutamente nessuna pietà
dell’abbandonato/a e sembrano
divertirsi sadicamente a tagliare
forniture di gas, d’acqua o di elettricità nonché gli allacciamenti
telefonici non regolarmente pagati...
La solitudine sfocia allora in affannose quanto vane ricerche, in
avventurose spedizioni che si vorrebbero investigative (e magari
punitive), in una spettrale Torino invasa dalle boutiques e dalla notte, ma comunque divorata
dalle imponenti vestigia del suo
glorioso passato fino a che.
Non diremo di più.
Uno stile rapido e incisivo, quello
della Ferrante, ricco di originali
paragoni e acrobatiche figure retoriche, percorso (purtroppo) qua
e là da una vena di turpiloquio
(a Roma si dice che la parolaccia
“quando ci vuole ci vuole” ma a
noi sono sembrate tutte assolutamente inutili), uno stile che le
permette di sostenere senza troppi artifici le tre storie che si intrecciano. Quella della gioventù
della narratrice coi suoi colorati
personaggi, quella dell’abbandono propriamente detto e quella
della coppia (ora) separata.
un Libro per Amico
– 42 –
ROMANZO
GIANRICO CAROFIGLIO,
IL P A SSA TO È U N A TERRA STRA N IERA
RCS LIB RI MILA N O
Nato a Bari nel 1961, l’autore è sostituto procuratore antimafia nella stessa città. Ha esordito nella
narrativa nel 2002 con il romanzo
Testimone inconsapevole seguito
poi da Ad occhi chiusi. Questa è
dunque la sua opera terza. L’attività professionale del Carofiglio
spiega forse (anche se siamo lungi dal pensare che nei romanzi si
debbano/possano cercare elementi
autobiografici, vezzo ancora abbastanza frequente in certa critica
letteraria) l’interesse per la trama decisamente poliziesca di uno
dei due fili narrativi del romanzo.
Certo è che lo scenario della storia
è proprio Bari, la città dell’autore,
che questi deve conoscere per filo
e per segno nei suoi meandri più
nascosti e nelle sue più occulte attività... Ed è qui che si intrecciano
le trame delle due storie parallele. Seguiamo quindi da una parte
il percorso iniziatico del giovane
Giorgio (il primo narratore) che
abbandona i suoi pur riuscitissimi studi di giurisprudenza per
scoprire le oscure vie tutte in discesa del male, grazie a una particolare e assai ambigua amicizia
con Francesco, un prestigiatore/baro professionista dal fascino
misterioso e oscuro che seduce sia
le donne che gli uomini. L’altra
un Libro per Amico
storia (più breve e come incastonata nell’altra) è quella dell’inchiesta del tenente dei Carabinieri
Chieti, che indaga su una serie di
delitti a sfondo sessuale compiuti
da un fantomatico stupratore, raccontata - questa - da un narratore
anonimo.
Se sommiamo l’eterna rivalità tra
le forze di Polizia e il corpo dei Carabinieri, un po’ di giro di droga,
quel che ci vuole di sesso (moderato), un pizzico d’avventura, il giusto suspence, un’inchiesta di puro
stampo poliziesco e un magistrale
colpo finale, otteniamo come risultato un ottimo “thriller psicologico”
di bell’effetto e di gradevole lettura con sottilissime osservazioni di
costume e di società.
CITAZIONI
GLI STUDENTI DI COMIX,
SP U TTA N A IL P ROF
GLI STRA FA LCION I D EI P ROFESSORI
Mondadori
Sono note a tutti le famose “perle
d’allievo” che già fecero la fortuna
di vari astuti insegnanti ed editori
e che ora circolano sulle autostrade dell’internet.
Ecco invece, fresca fresca di stampa, un’esilarante raccolta di frasi, esclamazioni, osservazioni e
affermazioni più o meno logiche
e pertinenti di una bella serie di
professori delle scuole superiori di
tutt’Italia raccolte dagli studenti.
Quest’opera, nata da un’idea as-
– 43 –
solutamente
geniale (perché certe idee
vengono sempre solo agli
altri?) ci offre
un divertente
specchio (deformante ma
non poi così
tanto...) degli
insegnanti contemporanei tra buffi lapsus, incredibili e allucinanti scivoloni grammaticali, tic di
linguaggio, spropositi vari, errori
storici, gaffes letterarie, cadute di
stile e perfino un briciolo di freudiano turpiloquio ma molto soft.
