AIDA - Irtem

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AIDA - Irtem
ISBN 88-86704-34-8
52
DISCOGRAFIE E VIDEOGRAFIE DI OPERISTI ITALIANI
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
DIPARTIMENTO DELLO SPETTACOLO
PUBBLICAZIONE
NON IN VENDITA
RISERVATA
ALLE BIBLIOTECHE
AGLI ARCHIVI
E AGLI STUDIOSI
DISCOGRAFIA E VIDEOGRAFIA DELLE OPERE DI GIUSEPPE VERDI 1865-1881 - AIDA
I.R.TE.M.
ISTITUTO DI RICERCA PER IL TEATRO MUSICALE
DISCOGRAFIA E VIDEOGRAFIA
DELLE OPERE
DI GIUSEPPE VERDI
5
DON CARLOS
LA FORZA DEL DESTINO
(2a versione)
AIDA
SIMON BOCCANEGRA
(2a versione)
CARLO MARINELLI
1a EDIZIONE
ROMA 2002
I.R.TE.M.
ISTITUTO DI RICERCA PER IL TEATRO MUSICALE
COMITATO DEI GARANTI:
CARLO MARINELLI, presidente
ENNIO MORRICONE, vicepresidente
LAMBERTO MACCHI, consigliere
DISCOGRAFIE E VIDEOGRAFIE DI OPERISTI ITALIANI
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
DIPARTIMENTO DELLO SPETTACOLO
I.R.TE.M.
ISTITUTO DI RICERCA PER IL TEATRO MUSICALE
DISCOGRAFIA E VIDEOGRAFIA
DELLE OPERE
DI GIUSEPPE VERDI
5
DON CARLOS
LA FORZA DEL DESTINO
(2a versione)
AIDA
SIMON BOCCANEGRA
(2a versione)
CARLO MARINELLI
1a EDIZIONE
ROMA 2002
© Copyright 1970, 1976, 1979, 1981, 1982, 1983, 1985, 1990, 1992, 1993, 2002, 2003, 2004
by CARLO MARINELLI
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2002 I.R.TE.M.
Grafica Cristal s.r.l.
Via Raffaele Paolucci, 12/14 - 00152 Roma
TOMO 2
AIDA
p.
VII
IX
XIII
5
6
9
121
135
155
Indice Tomo 2
Prefazione
Introduzione
Avvertenza alla prima edizione
AIDA
Struttura musicale dell’opera
Discografia
Nastrografia
Videografia
Edizioni televisive
V
PREFAZIONE
L’interesse suscitato dalle discografie e videografie dedicate alle opere teatrali di
Wolfgang Amadé Mozart, alle opere di Gioachino Rossini e alle opere di Claudio
Monteverdi nel quadro dei relativi Progetti Mozart, Rossini e Monteverdi promossi
dal Ministero del Turismo e dello Spettacolo prima e dal Dipartimento dello Spettacolo della Presidenza del Consiglio dei Ministri poi, nelle occasioni, rispettivamente, del
bicentenario della morte di Mozart nel 1991, di quello della nascita di Rossini nel
1992 e del trecentocinquantesimo anniversario della morte di Monteverdi nel 1993, ha
indotto l’Istituto di Ricerca per il Teatro Musicale (I.R.TE.M.) a dar vita a una iniziativa pluriennale intitolata «Discografie e Videografie di operisti italiani», con l’intento di svolgere lo stesso servizio già svolto – con prevalente attenzione per le opere
teatrali (prevalente ma non esclusiva) – per Mozart, Rossini e Monteverdi, per gli altri
grandi operisti italiani di cui, per un fortunato incrocio cronologico, gli ultimi anni del
XX secolo e i primi anni del XXI secolo segnano equivalenti ricorrenze: Gaetano Donizetti (bicentenario della nascita nel 1997, centocinquantesimo anniversario della
morte nel 1998), Vincenzo Bellini (bicentenario della nascita nel 2001), Giuseppe
Verdi (centenario della morte nello stesso 2001), Giacomo Puccini (centocinquantesimo anniversario della nascita nel 2008, ma anche settantacinquesimo anniversario
della morte nel 1999).
La collana «Discografie e Videografie di operisti italiani» consterà di venti volumi
(7 per Donizetti, 3 per Bellini, 7 per Verdi e 3 per Puccini).
L’approntamento dei materiali per il solo apparato informativo (che prevede una
nastrografia accanto alla discografia e un elenco di edizioni televisive accanto alla videografia) richiede di per sé un’enorme mole di lavoro per una lunga e paziente ricerca
a dimensione pressocché planetaria.
Di conseguenza la pubblicazione dei 20 volumi non seguirà un ordine cronologico
né per autore né per opera. I volumi usciranno man mano che saranno «pronti»: e questa
è una condizione che non sarà determinata dalla volontà bensì dalle circostanze, prima
fra tutte la maggiore o minore rapidità delle risposte che perverranno dai numerosi corrispondenti nelle varie parti del mondo.
I criteri sono quelli già seguiti per le precedenti Discografie e Videografie dedicate
a Mozart, Rossini e Monteverdi. L’elencazione è limitata alle edizioni «complete», tralasciando le edizioni di brani staccati, anche se presentati sotto forma di «selezioni» (o
«Höhepunkte» o «Querschnitte» o «Highlights»).
La pubblicazione tende a ispirarsi ai criteri della discografia storica piuttosto che a
quelli della discografia documentale. Non sono peraltro trascurate indicazioni fondamentali, quali le datazioni e le indicazioni degli anni di pubblicazione. Non sono invece
indicati i numeri di matrice e, quanto ai marchi o etichette e ai relativi numeri per l’immissione sul mercato, insieme ai dati della prima pubblicazione e delle pubblicazioni disponibili al momento della «chiusura» del volume relativo, sono forniti i dati delle pubblicazioni intermedie, con particolare riguardo alle cosiddette «ricostruzioni tecniche»,
cioè ai riversamenti da incisione (meccanica o elettrica) a registrazione, da registrazione
monofonica a registrazione stereofonica, da registrazione analogica a registrazione digitale. A questo tipo di informazioni si è cercato di dare il maggior spazio possibile, con la
piena consapevolezza che l’esauriente completezza di un elenco di tutte le riletture e di
tutti gli stampaggi di ciascuna edizione in dischi è un compito quasi impossibile da portare a compimento.
La possibilità di dar vita e concretezza di realizzazione alla collana «Discografie e
Videografie di operisti italiani» si deve al sostegno del Dipartimento dello Spettacolo
della Presidenza del Consiglio dei ministri, successivamente confluito nel Ministero
per i Beni e le Attività Culturali. Per tale sostegno l’I.R.TE.M. esprime profonda graVII
titudine per essere stato messo in grado di adempiere a uno dei suoi scopi statutari
fondamentali: documentare l’importanza dei mezzi audiovisivi nell’indirizzare i modi
della trasmissione e della comunicazione attraverso l’interazione fra rappresentazioni
teatrali ed esecuzioni concertistiche, da un lato, e riproduzioni meccaniche ed elettroniche, dall’altro, interazione che è alla base della storia dell’interpretazione nel XX
secolo.
CARLO MARINELLI
VIII
INTRODUZIONE
Nell’ambito della collana «Discografie e Videografie di operisti italiani», per Giuseppe Verdi sono previsti sette volumi, sei per i lavori teatrali, disposti in ordine cronologico, e un ultimo volume dedicato a lavori non teatrali che prevedano la presenza di
coro e orchestra (sono quindi escluse le liriche per voce e pianoforte e le musiche strumentali).
Il piano di pubblicazione della «Discografia e Videografia delle opere di Giuseppe
Verdi» è pertanto così ripartito:
Volume 1 (1839-1844): Oberto, conte di San Bonifacio; Un giorno di regno (Il finto
Stanislao); Nabucco; I Lombardi alla prima crociata; Ernani; I due Foscari.
Volume 2 (1844-1850): Giovanna D’Arco; Alzira; Attila; Macbeth (1a versione); I
masnadieri; Jérusalem; Il corsaro; La battaglia di Legnano; Luisa Miller; Stiffelio.
Volume 3 (1850-1853): Rigoletto; Il trovatore; La traviata.
Volume 4 (1853-1865): Les vêpres siciliennes; Simon Boccanegra (1a versione);
Aroldo; Un ballo in maschera; La forza del destino (1a versione); Macbeth (2a versione).
Volume 5 (1865-1881): Don Carlos; La forza del destino (2a versione); Aida; Simon Boccanegra (2a versione).
Volume 6 (1881-1893): Don Carlo; Otello; Falstaff.
Volume 7: Il solitario ed Eloisa; Inno delle nazioni; Messa per Rossini; Messa di requiem; Pater noster; Ave Maria; Quattro Pezzi sacri.
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Delle opere considerate in ciascun volume sono elencate tutte le incisioni e registrazioni complete (anche quando non sono integrali: pur che l’impostazione editoriale
non sia antologica, non si è misurata l’entità dei tagli ai fini dell’inclusione o dell’esclusione, in quanto si è voluto soprattutto tener conto che alla base dell’incisione o registrazione fosse la prospettiva concettuale dell’opera come un insieme organico e non
come un assemblamento casuale).
Nella Discografia sono elencate le incisioni e le registrazioni fonografiche cosiddette «commerciali»: tali vengono considerate tutte quelle che, almeno in un mercato
nazionale sono (o sono state) liberamente accessibili a chiunque (anche nella forma
della sottoscrizione o della associazione), comprese le riprese dal vivo di pubbliche esecuzioni teatrali o concertistiche e di trasmissioni radiofoniche o televisive, sempre che
siano state riversate in dischi e comprese le cosiddette «edizioni fuori commercio», che
nella pratica corrente sono state anche’esse non difficilmente accessibili, almeno nella
forma della «vendita diretta».
Inevitabilmente più limitate che per la Discografia sono le informazioni contenute
nella Nastrografia, nella Videografia e nell’elenco delle Edizioni televisive di ciascuna
opera: per i nastri (sia quelli conservati presso radio e fonoteche, e quindi non in commercio, sia quelli ottenibili esclusivamente per ordinazione diretta via posta) si è cercato sempre di indicare i nomi degli interpreti vocali e del direttore d’orchestra, le denominazioni dei complessi corali e orchestrali e, quando possibile, date e luoghi, ed
eventualmente durate, oltre ai numeri d’archivio e alle sigle d’identificazione; per le
edizioni televisive sono aggiunti i nomi dei registi e dei direttori delle riprese visive e le
date della prima videotrasmissione, con l’indicazione in calce del numero del catalogo
IMZ «Opera on Screen»; per i videodischi e le videocassette sono ulteriormente aggiunti dati relativi alle scene, ai costumi, alle luci, al direttore della registrazione sonora, al
produttore, al distributore, all’origine, fornendo altresì le durate complessive e quelle
effettive della musica, quando è stato possibile controllarle: in calce è fornito il numero
della videocassetta e/o del videodisco conservati nel «Videoarchivio dell’Opera e del
Balletto» dell’I.R.TE.M.
IX
Nastrografia, Videografia ed Edizioni televisive sono i campi nei quali più lacunosa è
l’informazione. Si è ritenuto tuttavia che fornire i dati incompleti (a volte assai incompleti) di cui si è venuti in possesso (a volte dopo estenuanti ricerche di ogni genere, spesso
infruttuose) fosse non solo opportuno, ma addirittura necessario per offrire un esempio
delle vaste possibilità di documentazione che nastri e video offrono, integrando le lacune,
a volte vistose, che si riscontrano nei dischi, nonostante la loro assai più estesa diffusione
nel tempo e nello spazio. Purtroppo nastri e video non sono ancora oggetto di studio e di
conservazione paragonabili a quelli dei dischi: e ciò non solo si riflette sulle possibilità di
informazione ma anche sulla loro stessa esistenza (sono certamente già troppi i documenti musicali sonori e audiovisivi che sono andati irrimediabilmente perduti).
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La Discografia di ciascuna opera è ordinata secondo un elenco cronologico che per
ciascuna edizione fonografica comprende: l’anno (se disponibili, il giorno e il mese) e il
luogo di incisione o di registrazione; gli interpreti vocali (secondo l’ordine dei personaggi quale risulta nel libretto); i complessi corali e orchestrali, seguiti dal nome del direttore; tra parentesi, l’eventuale indicazione che l’opera è cantata in lingua diversa dall’originale; i nomi delle case fonografiche editrici, seguiti dalle sigle e dai numeri dei dischi,
dall’indicazione della velocità di rotazione al minuto (78 giri – quando non sia accertata
una diversa velocità – per le incisioni; 33 giri – che sta, per ovvie ragioni di brevità, per
33,1/3 – per le registrazioni in microsolco lunga durata) oppure della lettura ottica a
mezzo raggio laser (compact disc), dalla specificazione del tipo di incisione (meccanica;
a punta di zaffiro; elettrica) o di registrazione (monofonica, abbreviata in «mono»; stereofonica, abbreviata in «stereo»; stereo-mono, nel caso di stampaggio idoneo alla doppia lettura; quadrifonica; digitale; la parola «compact» segnala lo stampaggio in dischi a
lettura ottica a mezzo raggio laser, con la specificazione se si tratta di originale digitale o
di rilettura di originale analogico); infine il numero dei dischi di cui ciascuna incisione o
registrazione consiste, seguito dall’eventuale indicazione delle altre opere con cui è unita
(«accoppiata» è il termine tecnico d’uso) ed altresì preceduto dalla durata dell’opera incisa o registrata, quando nota (desunta dalle indicazioni dell’editore o da informazioni
della stampa specializzata o, in alcuni casi, rilevata direttamente all’ascolto).
L’annotazione «ricostruzione tecnica» segnala o il riversamento in microsolco da
incisioni originali su matrici o il procedimento elettronico di stereofonizzazione di una
registrazione monofonica o la rilettura con il sistema numerico (digitale) di una incisione o di una registrazione originariamente analogica o, nel caso di riprese dal vivo, un
intervento editoriale di messa a punto degli originali.
Le parole «fuori catalogo» indicano che la relativa edizione non è più correntemente disponibile.
Nel caso di edizioni a diffusione esclusivamente locale è indicata la nazione relativa.
Titoli delle opere, nomi degli autori, dei personaggi e degli interpreti sono dati nella lingua originale. La trascrizione dalle lingue che non usano i caratteri latini è quella internazionale. La parola «manca» indica che il personaggio è stato soppresso nella relativa
incisione o registrazione; le parole «non indicato» significano che il personaggio è presente, ma che il nome dell’interprete non è stato fornito dall’editore (e non è neanche
stato reperito attraverso una fonte sussidiaria); le parole «non identificato» sono impiegate soltanto per il caso che una fonte sussidiaria abbia fornito per un personaggio più
di un’indicazione nominativa senza possibilità di scioglimento dell’enigma; le parole
«non accertato» si riferiscono ad altri e diversi casi da cui dipenda l’assenza del dato.
Le opinioni espresse si riferiscono esclusivamente alle interpretazioni incise o registrate e non possono essere estese ad altre interpretazioni della stessa opera e dello
stesso personaggio o ad interpretazioni di altre opere e di altri personaggi da parte delX
lo stesso artista, estensione che non è ammissibile per mancanza di valutazione delle
medesime e che comunque l’I.R.TE.M. e l’autore rifiutano perché ingiusta e immotivata.
Discografia e Videografia sono per loro natura un lavoro di Sisifo mai compiuto,
sempre da iniziare nuovamente, un «work in progress» continuo: con la caratteristica
che ogni stazione non è tuttavia annullata dalla successiva, ma rappresenta una realtà
viva che viene via via arricchita e integrata, ma non è mai sostituita e tanto meno messa
in non essere.
Il lavoro di ricerca e repertoriazione del materiale fonografico e videografico richiede un contatto continuo con i centri di produzione e di distribuzione e soprattutto
con i centri di documentazione esistenti in diverse parti del mondo. Mi ha ovviamente
giovato un’esperienza di studio nel campo specifico della discografia e della videografia pressocché sessantennale. E mi hanno giovato precedenti ricerche condotte personalmente negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Germania, in Svizzera, in Australia, in
Nuova Zelanda, in Francia, in Ungheria, in Finlandia, in Austria, in Danimarca, in Lettonia, sia nella qualità di professore associato di Storia della musica nell’Università
dell’Aquila sia in quella di Presidente dell’Istituto di Ricerca per il Teatro Musicale
(I.R.TE.M.), associato all’IMZ (Internationales Musik Zentrum), alla IASA (International Association of Sound and Audiovisual Archives), all’IMS (International Musicological Society) e al CIM (Conseil International de la Musique dell’UNESCO). Cruciale comunque è stata l’esperienza di professore associato di ruolo nella cattedra di
«Discografia e Videografia musicale» appositamente istituita nell’Università di Bologna (Facoltà di Lettere, Corso di laurea in Discipline delle arti, della musica e dello
spettacolo) nell’anno accademico 1998-1999. E mi sia consentito anche esprimere una
sincera gratitudine ai colleghi della IASA per avermi voluto conferire nel 2002 lo
straordinario onore di far parte del ristrettissimo e scelto gruppo di membri onorari (4
in tutto) della stessa IASA. Il volume tuttavia non si sarebbe mai realizzato senza la preziosa collaborazione individuale di musicologi, bibliotecari, discotecari, archivisti, cronologi, discografici, musicisti, dirigenti e funzionari di case fonografiche, di fonoteche,
di radio e televisioni, di teatri e associazioni concertistiche, e anche di semplici discofili
e musicofili, che hanno pazientemente risposto alle numerose e ripetute richieste di materiali, informazioni, chiarimenti.
Ma assolutamente essenziali sono risultati l’impegno, la pazienza e la passione dei
collaboratori interni ed esterni dell’I.R.TE.M., che hanno diritto alla gratitudine e alla
riconoscenza dell’Istituto, ed hanno condiviso con il Presidente la responsabilità dei
contatti per l’acquisizione degli innumeri dati mancanti nel pur ricco archivio messo
insieme nei quasi sessanta anni di attività dedicati dall’autore alla registrazione sonora
e audiovisiva.
Testi ed elenchi sono protetti da «copyright» e non possono essere riprodotti senza
citarne l’autore e la fonte.
CARLO MARINELLI
XI
AVVERTENZA ALLA PRIMA EDIZIONE
Il volume numero 5, «Don Carlos. La forza del destino (2a edizione). Aida. Simon
Boccanegra», è il quarto ad essere pubblicato della «Discografia e Videografia delle
opere di Giuseppe Verdi». Il desiderio di mettere a disposizione del pubblico i risultati
del lavoro di ricerca compiuto, man mano che giungono a completamento le disco-nastro-videografie delle singole opere, ha indotto – come è già avvenuto per il volume numero 6, pubblicato per secondo – ad articolare ulteriormente la pubblicazione in tomi.
Anche nel caso del volume 5 i tomi previsti sono 3: il primo è dedicato al «Don Carlos»
nell’originale versione francese e a «La forza del destino» nella seconda versione del
1869; il secondo all’«Aida»; il terzo al «Simon Boccanegra» nella seconda versione del
1881.
Il termine «prima edizione» presume la volontà di una «seconda edizione», volontà
che nasce dal fatto che questa «prima edizione» non è così completa come l’I.R.TE.M. e
l’autore avrebbero desiderato che fosse. Il numero di anni impiegato a raccogliere una
mole di informazioni che si presenta più che rispettabile ha indotto a non procrastinare
ulteriormente la pubblicazione di quanto già raccolto.
Questa prima edizione non ha potuto presentare – salvo poche eccezioni – Nastrografie e Videografie che includessero anche quanto conservato negli archivi sonori e audiovisivi dei teatri, delle radio e delle televisioni. Il che rende ancor più meritorio e degno di gratitudine il comportamento dei pochissimi che hanno collaborato con una
solerzia che ne ha consentito l’inclusione fin dall’inizio.
I commenti alle edizioni elencate nelle Discografie e Videografie non sono stati
completati: attendere tali completamenti avrebbe richiesto ancora qualche anno. Si è
preferito dunque stampare nella prima edizione tutto e soltanto quello che era già pronto, rinviando alla seconda edizione le necessarie integrazioni.
Nella seconda edizione si provvederà anche alla Bibliografia, che per le opere verdiane si presenta particolarmente ponderosa.
In questa prima edizione mancano anche i ringraziamenti personali e nominativi a
tutti i corrispondenti che da ogni parte del mondo ci hanno aiutato a integrare e migliorare il nostro lavoro. Due tra essi non è possibile tuttavia non averli già fin d’ora presenti accanto a noi, l’amico cronologo Carlo Marinelli Roscioni di Roma, fonte inesauribile
di dati storici e anagrafici, e l’archivista del «Liceu» di Barcellona, Jaume Tribó, che ha
colmato le vistose lacune di informazioni concernenti la Spagna. Né sarebbe possibile
dimenticare il prezioso ausilio fornito dall’indispensabile sito informatico «Verdi’s Disco» di Wilhelm Busse.
Per quel che riguarda l’I.R.TE.M., un particolare ringraziamento va a Giorgina Gilardi, a Cecilia Montanaro, a Laura Nicoletta Colabianchi, a Tiziana De Santis e ad
Alessandra Cavicchioli, nucleo saldo e resistente, oltre che preparato, impegnato, paziente e appassionato, dei collaboratori tutti, interni ed esterni, dell’Istituto.
Per questa prima edizione gli elenchi sono aggiornati al 31 dicembre 2003 per i testi
e al 30 giugno 2004 per gli elenchi. Le due edizioni che non compaiono nei testi sono
indicate con un asterisco negli elenchi: il totale è salito da 135 a 137.
XIII
CARLO MARINELLI
DISCOGRAFIA E VIDEOGRAFIA
DELLE OPERE
DI GIUSEPPE VERDI
volume 5
tomo 2
AIDA
GIUSEPPE VERDI
(Busseto 9 aut 10.10.1813 – Milano 27.1.1901)
AIDA
1870-1871
opera (dramma serio) in 4 atti e 7 quadri
di Antonio Ghislanzoni
(da Auguste Mariette e Camille Du Locle)
Prima rappresentazione: El Qahira, Teatro dell’Opera, 24 dicembre 1871
personaggi: Il re (Bs); Amneris (Amnéris) (Ms); Aida (S); Radamès
(Rhadames) (T); Ramfis (Ramphis) (Bs); Amonasro (Br); Un messaggiero (T); Una sacerdotessa (Termuthis) (S)
5
STRUTTURA MUSICALE DELL’OPERA
AIDA
(1870-1871)
ATTO I
PRELUDIO
1. INTRODUZIONE
«Sì... corre voce che l’Etiope ardisca»
«Celeste Aida»
2. SCENA AIDA
«Ritorna vincitor!»
FINALE I
«Possente possente Ftà»
ATTO II
INTRODUZIONE/CORO SCENA E DUETTO
«Chi mai»
«Fu la sorte»
FINALE II
«Gloria all’Egitto»
BALLABILE
6
ATTO III
[LE RIVE DEL NILO]
«O tu che sei d’Osiride»
ATTO IV
[SALA NEL PALAZZO DEL RE]
«L’abborrita rivale a me sfuggia!»
[... L’INTERNO DEL TEMPIO DI VULCANO]
«La fatal pietra sovra me si chiuse»
testo di riferimento: Martin CHUSID, A Catalog of Verdi’s Operas, Music Indexes and Bibliographies, No.5,
Joseph Boonin Inc., Hackensack, New Jersey, 1974.
7
DISCOGRAFIA
1906
1907
(Milano).
non indicato; Vittoria Colombati; Elvira Magliulo e Teresa Chelotti; Orazio Cosentino;
Alfredo Brondi; Francesco Novelli; manca; Elvira Magliulo.
Coro del Teatro “alla Scala” e Banda di Milano,
dir. non indicato.
Green Zonophone 12664, 24017, 12665, 12666, 24019, 12667, 12668, 12669, 12670, 24020,
12671, 12672, 12673, 24021, 12674, 12675, 12676, 24022, 24023, 12677, 12678, 24024, 24025
(incisione acustica a velocità variabile; fuori catalogo) (23 dischi a una sola faccia, 15 da 25 cm. e
8 da 30 cm. di diametro).
1909
1910
(Milano; 1-27 aprile e 1-12 novembre 1909, 8 e 25 aprile e 10 maggio 1910).
Giuseppe Quinzi Tapergi; Maria Cappiello, Carolina Pietraszewska, Bianca Lavin de
Casas; Celestina Boninsegna, Adalgisa Rossi-Murino, Elena Zboi ska-Ruszkowska,
Giulia Fabris; Egidio Cunego, Carlo Barrera, Giovanni Davi; Arturo Rizzo di Sant’Elia;
Giuseppe Maggi, Ernesto Badini; manca; manca.
Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Carlo Sabajno.
Gramophone 050577, 054277, 054274, 054260, 053253, 053231, 053233, 054272, 054273,
054276, 054275, 053234, 053232, 054256, 054259 aut 054266, 054257, 54415, 054254, 054258,
054267, 054278, 054296, 054255, 054261 (incisione acustica a velocità variabile; fuori catalogo)
(24 dischi a una sola faccia, 1 da 25 cm. e 23 da 30 cm. di diametro).
1912
(Milano).
Luigi Baldassarri; Andreina Beinat, Eugenia Lopez Nuñez, Dolores Julia Frau, Fanny
Anitúa; Lya Remondini, Ester Toninello, Lia Moglia, Teresa Chelotti, De Perez;
Giuseppe Armanini, Gaetano Tommasini e Egidio Cunego; Vincenzo Bettoni e
Giovanni Martino; Cesare Formichi; manca; Ester Toninello e Lya Remondini.
Coro e Banda,
dir. non indicato.
Columbia D 4486/4502 oppure D 5558/5574 (78 giri incisione acustica; fuori catalogo) (17 dischi
a due facce da 25 cm. di diametro).
9
1919
(Milano; 3-31 ottobre e 3-14 novembre).
Pietro Brilli, Rosita Pagani, Valentina Bartolomasi, Enrico Trentini, Guido Fernandez,
Adolfo Pacini, Gaetano Mazzanti, Valentina Bartolomasi.
Coro, Orchestra e Banda del “Grammofono”,
dir. Carlo Sabajno.
La Voce del Padrone S 5150, S 5152, R 5153, S 5154, S 5156, R 5157, S 5158, R 5159, S 5160, S
5162, S 5164, S 5166, S 5168, R 5169, S 5170, S 5172, S 5174, S 5176, S 5178, S 5180 (78 giri
incisione acustica; fuori catalogo) (20 dischi a 2 facce, 4 da 25 cm. e 16 da 30 cm. di diametro).
1928
(Milano; agosto).
Guglielmo Masini, Irene Minghini Cattaneo, Dusolina Giannini, Aureliano Pertile,
Luigi Manfrini, Giovanni Inghilleri, Giuseppe Nessi, non indicata.
Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Carlo Sabajno.
La Voce del Padrone AW 23/41 (78 incisione elettrica; Italia; fuori catalogo) (19 dischi).
His Master’s Voice D 1595/1613 (78 incisione elettrica; fuori catalogo) (19 dischi).
Electrola ES 517/535 (78 incisione elettrica; Germania; fuori catalogo) (19 dischi).
RCA Victor 9488/9506 (78 incisione elettrica; U.S.A.; fuori catalogo) (19 dischi).
His Master’s Voice AB 468/486 (78 incisione elettrica; Australia; fuori catalogo) (19 dischi).
Melodija D 12 525/530 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; U.R.S.S.; fuori
catalogo) (3 dischi).
Supraphon 012 1171/1173 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; Cecoslovacchia;
fuori catalogo) (3 dischi).
Discophilia KS 7/9 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; Germania; fuori catalogo)
(3 dischi).
EMI 3C153-01616/01618 M (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; fuori catalogo)
(139’; 3 dischi).
Music Memoria MMVF 30 226 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale;
Francia; fuori catalogo) (139’30”; 2 dischi).
Rodolphe RPC 32 539/550 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; Francia;
fuori catalogo) (con “Rigoletto”, “Il trovatore”, “Otello”, “Messa di requiem”, Leoncavallo
“Pagliacci” e recital, in 12 dischi).
Nuova Era 90 020/021 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; Italia; fuori
catalogo) (2 dischi).
Pearl GEMM CDS 9402 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; Gran
Bretagna) (2 dischi).
Phonographe PH 5004/5005 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Arkadia 78 013 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Romophone 89 004-2 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (141’; 2 dischi).
Grammofono 2000 AB 78 871/872 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale)
(2 dischi).
Vocal Archives 1209 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
House of Opera CDBB 607(compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; USA
(2 dischi).
10
1928
(Milano; novembre).
Salvatore Baccaloni, Maria Capuana, Giannina Arangi Lombardi, Aroldo Lindi,
Tancredi Pasero, Armando Borgioli, Giuseppe Nessi, non indicata.
Coro del Teatro “alla Scala” e Orchestra Sinfonica di Milano,
dir. Lorenzo Malajoli.
Columbia D 14 497/514 (78 incisione elettrica; Italia; fuori catalogo) (18 dischi).
Columbia 9726/9743 (78 incisione elettrica; fuori catalogo) (18 dischi).
Columbia LGX 1/18 (78 incisione elettrica; fuori catalogo) (18 dischi).
Columbia 67 641/658 D (78 incisione elettrica; U.S.A.; fuori catalogo) (18 dischi).
Columbia 266 091/108 (78 incisione elettrica; Argentina; fuori catalogo) (18 dischi).
Columbia EL 3 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
Bongiovanni GB 1015/1017 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; Italia; fuori
catalogo) (135’; 2 ½ dischi).
VAI Audio VAIA 1083-2 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.;
fuori catalogo) (2 dischi).
Arkadia 78 004 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; Italia) (2 dischi).
Premiere Opera 283.2 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
1937
(New York, Metropolitan; 6 febbraio).
Norman Cordon, Bruna Castagna, Gina Cigna, Giovanni Martinelli, Ezio Pinza, Carlo
Morelli, Giordano Paltrinieri, Thelma Votipka.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Ettore Panizza.
The Golden Age Of Opera EJS 147 (33 mono; incisione elettrica; U.S.A.; edizione fuori
commercio) (3 dischi).
Melodram CDM 27 011 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (146’42”; 2 dischi).
The Fourties FT 1501/1502 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Omega Opera Archive 1 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2
dischi).
1937
(Berlin, Deutsches Opernhaus; 22 giugno).
omette atto 1° inizio quadro 1°, atto 1° quadro 2°, intero atto 4°.
Franco Zaccarini, Ebe Stignani, Gina Cigna, Beniamino Gigli, Tancredi Pasero, Ettore
Nava, Duilio Baronti, manca.
Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Victor De Sabata.
Eklipse Records EKRCD 53 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (98’21”; con atto 1° edizione Roma 1939, in 2 dischi).
Great Opera Performances GOP 821 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale)
(2 dischi).
Omega Opera Archive 1 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2
dischi).
House of Opera CDBB 609 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
11
1938
(Stuttgart, Reichssender; 24 aprile).
Heinrich Hölzlin, Inger Karén, Margarete Teschemacher, Helge Rosvaenge, Ludwig
Weber, Georg Hann, Max Osswald, Helma Panke.
Coro e Orchestra della Radio di Stoccarda,
dir. Joseph Keilberth.
(cantata in tedesco).
Bellaphon Acanta DE 23.057 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; Germania; fuori
catalogo) (115’30”; 2 dischi; incompleta).
Preiser 90 274 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (147’35”; 2 dischi).
Cantus Classics CACD 5.00110F (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale;
Germania) (2 dischi).
Omega Opera Archive 557 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2
dischi).
1939
(London, Covent Garden; 24 maggio).
omette atto 4°, quadro 2°.
Norman Walker, Ebe Stignani, Maria Caniglia, Beniamino Gigli, Corrado Zambelli,
Armando Borgioli, Blando Giusti, Josephine Wray.
Coro del Teatro reale d’opera “Covent Garden” e Orchestra Filarmonica di Londra,
dir. Thomas Beecham.
Unique Opera Records Corporation UORC 300 (33 mono; incisione elettrica; U.S.A.; edizione
fuori commercio) (2 dischi).
Historical Recording Enterprises HRE 260 (33 mono; incisione elettrica; U.S.A.; edizione fuori
commercio) (3 dischi).
Eklipse EKRCD 3 (compact; registrazione mono [Philips Miller Tape Recording System];
ricostruzione tecnica digitale; fuori catalogo) (137’; 2 dischi).
The Radio Years RY 62/63 (compact; registrazione mono?; incisione elettrica?; ricostruzione
tecnica digitale) (2 dischi).
Arkadia 2CD 50 002 (compact; registrazione mono?; incisione elettrica?; ricostruzione tecnica
digitale) (2 dischi).
Premiere Opera 760.2 (compact; registrazione mono?; incisione elettrica?; ricostruzione tecnica
digitale; U.S.A.) (2 dischi).
House of Opera CDBB 608 (compact; registrazione mono?; incisione elettrica; ricostruzione
tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
1940
(New York, Metropolitan; 19 gennaio).
John Gurney, Bruna Castagna, Rose Bampton, Arthur Carron, Nicola Moscona,
Leonard Warren, Lodovico Oliviero, Thelma Votipka.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Ettore Panizza.
Omega Opera Archive 101 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(149’33”; 2 dischi).
12
1941
(New York, Metropolitan; 22 marzo).
Norman Cordon, Bruna Castagna, Stella Roman, Giovanni Martinelli, Ezio Pinza,
Leonard Warren, Lodovico Oliviero, Maxine Stellman.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Ettore Panizza.
The Golden Age of Opera EJS 101 (33 mono; incisione elettrica; U.S.A.; edizione fuori commercio)
(3 dischi).
Walhall Records WHL 3 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (145’51”; 2 dischi).
Omega Opera Archive 194 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
The Fourties FTO 327/328 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Arkadia GA 2013 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (104’36”; 2 dischi).
1942
(Berlin; 21 novembre).
omette atto 1° quadro 2°; atto 1° quadro 1°, atto 2°, atto 3° e atto 4° frammentari.
Wilhelm Lang, Margarete Klose, Hilde Scheppan, Helge Rosvaenge, Wilhelm Schirp,
Hans Hotter, manca, manca.
Coro dell’Opera di Stato e Orchestra Sinfonica della Radio di Berlino,
dir. Artur Rother.
(cantata in tedesco).
Melodija M10 47295 003 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; U.R.S.S.; fuori
catalogo) (81’32”; 2 dischi).
1943
(New York, Metropolitan; 6 marzo).
Lansing Hatfield, Bruna Castagna, Zinka Milanov, Giovanni Martinelli, Norman
Cordon, Richard Bonelli, John Dudley, Frances Greer.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Wilfrid Pelletier.
The Golden Age of Opera EJS 500 (33 mono; incisione elettrica; U.S.A.; edizione fuori
commercio) (2 dischi).
Cetra Opera Live LO 26 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; fuori catalogo)
(137’45”; 3 dischi).
Omega Opera Archive 81 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Great Opera Performances GOP 784 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale)
(2 dischi).
13
1946
(Roma; luglio).
Italo Tajo, Ebe Stignani, Maria Caniglia, Beniamino Gigli, Tancredi Pasero, Gino
Bechi, Adelio Zagonara, Maria Huder.
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma,
dir. Tullio Serafin.
His Master’s Voice DB 6392/6411 (78 incisione elettrica; fuori catalogo) (20 dischi).
RCA Victor 11-9931/9950 (78 incisione elettrica; U.S.A.; fuori catalogo) (20 dischi).
RCA Victor LCT 6400 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; U.S.A.; fuori
catalogo) (3 dischi).
La Voce del Padrone QALP 10 010/013 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica;
Italia; fuori catalogo)(4 dischi).
La Voix de son Maître FJLP 5005/5008 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica;
Francia; fuori catalogo) (4 dischi).
World Record Club SH 153/155 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; Gran
Bretagna; fuori catalogo) (3 dischi).
Seraphim 6016 (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
EMI Toshiba AB 9365 C (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; Giappone; fuori
catalogo) (3 dischi).
La Voce del Padrone QSO 38/40 (33 stereo-mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; Italia;
fuori catalogo) (139’45”; 3 dischi).
EMI 3C153-00 686/688 M (33 mono; incisione elettrica; ricostruzione tecnica; fuori catalogo)
(3 dischi).
EMI 2-081-7 63 331-2 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Angel CDHB 63 331 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
EMI 653-7 63 331-2 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; Germania) (2 dischi).
Grammofono 2000 AB78 709/710 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale)
(2 dischi).
Arkadia 78 032 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Vocal Archives 1217 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Naxos 8.110 156/157 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (138’52”; 2
dischi).
Premiere Opera 281.2 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
1946
(New York, Metropolitan; 28 dicembre).
Philip Kinsman, Blanche Thebom, Stella Roman, Set Svanholm, Nicola Moscona,
Leonard Warren, Lodivico Oliviero, Thelma Votipka.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Cesare Sodero.
Omega Opera Archive 289 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale) (153’46”;
2 dischi).
1948
(Paris, Radio; 13 agosto).
Jean Claverie, Georgette Frozier, Maria Vitale, José Luccioni, André Philippe, Charles
Cambon, non indicato, manca.
Coro e Orchestra “Radio Lyrique”,
dir. Jules Gressier.
(cantata in francese e in italiano)
Malibran Records MR 508 (compact; incisione elettrica; ricostruzione tecnica digitale; Francia)
(76’17”; 1 disco).
14
1949
(New York, NBC, studio 8H; 26 marzo e 2 aprile).
Denis Harbour, Eva Gustavson, Herva Nelli, Richard Tucker, Norman Scott, Giuseppe
Valdengo, Virginio Assandri, Teresa Stich-Randall.
Corale “Robert Shaw” e Orchestra Sinfonica “NBC” (National Broadcasting Company)
di New York,
dir. Arturo Toscanini.
RCA Victor LM 6132 (33 mono; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA AT 302 (33 mono; Italia; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA RB 16 021/023 (33 mono; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA 26.35 013 EA (33 mono; Germania; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA Victrola KV 6113 (33 mono; fuori catalogo) (135’45”; 3 dischi).
RCA Victrola VL 46 021 (33 mono; fuori catalogo) (3 dischi).
Melodija D 029 623/628 (33 mono; U.R.S.S.; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA Victrola VICS 6113 E (33 stereo-mono; ricostruzione tecnica; U.S.A.; fuori catalogo)
(3 dischi).
Nuova Era 2268/2270 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; Italia; fuori
catalogo) (135’18”; 3 dischi).
RCA Victor 60 251-2-RG (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(3 dischi).
RCA Victor 60 326-2-RG (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(con “Falstaff”, “Inno delle nazioni”, “Pezzi sacri”, “Messa di requiem”, in 7 dischi).
Memories HR 4150/4151 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; Italia;
fuori catalogo) (2 dischi).
RCA GD 60 300 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (3 dischi).
Cantus Classics CACD 5.00093 F (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale;
Germania) (2 dischi).
1950
(New York, Metropolitan; 11 marzo).
Lorenzo Alvary, Margaret Harshaw, Ljuba Welitsch, Ramón Vinay, Jerome Hines,
Robert Merrill, Paul Franke, Thelma Votipka.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Emil Cooper.
Melodram MEL 011 (33 mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (143’30”; 3 dischi).
Omega Opera Archive 728 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2
dischi).
15
1950
(Ciudad de México, Palacio de Bellas Artes; 30 maggio).
Ignacio Ruffino, Giulietta Simionato, Maria Callas, Kurt Baum, Nicola Moscona,
Robert Weede, Carlos Sagarminaga, Rosita Rodriguez.
Coro e Orchestra del “Palacio de Bellas Artes” di Città del Messico,
dir. Guido Picco.
Unique Opera Records Corporation UORC 200 (33 mono; U.S.A.; edizione fuori commercio)
(145’; 2 dischi).
Historical Recording Enterprises HRE 310 (33 mono; U.S.A.; edizione fuori commercio) (3 dischi).
Melodram CDM 26 009 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (2 dischi).
Fono 016/017 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Istituto Discografico Italiano IDIS 343/344 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica
digitale) (2 dischi).
Arkadia GA 2042 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Myto Records MCD 002.H043 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale)
(2 dischi).
Golden Melodram GM 2.0015 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (con
“Il trovatore”, “La traviata”, Bellini “Norma”, Puccini “Tosca”, in 10 dischi).
House of Opera CDWW 927 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1950
(Roma).
Franco Pugliese, Sylvia Sawyer, Stella Roman, Gino Sarri, Vittorio Tatozzi, Antonio
Manca Serra, Paolo Caroli, Anna Marcangeli.
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma,
dir. Alberto Paoletti.
Capitol PCR 8179 (33 mono; fuori catalogo) (3 dischi).
Allegro 1712/1714 (33 mono; U.S.A.; fuori catalogo) (140’; 3 dischi).
House of Opera CD 846 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1951
(Wien, Musikverein, Grosser Saal; 3 febbraio).
Alois Pernerstofer, Nell Rankin, Dragica Martinis, Lorenz Fehenberger, Mario Petri,
Giampiero Malaspina, Fritz Sperlbauer, Hilde Forer.
“Wiener Lehrer a Capella Chor”, “Wiener Singverein” e Orchestra Sinfonica di Vienna,
dir. Herbert Von Karajan.
Arkadia CDKAR 205 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori catalogo)
(152’; 2 dischi).
Urania URN 22.190 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1951
(Hamburg, NWDR; 7-11 maggio).
Sigmund Roth, Elisabeth Höngen, Hilde Zadek, Helge Rosvaenge, Helmut Fehn, Josef
Metternich, Karl Diekmann, Margot Guilleaume.
Coro e Orchestra Sinfonica del “Nord West Deutscher Rundfunk” di Amburgo,
dir. Hans Schimdt-Isserstedt.
(cantata in tedesco).
Omega Opera Archive 50 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(144’35”; 2 dischi).
16
1951
(Roma, RAI; 12 giugno).
Antonio Massaria, Giulietta Simionato, Caterina Mancini, Mario Filippeschi, Giulio
Neri, Rolando Panerai, Salvatore De Tommaso, non indicata.
Coro e Orchestra Sinfonica di Roma della Radiotelevisione italiana,
dir. Vittorio Gui.
Cetra LPC 1228 (33 mono; fuori catalogo) (139’15”; 3 dischi).
Deutsche Grammophon Gesellschaft LPM 18 173/175 (33 mono; Germania; fuori catalogo)
(3 dischi).
Cetra Soria CS 510/512 (33 mono; Francia; fuori catalogo) (3 dischi).
Cetra LPO 2013 (33 stereo-mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (3 dischi).
Warner Fonit 8573-83010-2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (138’30”;
2 dischi).
Cantus Classics CACD 5.00319 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale;
Germania) (2 dischi).
1951
(Ciudad de México, Palacio de Bellas Artes; 3 luglio).
Ignacio Ruffino, Oralia Dominguez, Maria Callas, Mario Del Monaco, Roberto Silva,
Giuseppe Taddei, Carlos Sagarminaga, Rosita Rodriguez.
Coro e Orchestra del “Palacio de Bellas Artes” di Città del Messico,
dir. Oliviero De Fabritiis.
Morgan Recording Federation MRF 21 (33 mono; U.S.A.; edizione fuori commercio) (3 dischi).
Estro Armonico EA 001 (33 mono; Belgio; edizione fuori commercio) (3 dischi).
BJR Records BJR 104 aut BJR 151 (33 mono; U.S.A.; edizione fuori commercio) (3 dischi).
Cetra Opera Live LO 40 (33 mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (146’15”; 3 dischi).
Giuseppe Di Stefano Records GDS 2002 (33 mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (3 dischi).
Musidisc Discoreale DR 10 039 (33 mono; ricostruzione tecnica; Francia; fuori catalogo) (3 dischi).
Melodram MEL 473 (33 mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (3 dischi).
FonitCetra CDE 1026 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (3 dischi).
Melodram CDM 26 015 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (2 dischi).
HRE-C 600 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.; fuori catalogo)
(2 dischi).
House of Opera CD 201 aut CDWW 928 aut CDBB 603 (compact; registrazione mono;
ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Legato Standing Room Only SRO 508 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica
digitale; fuori catalogo) (2 dischi).
Dino Classics 9075107 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; Germania;
fuori catalogo) (3 dischi).
Documents LV 951/952 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Virtuoso 269.9222 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Pantheon PHE 6658 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Sakkaris PRSR 269/270 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Opera d’Oro OPD 1250 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Urania URN 22.172 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Archipel ARPCD 0020 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Premiere Opera 158.2 aut 761.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale;
U.S.A.) (2 dischi).
EMI 7243-5 62 678-2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (146’; 2 dischi).
Cantus Classics 5.00253 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; Germania)
(2 dischi).
17
1951
(Moskva).
Igor’ Mikhajlov, Vera Davydova, Natalija Sokolova, Georgij Nelepp, Ivan Petrov,
Pavel Lisician, A. Syrovatko-Zolotarëv, Antonina Ivanova.
Coro e Orchestra del Teatro “Bol’šoj” di Mosca,
dir. Aleksandr Melik-Pašaev.
(cantata in russo).
MeΩdanurodnaja Kniga D 01576/01582 (33 mono; ricostruzione tecnica; U.R.S.S.; fuori catalogo)
(3½ dischi).
Melodija ND 06007/06012 (33 mono; ricostruzione tecnica; U.R.S.S.; fuori catalogo) (141’45”;
3 dischi).
Melodija M10 06007 000 (33 mono; ricostruzione tecnica; U.R.S.S.; fuori catalogo) (3 dischi).
1951
(Firenze; dicembre).
non indicato, Elizabeth Wysor, Vassilka Petrova, Gino Sarri, non indicati.
Coro e Orchestra del “Maggio Musicale Fiorentino”,
dir. Emidio Tieri.
Ace Records 1009 (33 mono; U.S.A.; fuori catalogo) (3 aut 2 dischi).
House of Opera CD 928 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(7 estratti in 1 disco; 60’02”).
1952
(New York, Metropolitan; 8 marzo).
Lubomir Vichegonov, Nell Rankin, Zinka Milanov, Mario Del Monaco, Jerome Hines,
Leonard Warren, Thomas Hayward, Lucine Amara.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Fausto Cleva.
Unique Opera Records Corporation UORC 325 (33 mono; U.S.A.; edizione fuori commercio)
(142’15”; 2 dischi).
Omega Opera Archive 695 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Myto Records MCD 953.129 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (2 dischi).
Myto Records MCD 031.H070 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale)
(2 dischi).
18
1952
(Roma).
Fernando Corena, Ebe Stignani, Renata Tebaldi, Mario Del Monaco, Dario Caselli,
Aldo Protti, Piero De Palma, non indicata.
Coro e Orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia di Roma,
dir. Alberto Erede.
Decca LXT 2735/2737 (33 mono; fuori catalogo) (142’15”; 3 dischi).
London XLLA 13 (33 mono; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
Decca Ace of Clubs ACL 172/174 (33 mono; fuori catalogo) (3 dischi).
London A 4308 (33 mono; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
Decca GOM 516/518 (33 mono; fuori catalogo) (3 dischi).
Richmond 63 002 (33 mono; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
Decca 115.231/233 (33 mono; Francia; fuori catalogo) (3 dischi).
Decca Eclipse ECS 208/210 (33 stereo-mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (3 dischi).
Barclay 592.121 (33 mono; Francia; fuori catalogo) (3 dischi).
Decca D47D (33 stereo-mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (3 dischi).
Theorema TH 121.133/134 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (2 dischi).
Decca 440 239-2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Pearl GEMS 0191 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; Gran Bretagna)
(142’; 2 dischi).
Cantus Classics CACD 5.00337 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale;
Germania) (2 dischi).
1952
(Frankfurt, Hessischer Rundfunk Musikhochschule; 8 novembre).
Aage Poulsen, Margarete Klose, Anneliese Kupper, Max Lorenz, Otto Von Rohr,
Rudolf Gonszar, Hans-Bert Dick, Christa Ludwig.
Coro e Orchestra della Radio dell’Assia,
dir. Kurt Schröder.
(cantata in tedesco).
Omega Opera Archive 897 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(144’05”; 2 dischi).
Myto Records MCD 962.146 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (con
estratti “Otello”, in 2 dischi).
1953
(New York, Metropolitan; 24 gennaio).
Lubomir Vichegonov, Blanche Thebom, Zinka Milanov, Mario Del Monaco, Jerome
Hines, George London, Thomas Hayward, Lucine Amara.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Fausto Cleva.
Omega Opera Archive 1004 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Bongiovanni GB 1173/1174-2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale)
(142’56”; 2 dischi).
19
1953
(Napoli, San Carlo; 7 marzo).
Iginio Riccò, Ebe Stignani, Renata Tebaldi, Gino Penno, Giulio Neri, Ugo Savarese,
Piero De Palma, Anna Perosi.
Coro e Orchestra del Teatro “di San Carlo” di Napoli,
dir. Tullio Serafin.
Edizione Lirica EL 006 (33 mono; edizione fuori commercio) (148’; 3 dischi).
Premiere Opera 109.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2
dischi).
House of Opera CDWW 947 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Lyric Distribution NO 109 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1953
(London, Covent Garden; 10 giugno).
Michael Langdon, Giulietta Simionato, Maria Callas, Kurt Baum, Giulio Neri, Jess
Walters, Hector Thomas, Joan Sutherland.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. John Barbirolli.
Legato Classics LCD 187-2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (142’33”; 2 dischi).
House of Opera CD 232 aut CDWW 926 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica
digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Golden Melodram GM 2.0035 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Premiere Opera 373.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 373 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Archipel ARPCD 01532 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1953
(Venezia).
Enzo Felicitati, Oralia Dominguez, Maria Curtis Verna, Umberto Borsò, Norman Scott,
Ettore Bastianini, Uberto Scaglione, non indicata.
Coro e Orchestra del Gran Teatro “La Fenice” di Venezia,
dir. Franco Capuana.
Remington 199-178 (33 mono; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
Preiser PR 20 027 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (140’35”; 2 dischi).
1953
(München, Bayerischer Rundfunk).
Walter Berry, Georgine Von Milinkovi£, Lenora Lafayette, Josip Gosti£, Gottlob Frick,
Ferdinand Frantz, Karl Ostertag, Elisabeth Lindermeier.
Coro e Orchestra della Radio bavarese,
dir. Clemens Krauss.
(cantata in tedesco).
Gebhardt Walhall WLCD 007 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale;
Germania) (143’55”; 2 dischi).
20
1953
(Budapest, Magyar Televizió; 9-11 novembre).
Pál Rissay, Klára Palánkay, Paula Takács, József Simándy, György Littasy, Sándor
Svéd, József Réti, Judit Sándor.
Coro e Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione ungherese,
dir. Viktor Vaszy.
(cantata in ungherese).
Radioton LPX 31 006/008 (33 mono; Ungheria; fuori catalogo) (140’30”; 3 dischi).
1954
(New York, Metropolitan; 20 febbraio).
Lubomir Vichegonov, Fedora Barbieri, Zinka Milanov, Kurt Baum, Jerome Hines,
Leonard Warren, Paul Franke, Margaret Roggero.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Fausto Cleva.
Lyric Distribution NO 9066 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (143’20”;
2 dischi).
Omega Opera Archive 676 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1955
11 novembre
(Wien, Staatsoper; 10 maggio).
Oskar Czerwenka, Jean Madeira, Leonie Rysanek, Hans Hopf, Gottlob Frick, George
London, Erich Majkut, Anny Felbermayer.
Coro e Orchestra dell’Opera di Stato di Vienna,
dir. Rafael Kubelík.
(cantata in tedesco).
Legendary Recording LR 145 (33 mono; U.S.A.; edizione fuori commercio) (144’19”; 3 dischi).
Legato Standing Room Only SRO 572 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale)
(2 dischi).
Myto Records MCD 023 267 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
House of Opera CD 845 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1955
(Roma; 2-18 luglio).
Plinio Clabassi, Fedora Barbieri, Zinka Milanov, Jussi Björling, Boris Christoff,
Leonard Warren, Mario Carlin, Bruna Rizzoli.
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma,
dir. Jonel Perlea.
RCA LM 6122 (33 mono; fuori catalogo) (3 dischi).
His Master’s Voice ALP 1388/1390 (33 mono; Gran Bretagna; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA A 630 373/375 (33 mono; Francia; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA 26.35 004 EA (33 mono; Germania; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA Victrola VIC 6119 (33 mono; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA Victrola KV 6103 (33 mono; fuori catalogo) (147’45”; 3 dischi).
RCA VLS 43 533 (33 stereo-mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA MCV 533 (33 stereo-mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA 731 011/013 (33 stereo-mono; ricostruzione tecnica; Francia; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA 6652-2-RG (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (3 dischi).
RCA GD 86 652 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (3 dischi).
21
1955
(Milano, Scala; 10-24 agosto).
Nicola Zaccaria, Fedora Barbieri, Maria Callas, Richard Tucker, Giuseppe Modesti,
Tito Gobbi, Franco Ricciardi, Elvira Galassi.
Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Tullio Serafin.
Columbia CX 1318/1320 (33 mono; fuori catalogo) (3 dischi).
Columbia QCX 10 165/167 (33 mono; Italia; fuori catalogo) (3 dischi).
Columbia FCX 570/572 (33 mono; Francia; fuori catalogo) (3 dischi).
Columbia C 90 475/477 (33 mono; Germania; fuori catalogo) (3 dischi).
Angel 3525 (33 mono; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
EMI 2C163-00 429/431 (33 mono; fuori catalogo) (145’30”; 3 dischi).
His Master’s Voice SLS 5108 (33 stereo-mono; ricostruzione tecnica; Gran Bretagna; fuori
catalogo) (3 dischi).
EMI 1C153-2 90976-3 (33 mono; fuori catalogo) (3 dischi).
His Master’s Voice EX2 90976-3 (33 mono; Gran Bretagna; fuori catalogo) (3 dischi).
EMI CDS7 49 030-8 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (144’11”; 3 dischi).
Angel CDCC 49 030 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (3 dischi).
EMI CDS5 56 316-2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (144’36”; 2 dischi).
EMI CMS2 52 943-2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (? dischi).
1955
(Napoli, S. Carlo; 24 novembre).
Plinio Clabassi, Fedora Barbieri, Antonietta Stella, Franco Corelli, Mario Petri, Anselmo
Colzani, Piero De Palma, Elisabetta Fusco.
Coro e Orchestra del Teatro “di San Carlo” di Napoli,
dir. Vittorio Gui.
Bongiovanni GAO 116/117 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (150’30”; 2 dischi).
Omega Opera Archive 1160 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
House of Opera CDWW 943 aut CDBB 597 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica
digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Premiere Opera 401.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 401 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Premiere Opera 870.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1955 (New York, Metropolitan; 31 dicembre).
Louis Sgarro, Blanche Thebom, Zinka Milanov, Kurt Baum, Giorgio Tozzi, Robert
Merrill, James McCracken, Shakeh Varttenissian.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Fausto Cleva.
Omega Opera Archive 1179 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(138’32”; 2 dischi).
22
1956
(New York, Metropolitan).
edizione “abbreviata”.
Louis Sgarro, Rosalind Elias, Lucine Amara, Albert Da Costa, Giorgio Tozzi, Frank
Guarrera, James McCracken, Shakeh Varttenissian.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Fausto Cleva.
Metropolitan Opera Record Club MO 721 (33 mono; U.S.A.; fuori catalogo) (103’15”; 2 dischi).
1956
(Milano, Scala; 7 dicembre).
Silvio Maionica, Giulietta Simionato, Antonietta Stella, Giuseppe Di Stefano, Nicola
Zaccaria, Gian Giacomo Guelfi, Giuseppe Zampieri, Mirella Parutto.
Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Antonino Votto.
Unique Opera Records Corporation UORC 317 (33 mono; U.S.A.; edizione fuori commercio)
(146’; 2 dischi).
International Music of Italy IMI 1/3 (33 mono; edizione fuori commercio) (3 dischi).
CLS Records 30 123 (33 mono; ricostruzione tecnica; Italia; fuori catalogo) (3 dischi).
Replica ARPL 32 448 (33 mono; ricostruzione tecnica; Italia; fuori catalogo) (3 dischi).
Omega Opera Archive 556 aut 881 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale;
U.S.A.) (2 dischi).
House of Opera CDWW 945 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Giuseppe Di Stefano Records GDS 1003 (33 mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (3 dischi).
Paragon DSV 52 026 (33 mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (3 dischi).
Legato Classics LCD 204-2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (144’53”; 2 dischi).
1956
(Torino, RAI; 18 dicembre).
Antonio Zerbini, Miriam Pirazzini, Maria Curtis Verna, Franco Corelli, Giulio Neri,
Gian Giacomo Guelfi, Athos Cesarini, non indicata.
Coro e Orchestra Sinfonica di Torino della Radiotelevisione italiana,
dir. Angelo Questa.
Cetra LPC 1262 (33 mono; fuori catalogo) (137’; 3 dischi).
Everest 401 (33 mono; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
Cetra LPS 3262 (33 stereo; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (3 dischi).
Everest S 401 (33 stereo-mono; ricostruzione tecnica; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
Eterna 820 472 (33 stereo-mono; Germania; fuori catalogo) (3 dischi).
Cetra TRV 05 (33 mono; fuori catalogo) (3 dischi).
FonitCetra CDO 29 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori catalogo)
(2 dischi).
Palladio PD 4184/4185 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
FonitCetra CDO 127 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori catalogo)
(2 dischi).
Warner Fonit 8573 82642-2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
23
1957
(New York, Metropolitan; 23 febbraio).
Louis Sgarro, Blanche Thebom, Antonietta Stella, Kurt Baum, Giorgio Tozzi, George
London, James McCracken, Helen Vanni.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Fausto Cleva.
Omega Opera Archive 1461 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(142’38”; 2 dischi).
1957
(New York, Metropolitan; 30 novembre).
Louis Sgarro, Irene Dalis, Maria Curtis-Verna, Carlo Bergonzi, Giorgio Tozzi, Robert
Merrill, Robert Nágy, Helen Vanni.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Fausto Cleva.
Omega Opera Archive 366 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(152’24”; 2 dischi).
1958
Ugo Trama, Ira Malaniuk, Anna De Cavalieri, Aldo Bertocci, Paolo Dari, Scipio
Colombo, Walter Bertelli, non indicata.
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma,
dir. Ernesto Barbini.
Guilde Internationale du Disque SMS 2157 (33 stereo-mono; fuori catalogo) (3 dischi).
Guilde Internationale du Disque SMS 6331/6333 (33 stereo-mono; fuori catalogo) (135’; 3 dischi).
1958
(Ciudad de México, Palacio de Bellas Artes; 24 settembre).
Nicola Zaccaria, Nell Rankin, Anita Cerquetti, Flaviano Labò, Norman Treigle, Cornell
MacNeil, José Sosa, Carmen Gómez.
Coro e Orchestra del “Palacio de Bellas Artes” di Città del Messico,
dir. Antonio Narducci.
Premiere Opera 917.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 917 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (134’47”;
2 dischi).
Omega Opera Archive 550 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
24
1959
(Wien; 2-15 settembre).
Fernando Corena, Giulietta Simionato, Renata Tebaldi, Carlo Bergonzi, Arnold Van
Mill, Cornell MacNeil, Piero De Palma, Eugenia Ratti.
Unione corale della Società “Amici della musica” e Orchestra Filarmonica di Vienna,
dir. Herbert Von Karajan.
Decca LXT 5539/5541 (33 mono) e SXL 2167/2169 (33 stereo) (fuori catalogo; 150’45”; 3 dischi).
London A 4345 (33 mono) e OSA 1313 (33 stereo) (U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
Decca 6.35 261 EX (33 stereo-mono; Germania; fuori catalogo) (3 dischi).
Barclay 390.049 (33 stereo-mono; Francia; fuori catalogo) (3 dischi).
Decca 414 087-1 (33 stereo-mono; fuori catalogo) (3 dischi).
Decca 414 087-2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; fuori catalogo)
(3 dischi).
Decca 460 978-2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1960
(Milano, Scala; 14 aut 21 aprile).
Agostino Ferrin, Giulietta Simionato, Birgit Nilsson, Pier Miranda Ferraro, Nikolaj
Gjaurov, Cornell MacNeil, Piero De Palma, Giuliana Matteini.
Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Nino Sanzogno.
Omega Opera Archive 1625 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Premiere Opera 835.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 835 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (148’34”;
2 dischi).
Premiere Opera 951.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1960
(San Francisco, War Memorial Opera House; 30 settembre).
András Földi, Irene Dalis, Leonie Rysanek, Jon Vickers, Giorgio Tozzi, Robert Weede,
Gilbert Russell, Janis Martin.
Coro e Orchestra dell’Opera di San Francisco,
dir. Francesco Molinari Pradelli.
Omega Opera Archive 1791 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Past Masters PM 125 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (137’02”;
2 dischi).
Premiere Opera 379.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 379 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
25
1961
(Roma; 24 giugno-26 luglio).
Plinio Clabassi, Rita Gorr, Leontyne Price, Jon Vickers, Giorgio Tozzi, Robert Merrill,
Franco Ricciardi, Mietta Sighele.
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma,
dir. György Solti.
RCA LM 6158 (33 mono) e LSC 6158 (33 stereo) (fuori catalogo; 3 dischi).
RCA LMDS 6158 (33 stereo; Italia; fuori catalogo) (149’30”; 3 dischi).
RCA RE 25 038/040 (33 mono) e SER 4538/4540 (33 stereo) (Gran Bretagna; fuori catalogo; 3
dischi).
RCA A 630.630/632 (33 mono; Francia; fuori catalogo) (3 dischi).
Decca SET 427/429 (33 stereo; fuori catalogo) (3 dischi).
London OSA 1393 (33 stereo; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
Decca 6.35 108 EK (33 stereo-mono; Germania; fuori catalogo) (3 dischi).
Barclay 390.050 (33 stereo-mono; Francia; fuori catalogo) (3 dischi).
Decca 417 416-2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (152’52”; 3 dischi).
Decca 458 206-2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (? dischi).
Decca 460 765-2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1961
(Verona, Arena; 1 agosto).
Antonio Zerbini, Fiorenza Cossotto, Luisa Maragliano, Carlo Bergonzi, Nikolaj
Gjaurov, Aldo Protti, Ottorino Begali, non indicata.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Francesco Molinari Pradelli.
Premiere Opera 370.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 370 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (142’13”;
2 dischi).
1961
(Tokyo, Bunka Kaikan; 16 ottobre).
Silvano Pagliuca, Giulietta Simionato, Gabriella Tucci, Mario Del Monaco, Paolo
Washington, Aldo Protti, Athos Cesarini, Sumie Kawauci.
Coro della Radio di Tokyo, Coro dell’Opera italiana della NHK (“Nippon Hoso
Kyokai”), Coro dell’Opera lirica di Nikikai e di Fujiwara e Orchestra Sinfonica della
NHK (“Nippon Hoso Kyokai”) di Tokyo,
dir. Franco Capuana.
Seven Seas K25C 320/322 (33 stereo-mono; Giappone; fuori catalogo) (3 dischi).
Seven Seas K33Y100 101/102 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale;
Giappone; fuori catalogo) (2 dischi).
Paragon PCD 84 009 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; fuori catalogo)
(3 dischi).
Paragon PCD 84 004/005 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (2 dischi).
Frequenz 043.008 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; fuori catalogo)
(142’30”; 2 dischi).
Silver Sound Opera Italiana OPI 008 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica
digitale; fuori catalogo) (2 dischi).
Omega Opera Archive 1605 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
House of Opera CDWW 951 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Gala GL 100.507 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
Premiere Opera 759.2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Premiere Opera 962.2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
26
1962
(New York, Metropolitan; 3 marzo).
Louis Sgarro, Irene Dalis, Gabriella Tucci, Franco Corelli, Giorgio Tozzi, Cornell
MacNeil, Robert Nágy, Carlotta Ordassy.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. George Schick.
Stradivarius STR 1011/1013 (33 mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (139’; 3 dischi).
Great Opera Performances GOP 33 (33 mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (3 dischi).
Omega Opera Archive 946 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
House of Opera CDWW 950 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Myto Records MCD 024.271 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1962
(Montréal).
non indicato, Lili Chookasian, Virginia Zeani, Jon Vickers, non indicato, Louis Quilico,
non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. non indicato
Premiere Opera 1312.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1962
(Ciudad de México, Palacio de Bellas Artes; 17? settembre).
Humberto Pazos, Belén Amaparán, Régine Crespin, Jon Vickers, Paolo Washington,
Carlo Meliciani, Eduardo Del Campo, Adriana Turner.
Coro e Orchestra del “Palacio de Bellas Artes” di Città del Messico,
dir. Nicola Rescigno.
Omega Opera Archive 1544 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Premiere Opera 834.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 834 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (142’45”;
2 dischi).
1963
(Wien, Staatsoper; 3 giugno).
Tugomir Franc, Giulietta Simionato, Leontyne Price, Dimiter Uzunov, Walter Kreppel,
Ettore Bastianini, Erich Majkut, Gerda Scheyrer.
Coro e Orchestra dell’Opera di Stato di Vienna,
dir. Lovro Mata≈i£.
Melodram MEL 410 (33 mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (150’45”; 3 dischi).
Foyer FO 1036 (33 mono; ricostruzione tecnica; fuori catalogo) (3 dischi).
Electrecord ELE 02966/02968 (33 mono; ricostruzione tecnica; Romania; fuori catalogo) (3 dischi).
Foyer 2CF-2018 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori catalogo) (2 dischi).
Omega Opera Archive 1361 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
House of Opera CDWW 938 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
27
1963
(New York, Metropolitan; 7 dicembre).
John Macurdy, Rita Gorr, Leontyne Price, Carlo Bergonzi, Cesare Siepi, Mario Sereni,
Robert Nágy, Janis Martin.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. György Solti.
Myto Records MCD 934.84 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (146’28”;
con estratto edizione 15 dicembre 1962, in 2 dischi).
Omega Opera Archive 1643 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
House of Opera CDWW 934 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1964
(Cleveland; 21 aprile).
Justino Díaz, Rita Gorr, Birgit Nilsson, Franco Corelli, Cesare Siepi, Cornell MacNeil,
Robert Nágy, Mary Ellen Pracht.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Silvio Varviso.
Past Masters PM 129 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (150’; 2 dischi).
1964
(Oslo, Den Norske Opera; 24 ottobre?).
Odd Waldestad?, Mirjana Dancuo, Ingrid Bjoner?, Kolbjörn Höiseth?, Almar Heggen?,
Knut Skram, Olav Ryan, Åse Sandtrøen.
Coro maschile “A Cappella”, Coro e Orchestra dell’Opera nazionale norvegese di Oslo,
dir. Arvid Fladmoe.
(cantata in norvegese).
Legato Classics LCD 275-2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (150’03”;
con recital, in 2 dischi).
1965
(New York, Metropolitan; 20 marzo).
Louis Sgarro, Elena Cernei, Birgit Nilsson, Richard Tucker, Giorgio Tozzi, Cornell
MacNeil, Robert Nágy, Mary Ellen Pracht.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. William Steinberg.
Past Masters PM 104 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (136’21”;
2 dischi).
Lyric Distribution NO 9034 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1965
(Trieste, Verdi).
Enzo Viaro, Laura Didier Gambardella, Gianna Galli, Aldo Bertocci, Lorenzo Gaetani,
Lino Puglisi, Raimondo Botteghelli, Eva Nadia Pertot.
Coro e Orchestra del Teatro comunale “Giuseppe Verdi” di Trieste,
dir. Arturo Basile.
Corrado Tedeschi editore sigla alfanumerica non accertata (33 mono; edizione fuori commercio)
(3 dischi).
28
1966
(New York, Metropolitan; 12 febbraio).
Raymond Michalski, Irene Dalis, Leontyne Price, Richard Tucker, Nikola Gjuzelev,
Robert Merrill, Robert Nágy, Mary Ellen Pracht.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Zubin Mehta.
Past Masters PM 112 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (138’19”;
2 dischi).
Lyric Distribution NO 9044 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1966
(New York, Metropolitan; 13 marzo).
Raymond Michalski, Elena Cernei, Leontyne Price, Franco Corelli, Jerome Hines,
Sherrill Milnes, Robert Nágy, Mary Ellen Pracht.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Zubin Mehta.
Great Opera Performances GOP 733 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale)
(142’57”; 2 dischi).
House of Opera CDWW 935 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1966
(Stockholm, Kungliga Teatern; 7 maggio).
Bengt Rundgren, Barbro Ericson, Birgit Nilsson, Kolbjörn Höiseth, Arne Tyrén, Rolf
Jupither, John-Erik Jacobsson, May-Lis Tollbo.
Coro e Orchestra del Teatro reale dell’opera di Stoccolma,
dir. Ino Savini
(cantata in svedese e in italiano).
Première Opera 1278.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1966
(Roma; giugno-agosto).
Ferruccio Mazzoli, Grace Bumbry, Birgit Nilsson, Franco Corelli, Bonaldo Giaiotti,
Mario Sereni, Piero De Palma, Mirella Fiorentini.
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma,
dir. Zubin Mehta.
Angel SAN 189/191 (33 stereo; fuori catalogo) (140’15”; 3 dischi).
Angel SCL 3716 (33 stereo; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
Electrola SMA 91 653/655 (33 stereo-mono; Germania; fuori catalogo) (3 dischi).
His Master’s Voice SLS 929 (33 stereo-mono; Gran Bretagna; fuori catalogo) (3 dischi).
EMI Toshiba AA 9381 C (33 stereo-mono; Giappone; fuori catalogo) (3 dischi).
EMI 3C165-00 084/086 (33 stereo-mono; fuori catalogo) (3 dischi).
Jugoton LPSVHMV 330/332 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).EMI CMS7 63 229-2 (33 stereo-mono; Jugoslavia; fuori catalogo) (3 dischi).
Angel CDMB 63 229 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
HMV Classics D5 73410-2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; Gran
Bretagna) (2 dischi).
29
1966
(Verona, Arena; 3 agosto).
Franco Pugliese, Fiorenza Cossotto, Leyl Gencer, Carlo Bergonzi, Bonaldo Giaiotti,
Anselmo Colzani, Ottorino Begali, Adalina Grigolato.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Franco Capuana.
Historical Recording Enterprises V 824 (33 mono; U.S.A.; edizione fuori commercio) (147’15”;
3 dischi).
Giuseppe Di Stefano Records GDS 21032 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica
digitale; fuori catalogo) (2 dischi).
House of Opera CDBB 606 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1967
(New York, Metropolitan; 25 febbraio).
Louis Sgarro, Grace Bumbry, Leontyne Price, Carlo Bergonzi, Jerome Hines, Robert
Merrill, Robert Nágy, Lilian Sukis.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Thomas Schippers.
Claque GM 3007/3009 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (149’15”; 3 dischi).
Omega Opera Archive 939 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
House of Opera CDWW 933 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1967
(Fort Worth; 1 dicembre).
non indicato, Nell Rankin, Ingrid Bjoner, Plácido Domingo, Stephen West, Chester
Ludgin, non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Rudolf Kruger.
House of Opera CDBB 598 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1968
(London, Covent Garden; 27 gennaio).
David Kelly, Lyne Dourian, Gwyneth Jones, Jon Vickers, Joseph Rouleau, John Shaw,
Glynne Thomas, Anne Finley.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Edward Downes.
Melodram CDM 27 019 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (148’30”; 2 dischi).
Silver Sounds Opera Italiana OPI 13 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale;
fuori catalogo) (2 dischi).
30
1968
(Buenos Aires, Colón; 16 giugno).
Jorge Algorta, Biserka Cveji£, Martina Arroyo, Carlo Bergonzi, Nicola Rossi Lemeni,
Cornell MacNeil, Horacio Mastrango, Africa De Retes.
Coro e Orchestra del Teatro “Colón” di Buenos Aires,
dir. Bruno Bartoletti.
La Batuta 70 024 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; Argentina; fuori
catalogo) (3 dischi).
House of Opera CDBB 594 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1968
(Faenza, Teatro “Angelo Masini”; settembre)
Gino Calò, Gloria Foglizzo, Mila Kaluskova, Isidoro Antonioli, Eftimios Michalopoulos,
Gianni Maffeo, Pier Francesco Poli, Mirella Marcossi.
Coro e Orchestra dell’Opera stabile del “Viotti”,
dir. Ino Savini.
Fratelli Fabbri GOL 34/37 (33 stereo-mono; fuori catalogo) (5 dischi da 25 centimetri di diametro).
1969
(Napoli, S. Carlo; 18 maggio).
Enrico Campi, Grace Bumbry, Virginia Zeani, Gianfranco Cecchele, Nikola Gjuzelev,
Gian Giacomo Guelfi, Fernando Iacopucci, Eva Ruta.
Coro e Orchestra del Teatro “di San Carlo” di Napoli,
dir. Fernando Previtali.
Bongiovanni GAO 123/124 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (149’; 2 dischi).
House of Opera CDWW 954 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1970
(Venezia, Fenice; 8 marzo).
Franco Federici, Fiorenza Cossotto, Gabriella Tucci, Flaviano Labò, Ivo Vinco, Aldo
Protti, Ottorino Begali, Rina Pallini.
Coro e Orchestra del Gran Teatro “La Fenice” di Venezia,
dir. Fernando Previtali.
House of Opera CDWW 952 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Mondo Musica MFOH 10 231 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale)
(143’13”; 2 dischi).
31
1970
(London, Walthamstow Town Hall; 9-23 luglio).
Hans Sotin, Grace Bumbry, Leontyne Price, Plácido Domingo, Ruggero Raimondi,
Sherrill Milnes, Bruce Brewer, Joyce Mathis.
Coro “John Alldis” e Orchestra Sinfonica di Londra,
dir. Erich Leinsdorf.
RCA LSC 6198 (33 stereo; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA LMDS 6198 (33 stereo; Italia; fuori catalogo) (143’15”; 3 dischi).
RCA SER 5609/5611 (33 stereo; Gran Bretagna; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA 26.35 026 GF (33 stereo-mono; Germania; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA VLS 45 465 (33 stereo-mono; fuori catalogo) (3 dischi).
RCA 6198-2-RC (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.; fuori
catalogo) (3 dischi).
RCA RD 86 198 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; fuori catalogo)
(3 dischi).
BMG RCA Victor 74321 39 498-2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale)
(142’17”; 3 dischi).
1970
(New York, Metropolitan; 28 novembre).
Edmond Karlsrud, Christa Ludwig, Lucine Amara, Richard Tucker, Ezio Flagello,
Cornell MacNeil, Rod MacWherter, Margaret Kalil.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Fausto Cleva.
Legato Standing Room Only SRO 594 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica
digitale) (139’23”; 2 dischi).
1970
1971
(Sofija; dicembre 1970 – gennaio 1971).
Stefan Cigan≈ev, Aleksandrina Mil≈eva, Julia Wiener, Nikola Nikolov, Nikola
Gjuzelev, Nikola Smo≈evski, Verter Vra≈ovskij, Marija Dim≈evska.
Coro e Orchestra del Teatro nazionale dell’Opera di Sofia,
dir. Ivan Marinov.
Balkanton BOA 1220/1222 (33 stereo-mono; Bulgaria; fuori catalogo) (3 dischi).
Harmonia Mundi HMU 3.470 (33 stereo-mono; Francia; fuori catalogo) (149’; 3 dischi).
Academy Sound and Vision AVM 1008/1009 (33 stereo-mono; Gran Bretagna; fuori catalogo) (2 dischi).
Academy Sound and Vision AVM CD 1008/1009 (compact; registrazione stereo; ricostruzione
tecnica digitale; Gran Bretagna; fuori catalogo) (150’; 2 dischi).
Laserlight Classics LC 24 421 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1971
(New York, Metropolitan; 31 maggio).
Paul Plishka, Grace Bumbry, Martina Arroyo, Franco Corelli, Cesare Siepi, Mario
Sereni, Rod MacWherter, Carlotta Ordassy.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Fausto Cleva.
Legato Classics LCD 164-2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (2 dischi).
On Stage! OS 4708 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (144’40”; 2 dischi).
House of Opera CDWW 920 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Lyric Distribution NO 147 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
32
1972
(Milano, Scala; 10 aprile).
Luigi Roni, Fiorenza Cossotto, Martina Arroyo, Plácido Domingo, Nikolaj Gjaurov,
Piero Cappuccilli, Piero De Palma, Josella Ligi.
Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Claudio Abbado.
House of Opera CDWW 921 aut CDBB 595 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica
digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Myto Records MCD 921.57 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale)
(145’45”; con recital, in 2 dischi).
1972
(München, Nationaltheater; 4 settembre).
Luigi Roni, Fiorenza Cossotto, Martina Arroyo, Plácido Domingo, Nikolaj Gjaurov,
Piero Cappuccilli, Piero De Palma, Josella Ligi.
Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Claudio Abbado.
Foyer 2-CF 2052 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori catalogo)
(139’41”; 2 dischi).
Movimento Musica 051.048 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (2 dischi).
House of Opera CDWW 922 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Opera d’Oro OPD 1167 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1973
(Wien, Staatsoper; 4 febbraio).
Tugomir Franc, Viorica Cortez, Gwyneth Jones, Plácido Domingo, Bonaldo Giaiotti,
Eugene Holmes, Eduardo Alvares, Sona Ghazarian.
Coro dell’Opera di Stato e Orchestra Filarmonica di Vienna,
dir. Riccardo Muti.
Bella Voce BLV 107.209 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (149’09”;
2 dischi).
Premiere Opera 1192.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1973
(Paris, Salle Pleyel, concerto; 5 aprile).
Georgio Pappas, Fiorenza Cossotto, Jessye Norman, Pedro Lavirgen, Luigi Roni,
Walter Alberti, Francesco Moroni, Nicole Derille.
Coro e Orchestra lirica dell’ORTF (“Office de Radiodiffusion-Télévision Française”),
dir. Nino Sanzogno.
Memories HR 4450/4451 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; fuori
catalogo) (148’15”; 2 dischi).
Phoenix Agorá PX 507.2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (157’56”;
2 dischi).
House of Opera CDWW 932 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Opera d’Oro OPD 1304 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
33
1973
(London, Covent Garden; 12 aprile).
Dennis Wicks, Mignon Dunn, Gilda Cruz Romo, Carlo Bergonzi, Forbes Robinson,
Giampiero Mastromei, William Elvin, Kiri Te Kanawa.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Charles Mackerras.
Premiere Opera 472.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 472 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (150’22”;
2 dischi).
*1973 (Barcelona, Liceu; 29 dicembre).
Juan Pons, Bianca Berini, Montserrat Caballé, Plácido Domingo, Gwynne Howell,
Giampiero Mastromei, Josep Ruiz, Cecília Fondevila.
