San Donato vs San Giuliano: un po` di storia

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San Donato vs San Giuliano: un po` di storia
Nuvola, trimestrale giovanile gratuito edito dall’Amministrazione Comunale di San Donato Milanese, Numero 11, Febbraio 2003
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Emergency, il simbolo
della pace: impegno e
coerenza al servizio dei
più sfortunati e del sogno
di un mondo migliore
Philip K. Dick: il più
grande sceneggiatore
del 900... un filosofo
nei panni di uno scrittore
di fantascienza
San Donato vs San Giuliano: un po' di storia
Centro Sociale Comunale:
bambini, giochiamo a cambiare?
Bebo Storti: come conciliare nobili
arrapati e la commedia dell'arte
Graffiti in libertà a San Donato
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NUVOLA
NUMERO 11
febbraio 2003
Periodico giovanile
trimestrale gratuito
dell’Amministrazione
Comunale di San
Donato Milanese
edito dall’Azienda
Comunale di Servizi
Redazione
Giulia Bassani
Sara Battini
Sergio Bianco
Stefania De Donatis
Monica Favara
Massimiliano Gatti
Marco Guizzi
Andrea Loro
Nicolò Maioli
Chiara Marinoni
Maria Mazzei
Sara Scaramella
Progetto Grafico
Simone Castagnini
Art Director
Monica Favara
Art Consultant
Massimiliano “Gatto” Gatti
Fotografa
Maria Mazzei
Photo Editor
Sergio Bianco
Impaginazione
Andrea Titone
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SOMMARIO
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SAN DONATO - SAN GIULIANO
Due comuni e due punti di vista:
San Donato raccontata da un suo
cittadino e da uno di San Giuliano.
Registrazione Tribunale di
Milano n. 368 del 12/05/1999
Direttore Responsabile
Simone Castagnini
Direttore Editoriale
Andrea Titone
Caporedattore
Matteo Marzoli
2.30
10
CARPE ARTEM
Graffiti in via Caviaga: un progetto
chiamato “Carpe Artem” realizzato
da giovani sandonatesi, ideato dal CAG.
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SANDONATO REVOLUTION
Continua l’inchiesta sulle proposte
per San Donato. In questo numero
“miglioriamo” il Centro Sociale di via Parri.
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VIVERE LA PACE
Si è concluso il concorso artistico
e letterario indetto dall’Ufficio Pace.
Nuvola ha partecipato alle premiazioni.
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17 IL CINEMA DEL “CORTO”
E.D.E.N., due giorni di riprese
per un cortometraggio di 11 minuti,
interamente girato a San Donato.
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L’INFERNO A QUOTA 33
Non dimentichiamo i nostri
giovani sfortunati eroi, protagonisti
della battaglia di El Alamein.
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THE EMERALD ISLE
Nuvola vi offre qualche utile
consiglio di viaggio per l’Irlanda,
la magica terra dello smeraldo!
Hanno Collaborato
Alessandra Bussalino
Simone Castagnini
Giuditta Gelati
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UN GIOCO DA RAGAZZI
Uscire dalla schiavitù della droga e
tornare a vivere è possibile: ce lo racconta il melegnanese Ruggero Marinello.
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24
Redazione Nuvola
Piazza Generale C. A.
Dalla Chiesa, 1 - 20097
San Donato Milanese MI
Fotolito
News Spa
Via N. Bixio, 4 - Milano
Stampa
PMS Colours Srl
Via E. Ponti, 53/11 - Milano
Distribuzione
Agesci di San Donato Mil.se
Chiuso il 20/12/2002
Tiratura 3000 copie
Editore
Amministazione
Pubblicità
Azienda Comunale
di Servizi - Via Unica
Bolgiano, 18 - 20097
San Donato Milanese MI
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EMERGENCY
Un’organizzazione no profit che
si batte per aiutare le vittime civili
delle guerre di tutto il mondo.
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CINEMA D’AUTORE
Film che tutti conoscono tratti
dall’opera letteraria di uno scrittore
meno conosciuto: Philip K. Dick.
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28
COMA-COLA
Una simpatica vignetta del nostro
simpatico grafico di redazione. Tutti ce
lo invidiano, ma non lo daremo a nessuno!
31
10 MINUTI CON BEBO STORTI
Intervista a uno dei comici più
apprezzati dai giovani, iedatore di
personaggi come il conte Ugaccione.
www.nuvola.org
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EDITORIALE
SHORT
TALKS
Se tutto va bene domani si va in stampa. Fa un certo effetto
scrivere l’editoriale poche ore prima che il giornale inizi il
processo che lo farà diventare di carta. Probabilmente questa è
una cosa all’ordine del giorno nelle riviste “vere”, ma per noi di
Nuvola, che non siamo professionisti - ma che ce la mettiamo
tutta per rendere il nostro prodotto il più professionale
possibile - questo numero rappresenta un traguardo importante.
È da poco meno di un mese che è in distribuzione il numero
dieci e noi abbiamo abbiamo già chiuso il numero undici. Prima
d’ora non ci era mai successo di aver terminato un numero a
così poco tempo di distanza dall’uscita del precedente; e se le
cose continuano così, abbiamo una possibilità oggettiva di
rispettare la periodicità che ci siamo prefissati. Questi sono i
risultati di un progetto a cui abbiamo iniziato a pensare più o
meno un anno fa, che riguarda la nuova veste grafica, la nuova
modalità di distribuzione, il sito di Nuvola e soprattutto una
nuova e più efficiente organizzazione del lavoro di redazione.
Ci siamo impegnati per concentrare maggiormente la nostra
attenzione su San Donato, tanto che metà giornale parla del
nostro comune. Ora ci piacerebbe sapere cosa ne pensano i
lettori: scriveteci, veniteci a trovare o “fate un salto” sul sito,
dove potrete lasciare un messaggio nella bacheca virtuale.
È bello puntare in alto e ripromettersi di migliorare sempre.
È molto più soddisfacente riuscirci. Ed è a questo proposito che
vorrei usare le ulltime righe per complimentarmi con tutta la
Redazione di Nuvola per l’ottimo lavoro svolto. Perché è
soltanto grazie all’impegno e alla passione di tutti che ora
potete sfogliare queste pagine.
E come direbbe Bugs Bunny: “Questo è tutto, gente!”
Abbiamo iniziato la
nuova distribuzione,
e il numero dieci è
stato recapitato nelle
caselle della posta di
Poasco, Sorigherio,
via Trieste, via
Trento, via Venezia,
via Gorizia, via
Vittorio Veneto, via
Agadir, via Salvemini
via Dossetti (numeri
pari e numeri 13 e
15), e l’inizio di via
Parri. Purtroppo non
possiamo ancora
segnalare quale sarà
la zona di distribuzione di questo
numero, ma non
appena lo sapremo,
questa informazione
sarà disponibile sul
sito. Ovviamente è
sempre possibile
reperire una copia
nei soliti punti di
ditribuzione
(Comune, Biblioteca,
ecc.) o venendoci a
trovare direttamente
in redazione, tutte le
domeniche a partire
dalle 21:45, in Piazza
Generale C. A. Dalla
Chiesa, 1 (di fianco
al cinema Troisi!).
ANDREA TITONE
[email protected]
[email protected]
Per mandarci
il tuo articolo:
[email protected]
Per domande e contatti:
[email protected]
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COSÌ VICINI
COSÌ LONTANI
ANDREA LORO [email protected]
STEFANIA DE DONATIS [email protected]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SU
UNA CITTÀ ECCEZIONALE
San Giuliano e San Donato sono due realtà
tanto vicine geograficamente quanto
lontane per quanto riguarda il loro aspetto
e le realtà a cui fanno da sfondo: basta uno
sguardo superficiale per rendersi conto di
come i sangiulianesi possano
considerarsi
“cugini meno
fortunati”. La realtà è un po’
diversa, dal momento che, mentre San
Giuliano appare molto simile a un gran
numero di altri centri dell’hinterland
milanese, San Donato ha un aspetto
decisamente da quartiere residenziale e,
francamente, decisamente più carino. Viali
alberati, percorsi di footing, centri sportivi,
aree riqualificate… ma, ci si potrebbe
chiedere, è tutto oro quello che luccica?
Tale domanda sorge spontanea in molte
persone che, pur abitando nei comuni limitrofi, vivono buona parte del loro tempo a
San Donato per motivi di studio o di lavoro.
SAN DONATO CITTÀ
SENZ’ANIMA? ECCO I
PARERI DI CHI CI ABITA E
DI CHI LA
VIVE,
ABITANDO
A SAN
GIULIANO
L’immagine che San Donato da di sè è
quella di una realtà quantomeno atipica,
che più della cosiddetta “anima” della
città riflette una parvenza di “anticamera
ben arredato” di una grande realtà
imprenditoriale come l’Eni.
