La settimana di Natale del 1943 fu molto importante per la

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La settimana di Natale del 1943 fu molto importante per la
La settimana di Natale del 1943 fu molto importante per la Resistenza biellese. I sei distaccamenti avevano
occupato i più grossi centri delle vallate per appoggiare il primo grande sciopero degli operai biellesi. Due
automobili del comando tedesco la mattina del 21 dicembre, martedì, si dirigono verso Tollegno, per
minacciare gli operai della Filatura. Proprio là, è il punto di forza della lotta. Ma, poco dopo il crocicchio per
Pralungo, i partigiani in agguato assaltano due auto: un ufficiale ed un graduato nazisti rimangono uccisi.
Sul mezzogiorno, un altro Ss (delle Ss italiane ) è ucciso nella “piazza del Gallo Antico”1, in Biella Riva,
proprio davanti al negozio Angelico: io che uscivo da scuola, sentii il colpo e vidi l’Ss - che credevo un
tedesco - morto, a terra. Si scatena la rappresaglia tedesca. Una colonna risale la valle del Cervo: alle due e
mezza del pomeriggio, due partigiani, due ragazzi, Afredo Baraldo, Ciccio, di Vercelli, 18 anni, e Basilio
Bianco, di Grimaldi (Cosenza), 19 anni, con determinazione e coraggio proteggono la ritirata di quaranta
loro compagni sulla strada di Pavignano, dove sono catturati dai Tedeschi, dopo aver esaurito tutti i colpi2.
Intanto, le Ss a Biella entrano nel bar “Savona” di via Quintino Sella e, senza motivo alcuno, sparano
all’oste, Angelo Cena, uccidendolo; poi portano via Francesco Sassone, un manovale di 55 anni che, per
guadagnarsi qualche soldo, era andato dal Cena per aiutarlo ad imbottigliare in cantina. Carlo Cardino,
fattorino del farmacista Vigliani di piazza Fiume, di 55 anni, padre di due bimbe e che era a casa in malattia,
residente proprio di fronte al “Savona”, esce per vedere cosa succede: così prendono anche lui come
ostaggio, come già avevano arrestato due lavoratori di Pralungo, Norberto Minarolo, contadino, di 49 anni,
e l’operaio cardatore Pietro Mosca, di 51 anni. Poi avevano preso anche un marinaio in licenza, Aurelio
Mosca, che era uscito per comprare il latte per la sua piccina. Durante tutta la notte i sette sventurati sono
torturati; più di tutti, i due partigiani; dovevano parlare, dare le informazioni sul movimento della
Resistenza, da poco organizzatasi. Ma quei due ragazzi non hanno parlato. La prova magnifica del sacrificio
è che Basilio ed Alfredo sono fucilati come ignoti, come risulta nei libri dello Stato civile del Comune di
Biella. Infatti, la mattina di mercoledì 22 dicembre, i sette sono fucilati nella piazza del “Gallo Antico”. Di
quei sette, uno, sebbene sia stato colpito, vive tuttora: lavora come fuochista all’Ospedale di Vercelli. È
Alfredo Baraldo. L’abbiamo intervistato e ci sembra che questo documento eccezionale meriti di essere
ricordato sull’almanacco de “Ij Brandé”3, perché è una pagina viva della nostra storia, e perché Baraldo fa
onore alla nostra gente. Abbiamo lasciato l’intervista tale e quale: io domando in Biellese, e lui racconta in
Vercellese.
- Alfredo Baraldo è uno dei sette fucilati in piazza del “Gallo Antico”, o di San Cassiano, a Biella. È
sconvolgente parlare con uno di quei sette; sapere di parlare con uno che può dire: «Io sono stato fucilato».
Ricordiamo i nomi di quei sei che non sono qui con noi: Bianco Basilio, Cardino Carlo, Minarolo Norberto,
Mosca Aurelio, Mosca Pierino, Sassone Francesco.
