I reliquiari quattrocenteschi della certosa di

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I reliquiari quattrocenteschi della certosa di
I reliquiari quattrocenteschi della certosa di Garegnano: una rilettura
CARLA TRAVI
Sulle pagine di questa rivista furono presentati nel 1982 da Liana Castelfranchi due reliquiari che inglobano vetri a oro e miniature a tempera del XV secolo in eleganti cornici di fine Cinquecento1. Le teche erano allora presso la parrocchia di Garegnano, già sede del monastero certosino sorto nel 1349 a poca distanza dal centro cittadino per volontà di Giovanni Visconti2.
L’occasione di schedare i reliquiari per il catalogo del Museo
Diocesano milanese dove si trovano in deposito dal 2000, e la
disponibilità dei dati acquisiti nel corso del restauro attuato in
quell’anno3, hanno permesso una riconsiderazione di questi oggetti davvero fuori del comune, finora non appieno indagati soprattutto in relazione al contesto certosino in cui vennero risistemati e in cui con buona probabilità furono realizzati. Indiscutibilmente belle e preziose, le due custodie sono anche di
articolata struttura. Di base c’è un casellario ligneo di semplice
e squadrata forma contenente dodici reliquie identificate da un
cartiglio4, coperte nelle file laterali esterne da sei lastrine dorate
e al centro da altrettante miniature e relativi vetri di protezione. Nella teca convenzionalmente nota come reliquiario A (fig.
1) leggendo in verticale da sinistra le lastre a oro presentano la
Madonna dell’umiltà, Santa Caterina d’Alessandria, la Strage degli
Innocenti, San Matteo, San Romano e San Nicola, mentre le miniature mostrano accoppiate la Lapidazione di santo Stefano e
San Lorenzo, San Fabiano e Sant’Alessandro, San Nicola (sopra
una reliquia di san Biagio) e le Undicimila vergini. Nel secondo
reliquiario, B (fig. 2), i vetri dorati illustrano San Bartolomeo,
San Valeriano, San Cristoforo, la Flagellazione, Santa Cecilia e
Santa Caterina da Siena, mentre le miniature esibiscono la Madonna in adorazione del Bimbo e la Maddalena, Sant’Ugo e San
Brizio, Sant’Orsola e Santa Caterina d’Alessandria. Miniature e
relate iscrizioni utilizzano il medesimo supporto (figg. 6, 8-9,
tavv. 5-7), mentre solo una striscia di carta pergamena a sé stante
traspare dalla parte inferiore dei vetri dorati priva di foglia d’oro.
La vicenda critica dei due reliquiari è piuttosto recente e riassumibile in breve: il Salmi nel 1925 riconobbe le parti decorate
come opere lombarde del secondo Quattrocento, e gli studi della
Pettenati e della Castelfranchi negli ultimi anni ottanta le hanno
messe in relazione al fare del Bembo e degli Zavattari, con una datazione al 1460-70 accolta dalla maggior parte degli studiosi5. Poco si sa invece della loro storia, prima del XIX secolo riallacciabile
Abbreviazioni
dei santi Innocenti, un pezzo d’osso del capo di san Matteo, uno di san Romano
e uno del braccio di san Nicola, pezzetti d’osso di san Bartolomeo, san Valeriano
e san Cristoforo, una particella della colonna della flagellazione di Cristo, un pezzo d’osso di santa Cecilia e un frammento del manto di santa Caterina da Siena.
Le reliquie collegate alle miniature sono un pezzetto di una pietra con cui fu lapidato santo Stefano, un osso di san Lorenzo, uno di san Fabiano papa, uno di
sant’Alessandro papa, uno di san Biagio e un dente di una delle Undicimila vergini, un brandello del velo di Maria, ossa della Maddalena, un capello del vescovo
Ugo di Grenoble, ossa di san Brizio e di sant’Orsola, un frammento della veste
di santa Caterina d’Alessandria. Per la trascrizione delle scritte, in precedenza non
del tutto corretta, si rimanda a TRAVI, 2011. Va precisato che in relazione alle
Undicimila vergini si è trascritto «miliium», con il conforto della cortese consulenza paleografica di Marco Petoletti, sebbene la terminazione si potesse leggere
anche «l(?)num», sospettando un errore del trascrittore.
5 M. SALMI, Un cofanetto di cuoio impresso e un dittico ad oro graffito nel Museo
d’Arezzo, in «Atti e memorie della R. Accademia Petrarca», V (1925/2), p. 51;
S. PETTENATI, I vetri a oro graffiti e i vetri dipinti: tecnica ed esemplari, in I vetri
dorati graffiti e i vetri dipinti. Museo civico, Torino, a cura di S. Pettenati, Torino
1978, pp. XXXII-XXXIII, 21; CASTELFRANCHI VEGAS, 1982; S. PETTENATI, in
Zenale e Leonardo, catalogo della mostra, a cura di F. Porzio, Milano 1982, pp.
70-72. Bibliografia completa in TRAVI, 2011, con lieve anticipo della datazione
intorno alla metà del secolo. Ripropone una data intorno al 1460 S. BUGANZA,
in Oro dai Visconti agli Sforza, catalogo della mostra, a cura di P. Venturelli,
Cinisello Balsamo 2011, pp. 152-154.
Ambr.: Biblioteca Ambrosiana, Milano;
ASMi: Archivio di Stato di Milano;
Braidense: Biblioteca Braidense, Milano.
1 L. CASTELFRANCHI VEGAS, Due reliquiari gotico internazionali, in «Arte Lom-
barda», 61 (1982), pp. 61-64.
2 La certosa di Garegnano in Milano, a cura di C. Capponi, Milano, 2003. Sul
rapporto col centro cittadino: E. CANOBBIO, Aspetti della presenza certosina e
cistercense nel dominio visconteo-sforzesco, in Certosini e cistercensi in Italia (secoli
XII-XV), atti del convegno, a cura di R. Comba e G. G. Merlo, Cuneo 2000,
pp. 476-492.
3 C. TRAVI, schede, in Museo Diocesano, Milano 2011, pp. 122-126. Questo
articolo nasce dall’impossibilità di discutere adeguatamente le opere nello spazio esiguo di una scheda ed è dedicato a Miklós Boskovits, che ne ha conosciuto l’avvio: a lui devo l’ostinata affezione ai reliquiari dipinti. Punto di riferimento per ogni questione tecnica, a partire dalle corrette dimensioni, è la Relazione finale del restauro di Luigi Parma, che ringrazio per chiarimenti, documentazione fotografica e autorizzazione a riprodurne parte. Cfr. anche S. BANDERA, in Restituzioni 2000, a cura di F. Rigon, Vicenza 2000, pp. 144-148.
4 Le reliquie protette dai vetri a oro sono, nel reliquiario A e a seguire nel B, il
latte della Vergine, il «liquor» di santa Caterina d’Alessandria, una costola di uno
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Arte Lombarda | CARLA TRAVI
1. Reliquiario A. Milano, Museo Diocesano (da Milano, certosa di Garegnano).
2. Reliquiario B. Milano, Museo Diocesano (da Milano, certosa di Garegnano).
a un unico dato documentario reso noto dalla Pettenati, la menzione in un inventario dei beni di Garegnano del 18896. Le ricerche di Roberto Gariboldi nell’archivio dell’attuale parrocchia
subentrata nel 1783 all’istituzione certosina ci permettono ora
di precisare e aumentare le conoscenze delle vicende più recenti7. Purtroppo non si trova menzione dei reliquiari in alcune note del 1796, del 1820 e del 1834 allegate a un minuzioso inventario del 1873, revisionato nel 18898. In quest’ultimo è presente
invece una registrazione che sembra inequivocabilmente corrispondere alle due teche ed è sostanzialmente quella fornita dalla
Pettenati: «N. 2 grandi reliquiari di legno inverniciato e dorato,
PETTENATI, 1982, p. 70.
Ringrazio di cuore Roberto Gariboldi per aver consultato il materiale inventariale dell’archivio della parrocchia di Garegnano, in via di riordino, e avermene dato conto in una relazione scritta: I reliquiari «antichi» negli inventari
delle suppellettili della parrocchia di santa Maria Assunta in certosa (ex certosa di
Garegnano), 17/03/2012.
8 Inventario degli arredi sacri di proprietà della chiesa parrocchiale di GaregnanoCertosa dal principio dall’anno 1873 in avanti; aggiunta nota in inchiostro rosso: «Verifica 12-12-1889 fatta in luogo del r. subeconomo dei B. V. di Milano
e Uniti ing. cav. Enrico Rosa». A questo quaderno sono allegati alcuni fogli
manoscritti: «Garegnano li 14 giugno 1796 nota di quanto si trova nella chiesa
parrocchiale di Garegnano»; «Consegna de mobili della chiesa parrocchiale fatta dal sac. Gaspare Pedrinelli, nel 1820 li 3 gennaio, dalli signori fabbriceri
Giuseppe Colombo, Domenico Manni e Luigi Radice; «Inventario degli oggetti che sono di ragione della chiesa parrocchiale di Garegnano pieve di Trenno», 6 marzo 1834.
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3. Armadio per reliquie. Milano, certosa di Garegnano.
I reliquiari quattrocenteschi della certosa di Garegnano: una rilettura
che si espongono ai due lati dell’altare maggiore nei giorni più
solenni». Una nota in rosso, relativa alla verifica del 1889, precisa: «con i relativi piedestalli in legno con fregi dorati e reliquie».
Nel 1917 si citano brevemente «n. 2 reliquiari antichi» e in occasione della visita pastorale del 1933 si ricordano «N. 2 artistici
reliquiari del ’500 dipinti su vetro, cornici in legno intagliato e
piedestalli relativi», rammentati in modo simile nella successiva
visita pastorale del 1939, in un inventario del 1951 e in un altro
senza data ma presumibilmente risalente agli anni sessanta9. Se
si tiene presente il ricordo del Salmi del 1925 e quello del Contini nel 193010, che tra l’altro pubblica per la prima volta una
foto del reliquiario A, possiamo concludere che tra i beni della
parrocchia sostituitasi ai certosini le due teche risultano costantemente presenti dal 1873 ai giorni nostri. Se ne propone qui
una foto ancora in loco (fig. 1).
Qualche indizio suggerisce tuttavia che i reliquiari fossero presenti in Garegnano almeno dalla fine del Cinquecento, come del
resto già sospettato dagli studiosi. Un parziale riscontro con le reliquie ricordate nel 1603 nella certosa milanese da Paolo Morigia11, insieme alla constatazione che ne manca invece memoria
nei documenti che certificano l’acquisizione di nuove reliquie nel
monastero nel corso del XVII secolo12, supporta tale ipotesi, che
trova argomento anche nella fattura delle attuali cornici. I due te-
lai, ritenuti tardocinquecenteschi per affinità con gli stucchi del
presbiterio di Garegnano realizzati tra il 1579 e il 158213, in verità
si apparentano strettamente all’armadio nella cappella delle reliquie da cui le teche sono state prelevate nel 2000, realizzato del
resto proprio a custodia di santi resti, come indica esplicitamente
la scritta del fastigio: HINC HALAT ODOR SANCTORUM DEI (fig. 3)14.
Dal momento che per parte dell’arredo ligneo di sacrestia e cappella delle reliquie esiste un contratto del 159015 si può pensare a
una data similare anche per l’armadio in questione, e probabilmente anche per il nuovo allestimento delle reliquie16.