La sua particolarità è stata in passato più
volte sottolineata, dal momento che San
Donato destò scalpore per essere uno
dei pochi comuni italiani con una
percentuale di operai inferiore a quella
degli impiegati, e a tutt’oggi è uno dei
comuni d’Europa con il più alto tasso di
laureati tra i residenti.
Una realtà siffatta stride fortemente con
quella delle città limitrofe, tra cui San
Giuliano, nella quale gli strati sociali sono
più equamente rappresentati e lo sviluppo
ha seguito strade più lineari rispetto a
quello sandonatese, fortemente influenzato
dalla presenza del centro direzionale di
una delle
più import a n t i
imprese
italiane.
Nonostante possa
ad oggi
sfoggiare
infrastrutture all’avanguardia,
la sensazione è che
In queste due pagina, partendo da sinistra: graffiti a San Giuliano, il Primo Palazzo Uffici e il
Quinto Palazzo Uffici (sedi di aziende del gruppo ENI); case e negozi di nuovo a San Giuliano.
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San Donato abbia progressivamente perso
per strada la propria identità, proprio per
effetto del suo passaggio da piccolo
comune agricolo
ad area residenziale.
Per questo motivo si è diffusa
l’idea (per certi
aspetti più che
condivisibile) che
San Donato sia
una sorta di isola
felice, dove mediamente gli abitanti
sono benestanti, istruiti e “coccolati” da
una serie di benefits quali aree verdi,
manifestazioni culturali, marciapiedi con
mattonelle rosa ecc…
Inoltre, mentre a San Giuliano molte
persone sentono fortemente un legame
con questa terra e con la sua storia,
l’impressione è che i sandonatesi tendenzialmente abitino a San Donato, ma non si
sentano di San Donato: forse perché è
soltanto un luogo di lavoro e nulla più,
dove c’è una vita sociale che si è sviluppata
soltanto attorno a (efficienti) infrastrutture
all’uopo realizzate.
Vivendo in questa realtà, e potendo al contempo confrontarla con quelle limitrofe, si
fa strada l’impressione che a San Donato
manchi qualcosa per essere veramente
perfetta, per essere veramente una città.
Eppure sembra esserci tutto, dalla metro-
politana al bosco, e allora come mai
questo senso di incompiutezza?
Questa sensazione diventa sempre più
incisiva osservando anche le manifestazioni
culturali e ricreative che vengono proposte
a San Donato durante l’anno.
Ci si sarà accorti come queste abbiano
progressivamente privilegiato l’aspetto
locale, cercando di riscoprire il legame
esistente tra la città e il territorio di
cui fa parte.
Non è azzardato pensare che a monte ci
sia un tentativo di diffondere una sorta
di cultura locale tra gli abitanti (che in
molti casi si definiscono semplici
residenti…), al fine di renderli consapevoli
di tradizioni che, ormai, li riguardano da
vicino: ci si è forse finalmente accorti che a
San Donato mancano i sandonatesi.
San Donato è
una città che sente
la necessità di recuperare un’anima,
un qualcosa di veramente suo che nessuno
possa portare dall’esterno. Mi sembra che,
nonostante tutti i pregi di un insediamento
In questa pagina la foto in alto è un’opera di Alessandra Bussalino. Tutte le altre foto
presenti in questo articolo sono state scattate dalla nostra fotografa Maria Mazzei.
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obiettivamente
all’avanguardia,
San Donato
invidi a San
Giuliano il suo
essere esattamente l’emanazione del proprio
passato: un
antico borgo
contadino del
basso milanese
che si è trasformato, evolvendosi naturalmente per
effetto dei mutamenti storici, economici e
sociali degli ultimi anni.
ALLA RICERCA DI UNA PROPRIA
IDENTITÀ: San Donato
TRA PASSATO E PRESENTE
IL NUOVO VOLTO DI UNA CITTÀ
San Donato. Graziosa città ai confini di
Milano da molti considerata una realtà
atipica e un po’ anomala. L’impressione
che si ha visitandola per la prima volta è
quella di una città-giardino piena di viali
alberati, prati curati, piste ciclabili, boschi,
parchi; un luogo “perfetto”, un’angolo di
mondo dove poter portare i bambini a
giocare nel prato e il cane a correre
nell’erba, dove poter praticare ogni tipo di
sport dal jogging, al calcio, al nuoto, ma
con in più tutti i servizi e i comfort di una
grande metropoli. Una città a misura d’uomo, insomma, ma con una storia poco
conosciuta e con tradizioni ormai disperse
nella memoria di pochissimi uomini, i soli a
conoscere quale fosse il reale aspetto di
San Donato prima del grande boom degli
anni cinquanta, data fino alla quale aveva
mantenuto le sue caratteristiche di
borgo rurale agricolo.
L’ a t t u a l e v o l t o d i S a n D o n a t o s i
presenta come un insieme di quartieri
molto diversi fra loro, cresciuti con
modalità e tempi differenti; uno
sviluppo irregolare che è la causa
della presenza di numerose “aree
vuote” anche nel bel mezzo della
città, ne è un esempio il grande prato
situato nella zona tra via Gramsci e via
Martiri di Cefalonia.
Una delle accuse
più spesso mosse
a questa città è
quella di non
possedere,
nonostante le
sue innumerevoli
“meraviglie”,
un’anima; di
essere soltanto
un, seppur bellissimo, quartiere
dormitorio dove le persone
che v i a b i t a n o s i c o n s i d e r a n o p o c o
p i ù c h e re s i d e n t i .
Altre vedute di San Donato e San Giuliano: a sinistra il palazzo della BMW, sede d i r e z i o n a l e
della famosa casa automobilistica, singolare opera architettonica progettata da Kenzo Tange.
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Ovviamente non dobbiamo
perdere di vista il fatto che si
tratta di una città nuova,
formatasi recentemente soprattutto grazie all’Eni, e che non
può avere una forte identità
locale anche in virtù del fatto
che si presenta come un
miscuglio eterogeneo di persone
provenienti da ogni regione
d’Italia e non solo.
Ma in realtà, anche se poco
conosciuta, San Donato una
storia ce l’ha ed è anche molto
antica: liguri, umbri ed etruschi
ma soprattutto celto-galli
popolavano questa zona ancora
prima della conquista romana.
Notizie di San Donato risalgono
anche ai Longobardi e il suo
nome venne dato alla città dagli
aretini in onore del loro vescovo
Donato d’Arezzo.
Dopo i Longobardi dominarono i Franchi, i Carolingi
e quindi gli
Ottoni.
Ed ancora altri
accadimenti
storici di notevole rilievo
videro la nostra
città protago-
5
nista. Lo sapevate, ad
esempio, che terminata la b a t t a g l i a d i
M a r i g n a n o (antica
Melegnano) il re
Francesco I alloggiò
per una settimana a
Cascina Roma? E che il
5 agosto 1848 avvenne,
sempre qui, la firma
per i preliminari per
l’armistizio tra aust r i aci e piemontesi,
c o n o s c i u t o come
Armistizio Salasco,
che pose fine alla prima
Guerra d’Indipendenza?
Da allora la nostra
(e sottolineo nostra)
città ha continuamente
cambiato il suo aspetto,
divenendo, i s t a n t e
d o p o i s t a n t e , attimo dopo attimo, quello che
tutti noi oggi vediamo: u n l u o g o s e m p re p i ù
costruito e abitato.
Ora San Donato si è posta finalmente alla ricerca
di una sua vera identità. E credo che l’unico
m o d o p e r t ro v a r l a s i a q u e l l o d i i m p e g n a rc i a
fondo per rendere un po’ più “familiare” il
nostro vivere qui, magari aderendo maggiormente alle iniziative, di tipo sociale e non,
organizzate sempre con maggiore frequenza dal
nostro comune. Dobbiamo restituire alla città
l’anima che le è stata tolta da decenni di
cambiamenti e metamorfosi.
Al centro: “condomìni e lavori in corso” a San Giuliano. A destra: il Primo Palazzo
Uffici, fmiliarmente chiamato il Castello di Vetro, una delle sedi del gruppo ENI.
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CARPE
ARTEM
GATTO
[email protected]
“Ma di chi è stata la trovata di riempire i muri
della S.N.A.M. di graffiti? Ma questa gente non
aveva niente di meglio da fare? Io li manderei
tutti a sbadilare carbone! Sa l’è sta roba? Ma
vada via i ciap!”
Questo è quello che mi sono sentito dire dai
miei nonni, che sono notoriamente degli arteriosclerotici, quando gli ho spiegato la situazione.
Io non la penso certo come loro. Per quanto io
ne sappia il bellimbusto che ha organizzato la
cosa si chiama Marco, della Carpe Artem, che
potrebbe essere un’associazione non governativa tipo Men in Black, dato che, oltre al
volantino, che chiamava a raduno tutti i writer
interessati, non ho trovato altro. (Se qualcuno
ne sa di più mi scriva).
