Giorgio Sinigaglia - Le Montagne Divertenti
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Giorgio Sinigaglia - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina e v r i D tenti N°34 - AUTUNNO 2015 - EURO 5 Racconti José Arcadio Buendía Rifugi I 90 anni del rifugio Luigi Mambretti Alpi Orobie Due giorni attorno al monte Gleno Approfondimenti La “diga schiantata” del Gleno Val Grosina Dal Sassalbo alla vetta Sperella Val Masino La traversata dei Corni Bruciati da pra Isio Valmalenco Alta Via: 5a tappa, dal lago Palù alla Marinelli Orobie Passeggiata da Faedo a San Bernardo Valchiavenna Da Chiavenna al lago del Grillo Alta Valtellina Monte Varadega Valtellinesi nel Mondo Mosca-Pechino in treno Natura Migrazioni: in volo sulle Alpi Inoltre Ricette della nonna, foto dei lettori, giochi... Giorgio Sinigaglia Un lampo nei cieli della val Grosina VALCHIAVENNA - BASSA VALTELLINA - VAL MASINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA 1 LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale Beno Vorrei dedicare questo numero della rivista a Marco Gianatti. Unendo un impegno e un altruismo esemplari, Marco è riuscito, tra le altre attività di volontariato, a ideare e organizzare indimenticabili momenti di aggregazione incentrati sulla corsa e ambientati nel versante retico valtellinese: un connubio tra sport e natura che ha invitato molti a scoprire il territorio e ad affezionarsi alle bellezze dei nostri paesi. Ora che un incidente sul lavoro se l'è portato via, non posso fare altro che ringraziarlo a nome di tutti quelli che come me hanno beneficiato della sua creatività e della sua tenacia, augurandomi che presto qualcuno possa raccogliere il testimone che ha lasciato. 2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 Editoriale: alba al lago di Malghera (26 settembre 2014, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com). In copertina: il pizzo Tresero specchiato nel lago della Manzina (15 settembre 2014, foto Beno - www.clickalps.com). Editoriale LE MONTAGNE DIVERTENTI Ultima di copertina: la chiesa di San Bernardo in val di Rezzalo (17 ottobre 2014, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com). 3 Speciali lpinismo peciali E R scursionismo ubriche O Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 A S 0 12 LE MONTAGNE DIVERTENTI Editore Beno Direttore responsabile Enrico Benedetti 38 78 Giorgio Sinigaglia (1875-1898) Alpi Orobie Valmalenco Anello del Gleno (m 2883) Alta Via: 5a tappa (lago Palù - Marinelli) 18 52 92 Realizzazione grafica 10 Alessandra Morgillo Beno Gioia Zenoni Roberto Moiola I Redazione Racconti inediti di Antonio Boscacci Approfondimenti Versante Orobico Esploratore e illustratore della val Grosina Beno Revisore di bozze Valtellinesi nel mondo Mosca - Pechino in treno Mario Pagni Responsabile della cartografia Matteo Gianatti A La “diga schiantata” del Gleno Natura Passeggiata a Faedo Migrazioni: in volo sulle Alpi 13 José Arcadio Buendía 10 Avis Comunale Sondrio, Marco Bettomè, famiglia Aldo Balatti, famiglia Piero Melazzini, Diego De Paoli, Giorgio Colombo, Enrico Minotti, Michele Comi, Luciano Benedetti, Franco Monteforte, la Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti quelli che ho dimenticato di citare. 8 Si ringraziano inoltre 12 Anna Triberti, Antonio Boscacci e Luisa Angelici, Carlo Nani, Dicle, Eliana e Nemo Canetta, Fabio Pusterla, Giacomo Meneghello, Giovanni Rovedatti, Jacopo Rigotti, Katia Ballatti, Kim Sommerschield, Luciano Bruseghini, Luisa Piganzoli, Marco Santin, Marino Amonini, Mario Sertori, Matteo Tarabini, Maurizio Torri, Nicola Giana, Raffaele Occhi, Roberto Dioli (Caspoc'), Roberto Ganassa, Sergio Scuffi, Valentina Regonesi, Vittorio Vaninetti. R Hanno inoltre collaborato a questo numero: Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380138 Sassalbo (m 2862) - Sperella (m 3075) Approfondimenti Rubriche Chiesa di San Bernardo - gli affreschi Le foto dei lettori 14 Val Grosina Rifugio Luigi Mambretti 2 [email protected] www.lemontagnedivertenti.com 90 anni 10 Contatti, informazioni e merchandising 2 registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com 56 Per ricevere la nostra newsletter: 26 Bonazzi Grafica - via Francia, 1 - 23100 Sondrio M Stampa fatto il bonifico è necessario registrare il proprio abbonamento su Valchiavenna - www.lemontagnedivertenti.com - oppure telefonare al 0342 380138 (basta lasciare i dati in segreteria). Lago del Grillo (m 1960) 4 4 annuale (4 numeri della rivista): costo € 22 da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico via Panoramica 549/A 23020 Montagna (SO) nella causale specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” M Abbonamenti per l’Italia Giochi Soluzioni del n. 33 e concorsi del n. 34 [email protected] - € 6 cad. Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista Prossimo numero Versante Retico Alta Valtellina Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097) Cosa portare con sé Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Varadega (m 2635) 6 Escursioni di più giorni 14 4 11 LE MONTAGNE DIVERTENTI 64 4 35 S 21 dicembre 2015 O Arretrati Le ricette della nonna Mac: minestra tipica della val Gerola Sommario Sommario 5 Localizzazione luoghi Zillis Zillis Wergenstein Bergün Parsonz Sufers Ausserferrera 3062 2115 Mulegns 3279 3378 Lago d i Lei Madesimo Bivio St. Moritz Campodolcino Maloja Passo del Maloja 1815 Pizzo Stella 3183 Mera Pizzo Galleggione 3107 CHIAVENNA Prata 104 Camportaccio Somaggia ra T. Code 3032 Postalesio Berbenno Castione Colorina Tartano Geròla Bellàno Taceno Pescegallo Pizzo dei Tre Signori 2554 Introbio Lierna Ornica LE MONTAGNE DIVERTENTI Barzio Foppolo Carona Mezzoldo Cùsio Piazzatorre Valtorta Pasturo Monte Cadelle 2483 Passo San Marco 1985 Cassiglio Olmo al Brembo T. V enin a T. Livrio Albaredo Pizzo Campaggio 2503 Adda Tresenda Arigna Carona Aprica Còrteno Autunno 2015 Mazzo Vilminore Colere Villa Pizzo Camino 2492 52 Alpi Orobie 114 Vione Passo del Tonale 1883 Monte Fumo 3418 Monte Carè Alto 3462 Saviore Alta Via: 5a tappa (Eliana e Nemo Canetta) Passeggiata a Faedo (Gioia Zenoni) 104Valchiavenna Lago del Grillo (m 1960) (Luciano Bruseghini - Sergio Scuffi) 114 Alta Valtellina Capo di Ponte LE MONTAGNE DIVERTENTI 78 Valmalenco Valle Làveno Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 m 3097) 92 Versante Orobico Adamello 3554 Berzo Paisco 64 Versante Retico (Beno) Ponte di Legno Edolo Garda (Raffaele Occhi) (Beno) Sonico Concarena 2549 100 Incudine Monno Cortenedolo Punta San Matteo 3678 Passo di Gavia 2618 La “diga schiantata” del Gleno Sassalbo (m 2862) Sperella (m 3075) Pezzo Pezzo Monte Serottini 2967 Vezza d'Oglio Palone del Torsolazzo 2670 Schilpario Anello del Gleno (m 2883) 56 Val Grosina Forni Corno corno dei Tre Signori 3359 Punta di Pietra Rossa Monte Tonale 3212 2694 Malonno Pizzo di Coca Monte Torena 2911 3050 Monte Sellero 2743 Pizzo di Redorta Loveno 38 3039 Monte Gleno Pizzo del Diavolo 2883 Valbondione di Tenda Passo del Vivione 2914 52 1828 Gromo Fumero Sondalo Passo dell'Aprica Pizzo di Rodes Gandellino Monte Confinale 3370 Le Prese Tovo Lovero Sernio TIRANO Bianzone Teglio Monte Cevedale 3769 Santa Caterina (Marino Amonini) 38 Alpi Orobie frana di val Pola Adda 26 2829 Branzi Roncorbello Monte Masuccio 2816 Gran Zebrù 3851 Cepina Grosotto Brusio Ponte in Valt. 92 Albosaggia Caiolo Tremenico Premana SONDRIO Boirolo BORMIO Grosio Chiuro Sirta Talamona Bema 3136 Tresivio MORBEGNO Bellagio 6 Bùglio Ardenno Torre di S. Maria Malghera Fonta na Caspano Dubino Mantello Mello Traona Dazio Delébio Rògolo Còsio Regolédo Dervio Cevo 3323 Le Prese Vetta di Ron T. Mallero 2845 Verceia 3114 64 Pizzo Scalino Lanzada Caspoggio Chiesa in Valmalenco 56 Poschiavo T. Va l Cima del Desenigo Monte Legnone 2610 Lago di Como Primolo T. Caldenno Còlico Monte Disgrazia Bagni 3678 di Masino Pizzo Ligoncio San Martino Corni Bruciati San Carlo Ortles 3905 San Antonio Valdisotto Cima di Saoseo 3264 Eita 78 Sasso Nero 2917 3378 Novate Mezzola Lago di Mezzola Chiareggio Cima di Castello o T. Masin Montemezzo Livo Gera Dosso d. Liro Lario Dongo 3308 La Rösa i od Lag chiavo Pos 2459 Villa di Chiavenna Pizzo Badile San Cassiano San Pietro Samòlaco Era Pizzo Martello Vicosoprano Cima Piazzi 3439 4049 Passo del Muretto 2562 Bondo Passo del Bernina 2323 Oga Rifugio Luigi Mambretti (Beno) Bagni di Bormio Premadio T. Roasco Gordona Soglio Castasegna Prosto Mese Piz Palù Pizzo Bernina 3906 Casaccia Isolaccia Arnoga Forcola di Livigno 2315 Sils T. La nte rna Fraciscio Passo dello Stelvio 2757 Valdidentro Passo del Foscagno 2291 Solda Solda Giogo di Santa Maria 2503 Trepalle Pianazzo Pizzo Quadro 3013 1816 Piz Languard 3268 Silvaplana Juf Lag 3180 hi d i Ca nca no Pontresina Julierpass Mera 3209 Livigno 3057 Cresta Cima la Casina Samedan Piz Nair 3392 Pizzo d'Emet Isola Sur 26 Alpi Orobie Stelvio Stelvio San Maria Lago del Gallo Piz Piatta Montespluga 3159 Inn Montechiaro Montechiaro Müstair Piz d'Err Piz Grisch Innerferrera Passo dello Spluga Zuoz Albulapass 2312 Julia Curtegns 1864 Piz Quattervals 3418 Reno Splügen Medels Pizzo Tambò Piz Kesch Cunter Andeer e itinerari Monte Re di Castello 2889 Monte Varadega (m 2635) (Eliana e Nemo Canetta) Niardo Niardo © Beno © Beno 2010/2015 2011 - riproduzione - riproduzione vietata vietata Localizzazione di luoghi e itinerari 7 L e g e n d a Schede sintetiche, tempistiche e mappe Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del percorso, tra cui dislivello positivo, tempo di percorrenza e difficoltà. Nella pagina a fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Nelle schede sintetiche alla voce "dettagli" viene indicata la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione. Le tempistiche fornite nel testo descrittivo sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Con dislivello si sintende il dislivello positivo. Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica, permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario più consono alle proprie capacità. Nelle mappe, perlopiù realizzate con scala 1:50000, sono rappresentati: dorsali delle montagne, passi, vette, torrenti, laghi, ghiacciai, zone abitate, chiese, rifugi e strade carrozzabili. Per chiarezza non sono disegnati i sentieri, ma, in rosso, il solo itinerario descritto nell'articolo. Altri colori indicano eventuali varianti. se la linea dell'itinerario è continua significa che questo si svolge su sentiero bollato o comunque evidente; il tratteggio invece indica che si è al di fuori dei sentieri o su tracce poco evidenti. Il percorrimento di tali rotte è riservato ad alpinisti ed escursionisti esperti. Ottimo anche per anziani non più autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. 1 - Se non vi sono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3,5 km/h su itinerario pianeggiante. 2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto. BELLEZZA PERICOLOSITÀ Quasi meglio il centro commerciale Carino Assolutamente sicuro Bello Basta stare un po’ attenti Imperdibile FATICA Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (si consiglia una guida) ORE DI PERCORRENZA Anche per uomini larva Nulla di preoccupante Impegnativo Un massacro Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. DISLIVELLO IN SALITA meno di 4 ore meno di 800 metri dalle 4 alle 9 ore dagli 800 ai 1500 metri dalle 9 alle 13 ore dai 1500 ai 2500 metri oltre le 13 ore oltre i 2500 metri Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). È meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non temerari e dopati. È richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. È consigliabile una guida. Valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica ed esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. Speciali Giorgio Sinigaglia Esploratore e illustratore della val Grosina, Giorgio Sinigaglia è considerato uno dei maggiori conoscitori di quelle montagne, sebbene il destino non gli abbia concesso che 23 anni di vita. Raffaele Occhi 10 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Giorgio Sinigaglia (1875-1898) 11 Personaggi Speciali INCONTRO A EITA on c’era nessuno ad Eita a salutarci, e la porta del rifugio era saldamente chiusa. Una donna venne presto in nostro aiuto, e riuscì a farci capire che eravamo attesi. Ma niente provviste, niente vino; null’altro che nude pareti!! Tuttavia, due ore più tardi, udimmo delle grida gioiose, e poco dopo apparve il Signor Sinigaglia in persona, seguito da numerose “portatrici” (poiché gli uomini della valle in estate emigrano), che trasportavano viveri e bevande d’ogni eccellente qualità». Così quell’autorità alpinistica che fu il reverendo William Augustus Brevoort Coolidge (New York 1850 Grindelwald 1926) ricordò l’incontro con «il Signor Sinigaglia, che molto gentilmente era venuto ad Eita apposta per incontrarmi [...] ma nessuno di noi sapeva che questo nostro primo incontro sarebbe stato anche il nostro ultimo su questa terra». Quell’abboccamento dell’estate del 1897 col grande «eremita di Grindelwald», arrivato a Eita da Zernez via Livigno con la sua fedele guida Christian Almer il giovane, la dice lunga sui larghi orizzonti della breve quanto intensa carriera alpinistica di Giorgio Sinigaglia. I suoi studi sulla val Grosina lo videro in corrispondenza, oltre che con Coolidge, con altri illustri alpinisti, sia italiani che stranieri, fra i quali Cederna, Ronchetti e Ghisi, Freshfield e Prielmayer, Darmstädter e Schumann, Blodig e Purtscheller. Sinigaglia aveva con sé, come guide, Antonio Baroni e Pietro Rinaldi. Con Coolidge, che stava compilando una “Climbers’ Guide” di quella regione, intendeva compiere alcune ascensioni, ma a causa del vento impetuoso dovettero inizialmente rimandarle restandosene tappati nel rifugio (la cosiddetta Casa d’Eita, costruita dalla fabbriceria di Grosio con un sussidio della Sezione di Milano), uscendone solo di rado per prendere una boccata d’aria sul piazzale davanti alla chiesa; tuttavia - appuntò - «non potei oltremodo lamentarmene, perché avevo diversi argomenti da discutere col reverendo, ed inoltre tanto lui quanto Almer sono una carissima e brillante compagnia». In quei giorni, con tanti personaggi Casa e chiesa di Eita (disegno di G. Gugliermina tratto da due fotografie di Giorgio Sinigaglia e riportato sul Bollettino del CAI del 1897). In copertina di questo articolo: Giorgio Sinigaglia e il Santuario della Madonna del Muschio di Malghera ritratti in un acquerello di Kim Sommerschield (www.sommerschield.it) che unisce passato e presente. La torre campanaria, infatti, risale al 1910, ben dopo la morte di Sinigaglia, ma come il giovane esploratore è presto diventata uno dei simboli della valle. «N 12 LE MONTAGNE DIVERTENTI dai più diversi idiomi - inglese, tedesco, italiano, bergamasco, grosino - la Casa d’Eita doveva esser una sorta di Babele fra i monti. Infatti, «nella capanna s’udivano tutte le lingue vive e morte (con un prete arrivato il sabato sera, il latino fu una grande risorsa), compreso il pretto bergamasco del bravo “Toni” che se la cavava del resto abbastanza bene con un po’ di francese. Gran parte del tempo fu però dedicato a preparativi culinari, e ne fa fede un “menu” firmato da Coolidge e da me, sul libro dei visitatori». Si approfittò pure della sosta per fare un po’ di fotografie, una delle quali (vedi pag. 14 - rarità rinvenuta fra le carte del conte Lurani Cernuschi, l’esploratore della val Masino) ritrae Sinigaglia e Coolidge, e dietro di loro Baroni e Almer, mentre stanno esaminando una carta topografica; fu probabilmente scattata da Pietro Rinaldi e porta la data del 30 luglio 1897. Il giorno successivo, cessato il vento, la giornata non poteva esser più bella; risalirono tutti insieme la val Vermolera e dal lago Spalmo - «grazioso laghetto, dall’azzurro scurissimo delle sue acque» raggiunsero il colle di Lago Spalmo, «il più importante del gruppo omonimo, che sin dall’altro anno aspiravo raggiungere, e che avevo tentato invano nello scorso inverno». Mentre Coolidge, piuttosto stanco in quanto reduce da una grave malattia, preferì tornare a Eita per la medesima via, Sinigaglia con Baroni e Rinaldi scese il ripido ghiacciato versante settentrionale del colle con la sua larga crepaccia terminale (la “bergsrunde” come lui la chiamò), per poi risalire alla cima Orientale di Lago Spalmo che toccarono a ora ormai avanzata. «Capita raramente - scrisse - di trovarsi sopra una vetta elevata verso sera: è uno degli spettacoli più maestosi e, oso dire, commoventi che si possano godere. E una festa di colori in tutte le più vaghe delicate sfumature, e le vette s’ergono sino in lontananza con una nitidezza che, specie all’estate, non è dato avere nelle altre ore del giorno». Era ormai notte quando rientrarono a Eita, dov’erano tutti in grande agitazione; quando finalmente arrivarono, Coolidge accolse Sinigaglia stringendogli la mano con un: «Vi credevo perduto, completamente perduto!» Autunno 2015 LA RIVELAZIONE DELLA VAL GROSINA ocio della Sezione di Milano del CAI dal 1894, così come della Sezione Valtellinese (ma pure del DuÖAV di Monaco) Giorgio Sinigaglia aveva messo piede per la prima volta in val Grosina, ventunenne, nell’inverno del 1896. Lo spunto per andarla a conoscere, «approfittando degli ultimi giorni di carnevale», gliel’aveva dato il bell’articolo di Antonio Cederna pubblicato sul Bollettino del CAI del 18911, che «già da tempo m’incitava a visitare quella regione ancor quasi sconosciuta agli alpinisti». A Grosio, raggiunta «dopo cinque ore di ferrovia e sei di diligenza», s’incontrò all’albergo Gilardi con Battista Confortola, la nota guida di Valfurva ingaggiata per l’occasione, e «col portatore Rinaldi, brav’uomo e bel carattere». I tre, cui si è aggregato «l’asino di Rinaldi, carico dei sacchi e delle provviste», partono per Eita ma, inoltratisi nella valle, «il sentiero in alcuni S 1 - Antonio Cederna, Val Grosina. Cenni topografici e turistici in Bollettino del CAI, 1891, p. 78-97; http://bit.ly/1WFr2dc LE MONTAGNE DIVERTENTI punti incominciava ad essere ricoperto di ghiaccio. L’asino scivolava... e per un momento vidi tutte le provviste in fondo al torrente. Lo rialzammo, ma non voleva più procedere. Sin allora aveva faticato per noi, ora toccò a noi lavorare per lui e scavargli i gradini nel ghiaccio... ed era comico il vedere con quale attenzione e prudenza l’intelligente bestia posava le zampe negli scalini»! Ad ogni buon conto, per Sinigaglia la val Grosina fu una rivelazione. «Il panorama d’inverno, colle vette ed i versanti a nord ricoperti di neve, destava veramente meraviglia, come pure ci sorprendeva l’attività che regnava nella valle popolatissima. Ad ogni istante s’incontravano sulla mulattiera uomini e donne, queste nel loro pittoresco costume, e bestiame e carretti carichi di legno e fieno». Sinigaglia aveva un programma ambizioso: Sasso di Conca, discesa per la vedretta di Dosdé, capanna Dosdé, cime di Lago Spalmo e ritorno a Eita. Ma il diavolo ci mise lo zampino… e il giorno dopo una nebbia fittissima li costrinse a restar tappati nel rifugio, non senza fare «onore all’ottimo vino di cui Gilardi tiene provvista la capanna». Ma Sinigaglia non si diede per vinto e disse a Confortola: «Io non ho assolutamente voglia di tornarmene a Milano colle pive nel sacco. Domani, qualunque sia il tempo, tenteremo l’ascensione del Sasso di Conca. Alla cresta ci condurrà Rinaldi anche colla nebbia, perché pratico dei luoghi. Raggiunta che essa sia, la seguiremo... finché non vi sarà più da salire, prova evidente che saremo giunti in cima. Andremo su in un sacco e torneremo giù in un baule, ma almeno, come diceva il povero Carrel, “nous mettrons la montagne dans notre poche” 2 ». E così il giorno dopo raggiunsero la vetta del Sasso di Conca, senza trovar traccia di precedenti ascensioni. Mentre salivano lungo la cresta sud, «ad un tratto un colpo di vento spazzò la nebbia sopra di noi, e lì davanti nell’azzurro del cielo vedemmo spiccare la nostra punta illuminata dai raggi del sole. Un grido di entusiasmo proruppe dai nostri petti. Girando lo sguardo una moltitudine di vette si delineavano con quella nitidezza che solo nell’inverno è dato di ammirare… Ma ciò che sopratutto m’interessava erano i monti della Val Grosina: ne rimasi incantato». CLIMBING REMINISCENCES IN THE DOLOMITES iorgio Sinigaglia, nato a Milano nel 1875, aveva cominciato i suoi giri fra le Alpi a 14 anni, sotto l’ègida del cugino Leone Sinigaglia, quando, con la guida Antonio Baroni di Sussia e il portatore Ravaglia di Fiumenero, aprirono una via nuova al Redorta nelle Orobie per la parete est. Il cugino, quel Leone Sinigaglia noto musicista ebreo torinese, allievo di Dvoràk e amico di Brahms e di Maler - che vide morire la sua guida G 2 - Misuriamo la montagna nella nostra tasca. Giorgio Sinigaglia (1875-1898) 13 Personaggi Speciali Barbaria, Tobia Menardi, Pietro Dimai - «arrampicatore sicuro ed elegantissimo» - e Arcangelo Dibona. Le Dolomiti, scrisse Giorgio Sinigaglia, «hanno per me il merito, soprattutto, di offrire delle scalate brevi, è vero, ma che ti assorbono completamente, al punto che neppur un istante la mente può volgersi ad altro che alla tecnica, alla voluttà dell’arrampicare». IL FASCINO DELL’ARRAMPICATA l fascino dell’arrampicata e le figure di quelle grandi guide dolomitiche gli rimasero nel cuore; qualche anno dopo, precursore con i suoi scritti dello sviluppo alpinistico delle Grigne, scriveva: «Questa zona vicinissima a Milano, e quindi molto frequentata, è la miglior palestra per roccia che si possa desiderare... Con un Bettega o un Dimai ed un paio di “kletterschuhe” si potrebbero provare a poche ore da Milano, su per le pareti e gli arditi pinnacoli delle due Grigne, le più intense e deliziose emozioni che una scalata dolomitica possa dare». La Grigna meridionale l’aveva salita per la prima volta d’inverno, nel febbraio 1896, e l’estate successiva ne fece la prima traversata da Ballabio a Mandello, lungo quella cresta che prese da lui il nome di “cresta Sinigaglia”. Lo troviamo poi al Grignone, al Resegone, al Cornizzolo, al San Martino e, saltando sull’altro ramo del lago, nelle Prealpi Comasche sopra Livo. L’anno precedente, Sinigaglia era stato in Engadina dove agli inizi di agosto aveva fatto la prima ascensione della parete sud-est del piz Lagrev con Johann Eggenberger, scendendo in tempo per il pranzo alla table d’hôte di Sils-Maria. Ancora con Eggenberger e suo fratello Andrea (ahimè, «dalla tariffa elevatissima») andò a pernottare alla capanna del Forno e il giorno successivo raggiunsero il Sissone e il Disgrazia; scesero quindi in val di Mello e, non trovando alloggio né ai Bagni di Masino né a San Martino, conclusero le loro fatiche a notte fatta - l’ultimo tratto in carrozza - ad Ardenno. Poi, nella seconda metà d’agosto, si portò nel gruppo del monte Rosa, dove realizzò la traversata del colle delle Loccie da Alagna a Macugnaga. I Casa di Eita. Sinigaglia e Coolidge stanno esaminando una carta topografica; dietro di loro Baroni e Almer.Immagine presumibilmente scattata da Pietro Rinaldi, unico del gruppo non ritratto in foto (30 luglio 1897, archivio Francesco Lurani). Jean Antoine Carrel (il “Bersagliere”) al ritorno da un drammatico tentativo al Cervino, era stato «il primo italiano di vaglia - così C.E. Engel nella sua Storia dell’Alpinismo - ad affrontare le Dolomiti»; e proprio grazie a lui Giorgio Sinigaglia ebbe la fortuna di compiere nel 1893 una bella serie di scalate intorno a Cortina d’Ampezzo, che il cugino musicista descrisse poi con maestria nei suoi Ricordi alpini delle Dolomiti (vennero pure tradotti e pubblicati in inglese nel volume Climbing reminiscences in the Dolomites). 14 LE MONTAGNE DIVERTENTI Salirono il Pelmo, il Becco di Mezzodì, l’Antelao e il Cristallo, poi le Tofane, la Dreischusterspitze (cima Tre Scarperi) e l’Elferkofel (cima Undici); allo Zwölfer (Croda dei Toni), nel risalire un camino Giorgio «s’era cacciato in un buco e impigliato talmente, che ci volle del bello e del buono perché ne uscisse, stirandosi maledettamente per tutti i versi»! Nelle varie ascensioni, oltre al portatore della Valtournanche Charles Gorret - scelto da Leone Sinigaglia - , li accompagnarono le migliori guide di Cortina: Giovanni Autunno 2015 NELLE ALPI DI VAL GROSINA Sinigaglia aveva dunque un curriculum di tutto rispetto quando nel febbraio 1896 salì il Sasso di Conca. Da allora, tutte le sue energie si concentrarono sulle Alpi di val Grosina, come ebbe a chiamare quel gruppo montuoso in accordo con Coolidge e Maximilian von Prielmayer. «Io ne rimasi talmente ammirato, che in febbraio dalla cima del Sasso di Conca destinavo, abbandonando altri progetti di ascensioni in gruppi altrettanto classici quanto conosciuti, di compiere la mia campagna alpina in questa valle pittoresca». Il 1° agosto dello stesso anno eccolo dunque lasciare Milano per Eita, dove trascorse 25 giorni, caratterizzati purtroppo da un «tempo orribile, quale i vecchi della valle non ricordavano il simile»; tanto che l’anno successivo, quando tornò in valle dove dopo tanto secco s’auspicava l’arrivo della pioggia, al suo apparire i grosini smisero le preghiere: Sinigaglia era infatti considerato “foriero di pioggia”, e non sbagliarono! Ciononostante non sprecò il suo tempo, ma ne approfittò per meglio conoscere la gente e le sue usanze. «Nelle lunghe ore di pioggia - ricorda - mi compiacevo a conversare con quei bravi montanari, e rimanevo sorpreso della franchezza e verità di tante loro risposte improntate di una certa filosofia… Certo vi sono ancora molte superstizioni, specie nelle donne. Per citarne una, me ne passeggiavo un giorno colla mia macchina fotografica, e visto un gruppo di donne che lavavano della biancheria, m’offersi di ritrattarle. Non l’avessi mai fatto! Una di esse cominciò ad urlare e, con mia gran meraviglia afferrò perfino un bastone, come per impedirmi di avanzare ... inutile aggiungere che l’istantanea la feci ugualmente. Seppi poi essere opinione lassù che il nascituro di una donna fotografata, deve essere o scemo o storpio». Senza dilungarci in un arido elenco delle ascensioni compiute da Sinigaglia nella sua esplorazione sistematica delle Alpi di val Grosina, per le quali si rimanda ai Bollettini del CAI, facciamo solo un cenno ad alcune delle sue prime più significative. La vergine «Punta 3139 del LE MONTAGNE DIVERTENTI Colle di lago Spalmo, versante S. Da sx: Almer, Coolidge, Sinigaglia e Baroni (31 luglio 1897, immagine tratta dal Bollettino del CAI del 1898). Redasco», che s’era messo in testa di vincere quando l’aveva ammirata dal Sasso di Conca d’inverno e che, «elegante ed esilissima, dal Pizzo Matto si presenta sotto l’aspetto di una “Aiguille”, ricordando senza esagerazione, come già dissi, il classico Dente del Gigante», Sinigaglia la vinse con Krapacher, guida di Premadio, la vigilia di ferragosto del 1896: giunti in vetta, la battezzò col nome gentile di punta Maria, stappando per l’occasione una bottiglia di Asti spumante. C’era poi quell’«elegante guglia che proprio in faccia alla capanna [Dosdé] s’eleva sopra il Lago Negro fra il Ricolda ed il Dosso del Sabbione». Sinigaglia si meraviglia di «come a nessun alpinista sia mai venuto in mente di provarsi a questa vetta, che si presenta snella e tentatrice anche dall’opposta Val di Sacco»; e allora ci si prova lui, arrampicandosi «superlativamente felice» in maniche di camicia su quelle calde e solide rocce che, quasi dandogli la sensazione di trovarsi ancora nelle Dolomiti, gli offrono «tutte le delizie che un alpinista può desiderare». Quella punta non aveva un nome, e dal momento che domina il lago Negro, la battezzò - col benestare di Coolidge e Prielmayer - Corno di Lago Negro. Sicuramente Sinigaglia non aveva pensieri superstiziosi, quando vi costruì con Rinaldi il suo tredicesimo ometto su una vetta della val Grosina. Sta di fatto che però, superstizione o meno, durante la discesa per altra via un lastrone smosso dalla corda lo colpì a una spalla e sul braccio, per fortuna senza gravi conseguenze se non un grande spavento! Del Sasso Maurigno, quello «splendido bastione di roccie che chiude a nord la Val Grosina» e su cui con Rinaldi costruì un «immane uomo di pietra», a Sinigaglia è attribuita la “prima ascensione turistica”. Avvicinandoci poi alla Piazzi, eccoci a quel caratteristico dente roccioso della cresta di Verva, il più elevato, che salì per primo con Rinaldi nel 1897; dente roccioso al quale il Regio Istituto Geografico Militare, accogliendo una petizione firmata da molti abitanti della valle su proposta del colonnello Prielmayer ed appoggiata dalla Sezione di Milano del CAI, diede il nome ufficiale di Corno Sinigaglia. La val Grosina l’aveva così stregato che più volte vi si recò anche nella stagione invernale come quando, ad esempio, nel marzo 1897 fece un infruttuoso tentativo al colle di Lago Spalmo con le guide Enrico Schenatti e Pietro Rinaldi, ritirandosi in tempo per vedere, il giorno dopo, «i Giorgio Sinigaglia (1875-1898) 15 Personaggi Speciali Ruttico gomme Dal 1967 ti aiuta a guidare sicuro PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA RIPARAZIONE GOMME E CERCHI BILANCIATURA E CONVERGENZA ASSISTENZA SUL POSTO OFFICINA MOBILE CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO Montagna in Valtellina (SO) fine tangenziale direzione Bormio tel 0342/215328 fax 0342/518609 e-mail [email protected] www.rutticogomme.191.it 16 LE MONTAGNE DIVERTENTI pini enormi trasportati come piume nel fondo della valle dalla potente onda d’aria spostata prima ancora che la valanga stessa fosse visibile!», e per fare infine «onore ad un lauto pranzo offertomi con somma cortesia dal canonico di Grosio il rev. Don Discacciati». A quelle montagne dedicò una bella monografia - Nelle Alpi di Val Grosina - che, pubblicata sui Bollettini del CAI del 18973 e del 18984 (rimasta purtroppo incompiuta per la costiera delle Sperelle e del Teo), fu premiata con medaglia d’oro dalla Sezione di Milano del CAI. Era un invito alla valle, «un caldo appello ch’io rivolgo ai colleghi» a visitare quei luoghi ed a farli conoscere, sulla scia di un’ormai consolidata tradizione che voleva il CAI promotore non solo dell’attività alpinistica e scientifica fra le montagne, ma anche della conoscenza e dello sviluppo turistico delle regioni alpine. Come scrisse l’allora presidente del CAI Milano Antonio Cederna nel presentarne, postuma, la seconda parte, si tratta di un lavoro «robusto e pregevole [...] che conferma nell’Autore la qualità di appassionato alpinista e di intelligente esploratore di monti». Quelle pagine - piacevoli récits d’ascension (di tono minore tuttavia rispetto ai lirici Ricordi del cugino Leone) - hanno per noi, oggi, il pregio dell’interesse storico e documentario, fornendoci non solo uno spaccato sull’esplorazione alpinistica, ma anche un’immagine della valle di oltre cent’anni fa, con l’incontro tra la gente, le guide e gli alpinisti all’epoca dei pionieri. Ecco l’albergatore di Grosio sig. Luigi Gilardi, del quale Sinigaglia fa «pubblica lode per la premura ed inappuntabilità con cui disimpegnò il servizio dei viveri e per la ormai così rara moderazione nei prezzi». Ecco le grosine «dai begli occhi» e le belle «matèle» a cui fare gli auguri di Natale, o addirittura le donne al torrente «che estraevano la sabbia fina per preparare la calce»... Ci sono poi le sue guide: Battista Confortola di Valfurva, «il tipo 3 - Giorgio Sinigaglia, Nelle Alpi di Val Grosina (prima parte), Bollettino del CAI, 1897, p. 157-217; http://bit.ly/1UTzFiv 4 - Giorgio Sinigaglia, Nelle Alpi di Val Grosina (seconda parte), Bollettino del CAI, 1898, p. 1-26; http://bit.ly/1EDgobQ Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI perfetto della guida alpina, sobrio e non chiacchierone», Giuseppe Krapacher (detto Todeschìn) di Premadio, che viene a raggiungerlo a Eita (dopo aver «passato la notte sulla montagna senza riuscire ad inforcare il Passo di Verva») per andare a vincere insieme il pizzo Matto e la punta Maria del Redasco, o ancora il simpaticissimo Enrico Schenatti di Chiesa in Valmalenco, con cui tentò più volte la Torre Centrale del Redasco («lontana somiglianza colla Kleine Zinne», battezzata poi punta Elsa dai primi salitori Ongania e Facetti) e il Toni Baroni dal viso raggiante dopo la vittoriosa traversata del colle di Lago Spalmo. Infine, nella sua modestia, il fedele e assiduo compagno Pietro Rinaldi di Grosio, il quale «ha le migliori doti per formare una buona guida», e che proprio gli scritti di Sinigaglia contribuirono a far conoscere nella cerchia degli alpinisti. A quegli anni risale anche l’amicizia di Sinigaglia col barone Maximilian von Prielmayer, che pure pubblicò una monografia sulla val Grosina nella Zeitschrift del 1897. Alla morte di Sinigaglia, Prielmayer lo ricordò in un breve necrologio sulle Mittheilungen: «quel giovane entusiasta, gentile e modesto, le cui maniere del resto conquistarono tutti quelli che lo conobbero». Nelle sue pagine troviamo poi Antonio Facetti, «alpinista provetto senza guide» che con Sinigaglia e Rinaldi salì i Sassi Rossi, il Sasso di Conca e la cima Piazzi nell’estate del 1896, e infine Antonio Cederna incontrato però non in val Grosina, bensì nella sua casa di San Bernardo sopra Ponte Valtellina, dove Sinigaglia fu ospite alcuni giorni durante il rientro a Milano. Della val Grosina ebbe pure ad apprezzare anche l’intimità dei rifugi come la capanna Dosdé («Come si stava bene alla sera nel minuscolo locale, ben riscaldato, che serve di cucina. Nulla dà un’ aria più calda e confortevole negli alti rifugi alpini quanto la rivestitura in legno»), ma pure, alla Casa d’Eita, «tutte le comodità non disgiunte da grande modicità dei prezzi. Infine, montanari simpatici, e graziosi profili di splendide montanare, cosa volete di più?» INVERNO 1897 a breve parabola alpinistica di Sinigaglia ebbe il suo canto del cigno nell’inverno del 1897, pochi mesi prima della morte; il 22 dicembre, approfittando del fatto che già si trovava in Valtellina per motivi di studio col prof. Luigi Brugnatelli dell’Università di Pavia5 compì la prima ascensione della punta nord dei Sassi Rossi. «In mancanza di bottiglie... vuote, misi il mio biglietto da visita in una fessura della roccia, segnandone la posizione con quattro sassi accatastati. Ma non era solo una presa di possesso, era uno scongiuro, quel minuscolo ometto, il quattordicesimo che costruivo sulle Alpi di Val Grosina!». Quando scrisse quelle righe, quello scongiuro, chissà, forse sentiva già dentro di sé il senso della caducità della vita. La primavera successiva si ammalò di tifo, e quando sembrava essere ormai fuori pericolo, invece se ne andò: era il 30 aprile 1898. Non aveva che 23 anni. La sua figura venne ricordata in val Grosina dapprima con una lapide tra San Giacomo e Fusino, che fu però distrutta dalle intemperie, quindi con un cippo in marmo bianco (insieme al nome di Carlo Riva) collocato sul piazzale dinanzi alla Casa d’Eita, che venne inaugurato il 23 agosto 1903 alla presenza del padre, cav. Prospero Sinigaglia. Più recentemente, nel centenario della morte, sulla parete laterale esterna sinistra della chiesa è stato collocato un medaglione in legno col suo viso in bassorilievo. L 5 - Quell’anno si era iscritto alla facoltà di scienze naturali, abbandonando gli studi matematici al Politecnico di Milano. Il medaglione dedicato a Giorgio Sinigaglia presso la chiesa di Eita (11.08.2015, foto Raffaele Occhi). Giorgio Sinigaglia (1875-1898) 17 Racconti inediti di Antonio Boscacci Racconti Speciali Disegni e introduzione Luisa Angelici chierare con Massimino Rossetti. I due parlano di tante cose: di Macondo, di musica, di animali e di personaggi. Le parole scorrono, scivolano, rotolano dall’uno all’altro, per associazioni, per contrasti, per ricordare. Molti sono i riferimenti a Cent’anni di solitudine, molti sono i pensieri di Massimino Rossetti che riempiono l’aria e sospendono il tempo. Le stagioni passano, come i giorni e le ore, ma i due sono sempre lì, nonostante la pioggia, la neve, il freddo e il caldo. E sarebbero ancora lì, seduti sulla panca sotto il nocciolo se non fosse arrivata Ursula, la moglie di José Arcadio Buendía a prenderlo e portarselo via. L'ambientazione del racconto non è casuale: Antonio, infatti, passava molte ore nel campo all’Agneda, a partire dalla primavera, quando cominciavano i lavori di aratura fino all’autunno, quando anche il granoturco e le ultime zucche erano stati raccolti e portati a casa. Amava coltivare i fiori: gladioli, tageti giganti, zinnie, astri e dalie, ma anche leggere Antonio Boscacci sotto il nocciolo nell'orto all'Agneda (22 giugno 2011, foto Luisa Angelici). e pensare, sempre seduto all’ombra del grande nocciolo. Quando arrivavano i suoi fratelli, il Giovanni, l’Elvira, il Roberto o mia sorella Ornella, Antonio interrompeva la lettura per fare due chiacchiere: con lui qualsiasi conversazione non era mai banale. A qualsiasi ora del giorno si andasse nel campo, Antonio era là a dare un consiglio, a risolvere un problema, a dare la caccia alle limacce o a tenere lontani i corvi. C’è sempre la sua sedia sotto il nocciolo, all’ombra, ma nessuno si ferma più a chiacchierare. José Arcadio Buendía Antonio Boscacci C on questo racconto che non parla di arrampicata, Antonio ci fa precipitare nel mondo magico di Cent’anni di solitudine, romanzo di Gabriel García Márquez1, pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 1968. Non so che effetto possa fare oggi la lettura di Cent’anni di solitudine su una ragazza di 20 anni. Per una come me, che veniva dalla lettura di romanzi di autori come Pratolini, Bassani, Pavese, Fenoglio, scrittori italiani del ‘900 che hanno raccontato l’Italia e il dramma degli italiani prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’incontro 1 - Gabriel García Márquez (Aracataca, Colombia 1927 - Città del Messico 2014) scrittore, giornalista e saggista, Premio Nobel per la letteratura nel 1982 è tra i maggiori scrittori in lingua spagnola, la cui opera ha dato grande impulso alla letteratura latinoamericana. 