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in Lessinia, tra i pascoli e le contrade di Azzarino
alla ricerca di antiche colonnette votive
DOMENICA
15
MAGGIO
2011
Percorso nella suggestiva conca di Azzarino di Velo veronese, isolata comunità tra dolci ondulazioni, un tempo libero comune.
Dislivello: 400 m circa. Tempo di marcia: ore 4,50, - Difficoltà: Il percorso è in gran parte su carrarecce - Cartografia: Lessinia,carta
turistica per escursionisti 1:25.000, Comitato Gruppi Alpinistici Veronesi. Bibliografia: Le contrade di Velo Veronese, C.T.G.. - Colonnette
alto veronese e vicentino, Curatorium Cimbricum Veronese. - La Lessinia ieri, oggi, domani, n. 29-2006.
Il nostro itinerario si svolge in gran
parte nel territorio di Azzarino, uno
dei XIII Comuni «cimbri», la cui
indipendenza terminò con l'avvento
di Napoleone che lo accorpò come
frazione a Velo, tra l'opposizione della popolazione che incendiò il
municipio di Velo. Si tratta in realtà di
una serie di contrade molto antiche,
citate in documenti del XIII e XIV sec.
come «Azerinum», in seguito (sec.
XV, XVI e XVII) colonizzate in parte
da popolazioni bavaro-tirolesi, poste
in un territorio isolato, con poche e
difficili vie di accesso, fino al secolo
scorso: da Selva lungo l'impervia
valle dei Covoli, da Giazza lungo il
sentiero che sale a Pozze, da Velo
per Croce o per Purga e da
Camposilvano per Cuniche. I vari
nuclei abitati di Azzarino sono posti
in un territorio dalle dolci ondulazioni
protetto dai venti del Nord dai rilievi
che salgono al Sengio Rosso ed al
Monte Bellocca. Il nome «Azzarino»
deriva dal latino «argen = «argine» in
quanto il territorio è arginato da alture
e da piccole valli.
Parcheggiamo a Camposilvano, m. 1157, sul piazzale davanti alla chiesetta dedicata a San Carlo Borromeo.
Che la leggenda vuole sia passato di qui per recarsi al Concilio di Trento. La prima cappellina sarebbe stata qui edificata per conservare la
vera di un pozzo su cui il Santo avrebbe lasciato lo stampo della mano. La prima costruzione risale al 1600, quattro anni prima che Carlo
Borromeo fosse dichiarato Santo! Un ampliamento successivo venne fatto nel 1700, mentre quello definitivo, con il campanile, è del 1907.
La famosa vera del pozzo venne purtroppo persa durante le ricostruzioni. Di fronte alla chiesa una lapide ricorda che il 23 luglio 1911
«Camposilvano ebbe luce ed acqua».
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Camposilvano chiesetta di San Carlo Borromeo
Colonnetta di Camposilvano
Croce del Gallo
Ci dirigiamo a sud, passato l’incrocio della provinciale, entriamo nel recinto della casa per ferie di Don Calabria, per ammirare una
colonnetta in pietra.
Stele di Camposilvano del 1759. Il manufatto raffigura quello che rimane di una crocifissione. Anche se di difficile interpretazione è
ancora leggibile la parte epigrafica posta sotto la figurazione ADORAMUA A TE – CHRISTE ET BENEDIC – MUS TIBI QUIA PER –
SANCTAM CRUCEM TUAM – REDEMISTI MUNDUM – S.C.F.F.S.D. E’ questa un’opera che esula dal gusto ambientale e dimostra la
presenza di un lapicida ben aggiornato sulle contemporanee espressioni urbane. L’opera è stata collocata nell’attuale sito circa trenta anni
fa, è incerto il luogo di provenienza.
Ci incamminiamo ora per la stradina ad Est che fiancheggia prima il museo dei fossili di Camposilvano e poi il campeggio, e, oltrepassata
la cappellina sulla sinistra (edificata nel 1982 «per grazia ricevuta») troviamo la contrada Cuniche o Kunech, m. 1160.
Poco più avanti un crocicchio chiamato «Strait», ore 0,15. A protezione di questo incrocio di strade vediamo sulla sinistra una croce in
pietra con l'iscrizione: «INGRI C.G.E.F. F.A. 1890».
Continuiamo diritti e seguiamo la carrareccia che entra nel bosco e ci porta alla Croce del Gallo m. 1173, ore 0,05-0,20 .