Coro e Orchestra del Gran Teatro del “Liceo” di Barcellona,
dir. Gianfranco Masini.
House of Opera CDBB 601 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1974
(Barcelona, Liceu; 1 gennaio).
Juan Pons, Bianca Berini, Montserrat Caballé, Plácido Domingo, Gwynne Howell,
Giampiero Mastromei, Josep Ruiz, Cecília Fondevila.
Coro e Orchestra del Gran Teatro del “Liceo” di Barcellona,
dir. Gianfranco Masini.
Morgan Recording Federation MRF 106 S (33 stereo; U.S.A.; edizione fuori commercio)
(146’15”; con estratti “Ernani”, in 3 dischi).
House of Opera CDWW 924 aut CDBB 600 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica
digitale; U.S.A.) (2 dischi).
1974
(Orlando).
non indicato, Nadja Despalj, Jessye Norman, Robert Nágy, McHenry Boatwright,
Richard Fredricks, non indicati.
Coro e Orchestra dell’Opera di Orlando,
dir. Pavel Despalj.
Premiere Opera 986.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 986 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (154’02”;
2 dischi).
34
1974
(London, Walthamstow Assembly Hall; 2-11 luglio).
Luigi Roni, Fiorenza Cossotto, Montserrat Caballé, Plácido Domingo, Nikolaj Gjaurov,
Piero Cappuccilli, Nicola Martinucci, Esther Casas.
Coro del Teatro reale d’opera “Covent Garden”, Trombe della Reale Scuola militare di
musica e Orchestra “New Philharmonia” di Londra,
dir. Riccardo Muti.
EMI 3C165-02548/02550 Q (33 stereo quadrifonico; fuori catalogo) (144’; 3 dischi).
His Master’s Voice SLS 977 (33 stereo quadrifonico; Gran Bretagna; fuori catalogo) (3 dischi).
Angel SX 3815 (33 stereo-mono; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
EMI Toshiba EAA 77 034/036 (33 stereo-mono; Giappone; fuori catalogo) (3 dischi).
Hungaroton SLPXL 12 109 (33 stereo-mono; Ungheria; fuori catalogo) (3 dischi).
EMI CDS7 47 271-8 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (3 dischi).
Angel CDCC 47 271 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (3 dischi).
EMI CDS5 56 246-2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (3 dischi).
EMI 5 67 617-2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (146’17”; 3 dischi).
EMI CZS5 67 450-2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (in una
collezione di opere di Verdi, in 30 dischi).
1975
(Sydney, Opera House; 18 febbraio).
Alan Light, Elizabeth Connell, Marilyn Richardson, Donald Smith, Donald Shanks,
John Shaw, non indicati.
Coro e Orchestra di “Opera Australia” di Sydney,
dir. Carlo Felice Cillario.
Celestial Audio CA 001 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; Australia;
fuori catalogo) (2 dischi).
1976
(Milano, Scala; 28 gennaio [atti 2°, 3°, 4°] e 1 febbraio [atto 1°]).
Luigi Roni, Grace Bumbry, Montserrat Caballé, Carlo Bergonzi, Ruggero Raimondi,
Piero Cappuccilli, Saverio Porzano, Mila Zanlari.
Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Thomas Schippers.
Myto Records MCD 983.186 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale)
(153’45”; 2 dischi).
House of Opera CDWW 923 aut CDBB 599 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica
digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Premiere Opera 1234.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1976
(New York, Metropolitan; 6 marzo).
James Morris, Marilyn Horne, Leontyne Price, Plácido Domingo, Bonaldo Giaiotti,
Cornell MacNeil, Charles Anthony, Marcia Baldwin.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. James Levine.
House of Opera CDWW 936 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Gala GL 100.561 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (144’43”; 2 dischi).
35
1976
(Orange, Chorégies, Antique; 27 luglio).
Luigi Roni, Grace Bumbry, Gilda Cruz Romo, Pëtr Gugalov, Agostino Ferrin, Ingvar
Wixell, Gérard Friedmann, Mirella Fiorentini.
Coro e Orchestra “Lirico di Torino”,
dir. Thomas Schippers.
Lèvon Records ML 1005/1007 (33 stereo-mono; Francia; fuori catalogo) (144’45”; 3 dischi).
1976
(New York, Metropolitan; 22 aut 25 ottobre).
Philip Booth, Elena Obrazcova, Rita Hunter, Carlo Bergonzi, James Morris, Matteo
Manuguerra, Paul Franke, Jean Kraft.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Kazimierz Kord.
Lyric Distribution NO 9035 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (145’08”;
2 dischi).
1977
(Madrid, Zarzuela; 3 aut 6 maggio).
Julio Catania, Maria Luisa Nave, Éva Marton, Plácido Domingo, Dimiter Petkov, Pedro
Farres, José Manzaneda, Angeles Zanetti.
Coro e Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione spagnola,
dir. Armando Gatto.
House of Opera CDBB 613 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1977
(London, Covent Garden; 30 giugno).
Robert Lloyd, Fiorenza Cossotto, Montserrat Caballé, Plácido Domingo, Paul Plishka,
Peter Glossop, John Dobson, Yvonne Kenny.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Riccardo Muti.
House of Opera CDBB 602 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1979
(München, National Theater; 22 marzo).
Nikolaus Hillebrand, Brigitte Fassbänder, Anna Tomova, Plácido Domingo, Robert
Lloyd, Siegmund Nimsgern, Norbert Orth, Marianne Seibel.
Coro e Orchestra dell’Opera di Stato bavarese,
dir. Riccardo Muti.
Legendary Recordings LR 174 (33 stereo; U.S.A.; edizione fuori commercio) (141’30”; 3 dischi).
Orfeo C583 022I (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (143’20”; 2 dischi).
House of Opera CDBB 614 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
36
1979
(Wien, Musikvereinsaal; 7-17 maggio).
José Van Dam, Agnes Baltsa, Mirella Freni, José Carreras, Ruggero Raimondi, Piero
Cappuccilli, Thomas Moser, Katia Ricciarelli.
Coro dell’Opera di Stato e Orchestra Filarmonica di Vienna,
dir. Herbert Von Karajan.
EMI 3C 165-03874/03876 (33 stereo-mono; fuori catalogo) (157’30”; 3 dischi).
His Master’s Voice SLS 5205 (33 stereo-mono; Gran Bretagna; fuori catalogo) (3 dischi).
Angel SZCX 3888 (33 stereo-mono; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
His Master’s Voice EX2 90 808-3 (33 stereo digitale; ricostruzione tecnica; Gran Bretagna; fuori
catalogo) (3 dischi).
Angel AVC 34 064 (33 stereo digitale; ricostruzione tecnica; U.S.A.; fuori catalogo) (3 dischi).
EMI CMS7 69 300-2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (3 dischi).
Angel CDMC 69 300 (compact; registrazione stereo; U.S.A.) (3 dischi).
EMI 65 423-2 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (con Holst, Ravel,
Stravinskij, in 3 dischi).
1979
(London, ENO; 16 ottobre).
Harold Blackburn, Elizabeth Connell, Josephine Barstow, Tom Swift, John Tomlinson,
Neil Howlett, Alan Woodrow, Angela Bostock.
Coro e Orchestra della “English National Opera”,
dir. Charles Groves.
(cantata in inglese).
Premiere Opera 493.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (147’07”;
2 dischi).
Lyric Distribution NO 493 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (2 dischi).
1980
(Boston; 8 giugno).
William Dansby, Elizabeth Connell, Shirley Verrett, James McCracken, Ferruccio
Furlanetto, David Arnold, non indicati.
Coro e Orchestra della Compagnia dell’Opera di Boston,
dir. Sarah Caldwell.
Omega Opera Archive 1430 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(144’20”; 2 dischi).
Premiere Opera 1275.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
1980
(Salzburg, Grosses Festspielhaus; 30 luglio).
Agostino Ferrin, RuΩa Baldani, Mirella Freni, José Carreras, Ruggero Raimondi, Piero
Cappuccilli, Thomas Moser, Marjon Lambriks.
Coro da camera di Salisburgo, Coro dell’Opera nazionale di Sofia, Coro dell’Opera di
Stato e Orchestra Filarmonica di Vienna,
dir. Herbert Von Karajan.
Premiere Opera 261.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 261 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (151’10”;
2 dischi).
37
1981
(München; 29 maggio).
Nikolaus Hillebrand, Livia Budai, Gena Dimitrova, Nicola Martinucci, Karl Helm,
Siegmund Nimsgern, Norbert Orth, Marianne Seibel.
Coro dell’Opera di Stato bavarese e Orchestra di Stato bavarese,
dir. Nello Santi.
Divina DVN 41 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (140’47”; 2 dischi).
1981
(Milano, Centro Telecinematografico Culturale; 12-31 gennaio e 23-24 giugno).
Ruggero Raimondi, Elena Obrazcova, Katia Ricciarelli, Plácido Domingo, Nikolaj
Gjaurov, Leo Nucci, Piero De Palma, Lucia Valentini.
Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Claudio Abbado.
Deutsche Grammophon 2741 014 (33 stereo digitale; fuori catalogo) (141’; 3 dischi).
Deutsche Grammophon 410 092-2 (compact; registrazione digitale) (3 dischi).
1981
(San Francisco, War Memorial Opera House; 18 novembre).
Kevin Langan, Stefania Toczyska, Leontyne Price, Luciano Pavarotti, Ferruccio
Furlanetto, Simon Estes, Colenton Freeman, Susan Quittmeyer.
Coro e Orchestra dell’Opera di San Francisco,
dir. Luís Antonio García Navarro.
Historical Recording Enterprises HRE 384 (33 mono; U.S.A.; edizione fuori commercio) (148’30”;
3 dischi).
House of Opera CDWW 937 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Premiere Opera 815.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
1982
(Berlin, Deutsche Oper; 31 marzo).
Harald Stamm, Stefania Toczyska, Júlia Varády, Luciano Pavarotti, Matti Salminen,
Dietrich Fischer-Dieskau, Volker Horn, Ruthild Engert.
Coro e Orchestra dell’Opera tedesca di Berlino,
dir. Daniel Barenboim.
Premiere Opera 916.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 916 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (150’07”;
2 dischi).
House of Opera CDBB 615 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1982
(Bilbao, Coliseo Albia; 4 settembre).
Giovanni Gusmeroli, Fiorenza Cossotto, Gena Dimitrova, Franco Bonisolli, Ivo Vinco,
Ettore Nova, Gianfranco Manganotti, María Ángeles Peters.
Coro della “Asociación Bilbaína de Amigos de la Ópera” (ABAO) e Orchestra Sinfonica
di Euskadi,
dir. Giuseppe Morelli.
Historical Recording Enterprises HRE 421 (33 mono; U.S.A.; edizione fuori commercio) (147’15”;
3 dischi).
38
1983
(Barcelona, Liceu; 10 dicembre).
Luigi Roni, Elena Obrazcova, Natal’ja Trojckaja, Carlo Cossutta, Bonaldo Giaiotti,
Simon Estes, Conrad Gaspà, Cecília Fondevila.
Coro e Orchestra del Gran Teatro del “Liceo” di Barcellona,
dir. Carlo Franci.
House of Opera CD 189 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1984
(Sydney, Opera House; 6 ottobre).
Robert Eddie, Margreta Elkins, Marilyn Zschau, Ermanno Mauro, Donald Shanks, John
Shaw, Robin Donald, Bernadette Cullen.
Coro e Orchestra di “Opera Australia” di Sydney,
dir. Stuart Challender.
Celestial Audio CA 047 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; Australia;
fuori catalogo) (2 dischi).
1985
1986
(Milano, Studio Abanella; dicembre-gennaio).
Luigi Roni, Gena Dimitrova, Maria Chiara, Luciano Pavarotti, Paata Bur≈uladze, Leo
Nucci, Ernesto Gavazzi, Madelyn Renée.
Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Lorin Maazel.
Decca 417 439-1 (33 stereo digitale; fuori catalogo) (151’15”; 3 dischi).
Decca 417 439-2 (compact; registrazione digitale) (3 dischi).
1986
(Verona, Arena; 31 luglio).
Franco Federici, Fiorenza Cossotto, Natal’ja Trojckaja, Franco Bonisolli, Bonaldo
Giaiotti, Cornell MacNeil, Gianfranco Manganotti, Maria Romano.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Daniel Oren.
Premiere Opera 1232.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Lyric Distribution NO 1232 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (147’02”;
2 dischi).
1987
(3 ottobre).
Davide Ruberti, Gisella Pasino, Emilia Bertoncello, Antonio Marcenò, Danilo Rigosa,
Alberto Mastromarino, Filippo Pina, Maria Pia Jonata.
Coro “Ar.RA.” e Orchestra Sinfonica “Amadeus”,
dir. Maurizio Rinaldi.
Edizioni del TIMAClub MPV 22 (33 mono) (143’38”; 3 dischi).
39
1987
(Montecarlo; 23 novembre).
non indicato, Mignon Dunn, Katia Ricciarelli, Plácido Domingo, non indicato, Luigi De
Corato, non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Lamberto Gardelli.
House of Opera CDBB 604 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1988
(Parma, Regio; 18 gennaio).
Franco Federici, Elena Obrazcova, Maria Chiara, Nicola Martinucci, Cesare Siepi,
Bruno Pola, Gianfranco Manganotti, Wilma Colla.
Coro del Teatro Regio di Parma Cooperativa “Artisti del coro” e Orchestra Sinfonica
dell’Emilia-Romagna “Arturo Toscanini”,
dir. Donato Renzetti.
Lyric Distribution NO 1012 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (148’13”;
2 dischi).
1990
(New York City, Manhattan Center; 18-26 maggio).
Terry Cook, Dolora Zajick, Aprile Millo, Plácido Domingo, Samuel Ramey, James
Morris, Charles Anthony, Hei-Kyung Hong.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. James Levine.
Sony Classical S3 45 973 (33 stereo digitale; fuori catalogo) (3 dischi).
Sony Classical S3K 45 973 (compact; registrazione digitale) (145’30”; 3 dischi).
1991
(Miramas, Théâtre de la Colonne; 24 novembre).
Emil Ponorskij, Stefka Mineva, Ofelija Hristova, Manuel Contreras, Mark Gargiulo,
non indicato, Konstantin Lekov, Stiljana Hindelova.
Compagnia e Coro del Teatro lirico d’Europa e Orchestra Sinfonica di Sofia,
dir. Georgi Notev.
Harmony Music OPERA 1 (compact; registrazione digitale) (139’19”; 2 dischi).
1992
(Verona, Arena; 18 agosto).
Carlo Striuli, Dolora Zajick, Maria Chiara, Kristján Jóhannsson, Nikola Gjuzelev, Juan
Pons, Angelo Casertano, Lorella Antonini.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Nello Santi.
Tring GI 076 (compact; registrazione digitale) (140’39”; 2 dischi).
40
1994
(New York, Metropolitan; 5 febbraio).
Hao-Jiang Tian, Dolora Zajick, Sharon Sweet, Michael Sylvester, Paul Plishka, Juan
Pons, John Horton Murray, Camellia Johnson.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. John Fiore.
Serenissima C 360.105/106 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (147’41”;
2 dischi).
1994
(London, Covent Garden; 16 giugno).
Mark Beesley, Luciana D’Intino, Cheryl Studer, Dennis O’Neill, Robert Lloyd,
Alexandru Agache, John Marsden, Yvonne Barclay.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Edward Downes.
House of Opera CDWW 946 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
Serenissima C 360.163/164 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale) (146’40”;
2 dischi).
1994
(Dublin, National Concert Hall; 1-4 ottobre).
Riccardo Ferrari, Barbara Dever, Maria Dragoni, Kristján Jóhannsson, Francesco Ellero
d’Artegna, Mark Rucker, Antonio Marcenò, Monica Trini.
Società corale di Culwick, Società corale di Bray, Coro della contea di Dublino, Società
corale “Dun Laoghaire”, “Cantabile Singers”, Coro del “Goethe Institut”, “Musica Sacra
Singers”, “Phoenix Singers”, Coro da camera e Coro Filarmonico della Radiotelevisione
irlandese (RTE), Banda n. 1 dell’esercito irlandese e Orchestra Sinfonica nazionale
d’Irlanda,
dir. Rico Saccani.
Naxos 8.660 033/034 (compact; registrazione digitale) (146’03”; 2 dischi).
1995
(Wien, Staatsoper; 16 febbraio).
Walter Fink, Luciana D’Intino, Alessandra Marc, Giuseppe Giacomini, Francesco
Ellero d’Artegna, Juan Pons, Richard Brunner, Marjorie Vance.
Coro e Orchestra dell’Opera di Stato di Vienna,
dir. Plácido Domingo.
House of Opera CDBB 612 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1995
(Sydney, Opera; 1 agosto).
non indicato, Bernadette Cullen, Lisa Gasteen, Horst Hoffmann, Daniel Sumegi, Neville
Wilkie, non indicati.
Coro di “Opera Australia” e Orchestra di Sydney del Teatro australiano d’opera e balletto,
dir. Simone Young.
House of Opera CD711L (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
41
1997
(Amsterdam; giugno).
James Butler, RuΩa Baldani, Jeanne-Michèle Charbonnet, Franco Bonanome, Valentin
Pivovarov, Angelo Veccia, Jean-Francis Monvoisin, Catherine Meyer.
Coro accademico “Ivan Goran Kovaci£” e Orchestra Sinfonica boema,
dir. Giuseppe Raffa.
Crystal Classics CD 0965 41/42 (compact; registrazione digitale; fuori catalogo) (2 dischi).
1997
(Wien, Staatsoper; 22 giugno).
David Cale Johnson, Waltraud Meier, Deborah Voigt, Kristján Jóhannsson, Kurt Rydl,
Simon Estes, Franz Kasemann, Marjorie Vance.
Coro e Orchestra dell’Opera di Stato di Vienna,
dir. Marcello Viotti.
House of Opera CD 606 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1998
(Rotterdam, Opera in Ahoy; 23 gennaio-1 febbraio).
Aik Martirosyan, Stefania Toczyska, Ol’ga Romanko, Maurizio Frusoni, Riccardo
Ferrari, Claudio Otelli, Aleksej Grigor’ev, Janny Zomer.
Coro di “Opera in Ahoy” e Orchestra Filarmonica di Reutlingen del Württemberg,
dir. Roberto Paternostro.
Disky Classics DCL 70 407-2 (compact; registrazione digitale) (151’03”; 2 dischi).
Companions Classics CC 973.110 (compact; registrazione digitale) (2 dischi).
1998
(Palermo, Massimo; 22 aprile).
Andrea Silvestrelli, Barbara Dever, Norma Fantini, José Cura, Andrea Papi, Giorgio
Zancanaro, Pierre Lefebvre, Antonella Trevisan.
Coro e Orchestra del Teatro “Massimo” di Palermo,
dir. Angelo Campori.
House of Opera CD 324 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
1999
(Sankt Petersburg, Marijnskij; giugno).
Valdimir Ognovenko, Ljudmila ∏em≈uk, Irina Gordej, Vladimir Galuzin, Fëdor
Kuznecov, Nikolaj Putilin, Evgenij Straπ≈enko, Larisa Gorgolevskaja.
Coro e Orchestra “Kirov” del Teatro “Marijnskij” di San Pietroburgo,
dir. Valerij Gergiev.
Premiere Opera 431.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 431 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (148’01”;
2 dischi).
42
1999
(Verona, Arena; 25 giugno).
Carlo Striuli, Larisa Djadkova, Sylvie Valayre, José Cura, Andrea Papi, Leo Nucci,
Aldo Orsolini, Antonella Trevisan.
Coro e Orchestra della Fondazione “Arena” di Verona,
dir. Daniel Oren.
House of Opera CD 472 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
2000
(Dublin, Gaiety; 16 aprile).
Jean-Jacques Cubaynes, Patricia Spence, Georgina Von Benza, Emil Ivanov, Barseg
Tumanjan, Marcel Vanaud, Kevin Ferguson, Elizabeth Wood.
Coro da camera nazionale e Orchestra da concerto del “Radio Telefis Eireann” (RTE),
dir. Claude Schnitzler.
House of Opera CD 605 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
2000
(Verona, Arena; 26 agosto).
Carlo Striuli, Elisabetta Fiorillo, Daniela Longhi, Vladimir Galuzin, Orlin Anastasov,
Silvano Carroli, Alessandro Cosentino, Renata Daltin.
Coro e Orchestra della Fondazione “Arena” di Verona,
dir. Daniel Oren.
House of Opera CDBB 611 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale;
U.S.A.) (2 dischi).
2001
(Busseto, Verdi; 27 gennaio).
Paolo Pecchioli, Kate Aldrich, Adina Aaron, Scott Piper, Enrico Giuseppe Iori,
Giuseppe Garra, Stefano Pisani, Micaela Patriarca.
Coro e Orchestra della Fondazione “Arturo Toscanini” di Parma,
dir. Massimiliano Stefanelli.
House of Opera CD 710 (compact; registrazione stereo; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
2001
(Wien, Staatsoper; 28 gennaio).
Janusz Monarcha, Waltraud Meier, Marija Gulegina, Sergej Larin, non identificato,
Franz Grundheber, non identificato, Riccarda Merbeth.
Coro e Orchestra dell’Opera di Stato di Vienna,
dir. Fabio Luisi.
Premiere Opera 1189-2 (compact; registrazione stereo?; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
43
2001
(Wien, Musikverein; gennaio-aprile).
László Polgár, Ol’ga Borodina, Cristina Gallardo-Domâs, Vincenzo La Scola, Matti
Salminen, Thomas Hampson, Kurt Streit, Dorothea Röschmann.
Coro “Arnold Schoenberg” e Orchestra Filarmonica di Vienna,
dir. Nikolaus Harnoncourt.
Teldec 8573 85402-2 (compact; registrazione digitale) (158’40”; 3 dischi).
2001
(London, Blackheath Halls; 23-28 aprile).
Peter Rose, Rosalind Plowright, Jane Eaglen, Dennis O’Neill, Alastair Miles, Gregory
Yurisich, Alfred Boe, Susan Gritton.
Coro “Geoffrey Mitchell” e Orchestra “Philharmonia” di Londra,
dir. David Parry.
(cantata in inglese; traduzione Edmund Tracey).
Chandos CHAN 3074 (compact; registrazione digitale) (141’28”; 2 dischi).
2001
(Barcelona, Liceu; 18 maggio).
Stefano Palatchi, Dolora Zajick, Isabelle Kabatu, Gegam Grigorjan, Danilo Rigosa,
Vicente Sardinero, Francisco Vas, Begoña Alberdi.
Coro e Orchestra del Gran Teatro del “Liceo” di Barcellona,
dir. Bertrand De Billy.
House of Opera CDBB 610 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale;
U.S.A.) (2 dischi).
2001
(Orange, Chorégies, Antique; 7 luglio).
Giorgio Giuseppini, Dolora Zajick, Manon Feubel, Vladimir Galuzin, Giacomo Prestia,
Carlo Guelfi, Laurent Koehl, Anne-Marguerite Werster.
Coro del Festival d’Orange e Orchestra Filarmonica di “Radio France”,
dir. Eliahu Inbal.
Premiere Opera 863.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
*2001 (Orange, Chorégies, Antique; 21 luglio).
non indicato, Dolora Zajick, Manon Feubel, Vladimir Galuzin, Giacomo Prestia, Carlo
Guelfi, non indicati.
Coro del Festival d’Orange e Orchestra Filarmonica di “Radio France”,
dir. Eliahu Inbal.
House of Opera CDBB 605 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.)
(2 dischi).
44
2002
(Portsmouth, Virginia Opera; 26 luglio).
Andrew Martens, Patrizia Patelmo, Marquita Lister, Edoardo Villa, Stephen Kirchgraber,
Louis Otey, Bobby Brinkley, Lory Zegralski.
Coro e Orchestra Sinfonica della Virginia,
dir. Walter Attanasi.
Premiere Opera 826.2 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale; U.S.A.) (2 dischi).
Lyric Distribution NO 826 (compact; registrazione mono; ricostruzione tecnica digitale) (150’35”;
2 dischi).
Siamo dunque a 135 edizioni in dischi di
Aida di Giuseppe Verdi. Non è il caso (né al
momento sarei in grado di farlo) di stabilire
graduatorie del tipo: è la prima opera in assoluto per numero di registrazioni. Probabilmente non lo è: anche lo fosse, le dimensioni del
repertorio registrato e pubblicato di Aida (come di altre opere ad altissimo tasso di gradimento, ad esempio La traviata dello stesso
Verdi o Tosca di Puccini) sono tali da richiedere una riflessione di carattere più generale.
C’è anzitutto da constatare l’enorme espansione delle registrazioni cosiddette “private”. Le
riprese dal vivo di spettacoli teatrali e di trasmissioni radiofoniche hanno ormai pieno diritto di cittadinanza anche nei cataloghi delle
maggiori case produttrici (dopo un periodo di
incomprensibile disdegno e di inane avversione, che è probabilmente da considerare una
delle concause, anche se non la causa principale, della crisi che le ha pesantemente investite
nel volgere degli anni dal XX al XXI secolo).
Ma da ciò non sono derivati né una diminuzione numerica dei “piccoli” produttori né una riduzione delle attività di ricerca e di acquisizione di “matrici” le più disparate, che hanno
esteso a dismisura i confini delle discografie.
Dietro di ciò sta un gigantesco patrimonio di
“nastri”, che non è possibile quantificare neanche con approssimazione. Può dirsi con tranquillità che i “giacimenti” di matrici raccolte
dal vivo di rappresentazioni ed esecuzioni
“pubbliche” (in presenza o no di spettatori)
ammontano a diverse volte il pur cospicuo
quantitativo reso disponibile attraverso lo
stampaggio in dischi a lettura ottica a mezzo
raggio laser (in breve, in compact discs): due,
tre, quattro, cinque volte, forse ancora di più,
se li consideriamo a livello planetario, al di là
dell’immaginabile. Le possibilità di informazione offerte dalla rete informatica hanno ulteriormente facilitato l’accesso e la diffusione di
tutti i tipi di produzione in compact discs, quali che ne fossero le fonti. Ed escludo volutamente qualsiasi possibilità di ascolto diretto
sulla rete informatica, date la pessima qualità e
la labilità che lo contraddistinguono. La “nic-
45
chia” numerosissima e attivissima degli “amatori” dell’opera lirica (che hanno dimostrato di
saper bravamente resistere a tutte le insidie
della “globalizzazione” omologante) ha affermato con chiarezza che lo scopo delle riproduzione sonora resta la “produzione” di un oggetto che resti a disposizione dell’ascoltatore
che lo ha acquisito, sia esso disco o nastro o
qualunque altro tipo di supporto. La fruizione
puramente uditiva che l’invenzione della riproduzione sonora (acustica, elettrica, digitale) ha
praticamente “creato” ha dimostrato di essere
una innovazione veramente di “lunga durata”.
E non solo nella fruizione ma addirittura nella
stessa percezione del suono. Ma questo discorso ci porterebbe troppo lontano dal nostro
compito di discografi (o, dovremmo dire, “discologi”, come vorrebbe – giustamente – l’amico Martin Elste, mutuando il termine, per
somiglianza, da quello di “musicologi”). È
però da dare per certo che a fondamento di una
discografia va messo di più di una semplice
catalogazione archivistica (che è pure una premessa necessaria e ineliminabile) o di una approfondita esegesi critica delle interpretazioni
documentate dalle riproduzioni sonore (che è
una utile e affascinante conseguenza finale
verso il traguardo di quella storia della fortuna
di un autore che la registrazione ha reso possibile sulla base di dati di fatto concreti anche
per le opere musicali). Il problema più grave
delle discografie è quello della qualità delle riproduzioni rese disponibili in dischi: e in verità si trovano sul mercato produzioni che non
hanno il livello minimo di qualità tecnica ammissibile. E sono problemi che nascono o da
un uso di apparecchiature e di materiali di
scarso rendimento e di deficiente durata o dalla cattiva conservazione delle matrici (che è il
danno maggiore perché non riparabile).
Forse è un discorso un po’ lungo per dire
che 135 edizioni in dischi di Aida non debbono
essere ragione di meraviglia, ma non v’era migliore occasione per farlo che la discografia
appunto di un’opera come Aida di Giuseppe
Verdi, che ancora chiama spettatori si può dire
in tutto il pianeta, anche in nazioni che non
traggono la loro essenza dalla cultura europea.
Non solo per Aida 135 edizioni non sono ragione di meraviglia, ma non lo è neanche il
fatto che siamo consapevoli che, mentre scriviamo, questo numero 135 è certamente in corso di essere superato. Ma se la discografia è
per sua natura un “work in progress” perenne,
è anche vero che ogni tanto bisogna fermarsi e
porre un limite che escluda il futuro, anche
quello che intanto è divenuto presente, e questo limite arbitrario è per noi, in questo caso, il
31 dicembre 2003.
Perché una particolarità Aida ha (e non la
condivide né con La traviata né con Tosca),
quella di aver cominciato la sua storia discografica addirittura nel 1906, l’anno che segna
la venuta al mondo dell’opera di teatro “completa” in dischi (e le opere che condividono
con essa questa “anzianità” non sono tra quelle
che possono vantarsi di aver superato il fatidico centinaio di edizioni). Siamo quasi al centenario 1906-2006. Anche a restare a quella che
per ora è l’ultima registrazione pubblicata di
Aida, che è del 2002, sono pur sempre 97 anni.
97 anni, una posizione di indubbia “avanguardia” nel campo del disco, una posizione che ha
consentito al “best-seller” verdiano di passare
attraverso tutte le tecniche di riproduzione del
suono: incisione acustica (4 edizioni, 19061919), incisione elettrica (13 edizioni, 19281948), registrazione monofonica (92 edizioni,
a partire dal 1949), registrazione stereofonica
(16 edizioni, 1958-2001), registrazione digitale
(10 edizioni, a partire dal 1981). Di queste 135
edizioni in dischi, 121 sono state pubblicate in
dischi compact (12 derivano da incisioni elettriche, 86 da registrazioni monofoniche, 13 da
registrazioni stereofoniche e 10 sono le registrazioni digitali originali). Di queste 121 edizioni di Aida disponibili in dischi compact, 80
sono state pubblicate per la prima volta sul
supporto di “ultima generazione”, quale che
fosse l’origine della relativa matrice.
135 edizioni in dischi in 97 anni significano più di una edizione fonografica di Aida all’anno, quasi una e mezzo l’anno (in effetti,
1,39, pari a 4 edizioni ogni 3 anni). Ovviamente queste 135 edizioni non si distribuiscono nei
97 anni in modo omogeneo. I primi 14 anni,
1906-1919, gli anni delle incisioni acustiche,
annoverano solo 4 edizioni, più o meno complete (ma, per quegli anni, è già una sorta di
primato). Una pausa di 8 anni (1920-1927) divide questo primo periodo dal secondo, di 19
anni (1928-1946), il periodo delle incisioni
elettriche, 12 (una, quella londinese del 1939,
è, in effetti, il risultato di un procedimento di
incisione su pellicola cinematografica di ottima qualità, ma non più sperimentato): compaiono in questo secondo periodo i primi casi
in cui vengono registrate più di una edizione di
Aida l’anno (e sono il 1928, il 1937 e il 1946)
46
e le prime riprese dal vivo di spettacoli teatrali
(1937, 1940, 1941, 1943 e 1946, dal “Metropolitan” di New York, 1937, dalla “Deutsche
Staats Oper” di Berlino, 1939, dal “Covent
Garden” di Londra) e di esecuzioni radiofoniche (1938, da Stoccarda, e 1942, da Berlino).
Dopo una pausa di un solo anno, il 1947, nei
30 anni che vanno dal 1948 al 1977, non ne
passa uno che non veda almeno la registrazione di una edizione in dischi di Aida (e sono
ben 79 in tutto). I 30 anni 1948-1977 possono
essere utilmente divisi in tre periodi di durata
omologa: i 9 anni che vanno dal 1948 al 1956,
con 29 edizioni (all’interno dei quali si annoverano i picchi assoluti di 6 edizioni negli anni
1951 e 1953 – una edizione ogni due mesi! –
nonché le 5 edizioni del 1955 e le 3 edizioni
del 1950, del 1952 e del 1956); i 10 anni che
vanno dal 1957 al 1966, con 24 edizioni (5 nel
1966, 4 nel 1961, 2 in ciascuno degli anni
1957, 1958, 1960, 1962, 1963, 1964 e 1965);
infine gli 11 anni che vanno dal 1967 al 1977,
con 26 edizioni (4 nel 1976, 3 negli anni 1968,
1970, 1973 e 1974, 2 negli anni 1967, 1971,
1972 e 1977). Si può notare che i 9 anni 19481956 sono quelli nei quali la frequenza media
annua delle registrazioni di Aida presenta la
massima intensità (più di 3 registrazioni l’anno, per l’esattezza 3,22); negli anni 1957-1966
e 1967-1977 la frequenza annua scende al di
sotto di 3 (per l’esattezza 2,40 e 2,36, praticamente equivalenti). A questi 78 anni eccezionali segue un solo anno di pausa, il 1978, poi
si incontra un periodo di 10 anni, 1979-1988,
con 17 edizioni (con punte di 3 l’anno nel
1979 e nel 1981 e di 2 l’anno nel 1980, 1982,
1987). La frequenza media annua è ormai discesa al di sotto di 2, e di ciò viene conferma,
nell’ultimo periodo, 1990-2002, 13 anni con
23 edizioni (punte di 6 nel 2001 – si fa sentire
l’influenza del centenario della morte di Verdi
–, di 3 nel 1994, di 2 nel 1995, 1997, 1998,
1999 e 2000; per contro vuoti di nessuna edizione nel 1993 e nel 1996). Ma anche in questi
anni di magra, Aida può rivendicare un altro
primato, il suo indice di frequenza media per
anno non scende al di sotto di 1 (ed è persino
lievemente risalito di fronte all’1,70 del precedente decennio 1979-1988, per l’esattezza ad
1,77). Longevità, resistenza, robustezza: così
potremmo definire le caratteristiche della discografia di Aida.
Le sedi delle 135 edizioni in dischi di Aida
si dividono tra 20 Stati, non solo europei: 40
sono in Italia (13 a Milano, 9 a Roma, 6 a Verona, 3 a Napoli, 2 a Venezia, una ciascuna a
Firenze, Torino, Trieste, Faenza, Parma, Palermo e Busseto); 33 negli Stati Uniti d’America
(26 a New York, 2 a San Francisco, 1 ciascuna
a Cleveland, Fort Worth, Orlando, Boston e
Portsmouth); 11 in Austria (10 a Vienna, una a
Salisburgo); 10 in Gran Bretagna (Londra); 10
anche in Germania (4 a Monaco di Baviera, 3 a
Berlino, una ciascuna a Stoccarda, Amburgo e
Francoforte); 5 in Francia (2 a Parigi, 2 a Orange, una a Miramas); 5 in Spagna (3 a Barcellona, una a Madrid, una a Bilbao); 4 in Messico
(Città del Messico); 3 in Australia (Sydney); 2
in Russia (una a Mosca, una a San Pietroburgo); 2 in Irlanda (Dublino); 2 in Olanda (una ad
Amsterdam, una a Rotterdam); una ciascuna in
Ungheria (Budapest), Giappone (Tokyo), Canada (Montréal), Norvegia (Oslo), Svezia
(Stoccolma), Argentina (Buenos Aires), Bulgaria (Sofia) e nel Principato di Monaco (Monte
Carlo).
Tra le 135 edizioni in dischi di Aida non
prevalgono le registrazioni in studio (cioè predisposte appositamente per la pubblicazione su
supporti sonori), che pur sono numerose: 32;
102 sono le registrazioni riprese dal vivo (89
di rappresentazioni teatrali, 11 di trasmissioni
radiofoniche, 2 di esecuzioni concertistiche);
mi rimane al momento ignota la fonte che è all’origine dell’edizione di Montréal del 1962.
Nelle 89 edizioni in dischi derivate da
rappresentazioni teatrali spiccano le 23 del
“Metropolitan Opera” di New York (una per
ciascuno degli anni 1937, 1940, 1941, 1943,
1946, 1950, 1952, 1953, 1954, 1955, 1962,
1963, 1965, 1967, 1970, 1971, 1994, addirittura due per gli anni 1957, 1966 e 1976). È un
predominio che il teatro della metropoli statunitense merita pienamente per la preveggenza
con cui ha costruito gli “Archives of Metropolitan Opera Broadcasts”, che conservano le registrazioni audio e video di tutte le rappresentazioni del “Metropolitan” trasmesse, in diretta
e in differita, via radio e via televisione, fin dagli acetati dei lontani anni Trenta. Sono archivi
di cui il “Metropolitan” è giustamente orgoglioso e geloso. È un esempio che si sarebbe
voluto seguito largamente dagli altri maggiori
(e minori) teatri del mondo, a costituire come
patrimonio pubblico (e quindi istituzionalmente organizzato) quella memoria dell’opera lirica e dell’interpretazione teatrale che invece è
stata nella maggior parte dei casi lasciata a
un’iniziativa privata per lo più individuale, e
come tale disorganica e casuale (e pur tuttavia
estremamente meritoria, visto l’alto numero di
pietre miliari di quella memoria che ha salvato
dall’oblio dell’abbandono e della distruzione).
Meritato predominio, che spiega anche il rilievo che nelle discografie delle opere più popolari hanno gli artisti che hanno avuto l’opportunità di prodursi sulle scene del teatro di New
York, rilievo che è un poco (e forse anche più
che un poco) sproporzionato rispetto a quello
complessivamente rivestito dalle compagnie
del “Metropolitan” rispetto all’intero mondo
del teatro lirico. Ma di ciò non può certo darsi
colpa a chi ha saputo essere preveggente. Se
penso ai misfatti compiuti per omissioni da di-
47
rigenti di teatri, di stazioni radio e di case fonografiche, vengono i brividi e anche qualcosa
di più, una furia “lucida” per l’infinità di occasioni stupidamente perdute. Dietro il “Metropolitan”, a notevole distanza, vengono, con 6
riprese dal vivo di proprie rappresentazioni
ciascuno, il “Covent Garden” di Londra (1939,
1953, 1968, 1973, 1977, 1994), l’Opera di Stato di Vienna (1955, 1963, 1973, 1995, 1997,
2001) e l’Arena di Verona (1961, 1966, 1986,
1992, 1999, 2000). Con 4 registrazioni dal vivo sono presenti il “Palacio de Bellas Artes” di
Città del Messico (1950, 1951, 1958, 1962) e
il Teatro “alla Scala” di Milano (1956, 1960,
1972, 1976). Ciascuno tre riprese dal vivo delle proprie rappresentazioni annoverano il “San
Carlo” di Napoli (1953, 1955, 1969), il “National Theater” di Monaco di Baviera (1972,
1979, 1981), il “Gran Teatre del Liceu” di Barcellona (1974, 1983, 2001), l’Opera di Sydney
(1975, 1984, 1995). Due ne annoverano la
“Deutsche Staats Oper” di Berlino (1937 e
1982), l’Opera di San Francisco (1960 e 1981)
e il “Théâtre Antique” delle “Chorégies “ di
Orange (1976 e 2001). Ben 22 sono infine gli
spazi teatrali dai quali almeno una rappresentazione è stata riprodotta dal vivo in disco: Cleveland (1964), Oslo (“Den Norske Opera”,
1964), Stoccolma (“Kungliga Teatern”, 1966),
Fort Worth (1967), Buenos Aires (“Colón”,
1968), Venezia (Gran Teatro della “Fenice”,
1970), Orlando (Opera, 1974), Madrid (“Zarzuela”, 1977), Londra (“English National Opera”, 1979), Boston (1980), Salisburgo (“Grosses Festspielhaus”, 1980), Bilbao (“Coliseo
Albia”, 1982), Roma (“Eliseo”?, 1987), Monte
Carlo (“Opéra, 1987), Parma (“Regio”, 1988),
Miramas (“Théâtre de la Colonne”, 1991),
Amsterdam (1997), Palermo (“Massimo”,
1998), San Pietroburgo (“Marijnskij”, 1999),
Dublino (“Gaiety”, 2000), Busseto (“Verdi”,
2001), Portsmouth (“Virginia Opera”, 2002).
Le 11 riprese dal vivo di trasmissioni radiofoniche provengono: 5 dalla Germania
(Stoccarda 1938, Berlino 1942, Amburgo
1951, Francoforte 1952, Monaco 1953), 2 dall’Italia (Roma 1951, Torino 1956), una ciascuna da Francia (Parigi 1948), Stati Uniti (New
York 1949), Ungheria (Budapest 1953) e
Giappone (Tokyo 1961). Le 2 riprese dal vivo
da esecuzioni in forma di concerto di Aida provengono da Vienna (“Musikverein”, 1951) e
da Parigi (“Salle Pleyel”, 1973).
Delle 32 registrazioni in studio (a volte
realizzate in teatri utilizzati come veri e propri
studi di registrazione) la maggior parte sono
state effettuate in Italia, ben 20, distribuite tra
Milano, 9 (1906-1907, 1909-1910, 1912, 1919,
1928 due, 1955, 1981, 1985-1986), Roma, 7
(1946, 1950, 1952, 1955, 1958, 1961, 1966),
Firenze (1951), Venezia (1953), Trieste (1965)
e Faenza (1968) una ciascuna. 3 vengono dal-
l’Austria (Vienna 1959, 1979, 2001), 3 dalla
Gran Bretagna (Londra 1970, 1974, 2001), 2
dagli Stati Uniti (New York 1956 e 1990), una
ciascuna dalla Russia (Mosca 1951), dalla Bulgaria (Sofia 1970-1971), dall’Irlanda (Dublino
1994) e dall’Olanda (Rotterdam 1998).
20 direttori d’orchestra hanno lasciato
memoria delle loro interpretazioni di Aida in
disco: sempre grazie alla preveggenza dei responsabili del “Metropolitan”, ben 9 volte il
triestino Fausto Cleva, tutte alla testa dei complessi del teatro di New York (8 volte dal vivo:
8 marzo 1952, 24 gennaio 1953, 20 settembre
1954, 31 dicembre 1955, 23 febbraio e 30 novembre 1957, 28 novembre 1970, 31 maggio
1971; una volta in studio, nel 1956); 4 volte
Herbert Von Karajan (Vienna, 3 febbraio
1951, e Salisburgo, 30 luglio 1980, dal vivo;
nel settembre 1959 e nel maggio 1979, in studio a Vienna); 4 volte anche Riccardo Muti
(Vienna, 4 febbraio 1973, Londra, 30 giugno
1977, e Monaco di Baviera, 22 marzo 1979,
dal vivo; Londra, luglio 1974, in studio). Ben
8 sono i direttori che hanno lasciato 3 volte testimonianza in disco delle loro interpretazioni
di Aida: Carlo Sabajno (1909-1910, 1919 e
agosto 1928, Milano, studio); Ettore Panizza
(6 febbraio 1937, 19 gennaio 1940, 22 marzo
1941, New York, “Metropolitan”, dal vivo);
Tullio Serafin (luglio 1946, Roma. Opera, e
agosto 1955, Milano, “Scala”, in studio; 7
marzo 1953, Napoli, “San Carlo”, dal vivo);
Zubin Mehta (12 e 13 febbraio 1966, New
York, “Metropolitan”, dal vivo; giugno-agosto
1966, Roma, Opera, in studio); Franco Capuana (1953, Venezia, “Fenice”, in studio; 16 ottobre 1961, Tokyo, “Bunka Kaikan”, e luglioagosto 1966, Verona, “Arena, dal vivo); Thomas Schippers (25 febbraio 1967, New York,
“Metropolitan”, 28 gennaio e 1 febbraio 1976,
Milano, “Scala”, e 27 luglio 1976, Orange,
“Antique”, dal vivo); Claudio Abbado (10
aprile 1972, Milano, “Scala”, e 4 settembre
1972, Monaco di Baviera, con i complessi della “Scala” in visita al “National Theater”, dal
vivo; nel gennaio e nel giugno 1981, a Milano,
in studio); Daniel Oren (31 luglio 1986, 25
giugno 1999 e 26 agosto 2000, Verona, “Arena”, dal vivo). 9 sono i direttori di cui esistono
due testimonianze in disco della lettura di Aida: Vittorio Gui (radio Roma, 12 giugno 1951;
Napoli, “San Carlo”, 24 novembre 1955, dal
vivo); Francesco Molinari Pradelli (San Francisco, Opera, 30 settembre 1960, e Verona,
“Arena”, 1 agosto 1961, dal vivo); György
Solti (Roma, Opera, giugno-luglio 1961, in
studio; New York, “Metropolitan”, 7 dicembre
1963, dal vivo); Ino Savini (Stoccolma, Teatro
reale, 7 maggio 1966, dal vivo; Faenza, Teatro
Masini, 1968, in studio); Fernando Previtali
(18 maggio 1969, Napoli, “San Carlo”, e 8
48
marzo 1970, Venezia, “Fenice”, dal vivo); Nino Sanzogno (Milano, “Scala”, 14 aprile 1960,
e Parigi, 5 aprile 1973, in concerto, dal vivo);
James Levine (New York, “Metropolitan”, 6
marzo 1976, dal vivo, e “Manhattan Center”,
maggio 1990, in studio); Nello Santi (29 maggio 1981, Monaco di Baviera, “National Theater”, e 18 agosto 1992, Verona, “Arena”, dal
vivo); Edward Downes (Londra, “Covent Garden”, 27 gennaio 1968 e 16 giugno 1994, dal
vivo). Tra i 73 maestri che hanno diretto in disco una sola volta Aida sono bacchette illustri
(e altre forse meno illustri, ma che meritano
comunque di essere ricordate): Victor De Sabata (Berlino, “Deutsche Oper”, 22 giugno
1937, dal vivo); Joseph Keilberth (radio Stoccarda, 24 aprile 1938); Thomas Beecham
(Londra, “Covent Garden”, 24 maggio 1939,
dal vivo); Arturo Toscanini (New York, radio
NBC, 26 marzo e 2 aprile 1949); Emil Cooper
(New York, “Metropolitan”, 11 marzo 1950,
dal vivo); Hans Schmidt-Isserstedt (radio Amburgo, maggio 1951); Aleksandr Melik-Paπaev
(Mosca, “Bol’πoj”, forse in studio); John Barbirolli (Londra, “Covent Garden”, 10 giugno
1953, dal vivo); Clemens Krauss (radio Monaco di Baviera, settembre 1953); Rafael Kubelík (Vienna, “Staatsoper”, 10 maggio 1955,
dal vivo); Jonel Perlea (Roma, Opera, luglio
1955, in studio); Lovro Mata≈i£ (Vienna,
“Staatsoper”, 3 giugno 1963, dal vivo); William Steinberg (New York, “Metropolitan”, 20
marzo 1965, dal vivo); Bruno Bartoletti (Buenos Aires, “Colón”, 16 giugno 1968, dal vivo);
Erich Leinsdorf (Londra, luglio 1970, in studio; Charles Mackerras (Londra, “Covent Garden”, 12 aprile 1973, dal vivo); Lorin Maazel
(Milano, dicembre 1985-gennaio 1986, in studio); John Fiore (New York, Metropolitan, 5
febbraio 1994, dal vivo); Valerij Gergiev (San
Pietroburgo, “Marijnskij”, giugno 1999, dal vivo); Fabio Luisi (Vienna, “Staatsoper”, 28
gennaio 2001, dal vivo); Nikolaus Harnoncourt (Vienna, gennaio-aprile 2001, in studio).
Per tre edizioni fonografiche di Aida non mi è
stato possibile indicare il nome di un direttore:
per quelle del 1906-1907 e del 1912, incise a
Milano dalla “Zonophone” e dalla “Columbia”, questi nomi non sono mai stati resi noti;
per l’edizione del 1962 attribuita come sede a
Montréal, in Canada, non mi è riuscito di colmare la lacuna sorprendentemente presente in
proposito nella comunicazione diramata dal
produttore dei due dischi CD.
I problemi quantitativi posti per il direttore dall’esistenza di 135 edizioni in disco si
moltiplicano quando si passa ad affrontare le
rose dei cantanti impiegati. Anche perché non
esiste un personaggio per il quale si sia imposto un interprete privilegiato con tale prepotenza da assorbire un numero veramente significativo di edizioni di Aida (almeno significativo
rispetto al numero 135). Tranne in un caso,
quello del personaggio di Radamès: ma anche
in questo caso perché si raggiunga un dato
quantitativamente significativo, alle 14 interpretazioni di Plácido Domingo bisogna aggiungere le 10 di Carlo Bergonzi (ed anche così non si attinge neanche il 20% di 135!). Le
14 registrazioni in cui compare il Radamès di
Plácido Domingo si distribuiscono su un arco
temporale di 24 anni (dal 1967 di Fort Worth,
al 1990 dell’edizione in studio della “Sony”), a
testimonianza della longevità vocale del tenore
madrileno (tappe intermedie Londra 1970 e
1974, Milano 1981, in studio; Milano e Monaco 1972, Vienna 1973, Barcellona 1974, New
York 1976, Madrid e Londra 1977, Monaco
1979, Monte Carlo 1987, dal vivo). Tra il 1957
e il 1976 del “Metropolitan” di New York, in
20 anni, si collocano i 10 Radamès di Carlo
Bergonzi, il tenore parmense altrettanto noto
per la longevità vocale: tappe intermedie Vienna (1959, in studio), Verona (“Arena”, 1961 e
1966, dal vivo), ancora il “Metropolitan” di
New York (1963 e 1967, dal vivo), il “Colón”
di Buenos Aires (1968) dal vivo, il “Covent
Garden” di Londra (1973, dal vivo), e la “Scala” di Milano (1976, sempre dal vivo). 7 volte
ha cantato Radamès in disco Franco Corelli:
Napoli “San Carlo” 1955, New York “Metropolitan” 1962, 1966 e 1971, Cleveland 1964
(in tournée con il “Metropolitan”), dal vivo, alla radio di Torino (1956) e in studio all’Opera
di Roma (1966), su uno spazio temporale di 12
anni. 5 volte hanno cantato in disco Radamès
Kurt Baum, Mario Del Monaco, Richard
Tucker e Jon Vickers, ma le durate delle loro
presenze nella discografia di Aida differiscono,
e non poco: solo 8 anni il tenore renano (1950
Città del Messico, 1953 Londra, 1954, 1955 e
1957 New York, tutte dal vivo); 11 anni il tenore fiorentino (1951 Città del Messico, 1952
e 1953 New York, 1961 Tokyo, dal vivo; 1952
Roma, in studio); ben 22 anni Tucker (1949,
New York, radio NBC; 1955, Milano, in studio; 1965, 1966 e 1970, New York, dal vivo);
9 anni il tenore canadese (Roma, Opera, 1961,
in studio; San Francisco, Opera, 1960, Montréal 1962, Città del Messico 1962, Londra
1968, dal vivo). 6 sono i tenori con 3 presenze
in disco nel personaggio di Radamès: Giovanni Martinelli (New York, “Metropolitan”,
1937, 1941 e 1943, dal vivo); Beniamino Gigli
(Berlino, 1937, e Londra, 1939, dal vivo; Roma, Opera, 1946, in studio); Helge Rosvaenge
(radio Stoccarda, 1938, radio Berlino, 1942, e
radio Amburgo, 1951); Luciano Pavarotti (San
Francisco, Opera, 1981, e Berlino, “Deutsche
Oper”, 1982, dal vivo; Milano, 1985-1986, in
studio); Kristján Jóhannsson (Verona, “Arena”, 1992, e Vienna, “Staatsoper”, 1997, dal
vivo; Dublino, 1994, in studio); Vladimir Galuzin (San Pietroburgo, “Marijnskij”, 1999,
49
Verona, “Arena”, 2000, e Orange, “Antique”,
2001, dal vivo). Dieci i tenori con 2 presenze
in Radamès in disco: Egidio Cuneo (Milano,
1909-1910 e 1912, in studio); Gino Sarri (Roma, Opera, 1950, e Firenze, 1951, in studio);
Aldo Bertocci (Roma, Opera, 1958, e Trieste,
Teatro “Verdi”, 1965, in studio); Kolbjörn
Höiseth (Oslo, Norske Opera, 1964, e Stoccolma, Teatro reale, 1966, dal vivo); Flaviano
Labò (Città del Messico, 1958, e Venezia, “Fenice”, 1970, dal vivo); José Carreras (Vienna,
1979, in studio, e 1980, Salisburgo, dal vivo);
Franco Bonisolli (Bilbao, “Coliseo Albia”,
1982, e Verona, “Arena”, 1986, dal vivo); Nicola Martinucci (Monaco di Baviera, “National Theater”, 1981, e Parma “Regio”, 1988,
dal vivo); José Cura (Palermo, “Massimo”,
1998, e Verona, “Arena”, 1999, dal vivo);
Dennis O’Neill (Londra, “Covent Garden”,
1994, dal vivo; Londra, 2001, in studio). 46
sono i tenori che risultano Radamès una sola
volta nella discografia di Aida; tra questi meritano di esser ricordati: Aureliano Pertile
(1928), Set Svanholm (1946), Ramón Vinay
(1950), Georgij Nelepp (1951), Max Lorenz
(1952), Gino Penno (1953), József Simándy
(1953), Jussi Björling (1955), Giuseppe Di
Stefano (1956), James McCracken (1980), Michael Sylvester (1994), Sergej Larin (2001),
Vincenzo La Scola (2001). Ai 69 tenori fin qui
considerati vanno aggiunti quattro “raddoppi”
presenti nelle edizioni ad incisione acustica del
1909-1910 e del 1912 (cantanti che interpretano alcune facciate di disco in sostituzione del
cantante “principale”, che nel caso è Egidio
Cunego). Sono così 73 in totale i tenori che
hanno lasciato traccia del loro Radamès nelle
135 edizioni in disco di Aida.
La diffusione dell’impersonificazione di
un personaggio in un sempre maggior numero
di artisti nel passare dall’una all’altra edizione
si intensifica negli altri personaggi di Aida. I
più vicini a Radamès nel senso della concentrazione sono Amneris, Ramfis e Aida. I più lontani Amonasro e il Re. 22 mezzosoprani si
spartiscono 84 delle 135 presenze di Amneris
in disco. Il maggior numero di ripetizioni è appannaggio di Fiorenza Cossotto (Verona, “Arena”, 1961, 1966, 1986, Venezia, “Fenice”,
1970, Milano, “Scala”, 1972, Monaco di Baviera, “National Theater”, 1972, in tournée con
la “Scala”, Londra, “Covent Garden”, 1977,
Bilbao, “Coliseo Albia”, 1982, dal vivo; Parigi,
1973, in concerto; Londra, 1974, in studio, per
un totale di 10, in uno spazio temporale di 22
anni). 8 volte compare quale Amneris Giulietta
Simionato (Città del Messico, 1950, Londra,
“Covent Garden”, 1953, Milano, “Scala”, 1956
e 1960, Vienna, “Staatsoper”, 1963, dal vivo;
radio Roma, 1951; radio Tokyo, 1961; Vienna,
1959, in studio, per un arco temporale di 14 anni). 7 sono le volte di Grace Bumbry (Roma,
Opera, 1966, e Londra, 1970, in studio; New
York, “Metropolitan”, 1967 e 1971, Napoli,
“San Carlo”, 1969, Milano, “Scala”, 1976 e
Orange, “Antique”, 1976, dal vivo; gli anni sono 11). 5 le volte di Ebe Stignani e di Dolora
Zajick. L’italiana compare nei 17 anni che vanno dal 1937 al 1953 (Berlino, “Deutsche
Oper”, 1937, London, “Covent Garden”, 1939
e Napoli, “San Carlo”, 1953, dal vivo; 1946,
Roma, Opera, e 1952, Roma, Santa Cecilia, in
studio). La statunitense nei 12 anni che vanno
dal 1990 al 2001 (New York, “Manhattan Center”, 1990, in studio; Verona, “Arena”, 1992,
New York, “Metropolitan”, 1994, Barcelona,
“Liceu”, e Orange, “Antique”, 2001, dal vivo).
6 mezzosoprani hanno testimoniato per 4 volte
Amneris in disco: Bruna Castagna (1937, 1940,
1941 e 1943, New York, “Metropolitan”, in 7
anni, dal vivo); Fedora Barbieri (New York,
“Metropolitan”, 1954, e Napoli, “San Carlo,
1955, dal vivo; Roma, Opera, e Milano, Scala,
1955, in studio; in soli 2 anni); Nell Rankin
(Vienna, 1951, in concerto; New York, “Metropolitan”, 1952, Città del Messico, 1958, e
Fort Worth, 1967; su un arco temporale di 17
anni); Blanche Thebom (New York, “Metropolitan”, 1946, 1953, 1955 e 1957, dal vivo; periodo, 12 anni); Irene Dalis (New York, “Metropolitan”, 1957, 1962 e 1966, San Francisco,
Opera, 1960, dal vivo; 10 anni); Elena Obrazcova (New York, “Metropolitan”, 1976, Barcelona, “Liceu”, 1983, Parma; “Regio”, 1988, dal
vivo; Milano, 1981, in studio; 13 anni). 3 i
mezzosoprani che sono stati Amneris per 3 volte: Rita Gorr (Roma, Opera, 1961, in studio;
New York, “Metropolitan”, 1963, e Cleveland,
in tournée con il “Metropolitan”, 1964, dal vivo; 4 anni); Elizabeth Connell (Sydney, Opera,
1975, Londra, “English National Opera”, 1979,
e Boston, 1980, dal vivo; 6 anni); Stefania
Toczyska (San Francisco, Opera, 1981, Berlino, Deutsche Oper, 1982, dal vivo; Rotterdam,
Opera in Ahoy, 1998, in studio; 18 anni). 8 i
mezzosoprani Amneris per due volte: Margarethe Klose (radio Berlino, 1942, e radio Francoforte, 1952; 11 anni); Oralia Dominguez
(Città del Messico, 1951, dal vivo; Venezia,
“Fenice”, in studio, 1953; 3 anni); Elena Cernei
(New York, “Metropolitan”, 1965 e 1966, dal
vivo; 2 anni); Mignon Dunn (Londra, “Covent
Garden”, 1973, e Monte Carlo, Opéra, 1987,
dal vivo; 15 anni); Luciana D’Intino (Londra,
“Covent Garden”, 1994, e Vienna, “Staatsoper”, 1995, dal vivo; 2 anni); RuΩa Baldani
(Salisburgo, 1980, e Amsterdam, 1997, dal vivo; 18 anni); Barbara Dever (Dublino, 1994, in
studio; Palermo, “Massimo”, 1998, dal vivo; 5
anni); Waltraude Meier (Vienna, “Staatsoper”,
1997 e 2001, dal vivo; 5 anni). 51 sono i mezzosoprani che risultano Amneris una sola volta
nella discografia di Aida; tra queste meritano di
essere ricordate: Fanny Anitúa (1912), Irene
50
Minghini Cattaneo (1928), Margaret Harshaw
(1950), Elisabeth Höngen (1951), Vera Davydova (1951), Jean Madeira (1955), Ira Malaniuk (1958), Christa Ludwig (1970), Aleksandrina Mil≈eva (1970-1971), Viorica Cortez
(1973), Marilyn Horne (1976), Brigitte Fassbänder (1979), Agnes Baltsa (1979), Gena Dimitrova (1985-1986), Larisa Djadkova (1999),
Ol’ga Borodina (2001). Ai 73 mezzosoprani
sin qui considerati vanno aggiunti i cinque
“raddoppi” presenti nelle edizioni ad incisione
acustica del 1909-1910 e del 1912. Sono così
78 in totale i mezzosoprani che hanno lasciato
traccia della loro Amneris nelle 135 edizioni in
disco di Aida.
24 bassi si spartiscono 76 delle 135 presenze di Ramfis in disco. Ancora una volta
grazie alla preveggenza degli “Archives of
Metropolitan Opera Broadcasts” il maggior
numero di presenze individuali nel personaggio di Ramfis appartiene al basso italo-americano Giorgio Tozzi (New York, “Metropolitan”, 1955, 1956, 1957 febbraio, 1957 novembre, 1962, e 1965, San Francisco, Opera, 1960,
dal vivo; Roma, Opera, 1961, in studio; 8 presenze, distribuite su un arco di 11 anni). Tre
bassi annoverano 6 presenze in Ramfis: lo statunitense Jerome Hines (New York, “Metropolitan”, 1950, 1952, 1953, 1954, 1966, 1967,
tutte e sei dal vivo; 18 anni); il bulgaro Nikolaj
Gjaurov (Milano, “Scala”, 1960 e 1972, Verona, “Arena”, 1961, Monaco di Baviera, “National Theater”, in tournée con la “Scala”,
1972, dal vivo; 13 anni); il friulano Bonaldo
Giaiotti (Roma, Opera, 1966, in studio; Verona, “Arena”, 1966, Vienna, “Staatsoper”,
1973, New York, “Metropolitan”, 1976, dal vivo; 11 anni). 4 bassi hanno lasciato 4 volte in
disco la testimonianza della loro interpretazione del personaggio di Ramfis: Giulio Neri (radio Roma, 1951; Napoli, “San Carlo”, e Londra, “Covent Garden”, 1953, dal vivo; radio
Torino, 1956; 6 anni); Cesare Siepi (New
York, “Metropolitan”, 1963 e 1971, Cleveland, 1964, in tournèe con il “Metropolitan”,
Parma, “Regio”, 1988, dal vivo; 26 anni);
Nikola Gjuzelev (New York, “Metropolitan”,
1966, Napoli, “San Carlo”, 1969, e Verona,
“Arena”, 1992, dal vivo; Sofia, 1970-1971, in
studio; 27 anni); Ruggero Raimondi (Londra,
1970, e Vienna, 1979, in studio; Milano, “Scala”, 1976, e Salisburgo, 1980, dal vivo; 11 anni). Due i bassi con 3 presenze nel personaggio
di Ramfis, Tancredi Pasero (Milano, 1928, e
Roma, Opera, 1946, in studio; Berlino, “Deutsche Oper”, 1937, dal vivo; 19 anni) e Nicola
Moscona (New York, “Metropolitan”, 1940 e
1946, e Città del Messico, 1950, dal vivo; 11
anni). 14 i bassi che hanno lasciato 2 volte in
disco la loro interpretazione di Ramfis: Ezio
Pinza (New York, “Metropolitan”, 1937 e
1941, dal vivo), Norman Scott (New York, ra-
dio NBC, 1949; Venezia, “Fenice”, 1953, in
studio), Gottlob Frick (radio Monaco di Baviera, 1953, e Vienna, “Staatsoper”, 1955, dal vivo), Mario Petri (Vienna, 1951, in concerto, e
Napoli, “San Carlo”, 1955, dal vivo), Paolo
Washington (Tokio, radio NHK, 1961, e Città
del Messico, 1962, dal vivo), Ferruccio Furlanetto (Boston, 1980, e San Francisco, Opera,
1981, dal vivo), Ivo Vinco (Venezia, “Fenice”,
1970, Bilbao, Coliseo Albia, 1982, dal vivo),
Donald Shanks (Sydney, Opera, 1975 e 1984,
dal vivo), Paul Plishka (Londra, “Covent Garden”, 1977, e New York, “Metropolitan”,
1994, dal vivo), Robert Lloyd (Monaco di Baviera, “National Theater”, 1979, e Londra,
“Covent Garden”, 1994, dal vivo), Francesco
Ellero d’Artegna (Dublino, 1994, in studio, e
Vienna, “Staatsoper”, 1995, dal vivo), Andrea
Papi (Palermo, “Massimo”, 1998, e Verona,
“Arena”, 1999, dal vivo), Matti Salminen
(Berlino, “Deutsche Oper”, 1982, dal vivo, e
Vienna, 2001, in studio) e Danilo Rigosa (Roma, Teatro “Eliseo”?, 1987, e Barcellona, “Liceu”, 2001, dal vivo). 55 sono i bassi che risultano Ramfis una sola volta nella discografia di
Aida; tra questi meritano esser ricordati: Vincenzo Bettoni (1912), Ludwig Weber (1938),
Otto Von Rohr (1952), Boris Christoff (1955),
Norman Treigle (1958), Arnold Van Mill
(1959), Walter Kreppel (1963), Nicola Rossi
Lemeni (1968), James Morris (1976), Samuel
Ramey (1990), Kurt Rydl (1997). In quattro
edizioni non sono riuscito ad accertare il nome
dell’interprete di Ramfis: Firenze 1951, Montréal 1962, Monte Carlo 1987 (in questi due
casi per deficienza di informazioni) e Vienna
2001 (per duplicità di indicazione delle fonti).
Agli 83 bassi fin qui considerati va aggiunto
un “raddoppio” presente nella edizione ad incisione acustica del 1912. Ne deriva che sono in
tutto 84 i bassi che hanno lasciato traccia del
loro Ramfis nelle 135 edizioni in disco di Aida.
26 soprani si spartiscono 78 delle 135 presenze di Aida in disco. Emerge, con 9 registrazioni, Leontyne Price (Roma, Opera, 1961, e
Londra, 1970, in studio; Vienna, “Staatsoper”,
e New York, “Metropolitan”, 1963, dal vivo;
ancora “Metropolitan” 1966, 12 e 13 febbraio,
1967 e 1976, e San Francisco, Opera, 1981,
sempre dal vivo; l’arco temporale è 22 anni,
una durata degna di tutto rispetto per un soprano). Ancor più legata al “Metropolitan” di New
York è la croata Zinka Milanov, che annovera 6
presenze quale Aida in disco (1943, 1952,
1953, 1954, 1955, dal vivo del palcoscenico
new-yorkese; 1955, in studio, all’Opera di Roma; 13 anni). 5 volte è Aida in disco la svedese
Birgit Nilsson (Milano, “Scala”, 1960, Cleveland, 1964, in tournée con il “Metropolitan”,
1965, Stoccolma, Teatro reale, 1966, dal vivo;
Roma, Opera, 1966, in studio; 7 anni). 4 volte il
51
disco testimonia l’Aida di Maria Callas (Città
del Messico, 1950 e 1951, Londra, “Covent
Garden”, 1953, dal vivo; Milano, “Scala”,
1955, in studio; 6 anni), di Martina Arroyo
(Buenos Aires, “Colón”, 1968, New York,
“Metropolitan”, 1971, Milano, “Scala”, e Monaco di Baviera, “National Theater”, in tournèe
con la “Scala”, 1972, dal vivo; 5 anni) e di
Montserrat Caballé (Barcellona, “Liceu”, 1974,
Milano, “Scala”, 1976, e Londra, “Covent Garden”, 1977, dal vivo; Londra, 1974, in studio; 4
anni). 6 soprani hanno lasciato la loro interpretazione di Aida in disco 3 volte: Renata Tebaldi
(Roma, Santa Cecilia, 1952, e Vienna, 1959, in
studio; Napoli, “San Carlo”, 1953, dal vivo; 8
anni); Gabriella Tucci (Tokyo, radio NHK,
1961; New York, “Metropolitan”, 1962, e Venezia, “Fenice”, 1970, dal vivo; 10 anni); Stella
Roman (New York, “Metropolitan”, 1941 e
1946, dal vivo; Roma, Opera, 1950, in studio;
10 anni); Maria Curtis Verna (Venezia, “Fenice”, 1953, in studio; radio Torino, 1956; New
York, “Metropolitan”, 1957, dal vivo; 5 anni);
Antonietta Stella (Napoli, “San Carlo”, 1955,
Milano, “Scala”, 1956 e New York, “Metropolitan”, 1957, dal vivo; 3 anni); Maria Chiara
(Milano, 1985-86, in studio; Parma, “Regio”,
1988, e Verona, “Arena”, 1992, dal vivo; 8 anni). 15 sono i soprani la cui interpretazione di
Aida è testimoniata in disco 2 volte: Teresa
Chelotti (Milano, 1906-1907 e 1912, in studio),
Gina Cigna (New York, “Metropolitan”, e Berlino, “Deutsche Oper”, 1937, dal vivo), Maria
Caniglia (Londra, “Covent Garden”, 1939, dal
vivo; Roma, Opera, 1946, in studio), Leonie
Rysanek (Vienna, “Staatsoper”, 1955, e San
Francisco, Opera, 1960, dal vivo), Ingrid Bjoner (Oslo, Norske Opera, 1964, e Forth Worth,
1967, dal vivo), Virginia Zeani (Montréal,
1962, e Napoli, “San Carlo”, 1969, dal vivo),
Lucine Amara (New York, “Metropolitan”,
1956, in studio, e 1970, dal vivo), Gwyneth Jones (Londra, “Covent Garden”, 1968, e Vienna,
“Staatsoper”, 1973, dal vivo), Jessye Norman
(Parigi, 1973, in concerto, e Orlando, Opera,
1974, dal vivo), Gilda Cruz-Romo (Londra,
“Covent Garden”, 1973, e Orange, “Antique”,
1976, dal vivo), Mirella Freni (Vienna, 1979, in
studio, e Salisburgo, 1980, dal vivo), Gena Dimitrova (Monaco di Baviera, “National Theater” 1981, e Bilbao, “Coliseo Albia”, 1982, dal
vivo), Natal’ja Trojckaja (Barcellona, “Liceu”,
1983, e Verona, “Arena”, 1986, dal vivo) e Katia Ricciarelli (Milano, 1981, in studio, e Monte
Carlo, 1987, dal vivo). 57 sono i soprani che risultano presenti quali Aida una sola volta nella
discografia dell’opera; tra queste meritano di
esser ricordate: Celestina Boninsegna (19091910), Valentina Bartolomasi, (1919), Giannina
Arangi Lombardi (1928), Ljuba Welitsch
(1950), Dragica Martinis (1951), Anita Cerquetti (1958), Régine Crespin (1962), Leyl
Gencer (1966), Éva Marton (1977), Anna Tomova (1979), Shirley Verrett (1980), Júlia
Varády (1982), Aprile Millo (1990), Sharon
Sweet (1994), Cheryl Studer (1994), Alessandra Marc (1995), Deborah Voigt (1997), Sylvie
Valayre (1999), Marija Gulegina (2001), Cristina Gallardo-Domâs (2001). Agli 83 soprani fin
qui considerati vanno aggiunti ben 8 raddoppi
presenti nelle edizioni ad incisione acustica del
1906-1908, 1909-1910 e 1912. Ne deriva che il
numero totale di soprani che hanno lasciato testimonianza in disco del personaggio di Aida è
addirittura di 91 (il che, su un totale di 135 edizioni prese in considerazione, e proprio per il
personaggio eponimo dell’opera, mi sembra assai significativo).
19 baritoni si spartiscono 67 delle 135
presenze del Re nelle edizioni “complete” in
disco di Aida. Cornell MacNeil è stato registrato 10 volte (Città del Messico, 1958, Milano, “Scala”, 1960, New York, “Metropolitan”,
1962, 1965, 1970 e 1976, Cleveland, 1964, in
tournée con il “Metropolitan”, Buenos Aires,
“Colón”, 1968, Verona, “Arena”, 1986, dal vivo; Vienna, 1959, in studio; su un arco di 29
anni di carriera, a documento della longevità
canora del baritono statunitense). Legati al
“Metropolitan” di New York sono due dei tre
baritoni che sono presenti 6 volte quali Amonasro nella discografia di Aida, Leonard Warren (New York, “Metropolitan”, 1940, 1941,
1946, 1952, 1954, dal vivo; Roma, Opera,
1955, in studio; 16 anni) e Robert Merrill
(New York, “Metropolitan”, 1950, 1955, 1957,
1966, 1967, dal vivo; Roma, Opera, 1961, in
studio; 18 anni). Il terzo è Piero Cappuccilli
(Milano, “Scala”, 1972 e 1976, Monaco di Baviera, “National Theater”, 1972, in tournée con
la “Scala”, Salisburgo, 1980, dal vivo; Londra,
1974, e Vienna, 1979, in studio; 8 anni, certamente non sufficientemente rappresentativi
della effettiva longevità canora del baritono
triestino). 4 volte è presente in disco l’Amonasro di Aldo Protti (Roma, Santa Cecilia, 1952,
in studio; Tokyo, radio NHK, 1961; Verona,
“Arena”, 1961, e Venezia, “Fenice”, 1970, dal
vivo; 19 anni). 7 sono i baritoni che possono
contare su 3 presenze quali Amonasro nella discografia di Aida: George London (New York,
“Metropolitan”, 1953 e 1957; Vienna, “Staatsoper”, 1955, dal vivo; 5 anni); Gian Giacomo
Guelfi (Milano, “Scala”, 1956, e Napoli, “San
Carlo”, 1969, dal vivo; radio Torino, 1956; 14
anni); Mario Sereni (New York, “Metropolitan”, 1963 e 1971, dal vivo; Roma, Opera,
1966, in studio; 9 anni); John Shaw (Londra,
“Covent Garden”, 1968, Sydney, Opera, 1975
e 1984, dal vivo; 10 anni); Juan Pons (Verona,
“Arena”, 1992; New York, “Metropolitan”,
1994; Vienna, “Staatsoper”, 1995, dal vivo; 4
anni), Simon Estes (San Francisco, Opera,
1981; Barcellona, “Liceu”, 1983, Vienna,
52
“Staatsoper”, 1997, dal vivo; 17 anni) e Leo
Nucci (Milano, 1981 e 1985-1986, in studio;
Verona, “Arena”, 1999, dal vivo; 19 anni). A 2
presenze si fermano i baritoni: Armando Borgioli (Milano, 1928, in studio; Londra, “Covent Garden”, 1939, dal vivo); Robert Weede
(Città del Messico, 1950, e San Francisco,
Opera, 1960, dal vivo); Ettore Bastianini (Venezia, “Fenice”, 1953, in studio; Vienna,
“Staatsoper”, 1963, dal vivo); Anselmo Colzani (Napoli, “San Carlo”, 1955, e Verona, “Arena”, 1966, dal vivo); Sherrill Milnes (New
York, “Metropolitan”, 1966, dal vivo; Londra,
1970, in studio); Giampiero Mastromei (Londra, “Covent Garden”, 1973, e Barcellona,
“Liceu”, 1974, dal vivo); Siegmund Nimsgern
(Monaco di Baviera, “National Theater”, 1979
e 1981, dal vivo). 66 sono i baritoni che risultano presenti una sola volta nella discografia di
Aida quali interpreti del personaggio di Amonasro. Tra questi meritano di essere ricordati:
Cesare Formichi (1912), Adolfo Pacini (1919),
Giovanni Inghilleri (1928), Hans Hotter
(1942), Gino Bechi (1946), Giuseppe Valdengo (1949), Josef Metternich (1951), Giuseppe
Taddei (1951), Pavel Lisician (1951), Ferdinand Frantz (1953), Sándor Svéd (1953), Tito
Gobbi (1955), Kurt Skram (1964), Rolf Jupither (1966), Ingvar Wixell (1976), Dietrich
Fischer-Dieskau (1982), James Morris (1990),
Alexandru Agache (1994), Franz Grundheber
(2001), Thomas Hampson (2001). In due edizioni non sono riuscito ad accertare il nome
dell’interprete di Amonasro: Firenze 1951 (per
deficienza di informazioni) e Miramas 1991
(per mancanza di indicazione nella stessa programmazione teatrale). Agli 87 baritoni fin qui
considerati va aggiunto un “raddoppio” presente nell’edizione ad incisione acustica del
1909-1910. Ne deriva che sono in tutto 88 i
baritoni che hanno lasciato traccia del loro
Amonasro nelle 135 edizioni in disco di Aida.
Che la “dispersione” tra un numero ancora maggiore di interpreti si verifichi per gli altri personaggi di Aida, il Re, un Messaggiero e
una Sacerdotessa, va considerato accadimento
più normale: la concentrazione delle registrazioni su un solo nominativo, o su pochi nominativi più volte ripetuti, è fatto piuttosto inusuale per le seconde parti e per i comprimari
(diverso è il caso dei personaggi di “carattere”,
ma in Aida non ve ne sono). Tra 16 bassi sono
ripartite 45 delle 135 presenze discografiche
del Re in registrazioni di Aida. 7 sono dovute
al basso Louis Sgarro (altro artista di casa al
“Metropolitan” di New York, dalle cui rappresentazioni provengono tutte e 7, nel 1955, nel
1956, nel 1957, 23 febbraio e 30 novembre,
nel 1962, nel 1965 e nel 1967, su un arco temporale di 11 anni). Altre 7 fanno capo al basso
Luigi Roni (Milano, “Scala”, 1972 e 1976,
Monaco di Baviera, “National Theater”, 1972,
in tournèe con la “Scala”, Orange, “Antique”,
1976, Barcellona, “Liceu”, 1983, dal vivo;
Londra, 1974, e Milano, 1985-1986, in studio;
su un arco temporale di 15 anni). Tre bassi
hanno cantato 3 volte in disco il Re nell’Aida:
Lubomir Vichegonov, chiamato per un certo
periodo Luben Vichey, in realtà Ljubomir
Viπegonov, anch’egli legatissimo al “Metropolitan” di New York (dal vivo di spettacoli del
1952, del 1953 e del 1954; 3 anni); Plinio Clabassi (Roma, Opera, 1955 e 1961, in studio;
Napoli, “San Carlo”, 1955, dal vivo; 7 anni);
Carlo Striuli (Verona, “Arena”, 1992, 1999 e
2000, dal vivo; 9 anni). 10 sono i bassi che
hanno due presenze quali interpreti del Re nella discografia di Aida: Norman Cordon (New
York, “Metropolitan”, 1937 e 1941, dal vivo);
Ignacio Ruffino (Città del Messico, 1950 e
1951, dal vivo); Fernando Corena (Roma, Santa Cecilia, 1952, e Vienna, 1959, in studio);
Nicola Zaccaria (Milano 1955, e Città del
Messico, 1958, dal vivo); Antonio Zerbini (radio Torino, 1956; Verona, “Arena”, 1961, dal
vivo); Raymond Michalski (New York, “Metropolitan”, 1966, 12 e 13 febbraio, dal vivo);
Franco Pugliese (Roma, Opera, 1950, in studio, e Verona, “Arena”, 1966, dal vivo); Tugomir Franc (Vienna, “Staatsoper”, 1963 e 1973,
dal vivo); Agostino Ferrin (Milano, “Scala”,
1960, e Salisburgo, 1980, dal vivo); Nikolaus
Hillebrand (Monaco di Baviera, “National
Theater”, 1979 e 1981, dal vivo); Franco Federici (Venezia, “Fenice”, 1970, e Verona, “Arena”, 1986, dal vivo). 84 sono i bassi che risultano presenti una sola volta nella discografia di
Aida quali interpreti del personaggio del Re.