Comunque sia, bravo Marco, la cosa ci è piaciuta un sacco,
DA ORMAI QUALCHE ANNO
VARI COMUNI CONCEDONO
ALCUNI SPAZI AI
WRITERS PER ESPRIMERE
LA PROPRIA ARTE: FRA
QUESTI ORA C'È ANCHE
SAN DONATO.
VEDIAMO COME.
anche perché meglio dipingere davanti a un
muro che farsi gli spinelli davanti a un parco.
Ma entriamo nel vivo della questione. Devo
ammettere che mi sarei aspettato dei graffiti
molto più brutti
e, anche se la
maggior parte
sono solo scritte, sono quasi
tutti ben realizzati, sia
c o m e gusto
cromatico
che come
finitura.
Certo si
vede che i writer non sono
dei professionisti della bomboletta, ma a
mio avviso alcuni sono veramente sulla buona
strada (bene, continuate così, che magari un
giorno vi pagheranno per giocare con i colori!).
Qualcuno potrebbe dire che gli artisti sono
andati fuori tema, dato che si era parlato (nel
volantino) di scritte o figure inerenti allo sport,
ma anch’io, nei panni di uno dei ragazzi, avrei
fatto un piccolo
Alcune immagini dei lavori proposti dai writers nell'ambito
dell’iniziativa "Carpe Artem", sul muro di cinta del centro sportivo snam di via Caviaga.
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particolare che ricordasse lo sport e avrei scritto
a lettere cubitali il mio nome. Un’unica cosa in
tutto questo non mi quadra: perché diavolo
non avete dipinto anche il resto dei muri così
da coprire i vari
“Gilda ti amo”
buttati lì da
qualche decerebrato?
Ah, ho capito!
Avete finito
le bombolette! Vi sono
scaduti i
permessi,
ha cominciato a piovere e, come
se non bastasse, sono arrivati in gruppo
miei nonni arteriosclerotici e vi hanno cacciato
lanciandovi dentiere e cateteri...
ISTRUZIONI PER DIPINGERE UN PEZZO
D E L L A T U A C I T T À S E N Z A FA R S I
ARRESTARE PER ATTI DI VANDALISMO
(1) Comprate una di quelle simpatiche macchinette fotografiche usa e getta, se avete qualcosa di meglio
nessuno si offenderà. (2) Girate per il vostro
quartiere muniti di senso estetico e scegliete il
muro sul quale volete fare il vostro “pezzo”.
(3) Fatto ciò, estraete la macchinetta e scattate
un po’ di foto in modo che si capisca come è
fatto il muro e dove è situato. (4) Scoprite di chi
è la proprietà del muro in questione. Se quest’ultimo è del Comune siete a cavallo. Le possibilità
che il lavoro si faccia sono buone, se invece è di
un privato è veramente poco probabile che quest’ultimo vi dia udienza e ancora meno probabile
che vi dia il permesso
di dipingere, quindi
trovatevi un altro
muro. (5) Sviluppate le
foto e scrivete una
bella relazione che
spieghi le motivazioni
che vi spingono a fare
il graffito (magari evitate cose del tipo “bella che ci sto dentro” o affini). Fatto ciò non vi resta che recarvi al vostro
Comune e trovare la persona che si occupa di
questo tipo di cose, consegnarli il tutto e se siete
fortunati vi sarà fornito un simpatico permesso
scritto che vi darà la possibilità di dipingere alla
luce del giorno oltre che ad evitarvi la
galera!
Le foto di questo servizio sono state scattate da Maria Mazzei.
Per informazioni su questo tipo di iniziative, contattate l'Assessorato alle Politiche Giovanili.
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SAN DONATO
REVOLUTION
CHIARA MARINONI
[email protected]
CONTINUA L’INCHIESTA DI
NUVOLA SULLE PROPOSTE
PER MIGLIORARE LA
NOSTRA CITTÀ: IN
QUESTO NUMERO CI
OCCUPIAMO DEL CENTRO
SOCIALE DI VIA PARRI
Dopo lo strepitoso successo della prima
inchiesta di Nuvola, la vostra piccola inviata
-pilli- si è presa l’onere di approfondire una
delle proposte scaturite dalle interviste alla
gioventù sandonatese. La più gettonata, la più
desiderata, la più sentita: un luogo di ritrovo
al chiuso per ragazzi di tutte le età, con tanto
di laboratori culturali, mostre e, naturalmente,
un bel bar! Un bar? Sì, perché crea la giusta
atmosfera, stimola le idee, le amicizie e fa sentire “a casa”. È difficile? Lo sappiamo. C’è il
problema della licenza, quello di non perderci
denaro comunale, le difficoltà di un privato a
Ecco allora che una delegazione di Nuvola è
andata a parlare con i diretti interessati, coloro
che tutti i giorni, o quasi, si trovano a lavorare
in questo centro polifunzionale.
Il Centro Sociale Comunale, infatti, ospita
diversi servizi, come ad esempio la Scuola di
Rock, sempre più apprezzata anche al di fuori
di San Donato; il Centro di Aggregazione
Giovanile (C.A.G.), che offre ai ragazzi - per ora
soprattutto della zona via Di Vittorio/Certosa la possibilità di svolgere varie attività insieme
(compiti per la scuola, video documentari,
musica, cortometraggi, manufatti in ceramica,
prenderlo in gestione per il rischio di utili insufficienti, perlomeno nella prima fase... ma non è
impossibile, e metodi alternativi di gestione
sono possibili nel rispetto della legge, come
dimostrano numerose esperienze analoghe in
altre realtà, come alcuni centri sociali comunali
e molti di quelli autogestiti.
Un sogno che potrebbe realizzarsi, dunque,
magari utilizzando uno spazio già esistente.
Ma a San Donato ce l’abbiamo un luogo che
potrebbe essere perfetto: il Centro Sociale
Comunale di via Parri! (Sì, guardo Le Iene...)
graffiti, giochi collettivi e individuali, e
quant’altro); la Ludoteca, che offre un servizio
importante a bambini e genitori e, per finire,
corsi di ballo e di yoga.
Intervistando i nostri interlocutori abbiamo
scoperto che l’esigenza di innovazione non
è sentita solo dagli utenti, ma anche, e forse
in maniera più concreta e motivata, dai
dipendenti comunali, impiegati al Centro, che
conoscono a fondo la realtà territoriale, i
ragazzi e le loro necessità. Le opinioni ovviamente non sono unanimi.
Nella striscia centrale che si distende sulle due pagine una “ricostruzione fotografica” (con
relativa rielaborazione digitale ;-) del salone principale del Centro Sociale di via Parri.
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Richieste di autonomia da parte delle tre
colonne portanti (Scuola di Rock, CAG,
Ludoteca, per intenderci), che potrebbe concretizzarsi nella costruzione di ingressi separati,
si affiancano a sogni olistici di un grande
ritrovo culturale dove si possa coltivare
qualsiasi interesse in un clima artistico che
traspiri dai muri, come l’odore dell’aerosol
delle bombolette…
Noi ci troviamo d’accordo con quest’ultima
posizione che, per altro, è in linea con lo
spirito con cui il centro sociale è stato creato,
dal nulla, nel maggio del 1978. Infatti, forse
far decollare il Centro Sociale sia quella di creare
un vero e proprio luogo di ritrovo, che anticipi
l’ormai fantomatico Centro Cittadino e ne
costituisca l’alternativa invernale... solo così si
potrà sfruttare a pieno la potenzialità di questo
edificio davvero ricco di opportunità (non
dimentichiamo la Scuola d’Arte e la Biblioteca).
Insomma, il “clima” lo fa chi c’è, ma in una
certa misura si può creare, o quanto meno
“predisporre”...
Le idee non mancano di certo e neanche i
solleciti al Comune, ma facciamo un sondaggio
alla Forrest (il “mago” di Mai dire Domenica):
non tutti sanno che in quell’estate, un gruppetto
di ragazzi di terza media con tanta voglia di
fare, raccolse le firme dei compagni di scuola
per ottenere dal Comune uno spazio da
autogestire, per suonare, giocare e stare insieme.
Le cose sono cambiate moltissimo da allora, si
sono attualizzate, hanno preso forma, ma
possono essere sicuramente migliorate ancora.
Senza volerci sostituire ai professionisti del
Comune, noi di Nuvola e molti giovani sandonatesi pensiamo che a parte migliorare e
potenziare i servizi già esistenti, la priorità per
secondo voi è possibile realizzare un progetto
del genere se ai piani alti le decisioni sono
prese da due assessorati diversi? Eh sì, perché
il Centro è diviso tra l’Assessorato allo Sport e
al Tempo Libero, e il neonato Assessorato alle
Politiche Giovanili… È senz’altro vero che gli
assessorati seguono secondo le loro competenze le diverse aree, ma al tempo stesso è
necessario, secondo noi, un coordinamento
forte che pianifichi le attività del Centro nel
loro insieme, in modo manageriale ma anche
creativo e interdisciplinare, cosicché ogni
Se anche tu sei interessato a un possibile “restyling” del centro sociale di via Parri o più
semplicemente ti piacerebbe discutere una proposta per San Donato non esitare a contattarci!
