MISURE DI EFFICIENZA TECNICA IN DUE SETTORI
Transcript
MISURE DI EFFICIENZA TECNICA IN DUE SETTORI
MISURE DI EFFICIENZA TECNICA IN DUE SETTORI di Ciro Rapacciuolo Settembre 2004 CSC Working Paper n. 50 MISURE DI EFFICIENZA TECNICA IN DUE SETTORI Ciro Rapacciuolo Centro Studi Confindustria Viale dell’Astronomia, 30 00144 Roma Fax 06 5918348 Tel. 06 5903544 E-Mail: [email protected] 2 Abstract Building on the measurement of inefficiency conducted by means of the Data Envelopment Analysis (Dea), this paper shows a new methodological approach, a monetary measure of technical efficiency. The Dea computes the production frontier for each sector as the linear envelope of input-output data relative to the specific businesses and measures distances from it. The paper applies this methodology to the banking and the automobile industry, the latter representing an empirical originality. Towards this end, it uses balance sheet data on individual businesses in the two sectors: the world leading automobile producers and the top-20 Italian banking groups. Empirical findings show nearly the same distribution of technical efficiency in the banking and in the automobile industry. Keywords: Optimization techniques, Banks, Production and market structure, Automobiles, Accounting JEL Classification: C61, G21, L11, L62, M41 Questo lavoro deve molto alle discussioni preliminari con Giovanni Foresti sull’impostazione dell’analisi e sul reperimento dei dati. Si ringraziano Daniele Antonucci, Wanda Cornacchia, Piercarlo Frigero, Paolo Garonna, Giuseppe Schlitzer, Grazia Sgarra e Fabrizio Traù per utili commenti su versioni successive del paper e Alessandro Terzulli per suggerimenti in merito all’utilizzazione dei dati di bilancio, nonchè Gianna Zappi e Maria Luisa Giacchetti dell’Abi per aver gentilmente messo a disposizione i dati relativi ai bilanci delle banche italiane. 3 Indice 1. Introduzione.........................................................................................................5 2. Descrizione della metodologia ..........................................................................8 2.1 La misurazione dell’efficienza tecnica ..................................................................9 2.2 Ipotesi meno restrittive sulla frontiera di produzione.......................................... 13 2.3 Una semplice misura monetaria dell’inefficienza tecnica .................................... 15 2.4 Frontiera matematica e frontiera stocastica ....................................................... 17 3. I maggiori gruppi bancari in Italia.................................................................. 19 3.1 L’oggetto dell’analisi ........................................................................................ 19 3.2 Il processo produttivo e la riclassificazione di bilancio........................................ 21 3.3 I risultati per il settore bancario........................................................................ 25 4. I grandi gruppi automobilistici mondiali ...................................................... 32 4.1 L’oggetto dell’analisi ........................................................................................ 32 4.2 Il processo produttivo automobilistico e i dati di bilancio.................................... 34 4.3 I risultati per il settore automobilistico.............................................................. 39 5. Conclusioni........................................................................................................ 43 Appendice 1........................................................................................................... 48 Appendice 2........................................................................................................... 50 Appendice 3........................................................................................................... 54 Riferimenti Bibliografici....................................................................................... 58 4 1. Introduzione Lo scopo di questo lavoro è duplice: da un lato, presentare una novità di tipo metodologico relativamente ad una tecnica matematica per la misurazione dell’efficienza sviluppata da un’ampia letteratura precedente. Dall’altro lato, applicare empiricamente questa metodologia per valutare casi di allontanamento dalla frontiera efficiente in specifici settori dell’economia italiana. La metodologia matematica che si adotta per analizzare le condizioni di efficienza dei singoli concorrenti in un dato settore è la cosiddetta Data Envelopment Analysis (Dea). Questo strumento consente di condurre un’analisi non parametrica dell’efficienza in alternativa al metodo della Frontiera Stocastica, che si basa su tecniche econometriche per la stima della frontiera efficiente1. La Dea risolve problemi di programmazione lineare per ciascuna impresa per calcolare misure di efficienza tecnica, allocativa e globale sulla base di dati di bilancio. Si tratta di una metodologia molto flessibile, che può essere applicata, separatamente, a più settori. Nel far questo và però ricordato che la misura Dea che si ottiene per la singola impresa in un certo settore è riferita all’inefficienza relativa – ovvero alla sua distanza dalle imprese che sono meglio posizionate in quel settore – non all’inefficienza assoluta – ovvero alla sua distanza da un’ipotetica posizione efficiente che non si osserva. In altri termini, le imprese che sono sulla frontiera di un settore sono definite imprese efficienti, ma potrebbero esse stesse non utilizzare nel modo migliore i loro fattori produttivi. Al tempo stesso, tutto ciò significa che un confronto diretto tra le misure Dea ottenute per due imprese che operano in due diversi settori è privo di senso. Il filone della misurazione dell’efficienza relativa delle imprese è stato aperto da Farrell (1957). Traù (1991) offre una ricognizione della letteratura teorica, cercando di individuare un criterio interpretativo che concili le diverse linee di ricerca sulla materia. Nel tempo, in particolare la letteratura sulla Dea, che è uno dei possibili approcci2, si è arricchita di numerosissimi 1 2 Cfr. il paragrafo 2.4 per maggiori dettagli sulla tecnica della Frontiera stocastica. Si veda, a tal proposito, Frigero (1996). 5 contributi; Fare, Grosskopf e Lovell (1994) gettano le basi per l’applicazione di questa metodologia costruendo una completa sistemazione teorica delle diverse misure potenzialmente utilizzabili, illustrando i fondamenti matematici dei diversi processi di ottimizzazione per esse necessari e le rispettive interpretazioni economiche. Quanto alle sue applicazioni a specifici settori, ricordiamo ad esempio Welzel e Lang (1997) che applicano varie misure Dea a un campione di circa 1400 banche tedesche tracciando un parallelo con i risultati ottenuti in letteratura con tecniche econometriche di stima della frontiera produttiva. Per l’Italia, Traù (1984) applica una misura Dea ai dati di bilancio di vari gruppi di imprese in rapporto con l’Imi, appartenenti ai settori metallurgico, chimico, tessile ed alimentare. Cella, Grimaldi e Pica (1997) stimano la frontiera di produzione del sistema bancario italiano, su un campione di oltre seicento banche con i dati di bilancio del 1994, realizzando una scomposizione dimensionale e territoriale dei livelli di inefficienza misurati. Rapacciuolo (2000) calcola diverse misure di efficienza tecnica ed allocativa per le 20 maggiori banche italiane per il periodo 1993-1996 e deriva una stima dell’andamento della produttività e dello spostamento della frontiera produttiva nel corso del quadriennio. Ardizzi (2003) utilizza un modello di panel data e un’applicazione della Dea per studiare l’efficienza nel costo nel mercato italiano delle carte di credito3. La novità di tipo metodologico in questo paper, rispetto alla letteratura in materia, è una quantificazione (in unità monetarie o fisiche, a seconda della natura degli input considerati) delle misure di inefficienza calcolate. Questo consente di fornire immediate implicazioni di policy per la singola impresa studiata, indicando gli ammontari esatti delle riduzioni necessarie nei suoi diversi input per portarsi sulla frontiera. Per mostrare che, nonostante la precisazione fatta più sopra, un confronto di efficienza tra settori è comunque possibile se ci si riferisce non ai livelli assoluti ma ad un’idea di dispersione rispetto alle rispettive frontiere, si applica la Dea a due diversi settori. E per evidenziare ancor più la versatilità della metodologia impiegata, come oggetto dello studio empirico si è deciso di scegliere un settore rappresentativo dei servizi e uno rappresentativo 3 6 Si veda anche Amel, Barnes, Panetta e Salleo (2002). dell’industria. A tal fine, sono sembrati candidati naturali il settore bancario e il settore automobilistico, quest’ultimo caratterizzato dalla presenza di imprese di dimensioni notevolmente diverse e da una internazionalizzazione decisamente maggiore che nella maggior parte dei settori dei servizi, oltre che da un andamento moderato dei prezzi di vendita4. Da un punto di vista empirico, peraltro, l’applicazione di questo tipo di analisi al settore automobilistico costituisce una novità del paper, anche per la predisposizione - qui realizzata - del necessario dataset. Sulle caratteristiche strutturali e le recenti evoluzioni e problematiche del settore bancario esistono numerosi studi; tra gli altri, Inzerillo, Morelli e Pittaluga (2000) analizzano i recenti cambiamenti nel sistema bancario europeo, in particolare la concentrazione della proprietà, il loro legame con la deregolamentazione dei mercati e le conseguenze sulle caratteristiche della concorrenza, il potere di mercato nel settore e i livelli di efficienza. Ferri e Inzerillo (2002) analizzano gli effetti, sulle piccole e medie imprese dell’Italia meridionale, del trasferimento della proprietà di un gran numero di banche locali verso i maggiori gruppi italiani; una ristrutturazione che avrebbe, in ogni caso, consentito di accrescere l’efficienza operativa delle banche che operano nel Sud Italia. Focarelli e Panetta (2002) indagano la relazione, deleteria dal punto di vista dei consumatori, tra l’approfondirsi del processo di concentrazione e la maggiore dinamica dei prezzi dei servizi bancari; un effetto che trovano essere solo temporaneo: nel lungo termine i guadagni di efficienza prevalgono sull’aumento del potere di mercato5. Per il settore automobilistico, invece, la letteratura non è molto ricca. Volpato (1983, 2000) prima delinea le caratteristiche dell’industria automobilistica internazionale e poi analizza il legame tra regolamentazione e competitività del settore automobilistico europeo, illustrando la struttura e l’importanza economica del settore; il quadro competitivo all’inizio del Il paper non intende analizzare la questione, a monte, del tipo di concorrenza osservabile nei due settori. Il grado di diffusione dell’efficienza potrebbe, infatti, essere addebitabile, almeno in parte, alla forma di mercato prevalente nei due settori e alle caratteristiche della domanda. 