Tra questi sono alcuni adusati a personaggi
primari, quali Salvatore Baccaloni (1928), Italo Tajo (1946), Walter Berry (1953), Oskar
Czerwenka (1955), Justino Díaz (1964), Hans
Sotin (1970), Paul Plishka (1971), Juan Pons
(1974), James Morris (1976), Josè Van Dam
(1979), Ruggero Raimondi (1981), László
Polgár (2001). In 7 edizioni di Aida in disco
non sono riuscito ad accertare chi cantasse il
personaggio del Re: Milano 1906-1907 (per
mancanza del dato negli annunci dell’epoca);
Firenze 1951, Montréal 1962, Fort Worth
1967, Orlando 1974, Monte Carlo 1987 e Sydney 1995 (per deficienza di informazioni). Si
arriva così a un totale di 106 bassi che hanno
lasciato testimonianza di sé nel personaggio
del Re nelle 135 edizioni in disco di Aida.
17 tenori si spartiscono 52 edizioni fonografiche di Aida nel personaggio del Messaggiero. 9 volte lo ha cantato Piero de Palma
(Roma, Santa Cecilia, 1952, Vienna, 1959,
Roma, Opera, 1966, e Milano, 1981, in studio;
Napoli, “San Carlo”, 1953 e 1955, Milano,
“Scala”, 1960 e 1972, Monaco di Baviera,
“National Theater”, 1972, in tournée con la
“Scala”, dal vivo; arco temporale 30 anni). 8
53
presenze totalizza Robert Nágy, tenore legatissimo al “Metropolitan” di New York (1957,
1962, 1963, 1965, 1966, 12 e 13 febbraio,
1967, le 7 rappresentazioni registrate nel teatro
newyorkese, alle quali si aggiunge quella di
Cleveland del 1964, in tournée con lo stesso
“Metropolitan”; 11 anni). Dei 5 tenori con 3
presenze di Messaggiero nella discografia di
Aida, 3 sono legati al “Metropolitan”, e sono
Lodovico Oliviero (1940, 1941, 1946, dal vivo; 7 anni), Paul Franke (1950, 1954, 1976,
dal vivo; 27 anni) e James McCracken (1955,
1956, 1957, dal vivo; 3 anni, all’inizio della
carriera). Il quarto è Ottorino Begali, molto legato invece all’”Arena” di Verona (1961 e
1966, dal vivo; sempre dal vivo anche Venezia, “Fenice”, 1970; 10 anni) e il quinto è
Gianfranco Manganotti (Bilbao, Coliseo Albia,
1982, Verona, “Arena, 1986, Parma, “Regio”,
1988, dal vivo; 7 anni). 2 volte hanno cantato
il Messaggiero in edizioni fonografiche di Aida 10 tenori: Giuseppe Nessi (Milano, 1928,
agosto e novembre, in studio); Carlos Sagarminaga (Città del Messico, 1950 e 1951, dal
vivo); Thomas Hayward (New York, “Metropolitan, 1952 e 1953, dal vivo); Erich Majkut
(Vienna, “Staatsoper”, 1955 e 1963, dal vivo);
Franco Ricciardi (Milano, “Scala”, 1955, e
Roma, Opera, 1961, in studio); Athos Cesarini
(radio Torino, 1956, e radio NHK, Tokyo,
1961); Rod MacWherter (New York, “Metropolitan”, 1970 e 1971, dal vivo); Charles
Anthony (New York, “Metropolitan”, 1976 e
1990, dal vivo); Thomas Moser (Vienna, 1979,
in studio; Salisburgo, 1980, dal vivo); Norbert
Orth (Monaco di Baviera, “National Theater”,
1979 e 1981, dal vivo). 70 sono i tenori che risultano presenti una sola volta nella discografia di Aida quali interpreti del Messaggiero.
Tra questi hanno avuto una carriera di interprete primario soltanto Giuseppe Zampieri
(1956), peraltro pressocché esclusivamente nei
paesi di lingua tedesca, Eduardo Alvares
(1973) e Nicola Martinucci (1974). In 10 edizioni in disco non sono riuscito ad accertare il
nominativo di chi interpreta il Messaggiero:
Parigi 1948 (per mancanza del dato negli annunci dell’epoca); Firenze 1951 (nessuna certezza sull’effettiva presenza del personaggio);
Città del Messico 1958, Montréal 1962, Fort
Worth 1967, Orlando 1974, Sydney 1975 e
1995, Boston 1980, Monte Carlo 1987 (per deficienza di informazioni). Per 4 edizioni si ha
invece la certezza dell’assenza del personaggio
(Milano 1906-1907, 1909-1910 e 1912, Berlino 1942). In conclusione, nell’interpretare il
Messaggiero dell’Aida in disco si sono avvicendati 97 tenori su un totale di 131 edizioni.
14 sono le cantatrici che si sono divise 32
edizioni di Aida in disco nel personaggio della
Sacerdotessa. Ancora una volta prevalgono le
interpreti legate al “Metropolitan” di New
York, con 4 volte ciascuna, Thelma Votipka
(1937, 1940, 1946 e 1950, dal vivo; 11 anni) e
Mary Ellen Pracht (a Cleveland in tournée col
“Metropolitan” nel 1964, a New York nel
1965 e nel 1966, 12 e 13 febbraio, dal vivo; 3
anni). 12 cantatrici si attestano sulle 2 presenze: Rosita Rodriguez (Città del Messico 1950
e 1951, dal vivo); Lucine Amara (New York,
“Metropolitan”, 1952 e 1953, dal vivo);
Shakeh Varttenissian (New York, “Metropolitan”, 1955 e 1956, dal vivo); Helen Vanni
(New York, “Metropolitan”, 1957, 23 febbraio
e 30 novembre, dal vivo); Janis Martin (San
Francisco, Opera, 1960, e New York, “Metropolitan”, 1963, dal vivo); Carlotta Ordassy
(New York, “Metropolitan”, 1962 e 1971, dal
vivo); Mirella Fiorentini (Roma, Opera, 1966,
in studio; Orange, “Antique”, 1976); Josella
Ligi (Milano, “Scala”, aprile 1972, e Monaco
di Baviera, “National Theater”, settembre
1972, in tournée con la “Scala”, dal vivo); Marianne Seibel (Monaco di Baviera, “National
Theater”, 1979 e 1981, dal vivo); Cecília Fondevila (Barcellona, “Liceu”, 1974 e 1983, dal
vivo); Marjorie Vance (Vienna, “Staatsoper”,
1995 e 1997, dal vivo); Antonella Trevisan
(Palermo, “Massimo”, 1998, Verona, “Arena”,
1999). 83 sono le cantatrici che risultano presenti una sola volta nella discografia di Aida
quali interpreti della Sacerdotessa. Tra queste
emergono artiste di primo piano, alcune all’inizio della carriera, altre evidentemente attirate
dalle possibilità qualitative che offre l’intervento del personaggio: Valentina Bartolomasi
(1919), Teresa Stich-Randall (1949), Christa
Ludwig (1952), Joan Sutherland (1953), Bruna
Rizzoli (1955), Mietta Sighele (1961), Kiri Te
Kanawa (1973), Katia Ricciarelli (1979), Lucia Valentini (1981), Dorothea Röschmann
(2001). Non sono riuscito ad accertare l’identità dell’interprete della Sacerdotessa in ben 16
edizioni: Milano, 1928, agosto e novembre, radio Roma, 1951, Roma, Santa Cecilia, 1952,
Venezia, “Fenice” 1953, radio Torino, 1956,
Roma, Opera, 1958 e Verona, “Arena”, 1961
(per mancanza del dato negli annunci dell’epoca), Firenze 1951 (nessuna certezza sull’effettiva presenza del personaggio), Montréal 1962,
Fort Worth 1967, Orlando 1974, Sydney 1975
e 1995, Boston 1980 e Monte Carlo 1987 (per
deficienza di informazioni). Per 4 edizioni si
ha invece la certezza dell’assenza del personaggio (Milano 1909-1910, Berlino 1937 e
1942, Parigi 1948). Va invece aggiunto un raddoppio per l’edizione ad incisione acustica del
1912. Il risultato finale è che 114 tra soprani e
contralti hanno cantato la Sacerdotessa in 119
edizioni in dischi di Aida.
Nelle 135 edizioni di Aida elencate come
opere complete sono incluse anche alcune registrazioni che tali in effetti non sono. Sono
54
anzitutto le 4 edizioni fonografiche ad incisione acustica realizzate a Milano in studio tra il
1906 e il 1919, che presentano lacune assai diverse fra loro, che non intaccano sostanzialmente il requisito della “completezza”. La ripresa dal vivo dalla “Deutsche Oper” di Berlino della rappresentazione del 22 giugno 1937
non ci è giunta integra perché una parte degli
acetati originali sono andati avariati o distrutti,
ma indubbiamente era nata con il requisito della completezza (non sono sopravvissuti l’inizio
del quadro primo e tutto il quadro secondo del
primo atto e l’intero atto quarto). Più fortunata
la sorte della ripresa dal vivo dal “Covent Garden” di Londra della rappresentazione del 24
maggio 1939, effettuata con il sistema Philip
Miller di registrazione su pellicola cinematografica, che, nelle prime riproduzioni immesse
sul mercato, era risultata mutila del secondo
quadro del quarto atto (l’uso di alcuni editori
di sostituirlo con la corrispondente parte dell’incisione romana in studio del 1946 è da condannare senza appello, non essendo sufficiente
l’identità dei solisti vocali a giustificarlo), ma
successivamente sembra aver goduto della
scoperta dell’originale completo, e come tale è
stata pubblicata in compact disc dalla “Eklipse”. Del tutto ingiustificabile è, a mio parere,
l’operazione condotta nel 1956 dal “Metropolitan Opera Record Club” con la pubblicazione
in due dischi microsolco lunga durata 33 giri
di una registrazione in studio destinata ad essere distribuita fra i soci del “Book of the
Month’s Club”, un’operazione che sacrifica,
vorrei dire “spudoratamente”, ai famigerati canoni del “digest”, fenomeno tipico dell’industria culturale statunitense. I tagli sono diffusi
su tutto il corpo dell’opera e pazientemente ricuciti in modo da dare l’illusione della continuità. Mancano: il saluto di Amneris ad Aida
(“Vieni, o diletta, appressati”) e la risposta di
questa (“Ohimè! di guerra fremere”) nel primo
quadro del primo atto; la seconda e la terza
strofa del canto della Sacerdotessa, con le relative risposte del coro dei sacerdoti, nel secondo quadro dello stesso atto; la seconda strofa
del coro delle ancelle (“Or dove son le barbare”) e le due invocazioni di pietà di Aida
(“Pietà ti prenda del mio dolore” e “Ahi pietà
... che più mi resta?”) nel primo quadro del secondo atto; la sezione corale “Della vittoria
agli arbitri”, le danze (Ballabile) e la sezione
corale conclusiva della marcia trionfale (“Gloria, gloria all’Egitto”) nel secondo quadro
sempre del secondo atto; tutta la scena iniziale,
con il coro dei sacerdoti (“O tu che sei d’Osiride”) e il breve colloquio fra Ramfis e Amneris
(“Vieni d’Iside al tempio”), la risposta di Radamès all’invito di Aida (“Sovra una terra
estrania”) e la ripresa di “Là ... tra foreste vergini”, la risposta di Aida a Radamès “Nella
terra avventurata”, nel terzo atto; l’assolo di
Amneris “Ohimé! morir mi sento” e l’intera
scena del giudizio di Radamès nel quarto atto
(il totale delle omissioni ammonta a circa una
quarantina di minuti di musica). La direzione
del cinquantaquattrenne maestro triestino Fausto Cleva è grezza nell’accentazione e grossolana nel fraseggio, piatta e banale nell’espressione, genericamente brillante, esteriormente
lucente, ma priva di anima e di carattere. La
voce compressa, e come rinserrata e costretta,
induce facilmente Albert Da Costa alla vociferazione: il Radamès del ventottenne tenore italo-americano è enfaticamente sottolineato, con
muscolosa virilità, ma manca di slancio e di
commozione. Aida non è personaggio per il
trentenne soprano armeno-americano Lucine
Amara, né vocalmente né interpretativamente:
la voce non regge allo sforzo e si indurisce e si
incrudisce, facendosi aspra e stridula, e rifiutandosi all’estensione espositivamente distesa
in cantabilità; il personaggio manca di impatto
e di grandezza, non riesce ad appienarsi nella
passione e nella sofferenza, si rifugia volentieri nella indifesa fragilità della vittima senza
volontà o si abbuia nell’oscurità opaca di un
presente che si appiattisce nell’aridità, privo
così dello slancio nella speranza del futuro come dell’incanto nella memoria del passato.
Con ricchezza di notazioni e varietà di tratti disegna Amneris il ventiseenne mezzosoprano
del Massachusetts Rosalind Elias (forse per
questo il personaggio della principessa egiziana è quello che – insieme al sommo sacerdote
Ramfis – ha dovuto sopportare il maggior peso
dei tagli?). L’Amneris della Elias conosce la
tenerezza del sospiro d’amore, la nostalgia e il
rimpianto delle ore perdute, la densità calda
del desiderio, l’ansia per la salvezza dell’amato; nei confronti di Aida una premura sinceramente sollecita e comprensiva fa a poco a poco
posto a una sorta di arcana e misteriosa forza
che la spinge ad indagare, a valersi delle leve
dell’affetto per penetrarne le difese e rivelarne
i segreti, in modo da toglierle la maschera e
così riuscire vittoriosa nel confronto; più donna che principessa la Elias canta con molta linea, evitando licenze ed arbitrii; il suo rifiuto
all’estroversione esuberante si traduce in un’asciuttezza piena di dignità e di nobiltà, in una
fierezza che non è tanto del rango quanto dello
stile. Il trentaduenne basso italo-americano
Giorgio Tozzi è tra quelli che hanno avuto la
ventura di poter lasciare più significative tracce registrate del proprio personaggio: anche in
questo incompleto ritratto di Ramfis ha comunque modo di manifestarsi la sua cura per
un’espressività agile e scevra da pesantezze,
ben giocata sui timbri baritonali della voce di
basso cantante; il personaggio è reso con autorevolezza ma anche con sincerità di preoccupata partecipazione alle vicende del regno. Aggressivamente minaccioso è l’Amonasro del
55
trentunenne baritono americano Frank Guarrera, convenzionalmente violento nella raffigurazione del “cattivo” tutto d’un pezzo, malgrado
alcuni momenti di più sobria commozione o di
più soffice suasività. Una serietà compresa
delle proprie funzioni è nell’informativa chiarezza espositiva del trentaseenne basso, anch’egli italo-americano, Louis Sgarro. Una
passione raffrenata e contenuta nella descrizione anima il vivace Messaggiero del ventinovenne tenore dell’Indiana James McCracken.
Una urgenza pressante si avverte nel canto più
implorante che invocante del trentenne soprano siriano Shakek Varttenissian. La registrazione è abbastanza ben proporzionata e dosata,
con una resa di livello medio, di buona lettura
lineare e di sufficiente chiarezza.
Adesione ad una scelta che non è mia, ma
dei redattori di “Avant-Scène Opéra”, nel volume 4 della raccolta, dedicato appunto ad Aida. Nella riedizione del 1993, tra le “integrali”,
Piotr Kaminski (uno dei più accreditati e – per
me – attendibili discografi a livello internazionale) inserisce anche l’edizione registrata il 21
novembre 1942 alla radio di Berlino, sia pure
con l’annotazione fra parentesi “abbreviata”
(che è tuttavia cosa ben diversa dall’inclusione
in una rubrica “selezioni” che per Aida non
viene compilata ma che compare in molti altri
volumi della serie). Giustamente Kaminski fa
riferimento, ai fini dell’inclusione, all’edizione
in 2 dischi microsolco lunga durata 33 giri
pubblicata dalla casa fonografica di Stato “Melodija”, in Unione Sovietica, nel 1986, che
contiene una quantità di musica sensibilmente
superiore a quella presentata nelle precedenti
pubblicazioni tedesche in un solo disco della
“BASF” prima e della “Bellaphon” poi. Per
uniformità con la scelta di “Avant-Scène-Opéra”, e per evitare qualsiasi tipo di disorientamento in chi si trovi a confrontare discografie
diverse, ho ritenuto opportuno (e fors’anche
giusto) inserire nella discografia delle opere
complete in disco di Aida anche la registrazione dell’esecuzione trasmessa dalla radio di
Berlino il 21 novembre 1942. È la prima delle
cinque cantate in tedesco, e presenta interpretazioni di alto livello, prima fra tutte l’Amonasro del trentatreenne Hans Hotter, ma anche
l’Amneris della trentanovenne Margarete Klose e il Radamès del quarantaquattrenne Helge
Rosvange. A Hotter si deve in particolare un
terzo atto di esemplare compostezza, di analitica penetrazione psicologica (ricca di rinvii, di
sottintesi, di nostalgie, di miraggi), in una
esposizione fraseggiata con pertinenza e con
intensità, capace di portare con sé, innalzandola ulteriormente di livello, la stessa prestazione
dell’Aida della trentaquattrenne Hilde Scheppan. Non sono riusciti a superare i sessant’anni
che ce ne separano, e quindi giungere fino a
noi: l’inizio del primo quadro del primo atto
(che attacca a “Se quel guerrier io fossi”) e la
maggior parte del quadro stesso (da “Quale insolita gioia” a “Ritorna vincitor!”), ridotto praticamente ai soli due assoli di Radamès e di
Aida; l’intero secondo quadro del primo atto;
la prima parte del secondo quadro del secondo
atto (che attacca a “Salvator della patria”); l’inizio del primo quadro del quarto atto (che attacca a “Ohimè! morir mi sento”) e l’intero
quadro secondo dello stesso quarto atto.
L’accettazione (che io ritengo giusta) della opzione di Piotr Kaminski porta con sé la
necessità di comportarsi secondo gli stessi criteri negli altri casi che possano presentare elementi di analogia con quello berlinese del
1942. Uno di questi casi c’è, ed io suppongo
che non possa dispiacere agli amici di “AvantScène-Opéra” (che non ebbero modo di decidere su di esso, perché nel 1993 non era stato
ancora pubblicato), e si tratta della versione
“abbreviata” di Aida che fu eseguita in modo
continuativo a Radio Parigi il 13 agosto 1948,
sotto la direzione del cinquantunenne Jules
Gressier, pubblicata in rilettura digitale in un
disco compact della “Malibran” nel 2002. La
differenza rispetto alla quantità di musica contenuta nei due dischi microsolco lunga durata
della “Melodija” non è molto rilevante: 81’32”
la “Melodija”, 76’17” la “Malibran” (che resta
sempre al di sopra della metà della durata media complessiva dell’opera intera, limite a mio
parere non valicabile come primo criterio per
l’esclusione o la non esclusione preventiva da
una discografia di opere complete). Caso mai,
la vera differenza sostanziale è che, mentre più
di un indizio fa ritenere che dalla radio di Berlino nel 1942 fu trasmessa una maggiore quantità di musica rispetto a quella che ci è pervenuta, esiste invece una ragionevole certezza
che nel disco “Malibran” sia contenuta tutta la
musica trasmessa da “Radio France”. Nel quadro primo dell’atto primo Gressier omette il
preludio e l’assolo di Aida “Ritorna vincitor”,
manca per intero il secondo quadro del primo
atto così come manca per intero il primo quadro del secondo atto; il secondo quadro dello
stesso atto è privo dell’inizio (attacca a “Salvator della patria”), e ne sono privi anche il terzo
atto (che attacca a “Qui Radamès verrà”) e il
primo quadro del quarto atto (che attacca a
“Già i sacerdoti adunansi” e per giunta si ferma prima di “Ohimè, morir mi sento”). L’Aida
francese del 1948 dovrebbe essere cantata appunto in francese ma ciò è vero solo in parte: il
ventiquattrenne soprano italiano Maria Vitale
canta sempre in italiano e il quarantaquattrenne tenore corso José Luccioni alterna l’italiano
(impiegato quando canta insieme alla Vitale, e
quindi nel terzo atto e nel secondo quadro del
quarto atto) e il francese (impiegato nel resto
dell’opera). Al francese restano fedeli tutti gli
altri interpreti vocali (francesi Amneris, Amo-
56
nasro, Ramfis, e il Re, ed anche il Messaggiero, stranamente non nominato; la Sacerdotessa
scompare insieme a tutto il quadro secondo
dell’atto primo). Luccioni è un Radamès stentoreo, la Vitale un’Aida piuttosto flebile, costretta a ricorrere alla genericità dell’enfasi in
sostituzione di un’autorità che le manca. Nel
contesto fanno buona figura l’Amneris della
quarantenne Georgette Frozier e l’Amonasro
del cinquantaseenne Charles Cambon. Per lo
più incerta e smarrita la direzione di Gressier.
Un discorso più difficile e complesso richiedono le quattro edizioni ad incisione acustica effettuate a Milano tra il 1906 e il 1919. In
primo luogo non ne esistono riletture, vuoi in
microsolco vuoi in compact, che ne permettano
l’ascolto diretto senza particolari difficoltà. In
secondo luogo di alcune di esse non ho notizia
neanche di una sola sopravvivenza degli originali. Il ritrovamento di una copia completa dell’edizione “Columbia” portò in sede di pubblicazione (più che meritoria) di un prospetto delle 34 facciate da 25 cm. di diametro a una
curiosa posposizione agli anni 1916-1917 della
datazione dell’incisione avvenuta nel 1912, come da informazioni rese attendibili dalla presenza accertata nel catalogo “Columbia” del
1913. L’analisi degli “incipit” delle 34 facciate
comparato con le durate “possibili” di una facciata di disco a velocità di 78 giri (approssimativamente) al minuto fa sorgere il sospetto che
più di una giuntura tra l’uno e l’altro momento
cruciale dell’opera sia stata omessa e così anche qualche pagina puramente orchestrale
(manca il Ballabile del secondo atto, ad esempio) o corale (sempre ad esempio, manca tutta
la parte che precede l’ingresso in scena di
Amonasro): d’altra parte 34 facciate ad una
media di 3 minuti l’una fanno 102 minuti, cioè
una quarantina di minuti in meno della durata
media di un’edizione completa in dischi di Aida. L’edizione “Columbia” del 1912 non reca
indicazione di direttore e, per quel che riguarda
la parte strumentale, oscilla fra la dizione
“Banda” e la dizione “Orchestra”.
Non porta l’indicazione del direttore e reca
le indicazioni “Banda di Milano” (anzi che Orchestra) e “Coro del Teatro alla Scala” l’edizione “Zonophone” del 1906-1907, pubblicata in
23 dischi a una sola faccia (15 da 25 cm. di diametro e 8 da 30 cm.), da ritenere a velocità variabile, dati gli anni dell’incisione. Purtroppo di
questa edizione non sono riuscito a procurarmi
i prospetti degli “incipit” di ciascuna facciata e
quindi non sono in grado di supporre in quali
punti essa presenti le inevitabili lacune (23 facciate sono meno di 34 e, anche tenendo conto
della maggiore quantità di musica che si contiene in una facciata da 30 cm. di diametro, si può
arrivare a una durata complessiva massima di
circa 80 minuti). Eccezionale rispetto ai tempi
lo è per il fatto che l’edizione “Zonophone”
prevede un solo interprete per ogni personaggio
(con l’eccezione di Aida che è affidata alla giovane Elvira Magliulo e alla meno giovane Teresa Chelotti, eccezione temperata dal fatto che
Elvira Magliulo compare anche come interprete della Sacerdotessa). Un ulteriore indizio della relativa incompletezza della edizione del
1906-1907 può essere il fatto che non risulta un
nome di interprete per il personaggio del Messaggiero, il che potrebbe anche essere la spia di
una sua totale assenza.
Risponde ai tempi per la presenza di più interpreti per lo stesso personaggio l’edizione
“Columbia” del 1912. Per Amneris si alternano
in ordine di “ingresso in scena” Andreina Beinat
(con 9 presenze, nel primo, nel secondo e nel
quarto atto, su 15 complessive), Dolores Julia
Frau (con 2 presenze, nel secondo atto), Eugenia
Lopez Nunes (o Lopez Nuñez o Heilbronn, con
2 presenze, nel secondo e nel terzo atto) e Fanny
Anitúa (con 2 presenze, nel quarto atto). Se
l’Amneris della Beinat è assolutamente prevalente, è anche vero che maggiori tracce di sé
hanno lasciato il ventottenne mezzosoprano livornese Eugenia Lopez-Nunes e il ventinovenne
mezzosoprano catalano Dolores Julia Frau, ma
nessuna può stare alla pari del venticinquenne
contralto messicano Fanny Anitúa, il primo contralto di agilità del ventesimo secolo, di fama e
carriera internazionali, per tutta la prima metà
del secolo, dal 1909 al 1937. 5 soprani si alternano nel personaggio di Aida; sempre in ordine di
“ingresso in scena”, Lya Remondini (con 11
presenze su un totale di 18, nel primo, nel secondo, nel terzo e nel quarto atto), Ester Toninello
(con 2 presenze, nel primo atto), Lia Moglia
(con 3 presenze, nel secondo e nel terzo atto),
Teresa Chelotti (con 2 presenze, nel terzo atto) e
una signora De Perez (di cui non mi è riuscito di
reperire il nome, con una sola presenza, nel terzo
atto). Tracce di una carriera teatrale internazionale svolta tra il 1896 e il 1914 ha lasciato l’allora cinquantunenne soprano modenese Teresa
Chelotti. Per Radamès scendono in campo 3 tenori; sempre in ordine di “ingresso in scena”,
Giuseppe Armanini (2 presenze, nel primo e nel
quarto atto, su 15 complessive), Gaetano Tommasini (7 presenze, nel primo, nel terzo e nel
quarto atto) e Egidio Cunego (6 presenze, nel secondo e nel terzo atto). Per Radamès non v’è,
come per Amneris e per Aida, il predominio
quantitativo di un cantante su tutti gli altri, ma
un equilibrio pressocché perfetto tra due cantanti, il trentaduenne Gaetano Tommasini e il ventinovenne Egidio Cunego, entrambi dalle carriere
prevalentemente italiane. Ma i momenti vocali
cruciali dell’opera, “Celeste Aida” e“Morir sì
pura e bella”, restano appannaggio del trentottenne Giuseppe Armanini, tenore milanese di rilevante carriera internazionale, interrotta dalla
morte precoce a quarantuno anni, nel 1915. Due
sono gli interpreti del personaggio di Ramfis: il
57
trentenne Vincenzo Bettoni, uno dei più celebrati “buffi” della prima metà del ventesimo secolo,
con una carriera internazionale che si snodò per
ben 33 anni, dal 1902 al 1935, e che spesso interpretò anche personaggi “serii”, com’è il caso
appunto di questo Ramfis del 1912, con 6 presenze su 8 complessive, nel primo, nel terzo e
nel quarto atto; le 2 presenze del secondo atto
sono affidate a Giovanni Martino. Una presenza
ciascuna quale Sacerdotessa si spartiscono Ester
Toninello e Lya Remondini. Un solo cantante
per il personaggio di Amonasro: il ventinovenne
baritono romano Cesare Formichi, che aveva
iniziato nel 1909 la sua carriera di cantante protagonista nei più rinomati teatri d’Europa e d’America. È indubbiamente la presenza (pur limitata a sole 6 delle 34 facciate) che dà maggiormente rilievo all’edizione “Columbia” del 1912.
Un solo cantante anche per il Re, il cinquantaduenne Luigi Baldassarri (o Baldassare, come
compare in annunci dell’epoca), uno dei cantanti
più assidui in disco nei primi anni del secolo
ventesimo. Certa è la mancanza del personaggio
del Messaggiero.
Né per la “Zonophone” né per la “Columbia” sono disponibili volumi analitici minuziosi
ed accurati come quelli dedicati da Alan Kelly
ai dischi “La Voce del Padrone” degli anni dal
1898 al 1929 (corrispondenti all’epoca dell’incisione acustica) in Italia, in Francia, in Germania e in Olanda. Spulciando ripetutamente il
volume dedicato all’Italia ho potuto rilevare
una serie di incisioni dedicate ad Aida che sono
singolari per la continuità delle date, delle sedute di incisione, dei numeri di catalogo e dei
cantanti impiegati (ove si tenga conto dell’abitudine di utilizzare anche cantanti diversi per lo
stesso personaggio purché l’impianto d’insieme
rimanesse costante). Il quadro risultante non è
dissimile da quello dell’edizione “Columbia”
del 1912, gli anni sono invece il 1909 il 1910,
sempre a Milano, per di più con l’indicazione
del Teatro “alla Scala” come origine delle compagini orchestrale e corale e con la menzione
esplicita della direzione di Carlo Sabajno, il
maestro “stabile” della “Voce del Padrone” (e
delle altre etichette ad essa collegate, nel caso
specifico si tratta della “Gramophone”). Le incisioni iniziano l’1 aprile 1909 e continuano nei
giorni 2, 5, 7, 20, 21, 23 e 27 dello stesso mese,
riprendono in quattro giorni di novembre, 1, 3,
6 e 12, riprendono ancora nel 1910, l’8 e il 25
aprile e il 10 maggio, per quelli che sono evidentemente dei completamenti. La numerazione inizia con 053253 l’1 aprile (“Ritorna vincitor” cantato dalla Boninsegna), poi prosegue
con una serie continuativa da 053231 a 053234
dal 2 al 7 aprile, si inserisce un 54415 da 25
cm. di diametro il 20 aprile, poi si succedono in
fila i numeri da 054254 a 054261 dal 21 al 27
aprile e un distaccato 054266 sempre il 27 aprile, riprende con 054272 il 1° novembre e pro-
le incisioni dei passi di raccordo tra le une e le
altre emergenze solistiche appositamente affidate a questo fine a cantanti “di seconda schiera”, e quindi a costo più basso: e la cosa più
singolare è che l’acquirente poteva scegliere il
disco della celebrità preferita per le pagine più
celebri, fermi restando i dischi delle pagine di
raccordo (presso la “Library of Congress” di
Washington ho potuto personalmente constatare che in questi album le pagine orchestrali e
corali, in Europa affidate per lo più ai complessi milanesi della “Scala”, per l’America erano
sostituite dalle stesse pagine incise da complessi americani, soprattutto del “Metropolitan”).
Nella catalogazione discografica mi sono fermato al 1910, perché fino a quel punto ho la
certezza di un intento programmato e perseguito. Ma si può anche ipotizzare che un gruppo di
incisioni del 1912 (13, 14, 17 e 23 febbraio),
ancora incentrate intorno al tenore Cunego e
tutte dedicate a brani dell’opera non ancora
presenti nelle incisioni del 1909-1910, fossero
un ulteriore tentativo di completare l’opera, un
ultimo soprassalto, per così dire. Ce lo consente
tra l’altro la numerazione, molto vicina a quella
del 1909-1910. Integrando con una sola incisione preesistente, del 1908, quella della Marcia trionfale eseguita dall’Orchestra della “Scala”, avremmo un’ Aida in 33 dischi a una sola
faccia (30 da 30 cm. di diametro e 3 da 25) come segue (la numerazione delle facciate è ovviamente un mio arbitrio e quindi sono numerate anche le facciate mancanti fino al numero
di 44; al numero seguono la data di incisione,
l’incipit, gli interpreti e la sigla numerica del
disco (la diversità di diametro è indicata solo
per i 25 cm):
segue di seguito fino a 054278 dal 1° al 6 novembre, inserendo un 054267 che fa da ponte
fra la serie di aprile e quella di novembre e un
054296 che sembra voler chiudere l’iniziativa.
Se vi si aggiunge il numero 054262 inciso l’11
maggio con artisti diversi da quelli utilizzati
nelle altre facciate, sono 27 facciate (26 da 30
cm. e una da 25 cm. di diametro) tutte dedicate
ad Aida e ciascuna contenente un brano diverso
dell’opera. Una sorta di motivo ritornante è la
presenza del tenore Egidio Cunego, allora in
età di 26 anni. Ma non ci si ferma qui: nell’aprile-maggio c’è una sorta di ripresa, come se
si volesse in qualche modo portare avanti il lavoro non completato, e sono altre 3 facciate,
sempre di Aida e sempre con passi non ancora
incisi: 30 facciate sono ben di più delle 23 dell’edizione “Zonophone”: e quello che all’inizio
era a me sembrato una sorta di “centone programmato” ha acquistato le sembianze di
un’”opera completa” secondo gli standard dell’epoca. E basta per poter supporre che “La
Voce del Padrone” tentò tra il 1909 e 1910
un’edizione “completa” di Aida che poi non
portò a termine. Ma è vero che non la portò a
termine? È vero nel senso che non fu mai pubblicato un album di Aida contenente incisioni
diverse sotto forma di offerta opzionale non catalogata come tale, come sappiamo con certezza avvenne in quel giro di anni per altre opere
di Verdi, quali ad esempio Ernani e Il trovatore, album nei quali accanto alle pagine più celebri, affidate a cantanti appartenenti a quello
che può ben chiamarsi un “listino celebrità” ante litteram – insomma quella che sarà la famosa
“etichetta rossa” de “La Voce del Padrone” – e
quindi a costo più elevato, venivano collocate
1. 8-4-1910
2. 14-2-1912
3. 25-4-1910
4. 3-11-1909
5. 1-11-1909
6. 13-2-1912
7. 27-4-1909
Preludio
(Orchestra Sinfonica)
ATTO 1
Sì, corre voce
(Cunego, Bettoni)
(25 cm)
Celeste Aida
(Cunego)
Quale insolita fiamma
(Lavin de Casas, Cunego)
050577
54467
2-52734
054277
Ohimè di guerra fremere
(Lavin de Casas, Cunego)
Alta cagion
(Principe, Cunego, Bettoni,
coro orchestra Scala, Sabajno)
Su del Nilo
(Ruszkowska, Quinzi Tapergi, Cappiello,
Davi, coro Scala)
58
054274
054351
054260
8. 1-4-1909
9. 2-4-1909
10. MANCANTE
11. MANCANTE
12. 11-5-1909
13. 7-4-1909
14. MANCANTE
Ritorna vincitor
(Boninsegna)
053253
I sacri nomi
(Boninsegna)
053231
Nume custode
(Paoli, De Segurola, coro)
054262
Chi mai fra gl’inni
(Cappiello, coro)
ATTO 2
053233
15. 1-11-1909
Fu la sorte dell’arme
(Lavin de Casas, Ruszkowska)
054272
17. 1-11-1909
Pietà ti prenda
(Lavin de Casas, Ruszkowska)
054276
Marcia
(orchestra Teatro alla Scala)
050551
16. 1-11-1909
18. MANCANTE
19. MANCANTE
20.
1908
21.
1908
oppure
20. 10-5-1910
22. MANCANTE
23. 12-11-1909
24. MANCANTE
25. 13-2-1912
26. 5-4-1909
27. 2-4-1909
28. MANCANTE
29. 21-4-1909
30. 23-4-1909
sostituito da
27-4-1909
Ebben, qual nuovo fremito
(Lavin de Casas, Ruszkowska)
Marcia trionfale
(orchestra cav. Alighiero Stefani)
Ballabili
(orchestra Teatro alla Scala)
Quest’assisa ch’io vesto
(Lavin de Casas, Fabris, Cunego, Badini,
Santelia, coro orchestra Scala, Sabajno)
054273
0250511
050552
054275
Finale atto 2°
(Lebrun, Principe, Cunego, Bettoni,
Neumarker, coro orchestra Scala, Sabajno)
054350
O tu che sei d’Osiride
(Cappiello, coro)
053234
ATTO 3
Qui Radamès verrà......O patria mia
(Boninsegna)
Rivedrai le foreste
(Ruszkowska, Maggi)
Su dunque sorgete
(Ruszkowska. Badini)
053232
054256
054259
59
054266
31. 21-4-1909
32. 20-4-1909
33. 21-4-1909
34. 23-2-1912
35. 17-2-1912
36. MANCANTE
Non sei mia figlia
(Ruszkowska, Maggi)
Pur ti riveggo
(Rossi-Murino, Cunego)
(25 cm)
Sì fuggiam
(Cunego, Lebrun)
(25 cm)
Là tra foreste vergini
(Ruszkowska, Barrea)
Ma dimmi
(Lebrun, Principe, Cunego, Neumarker)
054257
54415
054254
54465
054362
ATTO 4
37. 21-4-1909
Già i sacerdoti
(Pietraszewska, Barrera)
054258
39. 6-11-1909
Ohimé, morir mi sento
(Lavin de Casas, Rizzo)
054267
38. MANCANTE
40. 6-11-1909
Rhadamès, tu rivelasti
(Lavin de Casas, Rizzo)
054278
41. 6-11-1909
Sacerdoti, compiste
(Lavin de Casas, Rizzo)
054296
43. 21-4-1909
Morir sì pura e bella
(Ruszkowska, Barrera)
054255
42. MANCANTE
44. 27-4-1909
O terra addio
(Ruszkowska, Barrera, coro Scala)
Come risulta evidente, l’intero “centone” è
programmato intorno al giovane Egidio Cunego, in quel torno di tempo tra i 25 e i 26 anni,
già in carriera da qualche anno, considerato nei
primi anni del Ventesimo secolo uno degli interpreti di punta del personaggio di Radamès,
nel quale gli si affiancano, in questo gruppo di
incisioni, Carlo Barrera (per 4 facciate) e Giovanni Davi (per una sola facciata). Fronteggiano Cunego per il personaggio di Aida quattro
soprani: il numero maggiore di presenze è sostenuto dalla polacca Elena Ruszkowska, in
età di trentuno-trentadue anni, una celebrità internazionale, alla quale si affiancano l’emiliana Celestina Boninsegna, tra i trentadue e i
trentatrè anni, l’artista di maggior richiamo
dell’intero “centone”, con 3 soli interventi, ma
altamente qualificati (“Ritorna vincitor”, “I sacri nomi” e “O patria mia”), Adalgisa RossiMurino (una sola presenza) e Giulia Fabris
60
054261
(una sola presenza). Nel 1912 si aggiunge (con
3 ulteriori presenze) Gemma Lebrun. 9 presenze danno la preminenza nel personaggio di
Amneris al contralto bilbaino Bianca Lavin de
Casas, molto apprezzata per le qualità di una
voce ricca di colore, al momento in età di trentaquattro-trentacinque anni. Le si affiancano il
contralto polacco Karolina Pietraszewska in
età di trentanove anni (una presenza) e Maria
Cappiello (tre presenze). Nel 1912 si aggiunge
Giuditta Principe (con altre tre presenze).
Ramfis è affidato al basso Arturo Rizzo
Sant’Elia (indicato tre volte con la prima parte
del cognome e una quarta volta con la seconda
parte); nel 1912 si aggiunge Vincenzo Bettoni
(con ulteriori tre presenze). Amonasro è interpretato due volte dal trentaduenne-trentatreenne baritono lombardo Ernesto Badini, un artista di casa alla “Voce del Padrone”, per cui ha
inciso fino agli anni Trenta del secolo ventesi-
mo, e altre due volte dal quarantaquattrenne
baritono alessandrino Giuseppe Maggi. Nel
1912 si aggiunge Arnoldo Neumarker (con due
ulteriori presenze). Una sola presenza, nel
1909, per il personaggio del Re, quella del
ventinovenne Giuseppe Quinzi Tapergi (che
nello stesso anno cantò Aida al “Dal Verme”
di Milano). Nel 1912 si aggiunge, con un’altra
presenza, Vincenzo Bettoni. Anche se un’aggiunta del 1912 può far supporre che il personaggio del Messaggiero sia stato in quell’occasione recuperato senza tuttavia nominarne l’interprete, l’assenza nel nucleo originario sia del
Messaggiero sia della Sacerdotessa fa pensare
proprio a quello che io definisco nel risultato
un “centone programmato” cioè ad un progetto
avviato e poi abbandonato e poi ripreso e poi
di nuovo abbandonato senza condurlo a termine. Del resto le opere “complete” realizzate nei
primi anni del Novecento, dati i limiti dei dischi ad una sola faccia e date le condizioni di
incisione, nascevano e si sviluppavano “a mosaico”, cogliendo le occasioni quando si presentavano (di qui la presenza di più interpreti
per uno stesso personaggio), pur mantenendo
l’aderenza ad un certo nucleo originario che ne
definiva la relativa unità.
L’ultima delle quattro incisioni acustiche
è anche la prima a razionalizzare la realizzazione in studio di un’opera completa in dischi:
periodo di lavoro continuativo e circoscritto
(13 sedute: 3, 7, 11, 15, 20, 21, 27, 29 e 31 ottobre, 3, 9, 13 e 14 novembre 1919, tutte negli
studi di Milano); un solo interprete per ciascun
personaggio; il che presuppone l’esistenza di
una programmazione globale preventiva. L’elenco degli “incipit” delle 40 facciate (stampate in 20 dischi a velocità 78 giri al minuto, 16
da 30 cm. di diametro e 4 da 25 cm.) non rivela l’esistenza di tagli particolarmente rilevanti:
è da ritenere che siano state omesse alcune riprese, più probabilmente nei concertati con coro, ma niente di più di quanto può riscontrarsi
in correnti edizioni in microsolco lunga durata
o in dischi compact (il calcolo approssimativo
delle durate delle 40 facciate porta a un totale
di 140-150 minuti, che corrisponde alla media
delle successive edizioni). Dirige il quarantacinquenne Carlo Sabajno (già incontrato nel
“centone programmato” del 1909-1910). Amneris è il ventiseenne mezzosoprano milanese
Rosita Pagani, “allieva della celebre mezzosoprano Elisa Petri”, a tre anni dal debutto milanese “artista completa e ricercata pei maggiori
teatri”, come recitano le note di presentazione,
che aggiungono: “la voce di quest’artista è armoniosa e scende nell’anima e conquide gli
ascoltatori”. Amonasro è il trentottenne baritono abruzzese Adolfo Pacini, “allievo prediletto
dell’illustre maestro ... Cotogni ... applaudito
per la potenza dei suoi mezzi vocali e per
un’arte scenica eccezionalmente efficace”.
Ramfis è il trentunenne basso modenese Guido
Fernandez, abbastanza noto per ripetute presenze discografiche; Radamès è il trentottenne
tenore emiliano Enrico Trentini, “artista di fama, dalla voce potente e dall’ottima scuola”,
reduce anch’egli da successi europei ed americani; ma è indubbio che fra tutti spicca il trentunenne soprano modenese Valentina Bartolomasi, artista generosa ed intelligente, cui “natura ... fu prodiga d’ogni favore”, ma vicende
familiari abbreviarono la carriera, non senza
che potesse avere la ventura (singolare per
un’artista della sua generazione) di lasciare testimonianza di sé in ben tre opere complete
(questa Aida, Tosca di Puccini e Andrea Chénier di Giordano). Alla Bartolomasi è affidata
anche la voce della Sacerdotessa nel quadro
secondo del primo atto. Messaggiero è il trentanovenne Gaetano Mazzanti, tenore comprimario tra i più apprezzati d’inizio secolo. Non
sono riuscito a trovare notizie del basso Pietro
Brilli, cui è affidato il personaggio del Re.
Ritengo che sarebbe un’affascinante avventura se le quattro incisioni acustiche di Aida potessero essere riscattate dall’oblio da
qualche editore fonografico specializzato in riversamenti da matrici di antiquariato.
61
Aida è una delle opere di successo che
meno hanno subito interventi mutilanti nella
tradizione teatrale: e questo fatto positivo ha il
suo riscontro nell’editoria fonografica. I tagli
più evidenti sono praticati nel secondo atto: il
coro “Della vittoria agli arbitri”, che precede la
Marcia trionfale, è omesso da Sabajno 1928,
Molajoli 1928, Pelletier 1943, Sodero 1946,
Cooper e Picco 1950, Schimdt Isserstedt e De
Fabritiis 1951, Barbini e Narducci 1958, Rescigno 1962 e Morelli 1982. Il Ballabile è dimezzato, o anche ulteriormente ridotto, da Molajoli 1928 e da Questa 1956 (da 4’ circa a
30”), da Melik-Paπaev 1951 (a 1’45”), da
Parry 2001 (a 1’50”), da Caldwell 1980 (a
1’54”) e da Gui 1951 (a 2’). Nel terzo atto, la
risposta di Aida al “Sì, fuggiam” di Radamès,
“Nella terra avventurata”, è omessa da Molajoli 1928, da Panizza 1937, 1940 e 1941 e da Sodero 1946 (una tradizione del “Metropolitan”
per fortuna ben presto abbandonata). Nel quadro primo del quarto atto la ripetizione del coro “Spirto del nume”, che fa da sfondo alla ripetizione dell’invocazione di Amneris “Oh!
chi lo salva?”, manca in Beecham 1939, Panizza 1940 e 1941, Sodero 1946, Barbirolli 1953
e Rinaldi 1968. Quest’ultimo pratica anche
una sensibile riduzione (più o meno un dimezzamento) nell’invettiva finale di Amneris che
conclude lo stesso quadro. Un taglio di una
certa consistenza è apportato nel duetto finale
nel quadro secondo dell’atto quarto, nel quale
il coro finale che fa da sfondo alla trenodia di
Amneris è soppresso in Panizza 1940, Sodero
1946, Cleva 1957, Caldwell 1980 e Notev
1991. Un trattamento singolare, che mantiene
le battute orchestrali, ma cancella gli scambi
vocali fra Radamès, Amonasro e Ramfis è abbastanza diffuso nel finale dell’atto terzo: a
partire da “Arresta, insano!” in Molajoli 1928,
De Sabata e Panizza 1937, Beecham 1939, Panizza 1940 e 1941, Pelletier 1943, Sodero
1946, Cooper, Picco e Paoletti 1950, Gui 1951
e 1955, De Fabritiis, Karajan e Melik-Paπaev
1951, Barbirolli e Vaszy 1953, Questa 1956,
Narducci 1958, Sanzogno 1960, Molinari Pradelli 1960 e 1961, Capuana 1961, Schick
1962, Varviso 1964, Rinaldi 1968, Previtali
1969 e 1970, Schippers 1976. La cancellazione
è più limitata, a partire da “Vieni, o figlia!”, in
Rescigno 1962, Fladmoe 1964, Mehta 1966,
Abbado 1972 (4 settembre), Schippers 1976 e
Karajan 1980. È da tener presente che, a seconda delle condizioni di captazione delle matrici originali, la cancellazione può essere determinata dalle caratteristiche della riproduzione anzi che derivare da una omissione
volontaria in sede di esecuzione. Minori mutilazioni possono essere a volte (ma non sempre) dovute a lacune nelle matrici e non a vere
e proprie omissioni: l’assenza dell’introduzione strumentale al quadro secondo dell’atto primo, in Varviso 1964; quella della terza strofa
della Sacerdotessa e delle risposte seconda e
terza del coro dei Sacerdoti, nello stesso quadro, in Beecham 1939 e in Picco 1950; la soppressione della Danza sacra delle Sacerdotesse, sempre nello stesso quadro, in Beecham
1939; la soppressione del coro “Su! del Nilo al
sacro lido”, che fa da sfondo alla parte conclusiva del duetto Amneris-Aida, nel quadro primo dell’atto secondo, in Caldwell 1980; l’assenza del preannuncio della Marcia trionfale e
della prima parte del coro “Gloria all’Egitto,
ad Iside” all’inizio del quadro secondo dello
stesso atto, in Cleva 1953 (mentre in Cleva
1955 manca soltanto il preannuncio della Marcia trionfale, e così in Narducci 1958); la soppressione integrale del Ballabile in Capuana
1953; quella dell’assolo di Amonasro “Anch’io pugnai”, in Cleva 1954; e quella dell’intero “Quest’assisa ch’io vesto”, in Cleva 1955;
l’assenza dell’introduzione strumentale all’atto
terzo, in Narducci 1958; il taglio piuttosto consistente operato nel duetto Amneris-Radamès
nel quadro primo dell’atto quarto, in Panizza
1940; l’omissione della ripetizione dell’inciso
“L’ira umana più non temo”, alla fine dello
stesso duetto, in Fladmoe 1964. Sono curiosità
che non incidono sull’integralità della riproduzione: nell’edizione Kubelík 1955, nel quadro
secondo del primo atto, l’affidamento al coro
femminile, e non al soprano solo, della prima
strofa del canto della Sacerdotessa; nell’edizione Rinaldi 1987, la presenza di due bassi
solisti, uno alla guida del coro di gloria e l’al-
tro del coro “Inni leviamo ad Iside”, nel finale
del secondo quadro del secondo atto; la presenza della voce solista della Sacerdotessa nel
coro “O tu, che sei d’Osiride”, in Schroeder
1952, Krauss 1953 e Schippers 1967, ed invece nel coro “Soccorri, soccorri!”, in Santi 1992
e Attanasi 2002, nel terzo atto.
62
Delle 135 edizioni in dischi di Aida non
mi è stato possibile ascoltarne 29 (un po’ di
meno di un quarto del totale, per l’esattezza il
21,48%). Le quattro ad incisione acustica perché indisponibili (per alcune si dubita addirittura che siano sopravvissute). Le altre 25 perché non facilmente attingibili, vuoi perché da
troppo tempo non più in distribuzione, vuoi
perché disponibili soltanto presso fornitori di
difficile accesso, vuoi perché non ancora messe in commercio benché già annunciate (ed a
volte anche da molto tempo). In ordine di registrazione le 25 edizioni complete di Aida che
non sono riuscito a procurarmi, e quindi ad
ascoltare, almeno al fine della minutazione, sono: Tieri 1951, Montréal 1962, Basile 1965,
Savini 1966 e 1968, Kruger 1967, Bartoletti
1968, Cillario 1975, Gatto e Muti 1977, Franci
1983, Challender 1984, Gardelli 1987, Young
1995, Raffa e Viotti 1997, Campori 1998,
Oren 1999 e 2000, Domingo 1999, Schnitzler
2000, Stefanelli, Luisi, De Billy e Inbal 2001.
Le restanti 106 edizioni “complete” in dischi si dispongono secondo la seguente classificazione in ordine discendente di durata:
158’40” Harnoncourt 2001; 157’30” Karajan
1979; 154’02” Despalj 1974; 153’46” Sodero
1946; 153’45” Schippers 1976; 152’24” Cleva
1957; 152’00” Karajan 1951; 151’15” Maazel
1985-1986; 151’10” Karajan 1980; 151’03”
Paternostro 1998; 150’45” Karajan 1959 e Mata≈i£ 1963; 150’35” Attanasi 2002; 150’30”
Gui 1955; 150’22” Mackerras 1973; 150’07”
Barenboim 1982; 150’03” Fladmoe 1964;
150’00” Varviso 1964; 149’33” Panizza 1940;
149’30” Solti 1961; 149’15” Schippers 1967;
149’09” Muti 1973; 149’00” Previtali 1969 e
Marinov 1970-1971; 148’34” Sanzogno 1960;
148’30” Downes 1968 e García Navarro 1981;
148’15” Sanzogno 1973; 148’13” Renzetti
1988; 148’01” Gergiev 1999; 148’00” Serafin
1953; 147’45” Perlea 1955; 147’41” Fiore
1994; 147’35” Keilberth 1938; 147’15” Capuana 1966 e Morelli 1982; 147’07” Groves
1979; 147’02” Oren 1986; 146’45” Panizza
1937; 146’40” Downes 1994; 146’28” Solti
1963; 146’15” De Fabritiis 1951 e Masini
1974; 146’03” Saccani 1994; 146’00” Votto
1956; 145’51” Panizza 1941; 145’45” Abbado
1972 (10 aprile); 145’30” Serafin 1955 e Levine 1990; 145’08” Kord 1976; 145’00” Picco
1950; 144’45” Schippers 1976; 144’43” Levine 1976; 144’40” Cleva 1971; 144’35” Schmidt Isserstedt 1951; 144’20” Caldwell 1980;
144’19” Kubelík 1955; 144’05” Schröder
1952; 144’00” Muti 1974; 143’55” Krauss
1953; 143’38” Rinaldi 1987; 143’30” Cooper
1950; 143’20” Cleva 1954; 143’15” Leinsdorf
1970; 143’13” Previtali 1970; 142’57” Mehta
1966; 142’56” Cleva 1953; 142’45” Rescigno
1962; 142’38” Cleva 1957; 142’30” Capuana
1961; 142’23” Barbirolli 1953; 142’15” Cleva
e Erede 1952; 142’13” Molinari Pradelli 1961;
141’45” Melik-Paπaev 1951; 141’30” Muti
1979; 141’28” Parry 2001; 141’00” Abbado
1981; 140’47” Santi 1981; 140’39” Santi
1992; 140’35” Capuana 1953; 140’30” Vaszy
1953; 140’15” Mehta 1966; 140’00” Paoletti
1950; 139’45” Serafin 1946; 139’41” Abbado
1972 (4 settembre); 139’23” Cleva 1970;
139’19” Notev 1991; 139’15” Gui 1951;
139’00” Sabajno 1928 e Schick 1962; 138’32”
Cleva 1955; 138’19” Mehta 1966; 137’45”
Pelletier 1943; 137’02” Molinari Pradelli
1960; 137’00” Beecham 1939 e Questa 1956;
136’21” Steinberg 1965; 135’45” Toscanini
1949; 135’00” Molajoli 1928 e Barbini 1958;
134’47” Narducci 1958; 103’15” Cleva 1956;
98’21” De Sabata 1937; 81’32” Rother 1942;
76’17” Gressier 1948.
Per le ragioni che ho già ampiamente illustrato, le ultime 4 edizioni per durata non possono essere prese in considerazione per i confronti. Restano quindi 102 edizioni complete
di Aida in dischi, comprese tra una durata massima di 158’40” e una durata minima di
134’47”. L’escursione è di 23’53”, pari al
15,05% sulla durata massima e al 17,72% sulla
durata minima. Non è un dato eccezionale rispetto alla media delle escursioni delle opere
in disco in generale, anche se in sé e per sé è
piuttosto alto. Ritengo comunque che le notevoli differenze tra esecuzioni diverse dirette da
uno stesso maestro siano la spia di un fenomeno che si può avvertire anche a primo ascolto:
l’esistenza e la persistenza di una tradizione di
piccole cesure, all’interno di singoli episodi o
addirittura di singole frasi musicali, che non
sono documentabili se non con un minuzioso
riscontro con la partitura, quasi battuta per battuta (arduo ad effettuarsi in sede di una discografia così numerosa) ma che possono essere
alla base di differenze sensibili in sede di computo totale.
Delle 135 edizioni in dischi di Aida sin
qui accertate 122 sono nell’originale lingua
italiana. Delle 13 in lingua straniera, 6 sono in
tedesco, 2 in inglese ed una ciascuna nelle lingue russa, ungherese, norvegese, francese e
svedese (queste ultime due in edizioni miste,
cantate parzialmente in italiano).
Un particolare interesse rivestono le 6 edizioni complete di Aida in tedesco, non solo per
il loro numero, che conferma l’esistenza di
un’autonoma tradizione verdiana nei paesi ger-
63
manici, ma anche, e soprattutto, per la loro qualità. Dell’edizione della radio di Berlino del
1942 ho già parlato, perché fino ad oggi essa rimane parzialmente testimoniata in disco. Completa ha finalmente pubblicato la “Preiser Records”, nel 1995, in due dischi compact, la riproduzione dell’Aida trasmessa in lingua
tedesca dalla radio di Stoccarda il 24 aprile
1938. Questa pubblicazione ha dato testimonianza dell’ottimo stato di conservazione delle
48 matrici originali. La riproduzione risulta
chiara e limpida, appena lievemente alonata,
con una leggera tendenza a “spingere” in primo
piano. Cronologicamente, Keilberth è il primo
direttore ad aver lasciato in disco testimonianza
di una concezione d’insieme dell’opera di Verdi. È evidente che il trentenne maestro di Karlsruhe inclina a fondare la sua interpretazione sul
rilievo espressivo del discorso orchestrale, visto come una sorta di antecedente (preparatorio
ed anticipatorio, non sostitutivo, tuttavia, caso
mai corroborativo) degli interventi vocali. Ciò
gli permette di dare il giusto rilievo e l’appropriata collocazione alle scene di massa, con
l’intervento non solo dei cori, ma con la presenza anche delle danze. Keilberth fa un notevole sforzo di ripensamento del discorso musicale verdiano, ricercandone le radici al di fuori
delle tradizioni di palcoscenico, con risultati
sorprendenti, a volte convincenti, altre meno,
ma sempre interessanti, e sempre comunque
frutto di un’intenzione volta ad esaltare la ricchezza espressiva e la capacità espansiva e propulsiva delle cellule melodiche e ritmiche. Una
solennità un po’ ieratica e un rigore un po’
schematico (soprattutto nella scansione dei
concertati, nel “taglio” delle loro “entrate” successive) accentuano le caratteristiche per così
dire “sinfoniche” della direzione di Keilberth,
nella quale la discorsività narrativa prevale sulla rappresentatività gestuale e sentimentale, ma
senza influire sul senso delle situazioni e soprattutto senza intaccare l’architettura drammaturgica dell’insieme, pensata per grandi tratti,
per scene anzi che per numeri, la cui articolata
progressività non esclude tuttavia completamente un certo sospetto di monumentalità. Il
quarantenne tenore danese Helge Rosvaenge,
mattatore incontrastato delle scene liriche tedesche degli anni Trenta e Quaranta, non sembra
molto preoccuparsi delle intenzioni di Keilberth: vocalmente robusto, non ha problemi
tecnici (si veda la perfetta chiusura in acuto
emesso “di testa” nell’aria del primo atto, evento pressoché unico nell’esperienza discografica
di Aida); l’agevolezza e la disinvoltura non
sempre tuttavia si fanno naturalezza e semplicità, e così a volte il Radamès virile ed eroico,
impetuoso ed appassionato di Rosvaenge deborda nell’enfasi, alternando espressioni felici
e notazioni sottili ad arbitrii non facilmente
perdonabili e a tratteggi tirati via alla brava con
generica sbrigatività. Il trentacinquenne soprano renano Margarete Teschemacher (forse più
nota come interprete mozartiana e straussiana)
è un’Aida grandiosamente imponente e incisivamente possente, dalla voce robusta e piena,
calda e forte, dalla declamazione articolatamente spiccata, che tende tuttavia a scambiare
un po’ troppo spesso la passione con l’affanno,
forse per compensare una certa mancanza di
sensualità. Danese è anche la trentacinquenne
Inger Karén, un’Amneris cupa, torva, opprimente, eccessivamente violenta. Unisce alla
forza la grandezza e alla potenza la poesia l’articolato Amonasro del quarantunenne Georg
Hann. La pienezza risonante dell’organo vocale
si accompagna alla chiarezza della declamazione e alla densità dell’espressione nel Ramfis
del trentottenne basso viennese Ludwig Weber.
Efficacemente espositivo è il Re del quarantatreenne Heinrich Hölzlin. La voce scura e cupa
di Helma Panke conferisce un tono di appello
tragico, quasi di urgenza disperata, al canto della Sacerdotessa nel secondo quadro del primo
atto.
Dalla radio di Amburgo provengono le
matrici originali della esecuzione radiofonica
ivi registrata dal 7 all’11 maggio 1951, che risultano anch’esse ben conservate e ben riprodotte nella rilettura digitale della “Omega Opera Archive”. In primo piano è la direzione del
cinquantunenne maestro berlinese Hans Schmidt-Isserstedt, articolatamente discorsiva e al
tempo stesso eloquentemente ampia, fatidica e
solenne, ma non retorica, luminosa nella gloria
e incisiva nello squillo delle sonorità orchestrali, gestuale nella grandiosità cantante (e
non massiccia) della coralità dispiegata, e pur
capace di piegare all’intimità e al raccoglimento, efficace nel lavoro di accorpamento e scioglimento dei concertati, che si gonfiano e si distendono nelle onde di un respiro sinfonicamente improntato. L’insieme predisposto da
Schmidt-Isserstedt agevolmente contiene le
singolarità degli interpreti vocali. Vi si ritrova
il Radamès di un Rosvaenge ormai cinquantatreenne, forse un po’ indurito, ma ancora solido e squillante, ancora a volte un po’ troppo
spinto nella fermezza eroicamente atteggiata,
ma capace di espressioni di angoscia e di passione. Una movimentazione della voce teatralmente assai ben gestita nelle sfumature e nelle
delineazioni delle frasi caratterizza l’Amneris
del quarantasettenne contralto vestfalo Elisabeth Hoengen, cupa e fatale, ma anche ardita e
appassionata, in grado di dominare la scena
dell’invettiva contro i sacerdoti conclusiva del
primo quadro del quarto atto, anche se la mette
a dura prova, quasi ai limiti di una resistenza
vittoriosamente padroneggiata nelle sue capacità di contenimento lineare. Aida è il trentatreenne soprano polacco Hilde Zadek, percorsa
da un’agitazione che non le dà riposo, che tut-
64
tavia non la induce a rotture di un canto che si
mantiene sostenuto ma omogeneo, abile nel
definire l’arcatura delle frasi anche là dove è
più nascosta e sfuggente. Amonasro è il trentacinquenne baritono renano Josef Metternich,
che rinunzia all’enfasi e alla violenza in favore
di un’intimità segreta ma non nascosta, che rivela l’amarezza del vinto piuttosto che esporre
l’aggressività del nemico. Il trentaseenne basso
francone Helmut Fehn è un Ramfis intriso di
saggezza, tutt’altro che vendicativo, ma forse
fin troppo burocraticamente indifferente nel
sostenere l’accusa contro Radamès nella scena
del giudizio. Manca alquanto di slancio il Re
del quarantacinquenne basso palatinato Sigmund Roth. Un po’ troppo saltellante è il Messaggiero di Karl Diekmann. Mi aspettavo sinceramente qualcosa di più in fatto di purezza
vocale dalla fama del quarantunenne soprano
amburghese Margot Guilleaume, Sacerdotessa
dolente e mesta, compresa e partecipe.
Dalla radio dell’Assia fu trasmessa l’8 novembre 1952 l’esecuzione di Aida registrata
nella Scuola superiore di musica di Francoforte, con i complessi della trasmittente locale diretti dal sessantaquattrenne maestro mecklenburghese Kurt Schröder con onesta professionalità ma anche con fin troppo scarso vigore e
una forse eccessiva indifferenza espressiva. La
presenza di maggiore interesse è indubbiamente il Radamès del cinquantunenne tenore renano Max Lorenz, rinomato soprattutto per le sue
interpretazioni wagneriane, delle quali – ed è
forse banale – sembra avvertire un’eco nel suo
Verdi; incisiva e spiccata – a volte fin troppo –
è la declamazione, piuttosto ricercato il fraseggio, che sa tuttavia trovare momenti di flessibilità; del personaggio sono resi non soltanto la
valenza eroica, ma anche lo smarrimento amoroso e l’irresolutezza decisionale: si avverte
tuttavia una certa monotonia nella colorazione
espressiva. Per il resto della compagnia di canto, vi è un’assoluta predominanza di artisti berlinesi: la cinquantenne Margarete Klose torna
nel personaggio di Amneris già inciso nel
1942; il personaggio è maturato in sottigliezza
psicologica ed è esposto con precisione di accentazioni e di scansioni; è una Amneris ben
conscia della propria sensualità, ma non dimentica del proprio rango, e pur tuttavia disposta ad andare fino in fondo (quasi) nel giocare
la partita del proprio amore per Radamès; la
voce ha calore e densità ed è suscettibile di
sfumature anche assai delicate o finemente insinuanti; non le manca la dimensione dell’imperiosità e del comando; è nel primo quadro
del quarto atto che Margarete Klose può dispiegare pienamente tutte le caratteristiche e le
qualità del personaggio, con vivezza e intensità di partecipazione: l’appassionamento amoroso, la persuasività insinuante, il rimprovero
larvato, l’appello angosciato, la disperazione
impotente (e sia chiaro che Max Lorenz le è
accanto in condizioni di parità), e poi la riflessione intrisa di inutile rimprovero, infine l’invettiva carica di dolore e di sdegnata condanna
della pagina finale del quadro, tanto più possente ed efficace quanto più è formalmente e
fraseologicamente contenuta (tanto da riuscire
a superare lo handicap della sbiadita conduzione orchestrale di Schröder). Il trentottenne basso Otto Von Rohr è un Ramfis composto e circostanziato, pieno di cautele, ma anche severamente appassionato per il benessere del
proprio popolo, molto giocato sulla plasticità
della declamazione, tuttavia con qualche difficoltà nelle zone più acute, mentre i medi sono
pastosi e rotondi e i gravi fondi senza cavernosità. Il quarantottenne baritono Rudolf Gonszar
evita gli eccessi furoreggianti da cui troppo
spesso viene afflitto il personaggio di Amonasro: nella sua imperiosità è più autorità che
violenza; ciò gli consente di essere convincente nelle perorazioni per l’altrui misericordia
(nel secondo atto) e nelle esortazioni all’amor
patrio (nel terzo atto); molto lo agevola la precisa chiarezza della dizione. Per il ventottenne
contralto Christa Ludwig (ancora legata all’Opera di Francoforte e alla vigilia dell’inizio
della carriera internazionale) la Sacerdotessa
di Aida è una sorta di secondo “debutto” fuori
sede, che permette di mettere in luce soprattutto le doti di una voce chiara e luminosa nell’acuto, fermamente basata sulla solidità di un
medio caldo e soffice (che può apprezzarsi anche nel coro con cui inizia il terzo atto). Slesiano è il soprano quarantaseenne Annelies Kupper, Aida fin troppo drammatizzata nell’espressione, dotata di vocalità vigorosa e
fortemente accentuativa, spiccata fino a farsi a
volte balzante, ma non restia a piegare – quando occorra – alla continuità di un fraseggio
plasticamente disteso nell’esposizione e non
privo di sfumature. È un’Aida un po’ troppo
corriva ad una certa irosa aggressività ed anche – forse – troppo facilmente disponibile a
ripiegare in subitaneo sconforto e in sconsolato
abbandono, in una sorta di doloroso autocompiacimento. Alle propensioni interpretative
corrisponde la natura della voce, né grossa né
spessa, ma non per questo priva di densità, e
tuttavia tendente ad assottigliarsi – senza peraltro indurirsi – se sottoposta ad un eccesso di
pressione (effetto particolarmente avvertibile
nel duetto finale dell’opera). Danese è il basso
trentanovenne Aage Poulsen, Re seriamente
investito delle proprie funzioni, senza eccessi
di pompeggiante magniloquenza, ma anzi con
una vena di comprensiva umanità. Abbastanza
impari al compito di spronare alla guerra appare il Messaggiero alquanto sgradevolmente nasalizzante del tenore Hans-Bert Dick.
Dalla Radio bavarese proviene la registrazione effettuata nel mese di settembre del 1953
65
a Monaco con i complessi della locale trasmittente. Dirige Clemens Krauss (ed è una delle
ultime testimonianze che ci ha lasciato prima
della morte prematura a Città del Messico, il 16
maggio 1954). Il protagonista di questa quinta
delle sei edizioni in disco in lingua tedesca di
Aida è proprio il sessantenne maestro viennese
che dell’opera di Verdi dà una lettura limpidamente chiarificata nello strumentale, molto rattenuta nelle passioni e negli entusiasmi, ma ricca di suggestioni gestuali, grazie alla cura del
disegno fraseologico, massicciamente terrazzata nella coralità, una direzione forse più sinfonica che teatrale, che a volte sembra smarrirsi
nell’evasione melodica, ma in realtà se ne compiace. Radamès è il cinquantatreenne tenore
sloveno Josip Gosti£, voce di timbro metallico,
interpretazione non molto appassionata, con
reazioni più di sgomento e di stupefazione che
di sdegno e di disperazione, con qualche indulgenza alla lamentosità. Aida è il ventisettenne
soprano della Louisiana Lenora Lafayette,
un’Aida alquanto acida e arcigna, cantata per lo
più in una tensione irta e ispida, non priva di
slancio e con capacità di qualche flessione
emotiva: la voce non può non risentire tuttavia
di un trattamento piuttosto ingrato. Amneris è il
quarantenne mezzosoprano praghese Georgina
Von Milinkovi£: e debbo riconoscere di essere
stato favorevolmente sorpreso da una interpretazione sensibile a sfumature di delicatezza, di
sensualità, come anche di ipocrita falsità, di accattivante persuasione, estranea a ogni spinta
esteriorizzante in favore di una interiorizzazione che la vieta il necessario dominio della situazione nell’invettiva finale del quadro primo
dell’atto quarto. Il quarantasettenne baritono
assiano Ferdinand Frantz è un Amonasro minaccioso ma non furibondo. Il coetaneo basso
vurtemberghese Gottlob Frick ha bella voce, di
ottima grana, pienamente idonea a un Ramfis
cantato con le giuste dosi di solennità e di
preoccupazione. Appena ventiquattrenne, il
viennese Walter Berry canta con relativo impegno la parte del Re. Compare anche nel coro
iniziale del terzo atto il ventottenne soprano
monacense Elisabeth Lindermeier, Sacerdotessa vocalmente limpida pur nella sua ieratica
immobilità. Il quarantanovenne tenore svevo
Karl Ostertag dà prova di pensare, e non soltanto di cantare, il personaggio del Messaggiero.
Dopo cinque edizioni derivanti da trasmissioni radiofoniche, la sesta edizione di Aida in lingua tedesca proviene dalla ripresa dal
vivo di una rappresentazione teatrale, quella
del 10 maggio 1955 all’Opera di Stato di Vienna. La diversa origine si ripercuote nella qualità della registrazione, intubata e riverberante,
a volte rimbombante, con sonorità non di rado
granulose, con effetti di distorsione e di slittamento, che penalizzano soprattutto le scene di
massa, le pagine corali ed orchestrali, a disca-
pito della resa dell’ottima direzione del quarantunenne maestro boemo Rafael Kubelík,
che non solo ha ben chiara la visione d’insieme dell’opera, ma è anche attento alle singole
caratterizzazioni, con momenti ricchi di umore
(la sfacciataggine intrigante dei moretti nella
danza nel primo quadro del secondo atto o la
petulanza quasi provocatoria, e comunque frizzante, del Ballabile nel secondo quadro dello
stesso atto) o di magia (il gioco dei timbri vocali fra soprano solo, coro maschile e coro
femminile all’inizio del secondo quadro del
primo atto). Da sottolineare come ulteriore apporto positivo all’interpretazione dell’opera da
parte della direzione è la funzione decisamente
attiva che Kubelík assegna agli interventi corali, articolatamente dinamizzati e non immobilizzati in blocchi massicci. Accanto a Kubelík
l’edizione in lingua tedesca del 1955 ha un’altra protagonista, ed è l’Aida del ventottenne
soprano viennese Leonie Rysanek; un giusto
equilibrio emotivo tra dramma e passione si
avvale di una voce plasticamente addensata,
dagli straordinari affondi nel grave, ed omogenea nel dispiegarsi del medio e dell’acuto; è
un’Aida che dolorosamente fronteggia il dissidio fra l’innata fierezza e la gratificazione dell’amore che la pervade, e ne vive la tragedia
con intensa e penetrante dignità, raccolta spesso in una intimità di sentire che tocca con discrezione le corde segrete dell’animo (si osservi come la Rysanek situi i tre momenti cruciali
del personaggio, il grande monologo del primo
quadro del primo atto, l’altro grande monologo
del terzo atto e il duetto conclusivo dell’opera
– nel quale l’Aida della Rysanek è con tutta
chiarezza l’elemento portante – lungo la perigliosa ed affascinante strada che va dalla ribellione all’accettazione, delle tappe di questa
progressione facendo la chiave di lettura non
solo del personaggio, ma dell’intera opera,
senza mai cedere alle tentazioni della prevaricazione divistica). Amneris è il trentaseenne
contralto dell’Illinois Jean Madeira, che ha tutta la voce necessaria al tratteggio a tutto tondo
di un personaggio fosco e cupo, che esplode
possente nella sua umana verità nel primo quadro del quarto atto (anche se forse approfitta
perfino un po’ troppo delle proprie risorse vocali nell’invettiva contro i sacerdoti). Robusto
e solido, ma piuttosto monocorde, ancorché
non del tutto privo di slanci di passione, è il
Radamès del trentanovenne tenore di Norimberga Hans Hopf. Una espressione contenuta
ma appassionata di dignità e di fierezza rende
vivo, proprio in quanto evita ogni eccesso di
esaltato invasamento, l’Amonasro del trentaseenne baritono canadese George London. Ritorna il Ramfis saggio e avveduto, severo e
inesorabile, ma non impietoso, ed anzi con spiragli di commossa umanità, di un Gottlob
Frick ora quarantanovenne. Non emerge per
66
personalizzazione individualizzante il corretto
Re d’Egitto del trentunenne basso austriaco
Oskar Czerwenka. Delude il Messaggiero terrorizzato e privo di spontaneità nell’appello alla guerra del quarantottenne tenore viennese
Erich Majkut.
Al 1951 data Mario Vicentini (in “Studi
Verdiani” del 1982) la registrazione di Aida in
lingua russa (che la numerazione cronologica
del catalogo “Melodija” colloca al 1953 come
anno di pubblicazione). L’opera di Verdi è diretta dal quarantacinquenne maestro georgiano
Aleksandr Melik-Paπaev con precisa misura
delle prospettive strutturali del dramma, per
cui i tempi vengono via via stretti man mano
che le vicende si svolgono, da un primo atto il
cui battito ha un’inconsueta ampiezza di respiro, pacata proposizione di situazioni, di caratteri, di ambienti, a un terzo e quarto atto incalzanti, scanditi con fervore ma non con precipitazione, in un serrato annodarsi verso una
conclusione le cui premesse sono ormai tutte
poste, inesorabilmente logica nella sua consequenzialità, e quindi insofferente di ogni distraente indugio altrettanto quanto all’inizio
aveva ricercato ogni possibilità di sosta e curato ogni particolare per dare il massimo di dimensione alla descrizione (collocativa, ai fini
sia dei rapporti con l’esterno sia dei rapporti
interni) e di espressione alla delineazione (sentimentale e psicologica), anche a costo di una
certa mancanza di incisività nella spinta dinamica. Si ha l’impressione all’ascolto che per
Melik-Paπaev il centro drammatico ed espressivo dell’opera sia nel terzo atto, anzi, forse,
più precisamente in un blocco unitario costituito dal secondo quadro del secondo atto e dal
terzo atto, nel quale il primo è il risvolto corale
del nodo situazionale del secondo, l’ambiente,
la cornice in cui questo matura. È come se Melik-Paπaev mettesse in ombra il personaggio di
Amneris, abbassando per così dire il livello di
intensità della sua presenza, con una relativizzazione (funzionale a quel blocco centrale) dei
due quadri (il primo del secondo atto e il primo del quarto atto) nei quali la figlia del Faraone è protagonista (e co-protagonista): ma a
questo potrebbe anche essere stato indotto dal
fatto che l’interprete del personaggio di Amneris, il quarantaquattrenne contralto di NiΩnij
Novgorod Vera Davydova è, in contraddizione
con una fama indubbiamente ampiamente meritata, l’unico elemento insoddisfacente della
compagnia di canto a sua disposizione, soprattutto per la natura della voce, dura, aspra, come coperta da un velo di polverosa opacità,
mentre l’interprete ha temperamento drammatico, impatto, comando (forse fin troppo: è una
passione che non conosce l’intimità). Il trentanovenne soprano ucraino Natal’ja Sokolova ha
una voce curiosamente “divisa”: brunita nel
grave, luminosa nel medio, si fa aspra e metal-
lica in acuto, dove accusa anche la presenza di
un lieve vibrato; ne derivano curiosi effetti di
mutazioni di colore, non brusche tuttavia, anche se piuttosto nette, come se il suo canto fosse “a zone”: ne risente soprattutto quando la
voce è sottoposta a tensione o a sforzo: in certi
momenti si ha addirittura l’impressione che
l’interprete abbia due modi diversi, quasi opposti, di impostare ed emettere la voce; interpretativamente l’Aida della Solokova è molto
intensa, piena di una passione che investe di
fervore anche i momenti della nostalgia e dell’abbandono, in una concezione attiva del personaggio, sentimentalmente contrastata, ma
volitivamente decisa. Energia, vigore, forza di
persuasione caratterizzano l’intenso Amonasro
del trentanovenne baritono osseto Pavel Lisician, cantato con bella voce piena e rotonda, di
robusto e caldo timbro, e disegnato come un
eroe positivo, appassionato difensore della
propria patria e della propria gente, con varietà
e ricchezza di sfumature psicologiche e con
creativa capacità di immagini, con una incisività che non cede mai alle tentazioni della retorica e dell’esuberanza. Un Ramfis sontuoso,
nel mistero della imponente presenza e nell’espansiva pienezza del canto, è il trentunenne
basso siberiano Ivan Petrov. Una nobiltà pensierosa, una saggezza melanconica rendono
espressivamente partecipata l’interpretazione
del Re da parte del basso Igor’ Mikhajlov. Ma
il vero protagonista vocale di questa edizione
russa di Aida è, a mio parere, il quarantasettenne tenore ucraino Georgij Nelepp. La voce è
assai bella, per timbro e colore, robusta e salda
e al tempo stesso soffice e duttile; l’emissione
è luminosa ed omogenea, il fraseggio unisce la
morbidezza all’incisività, l’estensione copre la
tessitura con disinvolta naturalezza, senza che
vi sia mai in alcun momento la necessità non
dico di una rottura, ma di una scopertura, la
voce resta sempre perfettamente contenuta anche nei momenti di estrema tensione. Nelepp
non gioca il suo Radamès sull’eroismo, sulla
valentia, sull’atletismo. Il Radamès del tenore
di Bobrujka è pieno di dolcezze, di sfumature
di levità, di sottili incanti ed abbandoni. Ciò
non vuol dire certo che manchi di fierezza, di
ardimento, di passione. Ma anche questi lati
del carattere sono visti piuttosto nella loro interna motivazione che nella loro esteriore
estrinsecazione. Il Radamès di Nelepp è sempre assorto in un sogno, di gloria o d’amore.
Vive come separato dalla realtà, ma non è né
astratto né succube. Il proprio sogno difende
con decisione e fermezza. Il suo è il dramma di
una volontà che non riesce a piegare la realtà.
Senza che ciò lo induca a furori ed escandescenze, ché invece ne affina la sensibilità, la
tenerezza amorosa, la romantica tensione verso
la morte come liberazione e compimento. La
consapevolezza dell’inutilità della lotta, della
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vita stessa, non lo induce a cedimenti, lo
rafforza invece nella passione della propria volontà, con un sorta di serena melanconia, di
commossa austerità, che si nutrono di certezze,
non di rinuncie. Stupendamente cantato e mirabilmente interpretato, con variata ricchezza
di sfumature psicologiche ed espressive, il Radamès di Georgij Nelepp è la realizzazione cosciente e pienamente riuscita di un personaggio tipicamente romantico. È da tener presente,
tanto per fugare un dubbio che a qualcuno potrebbe venire, che nell’interpretazione di questa Aida non v’è nessuna russificazione, nel
senso dello stile o della lettura. La pronunzia
della lingua russa non fa aggio sulla dizione e
sull’articolazione della frase musicale, che resta tipicamente verdiana, in tutto e per tutto.