18 LE MONTAGNE DIVERTENTI con la letteratura sudamericana è stato travolgente. Dal realismo della letteratura italiana a quello magico di Márquez il salto è davvero enorme: tutto può succedere nelle storie dei personaggi di Macondo, cittadina della Colombia che José Arcadio Buendía, capostipite di una famiglia di sette generazioni, fonda alla fine del XIX secolo, tutto può succedere perché la narrazione non pone barriere tra la realtà, la magia, il sogno e nemmeno tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Il lettore passa da un livello all’altro senza rendersene conto perché tutto appare naturale e ovvio. Il realismo magico di Márquez non è fantasy, tanto di moda oggi, dove ciò che accade fa parte di una realtà paral- lela, costruita dallo scrittore secondo regole che lui stesso fissa all’inizio, ma è uno stile che ci rende familiari e reali anche eventi che sono impossibili. E allora può succedere di vedere Remedios la bella (una delle tante protagoniste di Cent’anni di solitudine) salire in cielo aggrappata a un lenzuolo mentre saluta le sue amiche con la mano o di seguire la sepoltura di Pilar Ternera, senza bara, seduta sulla sua altalena. Le immagini suscitano stupore, non perché sono frutto della fantasia, ma per la loro bellezza poetica. Ma cosa ci fa José Arcadio Buendía nell’orto all’Agneda, località a est di Sondrio compresa tra la tangenziale e la ferrovia? Arcadio Buendía è venuto a chiacAutunno 2015 M assimino Rossetti lasciò che dal campanile gli arrivassero i rintocchi delle 8. Allora prese la borsa con il libro, il vino e un po’ di pane, chiuse la porta di casa, sistemò lo zerbino, aprì il cancelletto di ferro e, senza fretta, come era solito fare, scese lungo la via. Nella piazzetta salutò la Ines Pelizzatti che tornava a casa dalla messa e, infilandosi tra un’automobile e l’altra, si diresse verso il cimitero. Passando lì davanti, salutò suo padre che se n’era andato una decina di anni prima, attraversò la strada e prese la via dei prati, verso l’Adda. Il suo orto all’Agneda, un grande orto con una recinzione alta e robusta, nonostante gli anni, era lì a due passi dal fiume. Girò la chiave, tolse il lucchetto dalla catena e lo sistemò dietro il LE MONTAGNE DIVERTENTI José Arcadio Buendía 19 Racconti Speciali cancello, come faceva ogni mattina da parecchi anni. E, come ogni mattina, si avviò verso la grande panca, che stava sotto il nocciolo e sulla quale, dopo averla ripulita dallo sporco strisciando il fianco della mano, si sedeva di solito per leggere. José Arcadio Buendía lo stava aspettando. - Ciao, Massimino. - Ciao, José Arcadio. Scambiati i saluti, Massimino Rossetti tolse dalla borsa il vino, lo mise all’ombra dietro la casetta degli attrezzi e si sedette con il libro in mano. - Oggi finiamo, vero? Gli chiese José Arcadio con una certa trepidazione. - Sì, questo è l’ultimo capitolo. Poi tolse la cartolina che segnava il punto dove erano arrivati la sera precedente e si mise a leggere. Pilar Ternera morì sull’altalena di liana, una notte di festa, controllando l’entrata del suo paradiso. In accordo alle sue ultime volontà la seppellirono senza bara, seduta sulla sua altalena che venne calata con corde di pita da otto uomini in un enorme buco, scavato al centro della pista da ballo ... Dopo 15 minuti, scandendo le parole una ad una, terminò la lettura. ... perché le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra. 20 LE MONTAGNE DIVERTENTI Massimino chiuse il libro e lo appoggiò sulla panca e, rivolgendosi a José Arcadio, gli chiese: - Tu che c’eri, raccontami di Melquíades e delle pergamene. - Non ho molto da aggiungere a quello che abbiamo letto. Forse potrei dirti qualcosa di più su Macondo. Iniziarono così. A mezzogiorno stavano discutendo degli zingari e delle calamite. Poi passarono alle lenti che José Arcadio avrebbe voluto usare come arma da guerra e Massimino gli spiegò che già a Siracusa, al tempo delle colonie greche, Archimede aveva usato gli specchi per bruciare le navi nemiche che attaccavano la città. Così José Arcadio volle sapere di Archimede e chi fossero i nemici e che ci facessero i greci in Sicilia e che cosa fosse un'isola e se Siracusa assomigliasse a Macondo e mille altre cose, tanto che si dimenticarono di mangiare e proseguirono a chiacchierare fino a sera. Ma neppure la sera spense il loro discutere e così la notte li sorprese a parlare e la luna li accompagnò fino al mattino. Il giorno dopo proseguirono e gli argomenti, anziché venire a mancare con il passare delle ore, diventarono sempre più numerosi. La sera del secondo giorno stavano discutendo con tanta animazione che pareva avessero appena iniziato. La moglie di Massimino, non vedendolo rincasare la sera prima, era venuta a cercarlo, ma lui le aveva risposto di non preoccuparsi che era questione di poco. Passarono i giorni e loro continuarono a discutere. Gli unici momenti nei quali la discussione si interrompeva erano quelli utilizzati per bere o per andare a pisciare. All’inizio la cosa attirò la curiosità della gente, soprattutto di quelli che passavano da quelle parti per portare a spasso i loro cani. Ci fu anche un articolo su un giornale locale. Un breve annuncio alla televisione fece sì che, per qualche giorno, un gruppo di curiosi venne a vedere quello che stava succedendo. Erano momenti fastidiosi per José Arcadio e Massimino, soprattutto perché non potevano andare a pisciare in pace e dovevano sempre nascondersi dietro gli alberi. Però la curiosità della gente a poco a poco venne meno e di lì a qualche settimana nessuno venne più a disturbarli. Guardandosi in faccia tutti i giorni, loro non si accorsero di quanto stessero cambiando. Ma quelli che venivano a trovarli o passavano ogni tanto davanti a loro per prendere le verdure dell’orto, videro con chiarezza quanti e quanto profondi fossero quei cambiamenti. Avevano i capelli bianchi tanto lunghi che ormai si intrecciavano con la barba. Se non fosse stato poi per gli indumenti che ogni tanto venivano loro portati e per le giacche impermeabili che furono loro fornite per difendersi dalla pioggia, sarebbero restati a discutere in maniche di camicia. Non c’era nulla che sembrava scalfire il loro fisico. Quando pioveva si bagnavano e quando c’era il sole si asciugavano. Non avevano tempo né per dormire, né per mangiare. Solo per bere e per andare a pisciare. Non pisciavano sempre nello stesso posto. - Per non indispettire la terra, aveva detto un giorno José Arcadio. Qualche volta, quelli che passavano per prendere le verdure o per fare qualche lavoro nell’orto, si fermavano a chiacchierare con loro. Solo allora interrompevano la discussione per ascoltare quello che Autunno 2015 gli altri avevano da dire. Però erano di solito cose di poco conto. Le domande dei curiosi riguardavano per lo più il sole, la pioggia, il vento e i temporali. Ma anche se per loro erano faccende da poco, rispondevano sempre con cortesia, cortesia che sembrava, almeno le prime volte, contenere un leggero rimpianto. Qualcuno pensò anche di aver individuato le cause di questo rimpianto, pensando che erano ormai prigionieri della gabbia che loro stessi si erano costruita. Ma non era così, perché, come disse una sera Massimino parlando con il dottor Zappalà, che ogni tanto si fermava a chiacchierare con loro dopo aver raccolto le verdure: - L’unico rimpianto che abbiamo è quello di non aver cominciato prima questa interessantissima discussione. Il dottor Oreste Zappalà per un certo tempo aveva pensato che i due fossero pazzi, ma era una lettura sbagliata, perché sia José Arcadio che Massimino erano nel pieno delle loro facoltà mentali, come non mai era capitato loro di essere nella lunga vita che avevano vissuto fino a quel momento. Tra l’altro, i loro sensi si erano fatti così acuti che, quando lessero questo pensiero nella mente del dottore, gli spiegarono con pazienza e con molta attenzione, che raggomitolare il filo della propria storia non solo non era folle, ma era cosa che tutti avrebbero dovuto fare almeno una volta nella loro vita. pesavano e come erano grandi e come avesse fatto a fare le squame. Allora José Arcadio frugò nella tasca sinistra dei pantaloni e ne estrasse una pezzuola stropicciata. La aprì sulla panca e un piccolo pesce d’oro, colpito dal sole, diede un guizzo così forte con la coda che cadde tra l’erba. José Arcadio lo prese con cura tra le mani, lo infilò in un cordoncino e lo mise al collo del ragazzo. Questo è un pesciolino di Macondo. Ci volle qualche minuto perché Pietro, rimasto a bocca aperta e senza parole, riuscisse finalmente a dire: - Grazie, è bellissimo. Poi, rivolgendosi alla mamma che stava in quel momento entrando nell’orto, urlò: - Mamma, José Arcadio mi ha regalato un pesciolino tutto d’oro, un pesciolino di Macondo. IL PESCIOLINO D’ORO LA NEVE Ancor più gentili erano con i bambini che passavano. Qualche volta li venivano a trovare i nipoti di Massimino. Erano una dozzina. Il più piccolo, Pietro Rossetti, che aveva da poco compiuto dieci anni, si sedeva di solito in mezzo a loro sulla panca e, ora all’uno, ora all’altro, faceva delle domande così curiose e strane che spesso Massimino e José Arcadio non erano in grado di rispondere. Un giorno, rivolgendosi a José Arcadio, gli chiese se lui avesse mai costruito dei pesciolini d’oro e quanto A parte questi brevi momenti di intervallo, la discussione coinvolgeva entrambi con grande partecipazione emotiva. Verso la fine del mese di agosto José Arcadio e Massimino dovettero risolvere un piccolo problema legato alla posizione della panca. Fu infatti in quel periodo che cominciarono a cadere le prime nocciole. All’inizio fu una cosa da niente, perché le nocciole erano poche e cadevano qua e là. Poi il bombardamento si intensificò e sul finire della prima settimana di settembre dovettero mettersi in testa un robusto cappello per ripararsi da LE MONTAGNE DIVERTENTI quella scarica di piccoli proiettili che cadevano dall’alto. La discussione continuò per tutto il mese. Poi venne ottobre e, passata la prima metà di novembre, arrivò anche la neve. Leggera e soffice, fatta di grandi farfalle bianche che ricoprirono ogni cosa. José Arcadio e Massimino non parvero per niente preoccuparsi di questo ulteriore disagio. Spazzarono regolarmente la neve dalla panca e mantennero i piccoli sentieri che li portavano qua e là a pisciare nell’orto. Nemmeno quando la neve cadde più abbondante si impensierirono. Continuarono a spazzare la panca e a calpestare i viottoli. La neve superò l’altezza della panca e diventò alta quasi quanto loro. Era davvero curioso osservarli in quella buca bianca, discutere tutto il giorno interrompendosi ogni tanto solo per schiacciare la neve, pulire la panca, bere o per andare a pisciare. Ma di che cosa discutevano ancora così animatamente? In quel periodo stavano esaminando il rapporto tra Petra Cotes e Aureliano Secondo. E naturalmente non poterono fare a meno di parlare di Fernanda del Carpio. Si accorsero che era Natale perché videro una gigantesca cometa, accesa sopra il campanile della chiesa di San Giorgio. - È Natale, disse Massimino. - Che differenza con Macondo, rispose José Arcadio, senza le comete e la neve. José Arcadio Buendía 21 Racconti Speciali - Quante cose ci sono da conoscere, disse Massimino. Visto che i loro capelli e la loro barba si erano ormai confusi e arruffati, non fu una operazione facile quella del taglio. Quando le forbici della moglie di Massimino ebbero terminato quel complesso lavoro e loro si guardarono nello specchio ovale che era appeso a fianco dell’entrata della casetta degli attrezzi, ebbero un moto di sorpresa e José Arcadio disse: - Sembriamo due galline spennate. E non aveva tutti i torti. LA MUSICA Questo li spinse a parlare della neve. Nonostante la prima neve fosse caduta da settimane, nonostante fossero circondati dalla neve e vivessero in mezzo a una montagna bianca, si accorsero in quel momento che della neve non avevano mai parlato. Così Massimino, prendendola un po’ alla larga, chiese a José Arcadio della neve. - Che vuoi che ti dica della neve, rispose lui. A Macondo la neve non è mai arrivata, ma in compenso la pioggia sì. I TOPI Il nocciolo, che si era ornato per tutto l’inverno dei gialli amenti maschili, iniziò a liberare fiotti di polline e Massimino fece conoscere a José Arcadio i rossi e minuscoli fiori femmina, che avrebbero dovuto accoglierli. Verso la fine del mese la pianta cominciò a mettere le prime foglie e con le prime foglie tornarono anche gli uccelli. Qualcuno di loro era venuto a trovare i due vecchi durante l’inverno, ma erano comparse rare. Più frequenti furono invece le visite di alcuni topolini che abitavano sotto la casetta degli attrezzi. 22 LE MONTAGNE DIVERTENTI José Arcadio e Massimino si accorsero di loro perché videro le loro orme impresse nella neve. All’inizio rimanevano rintanati fino a sera e uscivano solo di notte. Poi i topi si abituarono alla loro presenza e iniziarono a passare davanti a loro e a percorrere su e giù i sentieri nella neve senza alcun timore. Uno di loro, che aveva una curiosa macchia di pelo bianco intorno all’occhio destro, si fece tanto audace che salì sulla panca e si lasciò accarezzare da José Arcadio. - Il topo è come l’uomo, ma più giudizioso e saggio, disse lui, grattandogli la piccola testa con un dito. - Forse sono degli angeli travestiti, azzardò Massimino, mandati a controllare la nostra stupidità. Proprio in quel momento la loro attenzione fu attirata dal canto di un merlo che si era appollaiato su un ramo del nocciolo sopra di loro. - Quando gli zingari arrivarono a Macondo, disse José Arcadio, raccontarono che mai e poi mai avrebbero saputo trovare quel villaggio circondato da foreste e paludi, se non avessero seguito il canto degli uccelli. A quel tempo ogni casa era piena di uccelli che cantavano tutto il giorno. Uno spettacolo straordinario. Passò la primavera e anche l’estate. La conversazione, che di quando in quando sembrava affievolirsi e spegnersi, riprendeva invece ogni volta con nuovo vigore ed era capace di raggiungere punte di vigore e di passione davvero inimmaginabili. Come quando si misero a discutere di musica. Questo successe perché Ottilia, la sorella maggiore del piccolo Pietro, si presentò un pomeriggio con un flauto e, con il loro permesso, si sedette sulla panca e suonò con grande talento e partecipazione If Love’s a sweet Passion di Henry Purcell e, dello stesso autore Hornpipe Wells Humor. Quando se ne andò, José Arcadio chiese a Massimino, quale fosse la sua musica preferita e lui rispose che la musica gli piaceva tutta, ma che era particolarmente innamorato della musica di Verdi e soprattutto del Rigoletto, che era la più bella delle sue opere. José Arcadio, come fosse stato morsicato da un serpente corallo, urlò che era una cosa da pazzi anche solo pensarlo. - La migliore opera di Verdi è l’Aida. Dopo questa affermazione perentoria iniziò una lunga disquisizione sulla raffinatezza dell’orchestrazione, sull’eleganza delle danze e sulla sapiente ambientazione esotica ... E iniziò a cantare con voce potente. Si fece Radames in Se quel guerrier io fossi. Fu Aida nel Ritorna vincitor. Diventò il coro nella Gloria all’Egitto. Autunno 2015 Ridiventò Aida in O cieli azzurri. Amneris e il coro dei sacerdoti in Ohimé! ... morir mi sento. E infine Radames e Aida nella Fatal pietra sovra me si chiuse. Massimino ascoltò con pazienza fino alla fine questa lunghissima sua esibizione poi, con molta calma disse: - Basterebbe che io ti citassi, Si vendetta, tremenda vendetta. Ma voglio fare di più. Così si trasformò nel Duca di Mantova e cantò La donna è mobile. Quasi fosse stato colpito da una fucilata, José Arcadio se ne stette zitto per qualche istante poi, come se tutto il suo ardore operistico fosse improvvisamente sbollito, affermò che forse era vero, perché anche Pietro Crespi e Stravinskij la pensavano così. REMEDIOS LA BELLA Da quel momento ricominciarono a parlare con più tranquillità e, quando le prime nocciole caddero di nuovo dall’albero, presero il vecchio cappello e se lo rimisero in testa. I sentieri che usavano per andare a pisciare si irradiavano a raggiera dalla panca sulla quale stavano seduti. All’inizio avevano provato a stabilire una specie di programma per quel loro via vai quotidiano. Il lunedì in fondo al primo sentiero, il martedì al termine del secondo e così via. Poi persero il conto dei giorni e decisero che ognuno era libero di andare dove più gli piaceva andare, senza nessun ordine e nessun programma. Però ognuno di loro aveva un posto preferito per pisciare. Massimino dietro la grande pianta di rabarbaro, alla quale toglieva i lunghi e grossi steli dei fiori, affinché si sviluppassero meglio le foglie. José Arcadio invece preferiva i grandi ciuffi delle dalie che erano di tre tipi. Due, le rosse e le bianche, crescevano numerose, ma erano piccole, le altre, viola, erano invece gigantesche ed eleganti, ma non riuscivano a reggersi quando pioveva, perché si riempivano di acqua. Così, spesso, José Arcadio, intanto che pisciava, le scuoteva con dolcezza e, svuotandole dalla pioggia, quelle si raddrizzavano LE MONTAGNE DIVERTENTI e tornavano alla loro precedente eleganza. Venne di nuovo l’autunno e alla fine di ottobre arrivò anche la prima neve. Cotti dal sole e dalle intemperie, quasi diventati parte della panca sulla quale erano seduti, furono sorpresi dall’inverno e dal Natale. - È Natale, disse José Arcadio, vedendo che avevano acceso la cometa sul campanile di San Giorgio. - Inizia un anno nuovo, osservò Massimino, quando esplosero i fuochi di Capodanno. In quel momento José Arcadio stava parlando di Remedios la bella e del fatto che tanto era bella, quanto sembrava stupida e incapace. - Ma ci prendeva tutti per il culo, ne sono sicuro. Perché altrimenti non se ne sarebbe andata in cielo trascinandosi dietro le lenzuola e soprattutto, prima di sparire in alto, non ci avrebbe salutato con la mano. - Le azioni delle donne sono spesso difficili da interpretare, sentenziò Massimino. Questo fu il pretesto per riprendere la conversazione che languiva da qualche minuto e per infilarsi nei labirinti della psiche femminile. Iniziarono da Eva e, dopo oltre due mesi, stavano ancora discutendo della Madonna e della sua verginità. GLENN GOULD Fu proprio in quel periodo che ricevettero una visita. Giunse inaspettato, attraversando i prati coperti da oltre mezzo metro di neve, Glenn Gould1. Ancor prima che arrivasse alla panca seguendo il sentiero tracciato tra i meli, José Arcadio lo riconobbe. - Ciao Glenn. - Ciao José Arcadio. Massimino, che non lo aveva mai incontrato di persona, sapeva però molte cose di lui e delle sue interpretazioni e possedeva anche il suo primo album uscito per la Columbia con le Variazioni Goldberg. - Pensa, disse José Arcadio rivolgendosi a Massimino, che lo conosco dal suo primo concerto. Perché lo tenne a Macondo quando non aveva che 13 anni ed era scappato dalla sua casa di Toronto. - È vero, rispose Gould. Ci ho ripensato per tutta la vita. Quello è stato l’unico concerto nel quale mi sono divertito. Ricordo ancora quanto dovette lavorare Pietro Crespi per 1 - Glenn Gould (Toronto, 1932 - Toronto 1982), pianista, clavicembalista e organista oltre che compositore. Dotato di una grandissima tecnica pianistica e di una sensibilità straordinaria è stato uno dei più grandi interpreti del ‘900. Celebre la sua interpretazione delle Variazioni Goldberg di J.S.Bach. Nel 1964 si esibì per l’ultima volta di fronte a un pubblico, quindi continuò la sua attività dedicandosi solo alle registrazioni in studio. José Arcadio Buendía 23 Speciali preparare il pianoforte e che all’inizio la gente non voleva avvicinarsi. Poi, alla fine del concerto, mi hanno sommerso di applausi e grida e tutti mi volevano toccare e baciare e sono dovuto scappare sul mulo di Esmeralda e mi sono rifugiato con lei nella casa di Petra Cotes. Siamo restati lì rinchiusi per tre giorni e per tre giorni Esmeralda si è presa cura di me. Sai cosa voglio dire. E si rivolse a José Arcadio. - Certo, perché ho conosciuto e apprezzato le virtù delle ragazze di Macondo molto prima di te. Quando ti cospargono il corpo di papaia e poi ti sfiorano con la lingua ... - Proprio così, e per tre giorni di seguito, proseguì Gould e alla fine ero così stremato che non mi si muoveva più nemmeno per pisciare. Si interruppe per qualche secondo, emozionato dal ricordo di Esmeralda, poi riprese: - In tutti i concerti che sono venuti dopo, non hanno fatto altro che umiliarmi e farmi sentire come una specie di scimmia ammaestrata. Glenn Gould si fermò lì con loro per 24 LE MONTAGNE DIVERTENTI quattro giorni e in quei quattro giorni parlarono solo di musica. Allora venne fuori la competenza di Massimino che discusse con Glenn dell’arte della fuga di Bach, di Beethoven, di Strauss, della quinta di Sibelius, delle composizioni per piano di Schoenberg e di Boulez e, naturalmente, delle Variazioni Goldberg di Bach. Il tempo passò così in fretta che nemmeno si accorsero che era nevicato e che la neve aveva richiuso il sentiero tra i meli. Alla fine del quarto giorno, dopo aver pregato José Arcadio di salutare Esmeralda, se mai l’avesse di nuovo incontrata, Glenn Gould si alzò dalla panca e, affondando fino al ginocchio, attraversò i prati e si diresse verso la città. I MAGGIOLINI La conversazione riprese con la musica e poi si infilò per sentieri imprevedibili e inattesi. Sbuffi colorati di polline annunciarono dal nocciolo la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera. Poi, quasi senza che se ne accorgessero, l’albero si riempì di foglie. - Questa è la primavera, disse Massimino. Ma quella fu una primavera strana. Un pomeriggio, che stavano discutendo di preti e di fede, sentirono sopra la loro testa un ronzio e pensarono che fosse una cetonia che passava tra le foglie del nocciolo, con quel suo volare un po’ pesante e sgraziato. Poi però il ronzio si fece più forte e non poterono non guardare verso l’alto per vedere da chi fosse causato. Erano alcuni maggiolini che, con grande confusione, svolacchiavano qua e là intorno al nocciolo. Il giorno dopo il ronzio aumentò a tal punto che dovettero aumentare il tono della loro voce per sentire quello che si dicevano. Verso sera, quando si alzarono dalla panca per andare a pisciare, videro uno spettacolo che non avevano mai visto. Migliaia di maggiolini ronzavano intorno al nocciolo volando in una gigantesca confusione. Osservando meglio però, scoprirono che quella che a loro sembrava solo un muoversi caotico e casuale, era invece una vera e propria danza, regolata da leggi che forse a loro due sfuggivano, ma che per i maggiolini sembravano molto chiare. Si aggrappavano alle foglie tenere del nocciolo e le divoravano con grande frenesia e nello stesso tempo non perdevano di vista il loro compito riproduttivo e si accoppiavano a centinaia. Era uno spettacolo fantastico. Il maschio, avvinghiato strettamente alla femmina, non la mollava nemmeno quando questa si spostava o cadeva anzi, nell’entusiasmo dell’accoppiamento e nell’eccitazione del momento, la stringeva ancora di più. Il giorno dopo i maggiolini erano diventati una sterminata moltitudine. Si pose allora un piccolo problema perché migliaia di minuscoli escrementi si misero a piovere dall’alto con grande intensità e bisognò ricorrere al cappello per proteggersi la testa. Ogni tanto qualche maggiolino moriva, forse stremato per il troppo ardore amatorio, e finiva per terra o sul cappello. Più volte dovettero spazzare la panca dalle caccole e dai maggiolini Autunno 2015 morti e, in qualche caso, toglierseli di dosso, appiccicati alla barba, ai capelli e ai vestiti. Dopo 10 giorni, di quella frenetica attività non rimase più nulla. I maggiolini erano tutti morti. Mangiare, accoppiarsi, morire. Avevano fatto ciò per cui stavano al mondo e, così com’erano venuti, se ne andarono. Di tutti questi coleotteri rimasero sparse per terra solo le loro elitre marroni coriacee, ornate di robusti solchi longitudinali, oltre a piccole porzioni del loro addome nero. Null’altro. - Siamo anche noi dei maggiolini, disse Massimino rivolgendosi a José Arcadio. - Ti piacerebbe esserlo, dì la verità, rispose José Arcadio. Di tutto questo ti importa soprattutto il fatto che scopino per una settimana di seguito. Però dopo, sono talmente stremati, che non ce la fanno più e muoiono. Un’abbuffata di sesso, una volta sola e via, chi s’è visto s’è visto. Prostrato dalla voracità dei maggiolini, il nocciolo aveva perso quasi tutte le foglie. Ma di lì a poco ne spuntarono di nuove e ben presto i segni del passaggio di quell’orda famelica non si videro più e tutto ritornò come prima. LE MONTAGNE DIVERTENTI Alla fine di giugno José Arcadio e Massimino avevano già dimenticato i maggiolini e ripresero le loro abituali discussioni. URSULA Venne settembre, quindi di nuovo l’inverno. Al nuovo inverno seguì la primavera, una nuova estate, un nuovo autunno. Venne ancora la neve e loro la spazzarono dalla panca e la pestarono per rendere percorribili i sentieri dove andavano a pisciare. Una mattina, mentre José Arcadio stava spiegando che cosa fosse un combattimento di galli, chi fosse Prudencio Aguilar e come lo avesse ucciso trafiggendogli la gola con la lancia di suo nonno già esperta di sangue, Massimino si vide riflesso nello specchio appeso accanto alla porta della casetta degli attrezzi e disse: - Cosa vuoi, il tempo passa per tutti. In quel preciso momento José Arcadio capì che Massimino non lo ascoltava più e che qualcosa di nuovo e definitivo stava per accadere. Di lì a poco infatti, sentirono il rumore del cancello dell’orto che si apriva e videro avanzare verso di loro, lungo il sentiero tra i meli, una donna avvolta in un grande scialle viola. José Arcadio la riconobbe. Era la sua donna, la sua sposa, la madre di tutti i Buendía. - Ciao Ursula. - Ciao José Arcadio. - Sei venuta a prendermi? - Sono venuta a prenderti. Allora José Arcadio si alzò, le diede la mano e si incamminò con lei verso il fondo dell’orto. Ma, prima ancora di raggiungere il campo del granoturco, avevano già lasciato la terra e salivano in cielo. Massimino li osservò salire, poi si sedette sulla panca e si rese conto per la prima volta del tempo trascorso. La loro conversazione era durata quattro anni, undici mesi e due giorni. Come le piogge di Macondo. José Arcadio Buendía 25 90 ° Speciali Alpi Orobie Rifugio Mambretti Luigi Mambretti precipitò venerdì 7 settembre 1923 mentre stava scalando la via Bonomi alla punta di Scais. Il CAI Sezione Valtellinese decise di realizzare e dedicargli un rifugio in alta val Caronno che andasse a sostituire la vecchia capanna Guicciardi, posta appena sopra le case di Scais e per questa sua ubicazione di scarsa utilità pratica. Il progetto fu redatto dall'ingegner Giulio Carugo, che dirigeva i lavori di costruzione degli impianti idroelettrici della Falck, e fu realizzato in soli due mesi: il 20 settembre 1925, 90 anni fa, avvenne l'inaugurazione. 26 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'inaugurazione del rifugio Luigi Mambretti (20 settembre 1925, foto Alfredo Corti - www.archiviocorti.it). Marino Amonini Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Rifugio Luigi Mambretti (m 2004) 27 Rifugi Speciali Il rifugio Luigi Mambretti è situato su un dosso panoramico a m 2004 in alta val Caronno (cerchiato in giallo) e ha sostituito la vecchia e poco strategica capanna Guicciardi (m 1549, cerchiata in rosso), divenuta in seguito abitazione privata. In questa immagine del 1902 si vedono ancora le case di Scais, che verranno sommerse dalla diga realizzata tra il 1935 e il 1939. Sullo sfondo da sx: il pizzo Biorco, il pizzo degli Uomini, il pizzo di Scotes, la bifida cima di Caronno che - assieme alla cima del Lupo, al pizzo di Porola e alla punta di Scais - fa da coronamento al ghiacciaio di Porola. All'estrema dx il pizzo della Brunone (foto archivio Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese). N el Centenario del conflitto che lo vide protagonista e nel 90° di inaugurazione del rifugio a lui dedicato, vogliamo ricordare la figura di Luigi Mambretti, Sottotenente del 5°Alpini, brillante bancario poi, e infine sfortunato alpinista con uno smisurato amore per la montagna. LUIGI MAMBRETTI Nacque a Delebio il 18 novembre 1897, da Alessandro Mambretti e Marietta Bernasconi. Nel paese della bassa valle crebbe, frequentò la scuola elementare, quindi si trasferì a Sondrio, presso l’Istituto dei Salesiani. Nel capoluogo frequentò il ginnasio1 per diplomarsi successivamente ragioniere al Regio Istituto Tecnico di Sondrio nel 1915; 457° diplomato dall’autorevole istituto fondato nel 1865. 1 - Dal 1859 al 1923 l'istruzione in Italia era regolamentata dalla legge Casati che prevedeva 4 anni di elementari a cui, eventualmente, ne seguivano 5 di ginnasio. 28 LE MONTAGNE DIVERTENTI Fu un giovane aitante e forte; alcuni compaesani lo ricordano, con qualsiasi condizione di tempo, effettuare il giro dei maggenghi orobici sparsi in val Lesina e sulle alture di Delebio. Un allenamento per potersi misurare poi sulle vette, sua grande passione. Il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in guerra. La propaganda e l’interventismo fecero presa sull’audace diciottenne; come lui furono numerosi coloro che si arruolarono nell’esercito. Basta scorrere l’elenco dei suoi 23 compagni di studi diplomati nello stesso anno per trovarvi: • Balzarini Felice (classe 1895) di Silver (Sud America), Tenente del 5° Alpini. • Bertolini Giuseppe (classe 1897) di Morbegno, soldato volontario nel 14° Fanteria. • Butti Fortunato (classe 1896) di Valmadrera (CO), Sottotenente mitragliere al 5° Alpini. • Rota Antonio (classe 1897) di Sondrio, Tenente del 5° Alpini. • Dallari Bruno (classe 1895) di Caprino Veronese, Ufficiale del Regio Esercito. I primi quattro morirono su vari fronti durante il conflitto. Sicuramente anche altri compagni di Luigi vestirono il grigioverde e combatterono al fronte; tra essi Mario Pizzala (classe 1896) di Sondrio. Questi, dopo il conflitto, fu tra i promotori della costituzione dell’Associazione Nazionale Alpini, ricoprendo il ruolo di Presidente della Sezione ANA Valtellinese di Sondrio. Dal foglio matricolare di Luigi si può tratteggiare in parte il suo percorso militare. “Soldato di leva di prima categoria, classe 1897, distretto di Lecco” e lasciato in congedo illimitato - li 2 giugno 1916. Chiamato alle armi e non giunto perché lasciato in congedo illimitato provvisorio sino all’inizio del Corso per la nomina Sottotenente di complemento presso la Scuola Militare di Caserta N°21 Circolare 545 del Giornale MiliAutunno 2015 tare 1916 - li 22 settembre 1916. Giunto alle armi in seguito ad ammissione al Corso sopraindicato, li 30 settembre 1916. Tale nella Scuola Militare di Caserta Aspirante Ufficiale di complemento nel Deposito 6° Reggimento Alpini D.M. li 11 marzo 1917. Giunto in territorio dichiarato in stato di guerra - li 18 marzo 1917. Sottotenente di Complemento nel 5° Reggimento Alpini con anzianità 20 maggio 1917 con riserva di anzianità relativa per Com. Supremo - li 29 giugno 1917. Confermata la promozione suddetta a Sottotenente di Complemento D. S. - li 15 luglio 1917.” Sempre dal foglio matricolare si apprende che il Sottotenente Luigi Mambretti era alto 1 metro e 69 centimetri e aveva una circonferenza toracica di 88 centimetri, capelli castani e lisci, naso greco, mento giusto, occhi castani e colorito roseo. Dalla stampa dell’epoca si apprendono altri elementi del vissuto militare. Su La Valtellina del 14 luglio 1917 nel trafiletto dal titolo Delebio Combattenti che si fanno onore si legge: “Né dimenticheremo un alto elogio e caldi auguri di sollecita guarigione al concittadino Sig. Luigi Mambretti sottotenente del 5° alpini per la ferita di recente riportata sul monte Tresentino.” In altro numero si apprende: “Mambretti Luigi, valoroso ufficiale combattente, reduce dai mille rischi della durissima guerra, ferito nell’epica offensiva dell’Ortigara (1917), fatto prigioniero a Castelgomberto il 5 dicembre 1917, ritornò nella Valtellina natia, fidente nella vita ed innamorato delle più sane ed elette manifestazioni dello spirito.” Luigi Mambretti figura tra i 25 prigionieri della bassa valle internati in Austria, ai quali vennero inviati regolarmente pacchi con pane e generi di conforto, tramite il Comitato Assistenza Civile di Delebio presieduto dalla nobile figura del dottor Giacomo Brisa. Al termine del conflitto, Luigi Mambretti trovò impiego nel capoluogo come ragioniere alla Banca Popolare di Sondrio, dove intraprese una brillante carriera. LE MONTAGNE DIVERTENTI Luigi Mambretti in tenuta militare (archivio Giorgio Colombo). LO SFORTUNATO EPILOGO La tragedia era in agguato e lo colpì nell’ambiente a lui più caro: la montagna. Accadde sulle Orobie, dove si era recato per scalare la punta di Scais assieme al suo giovane collega della Banca Popolare di Sondrio Pier Abbondio Melazzini2. Ancora esaminando il foglio matricolare si osserva un timbro che recita: 2 - Pier Abbondio Melazzini (1904-1934), padre di Piero Melazzini, attuale Presidente Onorario della Banca Popolare di Sondrio. “Parificato li 22 settembre 1923” e sotto “Morto nel comune di Piateda come da atto di morte inscritto al N° 16 del registro degli atti di morte del suddetto Comune li 7 settembre 1923.” Si apprende così che alle 14:30 dell' 8 settembre in quel comune si presentarono davanti al sindaco Angelo Corradini e al segretario Emanuele Tavelli i signori Pasquale Balbini e Angelo Caprinali a denunciare la morte di Luigi Mambretti a mezzogiorno del giorno precedente. Rifugio Luigi Mambretti (m 2004) 29 Rifugi Speciali Luigi Bombardieri e Luigi Mambretti sventolano il tricolore in vetta al Disgrazia, accompagnati dalla mitica guida alpina Anselmo Fiorelli (19 agosto 1923, foto archivio Colombo). Si racconta che la salma dello sventurato alpinista fu trasportata con il campac' dai Taloni di Agneda fino alla centrale di Vedello per essere poi condotta al piano. Ulteriori particolari dell'incidente si ricavano dal periodico La Valtellina dell' 8 settembre 1923. “La catastrofe alpina che è costata la vita alla giovane e promettente esistenza del sig. Mambretti rag. Luigi si ricostruisce così: Il rag. Mambretti col collega rag. Melazzini erano partiti nel pomeriggio di giovedì per compiere l’ascensione della punta Scais. Dopo aver pernottato nelle baite del piano dello Scais, nel mattino di venerdì iniziarono la salita, sbagliando la strada, prendendo cioè la difficile via Bonomi invece della solita via Baroni. Pare che il povero Mambretti abbia messo un piede in fallo e sia scivolato per 300 metri in un ripido canalone, fracassandosi. Al compagno Melazzini che assistè atterrito alla tragica scomparsa del Mambretti, e nell’impossibilità materiale di portare soccorsi, non rimase che compiere la strada del ritorno e giunto al primo posto telefonico dell’impresa di 30 LE MONTAGNE DIVERTENTI Val Venina, chiese aiuti. Accorsero subito l’ing. Carugo e vari uomini addetti ai lavori idroelettrici i quali accompagnati dal signor Melazzini rintracciarono il corpo del povero Mambretti ormai esanime, che fu poi raccolto e trasportato, nella serata, al piano.” La disgrazia ebbe vasta eco in paese e nel capoluogo; la notorietà dei protagonisti, il ruolo professionale, umano ed alpinistico suscitò un vasto cordoglio. Ancora su La Valtellina del 10 settembre 1923 si legge sotto il titolo In morte di Mambretti Rag. Luigi: “Nessuno vuole ancora credere al tragico fatto. La folgore che percosse ancora una volta l’ottima famiglia Mambretti, ed i vecchi genitori, i quali non han più lagrime per piangere, sorpassa ogni sopportazione umana. Mambretti Luigi, valoroso ufficiale combattente, reduce dai mille rischi della durissima guerra. Credente in Dio, cercava Dio nei purissimi contatti che solo dànno gli eccelsi silenzi delle Alpi maestose. Egli non conosceva difficoltà e colla montagna aveva preso una confidenza tale da non paventare le più riposte insidie, obliate sotto il fascino incantatore. E la montagna lo uccise, mentre a Lui sorride- vano le migliori soddisfazioni della vita. Di ingegno pronto, vivace e di una modestia impareggiabile, salì assai presto nell’estimazione dei cittadini di Sondrio, nell’occasione di un celebre processo, in cui il valore della Sua perizia contabile assunse nella piena integrità. Fu in Bulgaria e se l’affetto paterno non lo avesse indotto a ritornare, il compianto Mambretti avrebbe affermato all’estero e per rapide ascese, il Suo grande ingegno a la Sua tenace volontà. Assunto da circa un anno quale Segretario della Direzione della Banca Popolare, si era subito acquistata la fiducia del Consiglio di Amministrazione per la prontezza dell’ingegno, la grande Sua attività e pervicacia negli affari, e certamente nel nostro massimo Istituto di Credito avrebbe fatto rapida carriera. Non si può perciò pensare senza raccapriccio alla Sua tragica fine. Ieri pieno di salute, il compianto Mambretti passava serio e meditativo fra gli amici, atteggiando tratto tratto il suo sguardo, sfavillante di energia, in un sorriso bonario. Ora, questa promettente giovinezza non è più. Stroncato a 26 anni, giace nel solitario cimitero della sua Delebio, mentre alla Sua tomba pregano i vecchi genitori ed i famigliari inconsolabili. Cospargiamo il suo avello di stelle alpine germogliate dalla montagna, di quella montagna che Egli amò con fede di idealista e di credente, nonostante dovesse esserLe crudelmente fatale. Alla Sua Memoria incontaminata e pura, vada il reverente omaggio della nostra angosciata rievocazione. Ebi” Al profondo cordoglio seguì subito l’azione: partì una sottoscrizione in sua memoria con beneficiario l’Asilo Infantile di Delebio. Tra i primi sottoscrittori il padre Alessandro, il consiglio di amministrazione e i colleghi della Banca Popolare di Sondrio, la direzione delle A.F.L. Falck di Piateda e la fidanzata di Luigi Mambretti, Maria Vaninetti. IL RIFUGIO MAMBRETTI Le Orobie di Piateda, costellate di vette che richiamavano illustri frequentazioni, mancavano di un adeguato punto di appoggio. Dopo l’insuccesso del rifugio Enrico Guicciardi, eretto dal CAI Sezione Valtellinese nel 1898 poco sopra le case di Scais e dismesso pochi anni dopo perchè sito a una Autunno 2015 19 1 18 13 14 12 11 2 8 10 7 9 5 3 4 6 15 16 17 Inaugurazione del rifugio Mambretti (20 settembre 1925, foto Mario Merlini). Nell'immagine sono riconoscibili: 1. Eugenio Rigamonti (detto Ciaparàt), 2. Alfredo Corti (1880-1973), 3. Giovanni Bonomi (guida alpina, 1860-1939), 4. Jone Merlini, 5. Giancarlo Messa, 6. Giulio Messa, 7. Rinaldo Piazzi (avvocato e presidente del CAI Sezione Valtellinese, ha promosso Bortolo Bonomi a guida alpina il 1 gennaio 1925), 8. don Lorenzo Giacomelli (parroco di Piateda), 9. Maria Vaninetti (fidanzata di Luigi Mambretti), 10. Giuseppe Ceciliani, 11. Emanuele Fransci, 12. Luigi Soldarelli, 13. Giuseppe Mazza di Delebio, 14. Helen Hamilton (1880-1976, moglie di Alfredo Corti), 15. Linneo Corti (1853-1942, medico condotto di Tresivio e padre di Alfredo Corti), 16 e 17. le figlie di Alfredo Corti: Adda (1917-1998) e Rosetta (1916, unica persona ancora in vita tra quelle ritratte in questa fotografia), 18. Luigi Bombardieri (1900-1957, alla data dello scatto consigliere della Sezione Valtellinese del CAI), 19. Giuseppe Mazza. quota troppo bassa e in una posizione poco strategica per gli alpinisti, si colse l’opportunità di edificare una nuova struttura più in alto da dedicare al Mambretti. Per questa fu scelto un dosso panoramico a m 2004 in alta val Caronno, proprio ai piedi delle vette maggiori del gruppo. Il CAI poté contare sulle preziose risorse e collaborazioni degli amici e dei colleghi di Mambretti, oltre che sulle A.F.L. Falck che misero a disposizione impianti di trasporto, materiali e maestranze in ausilio ai lavori in quota. A settembre del 1925 la sottoscrizione per l’erigenda capanna aveva raccolto la considerevole cifra di 6773,90 lire3 (nell’elenco figurano personaggi del calibro di Pietro Sigismund, Rinaldo Piazzi, Giacomo Brisa, Antonio Camozzi, Giancarlo Messa e società come le Ferrovie Alta Valtellina). 