5 Per l’evoluzione delle condizioni competitive del mercato bancario italiano nel periodo 1983-1997, si veda anche Angelini e Cetorelli (2000); specificamente sul processo di concentrazione bancaria si veda Focarelli, Panetta e Salleo (1999). 4 7 nuovo millennio si caratterizza per un enorme eccesso di capacità produttiva, profitti e prezzi in calo e ripetuti tentativi di tagliare i costi, in particolare quelli occupazionali. De Benedictis (2000) studia dazi e barriere non tariffarie nel commercio di prodotti automobilistici. Presciutti Cinti (2002) analizzando la recente crisi del gruppo Fiat, l’accordo con la Gm e il piano di risanamento, offre brevi cenni sulle condizioni del settore automobilistico nel suo complesso. Il lavoro è organizzato come segue: il paragrafo 2 fornisce una descrizione della metodologia matematica adottata e di una misura monetaria di inefficienza, oltre che un rapido confronto con la tecnica econometrica alternativa; i paragrafi 3 e 4 dopo una breve descrizione dell’oggetto dell’analisi, rispettivamente, nel settore bancario ed automobilistico e dei corrispondenti dati di bilancio, riportano i risultati delle due misurazioni dell’inefficienza; infine, il paragrafo 5 mette a confronto le stime ottenute per i due settori e conclude, offrendo possibili spunti per la ricerca futura. In appendice 1 si danno brevi cenni sul software utilizzato, con un esempio dei programmi relativi al calcolo delle diverse misure di efficienza; in appendice 2 si offre un approfondimento sul significato di assunzioni alternative sulla tecnologia di produzione; infine, in appendice 3 si forniscono maggiori dettagli sulla riclassificazione realizzata a partire dai dati di bilancio bancari, oltre a informazioni addizionali sul mercato automobilistico in Italia. 2. Descrizione della metodologia La procedura non parametrica e non stocastica denominata Data Envelopment Analysis (Dea) consente di stimare la frontiera di produzione come inviluppo lineare dei dati input-output relativi alle singole imprese nel settore economico considerato. Nell’ambito delle varie misure disponibili nella Dea si sceglie di seguire l’approccio input based: la tecnologia è modellata nello spazio degli input, stimando isoquanti come combinazione convessa dei punti osservati. In questo lavoro si limita l’analisi alla misurazione della cosiddetta efficienza tecnica, lasciando a ricerca futura l’estensione alla efficienza 8 allocativa6. In particolare, per il calcolo dell’efficienza tecnica, si considera il vettore degli output come dato, misurando l’efficienza in termini della massima possibile contrazione di un vettore osservato di input; tale contrazione è misurata radialmente, ovvero tramite una riduzione equiproporzionale in tutti gli input. Le varie misure di efficienza da noi adottate sono ottenute mediante la risoluzione di problemi di programmazione lineare. L’elemento nuovo dal punto di vista interpretativo di questo paper rispetto alla letteratura esistente è nelle implicazioni di policy che scaturiscono come “sottoprodotto” dell’analisi di efficienza tecnica: se è vero che un’impresa di un certo settore utilizza troppi input per produrre un dato output, sarà possibile misurare esattamente di quanto (in ammontare monetario o in unità fisiche) essa dovrebbe ridurli per tornare sulla frontiera efficiente7. Tale misurazione è implicita nel problema di programmazione lineare che si risolve per la stima della frontiera, ma finora non è mai stata resa esplicita. Nella sezione 2.3 sono presentati i dettagli analitici di questa misurazione. 2.1 La misurazione dell’efficienza tecnica La misurazione dell’efficienza tecnica richiede dati sulle quantità di input ed output per ciascuna impresa8. Utilizzando la notazione di Fare, Grosskopf e Lovell (1994), ripresa in Rapacciuolo (2000), si definisce con N la matrice J,N degli input osservati, dove J è il numero di imprese ed N quello di input Quest’ultima, per una impresa tecnicamente efficiente (ovvero posta sull’isoquanto), corrisponde alla minimizzazione del costo totale di produzione, nel punto di tangenza tra l’isoquanto e la “retta” (o meglio iperpiano) di isocosto più bassa. In altri termini, l’impresa allocativamente efficiente si posiziona nel punto dell’isoquanto che le consente di produrre al costo più basso. 7 L’idea iniziale sulla utilità di esplorare questo campo si deve a Marco Pagano, suggerita all’Autore in occasione del convegno Performance, assetto proprietario e internazionalizzazione del sistema bancario italiano promosso da Cnr-Isfse e Banco di Napoli (febbraio 1999). 8 Per la stima dell’efficienza allocativa (e di quella globale), nell’ambito delle misure Dea disegnate nello spazio degli input, sono necessari anche dati sui “prezzi” degli input. 6 9 e con M la matrice J,M degli output, dove M è il numero di output osservati per ciascuna impresa9. Si definisce con uj ≥ 0 il vettore osservato di output e con xj ≥ 0 il vettore osservato di input dell’impresa j-esima; si assume inoltre che: J ∑ u jm > 0, m = 1,...M e j =1 J ∑x j =1 > 0, n = 1,...N . jn L’inefficienza tecnica dell’impresa j-esima è rappresentata dall’allontanamento radiale dalla combinazione ottima dei fattori, ovvero dalla frontiera di produzione. Prendendo a riferimento una tecnologia con rendimenti costanti di scala e strong disposability degli input, la misura di efficienza tecnica è ottenuta per la j-esima impresa (per j=1,....J) con la risoluzione del seguente problema di programmazione lineare: Fi (u j , x j C , S ) = min λ z ,λ s.t. u ≤ zM zN ≤ λx j z ∈ ℜ +J j Fi (u j , x j C , S ) è la value function del problema di minimizzazione dello scalare λ; il sub-indice i sta semplicemente ad indicare che la tecnologia è modellata nello spazio degli input. Le variabili di scelta sono lo stesso λ e il vettore (di dimensione 1,J) di variabili di intensità z. Risulta: 0 < Fi (u j , x j C , S ) ≤ 1 ; se il valore assunto da tale misura è pari all’unità ciò indica una piena efficienza tecnica; valori sempre più vicini allo zero stanno a significare allontanamenti dalla situazione di efficienza. Lo scalare λ misura, infatti, la riduzione radiale del vettore di input osservati xj (di dimensione 1,N) necessaria per portare l’impresa j-esima sulla frontiera efficiente; ciò è espresso dal lato destro del secondo vincolo, sugli Cfr. Fare, Grosskopf e Knox Lovell (1994) per una presentazione dettagliata delle diverse misure di efficienza. 9 10 input. Se λ=1 ciò significa che l’impresa j-esima si trova già sulla frontiera efficiente, per cui non è necessaria una contrazione equiproporzionale dei suoi input per condurvela. Valori di λ minori di uno misurano, viceversa, l’entita di tale contrazione. Le J variabili z, una per ogni impresa, rappresentano i livelli di intensità ai quali ciascuna delle J attività sono (o potrebbero essere) condotte; questo vettore rende possibile ridurre o espandere le singole attività osservate al fine di costruire attività non osservate ma possibili. In altri termini, il vettore z fornisce i pesi che vengono utilizzati per la costruzione dei segmenti lineari della frontiera spezzata che rappresenta la tecnologia produttiva; ovvero, zj è il peso attribuito agli input e output osservati dell’impresa jesima per la costruzione delle combinazioni lineari che disegnano la frontiera efficiente. Per l’impresa j-esima, il problema di ottimizzazione non fa altro che scegliere il vettore z per costruire la frontiera efficiente e lo scalare λ per portare il vettore di input dell’impresa su tale frontiera, in modo che λ stesso risulti minimo possibile. Gli M + N + J vincoli del problema (sugli output, sugli input e sul vettore z rispettivamente), tutti lineari e con il segno di disuguaglianza, determinano la forma della frontiera e dell’insieme delle attività possibili; in generale, in conseguenza delle disuguaglianze, nello spazio degli input tale insieme consiste di tutti i punti sulla frontiera costruita con le attività osservate e di tutti i punti a nord-est di questa. I simboli C, S stanno ad indicare le ipotesi utilizzate sui vincoli in questo primo problema, ovvero rendimenti di scala costanti (C) e strong disposability degli input (S), che determinano una specifica forma della frontiera produttiva. Queste ipotesi economiche vengono tradotte, da un punto di vista matematico, attraverso definizioni più o meno stringenti sul vettore z e sul secondo blocco di vincoli del problema (quello degli input). In questo problema, l’ultimo vincolo, di semplice positività10 per il vettore delle variabili di intensità z, consente appunto la presenza di rendimenti costanti di scala; con tale definizione del vincolo, infatti, gli input ed output 10 ℜ+ indica l’ortante non negativo dello spazio vettoriale di dimensione appropriata. 11 osservati possono essere espansi e contratti radialmente senza limiti. La strong disposability degli input, invece, è catturata dalla definizione del vincolo imposto sugli input stessi, laddove si rende possibile un segno di disuguaglianza; ciò fa si che, orizzontalmente e verticalmente, ciascun input possa essere espanso senza limiti11. Nel caso di due input e un output (N=2, M=1) la frontiera e l’insieme delle attività possibili risultano del tipo di quelli mostrati nella fig.1; il significato della misura di efficienza λ*j per l’impresa j-esima è illustrato dalla contrazione radiale del vettore di input xj fino a toccare la frontiera efficiente. Fig. 1 – La misura di efficienza tecnica con tecnologia C,S x2 C,S xj λ*jxj 0 11 Cfr. il par.2.2 e l’appendice1. 12 x1 2.2 Ipotesi meno restrittive sulla frontiera di produzione La misura di efficienza presentata nel precedente paragrafo utilizza ipotesi molto restrittive sulla tecnologia produttiva nel settore analizzato; è possibile “rilassare” le due ipotesi chiave, ovvero quella di rendimenti costanti di scala e quella di strong disposability degli input, per studiare frontiere di produzione più generali12. In primo luogo, si possono ipotizzare rendimenti variabili di scala. Ciò viene realizzato, da un punto di vista matematico, imponendo un vincolo aggiuntivo sulle variabili di intensità z (il numero totale di vincoli è quindi M+N+J+1): Fi (u j , x j V , S ) = min λ z ,λ s.t. u ≤ zM zN ≤ λx j z ∈ ℜ +J j J ∑z j =1 j =1 Questo ulteriore vincolo, in uno spazio input-output, limita l’espansione radiale dei vettori osservati e vieta la contrazione verso l’origine; così le attività non possono essere contratte o espanse senza limiti. L’insieme delle attività possibili consiste quindi di tutte le combinazioni convesse delle attività osservate. In secondo luogo, si possono ipotizzare weak disposability degli input, modificando il vincolo imposto sugli input stessi con l’aggiunta dell’ulteriore variabile di scelta σ: 12 In appendice1 si forniscono maggiori dettagli sul significato economico e matematico di queste due ipotesi. 