L’esecuzione orchestrale e corale è di alto livello: i cori in specie sono uno strumento
espressivo di rara ricchezza e duttilità. La registrazione ha una decisa preferenza per i primi
piani, ma alla robustezza del rilievo non sempre corrisponde la consistenza dell’ambientazione, sì che non mancano fenomeni di indurimento e di incrudimento della riproduzione del
suono (e neanche casi di riverberazione o di
compressione).
La registrazione di Aida della radio ungherese del novembre 1953, cantata nella lingua
nazionale, ha il suo punto di interesse nell’Amonasro del quarantanovenne baritono budapestino Sándor Svéd, la cui carriera internazionale in pieno sviluppo fu brutalmente interrotta
dallo scoppio della seconda guerra mondiale
(cantò anche in Italia sotto il nome di Alessandro De Sved). Di fama non limitata alla patria
ha goduto il concittadino tenore József Simándy, al momento trentasettenne, cui è affidato il
personaggio di Radamès.
Problemi non risolti presenta la registrazione in lingua norvegese, ripresa dal vivo di
una rappresentazione dell’Opera di Oslo, che
l’editore afferma essere quella del 24 ottobre
1964. In effetti in quella data Aida fu rappresentata alla “Norske Opera”, ma le informazioni fornite dal teatro non corrispondono esattamente a quelle fornite dall’editore per quel che
riguarda la compagnia di canto. Tuttavia, alla
domanda se alla compagnia di canto indicata
dalla “Legato” corrispondesse data diversa da
quella del 24 ottobre, non mi è riuscito di ottenere risposta. Non vi è discordanza sul nome
del direttore e quindi posso tranquillamente attribuire ad Arvin Fladmoe il merito di una conduzione discorsivamente conversativa (ci se ne
accorge nella scioltezza dei concertati), forse
un po’ troppo incline a immobilizzarsi in contemplazioni misteriche o in sperdimenti sgomenti o in ieratiche immobilità, forse un po’
carente di passione e di entusiasmo. Amonasro
fu proprio nel 1984 all’Opera di Oslo il ruolo
di debutto del ventiseenne Knut Skram, barito-
no di bella voce esposta con contenutezza di linea, fors’anche con un certo ritegno espressivo. Una felice propensione per notazioni di
raffinato colore vocale non basta a restituire al
personaggio di Amneris lo slancio, il fuoco e
l’imperiosità che mancano al trentacinquenne
mezzosoprano Mirjana Dancuo: in effetti soprano che solo assai di rado ha tentato escursioni nel registro di mezzo soprano, la voce
della Dancuo non ha la corposità, la densità, il
peso che richiede il personaggio della principessa egiziana. Presenza notevole è quella dell’interprete di Aida, che cura con coerenza il
disegno di un personaggio che si raccoglie volentieri nella propria interiorità. Non sempre è
a proprio agio con la tessitura il tenore che impersona Radamès. Una propensione baritonale
rende agile ed espressivo il Ramfis del trentunenne Almar Heggen. La continuità della riproduzione sonora è messa in forse dalla frequente ripetizione di veri e propri “inciampi”,
che rendono l’ascolto piuttosto sussultante.
È cantata quasi completamente in svedese
l’Aida rappresentata il 7 maggio 1966 al Teatro reale dell’opera di Stoccolma, nel senso
che un solo personaggio, quello eponimo, è
cantato in italiano, dal quarantasettenne soprano svedese Birgit Nilsson. In effetti la compagnia di canto è interamente svedese, con una
sola eccezione, il trentacinquenne tenore
Kolbjörn Höiseth, che è norvegese. Italiano è
il direttore, il sessantaduenne maestro faentino
Ino Savini. La ripresa dal vivo di Stoccolma è
una delle ultime in assoluto che siano state
messe in distribuzione. L’ho ordinata al produttore ma non l’ho ricevuta. La conosco quindi solo nella selezione che è contenuta nel prezioso e splendido cofanetto che il figlio di Ino
Savini ha dedicato al padre. L’Aida di Birgit
Nilsson è conosciuta in altre tre edizioni in dischi; posso tranquillamente attestare che il soprano svedese è presente nelle migliori condizioni di forma vocale e interpretativa: una
grande Aida, drammaticamente sottolineata,
mossa da un’agitazione emotiva variata nelle
sensazioni ed estremamente ricca nelle notazioni espressive, squillante e lucente negli acuti, densa e piena nei medi e nei gravi, una raffigurazione che dà vita intera al personaggio, ma
lo contiene in una rappresentazione che non
esorbita mai in gesticolazioni tumultuose.
Kolbjörn Höiseth appare come un Radamès
fermo e deciso, ardito e determinato, ma assai
composto nell’esposizione lineare e ben articolato nella dizione, pur nella sempre conservata
stabilità dell’emissione. Imponente e possente,
l’Amneris della trentaseenne Barbro Ericson si
avvale di una voce scura e fonda, che s’inabissa in cupe introversioni (a volte forse con maggiore compiacimento del necessario), ma ha
anche la capacità di mantenere plasticità di dizione nella fatigante scena dell’invvettiva con-
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tro i sacerdoti. Saldo e sicuro è l’autoritario
Ramfis del trentottenne Arne Tyrén. Una notevole impressione ho tratto dall’Amonasro del
trentaquattrenne Rolf Jupither, baritono di bella voce, pastosa e flessibile, interprete di notevole profondità nella caratterizzazione umana
dello sconfitto che cerca non vendetta ma riscatto. Larga e spaziosa appare la direzione di
Ino Savini, ma non è possibile avere idea della
conduzione complessiva di un’opera da una
selezione che ne privilegia decisamente le pagine solistiche.
Da una rappresentazione londinese della
“English National Opera” del 16 ottobre 1979 è
tratta la prima delle due edizioni in dischi cantate in inglese. Come è noto, principio istituzionale della “English National Opera” è che tutte
le opere ivi rappresentate debbano essere cantate in inglese, quale che sia la loro lingua originale. La direzione è del sessantaquattrenne
maestro londinese Charles Groves. Lento e pesante, Groves non ha né spinta né impulso e resta fiaccamente inerte di fronte agli accadimenti; sembra avere un partito preso contro le danze, perché quella delle sacerdotesse risulta
goffa e sgraziata, quella dei moretti priva di carattere e di allegria, il Ballabile rigido e compassato. Il cinquantunenne tenore del Lancashire Tom Swift non ha i mezzi per padroneggiare
pienamente il personaggio di Radamès, che gli
dà non poche preoccupazioni (e non solo d’ordine vocale). Molto riuscita è la raffigurazione
del personaggio di Amonasro da parte del quarantacinquenne baritono del Surrey Neil Howlett: nel secondo atto cupo ed amaro, e tuttavia
non domo, orgoglioso e ammonitorio; nel terzo
atto visivamente immaginoso, con sobrietà che
non indulge a caricate esasperazioni. Tendenza
al cavernoso ha il Ramfis del trentatreenne basso del Lancashire John Tomlinson. Non ha sufficiente autorità il Re nasalizzante del cinquantaquattrenne basso scozzese Harold Blackburn.
Un canto spiccato, a volte un po’ troppo spinto
(con qualche esito di velatura nell’emissione),
ma con varietà di espressioni, dall’agitato al
raccolto, dall’aggressivo all’implorante, fino
all’astrazione disumanizzata del duetto finale,
caratterizza l’Aida del trentanovenne soprano
dello Yorkshire Josephine Barstow. Dal Sud
Africa viene l’Amneris della trentaduenne Elizabeth Connell, cui l’ottimo controllo dei propri mezzi vocali consente di affrontare senza
pericoli di dispersione una gamma assai variegata di notazioni espressive, dalla gioia quasi
infantile dell’innamorata in attesa (all’inizio del
secondo atto) all’empito orgoglioso della donna gelosa che difende il proprio amore (nella
seconda parte del duetto con Aida), dall’impetuoso protagonismo dell’inizio del quarto atto
al ripiegamento funereo nella presa di coscienza della situazione, dall’appello disperato e vano al rimorso avvilito e quasi sfinito, al tragico
insorgere, conscio della propria inutilità ed impotenza, della violenza dell’invettiva contro i
sacerdoti (in cui sembra voler sbranare, addentandole, le parole). La internazionalità anglofona della compagnia di canto è completata dal
Messaggiero del ventinovenne tenore canadese
Alan Woodrow e dalla Sacerdotessa del soprano del Cheshire Angela Bostock.
La seconda Aida in lingua inglese è stata
registrata in studio, a Londra, nei “Blackheath
Halls”, tra il 23 e il 28 aprile 2001, dalla
“Chandos”. È una delle opere di repertorio registrate in inglese sotto gli auspici della Fondazione Peter Moores, che ha messo insieme
negli anni a cavallo fra il XX e XXI secolo un
cospicuo catalogo e che continua nella sua
azione piena di meriti per la causa della sopravvivenza del teatro musicale. Non mi sembra però che Aida sia il più riuscito dei titoli di
questo catalogo. Forse il quarantunenne soprano di Lincoln Jane Eaglen non è stata la scelta
più felice per il personaggio eponimo, troppo
enfatizzato nell’interpretazione e troppo compresso nell’emissione vocale, tagliente in acuto, ma spesso collosa, non di rado velata, una
Aida affannata ma emotivamente non partecipe, e piuttosto scarsa di immaginazione. Circospetta e circostanziata è l’Amneris della cinquantunenne Rosalind Plowright, che arriva al
personaggio dopo una lunga e onorata carriera
di soprano. Alla Plowright non mancano né
l’impegno né l’appassionamento del personaggio né la cura del fraseggio, ma la tensione
dell’invettiva contro i sacerdoti è al di sopra
delle sue possibilità fisiche e ciò la costringe a
forzare e a stridere. Il cinquantatreenne tenore
gallese Dennis O’Neill è un Radamès irruente,
concitato, altisonante, ma non enfaticamente
eroico, ed anzi piuttosto incline a una certa lamentosità; la natura della voce è aspra, dura e
legnosa, ma l’artista riesce in genere a fletterla, anche in leggerezza, senza tuttavia renderla
addirittura morbida, e comunque la impiega
con incisività di scansione. Il trentanovenne
basso del Middlesex Alastair Miles è un Ramfis deciso, fermo, intimativo: è un vero peccato
che i tecnici lo abbiano circondato di un alone
di fittizia risonanza nella scena del giudizio di
Radamès. nel primo quadro del quarto atto. Il
coetaneo basso gallese Peter Rose è un re d’Egitto solenne con paterna semplicità ed espositiva chiarezza. Il quarantanovenne baritono australiano Gregory Yurisch è un Amonasro efficacemente evocativo, sia nel ricordo del
passato sia nell’auspicio del futuro. Al direttore, David Parry, non riesco a perdonare di aver
rimesso in uso la vecchia abitudine di dimezzare il Ballabile del secondo atto (in una registrazione in studio, poi, dove non possono essere accampate ragioni di convenienza teatrale!). La sua direzione è di andamento svelto,
animata da empiti improvvisi e risoluti (non
sempre ben graduati nel formarsi e nel dissolversi, ma in genere bruschi e subitanei). Concertati e cori sono condotti con meccanicità ripetitiva. Le danze hanno invece un gradito sapore di balletto ≈ajkovskijano (il che fa ancora
maggiormente rimpiangere il dimezzamento
del Ballabile).
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Diciannove dischi a 78 giri di velocità di
rotazione, tutti da 30 cm. di diametro, comprende la prima incisione elettrica di Aida, realizzata in studio a Milano da “La Voce del Padrone” dal 5 al 17 ottobre 1928 ancora sotto la
direzione di Carlo Sabajno. Questa prima incisione elettrica è stata assai opportunamente riversata in tre dischi microsolco lunga durata a
33 giri di velocità di rotazione dalla “EMI”, in
una riuscita “ricostruzione tecnica” londinese
del maggio 1974. A questa prima rilettura in
monofonia, ne sono seguite molte altre, di diverse case fonografiche, in due dischi digitali a
lettura ottica a mezzo raggio laser (compact discs). Riversamenti e riletture dimostrano con
tutta evidenza (e direi il riversamento in modo
più consono e puntuale) come l’incisione originale fosse di buona qualità (superiore al livello medio dell’epoca) e soprattutto particolarmente felice nel cogliere il timbro della voce di Aureliano Pertile. Ed è buona ventura:
ché l’interpretazione del personaggio di Radamès da parte del tenore di Montagnana è ancor oggi un esemplare punto di riferimento,
per la plasticità del fraseggio e l’intensità del
canto, di una modellatura che sembra nascere
direttamente dall’emozione, anzi insieme con
essa. Virilmente appassionato, il Radamès di
Pertile è più uomo che eroe, ed ha quindi toccanti risvolti sentimentali, felici slanci emotivi;
è insomma un personaggio che ha una vita e
una vitalità che si plasmano nel corso delle vicende, con ricchezza e varietà di reazioni, e
non è per nulla codificato in una tipeggiatura
precostituita e monocorde. Accanto al Radamès del quarantaduenne Pertile va posta
l’Amneris del trentaseenne mezzosoprano romagnolo (di Lugo) Irene Minghini-Cattaneo,
che testimonia non solo la bellezza e la duttilità di una voce (stupendamente “aperta”, in
senso lirico, verso l’acuto, ed invece “chiusa”,
in senso drammatico, verso il grave), ma l’intelligenza di una interpretazione che perfettamente l’adatta all’espressione del testo (ed ancor qui nel senso di un’umanità violenta e appassionata, che evita ogni insistenza troppo
accentuata su una “cattiveria” che una certa
tradizione ha spinto ai limiti dell’esagerazione,
per non dire della caricatura). Malgrado i valori stilistici ed espressivi, a me sembra leggermente inferiore a quelle del Pertile e della
Minghini Cattaneo l’interpretazione di Aida da
parte del ventisettenne soprano italo-americano (di Filadelfia) Dusolina Giannini (che pure
ha momenti di straordinario pathos e di notevole bellezza vocale, soprattutto nelle zone
medie, di filata omogeneità, di lieve fluenza e
di limpida luminosità). Un Amonasro giovane,
fresco, appassionato, disegna con voce chiara e
distinta, bene impostata e linearmente articolata, il trentaquattrenne baritono siciliano Giovanni Inghilleri. Afflitto da un fastidioso e insistente vibrato, il basso quarantottenne Luigi
Manfrini (alla vigilia di una morte precoce che
lo coglie a Milano in età di appena cinquantuno anni) non riesce a conferire grandiosità e
potenza al personaggio di Ramfis, anche se
non manca di dignità e di nobiltà. Incisivo il
Messaggiero del quarantenne tenore bergamasco Giuseppe Nessi, scialbo e opaco il Re di
Guglielmo Masini. La direzione del cinquantaquattrenne Carlo Sabajno non manca di nerbo
e di solidità e non si limita ad accompagnare le
voci, ma le inquadra in un respiro d’assieme
che ha ampiezza e solennità e soprattutto assicura alla lettura dell’opera chiarezza d’articolazione e di dizione. Il riporto in microsolco
curiosamente è più favorevole all’orchestra
che alle voci: è una propensione di cui purtroppo risente soprattutto nel timbro e nel colore la
voce di Irene Minghini Cattaneo.
Non dall’erede della casa editrice originale, ma dalla bolognese “Bongiovanni” è stata
riportata in 5 facciate di 3 dischi microsolco
lunga durata 33 giri l’edizione “Columbia”, incisa anch’essa a Milano in studio nel 1928, ma
nel mese di novembre, ed originariamente pubblicata in diciotto dischi a 78 giri di velocità di
rotazione, tutti da 30 cm., nel maggio 1929,
nell’ambito della serie di opere complete dirette da Lorenzo Molajoli. L’interesse maggiore si
accentra nella presenza del trentasettenne soprano napoletano Giannina Arangi Lombardi,
un’Aida cantata con plastico impegno drammatico ma anche con fluente vocalità: alla declamazione chiara ed incisiva, ma senza alcuna
forzatura, fa riscontro la luminosità di uno slancio di canto privo di esagerazioni, ed anzi discretamente raccolto in un’intensità che mira a
conseguire il risultato espressivo dall’interno,
nell’omogeneità dell’emissione e nello sfumare
del colore, senza esteriori interventi di accentuazione e di sottolineatura. Ne deriva un’Aida
ricca di chiaroscuri, luci ed ombre, che ne arricchiscono i risvolti sentimentali e psicologici,
alla calda densità delle espansioni accoratamente appellanti accompagnandosi la nostalgia
lievemente velata di una memoria che fonde
nell’immaginazione passato e futuro, rimpianto
e desiderio, tenerezza ed angoscia, alla cupezza
fosca e disperata di una sensazione di tragedia
l’ingenuità fresca di una intatta capacità di meraviglia e di stupefazione. Tecnicamente padrona della propria voce, Giannina Arangi Lombardi fonda il disegno del personaggio sulla
modellatura del fraseggio, sì che la luminosità
70
del canto (a volte magicamente assorto come a
difendere la delicatezza e il pudore dei propri
sentimenti, senza tuttavia nasconderli) appare
espansione diretta e naturale del personaggio,
appassionato ma incline a una meditativa pensosità, slanci e speranze come oscurati da una
sorta di incredulità. Con quest’Aida di stile fortemente contrasta l’Amneris furibonda e violenta del trentasettenne contralto marchigiano
Maria Capuana, che gioca le corde della perfidia e della crudeltà ma anche quelle della passione senza risparmio di mezzi, con un’indulgenza per la platealità un po’ volgare degli effetti spettacolari alla quale non sono
probabilmente estranei problemi di fiato. Robusto e fiero, deciso e franco, semplice e diretto,
il Radamès del quarantenne Aroldo Lindi (in
realtà lo svedese Arnold Lindfors) deve tuttavia
fare i conti con una natura vocale troppo crudamente metallica e vibrante e con un’indole interpretativa troppo poco incline ai turbamenti e
alle emozioni, con risultati a volte perlomeno
singolari in fatto di accentazione e di respirazione delle frasi. Il Ramfis profetico e saggio,
ma anche accorato e paterno, del trentaseenne
basso torinese Tancredi Pasero, l’Amonasro ardito e robusto, ma anche convincente e persuasivo, del trentaquattrenne baritono fiorentino
Armando Borgioli, il Re espressivamente semplice e vitalmente animato del ventottenne basso romano Salvatore Baccaloni compongono
un terzetto di voci gravi veramente possente.
La direzione del sessantunenne maestro romano Lorenzo Molajoli è grezza e inerte, senza
energia e senza fantasia, e non sempre riesce a
tenere in pugno l’insieme. Nei colori e negli
impasti degli interventi corali si avverte tuttavia la mano maestra di Vittore Veneziani. Il riporto in microsolco è avvenuto nel massimo rispetto delle caratteristiche delle incisioni originali: se è così rimasto percepibile un certo
fruscio di fondo e se sono talvolta avvertibili
differenze di livello fra l’una e l’altra delle
trentasei facciate originarie, la riproduzione
delle voci risulta mantenuta al massimo grado
di fedeltà e altrettanto va detto per le proporzioni e i rapporti di relazione, con risultati di
distintiva chiarezza nella percezione auditiva,
non disturbata da effetti di alonamento o di risonanza. La rilettura digitale in due dischi compact è stata anch’essa opera di case fonografiche diverse dall’originale “Columbia”.
Dalle registrazioni radiofoniche delle pubbliche rappresentazioni di Aida al “Metropolitan” di New York del 6 febbraio 1937, del 19
gennaio 1940 e del 22 marzo 1941 sono tratte
le tre edizioni in disco pubblicate in rilettura
digitale in due dischi compact, rispettivamente
dalla “Melodram”, dalla “Omega Opera Archive” e dalla “Walhall Records” (grazie agli originali conservati negli “Archives of Metropolitan Opera Broadcasts” di cui ho già ampia-
mente parlato). Comune alle tre rappresentazioni è non soltanto il direttore, Ettore Panizza,
ma anche l’interprete del personaggio di Amneris, Bruna Castagna. Il Radamès di Giovanni
Martinelli e il Ramfis di Ezio Pinza compaiono nelle due rappresentazioni del 1937 e del
1941, la Sacerdotessa di Thelma Votipka nel
1937 e nel 1940, l’Amonasro di Leonard Warren e il Messaggiero di Lodovico Oliviero nel
1940 e nel 1941. Queste tre riprese dal vivo
sono le più antiche rimaste a testimoniare la
tradizione esecutiva del “Metropolitan” di
New York e sono preziose in quanto danno
un’idea di abitudini, di livelli e di modelli teatrali di cui altrimenti sarebbe andata perduta la
traccia (probabilmente del tutto), mentre la
conservazione auditiva consente loro di fecondare ancora i mutati criteri di rappresentazione
che caratterizzano i tempi più vicini agli anni
in cui viviamo. Il maestro italo-argentino Ettore Panizza, nativo di Buenos Aires, colto, tra i
61 e i 65 anni, all’apice di una carriera svolta
nei maggiori teatri del mondo (non solo al
“Metropolitan” di New York e al “Colón” di
Buenos Aires, ma anche alla “Scala” di Milano
e al “Covent Garden” di Londra) ha un approccio all’opera ruvido e asciutto, diretto e immediato, con efficacia d’impatto, senza fronzoli e
senza enfatizzazioni, ed assicura con incisività
ed energia il mantenimento degli equilibrî. Il
mezzosoprano barese Bruna Castagna fu tra gli
anni Trenta e gli anni Quaranta del XX secolo
l’interprete pressocché stabile del personaggio
di Amneris al “Metropolitan”: voce densa, ma
non cupa né pesante, arrochisce e affoca nella
sensualità e nella passione, ma non regge alla
tensione finale dell’invettiva ai sacerdoti, alla
quale giunge scomposta e sfinita, non per aver
chiesto troppo a sé stessa; è una Amneris prepotente con durezza e falsa con perfidia, ma
conosce anche la disperazione dell’innamorata
non ricambiata. Anche il tenore di Montagnana Giovanni Martinelli (concittadino di Aureliano Pertile) fu il Radamès di riferimento del
“Metropolitan” (dove aveva debuttato nel
1913) per tutti gli anni Venti e Trenta del XX
secolo, con una ulteriore proiezione fino alla
metà degli anni Quaranta. Cinquantunenne nel
1937, cinquantacinquenne nel 1941, Martinelli
dà prova di un organo vocale ancora solido e
squillante, disinvoltamente disponibile alle richieste dell’interprete, si può dire senza difficoltà, e comunque senza perdite di omogeneità
e di continuità nell’emissione. Martinelli è un
Radamès sicuro e fermo, deciso e determinato,
ma non è soltanto fiero e ardito, è anche riflessivo e ponderato, e soprattutto non è né esuberante, né eccessivo, pur nella mantenuta plasticità dell’accentazione, della scansione e della
dizione. Il trentanovenne tenore inglese Arthur
Carron, che lo sostituisce nel 1940, ha una decisa tendenza all’estroversione, con un canto
71
tutto spinto in primo piano, con una emissione
costipata, non di rado forzata, con una dizione
che spesso addenta e arrota la pronunzia delle
parole. Il basso romano Ezio Pinza (un’altra
delle istituzioni del “Metropolitan”, dove debuttò nel 1926 e rimase ininterrottamente fino
al 1948), quarantaquattrenne nel 1934 e quarantottenne nel 1941, è un Ramfis rotondo e
corposo, espressivamente disegnato in un fraseggio mosso in molteplice varietà di inflessioni e pur armoniosamente composto e contenuto; la chiarezza distintiva della dizione è perfettamente percepibile anche nella scena del
giudizio di Radamès, malgrado la collocazione
nel fondo della scena (per fortuna senza l’artificio di interventi alonatorii in sede di rilettura
digitale). Sostituisce Pinza nel 1940 il trentaduenne basso ateniese Nicola Moscona: è un
Ramfis dignitoso e fermo, voce antica e cosciente della sua terra e del suo popolo, dal tono fatidico e predicatorio, ma come astratta
dalla percezione delle miserie umane dei singoli. Ventottenne nel 1940, ventinovenne nel
1941, il baritono di New York Leonard Warren è un Amonasro spinto da una sorta di giovanile entusiasmo a non esercitare tutti i freni
di cui dispongono le sue possibilità di controllo di una voce di grana piuttosto grossa e incline al vibrato, soprattutto sotto pressione, ma
riesce comunque a raffigurazioni del personaggio piene di forza e di imperio, anche se per
questo rinuncia al fascino delle immaginazioni
evocative. Il trentanovenne baritono cileno
Carlo Morelli, presente nell’edizione del 1937,
si contenta di proporre in Amonasro la consueta figura del “vilain”, tutto d’un pezzo nel perseguimento della vendetta, con calcolata alternanza tra esplosioni d’ira e ricattatorie persuasioni, ma senza concreta efficacia di creazioni
interpretative. Possentemente protagonistica è,
nell’edizione del 1937, l’Aida del trentaseenne
soprano italo-francese Gina Cigna, drammatica e declamatoria, ma anche interrogativa, turbata, combattuta, e soprattutto innamorata: ha
immaginazione e sensibilità, sa essere dolcemente persuasiva e teneramente sognante, come sa essere appassionata e ribelle, con eloquenza incisiva (ed acuti lucenti e taglienti) ed
estensioni delicate e soavi (assai ben legate in
flessibili arcature). Nel 1940 Aida è il trentaduenne soprano di Cleveland Rose Bampton
(che al “Metropolitan” ha cantato anche Amneris), che ha del personaggio una concezione
fortemente drammatizzata, ma forse non ha
l’equipaggiamento vocale ad essa più adatto: i
passaggi in forte e in fortissimo sono spinti sino all’urlo, l’eccesso di agitazione va oltre la
concitazione verso il disordine, il che comporta un uso frequente della vocalizzazione, con
eliminazione delle consonanti, e quindi con attenuazione della linearità del disegno fraseologico. Nel 1941 Aida è il trentaseenne soprano
transilvano (di Cluj) Stella Roman, che conferisce al personaggio un accento tragico, vittima che soggiace agli eventi e non riesce a
fronteggiarli e si dibatte senza speranza di salvezza, oscuro così il presente come il futuro; al
disegno interpretativo corrispondono una voce
cupa, quasi buia, venata di chiaroscuri, e un
canto che tende spesso a ripiegarsi affondando
in sé stesso; una lieve retorica appesantisce le
notazioni di sconsolato sconforto e di disanimata desolazione; una sottolineazione eccessiva tende al di là della resistenza le note in forte
ed in fortissimo, specie in acuto (ma è anche
vero che la ripresa sonora è particolarmente
carente nelle zone corrispondenti dello spettro,
che risultano molto distorte). Nel 1937 e nel
1941 è Re d’Egitto il basso statunitense (di
Washington) Norman Cordon, in età – rispettivamente – di trentatré e trentasette anni: severo e paterno, di bella voce piena e ferma. Nel
1940 lo sostituisce l’altro basso statunitense
(di Jamestown) John Gurney, trentasettenne,
forse fin troppo pomposo. Il Messaggiero del
quarantasettenne Giordano Paltrinieri (1937) si
fa preferire a quello del palermitano Lodovico
Oliviero (1940 e 1941, cinquantaquattro e cinquantacinque anni). Le grandi doti professionali della comprimaria di lusso assicurano la
qualità espressiva della Sacerdotessa del mezzosoprano di Cleveland Thelma Votipka (trentenne nel 1937; trentatreenne nel 1940, ma
quasi inudibile, per i forti rumori di fondo che
affliggono la ripresa sonora, aggravati dalla
maggiore distanza della collocazione sulla scena). Del Vermont, trentunenne, mezzosoprano
anch’essa, è Maxine Stellman, la Sacerdotessa
del 1941, forse un po’ meno mistica e misteriosa. Le riprese sonore provengono da originali in acetato, donde la persistenza di un rumore di fondo insito nel procedimento stesso
di incisione. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, non è quella del 1937 la riproduzione in condizioni di lettura meno favorevoli. È ovvio che gli anni si avvertano nella
qualità del suono all’ascolto, ma nel caso non
tanto da rendere problematica la percezione di
documenti che vanno considerati preziosi ed
eccezionali. Personalmente sono grato ai tecnici che li hanno realizzati per non essere intervenuti ad alterarli con quegli “eccessi di digitalizzazione” (come io li chiamo) che hanno
“rovinato” tante riletture in compact discs.
La ripresa sonora dal vivo della rappresentazione del 22 giugno 1937 alla “Deutsche
Oper” di Berlino ci è giunta purtroppo mutila,
come ho già dettagliato a suo luogo, ma la presenza di due atti interi (il secondo e il terzo) e
di buona parte del primo quadro del primo atto
consente di rendersi conto delle caratteristiche
(di alcune delle principali almeno, se non di
tutte) dell’esecuzione. Agiscono i complessi
del teatro berlinese, ma quelli della “Scala” di
72
Milano, in tournée nella capitale germanica
(ed è motivo per me di particolare soddisfazione sottolineare che a capo del coro scaligero è
ancora il grande Vittore Veneziani). Dirige
Victor De Sabata: al direttore triestino, allora
quarantacinquenne, non è mai più stata data
occasione di consegnare al disco la propria interpretazione di Aida, e questa circostanza
conferisce ulteriore valore al documento berlinese, al di là della sua stessa incompletezza.
De Sabata fa dell’orchestra il contenitore dell’intera opera, l’elemento coagulante che la
regge in unità e in continuità, il collante che
definisce respiri, ritmi e figurazioni del suo andare. Straordinariamente funzionale è in questo processo l’uso che De Sabata fa delle pause, che sono veri e proprii punti di avvitamento
dei diversi episodi, che non si precipitano e
non si accavallano l’uno sull’altro, ma nello
stesso tempo neanche vengono separati o disgiunti da quelli che non sono silenzi ma battiti
di una pulsazione che continua anche in assenza di suono. Le pause sono per De Sabata un
fattore aggiunto alle preparazioni delle presentazioni dei diversi personaggi, non solo, ma
addirittura dei loro singoli gesti e movimenti,
che l’orchestra anticipa quasi sempre, con una
presenza primaria che ingloba in sé la stessa
dinamica dei loro fraseggi. Insomma, l’orchestra è l’“ambiente” del canto, e questo è vero
anche in senso creativo. Con l’orchestra De
Sabata dà vita a un vero e proprio tessuto atmosferico, una onomatopea evocativa di paesaggi immaginarii, e quindi nell’apparenza irrealistici, e invece, nella loro incantata magia,
soggettivamente reali, di una sostanza che ne
consente la contrapposizione. Si ponga attenzione, ad esempio, a quel che accade sotto la
bacchetta di De Sabata, nel momento in cui,
nel terzo atto, Aida cancella il paesaggio “reale” della finzione teatrale (“Fuggiam gli ardori
inospiti”) e dà vita a un altro paesaggio, nominalmente “irreale” all’interno della stessa (“Là,
tra foreste vergini”), appunto con la sola magia
del suono, che, così trattato all’ascoltatore dà
la sensazione di due realtà più vere e concrete
di quella reale (del palcoscenico). In questo De
Sabata molto si avvale delle qualità della trentasettenne Gina Cigna, che è indotta a cantare
spesso a mezza voce (quando non addirittura
sottovoce), a un’intensità cioè che le consente
le minime sfumature espressive, con filature
immobili e smorzature estatiche, che sono
sguardi che si immergono (e si perdono) nelle
profondità più gelose e nascoste dell’essere.
L’Aida della Cigna è, ciononostante, fortemente teatralizzata, a rischio di rotture dell’unità del fraseggio. Anche nel canto a piena voce, comunque, l’esposizione risulta plasticamente configurata, con oscurate escursioni nei
gravi, con empiti scolpiti a rilievo, con disegni
incisi con forza (non sempre necessaria), a vol-
te con qualche vocalizzazione di troppo, che
sacrifica qualche consonante alla fluenza del
porgere. Al soprano italo-francese si deve riconoscere soprattutto il merito di aver seguito
con partecipazione attiva le suggestioni del direttore triestino: forse il momento più affascinante di questa interazione è il grande monologo di Aida all’inizio del terzo atto, quando De
Sabata può mettere in gioco un terzo elemento,
lo strumento solista, affidato a un oboista che è
un vero e proprio poeta dello strumento, suonato non solo con limpida purezza e luminosa
timbratura, ma anche con intensità partecipe e
pur linearmente contenuta. Nelle scene d’insieme De Sabata opta per una scansione battente,
un andamento di marcia (solenne nella sua pacatezza, ma né pesante né pomposa), nel quale
sono inquadrati cori e concertati, in genere assai ben movimentati nelle loro alternanze, congiunzioni e disgiunzioni. Velocità e leggerezza
contraddistinguono i numeri danzati, con movimenti gestuali che sono mimati alla perfezione dagli strumenti. Una lettura puntillistica
dell’inizio del terzo atto consente a De Sabata
di trovare una soluzione soddisfacente della
sua ambientazione sonora, l’oscurità misterica
nascendo dalla simbiosi assoluta tra strumenti
dell’orchestra e voci del coro. Per la prima
volta è Amneris in disco il trentatreenne mezzosoprano napoletano Ebe Stignani; mancando
il quarto atto, Amneris è il personaggio che più
risente della incompletezza della registrazione;
nel secondo atto, il suo comportamento è di
una falsità dichiarata, offensiva e provocatoria,
derisoria e feroce, assolutamente sorda a qualsiasi pietà. Del Radamès di un Beniamino Gigli di quarantasette anni non può dirsi che bene
(con le riserve che derivano dalla mancanza
del secondo quadro del primo atto e dell’intero
quarto atto): l’emissione è senza problemi, anche in forte e in acuto; il porgere è semplice,
espansivo senza enfatizzazioni, con qualche
indulgenza per il patetico; nel terzo atto ha
momenti di invenzione personale dell’accentazione e della fraseggiatura che sono assai efficaci e funzionali alla resa espressiva (“Nel fiero anelito”, ad esempio: l’iniziativa è dello
stesso Gigli o è di De Sabata? comunque la
riuscita c’è); sempre nel terzo atto, l’attenzione
per una interpretazione non generica del personaggio lo induce a cogliere il momento della
resa ad Aida già nelle prime repliche tronche a
“Là, tra le foreste vergini”, un vano cercar di
resistere a una fascinazione che ormai lo ha
avvinto senza scampo, in una sorta di straordinario “balbettio” sonoro, che poi si acquieterà
nella filastrocca “a due” di “Abbandonar la patria”. Qualche momento di esibizionismo (ma
coinvolge anche la Cigna) c’è alla fine del
duetto (subito prima di “Ma dimmi per qual
via”). Cade nella trappola semplice e fiducioso, con ingenuità indifesa, sì che la rivelazione
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della vera identità del padre di Aida lo trova
incredulo e sgomento, con un groppo in gola
che quasi gli impedisce di articolare le parole;
se “Io son disonorato” cede a un impulso esibizionista (non eccessivo, tuttavia), “Sacerdote,
io resto a te” non indulge ad esagerazioni stentoree. Ramfis è un altro personaggio che è presente soprattutto nel secondo quadro del primo
atto e nel primo quadro del quarto atto: ciononostante mi sento di confermare le qualità dell’interpretazione del quarantacinquenne basso
torinese Tancredi Pasero, preoccupato e accorato nel vano richiamo alla saggezza del secondo atto, affettuoso, incoraggiante, premuroso, ispirato e compreso di mistero, all’inizio
del terzo atto. La presenza del personaggio di
Amonasro si limita al secondo e al terzo atto,
ma il trentasettenne baritono fiorentino Ettore
Nava non lascia un’impronta particolarmente
significativa; una voce grossa e di grana granulosa si accompagna a una mancanza di accuratezza nel disegno fraseologico: è un Amonasro senza potenza e senza impatto, e ancor meno dotato di persuasione e di immaginazione,
per giunta con la propensione a perdersi con la
voce dentro sé stesso. Quarantasettenne, il basso Franco Zaccarini è un Re d’Egitto ben consapevole della gravità e dell’importanza degli
eventi ai quali si trova a presiedere, determinato ed impegnato, ma forse non altrettanto impulsivo. Ho sempre conosciuto il fiorentino
Duilio Baronti come un basso; mi riesce difficile credere che possa essere lui l’interprete di
un Messaggiero che suona all’ascolto indiscutibilmente tenorile. La ripresa sonora privilegia
decisamente l’orchestra rispetto alle voci ma, a
parte le limitazioni proprie di una captazione
di tipo radiofonico, è sufficientemente chiara
(e anche distintiva) per poter essere agevolmente ascoltata nella riproduzione della “Eklipse” in due dischi compact.
Alla “Eklipse” si deve anche la riproduzione in due dischi compact della ripresa dal
vivo della rappresentazione di Aida del 24
maggio 1939 al “Covent Garden” di Londra
(da un originale registrato su pellicola cinematografica con il sistema Phillips Miller). Dirige
Thomas Beecham. Il sessantenne maestro del
Lancashire, pur tenendo sotto controllo l’insieme, opta per una presenza meno appariscente
che non fosse quella di De Sabata. Beecham
lavora, per così dire, per vie interne. Lascia
spazio ai cantanti, ma prepara loro con abilità
gli ingressi, in modo che risulti naturale all’ascolto che la configurazione ritmica e fraseologica del canto sia una conseguenza diretta di
quanto proposto in orchestra. Per impedir loro
deviazioni consistenti, si limita ad assicurare
una scansione predeterminata (che a volte può
apparire persino un po’ rigida), in cui il cantante resti inquadrato, lasciandogli la responsabilità delle scelte interpretative. La riserva
“protetta” di Beecham sono le pagine orchestrali e corali. Si entra nell’opera con un preludio subito interrogativo, apprensivo, e poi rassegnato, sconfortato, sconfitto, che non lascia
speranze di salvezza, nella desolazione di una
vera e propria assenza di futuro, uno dei preludi di Aida più intensi e affascinanti che siano
stati consegnati al disco. E questo sapore di
sconfitta aleggia su tutta l’opera. Ma questa è
la storia dei personaggi. Beecham si riserva
ampi spazi di intervento personale là dove
questa storia non è in primissimo piano, e in
questi spazi racconta un mondo che non accetta e non si rassegna, un mondo che è aperto alla speranza e alla letizia del vivere. Ed è un
peccato che l’unica lacuna consistente dell’originale riguardi il secondo quadro del primo atto, privandoci della Danza delle sacerdotesse e
di quanto immediatamente la precede, perché è
nelle danze e nelle pagine d’ambientazione che
Beecham contrappone una visione più fresca,
più gioiosa alle cupe vicende dei personaggi
individuali. Quel che resta della prima parte
del secondo quadro, ad esempio, ci presenta un
tessuto corale soffice e compatto, una vera e
propria “stoffa”, che avvolge l’insieme (e ritorna nello sfondo corale di “Nume, custode e
vindice”), che sembra opporre resistenza al dolente vocalizzare dell’ottima Sacerdotessa della trentaseenne Josephine Wray, intriso di
pietà, e all’esaltazione guerriera del “gran sacerdote” e del “comandante dell’esercito”, e
che è come accarezzato dal direttore nel colore
e nella qualità del suono. Così, all’inizio del
terzo atto, l’ambientazione “fluviale” della
scena del Nilo non è misterica né esoterica, è
decisamente fisica in senso naturalistico (se si
vuole, con tanto di acque correnti, uccelli cinguettanti e brezze alitanti). Ma è soprattutto
nelle danze del secondo atto, in quella dei moretti, e soprattutto nel Ballabile, poi, che Beecham afferma l’esistenza di un’umanità gaia (i
guizzi, i volteggi, le pose dei ballerini hanno
una scioltezza, direi addirittura una liquidità,
ricca di umori e di ammiccamenti). E la marcia trionfale non è il corteo solenne e glorioso
di eroi trionfatori bensì il rientro allegro e soddisfatto di soldati contenti di tornare a casa.
Con questa umanizzazione (o meglio, quotidianizzazione) della cornice che avvolge le vicende dei protagonisti, Beecham offre una
chiave di lettura personale (e singolare) dell’opera di Verdi, che si viene a svolgere su due
binari paralleli, ma non coincidenti, e neanche
interagenti: l’ambiente non è un riflesso dei
destini individuali, una sorta di proiezione amplificata di questi, bensì un contenitore autonomo, dotato di una vita propria, ricca e varia,
che – con la sua indipendenza – mette ancora a
più forte risalto l’inane lotta dei protagonisti
contro una sorte segnata. È chiaro che lo spazio che Beecham lascia alle iniziative dei can-
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tanti non nasce da un apatico lassismo bensì da
una convinta concezione della complessità della rappresentazione verdiana. Quarantanovenne, Beniamino Gigli si concede qualche licenza, più sul piano di un più generico abbandono
poetico, con qualche enfatizzazione, che su
quello dell’esibizionismo stentoreo, che è
(pressocché) sempre evitato, con emissioni
spesso a mezzavoce: questo suo Radamès del
1939 è un eroe magnanimo e misericordioso e
un innamorato di passioni e sentimenti piuttosto comuni ma sinceri. L’Aida del trentaquattrenne soprano napoletano Maria Caniglia ondoleggia continuamente tra un’agitazione fortemente concitata ma vana e un abbandono alla
rinunzia, piegata da un senso di sconfitta che la
prostra e l’annulla; nel confronto con Amneris,
nel secondo atto, è schiacciata, anche fisicamente, dalla rivale, una Ebe Stignani trentacinquenne, severa, minacciosa, apertamente prevaricante, e impietosamente trionfante della
propria superiorità. Il duetto del secondo atto è
un confronto ruggente tra due prime donne che
non esitano a giungere al grido per sopraffarsi.
Ma se la Stignani vince sul piano della forza
(ancorché non abbia tutta quella che le servirebbe per rendere epocale l’invettiva ai sacerdoti nel quarto atto, pur sottolineata con una
dizione più che scolpita, scalpellata e martellante), la Caniglia mostra, soprattutto nel monologo del terzo atto, di avere le possibilità per
un canto aerato e leggero, che tuttavia la natura
della voce non le consente di tenere a lungo
con omogenea continuità. Non indulge in
esplosioni vociferanti il quarantacinquenne baritono fiorentino Armando Borgioli, Amonasro
fiero e orgoglioso, amaro ma non rassegnato,
anche quando chiede pietà per il suo popolo
non umiliato né servile, rotondo nel canto, e
sufficientemente vario nelle notazioni espressive, ancorché si lasci sfuggire qualche tentazione da “vilain” convenzionale. Tende ad affondare in intubate cavernosità il Ramfis ispirato,
preoccupato, ma anche intransigente, del quarantunenne basso di Bondeno Corrado Zambelli. Re d’Egitto informativamente espositivo,
ma anche solennemente fatidico, pur con qualche piccolo problema di pronunzia italiana, è il
trentunenne basso del Lancashire Norman
Walker. Chiarezza di esposizione e un certo
tono di sfida rendono interessante il Messaggiero del quarantaquattrenne Blando Giusti.
Molto rumorosa, spesso intubata, a volte rimbombante, non sempre stabile nella tenuta del
suono, è la riproduzione, che volentieri schiaccia le voci in un vibrato battente e fastidioso, a
causa di limiti cospicui nella captazione, piuttosto ingrata nei confronti delle voci, anche a
causa di una prospettiva che mette in primo
piano l’orchestra.
Ancora dalla registrazione della trasmissione radiofonica di una pubblica esecuzione
del “Metropolitan” di New York, quella del 6
marzo 1943, è tratta l’edizione di Aida che la
“Cetra” ha pubblicato nel 1977 nella serie
“Opera Live” in tre dischi microsolco lunga durata 33 giri e che è stata successivamente ripubblicata, riletta digitalmente in due dischi compact, dalla “Great Opera Performances” in Italia
e dalla “Omega Opera Archive” negli Stati
Uniti. Si ritrova in questa edizione l’impianto di
fondo della compagnia di canto che si era già
incontrata nelle precedenti edizioni dirette da
Ettore Panizza. Al centro è ancora il Radamès
di Giovanni Martinelli: il tenore di Montagnana
a questo punto ha felicemente superato i cinquantasette anni di età e altrettanto felicemente
si avvia verso i cinquantotto. Martinelli è rimasto famoso per aver conservato smalto e squillo
fino ai limiti dell’età più estrema; non meraviglia che in questa registrazione di Aida (che
precede di due anni il ritiro dalle scene, coinciso con il sessantesimo anno di età) il tenore veneto si presenti ancora in una condizione che
non lascia adito a critiche di fondo. La voce
non solo si è mantenuta robusta e solida, ma è
governata con assoluta fermezza ed è tenuta
ben racchiusa, con uniformità di colore e di tonalità; Martinelli non corre certo rischi di rotture e di opacità, qualche rischio di monotonia
però lo corre. E non solo sul piano vocale: le
preoccupazioni per l’omogeneità dell’emissione lo inducono a prediligere i colori bruniti, le
tonalità oscure (con inflessioni baritonali, a volte intubanti), un’articolazione densa e consistente, in cui spessore e risonanza sono sempre
fondati su una dizione fortemente accentata e
scandita, ora con qualche durezza in più, e lo
assorbono al punto di porre in secondo piano le
qualità dell’espressione, intesa soprattutto come
varietà di sfumature e duttilità di inflessioni,
sempre curato peraltro restando il quadro “costitutivo” del fraseggio, cioè la linea “esterna”
del disegno. Un veterano del “Metropolitan”
(tuttavia non presente nelle tre precedenti registrazioni dirette da Panizza) è anche il cinquantaseenne baritono dell’Illinois Richard Bonelli,
un Amonasro non molto raffinato, ma di buon
involo, tuttavia espressivamente generico e retoricamente patetico, nei momenti di forza incline a una violenza alquanto brutale piuttosto
che energico e potente. Trentanovenne, il mezzosoprano barese Bruna Castagna si conferma
una Amneris interpretativamente esuberante,
vocalmente non molto contenuta soprattutto
quando affonda nei gravi, comunque di energica e incisiva presenza. L’Aida della trentaseenne Zinka Milanov è ricca di accenti drammatici,
ma eccelle soprattutto nello slancio e nell’abbandono lirico; per il soprano croato non è tuttavia ancora il momento dell’opulenza gloriosamente protagonistica; lo splendore vocale è un
presupposto, un mezzo impiegato con disinvoltura, con apparente noncuranza; l’interpretazio-
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ne punta su una commossa tenerezza, su una
nostalgia piena di trepidazioni, su una memoria
creatrice di immagini, su una melanconia che
non si rifugia nella consolazione della speranza,
è avvolta in un velo che tuttavia non ha il sapore della rassegnazione, bensì quello della fierezza e del coraggio, di un destino affermato con
fermezza e con cosciente consapevolezza. Lansing Hatfield e John Dudley sono chiaramente
insufficienti alle esigenze poste dai personaggi
del Re e del Messaggiero. Il trentanovenne
Norman Cordon (già incontrato nel 1937 e nel
1941 nelle vesti del Re d’Egitto) non ha l’imponenza e il mistero necessari a cogliere pienamente il personaggio di Ramfis, ma non gli resta estraneo, ne modella anzi il canto con intensità di espressioni, in una sorta di nobile,
austera tristezza. Wilfrid Pelletier ha molto diretto al “Metropolitan”, senza peraltro mai eccellere in modo particolare. La conduzione di
Aida del quarantaseenne direttore canadese è di
ordinaria amministrazione, da maestro esperto
del canto e dei cantanti, che si accontenta di assisterli nel modo migliore e di non farsi mai
sfuggire la situazione di mano. La registrazione
ha tutti gli inconvenienti di una presa diretta dal
vivo non predisposta. La “ricostruzione tecnica” ha fatto miracoli per omogeneizzarla ed
equilibrarla, ma la captazione del suono è a volte veramente troppo incerta e lontana (ai limiti
dell’udibilità nelle sezioni “fuori scena” del secondo quadro del primo atto e del primo quadro
del quarto atto).
Se le prime due edizioni fonografiche in
78 giri ad incisione elettrica avevano il loro
punto di forza nei solisti di canto (o almeno in
alcuni di loro), la terza ed ultima risiede soprattutto nel suo direttore, Tullio Serafin. E
non costituisca meraviglia a una simile osservazione la lettura del “cast”, costellato dei nomi più famosi della lirica italiana degli anni
Quaranta. In realtà tutti questi nomi non fanno
“compagnia” e stanno insieme soltanto grazie
alla eccezionale abilità del sessantasettenne
maestro veneto. Beniamino Gigli non ha mai
trovato in Radamès il suo personaggio ideale,
anche se gli va dato atto di aver fatto ogni sforzo per adattarvisi, irrobustendo e “indurendo”,
per quanto gli fosse possibile, la voce (portato
anche dell’età: il celebre tenore marchigiano è
ormai cinquantaseenne). Gli effetti migliori si
avvertono nel finale dell’opera; altrove Gigli
non trova tutta l’incisività penetrante opportuna e si rifugia in un manierismo convenzionale, che sa di disorientamento ancor più che
d’impaccio. Quarantunenne, Maria Caniglia ripete la sua Aida ineguale, interpretativamente
e vocalmente: ancor più in questa occasione
più tarda si avverte la naturale disposizione
“verista” della sua personalità di cantante, che
gradisce la spettacolarità dell’effetto piuttosto
che l’intensità della penetrazione interiore. Il
trentaduenne baritono fiorentino Gino Bechi è
un Amonasro pesante e greve, fino alla caricatura: alcuni scatti di belluino furore non riescono da soli a salvare una interpretazione che
troppo manchevole appare proprio in fatto di
accento e di fraseggio. Quarantatreenne, Ebe
Stignani è sempre un’ottima Amneris, ma tende forse un po’ troppo a evidenziare in modo
del tutto particolare gli acuti (da soprano piuttosto che da mezzo o da contralto), sì che a
volte viene meno la differenziazione vocale
dal personaggio di Aida, mentre altrove l’estrema tensione verso gli opposti del grave e
dell’acuto crea una singolare discrasia che
sembra auditivamente fare due personaggi di
uno solo: è un’Amneris donna, calda, appassionata, intensa, con belle aperture luminose e
non meno begli affondi cupi, un personaggio
disegnato con pienezza, con una impetuosità
che non è mancanza di ritegno ma ricchezza
prorompente di affetti. Tancredi Pasero, cinquantaquattrenne, è un Ramfis sobrio e solenne, dalla chiara articolazione e dal bel timbro
baritonale. Il trentunenne basso pinerolese Italo Tajo è un Re semplice e diretto, efficace e
possente. Se un così eterogeneo insieme non si
risolve in una antologica frantumazione dell’opera verdiana, è solo perché Tullio Serafin modella con continuità il discorso musicale, assicurandogli accento ed espressione, verrebbe da
dire quasi “contro” gli stessi artisti a sua disposizione: è una lettura lineare, ma intensa, che
conferisce all’opera verdiana spazio e pienezza. A volte Serafin risolve i momenti più problematici, quando troppo disparate sono le forze da conciliare, serrando i tempi, a rischio di
precipitarli, ma, quando le circostanze gli permettono una maggiore concentrazione, propone soluzioni di notevole efficacia interpretativa, come nel secondo quadro del primo atto,
con quel senso di mistero che si scioglie nella
delicata leggerezza delle distese figurazioni
della danza delle sacerdotesse. La registrazione manca alquanto di omogeneità e non è
esente da fenomeni di “scivolamento” dei suoni, ma risulta nel complesso chiara e ben proporzionata. La rilettura digitale in due dischi
compact è stata curata sia dalla stessa “EMI”
(di cui “La Voce del Padrone” è parte) sia,
successivamente, da diverse case fonografiche
specializzate nel recupero delle vecchie edizioni, tra le quali emerge la “Naxos”.
L’impianto d’insieme resta ancora lo stesso, nonostante un maggior numero di cambiamenti nella compagnia di canto, nell’Aida rappresentata al “Metropolitan” di New York il
28 dicembre 1946 e riprodotta dalla trasmissione radiofonica in rilettura digitale in due dischi compact della “Omega Opera Archive”.
Dirige il sessantenne maestro napoletano Cesare Sodero (che morirà, proprio a New York,
meno di un anno dopo). Sodero imprime all’o-
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pera un passo largo e disteso, che influisce in
particolare sulla lettura delle danze, due volte
in senso positivo (la stilizzazione coreutico-ieratica della danza delle sacerdotesse nel secondo quadro del primo atto, con le sue circonvoluzioni a spire serpentine e i suoi lenti
strascicamenti; il Ballabile del secondo quadro
del secondo atto slittante e scivolante, borbottante e avvolgente), una volta invece in senso
negativo (la scialba sciattezza della danza dei
moretti nel primo quadro dello stesso secondo
atto). Non sempre pienamente assicurato è il
controllo sulle masse corali (per lo più condotta con ampiezza e solennità, ma a volte soggette ad esiti di disordine) e sui concertati (che
sembrano non di rado estinguersi per consunzione). La transilvana Stella Roman, ora quarantaduenne, era stata già Aida con Panizza nel
1941. Sempre fortemente drammatizzata, forse
un poco più affannosa ed estroversa, più spinta
vocalmente ai limiti della resistenza, fino al
grido, spesso con conseguenze non positive
sulla delineazione fraseologica, la Roman conferma sostanzialmente l’impostazione tragica
della sua interpretazione del personaggio. Un
Ramfis ulteriormente maturato rispetto al 1940
offre il trentasettenne basso ateniese Nicola
Moscona. Delude invece il trentacinquenne
Leonard Warren, soprattutto nel terzo atto, nel
quale va fuori le righe per voglia di strafare.
Voce robusta e squillante, smaltata e adamantina, il quarantaduenne tenore svedese Set
Svanholm (celebrato interprete wagneriano) è
un Radamès vibrante e fiero, iroso e sprezzante, eroicamente ardito senza fanatismi, appassionato senza esuberanze, assai contenuto come innamorato. Quello del ventottenne mezzosoprano pennsylvano Blanche Thebom nel
personaggio di Amneris è un esordio felice:
voce ben affondata nel grave, solida quanto è
necessario per affrontare scansioni rudemente
martellate senza scomporsi, ha le velature e gli
affocamenti idonei a esprimerne la passionalità
e la sensualità, conosce le notazioni del rimpianto e della nostalgia, sa essere ipocritamente sentenziosa e soccorrevole, sa raccogliersi
in pensierose riflessioni, e non rifiuta l’evasione momentanea nel sogno, ma sa anche scatenarsi, in attacco e in difesa, con una violenza
che non intacca tuttavia la saldezza dell’esposizione e pertanto mai la degrada a vociferazione. La ripresa sonora ha un sottofondo granuloso e soffre di difetti, a volte vistosi, di
sovraesposizione, con conseguenti effetti di
schiacciamento e di ridondanza, che neppure
la rilettura digitale è in grado di correggere.
Fra tutte le registrazioni complete di lavori del teatro musicale che Arturo Toscanini ci
ha lasciato, l’Aida, eseguita alla N.B.C. di
New York nelle due tornate del 26 marzo e del
e del 2 aprile 1949, non è quella che gode della
stampa migliore. E nella realtà, probabilmente
non è proprio la migliore. Ma sarebbe difficile
accettare il giudizio di chi vorrebbe ridurre
l’Aida di Toscanini ad una esecuzione corrente, sbrigandosela con un sommario giudizio
negativo. C’è un grosso errore di inquadramento vocale, questo è indubbio: ed è la presenza del mezzosoprano norvegese Eva Gustavson. Nemmeno Toscanini riesce a dar vita
a una voce opaca, arida (“terrosa” direbbe Rodolfo Celletti), per di più di pasta ineguale e
priva di omogeneità; e come se tutto ciò non
bastasse, la Gustavson non ha la minima sensibilità espressiva (parlare di interpretazione sarebbe impossibile). Amplificando un’osservazione di passaggio di Philip Hope-Wallace, si
potrebbe dire che la Gustavson impersona Amneris come un personaggio da salotto impegnato in un suo vanificante conversare senza senso e senza contenuto. E sempre ci chiederemo
(senza mai potere avere risposta) come possa
Toscanini aver accettato una simile cantante.
Ma cosa c’è da dire sul resto? Il quarantenne
soprano fiorentino Herva Nelli non è un’Aida
grandiosa, certo, ma è estremamente sensibile,
fresca, giovane donna innamorata anziché
principessa, ma viva e umana: un duttile strumento nelle mani di Toscanini, sì, ma anche
qualcosa di più personale, in una concezione
del personaggio di natura intimistica, che lo
colora di una nostalgia luminosa, come immerso in una illusione che la scena finale rivela
quasi come una consapevolezza preconscia,
nella semplicità di una scoperta di sé che è
conferma di una dedizione appassionata ma
anche semplice, spontanea, naturale. E il trentacinquenne tenore di New York Richard
Tucker si avvicina, per la maschia, appassionata, accorata interpretazione di Radamès, al
grande modello di Pertile: più che gli acuti
squillanti, avvincono le zone medie e ombrate,
così calde e al tempo stesso plasticamente incisive; è un Radamès chiaramente articolato, generoso negli slanci, ma senza enfasi né complicazioni, virile e fiero ma anche tenero e affettuoso. E il trentaquattrenne baritono torinese
Giuseppe Valdengo è un Amonasro dalla voce
chiara e limpida e dal carattere sobriamente
deciso, un re giovane e slanciato (ancor più
che giovanile), drammatico e incisivo ma con
nobile dignità, semplice e efficace nel fervore
e nella suggestione. E il ventottenne Norman
Scott è senz’altro un dignitosissimo Ramfis, di
bell’accento e di bel fraseggio, mentre il quarantaseenne tenore parmense Virginio Assandri è un Messaggiero solido e robusto. E il
ventunenne soprano del Connecticut Teresa
Stich-Randall conferisce alle brevi frasi della
Sacerdotessa nel secondo quadro del primo atto uno splendore, una solidità, un fascino che
non ha eguali. E fascino e splendore sono i termini che si applicano alla direzione dell’ottantaduenne Toscanini: sulle qualità di fondo del-
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la quale ovviamente non tornerò. Mi basterà richiamare l’attenzione sul rilievo che sotto la
sua bacchetta (e soltanto sotto la sua bacchetta) acquistano certi particolari strumentali, o
come il modo di colorare l’orchestra si riverberi sulle voci, e infine come il modo di accentare plasmi e scolpisca, appena con un cenno,
l’espressione. Alcuni esempi: l’accentazione
che al tempo stesso esprime concitazione,
amore appassionato e palpitante trepidazione
nei due concertati (a due e a tre) che inquadrano l’ingresso in scena di Aida nel primo atto;
l’andamento quasi “espressionistico” dei legni
nel secondo quadro del primo atto; la dolcezza
crepuscolare, con chiarissima indicazione di
anticipazioni pucciniane, della scena iniziale
del terzo atto, così piena di suggestioni e di atmosfera, un’atmosfera sfuggente, impalpabile,
tutta fatta di “scivolamenti” sonori. E molte altre illuminazioni porterebbe un esame accurato
dell’interpretazione toscaniniana passo per
passo, battuta per battuta. Ma una cosa ancora
ritengo di dover sottolineare: l’edizione di Toscanini è stata l’unica (tra tutte quelle immesse
sul mercato in dischi microsolco lunga durata
33 giri) a essere impaginata razionalmente,
senza spezzature di scene: due facciate per il
primo atto (una per il primo quadro, una per il
secondo), due ancora per il secondo (sempre
una per il primo quadro e una per il secondo),
una facciata per il terzo, una facciata infine per
il quarto atto. E non credo che questa equilibrata distribuzione sia merito degli editori (altrimenti non si comprenderebbe perché non
l’abbiano riprodotta in nessuna delle successive registrazioni da loro pubblicate in microsolco). Riletture digitali dell’Aida di Toscanini
sono state pubblicate in due dischi compact,
oltre che dalla stessa “RCA”, anche dalla
“Nuova Era” in Italia e dalla “Cantus Classics”
in Germania.
Ancora da una trasmissione radiofonica di
una rappresentazione del “Metropolitan” di
New York, quella dell’11 marzo 1950, è tratta
la registrazione di Aida pubblicata dalla “Melodram” in tre dischi microsolco lunga durata
33 giri e riletta digitalmente in due dischi compact dalla “Omega Opera Archive”. Al centro
dell’interesse di questo riversamento sta la presenza del trentaseenne soprano bulgaro Ljuba
Welitsch quale Aida. Ma non meno interessante è, a mio parere, la direzione del settantaduenne maestro, ucraino di nascita, ma inglese
di stirpe, Emil Cooper, proveniente da una lunga esperienza della musica russa, teatrale e non
teatrale, diretta praticamente in tutto il mondo.
È una esperienza che si avverte in certi spiriti
di danza che investono la partitura verdiana, e
non soltanto nelle pagine espressamente destinate allo scopo. Certo è tuttavia che queste ultime sembrano passare attraverso un’ottica
“russa” della lettura di Verdi, un’ottica che rin-
via il maestro di Busseto ad ascendenze francesi (Delibes, in primo luogo) comuni anche a
Ùajkovskij: nelle varie danze di Aida, così come le dirige Cooper, c’è una curiosità petulante e un po’ pettegola, forse un poco futile, ma
certamente brillante e divertente, agile e felice,
con la natura di un pezzo di genere, facile, disinvolto e colorato, e con un senso pratico delle esigenze del ballo nell’“opéra” che va al di
là (o resta al di qua, come si preferisce) della
funzionalità drammatica della “musique de salon” nell’operistica verdiana precedente Aida.
È un vero e proprio “gusto”, come “chiave” di
una scelta, di un orientamento, di una propensione, se si vuole addirittura di uno “stile”, che
Cooper estende al di là delle pagine di balletto
vero e proprio, ad esempio nell’umorosa ironia
di cui vena i momenti di più trionfale coralità
del secondo atto (sottolineando il languore degli interventi delle voci femminili, che contrastano e “riducono” l’esaltazione guerriera delle
voci maschili), oppure nella atmosfera descrittivamente orientaleggiante (ma di un orientalismo letterario, “di maniera”, del tutto occidentale) della scena iniziale del terzo atto, che
sembra addirittura anticipare Ketelbey. Sono
notazioni, anche curiose, che testimoniano di
un avvicinamento a Verdi non tradizionale. E
tuttavia non arbitrario. Ché Cooper di queste
sue singolari capacità di accostamenti inconsueti non si fa scopo esclusivo o conclusivo,
bensì se ne serve come elementi di contorno, o
di cornice, destinati a rilevare il “genere” in
cui si iscrive il lavoro verdiano (anche per la
sua destinazione), a sottolinearne la spettacolarità, se vogliamo la “figuratività” esteriore, diciamo anche a “situarlo” storicamente (a “datarlo”), ma senza inficiarne la sostanza. Nella
quale Cooper non si rivela direttore dagli interventi risolutivi e determinanti, ma sa tenere
ben serrate le redini dell’insieme, sa preparare
con calma, ampiezza e proprietà le situazioni,
sa “costruire” sulle pause (cui conferisce una
funzione strutturale di appoggio e di rilancio,
un senso propulsivo e progressivo, anziché
confinarle in quella statica di cesura e di separazione), sa giocare l’orchestra contro e insieme alle voci (anche come timbro), sa creare atmosfere con il colore dell’orchestra (e non soltanto in senso descrittivo, ambientale, ma
anche espressivo, sentimentale: si veda la riflessività malinconica, come espressa dal fato,
che nel preludio del primo atto già afferma il
“clima” dell’opera). E all’attivo di Cooper io
porterei non soltanto certe felicissime estrapolazioni solistiche in orchestra, ma anche certi
riferimenti wagneriani di luci ed impasti sonori. Non va invece all’attivo una propensione
forse eccessiva ad una espositività che si fa dispersione, con una indulgenza che diviene
troppo facilmente mancanza di energia e di incisività, e con una disponibilità verso i cantanti
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che può anche farsi condiscendenza (anche se
non diviene addirittura complicità). Con ciò il
discorso viene all’Aida di Ljuba Welitsch,
molto marcata in senso drammatico, ed anche
nel fraseggio. È un canto agito, che non manca
tuttavia né di slancio né d’involo, anche se a
volte tende a ingolfarsi in una sorta di precipitazione frettolosa e altre volte a indurirsi in tagliente asprezza. L’emissione ha continuità anche sotto tensione e i passaggi di registro sono
naturali e omogenei: l’unico neo è una tendenza a “sversare” nel grave, per eccesso di apertura. Vocalmente lucente, quasi squillante,
l’Aida della Welitsch manca forse un po’ d’incanto e di magia, ma non manca del tutto di tenerezza; sprezzante e sfidante, esplosiva e aggressiva, ha il senso fisico, violentemente doloroso, della separazione e dell’abbandono
così come ha la capacità di trasformare l’immagine in realtà concreta, palpabile, grazie a
un canto denso e luminoso a un tempo, spiccatamente articolato e passionalmente teso. Trentasettenne, il contralto pennsylvano Margaret
Harshaw (attiva anche come soprano e nota
soprattutto come interprete wagneriana) è
un’Amneris estremamente approfondita, con
molteplicità di notazioni femminili, una tenerezza sognante, una trepida affettuosità, una
esitante interrogatività, una dubitosa diffidenza, una comprensiva premura, una insinuante
indagatività, una rabbiosa gelosia, una amorosa passionalità tinta di sensualità e di dolorosa
angoscia, una donna che non cede mai di dignità e nella quale la pietà ha la meglio sul furore, cantata con grandezza e sostenuta con
forza, grazie a una voce corposamente densa e
robusta, ma senza violenze o eccessi, e anzi
con luminosa intensità. Il trentaduenne baritono di New York Robert Merrill è un Amonasro
drammaticamente spettacolare, un po’ troppo
platealmente sottolineato, rabbioso e brusco,
con le impazienze e gli scatti di chi si trattiene
a mala pena. Il trentunenne basso californiano
Jerome Hines è un Ramfis vocalmente risonante, naturale nella grandiosità solenne, implacabile nell’incalzare delle accuse. Il quarantunenne basso ungherese Lorenzo Alvary è un
Re fermo, dignitoso e grave. Alla quarta presenza in disco, la quarantaquattrenne Thelma
Votipka conferma un coinvolgimento espressivo di personale sentire nel disegnare una Sacerdotessa intensamente appassionata e vibrante, con la sincera angoscia di una supplica che
nasce dal bisogno e dalla distretta. Quarantatreenne, il tenore cileno Ramón Vinay è alle
prese con una voce dal timbro singolare e dalle
inflessioni particolari, cupamente baritonale,
fissa e opaca, che mette a dura prova le sue
qualità di cantore lineare, dall’accentazione sobriamente incisiva, limitandone fortemente le
possibilità di sfumatura nel colore e nell’espressione, sì che a volte sembra di “ascoltare”
uno di quegli attori di Hollywood che testimoniano la loro “virilità” non abbandonando mai
il fiero cipiglio che gli piega l’angolo delle
labbra in una smorfia di amara e consapevole
“superiorità”. La registrazione risulta piuttosto
compressa e appiattita, con fenomeni di risonanza e di riverberazione, accentuati da un’eccessiva rilevatura in primo piano delle voci. I
rumori di sala (soprattutto un diffuso brusio) e
di palcoscenico non sono particolarmente disturbanti.
Delle “spedizioni messicane” dei cantanti
che andavano per la maggiore sulle scene italiane nel decennio immediatamente successivo
alla fine della seconda guerra mondiale sono
documento le registrazioni delle rappresentazioni di Aida, il 30 maggio 1950 e il 3 luglio
1951, al “Palacio de Bellas Artes” di Città del
Messico, pubblicate, la prima dalla “Melodram”, direttamente nella rilettura digitale in
due dischi compact, e la seconda dalla “Cetra”,
nella serie “Opera Live”, in tre dischi microsolco lunga durata 33 giri. Entrambe sono state
ampiamente ristampate, in dischi compact, da
un numero di case fonografiche che, per l’edizione del 1951, è tale da poter essere considerato eccezionale (e che annovera anche la
“EMI”, decisasi finalmente a riconoscere l’importanza – e la “commerciabilità” – delle riprese dal vivo). Entrambe le edizioni sono dominate dalla presenza di una Maria Callas
molto giovane, che predilige le tinte scure, le
tonalità cupe, in una interpretazione funebremente tragica del personaggio di Aida. La netta preferenza per la seconda edizione del 1951
sta anzitutto nella qualità del documento sonoro originario del 1950, e poi nella mancanza di
energia della direzione di Guido Picco, senza
piglio e senza effettivo controllo dell’insieme.
A ciò si aggiunga la prevalenza nell’edizione
del 1951 di artisti italiani più giovani di età, e
noti a un pubblico europeo (il cinquantenne tenore renano Kurt Baum, Radamès, e il quarantasettenne baritono di Baltimora, Robert Weede, Amonasro, hanno avuto una carriera pressocché esclusivamente americana). In effetti, a
parte l’esordio fonografico della Callas, di memorabile l’edizione del 1950 ha soprattutto
l’assunzione in disco del personaggio di Amneris da parte della quarantenne Giulietta Simionato. Nell’edizione del 1951 l’Aida della
Callas incontra il Radamès di Mario Del Monaco, un incontro che, frequente in teatro, fu
sempre impedito in studio, per ragioni di incompatibilità di esclusive commerciali. Maria
Callas interpretò Aida sulle scene di Città del
Messico in età di ventisei e ventisette anni: la
sua presenza è sì generosa e dominatrice, meno sfumata e innovatrice tuttavia di quella che
risulterà dalla registrazione milanese del 1955,
e pur ricca di lampi illuminanti e anticipatori,
ancorché il soprano greco non abbia ancora il
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coraggio di abbandonare la tradizione e concentri quindi le sue stupefacenti doti di penetrazione e di approfondimento, di vera e propria azione vocale, nelle pagine che le assicurano la preminenza protagonistica, senza
estenderle a tutti i momenti di presenza sulla
scena, anche i più apparentemente (e ingannevolmente) insignificanti. Praticamente un debutto è quello del ventitreenne mezzosoprano
messicano Oralia Dominguez, un’Amneris aggressiva e passionale, fin troppo accaldata e
furente, ma di grandeggiante impatto e di belle
qualità vocali. Meno soddisfacente di quella a
breve distanza di tempo consegnata al disco in
studio è la prestazione del trentacinquenne
Mario Del Monaco, sempre atleticamente “alta”, ma anche sempre al di sopra delle righe,
implacabilmente eroica e violenta. Il coetaneo
baritono genovese Giuseppe Taddei ha le qualità vocali per disegnare un Amonasro fiero,
energico, nel quale nobiltà e forza siano
espressione di una commossa partecipazione
alle sorti della propria terra e della propria
gente, ma non sempre riesce a resistere alla
tentazione di cedere alle troppo facili provocazioni del gigionismo. Un Ramfis indifferente è
quello del quarantaduenne Roberto Silva, mentre Ignacio Ruffino è al di sotto di quanto richiede il personaggio del Re. Singolare per la
dizione e l’articolazione è il Messaggiero di
Carlos Sagarminaga. Il quarantanovenne maestro romano Oliviero De Fabritiis non si può
dire proprio che si limiti soltanto ad accompagnare, ma si mantiene nel solco di una routine
che almeno assicura l’esistenza di un insieme.
Tra l’altro, non è che i complessi corali e orchestrali messicani lo aiutino molto a impegnarsi. Quando non sono in scena i quattro
protagonisti vocali, l’interesse dell’esecuzione
scema decisamente. La registrazione è molto
cruda e dura, con una captazione troppo vicina
alle fonti di emissione del suono, con risultati
di vibrazione e di distorsione. La “ricostruzione tecnica” non sempre riesce a mascherare le
deficienze originarie della ripresa sonora: e
non sarebbero certamente auspicabili quei colpevoli interventi di estetica sonora che ottengono soprattutto il risultato di alterare (e sarebbe più giusto dire “falsificare”) le caratteristiche identificative delle voci registrate.
La prima edizione di Aida appositamente
realizzata per il microsolco sembra sia quella
registrata dalla “Capitol” a Roma sul finire del
1950 (la datazione è da me desunta da un annuncio apparso su “The Gramophone Shop”
in quell’anno), posta sotto la direzione del
quarantaquattrenne maestro romano Alberto
Paoletti ed evidentemente predisposta per porre protagonisticamente in risalto la presenza
del quarantaseenne soprano transilvano Stella
Roman, acclamata Aida del “Metropolitan” di
quegli anni e come tale già incontrata in due
registrazioni riprese dal vivo di spettacoli del
teatro di New York. Gli altri interpreti sono
scelti per lo più nel ricco vivaio di comprimari
attivo in quel torno di tempo a Roma, tra il
teatro e la radio; da segnalare è il poderoso
Amonasro del ventisettenne baritono cagliaritano Antonio Manca Serra (scomparso in assai
giovane età, appena trentatreenne, nel 1956, a
Dublino).
Da un’esecuzione in forma di concerto, a
Vienna il 3 febbraio 1951, nell’Aula Magna
del “Musikverein”, è tratta la registrazione di
Aida, pubblicata, in rilettura digitale in due dischi compact dalla “Arkadia” nel 1989, e ripubblicata nella stessa veste dalla “Urania” nel
2001. Un quarantaduenne Herbert Von Karajan dirige l’Orchestra Sinfonica di Vienna, il
“Wiener Singverein” e il coro a cappella dei
Maestri di Vienna. Protagonista indiscusso è il
maestro di Salisburgo. Lo si avverte fin dal
preludio, che inizia con un filo di suono, esile
ma resistente, e forte, eppur pieghevole, voce
di un infinito patire dell’animo, si svolge lento,
penetrante, il disegno melodico esposto in ogni
più riposta piega, pietoso e a un tempo inesorabile, cauto e abbandonato, esitante e slanciato, interrogativo e affermativo, dubbioso e sicuro, asseverativo e incerto, a fil di coltello sui
due versanti del presagire e dell’indagare, delicatissimo, ma non fragile, e infine si espande
disteso come acqua che dilaga e allaga. Come
con questo splendido e incomparabile preludio
introduce l’intera opera, così Karajan porge ad
ogni personaggio l’entrata, la sua propria entrata, e quella specifica di quel momento dell’opera, con un colore, un timbro, un moto,
una linea, un disegno, un accento che l’orchestra preannuncia. Karajan per i “suoi” interpreti non è soltanto un conduttore, è un interlocutore. È come se, paradossalmente, gli assoli
fossero duetti, i duetti terzetti, e così via, tanto
la presenza del direttore è immanente a ogni
passo dell’opera. Se un tenore come il trentottenne Lorenz Fehenberger riesce ad arrivare fino in fondo, lo deve esclusivamente al modo
in cui Karajan lo sorregge, lo sostiene, lo surroga, lo sostituisce: il Radamès del tenore bavarese, ancorché non estraneo al repertorio
verdiano, non sarebbe stato in grado di uscirne
sano e salvo, almeno in questa occasione, a lui
evidentemente non favorevole. Ma il discorso
può valere anche per l’Amonasro del trentaquattrenne baritono novarese Giampiero Malaspina, per il modo in cui Karajan ne contiene
ed imbriglia la latente esuberanza vocalistica.
O per converso per il modo in cui riesce a trarre partito dall’opacità della voce del Ramfis
del ventinovenne basso perugino Mario Petri.
L’orchestra, sotto la bacchetta di Karajan, è un
contenitore che avvolge così l’intera opera come i singoli personaggi, ma non è una scatola,
o un involucro qual che sia, è un vero e pro-
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prio generatore di linfa vitale. Karajan interpone tra l’uno e l’altro di quelli che potrebbero
considerarsi i “numeri” dell’opera (in un’opera
che non è più “a numeri”) uno spazio di silenzio, a volte infinitesimo, ma sempre percettibile, come un respiro. E come tale non rompe
l’unità del procedere discorsivo, ma consente
di dar rilievo a ciascuna delle frasi di “ingresso” (più o meno brevi) con cui l’orchestra anticipa l’avvio della voce. L’orchestrazione di
Karajan è distintiva (nel senso che l’ascoltatore è sempre in grado di seguire con chiarezza
ciascuna delle linee di cui si compone), ed altrettanto distintiva è la concertazione delle voci nei “numeri” a due, a tre, o a quattro e più
parti. I cori non sono massicci, ma sono lentamente scanditi e pausati, senza affastellamenti
e senza precipitazioni, mossi al loro interno in
una sorta di “terrazzamento” a più piani, organismi possenti che avanzano senza nulla travolgere, ma tutto raccogliendo in sé come nutrimento necessario, sostanza che è condizione
indispensabile al loro divenire in ampiezza e in
grandezza. Là dove la situazione richiede una
sensazione di stasi o addirittura di immobilità,
Karajan gioca l’alternarsi e l’unirsi delle voci
dei due comparti, femminile e maschile, con
una perizia che è fonte di meraviglia, ma non
soltanto nel senso che è meravigliosa la sua
abilità, ma anche e soprattutto in senso creativo, col termine di meraviglia essendo indotti a
qualificare la condizione rappresentata. Così
nella parte iniziale del secondo quadro del primo atto (con la contrapposizione delle solitudini dei due cori, il femminile e il maschile, che
scivola magicamente in una misteriosa unità,
che non è sovrapposizione ma commistione).
Così nella parte iniziale del terzo atto (con le
voci maschili fondo indistinto, mistericamente
esoterico, e le voci femminili, clamanti nell’invocazione, che si fondono come per un incantesimo). Nel fluire dell’insieme Karajan inserisce senza soluzioni di continuità le danze: nel
secondo quadro del primo atto, la danza delle
sacerdotesse (che neanch’essa sorge direttamente dal coro che la precede, ma nasce di per
sé, dopo un quasi impercettibile silenzio di
stacco), sinuosamente fascinosa, serpente pigro e lascivo, oserei dire persino sonnacchioso,
che distende lentamente le sue spire, con movimenti estremamente stilizzati, quasi scomposti nei singoli elementi che li formano; nel primo quadro del secondo atto, una danza dei
moretti pimpante, ma a tempo giusto, senza
precipitazioni; nel secondo quadro dell’atto, un
Ballabile leggero e petulante, con grazia invitante (e non provocante), assai ben timbrato
nello strumentale, il cui tessuto è chiaramente
penetrato e distinto. Meno convinto si palesa
Karajan nella famosa marcia trionfale, che poi
troppo “trionfale” proprio non è, quasi sfilassero soldati stanchi, esausti, un po’ straccioni e
un po’ abbrutiti, che faticano ad avanzare, a tenersi su ritti impettiti. E anche il popolo che li
applaude è come appannato e appassito, partecipe di un fasto che è più orpello che sostanza,
e son lì prossimi i sacerdoti ad esplodere pesanti e minacciosi con “Struggi, o re, queste
ciurme feroci”, e solo allora Karajan rafforza il
mormorio che già aveva fatto eco a “Ma tu, re,
tu, signore possente” in un grandioso appello
alla clemenza e alla misericordia, che il compromesso rabberciato dal Re su consiglio di
Ramfis libera in un canto di gloria, tuttavia
percorso come da rabbrividiti accenni di pericolo da voci di desolazione (Aida), di rifiuto
(Radamès), di vendetta (Amonasro). Nel primo quadro del quarto atto, l’orchestra abbraccia e stringe a sé le voci diversamente disperate di Amneris e di Radamès, spingendole verso
il silenzio terrificante del mistero e dell’oscurità, nel quale vaga sperduta la voce di una
Amneris che affonda nel nulla dell’impotenza.
