Voce del desiderio o desiderio della voce?
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Voce del desiderio o desiderio della voce?
XIV Edizione I Colloqui Fiorentini – Nihil Alienum Umberto Saba “Ode la voce che viene dalle cose e dal profondo” 26 – 28 febbraio 2015, Firenze, Palazzo dei Congressi PRIMO CLASSIFICATO SEZIONE TESINA BIENNIO VOCE DEL DESIDERIO O DESIDERIO DELLA VOCE? Uno dei tanti… Ma pur sempre uno. Studenti: Benedetta Baccani, Pietro Bucchioni, Sofia Giovarruscio, Beatrice Lazzeri, Niccolò Mancusi Della classe II del Liceo Classico "Santa Maria degli Angeli" Firenze Docente Referente Prof.ssa Debora Sagrazzini Motivazione: Una tesina ricca di spunti e originale anche nella sua stesura, fatta di frasi brevi ma incisive e suggestive. "Se tutti scorgono l'acqua (il poeta) vede il mare", e questa tesina guarda nella sua stessa direzione. Introduzione: Essere uguali. Vestirsi alla moda. Pensare come tutti gli altri. Questa è la società di oggi: ciò che conta non è essere, ma apparire, ciò che si pensa è in secondo piano. Viviamo in un mondo cinico, in cui quel che facciamo passa sempre sotto il controllo rigoroso degli altri. Nascondiamo chi siamo per proteggerci dalle critiche altrui e ci imprigioniamo dietro ad un’insulsa maschera. Vorremmo semplicemente essere come gli altri, e assomigliare loro in tutto: Nike, leggins a fantasia e felpone per le ragazze; pantaloni con la risvolta, camicie e scarpe di pelle per i ragazzi. Eppure, anche in questa omologazione che caratterizza ormai i nostri giorni, nei nostri modi di essere plagiati da mille modelli e stereotipi, in ognuno c’è un desiderio nascosto di essere diverso, una voce, stanca di essere taciuta e ignorata, che dal profondo del nostro animo grida: “Vivi la tua vita e non quella degli altri. Insegui i tuoi sogni e non quelli degli altri. Sii te stesso!” Il Borgo: “Fu nelle vie di questo Borgo che nuova cosa m’avvenne. Fu come un vano sospiro il desiderio improvviso d’uscire di me stesso, di vivere la vita di tutti, d’essere come tutti gli uomini di tutti i giorni”. In questo verso della poesia “Il Borgo”, Saba esplicita tutto il suo dolore, la sua solitudine. È molto facile essere uguali agli altri, più difficile distinguersi. Facile è vivere, più difficile esserne consapevole. È facile essere un uomo, ma diventarlo, esserlo tutti i giorni, questo è veramente difficile. Saba vive con un’attenzione al particolare, con un desiderio di andare in fondo alle cose diverso dal comune. Non è superficiale. Non è ordinario. Non è un uomo tra gli uomini, in un giorno qualunque di una vita qualunque. Saba vuole capire, vuole scoprire, vuole spremere la realtà e amarla e assaporarla fino all’ultimo istante, fino all’ultimo più nascosto suo segreto. È questo che lo porta a essere fuori dal comune, “diverso”. È questo che rende la sua vita terribilmente difficile e intrigata, la sua esistenza così solitaria. Non può essere capito, perché chi lo circonda non vive nella sua stessa realtà. Non vede la realtà. Se tutti scorgono l’orto, lui vede il prato. Se tutti scorgono l’acqua, lui vede il mare. E nel frattempo, anche il nuovo verde della foglia e l’onda increspata quando tira forte il vento. “Quelli che ballavano erano presi per pazzi da quelli che non sentivano la musica”. Questa frase, scritta da Nietzsche, secondo noi riassume appieno l’esperienza che Saba viveva tutti i giorni. Solo perché nessuno vede quel che vede lui, capisce quel che capisce lui, vive quel che vive lui, ama quel che ama lui. Per questo, nella poesia “Il Borgo”, Saba esprime il suo desiderio di voler essere come tutti gli altri. Interessante è la frequente ripetizione della parola “tutti”, quasi posta a identificare un numero enorme di persone, un mondo intero, da cui lui solo è escluso. È anche particolare la scelta di descrivere questo desiderio che ha avuto, come “dolce e vano”: un ossimoro, un grande ossimoro. Come la sua vita, in fondo. È quel desiderio, così dolce, ma così vano, impossibile da realizzare. Infatti, nella parte finale della poesia, ecco che Saba torna alla realtà: “Ma un cantuccio, ahimè, lasciavo al desiderio, azzurro spiraglio”. Ecco la terribile verità: non possiamo cambiare chi siamo, non possiamo essere uomini tra gli uomini, uguali tra gli uguali. Saba l’ha capito, per questo il suo desiderio è nello stesso tempo dolce e vano, come fosse l’illusione di un pazzo, che si strugge in un sogno irrealizzabile. Dunque siamo senza speranza? Soli in un mondo di soli? Siamo destinati a non avere pace, fino alla fine, a sentirci diversi? L’ultimo verso di questa poesia accende una piccola