Rigide prescrizioni, a partire da quelle del Concilio Laterano
IV del 1215, hanno sempre imposto di tenere riposte e protette
le reliquie, offerte alla venerazione privata o pubblica in poche e
particolari ricorrenze17. Per questo, al di là della corrispondenza
tipologica di cornici e armadio, è ragionevole pensare che l’unica
collocazione stabile in Garegnano dei due reliquiari possa essere
stata l’armadio delle reliquie18. Una forte indicazione in tal senso
deriva soprattutto dal particolare rapporto dei certosini con i
santi resti19. Colpisce infatti trovare nel calendario liturgico
dell’ordine, caratterizzato da grande sobrietà e contenutezza, la
solennità delle Sacre Reliquie con ricorrenza all’8 di novembre,
ottava di Ognissanti20. La festività risulta stabilmente introdotta
già agli inizi del XIII secolo, comparendo negli Statuta Jancelini
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crestia e sala del tesoro.
16 Nel caso si fosse provveduto in breve seguito, data di ampio margine ante
quem può risultare, se non il 1597 – anno di riconsacrazione dell’altare della
sacristia ricordato in un documento annotante le consacrazioni degli altari della certosa di Garegnano fra Tre e Cinquecento: Braidense, ms. AD.XV.12, n.
19; A. PALESTRA, La certosa di Garegnano, in «Ricerche storiche sulla Chiesa
ambrosiana», 6 (1976), p. 74, n. 39 – di certo il 1604, quando una pala del
Procaccini sovrapposta a un affresco di Bartolomeo de Benzi segna la definitiva
conclusione dell’ammodernamento della sacrestia e dell’annessa cappella delle
reliquie: S. COPPA, Episodi di pittura controriformata tra ultimo Cinquecento e
primo Seicento, in La certosa…, 2003, p. 176.
17 L’attenzione a tenere protette le reliquie ha generato una serie di adeguati
contenitori, e anche quando, soprattutto tra fine XIII e inizio XV secolo, i sacri
resti sono stati inseriti in dipinti esponibili (ma sempre in occasioni eccezionali) su un altare, la forma di gran lunga preferita è stata quella richiudibile a dittico e trittico. Per riflessioni in merito e sulla rara tipologia dei reliquiari dipinti
si veda C. TRAVI, Su alcuni reliquiari dipinti trecenteschi di ambito emiliano, in
«Arte cristiana», XCV, 839 (2007), pp. 100-110.
18 PETTENATI, 1982, p. 72, suggerisce una collocazione tardocinquecentesca
dei due reliquiari all’altare dedicato a santa Caterina da Siena in sacrestia; S.
COPPA, Quattro secoli di pittura nella certosa di Garegnano, in La certosa…,
2003, p. 33 nota 8, li ricollega idealmente a tre sontuosi altari laterali ricordati
da una fonte ottocentesca.
19 Di seguito mi rifaccio a G. LEONCINI, Le cappelle delle reliquie nelle certose
italiane, in Los cartujos en Andalucía, 2, «Analecta cartusiana», 150 (1999),
pp. 143-170. Si veda anche A. DEGAND, Chartreux, liturgie des, in F. CABROL
- H. LECLERCQ, Dictionnaire d’Archéologie chrétienne et de liturgie, 3, Paris
1913, col. 1055.
20 Dopo la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II nel Rituale certosino è rimasta solo la commemorazione, ricondotta però al primo novembre,
che tuttavia segue lo stesso breve e significativo rito, con la recita dell’elenco di
tutte le reliquie venerate nella specifica certosa. Non suscita perciò stupore trovare la ricorrenza segnata in rosso nel calendario liturgico legato a un collettario
in uso nella certosa di Garegnano e risalente in prima battuta al XV secolo, ora
conservato in Braidense (AD.XIII.22; PALESTRA, 1976, pp. 119-120).
Inventario degli arredi sacri della chiesa parr. di S. M. Assunta in Certosa - Milano 1917, alla voce B; Inventario degli arredi sacri della chiesa parr. di S. M.
Assunta in Certosa - Milano 1933, p. 2; Inventario per visita pastorale 28-29
marzo 1939, alla voce Reliquiari.
10 C. CONTINI, La Certosa di Milano, Milano 1930, pp. 68-70.
11 Il rilievo è di P. VENTURELLI, Relucebit ut vitrum, in Splendori al Museo Diocesano, catalogo della mostra, a cura di P. Biscottini, Milano 2000, pp. 206, 229
note 4, 5, in riferimento a P. MORIGIA, Santuario della città e diocesi di Milano,
Milano 1603, senza numerazione di pagina. Oltre alle sette coincidenze rilevate
dalla studiosa, inerenti alle reliquie della Vergine, della colonna della flagellazione, della Maddalena, di Matteo, Nicola e Ugo, ricorrono anche quelle relative
ai sacri resti di Bartolomeo, dei santi Innocenti e delle Undicimila vergini. Nei
più antichi cataloghi (entro il 1538) di reliquie nelle chiese di Milano non si fa
cenno a Garegnano, né risulta in città la maggior parte delle reliquie in esame:
P. BORELLA, Corpi santi in Milano e Diocesi, Milano 1957, pp. 131-188.
12 Mi riferisco a quanto registrato in ASMi, Fondo di Religione, cart. 2473, Culto monaci e reliquie, 1640-1744; già la PETTENATI, 1982, p. 70, su segnalazione
di padre Merelli notava che non v’erano ricordati i reliquiari. Nel faldone infatti si tratta solo delle nuove acquisizioni.
13 PETTENATI, 1982, p. 70: la studiosa pensava all’opera degli intagliatori Battista
e Sante da Corbetta, documentati per la realizzazione del coro tra 1573 e 1578,
peraltro andato disperso impedendo più puntuali confronti, e notava affinità con
gli stucchi del presbiterio conclusi nel 1582. Ribadisce la data, con consulenza
di Elisabetta Bianchi, BUGANZA, 2011, p. 152. F. ZANZOTTERA, La certosa di Milano. Storia e architettura di «un rifugio amenissimo e saluberrimo», in La certosa...,
2003, p. 53, precisa l’esecuzione degli stucchi presbiteriali tra 1579 e 1582.
14 Ringrazio don Giuseppe La Rosa, parroco di Santa Maria Assunta in Garegnano per la disponibilità a esaminare, fotografare e qui permettere di riprodurre l’armadio dei reliquiari, nonché la piantina della chiesa, che riprendo dal
calendario La Certosa di Milano anno 2000.
15 Già la BANDERA, 2000, p. 147, notava «stretti rapporti con gli arredi della
Sacrestia del Tesoro della Certosa milanese», attenendosi però alle indicazioni
cronologiche proposte dalla Pettenati; ZANZOTTERA, 2003, p. 53, segnala un
contratto del 17 dicembre 1590 con Cristoforo Sant’Agostino per la realizzazione di un mobile in rovere e noce per i paramenti sacri, simile a quelli di sa-
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del 1222, e fu definitivamente sancita negli Statuta antiqua,
compilati nel 1259 e andati in vigore nel 1271-7221. In concomitanza si venne stabilendo una tradizione per cui ogni certosa
conservava un rilevante numero di reliquie, donate ai monaci,
osservanti stretta clausura, con certezza di degna custodia e venerazione, dato che la loro presenza avrebbe permesso ai religiosi, impossibilitati a compiere pellegrinaggi, di godere dei benefici
spirituali connessi al culto delle reliquie stesse. Di qui non solo
la realizzazione di adeguati reliquiari, ma la pressoché costante
presenza nelle certose di un ambito specificamente destinato alla
custodia dei sacri resti: un altare, come ancora esistente nella certosa di Pavia22, e talora un vero e proprio locale, la cappella delle
reliquie, quale si trova in Italia nelle certose di Firenze, Pisa, Trisulti, Napoli, Padula23. Come a Pisa e a Napoli, in Garegnano
questo ambiente esiste in appendice alla sacrestia (fig. 4), e ci si
mostra ancor oggi allestito con la boiserie di fine Cinquecento24,
tra cui l’armadio di cui si è detto sopra. Sembra il caso allora di
considerare non solo un’ipotesi, ma un reale punto fermo, la presenza dei due reliquiari nella certosa milanese almeno dal 1590
circa, devotamente conservati nell’armadio delle reliquie con la
fisionomia con cui ancor oggi ci si presentano.
Un riallestimento di antiche reliquie è fatto che di per sé non suscita stupore, ma piuttosto rare sono le occasioni in cui nella nuova struttura si è conservata parte della precedente, e va osservato
che in buona parte si è trattato di recupero di vetri a oro. L’esempio più complesso e di antica data è senz’altro il tabernacolo di
Gubbio, che a due dittici-reliquiari a vetri dorati di ambito di
Pietro Teutonico accosta un dittico veneto su tavola e miniature
su pergamena ritagliate, alcune delle quali assegnabili a Cimabue,
M. P. ALBERZONI, I Certosini fra Consuetudines e Statuta: gli sviluppi istituzionali fino alla metà del XIII secolo, in Certose di montagna, certose di pianura,
a cura di S. Chiaberto, Borgone Susa 2002, pp. 103-116.
22 Lo troviamo descritto (De ara sanctarum reliquiarum) nella prima metà del
Seicento: R. BATTAGLIA, Le “memorie” della Certosa di Pavia, in «Annali della
Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», III, 22 (1992),
pp. 123-124.
23 LEONCINI, 1999, pp. 149-162, con altri esempi. Occorre correggere lo studioso proprio in merito alla certosa di Garegnano, dove la cappella è chiaramente individuata e distinta dalla sacrestia.
24 La certosa…, 2003, pianta a p. 36, n. 13, cfr. anche foto a pp. 220-221.
25 M. SANTANICCHIA, scheda, in Arte francescana tra Montefeltro e Papato.
1234-1528, a cura di A. Marchi e A. Mazzachera, Milano 2007, pp. 159-161;
C. DE BENEDICTIS, Devozione e produzione artistica in Umbria: vetri dorati dipinti e graffiti del XIV e XV secolo, Firenze 2010, p. 43. A proposito dell’altarolo
di Tommaso da Modena quest’ultima studiosa, p. 72, ritiene il vetro dipinto
resto di un dittico di ambito umbro.
26 Per la valva di dittico torinese e l’altarolo del Museo Diocesano di Volterra:
DE BENEDICTIS, 2010, pp. 25-29, 121-122. Per l’opera senese, P. TORRITI, La
Pinacoteca Nazionale di Siena, i dipinti dal XII al XV secolo, Genova 1980, p.
342. Casi opposti sono quelli in cui le reliquie sono inserite in una cornice che
racchiude un dipinto più antico, come la tavola-reliquiario nordica del Museo
di Cremona (C. BERTELLI, in La Pinacoteca Ala Ponzone. Dal Duecento al Quattrocento, a cura di M. Marubbi, Cinisello Balsamo 2004, pp. 94-96) e i due reliquiari di primo Cinquecento al Carmine di Firenze (M. G. CIARDI DUPRÉ
DAL POGGETTO, scheda, in Il Convento del Carmine di Firenze: caratteri e do21
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ma un riutilizzo in tempi brevi sembra essere anche quello attuato
nel tabernacolo-reliquiario di Tommaso da Modena ora a Baltimora25. Casi un poco più recenti sono quelli di una valva di trittico trecentesco a vetri dorati, oggi a Torino, completata nel centro da una lastrina quattrocentesca, e di due altaroli, uno volterrano di fine Quattrocento, recuperante al centro un dittico-reliquiario trecentesco a vetri dorati, e uno senese, dell’Osservanza,
che nel Cinquecento incorpora la struttura di un reliquiario di
XIV-XV secolo26. Ormai novecenteschi sono invece gli aggiornamenti di un grazioso trittico oggi a Montecassino, la cui cornice
probabilmente ricalca a grandi linee quella originaria e incorpora,
quasi novelle reliquie, resti della decorazione pittorica affidata a
Giusto de’ Menabuoi27, quelli di un trittico a lastre dorate in Vaticano, e l’assemblamento neogotico di alcuni vetri dorati e reliquie nel Museo Diocesano di Recanati28.