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N
giorno, ogni sera vengano offerti
agli utenti uno spunto
nuovo e un’oc-
casione di svago
o di riflessione originale.
Per esempio creando un comitato
di coordinazione delle attività
formato da adulti e ragazzi, con
una certa autonomia gestionale e,
perché no, economica. Per esempio dando maggiore spazio alle
sale prova della scuola di musica,
magari completandole con nuove
attrezzature anche per la registrazione a livello semi-professionale.
Per esempio utilizzando meglio il
salone centrale d e c i s a m e n t e
poco sfruttato.
Ma chissà che il nuovo anno non
porti consiglio… Nuvola nel
frattempo si rende disponibile a raccogliere le
vostre idee. Se vi interessa partecipare a un
guppo di lavoro che produca un progetto
partecipato da pubblicare su queste pagine e da
sottoporre all’Amministrazione, o se volete
maggiori informazioni sulla questione fatevi
vivi scrivendo a [email protected] e
sarete contattati. La posta in gioco è alta: prendere uno spazio pubblico e trasformarlo in un
vero e proprio centro
di aggregazione di
San Donato; che
sfrutti al meglio le
tecnologie e le professionalità del Centro
Sociale attuale, ma al
tempo stesso ne
recuperi lo spirito
pionieristico e artigianale della sua
nascita, e ancora che
sia spunto di riflessione e valvola di
sfogo per la creatività
dei sandonatesi.
Nelle tre foto a centro pagina alcuni dettagli dei bei murales che decorano le pareti del
Centro Sociale dove si trovano le varie aule che ospitano i corsi della Scuola di Rock.
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818-4L A PA C E
SARA SCARAMELLA
[email protected]
SI È CONCLUSO IL
CONCORSO ARTISTICO
E LETTERARIO BANDITO
DALL’UFFICIO PACE DEL
COMUNE DI SAN DONATO:
ECCOVI UNA RASSEGNA
DEI LAVORI PIÙ BELLI
care a calcio o ad altri giochi inventati al
momento, anche se voi, purtroppo, non potete
giocarci con la mia spensieratezza.
Quindi io mi appello a voi, ragazzi della mia
generazione, visto che tra qualche anno
saremo noi gli adulti, cerchiamo di crescere
con un pensiero rivolto alla sensibilità e alla
disponibilità nella difesa dei bimbi.
Come avevo promesso nell’ultimo numero
di Nuvola, pubblichiamo le opere dei
vincitori del concorso artistico, e alcuni
estratti dei temi dei partecipanti al concorso
letterario. Ho riflettuto a lungo su quali
avrebbero potuto essere gli aspetti più
interessanti dell’iniziativa, anche perché io
stessa vi ho partecipato, e mi sono convinta
che il modo più efficace per parlarvene sia
lasciare che i lavori pervenuti all’Ufficio
Pace si descrivano da soli: buona lettura!
Ciao a Kevin e a tutti i bambini,
so che non potete leggere la mia lettera per
due semplici motivi: uno, perché non siete mai
potuti andare a scuola e due, perché comunque scrivo male. So che morite dalla voglia di
andare a scuola, ma - e ve lo dico un po’ perché è vero, un po’ per farvi sentire meglio sappiate che la maggior parte delle cose che ci
insegnano non sono indispensabili per la vita. E
poi... ammettiamolo, è molto più bello gio-
In questa pagina i lavori grafici delle scuole medie, partendo dall’alto: Andrea Anelli (2°); Chiara Starvaggi, Elena
Flospergher, Monica Cremonesi, Sabrina Cecutto (3°); Gloria Torre, Marta Anzani, Michela Picciallo, Fabiola Gonzales (1°).
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“QUINDI IO MI APPELLO A
VOI, RAGAZZI DELLA MIA
GENERAZIONE, VISTO
CHE TRA QUALCHE ANNO
SAREMO NOI GLI ADULTI,
CERCHIAMO DI CRESCERE
CON UN PENSIERO RIVOLTO
ALLA SENSIBILITÀ E ALLA
DISPONIBILITÀ NELLA
DIFESA DEI BIMBI”
Caro Kevin, come posso fare ad immedesimarmi
in te e a immaginare solamente per un momento
di vivere come un orfano in una bidonville. Non
ci riuscirei.
Il punto sta nel vedere se veramente
sono stati abbattutti dei confini o
se ne sono stati
creati dei nuovi.
In effetti noi siamo
tutti in parte poveri:
voi economicamente,
noi nello spirito.
E noi, ipocriti a quella vista ci scandalizziamo,
rimaniamo offesi, esterefatti da quella crudeltà,
ma alla prima occasione, alla prima necessità,
del pallone di marca non possiamo farne a
meno, ci ricaschiamo...
Non esistono barriere che dividono i popoli, ma
sono i popoli stessi che hanno creato le barriere: hanno detto “noi bianchi di qua e voi neri di
là”, ma siamo sicuri che queste barriere servano a qualcosa?
Se ci fosse stata meno sete del “dio
denaro” al mondo, caro Kevin!.. Quando
i paesi ricchi capiranno di aver
sbagliato, secondo me, sarà troppo
tardi. Non vergognarti mai della tua
povertà, perché tu sei vittima del
passato e del presente egoismo
umano. Forse dovrei vergognarmi
io di tutto quello che ho, ma vedi
caro Kevin, anch’io non ho colpa:
perché sono in un ambiente diverso
che mi insegna che chi possiede
è qualcuno...
Caro Kevin, so che molto probabilmente non
saprai leggere questa lettera, ma devo scrivere,
devo sfogare la tristezza e il rancore che esplodono dentro di me quando sento vicende simili
alla tua. Ma che differenze ci sono tra me e te?
[...] E la cosa più vomitevole e che mi fa stare
peggio è la mia impotenza.
La pace bisogna cercarla, ottenerla e conquistarla.
I lavori delle scuole superiori sono frutto di un laboratorio di “incisione e stampa d’arte”; i vincitori:
Marta Santomauro e Tania Paradiso (1°), Simona Giliberti (2°), Alessandra Stella e Giada Manganaro (3°).
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IL CINEMA DEL
CORTOMETRAGGIO
MARIA MAZZEI
[email protected]
Per la
pellicola
fotografica
da 35 mm, alla
velocità di scorrimento di 24 fotogrammi al secondo,
un minuto di proiezione
corrisponde a 27,36 metri;
un’ora a 1641,60 metri. Su
tale base i film sono divisi in
lungometraggi (oltre i 70 minuti),
mediometraggi (fino a 50-70 minuti)
e cortometraggi (fino a 15-20 minuti).
Ecco quello che è successo quest’estate
a San Donato: due caldi giorni di shooting
per 11 minuti di film! Gli autori dell’evento
sono Fabio Guaglione, ventunenne
sandonatese e Fabio
Resinaro,
VEDIAMO UN PIANETA
MOLTO SIMILE ALLA TERRA,
IMMOBILE NEL SILENZIO
SPAZIALE. L’INQUADRATURA
INDIETREGGIA FINO A
RIVELARE CHE L’IMMAGINE
È RIFLESSA NELLA PUPILLA
DI UN OCCHIO, L’OCCHIO
D E L C O M A N DA N T E
ventiduenne
di Peschiera
Borromeo.
Hanno cominciato a interessarsi
al mondo cinematografico da alcuni anni,
sperimentando le proprie
capacità in spot pubblicitari
e cortometraggi realizzati in
digitale. Poi, ecco la grande
occasione! L’incontro fortunato con
il grande produttore Paolo Ansaldi,
in una libreria di Milano, fa sì che il
loro grande sogno, diventare registi,
si realizzi!
La proposta dei ragazzi risulta piuttosto audace,
in particolare nell’ambito della tradizione
cinematografica italiana: girare un cortometraggio di fantascienza. Infatti, è stato più
volte osservato che la fantascienza
non ha solide radici
nella
Sul set, due momenti nel corso delle riprese: in alto, uno dei protagonisti, il comandante
Semyoza; in basso, sempre all’interno della navicella, gli operatori.
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E.D.E.N. È LA
STORIA DI UN
GRUPPO DI
ASTRONAUTI ALLA
RICERCA DI UN
NUOVO PIANETA
IN CUI INSEDIARSI
tradizione narrativa del nostro Paese, che ha
sempre seguito altre strade, dall’analisi psicologica alla denuncia, moralistica o meno,
di certe condizioni sociali, evitando invece
il fantastico come se fosse letteratura deteriore, buona al massimo per i bambini, ma
poco adatta all’impegno severo di una rappresentazione “realistica” della socialità o
della psicologia dell’individuo.