3 - Il costo complessivo fu di 21 527 lire. LE MONTAGNE DIVERTENTI L’INAUGURAZIONE I lavori, iniziati nell'estate 1925, furono portati a termine in circa 2 mesi e il 20 settembre 1925 fu fissata l’inaugurazione del rifugio. Interessante il programma: “ore 5 partenza in automobile da Sondrio, ore 8:30 Santa Messa in Agneda, ore 11:30 arrivo al rifugio e merenda al sacco, ore 13 inaugurazione e benedizione del rifugio; ritorno previsto a Sondrio alle 19:30”. Altrettanto interessante la cronaca dell’evento riportato su La Valtellina del 26 settembre 1925: “L’alba incomincia a diffondere le sue prime, tenue luci, e già la mulattiera della Val Venina brulica di comitive: nel mattino silenzioso non si sente che il ritmo cadenzato e pesante degli scarponi ferrati e il brontolio sommerso del torrente, che sale dal basso. Il cielo accenna a rabbonirsi e ci mostra un largo sprazzo di sereno laggiù sopra Vedello. Alle otto siamo già ad Agneda; l’umile chiesetta raccoglie un istante gli amanti della montagna per una pratica pia e religiosa: Don Giacomelli, Prevosto di Piateda, celebra la S. Messa in suffragio del nostro povero amico. Davanti a questa stessa chiesetta Egli passava due anni fa pieno di vita e con propositi audaci per non più rivederla nel triste ritorno. Finita la mesta funzione, sacchi in ispalla e di nuovo in cammino. Dopo il pittoresco e ridente piano di Agneda eccoci alle prese con la dura salita che adduce alla conca di Scais: è, però, così pittoresca anch’essa, che compensa largamente le nostre fatiche. In testa, il comm. Piazzi, nostro venerando Presidente, guida la schiera con passo agile e svelto, nonostante i suoi settantadue anni, e con un pesante sacco sulle spalle. Il cielo è tornato ad imbronciarsi e fa sembrare tanto tetra la bella conca di Scais: il Pizzo del Salto, tutto avvolto Rifugio Luigi Mambretti (m 2004) 31 Rifugi Speciali da nubi, ha un aspetto più arcigno del solito. Ancora una breve salita fra i larici e poi sbuchiamo nell’ampio piano di Caronno, le ultime, povere baite della Valle. La vista di un lungo tratto di strada piano... strappa a parecchi un sospiro di vero sollievo; ma si tratta di un sollievo di breve durata, perché oltre questa conca ci attende una lunga salita, la più aspra della giornata, su per quello sperone che sbarra la valle. Siamo ormai, tutti trafelati alla sommità dell’erta valletta, quando l’improvviso apparire di un tricolore che poco lontano emerge dall’alto d’un pennone ci annuncia la vicinanza della Capanna. Ancora pochi passi ed ecco la nostra piccola casetta profilarsi su di uno sfondo veramente superbo. La posizione non poteva proprio essere migliore. Posta quasi a cavaliere di uno sperone che la montagna spinge avanti a sbarrare la valle, domina un ambiente quanto mai selvaggio ed imponente. Di fronte si elevano con nere pareti arditissime le punte esili del P. Medasc; verso sud l’occhio abbraccia tutta l’ampia testata della valle, coronata da una maestosa barriera di vette, prima fra tutte per arditezza di forme e per altezza la Punta di Scais. Ma oggi l’arcigna ha sempre tenuto il capo nascosto in un fitto velo di nubi. La folla degli alpinisti dopo una visita all’interno della capanna si dispone tutt’intorno per una rapida colazione; è ormai mezzogiorno. Finalmente possiamo trovarci tutt’assieme! Ce ne sono di tutte le età: dalle graziose bimbette del Prof. Alfredo Corti e dal piccolo Giulio Messa ai più settuagenari dott. Linneo Corti di Tresivio e comm. Piazzi ed all’ottantenne Dott. Alessandro Rossi, il primo Italiano che ardì scalare il Disgrazia. Eccole là, queste tre belle figure di alpinisti, freschi e sorridenti come se avessero fatto una breve passeggiata invece d’una marcia lunga e faticosa: monito ed esempio a tutti noi giovani. Anche il sesso gentile é rappresentato da un gruppo veramente notevole di signore e di signorine: ad esse va rivolto un elogio sincero. Alle 13 precise dopo la benedizione della Capanna e della lapide che 32 LE MONTAGNE DIVERTENTI sull’album dei visitatori: in breve sono circa cento firme. Lieti dell’ottima riuscita di questa bella cerimonia, formuliamo fervido l’augurio che la locale Sezione del C.A.I. e dell’U.O.E.I. portino frequentemente comitive così numerose fra questi monti tanto belli e così ingiustamente trascurati. Ed a quanti saliranno a visitare la nostra piccola casetta una raccomandazione che viene dal più profondo del cuore: non la danneggino, la lascino sempre linda e pulita come la troveranno e soprattutto non ne imbrattino i muri con iscrizioni di nessuna sorte. Se non altro, si ricordino che è dedicata alla memoria di un Caduto, che nutriva un vero culto per la montagna. [...] A fatto compiuto la Sezione Valtellinese del C.A.I. sente ancora il dovere di ringraziare tutti coloro ai quali va il grande merito dell’opera inaugurata: l’ing. Carlo Mina che tra l’altro offrì gratuitamente le teleferiche per il trasporto dei materiali fino a Vedello, il sig. Vaninetti Attilio di Delebio il quale offrì a prezzo di favore il legname lavorato, e quanti altri si interessarono fattivamente per la bella riuscita.” ricorda Luigi Mambretti, Don Giacomelli prende per primo la parola, rievocando degnamente la bella figura cristiana dell’Estinto e portando l’adesione dei R. Padri Salesiani che ne furono gli educatori. Anche il comm. Piazzi, Presidente della Sez. Valtellinese del C.A.I., rievoca con parole commosse la figura del compianto Amico ricordandone le magnifiche doti di ingegno, di cuore, di alpinista; accenna brevemente alla storia del nuovo Rifugio sorto per voto di amici del povero Mambretti e ringrazia cordialmente gli intervenuti e quanti cooperarono in vario modo alla realizzazione del sogno. Interpretando l’animo di tutti gli alpinisti valtellinesi, ringrazia in modo speciale l’ing. Giulio Carugo, che con disinteresse ed amore tutto ha curato dal progetto all’esecuzione, chiudendo in modo così degno una pia opera di bontà, iniziata nel fatale settembre coll’organizzare, dirigere la squadra di soccorso: come segno di questa gratitudine, è ben lieto di consegnargli pubblicamente il distintivo di socio benemerito della nostra Sezione, decretatogli all’unanimità dal Consiglio. Dopo brevi parole del Vice-Presidente prof. Pansera, che legge pure le numerose adesioni, Arnaldo Sertoli, Sindaco di Delebio, ringrazia la Sezione Valtellinese del C.A.I. a nome della Famiglia e degli amici; con nobili parole tratteggia il generoso e retto carattere di cittadino e combattente di Luigi Mambretti che lo rendeva così caro e stimato a quanti lo avvicinavano. La breve, austera cerimonia è finita. La brava guida Bonomi, che ieri accompagnò i famigliari sul luogo della sciagura per porvi una croce, distribuisce ai presenti il the ed i biscotti offerti della Sezione. Poi, prima di prendere la via del ritorno, tutti passano alla capanna ad apporre la propria firma Autunno 2015 LA MAMBRETTI OGGI Pur avendo ricevuto qualche aggiunta e miglioria, come il locale invernale sul lato orientale inaugurato nel settembre del 1984, il rifugio Mambretti è giunto a noi mantenendo la sua struttura e la sua vocazione originaria di avamposto per la visita alle più alte vette delle Orobie. Si tratta di cime e vallate selvagge che, dopo l'epoca d'oro dell'alpinismo pionieristico, sono rimaste escluse, forse più per mancanza di promozione che di attrattive, dalle rotte principali del turismo d'alta quota. Il rifugio, data la scarsa frequentazione dell'area, non viene gestito e per poterne usufruire bisogna chiedere le chiavi al CAI Sezione Valtellinese Sondrio (tel. 0342/214.300). La struttura al suo interno è molto confortevole. Si sviluppa su due livelli: al piano inferiore ha tavolo, cucina e stufa a legna, mentre al piano superiore vi è il reparto notte in grado di alloggiare 25 ospiti. Lo spartano ma provvidenziale bivacco invernale è costituito da un piccolo locale LE MONTAGNE DIVERTENTI Il rifugio Luigi Mambretti. Da sinistra: pizzo degli Uomini, pizzo di Scotes, punta di Scais e pizzo della Brunone (29 maggio 2015, foto Marino Amonini). con ingresso autonomo posto sul lato E dell'edificio, proprio accanto ad una piccola fontana. Il bivacco offre un letto a castello con materassi e coperte. La manutenzione e la cura della Mambretti è in gran parte da ascrivere agli uomini e alle loro infaticabili mogli che negli anni sono stati nominati Ispettori da parte della Sezione Valtellinese del CAI di Sondrio, proprietaria della struttura. A loro va la più viva gratitudine: • Pietro Meago e Marta (dal 1972 al 1984); • Giuseppe Scieghi e Anni (dal 1985 al 1989); • Giuseppe Valsecchi e Lina (dal 1990 al 2012); • Luigi Colombera e Donata (dal 2013). LA GITA ALLA MAMBRETTI La gita alla capanna Mambretti richiede circa 2 ore e mezza di cammino ed è adatta a ogni escursionista, in quanto si svolge su sentieri ben segnalati e privi di pericoli oggettivi. Nel periodo invernale le ripide coste erbose che circondano il rifugio sono foriere di grosse valanghe; bisogna pertanto percorrerle solo con neve ben assestata. n auto, alla fine della tangenziale di Sondrio (direzione Tirano), prima del passaggio a livello, svoltiamo a dx e seguiamo la strada provinciale fino a Busteggia; al I primo semaforo prendiamo la stradina sulla dx che sale a Pam per poi ricongiungersi all'arteria principale per Piateda-Piateda Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio siamo al bivio in località Mon. Seguiamo (cartelli) sulla dx la carrozzabile che si inoltra in val Venina fino alla centrale di Vedello (m 1032, 6 km), quindi guidiamo per altri 2,5 km (strada recentemente asfaltata) fino al paesino di Agneda. A metà della piana seguente si trova una zona attrezzata per pic-nic e il divieto di transito per i mezzi non autorizzati. Abbandoniamo qui l'auto e ci incamminiamo verso il fondo della piana. Una strada, a tratti cementata, sale con vari tornanti in direzione E. Ce ne separiamo al ponte della Padella, grazie al quale ci portiamo in dx idrografica del torrente Caronno proprio sopra a suggestive marmitte dei Giganti. Il sentiero conduce per un fitto bosco al coronamento della diga di Scais (m 1494, casa dei guardiani). Dopo averne costeggiato la sponda settentrionale, prendiamo la via bollata che tra boschi e pascoli dalle case di Scais (ore 1:15), passa per l'ex rifugio Guicciardi e sbuca nella piana dell'alpe Caronno (m 1612). Un paio di ponticelli e, con molti tornanti, rimontiamo la costola che improvvisamente interrompe la val Caronno. Quando il bosco lascia il posto ai pascoli, in breve guadagniamo il poggio che ospita la capanna Mambretti (m 2004, ore 1:15). Rifugio Luigi Mambretti (m 2004) 33 Escursioni di più giorni Cosa portare con sé Beno John Harlin III ai piedi dei Sassi Rossi durante il percorrimento integrale del perimetro della Svizzera. Aveva con sé uno zaino da più di 20 kg con tutto l'occorrente per bivaccare all'aperto, mangiare, bere, oltre all' attrezzatura alpinistica e alle apparecchiature multimediali per redarre in tempo reale gli articoli sulla sua avventura (28 luglio 2011, foto Beno). U na gita che prevede almeno un pernottamento in quota dove non vi è un rifugio custodito, necessita un'attenta scelta dell'attrezzatura da portare con sé. Pur cercando di limitare il peso dello zaino, non si deve dimenticare nulla di indispensabile e forse concedersi anche qualcosa di superfluo che però possa rendere più piacevole l'avventura. Per decidere se portare tenda, sacco a pelo, materassino, corda, piccozza, ramponi, fornelletto e kit per cucinare, tante o poche bevande... occorre innanzitutto studiare a tavolino l'itinerario per capire le situazioni che si andranno ad affrontare. D ate le troppe variabili in gioco, se volessimo affrontare in maniera esaustiva l'argomento non basterebbe scrivere un libro. Mi limiterò perciò, fornendo consigli di pronto utilizzo per le gite che proponiamo, a ripetere con voi i ragionamenti fatti nel momento di preparare lo zaino per l'anello del Gleno, la faticosa uscita di 2 giorni raccontata nell'articolo a pagina 38, che prevede un bivacco a m 2450 senza alcuna struttura a cui appoggiarsi. L'atLE MONTAGNE DIVERTENTI trezzatura fotografica professionale, indispensabile per il mio lavoro, costituisce quei 3 kg (minimo) in più che piegano la schiena di tutti i fotografi di montagna. Se si è in gruppo è evidente che alcune cose (tipo vestiti, materassino, sacco a pelo, occhiali da sole, frontalino, bastoncini telescopici, casco, imbraco, ramponi, ...) sono personali, cioè ognuno deve avere le sue, altre (tipo crema da sole, fornelletto, pentolame, zucchero, accendino, attrezzatura fotografica, cartina e talvolta piccozza, corda e protezioni...) possono essere condivise e talvolta usate anche a turno, quindi è sufficiente che le porti solamente una persona. I più allenati, in una gestione responsabile e bilanciata della logistica, dovrebbero farsi carico degli zaini più gravosi, colmando il divario di prestazioni fisiche con una zavorra fatta in primo luogo di oggetti condivisi o per tutto il gruppo; quindi, se ciò non fosse sufficiente, facendosi carico anche di parte degli effetti personali di chi ha meno energie da spendere. Lo zaino deve essere di gran- dezza adeguata. Si devono evitare zainoni semi-vuoti il cui contenuto si muove in continuazione perché non compattato, oppure troppo piccoli, pieni zeppi e con mille cose legate fuori alla benemeglio. Tutto ciò che è appeso esternamente, oltre a sbilanciare e a incastrarsi nei passaggi stretti, è esposto agli agenti atmosferici. Per una gita di più giorni lo zaino - anche di chi viaggia più leggero - deve avere capacità superiore ai 35 litri, con buoni spallacci, una cinghia per affrancarlo in vita e una sul petto. Trovo utilissima una tasca o una rete esterna dove mettere thermos o borraccia, cosicché per bere non si debba tutte le volte aprire la sacca. Ma torniamo ai preparativi per l'anello del Gleno. Nella tabella che segue sono elencati gli oggetti che abbiamo portato con noi e i ragionamenti fatti al momento della scelta. I pesi indicati sono quelli dell'attrezzatura in mio possesso. Non possiedo nulla di ultraleggero e supercostoso, anche perché tante volte i grammi in meno prosciugano le riserve auree e, per di più, compromettono la funzionalità dell'oggetto. Escursioni di più giorni: cosa portare con sé 35 ho nel parco macchine 2 compatte a ottica fissa ,attualmente l'unica tipologia di mezzi in grado di realizzare immagini di qualità paragonabile alla K3: una Ricoh GR (peso 245 alpini g, sensore APS-C da 16 Mpx, ottica daConsigli 18,3 mm f/2.8 che equivale a 28 mm nel pieno formato) e una mostruosa Sigma (sensore Foveon X3 da 46 Mpx e ottica 30mm f/2.8, equivalente a 45mm nel pieno formato, in meno di 500 grammi di peso), che pur se di scomodo e limitato utilizzo, regala foto con colori e dettagli strabilianti, in buona luce persino migliori della K3 (ne è un esempio la foto di copertina di questo numero de LMD). Speciali COSA PORTARE PESO OGNI QUANTE PERSONE COME MAI? pantaloni, calzettoni, maglietta, maglia lunga, scarponi non troppo duri 2,5 kg 1 Questi sono i vestiti che avevamo addosso alla partenza, avvenuta in una fresca mattina di giugno.Sconsiglio le scarpe da ginnastica, innanzitutto perché la rugiada del mattino le inzupperebbe d'acqua dopo pochi passi, poi perché il piede è comunque più al sicuro e protetto in una calzatura robusta e impermeabile. pantaloni, maglietta e calze di ricambio, maglia pesante, guscio impermeabile, pile, berretta, fascetta, guanti, poncho o sacco dell'immondizia per coprire lo zaino 2,5 kg 1 borraccia di metallo o thermos- 1,3 ÷ 1,7 kg da almeno 1 litro, piena 1 sacco a pelo, materassino e frontalino 1 1,7 ÷ 2,5 kg Lungo il percorso l'acqua è di facile reperimento, per cui basta un contenitore da un litro. Visto che abbiamo intenzione di preparare il tè alla sera meglio evitare di versarle in recipienti di plastica. Inoltre il meteo mette freddo, per cui una tazza di roba calda fa sempre piacere. Kit per la notte. Il sacco a pelo deve avere una temperatura di comfort non superiore a 0°C per dormire sonni tranquilli sopra i m 2000. Il materassino, sufficientemente spesso, è indispensabile perché se il sacco a pelo si bagna o è a contatto col terreno perde le proprietà isolanti. 0,6 kg 1 Praticamente indispensabili quando si è molto carichi per non distruggersi le ginocchia sotto il peso dello zaino e per facilitare l'equilibrio. tazzina di plastica capiente, cucchiaio di metallo 0,1 kg 1 Altrimenti non c'è verso di mangiare la minestra bollente! scarpe da ginnastica 0,5 kg 1 Opzionali. Servono per lasciare asciugare gli scarponi o per tornare di corsa a prendere la macchina. cibo personale: pane, dolci, salumi, formaggio, cioccolato, frutta secca … 1,5 kg 1 Anche qui va a gusti. Vi consiglio tuttavia di propendere per alimenti sani e genuini piuttosto che passare 2 giorni a sgranocchiare barrette e bere gel gusto detersivo per i piatti. La frutta fresca è ottima, tuttavia si schiaccia facilmente e quindi andrà consumata nei primi frangenti della gita. Preferite i cibi non confezionati con troppi involucri sia per una questione di coscienza ecologica che per non portare troppa immondizia nello zaino. attrezzatura fotografica professionale: 1 reflex con 2 obiettivi e piccolo cavalletto 3 kg 1 per tutto il gruppo È il kit base del fotografo. Io, che utilizzo una Pentax K3, di solito porto una lente luminosa tuttofare, tipo il Sigma 1770 mm f/2.8-4, accompagnata da una seconda più specifica. Un grandangolo spinto, tipo il Sigma 8-16mm, se immagino di voler riprendere azioni molto ravvicinate con una buona fetta di panorama o di trovarmi spesso ai piedi di pareti molto grandi; oppure il Pentax 50-135 mm f/2.8 nel caso voglia fotografare animali o soggetti molto distanti, come vette, laghi o rifugi che si trovano in altre vallate. Il cavalletto è indispensabile per le foto notturne e una notte all'aperto è una ghiotta occasione per farne. attrezzatura fotografica compatta 0,3 ÷ 0,5 kg 1 per tutto il gruppo Spesso capita che portando la sola reflex non si abbia il tempo o lo spazio d'azione necessari per toglierla dallo zaino e fare foto che documentino certi dettagli della gita. Facendo questa 2 giorni per proporla all'interno de LMD ho preferito attrezzare uno dei miei compagni con una macchina leggera ma di qualità da tenere sempre a tracollo. N.B. Quando si sceglie una fotocamera compatta per farne un uso professionale non si deve scendere a compromessi di qualità dell'immagine o si rimarrà delusi dei risultati. Io pertanto ho nel parco macchine 2 compatte a ottica fissa, attualmente l'unica tipologia di mezzi in grado di realizzare foto di qualità paragonabile alla K3: una Ricoh GR (peso 245 g, sensore APS-C da 16 Mpx, ottica da 18,3 mm f/2.8 che equivale a 28 mm nel pieno formato) e una mostruosa Sigma DP2 Merrill (sensore Foveon X3 da 46 Mpx e ottica 30mm f/2.8, equivalente a 45mm nel pieno formato, in meno di 500 grammi di peso), che pur se di scomodo e limitato utilizzo, regala foto con colori e dettagli strabilianti, in buona Autunno luce persino 2015 migliori della K3. LE MONTAGNE DIVERTENTI 2,8 ÷ 3,5 kg 2-3 È vero: se si è sicuri del bel tempo, si può anche dormire all'addiaccio, ma si deve essere temprati a farlo e si deve possedere un sacco a pelo che non teme l'umido. Inoltre il vento può rendere difficoltoso cucinare, per cui se non si ha la certezza di un riparo anche solo di fortuna la tenda è d'obbligo. Nel nostro campo base ai piedi del il Gleno non c'è alcun ricovero. fornelletto con 1-2 ricariche, pentola con coperchio, accendino, coltello pieghevole 1,3 kg 3-4 Se si vuole bere qualcosa di caldo e avere il conforto di una buona minestra alla sera. Portare una pentola da almeno 1 litro e riempirla con le vettovaglie per ottimizzare lo spazio. piccozza 0, 5 kg 3-4 La gita non prevede ghiacciai, ma solo brevi tratti su neve. Nell'ipotesi questi siano ghiacciati o duri abbiamo deciso di portare una piccozza ogni 3-4 persone per eventualmente scalinare, risparmiandoci così i ramponi. corda da 20 m 1 kg 3-4 Non ci sono tratti alpinistici, ma un'eventuale rampa gelata senza ramponi può rendere prudente uno spezzone di corda da tenere con le mani per sicurezza. cartina, cibo comune (zucchero 1 kg ½ kg, bustine di tè, minestra liofilizzata), fazzoletti di carta, cerotti, saponetta, spugna per pulire la pentola e crema solare 3-4 Qui va a gusti. Unica raccomandazione quella di non esagerare con le provviste. È il normale e indispensabile vestiario per una gita di più giorni. Abbiamo evitato le ghette in quanto i tratti innevati sono davvero pochi. bastoncini telescopici 36 tenda max 3 posti Lo zaino1 affardellato pesa tra i 20 kg (quello che contiene anche tutta la roba in comune) e 8÷9 kg (quello 1 - Ho usato uno zaino da 50 litri di buona fattura e con schienale rinforzato che vuoto pesa 1,5 kg. di chi si fa carico solo della propria). Tenete conto inoltre che tra vestiti, scarponi e bastoncini si ha addosso un carico aggiuntivo di circa 3 kg. Nella tasca superiore io metto di Distendere l'attrezzatura su un piano è utilissimo per controllare se c'è tutto, ma anche per preparare correttamente lo zaino: gli oggetti pesanti, affinchè non sbilancino, vanno inseriti in posizione centrale, quelli leggeri più esterni, ricordandosi però di tenere in alto ciò che è di utilizzo più immediato o frequente, come la macchina fotografica o le bevande. LE MONTAGNE DIVERTENTI solito coltello, un documento di identità e un po' di soldi, fazzoletti di carta e occhiali da sole. Questa non va riempita eccessivamente o preme la testa in avanti riducendo la visuale. C'è stato tutto! Il fardello pesa circa 20 kg. Consiglio di provare lo zaino prima di partire per regolare la distribuzione del carico e la lunghezza degli spallacci qualora non ottimali. Escursioni di più giorni: cosa portare con sé 37 Speciali Alpi Orobie Anello del Gleno La splendida escursione di due giorni, con partenza in val Belviso e arrivo a Bondone, ha come baricentro il monte Gleno, vetta panoramica a ridosso del confine tra le province di Sondrio e di Bergamo, e molte attrattive: nella verdeggiante valle del Gleno si trovano i resti di una diga malcostruita che quasi cent'anni fa crollò mietendo centinaia di vittime; dai laghi di val Cerviera, in lontananza, si può ammirare l'altissima cascata del Serio, e, prima di rientrare in Valtellina, incontare il grande lago artificiale del Barbellino e il cupo lago della Malgina. Beno 38 Diga del Gleno. Come un monito per le generazioni future, è stato lasciato ciò che rimane dello sbarramento che crollò il 1 dicembre 1923 facendo 3 uscire 6 milioni di m d'acqua che Beno). 2015 Autunno LE MONTAGNE DIVERTENTI dilavarono la val di Scalve distruggendo paesi e causando centinaia di morti (20 giugno 2015, foto LE MONTAGNE DIVERTENTI Anello del Gleno 39 Alpinismo Alpi Orobie Monte Demignone (2583) Cima di Belviso (2632) Passo di Venano Passo di Belviso (2328) (2518) Cima del Tróbio (2865) Monte Costone anticima E del Gleno (2833) (2852) Malga Pila Il tracciato di salita al passo di Belviso visto dalla sponda orientale del lago di Belviso (20 giugno 2015, foto Beno). Nella mappa a fianco è anche indicata la numerazione dei sentieri seguiti durante l'itinerario. Le bandierine segnano il punto di cambio numerazione. BELLEZZA Partenza: palazzina Falck in località ponte Frera (m 1381). Itinerario FATICA PERICOLOSITÀ automobilistico: per compiere questo anello, se non si dispone di compagno di gita performante o facilmente riducibile in schiavitù che corra da Bondone a Ponte Frera (13 km) per recuperare l'auto, è necessario prevedere 2 vetture. Una da lasciare a Bondone, una a Ponte Frera. SONDRIO-BONDONE: dalla rotonda alla fine della tangenziale di Sondrio (E), proseguire sulla SS 38 in direzione Tirano. Dopo 11 km, in località San Giacomo di Teglio, prendere a dx e attraversare il fiume Adda, quindi seguire sempre per Carona. La strada sale tortuosa per 11,2 km finchè, sul tornante sinistrorso appena oltre il cartello della frazione Moia, si trova l'indicazione per Bondone. In breve si è al paesino (1,7 km). Parcheggiare nelle apposite aree di fronte alla chiesa (23,9 km da Sondrio). BONDONE-PONTE FRERA: lasciata una vettura a Bondone, con la seconda tornare al bivio sopra la Moia (0,8 km) e scendere per la via appena percorsa (sx) fino a Monegatti (1,5 km). Qui c'è un trivio. Seguire a dx (E) per l'Aprica. Dopo 4 km si arriva a Ponte Ganda, dove c'è la centrale idroelettrica. Prima della centrale si diparte sulla dx la stradina con indicazioni per val Belviso – diga di Frera. La carrozzabile risale con pendenza limitata la valle fino a San Paolo, dov'è il rifugio Cristina, poi si fa un po’ più ripida e, con alcuni tornanti, giunge alla palazzina Falck (7 km, 13 km da Bondone). Parcheggio in loco sul lato sx della carrabile o appena al di là del vicino ponte Frera, nei pressi della bacheca del Parco delle Orobie Valtellinesi. Itinerario sintetico: I GIORNO: Ponte Frera (m 1381) - malga Pila (m 2006) - passo di Belviso (m 2516) - baita Alta di 40 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Gleno (2091) - baita di Mezzo (m 1820) - baita Bassa di Gleno (m 1557) - ex diga del Gleno (m 1523) - baita Bassa di Gleno (m 1557) - baita di Mezzo (m 1820) baita Alta di Gleno (2091) - campo base (m 2350) monte Gleno (m 2883) - campo base (m 2350). II GIORNO: campo base (m 2350) - passo di Bondione (m 2680) - laghetti di val Cerviera (m 2321) - lago di Barbellino (m 1900) - lago di Malgina (m 2333) - passo di Bondone (m 2720) - baita Cantarena (m 2074) baita Monte Basso (m 1560) - Bondone (m 1217). Tempo previsto: I GIORNO: 10 ore e mezza II GIORNO: 8 ore e mezza. Attrezzatura richiesta: scarponi, bastoncini telescopici, ramponi e piccozza utili in caso di neve, vestiti pesanti per la notte. Per il bivacco si consiglia, oltre ai viveri: tenda, sacco a pelo (almeno 0°C di comfort), materassino, fornelletto, pentolino con coperchio, thermos e stoviglie da bivacco. Difficoltà e dislivello: 3 su 6 I GIORNO: + 2550 m / - 1550 m II GIORNO: +1100 m / - 2300 m. Dettagli: Alpinistica facile la salita al monte Gleno (ripidi canali di sfasciumi, roccette con passi di I+ e un breve tratto di cresta). Per il resto EE, trattandosi di una gita su sentieri generalmente ben segnalati e solo in alcune occasioni esposti. Non mancano però tratti un po' incerti come la discesa dal passo di Bondone a Cantarena. In caso di neve o rocce bagnate prestare molta attenzione sia alla salita al Gleno che al passo di Bondione dalla valle del Gleno, oltre a non sottovalutare i ripidi canali di salita e discesa dal passo di Bondone. Mappe (servono entrambe): - Kompass n. 94 - Edolo-Aprica, 1:50.000 + Kompass n. 104 - Foppolo - Val Seriana, 1:50.000. Anello del Gleno 41 Alpinismo Monte Gleno (2883) Pizzo dei Tre Confini (2824) anticima E (2852) Passo di Bondione (2680) Passo di Belviso (2518) campo base La diga ad arco a gravità a doppia curvatura di Frera, alta 130 metri, dà vita al lago di Belviso dalla capacità di 50 milioni di m3. Per approfondimenti si veda LMD n.31 (22 giugno 2013, foto Beno). Passo di Belviso (2516) Baita Alta del Gleno Malga Pila Il sentiero che dal lago di Belviso sale al passo di Belviso dai pressi della malga Pila. Fino a m 2200 questo coincide con quello per il rifugio Tagliaferri (20 giugno 2011, foto Beno). I GIORNO mattina e, con gli zaini ben carichi, muoviamo i primi passi1 dalla palazzina Falck scendendo verso il greto asciutto del torrente e che attraversiamo su un ponticello. La strada piega a dx e si avvolge in tornanti prendendo quota nell'abetaia animata dalle sculture di legno che Andrea Fanchi ha ricavato dai ceppi degli alberi tagliati durante la pulizia del bosco2. Dal coronamento della diga la carrozzabile si inoltra in val Belviso pianeggiando sopra la sponda orientale del grande lago artificiale. La vegetazione è fitta a tal punto da celare il paesaggio e rendere monotona la prima mezz'ora di marcia. Una lapide bianca all'improvviso ci ricorda che un tempo qui circolavano liberamente le auto e che non c'erano piante sulle scarpate che scendono al lago. Fu così che nel 1974 per una 1 - Questo primo tratto di itinerario segue i segnavia del sentiero n.312. 2 - Si veda Marino Amonini, Boschi animati, LMD n. 25 - Estate 2013, pagg. 50-55 È 42 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta valle del Gleno. Indicati in rosso i tracciati per passo di Bondione e per il passo di Belviso, in giallo quello per la vetta del Gleno. Con “campo base” si intende il ripiano a m 2350 dove abbiamo pernottato. Ripresa effettuata dalla vetta del pizzo Tornello (20 giugno 2015, foto Beno). manovra sbagliata una vettura precipitò e la famiglia che vi era a bordo morì annegata. Superato il ponte sopra le turbolente e copiose acque del torrente della val di Campo, la strada piega a dx e, appena oltre l'incrocio con la pista malga di Campo e malga Demignone, passa accanto a un edificio3, per prose3 - Ora caccia di casa della riserva, l'edificio fu costruito per essere una latteria comunitaria a cui doveva affluire, tramite le teleferiche realizzate ad hoc, il latte di tutti gli alpeggi della val Belviso. In seguito alla morte in un incidente stradale dei promotori, il progetto rimase incompiuto. Autunno 2015 guire in testa al lago di Belviso. Al di là del ponte sul torrente Belviso, la strada piega a sx e, poco dopo, accosta la baita di quota m 1514 (Raìs de Pila). Saliamo (S) paralleli al torrente in sx idrografica. Il bosco, diradato anche dalle frequenti slavine, lascia spazio a piccoli arbusti e pascoli poco utilizzati. Superati una serie di corsi d'acqua, arriviamo al termine della carrozzabile dove troviamo la partenza della teleferica per malga Pila e un ponticello. Il sentiero, dapprima su pascoli, entrato nel fitto degli ontani LE MONTAGNE DIVERTENTI si fa più tortuoso, per poi traversare a NO sotto la barra rocciosa delle Gronde di Pila e raggiunge le strette risvolte delle Scale di Pila. Sbuchiamo sulla conca che ospita malga Pila (m 2006, ore 1:50). Le baite si trovano poco lontane alla nostra dx, ma non le raggiungiamo. Pieghiamo invece a sx e seguiamo la comoda traccia e i segnavia che si spingono a S, poi SE, lambendo rocce montonate tra rododendri e chiazze d'erba. Siamo sul medesimo sentiero che porta al passo di Venano e al rifugio Tagliaferri. Intuiamo il passo di Belviso in alto a dx, massima depressione tra la cima di Belviso e l'anticima orientale del monte Gleno. Raggiungiamo l'apposito cartello segnavia non lontano dalla rampa finale per il passo Venano per deviare a dx (SO) per il passo di Belviso. Scavalcati alcuni dossi rocciosi, oltre una conca, la via si impenna (neve a inizio stagione) e siamo senza difficoltà al passo di Belviso (m 2516, ore 1:40), da cui la vista si apre immediatamente sull'alta valle del Gleno. Piante Anello del Gleno 43 Alpinismo d'alto fusto non se ne vedono, segno che l'attività delle mandrie, unita a quella valanghiva, non permette agli alberi di svilupparsi. Dalla mappa deduciamo che la valle è costituita da quattro ripiani pascolivi separati da altrettanti gradoni. Nel piano inferiore, che si attesta attorno ai m 1550, sul ciglio sospeso della valle vi è l'ex diga del Gleno, prima meta di giornata. Oltre, chiaramente visibile pure da qui in tutta la sua bellezza, s'alza verso il cielo l'imponente e candido versante N della Presolana, la più famosa cima della val di Scalve. Arretrando con lo sguardo, studio l'anfiteatro sommitale della valle del Gleno. È diviso in due settori dal crinale che scende dalla cima di Belviso. La porzione occidentale, in cui ci troviamo, è quella dominata dalla dirupata parete S del monte Gleno4 e dalle sue ancelle Glenino5 (come qualcuno ne ha battezzato l'anticima NE) e pizzo Tre Confini6. Sulla cui cresta S di quest'ultimo si trova l'incisione del passo di Bondione, che attraverseremo domattina. Da N soffia vento gelido. Le Alpi Retiche hanno un compatto cappello di nubi, sintomo di bufere di neve e freddo. Benché domani sia il primo giorno d'estate, i fiocchi cadono pure qui e ci costringono a cercare un po' di riparo sul versante scalvino del passo mentre ci rifocilliamo. Ci abbassiamo ripidamente nella valle7 (SO) per una scarpata di detriti. Quando la pendenza s'ammorbidisce, i magri pascoli d'alta quota prendono il posto delle pietraie. Seguitiamo a perder quota fino all'ometto di pietra costruito in corrispondenza del crocevia dei sentieri n. 410 (Bueggio - lago del Gleno - passo di Belviso) e n. 321 (unisce i rifugi Curò 4 - Su questo versante corre la più facile via di salita alla montagna. 5 - L'anticima orientale del monte Gleno, detta Glenino (m 2852), è un punto orografico molto importante in quanto si trova al convergere di val Belviso, val di Scalve e valle del Trobio. I suoi fianchi sono pertanto collocati rispettivamente nel bacino dell'Adda, dell'Oglio e del Serio. 6 - Il toponimo deriva dal fatto che un tempo sulla vetta si incontravano i territori di tre comuni: Vilminore, Lizzola e Bondione, questi ultimi due aggregati dal 1927 con Fiumenero per costituire il comune di Valbondione. 7 - In questo tratto si sovrappongono il sentiero n. 321 e il n. 410. 