ZIBALDELLO 2007
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ZIBALDELLO 2007
LO ZIBALDELLO 2007 SOMMARIO: Editoriale Donato Sperduto 2 I CORSI DI AGGIORNAMENTO La formazione continua tra passato recente e futuro immanente GABRIELLA SCHÄPPI BRUNO DI CLARAFOND 4 La formazione continua all’università: riflessioni su un’esperienza ROSANNA M ARGONIS PASINETTI 16 ASPETTI DELLA DIDATTICA DELL’ITALIANO PER STRANIERI Insegnare una lingua straniera al liceo: valori tradizionali e nuove sfide Rosanna Margonis Pasinet ti 18 Leggere per insegnare: una recensione didattica Rosanna Margonis Pasinet ti 22 Migrazioni e migranti DONATO SPERDUTO NA RRATORI D I U N SU D Donato Sperduto LE RECENSIONI 23 D ISP ERSO 26 Un libro per amico MORENO M ACCHI M. Agus, Mal di pietre V. Andreoli, Lettera a un insegnante L. Mancinelli, La Casa del tempo P. Paterlini, Ragazzi che amano ragazzi M Missiroli, Senza coda E. De Luca, L’ultimo viaggio di Sindbad E. De Luca, Un papavero rosso E. De Luca, In nome della madre P. Citati, La morte della farfalla P. Citati, La colomba pugnalata B. Fenoglio, La malora N. Ginzburg, La strada che va in città N. Ammaniti, Fango V. Zucconi, Storie dell’altro mondo C. Abate, Il mosaico del tempo grande E. Ferrante, I giorni dell’abbandono G. Carofiglio, Il passato è una terra straniera Gli studenti di Comix, Sputtana il prof M. Marcotullio, Il sangue dello scorpione P. Roveredo, Capriole in salita A. Vitali, Olive comprese 28 29 30 30 31 32 32 33 34 35 36 37 38 38 39 40 42 42 44 45 46 –2– L’EDITORIALE DI DONATO SPERDUTO, PRESIDENTE Care colleghe, cari colleghi, DELL’ASPI mento. Il che non può che rallegrare il Comitato dell’ASPI. Tale apprezzamento riguarda ovviamente anche i corsi in Ticino organizzati da Valeria Sulmoni, che l’autunno scorso ha moderato una giornata a Lugano sul tema “Esperienze di scrittura creativa in classe”. Vi invito quindi a voler partecipare ai nuovi corsi in programma. È con soddisfazione pertanto che vi comunico che la situazione finanziaria dell’Associazione è del tutto sana. come avrete appreso dai mass-media, a livello di SSISS / SSPES / VSG ci si sta muovendo al fine di stimolare l’introduzione di modifiche da apportare all’attuale sistema della maturità federale. Si tratta di una tematica che non può lasciare indifferenti: ne va del lavoro quotidiano e di noi docenti e dei nostri liceali. Mi pare quindi utile invitarvi a seguire attivamente tale dinamica anche in vista della prossima Inoltre, il Comitato è stato Assemblea plenaria. rieletto in occasione dell’ultima Assemblea plenaria e Per quanto concerne l’ASPI, ne siamo particolarmente mi fa piacere poter dire che soddisfatti perchè comporta i nostri corsi di formazione insegnanti di diversi cantocontinua che si svolgono in ni e regioni. Mi pare giusto Italia, organizzati da Ga- rilevare che detto Comitato briella Schäppi, riscuotono funziona con un certo zelo e sempre il vostro apprezza- con molta convinzione, aven- –3– do in più trovato un luogo di riunione che non ci costringe a spostamenti troppo lunghi: Berna. collega Romano Mero di creare un volantino informativo da distribuire nelle scuole svizzere mirante ad invogliare gli studenti ad optare per Devo però notare che, in me- la lingua italiana. Ulteriorito alla collaborazione con le ri iniziative individuali da istituzioni italiane presenti in parte di altri soci dell’ASPI Svizzera, visto il ciclico va e sono certamente benvenute e vieni dei vertici, non è sempre potranno contare sull’interespossibile riuscire a instaura- samento del Comitato. re rapporti a lungo termine. Colgo infine l’occasione per Spero comunque che nelle vo- ricordarvi l’indirizzo del nostre scuole l’italiano non ab- stro sito www.professoridibia una vita troppo difficile, taliano.ch, il cui completo come purtroppo accade da rinnovamento è stato votato qualche parte. Il Comitato all’unanimità dal Comitato, dell’ASPI ha a questo propo- e vi saluto cordialmente sito aderito, finanziariamente, all’iniziativa proposta dal DONATO SPERDUTO –4– LA FORMAZIONE CONTINUA TRA PASSATO RECENTE E FUTURO IMMINENTE A CURA DI GABRIELLA SCHÄPPI BRUNO DI CLARAFOND Ticino, 21-22 settembre 2007 “ESPERIENZE DI SCRITTURA CREATIVA IN CLASSE” Corso organizzato da Valeria Sulmoni (prima parte: USI di Lugano) e Gabriella Schäppi (sedonda parte: Como e dintorni) L’alternanza tra corsi in Italia e corsi in Ticino è stata ripetuta anche per l’anno scolastico 2005/2006, grazie, in particolare, al dinamico contributo organizzativo di Valeria Sulmoni, la nostra ex-segretaria (ma chissà che non ritorni a far parte del Comitato, in un futuro non troppo lontano?). Al corso di Siena di una settimana (primavera 2006, 42 partecipanti, organizzato dalla sottoscritta) è stato affiancato quello organizzato da Valeria a Lugano (autunno 2006, 13 partecipanti), su “Esperienze di scrittura creativa in classe”. Era costituito da due moduli articolaFormazione Continua ti in due giornate: la prima di intensi scambi d’informazioni, documenti e resoconti con tre navigati docenti ticinesi che già si sono fatti conoscere per la loro intraprendente passione per un insegnamento innovatore; la seconda destinata, come di consueto (tradizionalmente si è sinora fatto), alla “scoperta del territorio”, in questo caso della limitrofa provincia di Como. Ilario Domenighetti, insegnante d’italiano nell’istituto di Commercio di Bellinzona, Simone Bionda, docente d’italiano nel Liceo cantonale di Bellinzona e Claudia –5– Patocchi Pusterla, docente d’italiano nella Scuola specializzata per le professioni sanitarie e sociali di Lugano, hanno trattato l’argomento della scrittura creativa sulla base delle proprie esperienze vissute con gli allievi secondo tre angolazioni del tutto diverse, ma tutte egualmente convincenti e ricchissime di spunti per rinnovare il nostro insegnamento. Ilario Domenighetti ha affrontato la questione di come far scrivere gli allievi prima sul piano teorico, con una serie di lezioni sul meccanismo del racconto, fondandosi sulle ricerche di Propp e sul manuale di scrittura di Donna Levin (ma la bibliografia che ci ha distribuito, abbondantissima e interessantissima, spazia da Eco a Genette, include Patricia Highsmith e Northrop Frye). Questa prima fase di preparazione rappresenta anche un’ottima introduzione all’analisi testuale, ma Ilario Domenighetti se ne serve essenzialmente per stabilire le regole di redazione alle quali i ragazzi dovranno sottostare: solo 45 minuti di scrittura in classe, niente dialoghi e niente descrizioni, solo azione. Dopo queste prime esercitazioni, i ragazzi passano alla stesura a casa di un racconto completo. Regole: minimo 5 pagine, impaginazione professionale (caratteri Garamond corpo 12, interlinea 1,5, margini di tot. e così via con ciò che potrebbe sembrare pignoleria ma non lo è, tutt’altro!). Esiti ottimi: gli allievi hanno scritto molto di più di ciò che era stato loro richiesto, hanno scrupolosamente evitato i titoli banali, hanno avuto grandi soddisfazioni nel produrre testi di finzione personali. Per stimolare meglio la creatività dei giovani, Domenighetti ha anche creato una piccola antologia di testi brevi che dimostrano sia l’inversione della temporalità (la conclusione prima dell’azione che la giustifica), sia la predominanza di un Formazione Continua –6– senso (olfatto, udito) nella materialità del racconto, sia l’originalità di un punto di vista. I ragazzi si familiarizzano così con l’incipit di un racconto in “medias res”, apprezzano i risvolti saggistici di certi testi, constatano che autore e narratore possono diventare oggetto della narrazione e sono invitati a imitare i “trucchi” dei più grandi scrittori. Alla fine dell’accuratissima presentazione del lavoro che Ilario Domenighetti svolge nelle sue classi, un solo dubbio sfiora il partecipante al corso: il metodo e la sua applicazione sono indiscutibilmente eccellenti, ma avrò io l’abilità e la capacità di navigare in queste acque o bisognerebbe, come il nostro docente ticinese, aver di per sé l’anima dello scrittore? Simone Bionda parte da altre premesse: partendo da un articolo di Gorni pubblicato nel 1983 attorno agli autoritratti di Vittorio Alfieri e Ugo Foscolo, il professore ticinese si chiede come analizzare un testo poetico e contemporaneamente servirsene per permettere un’attività creativa. Non è inutile SEPOLCRETO DI A LESSANDRO VOLTA, COMO. Formazione Continua –7– ricordare qui che i testi sono analizzati con allievi di lingua materna italiana; nel caso in cui l’italiano sia studiato come seconda lingua, solo ragazzi che hanno scelto l’italiano come opzione specifica saranno forse in grado di affrontare Alfieri e Foscolo. La fase analitica dimostra che le figure retoriche, debitamente individuate e spiegate, non sono elementi spuri, ma sono solidali del senso profondo del testo. La fase creativa propone agli allievi di creare a loro volta un sonetto autodescrittivo, esercizio stimolante in quanto tutti sono confrontati, quotidianamente, con il proprio corpo e la propria immagine, specie in età adolescenziale. L’obiettivo è evidentemente ambizioso ma... “per aspera ad astra”: i risultati ottenuti sono talvolta stupefacenti, i ragazzi hanno raccolto la sfida. Questi i vincoli imposti dal docente: autoritratto imposto come tematica, autobiografia rigorosamente vietata. La pretesa non è d’insegnare a far poesia ma di sviluppare la capacità di valutare un modello studiato per esser imitato. Simone Bionda ricorda che si potrebbero proporre molti altri autoritratti letterari: da Govoni a Palazzeschi e conclude dicendo: «A scuola più che il saper fare deve contare il sapere...», andando coraggiosamente controcorrente rispetto ad alcune tendenze furiosamente di moda oggi. Cosa passa per la testa del partecipante al corso quando ascolta alla fine di tutto ciò la lettura di un sonetto (eccellente, devo precisarlo?) di un’allieva del professor Bionda? Che forse non domina la metrica con la stessa disinvoltura del conferenziere? Che bisognerebbe ridimensionare le nostre ambizioni con allievi di italiano “lingua due”? Si cambia ancora radicalmente registro con la professoressa Claudia Patocchi Pusterla, curatrice di un Formazione Continua –8– bellissimo libro “Liberi tutti! Storie sottobanco. Scrivere e narrare a scuola”, Casagrande, Bellinzona 2005. L’approccio è quasi psicoterapeutico, i ragazzi si liberano attraverso la scrittura di frustrazioni mal digerite, esprimendosi imparano a conoscersi e si aprono agli altri. Dal fascicolo che la docente ticinese ci ha distribuito dopo averci raccontato come ha motivato i suoi allievi alla scrittura, cito alcuni brani significativi. «La prima considerazione da fare è che ho mentito nelle motivazioni di questa tesi. Già, non ho scritto una manciata di pagine per aiutar chicchessia a evitare la tossicodipendenza, bensì ho proposto il suddetto lavoro onde mostrare, a chi avrà la voglia di leggermi, uno stralcio di vita vissuta. Una vita che mi ha segnato; forse per sempre. Sono adirato». (Alex Rusca). «Avevo pensato per molte sere, prima di addormentarmi, su come cominciare il mio lavoro. L’esperienza mi aveva riFormazione Continua cordato che «l’inizio è sempre il più difficile» e questo caso non faceva eccezione. Molti fogli sono finiti nel cestino, durante il disperato tentativo di trovare una frase che potesse piacermi. Per finire, dopo svariati etti di carta sprecati, mi dissi che «il principio dello scrivere è scrivere». Abbandonai così l’idea di