Certi prof (per fortuna indicati dalle sole iniziali) dovrebbero
sprofondare due o tre metri sotto
terra, fulminati dal ridicolo (che
come si sa, purtroppo, non ha mai
ucciso nessuno) o dalla loro involontaria (speriamo...) ignoranza.
Ma non è tutto. Se i contenuti sono
autentici (e non ne dubitiamo),
aldilà delle clamorose cantonate
stilistiche e sintattiche degli insegnanti, questo libricino ci offre
tra le righe (e tra un sorriso e l’altro) uno spaccato assai inquietante del mondo dell’insegnamento,
poiché ci propone un ritratto di
una situazione scolastica che sta
andando decisamente alla deriva,
ma che soprattutto sta sfuggendo
di mano a direttori, insegnanti e
autorità politiche varie, quest’ultime ben più interessate da “altri”
problemi (di gestione, di marketing, d’immagine, di produttività,
di compatibilità con le richieste e
gli imperativi dell’economia o con
la piatta ideologia imperante, e
via elencando) che da quelli puramente pedagogici, etici, filosofici,
morali o semplicemente umani.
Infatti certi interventi, certe reazioni degli insegnanti (a volte
decisamente esilaranti a volte assolutamente patetici per non dire
tragici), ci permettono di indovinare (anche senza grandi sforzi) che
c’è qualcosa di marcio nel sistema
scolastico, qualcosa che proprio
non funziona più, un disagio, una
discrepanza, una sicura inadeguatezza tra quello che la scuola
è diventata e quello che dovrebbe/potrebbe essere, tra quello che
propongono gli insegnanti e quello
che decidono quelli che decidono,
tra quello che si aspettano gli studenti e quello che viene loro propinato/proposto/imposto/inflitto da
quelli che detengono il potere (e
non sono certo i prof!).
Purtroppo non è un problema che
riguarda solo la vicina penisola.
Chi ha oreccchie per intendere...
E allora, per invogliarvi alla lettura, vi proponiamo qui sotto un
breve “assaggio” delle 174 demenziali pagine.
«Non preoccuparti, non è la prima
volta che promuoviamo gli acefali».
«L’idrogeno si deve attaccare all’ossigeno, altrimenti dove si attacca?
Al tram?».
un Libro per Amico
– 44 –
«Ma cosa andate a fare la campestre?... Voi vincete solo la maratona delle chiacchiere!».
«Non dico che siete degli scemi,
però è possibile».
«Nella vostra classe c’è molto spirito organizzativo: ognuno si fa i
cavoli propri!».
«Tra un po’ mi chiederete di uscire anche per andare a farvi la
permanente».
«Se vedo ancora volare qualcosa,
vola anche qualcuno di voi!».
«Voi volete il venerdì islamico e
il sabato ebraico. La domenica
siete scrupolosamente osservanti.
E vorreste anche il lunedì dei
barbieri?».
E per finire, su un bollettino scolastico di un allievo che doveva essere particolarmente brillante:
«Gli riesce bene fare il rumore delle moto!»
Basta così. E non sono le migliori!
ROMANZO
MASSIMO MARCOTULLIO,
IL SA N GU E D ELLO SCORP ION E
PIEM M E
A qualcuno piace orientale, a qualcuno nordico, a certi medievale,
ad altri quelli che si svolgono nel
1666 (guarda caso...14). A noi piacciono tutti, a condizione che siano
ben scritti, avvincenti e magari
anche con qualche altra qualità.
Parliamo dei romanzi polizieschi o
pseudo-polizieschi. Ci piacciono soprattutto le sfide. Questa conta 574
un Libro per Amico
pagine. Ma come diciamo sovente,
se un romanzo è bello, la lunghezza prolunga la durata del piacere.
Allora buttatevi senza esitare sul
testo dell’autore di Pavia, autore
dai molteplici interessi (disegnatore di fumetti, musicista, direttore
di teatro lirico, novelliere) e non
certo alle prime armi col romanzo.