1
La piazza San Cassiano, a Biella Riva, è chiamata “piazza del Gallo” perché lì era situato l’Albergo del Gallo Antico, con
stallaggio; da lì partivano le diligenze e le carrozze (le “giardiniere”) per Oropa. L’albergo è stato abbattuto dopo la
seconda guerra mondiale, e la piazza - che ora è intitolata a S. Giovanni Bosco - è stata allargata e modificata negli
anni ’50: dunque, tutto è cambiato da quel 22 dicembre 1943. L’Ss italiana fu ucciso da uno dei due fratelli Biscotti
(“Mitra” e “Biscottino”) leggendari capi partigiani caduti tutti e due in battaglia subito dopo aver tentato di
organizzare una formazione biellese “Matteotti” di ispirazione socialista.
2
Cfr. ANELLO POMA - GIANNI PERONA, La Resistenza nel Biellese, Parma, Guanda, 1972, pp. 99-100, dove però è detto che i
tedeschi hanno risalito la valle del Cervo ed hanno catturato i due partigiani il 22 dicembre; in realtà, era il 21; infatti, il
22 mattino i due giovani furono fucilati in piazza San Cassiano. CLAUDIO DELLAVALLE, in Operai, industriali e partito
comunista nel Biellese 1940/1945, Milano, Feltrinelli, p. 98 scrive: «A Biella le locali forze nazifasciste fucilarono otto
persone»; come sappiamo, erano invece sette, di cui uno, Alfredo Baraldo si salvò miracolosamente. La prima lapide a
memoria di questi martiri della libertà, realizzata dallo scultore Ferino subito dopo la Liberazione, nel 1945, fu poi
necessariamente sostituita nel 1946, quando si conobbero i nomi esatti dei caduti e chiarita così la confusione
avvenuta relativamente ai due partigiani (il caduto, e quello che si salvò).
3
Questa intervista fu pubblicata per la prima volta su Ij Brandé, armanach ed poesìa piemontèisa 1980, Torino, Grosso
& Tommasone, 1979, pp. 87-93, almanacco interamente scritto in lingua piemontese. I brandé sono gli “alari”, che
sorreggono la fiamma: così ha nome un movimento letterario fondato con il giornale omonimo dal poeta Pinin Pacòt
(1899-1964) per il riscatto linguistico con la lirica del piemontese, liberandolo da contenuti e modelli cari invece al
“vernacolo”. Sul Pacòt (Giuseppe Pacotto) cfr. Dizionario Letterario delle Opere, Appendice N-Z, pp. 173 alla voce
Poesie di Pacòt, Milano, Bompiani, 1966.
Ecco, allora, tu Alfredo, ricordi qualcuno di questi che sono stati...
— Me ne ricordo... tutti, praticamente li ricordo sempre tutti. Di più, quello che è stato partigiano con me,
che era stato torturato anche lui.
— Come si chiamava?
— Basilio. Si chiamava Basilio, ma di cognome... Bianchi, mi pare...
— Ecco Bianchi, anzi: Bianco. Proprio.
— Bianco Basilio... perché noi non ci conoscevamo come... nome, così, come nome legale... ci conoscevamo
tutti per nome di battaglia.
—Eh già, certo... e il suo nome di battaglia?
— Il suo nome di battaglia... non me lo ricordo perché siamo stati poco...
— Tra l’altro, ciò accadde proprio agli inizi della Resistenza, è stato in principio...
— In principio. Eravamo andati in montagna in novembre, noi e... e in dicembre è capitato il fatto...
— Ecco, e dove vi hanno catturato, voi due?
— Ci han preso sulla salita di Pavignano... per difendere la ritirata di circa quaranta uomini. Non eravamo
poi mica tanto ben armati, ed allora per rallentare ’sti tedeschi, per difendere gli altri...
— Ah, è per questo che vi han preso con le armi alla mano!
— Già: presi armi alla mano.
— E vi siete dovuti arrendere...
— Ci siamo dovuti arrendere. Ci siamo arresi... mani in alto.
— Come vi han preso, vi hanno subito...
— Come ci han preso, ce le hanno...