Giovane interprete della principessa egizia è il
ventiseenne contralto dell’Alabama Nell
Rankin, che nei confronti di Aida ha una sorta
di tenerezza venata di sospetto (nel primo atto), sensuale e quasi sfinita dal desiderio nell’attesa di Radamès (all’inizio del secondo atto), compassionevolmente consolatrice nell’apparenza, carica di perfidia nella sostanza,
non riesce tuttavia a schiacciare l’antagonista
(nel duetto successivo), irosa e fatale, passionale e ardente, riversa tutta la propria anima
nella disperazione con cui “aggredisce” il renitente Radamès (nel duetto del primo quadro
del quarto atto). La voce è particolarmente robusta in acuto, mentre nel grave tende un po’
troppo ad aprirsi: nell’invettiva ai sacerdoti
non riesce abbastanza imperiosa e dominatrice.
Aida è il ventinovenne soprano croato Dragica
Martinis, che in quello stesso anno avrebbe
cantato Desdemona in Otello a Salisburgo sotto la direzione di Wilhelm Fürtwängler. La
Martinis è l’interprete ideale per l’Aida di Karajan, perché si adegua con estrema duttilità a
tutti i suggerimenti e a tutte le proposizioni del
direttore. La voce non è densa e corposa ma è
robusta e piena, pur tendendo a una sorta di affilata secchezza. Nel monologo del primo atto
ha forza di immaginazione (la visione drammatica del padre incatenato), riflessi interiori
di contenuta ma intensa commozione (il ricordo dell’amore per Radamès), si dispiega e si
raccoglie con pienezza di sentire nell’invocazione della morte. Nel primo quadro del secondo atto replica ad Amneris dapprima con aggressiva violenza, poi a mano a mano ripiega
sempre più dentro sé stessa, il dolore prevalendo sulla fierezza. Nel monologo del terzo atto
alterna con abilità anche di interprete l’ansia,
l’enfasi, l’abbandono doloroso, teso e vibrante,
la concitazione dell’angoscia, l’incanto visionario del ricordo, l’aspirazione immaginativa
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di un futuro negato, il tutto con contenutezza
di linea priva di qualsiasi tentazione all’esibizionismo virtuosistico. Con Radamès è decisa
sia nel furore geloso della donna delusa sia
nella seduzione fascinatrice dell’amante (“Là,
tra foreste vergini” è una canzone magicamente consolatoria, liberatoria apertura verso ignote beatitudini). Nel quadro finale dell’opera la
Martinis è perfettamente in sintonia con la funebre lentezza (ma anche con la delicatezza)
della direzione di Karajan, un’Aida esaltata e
inebriata, come intossicata, già ormai al di fuori del mondo, nell’abbandono di sé al tutto, e
pur tuttavia con grazia nell’offerta dell’accettazione. Mario Petri offre un Ramfis ricercato
nell’espressione, lento e cauto nell’accentare e
nel battere il tempo, solenne nell’esplicazione
delle funzioni di Gran Sacerdote, uomo di potere che non solo ama la patria ma anche il popolo e la terra che ne sono anima e corpo, presago di tempi oscuri e preoccupato del futuro,
con sincera e appassionata partecipazione, nel
secondo atto, affettuosamente coinvolto nella
palpitante attesa di Amneris, nel terzo atto, severamente inquisitivo, con tono di disprezzo,
nei confronti del traditore, per il quale v’è soltanto condanna senza perdono, nel quarto atto.
Amonasro proclamatorio e segretamente minaccioso nel secondo atto, Giampiero Malaspina conferisce nel terzo atto al re degli Etiopi
una sorta di piglio gioioso e soddisfatto, sottinteso di complicità, che serve ad attenuare la
pesantezza di un canto non rifinito e piuttosto
rozzo. Il trentottenne basso-baritono viennese
Alois Pernerstorfer, che non si trova proprio
sempre a proprio agio nella pronuncia dell’italiano, è un Re d’Egitto incline alla pompa e alla solennità altisonante, ma è sincero nella gratitudine, nella promessa e nell’auspicio di un
migliore avvenire per il suo popolo. Eccede alquanto nella vocalizzazione la Sacerdotessa di
Hilde Forer. L’ottima qualità della ripresa sonora originale è ben riprodotta nella rilettura
digitale dell’“Arkadia”.
Dalla trasmissione del 12 giugno 1951 è
tratta la registrazione dell’Aida diretta da Vittorio Gui alla radio di Roma, pubblicata dalla
“Cetra” in tre dischi microsolco lunga durata
33 giri, e successivamente ristampata in rilettura digitale in due dischi compact dalla “Warner
Fonit” (una ulteriore rilettura digitale è stata
pubblicata in Germania dalla “Cantus Classics”). La domina nettamente il sessantacinquenne maestro romano, con una direzione fervente, appassionata, energica (“veemente” la
qualificò Jacques Bourgeois), di grande forza
drammatica, ma anche capace di ampie distensioni e di sciolte freschezze, stilisticamente
consapevole delle parentele col primo Verdi e
delle antecedenze donizettiane e non aliena dal
fasto spettacolare che è considerato proprio del
“grand-opéra”. Purtroppo, tra i solisti di canto,
solo alcuni rispondono ai suggerimenti di Gui.
Tra essi non è certamente il quarantaquattrenne
tenore pisano Mario Filippeschi, un Radamès
duro e ispido, grezzo e indifferente, genericamente lamentoso, e per di più afflitto da un certo vibrato nonché adepto convinto del portamento come unico veicolo possibile dell’espressione vocale. Il quarantatreenne basso
senese Giulio Neri è un Ramfis sonoro e solenne, ma ha più enfasi che grandezza e inoltre la
sua emissione risulta troppo intubata. Il trentenne soprano genzanese Caterina Mancini è
un’Aida spinta fino agli estremi della drammaticità: la passione spesso travalica i limiti del
disegno vocale, che si fa ineguale o addirittura
sgraziato, ma il personaggio è affrontato con
forza, con cupa decisione, e non manca neanche di momenti di abbandono a un canto più
luminoso e disteso. Il quarantunenne mezzosoprano forlivese Giulietta Simionato (nella seconda delle sue otto impersonificazioni di Amneris testimoniate in disco) scolpisce il personaggio con passionale violenza: fremente,
agitata, dominatrice, ma anche insinuante e piena di promesse, schiaccia psicologicamente
l’Aida della Mancini nel duetto del secondo atto, mentre nel quarto atto compie il disegno del
personaggio colorando lo slancio appassionato
di una struggente umanità, segreta di una fatalità antica e misteriosa che alla sofferenza dà la
grandiosa dimensione di un dolore cosmico. Se
la Simionato può essere considerata la vera
protagonista vocale dell’edizione Gui (solo potendosi richiederle una maggiore rifinitura vocale), sarebbe ingiusto non porre l’accento anche sull’Amonasro del ventiseenne baritono
fiorentino Rolando Panerai, sobrio, dignitoso,
appassionato, senza enfasi, efficace soprattutto
nella nostalgia e nella suggestione, assai ben
tornito nel fraseggio, semplice ma drammaticamente incisivo. La registrazione manca un poco di profondità e non è molto selettiva, ma è
sufficientemente chiara e fedele.
Al dicembre 1951 data l’inglese Tobias
l’edizione fiorentina di Aida diretta dal quarantunenne maestro romano Emidio Tieri per la
Casa fonografica statunitense “Ace Records”,
una Casa dalla vita tanto breve quanto effimera fu la presenza sul mercato di questa edizione, dapprima annunciata in tre dischi e poi effettivamente distribuita in soli due dischi microsolco lunga durata 33 giri. Recentemente la
statunitense “House of Opera” ha immesso sul
mercato un disco compact intitolato “The hilarious Vassilka Petrova” (“L’esilarante Vassilka Petrova”), che si richiama dichiaratamente all’edizione della “Ace Records”. Il disco
“House of Opera” dura 60’02” e contiene sette
estratti da Aida: 1) “Se quel guerrier io fossi”;
2) “Ritorna vincitor”; 3) il duetto Amneris-Aida del primo quadro del secondo atto, a partire
dall’incipit corale “Vieni: di gloria il premio”
82
e fino alla fine del duetto stesso; 4) la parte
conclusiva del secondo quadro del secondo atto, a partire dall’incipit “Salvatore della patria”; 5) il duetto Aida-Amonasro del terzo atto, a partire dall’incipit “Cielo! Mio padre” fino alla fine del duetto stesso; 6) la parte
conclusiva del primo quadro del quarto atto, a
partire dall’incipit “Ohimè! morir mi sento!”;
7) la parte conclusiva del secondo quadro del
quarto atto, a partire dall’incipit del coro fuori
scena “Possente Fthà” (le prime parole che si
odono dalle voci dei solisti sono “Triste canto”).La scelta può esser considerata singolare,
anche perché della “esilarante” protagonista
mancano le pagine fondamentali del terzo atto,
il monologo “Qui Radamès verrà” e il duetto
con Radamès “Pur ti riveggo”. Una cosa però
può desumersi con ragionevole sicurezza, che
la scelta non è quella tipica di una registrazione originariamente pensata come “selezione” o
“Highlights” o “Höhepunkte” o “Querschnitt”
o “antologia”. L’aspetto è quello di una estrazione casuale (molto casuale) di brani da una
preesistente registrazione continuativa (al massimo una edizione “abbreviata”, ma forse anche qualcosa di più). Come si è già notato,
mancano momenti cruciali, che sarebbero tipici di una selezione preordinata, quali il monologo di Aida e il duetto Aida-Radamès nel terzo atto, ma anche il duetto Amneris-Radamès
nel primo quadro del quarto atto e la parte iniziale del duetto Radamès-Aida nel secondo
quadro dello stesso atto (che include l’arioso
di Radamès “Morir sì pura e bella”). Ci sono
invece pagine quali parte del coro delle ancelle
che precede il duetto Amneris-Aida nel primo
quadro del secondo atto, la parte conclusiva
del secondo quadro dello stesso atto e la parte
conclusiva del primo quadro del quarto atto
che richiedono non solo la presenza del coro,
ma anche quelle dei personaggi del Re e di
Ramfis: in genere l’editore di un disco di selezione cerca di risparmiare il costo di due bassi
solisti (che considera “inutili” ai suoi fini). La
“inabilità” delle scelte operate dalla “House of
Opera” e ancor più la rozzezza degli stacchi in
attacco o in chiusura dei singoli brani fanno
pensare che la “selezione” sia stata operata ritagliando parti di una registrazione assai più
completa. La “House of Opera” non offre nessun’altra informazione al di fuori del nome di
Vassilka Petrova e dell’indicazione come fonte
dell’edizione “Ace Records” degli “anni Cinquanta”. La richiesta scritta di più dettagliate
informazioni è rimasta senza risposta. D’altronde, della stessa edizione originale in tre e
poi due dischi microsolco 33 giri della “Ace
Records” si è sempre saputo assai poco, per
non dire quasi nulla. Quel che a suo tempo accertai fu che il direttore era Emidio Tieri, il
luogo e gli anni di registrazione Firenze tra il
1951 e il 1952, Amneris il mezzosoprano Eli-
zabeth Wysor, Aida il soprano Vassilka Petrova, Radamès il tenore Gino Sarri. Quest’ultimo
è un comprimario abituale degli spettacoli del
“Maggio Musicale Fiorentino” di quegli anni e
per giunta fu scelto da editori statunitensi quale cantante primario per la registrazione in microsolco lunga durata 33 giri di opere di repertorio. Si dà il caso che il maestro romano Emidio Tieri, all’epoca quarantunenne, abbia
diretto al Teatro Comunale di Firenze Aida nei
giorni 5, 8 e 15 dicembre 1951, come seconda
compagnia di uno spettacolo che è rimasto nelle cronache per essere stato una delle ultime
apparizioni sulla scena di Giacomo Lauri Volpi. Il fatto che i dischi “Ace Records” fossero
stati certamente immessi sul mercato nel 1952,
congiunto agli accertamenti di Firenze quale
sede e agli anni 1951-1952 quale periodo possibile della registrazione, nonché di Emidio
Tieri quale direttore, indussero alcuni discografi, tra i quali il Tobias, ad ipotizzare addirittura che si trattasse di un “travestimento” di
una registrazione dal vivo della prima compagnia dell’Aida fiorentina del 1951, diretta da
Gabriele Santini il 27 e il 30 novembre e il 2
dicembre, con Renata Tebaldi (Aida), Giacomo Lauri Volpi (Radamès, soltanto il 27 e il
30 novembre), Fedora Barbieri (Amneris),
Giulio Neri (Ramfis) e Raffaele De Falchi
(Amonasro). Un ascolto anche di pochi minuti
esclude tassativamente che di ciò possa trattarsi. Ma per la seconda compagnia, quella che
ebbe come direttore Emidio Tieri e andò in
scena nelle ultime tre recite del 5, 8 e 15 dicembre 1951, qualche dubbio potrebbe anche
aversi. Anzitutto il dicembre 1951 è il mese individuato dall’inglese Tobias come mese della
registrazione fiorentina della “Ace Records”. I
complessi corali e orchestrali difficilmente potrebbero non essere quelli del “Maggio Musicale Fiorentino”. L’inciampo è nella compagnia di canto. Renata Tebaldi fu sostituita come Aida da Carla (Dragica) Martinis.
Giacomo Lauri Volpi già il 2 ottobre era stato
sostituito quale Radamès da Giuseppe Vertechi. Giulio Neri fu sostituito quale Ramfis da
Silvio Maionica. Raffaele De Falchi cantò
Amonasro anche il 5 dicembre, ma l’8 e il 15
fu sostituito da Enzo Viaro. Ma l’Amneris di
Fedora Barbieri restò fino al 15 dicembre, per
tutte e sei le recite. E della prima e della seconda compagnia fecero parte senza sostituzioni il Re di Mario Frosini, il Messaggiero di
Brenno Ristori e la Sacerdotessa di Grace
Hoffman. Non conosco le voci di Giuseppe
Vertechi e di Enzo Viaro (o meglio, non li ho
mai ascoltati in parti primarie) e quindi non
posso esprimermi sugli interpreti di Radamès e
di Amonasro nel disco “House of Opera”, ma
escludo che l’Amneris di questo possa essere
Fedora Barbieri (che ho ascoltato anche di persona) ed escludo anche che l’Aida possa essere
83
Carla (Dragica) Martinis (che ho ascoltato in
più di una registrazione in parti primarie). Ma
tutte queste ipotesi mi sembrano assai gratuite
e, se mi ci sono dilungato, è solo per eliminarle dalle possibilità di una identificazione attendibile sulla base dei fatti. E i fatti sono che i
nomi certi che abbiamo sono quelli di Elizabeth Wysor (che ebbe una discreta carriera
successiva), di Gino Sarri (che costituisce uno
stretto legame con il teatro fiorentino) e di
Vassilka Petrova (che è probabile sia un membro della famiglia del baritono bulgaro Ivan
Petrov, che nei primi anni Cinquanta registrò
in Firenze in parti primarie opere di repertorio
complete per case fonografiche americane e
che concluse la sua carriera in California). Una
supposizione, che ha l’aria della possibilità
(ma solo l’aria), è che la registrazione abbia
avuto luogo al Teatro Comunale di Firenze nel
dicembre 1951 con il coro e l’orchestra del
“Maggio Musicale Fiorentino” diretti da Emidio Tieri (che avevano già eseguito – o stavano
ancora eseguendo? – Aida, e quindi non avevano bisogno di provarla), con l’inserzione di
cantanti disponibili su piazza diversi – almeno
nelle parti principali – da quelli impegnati in
teatro. Di questi cantanti conosciamo i nomi di
Elizabeth Wysor (Amneris), Vassilka Petrova
(Aida) e Gino Sarri (Radamès). Ma nel disco
“House of Opera” udiamo cantare anche Amonasro, Ramfis e il Re, oltre che il coro. E siamo anche coscienti, e abbastanza discretamente, della presenza di un suggeritore, che fa pensare a un’esecuzione in teatro (che potrebbe
anche essere a porte chiuse, se fosse vera l’ipotesi da me formulata). Più che probabile è
comunque che il disco “House of Opera” non
contenga tutto quello che contenevano gli originari due (o tre?) dischi “Ace Records”.
Otto sono le rappresentazioni di Aida dirette da Fausto Cleva al “Metropolitan” di
New York che sono state riprodotte in dischi.
Coprono un arco di venti anni, dal 1952 al
1971, dal quarantanovesimo al sessantottesimo
anno di età del maestro triestino: 8 marzo
1952, 24 gennaio 1953, 20 febbraio 1954, 31
dicembre 1955, 23 febbraio 1957, 30 novembre 1957, 28 novembre 1970, 31 maggio 1971.
Cleva ha diretto cinque Aida (Zinka Milanov,
Antonietta Stella, Maria Curtis Verna, Lucine
Amara e Martina Arroyo), sei Amneris (Nell
Rankin, Blanche Thebom, Fedora Barbieri,
Irene Dalis, Christa Ludwig e Grace Bumbry),
cinque Radamès (Mario Del Monaco, Kurt
Baum, Carlo Bergonzi, Richard Tucker, Franco Corelli), cinque Amonasro (Leonard Warren, George London, Robert Merrill, Cornell
MacNeil, Mario Sereni), quattro Ramfis (Jerome Hines, Giorgio Tozzi, Ezio Flagello, Cesare Siepi), quattro Re d’Egitto (Lubomir Vichegonov, Louis Sgarro, Edmund Karlsrud,
Paul Plishka), cinque Messaggieri (Thomas
Hayward, Paul Franke, James McCracken, Robert Nágy, Rod MacWherter), sei Sacerdotesse
(Lucine Amara, Margaret Roggero, Shakeh
Varttenissian, Helen Vanni, Margaret Kalil,
Carlotta Ordassy). L’impiego di “artisti di casa” è palese nei personaggi di Ramfis e del Re
d’Egitto in coppia, per tre volte (Jerome Hines
e Lubomir Vichegonov dal 1952 al 1954,
Giorgio Tozzi e Louis Sgarro dal 1955 al
1957). Si avverte meno, per il Messaggiero e
la Sacerdotessa, solo perché la “casa” può giocare su un numero elevato di comprimari a disposizione. Se si passa ai quattro ruoli considerati primari nell’opera (e nel far questo mi attengo strettamente alle consuetudini teatrali in
proposito, consuetudini sulle quali non sono
per nulla concorde), “di casa” è anche Zinka
Milanov, la cantante croata che fu “regina del
Metropolitan” per oltre un decennio, che “occupa” il seggio della protagonista, nel caso in
esame, per quattro rappresentazioni consecutive, dal 1952 al 1955. Delle quattro Aida che le
succedono, almeno due (Maria Curtis Verna e
Lucine Amara) possono essere considerate “di
casa” per la frequenza (ma non la costanza)
con cui sono chiamate dal teatro, mentre Martina Arroyo e soprattutto Antonietta Stella sono cantanti “ospiti”. Tra i Radamès “di casa”
sono Kurt Baum (tre volte, 1954-1957) e Richard Tucker (qui però verso la fine della carriera, 1970), “ospiti” Mario Del Monaco, Carlo Bergonzi e Franco Corelli. Tra le Amneris
“di casa” Blanche Thebom (tre volte, 1953 e
1955-1957) e Irene Dalis (1957). Tra gli Amonasro “di casa”, Leonard Warren (due volte,
1952 e 1954), Robert Merrill (1955) e Cornell
MacNeil (1970). Gli è che anche Fausto Cleva
è un direttore “di casa”. Tanto “di casa” che
non esiste in disco una registrazione di Aida
che sia stata da lui diretta al di fuori del “Metropolitan”. Con Cleva debuttano in disco, nei
rispettivi personaggi, Lubomir Vichegonov,
Thomas Hayward e Lucine Amara (Sacerdotessa) nel 1952, George London nel 1953, Fedora Barbieri e Margaret Roggero nel 1954,
Louis Sgarro, Giorgio Tozzi, James McCracken (Messaggiero) e Shakeh Varttenissian
nel 1955, Helen Vanni nel febbraio 1957, Irene Dalis, Carlo Bergonzi e Robert Nágy nel
novembre 1957, Edmund Karlsrud, Christa
Ludwig, Rod MacWherter e Margaret Kalil
nel 1970, Paul Plishka (Re d’Egitto) nel 1971.
Sarà certamente una casuale coincidenza, ma
nessuna delle otto Aida è una “debuttante”, sia
pure in disco. L’edizione dell’8 marzo 1952 è
stata pubblicata in rilettura digitale in due dischi compact dalla “Myto Records”, nel 1995.
Quella del 24 gennaio 1953 dalla “Bongiovanni”, in Italia. Quella del 20 febbraio 1954 dalla
“Omega Opera Archive” negli Stati Uniti e
dalla “Lyric Distribution” in Europa. Quella
del 31 dicembre 1955 ancora dalla “Omega
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Opera Archive”, sempre negli Stati Uniti. Sono le quattro edizioni accomunate dalla presenza dell’Aida di Zinka Milanov, colta nel
momento culminante della carriera, tra i quarantacinque e i quarantotto anni. Disegnato
con linea vocale robusta e densa, il personaggio è tenuto sotto una continua tensione, magistralmente controllata; ancorché si permetta
qualche divistica enfatizzazione per così dire
“sopra le righe”, la raffigurazione è quella di
una donna che ha la forza e la volontà di essere
e di agire, pur in condizioni di profondo dolore, e che soltanto nella certezza della morte si
rasserena. Si è già parlato dei Radamès di Mario Del Monaco come delle Amneris di Nell
Rankin e di Blanche Thebom, e si parlerà poco
più avanti di quella di Fedora Barbieri. L’Amonasro di Leonard Warren (nel 1952 e nel
1954) è più misurato di quello che mi aveva
deluso nel 1946. Risponde alle caratteristiche
positive già riscontrate in occasione dell’edizione in lingua tedesca del 1955 l’Amonasro
del trentatreenne baritono canadese George
London (nel 1953). Si è già parlato in occasione dell’edizione del 1950 diretta da Emil Cooper dell’Amonasro di Robert Merrill. La direzione di Fausto Cleva mantiene sempre quelle
caratteristiche di normalità e di medietà, teatralmente professionale, che si erano riscontrate nell’edizione “abbreviata” del “Metropolitan
Opera Record Club”. Dal punto di vista delle
“ricostruzioni tecniche” e delle riletture digitali dei nastri originali mi sembra di poter onestamente ritenere che la più riuscita sia quella
dell’8 marzo 1952. Va segnalato che altrettanto onestamente l’editore di quella del 31 dicembre 1955 non ne fornisce copia se non su
esplicita richiesta del committente, date le condizioni precarie in cui si trova l’originale.
Una delle prime realizzazioni fonografiche del binomio Tebaldi-Del Monaco per la
“Decca” fu, nel 1952, proprio Aida e fu tra le
più riuscite, essenzialmente per la grandiosa
impersonificazione della protagonista da parte
di una Renata Tebaldi trentenne, che dispiega
la voce al meglio delle sue possibilità e in tutta
la pienezza della sua bellezza, ma senza prevaricare sull’espressione, e anzi questa plasmando con purezza d’intonazione e d’emissione
che si nutre di una intensa sensibilità lirica e
drammatica. Ebe Stignani ha ulteriormente
maturato il personaggio di Amneris, nutrendolo di una perfidia insinuante che si alterna alla
forza minacciosa, l’una e l’altra destinate a lasciare il posto nell’ultimo atto a una meditativa
nostalgia, a una ragionata rassegnazione: della
grande cantatrice sono ancora il calore e la pienezza del canto, ma la voce, che pure ha acquistato in omogeneità, ha perduto un poco del
suo corpo, così denso e profondo, il che la costringe talvolta a qualche artificio integrativo.
Il trentacinquenne basso ginevrino Fernando
Corena è un Re semplice e solenne, nobile e
incisivo, eppure non rigido, ma ricco di calore
umano. Pallido è invece il Ramfis di Dario Caselli, che manca di ogni senso di mistero e non
esce mai dalla genericità. Il trentunenne baritono cremonese Aldo Protti è un Amonasro enfatico, eccessivamente sottolineato nell’accentazione e non rifinito nel disegno. Resta il Radamès di Mario Del Monaco, valente ed eroico
per eccellenza, ma tutto d’un pezzo, senza sfumature e senza raccoglimenti o riposte pieghe
intime, un Radamès al tempo stesso esagerato
e indifferente, ma certo non privo di solidità e
di robustezza. La direzione del quarantatreenne maestro genovese Alberto Erede risulta
piuttosto stanca, povera nel suono e anonima
nell’espressione, appena onesta e diligente. La
registrazione è tra le migliori dell’epoca, per
pienezza d’insieme, ricchezza di dettagli e penetrazione di prospettive. È stata riletta digitalmente in due dischi compact dalla stessa “Decca”, e inoltre dalla “Pearl” in Gran Bretagna,
dalla “Theorema” prima e dalla “Cantus Classics” poi in Germania.
Sfrutta il momento di giovanile splendore
vocale e di progressiva maturazione interpretativa di Renata Tebaldi la riproduzione dal
vivo della rappresentazione del 7 marzo 1953
al “San Carlo” di Napoli. Rispetto alla registrazione monofonica in studio dell’anno precedente, realizzata a Roma, all’Accademia nazionale di Santa Cecilia, il soprano pesarese,
ora trentunenne, può avvalersi di una direzione assai più partecipativa, quella del settantaquattrenne maestro veneto Tullio Serafin, e di
un più imponente Ramfis, il quarantaquattrenne basso toscano Giulio Neri. Le sta a fronte,
come a Roma, l’Amneris di Ebe Stignani.
L’Amonasro di Ugo Savarese certamente non
fa rimpiangere quello di Aldo Protti, ed è tutto
quel che ne posso dire. Attenzione merita invece il Radamès del trentatreenne tenore piemontese Gino Penno, pieno di dignità e ricco
di stile.
Giustamente celebrata è stata l’apparizione nella discografia di Aida della riproduzione
della rappresentazione del “Covent Garden” di
Londra del 10 giugno 1953, per il felice incontro dell’Aida di una ventinovenne Maria Callas
con la direzione del cinquantatreenne maestro
inglese John Barbirolli. Fin dall’entrata in scena di Aida nel primo atto cantatrice e direttore
si trovano in perfetta sintonia, l’una mutuando
dall’altro, e l’altro dall’una, figurazioni, accentazioni, movimenti, flessioni, colorazioni del
disegno della linea, con risultati straordinari ai
fini della omogeneità e dell’organicità dell’insieme. Maria Callas è un’Aida drammaticamente tesa e ansiosamente concitata, ma l’affanno interiore non si trasforma mai in esibizionismo proclamatorio. È un’Aida intensa ma
contenuta, sottolineata con forza, ma raccolta
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con delicatezza in intimità. La naturalezza recitativa si accompagna alla commozione struggente degli empiti che nascono dalla memoria,
dalla nostalgia, dal rimpianto, dagli affetti (non
solo per Radamès, anche per Amonasro: la
dolcezza con cui si rivolge, supplice, distrutta,
eppur sottomessa, al padre nel terzo atto è una
notazione esclusiva della sua interpretazione
del personaggio). È un’Aida che ha il colore
della tragedia, ma è un colore che, pur onnipresente, resta sullo sfondo, consapevolezza
che vorrebbe essere messa a tacere dalla speranza, illusione che si nutre di promesse visionarie e seducenti (“Una novella patria”, “Là,
tra foreste vergini”, sempre nel terzo atto), in
cui ella stessa momentaneamente si perde.
L’accettazione, nel quarto atto, è piena di amore, di dedizione e di abbandono, luminoso addio alla vita, finemente e delicatamente sommesso e carico ad un tempo, la stessa visione
dell’angelo della morte immagine di serenità
piuttosto che di terrore. Al cinquantatreenne
Kurt Baum va il merito di aver cercato di adeguare il più possibile il suo Radamès, altrove
duro, legnoso e impettito, ai suggerimenti della
protagonista. Il quarantatreenne mezzosoprano
forlivese Giulietta Simionato ha l’ardore, la
passione, la sensualità necessari a irrobustire
di forza il carattere imperioso di Amneris, ma
non fino al punto di renderla dominatrice che
tutto sovrasta e cui tutto soggiace. Grande rilievo dà al personaggio di Ramfis il quarantacinquenne basso toscano Giulio Neri, Gran Sacerdote convinto e partecipe nel primo atto, severo e ammonitorio nel secondo, ispirato e
paterno nel terzo, inesorabile nell’accusa e nella condanna nel quarto, cantato con voce piena, densa e calda, con plastica articolazione
espositiva, del tutto domentico di tentazioni intubanti. Amonasro è il quarantaseenne baritono di New York Jess Walters: voce un po’
grossa, molto granosa, ben controllata e piegata ad espressioni contenute ma energiche di affermativa fierezza e di indomito orgoglio, con
qualche indulgenza a una certa teatralità nelle
minacce, ma anche con oasi immaginativamente suadenti o agilmente danzanti (“Rivedrai le foreste imbalsamate”). Ha difficoltà a
trarsi d’impaccio con la pronunzia della lingua
italiana il trentaduenne basso di Wolverhampton Michael Langdon, che pur sarebbe un Re
d’Egitto di asciutta autorità, solenne e severo,
ma anche umanamente concessivo e condiscendente. Una ventiseenne Joan Sutherland
impreziosisce della sua voce il personaggio
della Sacerdotessa nel secondo quadro del primo atto, con un vocalizzare pieno di luce, raffinato ed intenso, espressivamente partecipe e
tutt’altro che astrattamente esoterico. Già dall’iniziale preludio John Barbirolli enuncia le
caratteristiche della sua interpretazione di Aida. Il colore dell’opera è quello della malinco-
nia, fonda di una tristezza intensa e penetrante,
e allo stesso tempo dolce e invitante, che pervade l’animo senza che se ne riesca a conoscere il motivo. È un colore che richiede una direzione delicata e smorzata, tutta giocata sulla
capacità di far “parlare” l’orchestra come se
cantasse, soprattutto nei passaggi di presentazione dei diversi personaggi o delle diverse situazioni, una direzione che sappia comunicare
con sottigliezza e senza invadenza la sensazione di presagio che sottende l’intero cammino
dell’opera. Non sono quindi le grandi scene
corali i momenti salienti: più che un racconto
di popoli, l’Aida di Barbirolli è un racconto di
persone, di singoli uomini e di singole donne,
accolti e accompagnati nelle loro sofferenze,
speranze ed illusioni, e come avvolti in una carezza o in un abbraccio di comprensione o di
pietà da un’orchestra figurativamente ricca e
puntualmente definita, abilmente timbrata e
chiarificata nella tessitura strumentale, volta
più all’esposizione narrativa ben scandita che
alla fluidità della movimentazione ritmica. La
rilettura digitale in due dischi compact di un
originale in buone condizioni (salvo un deterioramento piuttosto sensibile all’inizio del secondo atto), con un rumore di fondo che di rado si rende avvertibile in primo piano, è stata
pubblicata per la prima volta negli Stati Uniti
dalla “Legato Classics”, alla quale hanno fatto
seguito in Europa la “Golden Melodram” e la
“Archipel”.
Dal prezioso e impareggiabile “Verdi’s
Disco” di Wilhelm Busse apprendo che la figlia del tenore Umberto Borsò ha datato al
1953 la registrazione di Aida diretta alla “Fenice” di Venezia dal cinquantottenne maestro
marchigiano Franco Capuana e pubblicata negli Stati Uniti in tre dischi microsolco lunga
durata dalla “Remington”. La sua importanza è
soprattutto nell’esordio fonografico del baritono senese Ettore Bastianini. Ma non soltanto
per questa ragione l’edizione “Remington”
(come molte altre di questa minore casa americana) meritava una ristampa. E l’ha avuta, in
questo inizio del XXI secolo (a cinquant’anni
di distanza), sotto forma di rilettura digitale in
due dischi compact da parte dell’austriaca
“Preiser”. Ma non mi è riuscito di procurarmela (malgrado l’abbia diligentemente richiesta)
e quindi la mia conoscenza è rimasta limitata a
quella manciata di estratti pubblicata in un disco “Vedette” della serie “Quadrifoglio” (VDS
9501, microsolco lunga durata 33 giri, stereomono, ricostruzione tecnica) per un totale
complessivo di circa quarantotto minuti di musica (e realizzato con poca cura e poca attenzione: la “cucitura” fra il coro “Vieni, o guerriero vindice” e la parte conclusiva del concertato finale con coro del secondo atto è, a dir
poco, un capolavoro di “disinvoltura”). Già
nota è l’Amneris del trentaduenne contralto
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messicano Oralia Dominguez, che qui appare
ulteriormente appesantita, con una voce che
tende a intubarsi, e sembra di aver già perduto
di omogeneità e di continuità se non di forza.
Noto è anche il Ramfis di Norman Scott (che
però nel disco “Vedette” non compare praticamente affatto). Tornerà nell’edizione “Cetra”
del 1956 e in quella del “Metropolitan” del
1957 l’Aida del trentatreenne soprano del
Massachusetts Maria Curtis Verna, sommariamente sbrigativa, piuttosto opaca nel colore e
indifferente nell’accento, robustamente aggressiva e densamente passionale, con una certa
tendenza a rifugiarsi in una tremula lamentosità, insomma ancora evidentemente alla ricerca di una linea per il suo personaggio. Il trentenne tenore spezzino Umberto Borsò è dotato
di una voce robusta e squillante, baritonalmente inflessa nei gravi e nei medi, lucente e metallica negli acuti, ma canta in modo enfatico e
spinto, con poca naturalezza e senza sfumature. Ettore Bastianini, anch’egli trentenne, testimonia la corposa pienezza della voce, ma la
forza dell’impatto e l’energia degli slanci non
trovano seguito nella compattezza dell’arcatura, che tende ad incrinarsi e a frangersi, con
conseguente ricorso ai sostegni artificiali dell’enfasi e dell’effetto plateale. La direzione di
Franco Capuana appare intimamente raccolta,
come in una sorta di delicato riserbo, quasi
sottomessa ai cantanti, ma sembra farsi rutilante e lucente nelle scene di massa. La registrazione risulta piuttosto secca e compressa, con
un eccesso di presenza delle voci che ne compromette l’equilibrio.
Tra il 2 e il 18 luglio 1955 la “RCA” riunisce a Roma gli artisti più eminenti del “Metropolitan” di New York, Zinka Milanov, Jussi
Björling, Leonard Warren, affianca loro Fedora
Barbieri e Boris Christoff e realizza un’Aida
tradizionale, grandiosa, spettacolare, gloriosamente cantata, anche se affidata piuttosto alle
risorse dei singoli che alle capacità di connessione del cinquantaquattrenne maestro rumeno
Jonel Perlea, che in questa registrazione (anch’essa elettronicamente “rinnovata” in stereofonia dalla casa editrice, che successivamente ha provveduto a rileggerla digitalmente
in tre dischi compact) risulta sorprendentemente discontinuo e saltuario, nella sua direzione
alternandosi momenti di stupefacente delineazione plastica e di rilevatura espressivamente
determinante dell’orchestra, e ancora di straordinaria delicatezza e sensitività, con momenti
di altrettanto stupefacente abulia e disinteresse.
Ha osservato Jacques Bourgeois che, se Zinka
Milanov e Jussi Björling avessero registrato Aida qualche anno prima, non avrebbero conosciuto rivali. L’osservazione si riferisce, ovviamente, alle loro condizioni di voce: il soprano
jugoslavo era alla fine della carriera, quarantanovenne, il tenore svedese, quarantaquattrenne.
Eppure forse il deterioramento si avverte più in
Björling che nella Milanov: questa conserva
ancora una superba opulenza vocale e la difficoltà si avverte soltanto in qualche meno disinvolta agevolezza; l’Aida della Milanov è una
vera e propria eroina, appassionata, veemente,
soprattutto concepita con un’energia drammatica che rasenta la violenza, tale è la sua presenza, continua e assorbente; l’Aida della Milanov
si erge veramente su tutto e su tutti, incontrastata protagonista, principessa e donna al tempo
stesso, fiera e nobile, ma anche luminosamente
aperta al canto, in un abbandono che sa toccare
le corde della nostalgia e del desiderio, della
memoria e della melanconia, della dolcezza e
della rassegnazione, della seduzione e della
brama, con filature di limpida chiarità e con accaldate, cupe, fatali introversioni. Non so se
Björling abbia risentito dello sforzo di stare alla
pari di una simile grandiosa (e dispendiosa)
concezione protagonistica, che richiede un continuo primo piano, la concentrazione di un fuoco che non consente un attimo di respiro. È come se il metallo purissimo della sua voce avesse subito qualche incrinatura. Ma è solo una
questione di voce. La declamazione è ineccepibile, limpida, incisiva, plasma e scolpisce. La
dizione fluisce omogenea e lineare. Il canto ha
vibrazioni espressive di luminosa intensità e al
tempo stesso mantiene l’eloquio nei limiti della
sobrietà e della contenutezza. Quello di Björling è un Radamès virile e fermo, deciso ma al
tempo stesso delicato e tenero, di una consistenza vocale ed espressiva che può ben giustificare il paragone di Philip Hope-Wallace con
un altro Radamès rimasto famoso (ma purtroppo solo tardivamente, e piuttosto fortunosamente, documentato dal disco), quello di Giovanni Martinelli. L’imponenza è la caratteristica saliente dell’Amneris del trentaseenne
mezzosoprano triestino Fedora Barbieri, campeggiata anch’essa con grandiosità protagonistica, ma con minor sottigliezza, anche se con
pienezza vocale più giovanile ed agevole: ha
un calore insinuante, ricolmo di malizia, nei
rapporti iniziali con Aida, che poi travalicano
in una prepotenza che è segno di insicurezza;
nell’ultimo atto la fonda densità della voce è
spinta fino ai limiti dell’enfasi e corre così il rischio della mancanza di rifinitura lineare. Il
quarantaquattrenne baritono di New York Leonard Warren si decide a rinunziare alla concezione tradizionale di un Amonasro impetuoso e
vendicativo e preferisce giocare il personaggio
del padre di Aida sulle corde della nostalgia e
dell’immaginazione, insinuante e descrittivo
più che possente e trascinante. Il quarantunenne
basso bulgaro Boris Christoff offre un’ulteriore
impareggiabile variazione del suo personaggio
di cantante (ed è un Ramfis al tempo stesso
spaesato e affascinante). Un Re di intensa nobiltà umana è il coetaneo Plinio Clabassi. Né
87
va dimenticata la purezza vocale del trentenne
soprano bolognese Bruna Rizzoli, una Sacerdotessa di consistente presenza, che ha ben poche
concorrenti (a parte la radiosa, inarrivabile, bellezza vocale della Stich-Randall), anche per il
fascino di una solidità carnale che la differenzia
dalle consuete Sacerdotesse eteree e distaccate
(in ciò avvicinabile forse alla Sutherland).
Dal 10 al 24 agosto dello stesso anno
1955 la “Columbia” registrò a Milano Aida
sotto la direzione di Tullio Serafin, per la serie
di opere complete realizzate in collaborazione
con il Teatro “alla Scala” (ristampata dalla
“EMI” in un nuovo riversamento dai nastri originali e successivamente riletta digitalmente in
due dischi compact). Accanto al settantaseenne
maestro veneto, nel pieno della sua seconda
maturità (per non dire giovinezza), incontriamo per la prima (e unica) volta Tito Gobbi e
rinnoviamo l’incontro con Maria Callas, Richard Tucker e Fedora Barbieri. Per quest’ultima è abbastanza naturale che l’interpretazione
non differisca da quella dell’edizione romana
della “RCA”, che la precede di appena un mese: forse possiamo trovarvi un più di seduzione, di trepidazione, di speranza nel primo atto,
il duetto con Aida nel secondo atto è ancora
più insinuante e al tempo stesso terribile (un
acido sapore di trionfo piuttosto che un sentore
di minaccia), mentre nell’ultimo atto la tendenza all’enfasi, alla prestazione spettacolare,
la conduce a concitazioni e spezzature pericolose. Tucker conferma l’impressione nettamente positiva fornita sotto la direzione di Toscanini: a questa esperienza Jacques Bourgeois
fa risalire il “gusto del bel fraseggio” di cui il
quarantaduenne tenore di New York dà prova
fin dall’inizio, fin dalla celebre (e da altri abusata) aria d’entrata. Linearità di stile, contenuto pathos sentimentale nell’espressione sono le
caratteristiche del Radamès di Tucker, un Radamès fresco e giovane, solido e squillante, di
calma sicurezza e di robusta articolazione, a
volte forse un po’ generico, a volte però anche
carezzevole e tenero. Amonasro non è stato
uno dei ruoli preferiti di Tito Gobbi, probabilmente perché non molte possibilità offre di finezze vocali e di sfumature psicologiche: comunque, in questa registrazione della serie
“Columbia-Scala”, il quarantunenne baritono
bassanese riesce a conferire al personaggio accenti di umana fierezza e di accesa passione,
su un piano di decisione e di concretezza, che
sottolineano la funzionalità drammatica della
sua breve presenza. Il trentaduenne basso greco Nicola Zaccaria e il quarantenne basso cremonese Giuseppe Modesti hanno il peso di nobiltà e di prestigio, oltre che la corposità vocale, che i personaggi del Re e di Ramfis
richiedono. Maria Callas ha ormai pienamente
conquistato il personaggio di Aida, e l’ha conquistato al di fuori di ogni schema, e forse di
ogni tradizione. Philip Hope-Wallace è arrivato a paragonare la sua interpretazione a quella
di un Fritz Kreisler o di un Mischa Elman, sottolineandone il modo di “carezzare”, di “raffinare”, di “colorare” le frasi, di dare alle parole
un significato spontaneo e sentito che rende
l’esperienza della sua interpretazione una “sorpresa” e una novità (nel senso non che “inventi” quel che non c’è, ma che “scopra” quel che
c’è, nel fondo, e che finora nessuno di noi aveva visto). Il suo modo di accentare le frasi è
già dramma, con evidenza fremente. Le messe
di voci sono luci improvvise, tenere, dolci, appassionate. Certi fraseggi e certe colorazioni
della voce sono lezioni di stile: come nel terzo
atto, quando l’evocazione del deserto risulta
una vera e propria esemplificazione da manuale dell’orientalismo ottocentesco, e nel quarto
atto, quando l’imminenza della morte ha l’angelica luminosità perlacea di un’estasi donizettiana. Jacques Bourgeois parla ancora di “intonazioni folgoranti”. E anche in questo caso,
pur se sono forse più che altrove avvertibili
squilibri e disarmonie, e magari anche asprezze, e durezze, dovuti a veri e propri momenti
di difficoltà, il soprano greco sa trasformare le
proprie peculiari caratteristiche vocali (è il caso di parlare di deficienze?) in armi offensive,
in vere e proprie caratterizzazioni espressive,
risvolti che ancora di più incidono e scolpiscono il personaggio, un’Aida donna sofferente,
amante, fiera e palpitante, donna nel senso più
completo della parola, anche e soprattutto nell’ombrato dolore di una meditante riflessione
nel fondo più segreto dell’animo, là ove non è
più spazio all’aspirazione e alla speranza ma è
la consapevolezza dell’impossibile, al di là
della rassegnazione e dell’angoscia, in una accettazione di agghiacciante “serenità” e di incandescente passione, nella totalità disperata,
ma non desolata, ed anzi fervidamente entusiasta, della dedizione.
Interessa soprattutto per l’esordio fonografico del Radamès di un trentaquattrenne
Franco Corelli (al quale si possono accostare
quelli dell’Aida della ventiseenne Antonietta
Stella e dell’Amonasro del trentasettenne Anselmo Colzani) la ripresa dal vivo della rappresentazione di Aida al “San Carlo” di Napoli il
24 novembre 1955, diretta da un sempre validissimo, ancorché settantenne, Vittorio Gui,
pubblicata in rilettura digitale in due dischi
compact dalla “Bongiovanni” in Italia.
Riproduzione della rappresentazione scaligera del 7 dicembre 1956 è la registrazione di
Aida pubblicata in Italia in tre dischi microsolco lunga durata 33 giri dalla “Replica” (ed anche dalla “Giuseppe Di Stefano Records”, dalla “Paragon”, dalla “International Music of
Italy” e dalla “CLS Records”) e riletta digitalmente negli Stati Uniti dalla “Legato Classics”
(e da altre due case americane). Come spesso è
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dato di osservare con le conduzioni di Antonino Votto, direttore quant’altri mai irregolare e
“giornaliero”, l’insieme risulta fiacco e monotono, rigido e meccanico, sommario e frettoloso, slegato e disordinato, ma non mancano invece alcune notazioni particolari notevoli non
solo per interesse ma anche per efficacia: un
certo colore generale fosco e corrusco cui si
contrappone la variopinta tumultuosità di una
folla disordinatamente congregante e festosamente acclamante, popolanamente animata e
movimentata (anche nel contrapporsi dei sentimenti di vendetta e di pietà, anche nel mulinare turbinosamente travolgente del ballo che avvolge i soldati al ritorno dalla guerra). Ma in
questa occasione al sessantenne maestro piacentino manca la presa capace di governare lo
svolgimento dei concertati, che sfuggono troppo spesso al suo controllo, e fa difetto anche la
conseguenzialità logica che connette i diversi
episodi in un insieme serrato, multivoco ma
unitario: l’ascolto di questa edizione di Aida
dà l’impressione che ogni evento stia di per sé,
senza alcuna preoccupazione per quello che è
accaduto prima o che accadrà dopo (e neanche
per l’eventualità che qualcosa resti in sospeso,
inspiegata o irrisolta). L’esperienza è comunque sufficiente a Votto per assicurare ai cantanti una base di appoggio: il modo di utilizzarla è sostanzialmente lasciato alla loro libera
iniziativa (e da ciò dipende la mancanza di
coesione dei pezzi d’assieme, nei quali ciascuno dei solisti segue un proprio itinerario, del
tutto disgiunto da quelli degli altri, o comunque a questi indifferente). Il trentacinquenne
tenore catanese Giuseppe Di Stefano affronta
il personaggio di Radamès d’impeto, ma con
gioia e con brio: è allegro ed entusiasta, lieto
della vita, aperto alla commozione degli amorosi turbamenti, fiero e baldanzoso delle proprie doti di guerriero valente, franco e generoso, impulsivo, e soprattutto ingenuo, di una ingenuità così scoperta e indifesa nella
soddisfatta certezza di sé da fare tenerezza.
Mai vengono meno nel Radamès di Di Stefano
la nobiltà e la dignità, con un certo sprezzo,
che non è tuttavia portato di alterigia o di superbia. Di Stefano canta questo Radamès di
forza, ma con smaltata incisività e con squillante lucentezza: vera voce di tenore, senza
bruniture baritonali, che spicca chiara nel rosseggiante tenebrore di cui Votto ammanta l’opera, ma a costo di un dispendio che non soltanto non conosce risparmio ma a volte trascina il canto a un eroismo muscolare che apre
l’emissione fino alla forzatura devastante dell’urlo, pur se va riconosciuto che la declamazione resta in genere plastica e incisiva, scolpita con robustezza e solidità, ma non priva di
tornitura e suscettibile di inflessioni e di sfumature di indubbia efficacia espressiva; da sottolineare è il colore disumanato, ma non ete-
reo, bensì come “morto”, spento e tuttavia non
opaco, con cui si raccoglie nella dolorosa attesa della morte, rassegnata confessione di impotenza, nell’ultimo quadro dell’opera. Non
meno solida e robusta è l’Aida del ventisettenne soprano perugino Antonietta Stella, che certamente non indulge ad atteggiamenti di fragile vittima indifesa: canto denso e consistente,
spesso agitato nella concitazione, interpretazione passionalmente carica, molto concreta e
non molto immaginativa, senza nostalgiche incantazioni, un po’ troppo indulgente alla retorica del lamento e del pianto, con qualche ineguaglianza od oscillazione nel governo della
voce, che ne incrina a volte l’omogeneità e la
continuità. Giulietta Simionato, quarantaseenne, alla sua quarta Amneris testimoniata in disco, dà prova di autorevolezza e di superiorità:
inquisitiva, insinuante, invitante, incalzante,
trionfante, sensualmente carica nell’attesa, appassionata nell’offerta, colma nel rimpianto,
protesa nella speranza, furente nell’accusa, è
una presenza estroversamente dominatrice,
possente nell’impatto, energica nel comando,
con la grandezza epica di una tragica nell’espressione della sofferenza, attrice che sa avvincere con consumata abilità, ma non supera
mai i limiti del buon gusto e riconduce sempre
gli effetti della teatralità a una intrinseca e specifica funzionalità drammatica. Tonitruante,
vociferante, esplosivo, aggressivamente truce,
biecamente furibondo, l’Amonasro del trentunenne baritono romano Gian Giacomo Guelfi,
per la prima volta in disco, è un catalogo di occasioni perdute. Il trentatreenne basso greco
Nicola Zaccaria, all’esordio fonografico nel
personaggio (era stato Re d’Egitto nell’edizione “Columbia-Scala” dell’agosto), è un Ramfis
ieraticamente presago, gravemente preoccupato, severamente inquisitorio, cupo e fosco (con
una certa tendenza all’intubazione). Re d’Egitto è in questa occasione il trentacinquenne basso triestino Silvio Maionica, austeramente rigoroso e nobilmente asseverativo, ispirato depositario del bene comune. Commosso,
turbato, ancora scosso per gli eventi cui ha assistito, ma chiaro e preciso nella sobrietà del
rendiconto ed emotivamente partecipe nel recare il messaggio di fierezza del popolo di Tebe, il coetaneo tenore veronese Giuseppe Zampieri riesce a tratteggiare nel Messaggiero un
personaggio nonostante la brevità del suo intervento. Il ventenne soprano friulano Mirella
Parutto è una Sacerdotessa perorativamente
concreta, nel lamento e nella supplica. La registrazione è molto compressa ed appiattita e
manca non solo di ambientazione ma anche di
equilibrio, con una decisa tendenza a privilegiare le sonorità gravi; inoltre la captazione del
suono è a volte troppo ravvicinata, con effetti
fastidiosi di vibrazione o di riverberazione.
Particolarmente disturbanti sono i rumori di
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sala, dovuti a un pubblico turbolento, intemperante e intempestivo.
La registrazione di Aida effettuata dalla
“Cetra” a Torino il 18 dicembre 1956, con i
complessi orchestrale e corale della locale sede
della Radiotelevisione italiana, fu evidentemente messa insieme per dare risalto al Radamès del trentacinquenne tenore anconitano
Franco Corelli, allora nel momento saliente
della sua prima maniera. È un Radamès squillante (ma la registrazione non rende piena giustizia alla sonorità degli acuti), ben timbrato
vocalmente (con oscure bruniture baritonali,
solide e conchiuse, su cui si vorrebbe che il
canto fosse fondato con maggiore continuità),
ma piuttosto retorico nell’espressione e indifferente nella delineazione del personaggio, non
esente da rotture stilistiche, soprattutto nei passaggi di forza. Il coetaneo soprano del Massachusetts Maria Curtis Verna è un’Aida drammatica e tesa, forse troppo tesa: il personaggio
è tratteggiato a grandi linee, a forti tinte, senza
troppe rifiniture o sfumature; l’effetto prevale
sulla delineazione espressiva e la rende pesante; lo sforzo vela e rende opaca una voce pur
capace di slancio e di tenuta. Quarantottenne,
alla quarta testimonianza del personaggio in
disco, Giulio Neri non è più afflitto dagli episodi di intubazione che avevano disturbato
qualche sua precedente prestazione, e offre un
Ramfis cantato con bella voce chiara, di risonante ampiezza, con un senso profetico colorato di antiche memorie che conferisce alla solennità e all’imponenza della sua presenza. Il
trentunenne basso reggiano Antonio Zerbini è
un Re semplice, nobile e dignitoso. Il coetaneo
baritono romano Gian Giacomo Guelfi è un
Amonasro “impossibile” (sotto questo profilo
immediato sorge il ricordo di Bechi), quasi un
catalogo di tutto quello che il personaggio del
re etiope non deve essere. Fresca, giovanile,
del tutto non convenzionale, ma incisiva e densa, solida e concreta, è l’Amneris del trentottenne mezzosoprano vicentino Miriam Pirazzini, alla quale solo può rimproverarsi una certa
mancanza di pulizia o limpidezza nell’emissione. La direzione del cinquantacinquenne maestro genovese Angelo Questa è molto ineguale,
ora fortemente drammatizzata, ora come sperduta e trasognata, ora gioiosa e festosa (fino
alla confusione giubilante), ora ieratica e liturgica (fino alla staticità rituale): è in lui assai
vivo il senso della danza, che modella sulla
tradizione del balletto di Ùajkovskij (e sulla
sua derivazione da Delibes) piuttosto che su
quella del “grand-opéra” (cui con assoluta certezza Verdi si riferì): ed è perciò un peccato
che il Ballabile del secondo atto sia drasticamente ridotto a poche battute (come nell’edizione Molajoli, mentre da Gui e da MelikPaπaev è “soltanto” dimezzato). La registrazione, comunque, con le voci in tutto primo
piano, non favorisce la resa sonora dell’orchestra e non è molto selettiva nelle parti più animate e affollate. La “Warner Fonit” ne ha curato la rilettura digitale in due dischi compact.
Come era nelle tradizioni della casa editrice, purtroppo scomparsa dopo quasi trent’anni
di vita, l’Aida registrata a Roma dalla “Guilde
Internationale du Disque” offre spazio e opportunità ad artisti esclusi dal “giro” delle
grandi case fonografiche. Questa volta, tuttavia, i risultati appaiono meno soddisfacenti che
in altre occasioni. Probabilmente ciò è da attribuire all’insufficienza della direzione: il cinquantenne maestro veneziano Ernesto Barbini
è stato un collaboratore del “Metropolitan”,
ma non direi che abbia tratto molto giovamento da questa esperienza. Il difetto principale
della sua conduzione è la mancanza di decisione. Barbini non riesce mai a prendere partito e
oscilla continuamente tra una conduzione fortemente sottolineata, grossolanamente “verista”, dai contrasti fortemente accentuati, anzi
addirittura esasperati, e un lassismo inerte e
flaccido, che lascia tutto sfilacciarsi, privo non
solo di coerenza, ma di forma e di ritmo. Tra i
solisti vocali una certa sorpresa causa la presenza del trentacinquenne contralto polacco Ira
Malaniuk, celebrata interprete soprattutto di
Wagner (ma anche di Mozart), qui chiaramente alle prese con problemi di fiato che rendono
la sua Amneris ansimante ed affannosa: il personaggio è immerso in una sorta di cupa meditazione, profeticamente espressiva di un senso
di fatalità, che le conferisce apprensività e urgenza, con incalzante drammaticità, e che
l’affonda a poco a poco in una ripetitività ossessiva e opprimente, in una sorta di nenia
sconsolata, quasi ai limiti del vaneggiamento;
quel che manca alla Malaniuk (ed è qui la ragione dello stupore per chi la conosce dalle altre sue prestazioni in disco) è la capacità di
sfumare in modo da legare i vari momenti fra
loro, sì che i passaggi appaiano disposti in un
processo di continuità, ed è da questa lacuna
che derivano anche una certa genericità sentimentale ed una certa enfasi retorica, mentre
più a proprio agio il contralto polacco si mostra nella tensione e nella concitazione dell’azione. L’Aida del trentaduenne soprano statunitense Anna De Cavalieri (che, con il nome
originario di Anne McKnight, aveva cantato in
patria anche con Toscanini) ha una certa carica
passionale, accaldata ed affocata, e si giova di
una voce robusta, che le consente un canto veristicamente scolpito, incisivamente accentato,
non slanciato d’involo, ma compositivamente
modellato, il che porta a qualche pericolo di
frattura nella continuità del disegno, temperato
peraltro dall’omogeneità del colore. Le difficoltà che le pone un acuto crudo e metallico
inducono la De Cavalieri ad abusare degli effetti di forza, spingendo a volte la voce al di là
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dei suoi limiti naturali. Lo squillo metallico
della voce non è sufficiente a dare consistenza
al Radamès del trentottenne tenore torinese Aldo Bertocci, al quale fa soprattutto difetto la
capacità di modellatura delle frasi. Al Ramfis
monotono e inerte di Paolo Dari, cantato con
voce intubata e fissa, fa riscontro il Re grave e
severo del venticinquenne basso napoletano
Ugo Trama, dalla bella voce plastica e corposa, espressivamente accentata ed articolata.
Quarantottenne, il baritono vicentino Scipio
Colombo è al termine di una carriera di artista
intelligente, aggiornato ed esperto, che non
trovò giusta rispondenza nella frequenza delle
presenze teatrali, e ancor meno in quella delle
presenze fonografiche: è un Amonasro che afferma con impetuosa fierezza la propria regale
dignità e che sa dare vivacità di concreta evidenza alle immagini, ma le doti di declamatore
e di fraseggiatore non bastano da sole a far
fronte alle esigenze vocali del personaggio, sì
che è costretto spesso a rifugiarsi nel parlato,
quando non cede addirittura alle tentazioni di
una sommaria violenza. La registrazione è un
po’ velata e un po’ troppo risonante, a scapito
della distintività di lettura; si ha a volte la sensazione che siano state sovrapposte due “piste”
diverse, captate l’una indipendentemente dall’altra, e ciò non giova né all’equilibrio dell’insieme né all’ambientazione.
Sarebbe stato interessante ascoltare la registrazione dell’Aida rappresentata il 24 settembre
1958 a Città del Messico con la partecipazione
del ventinovenne soprano marchigiano Anita
Cerquetti nel ruolo della protagonista. È infatti,
per quel che si sappia fino ad oggi, l’unica testimonianza dell’Aida della Cerquetti che sia stata
resa disponibile. Ma sono costretto a usare il
condizionale perché le condizioni in cui si presenta la registrazione, nella sua rilettura in due
compact disc effettuata dalla “Lyric Distribution”, vietano che si possa parlare di testimonianza. Anzitutto un costante e forte rumore di
fondo, una sorta di sordo brontolio, che è già
difficile superare. Quelle che invece non si possono assolutamente superare sono le numerosissime lacune, a volte microscopiche, a volte per
qualche pagina di partitura, ma comunque sempre fastidiosissime, che interrompono in continuazione l’ascolto (a volte addirittura disposte
in serie, in uno spazio ristretto). Poi la mancanza di costanza nel livello di intensità sonora
(persino durante la celebre aria del primo atto!).
Ancora la frequente confusione nella riproduzione delle pagine a più voci (e, ovviamente, di
quelle corali). E quando non è confuso, il suono
arriva sbiadito. E quando non è confuso o sbiadito, è distorto, o addirittura stravolto, specie in
orchestra. Insomma, un suono che potrebbe definirsi virtuale e saltuario. Ramfis è il trentacinquenne basso di New Orleans Norman Treigle.
Il personaggio del Re d’Egitto sembra sia stato
cantato il 24 settembre da Nicola Zaccaria e
nella replica del 26 settembre da Fernando Corena: l’identificazione è pressocché sicura ma
non incontrovertibilmente documentata. Amneris è il trentatreenne contralto dell’Alabama
Nell Rankin, Radamès il trentaduenne tenore
piacentino Flaviano Labò e Amonasro il trentaseenne baritono di Minneapolis Cornell MacNeil, artisti tutti che – per nostra fortuna – è dato di ascoltare in altre registrazioni di Aida.
Quanto al maestro Antonio Narducci – di cui
non sono riuscito a reperire notizie – la sua conduzione è piatta e pesante, lasca e inerte, al limite direi soporifera.
La datazione al 1958 dell’edizione romana della “Guilde Internationale du Disque” è
una mia induzione (basata sulla constatata rispondenza cronologica dell’ordine di numerazione originale del relativo catalogo): è una ragione che si aggiunge alle molte altre che inducono ad attribuire all’edizione “Decca”
diretta da Herbert Von Karajan l’effettiva
inaugurazione della fase stereofonica della discografia di Aida, fase caratterizzata dall’accentramento dell’interesse degli editori sui nomi dei direttori ancor prima che su quelli degli
interpreti vocali. E si tratta di direttori affermatisi nell’agone concertistico piuttosto che in
quello teatrale (o passati dal primo al secondo): Herbert Von Karajan, appunto, e poi
György Solti, Zubin Mehta, Erich Leinsdorf,
Riccardo Muti, Thomas Schippers, di nuovo
Herbert Von Karajan e Claudio Abbado. L’elencazione è rigorosamente ristretta alle registrazioni in studio, le sole per le quali le scelte
degli interpreti sono dovute in modo esclusivo
ai dirigenti delle case fonografiche. È l’affermazione a tutto campo dell’insegnamento toscaniniano (e proprio in un’opera tra le più
guastate dai vizi delle cosiddette “tradizioni”
di palcoscenico): essere, sempre e comunque,
il direttore il vero protagonista, colui che dà
l’impronta all’esecuzione, all’interpretazione,
perché solo il direttore può assicurare l’unità
di un’opera, come lettura e come concezione.
E ciò vale per il concerto come per il teatro,
come (e forse soprattutto, per la definitività
documentaria che gli deriva dalle possibilità
infinite di ripetizione dell’ascolto) per il disco
(quand’esso sia, come appunto è nella registrazione in studio, documento sonoro primario e
non riproduzione di un documento sonoro di
origine teatrale o concertistica).
Dunque, l’Aida registrata dal 2 al 15 settembre 1959 a Vienna da Herbert Von Karajan. Il maestro austriaco è nella pienezza
“carismatica” dei suoi 51 anni. Una concezione ampia, spaziosa, spettacolare e drammatica
al tempo stesso (Karajan è il primo direttore
che in disco riesce a far “doppiare” ad Aida,
sia pure di un’inezia, almeno in questa prima
edizione, il giro di boa delle due ore e mezza
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di durata, così come Toscanini è l’unico, sempre in disco, che riesca, senza tagli, a tenerla
ancorata, anch’egli debordando appena di un’inezia, al limite delle due ore e un quarto).
Prendiamola, ad esempio, quest’Aida, in quello che potrebbe essere ritenuto il punto dolente
di un approccio non tradizionale, non “teatrale”, non “italiano”: la marcia trionfale del secondo atto. Ebbene, i cori incalzano possenti,
implacabili, con una grandiosità e un’imponenza veramente eroiche, maestose, senza alcuna concessione al circo. E l’orchestra sembra farsi essa stessa gesto, i movimenti dei mimi, dei danzatori, delle folle si “vedono” al
solo ascolto, tale è l’evidenza che la direzione
di Karajan conferisce all’accento, al ritmo, al
disegno. E lo straordinario senso di continuità
che investe l’opera dall’inizio alla fine, una
continuità sempre riferita a una precisa architettura (di strutture compositive e di concezione drammatica) e nello stesso tempo così duttile, così mossa da conferire ad ogni momento il
suo preciso rilievo espressivo e sonoro, la sua
esatta collocazione timbrica e prospettica. E lo
splendore glorioso dell’orchestra, la vitalità
che la anima e la percorre e la rende vibrante e
slanciata, più che supporto, vero e proprio canale di continuità e di unità, spinta da un flusso
che è un perenne rinnovarsi di impulsi. E tutto
ciò nel massimo rispetto della modellatura, del
disegno, del colore di Verdi: una modellatura
plastica, che plasma il canto nel dramma, senza abbandoni al puro melodizzare; un disegno
incisivo, a grandi tratti, in modo da colpire
senza incertezza nel segno, e nello stesso tempo duttile nella ricerca di tutto quanto possa
essere utile, per appoggiature, cadenze, spostamenti di accenti, ripetizioni, sottolineature, ribattiture, procedimenti accordali, scale ascendenti e discendenti, parallele e contrarie, convergenti e divergenti, a rendere ancora più
determinata, definita, funzionale la delineazione; un colore brunito, opaco, dai toni caldi e
intensi, che da un fondo generale e comune di
mestizia rileva potentemente il dramma individuale e universale di personaggi che incarnano
i momenti essenziali della vita di ogni uomo,
l’amore, la morte, la speranza, la vendetta, l’illusione, la grandezza, ma non ne fanno categorie astratte né tipizzazioni stereotipate, bensì li
vivono soffrendo, piangendo, esultando, gridando, come ciascuno di noi, come tutti noi.
Tutto questo “dice” all’ascoltatore la direzione
di Herbert Von Karajan, alla quale va riconosciuta come misura che accomuna e delimita
quella dello stile, uno stile che è esattezza consapevole (e sensibile) di collocazione storica,
tra le antecedenze donizettiane e le anticipazioni pucciniane (che forse in nessun’altra
opera di Verdi sono così numerose ed evidenti:
ma fors’anche in nessun’altra interpretazione
risaltano in modo così suggestivo e al tempo
stesso discreto), uno stile che permette veramente all’espressione, contenendola e al tempo
stesso “accendendola”, di saggiare tutte le corde, anche quelle di una religiosità ora solenne
(l’invocazione del primo quadro del primo atto) ora arcana (la prima parte del secondo quadro del primo atto) ora volitivamente esaltante
(la seconda parte dello stesso quadro) oppure
di una leggerezza danzante fatta di incanto e di
levità, vuoi in punta di piedi (la danza delle sacerdotesse), vuoi in leggiadra plastificazione
di movenze quasi marionettistiche ma non sterilizzate nell’automatismo (la danza dei moretti). E del resto il segno della “bruciante” presenza di Karajan, il suo “sigillo”, può essere riscontrato proprio nell’interpretazione di
Renata Tebaldi: Aida è un personaggio senza
dubbio congeniale al soprano pesarese; ma,
sotto la guida di Karajan, la Tebaldi raggiunge
una vera e propria vetta della sua carriera di
interprete: e l’ammirevole “legato” che caratterizza il suo fraseggio, la omogeneità senza
rotture che rende così fluido e scorrevole il suo
canto, dall’emissione all’intonazione, non restano meravigliosi fenomeni naturali, ma diventano strumenti mirabilmente posti a disposizione della delineazione di un grandioso e
grandeggiante personaggio di eroina femminile, donna innamorata ancora prima e ancora
più che principessa, e come tale intimamente
dolente e smarrita, ma soprattutto percorsa da
una sorta di trepidazione intensa che assume le
dimensioni di un epos, quasi narrazione di un
mito d’amore, luminosa incarnazione di un
simbolo eterno. L’Amneris di Giulietta Simionato perde in rabbiosa violenza quel che guadagna in fierezza e appassionata dignità: la sua
bellissima vocalità, brunita e calda, cupa e accesa, si è fatta omogenea, anche nelle zone
acute, con continuità nell’intensità della declamazione, nell’incisività dell’articolazione e
nella dolcezza del porgere, anch’ella donna,
piena di tenerezza e di passione, raccolta nella
dolente intimità della confessione e aperta con
trepidazione allo slancio, uno slancio che appare come ombrato da una arcana fatalità. Perfino un Amonasro poco convinto e del tutto
convenzionale come quello di Cornell MacNeil è messo in valore dalla direzione di Karajan, che ne sostiene in orchestra le incertezze
e le deficienze drammatiche per liberamente
sottolinearne le qualità liriche. In Carlo Bergonzi si nota una progressiva maturazione del
personaggio: qualche durezza e qualche esuberanza, che ancora lasciano aperta la porta ad
alcuni tradizionali inconvenienti “tenorili” nell’aria di entrata (sostenuta in modo ineguagliabile dall’“invenzione” orchestrale del direttore
austriaco), vengono via via cedendo a una più
lineare e consapevole definizione vocale ed
espressiva, che si concreta negli ultimi due atti
a un notevole livello di sobrietà che si traduce
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in semplicità e in pienezza, con una dolcezza
appassionata, velata di un patetico intimismo
(e si notino ancora la miracolosa ambientazione, misteriosa, sospesa, dolente, sfumata ma
intensa e commossa, e come tale più realistica
che impressionistica, di un reale – si badi bene
– che non è “veristico”, bensì vero, con cui
Karajan apre il terzo atto, e poi la crescita progressiva con cui lo accende a un senso sempre
più incalzante e fatale del dramma). Ed ancora
il Ramfis grave, consapevole, calmo, sicuro,
sottile e sfumato, da vero uomo di stato (un’eco del Don Carlos?), senza nulla quindi del
bieco “cattivo” della convenzione teatrale, e
anzi con una dolente rassegnazione che sa di
intima sofferenza, di nostalgia per un diverso,
ma conosciuto impossibile, destino, del trentottenne basso olandese Arnold Van Mill (probabilmente il migliore di tutti i Ramfis della
discografia di Aida). Né vorrei dimenticare il
Messaggiero semplice ed efficace, chiaro e
ben articolato, del quarantaduenne tenore genovese Piero De Palma, o la Sacerdotessa limpida, ma arcana, remota, misteriosa, della ventiseenne concittadina Eugenia Ratti. E infine lo
splendore incomparabile del suono, la presenza grandiosa di un complesso imponente, registrato in tutta l’estensione dell’amplissima
gamma di frequenze, di volumi, di intensità.
La stessa “Decca” ha riletto i tre dischi analogici stereofonici lunga durata 33 giri in due
compact discs digitali.
Direttamente in rilettura digitale in due dischi compact è stata pubblicata dalla “Lyric
Distribution” la ripresa dal vivo della rappresentazione di Aida il 14 (o il 21?) aprile 1960
alla “Scala” di Milano. La direzione del quarantanovenne maestro veneziano Nino Sanzogno non si distingue per particolari qualità: è
poco energica e piuttosto disordinata e manca
alquanto di carattere. Il Radamès del trentacinquenne tenore trevigiano Pier Miranda Ferraro
è il risultato di una onesta professionalità (il
che è già qualcosa per un personaggio che è
stato piuttosto maltrattato da tenori anche celebri). Giulietta Simionato è alla sua sesta Amneris e non è certo questa l’occasione che poteva indurla a trovare qualcosa di nuovo nel personaggio. Cornell MacNeil ripete per la terza
volta il suo Amonasro spento ed indifferente.
L’esordio discografico del trentenne basso bulgaro Nikolaj Gjaurov nel personaggio di Ramfis avrebbe meritato migliore contesto. Lo
stesso è da dirsi per l’Aida di Birgit Nilsson,
anch’essa la prima del quarantunenne soprano
svedese, che deve alla presenza di ampi spazi
solistici per il suo personaggio la possibilità di
abbozzare i primi tratti di una figura di donna
dolorosa e indifesa, che invano supplica comprensione e pietà. Lascia molto a desiderare la
riproduzione, dal suono scricchiolante e oscillante, dal fondo rumoroso, dalle prospettive
ora nebulosamente evanescenti ora prepotentemente preminenti, sostanzialmente priva di
equilibrio.
Più interessante la riproduzione della rappresentazione di Aida al “War Memorial Opera House” di San Francisco, il 30 settembre
1960, pubblicata anch’essa direttamente in rilettura digitale in due compact disc dalla “Past
Masters”. Si fa anzitutto apprezzare la direzione del quarantanovenne maestro bolognese
Francesco Molinari Pradelli, molto attento all’importanza delle danze in Aida: non si limita
a staccare i tempi per i ballerini ma ne disegna
in orchestra i passi e i movimenti, ed ha anche
l’umore adatto per dare vivacità e spinta alla
Danza dei moretti e per tornire nei risvolti melodici un Ballabile puntuto e tintinnante, affaccendato e guizzante. Il secondo quadro del secondo atto è una festa grandiosa e possente, allegramente liberatoria. Protagonista vocale
indiscussa è Leonie Rysanek: il soprano viennese, ora trentatreenne, canta Aida in italiano,
e non più in tedesco, come cinque anni prima a
Vienna, e l’interpretazione non ne guadagna e
non ne perde, ma resta intatta all’altissimo livello già allora riscontrato. Le è a fianco il Radamès del coetaneo tenore canadese Jon
Vickers: è un esordio fonografico di eccellenza, che precede di pochi mesi la registrazione
in studio diretta a Roma da Solti, alla quale
rinvio, anticipando che si tratta comunque di
un’interpretazione da porre fra le migliori in
assoluto del personaggio. Sensuale è l’Amneris del trentaquattrenne contralto californiano
Irene Dalis, ma ciò non le è sufficiente per riuscire a dominare vocalmente lo scontro con i
sacerdoti nel primo quadro del quarto atto. Del
Ramfis di Giorgio Tozzi si è già detto. Il quarantenne basso ungherese András Földi (americanizzatosi negli Stati Uniti in Andrew Foldi)
è un Re d’Egitto un po’ sfiatato. Il cinquantasettenne baritono di Baltimora Robert Weede è
un Amonasro perfido e cattivo, secondo le migliori tradizioni del “vilain” d’opera, ma non
imperversa tonitruante, anche se le non più
verdi condizioni della voce lo obbligano a
qualche sottolineatura di troppo. Da ascoltare
con attenzione è la Sacerdotessa del ventunenne mezzosoprano californiano Janis Martin
(anche se l’inizio del secondo quadro del primo atto è il momento in cui una discreta ripresa sonora di livello medio ha una inopinata,
inopportuna, e per buona sorte transitoria, caduta di qualità).
Poco meno di due anni separano l’Aida
viennese di Herbert Von Karajan dall’Aida romana di György Solti, registrata anch’essa in
studio, al Teatro dell’Opera, dal 24 giugno al
26 luglio 1961, dalla “RCA” (su licenza “Decca”, che ha infatti poi provveduto alla ristampa, già in tre dischi lunga durata microsolco 33
giri stereofonici, e poi in rilettura digitale in
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due dischi compact). Già Andrew Porter ebbe
a notare come il quarantottenne direttore ungherese imprima alla partitura verdiana un’andatura di quasi ieratica lentezza (la “durata”
complessiva dell’esecuzione è pressocché
quella di Karajan, poco più di un minuto in
meno). Ancora del Porter è l’osservazione che
il primo atto culmina nella preghiera finale, alla quale Solti conferisce “un senso di religioso
fervore quale non si era mai udito finora”. E in
effetti questo finale è di una sorprendente intensità espressiva, con una vastità eccezionale
di echi e di significati (la perorazione insistente, forse fin troppo accentuata da Mietta Sighele, del canto della Sacerdotessa; il languore
sensuale e insinuante della danza; il felicissimo contrasto fra la passività delle sacerdotesse
e lo slancio volitivo dei guerrieri, a simboleggiare la prima l’abbraccio consolatore e rassicurante del dio, il secondo il sostegno del dio
stesso all’azione): si ha la sensazione dell’evocazione misterica di una religione ignota, incomprensibile, affascinante. Ma non per caso
il primo atto di Solti culmina in questo finale.