cominciare con una bella frase. Lasciai la penna libera di trascrivere confusamente i miei pensieri. Insomma non mi preoccupai della forma, ma unicamente di trasmettere, attraverso lo scritto, le emozioni che avevo provato. Ne ricavai un discreto contenuto arricchito da un pizzico di ironia». (Monica Rusconi) Merito della docente è stato di salvare dall’oblio questi scritti, di ottenere da ognuno degli scriventi che si erano espressi secondo le quattro formule del diario (“journal intime”), dell’autobiografia, della rivisitazione di un’esperienza o di una passione e per finire del racconto, l’au- foto: Gravestmor –9– EX CASA DEL FASCIO, COMO. torizzazione di pubblicare i loro testi. A pubblicazione avvenuta, sta a ciascuno di noi trarne insegnamento. Ancora una volta, il partecipante al corso s’interroga: come giungere a questi risultati? Lo chiediamo alla nostra conferenziera: nel suo caso è evidente che l’implicazione affettiva è molto importante, come la sua irriducibile convinzione che i ragazzi hanno veramente qualcosa da dire... e quel qualcosa è importante che sia espresso. Rinfrancati da questa gior- nata passata con insegnanti d’italiano di grandi risorse, ci buttiamo, l’indomani, dopo la tradizionale cena in comune, alla scoperta di Como: visita del museo della seta, particolarmente ben concepita dal punto di vista didattico, monumenti e ville comaschi, giro in barca sul lago. Insomma, s’impara anche bighellonando, scambiandoci informazioni e impressioni sino al ritorno a Lugano dove ci separiamo. Un corso intenso e formativo, come si vorrebbe che fossero tutti. Formazione Continua – 10 – Lugano, 26-28 aprile 2007 “LA LINGUA ITALIANA E LE NUOVE FRONTIERE DELLA COMUNICAZIONE” per numero d’iscrizioni insufficiente rinviato al 17-19 aprile 2008 Il corso, intitolato “La lingua italiana e le nuove frontiere della comunicazione”, presentato in maniera inadeguata sulla Webpalette, non è andato a buon fine per molteplici cause: vi risparmio i dettagli. È sufficiente sapere che il nome di vari colleghi che pensavano di essere regolarmente iscritti, non erano reperibili sugli elenchi informatici del CPS e alcuni, purtroppo, non erano neppure al corrente del fatto che il corso fosse stato annullato. Prego tutti coloro che sono incorsi in questi inconvenienti di scusarmi. due primi giorni, un giovedì e un venerdì, di presentare questa moderna facoltà di una giovane università che ha appena oltrepassato il decennio di vita. Dopo aver definito l’interdipendenza delle diverse discipline – scientifiche, umanistiche, socio-economiche e tecnologiche – che convergono per permettere l’approccio di quel fenomeno estremamente complesso che è la comunicazione umana, si parlerà delle professioni che si aprono ai diplomati (alcune delle quali ancora da inventare...) e della filosofia che sottende l’impostazione pedagogico-didattica dei vari D’accordo con il decano della corsi, suddivisi in cinque Facoltà di Scienze della co- aree. Sono previste relazioni municazione dell’Università su storia dei media, sviluppo della Svizzera italiana (USI), e prospettive della televisioprofessor Giuseppe Richeri, il ne, argomentazione e comucorso è stato rinviato al 17-19 nicazione interculturale, soaprile 2008. Si tratterà, nei ciologia dei mass media (la Formazione Continua – 11 – televisione come interfaccia sociale), l’eLearning all’USI (Campus Virtuale Svizzero), genere e mass media (rapporto tra pari opportunità e comunicazione di massa), comunicazione visiva in funzione didattica. Il corso si concluderà il sabato mattina con la visita alla Radio-Televisio- ne della Svizzera italiana. A questi due giorni e mezzo in Ticino si aggiungerà, per l’anno scolastico 2007 la settimana dedicata alla scoperta (o riscoperta per molti di voi, suppongo) delle Langhe, inevitabilmente legate ai due grandi scrittori, Cesare Pavese e Beppe Fenoglio. Santo Stefano Belbo, 1-5 ottobre 2007 “LANGHE: SUI SENTIERI DI PAVESE E FENOGLIO” iscrizioni già aperte sulla Webpalette Arrivando a S. Stefano Belbo nella mattinata di lunedì primo ottobre 2007, e ripartendo al sabato mattina 6 ottobre, disporremo di una settimana praticamente completa per raggiungere due scopi: approfondire la conoscenza che abbiamo dei due scrittori piemontesi con l’aiuto studiosi come Franco Vaccaneo (presidente del Comitato scientifico della Fondazione Cesare Pavese) CESARE PAVESE. Lorenzo Mondo, e testimoni privilegiati come Marisa quindi, entrare in contatto Fenoglio, la sorella di Bep- con la realtà geografica dei pe, anche lei scrittrice, e, luoghi che sono così intimaFormazione Continua – 12 – mente legati alla loro opere. Per capire quali trasformazioni hanno subito le Langhe da allora, incontreremo Grazia Novellini, giornalista e collaboratrice di Slow Food, che ci parlerà dello sviluppo attuale del turismo nella zona. Per l’ultima giornata del corso saremo a Pollenzo dove si è insediata nel complesso carloalbertino restaurato la prima Università di Scienze Gastronomiche: ve ne saranno svelati i programmi e i metodi. Avremo anche l’occasione di ascoltare un antropologo, Piercarlo Grimaldi dell’Università del Piemonte Orientale, anch’egli docente a Pollenzo. Alla Fondazione S. Giorgio Scarampi, nelle vicinanze di Santo Stefano, incontreremo Marco Drago e Gianni Farinetti, scrittori che rappresentano la scrittura odierna nella regione. Pranzi all’aperto, cene in trattoria, degustazioni enologiche ci daranno la misura del livello gastronomico della Provincia Granda come è definita la provincia di Cuneo in riferimento alla sua estensione. Non a caso il movimento Slow Food è nato a Bra... Un’antiquaria monregalese, alla quale chiedevo un indirizzo dove mangiar bene nelle vicinanze mi rispose alcuni anni fa: «Mi faccia riflettere, perché mangiare è una cosa seria». Corso in preparazione “VITERBO E GLI ETRUSCHI” date possibili: autunno 2008 e/o primavera 2009 Nel corso della riunione tenutasi a Siena con tutti i partecipanti era emersa una netta preferenza per Viterbo come meta e prossima tappa di formazione in Italia. Ho riunito una discreta docuFormazione Continua mentazione, ricevuto preziosi suggerimenti, telefonato ad alcune persone, ma tutto dovrà concretizzarsi attraverso i contatti sul posto. Ho, per il momento, soltanto l’assicurazione delle presenza di – 13 – Melania Mazzucco, incontrata a Ginevra a fine gennaio: in questa occasione, ci ha offerto una fertile giornata di riflessione sulla biografia letteraria e sui rapporti tra realtà e finzione. Esemplare. Sarei lieta di farvela incontrare. Tra l’altro scrive a lungo della Provincia Granda in “La camera di Baltus” e ne “Il bacio della Medusa”. per me organizzare l’invito a Stefano Petrocchi (Fondazione Bellonci), come mi era stato richiesto a Siena. Doveva parlare del nuovo Premio Strega Europeo, di cui si sta occupando. Purtroppo ho dovuto disdire l’incontro per scarsità di iscrizioni: parlerà soltanto a Zurigo, invitato dalla Dante Alighieri. Eppure una circolare è stata distribuita grazie al diretUn’ultima constatazione: non tore del Liceo Madame de sempre i desideri dei par- Staël di Ginevra, Jean-Ditecipanti ai corsi sono da dier Lorétan, a tutti i grupprendere alla lettera. Una pi d’italiano del cantone di grande delusione è stata Ginevra. Un buco nell’acqua. PALAZZO DEI PAPI, VITERBO,. Formazione Continua – 14 – Un ultimo annuncio che riguarda soprattutto ginevrini e vodesi per ragioni geografiche, ma chiunque è interessato sarà graditissimo partecipante: si tratta di una LETTURA-CONVERSAZIONE CON LIVIO ROMANO 2 novembre 2007 GINEVRA, ore 18, seguirà una cena con lo scrittore Livio Romano è nato nel 1968 a Nardò (LE) dove, dopo diverse peregrinazioni in giro per l’Italia, vive e insegna inglese nella scuola primaria. Oltre a una ventennale attività di collaborazione giornalistica per testate locali e nazionali che tuttora prosegue, ha pubblicato tre racconti su “Sporco al sole” ed. Besa, un saggio su “Da dove vengono le storie” ed. Lindau, un racconto su “Narrative Invaders”, ed. Testo & Immagine curato da Renato Barilli, un racconto sull’antologia “Disertori” ed. Einaudi, un racconto su “Mica male il tuo libro” edito da Aliberti. Ha curato un radiodocumentario in cinque puntate per Radio Rai 3. Ha partecipato alla rassegna di giovani autori “Ricercare” a Formazione Continua Reggio Emilia e alla Biennale Internazionale dei giovani artisti (BIG) di Torino. Nel 2001 ha pubblicato la raccolta di racconti “Mistandivò”, ed. Einaudi, fra l’altro adottato dal dipartimento di italianistica della New York University. Nel 2002 ha pubblicato il reportage narrativo “Porto di mare”, ed. Sironi, vincitore del premio “Delfino” città di Pisa. Fra il 2002 e il 2005 ha continuato a pubblicare racconti e saggi su opere collettive, riviste, quotidiani, fra cui “Breve lamento del giovane padre progressista” su Linus. Tiene conferenze e laboratori di scrittura creativa nei licei, presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione di Lecce e per l’Associazione Internazionale Dante Alighieri – 15 – (workshops in Svizzera e a Southampton). Nel 2003 ha sceneggiato un film mai uscito nelle sale per il produttore Sidecar e uno degli episodi del lungomentraggio “A Levante”, Saietta Production, approdato, fra l’altro, alla Mostra di Venezia e a quella di Berlino. Nel 2005 ha pubblicato il reportage dall’Erzegovina “Dove non suonano più i fucili”, ed Big Sur. È appena uscito il terzo libro, il romanzo “Niente da ridere” per Marsilio (al quale si sono dimostrati molto interessati diversi editori stranieri) ed è pronto un pamphlet sulla scuola scritto a quattro mani con lo scrittore-maestro Giuseppe Caliceti. Sta lavorando a un romanzo noir ambienta- to fra Mostar, Tel Aviv, Gallipoli e Verona. Durante una lettura-conversazione, Livio Romano ci presenterà l’iter che ha seguito per render conto nei suoi romanzi delle problematiche della sua terra, il Salento, i problemi di chi vive in una regione con un altissimo tasso di disoccupazione giovanile, le nuove strategie familiari in cui il ruolo del padre è ridefinito. Chi ha conosciuto lo scrittore durante il corso di formazione continua che ha avuto luogo a Lecce sarà interessato dalla nuova svolta della sua narrativa, gli altri scopriranno uno scrittore impegnato nella vita culturale del Salento. Per i due corsi programmati in Italia, Langhe e Viterbo, se le iscrizioni fossero troppo numerose, la priorità sarà data agli esclusi del corso precedente e comunque tutte e due le iniziative potrebbero essere ripetute nell’anno scolastico 2008-2009. – 16 – LA FORMAZIONE CONTINUA ALL’UNIVERSITÀ: RIFLESSIONI SU UN’ESPERIENZA DI ROSANNA MARGONIS PASINETTI Il 29 e il 30 marzo scorsi, l’Università di Losanna, con il patrocinio del Consolato Generale d’Italia a Losanna, ha organizzato un corso di formazione continua destinato ai docenti d’italiano delle scuole secondarie, provenienti dal cantone o da fuori. Di primo acchito, il titolo è allettante: «Nuovi testi letterari, nuovi contesti e nuove tecnologie. L’insegnamento della lingua e della letteratura italiana nelle scuole secondarie»; segue un programma ricco di contenuti e di conferenzieri dai nomi conosciuti e reputati. Gli insegnanti d’italiano nelle scuole secondarie e secondarie superiori del cantone non sono molto numerosi; praticamente tutti si conoscono, si ritrovano con piacere per lavorare, discutere e condividere il loro amore per l’italiano; la voce si sparge, «se ci vai, vengo anch’io», l’afflusso