Croce del Gallo, massiccia ed enorme, la croce, che reca scolpite le iniziali del committente (C C) e l'anno di realizzazione (1864) doveva
probabilmente sostituire una croce precedente fatta erigere forse a scopo apotropaico. Era credenza, nel passato, che quando tre strade si
incrociavano (come in questo caso), allo scoccare della mezzanotte, streghe, anguane e orchi di qui passassero, facendo strage dei
malcapitati che avevano la sfortuna di transitare a quell'ora.
Val Sguerza
Prunella Vulgaris
Contrada Chiarenzi
Prendiamo a sinistra il sent contornato da laste e muretti a secco scendendo finoa ad raggiungere la contrada Tecchie m. 1107.
Tecchie, contrada attestata già nel 1566 ed il cui nome locale «tece» o «teisse» significa «fienile». È attualmente una bella contrada a
schiera con interessanti elementi architettonici ancora in buono stato di conservazione. La maggior parte delle costruzioni esistenti
risalgono probabilmente agli inizi del nostro secolo (notare il millesimo 1910 scolpito sulla facciata di una casa) ma la metodologia usata,
rispecchia quella degli antichi «cimbri» che qui si insediarono già dal 1300 (uso sapiente della pietra, tetti «gotici», copertura in «canel»,
oggi sostituito dalla lamiera, uso della calce per intonacare.
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Giungiamo all'incrocio e svoltiamo a sinistra fino ad incontrare contrada Chiarenzi, m.1100, ore 0,20-0,40.
Chiarenzi, contrada recente il cui nome deriva dal cognome Chiarenza. Qui si noti la caratteristica stalla, posta all'ingresso della contrada,
in pietra con due finestre ad arco ed al centro una piccola nicchia.
Passando di lato alla piccola contrada Al Pezzo, toponimo che richiama l'abete rosso, raggiungiamo la contrada Foi m. 1078.
Foi, il cui toponimo deriva dal dialetto veneto «foi» = «faggi» è attestata ancora dal 1570 e testimonia la ricchezza di boschi presenti in
passato nella zona. Nel giungere alla contrada incontreremo una croce in pietra del 1840 con piedistallo scolpito; presenta la seguente
scritta: «RELIQUIA DMV AVM GBF FF A 1840 LFPBF». Su di una lunga schiera di abitazioni vi sono i resti di una meridiana affrescata e di
un'artistica «Ultima Cena» posta sotto la gronda (purtroppo ormai in avanzato stato di degrado). Dietro questa schiera una grande stalla
con il tetto gotico con croce, presenta un ingresso doppio ed all'interno un grandioso arco in pietra che sostiene il tetto. La contrada
conserva anche un capitello del 1983 eretto come impegno di pace in occasione dell'Anno Santo.
Contrada Foi e affresco dell’Ultima Cena
Contrada Riva
Colonnetta di Riva
Continuiamo lungo la strada asfaltata a Sud-Est , passando prima davanti a un tradizionale baito della contrada ci portiamo a alla contrada
Riva m. 1081, ore 0,10-0,50.
Riva, attestata ancora nel 1567 ed il cui nome deriva dal veneto «ria» =«terreno in pendio». Notevole è la stalla-tesa che fa angolo sulla
strada, con una croce in pietra murata e due «bocaròi» a semicerchio, nonché con il tetto di tegole. Quasi di fronte sull'altro lato della
strada vi è una stalla con fienile sospeso su di un passaggio pedonale e con una bella slitta in legno appesa sotto.
In prossimità dell’abitato di Riva, sull’incrocio a Sud, imbocchiamo la vecchia mulattiera che passa a sinistra di una stalla-tesa, poco dopo
su nu sentierino che si stacca a sinistra ci appare una bella colonnetta.
Colonnetta di Riva - La Crocifissione ha come tema la sola immagine del Salvatore. Questa iconografia si scosta notevolmente dalle altre
presenti nella zona. I segni della Passione e gli oranti non sono qui rappresentati e il Cristo, nella sua complessità, è meno rigido e molto
più plastico. In basso sono incise alcune scritte in parte illeggibili: ANO D 1661 IOC MRA... EA RVFPV DECO.
Proseguiamo ora, prima sulla carrareccia e poi su asfalto, verso Sud-Est fino a giungere alla contrada Campe m. 1024 ore 0,20-1,10.