44 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpi Orobie Valle del Gleno. Le cascatelle ai piedi del promontorio dove si trovano i ruderi dell'ex rifugio Bissolati, distrutto da una valanga nel 1925 (20 giugno 2015, foto Beno). Cavalli al pascolo al cospetto della diga del Gleno. In secondo piano è il monte Ferrante, dove si trovano anche delle piste da sci (20 giugno 2015, foto Beno). anticima E del Gleno (2852) Cascate nei pressi della scala dei Sulegà. La valle del Gleno è estremamente ricca di acque (20 giugno 2015, foto Carlo Nani). e Tagliaferri). Poco più a O, su un dossello erboso a m 2350, individuiamo il punto dove allestire il nostro campo base. L'ubicazione è strategica in quanto siamo all'incrocio tra gli itinerari previsti per oggi (discesa alla diga del Gleno e salita al monte Gleno per il versante S) e la salita al passo di Bondione prevista per domattina. Montate le tende, vi lasciamo tutto il superfluo e ripartiamo. Inizialmente traversiamo a sx (E) per aggirare una barra rocciosa. Tornati sulla perpendicolare delle nostre tende insistiamo a O fino a incontrare il muro in pietra che deli- mita i pascoli8 dell'isolata baita Alta di Gleno (m 2091), un minuscolo avamposto con muri in pietra e calce e tetto in lamiera. Guardando dentro capiamo che dormire in tenda è più comodo, ma in caso di maltempo estremo qualche sicurezza la offrirebbe anche questo spartano manufatto. Riprendiamo la discesa, con le cascate del torrente che rumoreggiano alla nostra dx. A m 2050 siamo sul ciglio di una nuova barra rocciosa, che superiamo grazie alla cengia obliqua che va da O a E, localmente chiamata 8 - Nel dialetto valtellinese, come in quello bergamasco, il recinto realizzato con muretti di pietra a secco è detto bàrech. Autunno 2015 Monte Gleno (2883) Il versante settentrionale del monte Gleno e l’ultimo tratto di salita visti dalla cima del Trobio (5 aprile 2008, foto Giovanni Rovedatti). scala dei Sulegà. Sul promontorio alla nostra sx (E) vediamo le rovine dell'ex rifugio Bissolati9 (m 1953), inaugurato nell'estate del 1922 e distrutto da una valanga già nella primavera del 1925. Passati sulla sx idrografica del Povo, le pendenze scemano e percorriamo l'ampio ripiano pascolivo che ospita la baita di Mezzo (m 1820). Si tratta di un fabbricato in buono stato con muratura di pietra con calce e tetto in lamier. Consta di due corpi: uno per 9 - Il rifugio fu voluto e costruito dalla sezione CAI di Cremona e dedicato alla memoria di Leonida Bissolati (1857-1920), importante politico italiano e appassionato alpinista. LE MONTAGNE DIVERTENTI le persone e uno per gli animali. Arriviamo al margine della piana passando ai piedi del costone chiamato Montefiore, che in questa stagione dà piena ragione del toponimo sfoggiando il suo abito più colorato. C'è un nuovo gradino della valle. Al contrario degli altri si è lasciato scalfire dal torrente che vi ha scavato un largo solco e alcune marmitte dei giganti. Lo percorriamo notando scorci sempre più ampi sul lago e la diga del Gleno. Lo scheletro del muro squarciato nel mezzo è reso ancor più terrificante dal contrasto con la paradisiaca piana verdeggiante e puntinata da animali che lo precede e con la possente barriera di calcare della Presolana sullo sfondo. Sceso un dosso con vari tornantini, passiamo accanto alla baita Bassa di Gleno (m 1557), recentemente ristrutturata. Ci sono mucche, asini10 e cavalli, mentre in lontananza centinaia di pecore brucano le più impervie coste che sovrastano la conca dove si trova anche un ristoro per i turisti. Il nostro obbiettivo è il muraglione della diga del Gleno (m 1523, ore 2:15), per poterne apprezzarne le dimensioni da vicino, verificare se effettivamente la malta che lo costituisce è di scarsa qualità e, specialmente, vedere cosa c'è a valle di questo sbarramento. L'ispezione ci lascia sbigottiti: è incredibile come si sia potuto realizzare un manufatto tanto approssimativo prorpio sopra una valle abitata. Purtroppo in questo mondo il buonsenso inizia a palesarsi solo dopo i più grandi disastri! Dopo aver effettuato il periplo del lago in senso antiorario, riprendiamo il sentiero n. 410 e torniamo al campo base (m 2350, ore 2:30). Da qui per la vetta del Gleno occorre puntare dritti a N fino alla base della parete S della montagna11. La si attacca piuttosto a dx (E) nei pressi dello sbocco di un grosso canale, talvolta ancora colmo di neve a stagione inoltrata. Ometti di pietra, segni di passaggio e radi bolli rossi guidano per lo scoseso versante che alterna tratti di roccia (I+) a faticosi macereti. Da ultimo la traccia si porta decisamente sulla sx e sbuca sul colletto del Gleno, sella detritica tra Gleno e Glenino. Ci affacciamo così sulla conca del Trobio, che ospita quattro brandelli ricoperti di detrito, residui del grande ghiacciaio del Trobio, unitario fino al 1947. Una breve cresta di roccia nera, lubrica e friabile (I+), conduce alla croce di vetta del monte Gleno12 10 - Alcuni di questi vengono usati dai pastori per trasportare a valle i formaggi. 11 - Si può anche per un tratto appoggiarsi al sentiero n.410 e poi piegare a sx (masso con indicazioni). 12 - La prima salita alpinistica al monte Gleno fu il 22 agosto 1873 (probabilmente fu già raggiunto prima dai cacciatori di camosci) e porta il nome di Douglas Freshfield, con l'ausilio della guida di Chamonix Francois Dévouassoud e in compagnia dei signori Charles Comyns Tucker e Thomas Carson. Anello del Gleno 45 Alpinismo (m 2883, ore 1:15), da cui si ha un fantastico panorama. Impressionante è la vista sul severo e scuro pizzo Recastello (m 2888), un complesso di torri che ne fa una delle poche montagne delle Orobie dalle forme dolomitiche. Le altre cime che limitano il bacino del Trobio, procedendo in senso antiorario, sono: pizzo dei Tre Confini, Gleno, Glenino, cima del Trobio, monte Costone e pizzo Strinato. Traversarli tutti per cresta, impresa compiuta per la prima volta da Alfredo Corti e G. Bava il 14 luglio 1928, è una faccenda piuttosto lunga e a tratti non banale. Ben più comodo è invece il ritorno al campo base (m 2350, ore 1). La notte, nonostante il vento insistente, trascorre serena, almeno per chi è equipaggiato a dovere. Quelli in tenda col sacco a pelo caldo o quelli fuori sotto le stelle13 con sacco ultra performante dormono come angioletti, mentre chi è in tenda col sacco a pelo da spiaggia o fuori con mezzi tanto costosi quanto inefficienti (consapevoli che avrebbe ottenuto maggior isolamento termico avvolgendosi direttamente nelle banconote spese)14 conta i secondi che mancano al sorgere del sole! II GIORNO L'alba è anticipata da un certo profumino di caffè, ma io son troppo comodo nel mio giaciglio per andare a vedere di cosa si tratti. Per fortuna tra noi, uomini duri che dormon sotto le stelle, qualcuno è solo felice di poter uscire dal freddo del suo bozzolo e correre verso la tenda-bar delle ragazze per lasciarsi andare a violenze e saccheggi. Il bottino è una tazza della preziosa bevanda, il cui sapore molto si avvi13 - Date le previsioni meteo favorevoli, in tre abbiamo dormito all'addiaccio per risparmiare il peso di una tenda. Avevamo comunque la garanzia di 2 tende in cui ripararci in caso di pioggia e in cui, comunque, stare a cucinare. 14 - Il costo del sacco a pelo non è assolutamente proporzionale alle sue proprietà, ma generalmente solo al marchio! Prima di acquistare bisogna informarsi con qualcuno che già possiede quel modello per non prendersi grosse fregature. Le temperature indicate si riferiscono sempre a condizioni ideali, cioè senza vento e con sacco non inumidito (da questo punto di vista le imbottiture sintetiche sono nettamente più performanti della piuma). Prima di un'uscita impegnativa il materiale va testato in giardino o sul balcone di casa, dove, qualora se ne appurasse l'inefficacia, ci si può subito riparare nel proprio letto! 46 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpi Orobie Passo di Bondione (2680) 2672 Il tracciato per il passo di Bondione visto dal campo Base. Il muro di rocce basali può essere affrontato sia lungo il sentiero che accanto al greto del torrente (21 giugno 2015, foto Beno). In discesa dal passo di Bondione verso la valle Seriana. Indicato il tracciato del sentiero 321 (21 giugno 2015, foto Beno). Oltre le catene e il primo ruscello ha inizio un traverso a tratti esposto lungo il ciglio sospeso della valle. Fare attenzione con terreno gelato (21 giugno 2015, foto Beno). Lungo l'aerea cresta che unisce il pizzo dei Tre Confini, indicato con un pallino, e il monte Cimone (21 giugno 2015, foto Beno). Verso il passo di Bondione. Sullo sfondo il pizzo Tornello (21 giugno 2015, foto Beno). Autunno 2015 Si smonta dalla cresta e si scende verso i laghi di val Cerviera (21 giugno 2015, foto Beno). LE MONTAGNE DIVERTENTI cina al brodo di cottura delle verze, ma che ci desta dal sonno. In men che non si dica l'accampamento15 viene fagogitato dagli zaini tornati pieni e pesanti. Dal campo base (m 2350) puntiamo a NO. In tale direzione vediamo un ripiano sospeso su una barra di rocce, la cui altezza diminuisce da sx verso dx. Alla sua estremità orientale, nel punto più basso, si trova una fascia di rocce giallastre: lì passa il sentiero n. 321. Vi giungiamo per magri pascoli e pietraie cosparse di grandi blocchi. Ci arrampichiamo sulle roccette a dx di un ruscelletto (tratti con catene), che guadiamo poco più in alto. Ha quindi inizio un lungo traverso (SO) non lontano dal ciglio nel vallone sospeso ai piedi del pizzo dei Tre Confini. La via bollata16, talvolta stretta ed esposta, se gelata, va affrontata con molta prudenza. Presto gli spazi si ampliano e pianeggiamo sui pascoli verso O, per piegare a dx (NNO) e salire il vallone sulla dx orografica. In alto c'è un branco di stambecchi dalle corna imponenti che pare non essere per nulla turbato dalla nostra presenza. Un traverso (dx) alla base di una fascia di rocce ci porta ai piedi del breve canalino per il passo di Bondione (m 2680, ore 0:50). Salutiamo la valle del Gleno, entrando nella valle di Bondione. Niente più pascoli, ma pietraie e chiazze di neve che calpestiamo nella breve discesa che ci porta ai piedi della quota 2672, quindi a rimontare e percorrere la panoramica cresta SO del pizzo dei Tre Confini verso il monte Cimone. Dallo spartiacque la vista sulla dentatura delle Alpi Orobie è ampia e insolita: da buoni valtellinesi, infatti, siam soliti riconoscerle solo dall'altro versante. Sotto di noi (N) si apre l'isolata val Cerviera, chiusa tra monte Cimone, pizzo dei Tre Confini e pizzo Recastello. Al cospetto del monte Cimone si trova un nutrito gruppo di specchi d'acqua 15 - Un consiglio nel riporre tende e sacchi a pelo nelle apposite borse è quello di non piegarli ordinatamente, ma di inserirli direttamente stropicciati: questa tecnica, che può apparire grezza, è bensì più veloce e l'unica praticabile con vento forte. Inoltre evita il formarsi di sacche d'aria che, spesso, danno l'impressione che la borsa sia troppo piccola per il contenuto. 16 - I sentieri n. 321 e n. 321 var. sono segnati in maniera del tutto inesatta sulla mappa Kompass. Anello del Gleno 47 Alpinismo Alpi Orobie Laghetti di val Cerviera Le Alpi Orobie dal testone di quota m 2561. Sopra i laghetti di val Cerviera, a sx e non indicato, è il monte Cimone. Il tracciato in rosso è quello più semplice per scendere al lago del Barbellino passando per i laghetti (21 giugno 2015, foto Beno). multiformi, i laghetti di val Cerviera, posti su un altopiano a m 2300. Separandoci dal sentiero n.321 per il rifugio Curò17, insistiamo sulla cresta (sentiero n.321 var.) per altri 250 m fino al testone di quota m 2561, oltre il quale smontiamo sulla dx. Divalliamo per detriti e rocce lisciate fino a raggiungere i laghetti di val Cerviera (m 2321, ore 1)18. Dal margine NO dell'altopiano ci affacciamo sulla val Seriana. Di fronte a noi un modesto rigagnolo si getta da un'alta barra di rocce a m 1750, superando con un triplice salto un dislivello di ben 315 m. Il rigagnolo non è altro che ciò che rimane del fiume Serio dopo che nel novembre del 1931 fu completata la diga del Barbellino19 che, assieme alla vicina diga di val Morta, immagazzina tutto il flusso idrico dell'alta val Seriana. Da questa prospettiva osserviamo il muraglione di entrambe le opere idrauliche, quando all'improvviso suona una sirena e, dopo poco, la portata del fiume diviene di 5 m3/s. Stiamo assistendo da una loggia riservata all'apertura delle 17 - Il sentiero 321 smonta dalla cresta tra le quote m 2646 e m 2581 e scende nella valle del Corno (uno dei rami superiori della val Cerviera). 18 - Quota CTR. Da questo punto si genera anche la breve dorsale diretta a NO che divide la valle del Corno (dx) dall'altopiano dei laghi di val Cerviera. 19 - Il lago artificiale del Barbellino arriva a contenere fino a 18,5 milioni di metri cubi d'acqua ed è per dimensioni il più grande delle Orobie bergamasche e il secondo delle Orobie dietro al lago di Belviso (50 milioni di m3). 48 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il pizzo Recastello riflesso in uno dei laghetti di val Cerviera. Con precipitazioni abbondanti se ne possono contare una ventina (21 giugno 2015, foto Beno). Autunno 2015 Laghetti di val Cerviera. Sullo sfondo è indicato il tracciato dal lago della Malgina al passo di Bondone (21 giugno 2015, foto Beno). LE MONTAGNE DIVERTENTI Anello del Gleno 49 Alpinismo cascate del Serio20, attrazione turistica di grande richiamo e importanza per la valle, che ha luogo 5 volte l'anno da giugno a ottobre21. Un turbinio d'acque si scatena giù per le rocce accompagnato da un grande fragore che impressiona anche da questa distanza. Il tutto dura mezz'ora, giusto il tempo per riversare a valle quasi 10 mila m3 di acqua e colmare di stupore gli occhi dei molti accorsi. Puntiamo a SE22, circa in direzione del pizzo dei Tre Confini, e compiendo un arco grossomodo pianeggiante nella valle del Corno andiamo a riprendere il sentiero n.321 appena al di là del torrente principale. Oltre alcune cascatelle la valle del Corno diventa val Cerviera, incassata fra i contrafforti di monte Verme e pizzo Recastello. Una comoda discesa e presto ci immettiamo sulla strada militare (segnavia n. 308) che sovrasta l'azzurro lago del Barbellino (m 1900 ca., ore 1). Riprendiamo la salita (ENE, dx), ben alti sopra il lago fino a superare la valle del Trobio ed entrare nell'angusto tratto di val Seriana che separa le ampie conche del lago artificiale e di quello naturale del Barbellino. A circa m 2050, poco a monte dello sbocco della val Malgina, sulla sx vi è il ponte sul Serio che segna l'inizio del buon sentiero che sale la val Malgina e porta al lago della Malgina (m 2333, ore 1:15). Di forma circolare e dal colore cupo, è incassato in una conca la cui unica apertura, posta verso S, incornicia la parete N del pizzo Recastello. Qui confluiscono il vallone che culmina con il pizzo del Diavolo della Malgina e il pizzo Cavrel a occidente e quello che scende tra la cima di Malgina e il Corno di Bondone e che ci condurrà al passo di Bondone. Imbocchiamo pertanto il sentiero poco marcato che s'inerpica tra pietraie e rocce a NE del lago. Tralasciata sulla dx la traccia per il lac Gelt, spendiamo 20 - Le cascate del Serio sono le più alte d'Italia e le seconde in Europa. 21 - Aperture rimanenti per il 2015: domenica 20 settembre e domenica 11 ottobre dalle 11:00 alle 11:30. 22 - La traccia di sentiero che scende direttamente dall'altipiano dei laghi verso NE, l'unica indicata su Kompass, è cosa più da capre che da cristiani in quanto si svolge su una ripida costola d'erba e rocce marce. 50 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alpi Orobie Nel cupo lago della Malgina si specchia la severa parete N del pizzo Recastello, che sulla dx è solcata da un canale nevoso adatto allo sci ripido (21 giugno 2015, foto Beno). L'apertura delle cascate del Serio, che coi loro 315 m suddivisi in tre salti consecutivi sono le più alte d'Italia e le seconde d'Europa (21 giugno 2015, foto Beno). In discesa sul versante valtellinese del passo di Bondone. La neve velocizza non poco l'operazione di "ritorno a baita" (21 giugno 2015, foto Beno). Il lago del Barbellino e, al centro, il pizzo di Coca (21 giugno 2015, foto Beno). Sulle rive del lago Selù (28 agosto 2014, foto Beno). Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI le nostre ultime energie per guadagnar quota sui ripidissimi e instabili ghiaioni del canalone che scende direttamente dallo stretto intaglio del passo di Bondone (m 2720, ore 1). Rieccoci in Valtellina! Scivoliamo sulla neve fino alla conca a N del passo, dove vi sono i resti del ghiacciaio di Bondone Inferiore, per insistere verso N fino al termine del pianoro sassoso che ne segue. Il sentiero bollato n. 31623 procede a sx (NO) in direzione della cima del Baitlin, ai piedi della quale piega a dx (NE) e poi ancora a sx (NO) fino a toccare il lago di Selù (m 2264). La discesa continua su un tracciato finalmente evidente tra pascoli e rocce levigate in direzione E, poi NE. Giunti alla baita dell’alpe Cantarena (m 2074, ore 0:30), divalliamo (NE). Purtroppo il percorso è invaso da erba e maross fino alle baite dell’alpe Monte Basso (m 1560, ore 1), dove ci immettiamo sulla strada sterrata (sx). Come recita lo scioglilingua, sulla sx del primo tornante destrorso in sx idrografica si stacca il sentiero che rapidamente ci porta all'edicola del Parco, dalla quale, grazie alla carrozzabile, terminiamo le nostre fatiche (Bondone, m 1217, ore 0:50). 23 - Senza seguire il sentiero segnalato, che tra l'altro non è di facilissima individuazione, si può più velocemente raggiungere Cantarena piegando a dx per ghiaioni, salti di roccia e infine pascoli, sempre sulla dx idrografica. La chiesa di Bondone, capolinea della gita. Anello del Gleno 51 Approfondimenti Alpi Orobie Due braccia della diga del Gleno. A dx il tampone e i sovrastanti piloni che cedettero lasciando rovinare a valle 6 milioni di metri cubi d'acqua (1923, foto storica tratta da G.S. Pedersoli, Il disastro del Gleno, 1998) Lo squarcio nella diga del Gleno visto dal suo coronamento (20 giugno 2015, foto Beno). La “diga schiantata” del Gleno una tragedia annunciata «P er quanto i giornali faranno e diranno, non riusciranno mai a dare anche solo una pallida idea ai loro lettori dall’enormità del disastro che ha colpito per prima la nostra Valle di Scalve. È stato un enorme, spaventoso, indescrivibile cataclisma; è stata – per usare la frase stessa d’un testimone della tremenda scena – una montagna d’acqua che s’era staccata dal Gleno e che con spaventosa velocità e immane fragore, si è rovesciata nella sottostante vallata, tutto schiantando e tutto travolgendo… Io, che pur sono un giornalista con parecchi anni sulla groppa e che di disgrazie e di disastri, per ragioni professionali, ne ho pur visto e descritti parecchi, mai ho visto né udito altra cosa simile». Così scrisse 52 LE MONTAGNE DIVERTENTI l’inviato dell’Eco di Bergamo il giorno successivo al crollo della diga, avvenuto il 1° dicembre 1923 di prima mattina. Morte e devastazione fin giù in val Camonica: le vittime accertate furono 356, con i dispersi si arrivò a più di 500. Ma com’era potuta accadere una simile tragedia? LA CONCESSIONE, IL PROGETTO E I LAVORI DELLA DIGA Nei primi decenni del ‘900, quando lo sviluppo industriale necessitava sempre più di energia elettrica, vi fu una corsa allo sfruttamento delle forze idrauliche montane a cui le Orobie, con la loro elevata piovosità, ben si prestavano; e così nel 1907 venne chiesta la concessione per la derivazione dei Raffaele Occhi torrenti Povo e Nembo, da invasare in un bacino artificiale al piano di Gleno, nel comune di Vilminore di Scalve (BG). Pochi anni dopo, la concessione passò dallo svizzero Giacomo Trümpy all’ing. Giuseppe Gmür di Bergamo, finché nel 1916 venne rilevata dalla ditta Galeazzo Viganò di Ponte Albiate in comune di Triuggio (MI), proprietaria di importanti industrie cotoniere. Il progetto della diga, a gravità, venne affidato all’ing. Gmür e, ancor prima che fosse completato, nel 1917 la ditta Viganò notificò l’inizio dei lavori al Genio Civile di Bergamo, il quale subordinò l’assenso alla consegna del progetto esecutivo, che fu presentato nel maggio 1919. Ai primi di luglio iniziarono i lavori. Autunno 2015 Bueggio e la valle del Povo dal coronamento della diga del Gleno (20 giugno 2015, foto Beno). Dapprima venne realizzata la chiusura della gola del Povo con un tampone a gravità, e impostate le fondamenta dello sbarramento; poi, alla morte dell’ing. Gmür nel 1920, gli subentrò l’ing. Santangelo che, su sollecitazione della ditta Viganò, rielaborò il progetto prospettando, in luogo dell’originaria tipologia a gravità, il completamento della diga con un più economico sistema ad archi multipli inclinati, sostenuti da piloni in calcestruzzo alti quasi 30 metri, che vennero realizzati appoggiandoli direttamente sul tampone di fondo e sulle rocce laterali. Man mano che la diga veniva costruita, l’acqua era trattenuta nel lago che si andava formando così da LE MONTAGNE DIVERTENTI cominciare subito la produzione di energia elettrica. Il 1° novembre 1921 la ditta Viganò assunse quale guardiadiga Francesco Morzenti di Teveno (frazione del comune di Vilminore), che fu l’unico testimone oculare del crollo della diga. Nella deposizione che fece dopo il disastro, oltre a descrivere quanto successe la mattina del 1° dicembre 1923, riferì altri fatti e circostanze durante i lavori. «Tutti gli operai in luogo – così la sua testimonianza – dicevano che col sig. Viganò gli ingegneri non potevano fare quello che essi volevano e prescrivevano. La sabbia e la ghiaia preparata coi frantoi era fornita direttamente dalla ditta Viganò, come pure il cemento, la calce, il ferro, il legname e ogni altro materiale. Ho sentito dire che la qualità del cemento variava sempre e non era sempre buona; che la sabbia non era lavata o troppo grossa, che la ghiaia era pure troppo grossa. Detti lamenti erano fatti anche all’impresa. La calce di Triangla fu usata, ed in modo unico e esclusivo, nella costruzione del basamento della diga a gravità, sul quale vennero poi impostati i piloni ad archi multipli. Anche oggi detta calce in quella muratura del basamento si vede spappolarsi come farina. Nel 1921, quando io andai sul Gleno, non so se ne sia stata adoperata mista col cemento, ma non posso escluderlo». Il 22 ottobre 1923, a seguito delle abbondanti precipitazioni, avvenne La tragedia del Gleno 53 Speciali Approfondimenti Alpi Orobie 45 minuti di orrore Il 1° dicembre 1923 sei milioni di metri cubi d'acqua, fango e detriti precipitarono a valle dopo il crollo della diga del Gleno (m 1523), dirigendosi verso il lago d'Iseo. Nella mappa a fianco è illustrata la traettoria della piena e sono indicati i principali centri abitati coinvolti nel disastro (grafica Matteo Gianatti). Bueggio, il primo paese travolto dalla piena, fu letteralmente cancellato (ci è stato riferito che solo pochi anni fa è stata rinvenuta da un pescatore la campana della chiesa nel letto del Povo). La frana d'acqua, con un flusso stimato di 15000 m3/s, preceduta da un tremendo spostamento d'aria, distrusse quindi le centrali di Povo e di Valbona, il ponte Formello e il santuario di Colere. Raggiunse in seguito l'abitato di Dezzo, anch'esso devastato. Quindi l'acqua formò una sorta di lago nella stretta gola della via Mala, rallentando il suo impeto. Questa circostanza preservò l'abitato di Angolo, rimasto praticamente intatto, mentre vennero spazzati via la centrale elettrica e il cimitero di Mazzunno. La corsa continuò verso l'abitato di Gorzone, quindi verso Boario e Corna di Darfo, seguendo il corso del torrente Dezzo e mietendo numerose vittime al suo passaggio. Quarantacinque minuti dopo il crollo della diga l'acqua raggiunse il lago d'Iseo, trasportandovi anche molti cadaveri. Le vittime accertate furono 356, ma se ne stimano 500. Curioso è che Alfredo Corti nella Guida dei Monti d'Italia. Alpi Orobie del 1956 parli di ben “ottocento vittime”, più del doppio delle stime ufficiali. Pianta della diga del Gleno. In rosso la sezione crollata. il primo riempimento completo del bacino, con l’entrata in funzione degli sfioratori che scaricavano con violenza fino a 12 m3/s. A quel punto le perdite attraverso le murature e la roccia alla base della diga, che già in precedenza si erano manifestate senza che si procedesse a svuotare il bacino per tamponarle, si fecero sempre più rilevanti, talune sgorgando con violenza in forma di zampillo. Ci fu un sopralluogo da parte del sig. Viganò col progettista ing. Santangelo, e gli ingegneri del Genio Civile, che nemmeno si portarono alla base della diga per verificare le perdite. «Io pensai che quella gente non si curava di nulla», osservò il Morzenti. Del resto, quando già in precedenza aveva chiesto se, viste le fughe d’acqua, non fosse il caso di aprire la saracinesca di fondo, il Viganò gli aveva risposto: «Non sai che io ho costruita la diga per tenervi dentro l’acqua non per lasciarla andare?» IL CROLLO 1° dicembre 1923, ore 7. Il guardiadiga Francesco Morzenti ha appena «aperta l’acqua alla Centrale come da telefonata fattami» e sta ritornando alla baracca, quando sente un tremore sotto i piedi. «Non si vedeva bene, perché era ancora quasi buio. Alzai la testa e vidi nella testata a valle del pilone (uno dei più alti) una striscia nera che dallo sperone saliva in alto in modo tortuoso… una crepatura in fondo larga circa tre dita e che salendo 54 LE MONTAGNE DIVERTENTI si allargava. Ebbi l’impressione che essa si allargasse continuamente… Scappai subito verso la mia baracca per telefonare l’allarme alla Centrale… Appena girato lo sperone di roccia sentii come un urto dietro la schiena che mi sospinse. Mi voltai e vidi che il pilone nel quale avevo verificato la crepatura si apriva a metà a destra e metà a sinistra lungo detta crepatura e che gli archi ad essa appoggiati lo seguivano. Nel contempo l’acqua irruppe violenta al punto che non toccava la roccia per lungo tratto e faceva buio sotto di essa… Il bacino si svuotò in circa 12-15 minuti. La diga era lunga 260 metri, larga alla base 15-20 metri. La parte rovinata è di 80-82 metri, e cioè dove i piloni erano più alti e dove alla base esistevano le maggiori fughe d’acqua». Un’onda gigantesca di circa sei milioni di metri cubi si riversò verso valle attraverso lo squarcio centrale della diga, percorrendo la valle del Povo prima e quella del Dezzo poi, fino a morire in val Camonica e nel lago d’Iseo. Preceduta da un violento spostamento d’aria e ingrossata di massi, detriti e legname, lasciò morte e distruzione dietro di sé, sommergendo, asportando e ricoprendo di fango case, chiese, strade, ponti, officine, centrali, industrie a Bueggio, Azzone, Colere e poi giù giù ad Angolo e Boario; a Dezzo, quando l’acqua investì la fonderia di ghisa, ci fu una vera e propria esplosione. Dopo i primi soccorsi, la visita del Re e l’apertura dell’inchiesta giudiziaria, si attivò una catena di solidarietà con i sopravvissuti, non solo in Italia ma anche all’estero dov’erano emigrati molti abitanti della valle. Esclusa la fantasiosa dichiarazione di un detenuto che il crollo fosse dovuto a un attentato, il processo del 1927 stabilì che nella costruzione della diga si era proceduto «con negligenza ed imperizia», condannando quindi il proprietario dell’impianto, sig. Viganò, e il progettista, ing. Santangelo, a tre anni e quattro mesi di reclusione più una pena pecuniaria, oltre al risarcimento dei danni causati; la stessa sentenza dichiarava poi che due anni, così come la pena pecuniaria, erano condonati1. Due giorni e mezzo di reclusione, dunque, per ogni vittima del disastro! Dopo l’onda assassina, uno schiaffo ai sopravvissuti, ai più deboli, agli indifesi. Davvero la ricerca del profitto ad ogni costo deve venir prima di tutto? A ricordare quella tragedia dimenticata, a dar voce alle vittime e ai sopravvissuti (ma non dimentichiamoci i più recenti Vajont e Stava) c’è oggi la voce del Bepi, il cantante di Rovetta, che ha voluto intitolare una sua canzone, e il relativo album, Gleno; così come c’è Davide Sorlini, attore e regista bolognese originario di Vilminore, col suo spettacolo teatrale Gleneide. 1 - Le principali notizie di questo pezzo sono tratte dal libro di Giacomo Sebastiano Pedersoli, Il disastro del Gleno, Edizioni Toroselle, Pian Camuno 1998. Autunno 2015 Escursionisti al cospetto di un pilastro della diga (foto Beno). La diga del Gleno vista da S (20 giugno 2015, foto Carlo Nani). LE MONTAGNE DIVERTENTI La tragedia del Gleno 55 Alpinismo Val Grosina Sassalbo-Sperella Una giornata d'autunno è l'occasione ideale per andare a cavalcare la simpatica cresta che divide la val di Sacco dalla valle di Poschiavo, toccando le panoramiche vette di Sassalbo (m 2862), cima di Rosso (m 2858) e vetta Sperella (m 3075), senza peraltro lasciarsi sfuggire la visita ad alcuni dei rinomati laghetti alpini della val Grosina. È una gita in ambiente piuttosto isolato, dal carattere quasi esplorativo, dove il soffio del vento par confondersi con le voci dei pionieri dell'apinismo. Beno La costiera Sassalbo-Sperella specchiata nell'appartato lago del Drago (25 settembre 2014, foto Roberto Ganassa). 56 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Dal Sassalbo alla vetta Sperella 57 Alpinismo Alta Valtellina Alba all'alpe di Malghera. Sullo sfondo, tra le nubi, la cima Viola (22 settembre 2014, foto Beno). Lago di Malghera. Sulla sponda NO è il bivacco di Malghera (22 settembre 2014, foto Beno). 2841 Forcola di Rosso (2672) Cima di Rosso (2858) Bocch. dell'Orso (2781) 2991 Lago dei Laghetti Biv. di Malghera La parte visibile della gita dal lago di Malghera (22 settembre 2014, foto Beno). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: Malghera (m 1960). Itinerario automobilistico: dalla chiesa parrocchiale di San Giuseppe all'ingresso di Grosio si entra nel paese e lo si attraversa fino a trovare e seguire le indicazioni sulla sx per la val Grosina. La via asfaltata prende quota verso Ravoledo offrendo ampia visuale su Grosio. Dopo vari tornanti, si taglia a mezza costa fino a Fusino, dove si prende la deviazione per Malghera (sx - distributore automatico del biglietto di accesso giornaliero - costo 3 euro). Attraversato il Roasco appena sotto la diga (ponte, m 1163), la strada asfaltata penetra in val Grosina Occidentale e avvicina vari nuclei (Presacce, Ortesei, Sacco). Un tratto pianeggiante anticipa il guado sul torrente che scende dalla val Pedruna e i ripidi tornanti asfaltati con bella vista sull'imponente cascata del Roasco Occidentale. Oltre le baite di Pirla si è in breve a Malghera (m 1936, 18 km da Grosio). Si può lasciare l'auto nel parcheggio che precede la chiesa della Madonna del Muschio (m 1960). Itinerario sintetico: Malghera (m 1960) - lago di 58 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il lago del Drago a m 2588 (22 settembre 2014, foto Beno). Malghera (m 2316) - lago dei laghetti (m 2426) - lago del Drago (m 2588) - Sassalbo (m 2862) - forcola di Rosso (m 2672) - cima di Rosso (m 2858) - bocchetta dell'Orso (m 2781) - vetta Sperella (m 3075) - laghetti della Sperella - baita di quota m 2340 - Malghera (m 1960). Tempo di percorrenza previsto: 9-10 ore. Attrezzatura richiesta: casco, imbraco, cordini, qualche friend o dado, corda (30 m). Difficoltà: 4- su 6. Dislivello in salita: 1450 metri ca. Dettagli: PD+. Gita su creste piuttosto lunga con passi fino al III+. I tratti più impegnativi sono quello che dalla forcola di Rosso sale alla cima di Rosso e da quello che va dalla bocchetta dell'Orso alla quota 2991, dov'è un passaggio piuttosto esposto. Le rocce sono di consistenza variabile. mappe: - Kompass n. 96, Bormio-Livigno, 1:50000; - Cartografia escursionistica della C.M. di Tirano foglio 1 - Val Grosina, 1:25000 Autunno 2015 Il Sassalbo dalla sua anticima E (22 settembre 2014, foto Beno). I ncalzato dal vento gelido, lascio il caldo abitacolo dell'auto parcheggiata nei pressi del ristoro di Malghera (m 1960). Guidato dai cartelli imbocco la stradicciola che s'inoltra nella valle di Malghera (SO) appena sulla sx idrografica. Le pendenze, inizialmente moderate, crescono con decisione al termine della pista carreggiabile, dove si trova un'opera idraulica. Attraversato il torrente, con qualche tornante il sentiero supera il gradone per la piana pascoliva che ospita il bivacco1 e il tondeggiante lago di Malghera (m 2316, ore 1). Il sole accenna una timida alba e 1 - Il bivacco di Malghera è una piccola struttura in muratura che può ospitare 4 persone. Ha tavolo, stufa e legna. LE MONTAGNE DIVERTENTI lancia fendenti di luce che filtrano tra le nubi. Tutto diventa dorato e il lago, posto al limite meridionale della piana, in pochi minuti varia da un tono cupo al suo caratteristico e brillante blu. Appena a N del lago, in posizione leggermente rialzata, si trova il bivacco di Malghera, una minuscola casetta in pietra. Guardando a O noto il ruscello che scende da un ripiano ai piedi del fianco orientale dell'anticima orientale del Sassalbo e va a unirsi all'emissario del lago di Malghera quasi in fondo alla piana. Camminando accanto al ruscello (O) rimonto il gradone tra erba e roccette (non c'è sentiero), attraverso il piccolo altipiano (O) e passeggio tra gli eriofori che ornano le sponde del laghetto dei Laghetti (m 2426, ore 0:20) così chiamato perchè in questa zona quando le piogge sono abbondanti nascono miriadi di piccole pozze. Sul pizzo Matto e sulla cima Viola nevica, e anche qui qualche fiocco si confonde coi batuffoli degli eriofori che il vento fa carambolare in aria. Pianeggio in direzione SSE fino al costone che divide l'anfiteatro dove mi trovo dalla vallecola detritica per il passo di Malghera. Non essendo necessario raggiungere il passo, risalgo tra erba e sassi la spalla (SO, dx) che presto si innesta sulla cresta di confine e mi regala un esteso panorama sulla val Poschiavo. A m 2588, in una conca rocciosa che tanto assomiglia a un cratere, si trova il Dal Sassalbo alla vetta Sperella 59 Alpinismo Alta Valtellina Corn dal Sulcun (2514) Monte Combolo (2902) Corno dei Marci (2805) Pizzo Calino (3022) Pizzo Scalino (3323) Pizzo Painale (3248) Pizzo Canciano (3103) Monte Disgrazia (3678) Corni Bruciati (3114-3097) Pizzo Zupò (3996) Cima di Caspoggio (3136) Sasso Moro (3108) Piz Varuna (3453) Belleviste Pizzo Palù (3902) Piz d'Arlas (3375) Lago Bianco Lago di Posc hiavo Panorama sulla valle di Poschiavo dal Sassalbo (22 settembre 2014, foto Beno). Giacca Full Ripid Giacca tecnica antivento. Realizzata con speciali tessuti che combinati e mappati sul corpo rendono il capo altamente performante durante l’utilizzo. Tutto questo rende la giacca un capo utilizzabile tutto l’anno e per più discipline sportive. 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Questa elevazione, posta sulla linea di confine, si vede anche da Malghera, al contrario del punto culminante della montagna, che è 21 m più alto e interamente in territorio elvetico. Oltre una sella (questo passaggio su CNS è indicato come passo di Rovano), la dorsale s'impenna. Piego a sx e, seguendo una esile traccia, attraverso i pendii che mi portano nel 2 - Vd. Raffaele Occhi, Duilio Strambini il sorriso della val Grosina, LMD n.18 Autunno 2011, pp. 12-35. LE MONTAGNE DIVERTENTI mezzo di un canale detritico. Lo risalgo, un po' intimorito da uno stambecco che mi guarda dall'alto e forse mi vuole scagliare addosso qualche pietra. 100 metri di dislivello ed eccomi sulla cresta frastagliata e lunga circa 400 metri che collega le due vette del Sassalbo. Qui mi dirigo a sx (O) sull'irregolare filo roccioso (passi di I e II grado) finchè, alla depressione ai piedi del testone sommitale biancastro, intercetto la traccia che si snoda sul suo versante meridionale e, senza alcuna difficoltà, mi conduce alla grande croce di vetta del Sassalbo3 (m 2862, ore 1:45). Il panorama è grandioso: si vede tutta la valle di Poschiavo, dal lago di Poschiavo al lago Bianco. Pennacchi di neve si sollevano dalle creste dei pizzi Palù, dove Eolo sta dando esemplari prove di forza. Al ritorno decido di non aggirare la vetta, ma di seguire integralmente la 3 - Il toponimo è legato alle bianche rocce calcaree della vetta, ben visibile dalla valle di Poschiavo. cresta verso E. Nella parte iniziale ci sono alcuni passi di II+ un po' aerei, ma la roccia calcarea è affidabile. Giunto non molto distante dall'anticima orientale del Sassalbo, smonto a sx (N) dove, correndo giù per una vallecola di detriti, perdo quota e arrivo alla forcola di Rosso (m 2672, ore 0:45). Oggi sono proprio fiacco. Lo capisco perché le soste per bere, far foto e studiare il tragitto abbondano sulla strada degli scoppiati! A N si alza la cresta meridionale della cima di Rosso, alla cui dx c'è una parete solcata da un canale. Pianeggiando verso dx evito la cresta e mi porto sul conoide detritico allo sbocco del canale, quindi metto il timone verso l'alto e mi introduco nel solco. Chissà se si esce. L'ambiente è piuttosto tetro e il pericolo di caduta pietre effettivo. Ma almeno qui non c'è vento! Dopo poco il colatoio si biforca. Scelgo il ramo di dx che si fa via via più ripido. Alla successiva biforcazione vado a sx e il solco diviene vertiDal Sassalbo alla vetta Sperella 61 Alpinismo Alta Valtellina 2841 Sassalbo (2862) Anticima e cima del Sassalbo dalla forcola di Rosso. Indicato l'itinerario di discesa che si attiene fedelmente alla cresta (22 settembre 2014, foto Beno). Vetta Sperella (3075) 2991 Cima di Rosso (2858) Forcola di Rosso (2672) Bocch. dell'Orso (2781) L'itinerario dalla forcola di Rosso alla vetta Sperella. Il triangolo giallo indica il passaggio difficile per la quota m 2991. Tratteggiata la via di discesa dalla Sperella (22 settembre 2014, foto Beno). Il Sassalbo (a dx) visto dalla quota m 2991 della cresta S della vetta Sperella. A sx è il lago di Malghera, mentre, piccolino e al centro dell'immagine, è il lago del Drago (22 settembre 2014, foto Beno). 