Il film, della durata di 11 minuti, è stato girato
grazie alla collaborazione del Comune di San
Donato Milanese, che ha messo a disposizione
il salone Marchetti della Scuola d’Arte in Via
Parri. Si è trattato di un lavoro intenso, anche
perché concentrato nell’arco di due sole
giornate in cui sono state fatte le riprese.
La scenografia è stata realizzata riproducendo
l’interno di una navicella spaziale. Si trattava di
una struttura di circa venti metri per dieci,
all’interno della quale si sono mossi i quattro
Nelle foto in alto, da sinistra, una macchina da presa e un “ciak”. In basso, uno sguardo dall’ingresso della scenografia. Nella pagina accanto, in alto, un momento di pausa e l’allestimento esterno.
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giovani attori: Fabrizio Viganò,
Camilla Frantini, Angelo D’Agostino
e il promettente croato Dodo.
E.D.E.N. è la storia di un gruppo
d’astronauti alla ricerca di un
nuovo pianeta in cui insediarsi. Si
alternano momenti di tensione,
grandi effetti speciali, colpi di
scena, attimi di suspance... tutti
convergono in una delle scene
clue: una sparatoria in assenza di
gravità montata esclusivamente
in digitale.
U n o s t u p e n d o s e t c re a t o d a
Max Cortellini, un’eccellente
disposizione fotografica curata
da Paolo Bellan, mentre la parte
sonora è stata affidata a un emergente gruppo sandonatese: gli
Access Denied.
Le aspettative dei ragazzi?
Innanzi tutto la possibilità di farsi
c o n o s c e re g r a z i e a u n l a v o ro
f i n a l m e n t e i n p e l l i c o l a ; p o i la
p o s s i b i l i t à d i p a r t e c i p a re , e
magari vincere, a due importanti
f e s t i v a l , c o m e i l Sundance
Festival e il Los Angeles Science
Fiction Festival.
Fabio Guaglione e Fabio Resinaro
sono sulla buona strada, la loro
intraprendenza e le loro doti li
hanno portati fino a questo piccolo
traguardo: ora non guasterebbe
anche un pizzico di fortuna!
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È stato
entusiasmante
partecipare a un progetto
ideato e realizzato interamente da tanti ragazzi. Bello poter
sapere che grandi produttori sono realmente interessati a
nuove proposte, bello poter vedere da vicino attori recitare,
“pizze” di pellicole girate, una grande cinepresa
funzionare, tempi e scene scandite dal caratteristico ciak e
sentire quelle tre affascinanti
parole: “ S i l e n z i o . . .
Motore...
Azione!“.
Nelle foto grandi, i quattro attori sul set durante le varie fasi delle riprese.
Tutte le foto di questo articolo sono state scattate da Maria Mazzei.
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L’INFERNO
A QUOTA TRENTATRÉ
ANDREA LORO
EL ALAMEIN, SESSANT’ANNI
DOPO, TORNA A ESSERE
TEMA DI DIBATTITI PER
NON DIMENTICARE CHI
DIEDE LA PROPRIA VITA
“PER L’ONORE DELLA PATRIA”
[email protected]
El Alamein (33 metri s.l.m.), è un minuscolo
puntino sulla carta geografica dell’Egitto, situato
all’estremo nord, dove il deserto si accinge a
tuffarsi nel Mediterraneo. Questa località
balzò agli onori della cronaca
nell’ottobre del 1942, quando
fece da sfondo a u n a
delle più cruente e
importanti battaglie
della Seconda
Guerra Mondiale.
In questo territorio
p r a t i c a mente
disabitato e
semidesertico,
considerato
inospitale
perfino dai
beduini, si
fronteggiarono
e si massacrarono migliaia
di giovani facenti
capo agli schieramenti allora
contrapposti.
Sono passati più di
sessant’anni da quegli
avvenimenti, e ultimamente
si è riaperto un dibattito che
parte dalla loro analisi fino a coinvolgere l’intero significato della guerra in generale.
Si sono infatti susseguite iniziative di natura
eterogenea, che vanno dalla visita del presidente
Ciampi ai luoghi della battaglia, alla pubblica-
zione di libri, alla realizzazione di un film e
di una mostra. Ufficialmente si è detto che le
celebrazioni per l’anniversario di El Alamein
erano mirate innanzitutto a sottolineare i
passi avanti compiuti, sotto tutti i
punti di vista, con il processo
di unificazione europea:
infatti, le nazioni ora
facenti parte dell’UE,
fino a sessant’anni
fa si trovavano su
fronti opposti.
Tu t t a v i a , l a
sensazione è
che, dopo
tanto tempo,
ci si sia accorti
di come fosse
ingiusto
condannare
all’oblio (specialmente in
Italia) chi in
quei frangenti
dimostrò valore e
coraggio, e che
diede la propria vita
“per l’onore della Patria”
(un sentimento oggi dimenticato, ma allora molto in voga...).
Dalle parole del nostro Presidente,
non a caso ex-combattente nell’ultima guerra,
emerge la necessità di una presa di coscienza
generalizzata sul fatto che, innanzi tutto, quegli
eventi riguardarono non solo la storia di un
In questa pagina: il cippo che ricorda il sacrificio dei soldati italiani. Nell’altra pagina, in alto, il
cimitero di El Alamein; in basso, truppe australiane avanzano protette da una cortina fumogena.
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regime totalitario, ma la vicenda
personale di uomini e ragazzi che in
quei luoghi desolati trovarono sofferenza e morte, e poco importa che
combattessero per un ideale che fu
poi sconfitto dalla storia. Sul campo di
El Alamein si fronteggiarono persone,
con le loro piccole-grandi storie
intrecciate, e non buoni contro cattivi.
La dimensione personale e intima che
si vuole recuperare, pare essere l’idea
centrale del film El Alamein, la linea di
fuoco, diretto dal talentuoso regista
Renzo Monteleone. In esso si
snoda, tra le altre, la vicenda del
3
soldato Serra, studente universitario partito volontario per
andare a cogliere la propria fetta di trionfo e gloria all’ombra
delle piramidi, vistosi poi calare in una dimensione in cui la
realtà supera di gran lunga gli incubi più agghiaccianti.
La mostra di Milano (Il deserto e i leoni, curata da Anna
Caccia Dominioni), si inserisce pienamente in questo
approccio votato al non-oblio della battaglia di El Alamein,
ma aggiunge un ulteriore elemento di riflessione. Già dal
titolo traspare la volontà (e il coraggio) di chiamare con il
loro nome chi vide la propria gioventù infrangersi sul muro
d’orrore della guerra: EROI. Nel deserto egiziano c’è una
lapide che ricorda il sacrificio dei soldati italiani, e su di essa
c’è scritto: «Mancò la fortuna, non il valore».
A chiunque combattè a El Alamein (così come in molte altre
parti del mondo…), la fortuna che mancò fu quella di
poter essere arbitri del proprio destino, la fortuna che
mancò fu quella di non essere costretti al valore.
PA O L O C A C C I A D O M I N I O N I
Ufficiale del Regio Esercito Italiano (e partigiano
dopo l'8 settembre 1943), finita la guerra trascorse
gran parte della sua vita nei luoghi della battaglia,
al fine di dare un nome e una degna sepoltura a
chi perse la vita a El Alamein.
E L
A L A M E I N
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Combattuta nell'autunno del 1942, questa battaglia
rappresenta la prima vera sconfitta per le armate di terra
nazi-fasciste. La decisiva offensiva inglese iniziò nella
notte del 23 ottobre ma i britannici, molto superiori per
numero di uomini e mezzi, riuscirono ad avere la
meglio solo diversi giorni dopo.
In questa pagina, in basso a destra, Paolo Caccia Dominioni, che progettò, fece
costruire e custodì il mausoleo per i caduti di El Alamein.
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THE EMERALD
I S L E
SARA BATTINI
AVETE INTENZIONE DI FARE
UN VIAGGIO IN IRLANDA?
E C C OV I Q U A LC H E
CONSIGLIO PER
AMBIENTARVI IN QUESTA
TERRA MERAVIGLIOSA!
[email protected]
Ok, l’Irlanda di sicuro non è
u n a rg o m e n t o n u o v o :
esistono centinaia di
articoli, libri e programmi
su questa splendida terra.
Migliaia di italiani ci vanno
ogni anno, e così ho deciso
di non fare un articolo che
riproponesse ancora una
volta i soliti itinerari. Alla
luce della mia esperienza (ci
sono andata per cinque anni
di seguito), vi darò qualche
indicazione per affrontare la
vita quotidiana.
L A G ENTE - Italiani e Irlandesi sono
simili: chiaccherare, bere, mangiare…
Come noi sono benestanti da relativamente poco tempo, e quindi,
abbastanza “burini”: ci piacciono
le stesse cose.
Attenzione: siamo simili ma
non siamo uguali! Se non
volete essere presi di mira
dai naziskin, non urlate:
sugli autobus, nei pub, nei
centri
commerciali;
gli
Irlandesi non sopportano
modi di fare troppo sguaiati.
