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G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 393 P. Materzanini, R. Lucchini, M. Gelmi, F. Zannol, M. Crippa, L. Alessio Efficacia di un programma di formazione-informazione di lavoratori esposti a piombo in funzione di variabili psicologiche Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Brescia Introduzione Risultati La formazione-informazione (IF) è uno strumento importante nell’ambito della prevenzione occupazionale, potenzialmente in grado di ridurre l’esposizione a tossici mediante l’acquisizione di conoscenze sui rischi per la salute derivanti da tali esposizioni e di conseguenti comportamenti preventivi. Strutturare un buon programma di IF significa effettuare una valutazione preliminare delle richieste formative e del target, stabilire gli obiettivi e le modalità operative, prevedere infine controlli nel tempo dell’efficacia dell’intervento. Un’esperienza precedente, condotta in un gruppo di 50 lavoratori esposti a piombo inorganico, ha dimostrato il ruolo fondamentale dell’IF nel ridurre i livelli di piombemia, tramite un aumento delle conoscenze specifiche riguardo alla prevenzione degli effetti del piombo sulla salute (1). Prima dell’intervento, i valori medi di piombemia (PbB) e di ZPP erano rispettivamente 23.20 ± 11.72 µg/dl e 3.22 ± 1.89 µg/g Hb. Nel corso del programma, la piombemia è rimasta sostanzialmente invariata nei valori medi, mentre si sono sensibilmente ridotti i valori massimi (da 52 a 42.9 µg/dl); la ZPP media è diminuita significativamente scendendo a 2.79 ± 1.35 µg/g Hb (tabella 1). Il punteggio del questionario di verifica dell’apprendimento è aumentato significativamente, seguendo un incremento iniziale, una fase di stabilità ed un successivo rialzo, in seguito all’intervento di rinforzo (figura 1). La valutazione dell’andamento dei parametri di efficacia dell’intervento in funzione delle variabili socio-demografiche considerate ha evidenziato una maggiore efficacia del programma nei soggetti a scolarità medio-elevata rispetto a quelli a bassa scolarità, mentre non influenti sono risultate le variabili di età, consumo di alcol e abitudine al fumo. Fra le variabili indipendenti di tipo psico-sociale, l’inserimento in un miglior clima relazionale, così come definito dal test di WIRI, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con i colleghi di lavoro, un tono più elevato dell’ansia di stato così come definito dal test STAIs, e caratteristiche personologiche di estroversione, come risultanti dal test di Eysenck, sono risultati associati ad un’efficacia significativamente più elevata del programma. Non è risultato associato e influente il livello di percezione del rischio come misurato dal test HLC. Materiali e metodi 35 lavoratori di due aziende che impiegano il piombo nel ciclo produttivo sono stati coinvolti in un programma di formazione-informazione articolato in diverse fasi, per la durata totale di circa 3 anni. Quali indicatori di efficacia sono stati utilizzati i dosaggi di piombemia e zincoprotoporfirina eritrocitaria ed i punteggi ottenuti ad un questionario di valutazione, comprendente una parte teorica sulla tossicologia del piombo ed una parte pratica relativa ai comportamenti preventivi. Il questionario è stato somministrato prima dell’intervento formativo (Q1), ed è stato ripetuto per un totale di altre 4 volte: a distanza di 4 mesi (Q2) e di 12 mesi (Q3); a 24 mesi, previa un’ulteriore verifica (Q4), è stato effettuato un incontro formativo di rinforzo, seguito da una verifica a 5 mesi (Q5). Il dosaggio degli indicatori biologici del piombo è stato effettuato prima dell’intervento formativo ed è stato ripetuto per altre tre volte, rispettivamente dopo 12, 24 e 30 mesi. L’intervento formativo ha previsto l’organizzazione di riunioni in cui sono stati illustrati i possibili effetti sulla salute e le procedure comportamentali necessarie per la prevenzione. Sono state inoltre fornite ai lavoratori dispense informative ad hoc. Durante l’intervento formativo non sono stati effettuati interventi di prevenzione strutturale nelle aziende ed i carichi di lavoro sono rimasti invariati. Nella valutazione iniziale sono state inoltre indagate alcune caratteristiche psicologiche del gruppo di lavoratori, mediante la somministrazione dei seguenti questionari: a) Eysenck Personality Inventory (2), per valutare le caratteristiche di estroversione e neuroticismo; b) State-Trait Anxiety Inventory (3), nella sua versione italiana (4), per valutare sia l’ansia di stato (STAIs) che l’ansia del tratto stabile di personalità (STAIt); c) Work Interpersonal Relationship Inventory (5) (WIRI), per la valutazione del clima relazionale, sia in verticale con le gerarchie, sia in orizzontale con i colleghi di lavoro; d) Health Locus of Control Scale (6) (HLC), per caratterizzare l’atteggiamento personale nei confronti della salute e della prevenzione. L’analisi statistica è stata effettuata mediante test di ANOVA test non parametrico di Friedman per misure ripetute, con la valutazione delle variabili socio-demografiche e psicologiche come covariate. Tabella I. Andamento della ZPP (in µg/g HB) durante il programma di intervento formativo (p=0.002) Media±DS Media Geom Tempo 0 a 12 mesi a 24 mesi a 30 mesi 3.21±1.89 2.41±1.46 2.96±1.72 2.78±1.34 2.82 2.14 2.60 2.54 Figura 1. Andamento dei punteggi al questionario di verifica dell’apprendimento (p<0.0001) POSTER 394 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it Discussione Bibliografia Il programma di formazione-informazione ha dimostrato una sua efficacia nella riduzione degli indicatori di esposizione a piombo, anche per livelli iniziali sostanzialmente “bassi”. La riduzione è avvenuta principalmente a carico della ZPP, indicatore più “stabile” nei confronti della misura dei carichi corporei di piombo, rispetto alla piombemia, legata maggiormente a fluttuazioni delle concentrazioni ambientali. Anche nei confronti della piombemia, il programma formativo ha comunque dimostrato la sua efficacia nella riduzione dei picchi di esposizione. Alcune condizioni psichiche si sono rilevate influenti sull’efficacia del programma. In particolare il clima relazionale è in grado di ridurre l’efficacia del programma, a causa di conflittualità elevate fra i soggetti. Nella pianificazione degli interventi formativi, può essere utile pertanto considerare anche le variabili psicologiche del target. Un’azione preventiva ed eventualmente correttiva nei confronti dei fattori di rischio psico-sociali, potrebbe infatti favorire la trasmissione dell’informazione e la conseguente adozione di comportamenti preventivi. 1) Porru S, Donato F, Apostoli P, Coniglio L, Duca P, Alessio L. The utility of health education among lead workers: the experience of one program. Am J Ind Med 1993, 22: 473-481. 2) Eysenck HJ, Eysenck SBG. Eysenck Personality Inventory - breve manuale dell’adattamento italiano. Firenze Organizzazioni Speciali 1990. 3) Spielberger CD, Gorsuch RL, Lushene RE. Manual for the State-Trait Anxiety Inventory (Self-Evaluation Questionnaire). Palo Alto (CA), Consulting Psychologist Press Ed. 1970. 4) Pedrabissi L, Santinello M. State - Trait Anxiety Inventory adattamento italiano. Firenze Organizzazioni Speciali. Ed. 1996. 5) Faucett J, Blanc P, Yelin E. The impact of carpal tunnel syndrome on work status: Implications of job characteristics for staying on the job. J Occupational Rehabilitation 2000, 10 (1), 55-69. 6) Wallston BS, Wallston KA. Health locus of control. In H. Lefcourt (Ed.). Research with the locus of control construct: Vol. 1: 189-243. New York Academic Press 1981. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 395 G. Miceli1, P. Ravalli1, G. Trovato2 Profili di rischio nella produzione di carni avicole 1 2 Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro - Az. USL 7 Ragusa Specialista in Medicina del Lavoro, Medico Competente - Az. Modicana Carni S.r.l. Materiali e metodi Il comparto in argomento è ubicato quasi interamente nel territorio del comune di Modica (Ragusa) ed occupa compessivamente circa 160 lavoratori distribuiti in 11 aziende. Di queste, otto sono di piccole dimensioni (numero di addetti compreso tra 7 e 10) e si occupano principalmente dell’allevamento dei polli da carne e delle galline ovaiole per la produzione di uova. Tre invece sono di maggiori dimensioni ed in esse opera la maggior parte degli addetti (più dei due terzi). Queste tre aziende presentano un ciclo lavorativo completo occupandosi oltre che dell’allevamento anche della macellazione e della successiva distribuzione commerciale. Tutte le ditte sono state oggetto di sopralluogo per la verifica del rispetto delle norme di igiene e sicurezza del lavoro con l’approccio dell’intervento di comparto, ormai ampiamente sperimentato dai servizi pubblici di prevenzione. Tale metodo ha permesso di affrontare il comparto in termini più assistenziali e preventivi che repressivi con il conseguimento di risultati altamente positivi, anche grazie alla sensibilità delle figure aziendali coinvolte. A seguito dell’intervento infatti sono stati rivisti i documenti valutativi già effettuati, ma soprattutto sono state avviate concrete misure di bonifica mirate ai rischi più significativi del ciclo produttivo. Trascurabili si sono rivelati i rischi legati all’allevamento in quanto l’elevato livello di automazione esistente in questa fase ha reso l’intervento del lavoratore minimo e saltuario. Soltanto nella fase di rimozione delle lettiere si può configurare un rischio ponderabile di esposizione a polveri e ad agenti biologici. Tali rischi sono facilmente aggredibili con un’opportuna organizzazione del lavoro e con appropriati dispositivi di protezione. Stesso discorso per l’operazione di sanificazione dei capannoni alla fine di ogni ciclo di allevamento: dovendo infatti operare in condizioni di fermo dell’allevamento ed in condizioni ottimali, sia di tempo che di luogo, è facile approntare le misure protettive più efficaci. Il rischio derivante dall’uso di agenti chimici per la suddetta operazione è da considerare moderato vista la possibilità di intervenire con misure di protezioni efficaci. La fase lavorativa più complessa si è rivelata la macellazione ed il successivo confezionamento delle carni. I rischi derivanti da queste operazioni sono più complessi ed intervenire su di essi ha comportato uno studio delle soluzioni più impegnativo e più laborioso che è tuttora in corso. In particolare la macellazione comporta una organizzazione del lavoro a catena secondo un ciclo consequenziale prestabilito che non può essere né modificato né interrotto. Tutte le operazioni devono essere svolte secondo un ritmo imposto essenzialmente da esigenze produttive: inoltre i luoghi di lavoro necessitano di strutture e condizioni logistiche specifiche dettate dalla particolarità della materia prima manipolata, cui l’operatore deve adattarsi con limitati margini operativi. I movimenti ripetitivi e le posture incongrue, la movimentazione manuale dei carichi, la rumorosità, le condizioni microclimatiche sfavorevoli, gli agenti chimici e gli agenti biologici rappresentano i rischi lavorativi evidenziati in questa fase lavorativa. Non trascurabili inoltre i rischi infortunistici collegati agli ambienti (pavimenti scivolosi) ed all’uso di attrezzi taglienti. Risultati e discussione Gli interventi contro la rumorosità ambientale determinata essenzialmente dal funzionamento delle macchine spiumatrici e dal movi- mento della catena, sono risultati tra i più efficaci nell’abbattimento di tutti i rischi evidenziati: le apparecchiature più rumorose sono state infatti isolate ed insonorizzate con appositi pannelli fonoassorbenti ed il personale più esposto è stato dotato di idonei dispositivi otoprotettori. Le valutazioni fonometriche di controllo hanno evidenziato dopo tale intervento un abbattimento dei valori di esposizione giornaliera al di sotto della soglia degli 85 dBA. La valutazione degli atti di sorveglianza sanitaria, espletata precedentemente all’intervento, aveva fatto riscontrare numerosi casi di ipoacusia da trauma acustico. La movimentazione manuale dei carichi è stata ridotta meccanizzando al massimo la veicolazione dei polli e dei prodotti carnei durante tutto il ciclo. Buoni risultati si sono ottenuti anche nelle posture studiando come migliorare l’ergonomia delle singole postazioni ed intervenendo sulla catena: un efficace intervento è stato quello di abbassare in alcuni punti la catena di veicolazione dei polli ed in altri invece di alzare la postazione dell’operatore. Il ritmo delle operazioni è stato inoltre modificato riducendo i tempi di permanenza alla catena sia per ridurre il rischio infortunistico che per abbattere il rischio da movimenti ripetitivi fonte di notevole disagio soprattutto nella fase iniziale del ciclo. I fattori microclimatici sfavorevoli, presenti con caratteristiche opposte durante il ciclo lavorativo, caldo umido nella prima fase (scottatura carcasse, spiumatura) e decisamente fredde nella fase successiva della lavorazione e del confezionamento della carne, sono state contrastate oltre che con opportuno vestiario, adottando turni lavorativi separati e differenziati tra le due fasi. Il rischio chimico è legato esclusivamente alle operazioni di pulizia dei pavimenti, delle pareti e delle attrezzature di macellazione con sostanze detergenti, utilizzate in appropriate concentrazioni: alla luce delle caratteristiche di questi prodotti, riportate nelle schede di sicurezza e valutate le condizioni d’uso, tale rischio può essere considerato moderato. La macellazione e la produzione di carni destinate all’alimentazione umana comportano il pericolo potenziale per il lavoratore di giungere a contatto con microrganismi ed endoparassiti veicolati dagli animali o dai loro prodotti. Il rischio biologico è da tener presente soprattutto nelle fasi di uccisione/spiumatura ed eviscerazione/pulitura, configuranti nel loro insieme la cosiddetta “zona sporca” del macello. I microrganismi che potrebbero potenzialmente inquinare il processo produttivo sono stati individuati e classificati e quasi tutti risultano appartenere al gruppo 2. Le misure protettive applicate nei confronti del rischio biologico spaziano dai controlli igienico sanitari meticolosi delle superfici, dei macchinari e degli strumenti alle norme di comportamento per il personale, fornito di idonei mezzi di protezione individuale (mascherine, guanti, occhiali ecc). Il controllo della catena del freddo, che non deve subire interruzioni, i prelievi microbiologici periodici effettuati in sinergia con la tecnica di HACCP (prevista per l’assicurazione della qualità microbiologica della produzione industriale di alimenti), la formazione e l’informazione e la sorveglianza sanitaria del personale con l’esecuzione di esami ed accertamenti diagnostici mirati, la riduzione al minimo del personale esposto, rappresentano le altre misure realizzate contro il rischio. I risultati della Sorveglianza Sanitaria hanno rappresentano un importante strumento di verifica indiretta della modalità di esecuzione dei compiti a rischio ed hanno confermato la validità delle misure applicate: dal 1996 ad oggi non sono stati registrati tra i lavoratori del comparto casi di patologie infettive dovute agli agenti patogeni individuati. POSTER 396 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it Conclusioni Il presente lavoro è stato realizzato partendo dal presupposto che ogni possibile azione preventiva negli ambienti di lavoro può scaturire solo da una corretta valutazione del rischio collegata alle caratteristiche degli ambienti di lavoro ed ai cicli lavorativi. I concreti risultati ottenuti, consistenti in una cospicua riduzione nel tempo dei rischi lavorativi censiti nel comparto avicolo, confortati dai dati riportati negli atti di Sorveglianza Sanitaria, hanno consentito a posteriori la validazione del metodo di intervento assistenziale e preventivo applicato dal Servizio nella propria attività istituzionale. 5) 6) 7) Bibliografia 1) Battelli G, Scorziello M. Collaborazione medico/veterinaria nel campo delle zoonosi. Annali di Igiene, Medicina preventiva e di comunità 4: 395-400, 1992. 2) Ferrati D, Galli P, Gori E. Gli infortuni nella lavorazione carni: epidemiologia, quadro normativo, aspetti di prevenzione. Edizione USL 16 Modena, USL 19 Vignola (Modena) 35: 1-90, 1990. 3) Foà V, Ambrosi L. Medicina del lavoro. UTET - Torino 2003. 4) Ghersi R. Igiene del lavoro e sorveglianza sanitaria nella macella- 8) 9) 10) zione e lavorazione carni. Giornata di Studio: qualità, igiene e sicurezza nell’industria della macellazione e della lavorazione delle carni. Bologna 8 Ottobre 1997. ISPESL Dipartimento di Igiene del Lavoro - Istituto Zooprofilattico del Triveneto. Definizione dei rischi di esposizione e misure di sicurezza e di tutela della salute nei settori allevamento, macellazione, trattamento, distribuzione delle carni - Monografico di Fogli di Informazioni ISPESL - Roma, Settembre 2000. Loli Piccolomini L. Analisi del rischio biologico per gli addetti alla macellazione. Notiziario di Sanità pubblica veterinaria, 28. Archivio Veterinario Italiano 47: 1-2, 1997. Lodetti E. Nozioni pratiche sulle principali zoonosi. Selezione veterinaria 27: 1467-1672, 1986. Mantovani A, Battelli G, Zanetti R. Occupational diseases associated with animal industries, with special reference to the influence of the techniques of animal maintenance. Annali dell’Istituto Superiore di Sanità 14: 259-264, 1978. Mantovani A, Battelli G, Zanetti R. 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Viene riportata in letteratura, in un gruppo di 11.000 operai analizzati, una percentuale del 42% di soggetti con visus normale, del 36% con visus sufficiente e del 22% con uno insufficiente. È definito “visus professionale” il potere visivo necessario ad effettuare una determinata mansione e questo contribuisce a valutare la capacità psico-fisica ad eseguirla; l’idoneità specifica implica anche una sufficiente preparazione tecnica. Il settore del trasporto di persone e cose comporta necessariamente l’esigenza di possedere una buona funzione sia per la visione da vicino che da lontano. Il conseguimento della patente europea, a partire dal 1° Ottobre del 1988, prevede che il richiedente possegga campo visivo normale, senso cromatico sufficiente per distinguere rapidamente e con sicurezza i colori in uso nella segnaletica stradale, visione binoculare e sufficiente visione notturna. L’apparato visivo, al pari degli altri organi, va soggetto ad affaticamento in funzione dei ritmi e dei turni di lavoro, affaticamento che aumenta in presenza di difetti di rifrazione o di patologia oculare. Le manifestazioni più frequenti dello “stress oftalmico” sono rappresentate da spasmi accomodativi e, talvolta, da miopia apparente. Da qui scaturiscono i classici sintomi dell’astenopia accomodativa (dolori sopraorbitari, senso di bruciore agli occhi ed offuscamenti), che risulta molto frequente nei soggetti miopi, astigmatici ed ipermetropi. Altro aspetto da considerare è il rapporto tra stress oftalmico e lavoro notturno in funzione di aspetti fisiologici (prevalenza del tono vagale, ipotermia, diminuzione della frequenza cardio-respiratoria ed ipotensione) e psicologici (rapporti sociali). Con il termine di “emeralopia” si intende quello stato in cui l’acuità visiva diminuisce con il crepuscolo, in rapporto il più delle volte a disturbi ottici e più raramente a disturbi dei fotorecettori. Riportiamo i dati di ergonomia visiva ottenuti, nell’attività di Sorveglianza Sanitaria di un gruppo di autisti, in rapporto all’età cronologica. Si riportano altresì quelli relativi ad alterazioni dell’udito e del rachide. Materiale e metodi Sono stati osservati, nel periodo febbraio-marzo 2003, 304 autisti di un’azienda municipalizzata che, fino al 1994, hanno svolto attività lavorativa inerente la raccolta, il trasporto ed il compattamento di rifiuti solidi urbani. Da allora sono adibiti esclusivamente alla guida di automezzi per il trasporto di cose e persone. Tutti i soggetti esaminati sono di sesso maschile e le caratteristiche del gruppo sono presentate nelle tabelle I e II. L’abitudine al fumo è abbastanza diffusa, ma quello che soprattutto sorprende è la scarsa attenzione alla salute, stante la inaccettabile incidenza dei quadri di dislipidemia. L’ergonomia visiva è stata studiata con apparecchi Ergovision della Essilor valutando i test di base e la loro corrispondenza ai requisiti previsti dall’art. 119 del nuovo codice della strada. I risultati ottenuti sono rias- Fascia età N. 41-50 119 (39%) 51-60 154 (51%) >60 Età media Anzianità lavorativa Totale Specifica 47.6 24.9 20.5 54.7 29.6 22.3 31 (10%) 63 36 28 304 52,8 28,4 22,2 TOTALE Tabella II. Abitudine al fumo, alterazioni metaboliche ed ipertensione arteriosa Fascia età Fumatori Diabetici Dislipidemici Ipertesi N. % N. % N. % N. % 41-50 (119) 80 67 31 26 81 68 46 39 51-60 (154) 83 53 49 32 93 60 75 48 >60 (31) 11 35 14 45 21 68 13 42 TOTALE 304 174 57 94 30 195 64 134 44 Tabella III. Ergonomia visiva Fascia età Visus normale Visus sufficiente con correzione Visus insufficiente N. % N. % N. % 41-50 (119) 102 86 16 13 1 0.8 51-60 (154) 95 62 51 33 8 5 >60 (31) 14 45 16 52 1 3 TOTALE 304 211 69 83 28 10 3 sunti in tabella III. Il 69% del campione esaminato ha presentato una visione normale, il 28% è stato ritenuto sufficientemente corretto, mentre per il 3% (10 soggetti) non era possibile prevedere una correzione tale da raggiungere i minimi requisiti di legge. Per questi ultimi è stato formulato un giudizio di temporanea non idoneità, nella convinzione che non potessero svolgere il proprio lavoro in sicurezza per sé e per gli altri. La valutazione del danno uditivo è stata eseguita in applicazione del DM 119/2000. Un’ipoacusia neurosensoriale bilaterale è stata rilevata nel 27% dei soggetti esaminati, a testimonianza della precedente maggiore esposizione a rumore (tabella IV). Le alterazioni del rachide sono state inquadrate con gli esami radiologici già in possesso dei lavoratori e con la valutazione clinico-funzionale delle spondiloartropatie. I dati ottenuti e riportati in tabella V non hanno mostrato un’incidenza significativa di tale patologia. POSTER 398 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it Tabella IV. Alterazioni uditive Fascia età Normali 41-50 (119) 79 (66%) 51-60 (154) 91 (59%) Neurosensoriali Mono >60 (31) 9 (29%) 179 (59%) TOTALE 304 Bilat Trasmissive Bilat Bilat 4 (3%) 26 (22%) 5 (4%) 4 (3%) 1 (0,8%) 5 (3%) 45 (29%) 6 (4%) 3 (2%) 4 (3%) 2 (6%) 14 (45%) Mono Miste 1 (3%) 2 (6%) 3 (9%) 11 (4%) 85 (27%) 12 (4%) 9 (3%) 8 (3%) 179 (59%) 96 (31%) 21 (7%) 8 (3%) Tabella V. Alterazioni del rachide Fascia età Normali Spondiloartropatie LS2-LS3 C2-C3 LS2-3 C2-3 N. % N. % N. % 41-50 (119) 103 (87%) 8 7% 4 3% 3 2% 51-60 (154) 111 (72%) 16 10% 16 10% 11 7% >60 (31) 25 (80%) 1 3% 2 6% 3 9% TOTALE 304 239 (79%) 25 8% 22 7% 16 5% Tabella VI. Tipi di lavorazioni ed impegno visisvo Lavorazioni Acutezza visiva Comuni Di precisione Pericolose > 6/10 >7/10 >8/10 Foria >2D Foria <2D Equilibrio muscolare Senso stereoscopico Senso cromatico Angolo stereopsi <362” Angolo stereopsi <43” Errori alle tavole Senza errori Senza errori Discussione Con il contributo presentato riteniamo di aver focalizzato due tipi di problemi. Il primo riguarda l’idoneità alla guida che presenta una propria specifica normativa, di cui sono chiamati a rispondere altri soggetti istituzionali quali la Prefettura e la Commissione per le patenti speciali. Sta di fatto che, qualora i lavoratori-autisti vengano sottoposti a sorveglianza per rischi di movimentazione di carichi, di lavoro notturno e di vibrazioni, il Medico Competente può essere informato di situazioni patologiche tali da controindicare la guida, ad esempio, per tratte lunghe o venire a conoscenza, ed è possibile anche questo, della assenza dei requisiti minimi per il possesso della patente di guida. Riteniamo, in proposito, che il Medico Competente debba entrare in merito, se è suo compito la tutela della salute e della sicurezza del lavoratore; è invero poco sicuro lasciare guidare un soggetto in presenza di gravi disturbi visivi. Su come entrare in merito, lo abbiamo testimoniato formulando un giudizio di temporanea non idoneità alle mansioni. Compito del datore di lavoro è la segnalazione agli organi preposti per la verifica dei requisiti. Tutto quanto esposto ci porta a riproporre un non recente inquadramento delle lavorazioni in funzione dell’impegno visivo richiesto (tabella VI) ed a considerare la possibilità di equiparare la guida di automezzi, per causa di lavoro, alla stregua delle lavorazioni pericolose per sé e per gli altri con rispetto dei corrispondenti requisiti. Al pari, per ogni lavorazione ritenuta pericolosa è opportuno corredare l’attività formativa obbligatoria con un programma di educazione sanitaria oftalmica ed inserire nel protocollo di Sorveglianza Sanitaria uno screening ergo-visivo biennale per i soggetti con età superiore a 40 anni. Il secondo è inerente allo stato di salute ed alla scarsa capacità di controllarlo da parte del gruppo analizzato, in funzione evidente delle proprie condizioni culturali, sociali ed economiche. Tale aspetto ci riconduce al tema della Promozione della Salute negli ambienti di lavoro ed alla necessità di modificare stili di vita che finiscono per favorire e condizionare la storia naturale delle malattie cronicodegenerative. All’uopo si è presentato un programma di educazione alimentare e di riduzione dell’abitudine al fumo da inserire nella attività di informazione già prevista. Bibliografia 1) Abbritti G, Muzi G, Latini L, Vinci F, Abbritti EP, Castellino N, Rossi L. La promozione della salute in ambiente di lavoro. In: Lavoro e Medicina - Atti del 62° Congr. Naz. della SIMLII, Genova, 29 Settembre - 2 Ottobre 1999. 2) Apostoli P, Semeraro F. Visione e lavoro. In: Foà V, Ambrosi L, Medicina del Lavoro, Torino, UTET, 2003, 485-490. 3) Apostoli P, Bergamaschi A, Piccoli A, Romano C. Funzione visiva e idoneità al lavoro. Folia Medica 1998; 69:13-34. 4) Bietti GB. 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Boschero, A. Malpassini, M. Aversa, E. Di Michele, M. Ranalli, G. Pizzutelli Indagine sugli esposti a silice Azienda Usl Frosinone - S. Pre. S.A.L. Introduzione LAVORAZIONE AL BANCO L’analisi delle cartelle sanitarie dei lavoratori esposti a polveri pneumoconiogene, nell’area di competenza dello S.PRE.S.A.L. di Frosinone, ha mostrato, negli anni, che, a volte, i medici competenti, pur molto sensibili alle problematiche legate all’esposizione al rumore, non riservano altrettanta attenzione alla prevenzione e all’eventuale presenza di patologie respiratorie. SEGAGIONE Obiettivi Metodi Sono stati analizzati 14 opifici presenti nel territorio del Distretto B della ASL di Frosinone, per un totale di 167 dipendenti di cui 17 donne. Dieci di queste aziende operano nella lavorazione di marmi e graniti, una è impegnata nella produzione di calcestruzzo, una produce prefabbricati, una è un’industria ceramica e l’ultima è una vetreria. Sono state visionate le cartelle sanitarie dei suddetti lavoratori, 30 dei quali sono stati sottoposti a Rx torace con siglatura ILO-BIT; di questi, 20 avevano l’evidenza di una sindrome restrittiva di vario grado all’esame spirometrico. A 3 di questi lavoratori, nei quali all’esame standard del torace si evidenziava un sospetto di patologia pneumoconiotica, è stato eseguito un esame HRCT del torace. Parallelamente è stata stilata una check list, da seguire in corso di vigilanza, per individuare materiali e macchinari adoperati durante il ciclo lavorativo, con i relativi rischi presenti e le eventuali disapplicazioni delle norme di prevenzione (D.P.R. 547/55, D.P.R. 303/56, D. Lgs. 277/92, D. Lgs. 626/94). Risultati Per quanto riguarda gli esami radiografici del torace effettuati, non sono state evidenziate patologie pneumoconiotiche; pertanto, nonostante nella maggior parte dei casi i lavoratori non fossero mai stati sottoposti ad esami radiografici del torace (neanche all’assunzione), non si è evidenziata la presenza di silicosi. Per quanto concerne, invece, la rilevazione dei rischi lavorativi, nell’80% dei casi veniva effettuata movimentazione manuale dei carichi e, nell’85% dei casi, movimentazione meccanica eseguita soprattutto con carrelli trasportatori ed elevatori. Nelle aziende in cui si opera nella lavorazione di marmi e graniti, vengono effettuate le seguenti lavorazioni con i macchinari elencati: PIALLATRICI SCALPELLI TRAPANI SCOLPITRICI TRANCIATORI SEGHE A NASTRO RIFINITURA Lo S.Pre.S.A.L. di Frosinone, stante quanto sopra, ha eseguito uno studio su lavoratori esposti a silice, al fine di valutarne le condizioni lavorative e di scoprire l’eventuale presenza di silicosi sommerse. In tale ottica, sono state sottoposte a vigilanza le aziende ove tali lavoratori fossero addetti, al fine di operare un’azione di bonifica, nell’ambito delle prescrizioni, di situazioni non a norma. PIALLATURA FRESATURA SCALPELLATURA ARTISTICA SMERIGLIATURA LEVIGATURA LUCIDATURA RIFILATURA SMERIGLIATRICI LEVIGATRICI LUCIDATRICI BOCCIARDATRICI FROLLINI SCALPELLI MARTELLI PNEUMATICI MARMORINI E SCALPELLINI SPACCAPIETRE Nelle stesse aziende, i materiali maggiormente adoperati sono, nell’ordine, i seguenti: MARMI ALTRE ROCCE CARRARA GRANITI TRAVERTINO PIETRA SERENA MARMO ROSA BASALTO TRANI ONICE SERPENTINO Per quando riguarda la mancata osservanza delle norme di sicurezza, si è riscontrato che il 60% degli opifici presentavano ingombri o sporgenze nelle vie di transito e che il 50% delle aziende lapidee aveva le stive di deposito delle lastre non dotate dei fermi di trattenuta. Inoltre il 50% delle aziende visitate non effettuava la manutenzione periodica dei pavimenti al fine di evitare il formarsi di buche o pozze di acqua stagnante, mentre il 30% non aveva allestito piani di calpestio in materiale antisdrucciolevole e non aveva documentazione relativa agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria dei macchinari. Nel 40% degli opifici studiati non erano presenti impianti di aspirazione adeguati. Nelle lavorazioni in cui veniva utilizzata pasta abrasiva a base di piombo, in nessun caso era stata effettuata la valutazione dell’esposizione personale al piombo. Il 20% degli ambienti di lavoro non era provvisto di armadietti personali con scomparti separati per gli abiti civili e gli abiti da lavoro. Nel 50% dei luoghi di lavoro non veniva effettuata giornalmente la pulizia con aspiratori industriali. Solo il 40% dei lavoratori che utilizzavano strumenti vibranti ne avevano a disposizione dotati di impugnatura antivibrante e di carcassa isolata rispetto all’utensile. Il 40% degli operai studiati non aveva condizioni di temperatura confortevoli. POSTER 400 Si è riscontrato, pertanto, che pur non sussistendo un’evidente presenza di patologia silicotica fra gli operatori esposti a silice, è invece presente un rischio elevato di infortuni sul lavoro a causa della mancata osservanza delle normative di sicurezza. Discussione Il nostro lavoro nell’ambito della vigilanza ha operato un’opera di bonifica delle situazioni carenti con l’esercizio della prescrizione. Sarebbe opportuno che i medici competenti fossero più sensibili alle problematiche dei lavoratori del settore, ponendo maggiore attenzione alle condizione lavorative dei dipendenti durante le visite agli ambienti di lavoro previste dalla normativa vigente. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it Bibliografia Bollini G. Venti schede sui rischi nel lavoro artigiano. Volumi di informazione EPASA, n. 14, 87-91; 113-122. Boschero L, Ciprietti G, Ferri R, Pizzutelli G, Spagnoli G. Results of screeening of a group of sanitary ware workers. La medicina del lavoro vol. 93, suppl. 2002; S52. Castellet y Ballarà G. L’attività di segagione e lavorazione di marmi e pietre ornamentali: le rocce granitiche e i loro termini commerciali. Seminario CONTARP - Sardegna 1997. De Guire L, Brisson S, Provencher S. Silicosis in Quebec from 1988 to 1997. La medicina del lavoro vol. 93, suppl. 2002; S36. Merlo F, Puntoni R, Garrone E, Desideri A, Ceppi M. Mortality among Italian refractory brick workers exposed to SiO2. La medicina del lavoro vol. 93, suppl. 2002; S31. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 401 P. Bianco1, C. Marsico2, V. Anzelmo3, S. Marsico4, D. Staiti3 Analisi delle cause di disfonie nei professionisti della voce osservate in un servizio di foniatria ospedaliero. Nota II. Cantanti 1 2 3 4 Servizio Sanitario RAI Radiotelevisione Italiana - Roma Servizio Foniatria A.C.O. San Filippo Neri - Roma Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica S. Cuore - Roma ENPALS - Roma Introduzione L’utilizzo professionale della voce cantata può sviluppare alterazioni vocali nelle quali svolgono un ruolo la qualità della tecnica vocale, la distribuzione del lavoro vocale nel tempo (mesi o stagioni), l’età, l’eventuale carico addizionale di lavoro, le condizioni di vita e quelle sociali; soprattutto lo sforzo vocale e l’errata tecnica sono ritenute le cause più frequenti. Nel cantante professionista o amatoriale che presenti l’uno o l’altro o entrambi i suddetti fattori stressanti, si osserverà dapprima una risposta ipercinetica della muscolatura laringea che provoca un aumento di potenza vocale; subito dopo compaiono, rapidamente, altre alterazioni vocali rappresentate da: attacchi duri, fatica nella mezza voce, e talora incapacità ad emettere le note acute. All’ipercinesia segue spesso la comparsa di ipocinesia, caratterizzata da emissione vocale rauca, soffiante, che impedisce la normale performance vocale. Spesso alle disfonie disfunzionali ipercinetiche ed ipocinetiche segue la comparsa delle disfonie su base organica, caratterizzate dalla presenza di lesioni organiche dell’organo fonatorio. Le disfonie organiche più frequentemente osservabili nei cantati sono rappresentate da: nodulo laringeo, polipo laringeo, cisti sottomucosa, ispessimento fusiforme, edema di Reincke, ulcera da contatto, cordite vasomotoria. Tabella I. Eziologia delle disfonie diagnosticate e relative frequenze Eziologia N. casi % Funzionale ipercinetica 334 32,08% Funzionale ipocinetica 228 21,91% Noduli laringei 195 18,73% Polipi laringei 91 8,74% Edemi fusiformi 62 5,96% Edema di Reincke 49 4,71% Ectasie venose cordali 24 2,31% Emorragie cordali 21 2,02% Monocordite 15 1,44% Cisti intracordali 12 1,15% Sulcus glottidis 7 0,66% Ulcera da contatto 3 0,29% Materiali e metodi Nella prospettiva multidisciplinare di uno studio finalizzato alla prevenzione delle alterazioni vocali in soggetti che utilizzano professionalmente la voce, che coinvolge lo specialista otorinolaringoiatra e il medico del lavoro e il medico di base, sono stati revisionati 1041 casi di disfonia in cantanti sia professionisti che amatoriali (lirici, coristi, etc.) giunti all’osservazione presso il Servizio di Foniatria di un’azienda ospedaliera romana, nel periodo compreso tra il 1985-2002. Scopo dello studio preliminare è stato quello di identificare le più frequenti patologie funzionali ed organiche responsabili della disfonia. quelle organiche, emerge l’importanza di adeguati programmi di prevenzione per questa categoria professionale, in quanto anche un breve periodo di disfonia può avere conseguenze gravi sia dal punto di vista artistico che estetico. L’ informazione, i controlli foniatrici periodici, le specifiche strategie di igiene vocale rientrano spesso nel bagaglio culturale di questa categoria di lavoratori; tuttavia la standardizzazione degli interventi preventivi, può realizzarsi attraverso la promozione di un approccio multidisciplinare alle disfonie professionali, soprattutto in strutture o settori in cui il cantante professionista (corista) risulta un lavoratore dipendente. per tutelare questi lavoratori dal rischio di sviluppare problemi vocali. Risultati Bibliografia La popolazione esaminata di 1041 pazienti, è risultata composta da 438 uomini e 603 donne, con età compresa tra i 17 ed i 56 anni. I cantanti professionisti erano 472, mentre gli amatoriali erano 569. Nella tabella I sono riportate le eziologie delle disfonie diagnosticate e le relative frequenze. In accordo con i dati della letteratura, la causa più frequente di disfonia osservata è di tipo funzionale (53,99%) con prevalenza del tipo ipercinetico (32,08%). Tra le cause organiche, che rappresentano il 46,01%, la più frequente è costituita dai noduli laringei (18,73%), seguita dai polipi laringei (8,74%). 1) Broaddus-Lawrence PL, Treole K, McCabe RB et al. The effects of preventive vocal hygiene education on the vocal hygiene habits and perceptual vocal characteristics of training singers. J Voice 2000 Mar; 14 (1): 58-71. 2) Fussi F, Magnani S. La voce del cantante. Ed. Omega, Torino 2000. 3) Motta G, Cesari U. Disfonie e disodie. Atti XVI Giornate Italiane di Otoneurologia, Sorrento 1999. 4) Murry T, Rosen CA. Vocal education for the professional voice user and singer. Otolaryngol Clin North Am 2000 Oct; 33 (5): 967-82. 5) Sataloff RT. Professional voice users: the evaluation of voice disorders. Occup Med 2001 Oct-Dec; 16 (4): 633-47. 6) Tepe ES, Deutsch ES, Sampson Q et al. A pilot survey of vocal health in young singers. J Voice 2002 Jun; 16 (2): 244-50. 