— Ve le hanno date subito lì, ancora sulla strada...
— Han cominciato lì, ci han tolto le giacche, ce le han fatte scoppiare in aria e poi a darci delle botte, a...
— Ma subito, lì?
— Subito, subito. Le botte sono cominciate lì. Han cominciato lì, poi ci hanno portato a Biella, all'albergo
“Principe”. C’era il comando tedesco...
— Vi hanno portato dentro lì...
— Portati dentro lì, e interrogatori tutta la notte.
— E voi, seguitavate a dire che non sapevate nulla...
— Nulla. Che sapevamo niente... che… volevano sapere dove stavamo di casa, volevano sapere dov’erano i
partigiani... noi non gli abbiamo detto niente e... tanto, sapevamo già che dovevamo andare alla
fucilazione... tutti quelli che avrebbero preso... ed è così che mi son trovato ’sti sei, ’sti cinque
praticamente... ’sti cinque che...
— ’Sti cinque li hai incontrati al “Principe”...
— No, li han portati dopo, come ostaggio...
— Ah, ecco. Li hanno portati lì da voi. E vi han chiusi in una stanza, come, dove...?
— Ci han messo nell’entrata, e lì guardati a vista dai tedeschi, e lì battevano sempre, con lo staffile di
gomma, calcio del fucile, battevano sempre, poi uno per volta ci portavano sopra dove c’era l'interprete per
interrogarci, chiederci tutte quelle cose e lì giù botte. Soltanto interrogatori e botte... e niente da fare!
—- E lì, avete passato la notte così...
— Tutta la notte. La mattina, poi, del 22 ci han portati...
— In piazza.
— In piazza.
— E lì, eravate già malmessi, quando vi han portati...
— Oh, eravamo tutti pestati, io vedevo soltanto da un occhio, per le gran botte che avevo preso... si perdeva
sangue dappertutto, dalla testa...
— Ecco, e gli altri li ricordi? I due Mosca...4.
— I Mosca, sì... ne han prese anche loro, delle botte, ma..., sai, loro erano ostaggi, il più era per i
partigiani...
- Già: perché, proprio come partigiani combattenti, eravate soltanto voi due...
4
Intendevo riferirmi ai due cognati: Piero Mosca e Norberto Minarolo; l’altro Mosca (Aurelio), marinaio, non era
parente di Pietro.
— Soltanto noi due. Gli altri erano solo ostaggi che avevano preso, così.
— Poi chi ricordi ancora?
— Ce n’era uno piccolino... adesso il cognome... era quello che lavorava come garzone di farmacia di
Vigliani a Biella. Era un... omettino... fra i quali quando ci hanno fucilato, davanti al plotone d’esecuzione,
era al mio fianco, alla mia sinistra....
— … e questi infelici piangevano, dicevano qualcosa...
— Eh, piangevan altro che... chi cercava di dare anche dei documenti, delle cose per i familiari...
imploravano la grazia, hanno fatto nulla... proprio presi così, a caso...
— Allora vi han fatto uscire dal “Principe”, e condotti su per la strada, per via Umberto, come si chiamava
allora...
— È toccato proprio a me di leggere il bando del prefetto Morsero... la condanna a morte. Via Umberto,
allora sì chiamava così il corso principale di Biella. Ci han condotti là in piazza, schierati tutti e sette in fila, al
petto, con la schiena verso la chiesa.
— E tu, in quel momento, cosa...
— In quel momento, ho espresso l’ultimo desiderio. Perché avevo molta sete, per tutte quelle botte, senza
mangiare ecc., avevo un gran bisogno di bere... e allora mi son detto: alla mala parata, scappo... vado a
bere a quella fontana e poi tento di scappare... ma non mi hanno lasciato andare a bere.
— Non ti han lasciato andare a bere. E quando hai espresso quell’ultimo desiderio, non te l’han concesso.
Neppure ti han dato da bere...
— Neppure m’han lasciato bere. Allora, fin che han dato i documenti, e questo e quello...