So che sembra impossibile
quando si è in vacanza, ma
se non volete socializzare
solo con altri italiani è
necessario.
In questa pagina e nella seguente alcune foto dell’Irlanda, dei suoi castelli, dei suoi
prati verdi e della gente di Dublino in Grafton Street...
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IL CIBO - Immangiabile. Patate, burro,
pancetta, pane da toast e dolci atroci
nelle case. Fast food, patatine fritte e
quella che loro chiamano pizza (decorata con
formaggio
arancione!),
fuori casa.
Noi italiani
abbiamo
problemi
intestinali
per tutto il
tempo di
permanenza. Niente
da fare,
bisogna
rassegnarsi:
il cibo viene
comunque
compensato
da tutto il
resto; e poi
si torna
dimagriti!
TRASPORTI
URBANI Autobus a
due piani
con sedili imbottiti che dondolano
dolcemente per le vie della piovosa
Dublino. Il pericolo di addormentarsi è
alto. La metropolitana è in superfice:
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poche linee, carina e facile da usare. Ci sono controllori
da tutte le parti, ma sinceramente non riesco a
i m m a g i n a re c o m e p o s s a n o f a r p a g a re l a m u l t a di
un autobus irlandese a un italiano.
Attenzione: è molto importante
rispettare le file per salire sui
bus e acquistare i biglietti (che
vende il conducente).
Gli irlandesi sono calmi, e gli
autobus possono sostare a
una fermata anche dieci minuti.
Ci ho messo anni per capirlo
e ho rimediato uno schiaffone
da una ragazza ubriaca perché le sono passata davanti!
Last, but not least...
I PUB - È meglio andarci da maggiorenni, sennò da bere vi danno
solo succo di mirtillo. Sono aperti
tutto il giorno, come da noi i bar,
e chiudono la sera alle 23:00.
Anche qua fate attenzione: gli
Irlandesi, come è noto, bevono
molto, e alcuni diventano violenti.
Quindi calma e niente casino!
Per concludere, consiglio a
tutti di visitare Dublino
e magari di fare
anche qualche gita
all’interno: ne vale davvero la pena.
Sperando di poter risultare utile a tutti i
futuri visitatori di questa magica isola,
vi auguro buon viaggio!
Se anche a te piacerebbe scrivere un articolo e pubblicare le foto di un viaggio che hai fatto, vieni una
domenica alla riunione di Nuvola (h. 21:30 - P.zza Dalla Chiesa n. 1), oppure scrivici ad [email protected]
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UN GIOCO
DA RAGAZZI
ANDREA LORO
[email protected]
In un periodo in cui
il metodo più di
moda per affrontare
qualsiasi tipo di
problema sociale è
presentarlo nella sua
dimensione globale,
colpisce il fatto che
l’autore di questo
(bellissimo) libro
abbia deciso di
trattare il tema
della droga e della
tossicodipendenza partendo da un’ottica
squisitamente locale.
Ma non è questa l’unica sorpresa che riservano
le 60 pagine di cui si compone l’opera in
questione: si ha infatti l’impressione di trovarsi
di fronte a uno di quei rari esempi di libri
interattivi, al cospetto dei quali non è sufficiente leggere, ma è necessario che il lettore
interagisca con il testo attraverso le sue
riflessioni personali, acquisendo in tal modo
una presa di coscienza del problema affrontato.
Sembra che da Un gioco da ragazzi spunti una
mano, con la quale Ruggero Marinello vi invita
a partecipare alla vita di un paesino del
sud Milano degli anni Settanta, a frequentare
i posti allora in voga, a vedere le persone
che lo popolavano.
In questo modo ci si rende perfettamente
conto del desiderio di fuga e di evasione che
attanagliava molti ragazzi di allora, che non
avevano paura di andare-conoscere-esplorare
ma che, per incoscienza o forse per la troppa
UN DOCUMENTO TOCCANTE,
RICCO DI STORIE VISSUTE
IN PRIMA PERSONA,
DEDICATO A QUEI RAGAZZI
LA CUI VITA, TRA LA FINE
DEGLI ANNI 60 E L'INIZIO
DEGLI ANNI 90, È STATA
TRAVOLTA DALLA DROGA
purezza di questi desideri, furono prima
travolti e poi risucchiati nel vortice della
tossicodipendenza.
Questa situazione risulta poi essere aggravata
d a l l ’ i m p re p a r a z i o n e d e l l e i s t i t u z i o n i
nell’affrontare il problema e dalla carenza di
infrastrutture di supporto e sostegno.
L’autore la descrive con dovizia di particolari,
dato che è anche la sua esperienza personale,
soffermandosi sui vari (terribili) aspetti della
dipendenza da sostanze stupefacenti, e
individuando come uno dei più gravi l’essere
calato totalmente in una sorta di dimensione
parallela a quella reale, in cui l’unico problema,
di fronte al quale tutti gli altri scompaiono, è
reperire la dose necessaria.
Pur non cedendo mai alla tentazione di
autocelebrarsi per essersi lasciato quest’inferno
alle spalle, Ruggero lascia intendere che la via
del ritorno alla vita “normale” dipende da una
scelta che l’individuo non solo deve fare, ma
che deve anche essere in grado di portare
avanti: trovare dentro se stessi la volontà e la
forza di cambiare, è la vittoria dell’uomo e la
sconfitta del tossico.
Ruggero, per sua stessa ammissione, per
troppo tempo è stato “dalla parte sbagliata
della strada”. Oggi è uno splendido quarantenne
che vive a Melegnano con la moglie, e scrive
(con grande competenza) di rock‘n’roll su
una rivista online.
Con il suo libro ci ha voluto arricchire raccontandoci la sua storia o meglio, una storia che lo
vede tra i protagonisti: il meno che possiamo
fare è leggerla e dirgli grazie.
Un gioco da ragazzi di Ruggero Marinello, Selene Edizioni.
La copertina è stata sviluppata da un quadro del pittore melegnanese Giuliano Del Sorbo.
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EMERGENCY
IL SIMBOLO DELLA PACE
GIULIA BASSANI [email protected]
NICOLÒ MAIOLI [email protected]
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Occhi chiusi per non vedere, orecchie tappate
per non sentire,
bocca cucita per
non gridare. È un’affermazione esatta,
una definizione che presto troveremo
in ogni dizionario al posto della voce
“essere umano”; definizione che
raggruppa tutte le teste abbassate,
inchinate per evitare di rendersi
conto di ciò che accade attorno a
loro. Ma fortunatamente esistono
tra noi persone che hanno il coraggio
di aprire gli occhi, tendere orecchie
e mani, per poter vivere e sentire nel
profondo le ingiustizie del mondo, per poterle
gridare al mondo stesso, un mondo sordo... o
che non vuole sentire.
UNA FONDAZIONE
UMANITARIA, SENZA
BARRIERE POLITICHE O
IDEOLOGICHE, E SENZA
SCOPO DI LUCRO, PER
L’ASSISTENZA MEDICA E
SANITARIA ALLE VITTIME
CIVILI DELLE GUERRE
Sono loro l’anima di Emergency, il cuore di una
fondazione privata umanitaria, senza
barriere politiche o ideologiche e
senza scopo di lucro, che si offrono di
fornire assistenza medica e sanitaria
in tutto il mondo alle vittime civili
delle guerre.
Questa organizzazione è nata in Italia
nel 1994, da un’idea di Gino Strada,
scrittore e giornalista, ed è stata
sostenuta dal governo italiano fino al
2001, quando per motivi morali ha
deciso di non accettare più i fondi
che le venivano inviati e di diventare
interamente un’associa-
zione privata che
sopravvive solamente grazie a donazioni
volontarie e ad autofinanziamenti.
Tutte le foto di quest’articolo sono state realizzate da Michele Cazzani e sono tratte
dall’album pubblicato da Emergency, KURDISTAN: Paradiso Minato.
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In questo modo ognuno può sostenere le sue
attività e contribuire alla sua crescita.
L’opera di Emergency si è sviluppata nei paesi
sforniti di strutture ospedaliere adeguate,
situazioni aggravate dalle condizioni di conflitto
in cui queste popolazioni si trovano. L’obiettivo
di questa associazione umanitaria è quello di
insegnare alla popolazione locale, tramite l’uso
di tecnologie semplici, a essere indipendente
per le cure mediche ai feriti negli ospedali civili.
Attualmente donne e uomini di Emergency
operano anche in Afganistan, Iraq, Sierra
Leone, Cambogia e Sudan.
Per chiarimenti, informazioni o domande:
[email protected] oppure http://www.emergency.it
Se invece siete alla ricerca di materiale,
rivolgetevi alla sede Emergency di Milano
Via Bagutta 12 - Tel. 0276001104
Emergency ha ultimamente rifiutato 1,5 milioni di euro promessi dal governo italiano. “Non possiamo prendere gli aiuti
umanitari dallo stesso governo che interviene militarmente in Afghanistan. Siamo contro la guerra: è una questione
di coerenza”. Questa la dichiarazione di Teresa Sarti, moglie di Gino Strada e presidente di Emergency.