Gli è che Solti concepisce ogni atto quasi come un movimento di sinfonia, un tutto che ha
una sua preparazione e un suo culmine. I quattro pannelli dell’Aida si levano in quattro contrafforti che salgono e svettano verso una conclusione, l’uno all’altro appoggiandosi nel realizzare e definire l’architettura d’insieme. La
lentezza di Solti non è mai esitazione: è consapevole restringimento di slanci e riduzione voluta di enfasi, in una rigorosità di scansione
che è ritmata con larghezza, con la calma sicurezza di un grandioso affresco narrativo. All’interno di queste larghe maglie (all’interno,
non al di fuori, si badi bene) i solisti vocali
hanno la possibilità di dispiegare mezzi e caratteristiche individuali. Ai quali tuttavia Solti
mai sacrifica: a costo magari di qualche lieve,
ma sintomatica mancanza di corrispondenza
espressiva. Solti risolve la sua Aida nel tessuto
orchestrale: è questo che fornisce l’intelaiatura
di una trama che è la sostanza stessa della concezione espressiva del direttore ungherese, supremamente attento alla delineazione d’insieme dell’opera, anche nei particolari che ne definiscono l’ambiente, il colore, l’atmosfera,
meno indulgente verso le singole individualità
vocali, viste quasi (ma non si esageri troppo)
come episodi, come occasioni, come applicazioni che arricchiscono quella trama, le aggiungono anche significato, e sono quindi sostanziali, ma non ne mutano la natura, e anzi di
quella stessa natura vivono, formate, nutrite da
una stessa accomunante matrice. Questo spostamento del fuoco conoscitivo dell’opera verdiana spiega quel senso di calma pienezza, di
quasi monotona processionalità (in un procedere senza sorprese, senza soprassalti) che caratterizza l’edizione romana del 1961: ma è un
procedere che è un progredire, non nasce cioè
dall’indifferenza, ma da un certo modo di partecipazione; e ne sono testimonianza la modellatura plastica e ben rilevata sempre del discorso, l’intensità emozionale che lo colora con
continuità, il fondo spessore che lo rende concreto e quasi palpabile (e che può spiegare
l’accenno del Porter a una concezione “wagneriana” dell’opera di Verdi). È, quella di Solti,
un’Aida decisa e al tempo stesso riflessiva,
giocata essenzialmente sui concertati e sui pezzi d’assieme, gli uni e gli altri animati e vitali,
mossi in un’articolazione che li investe, così
nello svolgimento lineare come nella penetrazione prospettica, portandoli a una crescente,
possente espansione, un’Aida trionfale e al
tempo stesso sensuale, perfida e appassionata,
un’Aida dalle molte indicazioni espressive che
tutte però riconnette e ricomprende una misura
di stile, uno stile che sa di plastificazione vocale e strumentale, uno stile che ha connotazioni architettoniche, solida, addensata, costolatura di strutture portanti che si ergono possenti di per sé e al tempo stesso si appoggiano
fra loro, in un gioco di spinte e di controspinte
che staglia l’intera opera in prominente rilievo,
come un grandioso blocco poligonale. Forse a
questa concezione (strutturale, ma eminentemente lirica) si adeguano meglio le due protagoniste femminili: il trentaquattrenne soprano
del Mississippi Leontyne Price e il trentacinquenne mezzosoprano belga Rita Gorr curano
in modo particolare la bellezza della voce, l’armoniosità del porgere, la duttilità delle inflessioni, la varietà delle sfumature, la ricchezza
dei coloriti, la rotondità e la pienezza, morbide
e sinuose, del fraseggio, e anche il plastico rilievo della declamazione. Leontyne Price e Rita Gorr si sono adeguate con intelligenza alla
concezione di Solti e si sono fatte strumenti di
straordinaria qualità della sua visione, ricercando l’armonia piuttosto che il contrasto, la
pienezza umana del personaggio piuttosto che
la sua esasperazione caratteriale e caratterialmente protagonistica, pienezza umana che è
data proprio dalla qualificazione vocale, che
già di per sé lo configura in individualità sofferente o festante, in persona fatta di carne e di
sangue: emozioni e affetti sono sostanziati di
musica già al momento di nascere, giri e atti di
canto sono modi non solo di partecipare ma di
essere. Leontyne Price è così un’Aida drammaticamente agita, ardente e dolce, ansiosa e
trepida, luminosa e slanciata, disperata e tenera, invidiosa e nostalgica, appassionata e addolorata, lieve e cupa, un’Aida per la quale la
speranza è intima confessione dell’animo e tremore, esitante tremore di invitante seduzione,
l’affetto filiale rassegnata, tragica disperazione, l’aspettazione della morte certezza esaltante e al tempo stesso tenera dolcezza, un’Aida
per la quale il ricordo più che nostalgia è rico-
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struzione interiore, paesaggio e sentimento, al
vivo. Rita Gorr è un’Amneris dagli affondi cupi e oscuri, affocati e velati, roca nell’esaltazione erotica dell’abbandono d’amore, seducente nella perfidia dell’invito insinuante ed
accattivante, rude e dominatrice nel trionfo,
calda e appassionata nell’ultimo invito d’amore, grande ancor più che grandiosa nell’invettiva ai sacerdoti che è al tempo stesso un grido
di protesta e di rivolta e una disperata lacerazione dell’animo, tragica nella desolazione rassegnata ma senza consolazione della finale invocazione di pace. Dei personaggi maschili
può esser considerato “integrato” nella concezione di Solti l’Amonasro di Robert Merrill,
che ha accenti toccanti e commossi, malgrado
alcune incertezze e soprattutto alcune oscillazioni espressive, che lo fanno passare dalla dignitosa nobiltà dolorante e chiusa, eppure ardita come una sfida, dell’invocazione del secondo atto alla terrifica spettacolarità,
minacciosamente retorica, dell’evocazione del
terzo. In un’indifferenza senza infamia e senza
lode si rifugia il Ramfis di Giorgio Tozzi,
mentre il Re di Plinio Clabassi unisce la dignità solenne a una commossa sensibilità umana. Al limite delle forze si presenta invece il
Messaggiero di Franco Ricciardi. Resta il Radamès del trentaquattrenne tenore canadese
Jon Vickers, una presenza vocale validissima,
e proprio come timbro, come colore, come
modellazione del declamato, che non senza ragione ha richiamato al Porter il ricordo di Giovanni Martinelli. È un Radamès smarrito e sorpreso, ma non “spaesato”: il personaggio passa
dalla robusta valentia, squillante e decisa, dell’eroe guerriero, a una più umana consapevolezza, che lo sfuma e lo plasma, concorrendovi
l’esperienza dell’altrui dolore e quella del proprio amore: nel terzo atto, di fronte agli inviti
seducenti, e così luminosi di speranza, della
Price, Vickers, che si era presentato sicuro, appassionato, entusiasta, appare – ed è naturale
reazione – incredulo, tentativo, ma a mano a
mano che si rende conto della realtà (che esce
dal suo “bel sogno di gloria”) si slancia e si
esalta, in un’ultima speranza; e pienamente uomo è fatto nel quarto atto, dapprima nella fierezza incisa, plasticamente scolpita, con cui risponde, senza iattanza, ad Amneris, poi nella
mestizia intima e pensosa dell’ultima scena,
una mestizia colorata di tenerezza, affettuosa e
delicata, come nel soffio di un abbandono che
è tra l’estasi e la liberazione, al limite della
confessione, tra il consapevole e l’inconsapevole: ed è in questo limite, nell’esitazione all’abbandono totale, nella trepidazione dell’ultimo ritegno, la pienezza umana della finale
configurazione del personaggio da parte del tenore canadese.
Nella rilettura digitale in due dischi compact della ripresa dal vivo della rappresenta-
zione di Aida all’“Arena” di Verona, il 1° agosto 1961, ritroviamo la direzione di Francesco
Molinari Pradelli, ma è difficile coglierne le
qualità, anzitutto per il fatto che lo spettacolo
all’aperto è soggetto a tutti gli incidenti che gli
sono propri (i colpi di vento, le incompatibilità
delle diverse fonti di suono fra loro, e così
via), poi per l’altro fatto che il “palcoscenico”
veroniano è gigantesco ed è quindi impossibile
salvarne le prospettive acustiche con una captazione non precedentemente predisposta, poi
ancora per la quantità veramente eccessiva di
rumori di scena, di sala e d’ambiente, e infine
per i difetti della stessa registrazione, “gretolosa”, granulosa, affossata nelle frequenze basse,
affilata e tagliente in quelle alte, per cui quel
che si ascolta è piuttosto lontano da quel che è
effettivamente accaduto. Degli interpreti vocali, tornano da precedenti edizioni il Radamès
di Carlo Bergonzi, il Ramfis di Nikolaj Gjaurov, l’Amonasro di Aldo Protti e il Re d’Egitto
di Antonio Zerbini. È debutto discografico invece per il ventiseenne mezzosoprano vercellese Fiorenza Cossotto e per il trentenne soprano genovese Luisa Maragliano: per quel che si
riesce a cogliere, non mi sembrano particolarmente impegnate nessuna delle due. Curiosità
possono essere la ripetizione della danza dei
moretti nel primo quadro del secondo atto, per
le insistenti richieste del pubblico, e l’errore di
Gjaurov che, nel primo quadro del quarto atto,
salta la seconda accusa contro Radamès anticipando la terza, che è poi ovviamente costretto
a ripetere.
Testimonianza di un’epoca felice delle
scene liriche italiane, quando intere compagnie
di canto, o addirittura interi teatri, ogni anno si
recavano in Giappone per svolgervi vere e proprie stagioni di varie settimane, riportandovi
successi che non è esagerato definire “deliranti”, vista la passione che ancor oggi (ma allora
ancora di più) si nutre in quel Paese per l’opera, con particolare predilezione per quella in
lingua italiana, è la ripresa dal vivo della rappresentazione di Aida al “Bunka Kaikan” di
Tokyo, il 16 ottobre 1961, con complessi orchestrali e corali locali (basati sulle compagini
stabili della radio di Tokyo della “Nippon Hoso Kyokai”), ma – appunto – con cantanti e direttore italiani. L’edizione originale in dischi è
giapponese, della “Seven Seas”, che la pubblicò sia in tre dischi microsolco lunga durata
analogici stereo-mono 33 giri sia in rilettura
digitale in due dischi compact. In occidente è
stata prima immessa sul mercato l’edizione in
videocassetta (negli Stati Uniti), basata sulla
trasmissione televisiva della “Nippon Hoso
Kyokai”, poi ha fatto seguito la rilettura digitale in compact disc (negli stessi Stati Uniti ma
anche in Europa). Esordiente in disco nel personaggio di Aida, il trentaduenne soprano romano Gabriella Tucci dà subito prova di un
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buon taglio di fraseggio, di una declamazione
ben accentata e pausata, di un empito luminoso
e appassionato, che si nutre di nostalgia e di
rimpianto, la dolcezza del ricordo via via abbuiandosi e infoscandosi nella pena del presente e nell’abbandono di ogni speranza. Non è da
attendersi nulla di nuovo dalla Amneris di
Giulietta Simionato. Il Radamès di Mario Del
Monaco risente del trascorrere del tempo ed è
costretto a ricorrere fin troppo spesso alla vociferazione. Non rinunzia a gigioneggiare tonitruante il fumettistico Amonasro di Aldo Protti. Un’autorità un po’ torva ma non priva di solennità e di una certa condiscendenza, esercita
il Re d’Egitto del ventottenne basso beneventano Silvano Pagliuca. Il debutto fonografico
nel personaggio di Ramfis c’è anche per il
ventinovenne basso fiorentino Paolo Washington, piuttosto opaco e terroso. Simpaticamente
emozionato è il Messaggiero del trentaseenne
Athos Cesarini. Si perde nell’indistinto la voce
della Sacerdotessa della trentacinquenne Shiozo Kawauci, che tuttavia lascia il desiderio di
essere riascoltata. Il sessantasettenne maestro
marchigiano Franco Capuana non si impegna
più dello stretto necessario, con una certa meccanicità di conduzione, una certa mancanza di
grazia e una notevole assenza di brillantezza,
ma dimostra di essere in grado di reggere le fila dei concertati e quindi di poter giungere sano e salvo (ma senza medaglie al merito) alla
conclusione.
Testimonianza pressocché esclusiva di un
Franco Corelli al meglio delle proprie condizioni è la riproduzione della rappresentazione
del 3 marzo 1962 al “Metropolitan” di New
York. Pubblicata in tre dischi microsolco lunga durata 33 giri dalla “Stradivarius” e poi dalla “Great Opera Perfermances”, è stata riletta
digitalmente in Europa dalla “Myto Records”.
Il commento più benevolo che può farsi alla
direzione del cinquantatreenne maestro boemo-americano George Schick è dire che risulta
inesistente. Schick si limita a battere il tempo,
abbastanza velocemente, ma con inerte indifferenza; dimostra di possedere un certo mestiere,
e sa quindi accompagnare i cantanti; ma non
c’è un momento in cui l’opera di Verdi debba
alla sua direzione un qualsiasi colore o un
qualsiasi sapore; va avanti con piatta monotonia, pressocché ignaro dell’esistenza di un
qualsiasi problema di espressione, né sembra
essere molto più preoccupato da problemi di
forma o di accento; orchestra e cori risultano
alquanto rozzi e (soprattutto i secondi) piuttosto disordinati. Bisogna riconoscere che, se
quella serata si salvò, in teatro, fu per esclusivo merito dei cantanti. Trai quali, appunto, primeggia il quarantenne tenore anconetano, ma
non, come si potrebbe credere, per virile eroismo e atletica valentia, bensì per una compiutezza di disegno del personaggio di Radamès
che si accompagna a una inconsueta contenutezza nella prestazione vocale, che assai di rado ricorre a quegli artifici che si usano dire
“tenoreggianti”, e che qui compaiono veramente in modo del tutto sporadico ed eccezionale, e per di più in modo fugace, senza che lo
stesso protagonista vi insista troppo, quasi egli
stesso si renda conto che sono fuori di posto.
La registrazione di questa rappresentazione induce a ritenere che Corelli non si trovasse a
proprio agio negli studi e che si sentisse veramente impegnato soltanto sul palcoscenico; altre volte, tuttavia, in teatro Corelli si era lasciato andare a “prodezze” del tutto arbitrarie, col
solo scopo di suscitare l’applauso immediato
delle folle. Qui invece viene colto in una occasione in cui non “braveggia” ma sembra piuttosto preoccuparsi di costituire un punto di riferimento dell’intera esecuzione, un centro di
attrazione, che valga a sostituire l’assenza del
direttore. L’esordio in scena non è il momento
migliore: forse per ragioni di assestamento,
proprio “Celeste Aida” gli pone problemi di
accentazione e di respirazione, che si riflettono
in una certa improprietà di fraseggio; ma già si
avverte, pur nel tono enfaticamente eroico del
porgere, un sottofondo di meditazione e di riflessione, un’attenzione insomma a non risolvere esclusivamente l’espressione nell’apparenza superficiale. Nel secondo quadro del secondo atto il suo Radamès è psicologicamente
compreso di religiosità e umilmente consapevole dell’importanza del compito affidatogli,
non soltanto fiero e baldanzoso, e il suo modo
di cantare ne risente beneficamente. Nel secondo atto il Radamès fresco e slanciato di
questo Corelli americano non è il solito eroe
un po’ bolso, vanitoso e ingenuo: v’è nel suo
comportamento e nel suo modo di rivolgersi al
Re un sottofondo di sfida, che si traduce in
asciuttezza di tono, con affermativa secchezza
e cosciente responsabilità di azione. Nel terzo
atto si presenta ad Aida con un tono di superiorità un po’ sferzante, l’albagia tuttavia temperata dall’ironia; a questo punto il Radamès
di Corelli appare come inebriato della propria
gloria e ciò comporta qualche rottura della
contenutezza di linea di cui aveva dato fino allora prova; ma l’amore lo riconduce alla ragione e la bella voce brunita ritrova le calde inflessioni baritonali e il colore ombrato del registro grave per raccogliersi in un’ansia
oscuramente turbata e colma d’urgenza. La
reazione alla comparsa improvvisa di Amonasro è naturale e spontanea, e altrettale è la disperazione per il tradimento, una disperazione
in cui si avvertono anche la protesta e il rimprovero di chi è stato crudelmente ingannato.
Nella frase con cui chiude l’atto Corelli si lascia purtroppo prendere la mano dal desiderio
di dare spettacolo. Un senso solenne e religioso della morte si accompagna al gusto ironico
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della sfida di chi gioca ormai a carte scoperte
nel colloquio con Amneris nel primo quadro
del quarto atto. Mordente e plastico, saldo e
possente è il canto di Corelli nel quadro finale:
ma si fa prendere la mano dall’enfasi, si gonfia, braveggia, piuttosto sopraffattorio e prepotente, torna cioè quello che purtroppo ci è abituale, del tutto irriconoscibile rispetto a quello
che era stato fino a pochi minuti prima. Accanto a questo Radamès l’Aida del trentaduenne
soprano romano Gabriella Tucci praticamente
scompare, ma non per mancanza di qualità vocali. È una scelta d’interpretazione. La Tucci
disegna un’Aida timida, sottomessa, remissiva,
un’Aida soltanto fragile donna e per nulla
principessa. Canta bene, con linea e con varietà di sfumature; la voce non è troppo densa,
ma è limpida e chiara, e comunque non è esile,
non manca di una certa fermezza e di una certa
consistenza, pur non essendo dotata di molto
spessore o di molto rilievo; il suo pregio maggiore è nell’omogenea continuità dell’emissione, che le consente filature e smorzature non
solo agevoli ma delicate e le permette persino
qualche fioritura; non molto suscettibile di varietà è invece il colore, il che comporta una
monocromia che facilmente diviene monotonia
di atteggiamento interpretativo. Nell’Aida della Tucci lo slancio appare sempre rattenuto,
poco disposto all’impeto e allo scatto; sul calore passionale prevalgono lo sbigottimento, lo
smarrimento, la dolcezza, l’ingenuità, soprattutto l’abbandono incantato e assorto in una
immaginazione sognante, che la estrania dalla
realtà, sottolineandone l’indifesa dedizione
amorosa; è un’Aida priva di risvolti drammatici, risolta esclusivamente nell’effusione lirica
(con una certa intensità: ma non comprendo
perché nel terzo atto, nel duetto con il padre,
ricorra a un bagaglio piuttosto gigionesco di
pianti e di singhiozzi che nulla aggiungono e
molto tolgono al disegno del personaggio).
Notevolmente maturato appare l’Amonasro del
trentanovenne baritono statunitense Cornell
McNeil: certo l’inclinazione è sempre verso
una presenza incisiva, passionalmente violenta, non esente da enfasi e da retorica, ma il
canto si è fatto più asciutto e il personaggio
non è soltanto cupamente torvo e bieco, ma
unisce alla fierezza e allo sdegno una visiva
capacità di evidenza descrittiva, un’accattivante modo di porgere, un’azione scenica non volgare né grossolana, animata e sospinta da un
drammatico senso di urgenza. Il trentaseenne
contralto californiano Irene Dalis è una Amneris cupa e insinuante, ambigua e perfida, falsa
e ipocrita, ingannevole e irridente, ma anche
carica di sensualità, nei primi tre atti, e poi, nel
quarto, ricca di sentimenti contrastanti, nostalgia, desiderio, amarezza, sconforto, affanno,
disperazione, che la sconvolgono e la scompongono, ai limiti della resistenza, sì che esce
di scena come una menade furente, in preda a
un dolore fosco e torvo, che trema ancora nella
balbettante preghiera finale; è un personaggio
possente, cui non sempre riesce a far fronte
una voce opaca e soffocata, roca e velata, che
la costringe non di rado a forzare, rompendo la
linea del canto e rifugiandosi a volte nel parlato (nel quale più evidenti risultano i difetti di
pronunzia dell’italiano). Giorgio Tozzi conferma il suo Ramfis consapevole e preoccupato,
intimamente commosso e non solo ieraticamente solenne, turbato anche nella severità del
monito e nella gravità della condanna. Louis
Sgarro è un Re più compiaciuto che autorevole, Robert Nágy un Messaggiero distintamente
enunciativo. La registrazione è molto disturbata da rumori di sala (che rivelano un pubblico
particolarmente indisciplinato e irrequieto); assai meno sensibili sono i rumori di palcoscenico. La ripresa sonora favorisce decisamente le
voci e lascia piuttosto nello sfondo l’orchestra;
è soggetta a qualche momentanea (fugace ma
ripetuta) interruzione nella continuità della riproduzione e presenta un numero limitato (due
o tre) di cambiamenti di livello, però bruschi e
molto consistenti.
Ancora dalla “Lyric Distribution” proviene la rilettura digitale in due dischi compact
della riproduzione della rappresentazione di Aida al “Palacio de Bellas Artes” di Città del
Messico, il 17 settembre 1962. Il quarantaseenne maestro di New York Nicola Rescigno si
guadagna la propria fama di disponibile (e accorto) accompagnatore di cantanti ma non fa
nulla per dare una qualsiasi impronta all’opera
nel suo insieme, con una conduzione priva di
brio e di slancio, a volte pesante e inerte, altrove slombata e sonnolenta. Delude purtroppo
l’Aida di Régine Crespin: il soprano marsigliese, trentacinquenne, non era quel giorno a proprio agio e non riesce a infondere vita al personaggio, almeno una vita che sia quella di un’interpretazione personale e vissuta, e non soltanto
l’esercizio di una professionalità di alto rilievo,
ma senza coinvolgimento profondo. Conferma
invece il suo Radamès ricco di personalità, oltre che cantato con proprietà e linea, il coetaneo
tenore canadese Jon Vickers. Che però deve essersi sentito un po’ isolato, quel giorno, a Città
del Messico, ché né il Ramfis di Paolo Washington, né l’Amonasro di Carlo Meliciani
sembrano aver qualcosa da dire. Né l’Amneris
soffocata e circospetta, ma né imperiosa né dominatrice, del trentunenne contralto texano
Belén Amparán, pur non essendo priva di meriti, è sufficiente a riempire il vuoto che circonda
il tenore canadese. Curiosità ripetuta: anche
Paolo Washington, nella scena del giudizio di
Radamès, nel primo quadro del quarto atto, anticipa la terza accusa saltando la seconda ed è
quindi costretto a ripeterla due volte.
Riproduzione della rappresentazione di
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Aida all’Opera di Stato di Vienna, il 3 giugno
1963, è la registrazione pubblicata dalla “Melodram” nel 1983 in tre dischi microsolco lunga durata 33 giri e successivamente riletta digitalmente in due dischi compact dalla “Foyer”
in Europa. Dirige il sessantaquattrenne maestro croato Lovro Mata≈i£ ed è una direzione
fortemente personalizzata, sottilmente penetrante, molto attenta all’ambientazione e all’atmosfera. Mata≈i£ si preoccupa molto del suono e del suo colore, espressivamente accaldato
e vibrante quando accompagna e sostiene i
cantanti, diversamente qualificato, come frusto
o pesto, nelle scene di massa. Languido e torpido nell’invito sensuale del coro delle ancelle
all’inizio del secondo atto (con una danza dei
moretti gestualmente aggraziata, rallentata in
modo da smussarne le punte, da “raffinarla”),
Mata≈i£ congela invece il coro e la danza delle
sacerdotesse nel secondo quadro del primo atto in una ieratica immobilità, depurata d’ogni
esotismo, stilizzata in una sorta di estenuata
stanchezza, quasi a sottolineare l’urgenza pressante dell’appello al soccorso divino da parte
del popolo in armi. Nel secondo quadro del secondo atto il coro non è animato e festante, è
come catafratto in una massiccia pesantezza,
priva d’ogni gaiezza, ed invece affaticata, fangosa, inceppata, come incollata nella ripetitiva
insistenza di un rituale svolto con indifferenza
se non con fastidio: Mata≈i£ sembra voler porre in risalto soprattutto la stanchezza delle
truppe che tornano dalla guerra, sporche e ansanti, e la sottolinea avvolgendone la marcia di
parata in un Ballabile coloritamente tintinnante, che è come un laccio di festa che le circonda, mimandone le gesta idealizzate in un robusto cadenzare e in una stilizzata gestualità, restando tuttavia in una posizione di estraneità.
Anche nei pezzi d’assieme Mata≈i£ mira in sostanza più alla densità che al movimento: così i
concertati assumono funzione statica piuttosto
che dinamica, svolti come sono con ampiezza,
a maglie rade, con una lentezza che sa di sofferenza, a volte con una sorta di esitazione che fa
pensare ad un brancolare nel buio alla vana ricerca di una sia pur tremula fiammella di luce.
L’Aida di Mata≈i£ richiede interpreti vocali
che risolvano i loro personaggi soprattutto in
chiave di intimità, di ricerca delle motivazioni
profonde che sono alla radice degli atteggiamenti esteriori. Tale purtroppo non è il quarantenne tenore bulgaro Dimiter Uzunov, un Radamès vociferante, muscolarmente declamatorio, solo raramente incisivo, per giunta non
sempre in grado di dominare una voce balzante (stavo per scrivere “sobbalzante”) e scoppiante, per natura compressa e serrata. Il senso
della bellezza della vita vissuta con intensità
nel momento in cui si ha la coscienza di perderla nutre e illumina l’Aida di Leontyne Price: trentaseenne, il soprano del Mississippi
agisce con drammaticità di atteggiamenti il
personaggio, ma ne penetra anche a fondo l’intensità di sentire, il palpito amoroso, la sofferenza dolorosa, la nostalgia amara, il rimpianto
desolato; è sempre presente nell’Aida della
Price la coscienza di un destino cui non le è
dato sfuggire e ciò la incupisce e la oscura, ma
non la intorbida né l’abbatte: una fierezza indomata la sostiene nella protesta, nella supplica, nel sarcasmo, nell’invito; il palcoscenico
induce la Price a una certa esuberanza vocale,
con emissioni che tendono ad aprirsi sotto lo
sforzo di un canto spinto e vibrante, incisivamente sottolineato, che non sempre mantiene
nella continuità dell’arcatura le promesse della
bellezza dell’involo, ma lo slancio è luminosamente colmo e l’espressione, pur nella consistenza del disegno, corposamente denso, a volte perfino un po’ spesso, è variata con sfumata
gradazione di toni e di colori e sapientemente
alleggerita in filature e smorzature che non sono tanto artifici tecnici quanto momenti di abbandono in sognanti illusioni ed estatici rapimenti. Compare per l’ottava (ed ultima) volta
in disco la Amneris di Giulietta Simionato;
cinquantatreenne, il mezzosoprano forlivese
non avverte il passare dell’età, il personaggio è
integro vocalmente e interpretativamente, caso
mai addolcito in alcune punte di aggressività:
una sensualità più languidamente affocata e
carica di desiderio, una perfidia più teneramente insinuante, arcanamente presaga ed ironicamente condiscendente, una superiorità che
le deriva da una forza interiore piuttosto che
dall’autorità esteriore, una cosciente e decisa
volontà di vita che non perde mai la luce della
speranza anche nei momenti più bui, una capacità di memoria (ricordo e rimpianto) immaginativamente creatrice che la sostiene anche nel
momento estremo dell’addio (che assume il
valore di un gesto di pacificatrice consolazione
piuttosto che essere l’espressione di una desolata rinunzia). Il quarantenne baritono senese
Ettore Bastianini è un Amonasro impetuoso e
altero, rapido e deciso, efficacemente descrittivo, che riesce a contenere non senza sforzo la
foga di un’enfasi ridondante cui sembra predisporlo la natura stessa della voce, densamente
corposa, con venature di oscurità, e ricca di
grana. Il quarantenne basso norimberghese
Walter Kreppel è un Ramfis di nobile e severa
presenza, a volte perfino un po’ compassato,
solenne nell’appello, ma non inquisitorio (ché
anzi, nell’interrogatorio a Radamès, sembra
trasparire una sorta di umana, commossa comprensione), cantato con bella voce piena e fonda, duttilmente estesa (anche se impiegata con
una eccessiva, e compiaciuta, indulgenza per
le emissioni cavernose). Del Re fa un tremulo
vegliardo, affettuoso e grato, ma flebilmente
inconsistente, il trentunenne basso croato Tugomir Franc. Unisce il senso magico del miste-
98
ro religioso all’urgenza pressante dell’invocazione umanamente concreta del soccorso la
Sacerdotessa del trentasettenne soprano viennese Gerda Scheyrer, vocalmente impeccabile.
La registrazione non è molto equilibrata e
manca di distintività: pur risultando a volte eccessivamente accesa e vibrante e troppo spinta
in primo piano, in generale non manca di una
certa ambientazione. I rumori di sala sono
estremamente discreti grazie a un pubblico silenzioso ed educato, che per giunta non applaude mai fuori tempo.
Alla “Myto Records” si deve il recupero
in rilettura digitale in due dischi compact, pubblicati nel 1993, della registrazione della rappresentazione del 7 dicembre 1963 al “Metropolitan” di New York, posta sotto la direzione
del cinquantunenne maestro ungherese György
Solti, già incontrato nell’edizione romana in
studio del 1961. In teatro concede di più a una
panoramica grandiosità, a un glorioso incedere, a una impettita imponenza, forse per fare da
contraltare all’Aida che Leontyne Price agisce
da dominatrice assoluta, con una incandescenza vocale che la spinge a volte sopra le righe,
con un cantare fin troppo teso in un primo piano che non conosce riposi. Cerca di starle a pari (e ci riesce) l’Amneris fiera e indomita di
Rita Gorr (il duetto del primo quadro del secondo atto è un vero incontro di “leonesse”). A
Radamès ancora una volta (la quarta in disco)
conferisce plasticità di esposizione, pienezza
di canto e intensità di sentire Carlo Bergonzi
(che accenna anche un tentativo – non condotto fino in fondo – di chiusura in diminuendo
nell’acuto conclusivo dell’aria del primo atto).
Esageratamente vociferante è l’Amonasro del
trentacinquenne baritono perugino Mario Sereni. La registrazione non riesce a contenere tutta l’ampiezza sonora che Solti conferisce all’esecuzione ed a volte attribuisce un rilievo eccessivo alla captazione dei primi piani.
Avvolta in una sorta di bruma indistinta
che tutto nasconde e tutto confonde è l’ambientazione sonora della registrazione della
rappresentazione di Aida tenuta a Cleveland il
21 aprile 1964 durante una delle tournées che i
complessi del “Metropolitan” erano usi compiere all’interno del continente americano (allora, oggi non più). Quando non è offuscato
dalla nebbia, il suono si inabissa in cavernose
profondità dove finisce per scomparire del tutto, e ciò quando non annega miseramente nei
rumori che ad ogni cosa sovrastano, rumori
non solo di scena o di sala ma anche di captazione e di trasmissione. La direzione del quarantenne maestro svizzero Silvio Varviso ha il
pregio della precisione della lettura ma manca
interamente di slancio, di energia, di nerbo.
Spente e rassegnate appaiono le due protagoniste femminili, forse per una scelta intimistica
(che le condizioni della registrazione non con-
sentono però di cogliere), ché non mi sembrano questi gli aggettivi che di solito si attribuiscono alle interpretazioni di Birgit Nilsson e di
Rita Gorr. A un generico tono patetico è improntato il Radamès di Franco Corelli (che dà
l’impressione di aver risentito dell’atmosfera
generale). Da segnalare il debutto fonografico
della Sacerdotessa del ventottenne soprano
dell’Ohio Mary Ellen Pracht (quasi cancellata
all’inizio dalla foschia fuligginosa della registrazione).
Come nel caso della precedente, alla “Past
Masters” si deve la pubblicazione in rilettura
digitale in due dischi compact della registrazione della rappresentazione di Aida il 20 marzo 1965 al “Metropolitan” di New York. Il
sessantacinquenne maestro di Colonia William
Steinberg si trova a proprio agio quando può
allargarsi con calma e con pacatezza in ampie
distensioni, sontuose e festanti, meno quando
si tratta di stringere e di serrare in pugno l’insieme in modo che non si disperda e non si afflosci. Cinquantunenne, Richard Tucker si mostra ancora in possesso di una sana robustezza
vocale che gli consente un Radamès solido ma
contenuto, vibrante ma controllato. Di fiato il
trentaseenne contralto rumeno Elena Cernei ne
ha, ma ho l’impressione che non sappia amministrarlo in modo da ottenerne i migliori risultati possibili: è una Amneris fosca, cupa, sospettosa, se necessario anche aggressiva, ma
un’emissione troppo aperta e forzata le appanna la voce, che perde di potenza e di penetrazione, e la rende impari alla bisogna (e non solo nell’invettiva ai sacerdoti nel primo quadro
del quarto atto). Ritorna alla consuetudine di
un Amonasro grossolano e brutale, esagitato e
violento, un Cornell MacNeil giunto a quarantadue anni alla sua sesta impersonificazione in
disco del re etiope. Quarantaseenne, Birgit
Nilsson è un’Aida drammaticamente agitata
nel primo atto, infelice e dolente nel secondo
atto, minacciosa ed incalzante (piuttosto che
immaginativamente seducente) nel terzo atto,
raccolta nella rassegnazione nel quarto atto.
Ancora alla “Past Masters” si deve la pubblicazione in rilettura digitale in due dischi
compact della registrazione della rappresentazione di Aida, il 12 febbraio 1966, al “Metropolitan” di New York. Alla “Great Opera
Performances” si deve invece quella della registrazione della successiva rappresentazione del
13 marzo 1966. Entrambe sono dirette dal ventinovenne maestro indù Zubin Mehta, una lettura pensosa e ricca di attese e di preavvisi,
molto ben scandita, un po’ approssimativa nella concertazione, spinta con urgenza a volte incalzante, con una disposizione spiccata per il
terrazzamento collocativo nello spazio delle
masse corali e per una caratterizzazione stimolante e agilmente scintillante delle danze, a
volte un po’ troppo irruente, ma entusiasta e
99
festivo quanto è necessario nel secondo quadro
del secondo atto. Leontyne Price dà altre due
prove oltremodo convincenti della sua presa di
possesso del personaggio di Aida, con passione, con intensità, nella dimensione della forza
di un carattere orgoglioso che protesta più che
lamentare o supplicare e di un amore che tende, senza spezzarla, la linea di canto, in un fervore che non accetta rinunzie. Il debutto fonografico è per l’Amonasro del trentunenne baritono dell’Illinois Sherrill Milnes (il 13 marzo),
appassionatamente sfidante, fieramente deciso,
quasi profetico (“doman voi potria il fato colpir”) nel secondo atto, colloquiale e persuasivo
nel terzo atto; per il ventinovenne basso bulgaro Nikola Gjuzelev (il 12 febbraio) e per il
trentaduenne basso del New Jersey Raymond
Michalski (il 12 febbraio e il 13 marzo), rispettivamente Ramfis e Re d’Egitto di ordinaria
normalità.
Tra il giugno e l’agosto 1966 i tecnici di
una casa fonografica (sono quelli della “EMI”)
ritornano ancora una volta al Teatro dell’Opera
di Roma per registrare una nuova edizione in
studio di Aida. È l’Aida di Zubin Mehta. Il
trentottenne direttore indù in quel momento
sulla cresta dell’onda della nuova generazione
(e successivamente affermatosi in modo definitivo nell’Olimpo del concertismo internazionale). Malgrado i successi del “Metropolitan”,
malgrado l’estrema bellezza e suggestione di
certe soluzioni orchestrali, non mi sento di affermare che la visione di Mehta sia totalmente
maturata sul piano drammatico. E questo non
perché il maestro indù indulga a quell’amore
per i contrasti violenti, per le sonorità dirompenti, che rendono così vivide certe sue interpretazioni, di Stravinskij ad esempio. Anzi,
Mehta dà l’impressione di evitare con estrema
cura ogni spinta troppo accentuata. È una stupenda lettura timbrica e sonora, di luminoso
splendore e di vellutata pastosità, ma sembra
mancarle un soffio vitale prepotente che la
spinga implacabile, che renda inesorabile quella precisione di scansione e di accentazione
che risulta invece soltanto rigorosa. Ne deriva,
anche nel caso di Mehta, un approccio più lirico che drammatico: e una serie di soluzioni
espressive che si scaglionano di scena in scena
piuttosto che configurarsi secondo un andamento architettonico a lungo respiro. Ma questo non significa mancanza di continuità: ed
ancora una volta il discorso ritorna sull’orchestra, sul colore soprattutto che essa conferisce
all’opera, un colore di nostalgia, una melanconia di memorie, una commozione di ricordi,
che è la vera, felice intuizione di Mehta, un ricondurre anche la vicenda di Aida alla storia di
un amore infelice, guardando più alla Traviata
che al Don Carlos, insomma. E se questo va a
scapito della drammaticità dell’insieme, se ne
attenua la grandiosità spettacolare, vale anche
a scoprire certi segreti ripostigli intimi, certi
minuti, sfumati risvolti (anche dove uno meno
se li aspetterebbe: ad esempio nel sapore donizettiano del coro nel secondo quadro del primo
atto; o nell’effetto percussivo delle arpe all’inizio del secondo atto; o negli accenti bizetiani
di alcuni passi della prima parte del duetto del
terzo atto). Il quarantottenne soprano svedese
Birgit Nilsson risponde pienamente ad un simile atteggiamento espressivo: la sua Aida (e
ciò potrà forse sorprendere taluno) non è grandiosa ed imponente, bensì sfumata, sensibile,
quasi delicata, in una delineazione ricca di risvolti psicologici e di notazioni intime, per di
più cantata senza durezze, ma con una fluenza
che mi viene di definire al contempo soave e
radiosa (“voce splendida, larga, con acuti meravigliosamente filati e una valentia a tutta
prova”, la definisce Jacques Gheusi). Contrasta con l’Aida della Nilsson il Radamès di
Franco Corelli, e più per l’indifferenza della
presenza espressiva che per la preponderanza
della robustezza vocale: ha scritto Andrew
Porter che Corelli certamente si trovava “nella
stessa sala di registrazione, e nello stesso momento, con gli altri interpreti, ma avrebbe potuto comodamente cantare la sua parte altrove
per quanto riguarda il suo impegno di partecipazione al resto del dramma”. L’enfasi non degenera quasi mai in esagerazione, ma la sua
squillante robustezza manca di passione e di
entusiasmo. E manca anche di stile (il che si riflette anche nell’assoluta mancanza di rispetto
per le indicazioni dinamiche ed agogiche di
Verdi). Un’Amneris vocalmente aspra ed
espressivamente ineguale può apparire al primo ascolto il ventinovenne mezzosoprano del
Missouri Grace Bumbry: al suo attivo va invece non soltanto il timbro chiaro, sopranile, che
rende più fresco e giovane il personaggio, rinnovandolo, ma anche una caratterizzazione
psicologica che intelligentemente tocca le corde dell’insinuazione, della suggestione, della
provocazione sottile, e conosce anche quelle
della seduzione sensuale (Jacques Gheusi vi riconosce “l’orgoglio ferito, il fascino dolente
della donna innamorata e respinta”). Generoso
e appassionato (forse sin troppo, ma senza gli
eccessi teatrali del 1963) suona l’Amonasro
del trentottenne baritono perugino Mario Sereni, nel quale il Gheusi ritrova “l’asprezza, la rivolta, la passione del re vinto ... che non aspira
che alla rivincita, foss’anche a prezzo dell’onore e soprattutto della felicità della figlia”.
Un apporto assai positivo è il Ramfis del trentatreenne basso udinese Bonaldo Giaiotti, dalla
voce di bell’ampiezza sonora, impiegata con
incisiva articolazione e posta al servizio di una
caratterizzazione dalla semplice, discorsiva,
appassionata umanità. Il Re del trentacinquenne basso bolognese Ferruccio Mazzoli manca
di forza e di peso, mentre il quarantottenne te-
nore genovese Piero De Palma mette forse più
enfasi del necessario nel Messaggiero e il quarantunenne soprano nizzardo Mirella Fiorentini è una Sacerdotessa di non grande impegno.
La stessa “EMI” ha curato la rilettura digitale
in due dischi compact dell’Aida romana del
1966.
Sia in videocassetta (e poi in videodisco
DVD) sia in dischi (prima in tre microsolco
lunga durata 33 giri poi in rilettura digitale in
due dischi compact) è stata pubblicata la ripresa dal vivo della rappresentazione di Aida del
3 agosto 1966 all’“Arena” di Verona. Diretta
da un Franco Capuana ormai settantunenne,
l’edizione areniana del 1966 schiera una compagnia di canto ben collaudata di interpreti
dell’opera verdiana. Tra tutti spicca, esordiente
nella discografia di Aida, la protagonista, il
trentanovenne soprano turco Leyl Gencer,
che ha diritto a un suo posto nella galleria delle interpreti del personaggio.
Si ritorna nuovamente al “Metropolitan”
con la registrazione della rappresentazione del
25 febbraio 1967, pubblicata direttamente in
rilettura digitale, in tre dischi compact, dalla
“Claque”. Dirige Thomas Schippers. A questo
punto ci si rende conto che qualcosa è cambiato nelle più “inossidabili” tradizioni di quello
che si considera il maggior teatro del mondo.
Il punto di coagulazione del mutamento è dato
dalla conduzione del trentaseenne maestro del
Michigan. Anzitutto scompaiono i sia pur minimi tagli che erano abituali e costanti nel finale del terzo atto. Ma questo è solo un segno di
una interpretazione che rinnova dall’interno la
concezione spettacolare dell’opera. Le scene di
massa hanno nella direzione di Schippers non
pomposa solennità ma ritualizzata ieraticità,
non cortigiana magnificenza ma popolare festosità. È attraverso le scene di massa che
Schippers innesca l’inesorabile messa in moto
di un meccanismo regolare ma inarrestabile.
Aida è posta da Schippers sotto il segno dell’impotenza, ma non della rassegnazione: protesta ed angoscia son fatte affiorare da un’urgenza emotiva cui è impossibile resistere, ma
non diventano gridate esibizioni, restano consapevoli di inutilità, e proprio per questo sono
più dolorose, più laceranti, più struggenti. Risponde assai bene alle sollecitazioni di Schippers il Radamès di Carlo Bergonzi, eroe illuso,
smarrito, interdetto, ingenuo e fiero, illuminato
dal ricordo, esaltato dal sacrificio riparatore: il
canto, robusto e solido, piega volentieri alle
sfumature, alle smorzature, alleggerendosi ed
addolcendosi. Meno corrive a piegarsi a Schippers (ma pur si piegano) sono l’Aida di
Leontyne Price, corrusca e lucente, amaramente determinata, ansiosamente agitata, e alla fine estraniata nell’alienità della morte, cantata
con intensità e pienezza, anche con forza, ma
sempre con omogenea continuità, e l’Amneris
100
di Grace Bumbry, nella quale il pudore della
speranza si trasforma nell’asprezza della delusione, l’umiltà dell’innamorata nell’ira della
principessa offesa, con qualche rottura tuttavia
nella linearità dell’emissione. Imperioso, impassibile, fosco è il Ramfis vocalmente voluminoso del quarantottenne basso californiano
Jerome Hines. Grave e severo nel primo atto,
solennemente e cerimonialmente compreso del
momento, ma anche sinceramente riconoscente e indagativamente perplesso, nel secondo atto, è il Re d’Egitto del quarantaseenne basso di
New York Louis Sgarro.
Dal “Covent Garden” di Londra proviene
il riversamento della rappresentazione del 27
gennaio 1968, la cui importanza è soprattutto
nella presenza di una grande Aida e di un
grande Radamès. Il canto di Gwyneth Jones è
denso, ma non pesante, ed anzi intriso di luminosità: Aida non monovalente, il soprano gallese (colta nel fiore della giovinezza dei suoi
trentuno anni) esprime con dolcezza e con passione l’amore, con una carica emotiva che la
riempie senza che ne derivino rotture nell’emissione, che è ricca e colma sia in piena voce
sia in mezzavoce sia in sottovoce; sono nella
Jones la nostalgia dell’impossibile, la delicatezza di chi teme di rompere il fragile tessuto
dei ricordi, la suadente evocazione di incanti
ignoti e inimmaginati, l’illuminazione trasumanata dell’addio alla vita, ma sono anche il
tormento del conflitto interiore, l’oppressa insofferenza della prigionia, la lacerazione distruttiva della necessità di tradire l’amato. Il
tutto con finezze di grande maestria vocale.
Jon Vickers vorrei dire che supera sé stesso nel
confermare l’altissimo livello vocale ed
espressivo della sua interpretazione. Il quarantunenne tenore canadese sa cantare sfumato e
leggero pur essendo in possesso di un organo
naturale solido ed esteso, capace di attingere
qualsiasi nota senza difficoltà, in ogni condizione di emissione. Vickers è un Radamès facile allo sconcerto e allo sconvolgimento, che
possono farsi ossessione, facile anche alla
commozione e all’appassionamento, come all’intenerimento e alla dolcezza, a volte risoluto
a volte incerto, a volte inflessibile a volte cedevole, minato da una segreta angoscia, che si
placa solo dinanzi al sacrificio di Aida che accoglie non solo con amore, ma con pietà e gratitudine (e “Morir sì pura e bella” non flette i
muscoli ma è una delicata carezza). Seducente,
languida e sensuale è l’Amneris del trentaquattrenne mezzosoprano lionese Lyne Dourian,
che non manca neppure di autorità, con una
certa asprezza, ma in lei prevale l’amore come
passione e angoscia, come sofferenza e disperazione: un debutto fonografico nel personaggio assolutamente positivo. Le preoccupazioni
e le perplessità della saggezza ma anche il rigore sprezzante del difensore dell’onore patrio
sono nel Ramfis del trentottenne basso canadese Joseph Rouleau. Un Re d’Egitto molto formale, quasi burocratico, è il quarantaquattrenne basso scozzese David Kelly. Una voce ruvida e granulosa è alla base dell’Amonasro
grossolano e plateale del quarantaseenne baritono australiano John Shaw. Retoricamente perorativa, capace così di suggestive lentezze come di scattanti nervosità, la direzione del quarantatreenne maestro di Birmingham Edward
Downes non sempre riesce a esercitare un controllo totale sullo sviluppo dei concertati e sull’equilibrio degli insieme più massicci.
Nel settembre del 1968, al Teatro “Angelo Masini” di Faenza, fu registrata in studio
l’Aida pubblicata nella serie “Grandi Opere Liriche” (in microsolco lunga durata 33 giri, dapprima in 5 dischi da 25 centimetri di diametro,
successivamente in 4 dischi da 30 centimetri) e
distribuita nelle edicole dei giornali anziché
nei negozi di dischi. Non più disponibile presso l’editore ed irreperibile sul mercato, non mi
è personalmente nota. Come è nelle tradizioni
dei “Fratelli Fabbri” ricorre ad interpreti giovani o comunque non ancora affermati, ai quali offre un’occasione che le maggiori case fonografiche non possono (o non vogliono) offrire. Tra i cantanti di questa Aida del 1968,
diretta dal sessantaquattrenne maestro faentino
Ino Savini, hanno avuto la possibilità di sviluppare una consistente carriera teatrale, in
ruoli primari il tenore Antonioli e il baritono
Maffeo, in ruoli comprimari il basso Michalopoulos e il tenore Poli.
Dalla “Bongiovanni” è stata pubblicata in
rilettura digitale in due dischi compact la registrazione della rappresentazione di Aida del 18
maggio 1969 al “San Carlo” di Napoli. Dirige
il sessantaduenne maestro di Adria Fernando
Previtali, che privilegia l’empito lirico sulla
concisione narrativa ma, quando è alle prese
con le masse corali, le scandisce con ampiezza
ben spaziata, anche se un po’ rigida nella ripetitività, conferendo loro la forza inesorabile di
una macchina schiacciasassi, che procede senza che nulla possa arrestarla. Nel secondo quadro del primo atto, il coro maschile sussurrante
è pervaso da un senso di magia e di mistero
(non molto vi concorre la Sacerdotessa del
trentaduenne soprano napoletano Eva Ruta, invero confinata in una eccessiva lontananza):
un senso di immobilità assoluta (sembra quasi
che le labbra non si aprano), che pervade anche la successiva Danza delle sacerdotesse,
staticamente sacrale, lenta fino all’estenuazione (ancorché non languorosa). Purtroppo le
odalische di Amneris non ispirano Previtali altrettanto quanto lo avevano ispirato i sacerdoti
di Fthà, e la stessa Danza dei moretti risulta
piuttosto smorta e piatta. Simpatico è il tono
minore di una Marcia trionfale provocatoria,
quasi sbarazzina, monellesca e sbeffeggiante.
101
Il Ballabile irrompe precipitoso, addirittura
dentro la Marcia, frenetico e travolgente. I cori
di inni e di plausi sono piuttosto una massa, ritualmente celebrativa, ma in grande confusione, una sorta di colorita festa paesana, che si
chiude chiassosa in modo rude e spettacolare.
Previtali sorprende chi non si sarebbe atteso
dal maestro di Adria un terzo atto e un primo
quadro del quarto atto così accesi e brutali,
violenti ed esibizionisti. Aida è il quarantatreenne soprano transilvano Virginia Zeani:
canto teso, a volte in difficoltà tanto da ricorrere ad aperture di emissione o da rifugiarsi nel
parlato, enfaticamente concitato, ma non molto
incisivo, con gravi affondati ed abbuiati, ma
anche capace di delicate filature e di sfumature
in diminuendo e in pianissimo; l’interpretazione è sommaria, con frequenza di gemiti e di
singulti, ma con scarsa penetrazione interiore.
Piuttosto arbitraria nel disegno e nell’accentazione delle frasi è l’Amneris evidentemente distratta del trentaduenne contralto di Saint
Louis Grace Bumbry, che forza senza ragione
una voce che, quando è bene amministrata,
non ha alcun bisogno di essere sollecitata in
continuazione; è una principessa d’Egitto sorprendentemente timorosa e incerta, poco passionale e poco dominatrice. Il trentenne tenore
padovano Gianfranco Cecchele ha voce metallicamente squillante, ma con una eccessiva
tendenza ad impiccarsi ed ingolarsi: è un Radamès non chiuso nel proprio egoismo, ma attento ai sentimenti e alle necessità delle persone con cui viene in contatto. L’ormai quarantaquattrenne baritono romano Gian Giacomo
Guelfi insiste con il suo Amonasro torvo e bieco, ad ogni successiva occasione sempre più
imperversando con urlante violenza. Il trentaduenne basso bulgaro Nikola Gjuzelev sembra
aver trovato una sua misura per un Ramfis non
solo investito di sacralità ma anche partecipe
commosso del mistero di cui è ministro; nel
giudizio di Radamès, nel primo quadro del
quarto atto, ha il tono epico del difensore della
patria. Il quarantanovenne basso genovese Enrico Campi è un Re d’Egitto austero e riservato. Il quarantaduenne tenore di Tarquinia Fernando Iacopucci è un Messaggiero seccamente
determinato e deciso. La registrazione soffre di
fenomeni di rifrazione nei forte e nei fortissimo ed è soggetta ad oscillazioni in andirivieni
dell’intensità sonora; l’ambiente è vistosamente “abitato” (con un pubblico tossicoloso e indisciplinato); affligge l’ascolto un persistente
rumore di fondo.
Ritroviamo la direzione di Fernando Previtali un po’ meno di un anno dopo, l’8 marzo
1970, alla “Fenice” di Venezia. La riproduzione in due dischi compact digitalmente riletti è
dovuta alla “Mondo Musica”, la casa fonografica appositamente costituita per contribuire alla ricostruzione del teatro veneziano con la
pubblicazione di registrazioni di spettacoli della “Fenice” prodotti con la licenza “gratuita” da
parte degli interpreti (solisti e complessi) che
hanno rinunziato a percepire i loro diritti di
esecuzione. Questa volta Previtali appare più in
consonanza con l’immagine che di lui ha costruito la piuttosto numerosa discografia delle
sue direzioni teatrali. Pervade l’opera una sorta
di melanconia che non si concede speranza, che
a volte induce il maestro di Adria a qualche
lentezza fin troppo indugiata. La stilizzazione
dei movimenti di danza è portata fino ai limiti
di un certo automatismo, che tuttavia non
esclude un puntuale disegno dei contorni del
fraseggio. Puntualità che si ritrova nella dipanata articolazione distintiva dei concertati. Nell’inizio del terzo atto Previtali trova una soluzione puntillistica che risolve felicemente il
problema della collocazione dei diversi piani
sonori, con una ambientazione impressionistica
indubbiamente riuscita. Quarantenne, il soprano romano Gabriella Tucci dà prova di aver a
lungo pensato, approfondendolo, il personaggio
della protagonista, un’Aida dall’asprezza amara, rivolta più verso se stessa che verso gli altri,
disillusa persino nella sognante immaginazione
di un destino diverso, con qualche problema
vocale nell’acuto, che comincia a suonare un
po’ stridulo. Non mi sembra che questa veneziana sia stata una serata di particolare impegno
per il trentaquattrenne contralto vercellese Fiorenza Cossotto, Amneris piuttosto indifferente,
ancorché imperiosa (e che nell’invettiva ai sacerdoti che conclude il primo quadro del quarto
atto molto deve all’energico sostegno della
conduzione orchestrale di Previtali). Per il quarantaquattrenne tenore piacentino Flaviano
Labò i caratteri distintivi del personaggio di
Radamès non stanno certamente dalla parte
dell’amorosità aggraziata e carezzevole: un certo generico pathos non risulta particolarmente
impegnato. Il quarantanovenne baritono cremonese Aldo Protti persiste nel raffigurare un
Amonasro grossolano e volgare. La registrazione veneziana segna l’esordio nella discografia
di Aida dei due bassi, il veronese quarantaduenne Ivo Vinco in Ramfis e il parmense trentunenne Franco Federici nel Re d’Egitto: il primo è un Gran Sacerdote sbiadito, né solenne né
feroce, con una voce curiosamente ottusa; il secondo è un sovrano tremolante, e la sua voce
risulta come attufata ed impedita. Soffre di
quello che io chiamerei un eccesso di digitalizzazione la ripresa sonora, metallicamente acida
e stridente.
Erich Leinsdorf ha spiegato in un articolo
pubblicato su “FonoForum” (agosto 1971) i
criteri cui si è ispirato nel dirigere la registrazione dell’Aida realizzata appositamente a
Londra per celebrare il centenario della prima
rappresentazione dell’opera: si potrebbero sintetizzare nella attenta considerazione dei detta-
102
ti della partitura scritta, visti però non nella loro rigida astrattezza, ma posti in diretta relazione con le necessità pratiche cui l’autore dovette far fronte, ai suoi tempi, e con quelle con
le quali si trova alle prese l’interprete di oggi.
Una “tradizione”, potrebbe dirsi, “rivisitata” e
restaurata, magari anche rinfrescata e ringiovanita. Con la presenza di Plácido Domingo, ad
esempio, Leinsdorf spiega la scelta della prima
versione di “Celeste Aida”, che raramente viene eseguita in teatro. Peter Mario Katona definisce l’edizione Leinsdorf “solida, ma non
molto intensa né drammatica”. Per Alan Blyth
Leinsdorf non è sempre il più ispirato dei direttori e non si troveranno particolari nuove rivelazioni nella sua interpretazione, ma non si
sarà neanche turbati da una qualsiasi sorta di
eccentricità”. Penso che a Leinsdorf una dote
possa riconoscersi, quella della linearità, una
linearità che si fonda sul senso plastico delle
sonorità orchestrali, che risultano dense e rilevate, hanno una loro pienezza robustamente
scheletrata (la “solidità” di cui parla Katona).
È questa linearità che assicura al cinquantottenne maestro austro-americano l’arrivo in
porto, senza molte altre preoccupazioni. La direzione di Leinsdorf è quindi, per i cantanti,
una sicurezza che non costituisce tuttavia un
limite, neanche in senso positivo. Un generico
accordo sulle linee d’insieme lascia ai singoli
un ampio margine di libertà: purché non si
tratti di eccentricità (o di troppo smaccate esibizioni: queste Leinsdorf, sia detto a suo merito, non le consente). La vivezza del quadro finisce quindi per dipendere più dagli interpreti
che dal direttore? Sì, per quel che riguarda i
colori, forse anche il rilievo delle distanze delle posizioni relative. Non per quel che concerne il disegno e neanche la collocazione delle
varie parti. Leinsdorf offre una sua visione dell’Aida ed è una visione eminentemente narrativa, nella quale lo spettacolo è secondario alla
vicenda, cornice (non molto “trionfale” a dire
il vero) di un quadro nel quale i toni grigi ed
opachi, il colore della mestizia, il senso di una
fatalità più struggente che opprimente, più rassegnata che tragica, in definitiva prevalgono.
Si spiega quindi come Leinsdorf mostri di prediligere il Radamès del trentaseenne (ventinovenne?) tenore madrileno Plácido Domingo,
affettuoso più che appassionato, limpido e
chiaro e tutto sommato “leggero” (ma non esile, ed anzi piuttosto solido), eroe passivo sottomesso agli eventi piuttosto che virile alfiere di
volontà. Da precedenti edizioni ritornano l’Aida di Leontyne Price e l’Amneris di Grace
Bumbry, quarantatreenne la prima, trentatreenne la seconda. La Price ha indubbiamente perduto alcune delle sue preziose e splendide qualità vocali: l’emissione risulta alquanto intubata, soprattutto nei gravi, le velature tendono a
farsi appannature, la continuità tra i varii regi-
stri ha perduto molto della sua omogeneità (gli
acuti hanno tuttavia mantenuto la loro luminosità). Sono deterioramenti non gravi, che però
le impongono il ricorso ad artifici che le erano
estranei, sul piano dei portamenti e soprattutto
dell’enfasi sottolineatrice dell’accentazione, a
volte veramente spinta e parossistica. Il personaggio è invece ulteriormente maturato sul
piano drammatico: la nostalgia ha l’angoscia
di chi è sperduto, ormai senza speranza; la misura dell’interpretazione è quella di una grande
tragica. La voce della Bumbry si è iscurita e
ispessita: affonda e incupisce di più, ma subisce anche maggiori rotture e conosce incertezze e asperità. Ma anche nel suo caso a una perdita di omogeneità vocale corrisponde un acquisto di intensità drammatica, ed ancora sulla
via della melanconia e del ripiegamento interiore, con un’ansietà che si fa a volte concitazione, spezzatura ansimante del disegno, che si
rifugia nel parlato fortemente accentato. L’Amonasro del trentacinquenne baritono dell’Illinois Sherrill Milnes trova il consenso pieno di
Alan Blyth, ed è in effetti ricco di meriti, soprattutto di linea e di contegno, ma non mi resta chiaro se sia dovuto ad un eccesso di analisi quel sospetto di esagerazione dell’intonazione espressiva che mette in forse, a mio parere,
la calibratura di un personaggio che resta sì al
di qua dell’enfasi, ma forse va anche al di là
della naturalezza. Il ventottenne basso bolognese Ruggero Raimondi riprende esplicitamente nel Ramfis dell’Aida il personaggio del
Grande Inquisitore del Don Carlos: ha predecessori illustri su questa via, nella quale s’inoltra con sottigliezza misteriosa e raccolta, con
una segretezza sfumata che non gli impedisce
l’uso pieno di una voce che ha soprattutto il
pregio di una plastica duttilità di articolazioni.
Il Re del trentenne basso westfalo Hans Sotin è
indifferente e convenzionale, il Messaggiero
del ventottenne tenore texano Bruce Brower
del tutto insufficiente, anche vocalmente, mentre la Sacerdotessa di Joyce Mathis si giova
dell’incanto di una voce di limpida purezza. La
registrazione è piena, densa e spaziosa: ma bisogna riconoscere che, pur nell’eccellenza di
riproduzione sonora che le accomuna, nessuna
delle tre edizioni successivamente realizzate in
studio è riuscita a superare il livello di eccezionale selettività, luminosità e spaziosità della
registrazione dell’edizione viennese diretta da
Herbert Von Karajan. La stessa “RCA” ha
provveduto alla rilettura digitale in tre dischi
compact.
Tra il dicembre 1970 e il gennaio 1971
(precisazione che debbo ancora una volta a
Wilhelm Busse) Aida è stata registrata in studio, dalla “Balkanton”, all’Opera nazionale di
Sofia. Direttore, artisti, complessi sono bulgari,
ma l’opera è cantata in italiano. Il lavoro di
Verdi è diretto dal quarantunenne Ivan Mari-
103
nov con un’ampiezza risonante e distesa, che
fortemente giova a metterne in risalto gli aspetti più spettacolari. È una concezione di grande
efficacia visualizzante, spaziosamente descrittiva, pittoricamente distributiva, che pone al centro dell’interesse le grandi scene di massa e di
assieme, concepite come grandi pannelli statici,
percorsi circolarmente ma non agiti direzionalmente. Non c’è dinamica di passaggio dall’una
all’altra scena ma ciascuna resta a sé stante. La
suddivisione in sette quadri è una vera e propria separazione in episodi indipendenti. Ma
questa scansione per pause intese come vere e
proprie cesure della struttura drammatica dell’opera è estesa da Marinov anche all’interno
dei singoli quadri, nei quali ciascun numero
(assolo, duetto, terzetto) si dispone intorno alle
scene di massa o d’insieme che ne costituisce il
centro come una serie di formelle spartite da lesene si dispone intorno, sopra o sotto alla figura
centrale di un polittico. Dei solisti di canto l’unico noto anche in Occidente è il basso trentaquattrenne Nikola Gjuzelev, che disegna invero
un imponente, ed insinuante, Ramfis. Espressivamente grandioso è anche il Re di Stefan Cigan≈ev. Sempre atletico, sempre muscoloso,
sempre fuori dalle righe è il Radamès crudamente monocorde, grezzamente indifferente
del quarantacinquenne Nikola Nikolov. Voce
di ampio volume ma di grana piuttosto ruvida,
il baritono Nikolaj Smo≈evskij è un Amonasro
scandito tutto di forza, con rozza e brutale ma
spettacolare violenza. Rotture e sottolineature
veriste a forti tinte e a grandi tratti ha l’Aida
della trentottenne Julia Wiener, dalla voce solida e robusta, ma non agile né duttile, che la induce a un canto fortemente scolpito, modellato
con spessore di rilievo ma senza flessibilità e
poco propenso alle sfumature, strumento di
un’interpretazione fatta di un continuo primo
piano, senza un attimo di riposo e di distensione, tuttavia con momenti impressionanti di veemenza e di furore. Presenza dominatrice fra i
cantanti di dell’edizione bulgara di Aida è
l’Amneris del mezzosoprano trentaquattrenne
Aleksandrina Mil≈eva. E non è solo questione
di potenza e di robustezza di voce. Queste ci
sono, e con esse il volume e l’estensione. Ma le
doti naturali non sono sfruttate soltanto sul piano della forza. Il disegno del personaggio è imponente, ha impatto e comando: ma la fierezza
e l’alterigia si sciolgono in passione e in disperazione e il canto ha pienezza d’involo, il disegno ha spessore ma è modellato con incisività
di articolazioni e con calore di inflessioni, né la
consistenza del rilievo nega la possibilità di variazioni nell’espressione e nel colore. La registrazione eccede in rilievo e in presenza ed ha
una rutilanza che rasenta la violenza nell’accesa prepotenza dei colori e nella cruda consistenza delle linee. Il suo pregio è nell’ampiezza
voluminosa e risonante dell’ambientazione di
cui si giovano in modo particolare per acquistare spazio ed espansione cori ed orchestra. Ripubblicata in Francia dalla “Harmonia Mundi”
nel 1975, in tre dischi microsolco lunga durata
33 giri, l’edizione bulgara di Aida è stata riletta
digitalmente dalla “Academy of Sound and Vision” e dalla “Laserlight Classics”.
Direttore, complessi e compagnia di canto
identici nelle due riprese dal vivo di rappresentazioni scaligere di Aida nell’anno 1972, la prima a Milano, in sede, il 10 aprile, la seconda, a
Monaco, nel “National Theater”, durante una
tournée della “Scala” nel capoluogo bavarese,
il 4 settembre 1972. Entrambe sono state pubblicate direttamente in rilettura digitale, in due
dischi compact, dalla “Myto Records” la prima, dalla “Foyer” la seconda. Dirige Claudio
Abbado, ed è l’esordio del trentottenne maestro milanese nella discografia di Aida. È una
direzione ampia e spaziosa, e tuttavia né languida né condiscendente, bensì severa e possente, non imperiosa tuttavia: la grandiosità
nasce dall’interno, nel raccogliersi ed addensarsi della folla corale, in una allegria popolana festeggiante piuttosto che glorificante. Plastico è sempre il rilievo del disegno melodico,
sostenuto dal rigoroso battere in tempo della
scansione ritmica. L’andamento è rapido ma
non impaziente, urgente ma non precipitato.
La varietà della linea espositiva è data essenzialmente dalla qualificazione espressiva, che
ora si gonfia espansiva, ora ripiega dolorosa,
ora si erge svettante, ora si raggruma incisiva,
ora si slancia spigliata, ora scintilla, borbotta e
guizza nella danza, ora esplode conflagratoria,
ora si scioglie carezzevolmente amorosa, ora si
insinua sotterranea e serpentina, involvente e
circonvolvente, e infine si raccoglie in quella
luminosa ed inesorabile marcia funebre che è
per Abbado il secondo quadro del quarto atto.
Né il maestro milanese manca mai di soccorrere e di sostenere i solisti vocali, in qualunque
momento ne abbiano bisogno, così ponendo la
propria impronta all’unità complessiva dell’insieme. Sono con Abbado esordienti nella discografia di Aida l’Amonasro di Piero Cappuccilli e il Re di Luigi Roni. Il quarantacinquenne baritono triestino è un re etiope fiero e
orgoglioso, che si indirizza agli egizi con tono
di sfida, nel secondo atto, un padre torvo, duro,
vendicativo, minaccioso, che la figlia non cerca di persuadere bensì istruisce come una complice, con tono di comando. Il trentenne basso
garfagnano Luigi Roni è un sovrano paterno e
affettivamente grato, ma non proprio autorevole. Il trentasettenne soprano di New York Martina Arroyo è un’Aida estroversa e concreta,
che canta con appassionamento la propria infelicità, non con rassegnazione, ma con rammarico, con rimpianto, senza accettazione.
Riccardo Muti entra nella discografia di
Aida con la registrazione (riletta digitalmente
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in due dischi compact dalla olandese “Bella
Voce”, che l’ha pubblicata nel 1996) della rappresentazione dell’Opera di Stato di Vienna
del 4 febbraio 1973. La conduzione del trentunenne maestro napoletano rifiuta qualsiasi tentazione retorica, è asciuttamente appassionata,
densa e accorata, non appagata nell’empito,
non ottimistica nel ripiegare in interiorità, già
fin dal preludio. La costruzione dell’opera riposa sull’uso delle pause come veri e proprii
respiri dell’intero organismo, considerato così
nelle sue macrostrutture come nelle microstrutture interne di cui esse si alimentano, e su
un equilibrato, mosso ed articolato governo
delle pagine d’assieme, vocali e corali. Che all’orchestra Muti assegni fondamentalmente
funzioni narrative e descrittive ne fanno spia le
danze, che, in nessuno dei tre quadri dell’opera
in cui compaiono, sono concepite per essere
ballate (anche se nulla impedisce ai danzatori
di ballarle, perché gli accenti e i passi ci sono
tutti, al loro giusto posto), bensì come elementi
integranti degli avvenimenti scenici, di cui
fanno organicamente parte, così come sono fuse senza residui nella continuità del discorso
musicale. Altrettanto avviene per i cori, che
non sono mai visti come masse, ma sono sempre articolati come personaggi. Questa totale
compenetrazione consente a Muti di ottenere
leggerezze fin’allora impensate (o intentate)
anche nei momenti in cui più voluminoso è
l’organico messo in essere (ad esempio, nella
seconda ripresa di “Ma tu, re, tu, signore possente”, nel secondo quadro del secondo atto)
oppure di creare uno spazio allargato e diradato, all’interno del quale le voci dei solisti
emergono naturalmente senza la necessità di
mettere in secondo piano quelle del coro (nel
finale “Gloria all’Egitto, ad Iside”, nello stesso
quadro). Le ambientazioni orchestrali sono
sempre atmosferiche, soprattutto quelle che
fungono da introduzione a ciascuno dei sette
quadri (del preludio si è già detto; forse un
pizzico di manierismo si può cogliere in quella
che apre il secondo quadro; il terzo quadro inizia senza svenevolezze, come si addice alla
corte di una principessa partecipe in posizione
emergente alle vicende della sua terra; il quarto quadro trova un timbro brillante, ma caldo,
pieno, corposo, nelle trombe che ne spalancano le cortine; l’inizio del quinto quadro non è
così avveniristico come quello di Previtali a
Venezia, ma si pone in cammino verso la stessa direzione, pur arrestandosi alla tappa del
mistero esoterico; il sesto quadro anticipa con
l’orchestra la violenza dell’irruzione della voce di Amneris; il settimo quadro schiude una
sensazione fisica di claustrofobia come presagio di morte. Con Muti debuttano in disco gli
interpreti di Amneris, di Amonasro, del Messaggiero e della Sacerdotessa. Quest’ultima è
il ventisettenne soprano libanese Sona Ghaza-
rian, incantata e misteriosa. Messaggiero è il
venticinquenne tenore brasiliano Eduardo Alvares, destinato ad una futura carriera di protagonista. Amonasro è il quarantenne baritono
del Tennessee Eugene Holmes, che dà l’impressione di aver sbagliato palcoscenico, perché la sua interpretazione sarebbe appropriata
per un personaggio buffo, ma in Aida è del tutto un “fuor d’opera”. Amneris è il trentasettenne contralto transilvano Viorica Cortez, persuasivamente avvolgente e poi orgogliosamente altera nel duetto con Aida nel primo quadro
del secondo atto, agitata con frenesia nel primo
quadro del quarto atto, fino a giungere vocalmente esausta all’invettiva finale.
Da un’esecuzione concertistica organizzata dalla Radio francese alla “Salle Pleyel” di
Parigi il 5 aprile 1973 è tratta la ripresa dal vivo di Aida pubblicata in Italia in rilettura digitale in due dischi compact dalla “Memories”
dapprima e poi dall’“Opera d’Oro”. La direzione del sessantunenne maestro veneziano
Nino Sanzogno è di tono conversativo, ma
senza soverchio impegno, con andamento molto rilassato, restio a cercare le pur necessarie
climatizzazioni atmosferiche o a raccogliere le
fila di un disordine che denunzia proprio la
mancanza di un qualsiasi coordinamento (ma
per questo gli orchestrali contribuiscono allegramente per la loro parte), insomma – per dirla tutta – indifferente a quel che accade, una
direzione cui mancano vitalità, splendore, gloria, colore, ma mancano anche comprensione e
compassione per i personaggi, immaginazione
e fantasia. Tranne la trentasettenne Fiorenza
Cossotto, alla sua sesta Amneris in disco, gli
altri interpreti vocali sono tutti esordienti nella
discografia di Aida. Al centro dell’esecuzione
è il ventisettenne soprano della Georgia Jessye
Norman (per la quale potrebbe anche essere
che il concerto sia stato organizzato, forse un
po’ frettolosamente): ha voce ferma e calda,
ma anche leggera e luminosa, sul fondo di un
grave scuro ma pieno, presupposti di un ottimo
legato; canta bene, controllata e contenuta, e
intensamente espressiva; è un’Aida drammaticamente atteggiata, sofferente e implorante,
mai gemente o piangente, interrogante e trepidante; dolente e sconfitta, fascinata (e fascinante) nell’illusione di una speranza di luce
subito delusa, dice addio alla vita con soave
delicatezza. Il quarantaduenne tenore andaluso
Pedro Lavirgen è un Radamès enfatizzato oltre
le possibilità di una voce dall’emissione troppo
aperta, che – sotto pressione – impicca nelle
note alte e si strozza in quelle basse (tali considerate in relazione fra loro e non in assoluto);
gli va riconosciuto che evita le vociferazioni e
le platealità. Il trentaseenne baritono romano
Walter Alberti è un Amonasro sobrio e contenuto (ed è cosa assai gradita), ma gli manca
l’involo del canto spiegato, con conseguenti
105
effetti di disordine nell’accentazione. Il trentaquattrenne basso greco Georgio Pappas è un
Re d’Egitto elencativamente dichiarativo, autorevole con semplicità, cantato con voce
omogenea. Il trentunenne basso garfagnano
Luigi Roni passa per la prima volta in disco al
personaggio di Ramfis: una voce granulosamente tremolante lo induce a disegnare un
Grande Sacerdote umanamente deluso, mai
minaccioso, che persino nel giudizio sembra
rivolgere un implicito appello a Radamès perché offra un sia pur minimo spiraglio che consenta di evitargli la morte. La registrazione appare grezzamente stridente in acuto, ma per il
resto è sufficientemente equilibrata (con qualche eccesso di captazione ravvicinata); presenta un minimo di pianificazione, almeno nelle
intensità (meno nella spazialità); ha una certa
cruda durezza, ma è sufficientemente differenziata e non massicciamente compattata.
Presenta una compagnia di debuttanti nella discografia di Aida (con l’eccezione del
quarantottenne Carlo Bergonzi, al suo ottavo
Radamès) anche la registrazione della rappresentazione del 12 aprile 1973 al “Covent Garden” di Londra, pubblicata in rilettura digitale
in due dischi compact dalla “Lyric Distribution”. La direzione è affidata al quarantasettenne Charles Mackerras, nato a New York, ma
australiano di stirpe e cittadinanza. Conosco
Mackerras per molte ottime interpretazioni,
anche teatrali, da lui registrate per lo più in
studio. Quindi non mi meraviglio se questa sua
Aida dal vivo ci offre alcuni ottimi spunti. Ad
esempio il secondo quadro del primo atto, magico e misterioso, fuori del tempo, con una
Danza delle sacerdotesse stuporosa, dai gesti
stilizzati e congelati, come se i corpi si muovessero con gran fatica. O l’inizio del terzo atto, naturalisticamente cinguettante. O la scansione strumentale che sostiene con evidenza le
voci nel duetto Amneris-Radamès nel primo
quadro del quarto atto. Mi meraviglia invece
che la Danza dei moretti nel primo quadro del
secondo atto manchi di colore e festosità. O
che il Ballabile del secondo quadro dello stesso atto sia lasco e snervato. O che i concertati
risultino deboli e fiacchi, tutt’altro che sufficientemente tenuti in pugno. È come se
Mackerras ci si fosse un po’ smarrito dentro,
in questa Aida del 12 aprile 1973. Andamenti
altalenanti hanno anche i solisti vocali (influenzati dal direttore? o son loro che hanno
influenzato Mackerras?). Il trentatreenne soprano messicano Gilda Cruz-Romo è un’Aida
dalla voce leggermente velata, cantata comunque dall’interno del proprio sentire, evitando
ogni appariscente esteriorizzazione, sognante e
incantata nelle immagini della “novella patria”
(atto terzo) e dell’“eterno dì” (atto quarto).
Violenta e aggressiva è l’Amneris del quarantaquattrenne mezzosoprano del Tennessee Mi-
gnon Dunn, che nell’invettiva ai sacerdoti del
primo quadro del quarto atto si scompone al
punto di travalicare la stessa nozione di canto.
Ramfis energico e deciso è il quarantaseenne
basso del Cheshire Forbes Robinson: peccato
che nella scena del giudizio di Radamès sia del
tutto inudibile, tale è la lontananza della sua
posizione sul palcoscenico (o addirittura fuori
del palcoscenico? mi sembrerebbe però una
soluzione assai poco teatrale) dalla collocazione dell’apparecchiatura di captazione del suono. Pomposamente impalloccato è il Re d’Egitto del quarantasettenne basso del Sussex
Dennis Wicks. Piuttosto rozzo e vocalmente
scomposto è l’Amonasro del quarantenne baritono versiliese Giampiero Mastromei. Ha la
fortuna di coincidere con uno dei momenti migliori di Mackerras la Sacerdotessa del trentenne soprano neozelandese Kiri Te Kanawa.
Aida è stata la prima opera completa registrata in studio da Riccardo Muti per la “EMI”.
La registrazione ha avuto luogo dal 2 all’11 luglio 1974, in Londra, nel “Walthamstow Assembly Hall”. Vi hanno preso parte cinque dei
più celebrati cantanti del teatro lirico degli anni
Settanta: eppure la critica ha subito affermato
unanime, e senza esitazioni, che questa era
l’Aida di Muti e che le stesse eccezionali prestazioni dei protagonisti vocali uscivano potenziate dalla sua direzione. L’intervento interpretativo di Muti è sempre illuminante, che investa
il suono o il ritmo o l’espressione. Vi si congiungono precisione e flessibilità: né la prima
diviene mai rigore né la seconda arbitrio. Soprattutto non è mai distaccato, autonomo, isolato. Ogni notazione si dispone con naturalezza
ed agio, ma senza possibilità d’equivoco o distrazione, lungo l’itinerario di svolgimento di
una visione d’insieme assolutamente coerente,
e tuttavia non precostituita, non preordinata,
ma costruita insieme al procedere stesso della
vicenda, con questa strettamente connessa, in
un reciproco rapporto di determinazione. Non
vi sono momenti oscuri nella costruzione drammatica di Muti: ogni particolare concorre alla
struttura, ogni momento ha il suo significato
espressivo. La griglia strutturale è solidamente
delineata ma con la duttilità necessaria a che
tutto vi rientri, senza lasciare spazi vuoti, e che
nulla sia lasciato fuori, con riduttive amputazioni. Muti assicura così anzitutto lo spazio di
tempo e di luogo naturale all’opera che interpreta: in questo spazio colloca, distende, distribuisce, col massimo di articolazione e di intensità, episodi e situazioni, al cui approfondimento espressivo può dedicarsi proprio perché è dal
punto di spazio e di tempo in cui vengono a
trovarsi che deriva (con tutta naturalezza, appunto, e senza bisogno di interventi “esterni”)
il loro rapporto di relazione funzionale con la
struttura drammaturgica dell’insieme, una struttura che così risulta pienamente e totalmente
106
identificata con la struttura musicale, senza
nessun bisogno di ulteriori operazioni applicative, per contrasto o per adesione. Non v’è quindi opposizione fra le vicende individuali e
l’ambiente in cui esse si svolgono, un ambiente
che tuttavia non è solo cornice, ma condizione
situazionale. Di qui la straordinaria intensità
delle scene di massa in questa Aida, una intensità che nulla concede alla esteriorità spettacolare e che è invece espressione di gioia o di dolore, di pietà o di furore, di trionfo o di sconfitta, umana incarnazione collettiva del simbolo
che in esse racchiude la funzione rappresentativa propria del teatro. Di qui la ricchezza, la varietà, la delicatezza anche, la levità delle
espressioni individuali, che l’orchestra colora
di un’infinità di sfumature, con una sottigliezza
psicologica che ne sottolinea la relatività, che
tende ad attenuarne l’assolutezza, in un gioco
di personalità (caratteri e sentimenti) che non
contrasta con prepotenza sopraffattrice ma dialettizza con commozione appassionata, nel
sommesso raccoglimento interiore, nella memoria e nella nostalgia degli affetti, nell’onda
della confessione trovando la ferma saldezza di
una definizione piuttosto che nell’incertezza e
nell’insicurezza del grido e dell’aggressione.
La direzione di Muti non è mai altisonante ma
è sempre penetrante, convince per vie interne,
non avvince per esteriori apparenze. A mio parere la lode migliore che si possa fare ai cantanti che hanno collaborato con il trentaduenne
maestro napoletano è quella di non aver mai
ceduto ad una qualunque tentazione di esteriorità. L’Aida del quarantunenne soprano catalano Montserrat Caballé è dolente e nostalgica,
raccolta in antiche memorie e in evocanti immagini: memorie ed immagini sono espressione di una condizione umana di intensa sofferenza, nella quale l’aspirazione alla dolcezza e
all’abbandono è contraddetta da una realtà che
nega speranze ed illusioni; l’Aida della Caballé
non manca di fierezza e nobiltà e non manca
neanche di seduzione, ma è soprattutto luminosa, con uno stupendo colore di melanconia che
non ingrigisce mai nella depressione e nella rinunzia, anche se conosce il rimpianto, ed è cantata con vocalità stupenda per timbro ed omogeneità. Il quarantasettenne baritono triestino
Piero Cappuccilli è un Amonasro di intensa capacità immaginifica, incisivamente drammatico
ma soprattutto affettivamente ricco di espressioni che ne sottolineano l’umana sofferenza di
vinto ed oppresso. Plácido Domingo ha alquanto irrobustito il suo Radamès, nel canto e nell’interpretazione: questo comporta purtroppo
anche il ritorno alla versione tradizionale di
“Celeste Aida”, ma non, per fortuna, una esteriorizzazione del personaggio, che resta introverso, più appassionato e fervido, ma sempre
raccolto e rattenuto, teneramente amoroso, sognante ed assorto, magari gloriosamente assor-
to, ma senza eroici e velleitari furori. Il trentaduenne basso garfagnano Luigi Roni è un Re
nobile e severo, ma non sempre saldo e fermo.
Il trentatreenne tenore tarantino Nicola Martinucci è un Messaggiero lineare e slanciato, assai ben articolato e pieno di fervore. Il quarantaquattrenne basso bulgaro Nikolaj Gjaurov
non limita il suo Ramfis all’imponenza e al mistero: v’è nel suo Sommo Sacerdote una saggezza dolorosa e sofferente, quasi una nostalgia
di impossibili slanci ed abbandoni, una sorta di
sgomento della vita che ne spiega l’implacabile
severità, una inflessibilità che sa quasi di disperazione. Il trentanovenne mezzosoprano vercellese Fiorenza Cossotto è un’Amneris carnale e
sanguigna, crudelmente lacerata dal conflitto
fra la passione e l’orgoglio, via via crescente a
grandezza di personaggio compiutamente penetrato man mano che la donna vi sostituisce interamente la principessa, sempre più piegando
sotto il peso del dolore fino al conclusivo compianto della propria solitudine nel quale l’opera
si chiude in un colore d’ombra. la registrazione
è di straordinaria pienezza e fedeltà, ampia,
spaziosa, penetrante in profondità, ricca di prospettive, varia di colori e di sfumature, perfettamente ambientata ed equilibrata, armonicamente proporzionata. La stessa “EMI” ne ha curato
una rilettura digitale in due dischi compact.