è importante: docenti collaudati, in carica nei licei o nella scuola media, formatori, studenti universitari e studenti dell’Alta Scuola Pedagogica. Formazione Continua Sin dalle prime parole scambiate con i primi arrivati, emerge l’augurio di sempre: la speranza che le cospicue proposte previste dal programma vadano ad arricchire un insegnamento quotidiano che ha costantemente bisogno di essere nutrito. È per tutti un’evidenza il fatto che non si possa pretendere di partecipare a questo tipo di formazione per portarsi via un pacchettone di ricette, per ricevere senza sforzo alcuno dei materiali didattici immediatamente spendibili; tutti si aspettano però delle proposte che non stiano ad anni luce da quello che si può, si vuole, si deve fare con i nostri allievi non italofoni, inseriti in classi d’italiano lingua straniera. La speranza, dunque... L’inizio è promettente: due giovani docentistudiosi presentano un progetto novatore per il rinnovamento dell’approccio antologico nell’insegnamento dell’italiano a italofoni nei licei italiani. Ci rendiamo conto, con sollievo ma anche con una leggera inquietudine, che lo studio storico-analitico di certi – 17 – UNIVERSITÀ DI LOSANNA. testi risulta arduo anche per gli allievi italofoni; d’altra parte, i due giovani ci fanno capire che non si tratta di far meno, ma di far diversamente, proprio in vista di una più grande efficacia del dispositivo antologico, proponendo a esempio un’entrata tematica che può mettere a confronto grandi autori, italiani o no. Con il procedere delle conferenze, la speranza iniziale si attenua. Sarebbe evidentemente inopportuno e totalmente ingiustificato mettere in dubbio le incredibili competenze dei conferenzieri, fatte di anni di studio e di ricerche di indubbio interesse, oppure l’impegno di chi ha organizzato queste giornate; ma a volte noi stessi, provvisti di licenza e rotti all’avventura della grande letteratura, facciamo fatica a star loro dietro... figuriamoci i nostri allievi. Risentiamo dunque la perplessità di cui parlava Gabriella Schäppi nel contributo precedente, quando faceva riferimento agli insegnamenti proposti dal corso in Ticino; come fare con i nostri ragazzi per non far meno, ma fare diversamente? Occorrerebbe forse riesaminare la posizione alquanto intransigente che consiste nel mettere il sapere al di sopra di tutto e nel trattare il saper fare e il saper essere come cose di poco conto. Perché non prefiggersi dapprima degli obiettivi più realistici e pragmatici, prendendo i nostri allievi là dove stanno, dal punto di vista del loro livello linguistico, ma anche della loro maturità, per poi condurli il più lontano possibile, magari fino al grande sapere? Per far questo, fare diversamente, soprattutto nell’ambito culturale e letterario, i docenti avrebbero però bisogno di contributi formativi più mirati, fatti di proposte di approcci della cultura e della letteratura realizzabili in una classe di italiano lingua straniera. Lasciando l’aula universitaria, la speranza rinasce: forse la prossima volta... Rimane comunque la soddisfazione intellettuale e il piacere di avere ancora una volta gustato la nostra bella lingua e alcune delle sue più celebri manifestazioni. Formazione Continua – 18 – Insegnare una lingua straniera al liceo: VALORI TRADIZIONALI E NUOVE SFIDE DI ROSANNA MARGONIS PASINETTI Nel nostro paese e in tutta Europa, l’ambito dell’insegnamento/apprendimento delle lingue straniere, a scuola e al di fuori di essa, è attualmente coinvolto nei procedimenti di armonizzazione scolastica previsti a livello internazionale (COE), nazionale (CDIP), intercantonale (CIIP) e cantonale. Negli ultimi decenni, numerosi progetti di ricerca e di teorizzazione dell’apprendimento delle lingue straniere hanno cercato di formulare dei modelli che permettano all’insegnamento delle lingue in ambito istituzionale di raggiungere l’efficacia comunicativa, intesa come la capacità di affrontare qualsiasi situazione di comunicazione e di portare a termine ogni tipo di atto comunicativo. Per capire, padroneggiare e mettere in pratica quotidianamente gli attuali orientamenti della didattica e della valutazione in materia di lingue straniere, abbiamo da poco a disposizione due strumenti, che si tratta di conoscere, comprendere e promuovere, senza per questo rinnegare i valori tradizionali che sono stati da sempre alla base dell’insegnamento liceale. Didattica Il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue trova origine nei lavori di politica linguistica condotti dal Consiglio d’Europa: fondato nel 1949, con sede a Strasburgo, esso annovera 46 paesi membri; la Svizzera ne fa parte dal 1963. Il Consiglio d’Europa si occupa di tutti i problemi fondamentali della società europea e quindi anche di educazione e di cultura, in particolare del problema delle lingue. Gli obiettivi prioritari della politica linguistica condotta dal Consiglio d’Europa mirano essenzialmente a realizzare la comprensione fra tutti i cittadini dei paesi europei, il rispetto e la difesa della loro diversità linguistica e culturale, la difesa e lo sviluppo del plurilinguismo per ognuno di loro, l’aiuto allo sviluppo di un apprendimento autonomo della propria lingua e di quella degli altri, la trasparenza e la coerenza a livello dei programmi d’insegnamento delle lingue. Questi obiettivi si concretizzano in un progetto centrale che si conclude con la pubblicazione del Quadro. Questo documento, elaborato grazie a una ricerca scientifica e a una importante – 19 – consultazione, è uno strumento pratico che intende permettere di stabilire chiaramente gli obiettivi comuni da raggiungere a ogni successiva tappa dell’apprendimento di una lingua straniera; si tratta contemporaneamente di uno strumento ideale per paragonare a livello internazionale i risultati della valutazione dell’apprendimento in questo campo. Il Quadro fornisce una base comune per il riconoscimento reciproco delle qualifiche linguistiche, facilitando in questo modo la mobilità educativa e professionale. Esso viene inoltre sempre più usato per condurre le riforme dei curricoli nazionali e i paragoni fra le varie certificazioni internazionali. Si tratta di un documento che descrive nel modo più completo possibile tutte le abilità linguistiche, tutte le conoscenze necessarie al loro sviluppo, tutte le situazioni e gli ambiti di cui un individuo può avere bisogno per comunicare tramite una lingua straniera. Ancora poco conosciuto, o unicamente tramite i suoi tratti più diffusi, come i famosi livelli, il Quadro è stato spesso vittima di giudizi avventati, primo fra tutti quello che lo definisce come superficiale e tendente a escludere le dimensioni tecniche e culturali della lingua, per far posto unicamente al “tutto comunicativo”. Il Quadro ha invece una forte dimensione integrativa e non esclude nessun aspetto dell’apprendimento di una lingua straniera, tranne quelli che sono ritenuti come inerenti all’apprendimento della lingua prima o lingua materna; gli esperti sono già al lavoro per proporre delle soluzioni a questo inconveniente. Si tratta prima di tutto di elaborare una versione aggiornata del Quadro che riesca a descrivere, attraverso i vari livelli, lo sviluppo della cosiddetta “abilità letteraria”, intesa come qualcosa che va al di là della semplice ricezione del testo detto letterario, che rende capaci di farne un approccio analitico e critico. In secondo luogo, i ricercatori europei intendono proporre un modello che descriva i processi e le tappe di apprendimento della lingua prima, cioè di quella lingua che pur non essendo sempre madre è perlomeno quella della società in cui l’allievo vive e della scuola che frequenta. Nell’ambito scolastico a noi noto, il Quadro non è lo strumento dell’allievo; torna utile alle persone che concepiscono i programmi e creano i manuali, agli insegnanti e ai loro formatori, agli esaminatori. Permette di gestire tutti gli aspetti legati direttamente all’insegnamento: definizione degli obiettivi da raggiungere, scelta delle metodologie da applicare, creazione dei dispositivi di valutazione. Didattica – 20 – Il Quadro definisce sei livelli di competenza, che vanno da A1 (livello preelementare) a C2 (livello postavanzato); i livelli e la loro definizione rappresentano l’elemento chiave del concetto, poiché fissando un numero limite di livelli certificati, essi hanno permesso di far scomparire le numerose definizioni approssimative usate dai diversi sistemi educativi. Il Quadro descrive in modo praticamente esauriente tutto ciò che viene incluso in questi livelli di competenza in materia di capacità; lo fa tramite i cosiddetti descrittori, cioè delle proposizioni affermative che iniziano invaria- Didattica bilmente con le espressioni «Sa...» oppure «È capace di...». Allievi e insegnanti delle nostre scuole conoscono da tempo l’approccio comunicativo, che mette l’accento sulla comunicazione fra le persone e pone l’allievo al centro del processo d’apprendimento, affidando all’insegnante il ruolo di sostegno e aiuto verso l’uso attivo e autonomo della lingua. Vista unicamente come approccio della comunicazione quotidiana di base, questa metodologia ha fatto nascere seri dubbi nei ranghi degli insegnanti liceali, che hanno temuto un’eccessiva sem- – 21 – plificazione delle nozioni apprese e un’esclusione programmata degli aspetti più complessi inerenti all’apprendimento di una lingua straniera, come le finezze sintattiche o i generi testuali. Ora il Quadro intende proprio integrare ogni dimensione dell’apprendimento di una lingua; esso riprende i principi dell’approccio comunicativo, ma vi aggiunge la dimensione “funzionale-azionale”: colui che impara una lingua è considerato come un “attore sociale”, capace di convocare tutte le sue conoscenze e le sue capacità per portare a termine un compito inserito in una situazione comunicativa, sia essa quotidiana, scolastica o settoriale. Se il Quadro è inteso in ambito scolastico come guida all’insegnamento, strumento dell’insegnante, il Portfolio è stato concepito come strumento derivato dal Quadro e destinato all’allievo. Esso intende permettere all’allievo, inserito in un sistema scolastico orientato verso l’approccio funzionale-azionale, di sviluppare l’autonomia d’apprendimento, l’autovalutazione e la capacità di far valere tutto quello che ha imparato a scuola e al di fuori di essa. Il Portfolio contiene un passaporto delle lingue, regolarmente aggiornato dal suo proprietario. Uno schema autovalutativo gli permette di definire le sue com- petenze linguistiche secondo dei criteri riconosciuti in tutti i paesi europei, complemento ideale alle tradizionali certificazioni scolastiche. La biografia linguistica dettagliata contiene tutte le esperienze relative alle lingue straniere frequentate o imparate dall’allievo; essa deve permettergli di orientare e valutare i suoi apprendimenti in materia di lingue straniere. Un dossier permette all’allievo di riunire e presentare tutti i lavori personali che attestano gli obiettivi raggiunti. Gli insegnanti liceali di lingue straniere hanno dunque oggi un doppio compito da svolgere, arduo ma appassionante: impadronirsi di questi documenti, alla cui portata internazionale sembra difficile e inopportuno sottrarsi, e farne gli strumenti di una scuola capace di insegnare una lingua straniera come canale comunicativo ma anche come riflesso di una cultura e di una letteratura, che possono concorrere allo sviluppo armonioso della personalità e delle