luce nel buio che i precedenti avevano creato. “Ritorneranno, o a questo Borgo, o sia a un altro come questo, i giorni del fiore. Un altro rivivrà la mia vita, che in un travaglio estremo di giovinezza, avrà pur egli chiesto, sperato, d’immettere la sua dentro la vita di tutti, d’essere come tutti gli appariranno gli uomini di un giorno d’allora”. C’è stato qualcuno, adesso o in miliardi di anni, capace di completare i nostri silenzi, di riempire la nostra solitudine, di dare un senso alla nostra esistenza. Non siamo soli, anzi, in realtà, non siamo neppure così tanto diversi. Foglia morta: “La rossa foglia morta che il vento porta via”. Saba si sente come essa: morto. Sente di abbandonare la vita, sente di non poter più vivere in questo modo: non compreso e solo. Solo al mondo perché nessuno lo può capire, solo nei suoi gesti, solo nei suoi pensieri. Il vento che porta via la foglia, è come il tempo, che vanifica le cose belle e corrode la nostra esistenza. Esso corre, fugge trascinando noi con sé, vittime della sua frenetica e affannosa corsa. “Eppure il tempo soffiava; senza curarsi degli uomini passava su e giù per il mondo mortificando le cose belle; e nessuno riusciva a sfuggirgli, nemmeno i bambini appena nati, ancora sprovvisti di nome”. Questa frase di Dino Buzzati, tratta dal libro “Il deserto dei Tartari”, così semplice e significativa riassume perfettamente questo pensiero. “Per nausea delle parole vane, dei volti senza luce”. È meglio abbandonarsi come la foglia rossa sulla strada, che pronunciare parole vane. Parole senza significato, non pensate, banali suoni per riempire il silenzio, il vuoto che ci circonda. Che guardare volti senza luce, sguardi spenti, persone assenti. “Ma la tua voce, o gentile, mi parla; fa’ che non cada ancora”. Quest’avvenimento ribalta completamente la situazione, strappa il poeta dalla fine e lo riporta in vita. Non è precisato di chi sia la voce, noi supponiamo che non venga direttamente da una persona, ma sia “la voce che viene dalle cose e dal profondo”(Il pomeriggio), quella che solo Saba riesce a sentire e che gli altri uomini ignorano, perché distratti e privi di quella semplicità che permette invece a Saba di ascoltarla. La voce, quella voce, ha ispirato la nostra tesina. Essa, per noi, ha due facce: da una parte è quella del desiderio: il desiderio di essere come tutti gli altri, contrastato da quello di liberarci e mostrarci per chi siamo davvero; dall’altra il desiderio della voce. Pensando alla nostra realtà, alla nostra vita di tutti i giorni da quindicenni, ci siamo chiesti se ci sia realmente una voce e se sia come quella che Saba sentiva. Molto spesso, presi da mille impegni, rassegnati all’abitudine di andare a scuola tutti i giorni, viviamo in modo superficiale, indifferente e lasciamo che ciò che più conta ci sfugga. Non ci stupiamo di fronte alle cose più grandi, figuriamoci a quelle più semplici. Siamo pieni di sogni, speranze e mentre attendiamo con ansia che ciò che vorremmo si realizzi, perdiamo molte occasioni e sprechiamo la vita. A volte vorremmo sentire quella voce di cui Saba parla, per poterci godere di più tutto quello che ci circonda e amare la realtà per quello che è, nella sua semplicità e bellezza. Sappiamo che questo nostro desiderio forse è assurdo, ma quando ci prende è talmente forte da farci stare male. E allora ci chiediamo come riuscire a sentire la voce. Diventiamo più attenti, non diamo niente per scontato, ci stupiamo di fronte alle cose, come un fanciullino, accogliamo tutto con un’immensa semplicità del cuore. Ma niente, la voce continua a non farsi sentire e arrabbiati ci arrendiamo, con profonda delusione. Glauco: Glauco è un ragazzo normalissimo, uno dei tanti, che vive nel mondo di tutti, gioca come giocano tutti, si diverte e non pensa ad altro. Com’è normale alla sua età. Piange se la mamma lo sgrida ed esulta imitando i campioni quando fa goal a calcio. Ha un bell’aspetto, di un ragazzo sano, pulito, allegro. Ha il vestito nuovo e ben stirato, e a casa una famiglia per bene. Vive normalissimamente la sua vita di bambino. Eppure, qualcosa gli sfugge. Perché un suo amico, della sua età, con le sue stesse condizioni, è così diverso e lontano da lui, da tutti gli altri? Perché i suoi occhi, le sue parole, i suoi movimenti hanno in sé come un grande dolore che lo rende così diverso, così poco fanciullesco e spensierato? Glauco non capisce. E prova a parlare, e vuole conoscere il mondo del suo amico, che pare appartenente a un'altra galassia. Vorrebbe riportarlo lì, tra loro, sulla riva del mare, sul campo di calcetto, su ogni singola cosa che possa farlo