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PHILIP K. DICK
CINEMA D’AUTORE
MARCO GUIZZI
[email protected]
Philip K. Dick, come suggerisce Paul
Williams, celebre giornalista statunitense
nonché gestore del patrimonio letterario
dello scrittore, non è ancora un autore
realmente famoso, non è di pubblico dominio, ma la sua
fama altalena tra un culto
di fondo, diffuso e
radicato un po’ in
tutto il mondo, e
saltuarie riproposizioni e passeggeri exploit
di notorietà.
È il caso degli
ultimi tempi,
dato che
recentemente
il cinema
sembra aver
riscoperto
D i c k , con due
film tratti da
suoi racconti e
affacciatisi nelle
sale nel giro di
pochi mesi: Impostor
di Fleder, con Gary
Sinise, e Minority Report
di Spielberg, con Tom Cruise.
Proprio il cinema, al giorno d’oggi,
si fa maggiore fruitore mediatico delle idee
dickiane, e il modo in cui esse vengono
affrontate ed elaborate da sceneggiatori,
produttori e registi ci permette di capire
BLADE RUNNER, TOTAL
RECALL, IMPOSTOR,
SCREAMERS, MINORITY
REPORT: CINQUE PELLICOLE
TRATTE DALL’OPERA DI
P. K. DICK. E ANCORA UNA
VOLTA: “IL LIBRO È PIÙ
BELLO DEL FILM”...
qualcosa in più sia sull’influenza che lo scrittore ha avuto sull’immaginario collettivo
che ci riguarda, sia pure su cosa significhi
per il cinema, per lo meno per quello
hollywoodiano, far propria la
parola scritta, reinventandola
in immagini e movimento.
Se, infatti, solo cinque
sono ad oggi i film
di fantascienza
ufficialmente
tratti da Dick
(oltre a quelli
già citati ci
sono: Atto di
Forza, di
Verhoeven,
con Schwarz e n e g g e r,
Screamers di
Duguay, con
Peter Weller
e il più celebre
Blade Runner
di Ridley Scott,
con Harrison Ford),
tematiche profondamente e tipicamente
dickiane ritornano in un
gran numero di pellicole, in
cui si parla di labilità della memoria
e del possibile ruolo che essa ha nell’identificare la personalità umana, della coscienza
della macchina, della compresenza fuori e
d e n t ro l ’ a n i m a d i u n i v e r s i p a r a l l e l i e
Philip K. Dick, prolifico scrittore di fantascienza e non solo, non è molto conosciuto, ma dalle
sue opere sono stati tratti film di cui tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta.
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"REALITY IS THAT
WHICH, WHEN YOU
STOP BELIEVING IN IT,
DOESN'T GO AWAY.”
P. K. DICK
dell’interrogativo su cosa sia o non sia
umano. Trattando di film come Dark City,
Gattaca, eXistenZ, Plesantville, Punto di
Non Ritorno, Intelligenza Artificiale o addirittura Fight Club, il nome di Dick non sarebbe
citato a sproposito. Per non parlare di altri
due film di successo, come The Truman
Show e Matrix: il primo quasi un adattamento
non dichiarato del romanzo L’uomo del
giorno dopo, dove il contesto della società
mediatica si sostituisce a quello di un
mondo militarizzato; il secondo, per stessa
ammissione dei suoi autori, un sunto di certi
topoi dickiani.
Eppure, nonostante questo quadro di continue influenze e citazioni, la particolarità più
profonda degli scritti di Dick, le riflessioni
più stimolanti, vengono completamente
ignorate dal cinema. Esso si appropria solo
dei temi più superficiali dell’autore per colorire trame di pura azione o, nel migliore dei
casi, rivela interessanti interrogativi, saltando,
però, a pie’ pari, quelle che erano le originalissime risposte che l’autore americano
dava alle proprie inquietudini. Dick è
stato, infatti, uno dei più
st r a o r d i n a r i s c r i t t o r i
americani del
Novecento, uno
dei pochi capaci
di portare la propria opera sui più alti
lidi della riflessione
umana partendo da
una materia poco
considerata come la fantascienza. Che non
è quella stereotipata nell’immaginario
popolare, fatta di
omini verdi,
viaggi spaziali o
ingarbugliamenti
temporali,
bensì quasi
un pretesto dove i
limiti del tutto fuggevoli e soggettivi del genere
gli permettevano di riflettere su temi di
volta in volta politici, sociologici, spirituali.
Il pensiero di Dick è vero e proprio pensiero
filosofico, che appare confuso solo perché
estremamente complesso, “folle” solo
perché radicale; influenzato da
Sant’Agostino e da Kant, ma anche capace
di spunti estremamente personali, tali da
rendere la lettura dei suoi innumerevoli
romanzi, seppure scritti tra gli anni 50 e
70, costantemente attuale.
Tutto ciò, si diceva, è stato ignorato dal
cinema, non si capisce se per mancanza di
coraggio o, più semplicemente, di autori
abbastanza capaci che abbiano voglia di
sporcarsi le mani, in modo inconsueto, con
la fantascienza (Kubrick è morto da anni,
per non parlare di Tarkovskij…). Le mie non
vi sembrino semplici lamentele di un fan
tradito da adattamenti poco fedeli: qui non
si parla di sfumature, ma di un universo
letterario, di un’intera cosmogonia del
pensiero negata. Non credo che, quindi,
In alto, un fotogramma del film Blade Runner che ritrare il replicante Pris. A destra, la macchina
di Tom Cruise in Minority Report. A sinistra, lo Spinner: un grattacielo del futuro.
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siano semplici coincidenze il fatto
che tutti gli adattamenti cinematografici di Dick riguardino dei
racconti brevi, dove, soprattutto
nella fantascienza, a dominare è la
singola idea, l’invenzione letteraria
che si identifica col racconto stesso.
E nemmeno mi stupisce che là dove
tali adattamenti si distaccano dalla
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pagina scritta comincino ad assomigliarsi tra loro
(Impostor e Minority Report a un certo punto si
trasformano in sofisticati remake de Il fuggitivo), e
che l’unico film tratto da un romanzo, vale a dire
Blade Runner, sia tanto riuscito quanto lontano
dall’originale scritto. Tanto che l’immagine che più
comunemente si ha di Dick è quella di uno scrittore
appassionato di paradossi, di sogni, magari un poco
invischiato con la new age o, a d d i r i t t u r a , c o m e
v i e n e p re s e n t a t o a l l ’ i n i z i o d e l g i à citato Impostor,
quella di un semplice “futurologo” (roba da farlo
rivoltare nella tomba…).
“Quello di Blade Runner”, nel migliore dei casi.
Per buona parte della propria vita, Dick cercò in
qualche modo di fuggire dal ghetto della fantascienza,
scrivendo anche molti romanzi “normali” e seguendo
i n o g n i f o r m a l e p ro p r i e c o m p l e s s e i s p i r a z i o n i ,
anelando una riconoscenza culturale che, per lo
meno in vita, gli fu sempre negata.
Oggi il cinema sembra voler perpetuare questa ingiustizia.
BIOGRAFIA
Philip Kindred Dick nasce a Chicago nel 1928. Negli anni 50 comincia la propria
frenetica attività di scrittore: ricordato per numerosi racconti e romanzi di
fantascienza, premiato nel 1961 col prestigioso premio Hugo, si impegnò comunque
anche nella letteratura “mainstream”, scrivendo ben undici romanzi non di genere,
pubblicati soltanto postumi. A partire dagli anni 60 fu dedito all’uso di anfetamine e
allucinogeni e, nel 1974, entrò in una breve crisi mistico-allucinatoria, effetto e
insieme ispirazione del proprio imponente impianto filosofico-narrativo, culminante,
negli ultimi anni di vita, ne L’Esegesi, zibaldone personale di più di 8.000 pagine di
autoanalisi, per lo più inedite. Morì a Los Angeles nel 1982, quasi in contemporanea con l’uscita nelle sale cinematografiche di Blade Runner, tratto dal suo
romanzo del 1969 Anche gli androidi sognano pecore elettriche?
In alto le locandine dei cinque film “ufficialmente” tratti da opere di P. K. Dick. Nelle altre immagini, due ritratti dello scrittore statunitense: da solo e in compagnia del regista Ridley Scott.
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10 MINUTI CON
BEBO STORTI
SERGIO BIANCO
[email protected]
IL CONTE UGUCCIONE,
ALFIO MUSCHIO, THOMAS
PROSTATA E ADELMO
STECCHETTI: QUESTI I
PERSONAGGI PIÙ FAMOSI
INTERPRETATI DA BEBO
STORTI, INTERVISTATO PER
VOI IN QUESTE PAGINE...