13 Fi (u j , x j V , W ) = min λ z ,λ ,σ s.t. u ≤ zM z N ≤ λσ x j z ∈ ℜ +J j J ∑z j =1 j =1 0 <σ ≤1 Il problema diviene in tal modo non lineare; tuttavia, prendendo σ=1 esso rimane lineare e l’unica differenza, da un punto di vista matematico, con il problema precedente è l’imposizione della stretta uguaglianza nel vincolo degli input, che cattura appunto il concetto economico di weak disposability. Questa misura di efficienza tecnica, con rendimenti variabili di scala e weak disposability degli input, da un punto di vista economico è quella con le assunzioni meno restrittive ma, da un punto di vista matematico, presenta il maggior numero di vincoli; di conseguenza, assegna un punteggio di efficienza più alto delle due misure precedenti. Si dimostra13 che è possibile ordinare le tre misure di inefficienza tecnica: 0 < Fi (u j , x j C , S ) ≤ Fi (u j , x j V , S ) ≤ Fi (u j , x j V , W ) ≤1 Dato questo risultato, è possibile calcolare sulla base delle tre misure dei rapporti che consentono di valutare due caratteristiche dell’efficienza delle imprese analizzate. Rapportando le due misure con strong disposability e con ipotesi diverse sui rendimenti di scala si ottiene un indicatore dell’efficienza di scala: S i (u , x ) ≡ j j Fi (u j , x j j Fi (u , x j 0< S i (u j , x j ) ≤1 13 Cfr. Fare, Grosskopf e Knox Lovell (1994), pag. 73. 14 C, S ) V , S) Allo stesso modo, rapportando le due misure con rendimenti di scala variabili ma con diverse ipotesi sulla disposability degli input, si ottiene un indicatore della congestion degli input: C i (u , x ) ≡ j j Fi (u j , x j V , S ) Fi (u j , x j V , W ) 0< C i (u j , x j ) ≤1 Sulla base di questi due rapporti, si può presentare una scomposizione della misura di efficienza tecnica con rendimenti di scala costanti e strong disposability degli input: Fi (u j , x j C , S ) = S i (u j , x j ) * C i (u j , x j ) * Fi (u j , x j V , W ) In base a tale scomposizione, è possibile pensare che la prima misura di efficienza, basata sulle ipotesi economiche più restrittive, sia un indicatore dell’efficienza tecnica complessiva della singola impresa, mentre la misura Fi (u j , x j V , W ) sia un indicatore dell’efficienza tecnica “pura”. 2.3 Una semplice misura monetaria dell’inefficienza tecnica Una volta risolti i problemi di programmazione lineare illustrati nei due precedenti paragrafi e ottenute le corrispondenti misure di efficienza tecnica λ* j ≤ 1 , è possibile calcolare, per l’impresa j-esima, l’esatto valore monetario (o in unità fisiche o in punti percentuali, a seconda della natura dell’input) delle riduzioni di input necessarie per riportarla sulla frontiera efficiente. Analiticamente: ∀j s.t. λ* j < 1 ∆x * jn = (1 − λ* j )x jn ∀n = 1,...N 15 Il valore ∆x * jn (∀n = 1,...N , ∀j = 1,....J ) esprime la quantificazione in unità monetaria della misura di efficienza tecnica calcolata per la contrazione radiale di tutti gli input. Ciò viene illustrato, in fig.2, dalle frecce più brevi in orizzontale e in verticale per la contemporanea riduzione efficiente, rispettivamente, dell’input X1 ed X2. Pur nella sua immediatezza, questo risultato non viene però solitamente riportato nelle analisi empiriche14. Fig. 2 – Una misura monetaria di inefficienza tecnica X2 C,S xj λ*jxj 0 X1 14 Un risultato più complesso (lasciato a ricerca futura) è dato dalla riduzione necessaria in uno solo degli input, tenuti costanti tutti gli altri, per riportare l’impresa sulla frontiera efficiente (si pensi al caso tipico in cui uno degli input è fisso, come il capitale immobilizzato). In fig.3 ciò viene rappresentato dalle frecce di maggiore lunghezza, in orizzontale e in verticale, che rappresentano strategie alternative per il ritorno sulla frontiera efficiente, consistenti nella riduzione o del solo input X1 o del solo input X2. 16 2.4 Frontiera matematica e frontiera stocastica In questa sezione si tenta un breve parallelo tra la Data envelopment analysis (Dea) e la tecnica econometrica per la misurazione dell’efficienza tecnica nota come Frontiera stocastica (Fs), l’altra tecnica più usata nelle analisi empiriche per la stima di una frontiera di produzione. In un recente paper, Scarfiglieri ha utilizzato la Fs per la misurazione dell’efficienza del settore bancario italiano nel confronto con quelli di altri paesi europei15. Come la Dea, la Fs richiede unicamente dati sul vettore di output yi ed il vettore di input xi della singola impresa. La struttura analitica di riferimento per la stima è la seguente: yi = f ( xi ) ⋅ exp(ei ) ei = vi − ui Nella scelta di una forma funzionale per f(x), al fine della realizzazione delle analisi empiriche, la funzione translogaritmica è di gran lunga la più usata16; tuttavia tale funzione impone, in un secondo passo, di fissare delle restrizioni sui parametri in essa contenuti. Il residuo ei della regressione cross-section condotta sui dati input-output viene successivamente scomposto in due parti (generalmente utilizzando lo stimatore di Jondrow17): la componente v, che cattura gli effetti casuali che non sono sotto il controllo dell’impresa; la componente u, che fornisce la stima di base per la misurazione dell’inefficienza. Per realizzare le stime c’è però bisogno, a priori, di ipotesi distributive sia su v che su u (tipicamente in letteratura si adotta la distribuzione normale). La misura di efficienza, nella Fs, è definita come rapporto tra l’output osservato e quello che si sarebbe realizzato in assenza di inefficienza; risulta essere, appunto, una funzione (monotonicamente decrescente) di u: Si veda anche Giannola, Ricci e Scarfiglieri (1996). Cfr. Scarfiglieri (2000). 17 Cfr. Jondrow et al. (1982). 15 16 17 effi ≡ [ f ( xi ) ⋅ exp(vi − ui )] = exp(−u ) i [ f ( xi ) ⋅ exp(vi )] La Fs richiede molte più ipotesi da imporre prima della realizzazione delle stime; è possibile tentare un elenco di quante assunzioni sono necessarie per la Fs e quante per la Dea: a) Fs: forma non lineare della frontiera di produzione, forma funzionale per f(x), eventuali restrizioni sui parametri in f(x), scomposizione lineare del residuo in v - u, forma della distribuzione stocastica di e, v ed u, scelta dello stimatore per la regressione crosssection, misurazione dell’efficienza come parte del residuo della regressione. b) Dea: linearità della frontiera di produzione, ipotesi alternative su rendimenti di scala e disposability degli input, misurazione radiale dell’efficienza. Risulta evidente come la Dea sia molto più parsimoniosa quanto a ipotesi a priori rispetto alla Fs; questo è uno dei motivi per i quali in questo studio si adotta tale tecnica matematica. Ad ogni modo, come si dirà anche nel paragrafo conclusivo, è evidente che un’estensione naturale di questo lavoro è proprio il calcolo tramite la tecnica econometrica delle misure di efficienza tecnica qui presentate, anche al fine di testare la robustezza dei risultati ottenuti. 18 3. I maggiori gruppi bancari in Italia 3.1 L’oggetto dell’analisi Dal punto di vista tecnico, per questo settore la presente analisi è un aggiornamento con i dati di bilancio più recenti della misurazione dell’efficienza bancaria proposta in Rapacciuolo (2000) e realizzata con dati di bilancio per il periodo 1993-1996 con riferimento a quelle che allora erano le maggiori venti banche italiane. Il dataset utilizzato per questa analisi è costituito dai dati di bilancio Abi, relativi al 2001, per i maggiori gruppi bancari operanti in Italia18. Negli anni tra il 1996 e il 2001 si è però avuto un notevole processo di concentrazione, anche a seguito della maggiore concorrenza a livello europeo con l’avvio dell’unione monetaria, che ha portato alla creazione di alcuni grandi gruppi bancari (si veda in proposito Inzerillo et al., 2000 e Ferri e Inzerillo, 2002): un’altra domanda cui qui si vuole dare una risposta è se, al termine di tale processo, ci sono complessivamente più o meno casi di allontanamento dalla frontiera, dal punto di vista della efficienza tecnica. Dalle “top20” del 1996 si è passati nel 2001 a soli 11 gruppi bancari (tab.1), dei quali alcuni, i primi cinque, di dimensioni molto grandi e ben maggiori di quelle registrate solo qualche anno prima: Intesa bci, Unicredito italiano, Sanpaolo Imi, Banca di Roma, Monte dei paschi di Siena. Oltre a questi, vi sono numerosi altri gruppi bancari di dimensioni via via minori; in tutto, in Italia l’Abi censisce 52 gruppi bancari. Le cosiddette top20 rappresentano nel 2001 il 91,3% del totale dell’attivo di tutti i gruppi bancari italiani. Solo i primi otto gruppi (che comprendono 17 delle top20 del 1996), del resto, coprono ben il 71,1% del totale di tutti i gruppi bancari e rispetto all’intero sistema bancario italiano rappresentano, al dicembre 2001, ben il 59% del totale dell’attivo. 18 Sia per il settore bancario che per quello automobilistico sono già disponibili dati anche per l’anno 2002; tuttavia, si preferisce realizzare l’analisi sui dati 2001 visto che per il secondo settore questi garantiscono maggiore completezza ed attendibilità. 19 Nel 2002 si sono realizzate altre due grandi operazioni di concentrazione: Banca di Roma e Bipop-Carire costituiscono ora Capitalia; Popolare di Verona e Popolare di Novara si sono unite a formare la Bpvn. (a) 4 4 2 2 2 1 1 1 1 1 1 Tab.1 – Maggiori gruppi bancari italiani, 2001 gruppo totale attivo (b) Intesa bci 314.897.484 Unicredito italiano 208.388.104 Sanpaolo imi 170.485.000 (c) Banca di Roma 133.114.376 Monte dei paschi di Siena 116.953.509 Bnl 91.539.172 Antonveneta 47.516.893 Cardine 43.061.813 Popolare di Bergamo 40.327.700 Popolare di Lodi (Bipielle) 35.443.217 Popolare emilia-romagna (Bper) 35.138.429 Popolare di Milano (Bipiemme) 31.818.670 Popolare di Verona (d) 30.588.789 Banca lombarda 28.543.093 Bipop carire (c) 26.220.012 Banca popolare commercio industria 21.108.498 Popolare di Novara (d) 20.353.587 Dexia crediop 17.816.395 Cassa di risparmio di Firenze 17.052.937 Credem 16.610.590 Carige 13.972.597 Deutsche bank 12.236.399 (a) numero di banche facenti parte del gruppo che comparivano indipendentemente nella top20 del 1996; (b) migliaia di euro, 2001; (c), (d) fusioni realizzate nel 2002. Fonte: elaborazioni su dati Abi. 20 3.2 Il processo produttivo bancario e la riclassificazione di bilancio Seguendo la definizione del processo produttivo bancario delineata in Giannola et al. (1996), nell’ambito della teoria cosidetta dell’intermediation approach, si considera una struttura con tre input e due output: la banca raccoglie fondi che, con l’ausilio di lavoro e di capitale, trasforma in impieghi e depositi. Per la precisione, si considera come input il costo del capitale, il costo del lavoro e il costo dei fondi prestabili e come output depositi ed impieghi. Il contenuto del costo dei fondi prestabili, in particolare, viene allargato a voci a volte trascurate che vanno invece affiancate ai depositi propriamente detti per una identificazione completa del processo produttivo bancario: secondo Giannola et al. si tratta di fonti che le banche utilizzano per la creazione di impieghi e che quindi non possono essere ignorate: il free capital, ottenuto sottraendo al patrimonio le immobilizzazioni e le partecipazioni; l’insieme dei fondi per rischi ed oneri differiti, compreso il fondo Tfr; i debiti subordinati e i fondi di terzi in amministrazione. Per far emergere tali voci a partire dallo schema di bilancio dell’Abi è necessario operare una completa riclassificazione (per i dettagli sulle singole voci, si veda l’Appendice 3, tab. A1). Particolare attenzione va prestata, tra i maggiori gruppi bancari italiani, alla Dexia-Crediop ed alla Bipop-Carire (in corsivo in tab. 1). Il primo, un gruppo bancario franco-lussemburghese da qualche anno molto attivo in Italia, è atipico rispetto a tutte le altre banche considerate essendo la sua attività concentrata nei rapporti con enti territoriali, amministrazioni e aziende di servizi pubblici e praticamente assente invece dalla raccolta depositi al dettaglio e nella creazione di impieghi verso la piccola clientela privata, che caratterizza invece tutte le altre banche; ciò si nota, ad esempio, dalla bassa incidenza del costo del lavoro sugli impieghi (fig. 3a), ma anche del capitale sul costo dei fondi prestabili e da altri simili rapporti tra voci di bilancio19. La Bipop-Carire è invece perfettamente nella media da questo 19 La maggior parte della letteratura sulle banche utilizza solitamente un diverso tipo di rapporti tra voci di bilancio rispetto a quelli mostrati in fig. 3 e relativi alle grandezze inputoutput da noi individuate per rappresentare il processo produttivo (ad esempio, costo del personale su margine di intermediazione piuttosto che sugli impieghi). 