Anche il riassetto cinquecentesco compiuto a Garegnano
contempla il recupero di vetri a oro, e in quest’ottica fu scelta felice il coronamento delle nuove cornici con lastrine dorate di
contemporanea fattura, una delle quali, nel reliquiario B, purtroppo andata persa. Quella sopravvissuta raffigura con fare libero e veloce una Resurrezione di Cristo (fig. 5) che nel suo impianto alquanto scenografico non riprende, come ci si potrebbe
aspettare, la tela di ugual soggetto appena licenziata dal Peterzano per il presbiterio dei certosini milanesi29. Il rimando è piuttosto alla cultura controriformata romana, così da offrirci un
breve ma significativo affaccio sui modelli circolanti nella bottega responsabile del ripristino di reliquie e immagini. Doveva
trattarsi di un atelier milanese, o per lo meno lombardo, operoso
in più campi attigui, miniatura, incisione, oreficeria, come quello noto e a lungo attivo dei Decio30, viste le molteplici abilità
cumenti, a cura di P. Giovannini e S. Vitolo, Firenze 1981, pp. 129-130).
27 C. TRAVI, scheda, in Giovanni da Milano. Capolavori del gotico fra Lombardia
e Toscana, a cura di D. Parenti, Firenze 2008, pp. 174-176. All’Osservanza di
Siena la struttura di un reliquiario di XIV-XV secolo venne integrata nel Cinquecento in un nuovo altarolo (TORRITI, 1980, p. 342).
28 DE BENEDICTIS, 2010, pp. 20, 78, 112-113. Per il complesso di Recanati –
restaurato e smembrato nel 2003; cfr. D. RADEGLIA, Il restauro dei vetri dorati
e graffiti del Museo Diocesano di Recanati, in «Bollettino ICR», 13 (2006), pp.
73-91 – vedi anche L. CASTELFRANCHI, Due vetri dorati umbri e un affresco del
“Maestro di Fossa”, in «Prospettiva», 91/92 (1998), pp. 36-40. Cfr. anche l’altarolo della collezione Lia che ripropone alcuni pezzi di un dittico-reliquiario
a vetri a oro: DE BENEDICTIS, 2010, p. 90. È facile che in sede antiquaria sia
avvenuto anche il rimaneggiamento di un trittico-reliquiario di Bartolo di Fredi, diversamente da quanto di recente sostenuto circa l’inserimento originario
delle parti eburnee (F. SIDDI, scheda, in Da Jacopo della Quercia a Donatello, a
cura di M. Seidel, Milano 2010, p. 364).
29 M. T. FIORIO, Simone Peterzano: il ciclo pittorico nel presbiterio, in La certosa…, 2003, p. 89; fig. a p. 112. La lastrina presenta qualche danneggiamento
al centro, in particolare nella figura di Cristo.
30 Sui Decio, di cui si possono seguire le tracce da metà Quattrocento a Seicento inoltrato, cfr. in ultimo, dopo le ricerche di R. Sacchi, P. L. MULAS, Giovanni Giacomo Decio: il miniatore dei corali di Vigevano, Vigevano 2009, pp.
62-65. Confronti con alcune figure del Redentore ascrivibili a Giovanni Giacomo Decio raccolte in MULAS, 2009, figg. 30-35, non risultano tuttavia significativi. La Resurrezione a oro segue uno schema per contrapposizioni prossimo a quello adottato nel 1572 da Hendrick van den Broeck nella Sistina.
I reliquiari quattrocenteschi della certosa di Garegnano: una rilettura
che traspaiono dal riallestimento del materiale quattrocentesco
in cornici completamente argentate e in parte dorate, rifulgenti
in origine quasi al pari di un’oreficeria.
La preziosità dei vetri a oro di Garegnano era ed è accresciuta da uno stato di conservazione complessivamente soddisfacente. Un’importante lacuna offende solo la lastrina del San Valeriano e non manca qualche abrasione della foglia d’oro, ma solo
due vetri, strategicamente posti alle estremità inferiori di destra
di ciascun reliquiario e raffiguranti San Nicola e Santa Caterina
da Siena, hanno avuto una nuova definizione nella doratura e
nell’immagine31. Recano anche moderne iscrizioni, graffite in
foglia d’oro direttamente applicata al vetro antico, così da rendere purtroppo incerta l’intitolazione iniziale32. I supporti vitrei
degli ori, compresi i due rimaneggiati a fine XVI, sono però tutti conservati nelle dimensioni originali e si possono far risalire
al Quattrocento: ciascuno è di singola realizzazione, presenta
contorni irregolari e bordi fusi e raramente ritagliati, e ha dunque mantenuto le dimensioni d’origine. Così, nel preservare integre queste lastrine si è di fatto conservata memoria anche della
struttura in cui erano collocate in origine, almeno nella modularità di base, cioè caselle lignee simili alle attuali, con cornice
squadrata soltanto di poco aggettante sul vetro, come la riquadratura delle foglie d’oro presente al bordo superiore e ai lati dichiara di prevedere in partenza (figg. 7, 10-14, 16, tavv. 9-11).
Lascia perplessi però la mancanza di cornice al limite inferiore
delle immagini e il loro interrompersi brusco, particolarmente
evidente in qualche caso, come nella Flagellazione o nella Strage
degli Innocenti (figg. 12-13, tav. 10) ma riscontrabile praticamente in tutte le incisioni antiche33. Non si può che pensare
che l’estensione della foglia d’oro sia stata modificata per lasciare in vista il cartiglio identificativo della reliquia. A considerare
i vetri a oro sopravvissuti, databili tra XIV e XV secolo e sicuramente adibiti a reliquiari, non si riscontrano infatti soluzioni di
tal genere: gli spazi da cui vedere reliquie e relate iscrizioni, previsti sin dall’inizio, sono chiaramente definiti e riquadrati34. Per
di più i filatteri di Garegnano in molti casi non sono perfettamente adeguati alle dimensioni dei vetri e talora è chiaro che
sono stati ritagliati, come per le reliquie della Vergine, di san
Bartolomeo, di san Cristoforo e della colonna della Flagellazione, rendendo evidente che l’attuale è solo un riposizionamento.
La loro definizione in una gotica liturgica formalizzata, genericamente definibile come quattrocentesca li dichiara però contemporanei ai vetri dorati. È possibile allora che rispetto alle lastrine, con buona probabilità dorate e disegnate per l’intera superficie, reliquie e scritte occupassero in origine separate cellette,
In entrambe le lastre il fondo oro appare rifatto e privo della riquadratura
originaria. Per comprendere la difformità delle nuove immagini dalla serie basta
confrontare San Nicola con San Romano e Santa Caterina con Santa Cecilia.
32 Per E. BELTRAME QUATTROCCHI, scheda, in L. BIANCHI - D. GIUNTA, Iconografia di S. Caterina da Siena, Roma 1988, p. 229, n. 107; i numerosi attributi di cui è fornita la santa senese non sono incompatibili con una raffigurazione del XV secolo. Resta il fatto che l’immagine che oggi abbiamo di fronte
non è quattrocentesca.
31
4. Pianta della chiesa della certosa di Garegnano.
5. Artista lombardo dell’ottavo decennio del XVI secolo, Resurrezione di Cristo,
reliquiario A.
La PETTENATI, 1982, p. 72, lo notava in particolare per San Bartolomeo e
San Valeriano.
34 Per un utile repertorio di vetri a oro – oltre al catalogo di quelli conservati a
Torino: I vetri dorati…, 1978, e a S. PETTENATI, Twenty years of studies on gilded glass and painted glass: an account and some innovations, in «Annales du 14e
Congrès de l’Association Internationale pour l’Histoire du Verre», Lochem
2000, pp. 313-320 – si veda DE BENEDICTIS, 2010, dedicato tuttavia alla sola
produzione umbra.
33
19
Arte Lombarda | CARLA TRAVI
20
6. Adorazione del Bambino, reliquiario B.
7. Madonna dell’umiltà, reliquiario A.
con soluzione spesso adottata nei dipinti-reliquiari 35, come
sembra trasparire anche da qualche descrizione di reliquiari
quattrocenteschi lombardi. In una «maiestas una magna ad
modum ancone» a uso reliquiario presente nel 1487 nel castello di Pavia, ad esempio, l’apparato figurativo, costituito da
due immagini «laborate perlis» (Annunciazione; Vergine col
Bambino, santa Caterina e il Battista), e da un «oculus magnus
vitreus cum imagine sancti Iohannis baptizantis» si accosta a
«capitulis XXXI reliquiarum incluxis sub teglis vitreis»: si può
supporre che le lastrine, che non si specifica essere figurate come il tondo, come di consueto custodissero/mostrassero reliquie e iscrizioni36. La modifica della foglia d’oro nei vetri di
Garegnano, chiaramente finalizzata a compattare insieme vetri, reliquie e filatteri, sembra del resto meglio giustificabile in
relazione alla risistemazione cinquecentesca, faticandosi a immaginare un intervento abbastanza brutale su un lavoro prezioso e costoso di recente fattura.
Nel caso delle miniature invece la certezza che in origine occupassero caselle di dimensioni inferiori a quelle dei vetri dorati è
fornita dalla rilevante inadeguatezza agli spazi della teca dimensionati sulle lastre dorate (figg. 8-9, tavv. 6-7) e dalla mancanza di indizi che facciano sospettare un loro ritaglio37. Nei nuovi alloggiamenti, a cui risultano ora irreversibilmente incollate, le carte pergamenacee hanno ricevuto nuova protezione da vetri indiscutibilmente più moderni di quelli dorati, più sottili, dai contorni più
regolari e squadrati, recanti il segno di tagli meccanici. Sulle lastre
è stato poi necessario applicare su tre lati una striscia di foglia a
oro per mascherare la difformità dimensionale tra miniature e vetri dorati e a garanzia di uniformità anche visiva delle due serie
d’immagini e di reliquie (fig. 6, tav. 5). Per il resto, le carte illustrate non paiono aver subito particolari modifiche in epoca cinquecentesca, salvo la sostituzione di una scritta in relazione a un
cambio di reliquia, di san Biagio al posto di quella di san Nicola,
e probabilmente l’applicazione di toppe di carta sui cartigli38, e
35 TRAVI,
(1470-1476), in «Museo in rivista», 3 (2003), pp. 72, 114.
37 Già PETTENATI, 1982, p. 72, sottolinea le dimensioni inferiori delle miniature.
38 La miniatura, presente nel reliquiario A, illustra indiscutibilmente san Nicola con il consueto attributo delle tre palle d’oro tra le mani, ma la sottostante
presenza di una reliquia di san Biagio è indicata dalla scritta tracciata sulla pergamena a caratteri cinquecenteschi dopo un’accurata opera di raschiatura della
precedente. Le toppe di carta sono state rimosse nel corso dell’ultimo restauro.
2007; D. PREISING, Bild und Reliquie: Gestalt und Funktion gotischer
Reliquientafeln und-altärchen, in «Aachener Kunstblätter», 61 (1995/1997),
pp. 32-37. In merito sono di patente evidenza, anche per la fortunata conservazione di reliquie e cartigli, i reliquiari umbri del Maestro di Santa Chiara a
Montefalco, a Roma, palazzo Venezia, e a Londra, Victoria and Albert Museum: F. TODINI, La pittura umbra: dal Duecento al primo Cinquecento, Milano
1989, p. 105.
36 M. ALBERTARIO, La cappella e l’ancona delle reliquie nel Castello di Pavia
I reliquiari quattrocenteschi della certosa di Garegnano: una rilettura
8. Lapidazione di santo Stefano, reliquiario B.
9. Le Undicimila vergini, reliquiario A.
godono di un discreto stato di conservazione, soprattutto dopo
il recente restauro39. Per quanto ovvio, vale la pena di sottolineare come miniature e scritte furono pensate e realizzate in diretta
connessione con la propria reliquia. Un particolare che sfugge a
prima vista, anche perché per lo più coperto dalla cornice dorata
e in molti casi rovinato, è che lo spazio delle scritte è stato pensato e realizzato dal miniatore quasi si trattasse di un piccolo cartiglio appena srotolato, e così ne ha disegnato i lembi laterali lievemente ripiegati verso l’interno (figg. 8-9, tavv. 6-7)40.
