museo del ricamo e del tessile di valtopina approfondimenti

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museo del ricamo e del tessile di valtopina approfondimenti
MUSEO DEL RICAMO E DEL TESSILE DI VALTOPINA
APPROFONDIMENTI
Il museo trae origine dalle donazioni che hanno avuto luogo a partire dall’anno 2000, stimolate in
buona misura dalla presenza a Valtopina della Scuola di Ricamo organizzata dalla Pro Loco. In
primo luogo sono pervenuti manufatti appartenenti a storiche famiglie di Foligno e Spello, per
estendersi un po’ a tutta l’area della produzione perugina e raggiungere altre regioni: la Toscana e la
Liguria. I contatti sistematici con altri musei, principalmente con il Museo del Merletto di Rapallo,
hanno favorito, infatti, l’ingresso tra le opere del costituendo Museo del Ricamo e del Tessile di
Valtopina di una cospicua e significativa campionatura di manufatti, dono di una storica famiglia di
industriali liguri che tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900 hanno segnato la produzione
siderurgica italiana. Il patrimonio attuale del Museo si compone di quasi quattrocento pezzi già in
parte selezionati all’atto della donazione secondo le varie tipologie tecniche, l’uso, le aree di
produzione dei manufatti, nonché il loro stato di conservazione. Il Museo articola i suoi spazi su un
unico piano. Il percorso si snoda attraverso quattro sale espositive e relativamente in quattro
sezioni: la Biancheria personale, la Biancheria per la casa, la Moda femminile e l’Abbigliamento
infantile; facendo un excursus sull’evoluzione dell’abbigliamento e delle mode.
Durante la seconda metà dell’Ottocento si assiste ad un interesse sempre più spiccato per i corredi e
la biancheria personale. Per la donna elegante tra XIX e XX secolo gli indumenti si fanno sempre
più ricercati, adornati con profusione di merletti. Ricami di bianco su bianco o in colori pastello,
merletti a mano o a macchina contribuiscono alla realizzazione e alla decorazione degli
innumerevoli quanto indispensabili capi della moderna biancheria: parure da sposa, abiti leggeri da
“garden party”, camicette, sottovesti, busti e copribusti, camice da giorno (matinée) e da notte,
vestaglie e deshabillé, mantelline, cuffie da casa e da notte, camiciole, mutandoni, calze, fazzoletti.
La biancheria intima, avviandosi verso il Novecento, si stilizza nella forma e nelle dimensioni per
ingombrare sempre meno, recuperando semmai in ricercatezza e comodità. Anche i celebri
“mutandoni” della nonna subiranno una rapida obsolescenza, lasciando il posto ai più comodi e
moderni composé o “combinazioni”, costituiti da camicia da giorno dai sottili spallini e culotte che
perdono la larghezza in eccesso e si attestano corte al ginocchio o persino a metà coscia. I busti e i
copribusto, dal 1900 fino alla loro scomparsa, sono capolavori di finezza esecutiva, poiché si
devono intravedere attraverso la superficie trasparente delle nuove camicette alla moda, in rete,
merletto o pizzo. Nondimeno anche i tessuti subiscono oscillazioni di gusto: si affiancano alle sete
preziose le ricercate batiste o i tessuti foulard, entrambi di cotone e illeggiadriti da ricami, pizzi
eseguiti a fuselli, in stile Rinascimento o a punto Venezia. Durante il nuovo secolo, dunque, nella
lingerie impera il lusso assieme all’eleganza, a scapito della solidità e della durabilità delle materie
prime, non più richieste ormai, in conseguenza del continuo cambiamento degli stili.
Nelle epoche passate le ragazze iniziavano a pensare alla biancheria per la casa fin dalla più
giovane età, avviate all’attività di ricamo fin dai tempi del collegio. Il corredo, infatti, si componeva
di manufatti per la persona e per la casa abbelliti da complicati merletti, con i quali venivano
caratterizzate balze per copriletto, lenzuola, tovaglie e asciugamani. A partire dalla fine del XIX
secolo la futura sposa non realizzava più personalmente la totalità del proprio corredo, preferendo
rivolgersi a negozi, o alle famose “cucitrici di bianco” oppure a laboratori conventuali. Nonostante
l’introduzione del colore nelle lenzuola e nella biancheria, per il corredo si continuerà a preferire il
ricamo e il tessuto bianchi e, nella scelta dei motivi decorativi, quelli floreali, caricati di simbologie
inneggianti alla felicità e all’amore eterno, ad esempio il fiocco o “nodo d’amore”. La biancheria da
letto tra Ottocento e Novecento segue le bizzarrie della moda e si orna di tutte quelle raffinatezze
che la rendono sempre più elegante e pregevole. Persino la biancheria da tavola assume sempre più
importanza dai primi del secolo. Rapido successo ottengono le tele di Fiandra (dette anche
damascate) per le apparecchiature di maggior riguardo, assieme al lino; mentre per l’uso quotidiano
le tovaglie rimangono piuttosto semplici, con ricamate le iniziali del padrone di casa in bianco o a
colori pastello. Il ricamo rimane maggiormente indicato per la biancheria da colazione o da the,
nelle quali i cotoni e le sete colorate compongono ghirlande e mazzi di fiori, medaglioni a farfalla,
uccelli e figure allegoriche.