Collazione delle riprese dal vivo di due
rappresentazioni di Aida alla “Scala” di Milano, il 28 gennaio (per gli atti secondo, terzo e
quarto) e il 1° febbraio (per l’atto primo) 1976
è l’edizione pubblicata dalla “Myto Records”
in rilettura digitale in due dischi compact nel
1998. Il direttore è il quarantacinquenne maestro del Michigan Thomas Schippers, che abbiamo già incontrato al “Metropolitan” nel
1967 e che incontreremo di nuovo fra circa sei
mesi alle “Chorégies” d’Orange. Qui voglio
soltanto sottolineare alcune notazioni. Anzitutto l’impostazione d’insieme, dichiarata fin dal
preludio iniziale, esitante, dubbioso, incerto: è
una storia di un amore senza speranza. Poi la
partecipazione a questa impostazione nel secondo quadro del primo atto, con una Danza
delle sacerdotesse che si trascina abbattuta e
disfatta. Poi un Ballabile rapido e fitto, fatto di
staffilate e di guizzi, quasi senza gesti compiuti
(“incompiuto” dunque, come l’amore di Aida e
di Radamès: è una mia amplificazione non giustificata del pensiero di Schippers? può darsi,
non lo escludo affatto; ma il solo fatto che mi
sia venuta in mente?). Poi l’inizio “marezzante” dell’atto terzo (qui l’amore di Aida e Radamès non c’entra, ma è una bella intuizione
che può stare accanto alle interpretazioni impressionistiche e a quelle naturalistiche). Poi
l’oscurità pesante e spessa che introduce il quadro finale, un’atmosfera che si va facendo sempre più oppressiva man mano che si procede,
finché non la squarcia di lama di luce di “O ter-
107
ra addio”, canto di una melanconia sublimata
fino all’esaltazione della morte. E qui l’Aida
della trentaduenne Montserrat Caballé è all’altezza della fama della cantante? Non più astretta dal controllo fermissimo di Muti in studio,
sul palcoscenico della “Scala”, malgrado e nonostante Schippers, la Caballé si prende le sue
vacanze e i suoi riposi, indifferente, distratta, a
volte persino disordinata, spicciativa, approssimativa, impegnandosi solo di quando in quando, cioè allorché sa di poter scatenare l’entusiasmo del pubblico concentrandolo soltanto, o
quasi, su sé stessa: ad esempio nel terzo atto,
con un “O patria mia” che esprime uno
sconforto disperato che sorge tutto dall’interno,
esposto con preziosa delicatezza e chiuso con
una finissima sfumatura, ai limiti del miracoloso; oppure nel fascino fin troppo esibito, ma
comunque ammaliante, di “Là... tra foreste vergini” (ma qui Bergonzi vuole la sua parte); e
infine appunto nella prima esposizione di “O
terra, addio”, questa volta raccogliendo anche
le suggestioni di Schippers.
Dalla olandese “Gala” è stata pubblicata,
sempre in rilettura digitale in due dischi compact, la registrazione della rappresentazione
del “Metropolitan” del 6 marzo 1976, che segna l’ingresso nella discografia di Aida di James Levine, l’allora trentaduenne maestro di
Cincinnati, che è tuttora (2004) alla testa del
teatro di New York. L’andamento è mosso,
camminato, spiccio, non troppo caratterizzante
e non troppo colorito. Purtroppo vengono così
a mancare anche brio ed entusiasmo. La compagnia di canto è più che collaudata: Cornell
MacNeil è al suo nono Amonasro in disco,
Leontyne Price e Plácido Domingo ai loro ottavi Aida e Radamès, Bonaldo Giaiotti al suo
quarto Ramfis. (Tra parentesi, a quarantanove
anni, Leontyne Price si “permette” nel terzo atto una Aida stregonesca e furente come non
mai). L’esordio fonografico è dunque quello
della Amneris di Marilyn Horne. Il quarantasettenne mezzosoprano pennsylvano è alle prese con un personaggio che non fa appello alle
sue magiche doti di contralto d’agilità ed ha
quindi qualche problema: un’emissione troppo
aperta per rafforzare la potenza di voce, con
quel che ne consegue, sia nel duetto del primo
quadro del secondo atto sia nel primo quadro
del quarto atto (che praticamente pesa tutto – o
quasi – sulle sue spalle), per cui arriva all’invettiva contro i sacerdoti spossata.
La colonna sonora del film girato durante
lo spettacolo del 27 luglio 1976 alle “Chorégies” di Orange è stata riversata in tre dischi
microsolco lunga durata 33 giri pubblicati da
una casa francese, la “Lèvon Records”, legata
a una nota organizzazione di cinema operistico. Si tratta dunque di una registrazione dal vivo effettuata nelle migliori condizioni possibili
– perché predisposta – ai fini della captazione
di una spettacolo pubblico nella sua interezza e
nella sua continuità. È da tener presente che si
tratta di uno spettacolo all’aperto: per fortuna
quella sera il vento non soffiava forte, e quindi
assai di rado si portava via il suono; comunque
qualche effetto di dissolvenza non manca, così
come a volte si ha l’impressione come di una
dispersione nello spazio. Effetti ed impressioni
sono gli stessi di quelli che ebbero gli spettatori di quella serata. La registrazione è di ottima
qualità, ben ambientata e proporzionata, di
buona presenza e di buon rilievo, solo con
qualche effetto di riverberazione nelle zone
estreme del forte. Le condizioni tecniche per
una fedele riproduzione dell’Aida del 27 luglio
1976 ad Orange dunque ci sono. Dobbiamo
quindi essere grati agli editori di aver conservato nelle migliori condizioni possibili questa
testimonianza dell’Aida di Thomas Schippers.
È probabilmente l’ultima registrazione del
maestro del Michigan, scomparso prematuramente a soli quarantasette anni sul finire del
1977. L’Aida di Schippers non è prepotente ed
esuberante, spettacolare e fantasmagorica.
Schippers punta su una sorta di intimismo crepuscolare. Ma il colore è uniforme. Anzi potenziati sono i contrasti, sottolineati i nodi
drammatici. Gli scontri fra i protagonisti sono
sanguinosi ma non producono vistosi effetti
esteriori, incidono invece nel profondo della
personalità, sono motivo di ancor più acute e
dolorose ferite nell’intimo dell’essere e del
sentire di ciascuno. I personaggi si scoprono
sempre più nella loro verità umana e piegano
più sotto il peso di questa implacabile (ma non
impietosa, ed invece ricchissima proprio di
pietà) rivelazione della loro debolezza che sotto quello del destino. Schippers avvolge questo
appassionato e struggente itinerario di una sorta di tenerezza: vi è una commozione che è
compassione nel senso di partecipazione collettiva, di corale compianto. Le grandi scene di
massa sono possenti e grandiose ma non sono
rutilanti né scintillanti. I colori sono caldi, ombrati, intensi ma non brillanti. V’è sempre un
tono di nostalgia, un anelito di liberazione.
L’orpello esteriore può entusiasmare e affascinare, ma non inganna. Anche nei momenti più
esaltanti resta la consapevolezza della realtà
dolorosa della condizione umana. La pienezza
è raggiunta attraverso la sofferenza. L’opera è
il racconto di una conquista di una concreta individualità, di una personalità umana cosciente
e capace di accettazione. Ma l’accettazione
non è né rassegnazione né rinunzia. La tenerezza e la commozione di Schippers non sono
mai estenuate o piagnucolose, la loro intensità
non è fatta di grida. I personaggi sono uomini
e donne (soprattutto donne) che sentono con
forza, lottano e non si arrendono. Quel che è
individualizzato nei quattro protagonisti, caratteri possentemente rilevati e acutamente incisi,
108
si fa sentimento generale nei cori, nelle danze,
nelle pagine orchestrali. I conflitti psicologici
e sentimentali emergono, si ergono ad assorbire su di sé il fuoco dell’interesse, eppure si
compongono nella continuità del discorso musicale. Non vi sono rotture né cesure nella direzione di Schippers, pur così ricca di contrasti. V’è uno slancio che tutta la percorre, nella
coerenza di un itinerario di svolgimenti che è
progressivo e crescente. V’è una partenza e un
arrivo, nell’Aida di Schippers: ma il processo
che lega l’una all’altro non è sommario, non è
unilaterale, è invece comprensivo, attento ad
assumere nell’alveo del fiume principale tutti i
rivoli che vi affluiscono, da ogni parte, ben
conscio del loro insostituibile apporto fecondatore. Protagonistica è la presenza dell’Amneris
di Grace Bumbry, ma senza uscire dal quadro
disegnato da Schippers. Il mezzosoprano di St.
Louis ha ulteriormente approfondito il personaggio, campeggiato con una grandiosità possente, fondata però non tanto sull’autorità e
sull’alterigia quanto sulla crudezza delle passioni e la drammaticità del loro impatto, anche
questo più interno che esterno. La Bumbry
mostra di aver pienamente compreso lo spirito
della direzione di Schippers quando la veemenza dello scontro (con Aida, con Radamès,
con i sacerdoti) ritorce soprattutto all’interno
di sé stessa, con furore dilacerante, ma illuminante, rivelatore, liberatorio. È una grande interpretazione, la cui misura e la cui pienezza
fanno totalmente dimenticare qualche scopertura e smagliatura del magnifico, possente organo vocale. E non vi sono soltanto folgorazioni nella Amneris di Grace Bumbry, ma anche raccoglimenti e tenerezze, in pieghe
riposte e segrete dell’animo che ogni tanto affiorano allo scoperto. Più frequente è la tendenza al ripiegamento e all’abbandono nell’Aida del trentaseenne soprano messicano
Gilda Cruz Romo, un organo vocale splendido,
con una curiosa zona di opacità verso il centro,
che probabilmente l’esperienza insegnerà a
rendere più omogenea con gli altri registri, sì
che la già assicurata continuità di emissione
trovi un riscontro anche in quella del timbro.
Anche l’Aida di Gilda Cruz Romo è un personaggio possente, gloriosamente cantato e passionalmente interpretato: vi sono balenii improvvisi, taglienti, scatti furenti, che subito
rientrano, come sotterranea lava incandescente
che qua e là crepe e fessure del terreno facciano rapidamente affiorare in superficie. Ma la
chiave del personaggio è la nostalgia. Nostalgia come condizione umana: anelito all’amore
inteso come gioia, incanto, abbandono, e vissuto come sofferenza e conflitto, memoria che
si fa immagine in una commistione di passato
e futuro che si fondono nella loro impossibilità
di fronte alla disarmante realtà del presente. È
una nostalgia che la Cruz Romo canta con dol-
cezza, con tenerezza, con intensità commossa
soprattutto. Ma che non la disanima mai: più
che fiera e ardita, l’Aida del soprano messicano è ferma, quasi severa, nella consapevolezza
del momento, la cui realtà non le sfugge mai,
pur nell’estasi del sogno. Un Amonasro di
straordinario rilievo è il quarantacinquenne baritono svedese Ingvar Wixell: mai altisonante,
mai violento, Wixell canta con assoluta proprietà stilistica e con bellissima vocalità raccolta e piena, di bel timbro e ricca di sfumature; il personaggio è disegnato con incisività di
tratti e con drammaticità di accenti, ma è tutto
contenuto nella modellatura di un fraseggio
dall’involo slanciato e dal disegno flessibilmente articolato, di una continuità che non conosce rotture, eppure sempre carico di una
espressività intensa, ricca, mossa; nell’Amonasro di Wixell il commosso incanto delle immagini e dei ricordi si fa colore di speranza e al
tempo stesso decisione di volontà; forse non è
mai stato dato ascoltare in disco un Amonasro
così complesso e così vero nella sua umanità
molteplice come questo del baritono svedese.
Il Radamès del quarantaseenne tenore bulgaro
Pëtr Gugalov ha suscitato molte discussioni.
Le osservazioni meno benevole si sono appuntate sulle monocromie della voce e sulle monotonie dell’interpretazione. Vocalmente mi limiterò a notare come la stupefacente robustezza non induca mai Gugalov a un atletismo di
maniera, a una muscolosità fine a sé stessa;
Gugalov sa smorzare e sa chiudere la voce, sa
raccoglierla in modo che timbro ed emissione
non si scoprano od aprano sotto tensione. L’articolazione molto spiccata può far ricordare
Martinelli. A me ricorda il tenore di Montagnana anche l’impostazione dell’interpretazione, che in Gugalov si fa immobilità, quasi fissità, astrazione da ogni emozione. Il quarantottenne basso padovano Agostino Ferrin è un
Ramfis piuttosto esangue, canuto, vecchio più
che incarnazione di un potere antico e incomprensibile. Luigi Roni ha approfondito umanamente ed emotivamente la partecipazione
espressiva al personaggio del Re, ma la voce
soffre sempre di una certa instabilità. Un simpatico e fervido Messaggiero è il cinquantenne tenore parigino Gérard Friedmann. I rumori di scena sono ridotti al minimo indispensabile perché l’ascoltatore si renda conto che si
tratta della registrazione dal vivo di uno spettacolo. Entusiasta ma eccezionalmente educato il pubblico.
La riproduzione della registrazione della
rappresentazione di Aida al “Metropolitan” di
New York, il 22 ottobre 1976, pubblicata in rilettura digitale in due dischi compact dalla
“Lyric Distribution”, segna l’ingresso nella discografia di Aida di ben sette esordienti. Praticamente soltanto i due tenori, il Radamès di un
Carlo Bergonzi cinquantaduenne (alla decima
109
presenza in disco) e il Messaggiero di un Paul
Franke cinquantacinquenne (alla quarta presenza) non sono debuttanti. È ovvio che l’interesse si incentri soprattutto sulla coppia Rita
Hunter – Elena Obrazcova. Il quarantatreenne
soprano inglese (del Cheshire), acclamata interprete wagneriana, ha temperamento drammatico, ma si trova vocalmente spaesata in un
personaggio verdiano e la sua Aida oscilla tra
asperità ai limiti del grido e opache granulosità
che la arrochiscono. Il trentottenne contralto
russo (di Leningrado) ha la potenza vocale per
una Amneris protagonistica, ma si spinge un
po’ troppo in là con una valentia esageratamente esibita. Il cinquantaduenne baritono tunisino Matteo Manuguerra è un Amonasro
piuttosto sciatto nella definizione dei contorni
della linea di canto e convenzionalmente violento. Il ventinovenne basso di Baltimora James Morris disegna un Ramfis che concilia
umana commozione e ammonitoria severità.
Un po’ costipato e costretto suona il Re d’Egitto del trentaquattrenne basso di Washington
Philip Booth. Una delusione è il trentaseenne
mezzosoprano del Wisconsin Jean Kraft, dalla
quale mi attendevo una Sacerdotessa meno indifferente e sbrigativa. Una delusione, sulla
base della fama che l’accompagna, è anche il
quarantacinquenne maestro polacco Kazimierz
Kord, discorsivamente piatto, rigidamente
meccanico, ora stancamente ripetitivo ora frettolosamente precipitato, senza che la sua direzione risponda a un preordinato disegno interpretativo.
Dopo ventuno anni Herbert Von Karajan
torna a Vienna, al “Musikvereinsaal”, per registrare per la seconda volta Aida in studio (dal 7
al 17 maggio, per un’altra casa fonografica, la
“EMI”. È una registrazione effettuata dichiaratamente come preparazione alla ormai celebre
rappresentazione salisburghese del 26 luglio
1979), anche se non tutti gli interpreti corrispondono. Von Karajan ha ulteriormente allargato i tempi della sua conduzione: le due ore e
mezza sono ormai abbondantemente superate,
la distanza da Toscanini è salita da un quarto
d’ora a ventidue minuti. Ma il maestro di Salisburgo mantiene intatta la sua capacità di
espansione e di pienezza. Si ha, caso mai,
l’impressione di una mutazione d’ottica. Karajan si è fatto ancora più intimo, più segreto,
più carezzevole, più delicato più mormorante.
Disegni melodici ed immagini espressive si
formano con discrezione, come esitando nel timore di disturbare l’atmosfera: il che non toglie che siano delineate con estrema precisione. Si ha però una sensazione come di immobilità: un mondo di persone e di cose viste al
rallentatore, congelato nella vanità di un’impotenza esistenziale. I movimenti sono quasi impercettibili: sembra di assistere a una di quelle
danze orientali nelle quali tutta l’espressione si
concentra nel viso e nelle mani, mentre il resto
del corpo rimane fermo: ed è una impressione
confermata dalla utilizzazione delle danze, dalla lentezza appositamente “vocalizzante” dell’affascinante estenuazione della Danza delle
sacerdotesse nel primo atto alla delicatezza di
leggerissimo arabesco della Danza dei moretti
e allo scintillio argentino, festosamente borbottante e gaiamente rumoroso, del Ballabile nel
secondo atto. Ma Karajan estende questa concentrazione della significazione espressiva nei
tratti “minimali” della partitura verdiana (cioè
nella sua sottile capacità di sfumature quasi
impercettibili, come a contraddire la grandiosità dell’impianto spettacolare, con una scrittura a volte così strutturalmente particellare da
costituire una vera “lezione” anticipatrice dei
procedimenti operativi di un Puccini e da render degno del massimo rispetto l’acume di
quei critici contemporanei che la riferirono a
Gounod, facendo così, e giustamente, infuriare
l’autore) ben al di là delle pagine esplicitamente destinate alla danza: nella balzante giocosità
e nella mollezza languidamente avvolgente del
coro delle schiave all’inizio del secondo atto
(riflesso “esterno” dell’animo di Amneris, che
gli consente di “fissare” il canto di questa in
una dolcissima estasi sognante), nella pesante
gravezza del coro all’ingresso dei prigionieri
etiopi (che affonda in terrose oscurità, in
schiaccianti oppressioni, alla Musorgskij), nella suggestione mormorante dei tre cori sacerdotali del primo, del terzo e del quarto atto (ai
limiti dell’udibilità, con straordinarie capacità
suggestive di spazianti vastità fatte di aria e di
luce, creativamente efficaci non solo ai fini
dell’ambientazione atmosferica, anche climatica in senso stretto, ma della definizione di un
“luogo”, assolutamente fantastico geograficamente e storicamente, eppur perfettamente
“datato” per quel che concerne la sua “qualità”
di rappresentazione teatrale, un luogo che eccede i limiti convenzionali del palcoscenico
soltanto perché ne postula uno più grande e più
vasto per poterlo meglio delimitare, perché nei
suoi “confini” tutto sia ricompreso senza possibilità di proiezione o di evasione). E ancora
il modo in cui, nella grande scena assolo al
centro del primo atto, avvolge il canto della
Freni nel delicato abbraccio di una carezzante
consolazione orchestrale. Oppure, in quella del
terzo atto, sottende e intramezza al canto la desolazione incomparabile di uno strumento
smarrito e deserto, come abbandonato dai proprii compagni, o la finezza di un mormorio orchestrale che si impasta con la voce per renderla ancora più esitante e timorosa e incerta.
Oppure l’andamento di ballata con cui avvia
“Rivedrai le foreste imbalsamate”, perché non
vi sia dubbio che si tratta di un’illusione, di
una memoria del passato, non di un’immagine
del futuro. Oppure l’“invenzione” (nel senso
110
etimologico di “trovamento” o “scoperta”) di
una leggerezza danzante d’arabesco nella macbethiana oscurità dell’introduzione al quarto
atto o di una fatua movenza di canzonetta
(un’eco da Rigoletto) nel compianto di Radamès alla bellezza di Aida nella scena finale,
l’una e l’altra tragico simbolo di vanità che
acuisce la drammaticità del momento, quasi
senza parere. L’interpretazione di Karajan in
questa sua seconda Aida in studio viene fuori
soltanto alla distanza: e la sua chiave è nella
proiezione in una lontananza inattingibile della
realtà. Con Verdi Karajan sembra confessare
l’impotenza della volontà dell’uomo di fronte
al destino (o, forse e meglio, bisognerebbe dire
della volontà del singolo di fronte a quella della collettività), ma va anche oltre Verdi nel
senso che rinunzia a combattere, a dibattersi, e
si rassegna a contemplare, senza tuttavia estraniarsi dalle sofferenze dei personaggi, delle
quali anzi si fa carico con una pietà tanto più
acuta quanto più è consapevole della loro inutilità. È una rappresentazione in cui nulla sfugge, tutto è messo a nudo. Senza grida e senza
pompe. Quasi con pudore. Ma anche senza veli. Ciò attenua la lucentezza dello spettacolo. Il
secondo quadro del secondo atto non manca
certo di splendore ma non ha vivacità né gioia:
e caso mai una certa pesantezza cerimoniale,
quasi l’adempimento di un obbligo fastoso
piuttosto che la spontanea partecipazione di un
entusiasmo popolare. Non vi sono momenti
“liberatorii” nell’Aida “salisburghese” del settantunenne Karajan. Anche le scene di massa
sono funzioni del dramma individuale dei personaggi: e con quale registica abilità Karajan
dosa volumi ed intensità, colori e tonalità, addensamenti e rarefazioni, entrate ed uscite. La
costruzione drammaturgica è perfetta. Ma inesorabilmente prefissata, in ogni suo dettaglio.
A Karajan non interessa la narrazione di una
vicenda che si costruisce col succedersi degli
eventi, bensì la penetrazione di situazioni precostituite che consentano il massimo di esplicazione ai sentimenti dei personaggi. L’abilità
d’interprete del maestro di Salisburgo sta nel
fatto che insieme al punto di vista di ciascuno,
noi percepiamo anche quello degli altri personaggi, non solo, ma siamo in grado di cogliere
il quadro d’insieme, la vanità appunto dell’illusione di ciascuno, nella molteplicità delle
singole apparenze e nella loro divaricazione
dall’unica realtà. È noto che Karajan sceglieva
personalmente gli artisti di canto per le sue registrazioni. E sono scelte sempre funzionali alle sue intenzioni. Nessuna meraviglia pertanto
che gli interpreti vocali di questa Aida siano
perfettamente in linea con l’impostazione del
direttore. Il quarantaquattrenne soprano modenese Mirella Freni è spinta a volte ai limiti delle risorse vocali dalla tessitura di Aida: ma ha
il colore, l’immaginazione, la fantasia che so-
no necessari alla creazione di una figura di
donna consumata dalla sofferenza, vittima
piangente ed implorante, ma sublimata dalla
luminosa intensità dell’amore in un incanto
che via via sempre più la estrania dal mondo,
spegnendola in un soffio che è estatico abbandono alla morte. Il trentaquattrenne contralto
greco Agnes Baltsa è una Amneris a un tempo
tenera e serpentina, seducente ed angosciata,
fatale nella sensualità e nella disperazione, ricca di turbamenti e di fremiti, cantata con ricchezza di sfumature e di articolazioni, grazie a
una voce assai bella, corposa, piena, omogenea, duttile: in lei la donna e la principessa non
contrastano ma si compenetrano, nutrendosi
l’una dell’altra, fino alla totale fusione nella
straordinaria potenza dell’invettiva contro i sacerdoti e nell’appassionata trenodia del finale
addio. Il trentaduenne tenore catalano José
Carreras è un Radamès pieno di impulsi, di
sorprese, di incanti, di immagini, con un brio e
un entusiasmo che si colorano di tenerezza e di
dolcezza nei suoi rapporti con Aida e che stentano a cedere di fronte ad una realtà che lo trova più incredulo che indeciso: nella sua ingenuità è la sua forza ed anche la sua capacità di
stupore e di meraviglia, che lo rende una figura viva e non un manichino. Piero Cappuccilli
raggiunge un limite difficilmente superabile
nella raffigurazione del personaggio di Amonasro (forse ancora più penetrante, sottile e
sfumata persino di quella di Wixell nell’edizione Schippers): la dosatura dei colori, delle
intensità, dei pesi è senza pari; la mobilità e la
flessibilità delle espressioni trovano la base
della omogenea continuità dei trapassi nella
saldezza del canto; l’emissione ha momenti incomparabili di leggerezza e di finezza; è un
Amonasro cauto e diffidente, preoccupato e
segreto, misterioso ed invitante, eppur colloquiale e quasi confidenziale, persuasivamente
insinuante, contenuto e raffrenato nell’ira e
nella vendetta che, invece di esplodere irrefrenabili e disordinate, si compongono in immagini tragiche di stragi e di lutti, di distruzioni e
di rovine, con visionaria potenza. L’apparenza
bieca degli atteggiamenti esteriori non impedisce a Ruggero Raimodi di dotare il suo Ramfis
di una finissima capacità di introspezione psicologica, che sembra affondare nei misteri più
remoti dell’animo umano per farsene arma di
suggestione e di potenza: nella scena del giudizio di Radamès nel quarto atto conferisce alla
triplice accusa una irresistibile graduazione,
dal disprezzo disgustato per il tradimento alla
terribilità minacciosa dell’ammonizione alla
solennità fatale della punizione. Il trentottenne
basso belga José Van Dam dota il re d’Egitto
della capacità di valutare le situazioni con la
freddezza e l’acume dell’uomo politico che sa
coglierne al volo le implicazioni e sa valersi
dei proprii e altrui sentimenti per avviarne lo
111
scioglimento, con compiaciuta solennità. Dalle
partecipazioni “eccezionali” di Katia Ricciarelli e di Thomas Moser si poteva anche attendere qualcosa di più: assai più da apprezzare
comunque la modestia con la quale il trentatreenne soprano rodigino si contiene nei limiti
oggettivi postulati dal personaggio della Sacerdotessa che non l’enfasi con la quale il coetaneo tenore virginiano cerca di conferire al suo
breve intervento un rilievo che vorrebbe forse
essere tragico ancor più che drammatico ma
che travalica completamente i limiti del personaggio del Messaggiero, per così dire “spiazzandolo”. La registrazione è di una pienezza,
di una penetrazione, di un’estensione che non
conoscono rivali: è evidente che Karajan è particolarmente fortunato con i tecnici che presiedono alle sue registrazioni di Aida. Si può dire
che questa della “EMI” è per fedeltà, ambientazione, equilibrio, proporzioni e potenzialità
di espansione perfetta, difficilmente distinguibile dalla realtà di un ascolto “vivo”. La stessa
“EMI” ha riletto digitalmente in tre dischi
compact l’edizione viennese del 1979.
Non ha la perfezione della registrazione in
studio, ma è un documento oltremodo interessante la rilettura digitale in due dischi compact
della registrazione della rappresentazione di
Aida diretta da Herbert Von Karajan al “Grosses Festspielhaus” di Salisburgo il 30 luglio
1980. Il quarantatreenne mezzosoprano croato
RuΩa Baldani deve praticamente al settantaduenne maestro di Salisburgo se riesce a condurre in porto un personaggio che ne trascende
sostanzialmente le possibilità: Amneris chiaramente soverchiata dall’Aida di Mirella Freni
nel duetto del primo quadro del secondo atto,
si riprende un poco nel primo quadro del quarto atto, ma non fino al punto di farsene dominatrice. Un Re d’Egitto seriamente compreso
della gravità della situazione e dei suoi doveri
è il cinquantaduenne basso padovano Agostino
Ferrin. La Sacerdotessa del trentunenne soprano olandese Marjon Lambriks ha il vantaggio
di poter approfittare della flessibilità morbida e
flessuosa che Karajan imprime all’andamento
della parte iniziale del secondo quadro del primo atto. Gli altri interpreti vocali sono gli stessi della registrazione in studio del 1980. Il
trentatreenne tenore catalano José Carreras si
permette libertà che a Vienna Karajan non gli
aveva consentito: e il suo Radamès ne risente
non certo positivamente. Il Ramfis del trentottenne basso bolognese Ruggero Raimondi, nella scena del giudizio nel primo quadro del
quarto atto, aggredisce Radamès con un’ira gelida carica di disprezzo e di scherno. Conferme
vengono dall’Aida di Mirella Freni e dall’Amonasro di Piero Cappuccilli, mentre Thomas
Moser si mostra più emozionato e meno magniloquente nel breve intervento del Messaggiero. Ma forse è ancora più interessante co-
gliere qua e là altre notazioni significative della direzione di Herbert Von Karajan. L’avvio
timido ed esitante di una Danza delle sacerdotesse lenta e scivolante, quasi mimesi di un
passo di balletto di Ùajkovskij. La petulanza
gioiosa ma non esuberante della Danza dei
moretti. Il suono squillante, argentino e lucente
delle trombe, vittoriose e ardite, nella Marcia
trionfale, come a rispondere alle necessità di
una sua presentazione su un palcoscenico. La
vivacità tintinnante ed umorosa del Ballabile
e, per contrasto, la fastosità solenne del successivo inno corale di gloria. L’accoccolarsi
impauriti a difesa dei prigionieri etiopi. La sofficità terribile del coro dei sacerdoti che ripete
con inesorabile immutabilità “Traditor! traditor! traditor!”. E un preludio nel quale un filo
di suono esile e denso, tenue e intenso diviene
empito invasivo e ritorna ed essere filo espressivo, resistente al vano pesare e premere di
quell’invasione. Quasi un paradigma e/o una
parafrasi di quel che verrà.
Dal 12 al 31 gennaio e il 23 e il 24 giugno
1981 Aida è stata registrata in studio a Milano
della “Deutsche Grammophon”, con i complessi della “Scala” e sotto la direzione di
Claudio Abbado. Con questa registrazione la
discografia di Aida compie l’ultimo passo del
suo itinerario attraverso le varie tecniche di riproduzione del suono. È la prima registrazione
digitale (o numerica) dell’opera di Verdi e viene subito pubblicata sia in 3 dischi microsolco
lunga durata 33 giri a lettura per contatto sia in
3 dischi a lettura ottica a mezzo raggio laser
(“compact disc”). La prima impressione che dà
l’ascolto di questa edizione è la mancanza di
un amalgama: si avverte chiaramente che direttore e cantanti sono stati assemblati insieme
esclusivamente sulla base della fama individuale, senza una preventiva esperienza comune dell’opera. Così la direzione di Abbado
sembra essersi fermata ad uno stadio ancora
sperimentale. Il quarantasettenne maestro milanese è inimitabile nella plasticità dei gesti
d’avvio con cui porge l’accento e il colore delle frasi ai singoli cantanti e conferma l’acume
delle preparazioni a distanza delle situazioni
emotive e drammatiche. Abbado ha il senso
delle sospensioni e delle attese: le sue cesure
hanno funzione drammatica se interne ai singoli eventi musicali, strutturale se disposte, in
modo più o meno evidente, a segnare i cambiamenti di scena o di situazione. Il timbro
strumentale è curato da Abbado in modo che
crei di per sé stesso atmosfera. I “balli” hanno
“carattere”, e in modo nient’affatto convenzionale: la Danza delle sacerdotesse è lieve e petulante, la Danza dei moretti è invadente e
quasi prepotente pur nell’aggraziata leggerezza, il Ballabile della Marcia trionfale è sveltamente turbinante, gioiosamente incuriosito e
“ficcanaso”. Nelle grandi scene di massa Ab-
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bado insinua una spaziante sensazione di aria
aperta. I cori sono qualificati ed individuati
nella loro espressiva funzionalità: nel secondo
quadro del primo atto all’intensità perorante
delle sacerdotesse fa da fondamento (piuttosto
che da sfondo) l’arcanità misterica del mormorare dei sacerdoti; nel primo quadro del secondo atto le ancelle hanno una dolcezza soffusa,
languorosamente molle, invitante all’abbandono e all’oblio; nel secondo quadro del secondo
atto la folla è popolanamente festosa e inneggiante, con levità danzante nelle donne, con fastosa trionfalità negli uomini, i prigionieri sono oppressi e afflitti, i sacerdoti sono gravi e
massicci; all’inizio del terzo atto l’intensità religiosamente umana dell’invocazione è temperata dalla lontananza nello spazio, che le conferisce un arcano distacco; nella scena dell’accusa a Radamès, nel quarto atto, i sacerdoti
sono veementemente invadenti, espansivamente prepotenti, con una violenza corrusca, ai limiti della ferocia. Impeccabile è il governo dei
concertati, condotti con delicatezza, mossi per
linee interne, con grande agilità, senza dispersioni e con acconcia corrispondenza agli effetti
drammatici della prosodia e della periodizzazione. Ma si ha l’impressione di una mancanza
di fiamma: l’impulso narrativo non è acceso
dall’ispirazione. Ed anche se è riconoscibile la
prevalenza di un’impronta lirica, l’opera non
riesce a costituirsi del tutto in un insieme interconnesso in una coesione realizzata senza residui e senza dubbi, soprattutto senza lasciare
aperti spiragli di evasione nel particolare che
non trovino la strada del rientro. Per riassumere, la direzione di Claudio Abbado è ariosamente aperta e ricca di carattere, ma dà l’impressione di curare soprattutto l’esito dei singoli quadri, meno preoccupandosi di connetterli
in un unico organismo. Il che può riuscire piuttosto sorprendente per un maestro la cui caratteristica di fondo è il senso della struttura. Ma è
anche la conferma dell’impressione iniziale di
una maturazione in corso, non ancora giunta al
suo termine. Sono sommessamente convinto
che successive letture, soprattutto una serie di
esperienze teatrali dal vivo, condurrebbero Abbado ad una interpretazione di Aida non soltanto più compiuta, ma anche alquanto diversa
da quella consegnata nei dischi “Deutsche
Grammophon”. Piuttosto generico è il Radamès di Plácido Domingo, certamente il meno personale e vivace dei tre registrati in studio (su quattordici complessivamente trasmessi attraverso il disco) dal tenore madrileno,
anche se cantato con esemplare correttezza e
con lineare omogeneità: è un Radamès raccolto in intimità, meditativamente discorsivo, non
molto incline alla distensione dell’abbandono
cantabile, narrativamente espositivo, semplicisticamente informativo, non molto caratterizzante e non molto coinvolto. Katia Ricciarelli
conferisce ad Aida la luminosa melanconia del
suo canto ombrato di perlacei grigiori: la natura della voce non le consentirebbe un’Aida
giocata sull’impatto e sul comando ed intelligentemente il trentacinquenne soprano rodigino ripiega sull’incanto beatifico dell’abbandono ad un amore che si illumina nella speranza
e si consola nel pianto, con un canto che punta
sulla leggerezza e sulla delicatezza, sulla finezza delle smorzature e sull’estasi delle filature, un’Aida esile e fragile, tenera e dolce,
sofferente e gemente, implorante e supplicante, ma anche agitata, ansiosa, affannata, un’Aida che si smarrisce nell’immaginazione, che si
perde nella nostalgia della rammemorazione,
ma che è pur conscia dell’irrecuperabilità del
passato, della vanità di un rimpianto che pur
affonda le radici nelle recondite ascosità dell’essere, quasi un desiderio di infanzia, che ha
la seduzione di una magia e la illusorietà di un
sogno. Dal quarantatreenne mezzosoprano leningradese Elena Obrazcova Amneris è vista
come un personaggio dominato da una passione amorosa, sensualmente carica, addirittura
fosca, che tutta la assorbe e tutta la esaurisce:
la Obrazcova punta sulla donna piuttosto che
sulla principessa. Nel saluto a Radamès l’intenzionalità della provocazione è fin troppo
palese, e pur non manca di suggestione; con
Aida è insinuantemente indagativa, scivolosamente ipocrita nella compassione, invitantemente consolatrice, suasivamente accogliente,
con vellutata perfidia; nel quarto atto la passione non rompe in furore, ma si dispone nella
strofica ripetitività di un canto epico, in cui si
raccoglie con pienezza densa ed ampia una disperazione che si chiude in sé stessa con acerba sofferenza, ma anche con consapevole impotenza. Non esente da vibrato, la voce della
Obrazcova è disposta su due colori (chiara e
quasi squillante in acuto, cupa e quasi roca in
grave), che non sempre riescono a trovare un
punto di fusione o almeno di raccordo; il fondo
ha una velatura di opacità, che è però giocata
assai bene dall’artista per esprimere l’affocata
carnalità del personaggio. Il trentanovenne baritono emiliano Leo Nucci è un Amonasro segreto, furtivo, confidenziale, promettente più
che minaccioso, acutamente sofferente la sconfitta e la prigionia, immaginativamente visivo
nelle descrizioni e nelle narrazioni, capace di
contenere l’orgoglio e la fierezza pur di raggiungere il proprio scopo, ma senza umiliarsi,
senza farsi supplice, ed anzi con una carica di
raccolta e appassionata grandezza, che gli dà la
forza suggestiva della persuasione; il canto è
plastico ed incisivo, ma anche tornito e flesso,
con proprietà di articolazioni e di accentazioni,
in una modellatura di notevole efficacia
espressiva, che in genere evita le sottolineature
insistite o le perorazioni enfatizzanti. Ritorna
dall’edizione Muti il Ramfis del cinquantunen-
113
ne Nikolaj Gjaurov (ultimo dei sei testimoniati
in disco dal basso bulgaro), serio e composto,
grave e preoccupato, compreso del bene dello
stato, investito di una missione di cui sente la
sacralità, saggiamente esperto nell’arte così di
ammonire come di persuadere. Il trentanovenne basso bolognese Ruggero Raimondi è un
Re severo e asciutto, fermo e deciso, che possiede innato il senso del comando ed al quale
non sfugge mai il polso della situazione, che
domina con ispirata autorevolezza e conclusiva prontezza. Il veterano (sessantaquattrenne)
Piero De Palma è un Messaggiero fisicamente
esausto e psicologicamente spaventato, che via
via si rinfranca nella vivacità immaginativa
delle notizie di cui è portatore. Il trentaquattrenne mezzosoprano padovano Lucia Valentini è una Sacerdotessa sensuale nell’appello e
passionale nell’invocazione, cantata con calda
e densa pienezza, vocalmente intangibile nella
omogenea continuità di un disegno lineare perfettamente filato. La registrazione ha tutti i
pregi di distintività e di analiticità della tecnica
digitale, ma la molteplicità delle fonti, dei piani, delle collocazioni e delle direzioni non
dà mai luogo a fenomeni di separatezza ed è
totalmente ricompresa nella funzionalità di
un’ambientazione spaziosamente ampia e prospetticamente profonda e penetrante, dinamicamente suscettibile di proiezioni in senso sia
estensivo sia espansivo.
La riproduzione dal vivo della rappresentazione di Aida al “War Memorial Opera
House” di San Francisco, il 18 novembre
1981, documenta la straordinaria occasione
che una improvvisa e temporanea indisposizione di Margaret Price diede alla quasi omonima Leontyne Price, che la sostituì per una
sera, e a cinquantaquattro anni (e per la nona
volta in disco) pose la sua impronta “definitiva” sul personaggio di Aida. Accanto a lei un
quarantaseenne Luciano Pavarotti: il tenore
modenese è invece al suo primo Radamès in
disco ed offre del personaggio non soltanto
una lettura intensa e appassionata, ma anche
sobriamente contenuta in plasticità di esposizione lineare. L’edizione di San Francisco è
stata pubblicata negli Stati Uniti sia in tre dischi microsolco 33 giri lunga durata sia, riletta digitalmente, in due dischi compact.
Più recente è la pubblicazione, direttamente in rilettura digitale in due dischi compact, da parte della “Lyric Distribution”, della
registrazione della rappresentazione di Aida, il
31 marzo 1982, alla “Deutsche Oper” di Berlino. La caratteristica di fondo della direzione
del trentanovenne maestro argentino Daniel
Barenboim è la posatezza, una calma pacata
che scandisce il secondo quadro del secondo
atto a larghe maglie, lasciando tutto il tempo
per guardare, considerare, apprezzare, dilagando poi in grandiosa ampiezza e in clamante
sontuosità. Così il preludio sembra sorgere
inatteso dal nulla, ché non si sa donde venga,
curioso, ma emerge appena e subito si nasconde, si fa intrigante, vorrebbe dire, ma non dice,
e di nuovo si nasconde. Nel primo quadro del
quarto atto Barenboim mette in essere un vero
e proprio processo di dilatazione sonora che
nell’invettiva contro i sacerdoti scatena un
possente uragano orchestrale (nel quale la voce
della Toczyska riesce, con nostra ammirata
meraviglia, a sopravvivere). Può stare tranquillamente accanto a Leonie Rysanek, e alle altre
maggiori interpreti latine e anglosassoni del
personaggio di Aida, il quarantenne soprano
transilvano Júlia Varády: ha tutto quel che occorre in fatto di voce, pastosa, calda, e impiegata con asciutta sobrietà, con linea e stile che
congiungono l’efficacia del disegno fraseologico alla intensità dell’espressione, che penetra
nelle più intime pieghe di un animo fiero e dolente al tempo stesso con inusitata densità di
pertinenti notazioni (e con straordinarie e
struggenti sfumature, di finissima delicatezza).
Indiscutibilmente, una delle più grandi Aida
del teatro lirico del Novecento, Júlia Varády, e
ci si domanda come mai i palcoscenici italiani
praticamente non l’abbiano neanche conosciuta. Fa sobbalzare, invece, l’ascoltatore il marito della Varády, il cinquantaseenne baritono
berlinese Dietrich Fischer-Dieskau, che rinnega un’intera vita dedicata al riscatto aristocratico di un cantare sempre attento esclusivamente
a coniugare intensità appassionata e signorilità
nel porgere senza caricate accentuazioni della
prima e senza irrigiditi congelamenti della seconda, per dar vita ad un Amonasro che più
trucido non si può, un “vilain” della peggiore
tradizione di palcoscenico, irosamente violento
ed imperversante. Ramfis pensoso e ispirato
nel primo atto, severo e poi rassegnato nel secondo, riflessivo e protettivo nel terzo, inesorabile accusatore che si rivolge al traditore Radamès come a un oggetto immondo, nel quarto, è il trentaseenne basso finlandese Matti
Salminen. Piuttosto impasticcato è il Re del
quarantatreenne basso francone Harald
Stamm. Amneris insinuante con Aida, sensuale con Radamès, passionale nel disperato scontro con i sacerdoti, è il trentanovenne mezzosoprano polacco Stefania Toczyska. Plasticamente evidenziato nel canto, emesso con
robusta pienezza, ma con pastosità di colorazioni, e senza abusi di artificiosa retorica, è il
Radamès deciso e appassionato di Luciano Pavarotti, che conferma l’impressione di una particolare affinità con il personaggio che aveva
dato l’ascolto della registrazione di San Francisco di quattro mesi prima. Il risultato della
rilettura digitale rivela l’ottima qualità sonora
della matrice originale.
La seconda registrazione digitale in studio
di Aida è opera della “Decca”, che la realizza
114
tra il dicembre 1985 e il gennaio 1986, ispirandosi allo spettacolo che, con la regia di Luca
Ronconi, aveva inaugurato la stagione della
“Scala”. Lorin Maazel opta per una direzione
calma e posata, a tempi allargati, in cui tutto
viene esposto con agio e chiarezza; purtroppo,
però, quando si tratta di stringere e serrare per
tirare le conclusioni, lascia che ogni cosa se ne
vada per il suo verso, sfrangendosi stanco e
rassegnato e sperdendosi nel nulla. La direzione di Maazel delude soprattutto nei concertati,
che più di tutti risentono della sua rinunzia ad
impugnare con mano salda il comando. Peccato, perché vi sono momenti assai suggestivi: ad
esempio, il secondo quadro del primo atto, nel
quale il cinquantacinquenne maestro francoamericano riesce a creare un’atmosfera di magica stupefazione, dal languore estenuato, in
cui canto e danza delle sacerdotesse sembrano
dissolversi in un rifiuto del movimento; oppure
l’inizio del secondo atto, con le arpe che procedono sommesse e con pausata lentezza, con
effetto assai più attraente che non abbia l’abitudine di farle andare svelte, strappandone con
forza le corde; o ancora, il Ballabile del secondo quadro del secondo atto, guizzante con
scioltezza; o infine, l’oscuro e tenebroso coro
dei sacerdoti nel primo quadro del quarto atto.
Ma le scene di massa sono clamorosamente inneggianti, fastosamente fragorose, con clangori cinematografici, che non danno loro vitalità
di azione e ne attenuano la funzionalità drammatica. Ha slancio ed entusiasmo il Radamès
del cinquantenne Luciano Pavarotti, che canta
ancora una volta con proprietà (vedi la chiusura in smorzando di “Celeste Aida”) e senza indulgere all’esibizionismo un personaggio che è
evidentemente tra i suoi favoriti. Canta bene
anche il quarantaseenne soprano trevigiano
Maria Chiara, ma la sua Aida è piuttosto povera di personalità. Ne ha di più l’Amneris del
quarantaquattrenne mezzosoprano bulgaro Gena Dimitrova, che sembra trovarsi anche vocalmente assai più a proprio agio in questa tessitura che in quella di soprano. Tende ad enfatizzare più che nel 1981 il quarantatreenne
baritono bolognese Leo Nucci, Amonasro cupo e fangoso. Ha la monotona solennità di un
celebrante, compiaciuto della propria voce, ma
estraneo agli eventi, il Ramfis del trentacinquenne basso georgiano Paata Bur≈uladze. La
ripresa sonora ha molto equilibrio ma risulta
nella riproduzione alquanto vibrante, con qualche effetto di risonanza. Anche la “Decca” ha
pubblicato sin dall’inizio l’edizione digitale
milanese di Aida sia in tre dischi microsolco
lunga durata 33 giri sia in tre dischi compact.
I vincitori del concorso “Battistini” di
Rieti del 1987, dedicato ad Aida, sono presenti
nei tre dischi microsolco lunga durata 33 giri
delle “Edizioni del TIMAClub”, che sono stati
registrati a Roma (probabilmente al Teatro Eli-
seo) il 3 ottobre di quello stesso anno. Dirige il
direttore artistico della manifestazione, il cinquantenne maestro romano Maurizio Rinaldi
(prematuramente scomparso, a soli cinquantotto anni, nel maggio 1995: con la sua scomparsa il concorso “Battistini” ha cessato di esistere). I concorsi di canto che mettono in palio fra
i concorrenti tutti i ruoli di un’opera (e si concludono pertanto con la rappresentazione dell’opera stessa da parte dei vincitori) sono gli
unici che hanno ragione di esistere. (A mio parere, gli altri, quelli basati su singole arie di
opere diverse, scelte magari dallo stesso concorrente, sono mere esibizioni più o meno fieristiche). La conclusione che dovrebbe essere
ovvia (ma non lo è) è la registrazione dello
spettacolo conclusivo, con la conseguente diffusione a largo raggio dei risultati del concorso. È quindi da lodare a priori l’iniziativa della
“TIMAClub”, che ha messo in commercio,
sotto diverse etichette, tutte le rappresentazioni
finali del concorso “Battistini”. Sono dischi
che hanno appunto il compito di testimoniare,
di anno in anno, la qualità delle nuove leve di
canto. Mi sembra lapalissiano aggiungere, di
quell’anno e di quel concorso. Il concorso è un
lancio: lo svolgimento di una carriera è merito
del singolo, ma anche frutto delle circostanze.
Nel caso dell’Aida reatina del 1987 hanno avuto occasione di svolgere un’attività piuttosto
continuata e di buon rilievo il baritono ventitreenne Alberto Mastromarino e il coetaneo
mezzosoprano genovese Gisella Pasino, un po’
meno il tenore Antonio Marcenó, un po’ di più
– da comprimario di vaglia – il ventiseenne tenore milanese Filippo Pina (Castiglioni). Ha
risposto ciò alle aspettative dei concorrenti e
alle previsioni dei giudici? Non lo so (nessuno
lo sa, a parte i diretti interessati). Ma non è
questo il punto. I concorsi non sono esercizi di
profezia. La registrazione romana del 1987 va
presa per quello che è, e soltanto può essere.
L’esecuzione dell’Aida di Verdi da parte di
una compagnia di giovani, integrata, per i ruoli
che non avevano dato luogo a vincitori, da artisti già in carriera. È il caso, ad esempio, del
trentasettenne basso bresciano Danilo Rigosa,
Ramfis circostanziato e puntiglioso (ma non
più di tanto). La genovese Gisella Pasino introduce la sua Amneris con estrema cautela (ed è
prova di saggezza) ma anche con difficoltata
esitazione (ed è naturale timore): è come se facesse fatica a dipanare in disegni compiuti le
figurazioni del canto (e si può attribuirlo all’inesperienza); nel secondo atto comincia a districarsi un poco (ma non è aiutata dai tagli apportati alla partitura, piccoli ma significativi);
nel quarto atto tuttavia rivela di possedere robustezza di fiato e forza di impatto espressivo,
anche se è messa a dura prova dall’invettiva
contro i sacerdoti (ciononostante, esame da
considerarsi senz’altro superato per la venti-
115
treenne esordiente). Emilia Bertoncello ha problemi con una voce che sembra raggiungere
gli acuti più per scommessa che per doti naturali, una voce esile, che le nega gli appienamenti corposi, e che le impedisce praticamente
qualsiasi involo o slancio. Alberto Mastromarino è un Amonasro abbastanza contenuto e riflessivo nel secondo atto, ma perde tutti i freni
inibitorii nel terzo atto, nel quale infuria secondo la peggiore tradizione di palcoscenico. Antonio Marcenó non ha voce da Radamès, ma
cerca di difendersi e fa quel che può (che è poco, ma è dignitoso). Messaggiero coinvolto e
commosso, con qualche ingenuità e una certa
mancanza di coraggio che gli impedisce di dare tutto quel che sarebbe in grado di dare, Filippo Pina. Troppo energica, addirittura invadente, è la Sacerdotessa del ventunenne soprano molisano Maria Pia Jonata. Fa veramente
fatica a cavarsela con il non certo difficile personaggio del Re il basso Davide Ruberti. Troppo disordine è nella conduzione di Maurizio
Rinaldi: gli esordienti avrebbero bisogno di essere “assistiti” e guidati da direttori dotati di
grandi doti e di ancora più grande esperienza,
il che non accade mai, perché le “grandi firme” rifiutano di impiegare il loro prezioso
tempo con ore e giorni e magari settimane di
prove, quante sono inevitabilmente ed inesorabilmente necessarie per fare di un insieme di
giovani inesperti (ma volenterosi), provenienti
da luoghi e formazioni diverse, una compagnia
di canto.
Alla “Lyric Distribution” si deve anche la
pubblicazione in rilettura digitale in due dischi
compact della registrazione della rappresentazione di Aida al Teatro “Regio” di Parma il 18
gennaio 1988. Delle tre testimonianze in disco
che il soprano trevigiano Maria Chiara ha lasciato del personaggio di Aida, questa di Parma mi sembra la più riuscita. La Chiara trova
il giusto equilibrio tra il drammatico e il lirico,
forse anche grazie alle ottime condizioni di voce: omogeneità di involo negli attacchi, delicatezza congiunta ad intensità nelle curvature
dell’andamento melodico, libera espansione
negli addensamenti, morbidezza di affondo nel
grave, con qualche limite di resistenza che la
appanna un poco nelle pagine conclusive del
duetto del terzo atto. L’interpretazione non
esclude i connotati della fierezza e dell’orgoglio della principessa etiope: nel terzo atto non
risparmia a Radamès né aggressività né rampogne, anche venate di una certa perfidia; nel
secondo quadro del quarto atto è per converso
una innamorata affettuosamente carezzevole; e
nel primo atto arricchisce il monologo che
chiude il primo quadro di sentimenti contrastanti, terrore, affanno, rimpianto, speranza,
mettendoli a servizio di un riuscito ritratto di
donna condannata dalla sorte alla sofferenza
del non poter essere sé stessa. Radamès vocal-
mente contenuto, con una ottima esposizione
del fraseggio, ma così preoccupato di mantenersi sempre aderente alla linea, senza andare
mai oltre le righe, da privare il personaggio di
un qualsiasi slancio di passione, senza peraltro
cadere per questo nella genericità del patetico
o nella gelidità dell’indifferenza, e riuscendo
comunque accetto all’ascoltatore, anche per la
chiarezza della dizione, è il quarantaseenne tenore tarantino Nicola Martinucci. Il quarantaquattrenne baritono roveretano Bruno Pola è
un Amonasro amaro, cupo, ma non sconfitto,
ed anzi orgoglioso, nel terzo atto cospiratore in
cerca della complicità della figlia con tutti i
mezzi, dalle seducenti promesse di un futuro
felice al ricatto morale della madre morta, ma
non con la violenza e il furore. A sessantaquattro anni, il basso milanese Cesare Siepi è ancora in grado di offrire un Ramfis di grande umanità, già all’inizio dell’opera attirato dalle potenzialità del giovane Radamès, in cui vede un
proprio protetto, che affianca con affetto nella
consacrazione nel tempio di Fthà nel secondo
quadro dello stesso atto; nel secondo quadro
del secondo atto il tentativo di scongiurare la
iattura della liberazione dei prigionieri etiopi è
sinceramente accorato e la rassegnazione con
cui si accontenta di Aida e di suo padre è gravida di preoccupazioni e di foschi presagi; nel
terzo atto assiste con sollecita premura Amneris quale sposa di Radamès e si dimostra sacerdote ispirato e compreso del mistero della divinità; nel primo quadro del quarto atto, nella
scena del giudizio di Radamès, non aggredisce
l’accusato, e tanto meno lo disprezza o lo vitupera, si ha piuttosto l’impressione che lo voglia paternamente mettere sull’avviso, che lo
esorti a discolparsi, che sia desolato da un silenzio che lo costringe a condannarlo. Cinquantenne, Elena Obrazcova regge bene vocalmente il personaggio di Amneris, ma non lo
arricchisce di notazioni personali di particolare
rilievo: ha dell’indagatrice la falsità seduttiva
ma non l’inesorabilità trionfalisticamente risolutrice; una eccessiva predilezione per le tonalità cupe e buie la mette in affanno nel primo
quadro del quarto atto, dove – malgrado la precisione della scansione – finisce per essere
sommersa dall’orchestra. Merita di essere segnalato il Messaggiero impegnato ed efficace
del cinquantatreenne tenore veronese Gianfranco Manganotti. La direzione del trentasettenne maestro abruzzese Donato Renzetti non
è sempre impegnata quanto sarebbe desiderabile: non di rado è come distratto; altrove sembra stanco e bisognoso di riposo; in qualche
caso ha buoni momenti di caratterizzazione (ad
esempio, la grazia e l’umore che alleggeriscono il coro delle ancelle di Amneris all’inizio
del secondo atto, o l’opposizione fra la fresca
gentilezza del coro femminile “S’intrecci il loto al lauro” e la pesantezza faticosa del coro
116
maschile “Della vittoria agli arbitri” nella parte
che precede la Marcia trionfale nel secondo
quadro dello stesso atto, o ancora la fatidica
solennità del coro dei sacerdoti all’inizio del
terzo atto, messo bene in evidenza, e non lasciato sullo sfondo, quasi ai limiti dell’udibilità); per lo più si accontenta di assicurare un
buon sostegno ai cantanti, ma non garantisce
fino in fondo l’ordinato svolgimento (e tanto
meno lo sviluppo in espansione) dei concertati
e delle grandi scene di massa. La registrazione
è disturbata da fastidiosi rumori di fondo e
d’ambiente ed è soggetta a microscopici mancamenti di continuità.
La terza registrazione digitale in studio di
Aida ha avuto luogo al “Manhattan Center” di
New York tra il 18 e il 26 maggio 1990, con i
complessi del “Metropolitan” diretti da James
Levine. Il quarantasenne maestro di Cincinnati
non ha problemi nel mantenere il controllo
dell’insieme: certamente non corre il pericolo
di disperdersi e di estinguersi. Nei concertati
preferisce effetti di gonfiamento e di sgonfiamento ad effetti di espansione e di contrazione
o di estensione e di riduzione. Ha momenti di
grazia floreale, quasi “liberty” (nella danza
delle sacerdotesse del secondo quadro del primo atto, ad esempio), ma nel complesso la sua
direzione risulta pesante (ma non greve, né
tanto meno goffa, caso mai banalmente prevedibile e convenzionalmente generica). Privilegia l’apparenza sulla sostanza, ma non per
questo indulge al clangore trionfale della spettacolarità clamorosa. Il trentaduenne soprano
di New York Aprile Millo è un’Aida teatralmente drammatizzata, aggressiva e affannata:
le sfugge l’incanto amoroso, venato di infantili
rimembranze, del personaggio e ne coglie invece l’aspetto eroico della principessa che
morde il freno e cerca con ogni mezzo di liberarsi da una condizione che le riesce insopportabile (nel terzo atto sembra che voglia “annettersi” Radamès, anzi che incantarlo e sedurlo);
ha forza ed energia, ma non tenerezza. Plácido
Domingo è un Radamès esaltato e lucente, che
sa cantare leggero e piano, ma anche duro e tagliente. Non mette molto calore, né tantomeno
sensualità, nelle espressioni amorose il trentottenne mezzosoprano dell’Ohio Dolora Zajick,
Amneris aspra e ferrigna, e generalmente piuttosto indifferente, anche se nel primo quadro
del quarto atto è carica di angoscia e disperazione. Amonasro ruvido, e fiero, ma non violento né aggressivo, caso mai impetuoso ed
imperativo, con qualche notazione di furtività,
ed epicamente commosso, è il quarantatreenne
baritono di Baltimora James Morris. Numinosamente impregnato della missione di interprete della volontà divina è il cinquantenne basso
del Kansas Samuel Ramey, Ramfis che non ha
bisogno di minacciare perché sa di enunciare i
dettati di un fato che nulla può cambiare. Il
trentaquattrenne basso del Texas Terry Cook è
un Re austero e severo, coscienziosamente
preoccupato per le sorti del suo popolo. Merita
di esser menzionata la Sacerdotessa del trentunenne soprano coreano Hei-Kyung Hong. La
ripresa sonora è ricca di sfumature spesso assai
delicate ed è collocata in un ambiente ariosamente spazioso, esteso in ampiezza e in profondità, proporzionato nelle dimensioni e penetrante nella direzionalità. La “Sony Classical”
ha pubblicato l’Aida del 1990 contemporaneamente in tre dischi microsolco lunga durata digitali 33 giri e in tre dischi compact.
Dalla “Serenissima” è stata pubblicata,
nel 1994, direttamente in rilettura digitale in
due dischi compact, la riproduzione della registrazione di Aida al “Metropolitan” di New
York, il 5 febbraio 1994. Particolarmente interessante è, a mio parere, la direzione del trentaduenne maestro di New York John Fiore, ottimamente impostata nella drammatizzazione,
con preparazioni piene di attesa, ampie espansioni, notazioni umorose e stuzzicose (Danza
dei moretti), folgorazioni strepitose e invasioni
gloriose, squillanti e fragorose (Marcia trionfale), irruzioni guizzanti, che si disseminano
per ogni dove, spiritelli sfuggenti ed ammiccanti (Ballabile), corali maestosità, teatralmente di grande impatto, una direzione che può
dirsi spettacolare, ma con sincerità di partecipazione e convinzione di scelta, soprattutto
senza eccessi e senza volgarità; è una conduzione che sa quel che vuole, che la sontuosità
clamorosa assume a contrappeso di un equilibrato dipanarsi del tessuto orchestrale in una
narrazione che mette al centro del proprio
svolgersi i concertati, assai ben dosati nell’alternarsi delle entrate e delle uscite delle diverse componenti, e i quattro grandi duetti del terzo e del quarto atto, sorvegliati da vicino perché non degenerino in scontri, ma esplichino
fino in fondo le loro funzioni di strutture portanti dell’architettura formale ed espressiva
dell’intera opera, mentre una certa libertà è lasciata negli assoli ai singoli protagonisti. Aida
è il quarantaduenne soprano Sharon Sweet: nata anch’ella a New York, è nel primo atto tesa
ed aggressiva, affannosa e fosca, con un canto
intenso e scenicamente drammatizzato; nel secondo atto è come se la trappola tesale da Amneris la liberasse dal peso di una finzione troppo a lungo sostenuta, e l’abbandono lirico all’invocazione della pietà è pieno di calore e
senza riserve; nel terzo atto l’assolo è liricamente meditativo ma privo di nostalgie e di illusioni, e piuttosto descrittivamente assertivo,
con acuti metallici quasi taglienti; nel primo
duetto si pone dinnanzi ad Amonasro con forza (e potenza di canto) non per contrastarlo ma
per renderlo cosciente del proprio sacrificio;
nel secondo duetto scarica su Radamès tutta la
propria amarezza e la propria desolazione, con
117
un canto energicamente pausato e cadenzato,
quasi minaccioso piuttosto che evocativo; nel
quarto atto una sorta di stanchezza (forse anche
fisica) le nega l’estasi mistica e l’incantazione
magica, e si ammanta di una fatalità che non lascia adito a nessuna speranza. Radamès è il
quarantaduenne tenore dell’Indiana Michael
Sylvester, voce robusta e costolata, emissione
che a volte si apre con effetti di sversatura, canto di forza ma nutrito di passionale urgenza, dizione con qualche difficoltà nelle consonanti.
Amneris è, per la terza volta in disco, il quarantunenne mezzosoprano del Nevada Dolora
Zajick, che conferma, e forse accentua, un’interpretazione sopra le righe, canto molto spinto,
con cruda asprezza; nel quarto atto è ansiosamente agitata da una disperazione che vanamente supplica e minaccia, fino a giungere
sfiancata all’invettiva contro i sacerdoti, che
padroneggia con una certa difficoltà. Il cinquantatreenne basso pennsylvano Paul Plishka
è un Ramfis che non si nega all’enfasi, e tuttavia nel quarto atto, ben sostenuto da Fiore, è un
giudice minaccioso che non concede appello.
Di Pechino è il basso Hao-Jiang Tian, Re d’Egitto un po’ grossolanamente enfatizzante, senza per questo risultare autorevole. Amonasro è
il quarantasettenne baritono baleario Juan Pons,
piuttosto sopra le righe anche lui, (un po’ meno
della sua “rivale” Amneris, ma non poi molto).
È tesa come in un offerta sacrificale la voce
della Sacerdotessa del trentatreenne soprano
del Delaware Camellia Johnson.
Ancora alla “Serenissima” si deve la pubblicazione in rilettura digitale in due dischi
compact, sempre nel 1994, della riproduzione
della rappresentazione di Aida diretta da
Edward Downes al “Covent Garden” di Londra, il 16 giugno 1994. A ventisei anni di distanza, il sessantanovenne maestro di Birmingham conferma una conduzione dell’opera
verdiana irregolare ed incerta, esitante ed interrogativa, direi irresoluta, che può trovare la
pace e la quiete nel raccoglimento mistico del
secondo quadro del primo atto (con una Danza
della sacerdotesse dai movimenti ieraticamente rituali, pigramente attorcentisi, lentamente
stirantisi, quasi desiderosi di non essere percepiti) come perdersi nello stupore di un coro
(nel secondo quadro del secondo atto) che
sembra meravigliarsi di sé stesso, di quel che
fa e di quel che accade, o smarrirsi nella fatuità
trasvolante di un Ballabile che manca tuttavia
di gaiezza e di provocazione, oppure, del tutto
confuso, restare al di sotto delle necessità del
finale dello stesso secondo atto, che non è né
glorioso né entusiasta. Non è Radamès il quarantaseenne tenore gallese Dennis O’Neill, non
ne ha la voce né il portamento. Fin troppo pacato, e burocraticamente constatativo nella
scena del giudizio di Radamès nel primo quadro del quarto atto, è il cinquantaquattrenne
basso dell’Essex Robert Lloyd. Insufficiente,
anche vocalmente, è il Re del trentaduenne
basso dello Yorkshire Mark Beesley. Non
sempre omogenea vocalmente, il trentottenne
soprano del Michigan Cheryl Studer è un’Aida
riflessivamente ripiegata su sé stessa, come
presaga del buio in cui senza scampo precipiterà. È un personaggio, così come è un personaggio l’Amneris del trentaquattrenne mezzosoprano friulano Luciana D’Intino, che sa essere delicatamente insinuante, circospetta e
sentenziosa, perfida e ingannevole, ma soprattutto si mostra all’altezza di quel che da lei richiede il primo quadro del quarto atto, passione, forza, disperazione, sempre vocalmente
raccolta e contenuta, persino con sfumature
fuggevoli come carezze appena sfiorate, e con
un controllo pienamente assicurato anche nell’estenuante invettiva finale.
In studio, a Dublino, nei primi quattro
giorni dell’ottobre 1994, ha registrato Aida la
“Naxos”, che ha messo insieme un buon numero di società corali irlandesi accanto ai
complessi della radiotelevisione dell’Eire. La
direzione è affidata al maestro di Tucson Rico
Saccani, piuttosto fiacco e incolore, piattamente discorsivo, poco dotato di fantasia e di
immaginazione, piuttosto in difficoltà nel governo dei concertati e delle masse corali. Il
quarantaquattrenne tenore islandese Kristján
Jóhannsson è un Radamès stentoreo, che non
ha un buon rapporto con la tornitura del fraseggio. Il trentasettenne baritono di Chicago
Mark Rucker è prono alla convenzione che
vuole Amonasro grossolano e volgare. Il ventinovenne basso carpigiano Riccardo Ferrari è
un Re d’Egitto severo e preoccupato, un po’
troppo corrivo a cedere alla tentazione dell’enfasi. Il quarantacinquenne basso friulano
Francesco Ellero d’Artegna è un Ramfis pieno
di saggezza, con qualche tentazione di cavernosità, possentemente accusatorio e minaccioso nell’altisonante giudizio del primo quadro
del quarto atto. Il ventinovenne soprano pennsylvano Barbara Dever ha voce un po’ granulosa, ma sa essere sensuale e ipocrita; fatica a
superare gli scogli vocali del primo quadro del
quarto atto, anche se alla fine se la cava con
onore. Di Procida è il soprano trentaseenne
Maria Dragoni, Aida dagli acuti metallici,
molto espositiva, un po’ meno espressiva, forse per un eccesso di studiosità, a volte messa
in affanno dalle esigenze figurative del disegno melodico, e quindi incline a rifugiarsi nella vocalizzazione. La registrazione è troppo
spinta nelle zone più acute, che suonano vuoi
taglienti vuoi stridule, per un presumibile eccesso di digitalizzazione.
A Rotterdam, ad “Opera in Ahoy”, tra il
23 gennaio e il 1° febbraio 1998, Aida è stata
registrata digitalmente in studio sotto la direzione del maestro viennese Roberto Paterno-
118
stro, alla testa dell’Orchestra Filarmonica di
Reutlingen, di cui è direttore stabile, e con il
concorso del coro della stessa “Opera in
Ahoy”. Paternostro opta per una direzione fortemente contrastata, con un disegno angoloso
delle frasi, che va a scapito della fluidità dell’esposizione, che ne trae come una sorta di
impaccio. Se il coro delle ancelle di Amneris,
all’inizio del primo quadro del secondo atto, è
felicemente risolto nell’avvicendarsi dell’impulsività incoativa della prima strofa e del soffice abbraccio cullante della seconda strofa, i
grandi episodi corali del secondo quadro dello
stesso atto sono cadenzati con una pesantezza
così greve che preclude ogni ipotesi di caratterizzazione. Comunque, può essere anche una
scelta quella di puntare più sulle pagine solistiche che su quelle corali, sulle individualità
che sulle masse. Ne esce accresciuta la responsabilità dei cantanti. Nessuno dei quali mi
sembra, tuttavia, abbia la statura sufficiente a
caricarsi sulle spalle il peso dell’intera opera.
A cominciare dal Radamès del cinquantaseenne tenore fiorentino Maurizio Frusoni, al quale va pur riconosciuto un grado accettabile di
appassionamento, fortunatamente libero da
eccessi esibizionistici. Il trentasettenne soprano moscovita Ol’ga Romanko ha una voce
scura, un po’ fuligginosa, facile a ingabbiarsi
in una costrizione che ne avvolge in una sorta
di velatura permanente l’emissione, a scapito
della luminosità degli slanci: il personaggio
tuttavia c’è, un’Aida aspra, amara, consapevole di una situazione che subisce con rassegnazione ma non senza protesta, disperata più che
aggressiva, rabbrividita da visioni di terrore e
di orrore che le negano l’incanto dell’illusione
e la sprofondano in tenebrose misteriosità. Alla sua terza Amneris in disco è il cinquantaquattrenne mezzosoprano polacco Stefania
Toczyska, poco incisiva e poco autoritaria, ed
anzi stranamente esitante ed incerta: nel primo
quadro del quarto atto, messa duramente alla
prova, non soccombe tuttavia alla fatica e allo
sforzo, ancorché denunci qualche sintomo di
stanchezza. Il trentasettenne baritono viennese
Claudio Otelli è un Amonasro ingombrato
dalle dimensioni della propria voce, ma non
da queste spinto ad agitazioni incomposte,
chiuso in una corazza di vendicativo rancore,
che si fa a poco a poco inconscio presagio funereo di sconfitta. Trentaduenne, il basso carpigiano Riccardo Ferrari, già Re d’Egitto tre
anni prima, passa al personaggio di Ramfis,
un po’ troppo attufato in insondabili cavernosità. Un Re d’Egitto sfinito dall’esercizio del
potere è invece il ventisettenne basso armeno
Aik Martirosyan.
Ancora alla statunitense “Premiere Opera” si deve la distribuzione, nella rilettura digitale in due dischi compact, della riproduzione
della registrazione di una delle rappresentazio-
ni di Aida al Festival “Notti Bianche” di San
Pietroburgo del giugno 1999. I complessi sono
quelli “Kirov” del Teatro “Marijnskij” della
città baltica. Il direttore è il quarantaseenne
maestro moscovita Valerij Gergiev, l’uomo al
quale si deve la rinnovata fama mondiale del
teatro pietroburghese (tra l’altro, sembra che a
lui si debba anche l’abile connubio con cui ha
mantenuto in vita il nome “Kirov” abbinandolo al ripristino dello storico “Marijnskij”). Gergiev è uomo e musicista vulcanico, ma in quella sera del giugno 1999 doveva essere stanco o
addormentato, perché – contro ogni aspettativa
– si ascolta una Aida fiacca, inerte, condotta
con l’indifferenza del mestiere quotidiano, anche se qua e là (ma troppo raramente) affiora
qualche tentativo di elaborazione personale, di
cui però Gergiev si pente quasi subito: il “divertissement” alla Ùajkovskij in cui trasforma
la Danza delle sacerdotesse nel secondo quadro del primo atto, ad esempio (ma né la Danza dei moretti né il Ballabile, nel secondo atto,
riescono a risvegliare l’interesse di Gergiev); o
il ben dosato “terrazzamento” dei piani sonori,
con delicatezza di curvature, del concertato
che segue l’ingresso in scena di Amonasro (ma
ancor qui non si comprende perché Gergiev
non mantenga lo stesso controllo sul successivo concertato finale dell’atto); o il gioco delle
figurazioni nella pagina orchestrale che annuncia l’ingresso in scena di Aida nel terzo atto
(che però non prosegue durante l’assolo della
protagonista); ed è tutto quel che sono riuscito
a trovare. Una delusione, dunque; ma l’Aida di
San Pietroburgo lo è anche sul piano vocale,
forse perché il direttore è riuscito a contagiare
della propria assenza di entusiasmo i cantanti.
Il trentunenne soprano russo Irina Gordej, nel
monologo del primo atto, si rivela Aida trepidante, ma il fraseggio manca di plasticità; nel
secondo atto, purtroppo non riesce a dare luce
e passione al canto (in ciò trovando per corriva
compagna l’Amneris di Ljudmila ∏em≈uk);
nel terzo e nel quarto atto seppellisce in orchestra una voce velata e sfocata. Il quarantaduenne tenore siberiano Vladimir Galuzin non riesce a mettere a fuoco il personaggio di Radamès: la voce gli si impacchetta e gli si
incolla, e qualche interessante soluzione di fraseggio (soprattutto nel terzo atto) non è sufficiente ad un riscatto. L’Amonasro del quarantaseenne baritono di Saratov Nikolaj Putilin
soccombe alla inutile tensione di un canto tutto
di forza. Il Ramfis del trentanovenne basso di
Sverdlovsk (Ekaterinburg) Fëdor Kuznecov
nella minacciosità delle accuse a Radamès ne
prefigura già la sentenza di condanna. Il Re del
cinquantaduenne basso siberiano Vladimir
Ognovenko è soprattutto un padre affettuoso.
Il coetaneo mezzosoprano ucraino Ljudmila
∏em≈uk è un’Amneris circospetta ed esitante,
troppo per poter sovrastare imperiosa e domi-
119
nante: portata ai limiti della resistenza, la
∏em≈uk è costretta a scomporsi nell’invettiva
ai sacerdoti del primo quadro del quarto atto.
La registrazione è piuttosto ruvida e sgranata,
con un sensibile rumore d’ambiente.
Tra il gennaio e l’aprile 2001, a Vienna,
nel “Musikverein”, Aida è stata registrata digitalmente in studio dalla “Teldec” e pubblicata in tre dischi compact (resi necessari dal
passo con cui è condotta l’opera, che con
questa edizione ha raggiunto la durata più
lunga in assoluto della sua discografia). Il direttore è Nikolaus Harnoncourt, berlinese,
settantunenne, che deve fama e successo a
tutt’altro repertorio. La prima domanda è: si è
posto Harnoncourt di fronte ad Aida con propositi di innovazione rispetto alla tradizione?
La risposta è ambivalente. In effetti un rivoluzionamento integrale nella lettura di Harnoncourt non c’è. Ma ci sono passi nei quali
una rivisitazione si è rivelata benefica. Ma ci
sono anche passi nei quali la rivisitazione ha
concluso i suoi conti in perdita. Bisogna tener
presente che, comunque, mai Harnoncourt è
preso dall’urgenza di correre o di precipitarsi.
Ma questo può significare che i cori che dovrebbero inneggiare o glorificare finiscono
per avere le ali pesanti, e procedono stanchi,
affaticati, infiacchiti, incapaci di qualsiasi
manifestazione di gioia o di entusiasmo. Harnoncourt sa benissimo che le pause sono intrinseche al discorso musicale: e quindi non
le stringe mai, anzi sempre le allarga, ma a
volte le dilata fino al punto di rendere difficile distinguere i contorni dalle figurazioni
(nella parte finale del secondo quadro del primo atto). Altrettanto non univoco è il trattamento delle danze. Uno straordinario fascino
ha la stilizzazione estremizzata fin quasi al
congelamento dei singoli gesti nella Danza
delle sacerdotesse. Ma sfuggono ad Harnoncourt umore e carattere di una Danza dei moretti che è soltanto sbrigativa e fracassona. E
non so quanto sia nello spirito di quel che avviene sulla scena un Ballabile che sembra un
pezzo sinfonico di carattere (di quelli che andavano di moda negli anni del “liberty”). Il
coro delle Sacerdotesse non è così flessuoso
ed incantato come potrebbe essere (è la voce
solista del trentatreenne soprano di Flensburg
Dorothea Röschmann ad influenzare Harnoncourt o è il direttore ad influenzare il soprano?). Invitante è invece l’ondoleggiante fino
all’estenuazione coro delle ancelle di Amneris all’inizio del primo quadro del secondo atto. Mentre di nuovo la dilatazione delle pause
intacca la magia del coro che apre il terzo atto. Più prevedibile è la simpatetica affinità di
cui Harnoncourt da’ prova con le pagine strumentali. A partire da un preludio angosciante
nella sua esilità e nella sua impotenza, un filo
di suono che sembra non riuscire a decollare,
a distaccarsi da qualcosa di invisibile (ma altrettanto inesorabile) che lo trattiene, e l’empito estremo si infrange senza speranza. E la
Marcia Trionfale sorprende per la precisione
dell’intonazione, la corposità del suono e lo
splendore del colore degli ottoni. E gli strumenti solisti in orchestra sono tra i protagonisti dell’interpretazione di Harnoncourt: non
solo l’oboe nel monologo di Aida del terzo
atto, ma anche il clarinetto nel duetto tra Amneris e Radamès nel primo quadro del quarto
atto, danno luogo a qualcosa che può agevolmente definirsi con il termine di duetto nell’un caso e di terzetto nell’altro, con lo strumento in posizione assolutamente paritaria
con le voci. Né Harnoncourt esita a trattare le
voci così come tratta gli strumenti quando
l’occasione gliene dà il destro (“Là…tra foreste vergini”, nel duetto fra Radamès e Aida
nel terzo atto). Un Radamès leggero e soffice
è il quarantatreenne tenore palermitano Vincenzo La Scola: a volte un po’ troppo ricercato, canta con morbida naturalezza; il personaggio è incentrato più sulla tenerezza amorosa che sull’eroismo guerriero, e ciò lo rende
più umano ed accettabile. Il trentatreenne soprano cileno Cristina Gallardo-Domâs è
un’Aida poco espansiva, piuttosto indugiante
in cantilene che le fanno aggirare i problemi
di articolazione che la mettono in difficoltà,
forse più per una non ancora acquisita padronanza del personaggio che per vere e proprie
deficienze vocali. Il quarantacinquenne baritono di Spokane (nello stato di Washington)
Thomas Hampson è un Amonasro suadente e
furtivo, intrigante e sotterraneo, pieno di dignità, anche se non altrettanto di autorevolezza. Un po’ troppo caricato è il Ramfis del cinquantacinquenne basso finlandese Matti Salminen. Circostanziatamente descrittivo è il
Messaggiero del quarantunenne tenore statunitense (nato in Giappone) Kurt Streit. Voce
piena e rotonda ha il Re d’Egitto burbero ed
affettuoso del cinquantaquattrenne basso ungherese László Polgár. Il trentasettenne mezzosoprano bielorusso Ol’ga Borodina è una
Amneris amorosamente incantata e sognante:
nel primo quadro del quarto atto più che inveire contro i sacerdoti esprime amarezza e
dolore. Vorrei concludere con la caratteristica
per me più positiva dell’edizione Harnoncourt, il modo in cui il maestro berlinese attacca, svolge, dipana e conduce a conclusione
i concertati, esemplare fin dall’involo, nelle
flessioni, nelle alternanze, nelle trasparenze,
nella chiarezza degli avvolgimenti e degli
scioglimenti, condotti persino con delicatezza, ma sempre con fermezza, nel procedere
con una calma sicurezza che non è mai assenza di partecipazione, bensì desiderio di dare
pienezza di espressione alla molteplicità dei
sentimenti che li animano.
120
NASTROGRAFIA
1936
(London, Covent Garden; 15 maggio).
fondati dubbi sulla completezza del documento (quasi certezza della frammentarietà).
Eduard Habich, Gertrud Wettergren, Elisabeth Rethberg, Giacomo Lauri Volpi, Ezio Pinza, John
Brownlee, Octave Dua, Josephine Wray.