Nel riassetto cinquecentesco venne anche in parte alterato l’ordine sia dei vetri a oro, che nella disposizione attuale non mostrano particolari legami, sia delle miniature, tra le quali suscita perplessità non trovare vicine, e neppure nello stesso reliquiario, le
miniature di Sant’Orsola e delle Undicimila vergini compagne di
martirio41. Nel riposizionare le figurette dipinte a tempera in realtà
sono state mantenute diverse coppie: nel reliquiario A i due diaconi martiri Stefano e Lorenzo e i due papi, Fabiano e Alessandro;
nel reliquiario B i due vescovi francesi Ugo e Brizio. Se si riunisce
l’accoppiata Orsola - Compagne, si accostano le immagini che restano spaiate di Nicola e Caterina d’Alessandria, e si accetta come
corretto l’avvicinamento della Vergine in adorazione e della Maddalena, si ricompongono due serie di coppie significative che tollerano anche una disposizione a ranghi di quattro42. Anche il riavvicinamento dei vetri a oro permette di individuare una rete di relazioni significanti: accostando la fila di sinistra del reliquiario A
con quella di destra del reliquiario B, e quella di sinistra del reliquiario B con la residua del reliquiario A, cioè ad incrocio, si ottengono delle valide coppie, ugualmente disponibili anche in quaterne. Alla Madonna dell’umiltà ben si accosta la Flagellazione di
Cristo; i due apostoli Matteo e Bartolomeo seguono gerarchicamente come nelle litanie dei santi, anche quelle che recitavano i monaci di Garegnano nel XV secolo utilizzando due codici ora in
Braidense (AD.X.30; AD.X.40)43. Nel range sottostante si riuniscono Cecilia e Valeriano, i due noti santi coniugi e martiri, e al
loro fianco non sfigura la martire Caterina d’Alessandria. Forse in
origine San Cristoforo, un altro martire, era al posto di San Romano,
39 Tra le più danneggiate è l’immagine di sant’Orsola: i danni, attenuati nel re-
la particolare collocazione di sant’Orsola e compagne senza trarne conclusioni.
42 Le figurette, a parte Ugo e Brizio fondamentalmente frontali, inclinano verso
la sinistra del riguardante, a parte la Vergine adorante, sant’Alessandro e sant’Orsola, cui si potrebbe assegnare il ruolo di capofila.
43 PALESTRA, 1976, pp. 121-122; M. PEDRALLI, Novo, grande, coverto e ferrato:
gli inventari di biblioteca e la cultura a Milano nel Quattrocento, Milano 2002,
p. 270.
stauro del 2000, sono ben visibili in S. BANDERA, Reliquiari della Certosa, in
La certosa…, 2003, p. 228 (un taglio trasversale, alcuni fori, qualche caduta di
colore, il deterioramento del supporto al margine superiore).
40 Si apprezza il particolare in quattro miniature riprodotte in BANDERA, 2003,
p. 228.
41 Ne è convinta BANDERA, 2003, p. 147. La PETTENATI, 1982, p. 72 nota invece
21
Arte Lombarda | CARLA TRAVI
10. San Bartolomeo, reliquiario B.
11. San Matteo, reliquiario A.
che nell’ultimo registro troverebbe compagnia nei Santi Innocenti
e nei rimaneggiati San Nicola e Santa Caterina da Siena, forse posizionati alle estremità, zone più sensibili a danneggiamenti che
potrebbero essere alla base del loro rifacimento.
identica, di pitture e incisioni, perché si tratta infine di quinte
rocciose per nulla infrequenti all’epoca in Lombardia sia in pittura monumentale che in miniatura, da Masolino agli antifonari
laudensi sia di inizio che di fine secolo, dal tramezzo novarese di
San Nazzaro della Costa al Maestro dei Giochi Borromeo. Non
prova poi la compresenza originaria di vetri e miniature l’impostazione scenica determinata dal netto taglio inferiore, che nel
caso delle lastrine dorate potrebbe, si è detto, derivare dall’uniformante volontà cinquecentesca, e neppure l’affine tipologia
delle scritte, che non dichiara più di una generica ambientazione
quattrocentesca e tempi d’esecuzione non troppo distanti. Per
contro, suscita meno perplessità di quanto ci si aspetterebbe la
presenza di due figure di santa Caterina d’Alessandria, già sottolineata dalla Pettenati47, e di due della Vergine Maria, in ragione,
più che della diversità delle reliquie relate, del non infrequente
riscontro di similari iterazioni48.
Del rimaneggiamento cinquecentesco non conosciamo i termini
di ineluttabilità della parte destruens, che ci permetterebbero una
miglior valutazione storico-critica44, ma è purtroppo chiaro che
l’intervento, per quanto conservativo e risolto con eleganza, ci
ha irrimediabilmente privato del contesto originario in cui si trovavano inseriti vetri a oro e miniature. Si è pensato a un unico
reliquiario: un altarolo con lastre dorate in facciata e miniature
sul tergo, o un trittico con vetri nella parte centrale e miniature
nelle ali45, o un’ancona con reliquie e figurazioni a contorno
d’immagini di maggior formato e diversa tecnica46. In merito
non è da demonizzare l’ambientazione assai prossima, ma non
Colpisce l’immaginazione pensare che in stretto giro d’anni, nel 1595, Federico Borromeo diede ordine di restaurare la copertura dell’Evangeliario di
Ariberto senza nulla mutare: B. AGOSTI, Collezionismo e archeologia cristiana
nel Seicento, Milano 1998, in part. p. 50.
45 PETTENATI, 1982, p. 72; BUGANZA, 2011, p. 154, sospetta perdite tra le miniature, che ritiene stessero anche all’esterno. Gli esemplari di reliquiari dipinti
sopravvissuti rendono improbabile quest’ultima ipotesi: persino all’interno delle ali non è così frequente ritrovare alloggiamenti di reliquie (eclatante in tal
senso è il trittico reliquiario trevigiano di frate Francesco di Montebelluna,
1352: G. FOSSALUZZA, scheda, in Da Paolo Veneziano a Canova, a cura di G.
Fossaluzza, Venezia 2000, p. 46).
44
22
46 VENTURELLI, 2000, p. 208.
47 PETTENATI, 1982, p. 72; nell’ipotesi che la lastrina rimaneggiata con san Ni-
cola avesse avuto in origine il rimando allo stesso santo si registrerebbe un’ulteriore ripetizione.
48 In un piccolo reliquario presente nel castello pavese nel 1478 su otto reliquie due sono del legno della Croce («item de ligno vere crucis; item de
alio ligno vere crucis») e due della Vergine (item de lacte beate Marie Virginis; item de velamine beate Marie in quo involutus fuit Dominus»), mentre in un gruppo di reliquie di seguito descritte se ne trovano due di san
Francesco e due di sant’Agata, e così anche di seguito: ALBERTARIO, 2003,
pp. 110-111.
I reliquiari quattrocenteschi della certosa di Garegnano: una rilettura
12. Strage degli Innocenti, reliquiario A.
13. Flagellazione di Cristo, reliquiario B.
Lo scarto dimensionale, le differenti proporzioni delle figure già notato dalla Pettenati (figg. 14-15, tavv. 8, 11) e le molteplici attenzioni uniformanti cinquecentesche, rendono d’altro canto problematico immaginare una stretta compresenza
delle figurazioni oggi riunite insieme. La finzione del cartiglio
appena srotolato nelle miniature non è poi in alcun modo presente nei filatteri che accompagnano le lastrine dorate, anche
in quelli di maggiore estensione, e questo contribuisce a far sospettare una sistemazione originaria non unitaria. Lascia in
dubbio soprattutto il particolare accostamento di vetri graffiti
e miniature che già faceva propendere la Castelfranchi per
l’ipotesi di due serie distinte, dato di difficile riscontro tra le
custodie dipinte di reliquie giunte sino a noi, salvo rimaneggiamenti. Per le lastre dorate, il cui utilizzo nei reliquiari è caldeggiato dal Cennini49, una soluzione di particolare fortuna fu
quella del dittico di modeste dimensioni, e tale è in particolare
la produzione umbra tra XIV e XV secolo50, ma lo stesso in
composizioni di maggior importanza, a tabernacolo, di conte-
nute o più monumentali proporzioni, quale il reliquiario di
Lorenzo Monaco oggi a Lione e quello della Società di Pie Disposizioni senese51, i vetri graffiti sono utilizzati per conto loro.
Le lastrine fan da sé anche quando non si può ipotizzare una
funzione di custodia di sacri resti, come nei campioni invocati
in merito alle teche di Garegnano perché ambientabili in area
padana e nel Quattrocento: un trittico di collezione privata a
Piacenza databile al secondo quarto del secolo, l’altarolo del
Cietario del 1460 oggi a Torino, un’anconetta della Galleria
Nazionale di Parma un poco più tarda52. Ad altre tecniche pittoriche il vetro dorato sembra esser stato accostato difficilmente in termini di parità, quale dovrebbe ipotizzarsi negli esemplari della certosa milanese: di solito si ricorda un’insegna processionale di Francesco di Vannuccio, dove però i due procedimenti pittorici vengono usati ciascuno per una sola faccia
dell’oggetto53, mentre sono all’opposto numerosi gli esempi di
piccole inserzioni a prezioso complemento, di cui la più rilevante e di pubblica memoria è senz’altro il fermaglio di piviale
C. CENNINI, Il libro dell’arte, a cura di F. Frezzato, Vicenza 2003, cap.
CLXXII, pp. 192-195.
50 DE BENEDICTIS, 2010.
51 A. TARTUFERI, Lorenzo Monaco: una mostra e alcune osservazioni, in Lorenzo
Monaco. Dalla tradizione giottesca al Rinascimento, a cura di A. Tartuferi e D.
Parenti, Firenze 2006, p. 28; P. LEONE DE CASTRIS, Un reliquiario senese a vetri
dorati e graffiti, in «Antichità viva», 18 (1979), pp. 7-14.
52 M. TANZI, scheda, in Il Gotico a Piacenza. Maestri e botteghe tra Emilia e
Lombardia, Milano 1998, catalogo della mostra, a cura di Paola Ceschi Lavagetto e Antonella Gigli, p. 190; PETTENATI, 1978, pp. 20-21; P. VENTURELLI,
scheda, in L’oro e la porpora. Le arti a Lodi nel tempo del vescovo Pallavicino
1456-1497, catalogo della mostra, a cura di Mario Marubbi, Cinisello Balsamo
1998, pp. 197-198.
53 M. BOSKOVITS, Frühe italienische Malerei - Gemäldegalerie Berlin, Berlin
1987, pp. 35-37. Esempi di compresenza che citavo in TRAVI, 2007, p. 109
nota 37 mi avvedo essere in realtà riutilizzo.