21 punto di vista, ma si allontana per quanto riguarda la quota di operazioni on-line sul totale, che la conduce ad avere un rapporto lavoro-capitale notevolmente più basso rispetto alle banche concorrenti (fig. 3b). Per questi motivi si è deciso di realizzare le stime di efficienza sia includendo che escludendo queste due banche per non correre il rischio di fare affidamento su dati “distorti”. Di conseguenza si introducono nelle “top20” anche la ventunesima e ventiduesima banca, per totale dell’attivo, ovvero la Carige e la Deutsche bank (che era nelle prime venti del 1996), realizzando tre diverse stime: senza Bipop-Carire e Dexia-Crediop (schema di base); senza Dexia-Crediop; con entrambe. Fig.3 – Rapporti caratteristici nei bilanci dei maggiori gruppi bancari in Italia 5.0 a. - costo del lavoro/impieghi (%) 4.0 3.0 2.0 1.0 Fonte: elaborazioni su dati Abi. 22 dexia cr. bipop car. 0.0 b. - costo del lavoro/costo del capitale 1.6 1.4 1.2 1.0 0.8 0.6 0.4 bipop car. dexia cr. 0.2 Fonte: elaborazioni su dati Abi. A titolo meramente esemplificativo, si propone una semplice rappresentazione grafica di una particolare combinazione input-output per i 21 maggiori gruppi bancari (escludendo la Dexia-Crediop); infatti, si tratta di una visione parziale dato che, per motivi grafici, è necessario ridurre a due il numero di input e a uno quello di output. Si utilizzano come input costo del lavoro e costo dei fondi prestabili e come output gli impieghi. Per la precisione mostriamo l’isoquanto corrispondente alla produzione della quantità di impieghi della banca maggiore (rapportando in modo lineare a quel livello gli input delle altre banche, chiaramente una forte ipotesi semplificatrice, fig. 4). La figura mostra come le banche che si trovano sulla “frontiera” sono solamente quattro, mentre tutte le altre subiscono allontanamenti dalla condizione di efficienza; sono queste distanze di ogni banca dalla frontiera che ci si propone di misurare. Ovviamente, va ripetuto, la fig. 4 è solo una piccola (e distorta) parte della storia, visto che il processo produttivo bancario include almeno un altro input e un altro output. 23 Fig.4 – Isoquanto: impieghi=183.356.383 (dati in miliardi di euro) 10000 fondi prestabili 9000 8000 7000 6000 5000 4000 2000 3000 4000 5000 6000 lavoro 7000 8000 9000 10000 Fonte: elaborazioni su dati Abi. Un’analisi alternativa, per testare la robustezza dei risultati ottenuti, può essere condotta considerando, ad esempio, input aggiuntivi. Seguendo questa strada, si realizza una ulteriore stima della frontiera di produzione utilizzando come input informazioni supplementari al bilancio bancario, quali il numero di sportelli bancari e il numero di dirigenti in rapporto al totale del personale. 24 Fig.5 – Depositi/sportelli (dati in migliaia di euro) 40000 35000 30000 25000 20000 15000 10000 Fonte: elaborazioni su dati Abi. Un aumento del numero di sportelli (che è chiaramente un’operazione costosa per la banca per le spese fisse che deve affrontare, anche se il costo degli altri input viene ripartito di conseguenza) può rispondere al tentativo di alcune banche di “avvicinarsi” il più possibile alla clientela, in contrasto con la decisione di altri gruppi di concentrare la presenza quanto più possibile nei centri più grandi (fig. 5)20. Una più alta quota di dirigenti sul totale del personale è anch’esso un costo (che potrebbe non essere registrata in termini di costo del personale, si pensi ai vari benefit concessi dall’azienda che non rientrano direttamente nel monte salari) cui può corrispondere il tentativo del gruppo di avvalersi di una maggiore capacità manageriale per accrescere il proprio livello di intermediazione di fondi. 3.3 I risultati per il settore bancario La misurazione dell’efficienza tecnica dei maggiori gruppi bancari italiani con dati di bilancio del 2001, nella definizione base del processo produttivo 20 Una strategia che non vale evidentemente per il cosiddetto e-banking. 25 con tre input (lavoro, capitale, fondi prestabili) e due output (depositi, impieghi) e nella definizione alternativa con due input aggiuntivi (sportelli, quota di dirigenti), dà luogo ai risultati riassunti nelle tab.2a,b,c. Tab.2a – Efficienza tecnica nel settore bancario, 3 input (2001) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 num. eff. media min C,S eff 0,8968 0,9222 0,9351 1,0000 0,8661 0,9252 1,0000 1,0000 1,0000 0,8777 1,0000 0,9944 0,9546 1,0000 0,8953 0,9006 1,0000 1,0000 0,9696 0,9236 8 0,9531 0,8661 V,S eff 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 0,9817 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 0,9335 1,0000 0,9976 0,9592 1,0000 0,9191 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 15 0,9896 0,9191 V,W eff 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 0,9592 1,0000 0,9483 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 18 0,9954 0,9483 Scale 0,8968 0,9222 0,9351 1,0000 0,8822 0,9252 1,0000 1,0000 1,0000 0,9402 1,0000 0,9968 0,9952 1,0000 0,9741 0,9006 1,0000 1,0000 0,9696 0,9236 8 0,9631 0,8822 Congestion 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 0,9817 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 0,9335 1,0000 0,9976 1,0000 1,0000 0,9692 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 16 0,9941 0,9335 C, V: ipotesi alternative sui rendimenti di scala. S, W: ipotesi alternative sulla disposability degli input. Scale ≡ (C, S)/(V, S); congestion ≡ (V, S)/(V, W). Dalla tabella 2a risulta che sulle 20 considerate, solamente otto risultano efficienti nella definizione più generale della frontiera produttiva. L’allontanamento dalla posizione efficiente è forte (superiore al 10%) per 4 banche, ma la maggior parte risultano essere ad una distanza dalla frontiera di produzione minore del 10%. L’inefficienza di alcune delle banche più 26 grandi risiede però solo in fattori di scala, nel senso che esse si situavano nel 2001 in tratti della frontiera a rendimenti non costanti. Otto delle prime nove banche risultano, in effetti, pienamente efficienti una volta isolati i fattori di scala e l’inefficienza media scende dal 5% all’1% circa. L’inefficienza tecnica “pura” risulta decisamente bassa, con due sole banche che si allontanano dalla frontiera. Sebbene un confronto puntuale per i singoli gruppi bancari con i risultati contenuti in Rapacciuolo (2000) e relativi al periodo 1993-1996 non sia possibile a causa del processo di concentrazione intervenuto nel frattempo, è comunque possibile trarre alcune indicazioni. Il numero di banche efficienti (nella definizione del processo produttivo a 3 input e relativamente alla misura C,S di efficienza tecnica) si riduce di una unità, dalle 9 del 1996 alle 8 del 2001. Tuttavia, l’efficienza media si è accresciuta (da 0,9241 a 0,9531) e soprattutto le distanze delle banche più inefficienti dalla frontiera sono meno marcate nel 2001 (il valore minimo sale a 0,8661, dallo 0,7312 del 1996). L’inefficienza tecnica “pura” in entrambi gli anni è circoscritta a due sole banche. Complessivamente, dunque, il quadro sembra essere lievemente migliorato in questi cinque anni. Il numero di banche efficienti passa a 14 aggiungendo gli altri due input (numero di sportelli e quota di dirigenti sul totale del personale); per la precisione, ben 6 banche (tra cui cinque delle sei più grandi), che prima risultavano inefficienti, non lo sono in questa definizione alternativa e più ampia del processo produttivo (tab.2b). Questo risultato fornisce indicazioni circa l’utilizzo di questi fattori produttivi: segnala, in effetti, che essi sono una parte importante del processo produttivo bancario e vengono utilizzati in modo diversificato dalle varie banche per cui la loro mancata considerazione per la stima della frontiera produttiva conduce a risultati che possono essere fuorvianti. Si noti che, visto che le banche che prima risultavano efficienti rimangono sulla frontiera in questa definizione allargata, il risultato non indica che esse abbiano un numero eccessivo di sportelli rispetto alla raccolta o una quota troppo elevata di dirigenti, ma semplicemente una diversa combinazione efficiente dei fattori produttivi. Anche nella definizione allargata, ad ogni modo, l’inefficienza si concentra in fattori di scala e di congestione degli input, mentre l’inefficienza “pura” risulta essere piena. 