— Vi han bendati?
— No, niente bendati.
— Ma... c’era della gente lì intorno, in piazza... vi erano dei parenti?
— C’erano dei parenti, c’era tanta gente che... li han spinti, li hanno spinti loro, i tedeschi, perché venissero
a vedere... come esempio.
— E ’sta gente, cosa diceva? C’era qualcuno che piangeva?
— Altro che, potete immaginare! Momento di terrore...
— Hanno chiamato un sacerdote, prima, o nulla?
— Niente, niente. Non c’era nessun prete. È venuto dopo, per dare la benedizione a tutti questi cadaveri...
— Ma allora, senti... quando eri in fila, così... hai pensato: «Adesso è finita», praticamente...
— Eh sì, ho pensato... ormai... ho salutato tutti nella mia mente, tutti i miei familiari...
— Tu eri l’ultimo della fila?
— Il primo dei sette. Il primo. Il primo della parte destra dei sette. Dov’era il comandante che dava l’ordine
del «fuoco!». Dalla parte destra, con la schiena verso la chiesa, ero il primo dei sette. Hanno dato il
«fuoco!»...
— Hai sentito ancora gridare «fuoco!»...
— Fuoco! Ho visto che hanno armato il fucile, che gli han tolto la sicurezza...
— Hai proprio visto.., o hai chiuso gli occhi...
— No, no, ho visto che han puntato contro di me. Ho visto bene. Bene così. E proprio quando hanno dato il
«fuoco!», quello che mi sparava — già perché la pallottola è entrata qui, è uscita dalla schiena...
— Ti ha colpito nel fianco, sotto alla costola...
— ... sotto alla costola, nella costola, ed è uscita nella scapola, qui nella schiena: soltanto una pallottola.
Erano dodici quelli che sparavano, e noi sette...
— Magari c’è stato qualcuno che ha sparato in aria, chissà...
— Mah, chissà... perché, la mira l'han presa, han mirato bene... e rideva, quel soldato, quello della Ss che mi
sparava...
— Erano tedeschi? ... e rideva...!
— Tedeschi della Ss. Rideva intanto che mi sparava, così... quando ha dato il «fuoco!»... ho sentito uno
strappo, qui nello stomaco, mi sono abbassato così, e tutt’in un attimo... mi son lasciato cadere per terra. E
poi mi son chiesto: che sia già al mondo di là? Che sia morto? Poi apro gli occhi...
— Vedevi soltanto da uno, perché l’altro era tutto gonfio...
— Senz'altro. E... apro allora st’occhio e vedo il capitano della Ss che arma la pistola per venirmi a dare il
colpo di grazia. Io avevo già la faccia tutta rovinata. Quel piccolino, quello che lavorava da Vigliani, quello
della farmacia, si muoveva accanto a me; il capitano delle Ss mi era davanti, ha sparato agli altri sei, mi ha
saltato.
— Allora ha cominciato a sparare da quello dopo di te.
— Proprio da quello dopo di me, ha cominciato a sparare. Ed io ormai mi aspettavo il colpo, e poi invece...
— La pistola ha sei colpi, voi eravate sette... è strano che non abbia cominciato da te, che eri il più vicino a
lui...
— Quello più vicino, ecco... Si vede... o che vedendomi già tutto rovinato, già morto...
— E tu hai sentito tutti i colpi di grazia...
— Tutti i colpi, ho sentito. Uno per uno. E aspettavo sempre il mio. Ora tocca a me. Poi invece ’sti tedeschi se
ne sono andati, ne sono rimasti due di guardia, e la popolazione si è fatta vicino per vedere. Vedere i
cadaveri. In quel momento arrivava il prete per dare la benedizione. Ho sentito che diceva: «Do la
benedizione a questi poveretti, che prima non mi hanno lasciato..., i tedeschi... ».
— Hai sentito dire così...
— Ho sentito dire così.
— Quindi ha dato la benedizione anche a te, e tu eri sempre fermo, fermo...