49
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Arte Lombarda | CARLA TRAVI
nel San Ludovico di Simone Martini54. Di minor fortuna nei
reliquiari appare l’utilizzo di miniature: dalla Crocefissione duecentesca apposta a complemento della tabula fitta di reliquie
di Castiglion Fiorentino a quella di Quattrocento avanzato di
una tavola d’ambito ferrarese oggi a Dublino55, si può prendere
in considerazione qualche opera d’oreficeria, come due padane
Paci della prima metà del Quattrocento, una a Moncalvo e una
di collezione privata56. Anche dalle descrizioni di perduti reliquiari in inventari quattrocenteschi lombardi, e di nuovo penso in particolare a quello pavese del 148757, non sembra potersi
desumere una consuetudine dell’accostamento vetri a oro/miniature in una peraltro frequente polimatericità: in un piccolo
dittico pavese ad esempio i vetri dipinti trovavano ornamento
in «lapidibus e perlis»58. Lastre dipinte sembrano essere usate
come di consueto a complemento, ad esempio nell’ancona-reliquiario più sopra ricordata, dove il vetro istoriato pare limitato a un tondo59. Vetri semplici, «cristallini» e di nobile origine veneziana, quali le «piastre de vetro» «chiare et bone» che
nel 1474 un frate gesuato venne spedito ad acquistare per il tesoro pavese, o di possibile produzione locale60, compaiono a
protezione/esibizione delle reliquie e dei loro cartigli, come in
quel piccolo reliquiario ligneo in cui otto sacri cimeli erano
«reposita sub lateribus vitreis» senza indicazione di relativo apparato figurativo61.
Le problematicità insite nell’ipotesi di un unico complesso
d’appartenenza costituiscono seria indicazione a ritenere le immagini due serie distinte congiuntesi non prima della fine del
Cinquecento. Di ciascuna d’esse sarebbe puro esercizio retorico
formulare ipotesi sull’aspetto originario, allo stato attuale delle
nostre conoscenze e privi di originali coevi cui poterle in qualche
modo accostare. Non è neppure scontato che le caratteristiche
che invece le avvicinano, la squadrata modularità e la non dissimile ambientazione, derivino dalla volontà di accordare una serie all’altra, e quindi siano indicazione di comune collocazione e
di seriazione, già ipotizzata dalla Pettenati con priorità dei vetri
a oro, perché potrebbe trattarsi di comune aderenza al gusto
contemporaneo. La diversa paternità di vetri a oro e miniature è
stata in genere riconosciuta dagli studiosi, risultando difficile
giustificare le disparità qualitative solo con la diversità tecnica,
che affronta il disegnare breve e il colorire veloce e acquerellato
del miniatore al lavorio minuzioso dell’agugella prima, a incidere
fittamente la lastra dorata, e del pennello poi, a stendere vivaci
pigmenti a olio, verderame, blu oltremare, lacca rossa, per dare
rilievo e luminosità, e nero fumo per far risaltare i tratti del disegno. Prendiamo a confronto due figure tipologicamente simili,
ad esempio san Romano e san Fabiano (figg. 14-15, tavv. 8, 11).
Molto più ricca, morbida e nel contempo caratterizzata da intensi effetti chiaroscurali, e perciò volumetricamente efficace, è
la resa del panneggio nel manto di Romano, così da rendere la
figura più solidamente accampata tra le quinte rocciose che la
incalzano; anche il pastorale s’impianta stereometricamente nello
spazio, concludendosi con un ricciolo forse non del tutto composto, ma ricco di vigore. Ben altra è la struttura di Fabiano,
equilibrata e priva di eccessi, garbata anche nei passaggi chiaroscurali, di struttura più lineare e semplificata, rapportata in maniera meno violenta e costrittiva con il paesaggio circostante e
con i monti che digradano in lontananza. Gli stessi argomenti
occorrono nell’accostamento di qualche figura femminile, le due
sante Caterine d’Alessandria (figg. 16-17), o santa Cecilia e la
Maddalena, e si possono applicare alle due serie intere. La statica
Lapidazione di santo Stefano (fig. 8, tav. 7) non comunica il senso
di drammaticità che invece domina la Flagellazione (fig. 13), dove l’agitarsi delle vesti trasmette l’impeto e la violenza con cui gli
sgherri compiono il loro dovere. Il confronto tra le raffigurazioni
legate alle reliquie della Vergine (figg. 6-7, tavv. 5, 9) mette infine in luce come lo scarto qualitativo tra miniature e ori vada ben
oltre l’espressione di una sensibilità più o meno delicata. Nell’Adorazione le dimensioni sproporzionate e l’improbabile collocazione spaziale del Bimbo lasciano intendere, oltre forse al desiderio di non sminuirne la presenza, la scarsa abilità prospettica
del miniatore. La Madonna dell’umiltà si accampa invece solidamente al centro dello spazio e lo domina con consapevolezza tutta rinascimentale, che trasforma dall’interno con robusto gioco
chiaroscurale anche il tardogotico ricadere molteplice dei panneggi, e rapporta con buona proporzione Madre, Figlio e paesaggio. In prospettiva vanno le aureole ampie e consistenti, internamente raggiate e bordate quasi a fiore, della Vergine e del
Bambino, con soluzione impensabile nelle miniature, dove i
contrassegni della santità sono piccoli e semplici tondini dietro
al capo. La solidità prospettica dell’incisore trova modo di esprimersi adeguatamente soprattutto nella Flagellazione (fig. 13) e
nella Strage degli Innocenti (fig. 12, tav. 10), dove mette in scena
piccole scatole prospettiche che cerca poi di ampliare artificiosamente in tutte le direzioni possibili: verso il riguardante tramite figure di schiena, verso il fondo con l’articolarsi delle
membrature architettoniche, e almeno su uno dei lati, aprendo
Vetri églomisés sono anche nella Maestà di Palazzo Pubblico: P. LEONE DE
CASTRIS, Simone Martini, Milano 2003, p. 24.
55 D. GALOPPI NAPPINI, in Arte aurea aretina. Manifatture europee in terra di
Arezzo, Arezzo 1987, p. 78; T. GHEZZI, Il reliquiario dipinto italiano dal XIII
al XV secolo: un primo censimento, tesi di laurea, Università Cattolica del Sacro
Cuore, Milano, a. a. 1983-1984, rel. M. Boskovits, pp. 329-333. La stessa studiosa (pp. 346-349) sospetta che i fori di un dittico cuspidato della prima metà
del XIV secolo con sei miniature sotto vetro, oggi presso il Victoria and Albert
Museum di Londra, contenessero gemme invece che reliquie.
56 A. QUAZZA - A. GUERRINI, scheda, in Tesori dal Marchesato Paleologo, catalogo della mostra, a cura di B. Ciliento e A. Guerrini, Savigliano 2003,
pp.56-59; P. VENTURELLI - K. SUTTON, scheda, in Oro dai Visconti..., 2011,
pp. 132-135.
57 VENTURELLI, 2000, pp. 206-231; ALBERTARIO, 2003, p. 72, e trascrizioni
passim in appendice.
58 ALBERTARIO, 2003, p. 73.
59 ALBERTARIO, 2003, pp. 113,103; vetri dorati adornavano «quadam capsa lignea cum certis petiis cristalis deauratis».
60 ALBERTARIO, 2003, p. 62, 89-90; sui «vetri cristallini», P. VENTURELLI, Smalto, oro e preziosi. Oreficeria e arti suntuarie nel Ducato di Milano tra Visconti e
Sforza, Venezia 2003, p. 113.
61 ALBERTARIO, 2003, pp. 110-111.
54
24
I reliquiari quattrocenteschi della certosa di Garegnano: una rilettura
14. San Romano, reliquiario A.
15. San Fabiano, reliquiario A.
finestrature più o meno ampie da cui traspare, con ineccepibile
e spiritoso senso d’uniformità, l’aguzza punta di uno dei monti
che caratterizzano il paesaggio di tutti gli altri riquadri.
Dietro la differenza di mano sta anche una diversità di bottega. Le colorate pergamene lasciano infatti trasparire la vigile presenza di un contesto religioso e una non superficiale conoscenza
liturgica, come non accade per i vetri a oro. La reliquia di papa
Alessandro ad esempio, identificata nel cartiglio come quella di
un santo, è finemente identificata nell’immagine come quella di
un beato, privo di aureola ma caratterizzato da raggi, dipendendo il riconoscimento della santità del personaggio dalla confusione con l’omonimo martire, e mancando la sua memoria nel
Martirologio romano62. Nelle miniature ci si accontenta poi di
una descrizione convenzionale dell’abbigliamento anche laddove, in particolare nella raffigurazione di Santa Caterina (fig. 17),
e perfino in quella delle Undicimila vergini (fig. 9, tav. 6), ci sarebbe stato spazio per ricchi dettagli, e si segue una consueta e
rigorosa iconografia religiosa, come nel caso di Orsola e delle sue
compagne, di cui si sottolinea l’innocente martirio con l’iterazione delle candide vesti. Per il cimelio di santo Stefano inoltre,
invece che il santo in piedi con i sassi infitti in testa ricorrente
nei dipinti su tavola, che avrebbe peraltro costituito un facile
pendant della figura di San Lorenzo, si è scelta l’immagine ben
nota collegata alla relativa festa nei codici liturgici, con il santo
devotamente composto in preghiera a mani giunte e il carnefice
con un braccio già levato all’opera (fig. 8, tav. 7)63. Un’attenzione particolare merita Maria in adorazione del Bambino (fig. 6,
tav. 5), un’immagine che con alcune varianti incontrò in Lombardia una grande fortuna dalla metà del Quattrocento fino agli
inizi del secolo successivo. Tra le altre, la raffigurazione di Garegnano si caratterizza per l’aderenza al testo trecentesco delle Revelationes di santa Brigida – mistica che come Caterina da Siena
fu molto amata dai certosini64 – nel mostrare Maria vestita della
sola tunica bianca, senza velo e con i capelli dorati sciolti sulle
spalle, con il capo inclinato e le mani giunte in adorazione del
Bimbo steso a terra nudo, candido e raggiante luce65. La purezza
62 E. JOSI - D. VALORI, Alessandro I, e A. AMORE, Alessandro, Evenzio e Teodulo,
una del noto ms. lat. 757 della Bibliothèque Nationale di Parigi, f. 286v, di un
secolo posteriore.
64 L. GARGAN, L’antica biblioteca della Certosa di Pavia, Roma 1998, pp. 29,
42 n. 18: è ora in Braidense una copia di primo Quattrocento delle Rivelazioni
già nella biblioteca certosina pavese.
65 Den heliga Birgittas Revelaciones. Book VII, a cura di Birger Bergh, Uppsala
1967, cap. 21, pp. 188-189.
in Bibliotheca Sanctorum, I, Roma 1961, coll. 792-801.
63 Tra le infinite citazioni possibili fin dall’epoca ottoniana ricordo in area lombarda una miniatura del corale B di Vimercate di fine XIII secolo (C. TRAVI,
La decorazione degli antifonari duecenteschi, in La collegiata di Santo Stefano a
Vimercate, a cura di C. Besana e G. A. Vergani, Cinisello Balsamo 2008, fig. 5
a p. 268), con l’identico particolare dei sassi raccolti in un lembo della veste, e
25
Arte Lombarda | CARLA TRAVI
Il forte legame con un contesto religioso e in qualche misura la
stessa ingenua debolezza pittorica delle miniature suggeriscono
di condividere l’ipotesi della Bandera69 circa una diretta esecuzione all’interno di uno scriptorium certosino, quello della certosa
di Pavia70 o più facilmente della stessa Garegnano, come suggerisce la studiosa. In questo caso tra i numerosi, e fin troppo vari,
riferimenti approntati71, il fare del Maestro del Breviario francescano sembra forse quello più consono e facile. Ai suoi ideali formali è stata avvicinata anche la miniatura con Certosini oranti davanti alla Vergine di un noto privilegio sforzesco del 20 settembre
1450, la quale, non escludendo il senso volumetrico da figure delicate e avvolte in panneggi non privi di leziosità, si accosta con
buona appropriatezza alle immaginette di Garegnano72. Un’attenta considerazione dei manoscritti miniati presenti nel Quattrocento, verso la metà o nel successivo quarto di secolo, nella
certosa milanese73, e per riscontro anche di quelli legati al cenobio pavese – impresa che non si è tentata in quest’occasione, privilegiante la contestualizzazione di reliquie e reliquiari – è sicuramente da progettare per una più corretta e meno generica valutazione stilistica delle carte illustrate delle teche di Garegnano.