27 Tab.2b – Efficienza tecnica nel settore bancario con 2 input aggiuntivi (2001) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 num. eff. media min C,S eff 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 0,8777 1,0000 1,0000 0,9844 1,0000 0,9604 0,9198 1,0000 1,0000 0,9696 0,9300 14 0,9821 0,8777 V,S eff 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 0,9335 1,0000 1,0000 0,9969 1,0000 0,9793 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 17 0,9955 0,9335 V,W eff 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 20 1,0000 1,0000 Scale 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 0,9402 1,0000 1,0000 0,9875 1,0000 0,9807 0,9198 1,0000 1,0000 0,9696 0,9300 6 0,9864 0,9198 Congestion 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 0,9335 1,0000 1,0000 0,9969 1,0000 0,9793 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 17 0,9955 0,9335 C, V: ipotesi alternative sui rendimenti di scala. S, W: ipotesi alternative sulla disposability degli input. Scale ≡ (C, S)/(V, S); congestion ≡ (V, S)/(V, W). I risultati in tab.2c mostrano una notevole robustezza delle stime di inefficienza tecnica rispetto all’inserimento di osservazioni aggiuntive, relative alle due banche “speciali”, Bipop-Carire e Dexia-Crediop. Tranne 28 che per un solo caso, le banche che risultano efficienti tra le 20 dello schema di base restano tali se aggiungiamo le due banche speciali21. Tab.2c – Efficienza tecnica C,S con 3 input: due banche “speciali” (2001) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 (15) 16 17 (18) 19 20 21 22 num. eff. media min 22 banche 0,8873 0,9110 0,8978 1,0000 0,8658 0,9272 1,0000 0,9873 1,0000 0,8358 1,0000 0,9944 0,9501 1,0000 1,0000 0,8953 0,9006 1,0000 1,0000 1,0000 0,9696 0,9236 9 0,9521 0,8358 21 banche 0,8873 0,9173 0,9222 1,0000 0,8658 0,9240 1,0000 0,9873 1,0000 0,8467 1,0000 0,9944 0,9501 1,0000 1,0000 0,8953 0,9006 1,0000 1,0000 0,9696 0,9236 8 0,9516 0,8467 20 banche 0,8968 0,9222 0,9351 1,0000 0,8661 0,9252 1,0000 1,0000 1,0000 0,8777 1,0000 0,9944 0,9546 1,0000 0,8953 0,9006 1,0000 1,0000 0,9696 0,9236 8 0,9531 0,8661 Complessivamente, i risultati peggiorano, ma in maniera molto marginale (al massimo di 0,03 punti per il gruppo numero 10), per 8 banche in tutto se 21 Si noti che sia la Bipop-Carire che la Dexia-Crediop risulterebbero essere sulla frontiera efficiente. 29 introduciamo la Bipop-Carire e per 3 banche se aggiungiamo anche la Dexia-Crediop; una banca migliora la sua posizione nello schema a 22, ma anche in questo caso in modo marginale. Dunque, il risultato d’insieme resta praticamente inalterato. Tutto ciò indica che la peculiarità, rispetto alle altre banche, della Bipop-Carire e della Dexia-Crediop le posiziona in tratti della frontiera produttiva che restavano sostanzialmente “vuoti” nello schema di base. Tab.3 – Riduzioni efficienti degli input nel settore bancario (efficienza C,S con 5 input; migliaia di euro 2001) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 costo del lavoro 48.417 6.593 16.120 30.286 6.740 21.674 costo del capitale 62.109 6.583 15.460 21.511 8.610 25.159 costo dei fon.prest. 105.139 10.413 19.673 39.467 8.384 18.579 sportelli* 83 9 22 43 12 19 dirigenti/pers.° 0,1640 0,0254 0,0478 0,0853 0,0312 0,1281 * unità; ° punti percentuali Come illustrato in precedenza, rielaborando i risultati dell’analisi dell’inefficienza, è possibile fornire anche una precisa indicazione di policy 30 alla singola banca, sul modo in cui le sarebbe possibile “ritornare” sulla frontiera di produzione, ovvero avere un processo produttivo efficiente nel senso da noi utilizzato. In altri termini, la metodologia adottata, tenuti costanti gli output della singola banca, può dire anche di quanto essa debba ridurre l’impiego dei suoi input (per la definizione dell’indice di inefficienza, in modo equiproporzionale; tab.3). Naturalmente, a parità di misura di inefficienza la riduzione di input sarà maggiore per le banche più grandi. I risultati in tabella dicono, ad esempio, che se il gruppo numero 13 fosse in grado di tagliare di 6.593.000 euro il suo costo del lavoro, di 6.583.000 euro il costo del capitale, di 10.413.000 euro il costo dei fondi prestabili e di chiudere (o cedere) 9 sportelli e ridurre di 0,02 punti percentuali la quota di dirigenti sul totale del personale, a parità di depositi ed impieghi, riuscirebbe a riportarsi in una situazione di piena efficienza tecnica. . 31 4. I grandi gruppi automobilistici mondiali 4.1 L’oggetto dell’analisi L’oggetto di studio di questo paragrafo sono i grandi gruppi automobilistici mondiali, che siano presenti anche nel mercato di vendita in Italia (sulla composizione delle immatricolazioni di autovetture in Italia per gruppo e per marca nel 2001, si veda la tab. A2 in appendice 3). Per questo settore, infatti, è difficile limitare l’analisi al solo orizzonte italiano e risulta più naturale considerare il bilancio dell’intero gruppo in tutto il mondo. Per la precisione, si utilizzano i dati di bilancio consolidato (relativi al 200122) dei 18 grandi gruppi automobilistici (dei quali solo uno a proprietà italiana) che producono e vendono automobili in tutto il mondo (tab. 4)23. L’analisi esclude altri produttori di automobili, come ad esempio la Lotus e la Porsche, due marchi di lusso (inglese e tedesco rispettivamente), la cui quota in termini di fatturato e di immatricolazioni sul mercato sia italiano che dell’Europa occidentale è trascurabile (tab. A2). Allo stesso modo, in questo lavoro si è scelto di non includere i produttori russi, cinesi e indiani (tra cui la Tata, l’unica che appare anche in tab. A2), in considerazione della difficile reperibilità dei dati e della loro attendibilità limitata, specialmente in un confronto internazionale, oltre che per le dimensioni mediamente ancora assai ridotte al 2001, rispetto a quelle dei grandi gruppi considerati24. Vedi nota 18. Escluso il gruppo Mg-Rover, vedi nota 25. 24 Soprattutto i produttori cinesi ed indiani, proprio perché inseriti in economie in fortissima crescita, sono destinati verosimilmente nei prossimi anni ad ampliare le loro dimensioni, se riusciranno a difendere quote apprezzabili di mercato interno dall’entrata dei gruppi esteri. 22 23 32 Tab.4 – Gruppi automobilistici mondiali e rispettivi marchi Gruppo Paese Marchi* Gm usa Gm, Chevrolet, Pontiac, Cadillac, Opel (ger), Ford Daimler-Chrysler Bmw Volkswagen Daewoo (kor), Saab (swe), Ford, Lincoln, Land Rover (eng), Jaguar (eng), Aston Martin (eng), Volvo (swe) us-ge Chrysler, Dodge, Jeep, Maybach, Mercedes, Smart ger Bmw, Mini (eng), Rolls Royce (eng) ger Volkswagen, Audi, Seat (spa), Skoda (cze), Bugatti (ita), Lamborghini (ita), Bentley (eng) fra Citroen, Peugeot fra Renault, Samsung (kor), Dacia (rom) ita Fiat, Alfa Romeo, Lancia, Ferrari, Maserati eng Mg, Rover jap Toyota jap Honda jap Nissan jap Mitsubishi jap Suzuki jap Subaru jap Mazda jap Daihatsu kor Hyundai kor Kia usa Psa Renault Fiat (gm) Mg-Rover Toyota Honda Nissan (renault) Mitsubishi (dai-chr) Suzuki (gm) Fhi (gm) Mazda (ford) Daihatsu (toyota) Hyundai (dai-chr) Kia (hyundai) *51 marchi; tra parentesi il paese d’origine del marchio se diverso da quello del gruppo di appartenenza. Fonte: nostre elaborazioni. Soprattutto negli anni ’90, si è sviluppato un notevole processo di concentrazione nel settore automobilistico mondiale, con pochi grandi gruppi che hanno accresciuto sempre più la loro dimensione inglobando case più piccole. Queste ultime sono quindi divenute dei marchi dei grandi gruppi, con una precisa e ben distinta identità e quasi sempre con segmenti di domanda di riferimento ben differenziati. 33 In senso opposto va la storia recente di Mg-Rover che è tornata indipendente da tre anni (dopo essere stata acquisita nel ’94 dalla Bmw), restituendo quindi al Regno Unito la titolarità di una casa automobilistica, perduta negli anni precedenti con una serie completa di acquisizioni da parte di gruppi americani e tedeschi. I dati di bilancio su fatturato e totale dell’attivo evidenziano, in effetti, un notevole divario dimensionale tra i primi tre-quattro grandissimi gruppi e le “piccole” case automobilistiche giapponesi e coreane che, nonostante ciò, mantengono la loro posizione, indipendente, nei mercati mondiali (tab.A3 in appendice 3)25. A tal proposito, va però ricordato il fenomeno, molto recente, delle alleanze a vari livelli di “intensità” tra i grandi gruppi e quelli più piccoli (da semplici accordi commerciali, a joint venture per l’apertura di nuovi stabilimenti produttivi), che stanno progressivamente legando i piccoli alle strategie globali dei grandi gruppi, preservandone però in ultima analisi l’indipendenza. Nella prima colonna della tabella 4 si indicano queste alleanze con il nome in corsivo del grande gruppo di riferimento. Tra le operazioni più significative, sicuramente l’alleanza Renault-Nissan inaugurata nel ’99 con immissione di fondi francesi per il recupero della compagnia giapponese e rafforzata nel 2002 con ingenti scambi azionari reciproci, ma con netta prevalenza della quota detenuta dalla società francese. Molto importante anche quella Ford-Mazda, che ha portato alla formazione della società MazdaUsa, interamente detenuta da Ford. 4.2 Il processo produttivo automobilistico e i dati di bilancio Il complesso processo produttivo del settore automobilistico, dal punto di vista di questa analisi, può essere espresso, come schema di base, in termini della combinazione di tre input per la realizzazione di un output (il valore del fatturato, dato dalle auto e dagli altri prodotti venduti): 25 Nell’analisi che segue e nelle stime di efficienza tecnica si esclude il gruppo Mg-Rover per la scarsa attendibilità dei dati di bilancio resi pubblici, soprattutto per la fase di transizione che il gruppo attraversava nel 2001. 34 a) input: capitale (capitale fisso al netto dell’ammortamento26), lavoro (numero di dipendenti27), tecnologia (investimenti in R&D28); b) output: fatturato totale del gruppo (vendite di veicoli e altri prodotti, include la “qualità”). In fig.6 si mostrano alcuni rapporti significativi tra le variabili input/output costruite a partire da dati di bilancio. Si nota che il costo per ricerca e sviluppo è mediamente vicino al 3% del fatturato totale, con alcune eccezioni sia al rialzo, sia al ribasso. Il rapporto tra i due input tipici, lavoro e capitale, mostra una variabilità maggiore: i più grandi (quelli statunitensi) e i più piccoli (giapponesi e coreani) sono sostanzialmente allineati, mentre i gruppi di dimensioni intermedie europei presentano rapporti più alti. 26 Si noti che, sebbene la definizione di immobilizzazioni immateriali al netto dell’ammortamento (net property, plant and equipment) sia comune ai 18 gruppi, l’entità dell’ammortamento iscritto in bilancio in un anno può dipendere in parte dalla considerazione dei meccanismi fiscali, oltre che dall’effettiva perdita di valore dell’immobilizzazione; criteri fiscali che differiscono nei vari paesi in cui hanno sede i diversi gruppi. 27 Si utilizza il numero di dipendenti, piuttosto che il costo del lavoro propriamente detto come per il settore bancario, per un problema di reperibilità dei dati. 28 Per alcuni bilanci non è possibile separare le spese per ricerca e sviluppo propriamente dette da quelle per pubblicità. 