conoscenze dei loro allievi. Incuriositi? Perplessi? Entusiasti? Andate a dare un’occhiata a questi strumenti su: www.coe.int www.portfoliodellelingue.ch Didattica – 22 – LEGGERE PER INSEGNARE: UNA RECENSIONE DIDATTICA MASSIMO VEDOVELLI Guida all’italiano per stranieri. La prospettiva del Quadro comune europeo per le lingue Carocci Editore, Roma 2002 Segnaliamo a tutti i colleghi che non hanno avuto la fortuna di partecipare al nostro bel soggiorno a Siena, che ha avuto luogo ormai più di un anno fa, che il professor Massimo Vedovelli è l’attuale rettore dell’Università per stranieri di Siena. Nella stessa Università, il professor Vedovelli insegna inoltre Glottodidattica e Semiotica e dirige il Centro CILS (Certificazione di italiano come lingua straniera) e il Centro di eccellenza della ricerca chiamato “Osservatorio linguistico per- M ASSIMO VEDOVELLI. Didattica manente dell’italiano diffuso fra stranieri e delle lingue immigrate in Italia”. Fra le innumerevoli pubblicazioni in più lingue dedicate all’ormai noto Quadro, il professor Vedovelli ce ne propone una molto completa in italiano. Partendo da un presupposto che gli sta a cuore, il professore ci rammenta che l’italiano è una lingua sempre più insegnata e appresa nel mondo. Negli ultimi anni la sua condizione come lingua seconda o lingua straniera è mutata profondamente: non è più una lingua appresa solo per il legame con una tradizione di alta intellettualità, ma anche perché l’Italia è uno dei paesi più industrializzati del mondo. Si sono rinnovati i metodi e gli strumenti didattici; in Italia e all’estero, nuove categorie di persone imparano l’italiano, primi fra tutti gli immigrati stranieri, con una gamma diversificata di bisogni formativi. Sono emerse parallelamente nuove esigenze di qualificazione dei docenti di italiano lingua seconda o lingua straniera. Il volume, destinato agli studenti dei corsi universitari e delle alte scuole pedagogiche e ai docenti italiani e stranieri di italiano lingua seconda o lingua stranie- – 23 – ra, in una prima parte dedicata ai concetti, analizza dapprima il Quadro, il più diffuso degli strumenti di politica linguistica del Consiglio d’Europa, partendo dalle sue origini, per poi parlare delle scale e dei livelli che lo caratterizzano e del ruolo che assumono negli ambiti della valutazione e della certificazione. Il professor Vedovelli si sofferma in seguito sull’importanza del testo nel Quadro, analizzando i concetti di testo autentico e testo non autentico, suggerendo dei criteri che permettono la selezione dei testi a fini didattici, per poi inserire il testo nella prospettiva comunicativa. La seconda parte, dedicata ai metodi, propone dapprima una rif lessione sulla situazione comunicativa più vicina all’allievo, vale a dire la comunicazione didattica realizzata nel gruppo classe. Il professor Vedovelli tratta in seguito dell’unità didattica, particolarmente quella che si costruisce attorno al testo, per poi terminare proponendo una serie di percorsi didattici, elaborati a seconda di differenti profili di apprendenti d’italiano lingua straniera, e alcuni strumenti che ci permettono di analizzare programmi e materiali d’insegnamento. Un interessante volume teoricopratico, arricchito da un’imponente bibliografia, che ci permetterà eventualmente di “andare oltre”, secondo la formula consacrata. VITO A. COLANGELO MIGRA Z ION I E M IGRA N TI TRA STORIA , CRON A CA E LETTERA TU RA Scrittura & Scritture altro, e altresì da un continente a un altro, evidenziando significativamente le cause che ne sono alla base nonché gli effetti sortiti da quelli che Carlo Levi considerava “esili forzati”. L’oggetto di Migrazioni e migranti è pertanto l’uomo in viaggio e, come osserva Colangelo, Ulisse «è il prototipo dell’eroe del viaggio». Come noto, partito da Itaca, dopo la guerra di Troia Odisseo fa una serie di viaggi che lo conducono Questo di Vito Colangelo è uno studio sullo straziante fenomeno delle migrazioni umane, considerato dal punto di vista storico e letterario. Colangelo scandaglia infatti con obiettività gli spostamenti dell’uomo da una regione a un’altra, oppure da un paese a un ROSANNA M ARGONIS-PASINETTI Recensioni – 24 – finalmente nuovamente a Itaca. L’Odissea di Omero è dunque il poema del ritorno (nostos) nel paese natale del protagonista che nell’arco delle sue peregrinazioni sente costantemente un disperato bisogno di patria. Tuttavia, in realtà non ogni indi- viduo (o collettività) è stato ossessionato dalla nostalgia del nido d’infanzia. Conseguentemente, all’Ulisse omerico Colangelo oppone giustamente l’Ulisse dantesco artefice di un viaggio (in greco il termine nostos può anche significare ULISSE, VILLA DI TIBERIO, MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI SPERLONGA. Recensioni – 25 – ‘viaggio’), ma questa volta senza ritorno in patria. Senza voler analizzare in modo esaustivo questa interessante tematica, mi limito a dire che l’Ulisse di Dante rappresenta l’emigrante che non desidera più il ritorno in patria, simbolo dell’individuo in cui l’alfa e l’omega non coincidono. Con l’intento di far meglio comprendere e capire le migrazioni attuali, il libro di Colangelo offre così una lodevole panoramica delle migrazioni umane (capitolo I), i cui protagonisti potrebbero essere considerati, a seconda dei casi, degli Ulissi (collettivi o individuali) omerici oppure danteschi. Prendendo successivamente in considerazione la piaga delle migrazioni italiane nel Novecento (capitolo II) e in particolare quelle che hanno spopolato e lacerato i comuni lucani di Stigliano e Aliano (capitolo III), Colangelo analizza importanti opere letterarie concernenti i flussi migratori (capitolo IV). Il centro d’interesse è costituito, ovviamente, dall’Italia toccata costantemente e profondamente da questo esodo – per troppo tempo incredibilmente trascurato dalla storia ufficiale. L’emigrazione dei nostri connazionali nei più disparati paesi ha interessato particolarmente autori come E. De Amicis, G. Pascoli, Amy A. Bernardy, M.G. Mazzucco, G. A. Stella e R. Nigro. E Colangelo passa tra l’altro al vaglio, oltre che Giobbe di Joseph Roth e Mi- granti di C. Camarca, scritti quali Sull’Oceano, Vita, L’orda e Diario Mediterraneo al fine di ricordarci i problemi che hanno assillato gli emigranti italiani – e di cui lo Stato italiano ben poco si è occupato – per evitare di crearne analoghi oggi nell’Italia che da paese d’emigrazione è diventata paese d’immigrazione. Il capitolo V riguarda infine Carlo Levi e l’emigrazione. A questo proposito, ritengo fondamentale il fatto che Colangelo non abbia circoscritto la sua indagine a Cristo si è fermato a Eboli, ma che abbia splendidamente tenuto conto altresì di altre opere in prosa di Levi come anche di poesie e quadri leviani, e finanche dei disegni della cecità dell’artista torinese. Inoltre, nel presente libro se da un lato viene considerata l’opera di Carlo Levi scrittore e pittore, dall’altro viene doverosamente presentato l’importante operato in favore degli emigranti italiani del Levi ‘politico’ o, meglio, uomo. Reputo comunque essenziale che, nonostante tutto, la Basilicata non venga riduttivamente ritratta come una valle di lacrime. Non l’ha fatto a suo tempo Carlo Levi e non lo fa adesso nemmeno Vito A. Colangelo. DONATO SPERDUTO – 26 – FILIPPO LA PORTA, NA RRA TORI D I U N SU D L’A N CORA D ISP ERSO D EL MED ITERRA N EO Partendo da un fenomeno esclusivamente letterario, e cioè l’emergere in questi anni di una corposa narrativa meridionale dai tratti ben riconoscibili, nel suo bel libro Filippo La Porta confessa di aver cercato di allargare la visuale e di aver sottoposto a verifica la stessa categoria di Sud (del mondo), così cara a Ignazio Silone. L’autore (si) pone provocatoriamente domande del tipo: quanto è legittimamente utilizzabile nell’epoca della globalizzazione e dell’omologazione del pianeta la categoria di narrativa meridionale? Continua ad avere una portata non solo geografica ma anche sociale e culturale? Può diventare la bandiera di un’opposizione a modelli e a sistemi di vita dominanti, tutti rigorosamente nordici? La risposta a queste domande è rappresentata dagli appassionanti cinque capitoli del libro che viene giustamente presentato come un percorso letterario insolito, fatto di cortocircuiti e di escursioni impreviste alla ricerca del Sud perduto: dal ventre di Napoli ai bassifondi di Marsiglia, da Don Chisciotte al Gattopardo, da Albert Camus a Carlo Levi, fino al folklore da esportazione. Si tratta di un saggio-inchiesta che esplora in forma di tour, non Recensioni solo letterario, l’Italia della scrittura contemporanea, ripensando la contrapposizione sociale tra mondi diversi che producono letterature contrapposte. La Porta afferma che i personaggi di Silone, di Levi, i tristi tropici di scrittori del Caribe, i detective di Sciascia forse non esistono, ma attestano comunque un’immaginazione riottosa, volatile, indisciplinata, che non ha smesso di interrogare o di turbare la coscienza contemporanea. Dunque, il Sud di cui parla La Porta non concerne semplicemente il Mezzogiorno, ma comprende l’intero Sud del mondo: la narrativa meridionale esiste anche fuori dai confini d’Italia. E se dal punto di vista sociale il Sud è costituito dalla parte più povera, arretrata sofferente ma anche più vitale del mondo, dal punto di vista letterario questa realtà pullula di elementi contrastanti, di mentalità tanto messianiche quanto eretiche, e di un atteggiamento millenaristico (di attesa del Regno di Dio) e di tendenze alla rivolta. Il libro in questione può allora essere considerato una ‘sintesi’ – in senso kantiano –, cioè un’esposizione ‘sintetica’ delle forme letterarie di ciò che costituisce l’insieme del Sud del mondo. In effetti Kant intende per sintesi l’atto di raccogliere e unificare il molteplice. Propria del processo sintetico è l’individuazione dell’unità – 27 – li distorce (la camorra, la mafia) oppure sono i messaggi ad essere sbagliati ma solo la ricerca periferica li può mettere in evidenza. La mia personale interpretazione è che tra questo rapporto centro e periferia vige un rapporto osmotico a vantaggio del centro e a basso potenziale di scambio della periferia» (p. 91). Trovo poi molto suggestiva la descrizione che La Porta fa di quella che può essere considerata la multiforme filosofia del Sud: egli la individua nella diffidenza verso la perfezione imparentata con un’altra «...vocazione costitutiva, FILIPPO L A PORTA. quella al narrare. La finzione romanzesca infatti ha il compito di nella molteplicità. Il lavoro di Filippo La Porta fa ve- riempire le insufficienze, gli inedere come i molteplici narratori liminabili scompensi della vita. del Sud del mondo hanno un che Mentre l’esistenza che è o si sente di comune che ne consente l’unifi- perfetta non soltanto non ha bisocazione, dando luogo alla rileva- gno del ‘contatto’ con l’altro, ma zione di un insieme: la – multifor- neanche avverte alcuna spinta a raccontars.» (p. 113). me – ‘filosofia’ del Sud. E l’Autore dà correttamente la Desidero infine sottolineare che parola a vari narratori del Sud. nel libro in questione viene presa Mi pare di grande interesse tra in considerazione anche la musil’altro ciò che dice lo scrittore An- ca del – o dei – Sud: Filippo La tonio Pascale sulla narrativa del Porta manifesta apertamente di Sud: «Non parlerei poi di Sud e non gradire i prodotti musicali di Nord, ma di centro e periferia. Renzo Arbore che definisce