In merito ai vetri dorati invece non guasta ribadire con la
Pettenati quanto siano «più indirizzati verso le novità rinascimentali». Il discorso tardogotico è di fatto piuttosto contenuto
formalmente, e contempla soprattutto la morbida ridondanza
dei panneggi, cui si può accostare l’hanchement appena percettibile di Santa Cecilia e San Romano e la lieve torsione di San
Valeriano. Domina invece un grande equilibrio compositivo, e
L’intricata questione iconografica, includente raffigurazioni della Natività
(come quella forse riconducibile al Bugatto ricordata in merito ai reliquiari in
oggetto da VENTURELLI, 2000, p. 229 nota 6), è ampiamente trattata in G. C.
SCIOLLA, Bergognone giovane: problemi iconografici, in Ambrogio da Fossano detto
il Bergognone. Un pittore per la Certosa, catalogo della mostra, a cura di G. C.
Sciolla, Milano 1998, pp. 139-151, e riassunta ora nei suoi aspetti immacolisti
a proposito della tavola pavese da E. RAMPI, scheda, in La Pinacoteca Malaspina, a cura di S. Zatti, Milano 2011, pp.189-190; cfr. anche S. BUGANZA, scheda n.45, in Vincenzo Foppa, catalogo della mostra, a cura di G. Agosti, M. Natale e G. Romano, Milano 2003. Per il delicato ma deperito affresco di Casoretto, restaurato nel 2000: P. BARBARA, Un’Adorazione quattrocentesca nella chiesa milanese di S. Maria Bianca in Casoretto, in «Arte Lombarda», 76/77 (1986),
pp. 57-62. Per la datazione del Breviario bolognese a dopo il 1457: F. LOLLINI,
Maestro del Breviario Francescano, in Dizionario biografico dei miniatori italiani,
a cura di M. Bollati, Milano 2004, p. 488.
67 SCIOLLA, 1998, p. 140, fig. 1. Il tema fu variamente ripreso anche nelle celle
dei monaci; per due affreschi staccati in Museo cfr. G. GIACOMELLI VEDOVELLO, Il Museo della Certosa di Pavia, Pavia 1992, pp. 167, 169.
68 G. KAFTAL, Iconography of the Saints in the Painting of North West Italy, Firenze 1985, coll. 117-122; M. L. CASANOVA, Bartolomeo, apostolo, santo. Iconografia, in Bibliotheca Sanctorum, II, Roma 1962, coll. 862-877. M. LECHNER,
Bartholomäus, in Lexikon der christlichen Ikonographie, V, Roma - Freiburg
1974, pp. 320-334.
69 BANDERA, 2003, p. 225.
70 Sull’esecuzione di libri, anche miniati, presso i certosini e in particolare presso la certosa di Pavia: GARGAN, 1998, pp. 22-25.
71 Rimando il dettaglio alle schede di catalogo del Museo Diocesano, cui aggiungere BUGANZA, 2011, p. 154, con ampi riferimenti al tardogotico lombardo.
72 ASMi, Cimeli, scatola 1, n. 6: Francesco Sforza riconosce immunità e privilegi alla certosa pavese; cfr. L. D. BALDISSARRO, Documenti miniati dell’età sforzesca, in «Squarci d’archivio sforzesco», Milano 1981, pp. 9-26; M. BOLLATI,
scheda, in Arte in Lombardia tra Gotico e Rinascimento, catalogo della mostra,
a cura di M. Boskovits, Milano 1988, p. 148. La GHEZZI, 1983-1984, p. 413,
l’accosta piuttosto alla Madonna dell’umiltà a oro, ma il gruppo dei certosini
inginocchiati di profilo trova buon paragone nelle vergini compagne di Orsola,
mentre l’ingenuo visetto paffuto e i biondi riccioli di Maria e di Gesù trovano
miglior compagnia nell’Adorazione della Vergine.
73 Sui codici della certosa di Garegnano: PALESTRA, 1976, pp. 118-126; M.
FERRARI, Note di cartari milanesi, in Tradition und Wertung, Sigmaringen 1989,
pp. 314-317; GARGAN, 1998, p. 97; PEDRALLI, 2002, p. 270; M. ZAGGIA, Codici milanesi del Quattrocento: per la fase dal 1450 al 1476, in Nuove ricerche su
codici in scrittura latina dell’Ambrosiana, a cura di M. Ferrari e M. Navoni, Milano 2007, pp. 344, 353. Codici miniati del XV secolo sono, oltre a quelli qui
passim ricordati: Oxford Bodl., Canon. Lit. 249, 271, 378, 387.
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in area nordica, risolta tuttavia con compostezza ed equilibrio,
in sintonia con le scelte rappresentative della Flagellazione e della
Strage degli Innocenti, forti di una passione narrativa che nel San
Cristoforo non rinuncia a sottolineare la presenza della consueta
chiesetta a picco sul fiume e a rapportare, si direbbe con rude affetto, il santo gigante e il piccolo Redentore.
della Madonna viene qui sottolineata senza insistere sulla sua
verginità, e di conseguenza sul dogma dell’Immacolata Concezione in quel momento oggetto di acceso dibattito, dato che non
presenta l’hortus conclusus come avviene invece in una nota miniatura del Breviario francescano di Bologna posteriore al 1457,
o nell’affresco di Santa Maria in Casoretto, o ancora in quello
perduto in Santa Maria della Pace a Milano, cui si può ricollegare una tavola di Ambrogio Bevilacqua nella Pinacoteca Malaspina66. È l’immagine invece, appena ammodernata con qualche
angelo pronto a occuparsi del Bimbo, di un affresco del Bergognone nella prima cappella destra della chiesa della certosa di Pavia, che nella sua relativa ufficialità sembra ribadire una cauta
posizione dei certosini in merito alle discussioni in corso67.
Se le miniature paiono dunque indirizzare verso un contesto
religioso-monastico cui non sconviene il carattere certosino, non
altrettanto si può dire per le lastre dorate, improntate a una sensibilità più pittorico-narrativa e mondana. Appena possibile si
lascia spazio alla contemporaneità, espressa nelle vesti à la page
dell’azzimato Valeriano e dell’impettita Caterina (fig. 16), ma
trasparente pure negli abiti dei carnefici che perpetrano il massacro degli Innocenti o nell’ampio copricapo del consigliere reale
che vi assiste (fig. 12, tav. 10). I dettagli dell’abbigliamento permetterebbero ai personaggi di Garegnano di passeggiare a testa
alta tra la nobiltà delle Storie di Teodolinda, il noto ciclo monzese
degli Zavattari databile intorno al 1345. Per la reliquia di Maria
si è optato per la ben attestata immagine della Madonna dell’umiltà, ma la Vergine, pur priva di corona e seduta su un cuscino-saccone, è più regale e maestosa di tante altre in trono
(fig. 7, tav. 9). Per l’apostolo Bartolomeo poi, di cui si darebbe
per scontata la raffigurazione in vesti classiche, ricco manto e
coltello in mano, ecco scelta invece la rara icona del santo che
avanza crudamente scuoiato con la pelle appoggiata sulla spalla
(fig. 10)68. È un’immagine di forte impatto emotivo, non precisamente caratteristica del mondo certosino ma non disdegnata
I reliquiari quattrocenteschi della certosa di Garegnano: una rilettura
16. Santa Caterina d’Alessandria, reliquiario A.
17. Santa Caterina d’Alessandria, reliquiario B.
alcuni personaggi, San Matteo, la Vergine e finanche la raffinata
Santa Caterina, trasmettono un senso di saldezza e monumentalità, si direbbe di gravitas, che aveva colpito anche la Castelfranchi,
suggerendole l’accostamento alla Madonna dell’Idea, che per contro appare meno moderna e intrisa di dolcezze tardogotiche. Non
c’è reale possibilità di confronto con l’allucinato mondo e la soffocante spazialità di Belbello o con la delicata grazia micheliniana
di Jacopino Cietario, ancora di recente invocati. Anche la morbida
consistenza e l’aura fiabesca che connota il racconto degli Zavattari ha poco spazio negli ori di Garegnano, appena si direbbe nella
Santa Cecilia, eppure il «tener corte» di Erode nella Strage degli Innocenti è identico nella sostanza al Ricevimento degli ambasciatori
longobardi da parte del re di Baviera nelle Storie di Teodolinda, col
re, solenne manto e scettro del comando nella sinistra (a Garegnano infine non raffigurato), affiancato da un consigliere con la lunga spada del giudizio levata in alto. Il riferimento al mondo bembesco, che più degli altri la Pettenati ha sottolineato, trova invece
reale appiglio nei tipi facciali che caratterizzano San Matteo e i personaggi della Flagellazione e della Strage degli Innocenti. L’accostamento di quest’ultima scena all’Incoronazione di Cristo e della Vergine della Pinacoteca di Cremona convince invece nella vicinanza
d’impostazione spaziale e nella breve seduta del trono, anche se
nell’oro di Garegnano più salda e consistente è la posizione di Ero-
de. Le aureole in prospettiva e raggiate a margherita del Padre
Eterno e degli Angeli di Cremona trovano invece eco nella Madonna dell’umiltà. La datazione al 1445-50 verso cui sono orientati
gli studiosi per la tavola cremonese74, insieme ai riscontri zavattariani, sembra indicare un momento di esecuzione delle lastre dorate di Garegnano non troppo distante dalla metà del secolo. Per
la paternità, che risolvere in ambito bembesco sarebbe riduttivo,
si potrebbe semmai pensare a un pittore attivo nei cantieri vetrari
del Duomo di Milano, il miglior contesto lombardo immaginabile per la rara iconografia del san Bartolomeo.
M. MARUBBI, in La Pinacoteca Ala Ponzone. Dal Duecento al Quattrocento, 2004, pp. 160-164; M. TANZI, Arcigoticissimo Bembo, Milano 2011, pp.
15-33.
75 Le reliquie di sant’Ugo e di santa Caterina da Siena non bastano infatti a
indirizzare univocamente a Garegnano, come vorrebbe BUGANZA, 2011, p.
152, mentre ALBERTARIO, 2003, p. 73, n. 87, all’ipotesi di riferire i vetri dorati
74
Assodato il rimaneggiamento e la collocazione cinquecenteschi
in Garegnano di reliquie e immagini, mancano però dati certi in
merito alla loro precedente collocazione75. Il riferimento a un
ambito cartusiano è tuttavia indiscutibile in merito al gruppetto
di sacri resti accompagnati dalle miniature. Va premesso che i
certosini, anche per non accentuare la dimensione comunitaria
insita nelle solennità festive, mantennero in epoca medioevale
un santorale decisamente scarno, dove si inserirono a fatica
personalità dell’ordine stesso76. Nel XII secolo il calendario accolse soltanto Ugo vescovo di Grenoble, certosino in pectore, il
prelato che favorì la nascita della Chartreuse e ne seguì da vicino le vicende iniziali77, e nel secolo successivo si aggiunse Ugo
all’ancona del castello di Pavia in opera negli anni settanta del XV secolo (VENTURELLI, 2000, p. 215) oppone l’assenza di corrispondenze tra le reliquie.
76 A. GIULIANI, La formazione dell’identità certosina: 1084-1155, Salzburg
2002, pp. 99-102, 115.
77 M. O. GARRIGUES, Ugo, in Bibliotheca Sanctorum, XII, Roma 1969, coll.
759-763; KAFTAL 1985, n. 118, col. 352; GIULIANI, 2002, pp. 79-80.