7) Verdolini K, Ramig LO. Review: occupational risks for voice problems. Logoped Phoniatr Vocol 2001; 26 (1): 37-46. Conclusioni I dati rilevati dimostrano che le alterazioni funzionali sono le cause più frequenti di disfonia; poiché le alterazioni funzionali precedono di solito POSTER 402 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it R. Quagliuolo1, S. Menegozzo1, A. Guizzaro2, A. Labella3, A. Brangi3, M. Menegozzo1 Il conflitto tra gestione politica e gestione tecnica degli enti pubblici come causa di mobbing II Università degli Studi di Napoli 1 Dipartimento di Medicina Sperimentale - Sezione di Medicina del Lavoro 2 Cattedra di Neurofisiopatologia 3 Cattedra di Psicologia Clinica Premessa Il mobbing è una forma di violenza psicologica che si attua in ambito lavorativo e che implica la presenza di un aggressore (mobber), rappresentato da una o più persone e di una vittima (il lavoratore aggredito). Viene esercitato attraverso una molteplicità di comportamenti antisociali con intenzionalità lesiva che, ripetuti in modo iterativo, hanno l’obiettivo di estromettere un soggetto dal suo posto di lavoro. I confini di questo rischio lavorativo sono stati definiti nel 2001 dal Consensus Document elaborato dal network nazionale istituito in seno alla SIMLII che studia il fenomeno dal 1999. Nell’ambito del network, il gruppo di lavoro della II Università di Napoli ha sempre dato notevole risalto alla organizzazione del lavoro come causa determinante o come concausa significativa nel determinismo del mobbing e delle sindromi ad esso correlate. In questo contesto è già stato segnalato come le tendenziali modifiche della organizzazione del lavoro, sia a livello di imprese pubbliche che private, sollecitate dalla tendenza del mercato del lavoro, abbiano determinato con più facilità la emersione di condizioni di mobbing solo apparentemente interpretabili come conflitto intersoggettivo. In particolare si segnala, nell’ambito della Pubblica Amministrazione in Italia, la Legge 29.03.1983, n. 93 (legge quadro sul pubblico impiego) che ha determinato una netta separazione tra la gestione politica e la gestione amministrativa degli Enti locali. Per quanto riguarda la gestione dei Comuni, un ulteriore elemento di discontinuità organizzativa rispetto al passato è costituito dalla entrata in vigore della Legge 81 del 25 marzo 1993 “Elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Consiglio Comunale e Provinciale”, con cui il potere decisionale del Sindaco è aumentato notevolmente. Il Sindaco trova un ostacolo oggettivo alla traduzione operativa del suo aumentato potere decisionale nel confronto istituzionale con il management amministrativo che gode di una autonoma rappresentatività stabile nel tempo. Emerge di fatto un elemento di potenziale conflitto tra la carica politica del Sindaco e le postazioni di gestione amministrativa della cosa pubblica, dal momento che il nostro ordinamento non prevede uno spoiling system di tipo nordamericano, per il quale il potere politico all’atto del suo insediamento licenzia in toto il personale amministrativo, per sostituirlo con personale di fiducia. Esperienza del gruppo di lavoro della II Università di Napoli La nostra esperienza nel corso di questi ultimi tre anni, ha messo in evidenza un nucleo piuttosto nutrito (circa il 10%) di conflitti a carattere persecutorio registratisi in corrispondenti Comuni della Campania, conflitto che si è venuto a generare con il cambio della amministrazione politica comunale, e con la elezione di un Sindaco non omogeneo con la precedente maggioranza. In particolare l’elemento centrale dello scontro era focalizzato nella gestione dell’Ufficio Tecnico Comunale deputato al rilascio delle autorizzazioni edilizie, e nella emissione dei giudizi di compatibilità urbanistica per insediamenti abitativi e produttivi. Caratteristica comune di tutti i casi esaminati è stato l’emergere di un conflitto in tempi molto rapidi, determinato dalla volontà del Sindaco di disporre in piena autonomia della facoltà di gestire soluzioni urbanistiche innovative, ostacolato in questo, dalla pretesa autonomia del Responsabile dell’Ufficio Tecnico, che di fatto si poneva come “ostacolo” alla gestione di un elemento strategico della amministrazione politica comunale. Il livello del conflitto non ha mai ammesso mediazioni, e si è trasformato in uno scontro di asprezza inusuale di intensa valenza persecutoria che ha sempre avuto come esito la emarginazione forzata del Responsabile dell’Ufficio Tecnico, con conseguente emersione di classiche sindromi da mobbing (dal disturbo dell’adattamento alla sindrome post traumatica da stress). Questa condizione di “conflitto di competenze istituzionali” ci conferma come alla base di molte condizioni di mobbing, spesso interpretate esclusivamente come risultato di conflitti interpersonali a carattere persecutorio, vi sia sempre una componente strutturale a livello di insoddisfacente organizzazione del lavoro, che va sempre ricercata e valutata non per coprire le responsabilità individuali, ma per meglio capirle e per progettare soluzioni strutturali e durature. Bibliografia 1) Gilioli R, Adinolfi M, Bagaglio A, Boccaletti D, Cassitto MG, Della Pietra B, Fanelli C, Fattorini E, Gilioli D, Grieco A, Guizzaro A, Labella A, Mattei O, Menegozzo M, Menegozzo S, Molinini R, Musto D, Paoletti A, Papalia F, Quagliuolo R, Vinci F. Documento di Consenso: Un nuovo rischio all’attenzione della medicina del lavoro: le molestie morali (mobbing). Med Lav 2001; 92, 1: 61-69. 2) Menegozzo M, Della Pietra B, Labella A, Guizzaro A, Brangi A, Menegozzo S, Quagliuolo R. Mobbing ed organizzazione del lavoro. Giornate Scientifiche della Facoltà 2002. Napoli 4-6 giugno 2002. 3) Cassitto MG. Molestie morali nei luoghi di lavoro: nuovi aspetti di un vecchio fenomeno. Med Lav 2001; 92, 1: 12-24. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 403 M. Lamberti1, M. Giuliano1, B. Perfetto2, T. Costabile1, N. Canozo2, A. Barone2, F. Liotti1, N. Sannolo1 Ruolo delle metalloproteasi di matrice nella dermatite allergica da contatto di tipo professionale 1 2 Dip. di Medicina Sperimentale, Sezione di Biotecnologie e Biologia Molecolare, Sezione di Medicina del Lavoro, Igiene e Tossicologia Industriale, Sezione di microbiologia e microbiologia clinica, Sezione di clinica Dermatologica Dip. Psichiatria, Neuropsichiatria Infantile, Audiofoniatria e Venereologia, Sezione di Dermatologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli Introduzione Conclusioni La dermatite allergica da contatto (DAC) rappresenta il 15-20% di tutte le patologie occupazionali. L’ipersensibilità al nichel, ad esempio, è alla base della più comune forma di dematite allergica da contatto che si manifesta, principalmente, sulla superficie palmare delle mani. Generalmente l’insorgenza di lesioni cutanee è causata da una cascata di eventi che coinvolge diverse popolazioni cellulari e numerosi fattori solubili quali citochine pro-infiammatorie e mediatori del danno cellulare come le metalloproteasi (MMPs). Le MMPs sono endopeptidasi zinco dipendenti coinvolte nel rimodellamento della matrice extracellulare. L’insulto cutaneo con sostanze pericolose determina lo sviluppo di continui fenomeni che degradano componenti della matrice extracellulare come proteoglicani, fibronectina e laminina. Le metalloproteasi vengono secrete sotto forma di proenzimi e attivate da tagli proteolitici. Gli inibitori tessutali (TIMPs) delle MMPs controllano l’attività delle metalloproteasi mature. Lo squilibrio tra MMPs e TIMPs è alla base di un largo numero di patologie associate con il rimodellamento della matrice. I risultati dimostrano che già a concentrazioni di nichel molto basse si ha l’espressione di MMPs e TIMPs, dato che indica una chiara sofferenza cellulare non supportata ancora da un evidente danno fenotipico. L’innovazione di tale studio risiede nella creazione di un modello cellulare e non animale rapido e di facile attuazione che sia in grado di testare nuove sostanze chimiche da utilizzare in ambito occupazionale. Metodi Sono state utilizzate cellule Hacat (cheratinociti epidermici umani) stimolate con concentrazioni scalari di solfato di nichel a diversi tempi di contatto. Si sono eseguite analisi, mediante microscopia ottica, della morfologia e della velocità di duplicazione supportate da un’indagine più approfondita a livello molecolare, per identificare in maniera precoce gli effettori di un danno a lenta manifestazione clinica. I marcatori selezionati sono le MMP-1, MMP-2, MMP-3, MMP-7 MMP-8, MMP-9, MMP13, TIMP-1, TIMP-2, TIMP-3, TIMP-4. Per tali studi è stata usata l’RTPCR con lo scopo di valutare l’espressione di mRNA specifico per la MMPs e i TIMPs scelti. Inoltre è stata valutata l’espressione di proteine attive secrete nel mezzo di coltura mediante la metodica Elisa. Risultati I cheratinociti umani stimolati con concentrazioni variabili di nichel (da 10-2 a 10-6 M) a diversi tempi di contatto (6h, 24h, 3 e 6 giorni) muoiono dopo esposizione ad alte dosi di solfato di nichel (10-2-10-3M) dopo 24-48 ore così come dopo una lunga incubazione. L’attività trascrizionale è presente per MMP-2 a concentrazioni di 10-4, 10-5 e 10-6M. Invece l’mRNA specifico per il TIMP-2 aumenta in maniera opposta. La metodica Elisa conferma i risultati ottenuti a livello molecolare. References 1) Acevedo F, Angel Serra M, Ermolli M, Clerici L, Vesterberg O. Nickel-induced proteins in human HaCat keratinocytes: annexin II and phosphoglycerate kinase. Toxicology 2001; 159: 33-41. 2) Birkedal-Hansen B, Pavelic ZP, Gluckman JL, Stambrook P, Li YQ, Stetler-Stevenson WG. MMP and TIMP gene expression in head and neck squamous cell carcinomas and adjacent tissues. Oral Dis 2000; 6: 376-382. 3) Borg L, Christensen J, Kristiansen J, Nielsen NH, Mennè T, Poulsen LK. Nickel-induced cytokine production from mononuclear cells in nickel-sensitive individuals and controls. Arch Dermatol Res, 2000; 292: 285-291. 4) Ermolli M, Mennè C, Pozzi G, Serra MA, Clerici LA., Nickel, cobalt and chromium-induced cytotoxicity and intracellular accumulation in human Hacat keratinocytes. Toxicology 2001; 159: 23-31. 5) Giannelli G, Forti C, Marinosci F, Bonamonte D, Intonaci S, Angelici G. Gelatinase expression at positive patch test reactions. Contact Dermatitis 2002; 46: 280-285. 6) Jensen CD, Andersen K. Two cases of occupational allergic contact dermatitis from a cycloaliphatic epoxy resin in a neat oil: Case Report. Environ Health 2003; 2: 3. 7) National Occupational Research Agenda. Allergic and Irritant Dermatitis 1999, Report June 11. 8) Reynolds JJ. Collagenases and tissue inhibitors of metalloproteinases: a functional balance in tissue degradation. Oral Dis 1996; 2: 70-76. 9) Rietschel RL, Mathias CG, Fowler JF, Jr, Pratt M, Taylor JS, Sherertz EF, Belsito DV, Storrs FJ, Maibach HI, Fransway AF, Deleo VA. Relationship of occupation to contact dermatitis: evaluation in patients tested from 1998 to 2000. Am J Contact Dermatitis 2002; 13: 170176. 10) Scott AE., Kashon, ML, Yucesoy B, Luster MI, Tinkle SS. Insights into the quantitative relationship between sensitization and challenge for allergic contact dermatitis reactions. Toxicol Appl Pharmacol 2002; 183: 66-70. POSTER 404 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it S. Garbarino1, 2, 3, E. Molinaro4, F. Copello5, B. Mascialino1, S. Donadio1, S. Squarcia4, M.A. Penco4, F. Ferrillo1 Uno strumento informatico per le indagini epidemiologiche su lavoratori turnisti: un questionario on-line 1 2 3 4 Centro di Medicina del Sonno, DISM, Università degli Studi di Genova Centro di Neurologia e Medicina Psicologica, Servizio Sanitario della Polizia di Stato, Ministero degli Interni Dipartimento di Medicina Preventiva Occupazionale e di Comunità, Università degli Studi di Pavia Laboratorio di Fisica e Statistica Medica, Dipartimento di Fisica, Università degli Studi di Genova, e U.O. Medicina Preventiva e del Lavoro, Azienda Ospedale Università San Martino di Genova Introduzione Le indagini epidemiologiche su larga scala spesso vengono condotte per mezzo di somministrazione di questionari in forma cartacea. Oggi tuttavia l’elaborazione statistica dei dati si basa sull’impiego di software altamente specializzati, che utilizzano file contenenti i dati da analizzare. Questa necessità implica una fase di transizione, dedicata al caricamento dei dati, fra la somministrazione dei questionari e l’analisi statistica vera e propria. Obiettivo dello studio è la creazione un questionario on-line, che verrà utilizzato in un’indagine relativa alle abitudini di sonno-veglia ed agli eventuali incidenti/infortuni occorsi al personale ospedaliero medico e paramedico operante presso l’Ospedale San Martino di Genova. Materiali e metodi Il collettivo oggetto di studio è numericamente quantificabile in oltre 2000 unità e quindi la somministrazione di un questionario cartaceo ed il successivo caricamento dati avrebbe comportato un allungamento dei tempi di analisi. Per questo motivo si è scelto di creare un questionario on-line, facilmente accessibile via web, per la contemporanea somministrazione del questionario e digitalizzazione dei dati. Strutturalmente il questionario è suddiviso in cinque sezioni differenti: 1. dati personali: età, sesso, peso, altezza, anzianità lavorativa e di turnismo, tipo di turni seguiti (tipologia, direzione e velocità di rotazione) 2. sezione sonno-veglia, comprendente domande relative alla quantità (orari di addormentamento e di risveglio del sonno notturno e degli eventuali sonnellini) e qualità di sonno in corrispondenza di ogni turno lavorativo; 3. sezione sonnolenza ed incidenti/infortuni occorsi sul lavoro e nel tempo libero; 4. sezione patologie del sonno, con domande caratterizzanti insonnia, ipersonnia diurna, mioclono notturno e sindrome delle apnee ostruttive in sonno; 5. abitudini personali, riguardanti il consumo di sigarette, caffè e vino; 6. scala di Epworth per la sonnolenza (1), che misura la tendenza soggettiva ad assopirsi in situazioni di quotidianità. I punteggi di ESS variano fra 0 e 24; si considerano sonnolenti patologici punteggi di ESS≥11. Nella versione digitale, il questionario mantiene la suddivisione in sezioni, con lo scopo di permettere al personale la sua compilazione in tempi successivi. Esso è stato sviluppato mediante la creazione di una decina di pagine web scritte in linguaggio Php, che permettono la compilazione del questionario e la relativa archiviazione delle risposte in un database. Il linguaggio Php è stato privilegiato all’HTML in quanto permette la creazione di pagine web dinamiche: a differenza di quelle stati- che, queste pagine evolvono nel tempo, in quanto il loro contenuto dipende dall’iterazione fra l’utente ed il programma. L’archivio è stato invece implementato tramite il server database MySql. Nella fase di analisi statistica dalle risposte alla sezione 4 verrà valutato uno Sleep Disorder Score (2), che quantifica il disturbo globale del sonno dell’utente; per questo motivo tali domande sono obbligatorie. Risultati Ogni utente si connette per compilare il questionario accedendo al programma tramite un identificatore (user name) ed una password; questi campi gli vengono entrambi assegnati al momento della registrazione necessaria per effettuare la compilazione. È opportuno rammentare che il questionario è assolutamente anonimo e che la registrazione non richiede l’inserimento di alcuna informazione personale da parte dell’utente. L’impiego di pagine web dinamiche consente la compilazione del questionario in tempi successivi: al momento dell’identificazione viene effettuata un’interrogazione all’archivio contenente i dati inseriti dall’utente l’ultima volta che si è connesso per sapere quali siano le sezioni compilate nelle sessioni precedenti. In questo modo un utente che, per motivi legati alla mansione lavorativa (come nel caso di personale impiegato nei reparti di terapia intensiva), è costretto a disconnettersi senza avere terminato le sei sezioni del questionario, può riprendere in un secondo tempo esattamente dall’ultima sezione compilata. È da sottolineare che, grazie alla compilazione on-line, è stato possibile verificare la consistenza delle risposte inserite dall’utente. Conclusioni Questo questionario è uno strumento di grande utilità per le indagini epidemiologiche su larga scala e per la successiva elaborazione dei dati. La sua struttura, che consente la compilazione in sessioni successive, è fondamentale per la tipologia di collettivo studiata, in quanto il personale medico e paramedico spesso può trovarsi in condizioni di dover interrompere la compilazione per motivi legati all’adempimento della mansione lavorativa. La guida on-line facilita ulteriormente la compilazione. Bibliografia 1) Johns MW. A new method for measuring daytime sleepiness. The Epworth Sleepiness Scale, Sleep 1991; 14 (6): 540-545. 2) Garbarino S, De Carli F, Mascialino B, Beelke M, Nobili L, Penco MA, Squarcia S, Ferrillo F. Sleep disorders in a population of Italian shiftwork police officers. Sleep 2002, Sep 15; 25 (6): 648-53. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 405 S. Garbarino1, 2, 3, B. Mascialino1, V. Borraccia2, F. De Carli5, G. La Paglia6, L. Nobili1, G. Ravera4, S. Zanardi4, F. Ferrillo1 Tipologia lavorativa e sistema di turnazione: differenziazione dell’influenza sul rischio di infortuni nei turnisti 1 2 3 Centro di Medicina del Sonno, DISM, Università degli Studi di Genova Servizio Sanitario della Polizia di Stato, Ministero degli Interni Dipartimento di Medicina Preventiva Occupazionale e di Comunità, Università degli Studi di Pavia Introduzione Nell’uomo adulto in condizioni fisiologiche, la capacità di adattamento al lavoro notturno può essere notevolmente influenzata dal sistema di turno adottato (durata, direzione, rotazione, regolarità), dalla tipologia della mansione lavorativa e dalle condizioni di lavoro (1). Recenti dati della letteratura indicano una stretta correlazione fra posizione temporale delle ore lavorative, numero di ore lavorative, durata del tempo di veglia precedente, sonnolenza ed incidenti e/o infortuni sul lavoro (2). Inoltre gli effetti della fatica da lavoro e dell’eccessiva sonnolenza spesso tendono a sommarsi incrementando il rischio di infortuni (3, 4). Obiettivo dello studio è stato quello di confrontare tre diverse popolazioni di turnisti (infermieri I, operatori della Polizia di Stato P e ferrovieri F), al fine di valutare come la categoria lavorativa ed il sistema di turnazione adottato influenzino separatamente l’occorrenza di eventuali infortuni. Materiali e metodi Lo studio è stato condotto nella città di Palermo mediante l’uso di un questionario assistito e validato [Standard Shifwork Index-SSI (5)]. Il questionario è stato sottoposto ad un campione di 800 lavoratori turnisti appartenenti a tre differenti categorie lavorative: complessivamente il 59.8% (478 soggetti equamente collaborativi) del campione preso in esame ha accettato di aderire allo studio. Il campione risulta così suddiviso: 178 I (37.2%), 174 P (36.4%) e 126 F (26.4%). I sistemi di turnazione adottati dalle tre categorie lavorative sono i seguenti: Categoria (turno) Sera I (turno in quarta) P (turno in quinta) F (turno in quarta) 19: 00-0: 00 Pomeriggio Mattino Notte 14: 00-22: 00 6: 00-14: 00 22: 00-6: 00 13: 00-19: 00 7: 00-13: 00 0: 00-7: 00 14: 00-22: 00 6: 00-14: 00 22: 00-6: 00 I tre sistemi di turnazione sono antiorari, regolari con velocità di rotazione rapida. Le loro differenze strutturali rendono assai difficoltoso il confronto fra le categorie lavorative, in quanto i fattori tipologia di turnazione e mansione lavorativa risultano essere profondamente intrecciati. Il confronto delle distribuzioni del numero di incidenti per categoria lavorativa è stato effettuato mediante il test di Kolmogorov-Smirnov (KS). L’andamento degli incidenti all’interno del piano di turnazione è stato studiato creando una variabile che descrive il tempo intercorso dall’inizio del turno all’istante dell’incidente, fissando per tutti come tempo zero la mezzanotte del turno montante. L’influenza della categoria lavorativa e delle caratteristiche personali del lavoratore (età, sesso, BMI, anzianità di turnismo) sul rischio di infortunio all’interno di un ciclo di turnazione sono state valutate per mezzo della regressione proporzionale di Cox. Questa regressione stima l’Hazard Ratio (HR) di ogni variabile inserita nell’analisi e la sua significatività; HR valuta la differenza nel rischio di infortunio dovuto ad un cambiamento di un’unità nella variabile 4 5 6 Dipartimento di Scienze della Salute, Sezione di Biostatistica, Università degli Studi di Genova Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare, CNR Istituto di Medicina Occupazionale, Università degli Studi di Palermo studiata. Questa analisi ha consentito di separare il contributo della categoria lavorativa da quello del sistema di turnazione sul rischio di infortunio. Il rischio di infortunio HF (Hazard Function) risulta dalla sovrapposizione degli HR delle variabili emerse significative nell’analisi di Cox; il suo andamento in funzione del tempo trascorso dall’inizio del piano di turnazione (Fitted Hazard Function - FHF) è stato interpolato mediante delle funzioni matematiche strettamente crescenti nel tempo. Per ogni analisi effettuata il livello di significatività è stato fissato a 0.005. Risultati Il campione è principalmente costituito da uomini: solo gli I hanno un cospicuo gruppo di donne (48.3%); i P e gli I sono più giovani (rispettivamente (33±7 anni) e (37±8 anni)), mentre i F sono più anziani (49±6 anni). Relativamente alle anzianità di turnismo, nessuna differenza è stata riscontrata fra I e P, mentre i F hanno anzianità di turnismo significativamente più elevate (test KS – p<0.0001). Il 26% degli I, il 34% dei P ed il 19% dei F riporta di aver avuto un infortunio sul lavoro, alla guida di un veicolo oppure in altre circostanze; rispettivamente il 28%, il 7% ed il 21% di questi lo attribuisce alla sonnolenza. Le distribuzioni del numero di infortuni riportati per categoria, indipendentemente dal turno lavorativo in cui sono occorsi, sono state confrontate mediante il test di KS: i P hanno un numero di infortuni significativamente più elevato degli altri (p<0.005), mentre nessuna differenza è stata riscontrata fra I e F. La distribuzione temporale degli incidenti dei F sembra essere indipendente dall’ora del giorno e quindi dal turno lavorativo. Gli I tendono ad avere gli infortuni soprattutto nel turno mattutino (37%), mentre i P mostrano un incremento significativo del numero di infortuni durante il turno notturno (%). L’analisi proporzionale di Cox ha evidenziato che in un ciclo completo di turnazione essere P o I comporta un aumento del rischio di incidente pari rispettivamente a HR(P)=3.6 e HR(I)=3.0. L’anzianità di turnismo contribuisce ad aumentare moderatamente il rischio di infortunio (HR=1.002), mentre le altre variabili inserite nell’analisi non sono risultate significative. Il test di KS ha evidenziato delle differenze statisticamente significative fra le tre categorie lavorative nei livelli di HF raggiunti, con i F associati al rischio minimo di incidente ed i P associati a quello massimo (p<0.0001) su un intero ciclo di turnazione. HF è una variabile che mostra un andamento ben descrivibile matematicamente, mediante delle regressioni per ogni categoria lavorativa. HF cresce come una potenza con il tempo di turnazione (R2>0.76 per tre le categorie lavorative); questa nuova funzione di rischio interpolata (FHF, mostrata in figura) conferma le differenze statisticamente significative esistenti fra i F e le altre due categorie lavorative riscontrate in precedenza (test KS – p<0.0001). All’istante di inizio del primo turno del ciclo di turnazione non esistono differenze significative fra FHF(I) e FHF(P), che risultano significativamente più elevati di FHF(F): FHF(I)=0.04, FHF(P)=0.05, FHF(F)=10-4. Questo fatto implica che le categorie lavorative P ed I iniziano il primo turno di lavoro partendo da un livello di rischio confrontabile. Tuttavia relativamente a questa variabile, POSTER 406 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it d’infortunio. Analizzando la categoria dei F, nonostante presenti un’anzianità di turno più elevata (e alti valori di anzianità facciano aumentare il rischio di infortunio), emerge che ad essa sono associati i livelli di HF minimi; questo implica che è la loro tipologia lavorativa a rendere minimo il rischio di infortunio ed a controbilanciare gli effetti negativi legati all’anzianità di turno. Tuttavia, le tre categorie lavorative in esame mostrano un rischio di infortunio intrinseco indipendente dal piano di turnazione adottato, che è rappresentato dal valore della funzione FHF all’istante in cui affrontano la prima ora del ciclo di turno lavorativo. Tale rischio è simile per I e P, mentre è significativamente più basso per i F. Nonostante questo, il rischio di infortunio di I e P si diversifica a partire dal terzo turno lavorativo. Giova qui ricordare che gli I concludono il ciclo di turnazione dopo tre turni lavorativi, mentre i P devono affrontare un ulteriore turno lavorativo, quello notturno. Durante la notte il rischio di infortunio (HF) aumenta ulteriormente, rendendo questo il turno a rischio più elevato. Pertanto, il sistema di turnazione “in quinta”, adottato dai P e più in generale dalle Forze dell’Ordine in Italia, sembra costituire un ulteriore fattore di rischio nell’occorrenza degli infortuni. Figura Bibliografia I e P sono simili solo in corrispondenza dei primi due turni lavorativi, in quanto i livelli di FHF si differenziano già a partire dal terzo turno, con un rischio significativamente più elevato per i P. Conclusioni I nostri dati indicano che l’occorrenza degli infortuni studiati sembra dipendere in parte dalla mansione lavorativa ed in parte dal sistema di turno adottato. Il fattore anzianità di turno influenza a sua volta il rischio 1) Costa G. Lavoro a turni e salute. Med Lav 1999; 90, 6: 739-751. 2) Folkard S. Biological disruption in shift-workers. In: W.P. Colquhoun, G.Costa, S.Folkard, P.Knaught (Ed) Shiftwork. Problems and solutions 1996: 29-61. 3) Härma M. Individual differences in tolerance to shift-work. A review. Ergonomics 1993; 36: 97-110. 4) Garbarino S, De Carli F, Mascialino B, Beelke M, Nobili L, Penco MA, Sguarcia S, Ferrillo F. Sleep disorders in a population of Italian shiftwork police officers. Sleep 2002 Sep 15; 25 (6): 648-53. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 407 V. Rapisarda, M. Santini, A. Bianconi, G. Solina, M. Valentino M. Promozione della salute nelle aziende: ruolo del medico del lavoro Clinica di Medicina del Lavoro, Università Politecnica delle Marche-Ancona Introduzione La promozione della salute, secondo la definizione dell’OMS, riguarda tutte le attività collegate alla salute in una società (1). In ambito lavorativo la promozione della salute è intesa come miglioramento della capacità di prevenire le malattie, sia per quanto riguarda gli aspetti connessi all’ambiente di lavoro, sia per quanto concerne, più in generale, le abitudini di vita quotidiane (2). Secondo Lusk e Raymond (2002), l’ambiente lavorativo è il luogo migliore per mettere in atto un programma di promozione della salute e di prevenzione delle malattie nella popolazione adulta. Cenni storici Negli Stati Uniti l’interesse per la promozione della salute che risale ai primi anni ’70, è maturato in ragione della constatazione di un aumento continuo dei costi per l’assistenza sanitaria e le assicurazioni sulla salute. Nel 1980 fu pubblicato l’“Health Objectives for the Nation”, che riconosceva il luogo di lavoro come ambito migliore per le attività di promozione della salute (4). In Europa, la Finlandia già dal 1979 ha reso effettivo l’“Occupational Health Care Act”. 2. 3. 4. 5. 6. Garantire l’impegno dei dirigenti d’azienda. Identificare i bisogni fondamentali e le aspettative dei lavoratori: effettuazione di incontri; invio di lettere informative al domicilio dei lavoratori; richiesta di suggerimenti; invio di comunicazioni via internet mediante e-mail, laddove possibile; utilizzo di questionari. Identificare e/o potenziare pratiche di promozione della salute già presenti in azienda. Identificare target e tempi adeguati. Questo momento fondamentale può essere articolato in 4 fasi successive: definire l’obiettivo; stabilire il piano d’azione; promuovere il piano d’azione; monitorare l’attuazione del piano. Comunicazione dei risultati ottenuti. I risultati ottenuti – miglioramento dello stato di salute; riduzione delle assenze per malattia dal posto di lavoro; aumento dell’attività produttiva – devono essere comunicati. Ciò consente non solo di evidenziare l’efficacia di un adeguato piano di promozione della salute e di individuare nuove aree di sviluppo, ma anche di messaggio di risposta positiva ai lavoratori che si sono impegnati per raggiungere il target. Conclusioni Perché promuovere la salute sul lavoro? L’ambiente di lavoro è il luogo dove un lavoratore trascorre circa il 30% delle ore di veglia; per questo la promozione della salute sembra trovare nelle aziende la propria ambientazione ideale (5). Nonostante non vi sia una chiara evidenza scientifica, vari studi suggeriscono che la promozione della salute nel luogo di lavoro possa avere un impatto positivo sui lavoratori, sia sulle malattie comuni che su quelle professionali (6, 7). Negli stati dell’UE le malattie connesse all’attività lavorativa comportano un costo del 2-4% del prodotto interno lordo, dovuto a: perdita di produzione; pagamenti di indennizzo e di assicurazioni; costi per l’assunzione e la formazione di nuovo personale. Conseguentemente l’adozione di misure volte al mantenimento della salute psico-fisica può determinare: riduzione delle assenze dal lavoro; riduzione dei costi sociali; miglioramento dell’umore e della performance lavorativa; miglioramento dell’immagine dell’azienda. Un esempio di promozione della salute è quello di raffinerie Finlandesi, dove dopo tre anni dall’adozione di misure specifiche si è constatato un miglioramento della performance fisica, una riduzione dei livelli sierici di colesterolo, della pressione arteriosa e dell’abitudine tabagica (8). Ruolo del medico del lavoro La continuità del rapporto tra azienda e medico del lavoro, che si articola attraverso visite mediche periodiche, corsi di informazione e formazione, visite sugli ambienti di lavoro, legittima la possibilità di un suo ruolo fondamentale nella promozione della salute in fabbrica. Il medico del lavoro potrebbe, identificate le esigenze sanitarie della singola azienda, in prima istanza approntare uno specifico programma, quindi svolgere un’attività di coordinamento centrale tra le parti coinvolte nella sua attuazione. Linee guida sulla programmazione della promozione della salute 1. Individuare, all’interno dell’azienda, le figure di riferimento (es. RLS, RSPP) con cui impostare l’attività. L’attività di medico del lavoro lo pone in una posizione esclusiva, consentendogli la periodica valutazione tanto del singolo lavoratore quanto della realtà epidemiologica aziendale. Si può quindi ipotizzare un suo ruolo chiave nello sviluppo di programmi di promozione della salute nelle aziende, anche attraverso la collaborazione con altre figure sanitarie. Tale strategia operativa potrebbe consentire di ottimizzare la performance lavorativa, con conseguente riduzione nono solo dei costi di tipo economico, ma soprattutto di quelli, difficilmente quantizzabili, di tipo “umano”. Bibliografia 1) World Health Organization. Ottawa charter for health promotion. Proceedings of the first international conference on health promotion. Ottawa, November 17-21, 1986. 2) World Health Organization. Health promotion for working populations. Tech Rep Ser 765. Geneve, Switzerland: WHO, 1988. 3) Lusk SL. Impacting health through the worksite. Nurs Clin North Am 2002; 37: 247-56. 4) Christenson GM, Kiefhaber A. Highlights from the the National Survey of Worksite Health Promotion Activities. Health Values 1988; 12: 29-33. 5) Penkak M. Workplace health promotion programs. An overview. Nurs Clin North Am 1991; 26: 233-40. 6) Proper KI, Staal BJ. Effectiveness of physical activity programs at worksites with respect to work-related outcomes. Scand J Work Environ Health 2002; 28: 75-84. 7) Fenga C, Barbaro M, Galtieri G. Riflessioni su una variabile nel lavoro d’ufficio: le abitudini alimentari nella pausa pasto. Rischio non misurabile nel percorso di prevenzione in Medicina del Lavoro. In: Atti 60° Congresso Nazionale SIMLII, Palermo 24 Settembre 1997. 8) Talvi AI, Jarvisalo JO, Knuts LR. Health promotion program for oil refinery employees: changes of health promotion needs observed at three years. Occup Med 1999; 49: 93-10I. POSTER 408 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it M. Valentino1, D. Duscio2, V. Rapisarda1, L. Proietti2, G. Solina1, S. Giarrusso2, T. Venturi1 Esposizione a CO nell’abitacolo delle autovetture 1 2 Clinica di Medicina del Lavoro Università Politecnica delle Marche-Ancona Clinica di Medicina del Lavoro Università degli Studi di Catania Introduzione Materiali e metodi Negli ultimi decenni in tutto il mondo si è verificato un notevole aumento dell’inquinamento atmosferico prodotto dal traffico veicolare (1) che può influenzare le condizioni di salute non solo dei residenti, ma di tutti coloro che lavorano in ambiente outdoor (2). Peraltro la misurazione del tasso di CO, oggi facilmente ottenibile mediante misure in automatico con sensori di tipo elettrochimico (3), risulta ben correlata con l’intensità del traffico (4) L’entità dell’inquinamento atmosferico dipende da numerosi fattori quali ad esempio il numero degli autoveicoli circolanti e le condizioni climatiche quali vento, temperatura, umidità (5). Nel presente studio abbiamo valutato l’esposizione a monossido di carbonio (CO) in un gruppo di agenti di commercio che fanno uso dell’automobile per svolgere il proprio lavoro. Lo studio è stato condotto nel periodo Aprile-Maggio 2003 nelle città di Ancona e Catania. In ambedue le città il tasso di motorizzazione si aggira intorno alle 550 auto/1000 abitanti con una densità media di popolazione di 808 abitanti/Km2 ad Ancona (www.provincia.ancona.it) e di 1888 abitanti/Km2 a Catania (www.provincia.ct.it). Sono stati selezionati due gruppi di 5 agenti di commercio operanti rispettivamente ad Ancona e Catania. I prodotti commercializzati erano alimenti (n=3) farmaci (n=6) e gioielli (n=1). Le ore di lavoro medie erano di 7,5±0,6 range (7.30-16.30), per quelli operanti ad Ancona e 7,8±0,5 range (7.00-17.30) per quelli operanti a Catania. L’età media era rispettivamente di 36,4±4,2 e 38,1±2,4. Nessuno aveva abitudine tabagica. Tabella I. Risultati di ciascun rilevamento effettuato ad Ancona e provincia e Catania e provincia N. CO (ppm) range T (°C) Umidità Direzione/velocità vento Durata Ora iniz. Percorso Km Elementi di rilievo ANCONA 1 3,56±2,07 (0-21) 25 73% NNO/10,4 mph 4,5 ore 9.00 urbano 60 Km gallerie (n=4), semafori (n=27), ingorghi (n=1) 2 2,91 ±1,08 (0-9) 26 69% NNO/12 mph 6,5 ore 8.30 misto 78 Km gallerie (n=3), semafori (n=18), ingorghi (n=1) 3 4,31 ±2,40 (0-13) 29 74% Variab./9,2 mph 5 ore 9.00 urbano 58 Km gallerie (n=7), semafori (n=31), ingorghi (n=3) 4 2,35 ±0,97 (0-6) 24 65% SUD/4,6 mph 6 ore 7.30 extraurb. 167 Km gallerie (n=22), semafori (n=8), ingorghi (n=0) 5 2,06 ±1,13 (0-8) 24 69% SUD/9,2 mph 5,5 ore 7.30 extraurb. 218 Km gallerie (n=20), semafori (n=12), ingorghi (n=0) 27 63% NNO/7,4 mph 6,5 ore urbano gallerie (n=2), semafori (n=47), 8.30 42 Km ingorghi (n=17) CATANIA 6 6,16±4,97 (0-22) 7 7,01±4,10 (0-23) 28 61% NEST/9,1 mph 6 ore 9.00 urbano 38 Km gallerie (n=2), semafori (n=55), ingorghi (n=19) 8 8,91±3,49 (0-24) 27 50% SUD/9,2 mph 5 ore 10.00 urbano 34 Km gallerie (n=3), semafori (n=51), ingorghi (n=23) 9 6,27±3,09 (0-23) 26 55% NNO/8,6 mph 6 ore 8.30 extraurb. 224 Km gallerie (n=6), semafori (n=18), ingorghi (n=5) 10 6,73±3,33 (0-21) 28 62% SUD/7,2 mph 6,5 ore 7.00 misto 138 Km gallerie (n=5), semafori (n=21), ingorghi (n=8) G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it A ciascun soggetto è stato somministrato un questionario volto ad indagare i caratteri individuali e del proprio lavoro. Le autovetture usate erano ad alimentazione diesel con cilindrata 1.9 Turbo; tutte immatricolate entro due anni. In tutte le automobile la ventilazione è stata settata a velocità 2 (intermedia) senza condizionamento dell’aria. Sono stati attentamente osservati: tipo di percorso stradale effettuato (urbano, extraurbano o misto); numero di semafori rossi e gallerie incontrati; numero di ingorghi incontrati; tempo totale di permanenza all’interno dell’abitacolo dell’automobile; caratteristiche atmosferiche quali: velocità e direzione del vento, umidità relativa e temperatura. Le concentrazioni di CO presenti negli abitacoli delle autovetture sono state misurate con il Multigas Monitor “Vrae” mod. PGM 7840 (Ind. Recom-Italia). L’apparecchio ha misurato le concentrazioni ambientali di CO con risoluzione di 1 ppm in un tempo di risposta di 35 secondi per periodi di tempo compresi tra 60 e 90 minuti. Nel tempo di registrazione lo strumento ha fornito i valori medi con le deviazioni standard, il valore massimo e quello minimo. Risultati e discussione La tabella I riporta i valori medi di ciascuna determinazione effettuata nelle città di Ancona e Catania nelle loro province e in quelle limitrofe. I valori di CO riscontrati presentano un range estremamente ampio. I valori riscontrati a Catania sono generalmente maggiori di quelli riscontrati ad Ancona dove peraltro il numero di ingorghi è risultato inferiore. I valori di picco più elevati sono stati riscontrati in prossimità di gallerie, semafori rossi ed incroci ad intenso traffico. Inoltre le concentrazioni di CO sembrano dipendere dal numero di autoveicoli e ingorghi stradali. POSTER 409 Il percorso urbano, nonostante il minor numero di chilometri percorsi rispetto a quello extraurbano e a quello misto, sembra sia il percorso che esponga maggiormente il lavoratore al CO specie nella città di Catania, dove si registra un elevata densità di autoveicoli ed di ingorghi. Un recente studio ha dimostrato una relazione tra inquinamento atmosferico esterno ed inquinamento all’interno dell’abitacolo delle automobili (6). In conclusione i pochi rilevamenti effettuati indicano che un’esposizione è presente e pertanto bisogna approfondire lo studio per poter capire l’entità espositiva e definire eventuali appropriati procedure preventive. Bibliografia 1) Watson AY, Bates RR. Air pollution, the automobile and public health. Washington DC National Academy Press, 1998. 2) Ulvestad B, Lund MB, Bakke B. Gas and dust exposure in underground construction is associated with signs of airway inflammation. Eur Respir J 2001; 17: 416-21. 3) Valentino M, Rapisarda V. Misura in continuo del CO: potenziale strumento di supporto per la valutazione del rischio d’inquinamento da traffico nel lavoro outdoor. In Atti: 63° Congresso Nazionale SIMLII, Sorrento 10 Novembre 2000, Folia Med 2000; 71: 919-23. 4) Soll-Johanning H, Bach E. Lung and bladder cancer among Danish urban bus drivers and tramway employees: a nested case-control study. Occup Med 2003; 53: 25-33. 5) Beltratti A. Economia e ambiente, la qualità della vita nei centri urbani. Rosemberg & Sellier, 1995. 