pizza Ecco quello che è interessante è napoletana da esportazione. cercare di verificare, di volta in DONATO SPERDUTO volta, e in campi diversi, se è la periferia ad inseguire il centro o viceversa. Se insomma è il centro a lanciare messaggi corretti che la periferia nell’affanno di seguir- Recensioni – 28 – UN LIBRO PER AMICO A CURA DI MORENO MACCHI “La gente dice che ciò che conta è vivere, ma io preferisco leggere.” L. P. Smith MORENO M ACCHI. ROMANZO MILENA AGUS, MA L D I P IETRE NOTTETEM P O Quanto ci è piaciuto questo breve romanzo che non assomiglia proprio a nessun altro! Una mano nuova, una scrittura particolarmente nervosa, precisa, incisiva, allegra, che fa sorgere pagina dopo pagina, dapprima l’universo del dopoguerra con le sue difficoltà ma con le piccole gioie riservate alle esistenze semplici, poi i periodi seguenti con le loro tor- un Libro per Amico mentate vicende di piccole rivolte e di grande emancipazione. Lo sfondo è essenzialmente la solare, rossa Sardegna. Ma c’è anche una capatina nella brumosa e affumicata Milano del boom economico e dell’emigrazione dei terùn, come li chiamavano allora. Un pianoforte che riempie una vita, un’amicizia che ne sconvolge un’altra durante un soggiorno in una casa di cura per malati di calcoli renali (il “mal di pietre”, appunto), dei personaggi teneri, belli e veri, legati tra loro a formare un’originalissima famiglia. È un universo atipico, quello che sgorga dal racconto della soave narratrice, dolce ma energica, una narratrice attenta ai dettagli, grande osservatrice delle passioni, delle stravaganze, delle grandezze, dei dubbi e delle umane debolezze. Una storia che coinvolge quattro generazioni di donne diversissime tra loro, che amano scrivere e che incrociano diversissimi destini, ma che in comune hanno quel pizzico di follia che rende unici. E poi c’è tutto lo charme di quell’amore bellissimo perché impossibile e forse perduto. O inventato... – 29 – LETTERA - SAGGIO VITTORINO ANDREOLI, LETTERA A U N IN SEGN A N TE RIZZOLI «Sei un insegnante? Allora questo libro può solo interessarti!» E se ci permettiamo di darvi del “tu” è proprio perché così l’autore si rivolge al suo lettore. Lettera-libro indirizzata, dunque, agli insegnanti, ma anche a tutti quelli che per una ragione o per l’altra con la scuola hanno a che fare (allievi, genitori, direttori, ispettori, ecc.). Andreoli, lavora e vive tra gli adolescenti; ne conosce quindi assai bene i comportamenti, le passioni. Nella sua “lettera” si rivolge a chi insegna per dirgli - tra le altre cose - che deve credere fino in fondo a quello che fa. Sennò lasci perdere. Un insegnante è uno che aiuta a vivere, non deve correre dietro i programmi che “vanno finiti”, non deve distribuire l’illusione del sapere, deve dire cose che fanno pensare, che fanno meditare, cose che (poi) continuano (o dovrebbero continuare) a crescere nella testa dei ragazzi. Un insegnante dovrebbe riuscire a inserire i ragazzi nella storia e nella cultura di una città, di una nazione, del mondo. Abbiamo forse un po’ tutti dimenticato che il sapere serve sempre, anche se non garantisce necessariamente un lavoro o il successo, che va considerato come un investimento e che costa - naturalmente anche un certo sforzo. Dopo aver analizzato le discriminazioni e alcuni comportamenti “marginali” che caratterizzano certi allievi nel gruppo-classe, Andreoli ci dà un certo numero di suggerimenti (ma intendiamoci, non abbiamo in mano un libro di “ricette” per risolvere i “problemi scolastici”!) per evitare le emarginazioni, le aggressioni, i comportamenti violenti, le opposizioni, ricordando però che la rivolta1 è anche spesso alla base della creatività, perché è capacità di dire di no, ma dopo aver valutato le situazioni. È poi magari utile ricordare a certi insegnanti che il computer (davanti al quale i ragazzi passano già molto tempo per conto loro) è una matita un po’ più complessa, ma che rimane uno strumento del sapere. E che come diceva Chester Himes «è un attrezzo utilissimo nelle mani di colui che sa, ma in quelle di un cretino è come un revolver maneggiato da un cieco in mezzo alla folla»2. A buon intenditor... un Libro per Amico – 30 – ROMANZO LAURA MANCINELLI, La casa del tempo RACCOLTA DI TESTIMONIANZE PIERGIORGIO PATERLINI Ragazzi che amano ragazzi Einaudi Feltrinelli Magari la trama proprio proprio originalissima non è, anzi, ci ricorda certamente qualcosa, ma questo garbato romanzo della ben nota medievalista qualcosa di fresco, di immediato, di accattivante ce l’ha. Orlando, certo, non se li aspettava di sicuro i tiri mancini della vecchia casa rosa della maestra, un po’ sperduta nei campi, che sembra tutto voler fare tranne il piegarsi alla volontà di chicchessia. Certo, Orlando, non si aspettava né di comprarla (si chiederà il perché di quell’assurdo acquisto fino alla fine del romanzo!), né di scoprirci misteriosi segreti tenuti nascosti per tanti, lunghi anni, né di dover intraprendere – grazie a lei – un inatteso, introspettivo viaggio nel tempo su su fino all’infanzia, ai tempi della scuola, all’adolescenza, e ancora meno di doverla amare... Così tra un flash back e l’altro, tra un avvenimento “soprannaturale” e l’altro, tra inattesi incontri (quello strano bambino, quel rosmarino, quel gatto nero, quella parietaria, quelle talpe), la storia scorre via e ci porta via con sé, stregandoci e incuriosendoci assai piacevolmente. Nel 1988 l’autore intraprende un viaggio-inchiesta che lo porterà su e giù per tutta la penisola “alla ricerca dell’adolescenza omosessuale sommersa”. Il libro raccoglie quindi le dichiarazioni di un significativo gruppo di ragazzi tra i 15 e i 20 anni che – essendo fuori dagli schedatissimi giri della prostituzione e della violenza – era come se nemmeno esistesse. E le cose non sembrano cambiate in modo radicale in quasi vent’anni. Incontriamo così Stefano, Paolo, Luca, Antonio e molti altri ragazzi simili a tutti gli altri, che ci parlano delle loro vite, delle loro esperienze, delle loro paure, delle apprensioni, delle inquietudini, delle ossessioni, ma anche di terribili rifiuti da parte di genitori, amici, insegnanti, autorità. Perché le loro vite sono del tutto normali tranne per una cosa. Che questi “ragazzi amano ragazzi”. Secondo le statistiche sono due a tre per classe... Una lettura bella e sconcertante che ancora oggi (anche se il fenomeno gay è forse un filino più visibile) ci sembra di un’attualità scottante. Dopo le testimonianze vere e proprie, troviamo le bellissime lettere che, tra la prima edizione e quella un Libro per Amico – 31 – che abbiamo tra le mani, l’autore ha ricevuto dai suoi lettori, giovani e meno. ROMANZO MARCO MISSIROLI, Senza coda Fannucci editore Nato nel 1981 a Rimini (e quindi giovanissimo) Missiroli pubblica il suo primo romanzo nel 2006 e si porta via un premio al Campiello. Non male.... Tanto più che Missiroli si cimenta in un’ardua e assai difficile impresa, che già in parecchi hanno tentata con risultati più o meno felici. Pensiamo ad Ammaniti e ad Alajmo per citarne due tra i più recenti in Italia, a Donna Tartt, Truman Capote, Henry James e a Harper Lee per i grandi classici americani. La sfida è quella – assai acrobatica e perigliosa – del narrare una storia come se la raccontasse un bambino, attraverso lo sguardo di un bambino (o comunque di un puro) e a far sì che l’illusione funzioni per il lettore. Abilità ce ne vuole senz’altro perché il famoso sguardo innocente che intravediamo sulla bella copertina (per una volta in vera sintonia col contenuto del romanzo), lo perdiamo tutti abbastanza presto. Troppo presto. E chi riesce a conservarlo (o a far finta di averlo conservato) è davvero bravo. Pietro è un bimbo che vive un po’ nella nostra realtà e molto nel suo sogno (folli corse con il suo amico Nino, il giardiniere, verso il mare o ai monti, al volante della Bianca, la mitica auto decappottabile di papà relegata sotto un telone in garage), che inventa commoventi e particolarissime preghiere al Bambino Gesù, preghiere dalla chiave misteriosa e che restano un mistero irrisolto per molte pagine. Pietro, poi, colleziona code di lucertola (da qui il titolo del romanzo), che taglia con un affilatissimo coltello, con molta maestria e con la complicità di Luigi (un amichetto) o di Nino, e che conserva a non si sa quale scopo in un boccale di vetro. Pietro si reca poi regolarmente ma controvoglia in auto (con madre autista e scorta) in città, una puzzolente e strana città, da un tale Carmine, a portargli una misteriosa lettera del padre. Carmine, il cui ruolo nella storia scopriremo solo progressivamente, man mano che diventa chiaro per il bambino... Scopriremo anche chi è quel padre severo, irascibile, violento, manesco, terribilmente sentenzioso, ambiguo e tiranno che esercita su tutto e su tutti il suo strapotere. Sorta di romanzo iniziatico dunque, nel quale le durezze della vita si svelano gradualmente al piccolo Pietro, in un lento tirocinio, una vita dura come può esserlo quando ci si mette di buzzo buono. Scritto con stile limpido, semplice ma estremamente curato un Libro per Amico – 32 – ed efficace, «Senza coda» piacerà senz’altro a chi ama avventurarsi in quei romanzi che hanno un che di intimistico e di fresco, con una punta di mistero e quel che basta di tristezza. RACCONTO TEATRALE ERRI DE LUCA, L’ultimo viaggio di Sindbad Einaudi Il regista Maurizio Scaparro, nel 2002, ha dato l’incarico al nostro autore di imbastire “qualcosa” sul personaggio di Sindbad. Il marinaio delle Mille e una notte diventa quindi il personaggio/pretesto di questo brevissimo testo (49 pagine di cui alcune riempite solo a metà) nel quale De Luca affronta in modo elegante e scarno (per non dire ellittico) il tema scottante dell’emigrazione clandestina. Sindbad è qui il capitano di una vecchia nave che nasconde nella stiva un impressionante carico di emigranti, che sono in viaggio verso le coste italiane, specie di terra promessa o novello Eden per quei disperati fuggiaschi. Un tema caro a molti autori quello dell’emigrazione (da Baricco a Sciascia), che è qui trattato in modo nuovo perché avulso dal tempo e quindi investito di una dimensione terribilmente universale. Echi biblici, mitologici e letterari (Dante, Caronte, Moby Dick, Giona, Mosè, Paolo di Tarso, Noè, Gesù di Nazareth...) punteg- un Libro per Amico giano un testo bello e ricco che non dimenticherete tanto presto. TESTI BREVI ERRI DE LUCA, FOTOGRAFIE DI DANILO DE MARCO UN P AP AVERO ROSSO ALL’OCCHIELLO SEN ZA COGLIERN E IL fiORE OLM IS Testi rari, testi che furono assai difficili da trovare prima di questa bella raccolta dal formato più piccolo di un normale tascabile, stampata su carta patinata arricchita da alcune splendide foto di Danilo de Marco, complice e amico dell’autore. Sono quelli che De Luca scrisse per il quotidiano Il manifesto tra il 1998 e il 1999 e per L’avvenire nel luglio del 20003. Tesi brevissimi (lo spazio nelle ERRI DE LUCA. – 33 – pagine dei quotidiani è spesso imposto. Purtroppo per certi, fortunatamente per altri!); testi belli nella loro semplicità intensa ed essenziale, quasi lapidaria; testi molto incisivi che affrontano temi diversissimi tra loro, da quello dell’inevitabile e inarrestabile immigrazione da tutti i possibili sud, a quello della violenza, dell’odio, del perdono, degli acquisti natalizi, del timor di Dio (e altri timori più o meno ingiustificati), o ancora a quello della poesia, della rima, della canzone. Testi che coinvolgono, testi