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Arte Lombarda | CARLA TRAVI
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vescovo di Lincoln, già monaco cartusiano, ma per il coevo Antelmo, vescovo di Belley, anch’esso di trascorsi certosini, si
aspettò il 1607, e il culto del fondatore Bruno fu autorizzato solo da Leone X oralmente nel 1514, per trovare estensione universale solo nel 1623. La presenza tra le reliquie di Garegnano
di un capello di sant’Ugo di Grenoble – a volte, come in una
Cronica certosina di secondo Quattrocento, direttamente considerato fondatore della Chartreuse78 – fornisce dunque un’indicazione inequivocabile. Si associa per di più a un riscontro
pressoché totale, compresa la presenza non particolarmente comune di Brizio, santo vescovo francese79, con le festività del calendario liturgico cartusiano, verificato per l’occasione su un testo appartenente alla certosa milanese80. Anche un confronto
con le litanie dei santi recitate in Garegnano nel XV secolo dà
buoni riscontri81. Le reliquie collegate ai vetri a oro presentano
invece corrispondenze più limitate e generiche82, sebbene la
possibile identificazione di san Romano con un venerato presule di Rouen potrebbe costituire con il suo riferimento francese
un’indicazione verso l’ordine cartusiano83. All’ambito certosino
richiama poi un frammento della clamide di Caterina da Siena,
da riconoscere plausibilmente come un pezzo del manto della
santa in possesso di Bartolomeo da Ravenna, primo priore della
certosa di Pavia, a cui lo lasciò alla sua scomparsa nel 141384.
Senza molti dubbi la reliquia, vista l’uguale identificazione del
cimelio nel filatterio e in una memoria delle consacrazioni e riconsacrazioni degli altari tra 1367 e 1617 (Braidense,
AD.XV.12, n. 19)85, è la stessa inserita nel 1477 nell’altare dedicato alla domenicana in Garegnano, ma purtroppo la modificazione della relativa lastrina ci impedisce di sapere quando entrò a far parte del gruppo protetto dai vetri dorati e di escludere
senza ripensamenti la pur remota ipotesi di un’esecuzione degli
ori per la certosa di Pavia. Il cimelio di santa Caterina da Siena,
che si potrebbe pensare desiderato e ottenuto per Garegnano a
seguito della canonizzazione della santa nel 1461, rese in ogni
caso ancor più stretti i rapporti tra le due certose dell’ambito
milanese, relazioni che risalgono del resto all’origine stessa del
cenobio pavese, sollecitata da Stefano Maconi, già segretario
della santa senese, priore in Garegnano dal 1398 al 1408 e poi
dal 1411 al 1421 a Pavia, dove morì nel 142486.
Come prova di antica pertinenza delle teche alla certosa milanese si sono indicate coincidenze con le reliquie citate nella
memoria sopra ricordata87. Una relazione diretta è difficile da sostenere perché i sacri cimeli delle mense sono molteplici, il ricordo è talora disinvolto e l’interesse non è principalmente volto ai
cimeli del tesoro, anche se a inizio Cinquecento sembra vi si sia
fatto ricorso88. Si può però notare che nel 1477, e pare solo in
quell’anno, si usarono alcune reliquie presenti anche nei nostri
reliquiari. Tra molte altre, nell’altare di san Gerolamo furono inserite ossa di san Lorenzo, san Bartolomeo, san Valeriano e un
pezzo della colonna della flagellazione; mentre nell’altare di santa
Caterina da Siena in sacrestia si misero la clamide della santa senese e ossa delle Undicimila vergini89. Dato che si ricordano per
lo più cimeli correlati ai vetri dorati, potrebbe esser lecito assumere il 1477 come data del più antico riscontro in Garegnano
delle reliquie di tale gruppo.
Per quanto concerne quelle individuate dalle miniature il discorso si fa più complesso e di più lato appiglio cronologico. Se
nel 1425 nell’altare di santo Stefano furono riposte solo ossa di
san Romano e san Tiburzio martiri e di una delle Undicimila vergini, è probabilmente difficile che all’epoca fossero già presenti
78 Matteo Codenari (per cui cfr. avanti nel testo) nella sua Cronica dell’origine
dell’ordine della certosa (Braidense, AD.X.26), f. 116v, ricorda «Sant’Hugo vescovo Gratianopolitano, primo fondatore della Certosa»; è poi corretto in fine
testo da Matteo Valerio, certosino del XVII secolo.
79 Sull’iconografia, scarsa, di san Brizio vescovo di Tours cfr. M. C. CELLETTI,
in Bibliotheca Sanctorum, III, Roma 1962, coll. 544-555.
80 Il calendario è nel collettario oggi in Braidense di cui alla nota 20. Tra le festività di primaria importanza, rubricate in rosso, troviamo, oltre ovviamente
a quelle dedicate alla Vergine cui i certosini riservavano particolare onore, quelle della Maddalena, Lorenzo e Stefano, Orsola e relate vergini e Caterina
d’Alessandria, Ugo; come feste minori appaiono le ricorrenze di Fabiano e Sebastiano, Brizio, Nicola. L’unico riferimento mancante è quello di Alessandro,
di cui si è però già detto.
81 Le coincidenze interessano Ugo e Nicola tra i santi confessori, Stefano, Lorenzo e Fabiano tra i martiri, Caterina, Maddalena e Orsola tra le vergini.
82 Tra le feste grandi le coincidenze interessano Bartolomeo, Matteo e i santi
Innocenti, mentre ricorrenze minori sono quelle di Tiburzio, Valeriano e Massimo, Cristoforo, Cecilia e Caterina da Siena. Nelle litanie dei santi corrisponde il solo richiamo a Cecilia.
83 Il filatterio recita «De osse sancti romani episcopi»: più di un personaggio
potrebbe corrispondervi, ma il più famoso è un presule di Rouen del VII secolo
(cfr. H. PLATELLE, in Bibliotheca Sanctorum, XI, Roma 1968, coll. 328-330),
sempre che non si sia operata qualche confusione, ad esempio con le reliquie
del martire Romano, che con quelle di Tiburzio risultano presenti in Garegnano fin dal 1425 (cfr. più avanti nel testo).
84 BUGANZA, 2011, p. 152.
85 cfr. supra nota 16.
86 H. ANGIOLINI, Maconi, Stefano, in Dizionario biografico degli Italiani, 67,
Roma 2006, pp. 118-122.
87 BUGANZA, 2011, p. 152, senza specifica delle concordanze.
88 La genericità si coglie in merito a due altari nel 1422: «et in altaribus posita
fuerunt reliquia plurimorum sanctorum, et specialiter Christofori et Ippoliti
martirorum, atque de capillis sancti Francisci, et aliorum» (nella riconsacrazione del 1508 s’insiste «et aliorum, sed non recordamur quorum»), e a una consacrazione del 1509: «et aliorum plurimorum, quod nomina scripta sunt in coelis».
Nel caso dell’altare dei santi Ippolito e Cassiano, 1519, si nota invece la provenienza delle reliquie dal tesoro della certosa: «posita fuerunt multa reliquia in
ecclesia cartusia ibidem vicina accepta».
89 Nell’altare dei conversi: «De lapidibus Monumenti, Columnae, Praesepis et
locorum Nativitatis Domini N. Jesu Christi. De cilicio et vestibus cuiusdam
virginis. De osse sancti Lauerentii [sic] M. De ossibus sancti Romani. M. De ossibus sancti Bartholomei Apostoli; de ossibus sanctorum Primi et Feliciani Martirorum. De reliquiis sanctorum Tiburtii et Valeriani Martirorum; et sanctorum
confessorum Paulini et Marci primi episcopi Laconi». Nell’altare di santa Caterina: «De clamide eiusdem virginis. De ossibus XI mill. virginum. De osse sancti
Petri Martiris ordinis Predicatorum. De ossibus sanctorum Primi et Feliciani
martirorum. De lapide sepulcri sanctae Catarinae v. et mar. De lapidibus sanctorum locorum Nativitatis, Passionis et Sepulcri D.N. J. C. De ossibus sancti
Romani martiri». È possibile che ivi fosse presente anche un pezzo della colonna della flagellazione («de lapidibus locorum Passionis»), mentre la reliquia del
sepolcro di santa Caterina d’Alessandria non coincide con quelle presenti nelle
teche. In entrambi gli altari sono presenti anche reliquie di san Romano, che
però è indicato come martire e non come vescovo, quale invece lo riconosce il
filatterio connesso al relativo vetro dorato.
I reliquiari quattrocenteschi della certosa di Garegnano: una rilettura
cimeli del santo diacono, mentre quelli delle vergini sembrano
almeno da quel momento stabilmente in essere a Garegnano, visto che l’anno seguente furono utilizzate anche per l’altare di san
Michele90. A sant’Orsola e alle sue numerose compagne pare
d’altro canto che nella certosa milanese fosse riservata nel XV secolo una devozione particolare, di cui si trova traccia pure in merito all’altar maggiore, che merita qualche attenzione. Di recente
si è infatti collegata la committenza dei reliquiari a una doppia
celebrazione in Garegnano del vescovo milanese Gabriele Sforza,
in data 1457, forse a conclusione di un rinnovamento del presbiterio91. Difficile è però pensare a una donazione del presule,
perché è piuttosto strano che di un atto dell’autorità locale, munifico e per i certosini certamente importante, non sia rimasta la
minima traccia, neppure nei calendari della certosa milanese già
ricordati, in cui non mancano le memorie dei principali benefattori. Ugualmente, la liaison con la zona absidale, di qualche
ragionevolezza per un dipinto o un oggetto liturgico, non mostra altrettanta pregnanza in relazione a contenitori di reliquie
che in ambito cartusiano avevano una specifica, differente, collocazione. Si pensi in proposito come l’importante dono di sacri
resti fatto intorno al 1360 da Niccolò Acciaiuoli alla ‘sua’ certosa
di Firenze risulti finalizzato proprio a un luogo speciale nel monastero in costruzione, l’erigenda cappella delle reliquie92. La
controprova più esplicita per Garegnano ci è fornita da un atto
del 1459, nel quale si documentano ben altri progetti all’epoca
per la zona absidale. Giovanni Andrea da Dugnano, in procinto
di entrare nell’ordine, dispone infatti che entro un paio d’anni
grazie ai suoi beni si eseguano per l’altar maggiore una bellissima
maestà, un bel messale e diversi paramenti93. È più della dotazione consueta di un altare, solitamente composta da messale,
calice e maestà, quale venne disposta anche in Garegnano, nel
1407 e nel 1467, per le cappelle del Battista e di sant’Antonio94.
Un’ancona dipinta era probabilmente quella per cui si dispose
nel 146795, e un polittico a più tavole e predella doveva in ogni
caso essere la maiestas dell’altar maggiore, dove sarebbero stati dipinti Cristo e la Vergine, sant’Orsola e compagne, i dodici apostoli, sant’Ambrogio, il Battista, san Gerolamo, santo Stefano,
sant’Agostino, san Martino, sant’Ugo, san Bernardo e san Lorenzo. I soggetti richiesti escludono una diretta relazione con le
reliquie delle teche in esame e anche con quelle deposte nell’altar
maggiore alla consacrazione del 136796, ma oltre al doveroso riferimento ai titolari dell’altare e del monastero stesso, la Vergine,
il Battista e sant’Ambrogio, documentano le particolari devozioni in auge in Garegnano poco dopo la metà del Quattrocento.
Sant’Orsola e compagne proprio all’altar maggiore trovavano allora speciale venerazione, dato che i paramenti da apprestare, di
costo totale uguale a quello del dipinto, duecento fiorini, dovevano servire per le feste della vergine e delle sante compagne.
Considerando questa particolarità e il ricordo di Stefano, Lorenzo e Ugo, ci si può spingere a ritenere che le reliquie illustrate
dalle miniature oltre che a un generico ambito certosino appaiono ben adeguate a quello specifico di Garegnano intorno alla
metà del XV secolo.