62 LE MONTAGNE DIVERTENTI cale e strettissimo. Gli appigli sono sempre buoni, la roccia è alquanto fredda. Dopo un salto non proprio banale (III+) mi ritrovo nella parte alta della parete, decisamente più facile, che mi accompagna in cresta. Una groppa di sfasciumi fa da sipario allo striminzito ometto di vetta (cima di Rosso, m 2858, ore 0:45). Il versante settentrionale del monte è una ganda dove gli animali hanno disegnato i loro sentieri. Pure la cresta di confine non oppone particolare resistenza se scesa per toccare l'intaglio della bocchetta dell'Orso (m 2781, ore 0:20). Questo valico è anche chiamato bocchetta di Oss del Mort, in quanto qui fu trovato uno scheletro umano. Nuova sosta per bere. Pietraie tutt'intorno a me. Assolate quelle italiane, buie e coperte di verglass quelle svizzere. Il vento, che un po' s'è placato, è ancora piuttosto fastidioso. Ha ora inizio la lunga cresta S della vetta Sperella, ultima cima della mia gita. Da questa dorsale pare esser passato Renzo Lardelli, a cui è attribuita la prima salita segnalata della vetta nel 1901. Sembra tuttavia che già nel 1880 Bartolomeo Sassella, quindi nel 1884 il topografo Vincenzo Palmarocchi vi fossero giunti, pur senza ufficializzare la cosa. La cresta che sto andando a percorrere si presenta irta di spuntoni e salti e deve essere ben poco frequentata, dato che pure Renato Armelloni nel redarre la Guida dei monti d'Italia4 mi dà l'idea di non aver trovato nessuno che la conoscesse, riducendosi perciò a ipotizzare una difficoltà probabile PD/AD. Mi attengo al filo, appoggiandomi appena a sx o dx dello spartiacque per evitare di scalare proprio tutte le guglie. Le difficoltà sono contenute finchè la dorsale non piega decisamente a sx. Grazie a una strettissima ed esposta cengia rocciosa (4 m) traverso sul versante svizzero stando 4 metri sotto il filo, poi trovo uno sperone (III+) che mi riporta in cresta. La guerra finisce e presto sono sulla quota m 2991 (ore 0:40), a E della quale scende in val di Sacco una 4 - Guida dei monti d'Italia. Alpi Retiche, CAI-TCI, San Donato Milanese 1997. Autunno 2015 dorsale secondaria ben dentellata. Appoggiandomi per lo più al lato sx, insisto sullo spartiacque italo-svizzero e perdo quota fino a una placconata di una decina di metri. Le fessure che la incidono ne agevolano il superamento e con esso il mio arrivo alla selletta di m 2932. Riprendo l'arrampicata su rocce rotte, blocchi e brevi paretine talora di roccia discreta (passi di II). Mi affido sempre alla Svizzera per evitare guai, anche se tale versante è marcio e dirupato. Raggiunto il punto nodale dove si saldano la cresta S da cui provengo, quella ONO e la E, prendo quest'ultima e in breve sono sulla vetta Sperella (m 3075, ore 1:15). Il panorama è molto esteso. È affascinante specialmente la vista sui tre laghetti azzurri del Teo, nonché sulla vetta omonima, una delle più note delle regione con la sua acuta forma piramidale. Dopo un vano tentativo di scendere lungo la cresta E senza corda e per rocce gelate (l'alto pilastro terminale offre passi fino al IV grado, aggirabili solo per vertiginosi canali di rocce marce), mi convinco a cercare la via più semplice e torno al punto nodale a O della vetta. Pochi metri verso sx (S) e sono a un intaglio: qui precipita a SE un canale di rottami che, pur presentando un paio di brevi salti rocciosi (III), mi lascia scendere nella valle della Sperella. Segue una pietraia rossiccia che si sbiadisce e si adagia sempre più fino al bordo dell'anfiteatro, dove brillano due laghetti dalle acque gelide. Al margine della conca, una rampa d'erba e macereti (stare a dx) digrada nella valle compresa tra la cresta E della vetta Sperella e il prolungamento della dorsale NO della cima di Rosso. Ne raggiungo il fondo dove si legge chiaramente un antico cordolo morenico. Lo seguo per poi piegare a dx in leggera salita e raggiungere il testone panoramico di quota m 2441 (discontinue tracce di sentiero). Mi affaccio e, in direzione di Malghera, noto un alpeggio abbandonato con baitello (m 2340). Vi giungo per pascoli, quindi (NE poi E) una traccia sempre più marcata mi porta a intercettare il sentiero per Malghera (m 1960, ore 3:15). LE MONTAGNE DIVERTENTI Vetta Sperella (3075) La vetta Sperella dalla quota m 2991. Indicate la via di salita per la cresta SO e di discesa per la valle della Sperella (22 settembre 2014, foto Beno). Vetta Sperella (3075) 2932 Vie di salita e di discesa dalla vetta della Sperella viste dai pressi del laghetto superiore della valle della Sperella (22 settembre 2014, foto Beno). Le ultime luci del giorno a Malghera. Sullo sfondo la cima di Saoseo (22 settembre 2014, foto Beno). Dal Sassalbo alla vetta Sperella 63 Alpinismo Versante retico Corni Bruciati Tre possenti torri rossastre emergono dalla cresta meridionale del monte Disgrazia. Sono i Corni Bruciati, fiere e isolate montagne scarsamente visitate nonostante siano ottimi punti di vedetta sulle cime e le valli circostanti. Salirvi è un privilegio riservato agli amanti dell'alpinismo esplorativo, in quanto richiede intuito per scovare la linea giusta e dimestichezza con l'alta montagna e la roccia. L'anello che vi proponiamo ha inizio a pra Isio e consente, dopo un lungo avvicinamento per creste estremamente panoramiche, di toccare tutte e tre le elevazioni, mantenendosi sempre in quota. Beno La punta SO dei Corni Bruciati vista dalla cresta SO della (30 giugno 2015, foto LECentrale MONTAGNE DIVERTENTI Beno). 64 punta Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097) 65 Più di 30 anni di esperienza al servizio dei clienti Alpinismo Protezione Rischi Persone e Famiglie Versante Retico Una nota leggenda vuole che il Disgrazia (che allora si chiamava pizzo Bello) e i Corni Bruciati fossero un tempo montagne verdi e rigogliose, ma la mancanza d'altruismo di un pastore del luogo, che non offrì cibo e ricovero a un viandante bisognoso, scatenò l'ira del Signore che si celava dietro a quelle umili e mortali sembianze. Le montagne di Preda Rossa furono arse dal fuoco divino e il Disgrazia coperto dai ghiacci. I pastori di Buglio e di Berbenno dovettero così accontentarsi di pascoli più modesti e il toponimo pizzo Bello fu attribuito a una cima ben più bassa, scampata agli eventi. Imprese ed Attività Professionali Mezzi di Trasporto Lavoro - Attività Trasporti Cauzioni Sicurezza Previdenza Tutela Giudiziaria Mezzi di Trasporto Abitazione Salute Tempo Libero Previdenza Investimento Tutela Giudiziaria Due notevoli faggi segnano l'accesso agli ampi pascoli di pra Isio. Quello ritratto in fotografia, è inserito nell'elenco degli alberi monumentali della Provincia di Sondrio: alto 7 metri, ha il tronco ritorto e il suo ombrello ha oltre 6 metri di diametro (14 ottobre 2010, foto Marino Amonini). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ CASSONI ASSICURAZIONI 66 Via C. Alessi, 11/13 - Sondrio Tel. 0342 514646 - Fax 0342 219731 [email protected] LE MONTAGNE DIVERTENTI Partenza: pra Isio (m 1661). Itinerario automobilistico: dall'uscita della tangenziale di Sondrio si segue la SS38 in direzione Morbegno. Dopo 5 km, appena al di là del ponte sul torrente Caldenno, si svolta a dx (cartello) in direzione Postalesio e si sale per 2 km. Al 5° tornante (destrorso), ci si immette a sx sulla SP14 che scende in direzione Berbenno-Polaggia. Al semaforo (1,2 km, cartello di ingresso in Polaggia) si prende sulla dx via Medera fino al suo termine (600 m). All'incrocio si va a dx in salita in via Nuova. Dopo 3 tornanti, nei pressi di una piazzetta con fontana in pietra, vi è un trivio. Si svolta a dx in salita (curva praticamente a gomito - indicazioni per Gaggio di Polaggia e Caldenno) e si prende quota sulla strada asfaltata. Superato il Gaggio di Polaggia (17 km da Sondrio) il fondo stradale diventa cementato fino ai pascoli di pra Isio, in cima ai quali, al limite di transitabilità consentita, si trova un ampio parcheggio sterrato (22 km da Sondrio). Itinerario sintetico: pra Isio (m 1661) - Poggio del Cavallo (m 2557) - pizzo Bello (m 2743) bocchetta di Preda Rossa (m 2851) - Corni Bruciati punta SO (m 2958) - punta Centrale (m 3114) - punta Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI NE (m 3097) - ghiacciaio di Postalesio - alpe Palù (m 2099) - Ai Ciaz (m 1896) - Caldenno (m 1738) pra Isio (m 1661). Tempo previsto: 13-14 ore. Attrezzatura richiesta: corda (30 m), imbraco, fettucce, casco e scarponi. Ramponi e piccozza in caso di neve residua in quota e nei canaloni. Difficoltà/dislivello: 4.5 su 6 / oltre 2300 m in salita. Dettagli: Alpinistica AD. Itinerario piuttosto lungo in cui le parti alpinistiche sono concentrate nella traversata dei Corni Bruciati ( la punta SO è la più impegnativa). Si incontrano passi su roccia, a volte molto friabile, fino al III+ e sono richiesti intuito ed esperienza per individuare le giuste linee, specialmente in discesa. Il resto della gita è EE e si svolge solo in minima parte su sentieri segnalati. In caso di rocce sporche di neve o bagnate difficoltà e tempi di percorrenza aumentano notevolmente. Mappe: - Kompass n.93 - Bernina-Sondrio, 1:50000 - CNS n.278 - Monte Disgrazia, 1:50000 Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097) 67 Alpinismo Versante Retico S eguendo l'eco della leggenda dei Corni Bruciati abbiamo disegnato un itinerario ad anello che porta nel cuore del gruppo dopo aver percorso la panoramica cresta che limita a O la valle di Caldenno. Meta intermedia è la cima del pizzo Bello, da cui si gode un'esaustiva vista sulle tre aspre cime, a prima vista quasi inviolabili. 2313 68 LE MONTAGNE DIVERTENTI 2698 Corni Bruciati (3114 - 3097) Fop Alpe Palù Q uando, dopo un lungo e ripido tratto nel bosco, sbuchiamo col muso del Panda sui pascoli di pra Isio, sono due grossi faggi a darci il benvenuto. Il primo si trova all'interno di un tornante sinistrorso, il secondo appena sopra, cinto da una palizzata per evitare che colui che ha resistito per secoli agli eventi possa essere danneggiato da una retromarcia incauta. Man mano saliamo il panorama si amplia, regalando un quadro d'insieme sulle Alpi Orobie. La luce radente dell'alba, dopo aver sfiorato i fili d'erba dorati dalla siccità, scappa dall'altro lato della val Finale. Lì vi sono le baite di pra Maslino, disposte su un dosso pelato come la testa di un frate e dominato dagli ampi fianchi della cima del Desenigo. Le piccole case di pra Isio sono state ristrutturate con gusto e grosse fontane puntinano la radura, in cima alla quale, quasi con un senso di liberazione, ci sbarazziamo dell'auto in un ampio parcheggio (m 1661). Percorriamo a ritroso per qualche metro la strada fatta in auto, quindi imbocchiamo la pista sterrata che si diparte sulla dx (O) e attraversa la parte alta dei pascoli sopra una baita isolata e una grande fontana. Poco cammino e c'è un bivio con indicazioni: a sx si va a pra Maslino, a dx è la rotabile per "Caldenno sentiero alto". Seguiamo quest'ultima in salita e, dopo una fascia alberata, siamo a una radura sullo spartiacque tra valle Finale e valle di Caldenno. La strada termina dove nasce il sentiero alto per Caldenno. Lo ignoriamo e insistiamo sulla dorsale. Una traccia, a volte poco evidente, prende rapidamente quota. Poco oltre i m 1900, l'accostamento di una fontana ricavata da un tronco con delle panche e della legna tagliata pronta per attivare un fuoco di cottura, costituiscono una sorta di area pic-nic. Poggio del Cavallo (2557) Pra Isio Caldenno Il mosaico di muretti dei pascoli di Caldenno e la dorsale che da pra Isio si allunga verso N fino alle cime dei Corni Bruciati, in fondo a dx. Indicata la parte visibile della salita da pra Isio alla quota 2698 (13 settembre 2014, foto Roberto Ganassa). Il monte Disgrazia e il passo di Caldenno visti dalla quota m 2313. Al centro dell'immagine è il ghiacciaio di Cassandra Est, il maggiore degli elementi in cui si è smembrato il ghiacciaio di Cassandra. Nel 2007 misurava 23 ha, dopo aver perso in 17 anni, come attesta I ghiacciai della Lombardia. Evoluzione e attualità, oltre metà della sua superficie (5 agosto 2015, foto Beno). Poco sotto, spezzoni di rete indicano che qui i pastori montano una cinta provvisoria dove radunano le capre per la transumanza autunnale. Sempre sul crinale, oltre l'incrocio col sentiero Gabriele (cartello), ci portiamo al limite della vegetazione e presto raggiungiamo la quota m 2313. A N sono la conca che ospita il bivacco Ai Fop (m 2250)1 e la larga e verdeggiante sella del passo di Caldenno, sopra cui il fianco SE 1 - Costruito dal "Consorzio d’Alpe di Prato Isio e Valle Caldenno" è sempre aperto. Offre stufa a legna, stoviglie, fornelletto e illuminazione a gas. È in grado di ospitare una decina di persone (fonte: www.paesidivaltellina.it). Il bivacco, che non è segnalato sulle mappe in commercio, è punto d'appoggio strategico per la traversata dall'alpe Vignone al rifugio Bosio. del monte Disgrazia sfoggia rocce rosse vestite coi brandelli del ghiacciaio della Cassandra. Alla sua sx già si vedono i Corni Bruciati. Voltandoci a E una spettacolare trama di muretti in pietra dona agli estesi pascoli dell'alpe Cadenno2 l'aspetto di un mosaico, mentre a S la dentatura delle Orobie si mostra in tutta la sua estensione, dal Legnone al passo dell'Aprica. La cresta piega a sx sorretta da due scoscesi fianchi foderati di visega3. Senza via obbligata, proseguiamo 2 - I pascoli, un tempo divisi tra le varie frazioni di Polaggia, oggi sono gestiti dal locale consorzio, mentre le baite sono di proprietà privata. 3 - La Festuca varia, volgarmente chiamata erba visega o paiùn, è una pianta erbacea perenne molto diffusa sulle Alpi e nota soprattutto per la sua scivolosità. Autunno 2015 Dalla quota m 2698 sguardo sulla cresta che sale dal Poggio del Cavallo (5 agosto 2015, foto Beno). LE MONTAGNE DIVERTENTI a NO fino a una depressione, dove intercettiamo il sentiero che sale dai Fop e si dirige in val Finale. Da qui in avanti le capre hanno fatto un ottimo lavoro, mantenendo ben chiara col loro passaggio la traccia che prosegue in cresta verso NO. Non vi sono grosse difficoltà, ma si deve stare attenti a non scivolare. Al confluire del nostro crinale con quello proveniente (SO) dal dosso di Piviana e quello ondulato che digrada (NE) dal pizzo Bello, un grande ometto orna la panoramica cima del Poggio del Cavallo (m 2557, ore 2:15), ubicata al convergere delle valli Finale, di Vignone e di Caldenno. Prendiamo la traccia che corre a NE seguendo grossomodo il crinale. Toccati i testoni di quota m 2605 e m 2648, siamo alla croce di legno della quota m 2698, anticima orientale del pizzo Bello. Vedo una lunga lista di nomi sulla targa commemorativa in rame affissa in alto sul montante. Considerate le usanze tipiche delle nostre vallate, dove in cima alle montagne si ricordano le persone scomparse, mi vien da pensare che quella croce sia lì per piangere le conseguenze di una battaglia o di una grossa slavina, i soli eventi in grado di mietere tante vittime. Mi avvicino incuriosito a leggere e scopro che l'elenco dei defunti (Buffon, Zambrotta, Cannavaro ...) non è altro che la formazione della nazionale di calcio italiana! Una targa poco leggibile affissa con quattro viti sotto la traversa, Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097) 69 Alpinismo R N I C O B R U C I A T I Punta Centrale (3114) Punta NE (3097) Bocchetta Settentrionale (2980) Punta SO (2958) Bocchetta di Preda Rossa (2851) Pizzo Bello (2743) Poggio del Cavallo (2557) VA LL E SC DI ER M D EN ON E L VI NE VA L L E F INALE VA DI LE O GN I Corni Bruciati visti da SE. Indicata anche la parte visibile dell'itinerario descritto in questo articolo (28 2007, foto Mario Sertori). LE MONTAGNE DIVERTENTI 70ottobre Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097) 71 Alpinismo celebra infatti la conquista della Coppa del Mondo in Germania nel 2006 e ci fa scoppiare a ridere. Risolto il mistero, porto lo sguardo più lontano: Ardenno, Talamona e Morbegno sembrano malriusciti motivi decorativi del tappeto verde srotolato ai piedi del monte Legnone. Ruotiamo il timone a NO. Oltre una selletta le tracce spariscono. Tenendoci a sx appena sotto la cresta saliamo gli ultimi ripidi metri per il pizzo Bello (m 2743, ore 1). La vetta è spostata poco a SO del punto d'incontro tra valle di Caldenno, valle di Vignone e valle di Scermendone, dove scorgiamo l'omonimo laghetto e alcuni escursionisti che da lì si stanno incamminando verso il passo di Scermendone. Le tre punte dei Corni Bruciati sono davanti a noi. La punta SO, alla nostra sx, sembra una pala dentellata; decisamente più bassa delle altre, è però la più complessa e pericolosa da scalare. Più a dx, all'incrocio tra le creste che dividono la valle di Scermendone, quella di Preda Rossa e quella di Caldenno, s'alza la piramidale punta Centrale, la maggiore, che una profonda breccia separa dalla massiccia e trapezioidale punta NE. Il circo compreso tra queste due e la modesta cima di Postalesio ospita il piccolo ghiacciaio di val Postalesio, dichiarato estinto - ingiustamente come molti altri - nel 1957, quindi riaccreditato dalle campagne glaciologiche degli anni '90 (superficie stimata nel 2007 di 0,3 ha). Scendiamo dal pizzo Bello per la cresta occidentale, di cui percorriamo solo un breve tratto prima di divallare direttamente per la erta e franosa pietraia sulla dx che in men che non 72 LE MONTAGNE DIVERTENTI Versante Retico si dica ci accompagna ai piedi del roccioso versante settentrionale. Compiendo un ampio arco in senso antiorario passiamo prima ai piedi della parete N della montagna, quindi dell'impervio fianco occidentale della turrita dorsale che digrada verso il passo di Scermendone (m 2595)4. Ai piedi del passo, insistiamo nel tracciare il nostro arco fino a raggiungere il conoide di rottami rossastri ai piedi della bocchetta di Preda Rossa, che guadagniamo dopo una faticosa salita su terreno instabile (m 2851, ore 1:15). Da qui la punta SO dei Corni Bruciati è a dir poco terrificante5. Un basamento di rocce scistose e verdastre sorregge il rossastro edificio sommitale. 4 - Il sentiero bollato si abbassa sempre lungo la cresta O, ma poi compie un giro più ampio e perciò l'abbiamo evitato. Chi si ritiene soddisfatto e vuole chiudere qui la gita senza affrontare tratti alpinistici, può ora raggiungere il passo di Scermendone e da lì rientrare a pra Isio in circa 2 ore e mezzo percorrendo la valle di Caldenno per via segnalata. 5 - Detta anche punta di Preda Rossa, viene descritta da Aldo Bonacossa nella Guida dei Monti d'Italia. Masino Bregaglia Disgrazia, del 1936 come “di bell'aspetto e di non facilissima salita. Rocce poco buone”. Fu toccata per la prima volta da Angelo e Romano Calegari con Antonio Balabio il 19 luglio 1911 per lo spigolo NNO. Antonio morì pochi giorni dopo precipitando dal pizzo Torrone Orientale. Una tormentata cresta si staglia nel cielo. Il fianco NO del monte precipita, intercalando lisci ripiani con netti strapiombi, nel selvaggio canalone che s'affonda nel più elevato piano pascolivo della valle di Preda Rossa. L'idea che l'anno scorso il Caspoc' abbia affrontato questa cima d'inverno cercando nuovi ingaggi per i suoi sci certo non tranquillizza né me né Gioia, che decide di rimanere al passo e fare la fotografa. Dopo un breve spuntino in cui muovo più gli occhi alla ricerca dei passaggi che la bocca per azzannare panini, senza il peso dello zaino mi avvio (SO) verso la piramidale anticima E e la raggiungo (passi di II e III) scavalcando vari risalti dell'a- ereo spartiacque. La roccia ha consistenza estremamente variabile: soda e ruvida o liscia e friabile, tant'è che gli appigli vanno testati tutti. Con facilità scendo alla breccia tra anticima e cima, dove una fascia di grandi blocchi accatastati mi accompagna dove lo spigolo si impenna. Volendo evitare guai, non lo affronto direttamente, ma traverso a dx per una cengia e dopo aver superato un paio di placchette fessurate mi trovo nel mezzo della parete NO. Attraverso le grandi placconate (I/ II) ai piedi dell'e- dificio sommitale (attenti al detrito e a non trovarvi qui quando piove!) fin quando sulla sx si delinea un colatoio che raggiunge la cresta a sx di una esile fiamma di roccia. Inizio a salire in quella direzione, ma presto mi accorgo che è troppo verticale e marcio. Piego perciò ancora a sx (E) su una placca verdastra piuttosto insidiosa (III+) al di là della quale arrampico senza troppi patimenti verso il cielo (II+) e metto i piedi sul vertiginoso dente di roccia che costituisce il pinto culminante della punta SO dei Corni Bruciati (m 2958, ore 1). Il ritorno alla bocchetta di Preda Rossa (m 2851, ore 0:45) è decisamente più veloce dell'andata in quanto ho ben memorizzato i passaggi. Dopo aver pianeggiato per qualche metro (E), imbocchiamo l'evidente canale (N, sx) che s'impenna verso la cresta SO della punta Centrale dei Corni Bruciati6. Senza percorso obbligato (passi di II+, roccia friabile) guadagniamo la dorsale nei pressi di una breccia. Da qui ci sono 6 - Il 27 agosto 1881 Francesco Lurani, Antonio Baroni e Pietro Scetti furono i primi salitori della punta Centrale dei Corni Bruciati. Sfruttarono la cresta SO. La punta SO dei Corni Bruciati vista dalla bocchetta di Preda Rossa. Indicato il più semplice tracciato per raggiungere la vetta (5 agosto 2015, foto Gioia Zenoni). Alpinismo varie possibilità per arrivare in vetta: noi scegliamo la linea più elegante, quella che ricalca fedelmente il filo di cresta. La maggiore difficolta è data da una successione di fessura obliqua, muro, camino (10 m, III, cordini in loco), oltre la quale il crinale spiana e dopo un paio di risalti ci regala la punta Centrale dei Corni Bruciati (m 3114, ore 1). Siamo una ventina di metri a O della dorsale principale e troviamo un ricovero in pietra e una piccola Madonnina di metallo bruciacchiata dai fulmini. Il panorama è amplissimo. In basso a O si vedono i residui dei ghiacciai del Corni Bruciati7 e, dall'altra parte della valle di Preda Rossa, il rifugio Ponti sovrastato dalle sagome affilate delle vette di val Masino. A N è il Disgrazia coi ghiacciai di Preda Rossa e Cassandra, più che dimezzati negli ultimi 25 anni. In lontananza si distinguono la maggior parte delle cime del gruppo del Bernina, quindi a E quelle dello Scalino-Painale, di val Grosina, dell'Ortles- Cevedale e dell'Adamello. Scesi nella sella a E della vetta, pieghiamo a sx e ci gettiamo in un ripido e sfasciumato canalone tributario del vallone a O della breccia tra la punta Centrale e quella NE8, detta 7 - Su AA.VV., I ghiacciai della Lombardia. Evoluzione e attualità, HOEPLI, Milano 2011 vengono censiti ben 5 ghiacciai che gravitano attorno ai Corni Bruciati per una superficie complessiva stimata nel 2007 di 4,9 ha. 8 - Il 30 giugno abbiamo verificato che è percorribile anche l'alto pilastro che scende direttamente a N della punta Centrale, ma si incontrano difficoltà di IV grado. Versante Retico Omino dalle gambe storte in vetta alla punta SO (5 agosto 2015, foto Gioia Zenoni). In vetta alla punta Centrale. In basso la punta SO (30 giugno 2015, foto Roberto Dioli). Punta Centrale Punta NE (3114) (3097) Bocch. Settentrionale (2980) Lungo le ruvide rocce della cresta SO della punta Centrale dei Corni Bruciati. Il toponimo è legato al colore rossastro del serpentino che costituisce queste montagne, dovuto all' alterazione in limonite dei minerali di ferro in esso contenuti (5 agosto 2015, foto Beno). Bocchetta di Preda Rossa (2851) La traversata dei Corni Bruciati vista dalla valle di Preda Rossa. Il canale che discende dalla bocchetta Settentrionale è innevato anche a stagione inoltrata e, date le pendenze, può richiedere l'uso dei ramponi (3 settembre 2013, foto Mario Sertori). bocchetta Settentrionale. La parte alta del canale è coperta di detrito e a ogni passo precipitano a valle massi di ogni dimensione. Più sotto invece la roccia diventa compatta, ma dopo un breve pianerottolo, anche verticale. Ci spostiamo così a sx (O)9 dove un sistema di cenge ci permette, disarrampicando, di raggiungere il selvaggio e ripido valloncello, spesso innevato fino a stagione inoltrata, che divide la punta Centrale da quella NE e che culmina alla bocchetta Settentrionale10 (m 2980 ca.). Siamo circa 50 m più bassi del passo. La sponda dx del valloncello è costituita da un'alta e difficile barra di rocce, per cui è meglio non affrontarla. Così ci abbassiamo verso la valle di Preda Rossa finchè il muro sulla dx lascia spazio a una rampa (m 2800 ca.) che ci consente, senza troppe difficoltà, di portarci nel cuore del versante nord-occidentale della punta NE su una specie di sella detritica (m 2850 ca.). Riprende la salita, che richiede 9 - Tenendosi invece presso la cresta spartiacque tra la valle di Caldenno e quella di Preda Rossa vi sono 2 altre possibilità: raggiungere per il filo di cresta la bocchetta Settetrionale (passi di III e un passo di IV su roccia cattiva), oppure, continuando a disarrampicare circa 20 metri a sx del filo si incontra un chiodo con cordino. Qui, con una calata di 12 metri, si atterra su un pianerottolo da cui si accede ad un colatoio molto marcio (dx) che sfocia nel canale tra punta Centrale e punta NE. 10 - In caso si fosse fatto tardi, raggiunta la bocchetta Settentrionale, che si trova proprio a ridosso dei contrafforti della punta NE, si può scendere per un facile canale al ghiacciaio di val Postalesio e da qui rientrare a pra Isio evitando la punta NE e qualsiasi ulteriore difficoltà. Il tramonto dalla punta Centrale dei Corni Bruciati (30 settembre 2009, foto Beno). 74 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097) 75 Alpinismo un po' di fantasia nell'inventarsi un percorso tra cenge, placche e pianerottoli sino alla cresta sommitale (II/II+ max). Un breve tratto sull'aereo filo in direzione N e siamo sulla punta NE dei Corni Bruciati (m 3097, ore 2). Questa vetta si trova alla convergenza tra la valle di Preda Rossa, la valle di Airale e quella di Caldenno. Il divisorio tra le ultime due, in particolare, è costituito dalla dorsale secondaria irta di torri, che va (ESE) al passo di Caldenno e da cui si eleva la cima di Postalesio. La vista sul monte Disgrazia e sui suoi ghiacciai è molto dettagliata, specialmente se ci si porta un po' più a N lungo la cresta. Ripercorsi pochi metri sulla cresta (S), smontiamo (ESE, sx) verso la valle di Caldenno sfruttando il sistema di cenge e ripiani che corre sotto la cresta ESE e ci porta al canalone di roccia e detriti che s'abbassa sul ghiacciaio di val Postalesio. Nella parte inferiore il fondo del canale diviene di pietrisco e possiamo farci scivolare fino al minuscolo ghiacciaio di val Postalesio (m 2800, ore 0:45), attraversarlo (SE) e superare la strozzatura con alcuni salti di roccia al di sotto della soglia sospesa del circo glaciale. In questo corridoio il torrentello emette i suoi primi vagiti prima di sbucare assieme a noi in un ampio conoide detritico. Divalliamo inizialmente lungo la linea di massima pendenza, per poi virare a sx (E) per ganda, quindi prati, fino a intercettare il comodo sentiero proveniente dal passo di Caldenno11. Rapidamente ci allontaniamo dall'ampio anfiteatro che costituisce la testa della valle di Caldenno e, scivolando sulla sx del torrente, percorriamo l'ampio pianoro dell'alpe Palù (m 2099), in fondo al quale si trovano due vecchie baite addossate a un masso e, sulla dx del torrente, il baitone di recente ristrutturazione utilizzato dai pastori. Nei paraggi, si contano moltei mucche al pascolo di varie razze, pezzature e colori, oltre a qualche cavallo12. Una mucca e un vitellino marroni, entrambi con una bizzarra fascia bianca che fa il giro completo del 11 - Il sentiero è segnalato, ma i bolli sono radi e talvolta scoloriti. 12 - I pascoli della valle di Caldenno sono caricati dall’azienda Bertolini Claudio con 99 capi bovini, 3 equini e alcune capre. 76 LE MONTAGNE DIVERTENTI Versante Retico Punta NE (3097) Alpe Palù e Corni Bruciati (30 settembre 2009, foto Beno). Il tracciato per salire la punta NE dal suo versante occidentale e scendere da quello orientale, visto dalla punta Centrale dei Corni Bruciati (30 giugno 2015, foto Beno). Punta Centrale (3114) Bocch. di Preda Rossa (2851) La forma a U della valle di Caldenno, assieme alla presenza di rocce montonate e di varie soglie, ne conferma l'origine glaciale (31 luglio 2014, foto Gioia Zenoni). Punta NE (3097) Cima di Postalesio (2995) La traversata dei Corni Bruciati vista dall'anticima E del pizzo Bello (5 agosto 2015, foto Beno). Autunno 2015 Caldenno si trova sulla soglia sospesa dell'alta valle di Caldenno (31 luglio 2014, foto Nicola Giana). LE MONTAGNE DIVERTENTI ventre, ci corrono incontro, mentre, per non finire a mollo coi piedi nell'acquitrino, saltiamo da una zolla d'erba all'altra13. Oltre il lungo muro a secco che segna i confini dell'alpe, il sentiero scende ai pascoli dell'alpe Caldenno14, da annoverarsi, come sostiene Dario Benetti, tra gli esempi più significativi di insediamenti di quota sul versante retico della media Valtellina. A m 1696 incontriamo la baita isolata di Ciaz, capolinea della carrozzabile. Poco sotto guadiamo il torrente e, seguendo la pista sterrata, attraversiamo i vari gruppi di baite dell'alpe Caldenno. Edifici in pietra, in genere di due piani e ristrutturati con gusto. Ora sono quasi tutte baite vacanza, ma l'utilizzo tradizionale prevedeva al piano terra la stalla per le mucche e un locale per i maiali, mentre il primo piano era dedicato sia alle attività casearie che domestiche. Sull'idrografica opposta, a m 1900, si trova la chiesetta di Santa Margherita. Probabilmente di inizio Cinquecento, viene menzionata dal vescovo Ninguarda nel 1589 durante la sua visita pastorale nella provincia. Qui, oggi come allora, si celebra una sola messa all'anno: il 20 luglio durante la festa dell'alpe. Saziata la nostra curiosità di nuclei rurali, riprendiamo la carrozzabile che entra nel fitto bosco e in 20 minuti ci riporta a pra Isio (m 1600, ore 2:45). 13 - Il toponimo Palù si riferisce all'aspetto paludoso di quest'altipiano. 14 - Il sentiero tiene la sx idrografica, sebbene le mappe lo segnino dall'altra parte. Corni Bruciati (m 2958 - m 3114 - m 3097) 77 Escursionismo 5 Alta Via della Valmalenco 5 tappa a Dal lago Palù al rifugio Marinelli-Bombardieri, dai boschi di conifere al cuore ghiacciato del gruppo del Bernina, passando per l'alpe Musella, il rifugio Carate e la bocchetta delle Forbici, vera e propria porta per l'alta montagna. Eliana e Nemo Canetta Il pizzo Bernina, il 4000 più a E delle Alpi e l’unico di Lombardia, visto dal sentiero che dal rifugio Carate porta al rifugio Marinelli. Lungo la spalla S del Bernina si vedono, spruzzate di neve, la nuova e la vecchia capanna Marco e Rosa (9 settembre 2010, foto Beno). LE MONTAGNE DIVERTENTI 78 Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (V tappa) 79 Escursionismo Valmalenco Chiunque per la prima volta nella vita valichi la bocchetta delle Forbici (m 2664) provenendo dal vicino rifugio Carate (m 2636) non può che rimanere esterrefatto alla vista improvvisa e ravvicinata dei ghiacciai e delle alte vette del gruppo del Bernina. È incredibile come, in pochi passi, si venga catapultati da scenari verdeggianti direttamente nel capitolo dell'altissima montagna, all'interno di quel libro d'emozioni che è l’Alta Via della Valmalenco! Capolinea del tracciato è il rifugio Marinelli-Bombardieri (m 2813), il più grande di Lombardia e il più alto toccato delle 8 tappe dell'Alta Via. Sassa di Fora (3366) Gruppo delle Tremogge Piz Glüschaint (3594) Monte Scerscen (3971) Pizzo Roseg (3936) Pizzo Sella (3511) Bocch. delle Forbici Rif. Carate n ce rs e c Va ll ed iS Buchèl del Torno A. Campolungo A. Musella A. Campascio Lago di Campo Moro Dos di Vet A. Campagneda Franscia A. Prabello La prima parte della V tappa dell’Alta Via della Valmalenco vista dal passo degli Ometti, valico posto a m 2836 sulla cresta SO del pizzo Scalino. Col tratteggio sono indicate la variante d’accesso da Franscia e quella di tappa per la valle dello Scerscen (1 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - Partenza: rifugio Palù (m 1965). Varianti d'accesso: il rifugio Palù è raggiungibile a piedi da San Giuseppe, esattamente dal piazzale antistante il rifugio Sasso Nero (m 1506), a cui si arriva da Sondrio prendendo la SP15 della Valmalenco. A Chiesa (12 km) scegliere la biforcazione occidentale (sx) della valle. Dopo diversi tornanti (5 km) si arriva a San Giuseppe, da cui si seguono le indicazioni per il rifugio Sasso Nero e la seggiovia del Palù fino all’ampio piazzale sterrato. Seguendo la strada, o risalendo le piste da sci, giungiamo ai Barchi (m 1698), dove sorge il rifugio omonimo. Si prosegue salendo lungo la pista da sci che passa a N del rifugio, poi, dopo poco cammino, si prende la mulattiera che si stacca sulla sx. Salendo dolcemente in un verdeggiante bosco di abeti e larici, con alcuni tornanti e diversi falsopiani, ci si affaccia alla conca che ospita il lago Palù. A cinque minuti, in posizione rialzata sopra la sponda N, è il rifugio Palù (m 1965, ore 1:20). Altro modo per intercettare la 5a tappa dell’Alta Via è quello di partire dal nucleo di case a O di Frascia (Dossi di Franscia, m 1565), percorrere l’antica mulattiera segnalata che attraversa i nuclei di Fontane ed Orsera, per piegare a dx al di sopra delle balze rocciose fino a guadagnare i prati del dos di Vet (m 1855, ore 0:45). 80 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Itinerario sintetico: rifugio Palù (m 1965) - alpe Roggione (m 2009) - buchèl del Torno (m 2222) dos di Vet (m 1855) - alpe Campascio (m 1847) alpe Musella (m 2021) - rifugio Carate (m 2636) bocchetta delle Forbici (m 2664) - lago di Musella (m 2616) - rifugio Marinelli-Bombardieri (m 2813). Tempo previsto: 6 ore e mezza. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello: 2+ su 6, 1400 m in salita e 600 m in discesa (sviluppo 12 km). Dettagli: EE. Escursione su sentieri segnalati (n. 301-305) da bandierine bianco-rosse e dai triangoli gialli dell'Alta Via della Valmalenco. Oltre il rifugio Carate si entra in ambienti di alta montagna, per cui occorre essere adeguatamente attrezzati. Possibilità di neve anche a stagione inoltrata. Mappe: - Comunità Montana Valtellina di Sondrio, Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco Versante retico, 1:30000; - Valmalenco. Speciale Alta Via della Valmalenco, 1: 30000, allegato omaggio al n. 29 de Le Montagne Divertenti. Alta Via della Valmalenco (V tappa) 81 Escursionismo Valmalenco Monte Scerscen Cappuccio di Neve (3971) Monte delle Forbici (2910) (3875) di Musella Cime (3094) (3088) (3092) 3767 Bocch. delle Forbici Rif. Carate Lago e rifugio Palù (21 ottobre 2014, foto Beno). Alpe Roggione (1 novembre 2014, foto L. Bruseghini). A. Musella Dos di Vet Verso il buchel del Torno (1 novembre 2014, foto L. Bruseghini). Campascio. A sx il vallone dello Scerscen, al centro il monte delle Forbici (12.7.15, foto Bruseghini). La valle di Musella dal dos Sciaresa. Indicato il tracciato alpe Musella - bocchetta delle Forbici (16 ottobre 2013, foto Beno). D al rifugio Palù (m 1965) saliamo alla sovrastante alpe Roggione (m 2009). Trascurato il sentiero per l’alpe Sasso Nero (4a tappa dell’AV), continuiamo in un bosco di pini e larici via via più rado, che lasciano spazio a mughi e rododendri. Il sentiero continua a zig zag in una stretta valletta, cosparsa di blocchi di serpentino franati dalle sovrastanti pendici del Sasso Nero. Per un erto canale usciamo sull’ampia spianata del buchèl del Torno (m 2222, ore 0:45). Dalla sella andiamo verso dx, più o meno paralleli all’impianto di risalita che porta nel canale ove transita la pista da sci. In tal modo, lasciando sulla dx il turrito monte Roggione, raggiungiamo verso m 2050 la pista forestale che seguiamo in discesa sino alla stazione della seggiovia che dal dos di Vet porta al monte Motta. Pochi metri più sotto incontriamo l’importante mulattiera che univa Tornadri e l’alpeggio di Musella. Qui si può osservare il tetto dell’antico rifugio Scerscen (m 1831), la cui struttura risale al 1930 ed è chiusa da 82 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI tempo. Il dos di Vet era il maggengo alla quota più elevata della Valmalenco, un dosso con pascoli caricato da genti della contrada Vetto di Lanzada; da qui in una mezz’ora è agevole scendere, prima per mulattiera poi per stradelle, alla località di Franscia ove si incontra la carrozzabile Lanzada Campo Moro. Noi invece imbocchiamo l’antica mulattiera diretta verso settentrione, non senza osservare il sottosante vallone ove scorre il torrente Scerscen e gli antistanti roccioni boscosi che limitano alcune gole, un tempo percorse dalle acque, di aspetto quanto mai pittoresco. In tal modo giungiamo a un ponte sul torrente Scerscen oltre il quale è l’ampio pianoro dell’alpe Campascio, parzialmente rovinato dall’alluvione del 1987 e modificato pure da recenti lavori per la costruzione di una centralina idroelettrica. Facendo attenzione alle segnaletiche, nei pressi di un edificio isolato (m 1828), pieghiamo nettamente a dx (NE), risalendo con vari tornanti una costa boscosa e guadagnando la piana dell’alpe Musella (m 2021, ore 3). La piana è di chiara origine glaciale: qui il ghiacciaio compreso nel circo tra monte delle Forbici e cime di Musella andava a confluire nell’enorme ghiacciaio dello Scerscen. L’amena e tranquilla località è dominata dal monte delle Forbici (noto localmente come Bar Olt: il montone alto) cui seguono la bocchetta delle Forbici, le cime di Musella e la cima di Caspoggio; mentre a ENE la verdeggiante conca è dominata dalle torri del Sasso Moro. Oggi l’alpe Musella1 è costituita oltre che da alcune baite, da una chiesetta e da due rifugi. In ordine, provenendo da Campascio, incontriamo il rifugio Alpe Musella2, quindi, in posizione 1 - L’alpe Musella e l’alpe Campascio vengono attualmente utilizzate dall’azienda agricola dei fratelli Antonio e Mario Nana di Lanzada; complessivamente sono caricati 35 capi bovini, 62 tra capre e pecore e 2 cavalli, tutti di loro proprietà. 