— Io, sempre fermo, perché avevo paura che mi prendessero ancora; poi mi è venuta una paura ancora più
grande, perché non mi importava di morire, ormai desideravo persino di morire, che la sia finita, basta, per
le gran torture. Poi mi è venuta paura, dopo; paura perché... forse mi salvo... e allora sono rimasto lì, cinque
minuti.; una donna ha detto: «Ma questo è ancora roseo», ed io mi son seduto e ’sta donna dice: «Giù, che
ci sono ancora i tedeschi!». Mi sono abbassato e ’sta donna è venuta e mi ha messo la sciarpa sul viso.
— Ah, è la donna che ti ha messo la cravatta sulla faccia...
— Sì, la donna. Mi ha messo ’sta sciarpa sulla faccia, ed era una sciarpa un po’ trasparente, e potevo
intravedere... con st’occhio solo, vedevo il movimento dei tedeschi... quando si sono allontanati; mi sono
alzato in piedi, sono scappato. Scappando io, è scappata tutta la gente, ho infilato la porta dell’albergo...
— Ma quando sei scappato, la gente se n’è accorta...
— Ho visto che è scappata. Era il terrore che dominava...
— E tu allora, fuggito da lì, dove sei andato?
— Sono andato all’Albergo del Gallo. Ho cercato di andare nelle stanze di sopra, come sono entrato. Perché
era il terrore che dominava... Avevano ragione, sì, sì. Allora ho cercato di venir giù, sono entrato in un
gabinetto, ho chiuso la porta e mi sono appoggiato con la spalla contro la porta del gabinetto.
— E la tua ferita ti faceva male...
— Cominciavo a perdere sangue, e diventavo sempre più debole per lo sforzo di fuggire, e poi per le gran
botte e tutto, ero debilitato... è arrivato il tedesco, ha battuto alla porta, ed io gli ho detto: «Occupato»! Il
tedesco se ne va. È andato sopra, per perquisire... mentre io mi sono detto: se sto ancora qui dentro, mi
prende; allora ho aperto la porta e mi sono messo dietro l’uscio spalancato. Il tedesco ha guardato dentro,
io ero sempre lì nel gabinetto, ma però con la porta aperta, dietro... Lì c'era un gabinetto, al primo piano di
quello stabile... e poi se n'è andato.
— Per fortuna che non c’era del sangue per terra, sai, se avesse visto del sangue per terra, così...
— Perché in quei momenti cominciava a impregnare i vestiti, non era colato a terra. Ho atteso un po', sono
sceso nel cortile, dopo; nel cortile c'era il gioco delle bocce, ho chiesto da bere. Quello lì, l’albergatore, mi ha
dato l'acqua da bere; mentre guardo, scorgo il tedesco che fa la perquisizione nei locali di sopra. Sono
scappato e (l’albergatore) mi ha detto: c'è un muretto, è alto cinquanta, sessanta centimetri, cerca di
saltarlo. Ormai ero sfinito, non sono riuscito a saltarlo. E mi sono nascosto dentro una baracca, lì dov’era il
gioco delle bocce. E sono venuti sin lì a vedere! La tattica tedesca è di entrare col fucile puntato, senza mai
voltare la schiena... io mi ero nascosto dietro la porta. Ha visto che non c’era nessuno, e se n’è andato. Dopo
sono passato da una portina, che dava su un vicoletto stretto che c’era lì, una volta, in piazza San Cassiano;
sono passato dalla portina che mi indicato, mi hanno aperto la porta, e ho fatto il giro. Ho fatto il giro, e
sono andato dal prete per chiedergli aiuto. Il prete mi ha mandato via. Non so se era ancora il terrore che
dominava lì in quel momento, comunque non mi ha medicato, non mi ha dato niente. Mi ha mandato via,
mi sono avviato giù, verso Chiavazza...
— Giù per la discesa di Riva...
— Giù per la discesa di Riva, ecco. Ho trovato un operaio, era a casa in sciopero, mi ha caricato sulla canna
della bicicletta, e mi ha portato a Chiavazza...