90 «De ossibus coemeterii Calixti, et unius XI millium virginum, et sanctorum
PEDRALLI, 2002, pp. 267, 269.
PEDRALLI, 2002, p. 269: «mayestas una picta». Per l’uso del termine in ambito lombardo quattrocentesco, e in riferimento a opere di oreficeria, dove
sembra individuare soprattutto oggetti di contenute dimensioni: P. VENTURELLI, ‘Maestà’, in «Achademia Leonardi Vinci», X (1997), pp. 115-116; P. VENTURELLI, Glossario e documenti per la gioielleria milanese: 1459-1631, Milano
1999, pp. 90-91. Per fortuna talvolta soccorre qualche specifica, come per un
polittico di Pecino da Nova descritto nel 1408: «quandam anchonam, seu
quandam Maiestatem, auro, argento et variis coloribus, et figuris ornatam et
depictam»; cfr. C. TRAVI, Johanes de Mediolano, Justus de Florentia e la pittura
su tavola in Lombardia nel XIV secolo, in Giovanni da Milano, 2008, p. 82, anche in merito alle tavole dipinte presenti in area lombarda soprattutto nel XIV
secolo. ALBERTARIO, 2003, p. 82, segnala la specifica «anchona» anche nei contratti pavesi tra XV e XVI secolo. Richiama ora la problematica nei suoi risvolti
quattrocenteschi TANZI, 2011, pp. 113-114.
96 Dalla solita memoria braidense: «1367 die Iovis 22 Aprilis […] Altare maius
consecratum et dedicatum fuit […] ad honorem Dei et gloriose semper virginis
Mariae, santique Ioannis Baptiste, ad titulum et speciale vocabolum gloriosi
doctoris beati Ambrosii episcopi et confessoris, et in hoc altari positae fuerunt
in sepulcro e lapide maiori reliquiae infrascriptae apostolorum Petri et Pauli,
Marcellinis et Petri, beati Martini, beatae Agnetis virginis et martiris, Constantiae virginis, sancti Cornelii martiris, sanctorum Felicissimi et Agapiti, Luciae
et Geminiani, et beati Gregorii Papae».
Nerei et Achillei martiris».
91 BUGANZA, 2011, p. 154. Il ricordo, nella memoria braidense sopra ricordata,
è notato già in PALESTRA, 1976, p. 71.
92 LEONCINI, 1999, pp. 149-151.
93 PEDRALLI, 2002, pp. 267-268. ASMi, Pergamene, cart. 583, atto dell’8 ottobre
1459: «unam pulcerimam maiestatem pretii florenorum ducentum dicti valoris
ut supra ponendam altari maiori predicte eclesie ipsius monasterii super qua depingantur isti sancti, videlicet figura domini nostri Yhesus Christi, item beatissime virginis Marie | item sancta Ursula cum undicim millibus virginibus, item figure duodecim apostolorum, sancti Ambrosii, sancti Iohannis Baptiste, sancti Ieronimi, sancti Steffani, sancti Augustini, sancti Martini, sancti | Ugonis, sancti
Bernardi et sancti Laurentii et cum onere depingi fatiendi super muro ante altare
capelle sancti Francisci ipsius monasterii figuram sancte Marie cum eius filio domino nostro | Yhesu Christo in brachio et a parte destra figura sancti Francisci et
a parte sinistra figura sancti Antonii statim venditis bonis ut supra et quod illa
maiestas que de presenti est ad dictum altare maius ponatur postea ad altare capelle sancti Stefani ipsius monasterii. Item dicto altari maiori planedam unam,
palium unum, frontale unum et amitum unum zetonini albi | deaurati, omnia
videlicet planeda et alia pretii in soma aliorum florenorum ducentum dicti valoris ut supra, ponenda in festis glorioxissime virginis Maria et undecim millium
virginum. Que omnia, videlicet maiestas et alia paramenta postquam bona ipsa
vendita fuerint / cta infra annos duos tunc proxime futuros».
Ricapitolando, le miniature sembrerebbero essere state realizzate in ambito certosino per un nucleo di reliquie presente in
Garegnano intorno alla metà del Quattrocento, mentre i vetri
a oro sono prodotti per un altro nucleo di reliquie che parrebbe
esistere in Garegnano entro il 1477. Le caratteristiche stilistiche di entrambe le serie suggeriscono di non allontanarne troppo la data di esecuzione dal 1450, ma mentre la realizzazione
del primo reliquiario ha le caratteristiche di un’operazione nata
e risoltasi, fors’anche nell’esecuzione, entro il contesto monastico
di Garegnano, nel caso della seconda teca il riferimento è meno
stringente, e la preziosità del materiale e della tecnica pittorica e
il ricorso a una bottega di non scarso livello documentano
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Arte Lombarda | CARLA TRAVI
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un’iniziativa più complessa, legata a una donazione che potrebbe aver fornito insieme gruppo di reliquie e reliquiario, ma anche solo uno dei due. Ancora da ben indagare è in verità la vita
della certosa milanese intorno e dopo la metà del XV secolo97.
In barba alla nota sobrietà certosina – che perlomeno in quell’epoca, ed efficace prova ne è la certosa pavese, risultò decisamente attenuata98 – sembrerebbe non fosse priva di degni apparati e congrui adornamenti, anche se davvero poco è quanto
ci resta. Non abbiamo contezza d’esecuzione delle maiestates
per cui si dispose nel 1459 e nel 1467, così come dell’affresco
con la Vergine col Bimbo in braccio con san Francesco e sant’Antonio abate, previsto ancora nel 1459 per l’altare della cappella
di san Francesco, e risulta dispersa la vecchia maiestas dell’altar
maggiore, quella sì sicuramente esistente, che secondo le disposizioni del 1459 doveva esser spostata alla mensa della cappella
di santo Stefano. A far compagnia al dipinto che sovrasta l’altare di santa Caterina da Siena in sacrestia, databile in prossimità della consacrazione del 1477, e forse a una tavoletta alla
Ca’ d’oro per cui è stata proposta con buoni argomenti una
realizzazione per Garegnano99, restano appena alcuni manoscritti cui si accennava sopra, uno dei quali – un piccolissimo
Diurnale (Braidense AD.X.30) di gradevole fattura e ornato
sull’inizio da una miniatura – ricollegabile al priore Matteo da
Cremona. Quest’ultimo, Matteo Codenari, professo in Garegnano nel 1443, sembra essere stato un personaggio di spicco
dell’ordine e di certo lo fu nella vita della certosa milanese.
Priore a Parma nel 1452, ad Asti nel 1455, e a Milano dal
1456 ad almeno il 1463, lo fu poi a Pavia dal 1479 al 1484, e
in data imprecisata, ma precedente l’incarico pavese, a Napoli.
Fu anche diverse volte visitatore dell’ordine nelle tre province
italiane e tornò infine a Garegnano dove morì nel 1488100. Di
personalità assai pratica, visto che gli si deve un inventario dei
beni immobili di Garegnano scritto nel 1460 (Ambr. B 84
suss), si distinse per l’impegno culturale e anche, si direbbe, per
averne voluto lasciare traccia, fatto comunque rilevante in am-
bito certosino. A lui spetta una Cronica dell’origine dell’ordine
della certosa (Braidense, AD.X.26), in cui dimostra grande attaccamento alla semplicità e al rigore della regola cartusiana, e
un libretto tascabile (Ambr. X 16 sup) risalente al 1475-76,
nella cui sottoscrizione si dice priore della certosa milanese101.
Nella sua Cronica si rivela apprezzatore del Petrarca, che godeva di buona fama tra i certosini in virtù del fratello Gherardo,
appartenente all’ordine, e di quanto aveva scritto di conseguenza, e del quale aveva letto il De otio religioso presso la certosa di Napoli e il De vita solitaria presso quella di Milano102.
Dietro le disposizioni del 1459 di Giovanni Andrea da Dugnano, che documentano i buoni rapporti con la società milanese
del tempo del monastero e del suo priore, traspare la sua personalità e l’intenzione di ammodernare con acconcio lustro,
ma senza esagerare, l’amata certosa di Garegnano. La figura di
Matteo da Cremona testimonia soprattutto il clima culturale
vivace del cenobio milanese intorno e dopo la metà del secolo.
È probabile però che già al suo ingresso in certosa il Codenari
avesse trovato una situazione di positiva apertura verso letteratura e arti, se si tiene conto che Cristoforo da Marliano, priore
di Garegnano per quattro anni consecutivi dal 1432, era in
rapporto col confratello cardinal Albergati, di cui non occorre
ricordare la levatura culturale d’impronta umanistica103. In
questo contesto, anche senza forzarne un diretto rapporto col
priorato di Matteo da Cremona, che pure sembrerebbe non
sconvenire soprattutto quanto alla realizzazione delle miniature, diventa più facile leggere la presenza dei due reliquiari nella
certosa milanese. E se le colorate figurette miniate quasi ci consentono di sbirciare nella rigorosa e serena quiete dei monaci,
le lastre dorate documentano un rapporto di prima qualità col
mondo esterno al monastero, corrispondendo appieno ai due
aspetti sottolineati dai confratelli nel ritrarre il cremonese:
«magna fuit auctoritas, nobile nomen, laus innocentiae et disciplinae monasticae maxima»104, in un equilibrio tutto rinascimentale tra cielo e terra, tradizione e modernità.
97 Dopo PALESTRA, 1976 si segnala solo qualche aggiunta in CANOBBIO, 2000;
domus Parmae, Astae, Neapolis, Papiae, terque Mediolanensem suae professionis Cartusiam, in qua obiit anno 1488 die 30 septembris. Fuit etiam variis
temporibus visitator trium provinciarum Italiae».
101 Per la Cronica cfr. nota 78; per il codice in Ambrosiana: FERRARI, 1989,
p. 316.
102 Cronica, f. 126 r-v: «un’altra dignissima opera scrisse De vita solitaria, la
quale similmente ho letta in questa Certosa di Sant’Ambrosio et Agnus Dei di
Garigniano Corbettario».
103 Acta monachorum..., 1773, II, f. 63v: Cristoforo da Marliano accompagnò con un altro certosino il cardinal Albergati in missione in Francia; morì
nel 1468.
104 Acta monachorum..., 1773, II, f. 135r.
PEDRALLI, 2002.
98 Per i certosini e l’arte cfr. B. FABJAN, «Ubi amor, ibi oculos»: opere d’arte per
le Certose, in Ambrogio da Fossano..., 1998, pp. 31-45: gli Statuti certosini indicarono sempre la via della sobrietà, ma una decisa condanna colpì solo le
espressioni della «curiositas».
99 F. CAVALIERI, Milano poco dopo il 1475: un maestro per la Certosa, in Il più
dolce lavorare che sia. Mélanges en l’honneur de Mauro Natale, a cura di F. Elsig,
N. Etienne ed G. Extermann, Cinisello Balsamo 2009, pp. 231-237: per la tavola è suggerita una data di qualche anno posteriore all’affresco in sacrestia.
100 GARGAN, 1998, p. 97; CANOBBIO, 2000, p. 484, indica come termine del
priorato del Codenari in Garegnano il 1460, ma lo troviamo ancora in carica
in atti del 1462, 9 novembre, e 1463, con data erosa (ASMi, Pergamene, 583).
Nel 1455 era invece in carica come priore Filippino da Rancate e nel 1468 risulta esserlo Cristoforo de Conti. Gregorio Parravicini nei suoi Acta monachorum et monalium S. Ordinis Cartusiensis, 1773 (Braidense, AE.IX.27, 28,29) v.
II, f. 135r, ricorda, citando come fonte gli Annali della certosa milanese: «Rexit
Referenze fotografiche
1-2, 5-17, tavv. 5-11: Luigi Parma, Milano; 3: Carla Travi, Milano.