Nella terza sezione dedicata alla moda femminile vediamo come gli abiti tra la fine dell’Ottocento
e i primi venti anni del Novecento vanno incontro a una rapida semplificazione. Diviene sempre più
frequente l’uso del merletto, il cui successo tocca il suo culmine dopo il 1870. Con questa tecnica
sono spesso confezionate parti strategiche dell’abito come mantelline, camicette, carré, jabots, le
balze a corolla delle gonne. Di colore bianco, in tessuti finissimi ma comunque abbelliti e
impreziositi da questo elemento fisso, debutteranno anche le toilettes da “garden party”, nuova
tipologia di abiti dettata da rivoluzionarie teorie estetiche e igieniste che promuovevano per la
donna una confidenza maggiore con le attività sportive e la vita all’aria aperta, facendole
progressivamente abbandonare anche l’anacronistico uso del busto. Durante la Belle Epoque, dopo
il sostanziale contributo estetico-stilistico impresso alla moda internazionale dal celebre sarto
parigino Paul Poiret, attraverso la promozione di linee più semplici e verticali, i pizzi e i merletti
vengono messi da parte a favore delle stoffe stampate e dei ricami. Ma è la modellistica la vera
protagonista della moda anni Venti e Trenta, la quale dimostra di attestarsi su una continua ricerca
di tagli innovativi e nuove costruzioni sartoriali che evidenzino soprattutto i rapporti con il colore e
con le geometrie imperanti dell’arte coeva. Cubismo e Futurismo trovano declinazione nei nuovi
guardaroba femminili moderni, attraverso asimmetrie, semplificazioni improvvise e combinazioni
sullo stesso abito di tinte in contrasto.
La storia dell’abbigliamento infantile è anche la vicenda dell’evoluzione dell’infanzia. Nel passato
il bambino era considerato un essere imperfetto e allo stesso modo la fanciullezza un triste periodo
della vita dal quale affrancarsi al più presto. Nel 1762 Jean-Jacques Rousseau con il suo romanzo
“Emile ou De l’education” fissa alcuni criteri essenziali per un nuovo pensiero pedagogico: per
quanto riguarda l’abbigliamento sono significativi molti passi, come quello contro le fasciature e
qualsiasi tipo di costrizione relativa agli indumenti. Per il primo anno di vita non si ammettevano
differenziazioni di sesso e col sopraggiungere dell’Ottocento si cerca di limitare le disuguaglianze
di genere. Di solito tutti i bambini indossavano una veste lunga, simile ad una tunichetta molto
semplice fino ai cinque anni: quindi i maschietti lasciavano l’abitino per indossare i pantaloni. Un
elemento che dimostra di mantenere una certa uniformità, almeno negli ultimi due-tre secoli, è il
vestitino per il battesimo, sin dal XVIII secolo generalmente formato da una veste molto lunga, da
una sottovestina, da una cuffietta e da un porte-enfant spesso assortito da una copertina. Una vasta
gamma di repertori decorativi caratterizzano questi coordinati: iniziali, stemmi nobiliari, tralci di
fiori. Il Novecento si inaugura con l’affermazione di essere “il secolo del fanciullo”. Sono anni di
grande transizione, dove si giustifica il convivere di vecchio e di nuovo: tra tutti regna sovrano
l’abitino di cotone candido, in piquet o in mussola, spesso con inserti lavorati a nido d’ape. Il
bianco, il verde acqua, il rosa antico, sono i colori di inizio secolo. Durante la Grande Guerra l’abito
delle fanciulle è abbastanza corto, a causa delle restrizioni sui tessuti, la vita è appoggiata al fianco.
Nelle anni venti la ripartizione degli abiti da tutti i giorni a quelli per le occasioni importanti rimane
netta e marcata. I due sessi tra gli anni Venti e gli anni Quaranta prendono strade diverse: un
comodo pagliaccetto distingue la tenuta per i maschietti, mentre un abitino con carrè decorato
individua le femminucce. Sono gli anni che segnano il trionfo di una piccola star hollywoodiana,
Shirley Temple, che diverrà una ambasciatrice internazionale per la moda dei bimbi.