che sembrano istantanee, ma di quelle che ti pongono un problema, che ti fanno cambiare lo sguardo sulle cose; testi che sono decisamente pre-testi per parlare di umanità, di incomunicabilità, d’amore universale, di tolleranza. De Luca fa parte di quegli scrittori che l’azzeccano di più col testo corto, perché fa parte dei pochi eletti che posseggono quello sguardo acuto sulle piccole cose che noi poveri mortali non vediamo nemmeno, e che ne sanno cogliere sostanza, significato, messaggio, monito. TESTO BREVE ERRI DE LUCA, IN N OM E D ELLA M A D RE mo ribadire che nel genere “testo breve” è un vero asso), dovremo servirci di un insolito aggettivo. Un aggettivo che forse non sarebbe d’uopo usare per un libro. Osiamo. Questo è un testo dolce. Dolce per il soggetto trattato con estremo garbo e tanta delicatezza, dolce perché per scrivere un libro così ci vuole tanto amore, tanta leggerezza, tanta tenerezza. Come parlare di Miriàm/Maria e dire cose non ancora dette, come toccare (sfiorare sarebbe meglio) un tale argomento senza rischiare di piombare nella facilità, nella banalità nel già visto, già letto, già sentito? Sì è possibile, ma solo usando un frasario semplice e tuttavia ricercatissimo, dove nulla è superfluo e tutto è essenziale, dicendo unicamente l’indispensabile per giungere al cuore del lettore più che al suo cervello. Ci verrebbe da dire la sua anima, ma non vogliamo neppure noi cadere nella tentazione della faciloneria. De Luca volteggia sul filo del rasoio. Senza passi falsi, senza acrobazie retoriche, senza trucchi. Da vero trapezista. Così. Con grande abilità e con la tenuità del grande scrittore. Dolcemente, ma con sicurezza. FELTRIN ELLI Ecco, per quest’altro breve, recente testo di De Luca (dobbia- un Libro per Amico – 34 – SAGGIO PIETRO CITATI, LA M ORTE D ELLA FA RFA LLA MON D A TORI Chi ci legge sa che le nostre preferenze vanno - generalmente - al romanzo, o in ogni caso al testo narrativo. Parranno quindi magari un po’ strane queste righe dedicate a un testo che di romanzesco non ha proprio nulla. Ma Fitzgerald è da sempre uno dei nostri due o tre autori preferiti e pensiamo del resto che The great Gatsby sia uno dei migliori romanzi in assoluto del secolo scorso... Affrontare due mostri sacri come Francis Scott Fitzgerald e sua moglie, l’inquietante, splendida, esotica ed enigmatica Zelda non è assolutamente impresa da poco. In più, potrebbe sembrare un progetto non solo rischioso ma anche relativamente superfluo, visti gli oceani d’inchiostro già versati su di loro. Non è così. Citati si muove in modo nuovo tra i due personaggi quasi leggendari che hanno formato la più celebre coppia dell’America degli anni del charleston e riesce a buttare nuova luce sulla loro enigmatica, passionale e tragica relazione, che si muove tra pesanti eredità, fiumi di alcool, impensabili stravaganze, allucinanti e allucinati viaggi, epiche notti brave (o prave?), litigi burrascosi, separazioni, veri o presunti tradimenti, riconciliazioni, un Libro per Amico megalomanie, metamorfosi, vani tentativi di non dilapidare fortune colossali e (non molto) ordinaria follia. Sembra così di penetrare con loro in un mondo ancora più smodato e improbabile di quello della felliniana Dolce vita: i due fanno bagni vestiti nelle fontane, viaggiano sul tetto dei taxi, improvvisano spogliarelli durante le rappresentazioni teatrali, si picchiano con i poliziotti, si prendono sbornie disperate, sciupano, dissipano, distruggono e pensano di poter rendere felici tutti gli esseri umani. Si attorniano così sistematicamente di gente, troppa gente. E credono che quelle persone siano persone vere, mentre erano soltanto la proiezione dei dèmoni che portavano dentro di sé. Forse, i due, nel profondo, avrebbero voluto che la realtà non esistesse. Malgrado quello che scriverà Scott: «Saremmo stati molto più felici se io avessi sposato un’altra donna e lei un altro uomo», la coppia sembra indissolubile, inscindibile, L’uno non può assolutamente fare a meno dell’altra: Zelda disegna con grande abilità, su immacolati fogli, i personaggi che Scott non riesce a visualizzare per il suo Gatsby; Scott copia le lettere e i diari di Zelda inserendoli di nascosto nei suoi romanzi. Audace (ma per nulla ingiustificato) il paragone di Citati con l’opera di Proust e col suo famoso temps – 35 – che inesorabilmente passa, colle sensazioni che non durano ma che rendono immensamente felici, in una quasi estasi impossibile da condividere... SAGGIO PIETRO CITATI, LA COLOM B A P U GN A LA TA MON D A TORI Non capita spesso che un saggio si legga come un piacevolissimo romanzo... Entusiasmati dal testo qui sopra, ci siamo buttati a capofitto su un quest’altro scritto, che Citati proponeva qualche anno fa4 e che - chissà perché - non abbiamo notato malgrado il nostro pluriennale interesse per la letteratura francese. Anche qui l’autore non scherza e affronta ancora un gigante del romanzo, lo stesso che era “sfuggito” ad André Gide, che ai tempi ne aveva rifiutato il manoscritto (ciò che per anni ha fatto piangere l’editore Gallimard5); nientepopodimenoche l’immenso Marcel Proust. Sul quale hanno scritto praticamente tutti i grandi della critica mondiale da Alain de Botton6 a Jean-Yves Tadié7 passando per Samuel Beckett8, Gérard Genette9 e Jean Rousset10 solo per citarne alcuni. Nelle pagine di Citati incontriamo sì - evidentemente - il “personag- gio” Proust, “sempre schiacciato da una perpetua stanchezza”, “malato di tutte la malattie”, in guerra perpetua contro le correnti d’aria, “che sembrava un Pierrot” -al punto che qualcuno gli chiese perfino di recitare la parte del lunare personaggio in una commedia-, grande esploratore dell’universo della sofferenza e del dolore. Ma assistiamo anche alla sfilata di un corteo di figure dell’epoca, fasciate nei loro preziosi, elegantissimi, ineccepibili abiti. In ordine sparso ricorderemo: Anne de Noailles (che gli fa scoprire l’arte del fondu, arte suprema dei maestri che Proust utilizzerà con grande maestria nella sua Recherche), il dandy Robert de Montesquiou-Fezenac (che oltre ad aver scritto delle noiosissime Memorie ispirerà - a detta di molti - il personaggio di Swann), la contessa de Fitz-James (“abito di popeline nero, ombrello PIETRO CITATI. un Libro per Amico – 36 – blu incrostato di turchesi”), Reynaldo Hahn (cantante e musicista di gran talento e amico-amante), Lucien Daudet (che rimpiazzerà Hahn nel cuore di Marcel) e molti altri di cui fu complice, corrispondente, ammiratore, amico. Da non dimenticare, poi, l’imponente (e assai ingombrante) figura della madre dello scrittore, Madame Proust, vera incarnazione della civiltà borghese francese; madre onnipresente, dittatoriale e asfissiante (non per nulla Marcel soffrirà d’asma per tutta la vita)11, maestra del ricatto affettivo a cui Marcel era legato da un indissolubile, morboso legame. Citati ci fa così “riscoprire” la figura del romanziere, prima attraverso un’intelligente lettura delle sue opere giovanili (Jean Santeuil, Contre Sainte-Beuve, Les Plaisirs et les Jours), che come poche altre nella letteratura mondiale “ci conducono [così] vicino al mistero della creazione artistica” e poi naturalmente grazie a uno sguardo in cinemascope sulla genesi sul suo capolavoro che purtroppo - malgrado l’“eccesso di volontà” dell’autore - rimase incompiuto; il celeberrimo A la recherche du temps perdu. Per tutti quelli che vogliono saperne di più. ROMANZO BEPPE FENOGLIO, LA M A LORA EIN A U D I Fa bene ogni tanto ritornare ai “classici”, anche perché - nella marea delle novità - è facile perdersi o magari lasciarsi invischiare negli “effetti moda” che ci strombazzano in faccia troppi nomi di troppi presunti nuovi geni della letteratura. E questo un “classico” lo è senz’altro. Pubblicato per la prima volta nel 1954, scritto con uno stile scarno ma nitido e pulito con invenzioni linguistiche originali, il racconto (abbiamo detto romanzo, ma è un romanzo molto breve) narra la semplice storia di una famiglia delle Langhe. Una famiglia di una povertà che abbiamo troppo in fretta dimenticata “grazie” al BEPPE FENOGLIO un Libro per Amico – 37 – boom degli anni ’60. La povertà della campagna, quella che raccontava papà, quella per via della quale le famiglie - raccolte intorno al tavolo di cucina – insaporivano la polenta intingendola (si fa per dire) in un’acciuga sospesa a un filo che pendeva dal soffitto e che durava giorni e giorni... Quella povertà che prometteva come “tredicesima” un paio di pantaloni nuovi se si era lavorato bene e sodo tutto l’anno. Molto sodo. Pantaloni che poi con una scusa o con l’altra (il raccolto misero, il gelo traditore, la tempesta improvvisa e devastatrice, una bestia morta...) non si ricevevano mica sempre. Storie di sensali che combinavano poverissimi matrimoni, dove la sposa portava in dote quattro marenghi (se il marito li valeva) e per i quali si imbastivano “sontuosi” banchetti, dove la gallina e il suo brodo erano un lusso, il salame uno stravizio, il vino un rarissimo nettare. Storie di contadini che si storpiano a forza di piegarsi sotto il giogo dei padroni. Storie di donne che continuano anche malate ad accudire mariti figli e nipoti e a far quadrare lo scheletrico bilancio. Storie di ragazzi che sognano un’altra vita ma che la campagna non molla, tranne se vanno a studiare in seminario in città, dove però la vita è altrettanto grama. Troppo in fretta la generazione del telefonino, della Mercedes, delle vacanze ai Carabi (o più lontano che è ancora meglio) e dell’internet ha scordato da dove veniva. Ricordarlo un po’ ogni tanto fa anche bene. Torniamo quindi a qualche “classico”... ROMANZO BREVE NATALIA GINZBURG, LA STRA D A CH E V A IN CITTÀ EIN A U D I TA SCA B ILI Questo testo (il primo dell’autrice) scritto nel 1941, sprigiona una freschezza incredibile. Non ha una ruga. Sembra scritto ieri. O oggi. E dire che la Ginzburg lo pubblicò sotto lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte. Per fortuna lo abbandonò quasi subito. Lo pseudonimo. Ripubblicato poi con altri testi nel volume Cinque romanzi brevi, è ora disponibile separatamente. Ed è veramente da (ri)scoprire questa storia di una famiglia, di una relazione, di un matrimonio d’interesse, di un parto, ma soprattutto di una donna che vuole crescere. In fretta. Troppo. Una storia che ci fa rivivere un’Italia di ieri così diversa da quella che conosciamo, nella quale la vita di città e quella della campagna sono separate da un baratro, non sempre facile da varcare, nemmeno per chi ha vaste ambizioni. Una città e una campagna che non hanno nome e che potrebbero situarsi ovunque nella penisola, nelle quali evolvono la narratrice (Delia) e tut- un Libro per Amico – 38 – ti quelli che le orbitano intorno, dalla sorella cittadina, mondana, spregiudicata e adultera, al fratello che intesse affari poco chiari e relazioni che non lo sono di più, al cugino amato/respinto che finisce nella spirale dell’alcool, ma la cui presenza apre e chiude il romanzo. Non dite «Sì, ma la Ginzburg....». Leggetelo! RACCONTI NICCOLÒ AMMANITI, FA N GO Oscar Mondatori Un vero fuoco d’artificio (scoprirete velocemente perché...) il primo racconto della raccolta12. Un infernale (e abbastanza letale) count down scandisce la notte di San Silvestro di un non meglio precisato anno (la datazione si limita a 199...), in un quartiere residenziale (si suppone di lusso), a Roma, sulla Cassia: il “Comprensorio delle isole”, che include due eleganti