35 Fig.6 - Rapporti caratteristici nei bilanci dei gruppi automobilistici, 2001 a. - r&d/ricavi (%) 6.0 5.0 4.0 3.0 2.0 1.0 0.0 b. - lavoro/capitale 25.0 20.0 15.0 10.0 5.0 0.0 Fonte: elaborazioni su dati di bilancio. Per tener conto del fatto che alcuni dei grandi gruppi (i cui bilanci consolidati sono utilizzati in questa analisi) hanno diversificato le loro attività, rispetto alla vendita di autovetture, oltre che ai veicoli commerciali e 36 di trasporto collettivo, anche ad attività diverse e non direttamente collegate con il core business automobilistico, si introduce un input addizionale: un indicatore di concentrazione/diversificazione, definito come rapporto tra fatturato per i veicoli (autovetture e veicoli commerciali) e fatturato totale del singolo gruppo. In altri termini, come quota dei veicoli sul fatturato totale del gruppo. La considerazione di questo input induce, per tentare di definire più compiutamente il processo produttivo, a includere come output addizionale la quota del gruppo nel mercato “mondiale” dei veicoli (immatricolazioni di veicoli sul totale dei 18 gruppi)29. L’idea è che, coeteris paribus, una maggior concentrazione del gruppo nel core business dei veicoli dovrebbe condurlo a detenere una maggiore quota del mercato mondiale dei veicoli. Il calcolo delle misure di inefficienza che si conduce con e senza questa coppia input-output aggiuntiva può far luce sul ruolo della diversificazione produttiva nel settore automobilistico. In fig.7a si presenta un modo per evidenziare la portata della diversificazione; che consiste nel correggere la quota sul totale mondiale delle vendite di veicoli per l’indicatore di concentrazione. Risulta che la correzione accresce ulteriormente la quota dei due maggiori gruppi (Gm e Ford) e rivaluta decisamente quella del gruppo Fiat, portandolo poco sotto la DaimlerChrysler quanto a capacità di vendere prodotti relativamente alle “risorse” impiegate. Fiat è, in effetti, il gruppo che presenta la diversificazione di gran lunga maggiore (solo il 55,7% del fatturato proviene dal business dei veicoli, rispetto a una media del 91,3% per gli altri 17 gruppi). Va notato che l’indicatore qui mostrato, in unità fisiche, non tiene conto della “qualità” dei veicoli venduti e quindi del diverso valore unitario, che è una parte importante del fatturato dei vari gruppi e presenta delle differenze significative legate alla concentrazione di alcuni gruppi in segmenti alti del settore autovetture (ad esempio, il valore unitario dei veicoli Bmw e Daimler-Chrysler è più alto di quello Renault o Ford). In fig.7b si mostra una proxy per il “prezzo medio” dei veicoli venduti, calcolata a partire dai 29 Un indicatore di “inefficienza” del processo produttivo nel settore automobilistico (in un senso diverso da quello indagato in questo lavoro) può essere dato dal valore delle scorte di auto invendute: un accumulo significativo di scorte (in rapporto al fatturato) in un certo anno può segnalare infatti una incapacità dell’azienda nel gestire una domanda variabile (ovvero scarsa flessibilità del processo produttivo) e quindi, da questo punto di vista, un’inefficienza. 37 dati di bilancio (rapporto tra fatturato per la vendita di veicoli e unità di veicoli venduti). Fig. 7 – Vendite e “prezzo medio” dei veicoli (2001) (unità vendute in % del totale dei 18 gruppi; dollari) a. - vendite di veicoli 18.0 16.0 14.0 dato di bilancio 12.0 dato corretto per la diversificazione 10.0 8.0 6.0 4.0 2.0 0.0 b. - "pre zzo m e dio " de i v e ic o li 35000 30000 25000 20000 15000 10000 5000 0 Fonte: elaborazioni su dati di bilancio. 38 4.3 I risultati per il settore automobilistico La misurazione dell’efficienza tecnica dei grandi gruppi automobilistici mondiali, sulla base dei dati di bilancio consolidato descritti nel paragrafo precedente, fornisce i risultati riassunti in tab.5a,b. Dalla tab.5a risulta che sui 18 gruppi considerati, solamente cinque sono efficienti nella definizione più generale della frontiera produttiva. In alcuni casi l’allontanamento dalla posizione efficiente è molto forte (oltre il 30%), anche se la maggior parte dei gruppi automobilistici risultano essere ad una distanza dalla frontiera di produzione minore del 20%. Tab.5a – Efficienza tecnica nel settore automobilistico (2001) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 num. eff. media min C,S eff 1,0000 0,9638 0,8763 0,6907 0,9038 0,9021 0,9131 0,6674 1,0000 1,0000 0,6797 0,8806 0,7673 0,6791 1,0000 0,7202 1,0000 0,7862 5 0,8572 0,6674 V,S eff 1,0000 0,9642 0,9821 0,8836 1,0000 0,9617 0,9209 0,8004 1,0000 1,0000 0,6892 1,0000 0,8405 0,7194 1,0000 0,8243 1,0000 1,0000 8 0,9215 0,6892 V,W eff 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 0,9641 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 0,6892 1,0000 0,8405 1,0000 1,0000 0,9365 1,0000 1,0000 14 0,9684 0,6892 Scale 1,0000 0,9996 0,8923 0,7817 0,9038 0,9380 0,9915 0,8338 1,0000 1,0000 0,9862 0,8806 0,9129 0,9440 1,0000 0,8737 1,0000 0,7862 5 0,9291 0,7817 Congestion 1,0000 0,9642 0,9821 0,8836 1,0000 0,9975 0,9209 0,8004 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 0,7194 1,0000 0,8802 1,0000 1,0000 10 0,9527 0,7194 C, V: ipotesi alternative sui rendimenti di scala. S, W: ipotesi alternative sulla disposability degli input. Scale ≡ (C, S)/(V, S); congestion ≡ (V, S)/(V, W). 39 Come per le banche, una buona parte dell’inefficienza risiede però in fattori di scala, nel senso che ben 13 gruppi si situavano nel 2001 in tratti della frontiera a rendimenti non costanti. Altri tre gruppi automobilistici risultano pienamente efficienti una volta isolati i fattori di scala; l’inefficienza media scende dal 14% all’8% circa. La congestione degli input è responsabile di un’altra buona parte dei casi di inefficienza: l’inefficienza tecnica “pura” risulta infatti molto bassa, con soli quattro casi di allontanamento dalla frontiera. Tab.5b - Efficienza tecnica considerando la diversificazione, 2001 C,S eff V,S eff V,W eff Scale Congestion 1 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 2 0,9643 0,9690 1,0000 0,9951 0,9690 3 0,9778 0,9821 1,0000 0,9956 0,9821 4 0,8992 0,9037 1,0000 0,9950 0,9037 5 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 6 0,9888 1,0000 1,0000 0,9888 1,0000 7 0,9131 0,9469 1,0000 0,9643 0,9469 8 0,8122 0,8385 1,0000 0,9686 0,8385 9 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 10 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 11 0,7572 0,8245 0,8748 0,9184 0,9425 12 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 13 0,9120 0,9158 1,0000 0,9959 0,9158 14 0,7328 0,7974 1,0000 0,9190 0,7974 15 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 16 0,7351 0,9188 0,9415 0,8001 0,9759 17 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 1,0000 18 0,7862 1,0000 1,0000 0,7862 1,0000 num. eff. 7 9 16 7 9 media 0,9155 0,9498 0,9898 0,9626 0,9595 min 0,7328 0,7974 0,8748 0,7862 0,7974 C, V: ipotesi alternative sui rendimenti di scala. S, W: ipotesi alternative sulla disposability degli input. Scale ≡ (C, S)/(V, S); congestion ≡ (V, S)/(V, W). 40 Allargando la definizione del processo produttivo al grado di diversificazione del singolo gruppo (input) e alla quota di mercato mondiale nella vendita di veicoli (output), il numero di gruppi efficienti passa a 7 (tab.5b). Per la precisione, 2 gruppi che prima risultavano inefficienti, in questa definizione più ampia del processo produttivo raggiungono la frontiera produttiva. Questo risultato indica, in effetti, che il grado di diversificazione rispetto al core business della produzione di veicoli è una parte importante del processo produttivo e, come visto in precedenza, presenta delle differenze anche molto significative tra i diversi gruppi. Perciò, la sua mancata considerazione conduce a risultati parziali; il messaggio, ovvio, è che si può stare sulla frontiera con combinazioni anche molto diverse dei fattori produttivi. Al tempo stesso va notato che, mentre nel settore bancario più della metà dei gruppi (14 su 20) risultano sulla frontiera nella definizione più ampia, anche tenendo conto della diversificazione produttiva, solo meno della metà dei gruppi automobilistici sono efficienti (7 su 18). Anche nella definizione allargata e come per il settore bancario, va notato, l’inefficienza si concentra in fattori di scala e soprattutto di congestione degli input (che in alcuni casi è responsabile anche per 20 punti percentuali di inefficienza). Solo due gruppi automobilistici presentano, in effetti, un’inefficienza tecnica “pura”. Nell’altro settore, tuttavia, nella definizione più ampia del processo produttivo, per nessun gruppo si riscontra un’inefficienza tecnica pura; anche da questo particolare punto di vista, dunque, la situazione sembra essere migliore per le banche. Come già fatto per il settore bancario, si rielaborano i risultati dell’analisi dell’inefficienza per ottenere una indicazione di policy per il singolo gruppo automobilistico, sull’entità della riduzione (equiproporzionale) necessaria nell’impiego dei suoi input per tornare sulla frontiera di produzione efficiente, tenuti costanti gli output. I risultati (tab.6) indicano che, ad esempio, per raggiungere la piena efficienza tecnica, il gruppo numero 3 dovrebbe riuscire (a parità di output, ovvero senza veder ridotti il fatturato totale e la sua quota di mercato mondiale) a ridurre di 8.269 unità il numero di dipendenti, di 813.000 dollari 41 lo stock di capitale, di 119.000 dollari le spese in R&D30. Inoltre, il gruppo numero 3 dovrebbe ridurre di 1,9 punti percentuali la sua concentrazione nel settore veicoli. Allo stesso modo, un gruppo di dimensioni minori (pur con un maggiore livello di inefficienza), come il numero 13, per riportarsi sulla frontiera dovrebbe riuscire a ottenere un pari livello dei due output con riduzioni più contenute, in termini assoluti, dei primi tre input: 4.400 dipendenti, 580.000 euro di stock di capitale e 37.000 euro di costi in ricerca e sviluppo in meno. Viceversa, il suo grado di concentrazione (la cui scala in termini percentuali non è correlata alla dimensione del gruppo) andrebbe ridotto di ben 8,8 punti, molto più di quanto necessario al gruppo numero 3. Tab.6 – Riduzioni efficienti degli input nel settore automobilistico (efficienza C,S con 2 output e 4 input; migliaia di euro, 2001) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 lavoro° 12.653 8.269 26.621 2.399 9.933 25.134 34.093 4.400 10.581 7.020 4.760 capitale 1.182 813 3.683 139 975 4.213 2.224 580 1.785 975 504 tecnologia 264 119 393 18 251 351 421 37 183 100 59 concentrazione* 2,9 1,9 8,9 0,6 7,2 18,8 22,6 8,8 26,7 23,6 21,4 ° unità; * punti percentuali. 30 Non deve stupire che l’analisi indichi dei tagli anche nelle spese in R&D, la cui entità è solitamente considerata tra i principali strumenti di competitività nel settore. Tale risultato nasce per definizione della tecnica Dea utilizzata, una volta inclusa la R&D tra gli input. 