Veri e falsi mendicanti associati in
confraternite (più o meno a delinquere), frati gesuiti ritrovati con
la testa mozza (no, niente a che
vedere con il celeberrimo Nome
della Rosa), un rissoso, irascibile
e squattrinato pittore dal significativo nomignolo di Fulminacci
(abilissimo spadaccino), alti, medi
e bassi prelati, la regina Cristina
di Svezia e Luigi XIV, la Santa Inquisizione (impersonata dal gelido
e sanguinario Bernardo Muti, sorta di fanatico Savonarola), papi e
cardinali, cartomanti, scienziati,
moschettieri dall’accento franscese e tutta una carrellata di personaggi coloratissimi sfilano davanti
ai nostri stupiti occhi per intricare
(ma fortunatamente anche per dipanare) una ben congeniata matassa, in una Roma Secentesca a
tutto tondo, con le sue chiese e i
suoi teatri, con i suoi quartieri
malfamati e i suoi sfarzosi palazzi, i suoi mitici colli e i tuguri di
Trastevere.
Romanzo di cappa e spada o poliziesco? Romanzo d’azione o romanzo d’intrigo? Romanzo storico
o thriller? Forse un ottimo cocktail
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di tutto ciò. Di ispirazione francese o vittoriana? Poco importa in
fondo quale sia il modello a cui
s’ispira Marcotullio. L’essenziale
è che l’autore ci fornisce un testo
avvincente, dall’elaborata ambientazione storica e dall’azione
sfrenata, nella migliore tradizione
romanzesca.
ROMANZO
PINO ROVEREDO
CA P RIOLE IN SA LITA
BOM P IA N I
La difficile infanzia tra due genitori sordomuti, al fianco di un padre vittima del SE (se fossi stato,
se avessi avuto...) e della bottiglia,
di una madre attenta e modesta,
tutti e due sempre impegnati a
tentar di buttar fuori dalla finestra quella miseria che subito
rientrava dalla porta, il “Palazzo
dei Bambini Tristi” (denominazione gergale del collegio dei figli
dei poveri), il “Paradiso” (sorta di
night club o dancing) dove il narratore subisce il rito d’iniziazione all’alcool; la “Casa dei Pazzi”
(dolce eufemismo per manicomio)
dove vien mandato chi manca di
controllo sui propri nervi e dove il
narratore espia il vizio del bere e
si ripromette (molte, molte, molte
volte) di non cascarci mai più, la
questura, l’orrore della prigione
(nella quale si fanno chilometri
camminando praticamente sul
posto, dove non c’è “né Patria né
Religione perché si è tutti figli
della catena”), l’isolamento, poi il
matrimonio e la famiglia, il lavoro
(o meglio i tentativi di mantenere
per più di qualche giorno o settimana un modesto impiego), e le
immancabili tristi ricadute...
L’esistenza insomma di un autore che - con assai abile penna - sa
raccontare quello che ha vissuto,
intessendo una splendida autobiografia che si legge come un romanzo. Un romanzo la cui storia inizia
nelle profonde tenebre della miseria e della spazzatura giovanile
per poi volare verso la luce.
Attorno al narratore sfila una ricca e variopinta galleria di personaggi, stigmatizzati per lo più da
una lapidaria definizione: Davide,
quello bello che perciò ottiene tutto senza fatica; Gigi, il cinquantenne con il portamento da vecchio
conquistatore; Teresa, il cui viso fa
rima perfetta con sorriso; Marisa
che mente spudoratamente solo
sull’età; Silvano il sordomuto che
PINO ROVEREDO.
un Libro per Amico
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fa finta di cantare e che non sa che
gusto ha la musica, o ancora Giacomo, un giovane che vive controvento. Alla fine di alcuni capitoli,
poi, i ritratti e le storie di questi
personaggi vengono più ampiamente sviluppati.
Sullo sfondo del racconto, in filigrana, l’Italia degli ultimi anni
’60, con la sua musica beat (“molto rumore e poca musica”), quella
dei ’70 e del boom economico con le
sue fabbriche e i suoi cantieri, poi
quella degli ’80 che vede il narratore uscire dal suo incubo.
Forse meno incisivo del successivo
Mandami a dire, il testo è comunque forte, piacevole da leggere e di
veramente ottima fattura.
ROMANZO
ANDREA VITALI,
OLIV E COM P RESE
GA RZA N TI
Un vero fuoco d’artificio questo
spumeggiante romanzo del medico-autore comasco!