6) Flachsbart PG. Models of exposure to carbon monoxide inside a vehicle on a Honolulu highway. J Expo Anal Environ Epidemiol 1999; 9: 245-60. POSTER 410 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it L. Santarelli1, M. Bracci1, F. Monaco2, E. Mocchegiani3 Valutazione di parametri immunitari in soggetti professionalmente esposti a campi elettromagnetici: risultati preliminari 1 2 3 Clinica di Medicina del Lavoro Università Politecnica delle Marche, Ancona Unità Sanitaria Territoriale – Direzione Sanità RFI, Ancona Centro di Immunologia Dipartimento Ricerche “N. Masera” I.N.R.C.A., Ancona Tabella Introduzione I dati disponibili sugli effetti dell’esposizione a campi elettromagnetici a varie frequenze ed intensità sul sistema immunitario sono discordanti ed incompleti (1, 4). Nell’età pediatrica l’esposizione a campi elettromagnetici può indurre lo sviluppo di leucemie (5, 7) per la cui insorgenza potrebbe essere implicata la parziale inefficienza del sistema immunitario ancora immaturo. L’inefficienza immunitaria presente nelle fasi precoci della vita sembra ripresentarsi, seppur con modalità diverse, nell’anziano. È noto infatti che il sistema immunitario con l’avanzare dell’età, subisce modificazioni tali da aumentare il rischio di contrarre malattie, in particolare di quelle neoplastiche. Si può ipotizzare che le esposizioni a campi elettromagnetici protratte per tutto l’arco della vita lavorativa, producano effetti sul sistema immunitario in associazione con le variazioni tipiche all’invecchiamento. Gli effetti di questo potrebbero essere presenti in maniera silente in fasi antecedenti la malattia clinicamente manifesta. Scopo dello studio è stato quello di valutare, su lavoratori occupazionalmente esposti a campi elettromagnetici generati da ripetitori operanti a varie frequenze, alcuni parametri che forniscono una indicazione sullo stato delle difese immunitarie e perciò lo stato di suscettibilità relativa alle malattie neoplastiche. Sono stati valutati i livelli plasmatici di timulina., ormone che agisce sulla differenziazione, maturazione ed efficienza periferica delle popolazioni linfocitarie T (3) e la cui forma attiva, zinco-legata, decresce nell’invecchiamento per minore biodisponibilità dello zinco plasmatico. Sono state inoltre esaminate l’espressione genica su linfociti periferici della sintetasi dell’ossido nitrico nell’isoforma inducibile (iNOS) e quella delle metallotionine (MT) nell’isoforma II-A che costituiscono dei potenti antagonisti biologici della timulina per il sequestro dello zinco plasmatico disponibile (2). Materiali e metodi Abbiamo reclutato 11 lavoratori addetti alla manutenzione di stazioni radio-base radiotelevisive (VHF, UHF) e per telefonia mobile che emettono onde elettromagnetiche variabili entro un range di banda che va da 87,5 MHz a 1,8 GHz. 11 impiegati amministrativi sono stati utilizzati come gruppo di controllo. Parte del lavoro svolto dagli esposti, complessivamente di poche ore mensili, avveniva in postazioni, nelle quali i valori di intensità si attestano intorno a 20V/m e la potenza media irradiata intorno a 100-300 KW. Dopo prelievo di sangue eparinato, la timulina plasmatica è stata determinata con un saggio biologico basato sulla abilità dell’ormone timico di restaurare l’effetto della azatioprina nella formazione di rosette tra globuli rossi di montone e splenociti di topi giovani timectomizzati secondo la metodica precedentemente descritta (6). La zinchemia è stata valutata in spettrofotometria di assorbimento atomico. I livelli linfocitari di iNOS-mRNA e di MT-IIAmRNA sono stati valutati in RT-PCR mediante l’uso di specifici primers. Risultati Nel gruppo degli esposti si sono riscontrati bassi livelli di zinchemia rispetto ai controlli (tabella). Non sono state riscontrate differenze nella produzione di timulina attiva e totale fra i due gruppi. Differenze significative fra i due gruppi sono state riscontrate nell’espressione genica dell’enzima iNOS e in quella della MT-IIA (tabella). Discussione Le concentrazioni di timulina riscontrate, sono simili nel gruppo degli esposti e nei controlli sia nella forma attiva che in quella totale. Si può ipotizzare che nel primo gruppo, lo zinco plasmatico, seppur basso rispetto ai Esposti Controlli Età media 45,7±5,8 Età media 43,2±3,9 Timulina Attiva (log-2) 3,8±0,6 4,6±0,7 Timulina Totale (log-2) 4,6±0,7 5,5±0,5 Zinchemia (µg/dL) 53±15* 81±7 Espressione MT-IIA (MT-IIA/β-act) 0,70±0,28* 1,98±0,81 Espressione iNOS (iNOS/β-act) 0,33±0,38* 2,65±0,64 * p<0,001 test di Mann-Whitney paragonato ai controlli controlli, sia sufficiente e disponibile per l’attivazione della timulina prodotta nel timo normalmente funzionante. La funzionalità del sistema immunologico dipendente dalle cellule T dall’attività della timulina, sembrerebbe perciò salvaguardata. La mancanza di una differenza significativa dell’ormone timico attivo tra i due gruppi, in presenza di bassi livelli di zinchemia, può essere spiegata con il decremento, rispetto alle condizioni di normalità, della competizione per la captazione dello zinco da parte dell’enzima iNOS e delle metallotioneine II-A, le cui espressioni geniche sono significativamente più basse negli esposti rispetto ai controlli. È probabile che nei soggetti esposti ai campi elettromagnetici da noi studiati si attuino una serie di meccanismi di compenso, che potrebbero coinvolgere l’equilibrio esistente tra i diversi accettori pasmatici di zinco. Tali meccanismi potrebbero essere passibili di esaurimento a lungo termine con conseguente slatentizzazione di situazioni di instabilità della sorveglianza immunologica. Lo studio dei complessi meccanismi che coinvolgono le molecole zinco dipendenti del sistema immunitario nei soggetti esposti a campi elettromagnetici merita un ulteriore approfondimento per la comprensione dei delicati equilibri fra le varie funzioni immunologiche in rapporto alla stabilità del pool zincale. Bibliografia 1) Bergier L, Lisiewicz J, Moszczynski P, Rucinska M, Sasiadek. Effect of electromagnetic radiation on T-lymphocyte subpopulations and immunoglobulin level in human blood serum after occupational exposure. U Med Pr 1990; 41 (4): 211-5. 2) Cui L, Blanchard RK, Cousins RJ. The permissive effect of zinc deficiency on uroguanylin and inducible nitric oxide synthase gene upregulation in rat intestine induced by interleukin 1alpha is rapidly reversed by zinc repletion. J Nutr 2003 Jan; 133 (1): 51-6. 3) Dardenne M, Savino W. Control of thymus physiology by peptidic hormones and neuropeptides. Immunol Today 1994 Nov; 15 (11): 518-23. Review. 4) Dasdag S, Sert C, Akdag Z, Batun S. Effects of extremely low frequency electromagnetic fields on hematologic and immunologic parameters in welders. Arch Med Res 2002 Jan-Feb; 33 (1): 29-32. 5) Gurney JG, van Wijngaarden E. Extremely low frequency electromagnetic fields (EMF) and brain cancer in adults and children: review and comment. Neuro-oncol 1999 Jul; 1 (3): 212-20. 6) Mocchegiani E, Fabris N. Age-related thymus involution: zinc reverses in vitro the thymulin secretion defect. Int J Immunopharmacol 1995; 17 (9): 745-9. 7) Vastag B. Electromagnetic fields in homes carry leukaemia risk for children, WHO agency says. Bull World Health Organ 2001; 79 (9): 905. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 411 M. Bevilacqua1, I. Romagnoli2, L. Bolognini3, M. Governa3, G. Tagliavento4 Proposta di validazione delle tecniche di classificazione ad albero applicate all’analisi di casistiche di infortuni sul lavoro 1 2 3 4 DIEM (sede di Forlì) - Università di Bologna, Forlì Dipartimento di Energetica - Università Politecnica delle Marche, Ancona Clinica di Medicina del Lavoro - Università Politecnica delle Marche, Ancona Servizio Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro. Azienda Sanitaria Locale n° 7, Ancona Lo studio ha analizzato156 casi di infortunio sul lavoro (ad esclusione degli infortuni in itinere) accaduti nel triennio 2000-2002 a lavoratori dipendenti registrati dalla ASL 7 di Ancona, utilizzando a tal fine una tecnica di classificazione ad albero, al fine di verificarne le potenzialità applicative. Lo strumento software utilizzato, AnswerTree della SPSS, è un sistema di apprendimento computerizzato mediante il quale è possibile esaminare un insieme di dati ed identificare importanti raggruppamenti di casi, creando sistemi di classificazione visualizzati in alberi decisionali. AnswerTree include quattro fra i più noti algoritmi utilizzati in campo scientifico ed economico per la realizzazione di classificazioni o segmentazioni: CHAID (Chi-Squared Automatic Interaction Detection); CHAID esaustivo; C&RT o CART (Classification And Regression Trees); QUEST (Quick, Unbiased, Efficent Statistical Tree). L’utilizzo del software rende possibile creare automaticamente un albero di classificazione e modificarne la struttura per perfezionarlo in base alla propria conoscenza dei dati. Il software, infatti, permette di eseguire automaticamente ed in tempo reale l’analisi, di conseguenza è possibile disporre di risultati utilizzabili e comprensibili in minor tempo di quanto avviene con i metodi statistici esplorativi tradizionali. I modelli generati con l’algoritmo C&RT sui dati degli infortuni raccolti nel periodo di osservazione, relativamente ai predittori di interesse, presentano un’accuratezza di classificazione superiore al 70%, testimoniando la corretta scelta delle variabili obiettivo più significative e l’attendibilità delle conclusioni; particolarmente utile si è rivelato l’uso dell'algoritmo di potatura dell’albero che permette di ottenere alberi più compatti (maggiore facilità di lettura ed interpretazione dei risultati) e generalizzabili con una perdita di informazioni minima. Dall’esame degli alberi di classificazione ottenuti è possibile innanzitutto individuare gli elementi di maggior importanza in relazione alla variabile obiettivo di volta in volta considerata; in questo modo vengono individuati i fattori che devono essere monitorati e sui quali si deve intervenire prontamente per diminuire il rischio di infortunio. Dall’analisi dei risultati si sono potuti individuare i settori più a rischio (“trasporti e servizi”, “costruzioni edili/navali”, “installazione di impianti”) e le mansioni più pericolose, (“addetto macchina”, “addetto manutenzione & controllo”, “addetto movimentazione/carico/scarico”, “installatore impianti”, “muratore/carpentiere” e “autista”) per i quali si riscontrano le lesioni più gravi, spesso caratterizzate da postumi permanenti. Nei settori industriali “macchine” e “attrezzature” le variabili che maggiormente caratterizzano gli infortuni sono risultate il mancato ri- spetto delle normative vigenti sull’uso e sulla manutenzione degli impianti, associato alla carente formazione e informazione dei lavoratori: per molti infortuni, infatti, non risulta che sia stata effettuata la formazione, momento fondamentale per sensibilizzare e responsabilizzare il lavoratore su tutti quei mezzi atti a garantirgli situazioni di lavoro più sicure. Nel ramo delle costruzioni è risultato rilevante il contributo del mancato utilizzo dei DPI, a testimonianza del fatto che in tale settore la cultura della sicurezza è meno diffusa e che quindi deve essere migliorata e resa più efficiente sia in termini di prevenzione che di controllo. La formazione e l’informazione dei lavoratori assumono un ruolo fondamentale anche in quei tipi di infortuni attribuiti a fattori accidentali; spesso, infatti, quelli che vengono identificati come “momenti di distrazione” o “movimenti scoordinati”, sono in realtà carenze di preparazione dei lavoratori che non sono in grado di valutare correttamente il grado di pericolosità dell’attività svolta. Bibliografia Guida per l’utente di Answer TreeTM 2.0 SPSS Inc. - Irland, 1988. url: http: //www.spss.it. Biggs D, de Ville B, Suen E. A method of choosing multiway partitions for classification and decision trees. Journal of Applied Statistics 19991; 18, 465-467. Loh WY, Shih YS. Split selection methods for Classification Trees. Statistica Sinica 1997; 7, 815-840. Breiman L, Friedman J, Olshen R, Stone CJ. Classification and Regression Trees. Wadsworth International Group - Belmont, CA, 1984. Mainly BFJ. Multivariate Statistical methods A PRIMER. Chapman and Hall - London, 1986. Lim TS, Shih YS. A Comparison of Prediction Accuracy, Complexity, and Training Time of Thirty-three Old and New Classification Algorithms Machine Learning 2000; 40, 203-229. Ramsauer F. Journal of Occupational Rehabilitation Vol. 11, No 4, December 2001. Togliatti G. Fondamenti di Statistica. CLUP - Milano, quarta ristampa 1983. Loh WY, Vanichsetakul N. Tree-Structured Classification via Generalized Discriminant Analysis (with discussion). Journal of the American Statistical Association 1988; 83, 715-728. Siti internet consultati: www.inail.it POSTER 412 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it G.F. Desogus Esposizione occupazionale ad anestetici volatili e neurotossicità Servizio di qualità - Azienda USL 7 Carbonia Introduzione Alcuni studi dimostrano un potenziale rischio di sviluppo di neuropatologie non degenerative per esposizione professionale ad anestetici volatili. Anche se il numero dei casi dal punto di vista epidemiologico è basso e di profilo statistico incerto, sono correlabili all’esposizione professionale ad anestetici disturbi neurocomportamentali, della personalità, del sonno e delle funzioni psicomotorie e cognitive con disturbi della memoria, dell’efficienza intellettiva e della coordinazione, nonché problemi psichici ed organici. Scopo del lavoro è quello di valutare come l’impatto ambientale ad anestetici volatili possa rappresentare un fattore di rischio neurotossico in operatori sanitari esposti e quale è il livello di insorgenza di effetti negativi per esposizione prolungata a basse dosi. Tossicocinetica L’esposizione professionale a sevoflurane, anestetico utilizzato in anestesia, avviene in particolare per via respiratoria. Lo specifico mutamento molecolare per degradazione ad opera di assorbitori di CO2 nei circuiti di anestesia, comporta la formazione di sottoprodotti tossici, tra cui il Composto A (LC50 400 ppm), pur presentando il sevoflurane un coefficiente di ripartizione sangue/gas relativamente basso (0,69), con conseguente bassa quota che solubilizza nel sangue e riduzione della componente liposolubile. Sono presenti inoltre livelli inferiori di altri metaboliti come l’esafluoro-isopropanolo (HFIP) ed il fluoro. Materiali e metodi La metodologia si basa sull’applicazione di test basati sui parametri tossicologici a potenziale effetto neurotossico, in funzione della durata dell’esposizione professionale e della specificità del sevoflurane. Ogni lavoratore risponde ad un questionario di raccolta dati, al fine di acquisire gli elementi più significativi. Il campione in esame è costituito da 22 anestesisti di cui 17 maschi e 5 femmine, con età media di 43 anni (DS ± 5) ed intervallo di confidenza IC uguale a 95%. L’anzianità lavorativa è di 12 anni (DS ± 5) con IC di 95%. I fattori di confondimento (età, anzianità lavorativa, fumo, alcool, abitudini di vita e lavorative, patologie a carico del sistema nervoso) risultano omogeneamente distribuiti ed i risultati sono espressi in media percentuale, con soglia di significatività statistica di p < 0.05. Tabella I. Parametri di significatività Correlazioni Significatività Anamnesi lavorativa (positiva vs negativa) p < 0.001 Livello di esposizione (medio vs assente) p < 0.001 Manifestazioni cliniche (presenti vs assenti) p < 0.001 Tabella II. Relazioni tra disturbi neurocomportamentali e caratteristiche generali ed occupazionali Correlazioni Significatività Parametri tossicologici p < 0.001 Esposizione luogo di lavoro p < 0.001 Sintomi-anzianità lavorativa p < 0.001 segnalati effetti cardiaci avversi fra cui la produzione di aritmie in 6 anestesisti (27%). Considerazioni finali Le sostanze volatili alogenate utilizzate in anestesia possono presentare anche proprietà e potenziali neurotossici differenti che, in tutti i casi, legano diversi parametri (caratteristiche chimico-fisiche dell’anestetico, tipo di esposizione ambientale, tecniche anestesiologiche e tecnologie), ma in particolare una condizione di sensibilità, in termini di affinità, del sistema nervoso agli agenti alogenati. Valutare il potenziale effetto neurotossico per esposizione professionale ad anestetici volatili risulta determinante per definire un fattore di rischio (trascurabile, accettabile o non moderato) e la sua probabilità d’insorgenza. Il contributo scientifico, pur presentando una serie di limiti legati alla complessità dell’esposizione ambientale, ai diversi vettori e bersagli e all’incertezza scientifica legata alla variabilità biologica, può contribuire alla definizione di strumenti efficaci di lavoro per meglio responsabilizzare i produttori e gli utilizzatori di anestetici per i diversi aspetti neurotossici legati alla loro manipolazione e per limitare la loro diffusione ambientale con una riduzioni delle fonti di inquinamento. Bibliografia Risultati e discussione Nelle tabelle I e II sono specificati i parametri di significatività tra esposti e non (popolazione sanitaria di controllo non sottoposta a rischio professionale di esposizione ad anestetici volatili), con le specifiche correlazioni tra sintomatologie specifiche di tipo neurotossico e caratteristiche generali ed occupazionali. Dall’esame dei risultati si evidenziano significativi dati tossicologici legati a cefalea (55%), disturbi del sonno (77,2%), della memoria (9%), dell’attenzione (9%) e psichici (4,5%), mentre non sono rilevati segni neurologici per compromissione intellettiva e psicomotoria. Inoltre sono 1) Steen PA, Michenfelder JD. Neurotoxicity of anasthetics. Anesthesiology 50: 437-453, 1979. 2) Forster RE. Diffusion factors in gases and liquids. Cap. 2 in: Uptake and distribution of anesthetic agents. EM Papper and JR Kitz Editors. Mc Kraw-Hill, N.Y., 1963. 3) Lerman J, Gregory G. Effects of anaesthesia and surgery on the solubility of volatile anesthetics in blood. Can J Anesth 34, 14, 1987. 4) Lowe HJ, Hagler K. Determination of volatile organic anaesthetics in blood, gases, tissue and lipids: partion coefficients. In gaschromatography in biology and medicine. R. Poster, Ed. Churchill, London 1969. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 413 G.F. Desogus EBM ed epidemiologia occupazionale Servizio di qualità - Azienda USL 7 Carbonia Nell’ambito di uno sviluppo dei processi di apprendimento continuo basati sull’attuazione di piani efficaci per la tutela della salute dei lavoratori, prende forma la promozione di modelli progettuali, di tipo strategico-funzionale, in grado di valutare l’efficacia ed obiettività di studi epidemiologici in base alle reali necessità, alla loro validità ed applicabilità clinica. Il continuo processo tecnologico e scientifico in campo lavorativo impone oggi una selettiva promozione di attività di verifica e controllo dei risultati, anche in termini di fattibilità economico-gestionale, individuando mezzi e misure per pianificare e valutare obiettivi, attese, costi, tempi e relativi vantaggi. La necessità di acquisire corrette informazioni, la predisposizione di programmi di formazione personalizzati, la qualità scientifica degli studi epidemiologici sono gli elementi di maggior interesse su cui la EBM agisce a diversi livelli. Così l’ipotesi di redigire piani operativi nelle diverse aree di competenza specialistica si può basare sullo sviluppo di processi di simulazione operativa, sperimentando i diversi campi di applicazione ed i loro effetti nell’ambito delle attività di studio e di ricerca. Tale rapporto è in grado di trasportare proiezioni tecnico-scientifiche in una dimensione integrata dei diversi nodi specialistici, individuando, quantificando e controllando volumi di ricerca applicata con i loro rispettivi valori ed obiettivi. La metodologia operativa si basa sull’individuazione strategica di EBM fondata su rigorosi standard collocati nel loro esatto contesto epidemiologico. L’attuazione di revisioni sistematiche ed indipendenti sui diversi trattamenti in ambito occupazionale è un elemento fondamentale per offrire alti livelli di obiettività in merito all’efficacia delle attività di prevenzione sanitaria. Inoltre il processo fonda il suo sviluppo ed applicazione sulla capacità di eseguire costantemente un’analisi partecipata della qualità degli studi epidemiologici, con il conseguente controllo budgetario, partendo dalla necessità di dover valutare adeguatamente i reali obiettivi prefissati dal punto di vista epidemiologico, e possa correttamente utilizzare strumenti dimensionali riferibili al bisogno di conoscenze e capacità professionali, all’identificazione di scostamenti rilevabili tra le competenze specialistiche e le risorse disponibili, all’analisi della prestazione, per una conforme determinazione di attività correlate alle risorse disponibili. L’analisi di tali profili pone l’obiettivo di proiettare una pianificazione sanitario-epidemiologica di prevenzione occupazionale, specificando tipologie e modalità operative in parte centrate sull’analisi di protocolli sperimentali e di competenze professionali. La pianificazione strategica di tali attività può essere rappresentata da macrofasi, ciascuna caratterizzata dall’individuazione di specifiche funzioni (analisi e garanzia, implementazione, valutazione della qualità dello studio epidemiologico) e dalla descrizione delle attività correlate (analisi delle esigenze e delle competenze, obiettivi e programmazione degli studi, monitoraggio, analisi dei risultati e controllo budgetario). La specifica definizione ed applicazione delle macrofasi facilita lo sviluppo di programmi strategici, in grado di poter definire obiettivi generali d’intervento preventivo nei luoghi di lavoro, fornendo adeguati dati ed informazioni, in una espressione collettiva e complessiva di economia operativa e nella rappresentazione di idonee articolazioni budgetarie L’interfunzionalità tra le diverse funzioni modulabili (motivazione, obiettivi, prevalenza ed incidenza di malattie professionali, crescita culturale ed organizzativa, pianificazione e controllo delle attività epidemiologiche) è in grado di garantire programmi d’azione efficaci ed un’applicazione corretta di budget funzionali, nella specifica individuazione e gestione dinamica della rappresentazione economica. I risultati attesi, sulla base di specifici aspetti individuabili come micro-attività, permetteranno la verifica della rispondenza reale all’obiettivo scientifico e alla assegnazione economica e ciò può contribuire alla determinazione progressiva di precise competenze scientifiche in campo epidemiologico. Bibliografia 1) Evidence-based medicine. Working Group EBM: A new approch to teacking the practice of medicine. JAMA 268: 2450-5, 1992. 2) Davidoff F, Haynes B, Smith R. EBM. BMJ 310, 1085-8, 1995. 3) Hersch W. EBM-ACP. J Club; Ann Intern Med Vol. 125, suppl 1, 1996. 4) Hicks N. EBM care Bandolier; 39-9, 1997. POSTER 414 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it V. Anzelmo1, C. Marsico2, P. Bianco3, D. Staiti1 Analisi delle cause di fonopatie nei professionisti della voce osservate in un servizio di fonatria ospedaliero. Nota I. Insegnanti 1 2 3 Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica del S. Cuore - Roma Servizio Foniatria A.C.O. San Filippo Neri - Roma Servizio Sanitario RAI Radiotelevisione Italiana - Roma Introduzione È noto che nella società moderna un terzo della forza lavoro è impegnato in professioni nelle quali la voce rappresenta lo strumento principale dell’attività. Le alterazioni vocali sono comuni nella popolazione generale, ma sono più frequenti nelle attività lavorative in cui il carico vocale è alto. Infatti alcune professioni comportano oltre ad un uso prolungato della voce, altri fattori di rischio diversi dal sovraccarico vocale, come il parlare a lunghe distanze, o in stanze con acustica non idonea, oppure l’assenza di tecnologie che amplificano adeguatamente la voce, la scarsa umidità dell’ambiente, il ridotto tempo di recupero vocale. I professionisti della voce comprendono non solo attori e cantanti, ma anche insegnanti, religiosi, medici, avvocati, operatori sociali, personale addetto alle vendite e categorie di lavoratori di professioni emergenti quali addetti ai call-center, addetti alle televendite, istruttori di aerobica, addetti al front-office. Gli insegnanti, in particolare della scuola materna ed elementare, rappresentano una categoria professionale in cui le fonopatie, disfunzionali ed organiche, hanno un’incidenza variabile dal 30% al 70% a seconda degli studi, a causa dell’ uso eccessivo della voce, dovendo essi a parlare a lungo e con forte intensità.Nonostante l’uso eccessivo della voce costituisca la causa determinante di una fonopatia negli insegnanti, vanno considerate altre cause predisponenti come il sulcus cordalis, la “ naturale” facile stancabilità vocale anche dopo un emissione fonatoria non eccessiva; un deficit uditivo anche modesto o una errata coordinazione pneumo-fonatoria. Oltre a questi fattori costituzionali sono considerati fattori favorenti l’instaurarsi della disfonia, il fumo di sigaretta, il consumo di alcool, il reflusso gastroesofageo, ed in particolare le cause psicologiche determinate da difficoltà esistenti nell’ambiente di lavoro, e nel sesso femminile alcune modificazione endocrine (tireopatie, turbe mestruali, ecc.). Le prime alterazioni vocali negli insegnanti sono le disfonie disfunzionali di tipo ipercinetico o ipocinetico in rapporto alla prevalenza di ipocinesia o ipercinesia della muscolatura laringea. Materiali e metodi Nella prospettiva multidisciplinare di uno studio finalizzato alla prevenzione delle alterazioni vocali in soggetti che utilizzano professionalmente la voce, sono stati coinvolti lo specialista otorinolaringoiatra, il medico del lavoro e il medico di base. Sono stati revisionati 1257 casi di disfonia negli insegnanti giunti all’osservazione presso il Servizio di Foniatria di un’azienda ospedaliera di Roma, nel periodo 1985-2002. Scopo preliminare dello studio è stato quello di identificare le più frequenti patologie funzionali ed organiche responsabili della disfonia in questa categoria professionale. Risultati La popolazione esaminata di 1257 pazienti è risultata composta da 1138 donne e 119 uomini, con età compresa tra i 27 ed i 56 anni. Nella tabella I sono riportate le eziologie delle disfonie diagnosticate e le relative frequenze. La causa più frequente di disfonia negli insegnanti è quella di tipo funzionale (53,99%) con una prevalenza della disodia funzionale ipercinetica (32,08%).Tra le cause organiche (46,01%) la più frequente è rappresentata dai i noduli laringei (18,73) seguita dai polipi laringei (8,74%). Tabella I. Eziologia delle disfonie diagnosticate e relative frequenze Eziologia N. Casi % Funzionale ipercinetica 554 44,07% Funzionale ipocinetica 151 12,01% Noduli laringei 327 26,01% Polipi laringei 129 10,26% Edemi fusiformi 49 3,89% Edema di Reincke 37 2,94% Monocordite 3 0,23% Cisti intracordali 3 0,23% Sulcus glottidis 2 0,18% Ulcera da contatto 2 0,18% Conclusioni I dati rilevati dimostrano come le alterazioni funzionali sono più frequenti di quelle organiche. Nella disfonia ipocinetica la voce risulta in genere spostata verso i gravi, di intensità diminuita, accompagnata a volte da soffio con timbro più o meno rauco. La laringoscopia evidenzia un deficit di contrazione più o meno accentuato con un mancato affrontamento cordale nel terzo posteriore o in tutta l’estensione cordale. Nella forma ipercinetica, che spesso sussegue alla forma precedente ma può anche presentarsi primitivamente, la voce è aspra, sforzata, pressata, con attacco duro e timbro rauco. Un tipo di disfonia di tipo ipercinetico si ha nella voce di false corde, che si riscontra soprattutto nei professori di educazione fisica, in cui si osserva una marcata congestione delle mucose laringee ed una ipercontrazione delle false corde.Una fonopatia di non frequente osservazione, ma che consegue ad un eccessivo ed errato uso vocale è l’ulcera di contatto ovvero una lesione ulcerativa della mucosa cordale (ricoperta spesso da granulazione) in prossimità dell’aritenoide, riscontrabile talvolta negli insegnanti di educazione fisica. Spesso alle disfonie disfunzionali ipercinetiche ed ipocinetiche segue la comparse delle disfonie su base organica caratterizzate dalla presenza di lesioni organiche dell’organo fonatorio. Le disfonie organiche più frequentemente osservabile negli insegnanti sono provocate dai noduli laringei, dai polipi laringei, dagli ispessimenti fusiformi, dall’edema di Reincke e dalla monocordite vasomotoria Poiché ricorrenti episodi di disfonie o una disfonia cronica possono limitare signifi- G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it cativamente l’attività lavorativa degli insegnanti, si evince l’opportunità sia di considerare nel documento di valutazione dei rischi delle scuole i parametri ambientali precedentemente indicati, che possono condizionare il sovraccarico vocale, sia di considerare, per il personale docente delle scuole, l’uso eccessivo della voce come fattore di rischio per la mansione specifica. In questa prospettiva sarebbe opportuno coinvolgere non solo il medico del lavoro per l’eventuale sorveglianza sanitaria, ma intraprendere anche programmi di formazioni adeguati, al fine di prevenire l’insorgenza di disturbi vocali con lo specialista otorinolaringoiatria ed il terapista del linguaggio. Questi programmi permettono di riconoscere i segni inizali o di attenzione del potenziale danno vocale e si basano su norme di buona igiene vocale, tra le quali il mantenimento dei livelli di idratazione durante il giorno, l’evitare gli irritanti atmosferici come i fumi e le polveri, l’astensione dal fumo di sigaretta ed attenersi ad un regime alimentare equilibrato. Bibliografia 1) Jonsdottir VI, Boyle BE, Martin PJ, Sigurdardottir G. A comparison of the occurrence and nature of vocal symptoms in two groups of Icelandic teachers. Logoped Phoniatr Vocol 2002; 27 (3): 98-105. POSTER 415 2 Mattiske JA, Oates JM, Greenwood KM. Vocal problems among teachers: a review of prevalence, causes, prevention and treatment. J Voice 1998 Dec; 12 (4): 489-99. 3) Rantala L, Vilkman E, Bloigu R. Voice changes during work: subjective complaints and objective measurements for female primary and secondary schoolteachers. J Voice 2002 Sep; 16 (3): 344-55. 4) Sala E, Airo E, Olkinoura P et al. Vocal loading among day care center teachers. Logoped Phoniatr Vocol 2002; 27 (1): 21-8. 5) Sataloff RT. Professional voice users: the evaluation of voice disorders. Occup Med 2001 Oct-Dec; 16 (4): 633-47. 6) Sodersten M, Granqvist S, Hammarberg B, Szabo A. Vocal behaviour and vocal loading factors for preschool teachers at work studied with binaural DAT recordings. J Voice 2002 Sep; 16 (3): 356-71. 7) Verdolini K, Ramig LO. Review: occupational risks for voice problems. Logoped Phoniatr Vocol 2001; 26 (1): 37-46. 8) Vilkman E. Voice problems at work: a challenge for occupational safety and health arrangement. Folia Phoniatr Logop 2000 Jan-Jun; 52 (1-3): 120-5. 9) Yiu EM. Impact and prevenction of voice problems in the teaching profession: embracing the consumer’s view. J Voice 2002 Jun; 16 (2): 215-28. POSTER 416 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it C. Marsico1, V. Anzelmo2, P. Bianco3, F. Barone2, S. Marsico4 Carcinoma laringeo e attività lavorativa. Contributo casistico 1 2 3 4 Servizio Foniatria A.C.O. San Filippo Neri - Roma Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica del S. Cuore - Roma Servizio Sanitario RAI Radiotelevisione Italiana - Roma ENPALS - Roma da questi agenti. I settori lavorativi interessati all’esposizione professionali, pur con le variabili legate alla probabilità di esposizione, alla durata e ai livelli cumulativi di esposizione, sono tra gli altri: l’edilizia, l’industria metallurgica, le raffinerie e la produzione della gomma, l’industria tessile, l’industria del cuoio, l’industria chimica, il lavaggio a secco. Introduzione I fattori eziologici primari del carcinoma laringeo sono il fumo di sigaretta e l’abuso di alcool, ma possono avere un ruolo, sia pur non ancora caratterizzato, fattori genetici, dietetici, infiammatori ed occupazionali. L’esposizione professionale a numerose sostanze xenobiotiche, tra le quali l’asbesto, le polveri di legno, le polveri di cuoio, gli idrocarburi policiclici aromatici, i vapori di gasolio o benzina, i fumi ed i vapori di bitume e catrame, il nichel, la mostarda azotata, la foormaldeide, le polveri di carbone, di pietra, di cemento e di calcestruzzo, è stata correlata all’insorgenza di tumori del tratto superiore delle vie aereo-digestive. Tuttavia i risultati degli studi non sono di univoca interpretazione sul rischio Materiali e metodi Sono stati rivalutati 41 casi di pazienti con carcinoima laringeo, istologicamente confermato, ospedalizzati presso l’Unità Operativa di Otorinolaringoiatria di un ospedale di Roma, nel triennio 1997-99. Nella fase preliminare dello studio, sono stati rilevati i dati riguardanti l’età, il ses- Tabella I. Caratteristiche generali della popolazione esaminata e prevalenza di abitudini di vita N. totale pazienti Età media Maschi Femmine Anzianità lavorativa media (anni) Fumo (n. medio sigarette/sie) Consumo medio alcool (modico, medio, forte) 41 57,9 38 3 33,05 30 Medio Tabella II. Attività lavorativa, caratteristiche generali della popolazione esaminata, prevalenza di abitudini di vita Occupazione N. pazienti Età media Maschi Femmine Anzianità lavorativa media (anni) Fumo (n. medio sigarette/die) Consumo medio alcool (modico, medio, forte) Edilizia 9 61,9 9 0 40,6 33,9 Forte Agricoltore 4 67,8 4 0 50,0 23,8 Forte Falegname 4 57,0 4 0 32,5 25,0 Medio Benzinaio 3 55,7 3 0 26,7 21,7 Modico Manutenzione stradale 3 52,7 3 0 16,7 23,3 Medio Infermiere 2 59,0 2 0 35,0 40,0 Modico Cameriere 2 58,5 2 0 30,0 25,0 Forte Insegnante 2 51,5 0 2 27,5 30,0 Medio Sartoria 2 51,5 2 0 30,0 32,5 Medio Ceramista 2 50,5 2 0 25,0 30,0 Medio Lavoraz.cuoio 1 66,0 1 0 35,0 30,0 Forte Bancario 1 61,0 1 0 30,0 40,0 Forte Decoratore 1 57,0 1 0 30,0 30,0 Modico Lavaggio a secco 1 57,0 0 1 40,0 40,0 Forte Macelleria 1 57,0 1 0 25,0 20,0 Forte Trasporti pubblici 1 56,0 1 0 30,0 40,0 Modico Vetreria 1 50,0 1 0 20,0 40,0 Modico Calzaturificio 1 47,0 1 0 25,0 40,0 Forte G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it so, l’anamnesi lavorativa, l’anzianità lavorativa, il fumo di sigaretta, il consumo di alcool. Sono stati individuati il numero delle sigarette/die, il consumo di alcool quotidiano (modico: fino a 1/2 litro/die; medio: fino ad 1 litro/die; forte: oltre 1 litro/die). Risultati Dei 41 pazienti studiati (38 uomini e 3 donne, di età compresa tra i 47 ed i 72 anni), tutti sono risultati fumatori, da un minimo di 15 sigarette/die ad un massimo di 50, con una media di 30 sigarette/die. 11 erano modici bevitori, 19 forti bevitori di alcool, un solo sogetto era astemio. Nella tabella I sono sintetizzati i dati riguardanti l’età media, il sesso, l’anzianità lavorativa media, il numero medio di sigarette/die e il consumo medio di alcool quotidiano. Nella tabella II sono riportati i dati occupazionali. Le attività lavorative nelle quali sono stati riscontrati il più elevato numero di casi sono: il settore edilizio (9/41), la falegnameria (4/41), il settore agricolo (4/41), rifornimento di carburante (3/41), manutenzione stradale (3/41). Discussione e conclusioni Sia pur nella fase preliminare di studio ed in rapporto al periodo di osservazione e al numero totale di casi, nei soggetti esaminati emerge la correlazione tra il carcinoma laringeo, fumo di sigaretta e consumo di alcoool. Si rileva anche un rapporto con l’attività lavorativa svolta, la cui tipologia rientra tra quelle più indagate per l’individuazione di fattori di rischio occupazionali per il cancro laringeo. In letteratura è riportato che l'incidenza del carcinoma laringeo potrebbe essere diminuita del 90%, abolendo il fumo di sigaretta e l’ alcool, pur attribuendo la maggior parte del rischio al tabacco. Alcuni autori (Boffetta e coll) sostengono che, in Europa, il 2-8% dei tumori della laringe nei maschi riconoscerebbe un’origine professionale e che eliminando i carcinogeni industriali nei Paesi del Nord Europa, si potrebbero ridurre del 5% i tumori della laringe. POSTER 417 Secondo altri autori, eliminando dagli ambienti di lavoro i fattori di rischio occupazionali si potrebbero ridurre di un terzo i casi di carcinoma della laringenell'area altamente industrializzata del Nord Italia (Berrino e Crosignani). Il contributo casistico, in accordo con i dati della letteratura, evidenzia che il fumo di sigaretta e l’abuso di alcool sono i fattori di rischio principali per l’insorgenza del cancro laringeo. È comunque possibile il concorso di altri fattori di rischio presenti negli ambienti di lavoro, che necessitano tuttavia di ulteriori verifiche ed approfondimenti. Inoltre nei dati della casistica il cancro laringeo risulta una neoplasia dell’età matura, con prevalenza nel sesso maschile. Bibliografia 1) Berrino F, Crosignani P. Epidemiology of malignant tumors of the larynx and lung. Annali dell'Istituto Superiore di Sanità 1992; 28: 107-120. 2) Boffetta P, Dosemeci M, Gridley G et al. Occupational exposure to diesel engine emissions and risk of cancer in swedish men and women. Cancer Causes Control 2001 May; 12 (4): 365-74. 3) Boffetta P, Gridley G, Gustavsson P, Brennan P, Blair A, Ekstrom AM et al. Employment as butcher and cancer risk in a record- linkage study from sweden. Cancer Causes Control 2000 Aug; 11 (7): 627-33. 4) Boffetta P, Kogevinas M. Introduction: Epidemiologic research and prevention of occupational cancer in Europe.Environmental Health perspect 1999 may; 107 suppl 2: 229-31. 5) Browne K, Gee JB. Asbestos exposure and laryngeal cancer. Ann Occcup Hyg 2000 Jun; 44(4): 239- 50. 6) La Forest L, Luce D, Goldberg P, Begin D et al. Laryngeal and Hypopharingeal cancers and occupational exposure to formaldehyde. Occup Environ Med 2000 nov; 57 (11): 767-73. 7) Settimi L, Comba P, Bosia S, Ciapini C et al. Cancer risk among male farmers: A multi- site case- control study. Int J Occup Med Environ Health 2001; 14 (4): 339- 347. POSTER 418 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it F. Papalia1, M.R. Vinci1, V. Faia2, G. Pozzi2, M. Mazzav, F. Vinci1 Mobbing: ipotesi per un iter diagnostico differenziale 1 2 Istituto di Medicina del Lavoro, Facoltà di Medicina e Chirurgia, U.C.S.C., Roma Istituto di Psicologia e Psichiatria, Facoltà di Medicina e Chirurgia, U.C.S.C., Roma 8. 9. Introduzione Non esiste probabilmente in questo momento in Medicina del Lavoro un argomento che sia più citato del mobbing. Tale enfasi pubblicistico/mediatica crea aspettative tanto pressanti quanto poi assolutamente mal riposte (soprattutto per quello che riguarda gli aspetti risarcitori), e rischia di fare apparire come immediata una diagnosi di genere che invece necessita (anche per i risvolti giuridici che in genere la accompagnano) di una grande accuratezza e un approccio assolutamente multidisciplinare (3, 4). In questo contributo, esporremo brevemente l’attuale struttura dell’iter diagnostico che stiamo mettendo a punto nell’esperienza comune degli Istituti di Medicina del Lavoro e di Psicologia e Psichiatria della Facoltà di Medicina e Chirurgia, U.C.S.C., Roma. Possibile iter diagnostico differenziale per situazioni mobbizzanti Un iter diagnostico differenziale per una situazione a carattere mobbizzante può, per la nostra esperienza (3, 4), essere così strutturato: 1. Verifica della presenza di segni di disagio psicologico a possibile genesi occupazionale (assolutamente non esclusivi per eziologia da mobbing), come schematizzati nella tabella I (4). 2. Raccolta completa e dettagliata della storia lavorativa. 3. Identificazione e l’esame di tutti i fattori di rischio (generico o specifico) presenti in luogo di lavoro, o insiti nella mansione lavorativa effettuata. 4. Verifica della presenza di elementi intrinsecamente costrittivi dell’attività lavorativa (che possono generare un fattore di confondimento per la presenza di situazioni mobbizzanti). 5. Conferma della presenza di fattori dichiaratamente stressogeni dell’attività lavorativa, che spesso identificano situazioni personali o relazionali favorenti lo sviluppo di situazioni mobbizzanti. 