42 5. Conclusioni L’analisi condotta in questo lavoro sulla stima dell’inefficienza tecnica ha consentito di sviluppare ed applicare una misura (in ammontare monetario o unità fisiche, a seconda della natura delle variabili considerate) delle riduzioni necessarie negli input della singola impresa in un determinato settore per riportarla sulla frontiera produttiva. Inoltre, per la prima volta una misurazione dell’efficienza tecnica è stata realizzata per il settore automobilistico. Riassumendo i risultati empirici delle due precedenti sezioni, si può concludere che la diffusione dell’inefficienza tecnica (misurata dal numero di imprese efficienti e dalla grandezza delle distanze dalla frontiera delle altre31) che viene trovata nel settore automobilistico è sostanzialmente in linea con quella riscontrata nel settore bancario. Questa conclusione necessita, però, di due importanti precisazioni. La prima è che, come mostrano le stime condotte secondo ipotesi alternative sul processo produttivo, la diffusione dell’inefficienza tecnica appare essere minore (e in maniera significativa) per le banche se si considera, per tale settore, la definizione allargata. Risultato che potrebbe risultare sorprendente alla luce dei dati sull’inflazione settoriale (fig.8)32. In Italia, infatti, il settore bancario ha creato inflazione al di sopra della media nazionale negli ultimi cinque anni, mentre quello automobilistico ha registrato una dinamica dei prezzi al consumatore finale significativamente più bassa della media33. Si noti che, in tal senso, questi due specifici settori 31 Un concetto simile alla varianza di singole osservazioni da una media (che qui è rappresentata dalla frontiera); la principale differenza è che in questo caso le distanze sono tutte in una stessa direzione. 32 Si potrebbe infatti pensare che una delle cause per un’inflazione superiore alla media nel settore delle banche possa essere in un numero elevato di casi di inefficienza tra le singole imprese presenti sul mercato bancario. Si noti comunque che il paper non ha inteso né indagare direttamente, né quantificare, l’eventuale relazione causale esistente tra l’inefficienza e l’inflazione. 33 Sugli effetti del miglioramento della qualità sulla misurazione della dinamica dei prezzi al consumo nel caso del settore automobilistico italiano, si veda Tomat (2002). 43 sono indicativi della dinamica dei prezzi al consumo nel complesso dei servizi in confronto a quella del complesso dell’industria nel nostro Paese34. Fig.8 – Inflazione in Italia a. - indici: gennaio 1996=100 145 140 generale 135 automobili 130 servizi bancari 125 120 115 110 105 100 95 1996/1 1997/1 1998/1 1999/1 2000/1 2001/1 2002/1 b. - variazioni % tendenziali 12 generale 10 automobili 8 servizi bancari 6 4 2 0 -2 -4 1997/1 1998/1 1999/1 2000/1 2001/1 2002/1 Fonte: elaborazioni su dati Istat. 34 Sulle cause di tali diversi andamenti nelle componenti dell’inflazione italiana in generale esiste ormai un’ampia letteratura. Riguardo al peso dei servizi e della distribuzione commerciale nell’inflazione italiana, cfr. ad esempio Rapacciuolo e Sgarra (2003). 44 Ma questo conduce alla seconda qualificazione dei risultati. Va tenuto presente infatti che, come già sottolineato, l’inefficienza tecnica misurata in questo lavoro è espressa, per costruzione, in termini relativi all’interno di ciascun settore e nulla dice sul livello assoluto dell’efficienza della singola impresa e del settore nel suo complesso. Questo, nell’operare un confronto tra i risultati ottenuti per i due settori separatamente, non autorizza in ogni caso a concludere che il settore bancario sia caratterizzato da un livello di efficienza maggiore di quello automobilistico35. Da questo punto di vista, i casi di inefficienza comunque numerosi che si riscontrano nel settore bancario, 12 gruppi su 20 (o 6 su 20 nella definizione allargata del processo produttivo)36, potrebbero effettivamente essere una delle ragioni che stanno dietro il tasso di crescita superiore alla media per i prezzi di vendita dell’output in tale settore. L’intuizione potrebbe essere che la diffusione dell’inefficienza tecnica segnala la presenza di scarsa concorrenza; sarebbe quest’ultima, o meglio il potere di mercato detenuto dalle imprese in un settore, a porre in grado le singole imprese di determinare un aumento dei prezzi dei prodotti da esse venduti superiore a quello medio dell’intera economia. Siccome la dinamica dei prezzi è sostenuta per i servizi bancari e moderata per le automobili, se tale ragionamento fosse corretto, indicherebbe al tempo stesso che determinanti diverse, dal lato della domanda o dell’offerta, sono in gioco nel settore automobilistico, laddove una pari diffusione di casi di inefficienza tecnica si accompagna ad un andamento molto più moderato dei prezzi. L’analisi delle forme di mercato e delle caratteristiche della domanda prevalenti nei due settori non è, in effetti, l’obiettivo di questo paper. Tuttavia, a questo punto dell’analisi alcune brevi considerazioni al riguardo, senza alcuna pretesa di esaustività, sembrano naturali37. 35 Il caso limite in cui tutti i gruppi bancari considerati siano meno efficienti in termini assoluti del gruppo automobilistico che, in questo lavoro, risulta più lontano dalla “frontiera” è perfettamente possibile; così come ogni situazione intermedia. 36 O un livello più basso di efficienza per il settore nel suo complesso. 37 Per un’analisi approfondita della struttura di mercato e del tipo di concorrenza, relativamente al settore bancario, si vedano i già citati Focarelli, Panetta e Salleo (1999) e Angelini e Cetorelli (2000). 45 Entrambi i settori sono mercati con un numero limitato di imprese, ma con caratteristiche alquanto diverse. Il settore delle banche, ancora abbastanza chiuso da e verso l’estero, presenta una concorrenza su scala nazionale, con un numero tendenzialmente elevato di imprese di dimensioni molto diverse. Questo anche se, per molti versi, la concorrenza nel settore sembra svilupparsi su scala locale, così che il numero effettivo di attori si riduce. Infatti, per le banche, la scelta da parte della maggior parte dei clienti dipende ancora soprattutto dal luogo di residenza (nonostante la recente diffusione dei conti on-line e di altri strumenti elettronici). La concorrenza nel settore automobilistico si sviluppa, invece, in modo intenso su scala mondiale, visto che ormai si ha libero accesso, senza significativi costi aggiuntivi, ai prodotti di ognuno dei grandi gruppi (cfr. De Benedictis, 2000). La scelta tra un prodotto e l’altro si basa quindi (quasi) unicamente sul rapporto qualità-prezzo (essendo, tra l’altro, ormai quasi scomparso l’acquisto di tipo “nazionalista”, un tempo abbastanza forte). Il numero totale di attori indipendenti esistenti al mondo in tale settore è, anche per tali ragioni, molto minore che nel settore bancario senza che lo sia necessariamente l’intensità della concorrenza. Sembrano esistere nei due settori anche condizioni differenti dal punto di vista della domanda; i risultati nella letteratura teorica ed empirica (cfr. tra gli altri Inzerillo, Morelli e Pittaluga, 2000; Volpato, 2000) paiono indicare che il settore delle banche si confronta con una domanda in una certa misura anelastica, mentre quello delle automobili potrebbe aver di fronte una domanda più elastica38. Per la ricerca futura, sembrano aperte almeno quattro diverse direttrici di analisi: a) analisi della robustezza dei risultati dell’analisi qui condotta, tramite l’applicazione di metodologie alternative al problema della misurazione dell’efficienza tecnica nei settori di banche ed automobili, prima tra tutte la tecnica della Frontiera stocastica. 38 Ad ogni modo, stabilire se la concorrenza effettiva sopportata da un gruppo bancario in Italia (o il potere di mercato da esso esercitato) sia maggiore o minore rispetto a quella sopportata da un gruppo automobilistico esula dagli scopi di questo paper. 46 b) estensione della misurazione dell’efficienza tecnica all’analisi dinamica, per la stima dei miglioramenti di produttività e dello spostamento della frontiera produttiva in un dato intervallo di tempo. c) calcolo per i settori di banche ed automobili di altre misure Dea; in particolare, estensione alla misurazione dell’inefficienza allocativa e globale che richiede l’individuzione dei “prezzi” degli input in ciascun settore, per l’analisi del problema di minimizzazione dei costi della singola impresa. d) estensione del tipo di analisi qui sviluppata ad altri settori rilevanti dell’economia italiana, sia nel campo dei servizi, sia in quello manifatturiero. 47 Appendice 1 Per la risoluzione dei problemi di programmazione lineare presentati nei paragrafi 2.1 e 2.2 ci si è avvalsi del software Gauss (nella versione 386i VM 3.2.14, gennaio 1996). La scelta di tale software è stata dettata dalla particolare flessibilità ed efficacia con le quali esso riesce a trattare matrici di rilevanti dimensioni. Questo linguaggio di programmazione dispone di una procedura predefinita per l’applicazione dell’algoritmo del simplesso a due fasi. Per ciascuna misura di efficienza è necessario elaborare un programma Gauss che, attraverso un loop, risolva in successione un problema di programmazione lineare per ciascuna delle imprese considerate. Come esempio dei calcoli realizzati, si mostra di seguito il programma in linguaggio Gauss elaborato per la misurazione dell’efficienza tecnica con rendimenti costanti di scala e strong disposability degli input (C,S): library simplex; lpset; format /m2 /rd 8,5; load x; let a = 1 1 0 0 0; m = selif(x,a); let b = 0 0 1 1 1; n = selif(x,b); d = zeros(2,1); e = zeros(3,1); q = zeros(1,20); let r[1,1] = 1; s = q~r; c = 1; do while c<21; i = -submat (n,0,c); o = submat (m,0,c); f = o|e; 48 u =d|i; g = x~u; _lpmin = 1; _lpcnst = { 2, 2, 1, 1, 1 }; _lpxcnst = 1; __output = 1; _lpname = «T»; output file = lp1.out reset; {t,optval, retcode} = lpprt(simplex(g,f,s,0,0)); output off; c=c+1; endo; 49 Appendice 2 In questa appendice, si tenta di illustrare maggiormente il significato economico e matematico delle due assunzioni chiave nella definizione della frontiera di produzione. Innanzitutto quella dei rendimenti di scala; da un punto di vista economico, ci si riferisce a cosa succede all’output quando si aumenta la quantità impiegata di tutti gli input, moltiplicandola per una qualche costante. Si hanno rendimenti costanti quando l’output aumenta proporzionalmente, cioè l’impresa è in grado di replicare esattamente ciò che faceva prima, che sembra il caso più naturale. Ma la quantità di output potrebbe aumentare più che proporzionalmente, situazione che si definisce di rendimenti crescenti di scala e che sussiste tipicamente solo per livelli ridotti di output. Viceversa, per redimenti decrescenti, che nascono di solito in presenza di input fissi. Naturalmente, una tecnologia può avere rendimenti diversi in corrispondenza di diversi livelli di produzione; tipicamente, crescenti a livelli bassi, costanti nella scala intermedia e decrescenti per livelli elevati di produzione: si parla allora di rendimenti di scala variabili. Da un punto di vista matematico, definito con u il vettore di output e con x=L(u) il vettore di input necessario a produrlo per mezzo della tecnologia l(·), abbiamo rendimenti costanti di scala se: L( µ u ) = µ L(u ), µ > 0 abbiamo rendimenti non crescenti di scala se: L(θ u ) ⊆ θ L(u ), θ ≥ 1 e infine, rendimenti non decrescenti di scala se: θ L(u ) ⊆ L(θ u ), θ ≥ 1 In fig.A1 si mostra, per il caso con un input e un output, il disegno della frontiera e dell’insieme delle attività possibili per questa definizione meno restrittiva della tecnologia, con la corrispondente misura di inefficienza tecnica; si noti che i rendimenti di scala, che si riferiscono alle trasformazioni input-output, sono meglio esemplificati