Bebo Storti, l’attore che ha ideato e interpretato
personaggi geniali come Alfio, il bergamasco
leghista di colore, Thomas Prostata, lo scrittore
“pulp, molto pulp” e l’indimenticabile conte
Uguccione, sta ora portando in giro per l’Italia
un nuovo spettacolo teatrale: Mai morti, scritto
e diretto da Renato Sarti. Sul palco lo vediamo
interpretare un ex-fascista (ex per modo di dire)
della brigata “Mai morti” della Decima MAS,
che ripercorre in un monologo le “famigerate”
gesta della Decima durante la Repubblica di
Salò per poi passare agli anni del dopoguerra
accennando ai presunti legami che alcuni membri
della Decima avrebbero mantenuto per decenni
con i servizi segreti deviati interferendo in vario
modo con le inchieste su alcuni dei passaggi più
torbidi della storia della Repubblica Italiana.
Lo incontriamo al termine della sua rappresentazione nell’aula magna della Bicocca.
Nuvola: Una domanda classica: come hai
iniziato a fare l’attore?
Bebo: È una passione che ho sempre avuto e
coltivato. Ho iniziato da molto giovane: 12, 13
anni con il teatro dialettale. Poi ho studiato alla
scuola d’arte drammatica e cominciato a
lavorare nel teatro, facendo un po’ di tutto:
spettacoli per ragazzi, per adulti, nelle scuole,
nei teatri. Poi c’è stato il teatro dell’Elfo, la
televisione: Celito Lindo di Claudio Bisio e Su la
testa di Paolino (Rossi) e alla fine Mai Dire Gol.
Ora sto lavorando nel Teatro della cooperativa,
un progetto molto stimolante.
In questo percorso mi sono impratichito nello
studio di certi personaggi, certe maschere,
cosa che oggi non fa più nessuno,
perché oggi in televisione sono tutti imitatori,
oppure fanno il cabaret del te stesso che parla,
ma che non è mai un personaggio, è l’attore
che si presenta: “io sono Tizio e parlo di questo…”. La ricerca della maschera è scomparsa,
con un certo tipo di attori televisivi che adesso
non lo fanno più. Sono personaggi che solo
certi attori possono fare, poi questo non vuol
dire che siamo migliori di altri…
N: I personaggi televisivi, che sono quelli che
tutti conosciamo, da cosa sono stati ispirati?
Bebo Storti nell’aula magna della Bicocca dopo la rappresentazione del suo ultimo lavoro
teatrale in cui interpreta un ex fascista della brigata Mai Morti della Decima MAS.
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B: Alcuni sono nati con la
Gialappa’s, altri per conto
mio, comunque fondamentalmente sono tutte maschere
della commedia dell’arte alla
cui comicità faccio sempre
riferimento, da cui ho sempre
preso spunto. Poi ci sono
altri personaggi come il conte
Uguccione che è nato in uno spettacolo di
Gabriele Salvatores, Cafè Procope che io ho
trasformato e trasferito con la Gialappa’s
all’interno di Mai Dire Gol. Ad ogni modo
anche questo è un personaggio che ha preso
spunto dalla commedia popolare.
N: Anche se a volte possono essere molto
surreali, come Alfio, il bergamasco leghista di
colore, i tuoi personaggi sono comunque
molto realistici. Sono ispirati in qualche
modo a persone che hai conosciuto?
B: No, assolutamente. Io non mi rifaccio mai
alla realtà, a me il minimalismo, il formalismo, il
nichilismo nella recitazione del cinema e del
teatro di questi anni fanno schifo. Io credo che
le radici della recitazione e del lavoro dell’attore
sul personaggio, sulla situazione, sulla commedia
debbano rifarsi a un teatro popolare “tagliato
grosso”, non “tagliato fino”, poi questo
non vuole dire che i personaggi e le
ambientazioni delle commedie per cui ho
lavorato io non possano essere raffinati,
però l’intelligenza a teatro non viene
dalla cultura, viene dalla comunicazione, sempre e comunque. Mai
dal fatto che tu sei un intellettuale
e proponga delle cose, viene dal fatto che tu
riesca a comunicare al pubblico in modo chiaro
e importante quello che hai nel cuore o nel
pensiero.
N: Qual è il tuo rapporto con i tuoi personaggi nella vita quotidiana?
B: Probabilmente sono un modo, per sfogare
delle compressioni, chi fa questo lavoro è
fortunato secondo me…
N: Ma personaggi come il Conte non possono
diventare quasi “ingombranti” quando non
sei sul palco?
B: Sì, possono diventarlo, ma che lo diventino
pure… Il Conte Uguccione era la risposta a un
certo bigottismo che c’era e che c’è tuttora in
Italia. Mi spiego: quando si tratta di far vedere
tette e culi, anche se stai parlando di medicina
o di cibernetica va sempre bene, quando invece
vuoi parlare di sesso, veramente, diventa un
argomento volgare… Era un modo insomma
per far parlare di sesso un personaggio popolare, un personaggio maschile, in televisione, in
modo stupido, disincantato, leggero. Un po’
una risposta a tutto quel biascicare destrorso e
volte anche sinistrorso, del sesso vissuto come
una malattia: se c’hai una malattia di sesso si
può parlare, se sei sano e trombi come un
cane non puoi dire niente perché allora è
volgare… poi ci sono le Veline che ti
fanno vedere anche le tonsille in televisione: questo invece va bene, no? Allora
lì va bene, quello non è volgarità, non
è pruderie. Invece appena uno si
alza in piedi, si veste come un cretino,
come me, ambienta tutto nel ‘700 e
In alto a sinistra, il famoso Conte Uguccione, personaggio apparso nella trasmissione Mai Dire Gol.
Qui sopra Adelmo Stecchetti, meglio conosciuto per il tormentone del “Senti... maaaaaaaaa?..”
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dice “trombo come un’antilope…”
subito la gente si scandalizza. E ti resta
un po’ attaccato, ma a me va bene
comunque, io sono contento quando
la gente che si è divertita me lo dice.
N: Cosa ti ha spinto a passare da
personaggi più leggeri, come il
Conte o Alfio, a un personaggio più
impegnativo come il Mai Morto?
B.: Prima di tutto c’è stata la fortuna
di avere una proposta come questa
da Renato Sarpi, il regista di questo
spettacolo, e la possibilità di presentarlo in una manifestazione, Maratona
di Milano, organizzata da Antonio
Calvi che ha voluto questo pezzo
all’interno. E poi da lì, le cose succedono, accadono, ti rendi conto che
man mano che vai avanti a fare un
certo tipo di televisione, la televisione
nel corso degli anni diventa sempre
più ignorante, stupida, un po’ poco
pertinente. Allora cresce in te la
voglia di un impegno civile, di tornare
a fare il teatro che poi io ho sempre
fatto, in fondo, che è il
teatro, virgolettando
molto, “dell’intelligenza”, non il teatro
del, “cosa facciamo
quest’anno?”.
Intorno a questo
spettacolo, Mai morti,
anche se per vie indipendenti, è nato il
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Teatro della Cooperativa, dove
si respira un ambiente molto
stimolate e anche questo mi
ha spinto a cambiare in
questo senso, anche se
non ho abbandonato i
miei personaggi.
N: Tornando al periodo in
cui hai lavorato in televisione, come è stato passare da
programmi come Su la testa
e Celito Lindo della RAI ai
programmi della Gialappas
su Mediaset?
B: Non c’è una grande differenza. Allora c’era abbastanza
libertà in Rai e a Mediaset, pressioni non ne ho mai avute
anche perché i miei personaggi non erano mai molto politicizzati. Dal punto di vista della qualità allora io ho lavorato
meglio con la Gialappas, oggi si lavora male ovunque…
N: Dunque i tuoi “progetti per il futuro” sono più legati
al teatro che alla TV?
B: Non solo, c’è anche in programma la possibilità di avere
una trasmissione mia, che gestisco io insieme ad un amico
di cui però non parlo per motivi scaramantici…
N.: E nel teatro invece?
B.: Nel teatro abbiamo questo progetto nuovo all’interno del
Teatro della Cooperativa, su cui stiamo lavorando, che si chiama
La nave fantasma. Ispirato alla storia, tenuta nascosta per
cinque anni, di 283 clandestini dello Sri Lanka che annegano
nelle acque territoriali italiane sulle coste della Sicilia.
N: Per finire: hai un messaggio per i giovani?
B.: Sì: non guardate più la televisione. Giocate a carte, a
Risiko, trombate, fate politica, fate teatro, fate di tutto, ma
non guardate la televisione, soprattutto quando ci sono gli
imitatori. Quelli sono la morte della comicità.
In basso a sinistra, Thomas Prostata, “scrittore pulp, molto pulp... pure troppo!”.
In alto a destra, Alfio Muschio, leghista acerrimo nemico dei “calciatori fighetti”.
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