— Alla farmacia di Chiavazza...
— Alla farmacia di Chiavazza, bravo. In farmacia, ho avuto le prime medicazioni, (il farmacista) mi ha
cambiato tutto. Quello li della farmacia, sì, insomma, il farmacista, lui e la sua moglie, sta a Cagliari adesso,
è venuto a trovarmi l’anno scorso.
— Ti hanno curato lì, dunque. E ti è andata bene che a quel tempo non c’era ancora il posto di blocco, se no
non saresti potuto fuggire di lì...
— Eravamo nel quarantatré, e di posti di blocco ancora non ce n’era.
— Allora ti hanno portato in farmacia, ti hanno curato: quanto tempo sarai rimasto lì?
— Sono stato quasi tutta la mattina, fino a mezzogiorno. Poi alla farmacia mi han detto: «Vai alla stazione
ferroviaria, prendi il treno e vai ad Arborio». Ad Arborio mi sarei arrangiato per arrivare sino a casa, verso
Vercelli, per poter... già, perché io sto fuori Vercelli, sulla strada per Biella... e così sono andato ad Arborio.
Sul treno ho trovato un partigiano vestito da carabiniere che mi ha assistito. Ha cominciato a starmi vicino...
— E tu gli hai detto: «Io sono scampato dalla fucilazione»...
— Mi ha visto, sapeva chi ero, l’ha subito saputo da Biella... Ad Arborio ci siamo fermati. Io sapevo guidare
la macchina, ma non ce la facevo, svenivo continuamente, perché perdevo ancora sangue... Allora quello
vestito da carabiniere ha detto: «Vieni con me». Abbiamo preso ancora il treno, siamo andati a Novara. A
Novara mi ha fatto passare la stazione ed il blocco dei tedeschi, mi ha fatto passare perché lui era vestito da
carabiniere. Abbiamo preso la corriera e siamo giunti alla cascina Rangia, lì alla curva, prima del ponte sulla
Sesia. Mi sono fermato lì tutta la notte; alla mattina il cav. Bianchi della riseria, che era nel Comitato di
Liberazione, mi ha messo in macchina e mi ha portato in un posto dove, per medicarmi...
— Dove? Dove ti ha portato?
— Fuori Vercelli, in una casa privata, che poi sarebbe da mio cognato. Hanno cominciato a curarmi; è
venuto il dottor Gino a curarmi. Poi ho dovuto cambiar posto, sono andato a Costanzana, in paese, poi da
Costanzana sono andato alla cascina Rovialdo, dove ho passato sessanta giorni... dopo sessanta giorni sono
tornato in montagna.
— Ed hai ancora fatto il partigiano. Prima eri “Ciccio”, poi ti han chiamato “Evaso”.
— “Evaso”. Ho fatto il partigiano sino alla fine.
— Accidenti, che roba! Ascolta, mi avevi detto, l’altra volta che ne avevamo parlato, che i tedeschi s’erano
messi in testa di riprenderti... no? «Vogliamo proprio prendere quello là».
— Sì, volevano prendere me, ecco, appunto.
— Perché erano stati dei prigionieri a dire ciò... perché voi avevate fatto dei prigionieri...
— Sì, avevano visto una volta una fotografia che avevano preso ad un partigiano, era me che volevano
prendere... Non so se volevano prendermi per vedermi, perché ero fuggito, o per fucilarmi un’altra volta...
senz'altro mi avrebbero ancora fucilato.
— E non è poi successo che abbiate catturato quei tedeschi che ti hanno sparato...
— No, no, sono andati via: era una colonna di passaggio, era stata chiamata per reprimere i disordini di
quei giorni...
— Buon Dio! Certo che poter raccontare: «Io sono stato fucilato»...
— Eh purtroppo sono stato fucilato davvero...
— Ma tu... ecco, ti sei ripreso completamente... non è che tu ne abbia avuto conseguenze...