2 - Il rifugio Alpe Musella è di propietà e gestito da Daniele Mitta dal 1987. È aperto dal 1 giugno al 30 settembre. Offre 80 posti letto, suddivisi fra stanze fino a 6 letti (dotati di lenzuola) e una camerata da 15 letti. Tra le specialità più rinomate della sua cucina vi sono polenta e cervo o spezzatino con i funghi. Tel. 347.7938825. Su alcune mappe, tra cui la CTR, i nomi dei due rifugi sono invertiti. Alta Via della Valmalenco (V tappa) 83 Escursionismo leggermente rialzata, il rifugio Mitta3, entrambi aperti solo nella stagione estiva e sprovvisti di locale invernale. I rifugi hanno senza dubbio vissuto la loro stagione d’oro quando per salire in Marinelli non c’era altro modo che partire da Tornadri a piedi. Ora che quel tipo di utenza non c’è più, sono la buona cucina, il poco cammino necessario per raggiungerli da Campo Moro e la tranquillità dell’ambiente adatto alle famiglie a costituire una grande fonte di richiamo turistico. Traversiamo ora il ripiano verso NE in direzione del Sasso Moro, per iniziare un tratto piuttosto faticoso, i famigerati Sette Sospiri. Si tratta di una serie di gobbe di sfasciumi e magri pascoli su cui il sentiero si contorce con infiniti zigzag e mette alla prova anche l’escursionista più allenato. Queste gobbe sono antichi dossi morenici di un rock glacier ormai stabilizzato (rock glacier fossile), residuato del ghiacciaio della valle di Musella. Superato il primo Sospiro, lasciamo sulla dx alcune baite isolate e continuiamo verso N in un valloncello, poi su una costa sinché verso i m 2200 intersechiamo il frequentato sentiero che proviene da Campo Moro e dall’omonima diga e che costituisce l’accesso normale, nonché più rapido, ai rifugi Carate e Marinelli. Superiamo un altro paio di balze ormai sovrastati dalla imponente cresta delle cime di Musella che sbarrano a N la conca che stiamo risalendo. La mulattiera, a tratti ripida e un po’ faticosa, zigzaga sugli ultimi dossi raggiungendo l’agognato rifugio Carate Brianza (m 2636, ore 1:45). Dal rifugio Carate in meno di 5 minuti siamo alla bocchetta delle Forbici (m 2664), considerata uno dei luoghi mitici delle Alpi, ove la vista si apre d’improvviso sulla grandiosa teoria di cime del gruppo del Bernina, che sino a questo momento era stata nascosta dal monte delle Forbici e dalle cime di Musella. Si narra che quando Damiano Marinelli toccò la bocchetta, i montanari malenchi che erano con 3 - Il rifugio Cesare Mitta, di proprietà di Francesca, Marco e Giuseppina Dell’Avo è gestito da Francesca Dell’Avo dal 1996. Aperto dal 15 giugno al 15 settembre, offre 35 posti letto suddivisi in stanze da 2, 3 e 4 letti dotati di lenzuola. Tra le specialità della cucina vi è il brasato della signora Giuseppina. Tel. 0342.452579 348.5990790 84 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco Il rifugio Alpe Musella (5 giugno 2014, foto Beno). Fu costruito negli anni ‘20 da Giacomo Mitta insieme al figlio Filippo e condotto con l’aiuto delle due sorelle Maria e Flavia. A questi seguì Rosa, zia dell’attuale gestore Daniele Mitta, bisnipote di Giacomo. Ora che non è più tappa obbligata per chi vuole raggiungere il cuore del gruppo del Bernina, il pubblico del rifugio è perlopiù costituito da gitanti che amano associare una breve camminata a un ottimo pranzo. L’albergo Musella (23 agosto 1914, foto Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese), chiamato anche capanna Eugenia (inf. Michele Comi), sorgeva dove ora è il rifugio Cesare Mitta (5 giugno 2014, foto Beno). La struttura fu costruita prima della Grande Guerra, per essere gestita dalle sorelle Mitta. In seguito ad una catastrofica slavina scesa dal Sasso Moro che la distrusse nel 1917, fu ricostruita nel 1920 e intitolata a Cesare Mitta, storico gestore d’inizio ‘900 della capanna Marinelli. Il rifugio Cesare Mitta è oggi frequentato soprattutto da famiglie per soggiorni di una settimana, ma non mancano gli avventori per il pranzo. L’alpe Musella e le cime di Musella (12 luglio 2013, foto Roberto Ganassa). Il rifugio Carate Brianza e il Sasso Moro (14 luglio 2015, foto Roberto Ganassa). Di proprietà dell’omonima sezione del CAI, è una costruzione in pietra a due piani con veranda eretta nel 1927 in sostituzione della vecchia capanna delle Forbici. È gestito da Francesca Vanotti e ha conduzione famigliare. Aperto dal 1 luglio al 15 settembre, viene in genere utilizzato come punto di appoggio per la salita al rifugio Marinelli e, più raramente, viene sfruttato per le ascensioni e le traversate sulle montagne circostanti. Ha 24 posti letto, 35 posti pranzo all’interno a cui se ne aggiungono altri 30 nella veranda esterna. Nei periodi di chiusura offre locale invernale. Tel. 0342.452560 - 338.3878416. Ai piedi del quarto dei sette Sospiri (12 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini). Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (V tappa) 85 Escursionismo Valmalenco La Sella (3584-3564) Monte Scerscen (3971) Pizzo Roseg (3936) Pizzo Sella (3511) Pizzo Bernina (4049) Passo Sella (3259) io dello Scerscen Sup. Ghiaccia Ghiacciaio d ello Scers cen Inf . Rif. Marinelli Lago di Musella I gruppi del Bernina e del Sella - Glüschaint si riflettono nel lago delle Forbici, incastonato in una pietraia poco lontana dal passo omonimo (12 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini). lui non seppero indicargli i nomi delle vette che improvvisamente si ergevano all’orizzonte, a loro sconosciute. Un tempo alla bocchetta delle Forbici ci si teneva alti sul versante occidentale delle cime di Musella per un sentiero abbastanza esposto che portava al monumento degli Alpini, ove ci si affacciava, ancora una volta all’improvviso, alla conca della vedretta di Caspoggio, tranquillo ghiacciaio che si andava a traversare per guadagnare poi l’ultimo tratto di sentiero che portava al rifugio Marinelli. Ora le modificazioni glaciali hanno reso sconveniente questo itinerario e il sentiero per il monumento degli Alpini è stato così sostanzialmente dimenticato. Noi scendiamo leggermente verso NNO, lasciando a sx il pittoresco laghetto delle Forbici, ove centinaia di fotografi hanno immortalato le acque in cui si specchiano i giganti del Bernina. Per una serie di dossi petrosi e di campi di neve, che resistono sino a tarda stagione, si aggirano le pendici dello spuntone roccioso ove è il monumento degli Alpini e poco oltre, si accosta il verdognolo lago di Musella. Tra le rocce montonate si trova il cippo con i resti dell’elicottero “Samba 23” che ricordano la 86 LE MONTAGNE DIVERTENTI Giuseppe Della Rodolfa, gestore del rifugio Marinelli, impegnato nella complessa traversata cime di Musella - cima di Caspoggio. Sullo sfondo il poggio del rifugio e il gruppo del Bernina. Indicati il tracciato e la variante (tratteggiata) della V tappa (20 luglio 2013, foto Beno). VARIANTE. ALPE MUSELLA-VALLONE DELLO SCERSCEN-CIMITERO DEGLI ALPINI-RIFUGIO MARINELLI BOMBARDIERI I contrafforti che reggono il poggio del rifugio Marinelli visti dal versante opposto della valle di Caspoggio (14 luglio 2015, foto Roberto Ganassa). disgrazia del 1957 in cui perirono il pilota, Maggiore Secondino Pagano, e Luigi Bombardieri. Era uno dei primi voli sperimentali sull’uso dell’elicottero in montagna: la pala del rotore urtò fatalmente il cavo della teleferica che collegava il rifugio col monumento degli Alpini scavalcando la vedretta di Caspoggio (ai tempi il ghiacciaio occupava l’intero vallone sotto la Marinelli). Superati con ponticelli i rami dell’e- missario della vedretta di Caspoggio, ormai ritiratasi nella conca sottostante l’omonima bocchetta4, ci portiamo sotto la possente bastionata che sostiene il terrazzo del rifugio Marinelli. La costeggiamo verso dx per poi 4 - Il grande ghiacciaio di Caspoggio, che un tempo occupava l’intera valle, dagli anni ‘70 si è smembrato in due elementi, di cui l’occidentale, battezzato ghiacciaio delle Cime di Musella, è andato via via sparendo, anche a causa del detrito che lo ha ricoperto. Autunno 2015 Il rifugio Marinelli-Bombardieri. Ubicato su un poggio panoramico a m 2813 e con 210 posti letto è il più grande di Lombardia (14 luglio 2015, foto Roberto Ganassa). rimontare (sx) con molte risvolte il pendio detritico che conduce alla spianata su cui poggia il grande fabbricato (rifugio Marinelli - Bombardieri, m 2813, ore 1:15). Inaugurato nel 1880 con il nome di rifugio Scerscen, due anni più tardi fu rinominato Marinelli in onore del suo ideatore, Damiano Marinelli, travolto nel 1881 da una slavina sull’immane parete E del monte Rosa. Con lui LE MONTAGNE DIVERTENTI morirono Ferdinand Imseng e Battista Pedranzini, mentre unico superstite fu il portatore Alessandro Corsi. L’articolata struttura che vediamo oggi è il risultato di numerosi ampliamenti che fanno sì che oggi il rifugio, di proprietà della sezione Valtellinese del CAI, possa ospitare 210 persone5. 5 - Il rifugio Marinelli-Bombardieri è aperto da giugno a settembre (e ad aprile-maggio nella stagione dello scialpinismo) ed è gestito dal 2009 dalla guida Questa variante, di notevole interesse mineralogico, naturalistico e storico, tocca il celebre monumento degli Alpini, per decenni dimenticato sul fondo del vallone dello Scerscen. Pur incrementando di poco il dislivello, richiede 2 ore di marcia in più rispetto alla tappa canonica, causa il notevole sviluppo. Dall’alpe Musella (m 2021), imbocchiamo verso O un sentierino a mezza costa che contorna lo sperone meridionale del monte delle Forbici e, con una serie di saliscendi, entra nel vallone dello Scerscen che qui appare come una spaccatura tra alpina Giuseppe Della Rodolfa. Nei periodi di chiusura, offre un confortevole locale invernale in grado di ospitare 14 persone. Il rifugio è utilizzato sia dagli escursionisti, sia dagli alpinisti diretti perlopiù sul pizzo Bernina, sia da semplici golosi che salgono per gustarsi un pranzo o una cena in quota. Contatti: [email protected] tel: 0342.511577 - 347.5200146. Per l’approfondimento relativo al rifugio Marinelli rimandiamo alla VI tappa dell’Alta Via che verrà trattata nel n.36 - Primavera 2016. Alta Via della Valmalenco (V tappa) 87 Escursionismo Le ex-miniere di amianto del vallone dello Scerscen, tra le più rinomate della Valmalenco in quanto vi si trovavano filamenti lunghi anche 2 m (14 luglio 2015, foto R. Ganassa). Valmalenco Il ponte sul torrente Scerscen nei pressi delle miniere di amianto (20 agosto 2008, foto Beno). Nel vallone dello Scerscen al cospetto della lingua del ghiacciaio dello Scerscen Superiore (17 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini). 6 - Vedi Eliana e Nemo Canetta, Alta Via della Valmalenco 4a tappa, LMD n.33 - Estate 2015, pagg. 64-75. La ripida salita dal vallone dello Scerscen al rifugio Marinelli - Bombardieri. Sullo sfondo il monte Scerscen (17 agosto 2014, foto Luciano Bruseghini). 88 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 le rocce del Sasso Nero e del monte delle Forbici. Facendo attenzione alle segnaletiche, sfruttiamo una serie di ponticelli in legno che permettono di oltrepassare il tratto più selvaggio e impressionante delle gole, giungendo così all’imbocco delle prime cave di amianto, il cui materiale era trasportato a spalla sino a Tornadri. La principale di queste appare come la facciata di una casa incastonata nella parete sul lato orografico sx del vallone. In zona sono numerosi ed interessanti i resti dell’estrazione del minerale. Nelle discariche con un po’ di fortuna si possono trovare demantoidi, serpentino, fibre di amianto e abbondante magnetite, sia in masserelle grigio ferro che in bei cristalli cubici. Un massiccio ponte di legno ci porta sul versante opposto del vallone che risaliamo così sull’orografica dx, toccando le miserrime abitazioni dell’alpe Scerscen dall’aspetto quanto mai primitivo di antichi ricoveri sotto roccia. Qui è particolarmente impressionante costatare come i pascoli circostanti siano improvvisamente ricoperti dal morenico recente risalente all’ultima fase della Piccola Età Glaciale (1850-1860). Si desume perciò come i pascoli del già misero alpeggio siano stati distrutti dai ghiacci nella loro avanzata ai primi dell’ ‘800. Continuiamo più ripidamente sino a una sella (m 2400 ca.), vera porta d’accesso alla parte superiore del vallone dello Scerscen, dominata dagli omonimi ghiacciai Inferiore e Superiore. Dalla sella deviando verso E, possiamo raggiungere in pochi minuti la croce del cimitero degli Alpini (m 2312), in posizione panoramica centrale rispetto ai massicci circostanti. Tornati sul sentiero, dopo poco incrociamo la variante della IV tappa6; da qui alla Marinelli gli itinerari si sovrappongono. Con un ampio e interessante arco da sx a dx ci teniamo sotto le lingue della vedretta di Scerscen Superiore, per guadagnare infine grazie a una cengia/canale il rifugio Marinelli - Bombardieri (m 2813, ore 5). LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Via della Valmalenco (V tappa) 89 Approfondimenti Valmalenco Per ricordare la morte degli Alpini venne eretto un monumento accanto al vecchio sentiero che portava alla capanna Marinelli (agosto 1926, foto Alfredo Corti - www.archiviocorti.it). 1917 gli alpini in valmalenco N ella primavera del 1917 la Grande Guerra stendeva le sue ombre ormai da quasi tre anni su larga parte dell’Europa centro meridionale, dal canale della Manica ai Balcani, dalla valle del Reno sino alle pianure polacche. L’Italia, entrata nel conflitto nel 1915, era ormai anch’essa presa nel tragico meccanismo e pure la Valtellina era stata dichiarata zona di guerra; infatti si combatteva dallo Stelvio al Gavia in quello che all’epoca fu definito il più alto fronte del conflitto. Ma non solo: anche la complessa frontiera tra la provincia di Sondrio e il Canton Grigioni era costantemente monitorata nel timore che gli austro-tedeschi, attraverso l’Engadina, scendessero su 90 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il piccolo cimitero nel vallone di Scerscen dove vennero sepolti i 16 Alpini travolti da una valanga durante un trasferimento il 2 aprile 1917. In secondo piano si notano la lingua del ghiacciaio di Scerscen Inferiore a sx e di Scercen Superiore a dx (agosto 1926, foto Alfredo Corti - CAI sez. Valtellinese). Eliana e Nemo Canetta Tirano, Sondrio e Chiavenna evitando le nostre difese in alta Valtellina. Il risultato sarebbe stato catastrofico e perfino Milano, già all’epoca metropoli industriale, sarebbe stata minacciata. Fu proprio per questo che sin dal 1916 anche in Valmalenco vennero istituiti dei piccoli ma agguerriti presidi, formati da elementi scelti tra Alpini e Finanzieri. Queste poche forze avevano il compito di controllare i confini e, ove necessario, di realizzare una prima difesa mentre il grosso delle forze italiane sarebbe affluita in zona. Forse fu proprio anche per questo che nel cuore del gruppo del Bernina venne posizionata al rifugio Marinelli una importante scuola di sci alpino. In tal modo si ottennero due risultati: addestrare i nostri soldati della montagna in ambiente glaciale simile a quello dell’Ortles-Cevedale e dell’Adamello, già fronti di guerra, ma pure tenere presidiato un rifugio in posizione strategica centrale rispetto a tutto il gruppo. l 1° aprile 1917 il Capitano Davide Valsecchi, esperto alpinista e comandante del corso sciatori, decise di interrompere ogni collegamento col fondovalle a causa del maltempo. Lo stesso giorno una valanga si staccò dal Sasso Moro e si abbattè sull’albergo Musella, dove alloggiavano 28 Alpini. I sopravvissuti e i feriti leggeri, scavando tra le macerie e le montagne I Autunno 2015 di neve, riuscirono a trarre parecchi feriti dalle rovine. Si contarono, però, 8 morti, a cui si aggiunse un ulteriore decesso tra i feriti. Nel frattempo il caporale Parolini scese di volata con gli sci a Tornadri, ove era un altro presidio e dove giungevano più facili collegamenti da Chiesa e Sondrio. La macchina dei soccorsi reagì prontamente e parecchie personalità risalirono sino a Musella per constatare i danni1. 1 - Il 4 aprile giunse perfino il Generale Lepore, comandante del settore difensivo Mera Adda, col compito di stilare un preciso rapporto per il Generale Mambretti, comandante di tutte le forze che difendevano sul nostro versante la frontiera italo elvetica (OAFN: Osservazione Avanzata Frontiera Nord). Si consideri che ai tempi i Generali non si muovevano in elicottero come oggi ma, come tutti, LE MONTAGNE DIVERTENTI P urtroppo il 2 aprile avvenne una seconda e più grave disgrazia. Il Capitano Valsecchi, fidando in un miglioramento del tempo, si mise in moto con una quarantina di Alpini scelti tra i migliori per scendere dalla Marinelli fino a Musella2. Ma una nuova valanga, staccatasi dai fianchi della cima Occidentale di Musella, si abbattè sul gruppo che stava risalendo i pendii verso la bocchetta delle Forbici. 16 sciatori vennero presi in pieno, sparendo sotto metri e metri della bianca coltre. Nonostante l’arrivo di rinforzi, non vi fu niente da fare e solo successivamente gli sventurati vennero ricomposti nel vicino cimitero3. Dopo decenni di abbandono, il cimitero degli Alpini è stato recentemente restaurato dal gruppo di Lanzada dell’ANA Valtellina ed è visitabile scostandosi di poco dal tracciato della variante della V tappa dell’Alta Via della Valmalenco. il Generale Lepore dovette salire nella neve da Tornadri sino a Musella. 2 - Altre fonti riportano invece che gli Alpini stavano salendo alla Marinelli, ipotesi che ci pare dover scartare visto quanto accaduto il giorno prima all’alpe Musella. 3 - La stampa locale non riporta notizia dell’accaduto, anzi La Provincia e il Corriere della Valtellina presentano ampi spazi bianchi con la scritta “censura”. Alta Via della Valmalenco (V tappa) 91 Versante Orobico Passeggiata a Faedo Gioia Zenoni Dal Piano alla chiesa di San Bernardo passando per i Gaggi, splendido agglomerato di case in pietra di origine medievale, e rientrando dopo aver visitato le rovine del Mulino dei Galli, maggengo abbandonato sul fondo della val Venina e di cui sia il nome che l'aspetto evocano un alone di mistero. Gioia Zenoni LE MONTAGNE DIVERTENTI La chiesa di San Bernardo a Faedo, punto più elevato di questa escursione (27 gennaio 2015, foto Beno). Passeggiata a Faedo 93 Escursionismo Versante Orobico Punta della Pèssa (2472) Dos Bilì Pizzo Grò (2653) Le Piàne Legnomàrcio Motta di Scàis (2416) Pizzo Rondénino (2747) Campiòlo San Giàcomo Gàggio San Bernàrdo Ca di Giùgni va l Ve nì Gaggi na Gianbonàsco Crap de la Furscèla Martìni San Carlo Scenìni Ferüda Bustéggia Balzarìni Bordìghi Rónchi Piàno Faedo visto da Montagna in Valtellina. Indicati parte dell'itinerario descritto e la corretta accentazione dei toponimi (8 giugno 2015, foto Beno). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - Partenza: Faedo, frazione Piano (m 300). Itinerario automobilistico: da Sondrio si imbocca la tangenziale in direzione Tirano e, appena dopo il passaggio a livello, si svolta a sinistra per Faedo. Entrati in paese (località Piano), si seguono le indicazioni per la sala polifunzionale comunale in località Fumagalli, ubicata in prossimità dello sbocco della val Venina. Nel parcheggio di fronte ad essa si lascia l’automobile. La partenza può anche essere facilmente raggiunta da Sondrio a piedi o in bici attraverso il sentiero Valtellina (solo 4 km). Itinerario sintetico: Piano (m 300) - Feruda (m 337) - Scenini (m 465) - San Carlo (m 557) - Gaggi (m 779) - San Bernardo (m 1052) - Gaggi (m 779) - Mulino dei Galli (m 640) - Martini (m 553) - Scenini (m 465) - Piano (m 300). Tempo previsto: 4 ore visite escluse. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 750 m in salita. Dettagli: E/EE. Escursione su sentieri segnalati anche se, nel tratto Gaggi - Mulino dei Galli - Martini sono maltenuti. Mappe: - Kompass n.93 - Bernina-Sondrio, 1:50000 http://lemontagnedivertenti-diario.blogspot.it/ 94 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 F inalmente si parte all’esplorazione minuta del paesaggio che scorgiamo ogni mattina dalla nostra finestra di casa a Montagna in Valtellina! Sono molto curiosa di scoprire cosa c’è in mezzo a tutto quel verde punteggiato qua e là di bianco e di grigio sulle pendici del Dosso della Croce. Lì, partendo dal profondo solco della val Venina e stretto tra i comuni di Albosaggia, Montagna in Valtellina, Piateda e Sondrio, si trova Faedo Valtellino1. 1 - Con una superficie di 4,8 km2 Faedo è al 74° posto per estensione tra i 78 comuni della provincia di Sondrio e con 568 abitanti al 62° per popolazione (fonte ISTAT). LE MONTAGNE DIVERTENTI L asciamo l'auto di fronte al centro sportivo al Piano di Faedo (m 300) e giriamo intorno al centro ittico (E poi S, poi SO), fino a intercettare il sentiero che con una breve salita ci conduce al primo tornante destrorso della strada asfaltata (SP 20). La seguiamo e in breve raggiungiamo la località Feruda (m 337, ore 0:10). Prima di entrare nell'abitato, 80 m circa dopo il cartello, prendiamo la stradina asfaltata sulla sx. Saliamo fino a intercettare una traversa. Andiamo a dx e dopo pochi metri ha inizio un sentiero acciottolato sulla sx2. Grazie ad esso prendiamo quota addentrandoci nel fitto del bosco dove vecchi muri a secco testimoniano l'antica cura del versante della montagna. Questa via, oggi in certi tratti invasa dalle spine, anche dopo la costruzione della carrozzabile (1909) è stata per molti anni l'arteria principale che connetteva le frazioni Scenini, Martini e San Carlo col Piano, in quanto le automobili erano davvero poche e la gente si spostava a piedi. Allo sbocco del sentiero sulla SP 20, un bel lavatoio con tetto a capriate in legno segnala l’arrivo nella contrada 2 - Nell'intersezione con l'asse stradale le bretelle sentieristiche principali del comune di Faedo sono evidenziate con una breve rampa cementata e acciottolata. Passeggiata a Faedo 95 Escursionismo Scenini (m 465, ore 0:25). Passeggiando fra le case, scorgiamo un’anteprima della meta più alta del nostro giro, la chiesa di San Bernardo, dipinta sul muro di una casa. Andiamo anche a caccia di un bell’esemplare di torchio a ruota, con caspio di legno e una grande vite in ferro incastrata in un massiccio basamento di pietra. Non è facile vederne in giro, perchè sono quasi tutti stati smantellati: abbiamo letto di lui nella tesi di laurea scritta da due giovani architetti negli anni Novanta3 e lo troviamo imboccando la stradina che dal lavatoio scende tra le case in direzione ONO. Torniamo quindi sui nostri passi e prendiamo il sentiero che sale a E del lavatoio. Ci addentriamo nel bosco pregustando le castagne che potremo raccogliere a ottobre. Il sentiero attraversa la strada asfaltata, poi, quando la incontriamo nuovamente la percorriamo (dx) fino a raggiungere il centro di Faedo, sul dosso un tempo noto come Piazzo Maggiore, dove svetta la secentesca chiesa parrocchiale di San Carlo Borromeo (m 557, ore 0:20) che dà il nome alla contrada. Restaurata a inizio Novecento, si accompagna a un oratorio e a un piccolo cimitero sul lato S del dosso, quello da cui scendiamo una scalinata e dopo qualche metro verso sx imbocchiamo (dx) la strada a transito limitato per i Gaggi. Dopo 500 metri ha inizio un sentiero sulla sx che taglia il lungo tornante della rotabile, a cui ci ricongiungiamo dopo aver toccato il casone isolato di recente ristrutturazione al margine della piccola radura di Gianbonasco. Ritrovata la carrozzabile sterrata (sx) raggiungiamo l’antica contrada dei Gaggi (m 779, ore 0:35)4, spettacolarmente piantata su un poggio roccioso che domina una placida piana erbosa vertiginosamente affacciata sulla val Venina. Poche sono le case di cui si compone, addossate l’una all’altra. Secoli fa doveva essere un luogo forti3 - Giordano Caprari e Luca De Paoli, Segni di storia, cultura, religione architettura, arte, nella gente di Faedo Valtellino e nel suo territorio con le radici verso il futuro, Sondrio 2006. 4 - Qui si può giungere più ripidamente proseguendo un poco a E dell'imbocco della strada San Carlo - Gaggi fino a un lavatoio, a dx del quale ha inizio la mulattiera diretta per Gaggi. 96 LE MONTAGNE DIVERTENTI Versante Orobico Il grande lavatoio in contrada Scenini (7 giugno 2015, foto Beno). Gaggi, caratteristico nucleo di origine medievale (7 giugno 2015, foto Beno). ficato, data anche la sua posizione altamente strategica. In particolare, l’edificio che ci dà il benvenuto ora trasformato in un’agiata dimora estiva - mantiene alcune caratteristiche edilizie originarie, richiamando moltissimo l’aspetto di una torre: gli spigoli sono in bugnato e in alcuni tratti di muratura si riconoscono i conci disposti a spina di pesce, secondo una tecnica antica. Dalla nicchia ricavata nel corpo di fabbrica addossato alla torre, una Madonna con Bambino di fattura piuttosto recente guarda benevola il viandante. Alcune case sono state ristrutturate, altre ci invitano a fare un tuffo indietro nel tempo, immaginando un via vai di donne che, scendendo le scalette in pietra, andavano a cuocere il pane nel forno di cui restano i ruderi della cupola, a porre i formaggi nel crotto o a prender l'acqua, che qui scarseggia, al pozzo5. E la lavanderia? Come ci ha confermato Diego De Paoli, memoria storica di questi luoghi, era davvero scomoda: bisognava mettere panni sporchi e sapone nel gerlo e scendere fino al Mulino dei Galli per trovare un flusso d'acqua adeguato a quella mansione. Poi, con pazienza, le donne stendevano il bucato sui sassi in riva al torrente Venina aspettando fossero asciutti e Edifici ristrutturati di Gaggi (7 giugno 2015, foto Beno). 5 - La fontana nel centro del nucleo è un'opera di recente fattura e l'acqua viene captata piuttosto lontano da Gaggi. Il pozzo, fondo 4-5 m, è posto vicino all'attuale parcheggio in una zona che ha assunto il toponimo di Górgola per il rumore dell'acqua che lì risorge dalle viscere della terra. così più leggeri da trasportare. Lasciamo quest’angolo di paradiso per riprendere il sentiero ben segnalato che ripido sale a ridosso del crinale bosco fino a San Bernardo (m 1052, ore 0:45). Arrivati nell’ampio terrazzo erboso, distinguiamo più nuclei di case: quello in prossimità della chiesa, Balzarini, Caprari, Mais, Stefani. Il maggengo è ora abitato solo in estate, quando i suoi prati vengono sfalciati e i bambini in villeggiatura giocano fra le balle di fieno. Un tempo, invece, la popolazione di Faedo era distribuita principalmente fra questa contrada e i Gaggi: le due località si trovavano lungo una rotta commerciale che collegava il versante bergamasco delle Orobie con i porti fluviali di Faedo e Albosaggia e che, fino al Cinquecento, veniva utilizzata soprattutto per il commercio del ferro estratto nell’alta val Venina6. Solo a partire dal secolo successivo la gente iniziò ad abbassarsi verso i nuclei prossimi al fondovalle, popolando in particolare San Carlo, mentre San Bernardo venne gradualmente abbandonata, diventando un insediamento stagionale. Davanti a noi è il Crap del Diàul, masso erratico che ospita un monumento ai caduti collocato dall’Associazione Nazionale Alpini di Faedo. 6 - Per un’escursione ai forni fusori del ferro in val Venina, si può prendere spunto da: Luciano Bruseghini, Pizzo del Diavolo di Tenda, LMD n.22 Autunno 2012, p. 97. Autunno 2015 La chiesa che troviamo alla nostra dx è dedicata ai santi Bernardo Abate e Maria Maddalena e risale al Quattrocento, epoca in cui dipendeva dalla parrocchia di San Giorgio a Montagna. Siccome raggiungere la chiesa sull’altro versante della valle era eccessivamente faticoso, gli abitanti di San Bernardo e dei Gaggi (circa 350 anime) approfittarono di un periodo di relativa floridezza per costruirsi una propria chiesa! Per due secoli - fino alla edificazione di San Carlo Borromeo e alla costituzione, nel 1629, di una parrocchia indipendente da Montagna - questa fu la chiesa principale di Faedo. Passiamo sotto il bel portale in pietra decorata, datato 1545, ed entriamo per una visita. I numerosi rifacimenti LE MONTAGNE DIVERTENTI a cui la chiesa è stata sottoposta nel corso dei secoli non impediscono di apprezzarne l’architettura molto semplice, d’origine medievale, ad aula unica con copertura a capriate (recentemente restaurata) e conclusa da un catino absidale. Sotto diversi strati di intonaco stesi nel corso dei secoli per la manutenzione delle pareti, i recenti restauri hanno svelato dei bellissimi affreschi7. Alla nostra sx riconosciamo la quattrocentesca Ultima Cena e, più avanti, la figura di San Rocco, protettore dalla peste e unico affresco mai coperto dalle intonacature. Datato da un’i7 - Per un approfondimento sulla storia della chiesa e sugli affreschi, vd. Massimo Romeri, San Bernardo a Faedo, Annuario CAI Valtellinese 2011, pp. 130131; sugli aspetti tecnici del restauro, vd. www.sanbernardodifaedo.it/restauro.html scrizione al 1568, è attribuito a Luigi Valloni, pittore originario di Albosaggia e attivo nella media Valtellina, spesso in collaborazione con Cipriano Valorsa8. Nell’abside e sul lato dx della chiesa i restauratori hanno messo in luce altri affreschi realizzati nella prima metà del Cinquecento: è incredibile come questa piccola chiesa, lontana dai grandi centri abitati moderni e apparentemente spoglia, possa racchiudere centocinquant’anni di storia dell’arte valtellinese, quasi fosse un catalogo! Sappiamo che il progetto di restauro non finisce qui, ma prevede anche la sistemazione della pavimentazione e della facciata, oltre a scavi archeologici. Tornati ai Gaggi (m 779, ore 0:35) per la via di salita, attraversiamo il grande prato in direzione S, mirando a raggiungere l’affaccio sulla val Venina, dove incontriamo il sentiero che conduce al Mulino dei Galli. Il sentiero di discesa va affrontato con prudenza, dal momento che taglia un versante molto scosceso e in alcuni tratti piuttostro stretto. Nonostante questa primavera sia stato pulito e ripristinato, erba alta, rami e spine l'hanno rioccupato per la mancanza di manutenzione e talvolta risultano davvero fastidiosi. Con un lungo traverso in discesa (S) divalliamo immergendoci sempre più nel fitto bosco con brevi tregue di luce in corrispondenza di alcune grigie pietraie9. Quasi nel fondovalle, il sentiero piega bruscamente a sx (N, cartello), riscendendo la valle e accostandosi infine al torrente, che proprio in località Mulino dei Galli (m 640, ore 0:50) crea delle piccole, ma spettacolari forre, parzialmente occultate da una vegetazione rigogliosa. Esploriamo i ruderi di quello che anticamente era un maggengo dotato di stalle, fienili, casel del lac’ 10 e alcuni impianti artigianali, fra 8 - Per una breve panoramica sul pittore grosino vd. Gioia Zenoni, Cipriano Valorsa, LMD Autunno 2010 n. 14, pagg. 93-97. 9 - Questi tratti, in cui la mulattiera è stata ricavata accomodando con cura i massi, sono ben visibili dalla sponda opposta della valle dove corre la carrozzabile che da Mon sale a Vedello. 10 - Sotto un grande masso che forma una specie di grotta si trova una sorgente d'acqua che veniva utilizzata sia per conservare il latte, che come fonte di acqua potabile. Passeggiata a Faedo 97 Escursionismo Versante Orobico cui un mulino, come indicato non solo dal toponimo, ma anche dalla presenza di una macina in pietra11 per i cereali che qui convergevano dalle contrade di Faedo. Ci divertiamo a immaginare l’aspetto di questi edifici quando ancora erano in piedi, deducendone le caratteristiche dai pochi indizi sopravvissuti: generalmente a due piani, interamente costruiti a secco, con pietre più grandi e squadrate disposte sia agli angoli sia come architravi sopra le aperture (porte e finestre). In diversi casi i muri sfruttano rocce affioranti e massi erratici; i buchi nelle pareti segnalano l’altezza del pavimento in legno del piano superiore, posato su travi e ora scomparso. L’accesso al piano superiore avveniva, talvolta, dall’esterno, come testimoniano le scalette in pietra. La luce filtra fra gli alberi e fa brillare di un verde intenso il muschio che anno dopo anno sta ricoprendo tutto: non ci stupiremmo di vedere un folletto uscire da un riparo e saltellare fra le pietre che invadono il viottolo. Un centinaio di metri a valle, sotto il sentiero, si trova un secondo nucleo di ruderi. Fatta la nostra consueta ispezione, proseguiamo (N) a mezzacosta tra vari saliscendi sulla via del rientro, uscendo dal bosco e raggiungendo, sempre più alti sulle forre del Venina, una zona più brulla e arida, in cui il nostro olfatto è punto dai sentori caratteristici della macchia mediterranea. All’uscita della val Venina la vista si apre finalmente sulla Valtellina, regalando scorci molto panoramici su Montagna, Poggiridenti e Tresivio, ma soprattutto sul terrazzo di Vermaglio, situato sul lato opposto della val Venina nel comune di Piateda: la dolce regolarità dei prati e dei filari di vigne contrasta con le pareti scoscese e affilate che precipitano verso il torrente12. A ridosso dello sbocco della valle, dove si trova il testone roccioso chiamato crap de la Furscèla, inizia una discesa più decisa su una mulattiera i cui passaggi più ripidi sono stati 11 - Il mulino, come testimonia Diego De Paoli, negli anni '30 era già in disuso. 12 - Poco più dentro nella valle, si può ammirare il disarmante spettacolo di una vallecola, il valgél di Can, in cui vengono scaricati abusivamente elettrodomestici e rifiuti. 