Campe,toponimo derivante dal latino «campus» = «campo». La contrada, citata ancora in documenti del 1566, presenta la chiesetta
ottocentesca di San Giuseppe con doppio rosone centrale, alcune schiere contrapposte, una fontana, un pozzo ed un baito. Interessante è
un capitello del 1871, in stile barocco, murato su di una abitazione, contenente una Madonna con Bambino e recante l'iscrizione:
«INDULGENZA DI 40 GIORNI A CHI DICE AVE MARIA». Sotto vi è la dedica: «A. M. R. VERGINE PER M.D., M.T., E.F. A 1871». A
destra del capitello vi è una stalla-tesa con un curioso particolare: lo spigolo in pietra è incavato ed arrotondato e reca scolpita una mano
per invitare a prestare attenzione al bordo superiore.
Procediamo ora lungo la strada bianca che parte vicino alla fontana e che si dirige a Nord incontrando un altro baito con la scritta: «W LA
SOCIETA CONCORDIA CAMPE COVEL RIUNITI ALLA BOTTOLI F. ANNO 1940».
Dopo alcune decine di metri eccoci a Covel m. 1021 ore 0,10-1,20.
Covel, antica contrada attestata ancora nel 1570 ed il cui nome deriva dall'antico tedesco «kofel«cima di montagna», o «kobel» = «gola di
montagna scavata nella roccia», entrambi riferiti alle precipiti pareti verso la Val d'Illasi o alla presenza di doline. La contrada è disabitata e
presenta notevoli strutture architettoniche: in particolare sono da ammirare i portali scolpiti, alcuni millesimi del 1730 e del 1810 ed i
contorni di alcune finestre.
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Contrada Campe con la chiesetta di San Giuseppe
Contrada Covel
Colonnetta di Covel
Dietro la contrada verso Nord, dove parte il sentiero per Giazza, si trova una stupenda colonnetta.
Colonnetta di Covel: Stele, interamente in pietra di un bel rosso ammonitico. Il tema iconografico è quello della Crocifissione, caratteristico di questa zona della Lessinia. La figurazione, molto semplice, pone al centro il Cristo con ai lati le Marie, dimensionalmente
molto più piccole di Gesù e raccolte nei gesti. La drammaticità del Cristo è resa nella tensione delle braccia e della parte superiore del
corpo che sono volutamente e visibilmente sproporzionati rispetto al resto della figura. Sopra la composizione sono riportati i simboli della
Passione, mentre un ricercato cordone inquadra il bassorilievo. In alto, sulla sommità superiore della stele, è posta una croce in ferro. Nella
porzione inferiore dell'opera un'epigrafe recita: A N 1855 - F F CANDI -DO. CASSTG - NA. FRATELI - P S D. Questo tipo di colonnetta
vengono denominate le "colonnetta della Passione".
Contrada Pozze
Colonnetta di Pozze
Vista su Giazza, cima Trappola, il carega e il monte Terrazzo
Prendiamo la mulattiera verso Pozze (Nord), poco dopo, al bvio, giriamo a sinistra ed in breve siamo a Pozze m. 1051 ore 0,30-1,50.
Pozze, toponimo derivante dal cimbro «puzze» che si rifà al latino «puteus» = «pozzo». La contrada, attestata ancora dal 1566, presenta
una bella fontana ed alcune schiere di case e stalle-tese, alcune con tetto in «canel» sotto la lamiera, nonché un baito della contrada.
Attraversiamo la contrada nella parte Sud e ci dirigiamo verso Ovest, imboccando la carrareccia alta che passa davanti alle stalle, dopo
poco sulla sinistra notiamo ancora un’altra bella colonnetta.
Colonnetta di Pozze: Il manufatto, una bella stele in rosso ammonitico raffigura una classica Crocifissione con i segni della Passione e le
Marie poste in basso, ai lati della croce. Tra di loro è interposto il simbolo della morte. L'immagine della figura principale mostra una
capigliatura riccia e il lenzuolo che le cinge la vita è riccamente decorato. In alto sono scolpite le lettere INRJ, mentre sotto la figurazione è
riportata l'epigrafe 1749 - QESTA OPERA - FATTA IO VA - LENTIN FIIVO - DI DOMENICO – POCERLE.
Ritorniamo in contrada e proseguiamo a ovest seguendo la strada sterrata dopo poco imbocchiamo a destra, un'antica mulattiera
(purtroppo ora è cementata) proseguiamo verso Nord arriviamo all’entrata del “rifugio” Lausen, m. 1175, ore 0,30-2,20.