Su uno sfondo abbastanza soft di
Italia fascista (1936 e dintorni con
qualche flash back) si intrecciano
le sorprendenti storie della pittoresca sarabanda dei personaggi
(c’è tutta una città!) di questo romanzo-fiume dalle imprevedibili
svolte e dagli improvvisi (e inattesi) ribaltamenti. Personaggi dai
nomi assurdi (ma dove è andato
a scovarli? Nei cimiteri come la
Rowling, la mamma di Harry
un Libro per Amico
Potter?15) ci coinvolgono in trame
demenziali, in intrighi pazzeschi
e inimmaginabili, in inchieste poliziesche arzigogolate, in storie di
scherzi e di vendette ingarbugliate ma assolutamente logiche e
imparabili. Il tutto portato avanti
con una sicurezza e una maestria
da vero equilibrista della parola
(un vero fuoco d’artificio verbale!) e della struttura romanzesca.
Sì, perché il romanzo è costruito,
come un meccanismo a orologeria, come un incredibile puzzle
che non dà respiro né tregua al
lettore, il quale si trova rapidissimamente intrappolato in una
matassa di fili da districare, in
una vera ragnatela sapientemente architettata, che lo avviluppa
e che lo obbliga a seguire di qua
e di là il narratore, che – in cortissimi capitoli – lo conduce dove
gli pare nel tempo, nello spazio
e nelle diverse azioni. E quando
si è catturati, poco importa l’ora,
si va avanti con la nota tecnica
dell’«ancora un capitolo e dopo
basta» che ci incatena alla sedia.
Da non perdere quindi! Romanzo
di costume, romanzo poliziesco,
romanzo comico, romanzo-fiume,
romanzo satirico, romanzo storico. Romanzo insomma; romanzo
certamente. Ci direte....
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❧ NOTE ❧
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Il termine è da leggere nel senso filosofico suggerito da Camus
soprattutto in L’homme révolté.
A proposito di scuola (per chi legge il francese) è molto illuminante anche il libro di Jean-Paul Brighelli La fabrique du crétin,
Gallimard, coll. Folio, Parigi, 2006.
Il tempo delle osterie.
Nel settembre 1995 per l’esattezza (collana Scrittori italiani,
Mondatori) poi ripubblicato nel 1998 e ancora oggi ottenibile nella collana Oscar, Best sellers.
Leggendo il testo, André Gide cadde sulla famosa descrizione
della zia Léonie al suo risveglio a Combray (in Du côté de chez
Swann) e rifiutò di continuare a leggere e accantonò il manoscritto.... Gallimard riuscì in seguito a riappropriarsi dei diritti per la
pubblicazione di À la recherche du temps perdu e ritrovò il sorriso
(e i ricchi benefici editoriali).
Divertentissimo il suo Come Proust può cambiarvi la vita.
Vera autorità in materia. La sua biografia di Proust (edita nella
collection Folio, Gallimard, due imponenti volumi) è un’autentica
“Bibbia” per i fans dello scrittore.
(1906-1989), romanziere, autore drammatico e poeta irlandese.
Il suo Proust è interessantissimo perché è caso assai raro che un
grande scrittore parli di un suo altrettanto grande “collega”.
Nato nel 1930 è uno dei più noti e apprezzati critici francesi.
Le sue opere più conosciute sono i tre volumi di Figures.
Critico della scuola strutturalista di Ginevra di cui ricordiamo il
celebre Forme et signification.
Vedi a questo proposito le pagine su Proust dell’interessantissimo studio di Alice Milles intitolato Notre corps ne ment jamais,
Flammarion, Parigi, 2004, pp 56 a 64.
È il racconto più lungo e forse più “centrato” e si intitola L’ultimo
capodanno dell’umanità.
Assai particolare il vezzo di non introdurre le virgole nelle
lunghe enumerazioni...
Solo per memoria, il 666 è il numero apocalittico della Bestia...
Ci sembra d’uopo offrirvi un gustoso assaggio della galleria di
nomi femminili: Ada Lumàga, Isolina Resega, Desi Vannetti, Eripranda Denti, Viola Venturi, Itaca Croci, Vera Carponi, Bernarda
Scimiani, Estenuata Albini, Mercede Vitali, Mirandola Ortelli, le
gemelle Rosalba e Rosanella Bellini.
un Libro per Amico
Stampato nel mese di giugno 2007.