in un grafico di questo tipo. 50 Fig.A1 – Rendimenti variabili di scala u V,S b uj a 0 λ*jxj xj x Quanto alle assunzioni sulla disposability degli input, da un punto di vista economico la disposability si riferisce alla possibilità di stoccare o disfarsi o in genere disporre di beni non desiderati. La strong disposability si riferisce al caso in cui ciò sia possibile senza alcun costo, la weak disposability invece al caso di un costo positivo; la prima implica la seconda ma non viceversa. La strong disposability è anche definita free disposability e, relativamente allo spazio degli input, modella la situazione in cui gli input possono essere accresciuti indefinitamente senza ridurre gli output; ciò esclude isoquanti con pendenza positiva e regioni non-economiche. Corrisponde anche ad assumere che la tecnologia sia monotona: aumentando la quantità di almeno un input, l’output dovrebbe essere almeno uguale; ovvero se l’impresa può eliminare un input senza costo, avere ulteriori quantità di input non può 51 nuocerle. Se invece si intende modellare situazioni di congestione degli input, la weak disposability è più appropriata. Matematicamente, diciamo che l’input set L(u) presenta strong disposability se soddisfa la seguente proprietà: if x ' ≥ x, x ∈ L(u ) ⇒ x ' ∈ L(u ) viceversa, l’input set presenta weak disposability se vale la seguente proprietà: if x ∈ L(u ) ⊆ ℜ +N , 0 ∉ L(u ) ⇒ λx ∈ L(u ), λ ≥ 1 In altri termini, con la prima assunzione è possibile espandere gli input sia orizzontalmente che verticalmente; con la seconda, solo le espansioni radiali degli input sono consentite. Fig.A2 – Weak disposability degli input x2 C,W xj a λ*jxj b 0 52 x1 In fig.A2 si mostra, per una tecnologia con rendimenti costanti di scala e weak disposability degli input, il disegno della frontiera, l’insieme delle attività possibili e la corrispondente misura di inefficienza tecnica, per il caso esemplificativo di due input e un output. Weak disposability significa che, ad esempio, non è possibile espandere (verticalmente) senza limiti il solo input x2 evitando che ciò causi perdite di output; è possibile invece aumentare i due input nella stessa proporzione senza ripercussioni sull’output, il che appunto è comunque una forma, meno forte, di disposability. 53 Appendice 3 In questa appendice si forniscono maggiori dettagli sulla riclassificazione delle voci di bilancio Abi (tab.A1), operata seguendo la metodologia descritta in Giannola et al. (1996), sulla composizione del mercato automobilistico in Italia (tab.A2) e sulla dimensione dei 18 grandi gruppi automobilistici mondiali. Tab.A1 – Riclassificazione del bilancio bancario a. - BILANCIO ABI Attivo Passivo cassa debiti verso banche titoli del tesoro debiti verso clientela crediti verso banche debiti rappresentati da titoli crediti verso clientela fondi di terzi in amministrazione obbligazioni altre passività azioni ratei e risconti passivi partecipazioni tfr di lavoro subordinato partecipaz. in imprese del gruppo fondi per rischi ed oneri immobilizzazioni immateriali fondi rischi su crediti immobilizzazioni materiali fondo per rischi bancari generali capitale sottoscritto non versato passività subordinate azioni proprie capitale altre attività sovraprezzi di emissione ratei e risconti attivi riserve riserve di rivalutazione utili portati a nuovo utile d’esercizio - I RICLASSIFICAZIONE Voci dell’Attivo I 1. titoli = titoli del tesoro + obbligazioni + azioni 2. altre attività I = capitale sottoscritto non versato + azioni proprie + altre attività + ratei e risconti attivi 3. partecipazioni I = partecipazioni + partecipazioni in imprese del gruppo 4. immobilizzazioni = immobilizzazioni immateriali + immobilizzazioni materiali 54 Voci del Passivo I 1. altri fondi I = fondi di terzi in amministrazione + fondi per rischi ed oneri + fondi rischi su crediti 2. altre passività I = altre passività + debiti rappresentati da titoli + ratei e risconti passivi 3. patrimonio = fondo per rischi bancari generali + capitale + sovraprezzi di emissione + riserve + riserve di rivalutazione + utili portati a nuovo + utile d’esercizio b. - PRIMA RICLASSIFICAZIONE Attivo I Passivo I cassa debiti verso banche crediti verso banche debiti verso clientela crediti verso clientela tfr di lavoro subordinato titoli altri fondi I altre attività I altre passività I partecipazioni I passività subordinate immobilizzazioni patrimonio SECONDA RICLASSIFICAZIONE Attivo II Passivo II tesoreria debiti verso clientela crediti verso clientela tfr di lavoro subordinato altre attività nette altri fondi II free capital - II RICLASSIFICAZIONE Voci dell’Attivo II 1. tesoreria = crediti verso banche - debiti verso banche + titoli + passività subordinate 2. altre attività nette = altre attività - altre passività I + cassa Voci del Passivo II 1. altri fondi II = altri fondi I + passività subordinate 2. free capital = patrimonio – immobilizzazioni - partecipazioni Fondi prestabili = Passivo II - tesoreria (solo se negativa) 55 Tab. A2- Immatricolazioni di autovetture in Italia, 2001 Gruppo Marca 34,6 Fiat Lancia Alfa Romeo Ferrari Maserati Volkswagen 296.148 12,3 Volkswagen Audi Seat Skoda Gm 258.839 10,7 Opel Daewoo Saab Ford 216.917 9,0 Ford Volvo Land Rover Jaguar Psa 195.406 8,1 Peugeot Citroen Renault 169.066 7,0 Daimler-Chrysler 109.414 4,5 Mercedes Smart Chrysler Toyota 100.458 4,2 Nissan 50.008 2,1 Bmw 49.037 2,0 Bmw Mini Hyundai 39.863 1,7 Suzuki 22.372 0,9 Mitsubishi 17.584 0,7 Honda 13.188 0,5 Kia 11.570 0,5 Mg-Rover 10.876 0,5 Rover Mazda 6.754 0,3 Daihatsu 3.046 0,1 Fhi 2.589 0,1 Subaru Porsche 2.036 0,1 Tata 475 0,0 Altre nazionali 51 0,0 Altre estere 1.930 0,1 Totale Mercato 2.413.455 100,0 Fonte: elaborazioni su dati Anfia, CED-Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Fiat 56 Unità 835.828 % Unità 617.248 125.883 91.915 474 308 181.795 47.134 38.817 28.402 211.476 44.213 3.150 186.106 16.741 10.062 4.008 120.392 75.014 % 25,6 5,2 3,8 0,0 0,0 7,5 2,0 1,6 1,2 8,8 1,8 0,1 7,7 0,7 0,4 0,2 5,0 3,1 67.041 28.735 13.638 2,8 1,2 0,6 46.329 2.708 1,9 0,1 10.876 0,5 2.589 0,1 Tab.A3 – Dati di bilancio dei gruppi automobilistici, 2001 (milioni di dollari) Gruppo Gm Ford Daimler-Chrysler Toyota Volkswagen Fiat Honda Nissan Psa Bmw Renault Mitsubishi Hyundai Mazda Suzuki Fhi Kia Daihatsu Totale Fatturato % 177.260 17,0 162.412 15,6 152.873 14,7 103.134 9,9 79.332 7,6 51.973 5,0 51.538 4,9 49.110 4,7 46.290 4,4 34.463 3,3 32.570 3,1 26.446 2,5 16.971 1,6 16.523 1,6 12.915 1,2 10.579 1,0 9.317 0,9 8.061 0,8 1.041.768 100,0 Totale attivo % 322.412 22,5 276.543 19,3 184.616 12,9 139.506 9,7 93.981 6,6 90.674 6,3 46.454 3,2 54.248 3,8 50.238 3,5 46.133 3,2 45.116 3,1 24.065 1,7 14.805 1,0 13.044 0,9 10.491 0,7 9.423 0,7 6.363 0,4 6.189 0,4 1.434.301 100,0 Fonte: elaborazioni su dati di bilancio. 57 Riferimenti bibliografici Amel D., Barnes C., Panetta F. e Salleo C. (2002), Consolidation and efficiency in the financial sector: a review of the international evidence, Banca d’Italia, Temi di discussione del Servizio Studi, n.464. Angelini P. e Cetorelli N. (2000), Bank competition and regulatory reform: the case of the Italian banking industry, Banca d’Italia, Temi di discussione del Servizio Studi, n.380. Ardizzi G. (2003), Cost efficiency in the retail payment networks: first evidence from the Italian credit card system, Banca d’Italia, Temi di discussione del Servizio Studi, n.480. Casolaro L. e Gobbi G. (2004), Information technology and productivity changes in the Italian banking industry, Banca d’Italia, Temi di discussione del Servizio Studi, n.489. Cella G., Grimaldi A. e Pica G. (1997), Alcuni risultati sull’efficienza del sistema bancario italiano, Università di Napoli “Federico II”, mimeo. De Benedictis L. (2000), Accesso al mercato: dazi e barriere non tariffarie. Una applicazione al settore automobilistico e al settore chimico, Rivista di Politica Economica, XC(3). Fare R., Grosskopf S. e Lovell C.A. K. (1994), Production Frontiers, Cambridge, Cambridge University Press. Farrell, M. J. (1957), The measurement of productive efficiency, Journal of Royal Statistical Society, A 120, 253-281. Ferri G. e Inzerillo U. (2002), Ristrutturazione bancaria, crescita e internazionalizzazione delle Pmi meridionali, CSC working paper, n.30. 58 Focarelli D., Panetta F. e Salleo C. (1999), Why do banks merge?, Banca d’Italia, Temi di discussione del Servizio Studi, n.361. Focarelli D. e Panetta F. (2002), Are mergers beneficial to consumers? Evidence from the market for bank deposits, Banca d’Italia, Temi di discussione del Servizio Studi, n.448. Frigero P. (1996), Metodi e temi di analisi della produttività, Torino, Utet Libreria. Giannola A., Ricci C. e Scarfiglieri G. (1996), Aspetti dimensionali e territoriali dell’efficienza bancaria: il puzzle italiano, Rivista di Politica Economica, pp.361-384. Inzerillo U., Morelli P. e Pittaluga G. (2000), Deregulation and changes in the European banking industry, in: G. Galli e J. Pelkmans (a cura di), Regulatory reform and competitiveness in Europe, 2: vertical issues, Edward Elgar publishing. Jondrow J., Knox Lovell C.A., Materov I. e Schmidt P. (1982), On the estimation of technical inefficiency in the stochastic frontier production function model, Journal of Econometrics, n.19, pp.233-238. Presciutti Cinti M. (2002), Il piano di risanamento Fiat, Luiss-Ceradi, mimeo. Rapacciuolo C. (2000), Analisi dell’efficienza del sistema bancario secondo la metodologia non parametrica, in: M. Bagella e A. Giannola (a cura di), Performance, assetto proprietario e internazionalizzazione del sistema bancario italiano, Bologna, Il Mulino. Rapacciuolo C. e Sgarra G. (2003), Differenziale di inflazione e regolamentazione del commercio al dettaglio, Nota dal CSC, n.11/03. Scarfiglieri G. (2000), Efficienza nel costo e nel profitto e attività non tradizionali: una prospettiva europea, in: M. Bagella e A. Giannola (a cura 59 di), Performance, assetto proprietario e internazionalizzazione del sistema bancario italiano, Bologna, Il Mulino. Tomat G. M. (2002), Durable goods, price indexes and quality change: an application to automobile prices in Italy, 1988-1998, Banca d’Italia, Temi di discussione del Servizio Studi, n.439. Traù F. (1984), Efficienza relativa e frontiere produttive: un’applicazione dello schema di M. J. Farrell alle imprese in rapporto con l’Imi, Quaderno n.2/84. Traù F. (1991), I differenziali di efficienza tra imprese nella letteratura teorica: una traccia di discussione, Rivista di Politica Economica, IX, pp.57-78. Volpato G. (1983), L’industria automobilistica internazionale, Padova, Cedam. Volpato G. (2000), Regulatory reform for the better functioning of markets: the case of the automobile industry, in: G. Galli e J. Pelkmans (a cura di), Regulatory reform and competitiveness in Europe, 2: vertical issues, Northampton, Edward Elgar publishing. Welzel P. e Lang G. (1997), Non-parametric efficiency analysis in banking, a study of German universal banks, University of Augsburg working paper, n.163. 60