98 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI San Bernardo dopo il primo taglio del fieno (7 giugno 2015, foto Beno). Lungo il sentiero che da Gaggi scende al Mulino dei Galli (7 giugno 2015, foto Beno). Tra le rovine del Mulino dei Galli (7 giugno 2015, foto Beno). agevolati con scalinate di pietra: si tratta certamente di uno dei tratti più suggestivi del percorso. Raggiungiamo le case di Martini (m 553, ore 0:35), a valle di una conca con prati e colture protetta da un poggio che chiude la vista verso il fondovalle, dando l’impressione di essere isolati dal mondo. Da qui, a malincuore, prendiamo la strada asfaltata che con qualche curva ci fa ritrovare, poco prima del cartello d'ingresso alla contrada Scenini, il sentiero di salita. Lo seguiamo fino al Piano (m 300, ore 0:20). Passeggiata a Faedo 99 Approfondimenti Versante Orobico Ricordi di gioventù a Faedo intervista a diego de paoli Redoch Gioia Zenoni Centrale di Vedello San Bartolomeo Fienili la Pensa Molinari La val Venina oggi vista all'incirca dalla medesima posizione (2015, foto Marino Amonini). Significativa immagine della val Venina negli anni '20. In basso a dx si vedono i prati e le baite di Molinari. Sulla dx idrografica del torrente è la vecchia mulattiera della val Venina che Diego percorreva con la madre quando portava la frutta sul cantiere della diga di Scais. Quella in alto sulla sx non è la strada carrozzabile per Vedello, ma la decauville che penetra nella valle in piano dal Gaggio di Piateda (1920, foto archivio Amonini). D iego De Paoli, figlio di Lazzaro, classe 1929, è un falegname in pensione e vive in contrada Scenini. I suoi ricordi di gioventù offrono uno spaccato della vita a Faedo prima che il boom del secondo dopoguerra stravolgesse le usanze di una comunità perennemente in movimento fra gli alti pascoli orobici e il fondovalle valtellinese. Quali sono i suoi ricordi di ragazzino? «Fino ai 18-19 anni, prima di partire per il militare, mi sono occupato assieme a mio fratello dell’allevamento degli animali di famiglia. Avevamo le mucche e abitavamo a Scenini, anche se per portarle al pascolo dovevamo 100 LE MONTAGNE DIVERTENTI trascorrere dei periodi dell’anno in altre località. Alle cinque del mattino, d’inverno, si scendeva a mungere le vacche al Piano, dove c’erano le stalle e dove i prati erano ben tenuti per lo sfalcio; la mulattiera passava attraverso i terrazzamenti con i frutteti, i vigneti e i campi coltivati con i cereali. Dato il clima, insolitamente favorevole per la sponda orobica, si faceva la doppia coltura: prima la segale poi, quando la si raccoglieva a luglio, si metteva il furmentùn, esattamente come a Teglio. Ora non si riesce più a immaginare quel paesaggio. È tutto inboschito e, mentre prima dalla finestra di casa vedevo i prati del Piano, ora gli alberi nascondono addirittura Sondrio! Diego De Paoli, classe 1929, memoria storica del Mulino dei Galli (14 agosto 2015, foto Beno). Finito l'inverno, dove andavate con le mucche? Verso maggio ci si spostava in quota per trovare il pascolo per le bestie: nel corso dell’estate si passava prima ai Gaggi, poi al Mulino dei Galli e infine si raggiungevano gli alpeggi delle vallate di Ambria, per poi invertire il percorso in autunno. Qualche famiglia di Faedo invece caricava in Valmalenco. Come dobbiamo immaginarci il Mulino dei Galli? Era un maggengo con prati e stalle, molto più aperto e certamente meno isolato di oggi, visto che la vecchia strada per Vedello passava sul lato opposto della valle pochi metri più in Autunno 2015 alto. Era un insediamento stagionale: nessuno ci viveva tutto l’anno e non so nemmeno se qualcuno l’abbia mai fatto. C'è chi veniva qui addirittura in villeggiatura d’estate a cercare un po' di fresco. Le donne scendevano da Gaggi per lavare i panni dato che lassù l'acqua scarseggiava. Io al Mulino dei Galli ci sono praticamente nato. Oltre alla mia, c’erano altre due-tre famiglie, ognuna con la sua baita: al piano inferiore si ricoveravano gli animali, in quello superiore si dormiva sdraiati sul mucchio del fieno. Facevamo formaggi e li conservavamo nel casel del lac’ che sta sotto un roccione con annessa sorgente. Lì andavamo anche a prendere l’acqua da bere. LE MONTAGNE DIVERTENTI Quando ha iniziato ad andare in rovina il maggengo? Già quando ero piccolo c’erano alcuni edifici fatiscenti. Il mulino non l'ho mai visto funzionare. Il colpo definitivo è arrivato negli anni Sessanta in seguito alla costruzione della nuova strada Mon-Vedello, quella su in alto che percorriamo anche oggi. Durante i lavori, infatti, l'incauto uso delle mine aveva fatto precipitare a valle massi che hanno danneggiato le costruzioni del Mulino dei Galli, mai più riparate, anche perchè non vi era più interesse nel farlo dato che la pastorizia e l'agricoltura erano state sostituite da altri tipi di mestieri. Noi siamo stati gli ultimi a caricare quel maggengo. Lei ha fatto in tempo a vedere la costruzione della diga di Scais (1936-1939). Cosa ricorda? Ero davvero piccolo. Ricordo che con la mamma si partiva il mattino presto da Scenini con il gerlo pieno di pere e di pesche raccolte nei nostri campi e, dopo una tappa intermedia al Mulino dei Galli, le si andava a vendere agli operai dei cantieri della diga. Questi ne erano molto golosi, come del resto gli abitanti delle varie contrade alte e dei maggenghi di Piateda, in quanto lì non vi erano alberi da frutto. Le sbranavano in un sol colpo, ingurgitando addirittura il picciolo! La frutta era una delle ricchezze del nostro paese e il suo commercio generava un certo benessere. Intervista a Diego De Paoli 101 Escursionismo Approfondimenti C hiesa di S an B ernardo il restauro degli affreschi 1 2 3 4 L'Ultima Cena, affresco quattrocentesco che decora la parete N della chiesa di San Bernardo a Faedo (2015, foto Beno). Nella pagina a fianco: 1- Arco Trionfale, Madonna con Bambino (2015, foto Anna Triberti); 2- San Rocco (2015, foto Beno); 3- L'abside durante l'operazione di restauro (2015, foto Anna Triberti); 4- Abside, il volto di San Bernardo (2015, foto Anna Triberti). P er un restauratore, riportare alla luce una pittura è sicuramente una delle operazioni più spettacolari ed esaltanti: in questa chiesa la rimozione degli intonaci superficiali e delle imbiancature più recenti ha fatto emergere testi pittorici antichi di cui non si conservava memoria. Riscoprire la forma di un viso, una figura di grande bellezza e qualità, o un intero ciclo, ripaga ampiamente delle difficoltà e della grande attenzione che l’intervento richiede. Il restauro degli affreschi - da me seguito e tutt’ora in corso sotto la direzione dell’architetto Luca De Paoli - è stato avviato con il sostegno dell’Associazione Amici di Faedo nel 2010, due anni dopo aver verificato con saggi stratigrafici la presenza di affreschi antichi. Il primo intervento è stato effettuato sulla parete nord della chiesa, dove si è messa in luce l’Ultima Cena. L’affresco è stato quindi pulito, consolidato con 102 LE MONTAGNE DIVERTENTI Anna Triberti Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI stuccature e sottoposto a interventi di ritocco pittorico per garantirne una migliore conservazione e una buona leggibilità. Lo studio del dipinto ha permesso di datarlo alla prima metà del Quattrocento: per la Valtellina, si tratta di un’epoca di transiti di uomini e idee particolarmente felice dal punto di vista artistico, ma di cui ci sono giunte rare testimonianze. Da qui la preziosità di quest’opera, che spicca per qualità esecutiva fra gli affreschi della nostra valle. L’anonimo pittore di San Bernardo ha una formazione tardogotica tipicamente lombarda: possiamo notare le figure allungate, dai dolci lineamenti tratteggiati con linee fluide ed eleganti, disposte intorno ad una tavola definita con dovizia di particolari. In questa Ultima Cena è rappresentato il momento, narrato nel Vangelo di Giovanni, in cui Gesù porge a Giuda un pezzo di pane intinto nel vino, individuando nell’apostolo colui che lo tradirà. È un’iconografia che si è diffusa nell’arco alpino nel XV secolo: per fare solo qualche esempio, la troviamo a San Barnaba a Villa di Chiavenna, alla chiesa vegia di Piazzalunga ad Arbedo-Castione in Ticino, a Santa Marta a Oggebbio sul lago Maggiore. I lavori del 2011 hanno permesso di scoprire un ciclo di affreschi che il bresciano Vincenzo de Barberis, autore anche del polittico dell’Assunta in San Vittore a Caiolo, realizzò intorno al 1530 in occasione di un restauro della chiesa. Sotto un arco trionfale vi è una Vergine con Bambino in trono, mentre nel catino absidale si riconoscono un monumentale Cristo circondato dal Tetramorfo – cioè dai simboli dei quattro evangelisti – derivato dall’Apocalisse di Giovanni, e i santi Bernardo da Chiaravalle e Antonio Abate. Gli affreschi della chiesa di San Bernardo 103 Escursionismo Valchiavenna Lago del Grillo Itinerario Luciano Bruseghini, approfondimenti Sergio Scuffi Il piccolo lago del Grillo. Sullo sfondo il pizzo Galleggione (19 giugno 2011, foto Vittorio LE MONTAGNE DIVERTENTI 104 - www.clickalps.com). Vaninetti Autunno 2015 Sui ripidi fianchi delle montagne che circondano Chiavenna è difficile che l'acqua possa frenare la sua corsa verso il basso. Ma non è sempre così: alle pendici nordoccidentali della Corna di Garzone, appena a ENE del testone alberato del Mottaccio, una piccola conca è riuscita a far nascere la pozza battezzata lago del Mottaccio e oggi conosciuta come lago del Grillo. Il nuovo toponimo, sebbene più simpatico, è un po' improprio, in quanto ereditato dal più lontano pizzo del Grillo. Questi a sua volta lo aveva preso dall'alpe del Grillo, luogo che già Guido Silvestri nella Guida dei monti d'Italia. Alpi Retiche del 1911 segnalava non esser più presente sulle mappe. LE MONTAGNE DIVERTENTI Lago del Grillo 105 Escursionismo Valchiavenna 4 Monte Cónco (2902) Cima di Codéra (2757) Monte Gruf (2936) Pizzo del Grillo (2190) Pizzo di Prata (2727) Monte Beléniga Punta di Schiesóne (2639) (2560) Monte Matra Corna di Garzoné (2206) (2430) Punta Buzzètti (2580) ore di cammino e 1800 metri di dislivello non sono sufficienti a smorzare l'affetto che gli abitanti di Chiavenna hanno verso il piccolo lago del Grillo, ma certo bastano a renderlo poco frequentato sebbene l'itinerario per raggiungerlo permetta di fare un viaggio nel passato e scoprire un'area della Valchiavenna dove un tempo gli alpeggi, oggi in stato di completo abbandono, fiorivano e fornivano sussistenza a numerose famiglie. Il Mottàccio Alpe Prato del Cónto Alpe Damìno Alpe Pescéda VA LS CH IE SÓ NE Alpe Quarantapàn Uschióne Alpe Madréa BELLEZZA Belvedére Deserto Stazione Pratogiano FATICA Partenza: stazione di Chiavenna (m 333). Itinerario automobilistico: raggiunta Chiavenna per la SS 36, parcheggiare nei pressi della stazione ferroviaria, o per levarsi l'impiccio dell'auto, utilizzare direttamente il treno. Itinerario PERICOLOSITÀ - (m 333) - Uschione (m 832) - alpe Pesceda (m 1313) - prato del Conto (m 1434) - bivacco Scarlonzöö (m 1703) - lago del Grillo (m 1960) alpe Tecciali (m 1575) - alpe Damino (m 1320) Uschione (m 832) - stazione di Chiavenna (m 333). F 106 LE MONTAGNE DIVERTENTI Chiavenna e le sue montagne viste da Dalò. Il lago del Grillo è nascosto dietro il testone alberato del Mottaccio (10 maggio 2007, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com). Autunno 2015 sintetico: stazione di Chiavenna accia rivolta alla stazione ferroviaria di Chiavenna (m 333), andiamo a sx verso Pratogiano (piazzale con grandi platani dove il sabato si tiene il mercato). Oltre una curva verso dx, costeggiamo tutto il lato corto della piazza (Giuseppe Garibaldi) e giungiamo nella zona dei Crotti di Pratogiano, quindi, nei pressi del ristorante Crotto Ombra svoltiamo a dx (cartelli segnaletici - seguire per Uschione) e prendiamo via Al Tiglio. Pianeggiamo per un breve tratto lungo LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 7 ore. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 1800 m. Dettagli: EE. Escursione piuttosto lunga. Sentieri segnalati, ma con bolli radi e non sempre facili da ritrovare dopo l'attaversamento di contrade e alpeggi. Mappe: - Kompass n.92 - Valchiavenna e Val Bregaglia, 1:50000 una strada acciottolata, poi imbocchiamo sulla sx una viuzza in salita (indicazioni sentiero n. 12). Accanto al cancello dell’ostello Deserto1, sulla sx i cartelli ci avviano (sx) nel bosco di castagni su una bella mulattiera a gradoni con fondo in selciato2. Dopo 1 - La struttura di 4 piani e quasi 3 mila metri quadri, ex Istituto Don Guanella (orfanotrofio, seminario, collegio e convitto), dal 2004 è stata destinata a ostello. 2 - Accanto al cancello del Deserto, fino a pochi anni fa, si trovava la stazione di partenza della teleferica che serviva Uschione e che ora è stata soppiantata pochi minuti di salita tra enormi macigni di serpentino e pietra ollare, sbuchiamo sul poggio panoramico dei prati del Belvedere3, da cui con lo sguardo si domina Chiavenna e le tre valli che vi confluiscono. Al margine dalla strada, come conferma Aldo Balatti. La mulattiera, invece, sarebbe stata costruita nella prima metà dell’Ottocento durante la dominazione austriaca. I più attenti hanno contato 2853 gradini da Chiavenna a Uschione. 3 - Fin qui il tracciato coincide con quello della storica gara di corsa in montagna a staffetta "Le Marmitte dei Giganti", che quest'anno si svolgerà il 20 settembre. Lago del Grillo 107 Escursionismo Valchiavenna Chiavenna dal Belvedere (foto Sergio Scuffi). dei prati del Belvedere, la facciata di un vecchio fabbricato mostra un dipinto che raffigura lo stemma dei Fagetti, una delle famiglie originarie di Uschione. Attorno al dipinto, e all’immagine di un bambino (il Pedoscìn) nascosto fra i rami di un albero, ora non più visibile, è nata anche una leggenda, che vorrebbe il piccolo in balia di due streghe decise ad ingrassarlo e mangiarselo: storia a lieto fine, visto che il protagonista riesce a scamparla, facendo anche fare una brutta fine alle megere. Riprendiamo il cammino ed entriamo nell'ombroso bosco di latifoglie. Transitiamo a fianco di un’edicola votiva con le raffigurazioni della Madonna, di San Giuseppe e di Cristo in croce (m 550). È datata 1864 ed è molto ben conservata, grazie soprattutto al restauro del 2005. Il tracciato sfiora grossi massi precipitati a valle in tempi remoti e ora ricoperti di muschio e bassa vegetazione. Incrociamo diversi terrazzamenti abbandonati su cui si sono insediati differenti tipi di albero. Piacevole è trovare una solitaria fontanella incassata sotto una roccia e da cui sgorga della buonissima acqua fresca che ci salverà dall’arsura soprattutto al ritorno. A m 800 dal sentiero principale si diparte verso sx una traccia, indicata da un cartello in legno, che conduce alla chiesa di 108 LE MONTAGNE DIVERTENTI Mont del Diàol. Sullo sfondo pizzo Parandone e pizzo Alto (18 luglio 2015, foto Bruseghini). La scalinata che sbuca sui prati del Belvedere (18 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini). Uschione (10 aprile 2010, foto Roberto Moiola). Quarantapan (18 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini). Pesceda (18 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini). Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Uschione. Al momento la ignoriamo, ma ci tornerà utile al rientro. Insistiamo perciò lungo la scalinata in pietra e in breve arriviamo al nucleo di Uschione4 (m 832, ore 1:15, 2.5 km), arroccato su una terrazza a SE di Chiavenna, a monte dell’aspro versante disegnato da boschi e roccioni di serpentino. Uschione è la principale frazione di Chiavenna ed è formata da tre contrade che prendono il nome delle principali famiglie che vi abitavano: Zarucchi, il primo che incontriamo arrivando dal basso, Pighetti, con la secentesca chiesetta dedicata all’Ascensione, e Nesossi, da cui proseguiamo la nostra escursione. Fino al 1872 il borgo apparteneva a Prata Camportaccio. Era abitato tutto l’anno, oggi invece nei mesi più freddi si svuota completamente. La sua popolazione era così numerosa che nel 1813 vi venne istituita una vice-parrocchia dipendente da Chiavenna, proclamata poi parrocchia nel 1886 dal vescovo Pietro Carsana. Qui fu parroco il leggendario prete-alpinista don Giuseppe Buzzetti, il primo, probabilmente, a salire la temibilissima parete N del pizzo di Prata, in solitaria. Don Buzzetti scom4 - Uschione è raggiungibile con una strada carrozzabile che sale da Prata Camportaccio lambendo la bella località di Lòttano, fino alla sbarra che solo i proprietari possono oltrepassare. Lasciata l’auto, occorrono solo 10 minuti a piedi. Lago del Grillo 109 Escursionismo parve misteriosamente nel luglio del 1934: fu visto l'ultima volta sul crinale che separa la val Porcellizzo dall’alta val Codera, mentre rincasava per celebrare la messa domenicale dopo aver scalato la punta Torelli. Dopo esserci dissetati alla fontana in pietra, seguiamo la segnaletica che ci indirizza a E verso il parcheggio sopra l’abitato. Da qui inizia un sentierino erboso che sale per la massima pendenza fino a sbucare al mónt del diàol, modesta piana con ruderi fatiscenti aventi alle spalle rampe di prati. Entrati nel bosco, riprendiamo la salita. Non molto e il tracciato pianeggia, attraversa un ruscelletto che scorre ai piedi di un enorme masso. Ancora un altro breve ripido tratto e giungiamo a una seconda radura dove l’erba è appena stata sfalciata e sono coltivate delle piccole piante da frutto protette con reti dall’attacco dei famelici ungulati. Rientrati nel bosco, guadagniamo rapidamente quota con dei tornantini emergendo su un ampio pendio pascolivo dove baite in parte diroccate si alternano ad altre risistemate: alpe Quarantapan (m 1200). Avanziamo tra radi alberi fino ad avvistare tre casupole (sulla prima di colore rosa ci sono le indicazioni per l’alpe Damino che toccheremo in discesa): preannunciano la panoramica alpe Pesceda (m 1313, ore 1:15, 2 km). Da qui si gode una visione spettacolare sulle vette della sponda destra idrografica della Bregaglia italiana. A farci compagnia un gruppetto di asini che stanchi di pascolare e sfiniti dalla cappa sahariana se ne stanno in panciolle all’ombra di un maso. Attraversato tutto l’alpeggio verso SE, rientriamo nel bosco. La vegetazione si modifica: le latifoglie lasciano spazio alle aghifoglie, con gli abeti che si elevano sopra tutti. La traccia è flebile ma continua e i segnali biancorossi sono ben visibili sui massi e sui tronchi. Dopo poco i campanacci delle mucche ci preannunciano la conquista della tappa successiva: una conca bucolica dove i bovini pascolano placidi: prato del Conto5 (m 1434, ore 0:20, 0.9 km). 5 - Erroneamente indicato come "Prato del Conte" sulle mappe e sui cartelli in loco. 110 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valchiavenna Il minuscolo lago del Grillo in un periodo di secca (18 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini). Il bivacco Scarlonzöö (18 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini). Costeggiamo una caratteristica baita in pietra, di recente ristrutturazione, e ignoriamo la traccia che si stacca verso dx e conduce alle alpi Primalfieno e Tecciali. Raggiungiamo invece a sx una grande costruzione più datata. Qui troviamo una spina dell’acqua: bisogna rifornirsi perché è l’ultimo punto dove c’è dell’ottima acqua fresca. L’ascesa prosegue ripida accompagnata da un vistoso tubo grigio che rifornisce d’acqua l’avamposto appena oltrepassato. Dopo un tranquillo tratto pianeggiante verso E, raggiungiamo un ruscello che, come scopriremo in seguito, proviene dal lago del Grillo. Un’ulteriore rampa ci conduce a una modesta spianata nel bosco dove sorge un edificio isolato, il bivacco Scarlonzöö (m 1703, ore 0:40, 0.9 km). Nel seminterrato c’è una stalletta dove una solitaria pecora nera se ne sta nascosta: secondo me si è sistemata per bene vista l’abbondanza di cibo e beveraggio. Al piano rialzato invece si trova un ambiente minimalista6, sempre aperto, con brande e materassi e una piccola stufa a legna: è un ricovero semplice ma provvidenziale in caso di maltempo improvviso. Un tempo Scarlonzöö era un piccolo alpeggio, utilizzato per circa 15 giorni da chi caricava l’alpe prato 6 - Venendo a mancare una regolare manutenzione, lo stabile oggi, per quanto ancora utilizzabile, mostra i segni dell’abbandono. del Conto. Questo fino agli anni ’50/’60. Successivamente rimase abbandonato, fin quando la vecchia cascina cadente è stata risistemata con rifacimento del tetto (lamiere al posto delle originarie piòte) e del pavimento. Il lavoro è stato eseguito nel 1974/75 da un gruppo di volontari del Consorzio Alpe Conte, con lo scopo di fornire un punto di rifugio per la notte a escursionisti, cacciatori, cercatori di funghi. Riprendiamo la marcia verso dx fino a un poco esteso pascolo. Qui il sentiero si inerpica su per una vallettina cosparsa di pianticelle di mirtillo che ci forniscono un’ottima razione di zuccheri! Riattraversiamo un paio di volte il rigagnolo finché non scompare sotto una pietraia e in breve sbuchiamo nella conca che ospita il piccolo lago del Grillo (m 1960, ore 0:30, 1 km). Nelle sue limpide acque verdi nuotano una miriade di girini, ma si sviluppano anche migliaia di zanzare che provvedono immediatamente a nutrirsi del nostro sangue. Non si scorgono né immissari né emissari: il lago è sicuramente alimentato dalle precipitazioni nevose che ricoprono l’ampio pendio sovrastante che precipita dalla Corna di Garzonedo (m 2430) e da qualche sorgente sotterranea. Rifocillati e riposati ci incamminiamo seguendo la traccia che ci conduce su un piccolo dosso: la Autunno 2015 La parete N del pizzo di Prata dall'alpe Mottaccio (18 luglio 2015, foto Luciano Bruseghini). nostra “Cima Coppi” di giornata a m 2000. Fiancheggiamo ruderi di antiche baite e iniziamo la discesa che in breve ci porta all’alpe Mottaccio (m 1928), da cui si gode una superlativa vista della verticale e rocciosa parete N del pizzo di Prata. Il sentiero affianca un baitone e si immette nuovamente nel bosco, tra i larici, perdendo quota rapidamente. Lungo tutto il periplo è un alternarsi di balconate prative, dove si ergono diroccate abitazioni, e di boscaglia che va pian piano prendendo il sopravvento sui coltivi per l’incuria dell’uomo. Al secondo spiazzo che incrociamo non ci deve fuorviare il sentieLE MONTAGNE DIVERTENTI rino che scende a sx, ma dobbiamo puntare all’evidente ometto in pietra con bollo bianco sulla dx. Costeggiamo il nucleo abbandonato di Tecciali (m 1575, ore 1, 2.2 km) caratterizzato da morbidi pascoli delimitati da muretti di sassi e continuiamo ad abbassarci. All’improvviso tra le piante appare una grossa costruzione a cui ne seguono altre due minori: alpe Primalfieno. Da qui la traccia si fa incerta e i segnavia radi. Bisogna prestare massima attenzione: dopo un tratto in diagonale verso dx, ne segue un altro a sx e poi uno lungo la massima pendenza che permette di sbucare all’alpe Damino (m 1320, ore 0:30, 1.6 km). Usciamo dal bosco, bassi rispetto alle tre baite ristrutturate e, come cammelli che hanno appena attraversato il deserto, ci abbeveriamo dal tubo sgorgante l’agognata acqua! Reidratati, riprendiamo la marcia. Anche in questo tratto la segnaletica non è delle migliori. Pianeggiamo brevemente verso NE, poi evanescenti solchi nel pascolo ci fanno perdere velocemente quota in direzione NO. Alla nostra dx appare, per breve tratto, il pizzo Damino, riconoscibile dalla croce di vetta. Al limitare del prato ritroviamo i bolli segnaletici: pieghiamo a sx (per non perdersi bisogna puntare al baitello nel bosco in basso a sx) e ci affrettiamo lungo il sentiero sinuoso, inizialmente stretto, poi man mano sempre più ampio, agevolato ogni tanto da scale in pietra, fino a un cartello segnaletico in legno appeso ad un albero che ci orienta verso Uschione. Con un rapido tragitto arriviamo nei pressi di un roccione panoramico. Un'altra picchiata e scopriamo una zona molto particolare, ricca di costruzioni in parte interrate e in parte ricoperte di massi, dove vengono conservati al fresco gli alimenti (localmente sono conosciute come crotti Valcóndria). Attraversata la strada asfaltata in breve perveniamo ad Uschione (m 832, ore 1, 2.4 km). Decidiamo di fare una deviazione per dare un’occhiata alla contrada Pighetti (Pighétt) dove sorge la chiesa dedicata all’Ascensione, costruita nel 1609 ed ampliata fra il 1891 ed il 1893. Sul vicino campanile dal colore rosa spento troviamo una targa datata 1877 con un verso di Giovanni Bertacchi, “Sonèe, campan vütem in del viagg, de vicenda in vicenda e d'ora in ora”. Oltre alle case mirabilmente ristrutturate, una particolarità di Uschione è la presenza di molte piante di amarene. Con un veloce zig-zag nel bosco raggiungiamo l’ampia mulattiera percorsa in mattinata e in un batter d’occhio rieccoci a Chiavenna (m 333, ore 0:30, 2.2 km) accolti da una calura e da un’umidità pazzesche: quanto si stava bene al laghetto del Grillo, a parte le zanzare! Lago del Grillo 111 Approfondimenti Valchiavenna Intorno a, Uschione un mosaico di appunti fotografie e poesie Sergio Scuffi M IST ER IO SE CA SC A lle prese con il taglio di un grosso castagno. La foto, degli inizi del Novecento, è stata utilizzata per realizzare una cartolina. I personaggi, evidentemente messi in posa dal fotografo, rappresentano bene, oltre all’abbigliamento di un tempo, una delle occupazioni fondamentali per la vita rurale: la preparazione delle scorte di legna per riscaldare gli ambienti durante i lunghi inverni. Il lavoro occupava tutti gli adulti, e spesso le famiglie si aiutavano a vicenda. Non poteva mancare una benedizione da parte del parroco (archivio famiglia Balatti). AT E L a dirupata parete nord del pizzo di Prata talvolta scarica imponenti cascate che sembrano originarsi dal nulla. Il fenomeno, alquanto curioso da osservare, è legato al fatto che le compatte rocce metamorfiche che formano la montagna permettono raramente all'acqua di infiltrarsi al suo interno. Questo può accadere solo in presenza di ampie fratture, con la conseguente formazione di sorgenti temporanee più a valle dove queste fratture si estinguono. Il fenomeno, tipico degli ambienti carsici, raramente può essere osservato anche in altri contesti geologici, proprio come qui sul pizzo di Prata. Gran parte delle cascate visibili nell'immagine è la conseguenza del ruscellamento superficiale dell'acqua in seguito a un temporale estivo o alla fusione della neve ancora presente in quota e nei canali, ma alcune di esse sembrano nascere quasi dal nulla, lasciando ipotizzare la presenza di queste spettacolari sorgenti (8 giugno 2015, foto Katia Balatti, commento a cura di Riccardo Scotti). U na vecchia cartolina della collana curata dal C4 (Circolo culturale collezionistico Chiavenna); riporta questa poesia trascritta da Marco Sartori su dettatura del poeta contadino Giovanni Nesossi, detto Giovanin Saiotola: Sulla montagna di Chiavenna a settentrione trovasi un paese chiamato Uschione, ed è circondato da cedui e da pinete e il suo progresso sta nella quiete Trovasi a Uschione una signorina che di nome chiamasi Zarucchi Gina ella si dedica all'istruzion religiosa ed è grande scrittrice di versi di prosa. D O Cogoledo che il nome tuo diffondi perchè i natali a Colombo tu hai dato, anche Uschione è un paese di gloria perché di Gina sarà scritta la storia. A a sx Aldo Balatti, don Pierino Pellegrini con ali Crotti di Valcondria: da sx Aldo Balatti, con zia (ànda) Caterina e zia Docuni bambini e Franca Silvani. Un tempo le famimenica (Dumenghìn), poi Nina Pighetti e i genitori di Aldo: Enrica Pighetti e glie risiedevano a Uschione per lunghi periodi; Amerigo Balatti (Americo). Una delle donne in primo piano tiene in evidenza la chiesa, oltre ad essere sede del culto e della devozione il val, strumento molto utilizzato durante la battitura delle castagne - risorsa alipopolare, costituiva anche un irrinunciabile luogo di mentare fondamentale in tempi non troppo remoti -, per ripulire il frutto dai residui aggregazione (1964, archivio famiglia Balatti). dei gusci frantumati (1965, foto archivio famiglia Balatti). 112 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Intorno a Uschione 113 Escursionismo Alta Valtellina Alta Valtellina Monte Varadega Il monte Varadega (m 2635) si trova nell'area del Mortirolo, a E di Grosio e Grosotto e al confine tra le province di Sondrio e di Brescia. È una vetta di facile accesso, dal vastissimo panorama e completamente fortificata. A distanza di un secolo, mantiene ancora quasi intatti i segni degli immani lavori che si svolsero a ridosso della Prima Guerra Mondiale. Eliana e Nemo Canetta BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - Partenza: ponte di quota 1949. Itinerario automobilistico: da Tirano si segue la SS 38 dello Stelvio verso Bormio sino all’uscita di Grosio, ove la si abbandona e si segue per Grosio. Traversato Grosio si supera l’Adda e poco dopo si è al bivio segnalato per il passo del Mortirolo. Si lascia allora la vecchia statale che prosegue per Sondalo, imboccando, a dx, la strada per il passo. Si sale così con numerosissime svolte, trascurando i bivi che portano ai vari maggenghi della zona. In breve si è alla Madonna di Pompei (m 1423), da dove si ha un bellissimo panorama su tutta la media Valtellina e la costiera orobica. La strada asfaltata e abbastanza comoda continua sino ad immettersi a m 1572 nella tortuosissima carrozzabile che sale direttamente da Mazzo Valtellina. La si segue verso monte in un bel bosco e per il Pian di Cop si sbuca al passo della Foppa (m 1852), valico automobilistico non lungi e da tutti confuso col vero passo del Mortirolo (m 1896), che si apre più a E sulla cresta spartiacque ed è solo pedonale. Entrati in territorio bresciano, ci si immette nella lunga carrozzabile militare, anch’essa ampia e asfaltata, che proviene dal passo dell’Aprica e scende a Monno. In breve si è a NE all’albergo Alto (m 1825), dove c'è un bivio. Si va a sx in piano (si tratta di una vecchia strada militare) e si aggira il costone meridionale del monte Resverde A chi dall’area del Mortirolo spinge lo sguardo verso N, il monte Varadega (localmente noto anche come Valradega) appare come una massa rocciosa irta di torri. È il punto terminale della cresta rocciosa che, presa origine dal passo di Gavia, costituisce il gruppo Sobretta-Pietra Rossa. Più a S del monte Varadega l’ambiente, prima aspro e talora non facile, cede ai grandi dossi boscosi ed Sguardo sulla Valtellina dalla grande grotta artificiale del monte Varadega (1 ottobre 2013, LE MONTAGNE DIVERTENTI foto 114 Giacomo Meneghello). Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI per penetrare nel bosco nella valle di Varadega. Poco oltre si è al bivio della stradetta militare che andremo a percorrere e al ponte di m 1949, nei cui pressi è possibile parcheggiare (37 km). Sebbene più tortuoso, è possibile accedere alla zona percorrendo tutta la strada militare del Mortirolo dall’Aprica (31 km dal passo dell'Aprica). Itinerario sintetico: ponte di quota m 1949 - casere del Comune (m 2011) - bivio per il passo di Varadega (m 2275) - bivio per la Tornantissima (m 2490 ca.) - vette del monte Varadega (m 2634 e m 2635). Tempo previsto: 5 ore e mezza per l'intero giro. Attrezzatura richiesta: da escursionismo, consigliati gli scarponi (a inizio di stagione possibilità di incontrare tratti innevati). Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 700 metri. Dettagli: E/EE. Escursione su strade militari e sentieri segnalati. Brevi tratti esposti. Mappe: - Kompass n. 96 - Bormio Livigno Valtellina, 1:50.000; - Multigraphic - Carta dei sentieri e rifugi. Alpi Retiche-Gruppo dell’Adamello, 1:25.000. erbosi della costiera del Mortirolo, che terminerà parecchi chilometri dopo il passo dell’Aprica. Il monte Varadega, al di là di questa sua caratteristica geografica, rappresenta pure lo spalto sud-orientale della cosiddetta Stretta di Grosio e come tale è sempre stato di grande importanza strategica nella difesa della media Valtellina. Ovvio quindi che durante la Grande Guerra fosse possentemente fortificato e fosse stata realizzata addirittura una stradella per accedervi. Infatti una sua perdita avrebbe compromesso la difesa della stretta di Grosio, permettendo agli austriaci di dilagare verso Tirano e verso il Mortirolo che, a sua volta, era un valico di rilevanza strategica notevole tra Valtellina e Valcamonica. La salita al Varadega si compie lungo la stradella militare ampia e facile per Monte Varadega (m 2634 - m 2635) 115 Escursionismo Pizzo Alto alla Croce (2501) Monte Varadéga (2635) I Dossóni (2910) Cime di Gròm (2773) Alta Valtellina Il gruppo del monte Serottini dalla contrada di Sotto a Sernio (30 novembre 2012, foto Beno). Verso la cima del monte Varadega (30 novembre 2012, foto Beno). qualche chilometro, poi più stretta, infine accidentata e talora esposta, tanto da richiedere una buona sicurezza di piede. In compenso si potrà entrare in contatto, a pochi chilometri dalle carrozzabili del Mortirolo, con la realtà di una vetta alpina completamente fortificata che, a distanza di un secolo, mantiene ancora quasi intatti i segni degli immani lavori di quegli anni. ITINERARIO D al ponte di quota m 1949 si percorre verso nord (cartello indicatore) la vecchia stradella militare per circa 3 km, ancor oggi percorribile da mezzi fuoristrada, ma chiusa al traffico privato. In breve si è alle casere del Comune (m 2011), dalle quali sulla dx (NNE) si diparte un tracciato che raggiunge il nucleo risistemato di Pollavia, sotto le immani rupi delle cime di Grom. La stradella, dal fondo un po’ sconnesso, continua lungo il fondo della val di Varadega in un ambiente ormai d’alta quota. Superato il cippo del primo chilometro, si continua a mezza costa e, dopo un paio di tornanti, si distacca verso NE il tracciato segnalato che porta verso il Dosso Alto e il monte Serottini. Poco oltre si è al secondo cippo miliare; la strada compie un’ampia curva e raggiunge un panoramico dosso non lungi dal passo di Varadega, cui accede una recente pista carrozzabile. Nei dintorni sono alcune 116 LE MONTAGNE DIVERTENTI Sulla stradella militare. Sullo sfondo il Varadega (28 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello). La Valtellina dalla mulattiera militare per la vetta del Varadega (28 agosto 2010, foto Meneghello). Autunno 2015 Lungo la mulattiera militare per la vetta del Varadega (28 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello). LE MONTAGNE DIVERTENTI caratteristiche grandi doline. Poco oltre la strada si restringe improvvisamente ed eccoci al terzo chilometro (ore 1). Sopra di noi il monte Varadega appare come un castello roccioso di accesso apparentemente non facile. L’agevole mulattiera, che ha preso ormai il posto della stradella, risale il pendio di un ampio dosso oltre il quale è l’indicazione per il sottostante, non visibile, rifugio Croce dell’Alpe (generalmente chiuso). In molti tratti la mulattiera è perfettamente conservata, esempio pregevole dell’abilità dell’ingegneria militare del tempo. Poco oltre la quota m 2430, tocchiamo il piede della cresta SO del monte Varadega che ci appare turrita e insidiosa. La mulattiera, in questo tratto ridotta a un sentierino, taglia allora il versante occidentale del monte Varadega portandosi a m 2490 ca. sotto le prime rocce della cresta NO della cima. Qui è un importante bivio, poiché dal basso proviene la cosiddetta Strada del Varadega che, iniziando in località Il Baitone (m 1428), sale con infiniti zigzag, prima nel bosco poi tra gande e magri pascoli, a incrociare il nostro percorso. Come indica un cartello, questa strada è l'impegnativa discesa ciclistica detta Tornantissima. Trascuratala, prendiamo quota con due tornanti un po’ danneggiati per poi proseguire verso SE, al piede delle rocce della cresta NO. La mulattiera, qua e là invasa dal pietrame ma nel complesso in buone condiMonte Varadega (m 2634 - m 2635) 117 Escursionismo Alta Valtellina L'estesissimo panorama su Valcamonica e Valtellina che si ha dalla vetta del Varadega (1 ottobre 2013, foto Giacomo Meneghello). zioni, sale così a uno stretto intaglio della cresta SO, ove ci si affaccia nuovamente alla valle di Varadega. Il versante di ripidi canaloni rocciosi, che la mulattiera militare percorre a mezza costa, richiede un minimo di attenzione. Guadagniamo così ripidamente una prima selletta per portarci, quasi in piano, a un secondo intaglio sotto la vetta occidentale e più alta del Varadega (m 2634 e 60 cm, che viene approssimata a m 2635). Poco sotto è una grande grotta artificiale oggi utilizzata come rifugio ombroso dalle capre. Superato un gendarme, la mulattiera è rovinata da una frana, oltre la quale si è all’ampia sella tra la quota 2635 e la torreggiante 2634,1 (approssimata a m 2634 è la vetta minore). Alla sella sono i resti di una trincea danneggiata, dalla quale si gode una vista impressionante sul sottostante Canton de l’Ors. Segue una scaletta in pietra, assai ben conservata, che accede alla galleria che traversa da parte a parte la vetta orientale. Il traforo è alto circa 2 m e altrettanto largo e, dopo una dozzina di metri rettilinei, sfocia in una camera di combattimento di 3 m per 2 m. Chi volesse raggiungere le vette del monte Varadega, potrà dalla sella con trincea salire per un canale, intasato di grandi blocchi che richiedono un po’ di ginnastica, alla vetta maggiore del 118 LE MONTAGNE DIVERTENTI monte Varadega (m 2635, ore 3). La punta più bassa viene invece raggiunta preferibilmente dallo sbocco orientale della galleria che l'attraversa. Dalle vette del Varadega il panorama è vastissimo, molto esaustivo specialmente in direzione delle vicine Alpi di val Grosina e dell’Adamello. Il ritorno avviene per la via dell'andata e richiede 2 ore abbondanti. Tracciati e fortificazioni sulla vetta del Varadega (foto e grafica Canetta). La vetta SO, la maggiore, del monte Varadega (28 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello). Salendo alla galleria che traversa la vetta orientale (2015 e 1997, foto Nemo Canetta). La valle di Varadega dal monte Varadega (28 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello). Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI VARIANTE La dorsale NO conserva tra i suoi anfratti i resti di parecchie trincee e di altre opere difensive realizzate all’epoca. Il percorso dell'intero filo di cresta è più facile di quel che sembra, ma richiede assenza di vertigini e qualche passo d’arrampicata. In tal modo si possono raggiungere alcuni manufatti ancora perfettamente conservati, nonché incrociare i resti di sentierini militari che collegavano le trincee con la mulattiera principale. Sotto l’anticima conviene scendere per uno di questi sentierini e, con qualche cautela, riguadagnare il tracciato principale non lungi dalla prima selletta. È pure possibile però per grandi blocchi raggiungere l’anticima e da questa continuare per il crestone sino alla quota m 2635 (questa variante richiede 1 ora in più di percorso con difficoltà EE). Monte Varadega (m 2634 - m 2635) 119 Rubriche Mosca-Pechino in treno 9289 km di lunghezza, 168 ore di viaggio, 7 fusi orari: questa è la Transiberiana, la linea ferroviaria più lunga del mondo. Costruita tra il 1891 e il 1916 per volere dello Zar Alessandro III, connette Mosca con Vladivostok attraversando tutto il continente asiatico. Appena dopo il lago Bajkal, a 5700 km di treno da Mosca, vi è la cittadina di Ulan Ude, da cui si diparte verso sud la ferrovia Transmongolica. Costruita tra il 1947 e il 1961, attraversa la Mongolia e raggiunge Ulanqab, dove si salda alla rete centrale cinese. È perciò possibile, con un articolato tragitto di 7858 km che si appoggia a Transiberiana, Transmongolica e rete cinese, andare in treno dalla capitale russa a quella cinese. Testi e foto Valentina Regonesi. 