Chiamato localmente «Osen» (in effetti Lausen deriverebbe dal medio alto tedesco «Ase»= «bue»), il toponimo starebbe ad indicare un
luogo ove si allevano e custodiscono i buoi. Appena restaurato.
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Raggiunta la sommità del dosso ammiriamo il bellissimo panorama a 360° dal Carega alle Lobbie di Campofontana e giù per tutta la Val
d’Illasi.
Oltrepassiamo un cancello e prendiamo la stradella verso Ovest dopo poco scavalchiamo un cancello di filo di ferro e saliamo la mulattiera
contornata di laste di pietra che ci conduce ad una strada sterrata. La strada che noi seguiamo verso Nord, dopo aver oltrepassato un
bivio, tenendo la destra, si inerpica per la lunga dorsale del «sèngalo» (etimo di probabile derivazione dal medio alto tedesco
«senn(e)»=pascolo montano» e «gelle»= «luogo dove il vento fischia rumorosamente», dosso molto ventilato) fino ad arrivare, dopo aver
oltrepassato alcune stalle, a Sengio Rosso Alto, m. 1293, ore 0,40-3,00.
Sengio Rosso Alto: Composto da un numero di costruzioni abbastanza anomalo per una malga (assomiglia di più ad una contrada
medio-grande): doveva sopportare un numero elevato di «paghe» (capi di bestiame) a giudicare dalle numerose stalle presenti e dal
grande baito situato nel lato Est della schiera vicino al pozzo. Molto belli e caratteristici i due «bocaròi» (aperture che permettevano
l'aerazione del fieno) ellittici posto sulla grande stalla centrale, sulla quale possiamo notare incisa sopra la porta d'ingresso l'epigrafe del
proprietario e la data di costruzione: «GBP AD 1821».
Carrareccia con laste di pietra
Genziana di Koch
Malga Sengio Rosso alto
Proseguiamo ora verso Nord, finché giungiamo sulla strada, al culmine del dosso, e contempliamo il paesaggio, verso nord: contro il cielo
si staglia il profilo del Monte Tomba, Castel Gaibana con l'arrivo della seggiovia, Cima Trappola, il Carega, i Monti della Lobbia... Facciamo
una piccola deviazione verso Est, fino alla malga Sengio Rosso Basso, m. 1296, ore 0,20-3,20.
Situata al limite degli strapiombi rocciosi che coronano l'alta Val d'Illasi, formati dai calcari di Rosso Ammonitico da cui prende l'aggettivo
«rosso».
La malga è composta da un grande baito, nella cui parte inferiore sono stati ricavati gli alloggi per il casaro, e da una grande stalla
recentemente restaurata.
Merita una visita il suggestivo belvedere sulla Val d'Illasi, ore 0,05, (attenzione a non oltrepassare le recinzioni di sicurezza!) da dove si
può ammirare dall'alto l'abitato di Giazza e quando la foschia lo permette, tutta l'incisione fluviale della Val d'Illasi, fino a scorgere in
lontananza, la Pianura Padana.
Dopo aver goduto dello splendido panorama facciamo ritorno verso Ovest seguendo la strada fino a giungere a malga Nòrderi, m. 1130.
Chiamata dagli abitanti di Velo «Nòrdar» anche qui ci troviamo in presenza di un toponimo di origine medio alto tedesca (norder» = «settentrionale») che conferma chiaramente l'etimo: il terreno di questa malga è infatti rivolto a settentrione. Formata da un piccolo baito e da
una stalla, la malga è stata recentemente restaurata aggiungendo alla stalla originaria una costruzione non in sintonia con gli elementi
tipici.
Proseguiamo ancora sulla strada, per 50 m, fino a trovare, sulla sinistra, un ceppo funerario ormai coperto di licheni.
Eretto a ricordo di una morte orribile ma non rara su questi monti esposti facilmente e frequentemente ai temporali estivi, porta scolpita
sotto la croce un'epigrafe che recita: «ADÌ 16 7BRE 1839 QUI FÙ COLPITO DA FULMINE GIOVANNI DALLA VALLE DI BOLCA. GIO
BAT. POZZA E PIETRO FF (fece fare)».