6. Denuncia/rilevazione di subite azioni a carattere mobbizzante. A questo proposito occorre sottolineare che, nella letteratura scientifica, esiste un accordo universale nel considerare come mobbizzanti alcune tipologie di comportamenti raggruppate nel Leymann Inventory of Psichological Terrorism o LIPT. 7. Individuazione anamnestica (almeno in via presuntiva, e con tutti i limiti della soggettività) di uno o più autori (mobber/mobbers) e di una motivazione. Tabella I 1. Fenomeni infortunistici e/o rilevazione di comportamenti a rischio 2. Assenteismo 3. Calo delle performance lavorative, disaffezione al lavoro 4. Danneggiamenti di beni aziendali, atti vandalici, aggressioni a terzi 5. Accresciuto o diminuito uso dei servizi sanitari – di medicina aziendale o del lavoro – offerti 6. Presenza di disturbi psichiatrici: • Disturbi psicosomatici • Disturbi somatoformi • Disturbi d’ansia • Disturbi dell’umore • Disturbi da uso di sostanze • Disturbo dell’adattamento e Disturbo post-traumatico da stress • Disturbi di tipo schizoideo • Condotte evitanti ed altre alterazioni della personalità 7. Esplicite dichiarazioni di disagio psicologico Sovrapponibilità della storia raccolta con la casistica nota in letteratura. Esclusione della presenza di fattori di sofferenza psicologica a genesi occupazionale, ma non a carattere mobbizzante (tabella II) (4). Tabella II 1. Stati di sofferenza organica e psicologica correlabili a fattori di stress a origine lavorativa, ma non attribuibili a molestie sul luogo di lavoro 2. Conseguenze somatiche e psicologiche da subita violenza fisica in luogo ed occasione di lavoro 3. Conseguenze somatiche e psicologiche di molestie sessuali sul luogo di lavoro 4. Conseguenze somatiche e psicologiche di molestie morali non strutturate (ovvero effettuate senza l’intento di creare svantaggio ed emarginazione lavorativa) 5. Sindrome del burn-out 10. Raccolta di eventuali elementi oggettivi (p.e. lettere a contenuto minaccioso, offensivo o persecutorio, obiettivazione di comportamenti persecutori quali improprio uso di visite fiscali, storia infortunistica, dequalificazioni e/o demansionamenti, negazioni di diritti acquisiti ecc.). Seguono poi altri tre punti a carattere più specifico, e per i quali il Medico Competente deve necessariamente affidarsi a colleghi Specialisti in adeguate discipline, riservandosi solo un ruolo consultivo o testimoniale: 11. Consulenza psichiatrica (colloquio clinico, iter testologico, valutazione globale). 12. Costruzione e verifica del nesso causale. 13. Eventuale quantificazione del danno (nel caso in cui la determinazione della situazione mobbizzante venga eseguita a fini peritali) (1, 2). Conclusioni In clima di grande sovraesposizione mediatica, le possibilità di fraintendimento nel riconoscimento di situazioni mobbizzanti è molto alta. Una corretta diagnosi di situazione mobbizzante (che è comunque sempre solo presuntiva), e delle eventuali forme di danno biologico, psicologico, relazionale, esistenziale da essa derivanti, per avere un alto grado di probabilità richiede un approccio multidisciplinare con competenze adeguate. Compito del Medico Competente, qualora sia il primo a raccogliere dati evocativi o esplicita denuncia del fenomeno, è quello di effettuare un primo screening molto preciso sulla storia clinica, occupazionale e relazionale che gli viene presentata, per evitare tempestivamente l’induzione presuntiva di false positività, e fornire per contro una adeguata tutela ai lavoratori probabilmente realmente vittime del fenomeno. Bibliografia 1) Panzarella JP. The nature of work, job loss and the diagnostic complexities of the psychologically injured worker. Psychiatric Annals, 21, 1991: 10-15. 2) Panzarella JP. The psychosocial nature of work and the comprehensive evaluation of the psychologically injured worker. Risorsa Uomo, Vol. VI, 2/99: 134-156. 3) Papalia F, Mattei O, Vinci F. Mobbing: definizioni e caratteri del problema. In: De Risio S. (ed.) Psichiatria della salute aziendale e mobbing. Franco Angeli, Milano, 2002 4) Papalia F, Mattei O, Vinci F. Disagio psicologico in ambiente di lavoro e mobbing: approccio e competenze dello specialista in Medicina del Lavoro. In: De Risio S. (ed.) Psichiatria della salute aziendale e mobbing. Franco Angeli, Milano, 2002. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 419 F. Papalia1, D. Marchetti2, F. Vinci1 Operato del medico competente quale causa o concausa di situazioni mobbizzanti 1 2 Istituto di Medicina del Lavoro, Facoltà di Medicina e Chirurgia, U.C.S.C., Roma Istituto di Medicina Legale, Facoltà di Medicina e Chirurgia, U.C.S.C., Roma Tabella II. Recepimento o lettura impropria di azioni proprie Introduzione La pubblicistica sul mobbing sta aumentando in modo esponenziale, purtroppo anche creando miti mediatici, aspettative incongrue, distorsioni nella percezione dei rapporti relazionali all’interno delle aziende, con la prevedibile ricaduta finale di ridurre, per sovraesposizione del fenomeno, le possibilità di tutela di chi realmente subisca situazioni di violenza morale sul luogo di lavoro (1). Manca invece in letteratura, salvo rari e parziali casi (2, 3, 4), una riflessione su come lo specifico operato del Medico Competente possa esso stesso essere causa o concausa di situazioni a carattere mobbizzante. Dai primi mesi del 2001 stiamo eseguendo una revisione delle casistiche in tema pervenute presso i nostri Istituti, o alla nostra attenzione in ambito non direttamente accademico, ed al confronto delle stesse con i dati della letteratura. I primi risultati di questo lavoro di metaanalisi sono sintetizzati nel paragrafo seguente. Azioni del Medico Competente che possono assumere ruolo mobbizzante Varie forme dell’operato professionale del Medico Competente possono avere un ruolo causale o concausale nella genesi di situazioni mobbizzanti. Le varie tipologie individuate si collocano tutte nella “zona grigia” che si pone tra i limiti di un esercizio professionale formalmente corretto, ma nella sostanza con caratteri o di rigidità o di manipolabilità, e fattispecie in cui invece è sospettabile, o francamente riconoscibile, la colpa per negligenza, omissione, imperizia. Le tipologie da noi individuate possono essere così suddivise: 1. “Azioni proprie”, ossia che attengono direttamente alla funzione, al ruolo ed alle prerogative del Medico Competente, e che tuttavia possono assumere significato mobbizzante o comobbizzante per la rigidità con cui vengono eseguite, o per la non corretta valutazione del caso specifico o del contesto in cui questo si inscrive (tabella I). 2. “Azioni proprie”, ma recepite o interpretate impropriamente (tabella II). 3. “Azioni improprie” (tabella III). Sono stati esclusi, per comprensibili ragioni, i casi in sospetto o evidenza di dolo. È intuitivo come le forme con cui essi sono agiti sono sovrapponibili alle categorie sotto schematizzate, fatta salva la volontarietà. Conclusioni Il Medico Competente trova le ragioni scientifiche, professionali, etiche della propria azione esclusivamente nella tutela (in termini estensivi) Tabella I. Azioni proprie • Giudizi di idoneità lavorativa specifica formalmente corretti, ma di fatto emessi: – in modo rigido – con non corretto riconoscimento o inquadramento delle situazioni riscontrate – con non corretta valutazione del contesto in cui si colloca la storia professionale e clinica del lavoratore • Interpretazione restrittiva di: – normative vigenti – ruolo e prerogative professionali • Negligenza/imperizia • Confusione tra atti medici per determinazione del giudizio di idoneità lavorativa specifica (D.Lgs. 626/94 e succ.), facoltà del datore di lavoro di lavoro di far controllare l’idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti di diritto pubblico (art. 5 L. 20/5/1970, n. 300), e visite fiscali • Recepimenti manipolatori e/o strumentali del giudizio di idoneità Tabella III. Azioni improprie • Violazione del segreto professionale • Atteggiamento collusivo con l’azienda, o con singole figure dirigenziali di essa • Emissione di giudizi di idoneità “addomesticati” • Omissione di atti o azioni professionali • Omissione o reticenza di referto • Funzioni di Sorveglianza Sanitaria in contemporanea appartenenza a enti o strutture pubbliche (ASL, Istituti Universitari, Enti o Istituti di Diritto Pubblico), con doppio ruolo o rischio di collusività contigua del benessere psichico e fisico del lavoratore. Il quadro normativo di riferimento, però, è ben lungi da essere esaustivo, soprattutto per quello che riguarda le malattie correlate al lavoro e i cosiddetti “rischi trasversali”. La difficoltà nel condurre una valida Sorveglianza Sanitaria è inoltre accentuata dallo spostamento del mondo del lavoro verso occupazioni di tipo interinale, o verso forme di flessibilità con alto rischio intrinseco di tutela sanitaria carente o inadeguata; estremamente alta è soprattutto la possibilità di misconoscimento dei rischi trasversali o dei loro effetti sulla salute del lavoratore. Nel caso del mobbing, lo scarto tra atto di tutela e avallo o accentuazione del danno può essere veramente minimo. Per prevenire questa eventualità, alla specifica, puntuale ed approfondita conoscenza delle varie tipologie di rischio (non soltanto di quelli normati, ma di tutti, e principalmente di quelli trasversali – in questo caso relazionali/organizzativi –) il Medico Competente deve accompagnare una costante, aperta e coraggiosa riflessione sui propri modi di operare e sulle ricadute, in ogni ambito, della propria azione. Bibliografia 1) Papalia F, Mattei O, Vinci F. Mobbing: definizioni e caratteri del problema. In: De Risio S. (ed.) Psichiatria della salute aziendale e mobbing. Franco Angeli, Milano, 2002. 2) Papalia F, Marchetti D, Gabrieli R, Vinci F. Situazioni mobbizzanti ed ipotesi di responsabilità medico-legale dello specialista in medicina del lavoro. Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, 23 (3), 357, 2001. 3) Marchetti D, Gabrieli R, Papalia F, Vinci F. Riflessioni medico-legali in tema di danni derivati da mobbing. In: De Risio S. (ed.) Psichiatria della salute aziendale e mobbing. Franco Angeli, Milano, 2002. 4) Magnavita N. Mobbing, considerazioni su un caso paradigmatico. La Medicina del Lavoro, 91 (6), 587-591, 2000. POSTER 420 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it F. Ferraris1, G. Zanierato2, M. Ruggieri1, A. Marciandi1, V. Giovenali1, E. Capellaro3 Studio di prevalenza sulla sensibilizzazione a lattice in operatori sanitari esposti 1 2 3 S.C. Medicina del Lavoro Ospedale di Biella ASL 12 Ambulatorio Allergologico - S.C. Pneumologia Ospedale di Biella ASL 12 Dipartimento di Traumatologia, Ortopedia e Medicina del Lavoro Università di Torino L’esposizione a materiale contenente lattice, in particolare guanti, è ancora oggi il principale fattore di rischio di tipo allergologico in ambito sanitario sia per la frequenza di esposizione che per la gravità dei quadri patologici prodotti. Nell’ambito dell’attività di sorveglianza sanitaria svolta ai sensi del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. è stato svolto uno studio sui lavoratori del presidio ospedaliero della ASL 12 di Biella per valutare la prevalenza della sensibilizzazione a lattice. Sono stati coinvolti i lavoratori dei reparti ad alto rischio di esposizione (Blocco Operatorio, DEA 118, Anestesia e Rianimazione, Dialisi) così definiti in relazione alla frequenza di utilizzo di guanti in lattice. Per quanto riguarda il rimanente personale l’esposizione a lattice è praticamente nulla in quanto da alcuni anni vengono ormai utilizzati guanti monouso non sterili in vinile per la normale attività di assistenza. Tale dato evidenzia una prevalenza di soggetti positivi al lattice più bassa dei dati riportati dalla letteratura, sicuramente meritevoli di ulteriori approfondimenti, ma che in prima ipotesi può essere fatta risalire alla particolare attenzione che viene posta da alcuni anni presso questo ospedale nella scelta dei guanti. Infatti è dal 1995 che per lo svolgimento dei compiti che non prevedano manovre invasive vengono utilizzati in tutti i reparti guanti in vinile ad esclusione delle sale operatorie, Pronto Soccorso - DEA, 118, e Dialisi ove vengono utilizzati guanti in lattice detalcati a basso contenuto proteico. Fra gli elementi che determinano l’aumento del rischio di sensibilizzazione a lattice, l’atopia è fra quelli che la letteratura indica avere un maggior peso. È stata quindi valutata anche nella popolazione oggetto di questo studio la correlazione fra tale condizione predisponente e la sensibilizzazione a lattice. L’atopia si distribuiva fra i lavoratori indagati secondo le modalita di cui alla tabella I. Materiali e metodi Durante gli accertamenti preventivi e periodici negli anni 2000 e 2001 i lavoratori dei sopracitati reparti e tutti i lavoratori neo-assunti sono stati sottoposti oltre agli accertamenti previsti dal protocollo di sorveglianza sanitaria, ad anamnesi mirata ad individuare eventuale presenza di oculorinite, asma, orticaria, dermatite al fine di definirne lo stato di atopia e a skin prick test per il lattice. Ogni soggetto ha eseguito il test cutaneo per due diversi allergeni, uno prodotto dalla ditta Stallergenes e l’altro dalla ditta Lofarma con controllo positivo (istamina) e negativo (soluzione glicerosalina fenolata). I prick test sono stati eseguiti utilizzando lancette standardizzate in polimetacrilato “stallerpoint”. Il test è stato considerato positivo in presenza di un ponfo con diametro superiore ai 3 mm dopo 15 minuti. I soggetti che presentavano positività per uno dei due preparati utilizzati, venivano ulteriormente indagati tramite determinazione della concentrazione delle IgE specifiche seriche verso il lattice con metodica immunoezimatica (Biochem Immunosistems Allertech), prick test per i comuni allergeni inalanti (dermatofagoidi, pollini, micofiti, epiteli di animali) test di provocazione specifico consistente nell’indossamento di guanti in lattice talcati per 30 minuti con il cambio degli stessi ogni due minuti effettuando operazioni di media finezza con le mani con successivo monitoraggio sia clinico che dei parametri di funzionalità respiratoria per le successive 12 ore ed eventuale ricovero ospedaliero in caso di comparsa di sintomi quali asma o orticaria diffusa. Atopici Non Atopici Prick lattice pos. 5 1 Prick lattice neg. 27 308 L’analisi statistica è stata quindi condotta applicando il test esatto di Fisher a due code che ha messo in evidenza un’elevata significatività statistica (p<0,0001) confermando anche nel campione da noi analizzato il dato di letteratura. L’analisi per l’età, il sesso, la mansione ed il reparto, non ha evidenziato differenze statisticamente significative, anche l'anzianità lavorativa, pur risultando maggiore nei soggetti positi (12 anni) rispetto ai negativi (8,9 anni) non ha evidenziato differenze statisticamente significative. I dati preliminari evidenziano una prevalenza di soggetti positivi al lattice nettamente più bassa rispetto ai dati riportati in letteratura (2.817%), sicuramente meritevoli di ulteriori approfondimenti, ma che in prima ipotesi può essere fatta risalire alla particolare attenzione che viene posta da alcuni anni presso questa ASL alla scelta dei guanti e alla razionale distribuzione dei guanti latex-free per le attività assistenziali classificate a basso rischio biologico. Risultati e discussione Bibliografia La popolazione esaminata era composta maschi 146 (43%), femmine 195 (57%) l’età media è risultata di 37,4 anni (DS 8,5), con un range: 20-59 per un totale di 341 soggetti. L’anzianità lavorativa media di 8,9 (DS 7,6), con un range 0-39. Dai dati anamnestici il 9,4% dei lavoratori era da classificarsi come atopico. Dei i 341 lavoratori che hanno eseguito l’indagine, 6 soggetti (1,8%) sono risultati con positività cutanea per il lattice, di cui cinque positivi ad entrambi gli estratti e solamente uno positivo solo all’estratto della ditta Stallergenes. Nessuno dei soggetti positivi presentava al momento dell’esecuzione del prick test sintomatologia quale oculorinite, asma, orticaria riferibile alla sensibilizzazione a lattice. 1) Brown R, Schaube J, Hamilton R, et al. Prevalence of latex allergy among anesthesiologists: identification of sensitised bat asyntomatic individuals. Anesthesiologiy 1998; 89 (2): 292-299. 2) De Zotti R, Muran A, Negro C. Follow up dei sintomi allergici in un gruppo di operatori sanitari sensibilizzati al lattice. Med Lav 2000; 91: 53-60. 3) NIOSH recommends steps for reducing work-releted exposure to latex. Am J Health Syste. Pharm 1997; 54: 1688-1691. 4) Yassin MS, Lierl MB, Fischer TY, O’Brian K, Cross J, Steinmtz C. Latex allergy in hospital employees. Ann Allergy 1994; 72: 245-9. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 421 D. Grosso, N. Bergamin, M. Galliano, R. Assini, P.L. Zambelli, P. Troiano1, B. Piccoli Studio sperimentale sugli effetti oculari e visivi prodotti da condizioni illuminotecniche disagevoli Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università di Milano - Istituti Clinici di Perfezionamento 1 Dipartimento di Oculistica, Università di Milano Introduzione Numerosi sono in letteratura gli studi, condotti prevalentemente su operatori addetti a VDT/PC, ove l’illuminazione artificiale e naturale degli uffici è indicata come uno dei principali fattori di disagio oculare e visivo (1, 2, 3, 4, 7). Va ricordato, a questo proposito, che il parametro principale a cui si fa tradizionalmente riferimento, sia in Medicina del Lavoro che in Igiene Occupazionale quando si analizzano le condizioni illuminotecniche dei luoghi di lavoro, è l’illuminamento (8). Nostre precedenti esperienze (5), nell’ambito di indagini effettuate presso uffici, hanno consentito di evidenziare come elevati rapporti di luminanze all’interno del “campo visivo professionale” (c.v.p.) dell’operatore possano, pur in presenza di illuminamenti adeguati, essere causa di numerosi disturbi oculari e visivi. Scopo Obiettivo dello studio è la valutazione, in condizioni standardizzate e monitorate, degli effetti oculo-visivi prodotti dall’esposizione a condizioni illuminotecniche caratterizzate da adeguati illuminamenti ai piani di lavoro ma con elevati rapporti di luminanze nel c.v.p., in soggetti esposti ad impegno visivo per vicino (uso di PC). Materiali e metodi Le indagini sperimentali sono state svolte presso il laboratorio della Sezione di Ergoftalmologia del Dipartimento di Medicina del Lavoro dell’Università di Milano (figura 1). Sono stati studiati 32 soggetti, per metà maschi e per metà femmine, con titolo di studio medio-alto ed età compresa fra i 18 e i 35 anni (+/- 6.6 anni). Tali soggetti sono stati selezionati mediante specifico protocollo in due fasi. Figura 1. Laboratorio presso il quale sono state svolte le indagini sperimentali Fase 1: selezione e addestramento dei soggetti Tale selezione consisteva in una prova semplificata su PC dei compiti sperimentali previsti, avente come obiettivo la verifica delle capacità del soggetto all’uso del computer. Successivamente, ogni soggetto è stato sottoposto a visita oftalmica finalizzata ad individuare tutte quelle alterazioni cliniche e/o funzionali capaci di interferire in modo sostanziale con l’effettuazione di compiti visivi al punto prossimo e/o di costituire potenziale fattore di confondimento nell’interpretazione dei sintomi e segni rilevati. Il soggetto veniva ritenuto idoneo se privo di tali patologie oftalmiche importanti e se dimostrava un’adeguata conoscenza nell’uso del PC. Fase 2: prove sperimentali Ogni soggetto è stato sottoposto a due sessioni sperimentali (lavoro con programma informatizzato predisposto ad hoc) di 4 ore ciascuna, suddivise a loro volta in quattro cicli eguali, per un totale di 8 cicli. I compiti lavorativi effettuati durante le prove di esposizione, sono stati predisposti in due diverse forme, equivalenti sotto il profilo cognitivo. Figura 2. Esempio di posizionamento del sensore ricevente Ciò al fine di evitare fenomeni di “apprendimento” pur escludendo l'insorgenza, durante le due sessioni sperimentali (condizione “B” e condizione “C”) di effetti connessi a contenuti cognitivi marcatamente differenziati. POSTER 422 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it Conclusioni Da una prima parziale analisi dei dati emerge che i soggetti sottoposti alla prova “C” (condizioni illuminotecniche disagevoli), mostrano rispetto ai soggetti sottoposti alla prova “B” (condizioni illuminotecniche confortevoli) un netto aumento di disturbi astenopici (in particolare visione sfuocata, bruciore, tensione e senso di pesantezza ai globi oculari, difficoltà di concentrazione). Si è inoltre evidenziata una netta diminuzione dell’efficacia delle prestazioni (aumento del numero degli errori e dei tempi dei esecuzione). Per quanto attiene ai segni obiettivi (iperemia congiuntivale, secchezza oculare) non sembrano emergere, per le elaborazioni sinora effettuate, alterazioni degne di nota. Bibliografia Figura 3. Esempio di posizionamento del sensore emittente Sia nelle sessioni "B" che in quelle "C", l’ordine di presentazione degli “stimoli” (testi da elaborare con un PC secondo procedure pre-codificate) era uguale, mentre variava l’ordine delle sessioni secondo criteri random (a metà soggetti, prima B poi C; alla metà restante, prima C poi B). La distanza e il tempo di osservazione del PC sono stati monitorati e accuratamente quantificati tramite un’apposita apparecchiatura elettronica sperimentale, messa a punto presso la nostra sezione (6) basata sulla registrazione del tempo di percorrenza di ultrasuoni tra due sensori posti rispettivamente sul soggetto (figura 2) e sullo schermo (figura 3). Una visita oculistica di controllo è stata effettuata prima e dopo ciascuna sessione sperimentale, per escludere sia la presenza di eventuali alterazioni di recente insorgenza sia l’esistenza di variazioni “funzionali” a carico dell’accomodazione e della binocularità. 1) Gruppo Italiano per lo Studio dei Rapporti tra Lavoro e Visione. Il rapporto tra lavoro e visione sotto il profilo medico preventivo: primi orientamenti per un corretto approccio ergoftalmologico secondo il Gruppo Italiano per lo Studio dei Rapporti tra Lavoro e Visione (G.I.L.V.) parte prima: presentazione. Med Lav 1993; 84: 311-323. 2) Gruppo Italiano per lo Studio dei Rapporti tra Lavoro e Visione. Il rapporto tra lavoro e visione sotto il profilo medico preventivo: primi orientamenti per un corretto approccio ergoftalmologico secondo il Gruppo Italiano per lo Studio dei Rapporti tra Lavoro e Visione (G.I.L.V.) parte seconda: metodo. Med Lav 1993; 84: 324-331. 3) Halonen L. Effect of lighting and task parameters on visual acuity and performance. In Power systems and illumination engineering laboratory. Helsinki: University of Technology Report 1993. 4) Knez I, Kers C. Effects of indoor lighting, gender and age on mood and cognitive performance. Environ & Behav 2000; 32 (6): 817-831. 5) Piccoli B, D’Orso M, Zambelli PL. Environmental photometry analysis and interpretation of luminance ratio in relation with national and international standards. In: Cottica D, Prodi V, Imbriani M Ed. Atti del 14° Congresso Internazionale AIDII Arbatax, Fondazione Clinica del Lavoro 1995; 200-202. 6) Piccoli B, D’Orso M, Zambelli PL, Troiano P, Assini R. Observation distance and blinking rate measurement during on-site investigation: new electronic equipment. Ergonomics 2001; 4, 6, 668-676. 7) Piccoli B et al. A critical appraisal of current knowledge and future directions of ergophthalmology - Consensus Document of the ICOH Scientific Committee on “Work and Vision”. Ergonomics 2003; 46, 4, 384-406. 8) Piccoli B, Soci G, Zambelli PL, Pisaniello D. Photometry in the workplace: the rationale for a new method. In: stampa su Ann Occup Hyg 2003; 47/8. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 423 D. Cavallo1, A. Setini1, C.L. Ursini1, P. Piegari1, C. Chianese1, A. Cristaudo2, S. Iavicoli1 Esposizione occupazionale a parafenilendiammina in parrucchieri con dermatite allergica da contatto: produzione di citochine (TNF-α) e danno ossidativo al DNA 1 2 ISPESL, Dipartimento Medicina del Lavoro, Monteporzio Catone - Roma IRCCS S. Gallicano, Allergologia, Roma Introduzione Le dermatiti da contatto rappresentano l’80-90% dei casi di dermatite professionale in genere e di queste oltre il 50% sono di origine allergica. I parrucchieri rappresentano una categoria professionale a rischio in quanto sono esposti a sostanze con forte potere allergizzante tra cui la parafenilendiammina contenuta nelle tinture per capelli, spesso in assenza di opportuna protezione per la tipologia e modalità di esecuzione del lavoro (strutture artigianali, ambienti non sufficientemente controllati). Alcuni studi in vitro sulle interazioni tra allergeni e cheratinociti nella fase pre-immunologica della sensibilizzazione da contatto hanno evidenziato l’induzione di stress ossidativo in seguito ad esposizione a PPD, suggerendo una relazione tra questo tipo di effetto a livello cellulare e lo sviluppo della malattia infiammatoria allergica (1). La dermatite allergica da contatto è una reazione del sistema immunitario il cui fattore scatenante è rappresentato dall’esposizione alla sostanza allergizzante. In questa patologia le citochine giocano un ruolo chiave e sono implicate nei diversi gradi di suscettibilità e sviluppo della malattia. Una di queste citochine il TNFa è stato indicato come mediatore della risposta allergica (2) in quanto una maggiore produzione di questa citochina e la sua immissione nel circolo ematico dove sembra agire con meccanismi endocrini a livello tissutale sono state evidenziate in associazione alla sviluppo di diverse patologie infiammatorio-allergiche, tra cui la dermatite. I meccanismi di tale mediazione nello sviluppo della dermatite non sono comunque chiari. Obiettivo del nostro studio è stato studiare la possibile correlazione tra esposizione a PPD, induzione di danno ossidativo al DNA e sviluppo di dermatite allergica. Materiali e metodi Lo studio è stato effettuato su 14 parrucchieri (6 maschi e 8 femmine) affetti da dermatite allergica da contatto (DAC) a cui è stato somministrato un questionario standard per la raccolta dei dati anagrafici, clinici ed epidemiologici. I soggetti sono stati sottoposti a patch test con serie standard e con una serie specifica per l’attività lavorativa svolta, quindi è stato effettuato un prelievo venoso successivamente al consenso informato. È stato scelto un gruppo di controllo costituito da 14 non esposti (6 maschi e 8 femmine). Sono stati valutati i livelli serici della citochina TNFa mediante test Elisa. In 8 dei 14 parrucchieri è stato valutato anche il danno ossidativo al DNA mediante comet test modificato con l’uso della Fpg una glicosilasi che riconosce e taglia specificatamente le basi ossidate lasciando in corrispondenza di queste delle rotture sulla catena di DNA, quindi il comet test in questo caso evidenziando questo tipo di rottura valuta il danno ossidativo. Per ogni caso è stato valutato il valore di tail moment TM (dato dal prodotto tra intensità di fluoresecenza e lunghezza della coda della cometa) in 50 comete da cellule trattate con l’enzima Fpg (TMenz) e da cellule non trattate (TM). Un valore del rapporto TMenz/TM superiore a 2 è stato da noi utilizzato per definire la presenza di danno ossidativo. Quest’ultimo test è stato effettuato anche su un gruppo di 8 controlli confrontabili per sesso ed età. Risultati Tutti i soggetti mostravano reazioni positive al patch test per la PPD. Il dosaggio quantitativo del TNFa nel siero ha evidenziato una concentrazione di 12,06 pg/ml negli esposti e 0,68 pg/ml nei controlli con una differenza statisticamente significativa. Il comet test ha evidenziato un valore medio di TMenz leggermente più elevato nel gruppo degli esposti rispetto ai controlli e la presenza di danno ossidativo nel 62% (5/8) dei parrucchieri esaminati con questa metodica, rispetto all’ assenza di danno ossidativo riscontrato nel gruppo di controllo. Discussione La presenza di livelli di TNFa significativamente più elevati nel gruppo degli esposti conferma l’associazione tra maggiore produzione di TNFa e malattie infiammatorie. I risultati ottenuti mostrano inoltre che l’esposizione a PPD può indurre danno ossidativo al DNA che potrebbe rappresentare un evento essenziale nella fase pre-immunologica della sensibilizzazione da contatto. In conclusione i nostri risultati suggeriscono l’esistenza di una relazione tra maggiore produzione di citochina TNFa, stress ossidativo e sviluppo di dermatite allergica da contatto. Bibliografia 1) Picardo M, Zompetta C, Grandinetti M, Ameglio F, Santucci B, Faggioni A, Passi S. Paraphenylene diamine, a contact allergen, induces oxidative stress in normal human keratinocytes in culture. British Journ Dermatol 1996; 134 (4): 681-685. 2) Sebastiani S, Albanesi C, De Po, Poddu P, Cavani A, Girolomoni G. The role of chemokines in allergic contact dermatitis. Arch dermatol Res 2002; 293 (11): 552-559. POSTER 424 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it C.L. Ursini1, D. Cavallo1, C. Chianese1, M. Giglio2, S. Laurenza2, S. Iavicoli1 Comet assay e test del micronucleo su linfociti e cellule esfoliate della mucosa orale di personale sanitario esposto a farmaci antiblastici 1 2 ISPESL, Dipartimento Medicina del Lavoro Monteporzio Catone, Roma Istituto Europeo di Oncologia, Milano, Italy.- [email protected] Introduzione Risultati Negli ultimi decenni l’impiego dei farmaci antiblastici, molti dei quali sono stati classificati come sostanze cancerogene o probabilmente cancerogene per l’uomo dalla IARC, è aumentato notevolmente. Dai primi anni ’80 sono stati intrapresi studi volti alla valutazione del rischio a lungo termine per la salute degli operatori addetti alla preparazione e somministrazione dei chemioterapici riscontrando un eccesso di leucemie, tumori epatici, tumori della pelle e tumori emopoietici. La recente emanazione di linee guida sulla manipolazione di farmaci antiblastici in numerosi Paesi (1) ha drasticamente ridotto l’esposizione occupazionale a tali sostanze tuttavia la continua introduzione nei protocolli terapeutici di nuovi farmaci e la loro combinazione in miscele complesse enfatizzano la necessità di valutare gli eventuali effetti indotti da tale tipo di esposizione (basse dosi e miscele complesse). Il presente lavoro si propone quindi di valutare i potenziali effetti genotossici precoci dell’esposizione a tali farmaci mediante l’utilizzo di metodiche molto sensibili quali il comet test (2) applicandolo anche su cellule di sfaldamento della mucosa orale. Inoltre è stato utilizzato il test del micronucleo sia su linfociti che su cellule esfoliate della mucosa orale per valutare la possibile specificità di effetto all’organo bersaglio nell’esposizione inalatoria di miscele complesse a basse dosi. Il gruppo di esposti ha mostrato una frequenza percentuale di micronuclei significativamente più elevata rispetto ai controlli (P<0.05) nelle cellule esfoliate (0,083 vs 0,0266), mentre non sono state trovate differenze significative sui linfociti (0,88 vs 1,00) (P=0,16). Il comet test ha evidenziato in entrambi i tipi cellulari un incremento del valore di tail moment negli esposti rispetto ai controlli con una differenza statisticamente significativa (P=0.001) nel caso dei linfociti (valore medio di tail moment 21,3 vs 13,4). Materiali e metodi Lo studio è stato condotto su 15 infermieri e tecnici che manipolano farmaci antiblastici e su un gruppo di controllo (n=15) costituito da personale amministrativo della stessa struttura ospedaliera confrontabile per età (35±6,6 vs 34±7,3). A ciascun soggetto è stato chiesto il consenso informato e somministrato un questionario conoscitivo anamnestico. Il test del micronucleo è stato effettuato su cellule di sfaldamento della mucosa orale e su linfociti mediante colorazione con arancio di acridina nel primo caso e con Giemsa nel secondo caso. È stata quindi calcolata per ciascun soggetto, la frequenza di micronuclei spontanei su almeno 3000 cellule esfoliate e la frequenza di micronuclei su 1000 cellule binucleate da linfociti in coltura. Su entrambi i tipi cellulari è stato effettuato il comet test per valutare il danno diretto al DNA. Tale test prevede la determinazione mediante una specifico software del valore di Tail moment (dato dal prodotto dell’intensità di fluorescenza per la lunghezza della coda della cometa) su 50 comete per ciascun soggetto. Discussione È noto che la contaminazione da farmaci antiblastici avviene prevalentemente per inalazione, quindi le cellule della mucosa orale rappresentano il primo bersaglio cellulare di tali sostanze in forma di forma di polveri, vapori, aerosol etc. I nostri risultati evidenziando una maggiore specificità del test del micronucleo effettuato sulle cellule esfoliate rispetto ai linfociti mostrano l’utilità di tale tipo cellulare nella valutazione degli effetti genotossici indotti dall’esposizione occupazionale a farmaci antiblastici. Il comet test evidenziando in entrambi i tipi cellulari un valore di tail moment più elevato negli esposti rispetto ai controlli conferma l’elevata sensibilità di questa metodica per la valutazione del danno precoce al DNA e potrebbe quindi rappresentare un buon bioindicatore di effetto precoce all’organo bersaglio nello studio dell’esposizione occupazionale a miscele di sostanze chimiche a basse dosi. In conclusione i risultati di questo studio suggeriscono l’uso delle cellule esfoliate della mucosa orale, ottenibili mediante procedure non invasive, per la determinazione dell’esposizione occupazionale a miscele di sostanze chimiche a basse dosi in quanto rappresentano il tessuto target per molte sostanze inalabili. Bibliografia 1) Provvedimento 5 agosto 1999, G.U. 7/10/1999. Documento di linee guida per la sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a chemioterapici antiblastici in ambiente sanitario. 2) Maluf SW, Erdtmann B. Follow-up study of genetic damage in lymphocytes of pharmacists and nurses handling antineoplastic drugs evaluated by cytochinesis-block micronuclei analysis and single cell gel electrophoresis assay. Mutation Research 2000; 471: 21-27. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 425 A. Marinaccio Metodi e problemi statistici per la determinazione di valori di riferimento di xenobiotici in materiali biologici ISPESL - Dipartimento di Medicina del lavoro - Laboratorio di epidemiologia e statistica sanitaria occupazionale Introduzione L’importanza della determinazione di valori di riferimento per xenobiotici in materiali biologici è stata discussa ampiamente (1). In particolare è nota la necessità, nell’analisi dei livelli di rischio per coorti occupazionali di esposti, di disporre di valori di riferimento da utilizzare come base-line per l’analisi della significatività (2). In questo contributo si vuole porre l’accento su alcuni dei problemi di metodologia statistica che sottendono queste stime. Numerosità e struttura del campione Il primo problema è quello relativo alla numerosità e alla struttura del campione di riferimento. La qualità degli stimatori è infatti innanzitutto in relazione con le caratteristiche della distribuzione campionaria. Le tecniche inferenziali, quindi anche quelle di stima puntuale, si fondono su ipotesi relative alla distribuzione campionaria degli stimatori che sono via via più solide se rispettate le ipotesi di casualità nell’estrazione del campione. Se il campione non è casuale deve essere valutata statisticamente la sua non distorsione rispetto alle variabili potenzialmente correlate (sesso, età, esposizioni professionali, dieta). La numerosità del campione è determinabile in funzione dell’errore ammesso, del livello di confidenza prescelto e della numerosità della popolazione. Quest’ultima variabile è quella che influenza di meno la numerosità campionaria. lori trasformati approssima la mediana dei dati originari, mentre la distanza tra media aritmetica e mediana dipende dal livello di asimmetria della curva. In presenza di valori estremi è consigliabile stimare la mediana ed una misura di distanza interquatilica (75° - 25° oppure 95° - 5°). Analisi statistica L’analisi statistica è anch’essa funzione dell’analisi della distribuzione campionaria degli stimatori. Se le variabili analizzate risultano distanti significativamente dalla normalità, l’analisi parametrica deve essere valutata con cautela. L’analisi di correlazione più corretta in questo caso fa riferimento al coefficiente di correlazione di Spearman, che misura la correlazione fra i ranghi ed è quindi invariante rispetto a violazioni dell’assunto di normalità. L’analisi di regressione è generalmente più robusta per allontanamenti dalla normalità e quindi la stima dei coefficienti di regressione, dei coefficienti di determinazione e dei relativi intervalli di confidenza risente meno dell’assenza di normalità soprattutto in presenza di numerosità campionarie elevate. Conclusioni Nella stima dei valori di riferimento nella popolazione è necessario porre attenzione ai metodi di selezione del campione ed alla distribuzione di probabilità degli stimatori nell’universo dei campioni possibili. In presenza di distribuzioni non normali si deve fare riferimento a procedimenti non parametrici. Indicatori centrali Bibliografia La scelta dell’indicatore di tendenza centrale da utilizzare, è una funzione della distribuzione di probabilità degli stimatori. In particolare deve essere prioritariamente verificata la distribuzione gaussiana delle variabili. La trasformazione logaritmica dei valori rilevati può migliorare la normalità della distribuzione; in questo caso la media geometrica dei va- 1) Catenacci G, Aprea C (eds). 1a lista SIVR dei valori di riferimento Atti del 4° congresso nazionale SIVR, 14-16 dicembre 2000, Pavia. 