120 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Convoglio della Transmongolica nel deserto dei Gobi (18 agosto 2014). Mosca-Pechino in treno 121 Rubriche Valtellinesi nel mondo Mosca - Pechino passando per la Mongolia. Il tutto in 26 giorni. Questo è il viaggio che abbiamo programmato, cercando di far combaciare le coincidenze dei treni e di scegliere in anticipo quali città visitare. Pianificare prima di partire è stato indispensabile, perchè, al contrario di quanto molti credono, la Transiberiana non è una linea ferroviaria a biglietto unico, ma una rete su cui viaggiano numerosi tipi di treno che effettuano molte fermate e con diverse destinazioni. Inoltre, particolarità davvero interessante, in tutta la Russia i treni osservano il fuso orario di Mosca: il biglietto del treno e le stazioni segnano l’orario della capitale, per cui è facile confondersi! Con due cellulari a disposizione, uno l'abbiamo così destinato a ricordarci costantemente l’orario moscovita. MOSCA Arriviamo a Mosca con l'aereo in un caldissimo pomeriggio di fine luglio: l’aria è pesante ma l’eccitazione per l’inizio del viaggio è tale da far sopportare anche il caldo più umido. La città ci regala subito la magia serale della piazza Rossa, dove la cattedrale di San Basilio da una parte, i palazzi del Cremlino e i magazzini GUM dall’altra, tutti magnificamente illuminati, ci lasciano a bocca aperta. La sensazione è di trovarsi in un posto davvero speciale. Nei successivi due giorni Mosca si confermerà una meta turistica di notevole interesse: il mausoleo di Lenin, la cattedrale di Cristo Salvatore, il museo dei Gulag e il nuovo quartiere Ottobre Rosso. MOSCA - IRKUTSK Mercoledì sera, finalmente, si parte. Il fascino della Transiberiana 122 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI è quello di essere un viaggio nel viaggio: si parte, si arriva e si riparte, e ogni volta è come se fosse la prima. Una nuova tappa, un nuovo paese, una nuova lingua e un nuovo fuso orario. Mosca. La cattedrale di San Basilio, costruita tra il 1555 e il 1561 (28 luglio 2014). Mosca-Pechino in treno 123 Rubriche Irkutsk. Tipica casa in legno (3 agosto 2014). Il treno n.63 è pronto al binario 2 della stazione moscovita di Yaroslavsky. Appartiene alle ferrovie Mongole, così come mongoli sono il personale e la maggior parte dei passeggeri, lavoratori che rientrano a casa carichi di beni per i loro famigliari o commercianti che trasportano le loro merci fino alla capitale Ulan Bator. Turisti pochi, silenziosi ed emozionati per il viaggio che li attende. Siamo in seconda classe, cuccetta a quattro posti, ma solo i nostri due sono occupati. Sarà così per tutto il viaggio, con un misto di felicità e rammarico: la comodità della cuccetta “riservata” è un po’ appannata dalla scarsa possibilità di un contatto umano con i locali. Il viaggio in treno dura 4 giorni e 4 notti: il treno fa numerose fermate, e spesso si può scendere a sgranchirsi le gambe o acquistare qualcosa da mangiare. Le tanto celebrate “babuske”, donne locali che vendono cibi fatti in casa al passaggio dei treni, oggi sono state quasi totalmente sostituite da moderni chioschi con prodotti confezionati. Nonostante le scorte valtellinesi, ci adattiamo subito alle abitudini che osserviamo sul treno e iniziamo a pasteggiare con i noodle liofilizzati, spaghetti cinesi che possiamo far rinvenire grazie all’acqua bollente fornita in ogni vagone dal “samovar”, un grosso boiler a carbone sempre in funzione che ci garantisce caffè e tè caldi per tutto il viaggio. La vita in treno è tutt’altro che noiosa, e con il passare del tempo e dei fusi orari si viene a creare 124 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valtellinesi nel mondo Il lago Bajkal presso l'isola di Olkhon. Le acque sono tanto limpide da consentire di vedere fino a 40 metri di profondità (5 agosto 2014). una situazione di estraniazione dal mondo circostante: si dorme e si mangia in qualsiasi orario, seguendo a volte il fuso di Mosca, altre quello locale. Fuori il paesaggio è abbastanza monotono: estessime foreste di betulle tipiche della taiga e rare tracce di antropizzazione. La lettura piacevolmente ci accompagna per tutto il viaggio. IRKUTSK E LAGO BAJKAL Arriviamo a Irkutsk, in Siberia, sulle rive del lago Bajkal, dopo 4 giorni di viaggio, 5153 km e aver toccato molte città importanti come Perm, Ekaterinburg, Omsk e Novosibirsk. Irkutsk, che conta quasi 600 mila abitanti, ha tradizionali case di legno dalle imposte finemente intagliate e dipinte di vari colori. La città è però solo una tappa di passaggio: la nostra meta è il lago Bajkal. Divenuto nel 1996 Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO, è il lago più profondo del mondo (1600 metri) e anche quello con il volume maggiore1: si stima che contenga circa il 20% delle riserve d'acqua dolce del pianeta, se nel conteggio si escludono i ghiacciai e le calotte polari. Inoltre il Bajkal è luogo di pellegrinaggio per il culto sciamanico in quanto ritenuto uno dei cinque punti energetici principali del pianeta. Abbandoniamo così per qualche giorno la Transiberiana e ci dirigiamo all'isola di Olkhon, meta turistica di molti siberiani che considerano 1 - Ha un volume di 23,6 milioni di metri cubi cioè oltre 1000 volte il lago di Como! questo enorme lago proprio come un mare. Khuzhir, l’unico centro abitato dell’isola, è un agglomerato di casette di recente sviluppo dovuto al crescente afflusso di turisti dalla Transiberiana: fino a poco tempo fa, infatti, non c’erano né acqua corrente né elettricità, e ancora oggi il telefono cellulare prende solo in un punto ben preciso del paese. La principale attività sull’isola è la gita giornaliera a capo Khoboy. Truppe di camioncini, residuati bellici sovietici, imbarcano decine di turisti per portarli alla roccia sciamanica sul versante nord dell’isola: foto di rito, pranzo e rientro in serata. Per un contrattempo tecnico non riusciamo a fare l’escursione, ma ci godiamo comunque l’isola prendendo il sole in spiaggia (in bikini, in Siberia) e concludendo la giornata con una bella sauna russa. Torniamo a Irkutsk il giorno seguente e riprendiamo il nostro viaggio in treno per affrontare il tratto da tutti definito il più suggestivo della Transiberiana: la costa del lago Bajkal fino a Ulan Ude, capitale della Repubblica autonoma della Buriazia. Avendo letto entusiastiche recensioni sulle vedute mozzafiato dal treno, che ci hanno fatto faticosamente prenotare posti finestrino dalla parte sinistra della carrozza, attendiamo questo momento sin da prima della partenza: il paesaggio deve essere davvero spettacolare. Rimarrà purtroppo per sempre un mistero: sarà l'unico giorno di maltempo in tutto il viaggio con pioggia incessante e nebbia fitta! Autunno 2015 Ulan Ude, piazza centrale. La grande statua raffigurante la testa di Lenin (8 agosto 2014). BURIAZIA Entriamo in Buriazia in serata. È una tappa insolita per i turisti della Transiberiana, e anche noi l'abbiamo scelta più per la curiosità del nome che per un reale interesse. La popolazione dei Buriati, stimata in oltre 430 mila persone, è la più grande minoranza etnica della Siberia. Le loro caratteristiche somatiche, i loro usi e costumi e le influenze linguistiche ne evidenziano l'origine mongola. Ulan Ude, la capitale, è una bella cittadina di oltre 350 mila abitanti e molto curata, la cui attrazione principale è l’enorme statua raffigurante la testa di Lenin, a detta di tutti la più grande del mondo. In effetti è notevole, e richiama decisamente l’attenzione in quanto posizionata al centro della piazza principale. Non solo: è meta di novelli sposi per le foto di rito dopo la cerimonia. Capitiamo proprio in un giorno di sposalizi e la sfilata di vestiti bianchi, veli e damigelle diventa un vero e proprio spettacolo. Avendo solo un giorno a disposizione, decidiamo di affidarci a una guida locale per visitare un villaggio appena fuori la capitale dove vive un gruppo di cosiddetti “vecchi credenti”. Si tratta di una piccola parte di popolazione che porta avanti ancora oggi le tradizioni religiose e culturali precedenti lo scisma della Chiesa russa del 1666. Veniamo introdotti in un mondo affascinante, dove possiamo assaggiare i loro cibi e visitare le pittoresche abitazioni di legno colorate. Conosciamo anche un gruppo di ospiti proveniente dalla Jacuzia, un’altra repubblica autonoma della Federazione. Sono russi, come del resto i Buriati, ma le influenze dell’Asia più orientale si fanno notare: occhi azzurri ma a mandorla. Visto il clima di grande amicizia, veniamo coinvolti nella rappresentazione di un vecchio rito di matrimonio: vestiti e agghindati di tutto punto, diventiamo i protagonisti di una cerimonia nuziale dei “vecchi credenti”. Lo spettacolo è divertentissimo sia La statua di Gengis Khan si trova a 54 km dalla capitale presso la riva del fiume Tuul Gol. È orientata verso est in direzione del luogo di nascita del condottiero mongolo (10 agosto 2014). LE MONTAGNE DIVERTENTI Buriazia. Tipica casa in legno (9 agosto 2014). per i Buriati che per gli ospiti Jacuti e noi torniamo a casa con un album di finte nozze unico al mondo! MONGOLIA Entrati in Mongolia veniamo colpiti dalla maestosità dei paesaggi: sconfinate distese2 e un cielo merlato da nuvole basse. Dall’Italia abbiamo già prenotato un tour guidato in fuoristrada di 5 giorni: una sosta piuttosto lunga dal viaggio in treno, ma in realtà brevissima se paragonata alla vastità del territorio mongolo. Prima però visitiamo la capitale Ulan Bator, una città dalla doppia faccia: moderna e decadente, con grattacieli di vetro in centro, alti palazzoni figli di una smodata speculazione edilizia, e tende di nomadi nella cerchia periferica. È l’unico grande centro urbano del paese3, e 2 - La Mongolia , che ha una superficie pari a 5 volte l'Italia, è il paese al mondo con la più bassa densità di abitanti: 1,75 ogni km2. 3 - Ha una popolazione di 1 milione e 200 mila abitanti che rappresenta oltre 1/3 di quella nazionale. Inaugurata nel settembre 2008, è opera dello scultore D. Erdenebileg e dell'architetto J. Enkhjargal. Di acciaio, pesa 250 tonnellate ed è costata 4,1 milioni di dollari (10 agosto 2014). Mosca-Pechino in treno 125 Rubriche Valtellinesi nel mondo Ger, tipica abitazione dei pastori nomadi della Mongolia (15 agosto 2014). nel tempo ha accolto le famiglie di pastori nomadi che hanno visto nella capitale una migliore occasione di vita, considerate soprattutto le difficoltà legate al clima rigido dei mesi invernali4. La città ha ancora molto bisogno di crescere e di trovare una sua identità dopo la Rivoluzione Democratica del 1990 che, oltre a portare la democrazia, ha di fatto segnato l'ingresso del paese nell'economia di mercato. Chi più di tutti rese grande la Mongolia è Genghis Khan (11621227), il condottiero che creò l'impero più vasto della storia5. In suo onore è stata eretta nel 2008, 54 km fuori Ulan Bator, un’enorme statua di acciaio raffigurante l’eroe a cavallo. È alta 30 metri e poggia su un edificio circolare alto 10 metri. Durante la visita, entriamo nella statua e saliamo fino alla testa del cavallo, eccezionale punto panoramico. L’11 agosto 2014 inizia il tour 4 - A Ulan Bator la temperatura minima media nel mese di gennaio è -25°C. 5 - L'Impero mongolo arrivò a coprire quasi 1/4 delle terre emerse e assoggettò oltre 100 milioni di persone. Cammelli nel deserto del Gobi (7 agosto 2014). 126 LE MONTAGNE DIVERTENTI Pechino, l'ingresso della Città Proibita (19 agosto 2014). All'interno della ger (15 agosto 2014). guidato che in 5 giorni, macinando chilometri su chilometri, ci porterà a visitare la parte sud del vastissimo territorio mongolo. Insieme alla nostra interprete e al nostro autista ci dirigiamo verso ovest e poi verso sud seguendo labili piste che l'occhio non esperto faticherebbe persino a distinguere. Dagli ampi pascoli verdi, il paesaggio si trasforma e la vegetazione si fa sempre più brulla, fino ad arrivare alla sabbia del deserto dei Gobi. Attraversiamo spazi immensi, pressoché disabitati, dove la presenza umana è riconoscibile dalle tende dei pastori che distano tra loro anche decine di chilometri. Si chiamano yurte, o ger, e sono vere e proprie abitazioni mobili dotate di una grande stufa al centro, che serve sia per scaldare che per cucinare, e arredate come una vera e propria casa (compresa l’immancabile TV). I pastori nomadi le spostano, smontandole, 2-4 volte l’anno, per consentire ai propri animali il giusto ricambio di pascolo. Alloggiamo in queste strutture per l'in- tero tour. Un ambiente spartano, senza servizi igienici, ma fuor dubbio il più genuino tra quelli incontrati in questo viaggio. I giorni passano veloci, visitando templi buddisti, siti naturali e le dune del Gobi: paesaggi incontaminati di una bellezza mozzafiato. Rientrati a Ulan Bator ci attende l’ultimo tratto di Transmongolica. Il percorso non è lungo, ma per una bizzarria risalente a tempi antichi, passiamo mezza nottata nella cinese Erenhot, a ridosso del confine, per il cambio dei carrelli del treno: le ferrovie cinesi, infatti, hanno uno scartamento da 1435 mm, rispetto ai 1520 mm di quelle mongole e russe, per cui veniamo letteralmente sollevati vagone per vagone e muniti di nuove ruote. Giunti a Ulanqab ci immettiamo sulla rete centrale cinese che ci porta a Pechino. L'arrivo nella capitale è traumatico: dagli spazi aperti e silenziosi della Mongolia veniamo catapultati in una megalopoli pullulante di persone, automobili, biciclette e smog, con un tasso di umidità pros- Formazioni rocciose nel deserto del Gobi (10 agosto 2014). Autunno 2015 simo al 100%. Restiamo comunque affascinati da questa città che sembra non avere confini, tanto grandi sono le sue vie e labirintici i suoi vecchi vicoli. Visitiamo la Città Proibita, ovvero il palazzo imperiale delle dinastie Ming e Qing, e piazza Tienanmen, dove si trova il mausoleo di Mao Tse-tung. Nonostante la magnificenza di questi monumenti, siamo però sfiancati dal caldo e dalla quantità di persone attorno a noi: ci rifugiamo allora nei mercati di quartiere famosi per i cibi di strada per stomaci forti. Cavallette, scorpioni e ogni altro genere di insetto vengono offerti a turisti disgustati, ma ormai tutto fa parte di una recita conosciuta da entrambe le parti. Con un ultimo sforzo ci rechiamo a Xi’an, sempre in treno, a visitare il famoso “esercito di terracotta”. Si tratta di migliaia di statue di soldati e cavalli sepolte sotto terra in grandi camere funerarie per oltre 2000 anni e ritrovate per caso nel 1974 da un contadino cinese durante lo scavo di un pozzo. Le statue dei guerrieri, di cui ad oggi L'esercito di terracotta (20 agosto 2014). LE MONTAGNE DIVERTENTI Pechino. Stuzzichini allo scorpione (19 agosto 2014). ne sono state rinvenute e restaurate circa 500, sono tutte a grandezza naturale, con fisionomie diverse, vestiti ed equipaggiati per combattere. Questa scoperta ha portato alla luce un vero e proprio tesoro nascosto, e ancora oggi si continua a scavare con la convinzione che nelle aree circostanti vi siano altre parti dell’esercito e, molto più in profondità e protetto da fiumi di solfato di mercurio, il sepolcro dell’imperatore Qin Shi Huang (260-210 a.C.). Ne restiamo davvero affascinati: la fattura delle statue è pregiatissima, e la loro quantità e disposizione ordinata lasciano senza parole. Xi’an, dal canto suo, si mostra come una bella città con evidenti influenze arabe, trovandosi al termine orientale della Via della Seta. Ancora oggi la Grande Moschea è un punto d’attrazione, non solo per turisti, ma anche per i fedeli musulmani, e l’eredità multiculturale si può sentire anche nei cibi di strada e nelle merci del grande mercato coperto. Rientrati a Pechino non ci resta che visitare l’opera più nota della Cina: la Grande Muraglia. Vi accediamo in un punto non particolarmente turistico, a 3 ore dalla capitale. Serve la seggiovia per salirvi e, una volta iniziato, il percorso è una vera e propria scalata su queste enormi, lunghissime e sinuose mura, che seguono il crinale della montagna per oltre 8000 chilometri6. Voluta e iniziata nel 215 a.C. dall’imperatore Qin Shi Huang per fermare le incursioni dei popoli confinanti, e in particolare dei mongoli, oggi la muraglia, benché Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO dal 1987, inserita nel 2007 tra le 7 meraviglie del mondo moderno, ristrutturata in molti punti turistici, ha parecchi tratti che versano in rovina, vandalizzati e/o decadenti. La nostra avventura partita da Mosca 26 giorni fa termina qui, nella parte orientale dell’Asia, dopo un percorso che il treno ci ha fatto assaporare appieno con la giusta lentezza. 6 - Recenti misurazioni stimano la muraglia lunga oltre 21000 km. La Grande Muraglia cinese (22 agosto 2014). Mosca-Pechino in treno 127 M Rubriche D igrazioni urante la stagione autunnale è facile essere testimoni di spettacolari passaggi di stormi di uccelli migratori provenienti dalla Scandinavia, dalla Russia settentrionale e dall’Europa orientale intenti ad aggirare le Alpi o ad attraversarle, per svernare nell’area del Mediterraneo o in Africa. I solchi vallivi e i valichi alpini risultano essere i percorsi in volo sulle alpi Alessandra Morgillo prediletti perché a minor costo energetico in presenza di tale rilevante barriera geografica e rappresentano, dunque, luoghi di elevata concentrazione dei migratori. I più importanti valichi alpini in Lombardia sono distribuiti a quote comprese fra m 700 e m 1800. In linea generale si possono individuare due vie principali, una orientale, che riguarda i valichi rivolti verso il Trentino e una nord-occidentale dalla Svizzera verso il passo dello Spluga. I due flussi migratori si incrociano in corrispondenza del versante meridionale delle Orobie, dove in passato esisteva un’altissima concentrazione di impianti di cattura, tuttora ricordati in tantissimi toponimi delle valli bresciane e bergamasche. Il fenicottero (Phoenicopterus) è tra le specie migratorie osservabili in Italia, sempre più minacciate dalla perdita di habitat dovuta al consumo Autunno 2015 di territorio all’inquinamento (4 gennaio LEeMONTAGNE DIVERTENTI 2015, foto Marco Santin - www.marcosantin.500px.com). 128 LE MONTAGNE DIVERTENTI Migrazioni 129 Rubriche 1 R ondini (Hirundo rustica), fringuelli (Fringilla coelebs), codirossi (Phoenicurus phoenicurus), storni (Sturnus vulgaris), averle (gen. Lanius), allodole (Alauda arvensis), verzellini (Serinus canarius serinus), tortore (Streptopelia turtur), capinere (Sylvia atricapilla) e moltissime altre specie migratrici solcano il cielo alpino, spinte dall’istinto a percorrere migliaia e migliaia di chilometri, attraversando l’immensa distesa del Mediterraneo e il deserto del Sahara per raggiungere località a sud del mondo dove un clima mite e accogliente garantirà loro abbondanza di risorse per tutto il lungo inverno. C’è chi affronta questo viaggio lunghissimo e ricco di insidie in grandi stormi, spesso in formazione aerodinamica a “V” dove gli individui più esperti si alternano alla guida, ma, tra tutti i migratori, sono i viaggiatori solitari ad affascinare di più, specialmente i giovani di poche settimane che, senza esperienza alcuna né compagni di viaggio, si avventurano verso luoghi che non hanno mai visto prima. Tra i primi a partire vi sono gli adulti del cuculo (Cuculus canorus) che per aver affidato le proprie uova alle cure di altri uccelli possono volgere senza preoccupazioni verso i quartieri di svernamento e i rondoni (Apus apus) che viaggiano molto velocemente perché non si fermano mai a riposare e già a metà agosto in molti hanno raggiunto l’Africa centrale. Talvolta è possibile effettuare anche qualche fortunato avvistamento, come il rarissimo piviere tortolino 130 LE MONTAGNE DIVERTENTI (Charadrius morinellus), che sosta sulle nostre montagne solo qualche giorno durante la sua migrazione autunnale. Uccello limicolo dalle lunghe zampe giallastre, appartenente alla famiglia dei trampolieri, con una apertura alare di circa 60 cm per una lunghezza di 20 cm. Il piumaggio si caratterizza per una colorazione olivastra, che si fa più scura sul dorso, mentre il capo appare nero con la classica macchia bianca tra gli occhi e il collo, una sorta di grosso sopracciglio bianco-crema esteso fin sulla nuca, che si congiunge con quello del lato opposto a formare una "V" molto caratteristica. Nidifica nella tundra artica, in Scozia, Scandinavia settentrionale sino all’estremità orientale della Siberia, ma anche in zone artico-alpine, tra i m 2000 e i m 2500, purchè siano presenti praterie sommitali rocciose con vegetazione bassa e discontinua, ad elevate disponibilità di cibo (insetti). Queste condizioni tipiche delle zone artiche, ovvero mancanza di vegetazione unita ad ampia presenza di insetti, si verificano in pochissimi siti italiani, tra cui le montagne che circondano Livigno e in una piccola area sui monti della Maiella in Abruzzo. Le aree riproduttive vengono raggiunte solitamente a maggio, non appena la neve concede spazio a qualche chiazza di verde. L’estate artica è molto breve e tutto avviene in fretta, sfruttando le lunghissime giornate delle alte latitudini e la grande disponibilità alimentare, i pulcini crescono in fretta e già a fine luglio sono in 2 grado di volare; iniziano, quindi, a prepararsi per la migrazione che li porterà soprattutto in Africa settentrionale e in Medio Oriente, mentre solo qualche esemplare svernerà in Italia. A fine settembre la migrazione si avvia a conclusione: i tortolini hanno raggiunto le aree di svernamento ove rimarranno per sei lunghi mesi, in attesa di ripartire per il Nord. All’interno delle strategie migratorie esiste una grande varietà di comportamenti, con una vasta serie di situazioni intermedie tra specie che compiono periodicamente lunghi viaggi in determinati periodi e con rotte costanti, come le rondini (Hirundo rustica), emblema stesso della migrazione, e altre specie rigorosamente stanziali. In molti casi da una stagione all’altra si verificano solo movimenti altitudinali, come fanno molti uccelli montani, tra cui ad esempio il gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus) o il picchio muraiolo (Tichodroma muraria), che in inverno si spostano regolarmente verso le valli. Esistono poi casi particolari, come le specie irruttive, cioè che compiono delle vere e proprie irruzioni, trasferendosi in modo imprevedibile e irregolare, anche a distanza di anni, in seguito ad eventi climatici straordinari o a fattori legati alla disponibilità alimentare. Così inverni particolarmente freddi in Siberia possono determinare l’arrivo nelle nostre vallate alpine dello splendido beccofrusone (Bombycilla garrulus), o altre specie che si nutrono di bacche e semi e che sono, quindi, strettamente legate Autunno 2015 3 alla produttività dei boschi, possono compiere ogni tanto delle vere e proprie invasioni, come è solito fare il crociere (Loxia curvirostra). 1- Durante il periodo invernale, la popolazione del crociere (Loxia curvirostra) aumenta nei boschi di conifere alpini grazie alle migrazioni dal nord verso l’Europa centrale (5 giugno 2009, foto Jacopo Rigotti). Questa e altre immagini, oltre alle schede dettagliate degli animali delle Alpi, sono presenti su Alpi Selvagge, disponibile nei migliori punti vendita e su shop.clickalps.com. 2- Il cuculo (Cuculus canorus) è uno dei migratori più precoci perché non ha bisogno di perdere tempo nell’allevamento della prole, affidata alle inconsapevoli specie di cui è parassita. Gli adulti lasciano l’Europa già a luglio mentre i giovani affronteranno il lungo viaggio fino all’Africa settentrionale da soli un mese dopo i loro genitori. Alcuni scienziati ritengono che questi uccelli possano attraversare il Mediterraneo e il deserto del Sahara in un unico volo di 3000 km (18 marzo 2013, foto Jacopo Rigotti). 4 3- Il gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus) è un corvide che come molti altri uccelli alpini in autunno compie movimenti altitudinali, scendono dalle alte quote verso le zone più confortevoli di fondo valle (24 giugno 2012, foto Alessandra Morgillo). 4- Il picchio muraiolo (Tichodroma muraria) è così chiamato perché è solito trascorrere gli inverni rigidi sui muri delle torri e dei campanili dei centri abitati montani e in alcuni casi può decidere di sfuggire alle giornate più fredde rifugiandosi nelle città (23 febbraio 2013, foto Jacopo Rigotti). 5- Il piviere tortolino (Charadrius morinellus) è un avvistamento molto raro perché è di passaggio sulle nostre Alpi. Sosta solo qualche giorno nelle praterie ricche di insetti d’alta quota per rifocillarsi prima di riprendere il suo grande viaggio migratorio verso Sud (30 luglio 2013, foto Jacopo Rigotti). LE MONTAGNE DIVERTENTI 5 Migrazioni 131 IL MIGLIOR FOTOGRAFO LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 1 Bagni di Masino (26 ottobre 2013, foto Simona Rizzi). Recensione (a cura di Beno) Il fotografo - Simona Rizzi La scelta della miglior fotografia per questo numero autunnale è stata ardua, in quanto abbiamo avuto molti concorrenti che hanno presentato scatti ben eseguiti e con soggetti molto significativi. Così la mia decisione è stata condizionata da fattori soggettivi. La stavano per spuntare le splendide capre orobiche di Cristiano Perlini, ma imponendomi di non cedere alla mia caprofilia, ho premiato la composizione più rappresentativa dell'autunno valtellinese, ovvero la fiabesca faggeta dei Bagni di Masino ritratta da Simona Rizzi. Nell'immagine le foglie morenti vanno a posarsi sui vari pianerottoli rocciosi e sul serpentone della strada asfaltata, non riuscendo a fermarsi sulle facce più scoscese dei massi. Queste pertanto mostrano la loro brillante pelliccia di muschio verde, inespugnabile anche dal freddo più intenso. La mancanza di fogliame nel centro della carreggiata mi suggerisce che lungo la giornata ci sia stato un intenso traffico veicolare e l'inquadratura, effettuata nella direzione di San Martino, sembra sussurrare: "Finalmente se ne sono andati tutti", perlomeno dietro a quel grosso masso che rappresenta la porta per il magico mondo dei Bagni di Masino. Valtellinese, nata nel 1976, ho cominciato a fotografare da una dozzina d'anni, grazie alla diffusione delle macchine digitali. Una passione, quella per la fotografia, nata con l'amore per i viaggi e il desiderio di prolungarli anche dopo il rientro; così uno scatto diventa memoria e ricordo dei luoghi visitati e delle esperienze vissute, da conservare e condividere. Poco importa se il viaggio mi conduce oltreoceano, in una capitale europea o a pochi chilometri da casa, tra boschi, paesini, alpeggi e vigne della mia bella Valtellina. Vicini o lontani, paesaggi, città, natura e animali sono i miei soggetti preferiti. MANDA LE TUE FOTOGRAFIE Due sezioni dedicate ai nostri lettori: - una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo", i loro scatti inerenti i monti di Valtellina e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected]. - una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate esclusivamente all'indirizzo email [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista (o un oggetto personalizzato LMD, come il retro della nuova mappa della Valmalenco) e, preferibilmente, uno scorcio del luogo. Per esigenze grafiche, e non per corruzione degli addetti, alcune immagini potranno essere pubblicate in anticipo rispetto all'ordine di invio. Pure la grandezza di pubblicazione non è proporzionale al peso del salame "di casa" inviatoci, ma rispecchia solo criteri di grafica. Non si accettano fotomontaggi. 132 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 2 3 1 ➣ Svizzera - Giovanni, Marialuisa e Chiara presso lo Stellisee sopra Zermatt con vista sul Cervino (m 4478) (13 luglio 2015). 2 ➣ Alpi Orobie - Monte Culino: Fabrizio e Alessandro, vincitori del superconcorso del numero 32 de LMD (26 giugno 2015). 3 ➣ Alto Lario - Gabriele, Patrizia e Patrizia, Fabio, Lucia, Diego, Mauro, Angelo al 30° anniversario del bivacco Ledù (17 maggio 2015). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 133 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 5 9 4 6 7 4 ➣ 5 ➣ 6 ➣ 7 ➣ 8 ➣ 134 8 Sud Africa - Ginevra ed Emma ricordano gli albori de LMD in un safari a Madikwe (28-29 giugno 2015). Valle delle Cartiere (BS)- Alessandra, Gioia e Valentina cercano refrigerio nel torrente Toscolano (19 luglio 2015). Croazia - Stefano, Gabriele e la nazionale italiana di skiroll in occasione della coppa del mondo a Oroslavje (12 luglio 2015). Alpi Retiche - Il sogno di una famiglia: Eliana, Olio e Poty in vetta al pizzo Badile! (4 luglio 2015). Perù - Dopo sette lunghissimi anni "hoy voy a verte de nuevo" e porto LMD a Machu Picchu! (24 giugno 2015). LE MONTAGNE DIVERTENTI 11 10 Autunno 2015 9 ➣ Morbegno - Francesca e Marco hanno pronunciato il fatidico sì (20 giugno 2015). 10 ➣Monte Bianco - Patty, Sergio, Graziana, Eugenio, Lorena, Silvio e gli Arcangeli raggiungono la punta Helbronner (m 3462) con la nuova funivia Sky Way Monte Bianco, inaugurata il 23 giugno 2015 e che sale ruotando di 360° (26 giugno 2015). 11 ➣Dolomiti - Adamo e Cristian al cospetto delle torri del Vajolet in val di Fassa (19 giugno 2015). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 135 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 12 13 18 14 15 16 17 19 20 12 ➣Sardegna - Luca e Tommaso in vacanza a Capo Pecora (13 luglio 2015). 13 ➣Bianzone - Pranzo "Da Marisa" alla Bratta (19 luglio 2015). 14 ➣Alpi Orobie - Gianmario e Federico al bivacco Corti in val d'Arigna (28 giugno 2015). 15 ➣Alpi Orobie - Mario, Alessandro, Viviana, Franco, Norma, Agnese e Rita presso il lago di Pisa in val Belviso (21 giugno 2015). 16 ➣Norvegia - Caterina, Alessandra, Luciano, Vanessa, Clementina e Cesare al lago di Hornindalsvatnet, il più profondo d'Europa (9-6-15). 17 ➣Valchiavenna - Gli "Amici dell'Angeloga" davanti alla baita di Angelo, Pinuccia, Elena e Simone (21 giugno 2015). 18 ➣Valmalenco - I ragazzi del Grest di Mossini, Sant'Anna, Triangia e Torre ai piedi del pizzo Scalino (m 3323) durante una lunga escursione nella valle di Campagneda (18 giugno 2015). 19 ➣Alpi Orobie - "Paolo and friends" hanno raggiunto con la joelette e LMD la cima della Rosetta (19 luglio 2015). 20 ➣Alta Valtellina - Don Romano e i ragazzi delle scuole medie e superiori di Grosotto al rifugio Pizzini-Frattola (m 2706) in val Cedèc (3 luglio 2015). 136 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 Le foto dei lettori 137 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 22 26 21 23 27 24 25 21 ➣Baviera - Rosa Pedruzzi con Ismaele e Emanuela Bassi in visita al castello di Neuschwanstein (5 aprile 2015). 22 ➣Bassa Valtellina - Paolo Ligari in volo sopra il Legnone (24 giugno 2015). 23 ➣Valchiavenna - Ragazzi di prima media e animatori presso la baita della parrocchia di Chiavenna a San Sisto (30 giugno 2015). 24 ➣Valmalenco - Federico e Ilaria leggono LMD in val Sissone (5 luglio 2015). 25 ➣Camogli - Aldo alle prese con una mega frittura di mare e montagne dentro una super padella alla sagra del pesce (10-05-2015). 138 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 28 26 ➣Alpi Orobie - I 40 amici reduci della 17a edizione della "Notturna alla croce di Talamona" (26 giugno 2015). 27 ➣Monte Resegone - Il gruppo Maistracc di Parè (CO) vincitore del 50° "Assalto al Resegone" (5 luglio 2015). 28 ➣Alpi Orobie - La "Terza tendata dei Diavoli Rossi" del GS CSI Morbegno località Arale in val Tartano (27 giugno 2015). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 139 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 30 34 29 35 31 36 32 33 37 38 29 ➣Spagna - Anche nell'azzurro mare di Son Saura, Giuly e Lory sognano "Montagne divertenti"! (13 luglio 2015). 30 ➣Austria - Da Salisburgo a Vienna, Simona, Giuseppe, Cecco e una mucca! (1 maggio 2015). 31 ➣Tenerife - Matteo e Francesca sul Teide, la montagna più alta della Spagna (m 3718) (16 maggio 2015). 32 ➣Monte Cervino - Paolo Pedrazzoli in vetta alla "Gran Becca" nel 150° anniversario della sua conquista (9 luglio 2015). 33 ➣Turchia - Remo e i soci ornitologi insieme alla guida Andrea presso il paesino di Sivrikaya (10 giugno 2015). 34 ➣Tibet - Gabriella e Mario col gruppo di "Avventure nel mondo" a Lhasa davanti al monastero del Potala (25 aprile 2015). 35 ➣Alpi Orobie - Piercarla, Gianluca e Alessandra presso la diga di Frera che origina il lago di Belviso (27 giugno 2015). 36 ➣Livorno - Due giovanissimi lettori, Riccardo e Gioele, al golfo di Baratti (30 giugno 2015). 37 ➣Alpi Retiche - Soci e simpatizzanti della sezione AVIS di Poggiridenti all’alpe Rogneda (26 luglio 2015). 38 ➣Salento - Alberto e Marcella e i loro amici di San Foca (17 maggio 2015). 140 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 Le foto dei lettori 141 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 39 40 Monte Bianco (16 luglio 2015). 41 Ortles, l'arrivo in vetta (1 luglio 2015). 42 45 Solda (1 luglio 2015). Lidia, Elisa e Marco (16 luglio 2015). 39 ➣Valchiavenna - Matteo e Silvia a Savogno in compagnia di don Guanella nel centenario della sua scomparsa (20 giugno 2015). 40 ➣Cipro - Monsignor Francesco Abbiati con parrocchiani e amici di Albosaggia al sito archeologico di Kourion (18 aprile 2015). 41 ➣Torre di Santa Maria - Agnese Folatti, classe 1915, come ogni estate lascia Milano per tornare nella sua Valmalenco (12-07-2015). 42 ➣Abruzzo - Un bel gruppo di scarponi, con "sciurete", approdano a L'Aquila per l'88° Adunata Nazionale (17 maggio 2015). 43 ➣Valchiavenna- Eliana e Cristina ai piedi del piz Ledü (2 giugno 2015). 44 ➣Kenya - Maurizio Piganzoli porta LMD nel villaggio di Pisikischio (13 gennaio 2015). 45 ➣Marco De Gasperi - L'1 luglio e il 16 luglio 2015 l'amico Marco De Gasperi, classe 1977 di Bormio, 6 volte campione del mondo di corsa in montagna e skyrunner di livello internazionale, ha stabilito due primati cronometrici di salita e discesa in velocità a dir poco strabilianti. Rispettivamente dell'Ortles (m 3906) da Solda (m 1960) passando per il rifugio Payer e la via normale in 2h 36' e del monte Bianco (m 4810) da Courmayeur (m 1060) per il rifugio Gonella e la via degli Italiani in 6 ore e 43 minuti. Queste performance di assoluto rilievo rientrano in un progetto chiamato "boymountaindreams" (www.boymountaindreams.com) attraverso il quale Marco porta a compimento quello che era forse la sua più forte vocazione sin da bambino: salire e ridiscendere il più velocemente possibile le vette dei suoi sogni. Due ascese differenti come lunghezza, rischi e difficoltà, tanto che l'Ortles è servito quasi a preparare mentalmente e convincere Marco che il record del monte Bianco, che apparteneva da 20 anni a Fabio Meraldi, fosse attaccabile nonostante le condizioni quasi proibitive del ghiacciaio che mai come quest'anno è provato dal grande caldo (Meraldi di suo aveva dovuto batter traccia in salita a causa di una recente nevicata). Missione compiuta, seppur di poco più di un minuto. Questa prestazione, da un lato ha confermato le straordinarie capacità di Marco, dall'altro ha ricordato a tutti l'indiscutibile talento di Meraldi, anch'egli valtellinese e uno dei più grandi scialpinisti e skyrunner di tutti i tempi (testo e fotografie Giacomo Meneghello). 142 LE MONTAGNE DIVERTENTI 43 44 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 Le foto dei lettori 143 soluzioni del n.33 Vincitori e vinti Ma 'n gh'el? Il taroccone Giochi Non Si tratta di una primordiale lavatrice a manovella (foto Luigi Bontempi). I vincitori sono: 1. Chicco Gottifredi di Dubino 2. Angela Vanotti di Torre di Santa Maria Hanno inoltre indovinato: Francesco Fanchetti, Antonietta, Bruna Fiorina, Pio Bergomi, Marco e Bianca Fiorina, tra questi sono stati estratti Francesco Fanchetti, Bruna Fiorina e Pio Bergomi per gli altri premi. me ne vogliano gli amici della val d'Arigna, ma in preda a un delirio di Photoshop ho eliminato ben 3 contrade e spostato una vetta. Sapete dirmi quali? Ai 2 più veloci a dare la risposta dalle ore 21:00 del 3 ottobre 2015 la giacca Mello's Full ripid (vedi pag. 60). Tra tutti gli altri che avranno indovinato entro le ore 22 dello stesso giorno verranno estratti 3 fortunati a cui andranno la fascetta estiva LMD + il volume "Il Versante retico. Da Cima di Granda al Monte Combolo". Scrivete le vostre risposte su www.lemontagnedivertenti.com/ concorsi/ Ma 'n gh'el? I cugnùset? Si tratta della chiesa di Sant'Andrea a Civo. Sullo sfondo la possente mole del monte Legnone (9 novembre 2011, foto Beno). Un rifugio del 1921 e uno inaugurato 117 anni fa e quasi subito dismesso (ora baita privata). Li sapete riconoscere? Ai 2 più veloci dalle ore 21:00 del 2 ottobre 2015 la giacca Mello's Full ripid (vedi pag. 60). Tra tutti quelli che avranno indovinato entro le ore 22 verranno estratti altri 3 fortunati a cui andrà la maglietta LMD + il volume "L'alta via della Valmalenco". I vincitori sono: 1. Sergio Proh di Mossini 2. Simone Civati di Teglio Hanno inoltre indovinato: Chicco, Ivan Andreoli, Ivano, Mauro, Simone, Francesco Fanchetti, Marco, Antonietta, Silvaba, Enzo Andreoli, Paola Civati, Marina Berti, Mario Civati, Alessandra Cavada, Marco Del Piano, Cristian Moretti. Tra questi sono stati estratti Francesco Fanchetti, Mario Civati e Alessandra Cavada per gli altri premi. Scrivete le vostre risposte su www.lemontagnedivertenti.com/ concorsi/ ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE 144 LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi 145 Rubriche LE RICETTE DELLA NONNA Mac: minestra tipica della val Gerola Luisa Piganzoli ALPI SELVAGGE le montagne e i loro animali Le Alpi: vette maestose e paesaggi d’alta quota dove la natura e l’alpinismo si incontrano. Nato da un’idea di Roberto Moiola e Jacopo Rigotti, con le foto sorprendenti del team ClickAlps e i testi brillanti di Beno e della naturalista Alessandra Morgillo, questo volume presenta le 24 cime più importanti dell’arco alpino e l’animale simbolo associato ad ognuna di esse. Castagne (foto Roberto Moiola). T ra i più apprezzati frutti dell'autunno vi sono le castagne, storicamente considerate una salvezza alimentare per le genti delle campagne. La coltura del castagno, attività tradizionale delle vallate alpine, nonostante la nascita di sagre e iniziative ad essa dedicate, sta vivendo una fase di declino. L'abbandono delle selve è legato sia al trend negativo dell'agricoltura e della cura dei territori di montagna, che a problematiche fitosanitarie: un parassita, il cinipide galligeno del castagno (Dryocosmus kuriphilus, detto vespa cinese), partendo dal Cuneese nel 2002, ha attaccato tutte le aree castanicole italiane trasformando le gemme dei castagni in palle (galle) in cui si sviluppano e di cui si nutrono le sue larve. I dati asseriscono che nel 2011 si è perso l'80% della produzione nazionale e che la maggior parte delle castagne consu- 146 LE MONTAGNE DIVERTENTI mate in Italia non è italiana. Recentemente è iniziata una sistematica e costosa lotta biologica utilizzando un insetto antagonista, il Torymus sinensis, parassita della vespa che in 6-7 anni, dove introdotto, è in grado di far rientrare il problema. La castagna, come ben sapevano i nostri avi che tanta cura quanta gelosia avevano delle loro selve, è un alimento sano e dall'alto potere nutritivo. Fresca ha un contenuto d'acqua del 50% circa (secca del 10%), fornisce 2000 kcal/kg (secca 3500 kcal/kg), fibre, glucidi zuccherini e amilacei, proteine di qualità, una bassa percentuale di grassi (30 g ogni kg), un buon quantitativo di potassio e altri sali minerali come magnesio, calcio, zolfo e fosforo. È inoltre ricca di vitamine idrosolubili come B1, B2, PP, C e principi attivi grazie ai quali potrete rendere scoppiettanti le vostre serate! Q uesta ricetta, tipica delle vallate orobiche valtellinesi e in particolare della val Gerola, è stata proposta alla Sagra della castagna di Rasura. INGREDIENTI PER 4 PERSONE • 300 g di castagne secche bianche sgusciate • 1 litro di latte intero • 8 manciate di riso • burro • sale PRAPARAZIONE Cuocere bene le castagne con poco sale e acqua facendo sì che rimanga un po' di acqua di cottura. Aggiungere il latte e portare il tutto a ebollizione, quindi versare il riso. Una volta pronta la minestra, mettere una fettina di burro e sale quanto basta. Non mangiare bollente. Autunno 2015 3 diverse copertine solo 20€ nei migliori punti vendita e su shop.clickalps.com con le foto di Roberto Moiola, Jacopo Rigotti, Beno, Vittorio Vaninetti, Giacomo Meneghello, Roberto Ganassa, Francesco Vaninetti, Alberto Locatelli, Fabio Vivalda, Maurizio Lancini, Walter Dell’Armellina, Marco Bottigelli, Stefano Caldera, Paolo Bolla, Francesco Sisti, Luca Gino e Giordano Bertocchi L'alta montagna dà un senso di distacco dalle preoccupazioni del mondo, come se noi portassimo lassù solo la parte migliore dell'animo nostro. Bruno Credaro (1893-1969) LE MONTAGNE DIVERTENTI 149