palazzine, la palazzina Ponza e la palazzina Capri. Un elevato numero di personaggi (non temete, è IMPOSSIBILE confonderli!) si ritrovano concentrati proprio lì per ragioni assai svariate. Chi per suonare l’arpa (!) al Lupo mannaro (la discoteca del rione), chi per suicidarsi, chi per rubare, chi per vizio, chi per mestiere, chi per regolare definitivamente una pendenza amorosa, chi semplicemente per festeggiare la fine del- un Libro per Amico l’anno (del millennio?). Ammaniti accumula eventi e una coloratissima galleria di personaggi più o meno strani, assatanati dal sesso, innamorati del denaro, allucinati dalle droghe e dai solventi (sic!), disgustati da tutto, alla ricerca di qualcosa, spiritati, nostalgici del fronte (quale?); bonaccioni alcuni, infingardi gli altri, ma tutti evocati con qualche tratto decisamente originale. Una tragicomica sarabanda quindi, che finisce in modo comunque poetico e con un “messaggio” di speranza da dopo diluvio universale. Belle alcune trovate, belle molte invenzioni, stile ginnicamente snello, da assaporare per dimenticare tutte le preoccupazioni. P.S.: Gli altri racconti ve li lasciamo scoprire. RACCONTI IN COSTUME VITTORIO ZUCCONI, STORIE D ELL’A LTRO M ON D O OSCA R MON D A D ORI Se il titolo non ci dice un gran che, il sottotitolo ci informa meglio sui contenuti del volume, indicandoci che si parlerà qui de La faccia nascosta dell’America. Infatti, Zucconi è andato a scovare storie di varia attualità e cronaca, curiosità e fattacci a volte allucinanti, a volte raccapriccianti, spesso divertenti, ma sempre singolari e originali presi in prestito dalla cronaca più o meno “nera” – 39 – degli Stati Uniti d’America, che ci racconta in brevi capitoletti di una o due pagine e mezza al massimo. Ottima occasione per chi ha voglia di addentrarsi nei labirintici e sorprendenti retroscena di quel grande paese che tende (troppo) spesso a esser presentato su carta patinata o in pacchetti regalo ricchi di glamour e nastrini. Leggiamo quindi queste piccole storie di varia umanità che vanno a frugare dietro le quinte e che ci parlano di bambine truccate come vamp (e che come certe vamp fanno una ben triste fine), di giornaliste che devono farsi strada nello spietato mondo maschile a colpi di... spogliarello, di nonne che decidono di pagare in blocco i parcheggi degli studenti universitari chiusi nelle aule a studiare prima che i poliziotti di turno gli appioppino una contravvenzione e che poi vengono condannate ma subito riscattate dal pubblico osannante, di cacciatori condannati per aver ucciso lupi (non mannari, lupi tout court), di genitori-gangster, ecc. «Meglio un marito assassino una volta alla settimana che un marito noioso tutti i giorni» recita la “morale” (e chiamala morale!) di uno degli spaccati di vita, nel quale si racconta di una signora che, annoiata dal marito assai ricco, dapprima si dedica alle opere di bene andando a visitare i carcerati, poi decide di divorziare e di sposarsi con un serial killer rinchiuso nel braccio della morte, che può andare a trovare - appunto – solo una volta alla settimana... Con brio e con un costante umorismo che va dal faceto al decisamente cinico, Zucconi dispiega una carrellata di ritratti, di storie e di personaggi tutta da scoprire e da godere. Ideale per chi ama la letteratura da centellinare e per chi teme di lanciarsi negli enormi (e a volte noiosissimi) polpettoni estivi di varia provenienza... ROMANZO CARMINE ABATE, IL M OSA ICO D EL TEM P O GRA N D E MON D A D ORI Esattamente come le tessere di un mosaico o come i tasselli di un puzzle gli uni negli altri con precisione s’incastonano formando disegni e immagini limpide e godibili per i nostri occhi, così i capitoli del romanzo, organizzandosi pazientemente nella nostra mente e trovando ognuno il suo posto, ricompongono poco a poco le vicende parallele (nello spazio ma non nel tempo) di Antonio Damis e Drita, di Michele (il narratore neo-laureato) e della bella Laura (sempre affiancata dal suo fratellino Zef, ammirato e amato da tutti malgrado il suo caratterino piuttosto “selvatico”) e quella ben più antica del papàs Dhimitri Damis, sorta di un Libro per Amico – 40 – patriarca, che fondò una comunità albanese in Calabria dopo la fuga dall’originario villaggio di Hora in Albania, incendiato dagli invasori turchi e dei suoi successori tutti implicati nella ricerca di un fantomatico tesoro... Ricchi di colori, di sfumature e d’avventure, i personaggi sembrano uscire da rare, pregiate icone o da preziose cappelle bizantine e sgranano davanti ai nostri occhi il rosario variegato delle loro intrepide vite. La sottile analisi dei sentimenti dei personaggi e del loro agire che intreccia la storia, è accompagnata da splendide descrizioni delle loro apparizioni (in assolo o in gruppo), quasi come se d’un tratto venissero colti dalla luce di un riflettore e sorgessero dal buio per abbagliarci. Non potremo così scordare quegli sguardi intensi, quegli occhi azzurri come l’acqua del mare quando lambisce la riva, o allora scuri e profondi come fiamma che si cela sotto la cenere, quei visi che rivaleggiano con quelli di santi o di madonne e che sembrano brillar di luce propria come meteore che attraversino la nostra lettura. Di storie di rifugiati, profughi ed emigranti ne abbiamo lette a iosa. Questa ci è sembrata particolarmente bella perché dolce e violenta al tempo stesso, misteriosa e affascinante, sospesa tra racconto, storia e leggenda, trattata poi con stile sicuro e incisivo, che un Libro per Amico ricorda, qui, i toni dell’epopea, là quelli del romanzo d’amore della migliore tradizione; stile sostenuto da audaci metafore e da tutto l’apparato retorico13 che deve arricchire l’opera letteraria, nonché da un uso abile e preciso della lingua. Così anche quando i personaggi parlano nel loro antico e per noi strano idioma, ci accorgiamo che – inspiegabilmente - li capiamo benissimo anche senza le famose note a piè di pagina... ROMANZO ELENA FERRANTE, I GIORN I D ELL’A B B A N D ON O ED IZION I E /O Dubbi, rabbie, disperazioni, rivolte, sofferenze (come evitarle in caso di abbandono?), di una donna piantata in asso da un marito che, un giorno, viene colto da un improvviso “vuoto di senso” (non di sensi!). Dopo questa prima fase, subentra quella caratterizzata dall’affannosa voglia di sapere chi è l’altra lei e dove abitano quei due e naturalmente cosa fanno insieme (e qui si apre il ben noto, inverosimile, variabile e sempre assurdo ventaglio delle probabili e improbabili azioni eseguibili da due amanti, che noi tutti abbiamo elencato almeno una volta nella mente). Però l’assurda speranza che l’essere amato torni abita sempre e comunque l’abbandonato/a di tur- – 41 – no. Così la narratrice aspetta pazientemente che il marito ritorni a casa come (purtroppo) tornano puntualmente (alla stagione giusta) le formiche nel suo appartamento. In lunghe file nere (minacciosa metafora di altri tenebrosi avvenimenti) e perfettamente restie a tutti gli stratagemmi escogitati negli anni per farle secche... Il risultato di tale esacerbata attesa è che così, il marito assente è sempre più presente nei ricordi, nell’ira, nei rimproveri (verbalizzati e no) dell’infelice donna-madre-ex moglie. L’abbandono, si sa, è poi sempre accompagnato da deleteri effetti collaterali. Quali? Per esempio nelle relazioni con gli amici (di lui, di lei). Ci sono quelli che restano ma soprattutto quelli che ci mollano – codardamente e vigliaccamente – nelle difficoltà... I servizi pubblici dalla tentacolare burocrazia che non dà presa all’utente nascondendosi dietro metalliche, scoraggianti segreterie vocali o fantomatici scher- mi di computer o ancora dietro “porte allarmate” (cioè dotate di allarme), da parte loro, non hanno assolutamente nessuna pietà dell’abbandonato/a e sembrano divertirsi sadicamente a tagliare forniture di gas, d’acqua o di elettricità nonché gli allacciamenti telefonici non regolarmente pagati... La solitudine sfocia allora in affannose quanto vane ricerche, in avventurose spedizioni che si vorrebbero investigative (e magari punitive), in una spettrale Torino invasa dalle boutiques e dalla notte, ma comunque divorata dalle imponenti vestigia del suo glorioso passato fino a che. Non diremo di più. Uno stile rapido e incisivo, quello della Ferrante, ricco di originali paragoni e acrobatiche figure retoriche, percorso (purtroppo) qua e là da una vena di turpiloquio (a Roma si dice che la parolaccia “quando ci vuole ci vuole” ma a noi sono sembrate tutte assolutamente inutili), uno stile che le permette di sostenere senza troppi artifici le tre storie che si intrecciano. Quella della gioventù della narratrice coi suoi colorati personaggi, quella dell’abbandono propriamente detto e quella della coppia (ora) separata. un Libro per Amico – 42 – ROMANZO GIANRICO CAROFIGLIO, IL P A SSA TO È U N A TERRA STRA N IERA RCS LIB RI MILA N O Nato a Bari nel 1961, l’autore è sostituto procuratore antimafia nella stessa città. Ha esordito nella narrativa nel 2002 con il romanzo Testimone inconsapevole seguito poi da Ad occhi chiusi. Questa è dunque la sua opera terza. L’attività professionale del Carofiglio spiega forse (anche se siamo lungi dal pensare che nei romanzi si debbano/possano cercare elementi autobiografici, vezzo ancora abbastanza frequente in certa critica letteraria) l’interesse per la trama decisamente poliziesca di uno dei due fili narrativi del romanzo. Certo è che lo scenario della storia è proprio Bari, la città dell’autore, che questi deve conoscere per filo e per segno nei suoi meandri più nascosti e nelle sue più occulte attività... Ed è qui che si intrecciano le trame delle due storie parallele. Seguiamo quindi da una parte il percorso iniziatico del giovane Giorgio (il primo narratore) che abbandona i suoi pur riuscitissimi studi di giurisprudenza per scoprire le oscure vie tutte in discesa del male, grazie a una particolare e assai ambigua amicizia con Francesco, un prestigiatore/baro professionista dal fascino misterioso e oscuro che seduce sia le donne che gli uomini. L’altra un Libro per Amico storia (più breve e come incastonata nell’altra) è quella dell’inchiesta del tenente dei Carabinieri Chieti, che indaga su una serie di delitti a sfondo sessuale compiuti da un fantomatico stupratore, raccontata - questa - da un narratore anonimo. Se sommiamo l’eterna rivalità tra le forze di Polizia e il corpo dei Carabinieri, un po’ di giro di droga, quel che ci vuole di sesso (moderato), un pizzico d’avventura, il giusto suspence, un’inchiesta di puro stampo poliziesco e un magistrale colpo finale, otteniamo come risultato un ottimo “thriller psicologico” di bell’effetto e di gradevole lettura con sottilissime osservazioni di costume e di società. CITAZIONI GLI STUDENTI DI COMIX, SP U TTA N A IL P ROF GLI STRA FA LCION I D EI P ROFESSORI Mondadori Sono note a tutti le famose “perle d’allievo” che già fecero la fortuna di vari astuti insegnanti ed editori e che ora circolano sulle autostrade dell’internet. Ecco invece, fresca fresca di stampa, un’esilarante raccolta di frasi, esclamazioni, osservazioni e affermazioni più o meno logiche e pertinenti di una bella serie di professori delle scuole superiori di tutt’Italia raccolte dagli studenti. Quest’opera, nata da un’idea as- – 43 – solutamente geniale (perché certe idee vengono sempre solo agli altri?) ci offre un divertente specchio (deformante ma non poi così tanto...) degli insegnanti contemporanei tra buffi