— No, i primi tempi, quando vedevo un tedesco, anche per caso, mi veniva qualcosa allo stomaco che non
mi lasciava più parlare. Poi, poco alla volta... Avevo odio, perché io, è inutile...
— E adesso, quando pensi a quel fatto, riesci ad essere abbastanza calmo...
— Sì, sì...
— Come un racconto normale?
— No, passarmi, non mi passerà mai... è vero, perché...
— Ma i tuoi, l’avevano saputo...
— Quando sono tornato a casa, i miei...
— Ma prima non sapevano nulla, che ti avevano fucilato...
— Niente, niente. Eh, se parlavo potevano prendere anche la mia famiglia a Vercelli, o che...
— E quello piccolino, ch’era vicino a te... si lamentava? Si era mosso?
— Il farmacista. Si è proprio mosso, non si è lamentato. Piangeva, prima della fucilazione, invocava aiuto
perché... diceva che non aveva fatto niente...
— E il Basilio, poverino?
— Il Basilio, pover’uomo, anche lui...
— Era più lontano da te?
— Era quasi l’ultimo della fila, il Basilio.
— E c’erano anche dei parenti, di quelli che stavano fucilando?
— No... sì, c’era (con noi) un giovane ch’era marinaio... era venuto a casa in licenza dalla marina, e andava
a comprare il latte per la sua bambina, ch'era piccina... e l’han preso come ostaggio. E ho visto la sua moglie
che, intanto che mi accompagnavano per corso Italia, «ma dove ti portano?», e io, bonariamente, le ho
detto: «Ma ci portano alla fucilazione!». Quella donna è svenuta di colpo, lì... e allora poi ci han fucilato.
Per Evaso, che ha protetto quaranta compagni che si ritiravano, che ha sparato sino all’ultima cartuccia, che
non ha parlato sotto la tortura, che è stato fucilato e che poi ha combattuto sino alla fine (dal novembre
1943 al 25 aprile 1945) nessun genere di ricompensa: neppure una piccola medaglia. Lui non si è mai fatto
avanti: ha preso il suo posto di operaio. E operaio è ancora oggi. Neanche tutti i suoi compagni di lavoro
conoscono la sua storia. Sui due giornali di Biella del tempo, neppure una parola sulla tragedia della piazza
del “Gallo Antico”. Dei fucilati non si parla: manco di quei cinque padri di famiglia, cinque poveretti che non
ne potevano nulla. Alla fine dell’anno (e del mese) troviamo elencato nella lista dei “morti” dello stato
civile, sulle colonne dei giornali: un “cadavere sconosciuto”. Soltanto nel 1946, un anno dopo la
Liberazione, si è saputo chi era quel ragazzo che aveva conservato il segreto fino nell’oltretomba. Dice una
canzone partigiana:
Mamma non devi piangere, per la mia triste sorte
piuttosto di parlare, vado alla morte...
e quando mi portarono alla tortura,
legandomi le mani alla catena,
tirate pure forte le mani alla catena,
piuttosto di parlare torno in galera...
e quando l’esecuzione fu preparata
fucili e mitraglie erano puntate...
Ho scritto al Comune di Grimaldi per sapere se avevano onorato Basilio Bianco, che aveva lasciato la sua
giovinezza in piazza del “Gallo Antico” a Biella. Non mi hanno risposto5.
5
Ora (con lettera 12-X-1983) il Comune di Grimaldi ha invece risposto all’Istituto per la Storia della Resistenza in
provincia di Vercelli (Borgosesia) precisando che alla memoria del patriota Basilio Bianco (nato a Grimaldi, prov. di
Cosenza, il 12-XI-1924 da Raimondo e Saccomanno Luisa), è stata dedicata una piazza del paese. Il Sindaco precisa
altresì che i familiari del caduto sono da tempo emigrati in Canada. L’atto di morte relativo «ad un cadavere
sconosciuto» in data 22 dicembre 1943 nel registro anagrafico di Biella è il n. 388, Parte II/B; l’identificazione di Bianco
Basilio è invece del 1946, atto n. 22; Parte Il/C.