2) Apostoli P, Minoia C, Hamilton EI. Significance and utility of reference values in occupational medicine. Sci Total Environ 1998; 209: 69-77. POSTER 426 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it C. Negro1, M. Peresson2, P. De Michieli1, L. Vernole3, A. Zadini3 Dalla sorveglianza sanitaria alla valutazione epidemiologica. Appunti di metodo 1 2 3 UCO di Medicina del Lavoro Università di Trieste UO Medicina del Lavoro Dipartimento di Prevenzione ASS1 Triestina S.C. Riabilitazione Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Trieste Introduzione Il D.Lgs. 626/94 ha introdotto la sorveglianza sanitaria per i lavoratori esposti al rischio di movimentazione manuale di carichi (MMC) ed il medico competente nei casi previsti dalla normativa (art. 11), deve comunicare i risultati anonimi e collettivi degli accertamenti e fornire informazioni sul significato dei dati raccolti (art. 17 lettera g). Abbiamo esaminato i risultati relativi alla sorveglianza sanitaria effettuata nel corso degli anni 1998-2000 su 219 lavoratori portuali. Nonostante la rilevanza del rischio legato alla movimentazione carichi, in questa popolazione l'occorrenza dei disturbi e delle patologie del rachide non si dimostrava più elevata rispetto ai dati della popolazione generale. Questo risultato ci ha spinto a voler valutare in termini epidemiologici il fenomeno. Obiettivo di questo contributo è valutare la fattibilità di uno studio epidemiologico analitico. In primis si è previsto uno studio trasversale caso controllo. Per impostare uno studio prospettico, oltre alla ripetizione dell’analisi nel corso della sorveglianza sanitaria che ha scadenza biennale; si deve prevedere che i casi che abbandonano l’attività vengano sottoposti a intervista/visita in modo da registrare la motivazione. Metodologia e risultati Per definire i disturbi muscoloscheletrici, i fattori di rischio lavorativi ed extralavorativi: si è utilizzato il questionario proposto dalla SIMLII per gli esposti alle vibrazioni a corpo intero. Date le caratteristiche dei casi esposti (giovani con bassa scolarità) è risultato difficile individuare i controlli. Sono stati reclutati i dipendenti di due cooperative che svolgono attività di sorveglianza antincendio (guardiafuochi). Per la raccolte e codifica dei dati si è proceduto alla autosomministrazione del questionario per; la parte anamnestica, dati personali, attività lavorative precedenti, patologie osteoarticolari insorte in passato e nell’ultimo anno, accertamenti e terapie effettuate, infortuni e incidenti occorsi. I seguito, tramite intervista guidata dal fisiatra, abbiamo raccolto i dati sulla localizzazione dei disturbi, sull’ intensità del dolore, sulle limitazioni dell’attività, negli ultimi 12 mesi e negli ultimi 7 giorni. I soggetti sono stati sottoposti ad esame obiettivo generale e fisiatrico standardizzato che prende in considerazione tutti i distretti corporei. Il gruppo di controllo ha compilato lo stesso questionario ed è stato sottoposto allo stesso iter diagnostico. Essendo ancora in fase di attuazione le visite per il gruppo di controllo, for- niamo i risultati relativi ai lavoratori del porto. Il campione di lavoratori portuali è costituito da 90 soggetti tutti di sesso maschile con un’età che va dai 19 ai 51 anni; l’attività prevalente: braccianti che movimentano sacchi di caffé (27.8%), carrellisti (45.6%) altre mansioni (26.7%). Fra i soggetti esaminati il 61% non riferiva disturbi alla colonna nel passato, mentre il 39% riferiva LBP, episodi di lombalgia e/o sciatica, e solo il 5,5% riferiva il riscontro radiologico di ernia discale. Nell’ultimo anno la percentuale di lavoratori che non aveva avuto disturbi alla colonna sale al 71%, mentre il gruppo dei carrellisti presenta un' incidenza di disturbi al rachide cervicale significativamente maggiore rispetto agli altri gruppi (73%), attribuibile al mantenimento di posture fisse prolungate. Per quanto riguarda le altre articolazioni l’80% non ha sofferto di disturbi nell’ultimo anno. L’esame obiettivo ha rilevato una riduzione della flessibilità globale del rachide (distanza dita-terra) nel 42% dei lavoratori, ma solo nel 5,5% superiore a 20cm, mentre la motilità del tratto cervicale era ridotta in soli 8 (9%) lavoratori di cui 4 carrellisti (50%). Discussione I risultati, ricavati dall'applicazione sul gruppo di lavoratori portuali di un protocollo standardizzato, non si discostano da quelli segnalati negli anni precedenti dal medico competente nella relazione sanitaria. La comparazione del dato tra i soggetti a rischio e il gruppo di controllo individuato dovrebbe consentire una minimizzazione dell’effetto lavoratore sano. Solo lo studio prospettico permetterà un preciso controllo di tale bias. Bibliografia Hartvisen J et al. The association between physical workload and LBP clouded by the “healthy worker” effect: population-based cross sectional and 5-year prospective questionnaire study. Spine 26 (16): 1788-92; 2001. Li CY, Sung FC. A review of the healthy worker effect in occupational epidemiology. Occup Med (Lond.) 1999 May; 49 (4): 225-9. Waskiewicz J. The effect of heavy work on the muscoloskeletal system of dockers. Bull Inst Marit Trop Med Gdynia 1996; 47 (1-4): 25-32. Waskiewicz J. Cervical and back pain syndrome in port workers. Bull Inst Marit Trop Med Gdynia 1997; 48 (1-4): 41-8. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 427 M. Maniscalco1, 2, S. Faraone1, A. Zedda1, C. Sbordone2, M. Sofia3, M. Manno2 Sindrome dell’apnea notturna: un nuovo rischio in Medicina del Lavoro? 1 2 3 Unità Operativa di Pneumologia e Fisiopatologia Respiratoria, Presidio Ospedaliero S. Maria della Pietà Camilliani Casoria (Napoli) Cattedra di Medicina del Lavoro, Università Federico II di Napoli Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, AO Monaldi, Università Federico II di Napoli Introduzione I pazienti affetti da patologia ostruttiva del sonno o obstructive sleep apnea syndrome (OSAS) rappresentano il 3-4% dell’intera popolazione generale. La sintomatologia dell’OSAS è caratterizzata da sonnolenza mattutina, facile stancabilità, riduzione dell’attenzione e dei riflessi. Un recente studio svedese ha mostrato che i soggetti affetti da disturbi del sonno presentano un rischio di incidente sul lavoro doppio dei soggetti della popolazione generale (Ulfberg et al., 2000). Tale patologia rappresenta un importante fattore di rischio infortunistico, soprattutto in quelle categorie di lavoratori per i quali è richiesta un’elevata attenzione e riflessi pronti, come addetti alla guida (conducenti di veicoli, gruisti, camionisti, ecc.), lavoratori turnisti o con lavoro notturno addetti all’utilizzazione di macchinari. Nel corso degli accertamenti previsti dalla sorveglianza sanitaria ai sensi del D.Lgs 626/94 o delle visite d’idoneità al lavoro ai sensi dell’art. 5 della legge 300/70 non si tiene conto generalmente delle turbe del sonno e non è facile pertanto per il medico competente individuare i soggetti a rischio infortunistico per se stessi e per eventuali terzi. L’obiettivo del presente poster è quello di descrivere la nostra recente esperienza al riguardo, individuare gli aspetti più critici del problema e formulare alcuni suggerimenti per una più rigorosa valutazione dell’idoneità e più efficace protezione dei lavoratori. Casistica e risultati All’interno di un gruppo di 127 soggetti ricoverati dal medico curante presso il Reparto di Pneumologia del Presidio Ospedaliero S. Maria della Pietà Camilliani di Casoria (NA) dal gennaio 2002 ad giugno 2003 per la presenza di sintomi riferibili ad OSAS, è stato somministrato un questionario Epworth per la valutazione della sonnolenza diurna. Tra tutti i soggetti esaminati abbiamo selezionato 108 pazienti (75 M, 33 F, età media 58 anni) per i quali in base a monitoraggio cardiorespiratorio di III livello (Embletta Somnologica pds, versione 3.1) è stata confermata una diagnosi di OSAS. All’interno di questo gruppo, in base all’anamnesi lavorativa abbiamo riscontrato che ben dodici pazienti (11%) svolgevano come attività lavorativa prevalente la mansione di conducente d’autoveicoli (tassista, gruista, autista) presso diverse aziende pubbliche o private. Sorprendentemente la totalità di questi pazienti riferiva di essere stata sottoposta negli ultimi 2 anni a sorveglianza sanitaria ai sensi della 626/94 ottenendo un giudizio positivo d’idoneità alla mansione specifica. Dei 12 lavoratori per i quali è stata confermata la diagnosi di OSAS, erano tutti maschi. L’età media era di anni 46. 3 soggetti presentavano un’OSAS di grado lieve (AHI range 12-18/h), 6 moderato (AHI range 20-27/h), 3 severo (AHI range 30-61/h). Quasi tutti i casi do OSAS (11/12) sono stati trattati con successo utilizzando una protesi ventilatoria con cPAP. Tra i fattori predittivi di OSAS venivano documentati il russamento (99%), obesità (70%), sonnolenza diurna (60%), questionario positivo per sonnolenza (60%). altre discipline mediche, oppure dalla curiosità e attenzione da parte del medico del lavoro verso nuovi fattori di rischio sino ad allora poco o per nulla conosciuti. La sindrome delle apnee notturne appartiene a questa categoria in quanto rappresenta un fattore di rischio oggettivo ma scarsamente considerato per i lavoratori a rischio infortunistico. La OSAS costituisce inoltre un caso patricolare in cui una patologia preesistente ed indipendente dal lavoro costituisce un fattore di rischio che aumenta considerevolmente la suscettibilità dei lavoratori al rischio infortunistico. Tale patologia dovrebbe pertanto essere presa in attenta considerazione in quanto potrebbe comportare un motivo di non idoneità compromettendo la sicurezza degli stessi lavoratori e di terzi. È necessario infatti valutare la presenza di OSAS in occasione delle visite mediche preventive e periodiche per la valutazione del giudizio d’idoneità, anche a causa della sua relativamente alta diffusione nella popolazione generale. Un’ulteriore elemento di difficoltà è rappresentato dal fatto che la guida d’automezzi non rientra fra le attività lavorative per cui la legge (D.Lgs 626/94) impone specificamente la sorveglianza sanitaria dei lavoratori da parte del medico competente, in quanto la normativa è finalizzata alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei confronti di specifici fattori di rischio presenti sul luogo di lavoro. Tale categoria di lavoratori generalmente sfugge quindi ad una valutazione preventiva e periodica dell’idoneità, né è possibile scaturirne l’obbligo sull’ ipotesi del pericolo derivante alla collettività. In attesa di un’estensione della sorveglianza sanitaria obbligatoria anche ai lavoratori addetti alla guida di automezzi, si ritiene utile proporre che i datori di lavoro facciano ricorso allo strumento facoltativo del giudizio d’idoneità specifica alla mansione espresso da struttura pubblica di medicina del lavoro ai sensi del 3° comma dell’art. 5 della legge 300/70, non bastando per questo l’idoneità intrinseca alla guida in occasione del rilascio o rinnovo della patente da parte delle autorità competenti. In conclusione, riteniamo che innanzitutto il medico competente, nel corso delle visite d’idoneità, debba considerare la possibile presenza nelle categorie a rischio di tale patologia o di disturbi ad essa correlabili. In secondo luogo, si ritiene opportuno arrivare alla definizione di un protocollo per la formulazione del sospetto diagnostico di sindrome delle apnee notturne, o più generalmente di patologie o disturbi del sonno, nei lavoratori a rischio. Tale protocollo dovrà prevedere la raccolta anamnestica accurata degli eventuali sintomi e la somministrazione di un questionario specifico semplice e validato. I casi sospetti, prima che il medico competente esprima un giudizio di inidoneità o d’idoneità con limitazione, andrebbero confermati con test polisonnigrafici in corso di ospedalizzazione o a domicilio. Infine, sarebbe utile un’applicazione degli studi anche uno studio sonnologico diretto sui lavoratori durante l’attività di guida prolungata e continuativa, al fine di prevenire il rischio di “colpo di sonno” e di altre cause d’infortunio in cui la sindrome delle apnee notturne potrebbe giocare un ruolo importante. Bibliografia Discussione L’interesse della Medicina del Lavoro per nuove patologie scaturisce talvolta da osservazioni occasionali sorte all’interno di collaborazioni con Ulfberg J, Carter N, Edling C. Sleep-disordered breathing and occupational accidents. Scand J Work Environ Health, 26: 237-242, 2000. POSTER 428 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it V. Anzelmo1, D’Auria2, D. Mazzarella2, G.Cuomo2, P. Bianco3, C. Giangregorio4 Neoplasia vescicale denunciata all’INAIL in un addetto alla produzione di una piccola industria di pellami 1 2 3 4 Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica S. Cuore, Roma INAIL Salerno Servizio Sanitario Rai Radiotelevisione Italiana, Roma Istituto di Radiologia Università Cattolica S. Cuore, Roma Introduzione Il cancro vescicale è al quarto posto tra i tumori che colpiscono l’uomo, rappresentando il 2-3% di tutte le neoplasie maligne; è riconducibile ad esposizione professionale nel 20-30% dei casi. Nei soggetti professionalmente esposti il tempo di latenza per lo sviluppo di neoplasia è di 1540 anni, risultando di circa 10 anni inferiore a quello dei non esposti. Agenti chimici, quali ad es. la benzidina, la 2-naftilamina e il 4-aminobifenile, che appartengono al gruppo delle amine aromatiche, sono ben noti per il ruolo che rivestono nella cancerogenesi vescicale in soggetti professionalmente esposti. In particolare la 2-naftilamina ha dimostrato di aumentare l’incidenza del cancro della vescica di 20-100 volte. Anche gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono implicati nella genesi del tumore vescicale. Oltre gli agenti chimici professionali vi sono importanti fattori di rischio extralavorativo, quali il fumo di sigaretta, che aumenta notevolmente la possibilità che si sviluppi il cancro della vescica di 20100 volte, per la presenza di amine aromatiche contenute nel fumo di tabacco, in particolare il 4-aminobifenile. Altri fattori di rischio extralavorativi sono l’impiego eccessivo di analgesici contenenti fenacetina e l’utilizzo di ciclofosfamide, ed infezioni parassitarie da Bilharzia. Descrizione del caso La nota riguarda un uomo di 42 anni, non bevitore e mai fumatore, affetto da carcinoma vescicale diagnosticato nel marzo 2001 e denunciato successivamente all’INAIL, in attesa di definizione. L’anamnesi familiare e fisiologica non presenta altri dati degni di nota. Dall’anamnesi lavorativa risulta che ha svolto attività saltuarie in ambiente rurale per 3 anni; dal giugno ’81 al 2001 addetto alla rifinizione (spruzzo) delle pelli in una conceria. Sulla base del documento di valutazione dei rischi disponibile, la rifinizione rientra nella terza fase del ciclo produttivo della piccola industria conciaria che prevedeva l’essiccazione delle pelli attraverso una ventilazione forzata a basse temperature; la verniciatura automatica con successiva essiccazione in cabina; la follonatura in bottale e la stiratura utilizzando solventi, coloranti, polimeri acrilici, cere naturali e sintetiche, siliconi, e ingrassanti. Le sostanze chimiche utilizzate come solventi e ingrassanti, sulla base delle schede tossicologiche allegate al DVR sono: formaldeide, acetaldeide, polimero acrilico a base di acidi acrilici, alcooli grassi fosfostati e solfocloroparaffina, acidi grassi insaturi, olii marini ossidati e solfitati. L’operatore, oltre alla rifinitura, era addetto anche alla preparazione dei coloranti per la fase di tintura, utilizzando tannini naturali e sintetici, ac. formico, sodio bicarbonato, ingrassanti, coloranti quali: nero acido 210 (colorante trizazo), blu 5R (colorante diazoico), verde BN (colorante poliazo), Bruno SG (colorante trisazoico), Bruno SR (miscela di coloranti con trifenilmetano). Di questi coloranti sono state rese disponibili le schede tossicologiche. Il dipendente era soggetto a sorveglianza sanitaria con periodicità trimestrale e con esami ematochimici annuali, Rx torace biennale alternato a PFR, in assenza di dati relativi al monitoraggio ambientale e biologico. All’anamnesi patologica si rileva intervento di rinosettoplastica (nel 1983), asportazione di cisti del mascellaere dx, intervento di lobectomia polmonare inf. dx per “carcinoma neuroendocrino ben differenziato del polmonare (carcinoide)” (nel 1999). Nel marzo 2001 comparsa di episo- dio di ematuria con diagnosi di carcinima vescicale ed intervento, nello stesso mese, di TURV di lesione vescicale. L’es. istologico documentava “neoplasia uroteliale papillare a basso potenziale di malignità secondo WHO ISUP. Iniziale infiltrazione del corion”. Ha effettuato successivamente cicli di chemioterapia locale e controlli trimestrali con cistoscopia. Discussione e conclusioni Sebbene il carcinoma della vescica urinaria sia una delle neoplasie più frequenti, soprattutto nel sesso maschile, la sua eziopatogenesi rimane in gran parte oscura. È comunque accertato che l’insorgenza della malattia può essere determinata dallo stile di vita e da diversi fattori fisici, chimici o biologici presenti nell’ambiente di vita e di lavoro. I fattori di rischio più noti sono l’abitudine al fumo, l’esposizione professionale ad alcune amine aromatiche (benzidina, 2-naftilamnina, 4-aminodifenile) e per le forme epidermoidi, le infestazioni da Bilharzia. Esistono anche prove a favore di una componente genetica, infatti studi recenti hanno evidenziato che la presenza fenotipo NAT1 (acetilatore lento) a livello dell’urotelio è strettamente correlato con i livelli di adotti del DNA e che il rischio di sviluppare neoplasia vescicale è molto più elevato nei soggetti con l’isoenzima acetilatore lento. È pertanto difficile stabilire con chiarezza l’eziologia del caso presentato, ed attribuire un ruolo eziopatologico alle sostanze chimiche utilizzate durante l’attività lavorativa. Tuttavia il ciclo produttivo prevedeva l’esposizione a solventi e a miscele di coloranti e il paziente aveva lavorato nello stesso reparto per 20 anni. I dati disponibili non permettono comunque di quantificare l’esposizione del paziente. In conclusione, il caso presentato suggerisce che nonostante l’eliminazione di sostanze chimiche e di preparati pericolosi, prevista da recenti norme, nell’industria conciaria l’inadeguatezza degli interventi preventivi e l’assenza di monitoraggi ambientali e biologici, potrebbero favorire la persistenza e/o il mancato riconoscimento di fattori responsabili di un incremento del rischio per il cancro della vescica. I dati della letteratura confermano la necessità di definire il ruolo di altri fattori occupazionali, meno studiati, nell’insorgenza del cancro vescicale nell’industria conciaria. In questa prospettiva, i dati INAIL riguardanti le denunce di malattie professionali nel comparto concerie nel quadriennio ‘99-’02, evidenziano ben 145 casi denunciati, di cui 31 indennizzati. Il numero delle denunce per anno è rispettivamente di 30, 37, 33, 46. I dati disponibili non permettono in tutti i casi di individuare le patologie ascrivibili alle sostanze denunciate e nel caso di neoplasie, di individuare il tipo di neoplasia. Bibliografia 1) Siemiatyckj J. Ocupational risk factors for bladder cancer: results from a case-control study in Montreal, Quebec, Canada. Am J Epidemiol 1994; 140: 1061. 3) Ward EM, Burnett CA, Ruder A, Davis-King K. Industries and cancer. Cancer Causes Control 1999 May; 8 (3): 356-70. 4) Zeegers MP, Swaen GM, Kant I, Goldbohm RA, van den Brandt PA. Occupational risk factors for male bladder cancer: results form a population based case cohort study in the Netherlands. Occup Environ Med 2001 Sep; 58 (9); 590-6. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 429 G. Mandelli, M. Migliori, G. Mosconi Analisi di una casistica di “mesoteliomi” in provincia di Bergamo Unità Operativa di Medicina del Lavoro, Ospedali Riuniti di Bergamo Il Mesotelioma maligno è un tumore raro nella popolazione generale che colpisce più frequentemente soggetti con esposizione professionale ad amianto. Dal 1996 al 2002 sono stati segnalati all’Unità Operativa di Medicina del Lavoro degli Ospedali Riuniti di Bergamo 173 casi di “Mesotelioma” (fig. 1). 98 sono maschi con una età media pari a 65 anni e 75 sono femmine con età media pari a 55. 79 casi, appartenenti ai settori lavorativi dell’ edilizia, della metalmeccanica, della siderurgia e della tessitura di fibre di amianto sono stati segnalati come malattia professionale agli organi territoriali di competenza specifica (INAIL ed ASL) (fig. 2). Tra quelli non denunciati come malattia professionale 27 soggetti, la maggior parte di sesso femminile, appartengono al settore tessile (esclusa la tessitura dell'amianto) e 8 alla agricoltura. Gli autori ritengono che una possibile parte di rischio, seppure ancora misconosciuto e da valutare, possa risiedere nelle coibentazioni di tubature rivestite da amianto, nei ferodi dei freni delle macchine nel settore tessile e nella presenza di tetti in eternit sulle stalle presenti nel settore agricolo. Figura 1. Casi venuti ed osservati presso la UOOML di Bergamo divisi per anno Tabella I. Casi diagnosticati come “mesoteliomi “ segnalati come malattia professionale e settore lavorativo di provenienza Settore lavorativo Numero casi Siderurgico / metallurgico 29 Edile 21 Metalmeccanico 11 Tessile dell’amianto 10 Tabella II. Casi diagnosticati come mesoteliomi non segnalati come malattia professionale e settore lavorativo di provenienza Settore lavorativo Numero casi Tessile 27 Metalmeccanico 15 Agricoltura 8 Servizi/pubblica amministrazione 5 Trasporti 4 Commercio 4 Edilizia 2 Gomma/plastica 2 Alimentare 2 Legno 2 Siderurgico 1 Chimico 1 Sanitario 1 (I) (II) I: soggetti per i quali non si sono riscontrate esposizioni ad amianto anche se appartenenti ad un settore a rischio II: soggetti con esposizione ambientale Bibliografia Figura 2. Casi denunciati come malattia professionale divisi per anno Boutin C, Schlesser M, Frenay C, Astoul PH. Malignant pleural mesothelioma. Eur Respir J 1998; 12: 972-981. La Rivista del Medico Pratico. Mesotelioma Pleurico Maligno. Novembre 2000. Anno 20. Il Registro Mesoteliomi della Lombardia. Gennaio 2000. POSTER 430 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it G. Pavesi, C. Papageorgiou, G. Mosconi, D. Borleri, G. Mandelli, F. Bigoni, M. Riva Le abitudini di vita di una popolazione di edili Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo Tabella I. Caratteristiche della popolazione Introduzione A partire dal 1996 l’unita operativa di Medicina del Lavoro dell’Azienda ospedaliera degli Ospedali Riuniti di Bergamo in collaborazione con il Comitato Paritetico Territoriale ha avviato un’indagine sanitaria di comparto che attualmente ha coinvolto 1485 lavoratori di sesso maschile di 150 piccole-medie imprese edili. Materiali e metodi Il campione include 178 capi cantiere e impiegati tecnici, 834 operai specializzati di cui 657 muratori e 177 carpentieri, 263 operai comuni (manovali e apprendisti) 165 gruisti e autisti, 45 impiegati amministrativi, visitati nell’ambito della sorveglianza sanitaria. È stata compilata una cartella clinica dove sono state scrupolosamente riportate le abitudini voluttuarie. Le informazioni raccolte durante il colloquio sono state anche integrate con indagini di laboratorio comprensive di γGT, colesterolemia e trigliceridemia. Risultati Il campione ha un’età media di 36,5 anni (range 15-67) ed un’anzianità lavorativa media di 18,8 anni (range 1-50) (tabella I). L’analisi della casistica mostra come il 52,3% dei lavoratori sia un fumatore e la maggioranza (43%) fuma tra le 10-20 sigarette/die (tabella II). La maggioranza della popolazione, più del 90%, consuma regolarmente bevande alcoliche di cui il 12,45% consuma più di un litro di vino Capi cantiere Impiegati Operai amministrativi specializzati Operai comuni Autistigruisti Numero 178 42 833 263 165 Età media 37,5 36 37,56 31,52 17,08 Anzianità lav. 17,4 12,69 18,85 10,756 17,08 Fumatori 74 (41%) 16 (38%) 457 (54,86%) 140 (53,23%) 95 (57,22%) Bevitori 173 (97,44) 41 (93,33) 756 (90,77) 243 (94,56) 151 (91,67) Consumo di superalcolici 29 (16,3%) 0 197 (23,64%) 31 (11,78%) 33 (19,87%) γGT superiori alla norma 33 (18,53%) 6 (14,28%) 139 (16,68%) 24 (9,12%) 32 (19,39%) TG superiori alla norma 28 (15,7%) 8 (19,04%) 153 (18,36%) 41 (15,58%) 42 (25,45%) Colesterolo tot. superiore alla norma 86 (48,31%) 15 (35,71%) 383 (45,97%) 84 (31,93%) 86 (52,12%) Tabella II. Abitudine al fumo di tabacco sigarette n°/die Capi cantiere n° (%) Impiegati amministrativi n° (%) Operai specializzati n° (%) Operai comuni n° (%) Autisti-gruisti n° (%) Meno di 10 23 (31,1) 7 (43,75) 103 (22,55) 37(26,42) 16 (16,84) Tra 10 e 20 28 (37,8) 7 (43,74) 206 (45,07) 61 (43,57) 42 (44,21) Maggiore di 20 23 (31,1) 2 (12,5) 148 (32,38) 42 (30,00) 37 (38,94) Tabella III. Suddivisione per mansione dei forti consumatori di bevande alcoliche (>1 L) bevanda alcolica L/die 1-2 litri Più di 2 litri Capi cantiere n° (%) Impiegati amministrativi n° (%) Operai specializzati n° (%) Operai comuni n° (%) Autisti-gruisti n° (%) 24 (13,5) 1 (2,4%) 106 (12,7%) 17 (6,4%) 18 (10,9%) – – 6 (0.7) 3 (1,04) – Tabella IV. Distribuzione della BMI Numero soggetti (%) Sottopeso (BMI <18.5) Normopeso (19 <BMI <24,9) Soprappeso (25 <BMI <29,9) Obesità (BMI >30) 10 (0.6%) 839 (56,5%) 557 (37,85%) 79 (5,31%) G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it al giorno. In due casi l’abuso di alcool e le relative conseguenze sulla salute sono state causa del giudizio di non idoneità alla mansione. Il 19,4% dei soggetti dichiara un consumo quotidiano di superalcolici. Gli impiegati amministrativi e tecnici consumano meno bevande alcoliche e fumano un minor numero di sigarette rispetto agli operai. La percentuale di soggetti con un incremento delle γGT nel sangue è del 15,74% e tale percentuale si alza al 99% in coloro che bevono più di due litri di vino al giorno. I risultati documentano inoltre una incremento del BMI, del colesterolo totale e dei trigliceridi nel sangue rispetto alla popolazione generale. Il 43% della popolazione risulta infatti in sovrappeso ed il 30% svolge attività sportiva regolare. Discussione Da una prima analisi si può osservare come gli addetti in questo settore siano forti fumatori (4) e bevitori (2,5). L’alta prevalenza di fumatori contribuisce a determinare i deficit respiratori documentati (6) e l’abuso di alcool oltre a causare effetti tossici sistemici e aumentare gli infortuni (3) ha influito sui giudizi di non idoneità. L’incremento del Body Mass Index può essere parzialmente spiegato dallo sviluppo della massa muscolare. In conclusione si ritiene necessario prevedere programmi di formazione/informazione e di educazione sanitaria finalizzata al controllo delle abitudini di vita. POSTER 431 Bibliografia 1) Arndt V, Rotbenbacber D, Drenner H, Fraisse E, Zscbenderlein D, Daniel U, Scbuberth S, Flipdner TM. Older workers in the construction industry: results or a routine health examination and a five year follow up. Occup Environ Med Vol 1996; 53 (10): 686-91. 2) Brenner H, Arndt V, Rothenbacher D, Schuberth S, Fraisse E, Fliedner TM. The association between alcohol consumption and all-cause mortality in a cohort or male employees in the German construction industry. Int J Epidemiol 1997; 26 (1): 85-91. 3) Lipscomb HJ, Dement JM, Li. Health care utilization or carpenters with substance abuse-related diagnoses. Am J Ind Med 2003; vol 43 (2): pag. 120-31. 4) Rothenbacher D, Arndt V, Fraisse E, Zschenderlein D, Fliedner TM, Brenner H. Early retirement due to permanent disability in relation to smoking in workers of the construction industry. J Occup Environ Med 1998; vol 40 (1): pag. 63-8. 5) Ueno S, Hisanaga N, Jonai H, Shibata E, Kamijima M. Association between musculoskeletal pain in Japanese construction workers and iob, age, alcohol consumption, and smoking. Ind Health 1999; vol 37 (4): pag. 449-56. 6) Mosconi G, Borleri D, Mandelli G, Prandi E, Belotti L. Le malattie da lavoro in edilizia. La Medicina del Lavoro 2003; vol 94 (3): pag. 296-311. POSTER 432 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it M.M. Riva, L. Belotti, G. Mosconi L’ipoacusia da rumore nel comparto edile Unità Operativa di Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo I risultati dello studio della soglia audiometrica cui sono stati sottoposti 1485 lavoratori di 150 imprese edili (età media 36,5 anni, anzianità lavorativa media 18,8 anni), consentono di aggiungere utili informazioni sull’esposizione professionale a rumore in questo settore per il quale si prefigurano notevoli difficoltà nell’esecuzione di indagini fonometriche. Su un totale di 161 denunce di malattia professionale in questa popolazione, 139 (86.3%) sono segnalazioni di ipoacusia da rumore. Su 1327 lavoratori esposti a rumore 764 soggetti (58%) utilizzavano protettori uditivi individuali, mentre 563 (42%) non ne facevano uso. Una prima analisi delle condizioni uditive del campione può essere effettuata mediante l’applicazione della classificazione delle audiometrie con il Metodo Merluzzi (Merluzzi 1979), riportata nella tab. I. Si osserva come, secondo le aspettative, l’evoluzione dell’ipoacusia da rumore, dalla normoacusia al grado 5 della Classificazione Merluzzi, avviene con l’aumentare dell’età e conseguentemente dell’anzianità lavorativa (fig. 1). Si possono fare inoltre alcune considerazioni sulle caratteristiche della popolazione di soggetti per i quali è stata inoltrata denuncia di ipoacusia professionale, dopo aver premesso che il criterio di segnalazione è quello a suo tempo fissato da Marello (1992). La popolazione di 139 soggetti per i quali è stata inoltrata la segnalazione di ipoacusia professionale ha un’età media di 47.7 anni, un’anzianità lavorativa media di 28.5 anni; di essi, 61 non utilizzavano protezioni individuali mentre 78 ne facevano uso, almeno al momento dell’indagine. Infine, dividendo i casi denunciati in base alla mansione, si rileva come la maggioranza sia costituita da muratori, 80 casi pari al 57.5%; seguono i carpentieri (18 casi), gli operai comuni (16 casi), gli impiegati tecnici/capi-cantiere (15 casi) ed infine 10 lavoratori addetti ad altre mansioni (camionisti, gruisti). Questo dato trova una giustificazione nel fatto che i muratori rappresentano la categoria più numerosa del campione (44%) e conferma quanto riportato nella letteratura italiana (Comitato Paritetico di Torino 1996) ove le figure di muratore, carpentiere ed operaio comune risultano le più esposte a rumore. Un’altra considerazione sull’esposizione professionale a rumore nel comparto edile deriva dall’analisi delle denunce di ipoacusia inoltrate nel Tabella I. Caratteristiche della soglia audiometrica della popolazione, in base alla Classificazione Merluzzi, ripartita per età e per anzianità lavorativa Figura 1. Percentuale, età media ed anzianità lavorativa della popolazione divisa per classi secondo Merluzzi Tabella II. Analisi delle denunce di ipoacusia della UOOML di Bergamo: settore produttivo prevalente Settore produttivo N° denunce % Costruzioni 314 44.4 Metalmeccanico 187 26.4 Tessile 31 4.4 Legno 27 3.8 Chimico 23 3.2 Leganti idraulici 22 3.1 quinquennio 1996-2000 dalla U.O.O.M.L. degli Ospedali Riuniti di Bergamo: su un totale di 707 segnalazioni il 44.4% (314 casi) appartenevano al comparto edile. Si riporta in tab. 2 la ripartizione delle segnalazioni di ipoacusia in base al comparto prevalente. Dai risultati dello studio è possibile concludere che il rumore è un fattore di rischio molto diffuso nel comparto edile, nei confronti del quale è necessario promuovere iniziative di informazione e formazione. Grado Class. Merluzzi Numero % Età media (anni) A.L. Media (anni) 0 760 51.3 30.8 11.6 Bibliografia 1 423 28.4 39.8 20.0 2 170 11.4 46.0 26.1 3 67 4.5 49.3 29.0 4 12 0.8 48.7 32.2 5 7 0.4 53.1 32.3 6 8 0.5 45.0 24.6 7 38 2.5 38.4 16.6 Comitato Paritetico Territoriale Prevenzione Infortuni Igiene e Ambiente di Lavoro di Torino e Provincia. Edilizia Seiduesei? Ricerca in materia di sicurezza, igiene e ambiente di lavoro nel settore edile finalizzata alla valutazione dei rischi durante il lavoro nelle attività edili. Torino, Edizioni Edilscuola 1996. Marello G. Aspetti penalistici delle ipoacusie di rilevanza medico-legale. Rivista degli infortuni e delle malattie professionali. 1992; Fascicolo 3, pp 231-246. Merluzzi F, Cornacchia L, Parigi G, Terrana, T. Metodologia di esecuzione del controllo dell’udito dei lavoratori esposti a rumore. Nuovo Arch Ital Otol 1979; vol 7, pp 695-714. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 433 C. Papageorgiou, P. Leghissa, R. Cortinovis, L. Cologni, R. Valsecchi, G. Mosconi, G. Pavesi Le dermatiti professionali in edilizia Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo Le malattie cutanee sono da anni tra le più frequenti patologie nel settore edile. Già Bernardino Ramazzini nel Suo trattato “Le malattie dei lavoratori” descriveva così le lesioni cutanee degli operatori edili: “…la calce rende ruvide le mani dei muratori e qualche volta vi produce delle piaghe…” (1). Certamente dal lontano 1713 sono stati fatti passi da gigante per conoscere i meccanismi eziopatogenetici delle patologie cutanee professionali del settore edile; altrettanto, invece, non si può dire per quanto riguarda la prevenzione, infatti, da alcuni dati di una recente indagine GIRDCA svolta negli anni 1984-1993 il settore delle costruzioni è tra i cinque settori lavorativi più a rischio d’insorgenza di patologie cutanee (2). Gli Autori riportano uno studio retrospettivo relativo ai casi di patologia allergica professionale nel settore edile diagnosticati presso l’Unità Operativa di Medicina del Lavoro degli OO.RR. di Bergamo nei 16 anni di attività dell’ambulatorio dedicato alla diagnosi e prevenzione di tali patologie. Nel corso di questi anni sono stati visitati 3024 soggetti di cui 387 lavoratori edili pari al 12,8% della popolazione afferente al nostro ambulatorio. Nel 60% di questi pazienti è stata diagnosticata una patologia cutanea professionale ed in particolare il 96% era affetto da dermatiti di tipo eczematoso, mentre il 5% presentava altri quadri clinici. Dall’analisi particolareggiata della tabella I si evidenzia come le dermatiti da contatto allergiche, con l’84% dei casi diagnosticati, siano le patologie più rappresentative, mentre le dermatiti da contatto irritante rappresentino il 25%. Assai contenuti, invece, i casi di altre patologie professionali come: le follicoliti, le orticarie e le dermatosi attiniche. Nel 69% dei casi le lesioni cutanee interessavano unicamente gli arti superiori o quelli inferiori, mentre il 29% presentava lesioni plurifocali e l’1,8% aveva lesioni al volto tipiche di un quadro di air born contact dermatitis. Il 31% dei soggetti affetti da dermatiti da contatto presentava un’unica sensibilizzazione, mentre il 52% era polisensibilizzato. La sensibilizzazione verso il bicromato di potassio, presente nel 89,1% dei casi, risulta essere la causa principale per lo sviluppo di una dermatite allergica da contatto da cemento, mentre le sensibilizzazioni verso il cobalto ed il nichel sono sempre associate al cromo e raramente presenti come monosensibilizzazioni. Nel 35% dei nostri lavoratori abbiamo documentato sensibilizzazioni ad uno o più apteni utilizzati nel processo di vulcanizzazione della gomma e rappresentano, per importanza, la seconda causa di dermatite allergica da contatto; la fonte di tale sensibilizzazioni risultano i dispositivi di protezione individuale come i guanti e gli stivali. Da segnalare come, anche nel comparto edile, siano in aumento i casi di sensibilizzazione verso le resine epossidiche utilizzate come sigillanti e collanti e verso le resine p ter butil fenolformaldeidiche impiegate nei processi di coibentazione. Bibliografia 1) Ramazzini B. Le malattie dei lavoratori. Cap. XII (le malattie di chi lavora col gesso e la calce). La nuova Italia Scientifica; Roma 1982. 2) Sertoli A e coll. Indagine epidemiologica GIRDCA (gruppo Italiano Ricerca Dermatiti da Contatto e Ambientali) sulle dermatiti da contatto in Italia (1984-1993). Dermatiti da contatto professionali (nota II). Bollettino di Dermatologia allergologica e professionale Vol 11 n. 1-2, 1996: 153-174. POSTER 434 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it A. Cristaudo, R. Foddis, G. Guglielmi, R. Buselli, V. Gattini, F. Messa, N. Dipalma, F. Ottenga SV40 ed alcuni classici tumori professionali Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e Medicina del Lavoro, Università di Pisa Introduzione Bibliografia È stato dimostrato che l’SV40, appartenente al genere Polyomavirus, della famiglia Papovaviridae (1), è in grado di trasformare cellule in coltura (2, 3, 4) e di indurre tumori nei roditori (5), quali sarcomi (6), ependimomi (7), osteosarcomi e linfomi (8); in particolare, l’iniezione intrapleurica in hamsters dà origine a mesoteliomi nel 100% dei casi (9). Studi biomolecolari hanno dimostrato il ruolo centrale dell’antigene T (TAg), un’oncoproteina in grado di legare ed inattivare la proteina p53 (10), di indurre mutazioni puntiformi, riarrangiamenti cromosomici e, talora, aneuploidie (11). Non trascurabile, inoltre, risulta l’attività dell’oncoproteina tag che sembra avere la capacità di incrementare il potere trasformante di TAg (12).Tali evidenze sperimentali hanno suggerito che l’SV40 potesse avere un ruolo nell’etiopatogenesi degli analoghi tipi tumorali umani. Di fatto, si è scoperta la presenza di sequenze di SV40 in vari tumori umani (13): tumori cerebrali - astrocitomi, riportati in percentuale dal 12% al 73% (14, 15, 16,17); glioblastomi, dal 33% al 50% (15, 17); ependimomi, dal 72% al 90% (18, 16); tumori dei plessi corioidei, dal 50% al 90% (18, 15, 16) - osteosarcomi, dal 40% al 50% (19, 20), linfomi non-Hodgkin (42%) (21) e, soprattutto, mesoteliomi, dal 44% all’85% (22, 23, 24, 25). 1) Sweet BH, Hilleman MR. Proc Soc Exp Biol Med, 105: 420-427, 1960. 2) Shein H, Enders JF. PNAS, 48: 1164-1169, 1962. 3) Bocchetta M, Di Resta I, Powers A, Fresco R, Tosolini A, Testa JR, Pass HI, Rizzo P, Carbone M. PNAS, 97: 10214-10219, 2000. 4) Foddis R, De Rienzo A, Broccoli D, Bocchetta M, Stekala E, Rizzo P, Tosolini A, Grobelny JV, Jhanwar SC, Pass HI, Testa JR, Carbone. Oncogene, 21: 1434-1442, 2002. 5) Girardi AJ, Sweet BH, Slotnick VB et al. Proc. Soc Exp Biol Med, 109: 649-660, 1962. 6) Eddy BE, Borman GS, Grubbs GE, Young RD. Virology, 17: 65-75, 1962. 7) Rabson AS, Malmgren RA, O’Conor GT, Kirchstein RL. J Natl Cancer Inst, 29: 1123-1145, 1962. 8) Diamandopoulos GT. Science, 176: 173-175, 1972. 9) Cicala C, Pompetti F, Carbone M. Am J Pathol, 142: 1524-1533, 1993. 10) Carbone M, Rizzo P, Pass HI. Oncogene, 15: 1887-1888, 1997. 11) Testa JR, Pass HI, Carbone M. Principles and Practice of Oncology (VI edition). De Vita, Hellman, Rosenberg eds, Philadelphia, 2000. 12) Cicala C, Pompetti F, Nguyen P, Dixon K, Levine AS, Carbone M. Virology, 190: 475-479, 1992. 13) Jasani B, Cristaudo A, Emri SA, Gazdar AF, Gibbs A, Krynkska B, Miller C, Mutti L, Radu C, Tognon M, Procopio A. Association of SV40 with human tumours. Seminar in Cancer Biology, vol 11, 2001: pp 49-61. 14) Krieg P, Amtmann E, Jonas D, Fischer H, Zang K, Sauer G. PNAS, 78: 6446-50, 1981. 15) Barbanti-Brodano G, Trabanelli C, Lazzarin L, Martini F, Merlin M, Calza N, Corallini A, Tognon M. G Ital Med Lav Erg, 20 (4): 218224, 1998. 16) Martini F, Iaccheri L, Lazzarin L, Carinci P, Corallini A, Gerosa M, Iuzzolino P, Barbanti-Brodano G, Tognon M. Cancer Research, 56: 4820-4825, 1996. 17) Zhen H, Zhang X, Bu X, Zhang W, Huang W, Zhang P, Liang J, Wang X. Cancer, 86: 2124-32; 1999. 18) Bergsagel DJ, Finegold MJ, Butel JS, Kupski WJ, Garcea R L. New England Journal of Medicine, 326: 988-993, 1992. 19) Carbone M, Rizzo P, Procopio A, Giuliano M, Pass HI, Jebhardt MC, Mangham C, Hansen M, Malkin DF, Bushart G, Pompetti F, Picci P, Levine AS, Bergsagel JD, Garcea RL. Oncogene, 13: 527-535, 1996. 20) Lednicky JA, Stewart AR, Jenkins JJ et al. Int J Cancer, 72: 791-800, 1997. 21) Vilchez RA, Madden CR, Kotzinetz CA, Halvorson SJ, White ZS, Jorgensen JL, Finch CJ, Butel JS. The Lancet 359: 817; 2002 22) Carbone M, Pass HI, Rizzo P, Marinetti M, Di Muzio M, Mew DJY, Levine AS, Procopio A. Oncogene, 9: 1781-1790, 1994. 23) Cristaudo A, Vivaldi A, Sensales G, Guglielmi G, Ciancia E, Elisei R, Ottenga F. Journal of Environmental Pathology, Toxicology and Oncology, 14: 29-34, 1995. 