Coro del Teatro reale d’opera “Covent Garden” e Orchestra Filarmonica di Londra,
dir. Vincenzo Bellezza.
Lyric Distribution ALD 2078 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1938
(New York, Metropolitan; 26 febbraio).
Norman Cordon, Bruna Castagna, Zinka Milanov, Giovanni Martinelli e Frederick Jagel, Ezio
Pinza, Carlo Tagliabue, Giordano Paltrinieri, Thelma Votipka.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Gennaro Papi.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; ulteriori informazioni non disponibili).
1939
(New York, Metropolitan; 4 febbraio).
Norman Cordon, Bruna Castagna, Zinka Milanov, Beniamino Gigli, Ezio Pinza, Carlo Tagliabue,
Max Altglass, Thelma Votipka.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Ettore Panizza.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; ulteriori informazioni non disponibili).
1940
(New York, Metropolitan; 2 marzo).
John Gurney, Bruna Castagna, Rose Bampton, Arthur Carron, Ezio Pinza, Leonard Warren,
Lodovico Oliviero, Thelma Votipka.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Ettore Panizza.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; ulteriori informazioni non disponibili).
1944
(New York, Metropolitan; 15 dicembre).
Philip Whitfield, Kerstin Thorborg, Regina Resnik, Arthur Carron, Nicola Moscona, Frank
Valentino, Lodovico Oliviero, Maxine Stellman.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Emil Cooper.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; ulteriori informazioni non disponibili).
121
1948
(New York, Metropolitan; 21 febbraio).
edizione “abbreviata”.
Philip Kinsman, Margaret Harshaw, Daniza Ilitsch (atti 1°, 2°, 3°) e Florence Kirk (atto 4°), Kurt
Baum, Nicola Moscona, Leonard Warren, Lodovico Oliviero, Thelma Votipka.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Emil Cooper.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; ulteriori informazioni non disponibili).
1949
(New York, Metropolitan; 19 febbraio).
Philip Kinsman, Margaret Harshaw, Ljuba Welitsch, Frederick Jagel, Jerome Hines, Frank
Guarrera, Paul Franke, Thelma Votipka.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Emil Cooper.
Archives of Metropolitan Opera Broadcast (U.S.A; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1951
(Rio de Janeiro, Municipal; 19 settembre).
edizione “abbreviata”.
non indicato, Elena Nicolai, Renata Tebaldi, Mario Filippeschi, Giulio Neri, Paolo Silveri, non
indicati.
Coro e Orchestra del Teatro Municipale di Rio de Janeiro,
dir. Antonino Votto.
Lyric Distribution ALD 1602 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1956
(Napoli, Arena Flegrea; 15 luglio).
Ferruccio Mazzoli, Ebe Stignani, Anna Maria Rovere, Mario Filippeschi, Carlo Cava, Robert
McFerrin, Piero De Palma, non indicata.
Coro e Orchestra del Teatro “di San Carlo” di Napoli,
dir. Vincenzo Bellezza.
Lyric Distribution ALD 3033 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1959
(Paris; 8 giugno).
edizione “abbreviata”.
non indicato, Rita Gorr, Renata Tebaldi, Dimiter Uzunov, Giorgio Tadeo, René Bianco, non
indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Georges Sebastien.
Lyric Distribution ALD 3767 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1959
(New York, Metropolitan; 28 novembre).
Louis Sgarro, Nell Rankin, Lucine Amara, Dimiter Uzunov, Giorgio Tozzi, Leonard Warren,
Robert Nágy, Heidi Krall.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Fausto Cleva.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
122
1960
(Philadelphia, Academy of Music; 11 novembre).
omette inizio atto 1°.
John Macurdy, Irene Dalis, Leontyne Price, Carlo Bergonzi, Norman Treigle, Anselmo Colzani,
Orrin Hill, Eva Nir.
Coro e Orchestra della “Lyric Opera Company” di Filadelfia,
dir. Julius Rudel.
Lyric Distribution ALD 2509 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1961
(Wien, Staatsoper; 2 aprile).
con lacune.
Alois Pernerstorfer, Regina Resnik, Luisa Maragliano, Dimiter Uzunov, Walter Kreppel, Aldo
Protti, non identificato, non identificata.
Coro e Orchestra dell’Opera di Stato di Vienna,
dir. Berislav Klobu≈ar.
Lyric Distribution ALD 2294 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1962
(New York, Metropolitan; 15 dicembre).
John Macurdy, Rita Gorr, Lucine Amara, Carlo Bergonzi, Cesare Siepi, Mario Sereni, Robert
Nágy, Helen Vanni.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Nello Santi.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1964
(London, Covent Garden; 26 febbraio).
Victor Godfrey, Giulietta Simionato, Galina Viπnevskaja, Jon Vickers, Joseph Rouleau, Peter
Glossop, Glynne Thomas, Anne Finley.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Brian Balkwill.
Lyric Distribution ALD 4293 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1964
(Wien, Staatsoper; 14 giugno).
Ludwig Welter, Giulietta Simionato, Leontyne Price, Flaviano Labò, Nicola Zaccaria, Ettore
Bastianini, Ermanno Lorenzi, Gerda Scheyrer.
Coro e Orchestra dell’Opera di Stato di Vienna,
dir. Herbert Von Karajan.
Lyric Distribution ALD 3768 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1966
(Roma, Opera; 4 maggio).
Luigi Roni, Mirella Parutto, Leontyne Price, Giorgio Casellato Lamberti, Franco Pugliese, Mario
Zanasi, Gabriele De Julis, Mirella Fiorentini.
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma,
dir. Oliviero De Fabritiis.
Lyric Distribution ALD 4294 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
123
1966
(Ciudad de México, Palacio de Bellas Artes; 14 ottobre? 12 novembre?).
con lacune.
Rogelio Vargas, Elena Cernei, Elena Souliotis, Pedro Lavirgen, Federico Davià, Gian Giacomo
Guelfi, Alberto Hamin, Lucila Columba.
Coro e Orchestra del “Palacio de Bellas Artes” di Città del Messico,
dir. Nicola Rescigno.
Lyric Distribution ALD 2684 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1968
(New York, Metropolitan; 20 gennaio).
Louis Sgarro, Irene Dalis, Gabriella Tucci, James McCracken, Bonaldo Giaiotti, Sherrill Milnes,
Robert Nágy, Clarice Carson.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Thomas Schippers.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1968
(London, Covent Garden; 5 febbraio).
David Kelly, Grace Bumbry, Gwyneth Jones, Charles Craig, Joseph Rouleau, John Shaw, non
indicati.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Edward Downes.
Lyric Distribution ALD 4408 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1968
(Philadelphia, Academy of Music; 20 febbraio).
Joseph Salvador, Mignon Dunn, Martina Arroyo, Franco Corelli, Bonaldo Giaiotti, Manuel
Ausensi, Natale De Lazzari, Nancy Nicks.
Coro della “High School” di Springfield, Coro e Orchestra della “Lyric Opera Company” di
Filadelfia,
dir. Anton Guadagno.
Lyric Distribution ALD 2510 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1968
(Paris).
non indicato, Lyne Dourian, Leontyne Price, João Gibin, Gérard Serkoyan, Louis Quilico, non
indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Georges Sebastien.
Lyric Distribution ALD 3516 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1969
(Roma, Opera; 14 aprile).
Mario Rinaudo, Fiorenza Cossotto, Gwyneth Jones, Gianfranco Cecchele, Ivo Vinco, Antonio
Boyer, Fernando Iacopucci, Mirella Giusti.
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma,
dir. John Barbirolli.
Nastroteca Teatro Opera Roma numero non accertato (ulteriori informazioni non disponibili).
124
1969
(Dallas, Majestic; 1 novembre).
edizione “abbreviata”.
Luigi Roni, Shirley Verrett, Elena Souliotis, Amedeo Zambon, Nicola Zaccaria, Gian Giacomo
Guelfi, Rod MacWherter, Ruth Falcon.
Coro e Orchestra dell’Opera di Dallas,
dir. Nicola Rescigno.
Lyric Distribution ALD 3769 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1970
(New York, Metropolitan; 3 gennaio).
Raymond Michalski, Irene Dalis, Leontyne Price, Jess Thomas, John Macurdy, Robert Merrill,
Rod MacWherter, Carlotta Ordassy.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Francesco Molinari Pradelli.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1970
(New York, Metropolitan; 26 dicembre).
Paul Plishka, Grace Bumbry, Martina Arroyo, James McCracken, Ezio Flagello, Anselmo
Colzani, Rod MacWherter, Marcia Baldwin.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Fausto Cleva.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1971
(Philadelphia, Academy of Music; 22 ottobre).
Irwin Densen, Mignon Dunn, Elinor Ross, Richard Tucker, Irwin Densen, Carlo Meliciani,
Walter Knetlar, Margaret Wheeler.
Coro e Orchestra della “Grand Opera Company” di Filadelfia,
dir. Carlo Moresco.
Lyric Distribution ALD 3297 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1972
(Verona, Arena; 23 luglio).
Giovanni Foiani, Fiorenza Cossotto, Luisa Maragliano, Richard Tucker, Ivo Vinco, Licinio
Montefusco, Ottorino Begali, Silvana Tumicelli.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Peter Maag.
Lyric Distribution ALD 2858 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1973
(Philadelphia, Academy of Music; 11 gennaio).
Harry Dworchak, Joann Grillo, Marisa Galvany, Pier Miranda Ferraro, Ezio Flagello, Louis
Quilico, Lando Bartolini, Meridith Rung.
Coro “Friend’s Central Junior and High School”, Coro e Orchestra della “Lyric Opera Company”
di Filadelfia,
dir. Gianfranco Rivoli.
Lyric Distribution ALD 3034 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
125
1973
(New York, Metropolitan; 24 febbraio).
James Morris (atto 1°) e Edmond Karlsrud (atto 2°), Grace Bumbry, Martina Arroyo, Richard
Tucker, Giorgio Tozzi, Cornell MacNeil, Rod MacWherter, Shirley Love.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Francesco Molinari Pradelli.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1974
(Las Palmas, Teatro Pérez Galdós; 18 marzo).
Giovanni Foiani, Khristina Angelakova, Gena Dimitrova, Carlo Bergonzi, Paolo Washington,
Giampiero Mastromei, José Manzaneda, Dolores Cava.
Corale “Regina Coeli” e Orchestra del Gran Teatro del “Liceu” di Barcellona,
dir. Michelangelo Veltri.
Lyric Distribution ALD 4200 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1976
(New York, Metropolitan; 25 dicembre).
Philip Booth, Tatiana Troyanos, Gilda Cruz-Romo, James McCracken, Jerome Hines, Louis
Quilico, Charles Anthony, Shirley Love.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Kazimierz Kord.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1978
(San Diego; 4 agosto).
Philip Booth, Carol Wyatt, Martina Arroyo, Carlo Bini, Robert Hale, non indicato, non indicato,
Aprile Millo.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Antonio Tauriello.
Lyric Distribution ALD 3035 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1978
(New York, Metropolitan; 16 dicembre).
John Cheek, Bianca Berini, Gilda Cruz-Romo, Giorgio Casellato-Lamberti, Paul Plishka, Ingvar
Wixell, Charles Anthony, Elizabeth Coss.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Giuseppe Patané.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1979
(Salzburg, Grosses Festspielhaus; 26 luglio).
Ruggero Raimondi, Marilyn Horne, Mirella Freni, José Carreras, Nikolaj Gjaurov, Piero
Cappuccilli, Thomas Moser, Marjon Lambriks.
Coro dell’Opera di Stato e Orchestra Filarmonica di Vienna,
dir. Herbert Von Karajan.
Lyric Distribution ALD 1109 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
126
1979
(New York, Metropolitan; 15 dicembre).
Julian Robbins, Bianca Berini, Galina Savova, Giorgio Casellato-Lamberti, Luigi Roni, Ingvar
Wixell, Charles Anthony, Elizabeth Coss.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. James Conlon.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1984
(Wien, Staatsoper; 30 aprile).
Konstantin Sfiris, Victoria Vergara, Maria Chiara, Luciano Pavarotti, John-Paul Bogart, Bernd
Weikl, Béla Perencz, Marjorie Vance.
Coro e Orchestra dell’Opera di Stato di Vienna,
dir. Lorin Maazel.
Lyric Distribution ALD 1353 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1984
(London, Covent Garden; 2 giugno).
Sean Rea, Stefania Toczyska, Katia Ricciarelli, Luciano Pavarotti, Paata Bur≈uladze, Ingvar
Wixell, John Dobson, Marie McLaughlin.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Zubin Mehta.
Lyric Distribution ALD 1178 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1985
(New York, Metropolitan; 3 gennaio).
Dimitri Kavrakos, Fiorenza Cossotto, Leontyne Price, James McCracken, John Macurdy, Simon
Estes, Robert Nágy, Therese Brandson.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. James Levine.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1985
(San Antonio, Majestic; 21 giugno).
non indicato, Stefania Toczyska, Aprile Millo, Gianfranco Cecchele, Jerome Hines, Pablo Elvira,
non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Carlo Franci.
Lyric Distribution ALD 1057 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
Lyric Distribution ALD 1211 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1985
(Hong Kong; 14 luglio).
non indicato, Bianca Berini, Aprile Millo, Lando Bartolini, non indicato, Theodore Lambrinos,
non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Eugene Kohn.
Lyric Distribution ALD 1146 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
127
1985
(Verona, Arena; 30 luglio).
Carlo Del Bosco, Bruna Baglioni, Makvala Kasraπvili, Giuseppe Giacomini, Alfredo Zanazzo,
Ingvar Wixell, Piero De Palma, Aida Meneghelli.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Daniel Oren.
Lyric Distribution ALD 1112 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1985
(Bilbao, Coliseo Albia; 6 settembre).
Alfonso Echeverria, Stefania Toczyska, Maria Chiara, Nunzio Todisco, Kanj-Bjung Woon, JeanPhilippe Lafont, Gianfranco Manganotti, Ascensión González.
Coro della “Asociación Bilbaína de Amigos de la Ópera” (ABAO) e Orchestra Sinfonica di
Euskadi,
dir. Charles Vanderzand.
Lyric Distribution ALD 4201 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1985
(Baltimore, Lyric Opera House; 11 novembre).
non indicato, Sheila Nadler, Aprile Millo, Lando Bartolini, José García, Rodger Hugh Wangerin,
non indicati.
Coro e Orchestra dell’Opera di Baltimora,
dir. Eugene Kohn.
Lyric Distribution ALD 1196 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1985
(Milano, Scala; 7 dicembre).
Paata Bur≈uladze, Gena Dimitrova, Maria Chiara, Luciano Pavarotti, Nikolaj Gjaurov, Piero
Cappuccilli (atto 2°) e Juan Pons (atto 3°)1, Ernesto Gavazzi, Francesca Garbi.
Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Lorin Maazel.
Lyric Distribution ALD 1163 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
Lyric Distribution ALD 1419 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1986
(Denver, Boettcher Hall in the Rand; 3 maggio).
David Langan, Viorica Cortez, Aprile Millo, Gianfranco Cecchele, Kevin Langan, Pablo Elvira,
Daniel Vine, Melissa Malde.
Coro dell’“Opera Colorado” e Orchestra Sinfonica di Denver,
dir. Argeo Quadri.
Lyric Distribution ALD 1228 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1987
(Barcelona, Liceu; 5 gennaio).
Franco De Grandis, Fiorenza Cossotto, Galina Savova, Lando Bartolini, Ivo Vinco, Cornell
MacNeil, Conrad Gaspà, Rosa Maria Conesa.
Coro e Orchestra del Gran Teatro del “Liceu” di Barcellona,
dir. Enrique Ricci.
Così nei documenti del Teatro “alla Scala” per la prima rappresentazione; nel video Amonasro è
Lyric
inequivocabilmente Juan Pons sia nel secondo sia nel terzo atto.
1
ALD 2080 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
128
Distribution
1987
(Barcelona, Liceu; 15 gennaio).
Stefano Palatchi, Fiorenza Cossotto, Maya Tomadze, Jesús Pinto, Ivo Vinco, Cornell MacNeil,
Conrad Gaspà, Rosa Maria Conesa.
Coro e Orchestra del Gran Teatro del “Liceu” di Barcellona,
dir. Enrique Ricci.
Lyric Distribution ALD 2511 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1987
(Budapest, Teatro Erkel; 20 aprile).
László Polgár, Elena Obrazcova, Ilona Tokody, Plácido Domingo, Ferenc Begányi, Sándor
Sólyom-Nagy, András Laczó, Gabriella Szamadó.
Coro e Orchestra dell’Opera di Stato ungherese,
dir. Ervin Lukács.
Lyric Distribution ALD 2687 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1987
(Bilbao, Teatro Arriaga; 15 settembre).
Pablo Pascual, Fiorenza Cossotto, Gena Dimitrova, Nicola Martinucci, Ivo Vinco, Alessandro
Cassis, Josep Ruiz, Ascensión González.
Coro della “Asociación Bilbaína de Amigos de la Ópera” (ABAO) e Orchestra Sinfonica di
Euskadi,
dir. Armando Gatto.
Lyric Distribution ALD 2081 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1987
(Stuttgart, Staatstheater, Grosses Haus, concerto; 29 settembre).
Roland Bracht, Eva Randová, Gabriela Beňa≈ková, Michael Sylvester, Matthias Hölle, Siegmund
Nimsgern, Alexander Stachowiak, Helene Schneiderman.
Coro, Coro aggiunto dell’Opera di Stato e Orchestra di Stato di Stoccarda,
dir. Luís Antonio García Navarro.
Lyric Distribution ALD 2007 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1987
(Houston, Brown Theater; 15 ottobre).
David Langan, Stefania Toczyska, Mirella Freni, Plácido Domingo, Nikolaj Gjaurov, Ingvar Wixell,
John Keyes, Marquita Lister.
Coro e Orchestra del “Grand Opera” di Houston,
dir. Emil Ùakarov.
Lyric Distribution ALD 1408 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1988
(Verona, Arena; 20 luglio).
Alessandro Verducci, Fiorenza Cossotto, Aprile Millo, Franco Bonisolli, Ivo Vinco, Giuseppe
Scandola, Gianfranco Manganotti, Aida Meneghelli.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Donato Renzetti.
Lyric Distribution ALD 2082 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
129
1988
(Verona, Arena; 30 agosto).
Carlo Del Bosco, Viorica Cortez, Aprile Millo, Mario Malagnini, Bonaldo Giaiotti, Giuseppe
Scandola, Mario Ferrara, Elena Angeli.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Donato Renzetti.
Lyric Distribution ALD 1558 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1989
(New York, Metropolitan; 7 gennaio).
Dimitri Kavrakos, Stefania Toczyska, Aprile Millo, Plácido Domingo, Paul Plishka, Sherrill
Milnes, Charles Anthony, Sarah Reese.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. James Levine.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A.; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1989
(Chicago, Civic Opera House; 25 gennaio).
Jan Galla, Dolora Zajick, Alessandra Marc, Giorgio Casellato Lamberti, Bonaldo Giaiotti,
Siegmund Nimsgern, Donn Cook, Rosa Vento.
Coro e Orchestra del “Lyric Opera” di Chicago,
dir. Richard Buckley.
Lyric Distribution ALD 2217 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1989
(Verona, Arena; 11 luglio).
edizione “abbreviata”.
Alfredo Zanazzo, Bruna Baglioni, Aprile Millo, Franco Bonisolli, Francesco Ellero d’Artegna,
Garbis Boyagian, Giampaolo Grazioli, Aida Meneghelli.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Pinchas Steinberg.
Lyric Distribution ALD 1721 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1989
(Roma, Terme Caracalla; 25 luglio).
Giovanni Furlanetto, Grace Bumbry, Aprile Millo, Giorgio Casellato Lamberti, Nikola Gjuzelev,
Alessandro Cassis, Dario Zerial, Corinna Vozza.
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma,
dir. Nicola Rescigno.
Lyric Distribution ALD 1722 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1990
(Washington, Kennedy Center, Opera House; 17 febbraio).
Herbert Eckhoff, Stefania Toczyska, Aprile Millo, Vladimir Popov, Eric Halfvarson, Donnie Ray
Albert, Manuel Melendez, Carol Madalin.
Coro dell’Opera di Washington e Orchestra del “Kennedy Center Opera House”,
dir. Carl Stewart Kellogg.
Lyric Distribution ALD 1891 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
130
1991
(Siracusa; 20 luglio).
non indicato, Maria Luisa Nave, Aprile Millo, Lando Bartolini, Luigi Roni, Alessandro Cassis,
non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Andrea Licata.
Lyric Distribution ALD 2776 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1991
(New York, Metropolitan; 28 dicembre).
Jeffrey Wells, Stefania Toczyska, Leona Mitchell, Lando Bartolini, Paul Plishka, James Morris,
John Horton Murray, Camellia Johnson.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Rico Saccani.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A.; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1992
(Bilbao, Coliseo Albia; 11 settembre).
Pablo Pascual, Dolora Zajick, Deborah Voigt, Kristján Jóhannsson, Alfonso Echeverria,
Alexandru Agache, Javier Nicolás, Inmaculada Martínez.
Coro della “Asociación Bilbaína de Amigos de la Ópera” (ABAO) e Orchestra Sinfonica di
Euskadi,
dir. Antonello Allemandi.
Lyric Distribution ALD 3517 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1994
(London, Covent Garden; 27 giugno).
Mark Beesley, Luciana D’Intino, Cheryl Studer, Dennis O’Neill, Robert Llyod, Alexandru Agache,
John Marsden, Yvonne Barclay.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Edward Downes.
Lyric Distribution ALD 3518 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1994
(London, Covent Garden; 7 luglio).
Mark Beesley, Nina Terent’eva, Galina Kalinina, Dennis O’Neill, Robert Lloyd, Alexandru Agache,
John Marsden, Yvonne Barclay.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Edward Downes.
Lyric Distribution ALD 3519 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1994
(London, Covent Garden; 15 luglio).
Michael Druiett, Dolora Zajick, Nina Rautio, Kristján Jóhannsson, Paata Bur≈uladze, Gregory
Yurisich, Robin Leggate, Alison Gordon.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Edward Downes.
Lyric Distribution ALD 3520 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
131
1994
(Verona, Arena; 15 luglio).
Franco De Grandis, Stefania Toczyska, Deborah Voigt, Bruno Beccaria, Bonaldo Giaiotti, Juan
Pons, Aldo Orsolini, Paola Fornasari Patti.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Nello Santi.
Lyric Distribution ALD 3521 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1994
(Chicago, Civic Opera House; 21 dicembre).
Carsten Stabell, Dolora Zajick, Aprile Millo, Lando Bartolini, Dimitri Kavrakos, Timothy Noble,
non indicati.
Coro e Orchestra del “Lyric Opera” di Chicago,
dir. John Fiore.
Lyric Distribution ALD 3667 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1995
(Atlanta, Fox Theatre; 2 settembre).
non indicato, Shirley Close, Camellia Johnson, Stephen O’Mara, Hao-Jiang Tian, Mark Rucker,
non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. William Fred Scott.
Lyric Distribution ALD 3770 (U.S.A; fuori catalogo) (audiocassetta).
1995
(London, Royal Festival Hall, concerto; 28 settembre).
Andrea Silvestrelli, Florence Quivar, Leona Mitchell, Dennis O’Neill, Kurt Rydl, Giancarlo
Pasquetto, Barry Ryan, Judith Howarth.
Coro e Orchestra Filarmonica di Londra,
dir. Zubin Mehta.
Lyric Distribution ALD 3973 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1995
(London, Covent Garden; 19 dicembre).
Michael Druiett, Nina Terent’eva, Sharon Sweet, Michael Sylvester, Peter Rose, Simon Estes,
Robin Leggate, Leah-Marian Jones.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Daniele Gatti.
Lyric Distribution ALD 3974 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1996
(London, Covent Garden; 24 febbraio).
Norman Bailey, Markella Hatziano, Andrea Gruber, Sidwill Hartman, Robert Lloyd, Gregory
Yurisich, Timothy Robinson, Sidonie Winter.
Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Jan Latham-Koenig.
Lyric Distribution ALD 3975 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
132
1996
(New York, Metropolitan; 2 marzo).
Hao-Jiang Tian, Dolora Zajick, Nina Rautio, Michael Sylvester, Paul Plishka, Juan Pons, Deng,
Norah Amsellem.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Christian Badea.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A.; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1996
(San Diego, Civic Theatre; 5 maggio).
non indicato, Stefania Kaluza, Michèle Crider, Lando Bartolini, Hao-Jiang Tian, Mark Rucker,
non indicati.
Coro e Orchestra dell’Opera di San Diego,
dir. Michelangelo Veltri.
Lyric Distribution ALD 3976 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1996
(Verona, Arena; 15 agosto).
Carlo Striuli, Florence Quivar, Deborah Voigt, Lando Bartolini, Carlo Colombara, Paolo
Gavanelli, Angelo Casertano, Antonella Trevisan.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Daniel Oren.
Lyric Distribution ALD 4295 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1997
(New York, Metropolitan; 1 marzo).
Hao-Jiang Tian, Stefania Toczyska, Sharon Sweet, Michael Sylvester, Eric Halfvarson, Juan Pons,
Deng, Sondra Radvanovsky.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Ádám Fischer.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A.; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
1997
(Verona, Arena; 8 luglio).
Askar Abdrazakov, Gena Dimitrova, Daniela Longhi, Kristján Jóhannsson, Franco De Grandis,
Paolo Gavanelli, Pierre Lefebvre, Tiziana Tramonti.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Nello Santi.
Lyric Distribution ALD 4409 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
1997
(Verona, Arena; 12 agosto).
Mikhail Rysov, Bruna Baglioni, Daniela Dessì, Lando Bartolini, Bonaldo Giaiotti, Bruno Pola &
Jorge Cebrian, Aldo Orsolina, Paola Fornasari Patti.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Nello Santi.
Legato Classics ALD 4525 (U.S.A.; fuori catalogo) (audiocassetta).
133
1999
(New York, Metropolitan; 13 febbraio).
Hao-Jiang Tian, Dolora Zajick, Hasmik Papian, Dennis O’Neill, Paata Bur≈uladze, Paolo
Gavanelli, Ronald Naldi, Sondra Radvanovsky.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. Plácido Domingo.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A.; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
2001
(New York, Metropolitan; 27 gennaio).
Hao-Jiang Tian, Ol’ga Borodina, Deborah Voigt, Luciano Pavarotti, Gennadij Bezzubenkov,
Mark Delavan, Ronald Naldi, Marjorie Elinor Dix.
Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. James Levine.
Archives of Metropolitan Opera Broadcasts (U.S.A.; nastro; ulteriori informazioni non disponibili).
134
VIDEOGRAFIA
1949
(New York, NBC, studio 8H; 26 marzo e 2 aprile; concerto)
Denis Harbour, Eva Gustavson, Herva Nelli, Richard Tucker, Norman Scott, Giuseppe Valdengo,
Virginio Assandri, Teresa Stich-Randall.
Corale “Robert Shaw” e Orchestra Sinfonica della “National Broadcasting Company” (NBC) di
New York,
dir. Arturo Toscanini.
regia Doug Rodgers.
direzione registrazione sonora Charles Grey.
produzione NBC (National Broadcasting Company) (U.S.A.).
produzione RCA (Radio Corporation of America) (U.S.A.).
distribuzione BMG Video.
origine U.S.A. 1949.
durata complessiva 148’52”.
durata effettiva musica 134’45” (37’03”+ 38’56”+ 29’12”+ 29’34”).
BMG RCA Victor 790 346 (VHS; bianco e nero; mono; PAL; U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
IRTEM 212
BMG RCA Victor 780 346 (laserdisc; compact; bianco e nero; mono; PAL; U.S.A.; fuori catalogo)
(2 videodischi).
BMG Video 60 331 (laserdisc; compact; bianco e nero; mono; PAL e SECAM; fuori catalogo)
(2 videodischi).
135
1952
(Roma; ottobre).
arrangiamento musicale Renzo Rossellini.
Enrico Formichi, Ebe Stignani (Lois Maxwell), Renata Tebaldi (Sofia Loren), Giuseppe Campora
(Luciano Della Marra), Giulio Neri (Antonio Cassinelli), Gino Bechi (Afro Poli), Paolo Caroli,
Giovanna Russo.
Alba Arnova, Victor Ferrari, Ciro Di Pardo, danzatori.
Coro e Orchestra Sinfonica di Roma della Radiotelevisione italiana,
dir. Giuseppe Morelli.
regia Clemente Fracassi.
coreografia Margherita Wallmann.
scene Flavio Mogherini.
costumi Maria De Matteis.
fotografia Piero Portalupi.
produzione Oscar Film (Italia, film 35 mm.).
distribuzione CEI Incom (Italia).
distribuzione Oscar Film (Italia).
distribuzione Videogram.
distribuzione Legato Publishing (U.S.A.).
origine Italia 1952.
durata complessiva 93’50”.
durata effettiva musica 89’35” (25’39”+ 23’18”+ 18’14”+22’24”).
Video Classics sigla alfanumerica non accertata (VHS e Betamax; colore; mono; NTSC; U.S.A.;
fuori catalogo) (videocassetta).
Legato Publishing 116 (VHS e Betamax; colore; mono; NTSC; U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
IRTEM 214.
Lyric Distribution LDV 1139 (VHS; colore; mono; NTSC; U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
Bel Canto Society BCS 0553 (VHS; colore; mono; NTSC) (videocassetta).
Premiere Opera 1858 (VHS; colore; mono; NTSC o PAL; U.S.A.) (videocassetta).
1961
(Tokyo, Bunka Kaikan; 16 ottobre).
Silvano Pagliuca, Giulietta Simionato, Gabriella Tucci, Mario Del Monaco, Paolo Washington,
Aldo Protti, Athos Cesarini, Sumie Kawauci.
Balletto “Coralias”, Coro della Radio di Tokyo, Coro dell’Opera italiana della “Nippon Hoso
Kyokai” (NHK), Coro dell’Opera lirica di Nikikai e di Fujiwara e Orchestra Sinfonica della
“Nippon Hoso Kyokai” (NHK) di Tokyo,
dir. Franco Capuana.
regia Carlo Piccinato.
coreografia Roy Tobias.
coreografia Hiroshi Shimada.
scene Enzo Deho.
produzione Nippon Hoso Kyokai (NHK - Giappone).
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Giappone1961.
durata complessiva 163’25”.
durata effettiva musica 137’32” (36’24”+ 40’12”+ 31’06”+ 29’50”).
Bel Canto Society BCS 15 (VHS e Betamax; bianco e nero; mono; NTSC; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
Legato Publishing 230 (VHS e Betamax; bianco e nero; mono; NTSC; U.S.A.; fuori catalogo).
IRTEM 215.
Lyric Distribution 1439 (NTSC) e PV 113-90 (PAL) (VHS; bianco e nero; mono; U.S.A.; fuori
catalogo) (videocassetta).
136
1963
(Verona, Arena; 8 agosto).
omette atto 4° (non rappresentato per pioggia).
Antonio Zerbini, Giulietta Simionato, Leyl Gencer, Gastone Limarilli, Bonaldo Giaiotti, Gian
Giacomo Guelfi, Ottorino Begali, Silvana Tumicelli.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Tullio Serafin.
regia Carlo Maestrini (da Herbert Graf).
coreografia Ria Teresa Legnani.
scene e costumi Pino Casarini.
direzione ripresa visiva M.M. Yon.
produzione RAI - Radiotelevisione italiana.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Italia 1963.
Lyric Distribution 9045 (VHS; bianco e nero; mono; NTSC o PAL; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
1966
(Verona, Arena; 3 agosto).
Franco Pugliese, Fiorenza Cossotto, Leyl Gencer, Carlo Bergonzi, Bonaldo Giaiotti, Anselmo
Colzani, Ottorino Begali, Adalina Grigolato.
Balletto del Teatro d’opera e di balletto “Kirov” di Leningrado, Coro e Orchestra dell’Ente lirico
“Arena” di Verona,
dir. Franco Capuana.
regia Herbert Graf.
coreografia Konstantin Sergeev.
coreografia Ria Teresa Legnani.
scene e costumi Pino Casarini.
luci Alberto Fusi.
direzione ripresa visiva Cesare Barlacchi.
produzione RAI - Radiotelevisione italiana.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
distribuzione Hardy Classic Video (Italia).
origine Italia 1966.
durata complessiva 149’35”.
durata effettiva musica 141’39” (36’33”+ 44’28”+ 30’56”+ 29’42”).
Lyric Distribution 1861 (NTSC) e PV 42-90 (PAL) (VHS e Betamax; bianco e nero; mono;
U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
Bel Canto Society BCS 610 A (VHS; bianco e nero; mono; NTSC; U.S.A.) (videocassetta).
Hardy Classical Video HCV 1003 (VHS; bianco e nero; stereo; PAL) (videocassetta).
IRTEM 258.
Hardy Classical Video HCD 4010 (DVD; 12 cm.; compact; bianco e nero; mono; ricostruzione
digitale; NTSC; 4/3; codice 0) (videodisco).
1968
(London, Covent Garden; 5 febbraio).
David Kelly, Grace Bumbry, Gwyneth Jones, Charles Craig, Joseph Rouleau, John Shaw, non
indicati.
regia non indicato.
scene e costumi non indicati.
produzione Royal Opera House (London; Gran Bretagna).
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Gran Bretagna 1968.
Lyric Distribution 8878 (VHS; colore; mono; NTSC o PAL; U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
137
1973
(Tokyo, “Lirica italiana”).
non indicato, Fiorenza Cossotto, Orianna Santunione, Carlo Bergonzi, Ivo Vinco, Giampiero
Mastromei, non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Oliviero De Fabritiis.
regia non indicato.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Giappone 1973.
Lyric Distribution LDV 1194 (NTSC) e PV 450-92 (PAL) (VHS e Betamax; colore; mono;
U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
1976
(Orange, Chorégies, Antique; 27 luglio).
edizione “abbreviata”.
Luigi Roni, Grace Bumbry, Gilda Cruz Romo, Pëtr Gugalov, Agostino Ferrin, Ingvar Wixell,
Gérard Friedmann, Mirella Fiorentini.
Coro e Orchestra “Lirico di Torino”,
dir. Thomas Schippers.
regia Sandro Sequi.
scene Pier Luigi Pizzi.
direzione ripresa visiva (film) Pierre Jourdan.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Francia 1976.
Lyric Distribution 1952 (VHS e Betamax; colore; mono; NTSC; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
1977
(Madrid, Zarzuela; 3 aut 6 maggio).
Julio Catania, Maria Luisa Nave, Éva Marton, Plácido Domingo, Dimiter Petkov, Pedro Farres,
José Manzaneda, Angeles Zanetti.
Balletto titolare del Teatro “de la Zarzuela” di Madrid, Coro e Orchestra Sinfonica della
Radiotelevisione spagnola,
dir. Armando Gatto.
regia Giuseppe Giuliano.
coreografia Asunción Aguade.
scene Francisco Prosper.
costumi “Cornejo”.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Spagna 1977.
Lyric Distribution 8162 (NTSC) e PV 185-91 (PAL) (VHS; colore; mono; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
138
1980
(Verona, Arena; 27 luglio).
Gianfranco Casarini, Fiorenza Cossotto, Maria Chiara, Giuseppe Giacomini, Cesare Siepi, Garbis
Boyagian, Gianfranco Manganotti, Maria Gabriella Onesti.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Nello Santi.
regia Giancarlo Sbragia.
scene e costumi Vittorio Rossi.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Italia 1980.
Lyric Distribution LDV 1195 (VHS e Betamax; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
Premiere Opera 1115 (VHS; colore; mono; U.S.A.) (videocassetta).
Premiere Opera 2280 (VHS; colore; mono; U.S.A.) (videocassetta).
1981
(Lisboa, São Carlos; aprile).
Carlos Fonseca, Stefania Toczyska, Mara Zampieri, Nicola Martinucci, Álvaro Malta, Giampiero
Mastromei, Antonio Silva, Elizette Bayan.
Coro e Orchestra del Teatro “São Carlos” di Lisbona,
dir. Francesco Maria Martini.
regia Paolo Trevisi.
coreografia Armando Jorge.
scene Ferruccio Villagrossi.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Portogallo 1981.
Lyric Distribution 8599 (NTSC) e PV 602-93 (PAL) (VHS; colore; mono; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
139
1981
(Verona, Arena; 31 luglio).
Alfredo Zanazzo, Fiorenza Cossotto, Maria Chiara, Nicola Martinucci, Carlo Zardo, Giuseppe
Scandola, Gian Paolo Corradi, Maria Gabriella Onesti.
Ileana Iliescu, Gorge Iancu, Rosalba Garavelli, Richard Duquesnoy, danzatori solisti.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Anton Guadagno.
regia Giancarlo Sbragia.
coreografia Roberto Fascilla.
scene e costumi Vittorio Rossi.
luci Davide Altschüler.
luci Mohammed Soudani.
direzione ripresa visiva Brian Large.
direzione registrazione sonora Jay David Saks.
produzione National Video Corporation (NVC - Gran Bretagna).
produzione RAI - Radiotelevisione italiana.
produzione RTSI - Radio Televisione Svizzera Italiana.
produzione Polivideo (Italia).
distribuzione HBO.
distribuzione Cannon.
distribuzione Thorn-EMI (Gran Bretagna).
distribuzione Pioneer Artists (U.S.A.).
distribuzione CGD Videosuono (Italia).
distribuzione Castle Vision (Gran Bretagna).
distribuzione Warner Home Video (U.S.A.).
origine Italia 1981.
durata complessiva 158’10”.
durata effettiva musica 145’12” (36’32”+ 47’46”+ 30’20”+ 30’34”).
HBO/Cannon TVE (VHS) e TXE (Betamax) 2790 (colore; stereo; PAL; Gran Bretagna; fuori
catalogo) (videocassetta).
Thorn-EMI/HBO 90 28 1 2 (VHS; colore; stereo; PAL; Gran Bretagna; fuori catalogo) (videocassetta).
Longmans Video LGVH (VHS) e LGBE (Betamax) 7001 (colore; stereo; PAL; Gran Bretagna;
fuori catalogo) (videocassetta).
Arts International 04-A1-026 (laserdisc; compact; colore; stereo; NTSC; U.S.A.; fuori catalogo)
(videodisco).
Pioneer Artists PA 82-017 (laserdisc; compact; colore; stereo; NTSC; U.S.A.; fuori catalogo)
(videodisco).
CGD Videosuono 061016 (VHS; colore; stereo; PAL; Italia; fuori catalogo) (videocassetta).
IRTEM 40.
Castle Vision CVI 2013 (VHS; colore; stereo; PAL; Gran Bretagna) (videocassetta).
Warner Home Video sigla alfanumerica non accertata (VHS; colore; stereo; PAL) (videocassetta).
140
1981
(San Francisco, War Memorial Opera House; 15 novembre).
Kevin Langan, Stefania Toczyska, Margaret Price, Luciano Pavarotti, Kurt Rydl, Simon Estes,
Colenton Freeman, Susan Quittmeyer.
Coro e Orchestra dell’Opera di San Francisco,
dir. Luís Antonio García Navarro.
regia Sam Wanamaker.
coreografia Marco Sappington.
scene Douglas Schmidt.
costumi Lawrence Casey.
luci Thomas Munn.
direzione ripresa visiva Brian Large.
direzione registrazione sonora Roger Gans.
produzione San Francisco Opera Association (U.S.A.).
distribuzione Warner Music Vision (U.S.A.).
distribuzione NVC Arts (Gran Bretagna).
origine U.S.A. 1981.
durata complessiva 163’32”.
durata effettiva musica 148’10” (39’53”+ 41’55”+ 32’28”+ 33’54”).
Warner Music Vision NVC Arts 3984-22366-3 (VHS; colore; stereo; NTSC e PAL) (videocassetta).
IRTEM 925.
Warner Music Vision sigla alfanumerica non accertata (DVD; 12 cm.; compact; colore; stereo;
ricostruzione digitale; NTSC e PAL; 4/3; codici 2-6) (videodisco).
1982
(Macerata, Sferisterio; 10 aut 15 luglio).
Francesco Ellero d’Artegna, Stefania Toczyska, Olivia Stapp, Giuseppe Giacomini, Carlo Cava,
Benito Di Bella, Giandomenico Bisi, Katia Lucarini.
Coro e Orchestra dell’Arena “Sferisterio” di Macerata,
dir. Carlo Franci.
regia Maria Eira D’Onofrio.
scene Gianrico Becher.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Italia 1982.
Lyric Distribution LDV 1304 (VHS o Betamax; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori
catalogo) (videocassetta).
1982
(Macerata, Sferisterio; 30 luglio).
Maurizio Mazzieri, Fiorenza Cossotto, Natal’ja Trojckaja, Nicola Martinucci, Ivo Vinco, Benito
Di Bella, Giandomenico Bisi, Katia Lucarini.
Coro e Orchestra dell’Arena “Sferisterio” di Macerata,
dir. Carlo Franci.
regia Maria Eira D’Onofrio.
scene Gianrico Becher.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Italia 1982.
Lyric Distribution LDV 1305 (VHS e Betamax; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori
catalogo) (videocassetta).
141
1983
(Ciudad de México, Palacio de Bellas Artes; 14 aprile).
Ignacio Martinez, Martha Félix, Awilda Verdejo, Alfonso Navarrete, Kosta Dinkov, Marco
Antonio Saldaña, Rodolfo Acosta, Lucila Columba.
Coro e Orchestra del “ Palacio de Bellas Artes” di Città del Messico,
dir. Uberto Zanolli.
regia Juan Ibañez.
coreografia Nellie Happee.
scene Antonio López Mancera.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Messico 1983.
Lyric Distribution LDV 1306 (VHS e Betamax; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori
catalogo) (videocassetta).
1983
(Puerto Rico).
non indicato, Mignon Dunn, Margherita Castro Alberty, William Johns, Justino Díaz, Mario Sereni,
non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Anton Guadagno.
regia non indicato.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Puerto Rico 1983.
Lyric Distribution LDV 1283 (VHS e Betamax; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori
catalogo) (videocassetta).
1983
(Canada?).
non indicato, Marijana Paunova, Vivianne Thomas, non identificato, Can Koral, Don Garrard,
non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Richard Woitach.
regia non indicato.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Canada? 1983.
Lyric Distribution 8099 (VHS; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
1983
(Antwerpen; 25 settembre).
non indicato, Livia Budai, Magdalena Cononovici, Maurice Stern, Chris De Mor, Allan Evans,
non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Arthur Fagen.
regia Frans Marijnen.
scene e costumi J. M. Fiévez.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Belgio 1983.
Lyric Distribution 1756 aut 1758 (VHS e Betamax; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori
catalogo) (videocassetta).
142
1985
(Milano, Scala; 7 dicembre).
Paata Bur≈uladze, Gena Dimitrova, Maria Chiara, Luciano Pavarotti, Nikolaj Gjaurov, Juan Pons,
Ernesto Gavazzi, Francesca Garbi.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Lorin Maazel.
regia Luca Ronconi.
coreografia Angelo Corti.
scene Mauro Pagano.
costumi Vera Marzot.
luci Vannio Vanni.
direzione ripresa visiva Derek Bailey.
direzione registrazione sonora Roy Emerson.
produzione RM Arts (Gran Bretagna).
produzione RAI - Radiotelevisione italiana.
distribuzione National Video Corporation (NVC - Gran Bretagna).
distribuzione Home Vision (U.S.A.).
distribuzione Pioneer Artists (U.S.A.).
distribuzione Virgin Vision (Gran Bretagna).
distribuzione CGD Videosuono (Italia).
distribuzione VideoLand Klassik (Austria).
distribuzione Image Entertainment (U.S.A.).
distribuzione ArtHaus Musik (Germania).
origine Italia 1985.
durata complessiva 160’.
durata effettiva musica 145’41” (40’26”+ 39’15”+ 32’50”+ 33’10”).
National Video Corporation sigla alfanumerica non accertata (VHS; colore; stereo; PAL o
SECAM; Gran Bretagna; fuori catalogo) (2 videocassette).
Arts International sigla alfanumerica non accertata (VHS; colore; stereo; NTSC?; U.S.A.; fuori
catalogo) (2? videocassette).
Home Vision sigla alfanumerica non accertata (VHS; colore; stereo; NTSC; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
CGD Videosuono 061043 (VHS; colore; stereo; PAL; Italia; fuori catalogo) (videocassetta).
IRTEM 71.
Virgin Vision VVD 378 (VHS; colore; stereo; PAL; Gran Bretagna) (videocassetta).
Videoland Klassik VL 002 (VHS; colore; stereo; PAL; Austria) (videocassetta).
IRTEM 1069.
Pioneer Artists PA-88-210 (laserdisc; compact; colore; registrazione stereo; ricostruzione digitale;
NTSC; U.S.A.; fuori catalogo) (2 videodischi).
Pioneer PLMCD 00071 (laserdisc; compact; colore; registrazione stereo; ricostruzione digitale;
PAL; U.S.A.; fuori catalogo) (2 videodischi).
RM Arts/Image Entertainment ID 5785 RADVD (DVD; 12 cm.; compact; colore; stereo;
ricostruzione digitale non compressa; NTSC; 4/3; codice 1; U.S.A.) (videodisco).
IRTEM DVD 25.
ArtHaus Musik 100 058 (DVD; 12 cm.; compact; colore; stereo; ricostruzione digitale non
compressa; PAL; 4/3; codici 2, 5, 6) (videodisco).
143
1987
(Torino, Regio; 13 aut 17 febbraio).
Carlo De Bortoli, Bruna Baglioni, Maria Chiara, Ottavio Garaventa, Roberto Scandiuzzi, Antonio
Salvadori, Umberto Scala, Laura Chierici.
Balletto nazionale del Nord-Roubaix-Pas de Calais, Corpo di ballo, Coro e Orchestra del Teatro
“Regio” di Torino,
dir. Nello Santi.
regia Gianfranco De Bosio.
coreografia Jean-Luc Leguay.
scene Aldo De Lorenzo.
costumi Zaira De Vincentiis.
produzione Ente autonomo Teatro “Regio” Torino (Italia).
distribuzione edizione fuori commercio.
origine Italia 1987.
Ente autonomo “Regio” Torino (videocassetta; 144’; ulteriori informazioni non disponibili).
1987
(Budapest, Teatro Erkel; 20 aprile).
László Polgár, Elena Obrazcova, Ilona Tokody, Plácido Domingo, Ferenc Begányi, Sándor
Sólyom-Nagy, András Laczó, Gabriella Szamadó.
Coro e Orchestra dell’Opera di Stato ungherese,
dir. Ervin Lukács.
regia András Mikó.
scene Gábor Forray.
costumi Tivadar Márk.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Ungheria 1987.
Lyric Distribution 8843 (VHS; colore; mono; NTSC; U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
1987
(Luxor; 6 aut 7 maggio).
Mario Luperi, Bruna Baglioni, Maria Chiara, Gianfranco Cecchele, Ivo Vinco, Silvano Carroli,
Gianfranco Manganotti, Maria Romano.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Donato Renzetti.
regia Renzo Giacchieri.
coreografia Dennis Wayne.
direzione ripresa visiva Fathy Abdel Sattar.
direzione registrazione sonora Ali Ahmed.
direzione registrazione sonora Ali Amer.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Egitto 1987.
durata complessiva 145’37”.
durata effettiva musica 134’39” (35’07”+ 39’27”+ 29’51”+30’14”).
Lyric Distribution PV 155-91 (PAL) e 8116 (NTSC) (VHS; colore; stereo; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
IRTEM 449
144
1988
(Parma, Regio; 18 gennaio).
Franco Federici, Elena Obrazcova, Maria Chiara, Nicola Martinucci, Cesare Siepi, Bruno Pola,
Gianfranco Manganotti, Wilma Colla.
Corpo di ballo del “Ballet Théâtre” di Micha Van Hoecke di Rosignano Solvay, Coro del Teatro
“Regio” di Parma, Cooperativa “Artisti del coro” e Orchestra Sinfonica dell’Emilia Romagna
“Arturo Toscanini”,
dir. Donato Renzetti.
regia Mauro Bolognini.
coreografia Micha Van Hoecke.
scene Mario Ceroli.
costumi Aldo Buti.
luci Alberto Roccheggiani.
direzione ripresa visiva Pierpaolo Pessini.
produzione non accertata.
distribuzione Bel Canto Society (U.S.A.).
origine Italia 1988.
durata complessiva 160’40”.
durata effettiva musica 138’57” (40’13”+ 39’28”+ 29’35”+ 29’41”).
Bel Canto Society BCS 694 (VHS; colore; stereo?; NTSC e PAL) (videocassetta).
IRTEM 1109
1988
(Taipei).
non indicato, Janice Meyerson, Franca Forgiero, Maurice Stern, non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Kwei-Sen.
regia non indicato.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Taiwan 1988.
Lyric Distribution LDV 1752 (VHS e Betamax; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori
catalogo) (videocassetta).
1988
(Sydney, Football Stadium; 6 dicembre?).
Donald Shanks, RuΩa Baldani, Katia Ricciarelli, Bruno Sebastian, Roberto Scandiuzzi, Piero
Cappuccilli, non indicato, Christa Leahmann.
Coro non indicato e “Elizabethan Sinfonietta”,
dir. Giuseppe Raffa.
regia Mauro Bolognini.
coreografia Brydon Paige.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Australia 1988.
Lyric Distribution 8598 (NTSC) e PV 601-93 (PAL) (VHS; colore; mono; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
145
1989
(Tokyo).
non indicato, Fiorenza Cossotto, Maria Chiara, Nicola Martinucci, Bonaldo Giaiotti, Piero Cappuccilli,
non indicati.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Nello Santi.
regia non indicato.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Giappone 1989.
Lyric Distribution LDV 1953 (VHS e Betamax; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
1989
(Verona, Arena; 11 luglio).
edizione “abbreviata”.
Alfredo Zanazzo, Bruna Baglioni, Aprile Millo, Franco Bonisolli, Francesco Ellero d’Artegna,
Garbis Boyagian, Giampaolo Grazioli, Aida Meneghelli.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Pinchas Steinberg.
regia Gianfranco De Bosio.
scene e costumi Vittorio Rossi.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Italia 1989.
Lyric Distribution LDV 1889 (VHS e Betamax; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
Premiere Opera 1364 aut 2353 aut 2559 (VHS; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.) (videocassetta).
1989
(Verona, Arena; 19 luglio).
Alfredo Zanazzo, Fiorenza Cossotto, Aprile Millo, Franco Bonisolli, Francesco Ellero d’Artegna,
Garbis Boyagian, Giampaolo Grazioli, Aida Meneghelli.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Pinchas Steinberg.
regia Gianfranco De Bosio.
scene e costumi Vittorio Rossi.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Italia 1989.
Lyric Distribution PV 156-91 (PAL) e 8117 (NTSC) (VHS; colore; stereo; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
146
1989
(New York, Metropolitan; 7 ottobre).
Dimitri Kavrakos, Dolora Zajick, Aprile Millo, Plácido Domingo, Paata Bur≈uladze, Sherrill
Milnes, Mark W. Baker, Margaret Jane Wray.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. James Levine.
regia Sonja Frisell.
coreografia Rodney Griffin.
scene Gianni Quaranta.
costumi Dada Saligeri.
luci Gil Wechsler.
direzione ripresa visiva Brian Large.
direzione registrazione sonora Jay David Saks.
produzione CAMI Video.
produzione Metropolitan Opera Association (U.S.A.).
distribuzione PolyGram (Germania).
distribuzione Universal (U.S.A.).
origine U.S.A. 1989.
durata complessiva 157’25”.
durata effettiva musica 143’01” (38’28”+ 40’20”+ 32’00”+ 32’13”).
PolyGram Deutsche Grammophon 072416-1 (PAL) e 072516-1 (NTSC) (laserdisc; compact; colore;
registrazione stereo digitale; fuori catalogo) (1½ videodischi).
PolyGram Deutsche Grammophon 072416-3 (PAL) e 072516-3 (NTSC) (VHS; colore; stereo;
fuori catalogo) (videocassetta).
IRTEM 581.
Universal Deutsche Grammophon 073 001-9 (DVD; 12 cm.; compact; colore; stereo digitale;
NTSC; 4/3; codice 0) (videodisco).
IRTEM DVD 92.
1990
(Toulon, Opéra; 20 aprile).
non indicato, Khristina Angelakova, Galina Savova, Lando Bartolini, Gérard Serkoyan, non
identificato, non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Gianfranco Rivoli.
regia Gian Paolo Zennaro.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Francia 1990.
Lyric Distribution 8298 (NTSC) e PV 296-92 (PAL) (VHS; colore; mono; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
1990
(Verona, Arena; 14 agosto).
Mikhail Rysov, Dolora Zajick, Sharon Sweet, Vincenzo Scuderi, Bonaldo Giaiotti, Silvano
Carroli, Mario Ferrara, Aida Meneghelli.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Anton Guadagno.
regia, scene e costumi Vittorio Rossi.
coreografia Pieter Van der Slout.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Italia 1990.
Lyric Distribution PV 379-92 (PAL) e 8372 (NTSC) (VHS; colore; mono; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
147
1990
(Oviedo, Campoamor; 8 ottobre).
Louis Hagen William, Adrjana Stamenova, Marija Gulegina, Bruno Sebastian, Thiodor Chiordea,
Matteo Manuguerra, non indicato, Inma Egido.
Corpo di ballo “Asociación Asturiana de Amigos de la Ópera”, Coro della “Wielka Opera” di Òodz
e Orchestra Filarmonica di Koπice,
dir. Ondrej Lenárd.
regia Francesco Privitera.
coreografia Leonardo Santos.
scene Angel Colomina.
produzione Asociación Asturiana Amigos de la Ópera (ASAO - Spagna).
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Spagna 1990.
durata complessiva 151’37”.
durata effettiva musica 141’09” (38’43”+ 40’28”+ 30’27”+ 31’31”).
Lyric Distribution PV 157-91 (PAL) e 8163 (NTSC) (VHS; colore; mono; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
IRTEM 448.
1991
(Palma de Mallorca, Principal; maggio).
non indicato, Sylvia Corbacho, Pauletta De Vaughn, Emil Ivanov, non identificato, Matteo
Manuguerra, non indicati.
Coro e Orchestra del “Teatre Principal” di Palma de Mallorca,
dir. Fabiano Monica.
regia Serafí Guiscafré.
coreografia Rosemary Rehnm.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Spagna 1991.
Lyric Distribution 8421 (NTSC) e PV 424-92 (PAL) (VHS; colore; mono; U.S.A.; fuori catalogo)
(videocassetta).
1991
(Marseille, Opéra; maggio aut giugno).
non indicato, Grace Bumbry; Leona Mitchell, Lando Bartolini, Mario Luperi, Ingvar Wixell, non
indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir.Henry Lewis.
Premiere Opera 2308 (VHS; colore; mono; U.S.A.) (videocassetta).
148
1991
(Long Island).
non indicato, Natalie Reese, Marisa Galvany, Vincenzo Scuderi, Gregory Stapp, Mark Rucker,
non indicati.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Borislav (?) Ivanov.
regia non indicata.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine U.S.A. 1991.
Lyric Distribution 8449 (VHS; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
1992
(Roma, Terme Caracalla; 30 luglio).
Giancarlo Boldrini, Gail Gilmore, Aprile Millo, Giuseppe Giacomini, Roberto Scandiuzzi, Silvano
Carroli, Aldo Bottion, Renata Lamanda.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma,
dir. Andrea Licata.
regia Silvia Cassini.
coreografia Franca Bartolomei.
scene Giovanni Cruciani (da Camillo Parravicini)
costumi Carla Pozzoli (da Caramba).
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Italia 1992.
Lyric Distribution 8450 (VHS; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
Premiere Opera 1862 (VHS; colore; mono; NTSC e PAL; U.S.A.) (videocassetta).
1992
(Verona, Arena; 18 agosto).
Carlo Striuli, Dolora Zajick, Maria Chiara, Kristján Jóhannsson, Nikola Gjuzelev, Juan Pons,
Angelo Casertano, Lorella Antonini.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Nello Santi.
regia Gianfranco De Bosio
coreografia Susanna Egri.
scene Rinaldo Olivieri (da Ettore Fagiuoli).
direzione ripresa visiva Gianni Casalino.
produzione Multigram.
produzione Euphon International.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Italia 1992.
Lyric Distribution 8767 (VHS; colore; stereo; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
149
1994
(London, Covent Garden; 16 giugno).
Mark Beesley, Luciana D’Intino, Cheryl Studer, Dennis O’Neill, Robert Lloyd, Alexandru
Agache, John Marsden, Yvonne Barclay.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Edward Downes.
regia Elijah Moshinsky.
coreografia Kate Flatt.
scene e costumi Michael Yeargan.
luci Howard Harrison.
direzione ripresa visiva Brian Large.
direzione registrazione sonora John Middleton.
produzione British Broadcasting Corporation (BBC- Gran Bretagna).
produzione Covent Garden Pioneer (Gran Bretagna).
produzione Nippon Hoso Kyokai (NHK- Giappone).
produzione Royal Opera House Covent Garden (Gran Bretagna).
distribuzione Home Vision (U.S.A.).
distribuzione VideoLand Klassik (Austria).
distribuzione Pioneer (U.S.A.).
distribuzione Covent Garden Pioneer (Gran Bretagna).
origine Gran Bretagna 1994.
durata complessiva 150’39” (82’51” + 67’48”).
durata effettiva musica 144’48” (81’36”[39’46” + 41’50”] + 63’12” [31’43” + 31’29”]).
Home Vision AID 050 (VHS; colore; stereo; NTSC; U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
VideoLand Klassik CGVL 014 (VHS; colore; stereo; PAL) (videocassetta).
IRTEM 766.
Pioneer PLMCC 01031 (laserdisc; compact; colore; stereo; ricostruzione digitale; PAL; fuori
catalogo) (1½ videodischi).
Covent Garden Pioneer 08924-4 (DVD; 12 cm.; compact; colore; stereo; ricostruzione digitale;
PAL; 4/3; codice 2; Gran Bretagna) (videodisco).
IRTEM DVD 186.
Pioneer 8425-73608-924-2 (compact; colore; stereo; ricostruzione digitale; NTSC; 4/3; codice 2;
U.S.A.) (videodisco).
1995
(Sankt Petersburg, Marijnskij).
Gennadij Bezzubenkov, Ol’ga Borodina, Galina Gor≈akova, Vladimir Galuzin, Vladimir Ognovenko,
Nikolaj Putilin, non indicati.
Coro e Orchestra “Kirov” del Teatro “Marijnskij” di San Pietroburgo,
dir. Valerij Gergiev.
regia non indicato.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Russia 1995.
Lyric Distribution 8916 (VHS; colore; stereo; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori catalogo) (videocassetta).
Premiere Opera 2096 (VHS; colore; stereo; NTSC e PAL; U.S.A.) (videocassetta).
150
1995
(Orange, Chorégies, Antique; 11 luglio).
Philip Kang, Dolora Zajick, Leona Mitchell, Gegam Grigorjan, Paata Bur≈uladze, Alain Fondary,
Jean-Pierre Furlan, Cécile Perrin.
Corpi di ballo dei Teatri d’opera di Avignone e di Tolone, Cori dei Teatri d’opera di Marsiglia, di
Avignone e di Rouen, Coro bulgaro e Orchestra Nazionale di Francia,
dir. Georges Prêtre.
regia Charles Roubaud.
scene Isabelle Partiot.
costumi Katia Duflot.
produzione non accertata.
distribuzione Lyric Distribution (U.S.A.).
origine Francia 1995.
Lyric Distribution 8844 (VHS; colore; stereo?; NTSC e PAL; U.S.A.; fuori catologo) (videocassetta).
1997
(St. Margarethen; luglio).
edizione “abbreviata”.
Ivan Tomasev, Adriana Nicolai, Pauletta DeVaughn, Bruno Sebastian, Aleksander Teliga, Walter
Donati, Franco Traverso, Francesca Lauri.
Coro “Cosacchi del Don” integrato con coristi opera Praga e opera Bratislava e Orchestra della
“Stagione d’Opera italiana”,
dir. Giorgio Croci.
regia Martin Dubowitz.
scene Manfred Waba.
costumi Pietro Pizzolante.
produzione Am@do (Germania).
distribuzione Cascade (Germania).
origine Austria 1997.
durata complessiva 58’07”.
durata effettiva musica 54’00” (22’05” + 12’24” + 5’33” + 13’58”).
Cascade 51 004 (DVD; 12 cm.; compact; stereo; ricostruzione digitale; colore; PAL; 4/3; codice 0)
(videodisco).
IRTEM DVD 334.
151
1998
(Napoli, San Carlo; 8 dicembre).
Carlo Striuli, Dolora Zajick, Fiorenza Cedolins, Walter Fraccaro, Giacomo Prestia, Vittorio Vitelli,
Angelo Casertano, Antonella Trevisan.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra del Teatro “di San Carlo” di Napoli,
dir. Daniel Oren.
regia Gianfranco De Bosio.
coreografia Susanna Egri.
coreografia Anna Razzi.
scene Aldo De Lorenzo.
costumi Zaira De Vincentiis.
luci Vittorio Garofalo.
luci Antonio Baldoni.
direzione ripresa visiva Elisabetta Brusa.
direzione registrazione sonora Valter B. Neri.
produzione non accertata.
distribuzione Hardy Classic Video (Italia).
distribuzione Eagle Rock Entertainment (Gran Bretagna).
distribuzione Image Entertainment (U.S.A.).
distribuzione Brilliant Classic (Olanda).
origine Italia 1998.
durata complessiva 155’44”.
durata effettiva musica 149’15” (39’37” + 41’38” + 32’21” + 34’39”).
Hardy Classic Video ER 5005 (VHS; colore; stereo; PAL) (videocassetta).
Eagle Rock Entertainment PLC/Image Entertainment ID 1514ERDVD (DVD; 12 cm.; compact;
colore; stereo digitale; NTSC; 16/9; codice 0) (videodisco).
Brilliant Classic 92 272 (DVD; 12 cm; compact; registrazione digitale; colore; PAL; 16/9; codice 0)
(videodisco).
IRTEM DVD 335.
1999
(Verona, Arena; 25 giugno).
Carlo Striuli, Larisa Djadkova, Sylvie Valayre, José Cura, Andrea Papi, Leo Nucci, Aldo Orsolini,
Antonella Trevisan.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra della Fondazione “Arena” di Verona,
dir. Daniel Oren.
regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi.
coreografia Gheorghe Jancu.
luci Gigi Saccomandi.
produzione non accertata.
distribuzione Premiere Opera (U.S.A.).
origine Italia 1999.
Premiere Opera 2027 (VHS; stereo; colore; NTSC e PAL; U.S.A.) (videocassetta).
2000
(Verona, Arena; 2 agosto).
Carlo Striuli, Nina Terent’eva, Daniela Dessì, Vladimir Galuzin, Andrea Papi, Alberto Gazale,
Aldo Orsolini, Antonella Trevisan.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra della Fondazione “Arena” di Verona,
dir. Daniel Oren.
regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi.
coreografia Gheorghe Jancu.
luci Gigi Saccomandi.
produzione non accertata.
distribuzione Premiere Opera (U.S.A.).
origine Italia 2000.
Premiere Opera 2165 (VHS; stereo; colore; NTSC e PAL; U.S.A.) (videocassetta).
152
2001
(Busseto, Verdi; 27 gennaio).
omette atto 2°, Danza dei moretti e Ballabile.
Paolo Pecchioli, Kate Aldrich, Adina Aaron, Scott Piper, Enrico Giuseppe Iori, Giuseppe Garra,
Stefano Pisani, Micaela Patriarca.
Carla Fracci, danzatrice.
Coro e Orchestra della Fondazione “Arturo Toscanini”,
dir. Massimiliano Stefanelli.
regia e scene Franco Zeffirelli.
coreografia Luc Bouy.
costumi Anna Anni.
luci Vinicio Cheli.
direzione ripresa visiva Luca Verdone.
direzione registrazione sonora Enzo Ferrara.
direzione registrazione sonora Gabriele Franchini.
direzione registrazione sonora Emanuele Garofalo.
produzione RAI Cinema (Italia).
produzione RAI Trade (Italia).
produzione Fondazione “Arturo Toscanini” (Italia).
produzione Teatro Comunale Modena (Italia).
produzione Teatro “Alighieri” Ravenna (Italia).
distribuzione TDK Recording Media Europe (Lussemburgo).
origine Italia 2001.
durata complessiva 144’40” (75’10”+ 69’30”).
durata effettiva musica 136’29” (70’37”[39’10”+ 31’27”] + 65’52” [32’40”+ 33’12”]).
Premiere Opera 2057 (VHS; stereo; colore; NTSC e PAL; U.S.A.) (videocassetta).
TDK Mediactive DV-AIDDB (DVD; 12 cm; compact; registrazione stereo; ricostruzione digitale;
colore; PAL; 4/3; codice 0) (2 videodischi).
IRTEM DVD 218.
2003
(Basel, St.Jakob Park; 17 e 19 giugno).
Stefano Rinaldi Miliani, Hermine Nay, Ines Salazar, Keith Olsen, Ivan Urbas, Johannes Von
Duisburg, Alessandro Cosentino, Sonia Dorigo.
Corpo di ballo di Ustí nad Labem, “Zirkusschule”, “Ballettschule Theater” di Basilea, Coro del
Teatro di Basilea, Coro “Musik Convents” e Orchestra Sinfonica di Basilea,
dir. Marko Letonia.
regia Petrika Ionesco.
coreografia Krzysztof Pastor.
scene e costumi Bernard Arnould.
luci Marc Heinz.
direzione ripresa visiva Richard Valk.
direzione registrazione sonora Stan Taal.
produzione Good News Companions Opera (Olanda).
produzione No Planb (Olanda).
distribuzione Companions Opera (Olanda).
origine Svizzera 2003
durata complessiva 152’17”.
durata effettiva musica 140’31” (37’39”+ 38’33”+ 31’45”+ 32’34”).
Companions Opera DVDG 2007 D (DVD; 12 cm; compact; stereo digitale; colore; PAL; 16/9;
codice 0) (videodisco).
IRTEM DVD 331.
153
2003
(Barcelona, Liceu; 21 e 24 luglio).
Stefano Palatchi, Elisabetta Fiorillo, Daniela Dessì, Fabio Armiliato, Roberto Scandiuzzi, Juan
Pons, Josep Fadó, Ana Nebot.
Corpo di ballo “Companiya Metros”, Coro e Orchestra del Gran Teatro del “Liceu” di Barcellona,
dir. Miguel Ángel Gómez Martínez.
regia José Antonio Gutiérrez.
coreografia Ramon Oller.
scene Jordi Castells (da Josep Mestres Cabanes).
costumi Franca Squarciapino.
luci Albert Faura.
direzione ripresa visiva Toni Bargalló.
direzione registrazione sonora Piet Bakker.
produzione “Gran Teatre del Liceu” Barcellona (Spagna).
produzione Festival Internazionale Musica Santander (Spagna).
distribuzione BBC Opus Arte (Gran Bretagna).
origine Spagna 2003.
durata complessiva 166’04”.
durata effettiva musica 153’12” (41’01” + 43’09” + 34’56” + 34’06”).
BBC Opus Arte OA 0894 (DVD; 12 cm.; compact; stereo digitale; colore; NTSC; 16/9; codice 0)
(2 videodischi).
IRTEM DVD 336.
154
EDIZIONI TELEVISIVE
1937
(BBC).
non indicato, Gladys Garside, Dorothy Stanton, Alec John, non indicato, Joseph Satariano, non
indicati.
“The Matania Operatic Society” e Orchestra della televisione della “British Broadcasting
Corporation” (BBC),
dir. Hyam Greenbaum.
regia Dallas Bower.
produzione British Broadcasting Corporation (BBC - Gran Bretagna).
origine Gran Bretagna 1937.
videotrasmessa data non accertata.
IMZ 11820.
1949
(New York, NBC, studio 8H; 26 marzo e 2 aprile; concerto).
Denis Harbour, Eva Gustavson, Herva Nelli, Richard Tucker, Norman Scott, Giuseppe Valdengo,
Virginio Assandri, Teresa Stich-Randall.
Corale “Robert Shaw” e Orchestra Sinfonica della “National Broadcasting Company” (NBC) di
New York,
dir. Arturo Toscanini.
regia Doug Rodgers.
direzione registrazione sonora Charles Grey.
produzione NBC (National Broadcasting Company) (U.S.A.).
origine U.S.A. 1949.
videotrasmessa 26 marzo e 2 aprile 1949 (NBC).
IMZ 11266 (149’).
1957
(Berlin, Deutsche Staatsoper).
produzione Deutscher Fernsehen Funk (DFF).
origine Germania 1957.
ulteriori informazioni non disponibili.
IMZ 11824.
155
1958
Hans Ducrue, Miriam Pirazzini, Maria Curtis Verna, Umberto Borsò, non identificato, Ettore
Bastianini, Willi Kubesch, Norma Willmann.
Coro e Orchestra non indicati,
dir. Anton Mooser.
(cantata in tedesco; traduzione Julius Schanz).
regia Hannes Schönfelder.
scene e costumi Hans Ulrich Schmückle.
coreografia Kurt Paudler.
produzione Bayerischer Rundfunk (BR - Germania).
origine Germania 1958.
videotrasmessa data non accertata.
IMZ 11825.
1961
(Canada).
produzione Canadian Broadcasting Corporation - English (CBC-E; Canada).
origine Canada 1961.
ulteriori informazioni non disponibili.
IMZ 11827.
1961
(Tokyo, Bunka Kaikan; 16 ottobre).
Silvano Pagliuca, Giulietta Simionato, Gabriella Tucci, Mario Del Monaco, Paolo Washington,
Aldo Protti, Athos Cesarini, Sumie Kawauci.
Balletto “Coralias”, Coro della Radio di Tokyo, Coro dell’Opera italiana della “Nippon Hoso
Kyokai” (NHK), Coro dell’Opera lirica di Nikikai e di Fujiwara e Orchestra Sinfonica della
“Nippon Hoso Kyokai” (NHK) di Tokyo,
dir. Franco Capuana.
regia Carlo Piccinato.
coreografia Roy Tobias.
coreografia Hiroshi Shimada.
scene Enzo Deho.
produzione Nippon Hoso Kyokai (NHK - Giappone).
origine Giappone 1961.
videotrasmessa data non accertata.
IMZ 10309 (163’25”).
1961
(Venezia, Fenice; 26 dicembre).
Bruno Marangoni, Adriana Lazzarini, Gloria Davy, Carlo Bergonzi, Ferruccio Mazzoli, Gian
Giacomo Guelfi, Ottorino Begali, non indicata.
Coro e Orchestra del Gran Teatro “La Fenice” di Venezia,
dir. Francesco Molinari Pradelli.
regia e coreografia Luciana Novaro.
scene Mario Chiari.
produzione RAI - Radiotelevisione italiana.
origine Italia 1961.
videotrasmessa data non accertata.
IMZ 11828.
156
1962
(Ungheria).
produzione Magyar Televizió (MT - Ungheria).
origine Ungheria 1962.
ulteriori informazioni non disponibili.
IMZ 11829.
1963
(Verona, Arena; 8 agosto).
omette atto 4° (non rappresentato per pioggia).
Antonio Zerbini, Giulietta Simionato, Leyl Gencer, Gastone Limarilli, Bonaldo Giaiotti, Gian
Giacomo Guelfi, Ottorino Begali, Silvana Tumicelli.
Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Tullio Serafin.
regia Carlo Maestrini (da Herbert Graf).
coreografia Ria Teresa Legnani.
scene e costumi Pino Casarini.
direzione ripresa visiva M. M. Yon.
produzione RAI - Radiotelevisione italiana.
origine Italia 1963.
videotrasmessa data non accertata.
IMZ 11830.
1966
(Bulgaria).
produzione Bulgarian Television (BT - Bulgaria).
origine Bulgaria 1966.
ulteriori informazioni non disponibili.
IMZ 11832.
1966
(Verona, Arena; 3 agosto).
Franco Pugliese, Fiorenza Cossotto, Leyl Gencer, Carlo Bergonzi, Bonaldo Giaiotti, Anselmo
Colzani, Ottorino Begali, Adalina Grigolato.
Balletto del Teatro d’opera e di balletto “Kirov” di Leningrado, Coro e Orchestra dell’Ente lirico
“Arena” di Verona,
dir. Franco Capuana.
regia Herbert Graf.
coreografia Konstantin Sergeev.
coreografia Ria Teresa Legnani.
scene e costumi Pino Casarini.
luci Alberto Fusi.
direzione ripresa visiva Cesare Barlacchi.
produzione RAI - Radiotelevisione italiana.
origine Italia 1966.
videotrasmessa 28 agosto 1966 (ZDF).
IMZ 10105.
157
1969
(London, Covent Garden).
David Kelly, Grace Bumbry, Gwyneth Jones, Charles Craig, Joseph Rouleau, John Shaw, Glynne
Thomas, Anne Finley.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Edward Downes.
regia Peter Potter.
coreografia Peter Wright.
scene e costumi Nicholas Georgiadis.
direzione ripresa visiva John Vernon.
produzione British Broadcasting Corporation (BBC - Gran Bretagna).
origine Gran Bretagna 1969.
videotrasmessa 26 dicembre 1969 (BBC).
IMZ 10116 (146’11”).
1981
(Verona, Arena; 31 luglio).
Alfredo Zanazzo, Fiorenza Cossotto, Maria Chiara, Nicola Martinucci, Carlo Zardo, Giuseppe
Scandola, Gian Paolo Corradi, Maria Gabriella Onesti.
Ileana Iliescu, George Iancu, Rosalba Garavelli, Richard Duquesnay, danzatori solisti.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Anton Guadagno.
regia Giancarlo Sbragia.
coreografia Roberto Fascilla.
scene e costumi Vittorio Rossi.
luci Davide Altschüler.
luci Mohammed Soudani.
direzione ripresa visiva Brian Large.
direzione registrazione sonora Jay David Saks.
produzione National Video Corporation (NVC - Gran Bretagna).
produzione RAI - Radiotelevisione italiana.
produzione RTSI - Radio Televisione Svizzera Italiana.
produzione Polivideo (Italia).
distribuzione National Video Corporation (NVC - Gran Bretagna)
origine Italia 1981.
videotrasmessa 3 luglio 1983 (ORF 1).
IMZ 8181 (156’).
1981
(San Francisco, War Memorial Opera House; 15 novembre).
Kevin Langan, Stefania Toczyska, Margaret Price, Luciano Pavarotti, Kurt Rydl, Simon Estes,
Colenton Freeman, Susan Quittmeyer.
Coro e Orchestra dell’Opera di San Francisco,
dir. Luís Antonio García Navarro.
regia Sam Wanamaker.
coreografia Marc Sappington.
scene Douglas Schmidt.
costumi Lawrence Casey.
luci Thomas Munn.
direzione ripresa visiva Brian Large.
direzione registrazione sonora Roger Gans.
produzione San Francisco Opera Association (U.S.A.).
distribuzione Warner Music Vision.
origine U.S.A. 1981.
videotrasmessa 15 novembre 1981 (ZDF).
IMZ 10488 (163’).
158
1985
(Milano, Scala; 7 dicembre).
Paata Bur≈uladze, Gena Dimitrova, Maria Chiara, Luciano Pavarotti, Nikolaj Gjaurov, Juan Pons,
Ernesto Gavazzi, Francesca Garbi.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra del Teatro “alla Scala” di Milano,
dir. Lorin Maazel.
regia Luca Ronconi.
coreografia Angelo Corti.
scene Mauro Pagano.
costumi Vera Marzot.
luci Vannio Vanni.
direzione ripresa visiva Derek Bailey.
direzione registrazione sonora Roy Emerson.
produzione RM Arts (Gran Bretagna).
produzione RAI - Radiotelevisione italiana.
distribuzione National Video Corporation (Gran Bretagna).
origine Italia 1985.
videotrasmessa 7 agosto 1986 (DRS).
IMZ 8151 (160’).
1988
(Lanzarote).
produzione McCann International.
origine Spagna 1988.
ulteriori informazioni non disponibili.
IMZ 9329 (116’).
1989
(New York, Metropolitan; 7 ottobre).
Dimitri Kavrakos, Dolora Zajick, Aprile Millo, Plácido Domingo, Paata Bur≈uladze, Sherrill Milnes,
Mark W. Baker, Margaret Jane Wray.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra del Teatro d’opera “Metropolitan” di New York,
dir. James Levine.
regia Sonja Frisell.
coreografia Rodney Griffin.
scene Gianni Quaranta.
costumi Dada Saligeri.
luci Gil Wechsler.
direzione ripresa visiva Brian Large.
direzione registrazione sonora Jay David Saks.
produzione CAMI Video.
produzione Metropolitan Opera Association (U.S.A.).
distribuzione CAMI Video.
origine U.S.A. 1989.
videotrasmessa 27 dicembre 1989 (PBS).
IMZ 9016 (165’).
159
1992
(Verona, Arena; 18 agosto).
Carlo Striuli, Dolora Zajick, Maria Chiara, Kristján Jóhannsson, Nikola Gjuzelev, Juan Pons,
Angelo Casertano, Lorella Antonini.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra dell’Ente lirico “Arena” di Verona,
dir. Nello Santi.
regia Gianfranco De Bosio.
coreografia Susanna Egri.
scene Rinaldo Olivieri (da Ettore Fagiuoli).
direzione ripresa visiva Gianni Casalino.
produzione Multigram.
produzione Euphon International.
distribuzione Multigram.
origine Italia 1992.
videotrasmessa data non accertata.
IMZ 10635 (145’; “hifi stereo digitale”).
1994
(London, Covent Garden; 16 giugno).
Mark Beesley, Luciana D’Intino, Cheryl Studer, Dennis O’Neill, Robert Lloyd, Alexandru Agache,
John Marsden, Yvonne Barclay.
Corpo di ballo, Coro e Orchestra del Teatro reale d’opera “Covent Garden” di Londra,
dir. Edward Downes.
regia Elijah Moshinsky.
coreografia Kate Flatt.
scene e costumi Michael Yeargan.
luci Howard Harrison.
direzione ripresa visiva Brian Large.
direzione registrazione sonora John Middleton.
produzione British Broadcasting Corporation (BBC - Gran Bretagna).
produzione Nippon Hoso Kyokai (NHK - Giappone).
produzione Royal Opera House Covent Garden (Gran Bretagna).
origine Gran Bretagna 1994.
videotrasmessa data non accertata.
IMZ deest.
160
Finito di stampare
nel novembre 2004