lapsus, incredibili e allucinanti scivoloni grammaticali, tic di linguaggio, spropositi vari, errori storici, gaffes letterarie, cadute di stile e perfino un briciolo di freudiano turpiloquio ma molto soft. Certi prof (per fortuna indicati dalle sole iniziali) dovrebbero sprofondare due o tre metri sotto terra, fulminati dal ridicolo (che come si sa, purtroppo, non ha mai ucciso nessuno) o dalla loro involontaria (speriamo...) ignoranza. Ma non è tutto. Se i contenuti sono autentici (e non ne dubitiamo), aldilà delle clamorose cantonate stilistiche e sintattiche degli insegnanti, questo libricino ci offre tra le righe (e tra un sorriso e l’altro) uno spaccato assai inquietante del mondo dell’insegnamento, poiché ci propone un ritratto di una situazione scolastica che sta andando decisamente alla deriva, ma che soprattutto sta sfuggendo di mano a direttori, insegnanti e autorità politiche varie, quest’ultime ben più interessate da “altri” problemi (di gestione, di marketing, d’immagine, di produttività, di compatibilità con le richieste e gli imperativi dell’economia o con la piatta ideologia imperante, e via elencando) che da quelli puramente pedagogici, etici, filosofici, morali o semplicemente umani. Infatti certi interventi, certe reazioni degli insegnanti (a volte decisamente esilaranti a volte assolutamente patetici per non dire tragici), ci permettono di indovinare (anche senza grandi sforzi) che c’è qualcosa di marcio nel sistema scolastico, qualcosa che proprio non funziona più, un disagio, una discrepanza, una sicura inadeguatezza tra quello che la scuola è diventata e quello che dovrebbe/potrebbe essere, tra quello che propongono gli insegnanti e quello che decidono quelli che decidono, tra quello che si aspettano gli studenti e quello che viene loro propinato/proposto/imposto/inflitto da quelli che detengono il potere (e non sono certo i prof!). Purtroppo non è un problema che riguarda solo la vicina penisola. Chi ha oreccchie per intendere... E allora, per invogliarvi alla lettura, vi proponiamo qui sotto un breve “assaggio” delle 174 demenziali pagine. «Non preoccuparti, non è la prima volta che promuoviamo gli acefali». «L’idrogeno si deve attaccare all’ossigeno, altrimenti dove si attacca? Al tram?». un Libro per Amico – 44 – «Ma cosa andate a fare la campestre?... Voi vincete solo la maratona delle chiacchiere!». «Non dico che siete degli scemi, però è possibile». «Nella vostra classe c’è molto spirito organizzativo: ognuno si fa i cavoli propri!». «Tra un po’ mi chiederete di uscire anche per andare a farvi la permanente». «Se vedo ancora volare qualcosa, vola anche qualcuno di voi!». «Voi volete il venerdì islamico e il sabato ebraico. La domenica siete scrupolosamente osservanti. E vorreste anche il lunedì dei barbieri?». E per finire, su un bollettino scolastico di un allievo che doveva essere particolarmente brillante: «Gli riesce bene fare il rumore delle moto!» Basta così. E non sono le migliori! ROMANZO MASSIMO MARCOTULLIO, IL SA N GU E D ELLO SCORP ION E PIEM M E A qualcuno piace orientale, a qualcuno nordico, a certi medievale, ad altri quelli che si svolgono nel 1666 (guarda caso...14). A noi piacciono tutti, a condizione che siano ben scritti, avvincenti e magari anche con qualche altra qualità. Parliamo dei romanzi polizieschi o pseudo-polizieschi. Ci piacciono soprattutto le sfide. Questa conta 574 un Libro per Amico pagine. Ma come diciamo sovente, se un romanzo è bello, la lunghezza prolunga la durata del piacere. Allora buttatevi senza esitare sul testo dell’autore di Pavia, autore dai molteplici interessi (disegnatore di fumetti, musicista, direttore di teatro lirico, novelliere) e non certo alle prime armi col romanzo. Veri e falsi mendicanti associati in confraternite (più o meno a delinquere), frati gesuiti ritrovati con la testa mozza (no, niente a che vedere con il celeberrimo Nome della Rosa), un rissoso, irascibile e squattrinato pittore dal significativo nomignolo di Fulminacci (abilissimo spadaccino), alti, medi e bassi prelati, la regina Cristina di Svezia e Luigi XIV, la Santa Inquisizione (impersonata dal gelido e sanguinario Bernardo Muti, sorta di fanatico Savonarola), papi e cardinali, cartomanti, scienziati, moschettieri dall’accento franscese e tutta una carrellata di personaggi coloratissimi sfilano davanti ai nostri stupiti occhi per intricare (ma fortunatamente anche per dipanare) una ben congeniata matassa, in una Roma Secentesca a tutto tondo, con le sue chiese e i suoi teatri, con i suoi quartieri malfamati e i suoi sfarzosi palazzi, i suoi mitici colli e i tuguri di Trastevere. Romanzo di cappa e spada o poliziesco? Romanzo d’azione o romanzo d’intrigo? Romanzo storico o thriller? Forse un ottimo cocktail – 45 – di tutto ciò. Di ispirazione francese o vittoriana? Poco importa in fondo quale sia il modello a cui s’ispira Marcotullio. L’essenziale è che l’autore ci fornisce un testo avvincente, dall’elaborata ambientazione storica e dall’azione sfrenata, nella migliore tradizione romanzesca. ROMANZO PINO ROVEREDO CA P RIOLE IN SA LITA BOM P IA N I La difficile infanzia tra due genitori sordomuti, al fianco di un padre vittima del SE (se fossi stato, se avessi avuto...) e della bottiglia, di una madre attenta e modesta, tutti e due sempre impegnati a tentar di buttar fuori dalla finestra quella miseria che subito rientrava dalla porta, il “Palazzo dei Bambini Tristi” (denominazione gergale del collegio dei figli dei poveri), il “Paradiso” (sorta di night club o dancing) dove il narratore subisce il rito d’iniziazione all’alcool; la “Casa dei Pazzi” (dolce eufemismo per manicomio) dove vien mandato chi manca di controllo sui propri nervi e dove il narratore espia il vizio del bere e si ripromette (molte, molte, molte volte) di non cascarci mai più, la questura, l’orrore della prigione (nella quale si fanno chilometri camminando praticamente sul posto, dove non c’è “né Patria né Religione perché si è tutti figli della catena”), l’isolamento, poi il matrimonio e la famiglia, il lavoro (o meglio i tentativi di mantenere per più di qualche giorno o settimana un modesto impiego), e le immancabili tristi ricadute... L’esistenza insomma di un autore che - con assai abile penna - sa raccontare quello che ha vissuto, intessendo una splendida autobiografia che si legge come un romanzo. Un romanzo la cui storia inizia nelle profonde tenebre della miseria e della spazzatura giovanile per poi volare verso la luce. Attorno al narratore sfila una ricca e variopinta galleria di personaggi, stigmatizzati per lo più da una lapidaria definizione: Davide, quello bello che perciò ottiene tutto senza fatica; Gigi, il cinquantenne con il portamento da vecchio conquistatore; Teresa, il cui viso fa rima perfetta con sorriso; Marisa che mente spudoratamente solo sull’età; Silvano il sordomuto che PINO ROVEREDO. un Libro per Amico – 46 – fa finta di cantare e che non sa che gusto ha la musica, o ancora Giacomo, un giovane che vive controvento. Alla fine di alcuni capitoli, poi, i ritratti e le storie di questi personaggi vengono più ampiamente sviluppati. Sullo sfondo del racconto, in filigrana, l’Italia degli ultimi anni ’60, con la sua musica beat (“molto rumore e poca musica”), quella dei ’70 e del boom economico con le sue fabbriche e i suoi cantieri, poi quella degli ’80 che vede il narratore uscire dal suo incubo. Forse meno incisivo del successivo Mandami a dire, il testo è comunque forte, piacevole da leggere e di veramente ottima fattura. ROMANZO ANDREA VITALI, OLIV E COM P RESE GA RZA N TI Un vero fuoco d’artificio questo spumeggiante romanzo del medico-autore comasco! Su uno sfondo abbastanza soft di Italia fascista (1936 e dintorni con qualche flash back) si intrecciano le sorprendenti storie della pittoresca sarabanda dei personaggi (c’è tutta una città!) di questo romanzo-fiume dalle imprevedibili svolte e dagli improvvisi (e inattesi) ribaltamenti. Personaggi dai nomi assurdi (ma dove è andato a scovarli? Nei cimiteri come la Rowling, la mamma di Harry un Libro per Amico Potter?15) ci coinvolgono in trame demenziali, in intrighi pazzeschi e inimmaginabili, in inchieste poliziesche arzigogolate, in storie di scherzi e di vendette ingarbugliate ma assolutamente logiche e imparabili. Il tutto portato avanti con una sicurezza e una maestria da vero equilibrista della parola (un vero fuoco d’artificio verbale!) e della struttura romanzesca. Sì, perché il romanzo è costruito, come un meccanismo a orologeria, come un incredibile puzzle che non dà respiro né tregua al lettore, il quale si trova rapidissimamente intrappolato in una matassa di fili da districare, in una vera ragnatela sapientemente architettata, che lo avviluppa e che lo obbliga a seguire di qua e di là il narratore, che – in cortissimi capitoli – lo conduce dove gli pare nel tempo, nello spazio e nelle diverse azioni. E quando si è catturati, poco importa l’ora, si va avanti con la nota tecnica dell’«ancora un capitolo e dopo basta» che ci incatena alla sedia. Da non perdere quindi! Romanzo di costume, romanzo poliziesco, romanzo comico, romanzo-fiume, romanzo satirico, romanzo storico. Romanzo insomma; romanzo certamente. Ci direte.... – 47 – ❧ NOTE ❧ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 Il termine è da leggere nel senso filosofico suggerito da Camus soprattutto in L’homme révolté. A proposito di scuola (per chi legge il francese) è molto illuminante anche il libro di Jean-Paul Brighelli La fabrique du crétin, Gallimard, coll. Folio, Parigi, 2006. Il tempo delle osterie. Nel settembre 1995 per l’esattezza (collana Scrittori italiani, Mondatori) poi ripubblicato nel 1998 e ancora oggi ottenibile nella collana Oscar, Best sellers. Leggendo il testo, André Gide cadde sulla famosa descrizione della zia Léonie al suo risveglio a Combray (in Du côté de chez Swann) e rifiutò di continuare a leggere e accantonò il manoscritto.... Gallimard riuscì in seguito a riappropriarsi dei diritti per la pubblicazione di À la recherche du temps perdu e ritrovò il sorriso (e i ricchi benefici editoriali). Divertentissimo il suo Come Proust può cambiarvi la vita. Vera autorità in materia. La sua biografia di Proust (edita nella collection Folio, Gallimard, due imponenti volumi) è un’autentica “Bibbia” per i fans dello scrittore. (1906-1989), romanziere, autore drammatico e poeta irlandese. Il suo Proust è interessantissimo perché è caso assai raro che un grande scrittore parli di un suo altrettanto grande “collega”. Nato nel 1930 è uno dei più noti e apprezzati critici francesi. Le sue opere più conosciute sono i tre volumi di Figures. Critico della scuola strutturalista di Ginevra di cui ricordiamo il celebre Forme et signification. Vedi a questo proposito le pagine su Proust dell’interessantissimo studio di Alice Milles intitolato Notre corps ne ment jamais, Flammarion, Parigi, 2004, pp 56 a 64. È il racconto più lungo e forse più “centrato” e si intitola L’ultimo capodanno dell’umanità. Assai particolare il vezzo di non introdurre le virgole nelle lunghe enumerazioni... Solo per memoria, il 666 è il numero apocalittico della Bestia... Ci sembra d’uopo offrirvi un gustoso assaggio della galleria di nomi femminili: Ada Lumàga, Isolina Resega, Desi Vannetti, Eripranda Denti, Viola Venturi, Itaca Croci, Vera Carponi, Bernarda Scimiani, Estenuata Albini, Mercede Vitali, Mirandola Ortelli, le gemelle Rosalba e Rosanella Bellini. un Libro per Amico Stampato nel mese di giugno 2007.