24) Cristaudo A, Powers A, Vivaldi A, Foddis R, Guglielmi G, Gattini V, Buselli R, Sensales G, Ciancia E, Ottenga F. Anticancer Research, 20: 895-898, 2000. 25) Butel JS, Lednicky JA. Journal of the National Cancer Institute, 91: 119-134, 1999. Materiali e metodi Sono stati analizzati campioni istologici fissati in formalina ed inclusi in paraffina di adenocarcinomi dei seni paranasali di tipo intestinale (ITAC) ed uroteliomi vescicali. Dopo l’estrazione del DNA, attraverso un protocollo standard, si è proceduto alla ricerca di sequenze nucleotidiche del virus appartenenti alla regione regolatrice, mediante PCR e successivamente Southern Blot. Risultati Su 12 campioni di urotelioma analizzati 3 sono risultati positivi per la regione regolatrice (25%). Su 8 campioni di ITAC dei seni paranasali ben 6 sono risultati positivi per la regione regolatrice (75%). Commenti Le indagini per la ricerca di sequenze di SV40 nei tumori analizzati fino ad oggi in letteratura suggeriscono che il ruolo eziopatogenetico del virus non assume la stessa rilevanza tra i diversi tipi di tumore. Anche per le tre neoplasie, spesso di origine professionale, che abbiamo incluso in passate ed in attuali ricerche (mesoteliomi, adenocarinomi senoparanasali ed uroteliomi) sembra valere la stessa considerazione. Infatti negli ITAC dei seni paranasali analizzati nel presente studiole sequenze specifiche del virus sono presenti nel 75% dei campioni, nelle vesciche tale percentuale scende al 25%. I mesoteliomi da noi testati in precedenti lavori invece si caratterizzavano per una percentuale di positività per sequenze virali di circa il 55%. È intuibile che questa differenza di prevalenza di positività ciò derivi dal diverso tropismo del virus per i diversi tessuti umani. Anche questa osservazione suggerisce che il rapporto dell’SV40 con le diverse neoplasie professionali, qualora confermato, non possa essere considerato univoco, ma deve trovare una chiave di lettura nell’ottica della genesi multifattoriale dei tumori, insieme alla specifica frazione etiologica professionale. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 435 GL. Musca, M. Muratore Sicurezza e flessibilità Studio Specialistico dott. Massimo Muratore, Lecce Flessibilità a tutti i costi sembra essere il motto degli ultimi tempi nell’ambito del lavoro. Flessibilità per creare nuove ed ulteriori prospettive occupazionali, per rendere l’Italia coerente al principio costituzionale di cui all’art. 1 della nostra Costituzione: “...L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. O forse per raggiungere quell’obiettivo del diritto al lavoro di cui all’art. 4 della Cost. “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro...”. E, al raggiungimento di tutti questi obiettivi si sta cercando di tendere, se si considera la massiccia frantumazione di quella che rappresentava la vecchia distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e lavoro autonomo. Siamo nel pieno di una rivoluzione epocale nel mondo del lavoro: si assiste infatti ad una intensificazione di nuovi contratti di lavoro, rectius di nuove forme di lavoro che, si spera, riescano ad attuare l’obiettivo della piena occupazione oltreché quello della soppressione del fenomeno del lavoro sommerso. Ma questo è un altro problema... Facciamo un passo indietro. Abbiamo poc’anzi fatto riferimento alla tradizionale distinzione del rapporto di lavoro: autonomo o subordinato. In questa fase, abbiamo visto, per quanto possibile, una tendenza alla tutela dei lavoratori sotto i più diversi punti di vista: si è cercato, con diversi espedienti, il modo di garantire ai lavoratori, soprattutto con riferimento a quelli subordinati, quanti più diritti possibile. Ci si riferisce alla questione licenziamenti, sicurezza, diritti etc... In questo contesto si è voluto analizzare il problema della salute e della sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro. Con l’integrazione europea, certamente l’Italia è stata costretta a prestare una maggiore attenzione ad alcune problematiche, anche in virtù delle modalità operative della Comunità Europea, e tra queste il tema dalla salute e della sicurezza dei lavoratori riveste non poca importanza. La Comunità ha avuto indubbiamente un ruolo guida in materia di sicurezza sul lavoro e, in Italia, il primo importante intervento può considerarsi il D.lgs. 626/94, in quanto rivoluzionario rispetto al precedente sistema prevenzionistico, ricco e fitto di leggi anche se, disarmonizzate e stratificate. Il suddetto decreto legislativo ha dato attuazione a numerose direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori, ma non è l’unico che si occupa di sicurezza: vi sono, infatti una miriade di norme che dettagliatamente disciplinano vari settori lavorativi, come ad es. quello edile, oppure che disciplinano le modalità di svolgimento, in sicurezza, di particolari attività lavorative, come ad es. il lavoro al videoterminale. Con riferimento, invece, al D.lgs. 626/94, occorre segnalare che si tratta di un particolare impianto normativo che per la sua struttura bene si adatta a prescrivere misure per la tutela della salute in tutti i settori di attività, siano essi pubblici o privati. Si è parlato inizialmente di flessibilità ed ora si e parlato di sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro. Che nesso c’è tra i due argomenti? Il problema che ci siamo posti è stato quello di vedere se al grande interesse per la normazione di nuove forme di lavoro flessibili, è seguita un’altrettanta attenzione a mantenere ferme quelle garanzie dei lavoratori, per ottenere le quali, tanto si è lavorato: il nostro studio è ovviamente circoscritto alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Dall’esame di alcune delle varie forme flessibili di lavoro, è emersa una carenza normativa, forse per un sottinteso riferi- mento e rinvio al D.lgs. 626/94 o al più generico art. 2087 c.c. definito, quest’ultimo, norma di chiusura in quanto applicabile nei casi, appunto, di carenza normativa e fa obbligo, al datore di lavoro, di adottare nell’esercizio dell’impresa, le misure che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Quale, dunque, la situazione alla luce di questa nuova realtà? Una miriade di nuove forme di lavoro, in attesa di prossima legiferazione in attuazione dell’ultimissima approvazione della Riforma Biagi, avvenuta il 5 febbraio dell’anno in corso: il D.d.l. 848/01 e 848/bis, convertito in L. 14 Febbraio, n. 30 e pubblicata su G.U. n. 47 del 26 Febbraio 2003. Anche questa Riforma è stata un’ulteriore occasione persa per disciplinare, contemporaneamente, sia l’aspetto propriamente contrattuale, sia quello relativo alle norme da applicare per la salvaguardia dei lavoratori. Probabilmente perché un altro programma del Governo in cantiere è la redazione di un Testo Unico, il D.d.l. 776/01, in grado di riordinare l’eccesso di regolamentazione legislativa, causato dal recepimento di numerose direttive comunitarie in materia. Le leggi che hanno recepito le direttive europee si sono, a loro volta, aggiunte a disposizioni normative vecchie di decenni, dando vita ad una difficile integrazione ed incapacità di ridurre il fenomeno infortunistico anche a causa dell’eccessiva burocratizzazione. Altra considerazione interessante è relativa al fatto che l’estensione dell’ambito di applicazione soggettiva del D.lgs. 626/94 non è stata accompagnata da modifiche normative modellate in funzione della peculiarità di tutte le emergenti forme di lavoro alternative al tradizionale impiego a tempo pieno, indeterminato e svolto in azienda: valga per tutti l’esempio dei collaboratori coordinati e continuativi. All’interno del Libro bianco vi sono i criteri direttivi in base ai quali dovrà essere elaborato il Testo Unico. L’emanazione del Testo Unico sembra essere tanto necessaria ed urgente, soprattutto in virtù della sentenza della Corte Europea 15 dicembre 2001 relativa alla causa C. 49/00 che condanna l’Italia per carente attuazione della direttiva 89/391. Ma da parte di non tutti i fronti vi è accordo nei riguardi di questo progetto. CGIL e CISL hanno criticato il modo di operare del governo nella realizzazione del progetto: si parla di lavori eseguiti in stanze buie, di Testo Unico fantasma, e soprattutto si critica la mancata partecipazione, durante la fase di progettazione, di tutti quei soggetti ai quali sarebbe spettato l’accesso. Si rende pertanto necessario denunciare, innanzitutto, questa tendenza operativa filo-governativa che non condurrà alla risoluzione di quelle che si presentano come le più immediate esigenze in materia di salute e sicurezza dei lavoratori. È necessario, sì operare una sorta di riordino di tutta la materia normativa in possesso, ma è anche necessario garantire, indipendentemente dal tipo di rapporto lavorativo, la sicurezza e la salute di chiunque si trovi ad effettuare una prestazione lavorativa. Non bisogna guardare al problema come un adempimento fine a se stesso, ossia proficuo solo nei riguardi dei destinatari, ma è necessario promuovere la cultura del lavoro in sicurezza anche nella prospettiva del miglioramento delle esigenze produttive: è facilmente intuibile, infatti, che migliorando le condizioni di lavoro, si migliora la qualità della vita e solo in tal caso, si può arrivare a parlare di vero progresso sociale. POSTER 436 Probabilmente, dunque, i principi generali devono essere fatti salvi nella prospettiva di linee guida. Per quanto poi più specificamente attiene alle norme da applicare nel caso di lavori flessibili, in questo momento, sarebbe più auspicabile, probabilmente non tanto adottare “provvedimenti” a tutti i costi, quanto, piuttosto procedere ad una fase di monitoraggio,ad ampio spettro, delle varie forme di lavoro flessibile, al fine di individuare quali interventi potrebbero risultare più efficaci di altri per far sì che l’attività lavorativa, sebbene svolta in maniera flessibile, non arrechi al lavoratore nessun effetto collaterale. Si dovrebbe pertanto partire dalla distribuzione della forza lavoro, impiegata nei vari settori e creare una griglia di valutazione in funzione della peculiarità del rapporto di lavoro, che fornisca riferimenti sia per la predisposizione di misure di prevenzione, sia ai fini di individuare le nuove patologie professionali legate alle “differenti” modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Tutto questo, in linea anche con l’attività messa in atto a livello europeo dall’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro. Gli Stati Membri, infatti, hanno avvertito l’esigenza di una maggiore cooperazione attraverso l’organizzazione di programmi e progetti di ricerca congiunti, previa individuazione delle principali aree prioritarie per le future attività di ricerca. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it Bibliografia L. 14 Febbraio, n.30 su G.U. n. 47 del 26 febbraio 2003 - Atti del 63° Congresso Nazionale SIMLII “Tutela della salute degli addetti ai lavori atipici”, Sorrento 10 novembre 2000. In: G It Med Lav Erg, 2002, Suppl al n. 24. Biocca M, Lelli MB, Roseo G. La formazione utile. Banca dati nazionale dei percorsi formativi di qualità. Atti Fiera Ambiente Lavoro, Modena 20-23 settembre 2000. Ferraro G. La flessibilità in entrata alla luce del Libro Bianco sul mercato del lavoro. In: Riv It Dir Lav, Milano, Giuffrè Editore, 2002, n. 4 Atti del Convegno Nazionale SIQUAM. La qualificazione degli operatori della sicurezza. Roma 3-4 ottobre 2002, in Ambiente & Sicurezza sul lavoro, Roma, EPC, 2002, n. 12. Lai M. La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva, Torino, Giappichelli Editore, 2002. Lepore M. Anche per i lavoratori atipici la sicurezza non è un optional. In: Ambiente & Sicurezza sul lavoro, Roma, EPC, 2003, n. 1 Treu T. Il Libro Bianco sul lavoro e la delega del Governo. In: Biagi M, Diritto delle Relazioni Industriali, Milano, Giuffrè Editore, 2002, n. 1. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 437 M. Musti1, M. Fontanarosa1, C. Foti2, D Cavone1, A. Maccuro1, G. Tantillo3 Zoonosi da vibrioni non colerici nel settore produttivo della depurazione dei molluschi bivalvi 1 2 3 Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Bari Dipartimento di Clinica Medica, Immunologia e Malattie Infettive, Sezione di Dermatologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari Dipartimento di Sanità e Benessere degli Animali, Sezione di Ispezione degli Alimenti Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari Premessa Il D.Lgs. n. 530/1992 in tema di “produzione e commercializzazione di molluschi bivalvi vivi destinati al consumo umano diretto” rende obbligatoria la depurazione per i molluschi raccolti in zone acquee di produzione classificate come B o C, a seconda delle rispettive caratteristiche microbiologiche. La depurazione dei molluschi eduli lamellibranchi, effettuata presso centri (CDM) autorizzati dal Ministero della Sanità, consente l’abbattimento della carica batterica totale e l’eliminazione di eventuali agenti patogeni nonché delle biotossine algali. Lo scopo della ricerca è quello di indagare la zoonosi batterica da Vibrio spp. nel settore produttivo della depurazione dei molluschi bivalvi. Recenti ricerche scientifiche sul rischio infettivo da microrganismi acquatici hanno rilevato, tra i patogeni emergenti, i vibrioni alofili non colerici responsabili di infezioni di ferite a seguito dell’esposizione della cute lesa ad acqua di mare o ad organismi quali pesci, molluschi bivalvi e crostacei (2, 3). La macerazione della cute dovuta al prolungato contatto con l’acqua marina, la manipolazione di organismi acquatici dotati di gusci taglienti, di spine o di pinne sono alcune delle condizioni in grado di favorire l’instaurarsi di lesioni cutanee e conseguentemente di possibili infezioni da Vibrio spp. a prevalente tropismo extraintestinale (1, 8, 9, 6). Le infezioni generalmente si autorisolvono nei soggetti sani ma in presenza di patologie quali diabete, malattie epatiche e renali, tumori o disfunzioni del sistema immunitario, si rendono necessarie cure mediche mirate (es. terapia antibiotica, toilette chirurgica della ferita). Le forme più severe, frequentemente sostenute dalla specie V. vulnificus, possono evolvere in celluliti, vasculiti necrotizzanti con formazione di ulcere, spesso associate a setticemia (4, 7). medio di addetti pari a 5 unità. In 4 centri le attività lavorative connesse alla depurazione dei molluschi bivalvi si svolgono prevalentemente all’aperto, mentre in 6 centri si svolgono in ambiente semi-confinato o al chiuso. Sono stati esaminati 47 addetti alla produzione, di cui 46 maschi ed una sola operatrice di sesso femminile. L’età media si aggira intorno ai 31 anni con un’anzianità lavorativa media nel settore di circa 9 anni. 33 operatori hanno mansione di operai generici, svolgendo tutte le operazioni del processo di lavorazione, dal ricevimento alla sistemazione in vasca, dalla cernita al confezionamento. I restanti si occupano della vendita al dettaglio. I dispositivi di protezione individuali più comunemente forniti ai lavoratori sono gli stivali, i guanti ed i grembiuli gommati. Gli stivali sono impiegati costantemente nel 70% dei casi al fine di evitare cadute e scivolamenti sul pavimento bagnato. Il 17% dei lavoratori dichiara di aver subito cadute sul pavimento reso scivoloso dall’acqua o ingombrato da cassette e altro materiale. Tabella I Utilizzo guanti N° operatori Percentuali Impiego costante 22 47% Impiego saltuario 23 49% Mancato impiego 2 4% Totale 47 100% Tabella II Materiali e metodi Motivazioni relative all’impiego mancato o saltuario dei guanti Lo studio, tutt’ora in corso, ha coinvolto 10 centri autorizzati di depurazione e spedizione di molluschi bivalvi (CDM/CSM) sul territorio di Bari e provincia. Nella fase preliminare dello studio è stata compilata una scheda aziendale con i dati di ciascun centro, una descrizione sintetica delle procedure lavorative e l’indicazione circa l’effettuazione della valutazione dei rischi lavorativi ai sensi della normativa vigente (D.Lgs. n. 626/1994 e successive modifiche). Gli addetti alla produzione sono stati sottoposti a visita medica per rilevare lo stato generale di salute ed i rischi occupazionali, e a visita specialistica dermatologica. In particolare è stato indagato il rischio infettivo da Vibrio spp. attraverso l’analisi delle possibili sorgenti d’infezione, delle modalità di lavoro che espongono a matrici potenzialmente contaminate da agenti biologici e dei fattori di rischio individuali. Sono state condotte indagini di laboratorio su campioni ambientali (acqua di lavorazione e molluschi bivalvi) e biologici (tamponi cutanei) secondo protocolli di ricerca standardizzati per l’isolamento e la caratterizzazione di Vibrio spp. di importanza clinica (ISS, 1997). Risultati I 10 centri autorizzati di depurazione e spedizione di molluschi bivalvi attualmente esaminati sono di piccole dimensioni, con un numero N° operatori Percentuali Impedimento percepito nel compiere talune manualità 16 64% Fastidio soggettivo 4 16% Condizioni microclimatiche 3 12% Bassa percezione del rischio 2 8% Totale 25 100% Tabella III Esame obiettivo della cute delle mani N° operatori Percentuali Condizioni di macerazione cutanea 6 13% Ferite da taglio 14 30% Verruche volgari 3 6% Negativo 24 51% Totale 47 100% POSTER 438 Sulle ferite riscontrate sono stati effettuati tamponi cutanei. Dei 14 tamponi eseguiti, 6 sono risultati positivi alla ricerca di Vibrio spp. con l’isolamento della specie Vibrio alginolyticus. Dai campioni ambientali (acqua di lavorazione e molluschi) sono state isolate le specie V. alginolyticus e V. parahaemolyticus. Conclusioni Nel settore produttivo della depurazione dei molluschi bivalvi i rischi lavorativi, individuati mediante questionario, sono risultati pressoché sovrapponibili ai rischi del comparto pesca-acquacoltura (5). L’indagine sul rischio infettivo da Vibrio spp., rivelatasi alquanto complessa soprattutto per la mancanza di dati epidemiologici di riferimento, è ancora in corso. In letteratura sono stati descritti casi sporadici di infezioni extraintestinali causate dalle specie V. alginolyticus e V. parahaemolyticus, riscontrate nei campioni biologici e ambientali analizzati. Poiché nessuna delle ferite in esame è andata incontro a modificazioni caratteristiche delle infezioni cutanee da Vibrio spp., possiamo dedurre che i ceppi batterici fino ad ora isolati non siano patogeni o che comunque non abbiano trovato condizioni favorevoli allo sviluppo dei loro fattori di virulenza. Dai dati relativi all’anamnesi dei lavoratori, non sono inoltre emersi significativi fattori di rischio individuali per l’infezione zoonotica oggetto di studio. Un solo operatore, affetto da diabete mellito, ha riferito di una ferita occorsa nel dicembre 2002, andata incontro ad infezione e successiva necrosi, che ha determinato l’amputazione delle falangi media e distale del terzo dito della mano destra. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it Bibliografia 1) Angelini G, Bonamonte D. Dermatologia acquatica. Milano, Ed. Springer-Verlag, 2001. 2) Collier DN. Cutaneous infections from coastal and marine bacteria. Dermatologic Therapy 2002; 15: 1-9. 3) Dalsgaard A. The occurrence of human pathogenic Vibrio spp. and Salmonella in aquaculture. Int J Food Sci Technol 1998; 33: 127-138. 4) Daniels NA, Shafaie A. A review of pathogenic Vibrio infections for clinicians. Infect Med 2000; 17: 665-685. 5) Durborow RM. Health and safety concerns in fisheries and aquaculture. 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Trizzino Il rischio chimico: metodologia di valutazione dei rischi in un Istituto di Ricerca Dipartimento di Medicina Interna e Patologie Sistemiche - Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Catania Introduzione L’esposizione ad agenti chimici negli ambienti di lavoro rappresenta un argomento complesso e controverso nell’ambito della nostra disciplina sia per la grande quantità di nuovi agenti ogni anno immessi nelle lavorazioni industriali che per l’impossibilità di evidenziarne completamente e tempestivamente le caratteristiche tossicologiche per l’applicazione delle norme di prevenzione. La valutazione dei rischi diventa ancora più problematica in caso di esposizione variabile ad agenti chimici, come si può verificare nell’ambito dell’attività di un laboratorio di ricerca, per il numero degli agenti chimici coinvolti e per le particolari modalità di esposizione dei ricercatori che spesso utilizzano le sostanze solo per brevi periodi di tempo. In tal caso infatti diventa quasi impossibile procedere ad una corretta quantificazione del livello di esposizione senza impostare un programma di monitoraggio continuo. Nell’ambito dell’attività svolta dalla nostra struttura ci siamo trovati a dover affrontare il problema della valutazione dell’esposizione professionale del personale operante nei laboratori chimici utilizzati presso il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Catania e abbiamo dovuto impostare un piano di valutazione che comportasse la corretta esposizione al rischio al fine dell’intervento sanitario preventivo e periodico del suddetto personale. Riferimenti legislativi La tutela della salute dei lavoratori comporta la necessità di evidenziare l’esposizione professionale, determinando il tipo e la quantità degli agenti nocivi, per poter applicare le norme di prevenzione espressamente previste dalla normativa di riferimento. L’obbligo della quantificazione del rischio, in precedenza previsto dalla normativa solo per alcuni fattori di rischio (piombo, asbesto, rumore, R.I., CVM) con il Decreto Legislativo 25 del 2 febbraio 2002 viene esteso all’esposizione agli agenti chimici. L’emanazione del D.Lgsl. 25/2002, modifica in modo rilevante l’intervento preventivo nell’ambito dell’esposizione ad agenti chimici con il recepimento della Direttiva 98/24/CE relativa alla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro. Inizialmente i riferimenti legislativi erano rappresentati esclusivamente dal D.P.R. 330/56 che alla tabella allegata all’art. 33 indicava gli agenti patogeni per i quali esisteva l’obbligo del controllo sanitario e la periodicità dell’intervento. La materia è stata modificata nel tempo con l’emanazione di ulteriori disposizioni di legge di cui ricordiamo le principali: DPR 185/64 (esposizione a radiazioni ionizzanti); DPR 1124/65 (esposizione a silice libera cristallina e amianto); DPR 962/82 (esposizione a cloruro di vinile monomero); D.Lgsl. 277/91 (esposizione a piombo, amianto e rumore); D.Lgsl. 77/92 (esposizione ad amine aromatiche); D.Lgsl. 626/94 (esposizione ad agenti cancerogeni e agenti biologici); D.Lgsl. 230/95 (esposizione a radiazioni ionizzanti). Con il D.Lgsl. 25/2002 viene inserito nel D.Lgsl. 626/94 il Titolo VII bis che “determina i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza che derivano o possono derivare dagli effetti degli agenti chimici presenti sul luogo di lavoro o come risultato di ogni attività lavorativa che comporti la presenza di agenti chimici” (art. 72 bis, comma 1). L’ampliamento della normativa consente l’applicazione di norme di prevenzione primaria anche nel caso di esposizione ad agenti chimici pericolosi, infatti i rischi derivanti da tale esposizione devono essere eliminati, laddove possibile, o ridotti mediante: – progettazione e organizzazione dei sistemi di lavoro; – fornitura di idonee attrezzature; – riduzione al minimo della durata dell’ esposizione; – idonee misure igieniche; – riduzione al minimo delle quantità utilizzate a secondo delle esigenze della lavorazione; – appropriata metodologia e organizzazione del lavoro; – misure di protezione individuale; – sorveglianza sanitaria. Uno dei punti cardine del Decreto è l’obbligo della quantificazione del rischio chimico la cui mancata esecuzione può essere giustificata solo se: “...la natura e l’entità dei rischi connessi con gli agenti chimici rendono non necessaria un’ulteriore valutazione maggiormente dettagliata dei rischi” (art. 72 quater, comma 5). Nell’art. 72 quater, infatti, è espressamente specificato che nella valutazione dei rischi di cui all’art. 4 del D.Lgsl. 626/94 e successive modifiche il datore di lavoro determina preliminarmente l’eventuale presenza di agenti chimici pericolosi e ne valuta i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori prendendo in considerazione: – le loro proprietà tossiche; – le informazioni sulla salute e sulla sicurezza dedotte dalla scheda di sicurezza predisposta ai sensi dei DD.Lgsl. 52/97 e 285/98; – il livello, il tipo e la durata dell’esposizione; – le modalità dell’esposizione e la quantità della sostanza utilizzata; – gli effetti delle misure preventive; – eventuali deduzioni tratte dal controllo sanitario già effettuato. La valutazione del livello, tipo e durata dell’esposizione comporta la verifica del rispetto dei limiti di esposizione professionale, infatti il comma 2 dell’art. 72 sexties che prevede: “Salvo che non possa dimostrare con altri mezzi il conseguimento di un adeguato livello di prevenzione e di protezione, il datore di lavoro, periodicamente ed ogni qualvolta sono modificate le condizioni che possono influire sull’esposizione, provvede ad effettuare la misurazione degli agenti che possono presentare un rischio per la salute…”. Il successivo comma 3 dice che: “Se è stato superato un valore limite di esposizione professionale stabilito dalla normativa vigente il datore di lavoro identifica e rimuove le cause dell’evento, adottando immediatamente le misure appropriate di prevenzione e protezione”. La quantificazione diventa non obbligatoria, ai sensi del comma 2 dell’art. 72 quinquies, se la natura e l’entità dei rischi connessi viene giudicata di modesta entità. Recita, infatti, il suddetto comma: “Se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che, in relazione al tipo e alle quantità di un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza di esposizione a tale agente presente sul luogo di lavoro, vi è solo un rischio moderato per la sicurezza e la salute dei lavoratori e che le misure di cui al comma 1 sono sufficienti a ridurre il rischio, non si applicano le disposizioni degli artt. 72 sexies (misure specifiche di protezione e preven- POSTER 440 zione), 72 septies (disposizioni in caso di incidenti o di emergenze), 72 decies, e 72 undecies (cartelle sanitarie e di rischio)”. Rimane in ogni caso l’obbligo del rispetto delle prescrizioni previste dagli artt. 72 octies (informazione e formazione dei lavoratori), 72 novies (divieti) e 72 duodecies (consultazione e partecipazione dei lavoratori). Il comma 4 dell’art. 72 sexties prevede, inoltre, che “I risultati delle misurazioni di cui al comma 2 sono allegati ai documenti di valutazione dei rischi e resi noti ai rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori. Il datore di lavoro tiene conto delle misurazioni effettuate ai sensi del comma 2 per l’adempimento degli obblighi conseguenti alla valutazione dei rischi di cui all’art. 72 quater. Sulla base della valutazione dei rischi e dei principi generali di prevenzione e protezione, il datore di lavoro adotta le misure tecniche e organizzative adeguate alla natura delle operazioni, compresi l’immagazzinamento, la manipolazione e l’isolamento di agenti chimici incompatibili fra di loro; in particolare, il datore di lavoro previene sul luogo di lavoro la presenza di concentrazioni pericolose di sostanze infiammabili o quantità pericolose di sostanze chimicamente instabili”. Il rischio moderato Come prevede il comma 2 dell’art. 72 quinquies, qualora a seguito della valutazione preventiva dei rischi venga evidenziata la presenza di un rischio moderato decadono gli obblighi della quantificazione ambientale degli agenti chimici e del controllo sanitario dei lavoratori. La quantificazione del rischio mediante indagine ambientale, per quanto si evidenzia dalla lettura del dispositivo di legge, quindi, non è sempre obbligatoria ma è riservata solo per quelle situazioni di rischio che comportano un’esposizione non trascurabile. Rimane il problema di dover identificare cosa debba essere inteso e come certificare un rischio moderato, la cui definizione è stata demandata a successivi decreti, a tuttoggi non emanati. Si fa presente che il termine inglese utilizzato nella Direttiva 98/24/CE è “slight” il cui significato, tra l’altro, può essere: leggero, lieve, insignificante, di poca importanza. Esistono diverse proposte per identificare i criteri per individuazione dei casi di rischio moderato, tra queste la più accreditata è quella che prevede il riconoscimento di tale situazione di rischio quando i valori di esposizione non superino il 50% dei TLV, per le sostanze chimiche pericolose, e il 30% in caso di esposizione ad agenti mutageni e cancerogeni. Altra metodologia di identificazione può essere il tempo di esposizione che non deve superare il 50% della giornata lavorativa. Quando, però, si parla di percentuali si fa riferimento a numeri precisi, cioè a misurazioni effettuate, in contraddizione con una valutazione preventiva che permette di escludere l’indagine ambientale. La valutazione preventiva è, infatti, una valutazione ipotetica per cui non si può avere la certezza che il livello di esposizione calcolato sia quello reale. Secondo quanto citato nelle linee guida SIMLII per la formazione continua e l’accreditamento del medico del lavoro relative alla valutazione dei rischi, il NIOSH ha stabilito che in caso di una concentrazione entro il 50% del limite, se la deviazione geometrica standard non supera 1.22, l’esposizione supererà il limite in non più del 5% dei casi, se la variabilità aumenta varia di conseguenza la percentuale del limite che deve essere rispettata. Queste valutazioni, poiché in ogni caso siamo in presenza di un rischio professionale, anche se trascurabile, di cui non siamo certi della reale entità, ci portano a considerare la possibilità che si possa generare un’alterazione dello stato di salute, specie nei soggetti suscettibili, se la metodologia adottata non è quella corretta. Non bisogna dimenticare, infatti, che in caso di rischio moderato non solo non è obbligatoria la quantificazione del rischio, ma cade anche l’obbligo del controllo sanitario e quindi non sarà più possibile rilevare eventuali patologie specifiche dall’analisi dei documenti sanitari e di rischio. Quindi nella valutazione dei rischi per esposizioni ad agenti chimici bisogna adottare metodiche predittive corrette, ripetibili ed in grado di fornire informazioni sufficientemente valide da garantire il mantenimento dello stato di salute dei lavoratori esposti. In caso contrario la quantificazione del rischio mediante indagine ambientale diventa l’unico mezzo per identificare con certezza le condizioni di rischio moderato, per una maggiore tutela dei lavoratori ma anche dei datori di lavoro che dalla documentazione acquisita trae elementi di difesa in caso di indagine ispettiva. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it La valutazione dei rischi Il datore di lavoro deve garantire la sicurezza e la salubrità dei luoghi di lavoro per tutte le mansioni svolte dai lavoratori attraverso l’analisi dei fattori di rischio presenti nell’ambiente di lavoro e la correzione delle situazioni di pericolo. In seguito all’analisi viene stilato un apposito documento detto di valutazione dei rischi dove vanno indicati i rischi identificati, gli eventuali interventi da adottare e il programma di attuazione. L’atto iniziale della valutazione dei rischi è lo studio oggettivo della situazione per identificare la presenza dei fattori potenzialmente lesivi per la salute dei lavoratori, successivamente, se necessario, si provvede alla quantificazione del rischio per identificarne il livello di esposizione. Il D.Lgsl. 25/2002 stabilisce, nel caso di esposizione ad agenti chimici, l’obbligatorietà della quantificazione del rischio, tranne, come già detto, se si identifica un rischio lavorativo moderato. In ogni caso la valutazione dei rischi è un atto obbligatorio e propedeutico a qualsiasi altro intervento. Lo stesso Decreto, all’art. 72 quater, identifica la metodologia da utilizzare suggerendo di prendere in considerazione: 1. Le proprietà pericolose degli agenti chimici utilizzati; 2. Le informazioni sulla salute sicurezza tramite la relativa scheda di sicurezza; 3. Il livello, il tipo e la durata dell’esposizione; 4. Le circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza di tali agenti; 5. I valori limite di esposizione professionale o i valori limite biologici; 6. Gli effetti delle misure preventive da adottare; 7. Le conclusioni tratte dalla sorveglianza sanitaria, se effettuata. La finalità della valutazione dei rischi è la tutela dello stato di salute dei lavoratori esposti; il ruolo del medico competente, pertanto, non può essere ridotto a mera ratifica di quanto riscontrato dal servizio di prevenzione protezione, ma diventa indispensabile nell’identificare tutti quei fattori dotati potenzialmente di effetto lesivo meritevoli di un approfondimento valutativo. A maggior ragione nell’esposizione ad agenti chimici è il medico del lavoro/medico competente, dotato di specifiche conoscenze di fisiopatologia, l’unico in grado di valutare correttamente il possibile effetto biologico in base al livello ed al tipo di esposizione evidenziato. La stima del rischio potenziale avviene attraverso l’analisi di quattro fattori principali: 1. Fattore di esposizione potenziale (FEP): indice di valutazione della potenziale esposizione dei gruppi omogenei ad una determinata sostanza in relazione all’uso, alla temperatura, alle caratteristiche chimico-fisiche, alla quantità ed alla frequenza di utilizzo; 2. Fattore di attività fisiologica (FAF): indice di valutazione della potenziale esposizione dei gruppi omogenei ad una determinata sostanza in relazione alla tossicità, alla caratteristica epidemiologica e all’odore; 3. Valore limite di soglia (TLV): concentrazione media ponderata nel tempo, su una giornata lavorativa e su quaranta ore lavorative settimanali, alla quale tutti i lavoratori possono essere esposti senza effetti negativi; 4. Indice biologico di esposizione (TBL): misura delle variazioni dei sistemi enzimatici o dei cicli biologici coinvolti dalla sostanza per effetto dell’esposizione. Una corretta analisi del ciclo lavorativo e delle sostanze utilizzate può essere sufficiente ad identificare sia quelle situazioni in cui è possibile il superamento dei TLV sia quelle dove le condizioni di lavoro garantiscono la sicurezza dei lavoratori. Esperienze personali Dovendo provvedere alla programmazione dell’intervento sanitario per il personale tecnico ed i ricercatori del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Catania, ci siamo trovati di fronte al problema della quantificazione del rischio chimico in una struttura operante nell’ambito della ricerca farmaceutica, struttura fornita di numerosi laboratori dove vengono seguite diverse linee di ricerca sperimentale. La varietà delle sostanze utilizzate e, spesso, la brevità del loro utilizzo, hanno reso impossibile quantificare l’esposizione con un’indagine ambientale mirata. Si è cercato, quindi, di identificare un metodo che permettesse, quantomeno, di evidenziare gruppi omogenei di esposizione. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it In una prima fase si è proceduto alla ricognizione degli ambienti di lavoro per identificare tutte le sostanze impiegate; quindi, mediante apposita scheda, si è ricercato per ciascuna di esse la quantità adoperata, il tempo di utilizzo mensile, le modalità di utilizzo e di gestione ed il personale esposto. Per il controllo della quantità delle sostanze utilizzate è stata effettuata anche una verifica dei registri di carico e scarico dei rifiuti speciali, tossici e nocivi. Le varie sostanze riscontrate sono state classificate in base al gruppo chimico e alle caratteristiche tossicologiche note, confermate dall’analisi della scheda di sicurezza, in modo da far diventare significative, per sommazione, esposizioni estremamente ridotte, anche dell’ordine di pochi minuti al mese. Contemporaneamente, per evidenziare eventuali patologie correlabili con l’esposizione, si è proceduto al controllo sanitario del personale adibito ai vari laboratori per una valutazione dello stato generale di salute. È stato utilizzato il seguente protocollo: ❑ Visita medica generale (anamnesi ed esame obiettivo); ❑ Esame della funzionalità respiratoria (spirometria); ❑ Esami di laboratorio finalizzati allo studio della funzionalità epatica e renale e della crasi ematica. Per ogni lavoratore sottoposto al controllo è stato istituito un apposito documento sanitario e di rischio dove sono stati trascritti tutti i dati raccolti che successivamente sono stati inseriti in un foglio elettronico (Excel) per l’analisi statistica della distribuzione. Valutazione del rischio chimico La valutazione del rischio ha presentato notevoli difficoltà dovute principalmente all’uso di volta in volta di numerose sostanze in quantità ridotte, spesso meno di un grammo in quanto gli esperimenti eseguiti sono di breve durata e si concludono quasi sempre nel giro di pochi mesi. La notevole variabilità dell’esposizione ha di fatto reso impossibile la sua corretta quantificazione. Dovendo procedere alla valutazione dell’effettiva esposizione professionale per identificare il personale esposto si è proceduto mediante sopralluogo, adottando una scheda apposita che consentisse l’identificazione delle caratteristiche tossicologiche della sostanza adoperata, delle modalità di conservazione e di eliminazione, della metodologia di utilizzo, della quantità utilizzata e del numero di manipolazioni per mese, del tempo di esposizione medio mensile, dell’utilizzo di dispositivi di protezione, dell’effettuazione dell’informazione e formazione del personale; nella fig. 1 è illustrata la scheda di valutazione adoperata. Successivamente è stata analizzata la tipologia del personale afferente al dipartimento di Scienze Farmaceutiche, composto complessivamente di 142 soggetti di cui 31 come personale strutturato (10 docenti, 12 tecnici, 9 amministrativi) e 111 come personale non strutturato (18 dottorandi, 86 tesisti, 1 assegnista 3 coll. di ricerca, 3 contrattisti). I dati sono illustrati in tabella I. Figura 1. scheda di valutazione del rischio chimico POSTER 441 Tabella I. Descrizione del personale Rapporto di lavoro Qualifica Entità Personale strutturato Docenti Tecnici Amministrativi 10 12 9 Personale non strutturato Dottorandi Tesisti Coll. di ricerca Assegnisti Contrattisti 18 86 3 1 3 Risultati Vengono di seguito illustrati gli elementi di valutazione utilizzati nell’identificazione dei fattori di rischio e i dati emersi dall’esame dei quindici laboratori del Diperatimento. ❑ Identificazione delle caratteristiche tossicologiche: l’identificazione delle caratteristiche tossicologiche è stata effettuata mediante analisi della scheda di sicurezza, laddove fornita, o previa classificazione delle varie sostanze in gruppi chimici definiti di pericolosità nota. ❑ Modalità di conservazione: si è potuto mettere in evidenza che tutte le sostanze con caratteristiche di pericolosità erano allocate in appositi armadi “chemisafe” o in frigoriferi; le altre sostanze in appositi armadietti posti in prevalenza sotto i banconi di lavoro. ❑ Modalità di eliminazione: tutte le sostanze adoperate in precedenti esperimenti o non più utilizzabili sono eliminate come rifiuto speciale, tossico e nocivo, mediante appalto con una ditta specializzata. L’esame del registro di carico e scarico dei rifiuti non ha consentito però di identificare le singole sostanze eliminate in quanto la metodologia di registrazione consiste solo nell’indicazione cumulativa delle varie sostanze chimiche da eliminare, catalogate in modo generico, per classi e per peso complessivo (tabella II). ❑ Metodologia di utilizzo: tutti gli esperimenti sono eseguiti sotto cappa a flusso laminare e con uso di dispositivi di protezione individuale (maschera e guanti). ❑ Quantificazione del tempo di esposizione: ◆ Personale docente: il tempo di permanenza nei vari laboratori è risultato estremamente ridotto non superando, di media, i 30 minuti giornalieri. Gli esperimenti vengono eseguiti materialmente da tesisti e dottorandi, i docenti si limitano, nella maggior parte dei casi, alla valutazione dei risultati. ◆ Dottorandi: esecuzione di sperimentazioni inerenti l’argomento del dottorato. La loro permanenza nei vari laboratori è calcolata in circa quattro ore al giorno. ◆ Tesisti: eseguono, sotto la supervisione dei docenti e dei dottorandi, gli esperimenti relativi all’argomento della tesi. La presenza del tesista in laboratorio, di media, è limitata a turni di circa due ore per tre giorni la settimana. ◆ Personale tecnico: personale presente solo nei laboratori di didattica; l’attività del personale tecnico si esplica prevalentemente nell’esecuzione di esperimenti di base ed esercitazioni di laboratorio con gli studenti. Il tempo medio di permanenza nei laboratori non supera le quattro ore giornaliere. ❑ Quantità utilizzata e numero di manipolazioni per mese: è risultato che la maggior parte delle sostanze identificate erano utilizzate solo poche volte al mese e in quantità ridotte, spesso pochi grammi o millilitri. ❑ Valutazione del tempo di utilizzo delle varie sostanze: le sostanze utilizzate negli esperimenti, numerose ed appartenenti a diverse classi chimiche, sono utilizzate, per la massima parte, per pochi minuti al mese. Le sostanze chimiche per le quali è stata evidenziata una possibile esposizione possono essere POSTER 442 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it Tabella II. Rifiuti speciali, tossici e nocivi smaltiti Anno Sostanze Quantità smaltita 2000 Solventi organici Solventi alogenati 629 kg 258 kg 2001 Solventi organici Solventi alogenati R.S.O.T 198 kg 147 kg 55 kg Solventi organici R.S.O.T 304 kg 34 kg 2002 classificate in tre gruppi di tossicità nota: solventi, acidi forti e basi forti. Nella tabella III sono elencate le sostanze chimiche più frequentemente adoperate, prevalentemente solventi utilizzati per la pulizia di attrezzature e vetreria o adoperati per estrazione di altre sostanze o per tecniche di gas-cromatografia. Tabella III. Sostanze chimiche più frequentemente utilizzate Gruppo chimico SOLVENTI Categoria Alcoli Aldeidi Ammidi Chetoni Eteri Esteri Glicoli Idrocarburi Alifatici Idrocarburi aromatici ACIDI Acido Acido Acido Acido BASI Sostanza Etanolo Metanolo Formaldeide Dimetilformammide Acetone Dietiletere Acetato di etile Benzoato di benzile Glicole polipropilenico Glicole polietilenico Cloroformio Cicloesano Tetracloruro di carbonio Diclorometano Benzene Toluene acetico fosforico nitrico solforico Ammoniaca Idrossido di sodio Idrossido di potassio Al fine di evidenziare la ridotta esposizione, nelle tabelle V e VI sono illustrati i dati riassuntivi relativi ad un laboratorio di didattica ed uno di ricerca con le specifiche per ogni sostanza, della quantità annua utilizzata, del tempo di utilizzo per la reazione e del numero di manipolazioni annue. Si ricorda che tutte le manipolazioni avvengono sotto cappa e con l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale. Tabella V. Dati esposizione laboratorio chimica qualitativa Sostanza Ac. Acetico glaciale HNO3 65% Classificazione IARC Benzene 1 Cloroformio 2B Doclorometano 2B Dimetilformammide 2B Formaldeide 2A Idrazina 2B Poliacrilammide 2B Tetracloruro di carbonio 2B 300 50 ore/anno 300 25 ore/anno 1,5 litri 5 m’ 300 25 ore anno 0,5 litri 5 m’ 100 8 ore /anno 0.14 litri 10 m’ 4 40 m’/anno n-esano Cicloesano 0,8 litri 60 m’ Cloroformio 0,1 litri Metanolo Etanolo Etere etilico Potassio ferricianuro Piombo acetato 2 m’ 5 litri 30 m’ 0,5 litri 2 m’ 8 8 ore/anno 100 3,5 ore/anno 100 50 ore/anno 100 3 ore/anno 0,4 litri 60 m’ 8 8 ore/anno 100 mgr 10 sec 100 17 m’/anno 350 gr 10 m’ 6 1 ora/anno Potassio bisolfato 20 gr 5 m’ 200 17 ore /anno Potassio bromuro 80 gr 15 m’ 8 2 ore/anno Potassio permanganato 200 gr 10 m’ 100 17 ore/anno Rame solfato 0,1 litri 10 m’ 200 33 ore/anno Tabella VI. Dati esposizione laboratorio di ricerca n. 4 Sostanza Quantità Temp. n. manip annua manip. anno Tempo totale Acido cloridrico 50 ml 2 m’ 15 30 m’/anno Acetone 4 litri 3 m’ 40 2 ore/anno Cicloesano 0,1 litri 2 m’ 20 40 m’/anno Diclorometano 0,2 litri 3 m’ 10 30 m’/anno 0,25 litri 2 m’ 20 40 m’/anno 40 ml 2 m’ 5 10 m’/anno 0,2 litri 1 m’ 20 20 m’/anno Etanolo 3 litri 3 m’ 50 2,5 ore/anno Metanolo 60 ml 2 m’ 15 30 m’/anno Idrossido di potassio 60 ml 3 m’ 10 30 m’/anno Idrossido di sodio 60 ml 2 m’ 10 20 m’/anno Dimetilsolfossido D6 15 ml 2 m’ 20 40 m’/anno 4-metossibenzoil cloruro 1 ml 2 m’ 1 2 m’/anno 3,4-dimetossibenzoil cloruro 1 gr 3 m’ 3 10 m’/anno Piperoniloil cloruro 1 gr 3 m’ 2 6 m’/anno Piperonil alcool 1 gr 2 m’ 1 2 m’/anno Cloruro di benzoile Tabella IV. Agenti cancerogeni individuati 5 m’ NH3 30% Etile acetato Sostanza chimica 3 litri 10 m’ 1,5 litri Tempo totale H2SO4 Cloroformio Successivamente è stata ricercata l’eventuale cancerogenicità delle sostanze chimiche identificate, anche se utilizzate in minime quantità. Tra le sostanze chimiche adoperate alcune, per l’esattezza 8, sono risultate cancerogene secondo la classificazione della IARC, una sola di esse, però, è inquadrata nel gruppo 1, il benzene, le altre, tranne la formaldeide, gruppo 2A, sono inquadrate nel gruppo 2B. Nella tabella IV sono elencate le sostanze cancerogene identificate e la loro classificazione secondo le tabelle IARC. Quantità Tempo n. manip. annua manip. anno Esito dei controlli sanitari Poichè ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. A, il personale non strutturato, in quanto inquadrato come personale in formazione, è equiparato ai lavoratori dipendenti, tutto il personale è stato sottoposto al previsto protocollo di visita medica preventiva per valutare lo stato di salute ed evidenziare eventuali patologie preesistenti in modo da accertare, oltre a G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 443 quanto previsto dall’art. 16 del D.Lgsl. 626/94 “... assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica”, anche la presenza di eventuali patologie lavoro-correlate, indice di esposizione a elevate concentrazioni di tossici professionali. Sono stati sottoposti al controllo sanitario, secondo il protocollo indicato in precedenza, complessivamente n. 142 soggetti, di cui 31 strutturati e 111 non strutturati. I due gruppi di lavoratori non hanno presentano patologie comuni correlabili con l’esposizione, ma patologie varie disparate. Nel personale strutturato troviamo come patologia due casi di ipertensione, due casi di lieve movimento enzimatico, due casi di ernia del disco, un caso di cardiopatia ischemica, un caso di sindrome del tunnel carpale, un caso di turbe del ritmo, un caso di diabete, due casi di microcitemia e un caso di dermatite irritante da contatto. Quest’ultima patologia, unica eventualmente correlabile con l’attività lavorativa è stata riscontrata in un docente, mansione il cui tempo di esposizione non permette di stabilire un eventuale nesso di causalità (tabella VII). Tabella VIII. Patologie diagnosticate nel personale non strutturato. Tabella VII. Patologie diagnosticate nel personale strutturato procedura che possiamo definire personalizzata, non ha evidenziato una reale possibilità di esposizione ad agenti chimici, sia per le modeste quantità di sostanze utilizzate che per il limitato tempo di esposizione. L’analisi delle cartelle cliniche relative alle visite mediche preventive, possibile indice di danno biologico derivante dall’attività lavorativa e ulteriore elemento di valutazione, inoltre, non ha evidenziato patologie correlabili con l’esposizione ad agenti chimici. La procedura utilizzata, anche in presenza di un’esposizione variabile e diversificata, ci ha consentito di valutare con un buon margine di sicurezza l’esposizione ad agenti chimici nei laboratori del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche, che, per le considerazioni espresse in precedenza, può essere definito come “rischio moderato” in quanto, nelle normali condizioni di lavoro, non è ipotizzabile un contatto diretto con le varie sostanze o una dispersione ambientale significativa. Rimane sempre la possibilità di un infortunio durante il prelievo del contenitore della sostanza utilizzata e il suo trasporto all’interno della cappa, ma si tratta, in ogni caso, di un evento non quantificabile come quantità né come tempo di esposizione. Ai sensi dell’art. 72 quater, comma 5 del D.Lgsl. 25/2002 (La valutazione del rischio può includere la giustificazione che la natura e l’entità dei rischi connessi con gli agenti chimici pericolosi rendono non necessaria un’ulteriore valutazione maggiormente dettagliata dei rischi), visti i risultati emersi, reputando valida la valutazione effettuata, può essere applicato il comma 2 dell’art. 72 quinquies, cioè la non applicabilità degli artt. 72 decies e undecies relativi alla sorveglianza sanitaria e all’obbligo della tenuta delle cartelle sanitarie e di rischio. Trattandosi tuttavia di un ambiente di lavoro dove l’utilizzo di sostanze chimiche pericolose può avvenire successivamente nel corso di ricerche di nuova ideazione, viene suggerito ai coordinatori delle ricerche di comunicare in via preventiva al Servizio di Prevenzione e Protezione dai Rischi e all’Ufficio del Medico Competente le procedure tecniche di esperimenti con utilizzo di agenti chimici pericolosi o potenzialmente tossici. Mansione Patologia Numero casi Tecnico Bigeminismo extrasitolico 1 Tecnico Cardiopatia ischemica 1 Tecnico Diabete mellito tipo 2° 1 Tecnico, docente Ernia del disco 2 Docente DIC 1 Tecnico Ipertensione 2 Ausiliario, Tecnico Lieve movimento enzimi epatici 2 Tecnico Microcitemia 2 Ausiliario Sindrome da tunnel carpale 1 Nel personale non strutturato si evidenzia una patologia diversa da quella riscontrata nel gruppo degli strutturati. Troviamo infatti cinque casi di microcitemia, quattro casi di lieve anemia (donne giovani), tre casi di sindrome allergica, due casi di lieve movimento enzimatico, due casi di gozzo nodulare, due casi di psoriasi e casi singoli di altre patologie. Quasi tutte le patologie riscontrate, tranne tre casi, sono state diagnosticate in tesisti, personale con tempo di esposizione settimanale limitato (circa sei ore) presenti nel dipartimento da meno di un anno. Le patologie non sembrano essere in relazione con la mansione. Nella tabella VIII sono indicate le patologie diagnosticate nel personale non strutturato. Cconclusioni La valutazione dell’esposizione ad agenti chimici nel Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Catania, eseguita con una Mansione Patologia Numero casi Tesista Favismo 1 Tesista Gozzo nodulare 2 Tesista, 1 Dottorando Lieve anemia (donne) 4 Tesista Lieve movimento enzimatico 2 Tesista, 1 Dottorando Microcitemia 5 Dottorando Paresi ostetrica 1 Tesista Piastrinopenia lieve 1 Tesista Policistosi ovarica 1 Tesista Psoriasi 2 Tesista Sindrome allergica 3 Tesista Sindrome di Stein Leventhal 1 POSTER 444 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it G. Miscetti, P. Garofani, R. Ceppitelli, A. Mencarelli, A. Ballerani, R. Angeloni, A. Lumare Polveri respirabili e silice cristallina in alcuni reparti di una fonderia di seconda fusione di ghisa Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro, Area di Assisi - Azienda USL N. 2, Perugia Introduzione L’inquinamento da polveri, in particolare da quarzo, ed i conseguenti rischi per la salute, costituiscono uno dei problemi di igiene del lavoro tradizionalmente connessi alle attività di fonderia di seconda fusione e che, soprattutto grazie alla progressiva automazione delle operazioni di lavoro, è andato gradatamente risolvendosi nel tempo (4). Tuttavia la dimostrazione di effetti cancerogeni per l’uomo a carico della silice cristallina (1997, IARC - 1 Gruppo, come quarzo o cristobalite) e recenti innovazioni normative in materia di tutela del lavoratori dai cancerogeni occupazionali e dagli agenti chimici, hanno ridestato l’interesse degli addetti ai lavori proponendo nuove iniziative valutative e di prevenzione. Il tutto anche alla luce di possibili fenomeni di trasformazione della silice amorfa in silice cristallina (nelle sue varie fasi: dal quarzo alfa alla cristobalite), determinati dalle alte temperature di esercizio caratterizzanti alcune fasi di lavoro (3). Come è noto la sabbia silicea è un materiale largamente presente nelle terre di fonderia, in alcuni viene anche addizionata ad altre sostanze quali carbone, resine sintetiche ed altri composti organici al fine di migliorarne le prestazioni alle alte temperature. In questa ricerca, che è parte di una più ampia indagine sugli inquinanti aerei connessi alle lavorazioni di seconda fusione della ghisa, vengono pertanto presi in esame i livelli di esposizione a polveri “respirabili” ed a silice cristallina degli addetti del reparto “produzione anime” e del reparto “fusorio”. Scopo dello studio è stato quello di pervenire ad una stima dei livelli di esposizione dei lavoratori, anche attraverso il confronto con i TLV-TWA proposti dalla letteratura e di evidenziare possibili gradienti espositivi tra le varie mansioni svolte dagli addetti. Materiali e metodi Sono stati effettuati 42 campionamenti personali di polveri respirabili così articolati: 8 campionamenti per gli addetti alla formatura a caldo, 7 campionamenti per gli addetti alla formatura a freddo, 6 campionamenti per gli addetti alla rifinitura delle anime, 7 campionamenti per gli addetti al caricamento forni, 5 campionamenti per il capoturno, 5 campionamenti per il mulettista e 4 campionamenti per l’addetto alla pulizia staffe. I campionamenti sono stati distribuiti su diverse giornate lavorative ed hanno avuto una durata oscillante tra le 3 e le 5 ore in modo tale da risultare sempre rappresentativi dell’intero turno di lavoro e sovrapponili a conseguenti stime pon- derate. Al fine di evidenziare eventuali gradienti di esposizione tra i diversi gruppi omogenei di lavoratori, i valori medi di ogni categoria di addetti (FORMATURA A CALDO, FORMATURA A FREDDO, RIFINITURA, CARICAMENTO FORNI, CAPOTURNO, MULETTISTA, PULIZIA STAFFE) sono stati anche confrontati tra loro utilizzando allo scopo il test del t di Student per campioni indipendenti. Le determinazioni analitiche sono state effettuate con il metodo DRX presso il Laboratorio di Sanità Pubblica, Unità Funzionale Igiene e Tossicologia, della USL 7 di Siena. Risultati Nelle tabelle 1 e 2 sono riportati i risultati dei campionamenti espressi in termini di media geometrica, media aritmetica, deviazione standard, limiti fiduciali al 95% ed i confronti con i rispettivi TLV-TWA (1). Le figure 1 e 2 illustrano l’andamento dei singoli campioni nei due reparti indagati sia relativamente alle polveri respirabili che al quarzo. Commento e conclusioni I risultati dello studio permettono di apprezzare innanzitutto come la condizione di esposizione a quarzo dei lavoratori del reparto formatura anime risulti molto contenuta, infatti in ben 16 dei 21 campioni di polveri respirabili analizzate, le concentrazioni di quarzo sono risultate addirittura inferiori alla soglia minima di sensibilità (0,01 mg/mc) del laboratorio di riferimento. Va in ogni caso rilevato che, in particolare durante l’attività di RIFINITURA, si concentrano i campioni a maggior contenuto di quarzo, anche se con valori medi comunque contenuti entro il TLV-TWA previsto. La condizione non appare diversa ove il particolato venga considerato come polvere inerte respirabile (<1% di quarzo). Anche in questo caso, infatti, i valori di esposizione si pongono decisamente al disotto del rispettivo TLV-TWA e ciò sia in termini di singoli valori che di tendenze medie. Anche la variabilità rilevata nei vari campionamenti non appare produrre escursioni, intese come estremo superiore del limite fiduciale al 95%, tali da profilare significative ipotesi probabilistiche di superamento dei TLV-TWA. Infine, è importante sottolineare come all’interno del reparto studiato i livelli di esposizione media dei lavoratori addetti alle diverse mansioni non risultino differire significativamente tra loro, consentendo di classificare gli addetti come appartenenti ad un unico gruppo omogeneo. Tabella I. Concentrazioni medie di polveri e quarzo nel reparto formatura anime POLVERI Area di lavoro QUARZO MG mg/m3 MA* mg/m3 DS mg/m3 LF 95% mg/m3 MG MA DS LFSup 95% A) FORMATURA “A FREDDO” (7) 1,0 1,2 0,7 0,5-1,9 0,01 0,01 0 0,01 B) FORMATURA “A CALDO” (8) 0,9 1,1 0,6 0,5-1,5 0,01 0,02 0,01 0,03 C) RIFINITURA (6) 1,2 1,4 0,7 0,6-2,2 0,02 0,03 0,02 0,04 ( ) numero osservazioni * TLV-TWA = 3 mg/m3 (frazione respirabile di polveri inerti) TLV-TWA = 0,05 mg/m3 (polveri contenenti > 1% quarzo) T di Student: A vs B = 0,53 p>0,05; A vs C = 0,46 p>0,05; B vs A = 1,0 p>0,05 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 445 Tabella II. Concentrazioni medie di polveri e quarzo nel reparto fusorio POLVERI Area di lavoro QUARZO MG mg/m3 MA* mg/m3 DS mg/m3 LF 95% mg/m3 MG MA DS LFSup 95% A) CARICAMENTO FORNO (7) 2,5 2,8 1,4 1,4-4,2 0,05 0,06 0,03 0,08 B) CAPOTURNO (5) 2,2 2,6 1,3 0,8-4,5 0,04 0,05 0,02 0,07 C) MULETTISTA (5) 2,3 2,7 1,2 1,0-4,4 0,02 0,02 0,01 0,03 D) PULIZIA STAFFE (4) 2,3 2,4 0,9 0,7-4,0 0,06 0,06 0,01 ( ) numero osservazioni * TLV-TWA = 3 mg/m3 (frazione respirabile di polveri inerti) TLV-TWA = 0,05 mg/m3 (polveri contenenti > 1% quarzo) T di Student: A vs B = 0,53 p>0,05; A vs C = 0,46 p>0,05; B vs A = 1,0 p>0,05 Figura 1. Polveri nei reparti animisteria e fusorio Va infine sottolineato il fatto che, risultando la percentuale di quarzo nella polvere respirabile costantemente superiore all’1%, ai fini igienistici la polvere in questione non può essere considerata “inerte” e quindi un eventuale confronto con i TLVTWA non può che fare riferimento al valore indicato per il quarzo. Tale atteggiamento è peraltro in linea con quanto attualmente suggerito dall’ACGIH nel considerare "particelle inerti" soltanto quelle prive di un proprio TLV applicabile o comunque aventi bassa tossicità. Caratteristica, quest’ultima, non facilmente trasferibile alle polveri di fonderia in relazione alla loro contaminazione da solventi, idrocarburi, metalli ed altri inquinanti. Quanto rilevato, quindi, non configura una condizione occupazionale priva di rischi specifici, infatti il quarzo è una sostanza dotata, secondo lo IARC (2), di effetti cancerogeni e come tale, ove rilevabile in concentrazioni apprezzabili, costituisce comunque un elemento di interesse preventivo. Ciò vale anche nel nostro caso e soprattutto nell’area forni fusori caratterizzata da un sostanziale superamento del TLV-TWA previsto per il quarzo e da una elevata probabilità di superamento anche di quello indicato per la frazione respirabile delle polveri inerti. Pur in assenza di più precise (ed attese) emanazioni ministeriali in merito alla applicazione del DL 25/02, ed in accordo con le correnti acquisizioni circa il rapporto tra rischio chimico e lavorazioni di fonderia (5), i dati presentati non consentono di classificare come a rischio “moderato” la realtà studiata. Soprattutto se si considera il fatto che dai processi di lavoro descritti, contemporaneamente allo sviluppo di polveri, si ha la liberazione di altri composti volatili; tale evenienza determina una sicura condizione di esposizione “combinata” a più agenti tossici, aprendo la strada a possibili e complessi fenomeni di sinergia lesiva. In conclusione riteniamo che l’esperienza presentata possa trovare utili riscontri in molti momenti del processo di prevenzione, dalla valutazione del rischio alla programmazione delle misure di tutela, siano esse di tipo tecnico, organizzativo e procedurale, di protezione individuale, di controllo sanitario ed infine di informazione/formazione dei lavoratori. Figura 2. Quarzo nei reparti animisteria e fusorio Bibliografia Il reparto fusorio appare invece caratterizzato da una condizione espositiva a polveri respirabili e quarzo decisamente più marcata. Per quanto riguarda le polveri inerti si apprezza come i valori medi si attestino costantemente poco al disotto del valore limite, mentre l’estremo superiore dei limiti fiduciali al 95%, in virtù della elevata variabilità, viene a posizionarsi largamente al di fuori del TLV-TWA deponendo per una non accettabilità igienistica della condizione rilevata. Per il quarzo la condizione appare ancor più impegnativa, infatti, addirittura tre delle quattro mansioni studiate, ad eccezione del MULETTISTA, mostrano concentrazioni medie di quarzo pari o superiori al TLV-TWA e lo stesso andamento è confermato anche dalla distribuzione dei singoli valori. Il confronto tra i valori medi delle diverse mansioni non ha mostrato gradienti statisticamente significativi se non nel confronto tra CARICAMENTO forno e CAPOTURNO deponendo per una situazione di rischio sostanzialmente omogenea. 1) ACGIH Threshold Limit Values and Biological Exposure Indices. 2002. 2) IARC (International Agency for Research on Cancer. Silica, some silicates, coal dust end para-aramid fibrils. Monographs on the evaluation of carcinogenic risks to humans. Vol. 68, Lyon 1996. 3) Rimoldi B, Dapiaggi M, Artioli G. Inquinamento da cristobalite nella produzione di piccoli particolari metallici. Giornale degli Igienisti Industriali; vol. 26, n. 4, ottobre 2001. 4) Pisanelli F, Rimoldi B, Santucciu P, Tripi L. Critical review on silica exposure during foundry activities in Lombard Region. INAIL, Direzione Regionale Lombardia, Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione, Milano, Italy. 5) Beccastrini S, Tavassi S. Rischi, danni e soluzioni nel comparto fonderie di ghisa in terra di II fusione dell’area fiorentina. Fogli d’Informazione ISPESL 3/1999. POSTER 446 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it P. Bianco1, V. Anzelmo2, V. Fiorespino3, R. Ieraci4, M. Comito4 Gli strumenti preventivi per il rischio di bioterrorismo negli operatori dell’infomazione in missione all’estero 1 2 3 4 Servizio Sanitario Rai Radiotelevisione Italiana - Roma Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma Direzione Risorse Umane Rai Radiotelevisione Italiana - Roma Travel Clinic ASL RME - Roma Introduzione La tutela della salute del lavoratore all’estero rappresenta una tematica emergente nell’ambito della medicina del lavoro, che si inserisce nel più ampio contesto della medicina dei viaggi e del turismo, configurando l’area interdisciplinare della “travel occupational medicine”. I rischi per la salute e la sicurezza di questa categoria professionale sono molteplici, ormai codificati, rientrando a pieno titolo nei documenti di valutazione di rischio per le aziende di comparti produttivi che operano all’estero. I rischi derivano soprattutto dall’esposizione ad agenti fisici, chimici, biologici, in rapporto alle diverse attività lavorative e ai diversi Paesi di destinazione (clima, area di residenza lavorativa, condizioni abitative, condizioni di vita, situazioni politico-sociali, guerre e/o tensioni sociali). In aggiunta, vanno considerati i fattori psicologici relativi all’adattamento alla realtà locale e al carico prestazionale richiesto, che in alcune situazioni può diventare elevato. Gli operatori dell’informazione (giornalisti, tecnici, amministrativi) rappresentano un settore peculiare di questo comparto, e più frequentemente possono essere esposti a fattori di rischio legati alle condizioni di soggiorno e alle realtà sociali dei Paesi ospitanti, in ragione della loro specifica attività lavorativa. Essi infatti sono incaricati di seguire eventi internazionali che possono anche comprendere situazioni critiche, sia per eventi naturali calamitosi che per eventi politici e bellici. Il bioterrorismo nel contesto del rischio NBC Già da tempo, l’uso di armi non convenzionali in ambito militare configura l’area “NBC”, ovvero l’uso, in caso di conflitto, di armi nucleari chimiche e batteriologiche. Le forze armate di tutti i paesi hanno considerato questi possibili scenari bellici ed hanno da tempo approntato sistemi e procedure di difesa chimica, biologica e nucleare. Un rischio aggiuntivo ed emergente per gli operatori dell’ informazione in missione all’estero, rispetto a quelli già analizzati, ed in rapporto alla recente situazione politica internazionale, è rappresentato dalla minaccia di un possibile uso di armi chimiche e biologiche nei confronti della popolazione civile, come espressione di terrorismo. In particolare, allo stato attuale, l’uso di agenti biologici come atto di terrorismo locale, configura il rischio di bioterrorismo in cui la disseminazione di virus o batteri come atto di aggressione può essere responsabile di epidemie con elevata morbilità e mortalità alla popolazione civile. I CDC di Atlanta classificano gli agenti biologici che potrebbero essere impiegati a scopo bioterroristico, in tre differenti categorie: 1) categoria A: il virus del vaiolo, il bacillo del carbonchio, il bacillo del botulismo, il bacillo della peste; 2) categoria B: il vibrione del colera, le salmonelle, le shigelle; 3) categoria C: sono inclusi agenti patogeni che attraverso tecniche di ingegneria genetica potrebbero essere modificati ed utilizzati ai fini di disseminazione, in rapporto alla facilità di produzione e alla potenziale elevata morbilità e mortalità, come gli hantavirus e il virus della febbre gialla. ro, con visite mediche, esami emato-chimici e strumentali, vaccinazioni di base. Sono stati approntati percorsi formativi, con lezioni frontali ed esercitazioni pratiche, riguardanti la difesa biologica secondo le indicazioni e le metodologie fornite da settori delle forza armate specializzate nella difesa NBC. Sono stati descritti i principali agenti patogeni (modalità di trasmissione, manifestazioni cliniche, ecc.) ed i veicoli della minaccia biologica (alimenti, bevande, vestiario, terra, acqua e aria); sono stati indicati i sistemi della protezione biologica, consistenti nel contrastare la penetrazione (protezione individuale) e l’attività patogena (protezione sanitaria) degli agenti biologici; sono state indicate le misure di protezione individuale (misure igieniche e uso di materiale di circostanza: telotenda, fazzoletti, coperte, sacchetti di plastica); sono stati descritti gli strumenti di protezione sanitaria (profilassi immunologica attiva e passiva, chemioprofilassi; terapia post-infezione). Sono stati inoltre presentati i dispositivi di protezione individuale (maschere e filtri anti-NBC e tute protettive munite di guanti e stivali). Infine sono state esplicate le modalità di decontaminazione (immediata a cura del singolo, differita a cura di personale specializzato). Sono stati inoltre forniti modelli di procedura di evacuazione dalla zona a rischio, con simulazioni pratiche. In particolare per l’antrace, dopo le specifiche informazioni, in caso di esposizione confermata a spore di carbonchio aereosolizzate, i soggetti esposti sono stati formati ad intraprendere la profilassi post-esposizione con un antibiotico adeguato(fluorochinolonici come scelta, doxiciclina in alternativa), La vaccinazione post-esposizione (con vaccino inattivato acellulare di carbonchio) è stata prevista in aggiunta alla chemioprofilassi a seguito di incidente biologico provato. La vaccinazione consta in 3 somministrazioni, di cui la prima da effettuare appena possibile dopo l’esposizione, e quindi a 2-4 settimane dall’esposizione. Per il rischio vaiolo, la vaccinazione è efficace anche dopo l’esposizione, purchè venga praticata dopo 2-3 gg. La vaccinazione può associarsi a reazioni avverse (encefalite da vaccino e la malattia da vaccino), pertanto l’orientamento attuale è quello della vaccinazione post-esposizione. Per il rischio peste, poiché il vaccino può non essere completamente protettivo, anche in presenza di elevati valori anticorpali, i soggetti che soggiornano in un’area in cui si manifesti un’epidemia di peste, devono effettuare la chemioprofilassi con tetracicline, per 2-3 settimane. Agli operatori con possibile destinazione in aree geografiche critiche sono stati infine forniti kit sanitari di emergenza oltre all’equipagggiamento anti-NBC. Conclusioni L’esposizione a rischi emergenti e non ancora codificati coinvolge alcune particolari categorie lavorative. L’applicazione della metodologia della valutazione del rischio, un’adeguata formazione ed informazione, settori aziendali dedicati e con specifiche esperienze, l’approccio multidisciplinare che coinvolge diverse professionalità, rappresentano gli strumenti idonei per affrontare, in tempi brevi, la gestione dei nuovi rischi e tutelare la sicurezza e la salute di lavoratori. Interventi preventivi Bibliografia In relazione agli eventi internazionali verificatisi dopo la disseminazione di spore di carbonchio negli Stati Uniti, si è presentata per gli operatori dell’informazione, la problematica della prevenzione del bioterrorismo. A partire dal settembre 2001, 200 operatori dell’informazione (giornalisti, telecineoperatori, tecnici) che si recavano nelle aree geografiche critiche (ad es. Iraq, Siria, Afghanistan), sono stati interessati a programmi preventivi nei confronti del bioterrorismo, che hanno visto coinvolti i servizi sanitari di aziende radiotelevisive, i medici del lavoro di testate giornalistiche e di strutture universitarie, la Travel Clinic della ASL RME e settori delle forze armate italiane specializzate nella difesa NBC. Gli strumenti preventivi utilizzati sono stati: programmi di formazione e informazione specifici vaccinazioni, chemioprofilassi, programmi di formazione e informazione specifici, dispositivi di protezione individuale. La maggior parte degli operatori aveva già effettuato programmi di sorveglianza sanitaria per l’attività lavorativa all’este- 1) Bianco P, Anzelmo V, Castellino N. La sorveglianza sanitaria del lavoratore all’estero: aspetti metodologici e riferimenti legislativi. Atti del Convegno “La prevenzione del rischio biologico dei lavoratori all’estero”, Castegandolfo 28 giugno 2001, pp 11-26. 2) Bianco P, Anzelmo V, Castellino N, Ieraci R, Comito M. Prevention strategies and sanitary surveillance for health protection of workers travelling to foreign countries.Atti III European Conference on Travel Medicine, Firenze 15-18 maggio 2002, pp 56. 3) Center for Diseases Control and Prevention. Update: Investigation of bioterrorism-related antrx ad interim guidelines for rxposure management and antimicrobial therapy. October 2001, MMWR Morb Mortal Wkly Rep. 2001; 50 (42): 909-19. 4) Ostroff MS. Biological and chemical terrorism and travel: overview. Atti III European Conference on Travel Medicine, Firenze 15-18 maggio 2002, pp 1. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 447 P.L. Cocco, S. Cocco, G. Licheri, L. Marrocu Rischio di Sclerosi Laterale Amiotrofica associato allo sport professionistico Dipartimento di Sanità Pubblica - Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Cagliari Introduzione L’osservazione di 33 casi di sclerosi laterale amiotrofica (ALS) in tre anni tra i calciatori Italiani, che svolsero attività professionistica negli anni 1960-96, ha suggerito un legame tra lo sforzo fisico sopramassimale, o altri fattori associati allo sport professionistico, ed il rischio di ALS. La plausibilità dell’ipotesi è rinforzata dal fatto che la malattia è anche conosciuta come morbo di Lou Gehrig, dal nome di un famoso giocatore professionista di baseball Americano, che ne fu affetto. tettivo (Odds Ratio (OR) = 0.7; I.F.95% 0.6,0.8), mentre il rischio aumentava significativamente in rapporto alla condizione socioeconomica. Quest’ultimo risultato potrebbe essere in relazione ad un accesso facilitato alle procedure diagnostico-terapeutiche nelle classi sociali più elevate. Sia la condizione socioeconomica, che lo stato civile sono stati inseriti come covariate nel modello di regressione logistica utilizzato per la stima dei rischi di ALS associati all’attività lavorativa. Solo 5/5025 casi di sesso maschile e nessuno dei 4584 casi di sesso femminile riportavano l’attività di atleta professionista nel certificato di decesso. L’OR nei casi di sesso maschile è risultato di 2.1 (I.F. 95% 0.7, 6.0, basato su 5 casi e 12 controlli). Metodi La disponibilità di un data-base pubblicamente accessibile, contenente i dati riportati in circa 6 milioni di certificati di 24 stati degli Stati Uniti nel periodo 1984-95, ha consentito l’esplorazione dei rischi occupazionali di ALS in questo Paese. Sono stati individuati in tutto 9614 casi (5030 uomini e 4584 donne) di decessi per ALS (ICD-9 335.2). Come controlli sono stati selezionati 48070 soggetti deceduti per altre patologie, ad esclusione di quelle a carico del sistema nervoso centrale, accoppiati in rapporto di 5: 1 ai casi per area geografica di residenza, sesso, razza ed età. Risultati Il rischio di ALS non variava a seconda della residenza urbana o rurale. La condizione di coniugato mostrava un significativo effetto pro- Conclusioni Il fatto che solo cinque soggetti di sesso maschile e nessuno di sesso femminile tra i 9614 casi di ALS identificati si fossero manifestati tra atleti professionisti induce a ritenere che lo sforzo fisico sopramassimale, o altri fattori associati alla pratica sportiva agonistica, forniscano un contributo scarsamente rilevante all’eziologia della ALS nel complesso. D’altra parte, l’associazione osservata non è statisticamente significativa, anche se il risultato va nella direzione attesa dall'ipotesi che ha motivato lo studio. L’accesso al data-base aggiornato, che contiene un numero di decessi pressoché doppio rispetto a quello analizzato in questo studio, potrebbe consentire di ottenere il potere statistico necessario per la valutazione del risultato. POSTER 448 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it P.L. Cocco, M.E. Cocco, L. Paghi, G. Avataneo, S. Atzeri, A. Salis, A. Mastrodicasa, C.A. Lippi Serra, M.G. Ennas1, T. Erren2 Escrezione urinaria del 6-idrossisolfato di melatonina ed esposizione domestica a campi elettromagnetici a frequenza estremamente bassa (50 Hertz) Dipartimento di Sanità Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Cagliari 1 Dipartimento di Citomorfologia, Università di Cagliari 2 Institute and Policlinic for Occupational and Social Medicine, University of Cologne, Cologne, Germany Introduzione Alcuni studi su animali da esperimento hanno indicato che l’esposizione a campi elettromagnetici a frequenza estremamente bassa (50-60 Hertz ELF-EMF) può ridurre la produzione di melatonina da parte della ghiandola pineale nelle ore notturne (Lambrozo et al., 1996). Gli studi nell’uomo hanno prodotto risultati contraddittori (Selmaoui et al., 1996; davis et al., 2001). Poiché è stato suggerito che l’inibizione della ghiandola pineale potrebbe essere alla base dell’ipotetico aumento del rischio oncogeno associato all’esposizione occupazionale ed ambientale ELFEMF (Stevens, 1987), abbiamo studiato l’escrezione urinaria del 6-idrossisolfato di melatonina (6-OHMS) in rapporto ai livelli medi del campo ELF-EMF nella residenza dei soggetti partecipanti allo studio. vano alcuna correlazione con l’escrezione di 6-OHMS con le urine del mattino (Spearman’s ρ = 0.132; GL = 48; p = NS). L’escrezione mediana 6-OHMS con le urine del mattino era 40.5 ng/ml (range 2.9-160) per intensità medie di campo ELF-EMF ≤ 0.02 µT, 19.25 ng/ml (range 5-450) per intensità medie comprese tra 0.03 e 0.1 µT, e 57.5.0 ng/ml (range 10150) per intensità medie ≥ 0.11 µT. Un campione delle urine emesse la notte prima della misurazione del campo ELF-EMF era disponibile per 29 soggetti. I livelli di escrezione di 6-OHMS con le urine del mattino, riflettendo il picco notturno della funzione pineale e delle concentrazione di melatonina nel siero, erano più elevati in 17/29 soggetti, mentre il ritmo era assente o invertito nei restanti 12/29 soggetti. Il tasso di prevalenza di soggetti con alterato ritmo di escrezione della melatonina non mostrava cambiamenti sostanziali in rapporto all’intensità del campo ELF-EMF in condizioni basali (0.46 a ≤ 0.02 µT, 0.30 a 0.03 - 0.1 µT, e 0.40 a ≥0.11 µT). Materiali e metodi Conclusioni Misurazioni spot del campo ELF-EMF sono state condotte in 15 punti predefiniti all’interno delle abitazioni di 51 soggetti (29 uomini e 22 donne), sia ad elevato (con tutte le luci e gli elettrodomestici accesi) che a basso carico elettrico (con tutte le luci e gli elettrodomestici spenti = livello di base), utilizzando uno strumento portatile programmabile (EMDEX II, Ampere, Milano). Ai soggetti partecipanti allo studio, uno per ogni abitazione, era richiesto di raccogliere un campione di urine alle 22 della sera precedente, ed un altro alle ore 8 della mattina nella quale si procedeva alla misurazione del campo ELF-EMF. La concentrazione urinaria del 6-OHMS è stata determinata con metodo immunoenzimatico. Risultati La concentrazione mediana del 6-OHMS nelle urine del mattino era più elevata tra le donne (49 ng/ml, range 5-150) che tra gli uomini (35.5 ng/ml, range 2.9-350). L’escrezione urinaria di 6-OHMS tendeva a diminuire con l’età particolarmente tra le donne, sebbene i coefficienti di regressione non raggiungessero la significatività statistica (uomini: r = -0.102; donne: r = -0,317). I valori medi del campo ELF-EMF ad elevato ed a basso carico erano tra loro fortemente correlati (r =.895; p <0.001). pertanto, il contributo degli elettrodomestici e dell’apparato di illuminazione all’intensità del campo nei punti predefiniti dell’abitazione appariva trascurabile. I valori di base del campo ELF-EMF non mostra- Il nostro studio non ha confermato l’ipotesi che l’esposizione a livelli di campo ELF-EMF quali quelli comunemente misurati all’interno delle abitazioni alteri la funzione pineale e quindi il livello ed il ritmo della escrezione urinaria di 6-OHMS. Appare improbabile pertanto che un’alterazione delle funzione pineale sia alla base del presunto aumento del rischio oncogeno associato all’esposizione a campi ELF-EMF. Bibliografia 1) Davis S, Kaune WT, Mirick DK, Chen C, Stevens RG. Residential magnetic fields, light-at-night, and nocturnal urinary 6-sulfatoxymelatonin concentration in women. Am J Epidemiol 2001; 154: 591609. 