assomigliare a tutti. “Qual è il pensiero che non dici, ascoso, e che da noi, così a un tratto, t’invola?” È un attimo, e Saba non è più lì. Presente, ma distante. Vede qualcosa che loro non vedono, sente ciò che non sentono. È questo che lo distingue da Glauco e da sua madre: questa grande capacità, questa sua forza di guardare e ascoltare. Il suo cuore è un mare, troppo profondo e buio perché i suoi coetanei possano saperci nuotare. Ma forse, nessuno era capace di nuotare in un luogo così, forse nemmeno le barche enormi che partivano dal porto riuscivano a capire cosa Saba avesse in mente, mentre, dopo una partita con gli amici, si metteva nel suo angolo, solo con i suoi pensieri. E così, in silenzio, nel suo mare infinito, perdeva gli anni migliori, quelli della giovinezza, dell’innocenza e della semplicità, perché la sua mente era già annebbiata da mille pensieri, e i suoi pensieri troppo grandi uscivano dalla testa e andavano a colpire la prima cosa che trovavano: un foglio, un’onda, un amico di nome Glauco. Nel mondo di oggi, specialmente noi ragazzi, tentiamo in ogni modo di omologarci agli altri. Anche chi non lo ammette, sotto sotto ha paura di essere giudicato ed escluso, perciò si adegua alle mode del momento. Ci sono poi quelli che per ribellione o per farsi notare si distinguono in modi stravaganti. Ma solo pochi hanno il coraggio di seguire il proprio cuore, nonostante tutto. Saba era uno di quelli. Ci sono stati momenti in cui ha dubitato di se stesso e ha tentato, quasi sperato di essere come gli altri, ma ha capito poi che non era quella la sua strada. La sua diversità era troppo grande per tenere nascosta e la sua personalità troppo forte per essere imprigionata dietro ad una maschera. Ci vuole un enorme coraggio a essere se stessi, a esprimere la propria opinione in qualsiasi circostanza, senza mai temere di essere giudicati. Saba è stato molto coraggioso, ha sempre seguito il suo cuore e ascoltato la voce che c’era dentro di sé. Conclusione: Il nostro viaggio è finito, o forse, come in molti dicono, è appena iniziato. Nel giro di pochi mesi, siamo andati con Saba alla scoperta di noi stessi. Inizialmente le sue parole ci risultavano molto complicate e faticavamo a comprenderle, ma a poco a poco, ci siamo lasciati guidare dal nostro cuore e abbiamo ascoltato per la prima volta la nostra voce. Leggendo le sue poesie, si è accesa in noi una speranza: quella di riuscire finalmente a liberarci da ogni nostra insicurezza, gettare tutte le nostre maschere e mostrarci per chi siamo davvero. Sarà un’impresa ardua, ma ora siamo consapevoli di non essere soli, perché ci saranno sempre tanti altri uomini come noi, con le nostre stesse domande, le nostre stesse paure e le nostre stesse insicurezze. Adesso sappiamo che la vita, per quanto sia piena di ostacoli e sofferenze, vale la pena di essere vissuta, e anzi le sofferenze, insieme alle gioie, sono necessarie a renderla così bella. Ci siamo accorti che ogni singola cosa, da una foglia morta a un ragazzino ben vestito, urla una verità con una voce che solo pochi sanno cogliere. Urla forte, ed esige di essere sentita. Eppure, nessuno se ne accorge. E quindi, se scrivi poesie oggi, sei un secchione; se non porti le Nike, non ti sai vestire; se guardi il cielo quando sorge l’alba, sei un pazzo. Giudichiamo tanto, ma non guardiamo niente. Ci basta sentire cosa dicono tutti, e potremmo tenere una relazione su un argomento di cui, in realtà, non sappiamo niente. E questa voce, resta lì, sola e non ascoltata, dietro ad un cielo che sembra un quadro dipinto. Poi arriva un pazzo, un sognatore, un eroe della quotidianità, che sente tutto, vede tutto, e parla poco. Sa di non essere capito, sa che nessuno lo capirà mai, forse. Ma scrive ciò che vive, perché ognuno ha la propria storia, la propria visione di questo mondo distorto, e solo i più coraggiosi si prendono la responsabilità di raccontarla agli altri. Il resto del mondo preferisce nasconderla dietro ad un paio di jeans di marca e a una maschera con stampato un sorriso. I poeti si fanno sentire solo da chi vuole ascoltare: è questa la forza delle loro parole. E Saba è riuscito in pieno a farsi sentire. E noi oggi, forse proprio grazie a lui, forse grazie a tante cose, urliamo con la nostra voce, mentre le stelle di questo cielo si spengono e un nuovo giorno ci saluta sorridendo. Forse è questo il bello della poesia, di Saba, del dolore e di questa voce stessa: si fa sentire, ma possiamo scegliere se dargli peso o no. E noi abbiamo scelto di essere pazzi, ma vivi, e attenti alla realtà, nei momenti belli e brutti. Oggi, domani e per sempre.