Proseguiamo ancora finché giunti all'incrocio con la carrareccia che porta a Croce di Parparo, m. 1336, ore 0,35-4,00, seguiamo a
sinistra, oltrepassando il cancello, l'itinerario 253 percorrendo la dorsale Langhebech «El Langhèke» (dal medio alto tedesco «lanc(g)» =
«lungo» ed «ekke» = «dosso», dosso lungo) la dorsale ricalca in parte l'antica «Via Cara» che segue rettilinea il crinale che forma il fianco
destro orografico della Valsguerza: sguerza vuol dire guercia (cieca da una parte) perchè in fondo la valle sembra chiusa da un dossetto a
cupola e fa quindi un gomito.
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La nostra carrareccia è delimitata a sinistra da un bel muretto in grossi blocchi di Rosso Ammonitico mentre a destra ne rimangono solo le
fondamenta: è stato infatti demolito alla fine del 1800 e con le sue pietre costruito il baito di Malga Buse di Sopra, che vediamo alla nostra
destra sormontato da un bel comignolo col "tabarro", cioè con i fori riparati da lastre quadrate, a difesa dal vento .
A sinistra sull'altro versante vediamo la stalla Prundeli (Brunne = sorgente dal nome del proprietario che veniva dalla Contrada Prundele )
e in lontananza vediamo la Contrada Senoti (Senne = pascolo montano e Hutte = capanna). Sul dosso pascolivo a cupola si intravedono
buche da disboscamento testimonianza di un antico bosco di faggi tagliati in tempi antichi.
Il tipo di roccia su cui camminiamo è detta Biancone e dagli abitanti locali "le scaie". L'erosione la rompe in piccole scaglie bianche ed è
ottima per il pascolo; infatti non dà affioramenti rocciosi a differenza del Rosso Ammonitico, roccia ricca di fossili che potremo osservare
più avanti.
Nella valletta a destra un bosco di faggi ben delimitato dal pascolo è la Riserva delle Buse (bosco conservato come riserva di legna per le
malghe vicine), mentre un grande faggio isolato che svetta contro il cielo a valle dei "Casotti" (grandi stalle di recente ristrutturate), è detto
"il fò dei afari": sotto questo grande albero si riuniva la comunità per decidere di questioni locali.
Ritroviamo a destra i grossi blocchi del muro della Langhebech. Davanti a noi un avvallamento con un muretto a secco e un cancelletto,
noi prendiamo un sentierino a destra che scende nella Valle delle Sfingi.
La Valle delle Sfingi presenta una serie di grossi monoliti in calcare (rosso ammonitico ed oolite di San Vigilio), variamente modellati dalla
disgregazione e dall'erosione, allineati longitudinalmente sul fondovalle e regolarmente distanziati l'uno dall'altro. Si sono originati per
l'erosione e la dissoluzione di uno strato di rosso ammonitico che spesso poggia su di una base di Dogger selciosa (più facilmente
erodibile) composto di oolite di San Vigilio, formando così delle forme a fungo. Il rosso ammonitico che compone i monoliti è stratificato in
senso orizzontale mostrando così le varie fasi di sedimentazione a cui è andato soggetto.
La via Cara
Orchidea Sambucina
La valle delle Sfingi
Incontriamo quindi nella valle la contrada Buse di Sotto, m. 1220, ore 0,25-4,25.
Costituita da due costruzioni immerse nel paesaggio suggestivo delle Sfingi. Una delle due costruzioni è crollata; l'altra invece, rivolta a
Sud, è il tipico edificio composto da casa a due piani, stalla (molto bella), fienile e un'altra piccola stalla, forse un porcile. Dietro l'edificio
crollato possiamo vedere una bella «giassàra» tonda, per la conservazione del ghiaccio, molto ben conservata.
Continuando sulla strada passiamo attraverso il «Brutto», m. 1194, costituito da un edificio moderno e da una vecchia stalla con fienile
rimodernato. Bisogna ricordare che il nome antico di questa parte della Valle delle Sfingi era appunto «Vajo del Brutto». Da qui possiamo
vedere un'altra delle tante formazioni carsiche di questa zona: davanti a noi si trova appunto il «fungo di Camposilvano» o, meglio, secondo la tradizione, «el sengio de l'orco», portato qui appunto da un orco per permettere alle «fade» di legarvi un capo di corda per
stendere il bucato...
Chiudiamo il nostro percorso scendendo brevemente per la strada asfaltata raggiungendo Camposilvano, ore 0,25-4,50.
PARTENZA DALLA SEDE ALLE ORE 8,30 CON MEZZI PROPRI
INFORMAZIONI: Graziano Maimeri 333-56.12.182
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