2) Lambrozo J, Touitou Y, Dab W. Exploring the EMF-Melatonin connection: a review of the possible effects of 50/60 Hz electric and magnetic fields on melatonin secretion. Int J Occup Environ Health 1996; 2: 37-47. 3) Selmauoi B, Lambrozo J, Touitou Y. Magnetic fields and pineal function in humans. Evaluation of nocturnal acute exposure to extremely low frequency magnetic fields on serum melatonin and urinary 6-sulfatoxymelatonin circadian rhythms. Life Sci 1996; 58: 1539-49. 4) Stevens RG. Electric power use and breast cancer: a hypothesis. Am J Epidemiol 1987; 125: 556-61. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 449 S. Fustinoni, F. Vercelli, V. Foà Esposizione personale a bassi livelli di 1,3-butadiene aerodisperso in un impianto petrolchimico italiano Laboratorio di Igiene Industriale e Tossicologia, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano e ICP - Milano Introduzione 1,3-Butadiene (BD) è un probabile cancerogeno per l’uomo (1) ed un inquinante aerodisperso degli ambienti di vita e di lavoro. Tra le possibili sorgenti di esposizione in ambito industriale e di vita vi sono gli impianti di produzione ed utilizzo del BD, le emissioni autoveicolari e il fumo di sigaretta (2-3). Scopo della presente ricerca è stata la valutazione dell’esposizione personale a bassi livelli di BD in operatori di un impianto petrolchimico italiano. Parte sperimentale Sono stati selezionati 44 lavoratori di cui 11 addetti alla produzione del BD (impianto A), 13 addetti alla produzione di polimero BD-stirene in soluzione di cicloesano (impianto B), 9 addetti alla produzione di cispolibutadiene in soluzione di esano (impianto C), e 11 addetti alla produzione di lattice stirene-BD e polibutadiene in emulsione acquosa (impianto D). L’esposizione di questi soggetti è stata valutata attraverso 1-4 campionamenti personali effettuati durante differenti turni di lavoro (mattina, 6: 00-14: 00, pomeriggio 14: 00-22: 00, notte 22: 00-6: 00, giornaliero (circa 8: 00-17: 00). Per controllo è stata valutata l’esposizione a BD di 43 soggetti impiegati in settori aziendali dove non vi è esposizione professionale a BD (amministrazione, altre produzioni), attraverso 1 campionamento effettuato durante il turno di lavoro giornaliero. Esposti e controlli sono stati accoppiati per abitudine al fumo di sigaretta. In totale sono stati raccolti 207 campioni d’aria. Il BD è stato adsorbito su tubi di campionamento (Perkin Elmer) contenenti 500 mg di CarboSieve III (Supelco) posti in zona respiratoria e raccordati a pompe SKC Aircheck 52, tarate al flusso di 50 ml/min (4). I campioni d’aria sono stati analizzati utilizzando un desorbitore termico accoppiato ad un gascromatografo munito di colonna HP-Plot Al2O3/KCl (50 mt lunghezza, 0.53 mm di diametro interno) e rivelatore FID. Il limite di quantificazione (LD) del metodo è 0.1 µg/m3. Risultati L’esposizione personale media (2-4 campionamenti) a BD è risultata pari a 1.5 µg/m3 (mediana), nell’intervallo 0.1-220.7 µg/m3 nei soggetti esposti e 0.4, <0.1-3.8 µg/m3 nei controlli. In figura 1 sono illustrati i grafici a scatole con le distribuzioni dei livelli di BD riscontrate nelle casistiche dei soggetti esposti e dei controlli. La differenza di esposizione tra i due gruppi è risultata significativa. Durante il turno di mattina sono state riscontrate le più elevate esposizioni a BD (1.7 vs. 0.8 e 0.9 µg/m3 per i turni pomeridiano e notturno, rispettivamente). L’esposizione a BD nei diversi impianti mostra differenze significative ed in particolare con gli operatori dell’impianto D risultano maggiormente esposti (9.3 vs. 2.6, 0.7 e < 0.1 µg/m3 negli impianti A, B e C, rispettivamente). Discussione La elevata sensibilità del metodo utilizzato per il monitoraggio dell’esposizione a BD ha consentito di evidenziare differenze significative Figura 1. Metodo di valutazione dell’esposizione a specifici pesticidi tra esposti e controlli, anche se le due casistiche mostrano esposizioni in parte sovrapponibili. La esposizione personale a BD negli addetti alla produzione e polimerizzazione ha mostrato livelli molto al di sotto dei valori limite per gli ambienti di lavoro raccomandati o prescritti dalle differenti agenzie regolatorie con valori che al massimo sono circa pari a 1/20 del valore limite di soglia TLV-TWA pari a 4400 µg/m3, attualmente raccomandato dall’associazione degli igienisti industriali americani (5). Bibliografia 1) International Agency for Research on Cancer. 1,3-Butadiene. In: IARC monographs on the evaluation of carcinogenic risks to humans. Re-evaluation of some organic chemicals, hydrazine and hydrogen peroxide, Vol 71. Lyon, France: World Health Organization, 1999, 109-225. 2) Brunnemann KD, Kagan, MR, Cox JE, Hoffmann D. Analysis of 1,3butadiene and other selected gas-phase components in cigarette mainstream and sidestream smoke by gas chromatography-mass selective detection. Carcinogenesis 1990; 11: 1863-1868. 3) Kim, YM, Harrad S, Harrison RM. Concentration and sources of VOCs in urban domestic and public microenvironments. Environ Sci Technol 2001; 35: 997-1004. 4) Health and Safety Executive. 1,3-Butadiene in air. Laboratory method using molecular sieve diffusion samplers, thermal desorbtion and gas chromatography N 63. In: Methods for the determination of hazardous substances. Sheffield, United Kingdom: HSE, 1989. 5) American Conference of Governmental Industrial Hygienists. Threshold limit values and biological exposure indices. Cincinnati, Ohio, USA: ACGIH, 2002. POSTER 450 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it S. Fustinoni, I. Bonomi, F. Vercelli, V. Foà Valutazione di concordanza tra campionamento attivo e passivo per determinare bassi livelli di 1,3-butadiene aerodisperso (µg/m3) Laboratorio di Igiene Industriale e Tossicologia, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano e ICP - Milano Introduzione Per il monitoraggio dell’esposizione ambientale a inquinanti aerodispersi presenti negli ambienti di vita e di lavoro, possono essere utilizzati sia il campionamento attivo che quello passivo. Nel presente studio le due modalità di campionamento sono state messe a confronto per determinare basse concentrazioni (nell’ordine dei µg/m3), di 1,3-butadiene (BD), un probabile cancerogeno per l’uomo [1] ed un inquinante degli ambienti di vita e di lavoro [2]. Scopo di questa valutazione era proporre la sostituzione del campionamento attivo, tipicamente impiegato per questi dosaggi e che implica l’utilizzo di sistemi di aspirazione (pompe) per forzare l’aria attraverso un tubo contenete una sostanza adsorbente, con un campionamento passivo. Materiale e metodi Per il campionamento sono stati utilizzati tubi in acciaio (90 mm lunghezza X 5 mm diametro, Perkin Elmer) contenenti 500 mg di CarboSieve III (Supelco). Nel caso di campionamento attivo i tubi sono stati raccordati a pompe SKC Aircheck 52, tarate al flusso di 50 ml/min. Nel caso di campionamento passivo i tubi sono stati muniti di camera di diffusione; come velocità di diffusione (up-take rate) è stato utilizzato il valore di 0.59 ml/min [3]. I sistemi di campionamento sono stati collocati, per 4-6 ore, in parallelo in 14 postazioni fisse di un impianto per la produzione e polimerizzazione del BD, e in zona respiratoria di 6 lavoratori dell’impianto. I campioni d’aria raccolti sono stati analizzati utilizzando un desorbitore termico (Perkin Elmer), accoppiato ad un gascromatografo munito di colonna HP-Plot Al2O3/KCl (50 mt lunghezza X 0.53 mm di diametro interno) e rivelatore FID. Il limite di quantificazione (LD) del metodo è 1 ng di BD sul tubo, ovvero, in termini di concentrazione aerodispersa, e tenuto conto dei volumi campionati, 0.1 e 4.0 µg/m3 per la modalità attiva e passiva, rispettivamente. Risultati Campionando attivamente la concentrazione di BD aerodisperso è risultata di 10.8 µg/m3 (mediana), nell’intervallo 1.9-333.7 µg/m3. Campionando passivamente il 50% dei campioni è risultato non quantificabile (BD < LD). Assegnando un valore pari a 1/2 LD a questi campioni, la concentra- zione di BD aerodisperso è risultata 4.3, nell’intervallo < 4.0-162.1 µg/m3. La valutazione di concordanza è stata effettuata sui dati trasformati nei rispettivi logaritmi naturali, con l’uso del t-test per dati accoppiati (t = 3.87), del coefficiente di correlazione di Pearson (r = 0.916), e del coefficiente di correlazione di interclasse (ri = 0.398) [4]. In figura 1 è mostrata la correlazione lineare ottenuta tra le copie di dati. In figura 2 è mostrato lo scarto percentuale tra i livelli di BD ottenuti utilizzando il campionamento attivo e quello passivo. Discussione I risultati del t-test e il basso valore di ri negano la concordanza tra i due metodi di campionamento. Questo è in parte imputabile alla minore sensibilità del campionamento passivo, infatti la massima discrepanza è rilevata sulle concentrazioni inferiori a 7.0 µg/m3, ma anche ad una probabile sovrastima della velocità di diffusione, per cui i livelli di BD ottenuti con il campionamento passivo risultano sistematicamente più bassi rispetto a quelli ottenuti con il campionamento attivo. In conclusione, per il monitoraggio di basse concentrazioni di BD aerodisperso, la metodologia che implica il campionamento attivo risulta essere quella di scelta per applicazioni future. Bibliografia 1) International Agency for Research on Cancer. 1,3-Butadiene. In: IARC monographs on the evaluation of carcinogenic risks to humans. Re-evaluation of some organic chemicals, hydrazine and hydrogen peroxide, Vol 71. Lyon: World Health Organization, 1999, 109-225. 2) Kim YM, Harrad S, Harrison RM. Concentration and sources of VOCs in urban domestic and public microenvironments. Environ. Sci Technol 2001; 35: 997-1004. 3) Health and Safety Executive. 1,3-Butadiene in air. Laboratory method using molecular sieve diffusion samplers, thermal desorbtion and gas chromatography N 63. In: Methods for the determination of hazardous substances. Sheffield: UK HSE, 1989. 4) Lee J, Koh D, Ong CN. Statistical evaluation of agreement between two methods for measuring a quantitative variable. Comput Biol Med 1989; 19: 61-70. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 451 B. Papaleo, L. Caporossi, M. De Rosa, S. Signorini, A. Pera Esposizione professionale a distruttori endocrini: attuali conoscenze e prospettive future ISPESL - Dipartimento di Medicina del Lavoro - Roma L’esposizione a sostanze chimiche, in ambienti di vita e di lavoro, ha un posto di rilievo fra i fattori di rischio per la salute riproduttiva. La ricerca si sta orientando su sostanze in grado di interferire, attraverso diversi meccanismi, con il funzionamento del sistema endocrino (1, 2), soprattutto con l’omeostasi degli steroidi sessuali e della tiroide (3). Ancora oggi sono numerosi i punti da chiarire riguardo i meccanismi biologici alla base delle correlazioni tra esposizione e sviluppo di patologie, gli eventuali fattori di suscettibilità e/o di rischio concomitanti e soprattutto l’intero spettro di patologie potenzialmente associabili a questo genere di esposizione. Un elenco di queste sostanze include certamente: i contaminanti alogenati persistenti (diossine, policlorobifenili) che hanno mostrato un’azione antiestrogenica e l’alterazione dei livelli di ormoni tiroidei in animali; antiparassitari, pesticidi, fitofarmaci (tiocarbammati, clororganici, imidazoli, triazoli, triazine), che conducono ad una forte azione antiandrogenica demascolinizzante fino all’ermafroditismo in animali; sostanze di uso industriale, come gli alchilfenoli che hanno mostrato effetti antiandrogenici e gli ftalati come modulatori estrogenici; alcuni metalli pesanti come Cd e As; pur non essendoci risultati univoci per l’ interazione dello stirene con i recettori estrogenici si ritiene comunque che possa rientrare nel gruppo dei modulatori endocrini, ed alcuni autori suggeriscono inoltre un suo possibile effetto sull’attività tiroidea (3, 4). L’ubiquitarietà di questi contaminanti ambientali rende difficile valutare le condizioni di esposizione, gli studi clinico-epidemiologici sui lavoratori in serra e agricoltori, in contatto con pesticidi di diversa natura, hanno mostrato un ritardo significativo nel concepimento (5, 6) e un incremento del rischio di aborti spontanei (7), in particolare l’esposizione a organofosfati ha mostrato l’induzione dell’ovulazione, il decremento dei livelli di LH e progesterone nel sangue e l’insorgere di fetotossicità (8). Il monitoraggio biologico di professionalmente esposti a stirene mostra una alterazione dei livelli degli ormoni tiroidei (9), mentre il dosaggio di bisfenolo A in urine di spruzzatori di resine epossidiche ha mostrato livelli indicativi di ridotta secrezione degli ormoni gonadotropici negli uomini (10). Tuttavia gli studi condotti finora, e i dati prodotti, non possono considerarsi conclusivi, ciò è da attribuirsi al diverso approccio tossicologico che queste sostanze impongono. In particolare occorre che l’esposizione ambientale sia di tipo cronico, per cui il paradigma dose/risposta risulta difficilmente applicabile; in secondo luogo gli effetti dell’esposizione potrebbero essere latenti e manifestarsi a distanza di anni dall’esposizione; infine, ancora non sembra possibile individuare la dose minima cui non si osservano effetti. La necessità di indirizzare gli studi in questa direzione è stata ribadita anche dalla Commissione Europea, con specifico riferimento all’urgenza di definire una strategia comunitaria per il controllo di questi inquinanti; è stata indicata la necessità di organizzare studi epidemiologici per ampliare la conoscenza sulle correlazioni tra EDC e patologie, particolarmente del sistema neurologico, immunitario ed endocrino, con attenzione ai meccanismi di azione e alle vie di esposizione; si vogliono incrementare le conoscenze sui composti potenzialmente tireostatici e antiandrogenici e tutto ciò richiederà la definizione di nuove metodiche, da standardizzare, per la valutazione dell’esposizione, con riferimenti specifici alle basse dosi a lungo termine e ai casi di esposizioni multiple (11). Nell’ambito della Ricerca Finalizzata del Ministero della Salute è stato avviato, partendo da queste considerazioni, un progetto sullo studio degli effetti biologici dei modulatori endocrini sul sistema endocrino e sulla salute riproduttiva. Si stanno studiando le interferenze che alcune di queste sostanze (particolarmente i PCB) determinano nei processi di neurogenesi e sulla steroidogenesi; si sta valutando la relazione esistente tra l’esposizione a modulatori endocrini e alcune patologie endocrine di tipo riproduttivo; si stanno inoltre mettendo a punto tecniche analitiche tradizionali e innovative per la determinazione e caratterizzazione di questi contaminanti chimici sia in matrici ambientali che biologiche. Gli obiettivi principali sono quelli di definire degli specifici sistemi e protocolli sperimentali, approfondire le conoscenze sui meccanismi di interazione xenobiotico/sistema ormonale, definire con maggior dettaglio le patologie riproduttive, con particolare attenzione alla salute riproduttiva della donna, legate a specifiche esposizioni con l’impostazione di un disegno epidemiologico mirato. Bibliografia 1) Baccarelli A, Pesatori AC, Bertazzi PA. Occupational and environmental agents as endocrine disruptors: experimental and human evidence, J Endocrinol Invest 2000; 23 (11): 771-81. 2) Figa-Talamanca I, Traina ME, Urbani E. Occupational exposures to metals, solvents and pesticides: recent evidence on male reproductive effects and biological markers, Occup Med (Lond) 2001; 51 (3): 174-88. 3) Brucker-Davis F. Effects of environmental synthetic chemicals on thyroid function, Thyroid 1998; 8 (9): 827-56. 4) Singleton DW, Khan SA. Xenoestrogen exposure and mechanisms of endocrine disruption, Front Biosci 2003; 1; 8: S110-8. 5) Koifman S, Koifman RJ, Meyer A. Human reproductive system disturbances and pesticides exposure in Brazil, Cad Saude Publica 2002; 18 (2): 435-45. 6) Petrelli G. Musti M, Figà-Talamanca I. Esposizione a pesticidi in serra e fertilità maschile, G Ital Med Lav Erg 2000; 22 (4): 291-295. 7) Petrelli G, Figà-Talamanca I, Tropeano R, Tangucci M, Cini C, Aquilani S, Gasperini L, Meli P. Reproductive male-medeiated risk: spontaneous abortion among wives of pesticide applicators, Eur J Epidemiol 2000; 16 (4): 391-3. 8) Sharara FI, Seifer DB, Flaws JA. Environmental toxicants and female reproduction, Fertility and Sterility 1998; 70 (4): 613-622. 9) Mutti A, Vescovi PP, Falzoi M, Arfini G, Valenti G, Franchini I. Neuroendocrine effects of styrene on occupationally exposed workers, Scand J Work Environ Health 1984; 10 (4): 225-8. 10) Hanaoka T, Kawamura N, Hara H, Tsugane S. Urinary bisphenol A and plasma hormone concentrations in male workers exposed to bisphenol A diglycidyl ether and mixed organic solvents, Occup Environ Med 2002; 59: 625-628. 11) European Commision 2001, European Workshop on Endocrine Disruptors (Aronsborg 18-20 June 2001). POSTER 452 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it A. Pera, P. Tomao, C. D’Ovidio, N. Vonesh Infezione da Citomegalovirus (CMV): gestione del rischio da esposizione nelle lavoratrici del settore sanitario ISPESL - Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro Dipartimento di Medicina del Lavoro Introduzione Il citomegalovirus (CMV) è un virus a DNA appartenente alla famiglia Herpesviridae, sottofamiglia Betaherpesvirinae, caratterizzato da: ristretto spettro d’ospite, lento ciclo replicativo, capacità di indurre latenza in differenti tipi di cellule. Il virus è altamente infettivo ma scarsamente patogeno, l’eliminazione avviene intermittentemente con la saliva. L’infezione, una volta esaurito lo stato acuto, si mantiene nell’organismo allo stato latente con la possibilità di successive riattivazioni dell’infezione produttiva. Il decorso è di solito asintomatico con andamento generalmente benigno, tranne nei bambini e negli adulti immunocompromessi, rappresentando un problema grave nei soggetti trapiantati, nei pazienti in terapia per cancro, nei malati di AIDS, negli emodializzati, nelle donne in gravidanza, e nei neonati molto prematuri. Razionale Negli ultimi 15 anni, l’incidenza nella popolazione generale dell’infezione da CMV è diminuita in seguito al miglioramento delle condizioni sociali, economiche, ed igieniche. Infatti lo stato socio-economico, l’età e le abitudini sessuali sono tutti fattori che possono influenzare la prevalenza degli anticorpi anti-CMV (1, 13). In ambito lavorativo, tali variabili rendono difficile riconoscere “l’occupazione” quale unico/prevalente rischio di infezione da CMV. In ogni caso il rischio occupazionale della contaminazione da CMV, benché contestato anche da alcuni autori (5, 4, 3), è stato ampiamente documentato. In particolare i gruppi maggiormente a rischio sono i lavoratori a contatto con bambini o con adulti immunocompromessi (11, 8, 9, 12, 14, 7, 6). Le lavoratrici in gravidanza, aggiungono un ulteriore problema a questa “attività”, poiché l’acquisizione dell’infezione da CMV in tale periodo può causare gravi malformazioni (neurosensoriali) neonatali. Nel 1969, in seguito all’os- Tabella I. Percentuali di sieroconversioni in lavoratori potenzialmente esposti: dati dalla letteratura servazione che le infermiere a contatto con bambini nati con difetti congeniti, avevano a loro volta avuto figli nati con difetti congeniti, venne suggerito, per la prima volta, il possibile aumentato rischio di infezione occupazionale da CMV (10). Successivamente numerosi studi epidemiologici condotti su personale sanitario (infermieri e medici) e personale medico a contatto con pazienti che eliminavano il virus, hanno confermato tali risultati. Il primo di questi dimostrò che le infermiere inizialmente sieronegative, mostravano, in un anno, percentuali di sieroconversione comprese tra il 4.1% ed il 7.7% (16), con una incidenza maggiore tra quelle più giovani (8,12). Studi iniziali stabilirono che una percentuale compresa tra il 62-77% possedeva anticorpi anti-CMV (11, 14), mentre altri più recenti hanno dimostrato che il 55.75% delle lavoratrici in età fertile, potenzialmente esposte, non è immune al CMV, al contrario del 44.25% di lavoratrici con anticorpi anti-CMV (15). In relazione a questi risultati, ed al verificarsi di infezioni primarie nel corso della gravidanza in 2 infermiere pediatriche (2), è aumentato l’interesse per lo studio della sieroprevalenza agli anticorpi anti-CMV tra le donne lavoratrici a contatto con bambini o con pazienti immunocompromessi. Alla luce di tali risultati e del rischio occupazionale, sembra cruciale l’implementazione di un programma di prevenzione finalizzata specifica- Tabella II. Percentuali di sieropositività in lavoratori potenzialmente esposti: dati dalla letteratura 62 -77% Haneberg et al. Acta Pediatr Scand 1980; 3: 407-409 42% Gerberding et al. J Infect Dis 1987;156: 1-8 62.5 - 67% Pass et al. Pediatr Infect Dis 1990; 7: 465-470 Ford-Jones et al. Pediatr Infect Dis J 1996; 6: 507-514 44.25% Sobaszek et al. J Occup Environ Med 2000; 42: 1109-1114 35.5% * Sobaszek et al. J Occup Environ Med 2000; 42: 1109-1114 Sobaszek et al. J Occup Environ Med 2000; 42: 1109-1114 4.1 - 7.7% Yager J. Clin Microbiol 1975; 2: 448-452 57.3% ° 7.2% Friedman et al. Pediatr Infect Dis J 1984; 3: 233-235 Donne in gravidanza: 1.8 - 4.4% Adler. Pediatr Infect Dis 1986; 5: 239-246 1 - 2.3% Balfour and Balfour. JAMA 1986; 14: 1909-1914 4.7% Brady et al. Infect Control 1987; 8: 329-332 0 - 4.3% Demmler et al. J Infect Dis 1987;156: 9-16 5.1% 2.2 - 5.7% 43.9% Belgio Gaudy et al. J Gynecol Obstet Biol Reprod 1992; 7: 779-790 Gerberding et al. J Infect Dis 1987; 156: 1-8 75% Spagna Ory et al, Med Clin 1998; 8: 290-291 Balcarek et al. JAMA 1990; 263: 840-844 75% Italia Natali et al, New Microbiol 1997; 2: 123-133 Donne in gravidanza: 2.5 - 6.8% 36 - 51.5% Francia Ruellan-Eugene et al. J Med Virol.1996; 50: 9-15 Gratacap-Cavallier et al. Eur J Epidemiol 1998; 2: 147-152 Stagno et al. JAMA 1986; 256: 945-949 * Lavoratrici che esercitano sui bambini “manovre” tipo caterteri ecc. che usano i DPI ° Lavoratrici che sono a contatto con bambini che non eseguono “manovre” e che non usano DPI G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it mente alla prevenzione dell’infezione da CMV. Infatti la soluzione di trasferire la lavoratrice in gravidanza da un’area a più alto rischio ad una a più basso, per minimizzare l’esposizione a CMV, non può essere considerata l’unica. Non essendo ancora disponibile un vaccino è necessario, quindi: i) effettuare sistematicamente test sierologici per valutare lo stato immunitario nei confronti del CMV; ii) effettuare visite mediche per determinare lo stato della lavoratrice in caso di gravidanza, o in caso intenda iniziare una gravidanza; iii) informare in maniera dettagliata sul rischio che si incontra in caso di gravidanza; iv)raccomandare l’utilizzo dei DPI insieme con le raccomandazioni sulla protezione individuale. Deve essere inoltre sottolineato che attualmente, non viene prescritto uno screening sistematico per CMV, dai ginecologi/ostetrici. Donne sieronegative possono quindi essere protette dall’esposizione e dai potenziali rischi dell’infezione primaria. Nell’ambito della ricerca: “Rischio professionale da CMV: Caratterizzazione dell’infezione, gestione dell’esposizione occupazionale e misure preventive” ci proponiamo di raggiungere tali obiettivi. Bibliografia 1) Ahlfors CA, Stagno S, Pass RF. Ciba Found. Symp 1980; 77: 125-147. 2) Ahlfors K, Ivarsson SA, Johnson T et al. Acta Paediatr Scand 1981; 70: 819-823. POSTER 453 3) Balcarek KB, Bagley R, Cloud GA et al. JAMA 1990; 263: 840-844. 4) Balfour CL, Balfour HH Jr. JAMA 1986; 14: 1909-1914. 5) Dworsky ME, Welch K, Cassady G et al. N Engl J Med 1983; 16: 950-953. 6) Flowers RH III, Torner JC, Farr BM. Infect Hosp Epidemiol 1998; 11: 491-496. 7) Ford-Jones EL, Kiati I, Davis L et al. Pediatr. Infect Dis J 1996; 6: 507-514. 8) Friedman HM, Lewis MR, Nemerofsky DM et al. Pediatr Infect Dis J 1984; 3: 233-235. 9) Gerberding JL, Bryant-LeBlanc CE, Nelson K et al. J Infect Dis 1987; 156: 1-8. 10) Haldane EV, Van Rooyen CE, Embil JA et al. Am J Obst Gynecol 1969; 195: 1032-1040. 11) Haneberg B, Bertnes E, Haukenes G. Acta Pediatr. Scand 1980; 3: 407-409. 12) Murph JR, Baron JC, Brown CK et al. JAMA 1991; 5: 603-608. 13) Onorato I, Morens DM, Martone WJ et al. Rev. Infect Dis 1985; 7: 479-497. 14) Pass RF, Hutto C, Lyon MD et al. Pediatr Infect Dis 1990; 7: 465470. 15) Sobaszek A, Fantoni-Quinton S, Frimai P et al J Occup Environ Med 2000; 42: 1109-1114. 16) Yeager AS. J Clin. Microbiol 1975; 2: 448-452. POSTER 454 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it I. Polito1, T. Crudo2, C. Costa1, G. Romeo1, M. Sailis1, C. Simonetti3, S. Napoli2 Patologia neoplastica professionale in Calabria 1 2 3 Medicina del Lavoro Università di Messina Dirigente Medico Inail Regione Calabria Cultore della materia Introduzione È estremamente complesso e difficoltoso fornire stime affidabili dell’incidenza delle neoplasie attribuibili a cause occupazionali,sia per il fatto che molte di queste neoplasie non si differenziano dal punto di vista clinico e biologico da quelle con diversa etiologia, sia per la scarsa conoscenza, a livello di medicina di base della correlabilità tra neoplasia e attività lavorativa, nonché per il fatto che spesso tra l’esposizione lavorativa e la comparsa della malattia neoplastica intercorre un lungo periodo di latenza.Partendo da tali premesse, nel tentativo di dare un contributo se pur minimo, in tema di statistiche, ci siamo avvalsi di dati INAIL relativi alle denuncie di malattie professionali pervenute presso le 5 sedi INAIL della Regione Calabria nel triennio 2000/2002. Materiali e risultati I dati presi in esame e le relative considerazioni sono stati, per motivi editoriali, conglobati nella tabella I. è basso (8 su 22 casi definiti dei 33 casi denunciati) in linea con il basso tasso di incidenza di neoplasie (Ministero Salute - Relazione 2000) e con il basso tasso di mortalità per tumori (Dati Istat 2000) riferiti a questa regione.Se da un lato il basso numero di neoplasie professionali denunciate e riconosciute in Calabria può trovare giustificazione nel basso rischio dei settori lavorativi tipici di questa regione, dal confronto con i dati epidemiologici attesi (4% Doll e Peto 1981), emerge la sicura sottostima di tali patologie che potrebbero rientrare nelle cosidette “malattie professionali perdute” (D’Amico, Mochi, Salvati 2002). In conclusione, a nostro avviso per far si che tutte le malattie di origine professionale vengano denunciate e quindi riconosciute, nell’ottica di una sempre più oculata prevezione, è necessario che oltre all’istituzione di un osservatorio nazionale dei tumori professionali, sia attuato un capillare piano di formazione ed informazione rivolto ai medici di base, prevalentemente incentrato sulla correlabilità tra attività lavorativa e patologia professionale anche neoplastica, nonché la continua formazione-informazione degli operatori esposti sui periodi di latenza che possono intercorrere tra l’esposizione lavorativa e l’insorgenza di malattia al fine di incentivare il ricorso alla denuncia e quindi alla riconoscibilità. Conclusioni Bibliografia L’attività lavorativa calabrese è prevalentemente incentrata sull’edilizia, sull’industria manifatturiera, sul commercio, attività immobiliari ed imprenditoriali, servizi pubblici, trasporti, settore alberghiero e della ristorazione, con una distribuzione delle attività abbastanza omogenea tra le provincie principali. Il tipo di attività fa si che non si riscontrino le patologie professionali delle regioni più industrializzate. Il numero di neoplasie professionali denunciate e riconosciute nel periodo preso in esame Notiziario statistico Inail 2002. Ministero della Salute - Relazione “Lo stato della salute dei cittadini”. 2000. D’Amico F, Mochi S, Salvati A. Le malattie professionali in Italia: Evoluzione storica, tendenze in atto e prospettive future. Rivista degli infortuni e delle malattie professionali. Aprile 2002. Tabella Mal. Prof. definite/indennizzate in Italia dal 1990 al 1999 Numero M.P 100.543 Mal. Prof. definite/indennizzate in Calabria dal 1990al 1999 Numero M.P. (0,8% del tot) 804 Mal. Prof. denunciate in Calabria -Triennio 2000/02 Numero M.P. 1390 compreso il n. di tumori Prevalenza di CS e RC > lavoratori dell’edilizia, industrie manufatturiere, ferrovie dello Stato Tumori Prof. denunciati in Calabria - Triennio 2000/02 Numero T.P. 33 Dati omogenei nelle tre provincie principali: RC - CS - CZ Tipologia: K polmone, seni nasali, vescica, prostata, reni; mesoteliomi, leucemie Tum. Prof. definiti/indennizzati in Italia dal 1994 al 2002 Numero T.P. 2404 Tum. Prof. Definiti in Calabria dal 2000 al 30.03.03 Numero casi definiti: Tasso di mortalità per Tumori in Italia (Dati Istat 2000) 2,3 x 1000 22 > Ipoacusia, mal. cutanee, silicosi, mal. non tabellate, mal. osteoarticol./angioneurosi, asbestosi > Ipoacusia, mal. cutanee, silicosi > Tumori da asbesto (n. 1642), meno numerosi seguono i tumori da polveri di legno, IPA, radiazioni ionizzanti. Il dato è sostenuto prevalentemente dalle realtà lavorative del nord-Italia Di cui soltanto 8 sono stati riconosciuti di natura professionale: 2 per amianto - 3 per polveri di legno - 1 per silice - 2 per esposizione a radiazioni Tasso minimo di mortalità: Calabria 1,6 x 1000 Tasso massimo di mortalità: Liguria - Friuli V.G. 3,7 x 1000 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 455 A.G. Sisinni, V. Puzzo, F. Murdaca, L. Flori1, P. Sartorelli Ricerca attiva delle malattie professionali “perse” Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Sezione di Medicina del Lavoro 1 Sezione di Dermatologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Università degli Studi di Siena Introduzione È lecito nutrire dubbi sul fatto che il calo delle denunce di malattia professionale rifletta realmente una riduzione dei casi di patologia da lavoro. Infatti rispetto al passato anche recente la patologia professionale che il medico del lavoro si trova ad affrontare ha subito forti mutazioni. Il progresso tecnologico e la campagna di prevenzione apportata nei diversi settori di produzione hanno contribuito non poco alla riduzione di casi di malattie professionali più frequenti in passato (1). D’altra parte esiste una maggiore sensibilità dei medici rispetto a patologie che, pur non costituendo un pericolo immediato per la vita del lavoratore, risultano tuttavia di difficile guarigione e talvolta invalidanti al punto da costringere il paziente ad abbandonare l’attività lavorativa. Esempi di tali malattie professionali di sempre più frequente riscontro sono costituiti dai Cumulative Trauma Disorders, dalle dermatiti da contatto (irritanti, da latice, ecc.), dalle riniti allergiche professionali, da alcune forme di asma bronchiale (da persolfati e farine), dalle patologie asbesto-correlate (asbestosi iniziale e placche pleuriche) osservabili negli ex esposti. La diagnosi di queste forme morbose si avvale spesso di tecniche ad alta specializzazione non ben conosciute data la loro recente introduzione (2). Per tale motivo l’origine professionale di tali affezioni spesso non viene riconosciuta. Materiali e metodi Lo scopo dello studio era quello di individuare nell’ambito dei casi trattati presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese eventuali patologie professionali perse di natura dermatologica, ricostruendo la storia lavorativa dei pazienti ed inoltrando il primo certificato di malattia professionale ed il referto quando necessario. L’indagine si è svolta in collaborazione con la Sezione di Dermatologia del Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche dell’Università degli Studi di Siena. La ricerca attiva di patologie da lavoro si è limitata alle dermatiti da contatto allergiche ed agli epiteliomi spinocellulari in lavoratori outdoor. Tabella I. Casi di dermatite allergica da contatto rilevati per settore produttivo Professioni Numero di casi % dei casi Parrucchieri 6 17,6% Orafi 5 14,7% Metalmeccanici 5 14,7% Falegnami 4 11,7% Operai Edili 3 8,8% Operai tessili 3 8,8% Conciatori 2 5,9% Pasticceri 2 5,9% Serigrafi 2 5,9% Estetisti 1 3% Operaio settore plastico 1 3% Totale 34 100% Tabella II. Sensibilizzazioni ad apteni professionali di più frequente riscontro Allergeni professionali Sensibilizzazioni PARAFENILENDIAMINA 8 POTASSIO BICROMATO 8 COBALTO CLORURO 9 FENOTIAZINE 3 DIBUTILFTALATO 2 OLIO DI PEPPERMINT 2 Risultati Sono stati visionati cartelle cliniche, registri ambulatoriali e registri del Day Hospital relativi agli anni 2000-2001 per un totale di 2899 pazienti. Sono stati così individuati 6 carcinomi squamocellulari in lavoratori professionalmente fotoesposti (4 agricoltori, 2 operai edili), 35 epiteliomi non istologicamente specificati, 34 casi di dermatite da contatto allergica professionale. I settori professionali relativi ai casi di dermatite allergica da contatto sono riassunti in tabella I. Le più frequenti sensibilizzazioni ad apteni professionali sono elencate nella tabella II. Solo per 17 pazienti è stato possibile risalire ai recapiti telefonici, 6 dei quali hanno accettato di sottoporsi a visita specialistica per la denuncia di malattia professionale. per la prevenzione. Da ciò risulta sicuramente importante la capacità di individuare il numero e tipo di malattie che colpiscono i lavoratori durante la loro attività. Il numero di casi individuati è rilevante se si considera che è limitato alle patologie sicuramente etichettabili come professionali sulla scorta delle scarse informazioni riguardanti l’attività lavorativa contenute nei registri e nelle cartelle. Si deve poi tener conto che un gran numero di patologie dermatologiche di possibile origine lavorativa, quali le cheratosi attiniche e le dermatiti da contatto irritante, non sono in genere registrate come diagnosi essendo trattate in regime ambulatoriale. Bibliografia Discussione Lo studio (che ad oggi prosegue) conferma come la ricerca attiva delle malattie professionali sia in grado di rilevare la presenza di patologie da lavoro non riconosciute come tali. Si può parlare dunque di “malattie professionali perse” con ricadute non solo ai fini della tutela assicurativa ma, in particolar modo, per la programmazione di tempestive ed appropriate politiche 1) Marconi M, Montanari P, Passerini M, Campo G, Leva A. Sistema Informativo Prevenzionale. Rapporto sui casi di malattia professionale - Industria, Anni di definizione 1990-1999, ISPESL. 2) Sartorelli P. Seminario di aggiornamento: Nuove prospettive di Medicina del Lavoro e Medicina Legale in tema di patologie professionali emergenti (Siena, 15 Febbraio 2002). Med Lav 93: 351-355, 2002. POSTER 456 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it G. Massacci1, P.L. Cocco, C. Manca2, G. Avataneo, G. Gigli, G. Usala Utilizzo di stime retrospettive di esposizione ad asbesto nella valutazione del diritto ai benefici previsti dalla legge 271/93 Dipartimento di Sanità Pubblica - Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Cagliari 1 Dipartimento di Ingegneria Ambientale, Università di Cagliari 2 INAIL, direzione regionale, Cagliari Le leggi 257/92 e 271/93 hanno introdotto dei benefici previdenziali per i lavoratori che sono stati esposti per almeno 10 anni all’inalazione di fibre d’asbesto, alle concentrazioni indicate dagli articoli 24 e 31 del DL 277/91, come limite per l’adozione di misure preventive da parte dei datori di lavoro. La circolare INAIL N. 252 del 23.11.95 ha previsto il riconoscimento dei benefici per i lavoratori che si trovino nelle seguenti condizioni: 1. Abbiano svolto attività che comportano l’impiego dell’amianto come materia prima (estrazione; produzione di manufatti in cementoamianto o di freni e frizioni, guarnizioni, corde o tessuti; posa in opera di coibentazioni per l’edilizia, carrozze ferroviarie, costruzioni navali, condotte di fluidi caldi, o caldaie; lavori di demolizione di coibentazioni nei settori edili ed industriali). 2. Abbiano svolto attività diverse dalle precedenti, ma con esposizione anche saltuaria all’amianto, purché la concentrazione media annuale, rapportata ad una giornata lavorativa di otto ore, possa essere stimata come superiore a 0,1 fibre/cm3. Un vasto contenzioso giudiziario, probabilmente inatteso dal legislatore, ha seguito l’introduzione di queste leggi, scoperchiando la realtà di un’esposizione spesso misconosciuta, raramente controllata, e sempre sottovalutata, e di una diffusissima evasione da parte dei datori di lavoro privati e pubblici, di piccole come di grandi dimensioni, degli obblighi previsti dalla legge 277/91. In non poche circostanze, si è verificato che lavoratori titolari di rendita INAIL per asbestosi si sono visti negare dall’INPS i benefici previsti dalla legge 271/93, in quanto i datori di lavoro non avevano mai riconosciuto né misurato l’esposizione ad asbesto, evitando così l’assunzione dei costi dell’adozione delle misure preventive previste dalla 277/91. La penuria, e molto frequentemente la mancanza, di programmi di monitoraggio dell’esposizione ad asbesto negli ambienti di lavoro, che si siano protratti per tempi sufficientemente lunghi nel passato, non consente che una determinazione approssimativa dei livelli d’esposizione. In queste circostanze, la ricerca epidemiologica nel campo dell’oncogenesi professionale ha sviluppato una serie di metodologie per la stima retrospettiva delle esposizioni attraverso la valutazione di misurazioni disponibili in lavoratori addetti alle stesse mansioni o similari, la ricerca di dati della letteratura, ed il ricorso a tutte le possibili fonti d’informazione sulle circostanze e modalità della presunta esposizione. L’INAIL svolge un ruolo di supporto importante al riguardo, estendendo queste procedure al campo assicurativo, mettendo a disposizione in rete la banca dati Amyant, e pubblicando una serie di articoli al riguardo nella sua Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali. In uno di questi articoli (Verdel e Ripanucci, 1996) è riportato un algoritmo per il calcolo dell’esposizione media ad asbesto, che noi abbiamo riscritto allo scopo di rendere conto delle variazioni succedutesi nel corso della storia lavorativa individuale: E = [ΣTiFi x (Te/T0)]/([ΣTi) dove: E = concentrazione media giornaliera delle fibre cui il lavoratore è stato esposto nel corso di una carriera lavorativa (non meno di 10 anni per poter accedere ai benefici previdenziali); Fi = concentrazione delle fibre nell’ambiente nell’iesimo periodo di lavoro, rilevabile da stime elaborate sulle misurazioni disponibili, sulla base di simulazione di condizioni di lavoro non più esistenti, o, in loro sostituzione, approssimabile in maniera critica a partire da dati pubblicati (Verdel e Ripanucci, 1996) o reperibili nella banca dati Amyant dell’INAIL; Ti = durata dell’iesimo periodo di lavoro; Te = durata dell’esposizione riferita ad un anno; T0 = durata standard dell’attività lavorativa nel corso di un anno, corrispondente ad 8 ore al giorno per 240 giorni all’anno, equivalente a 48 settimane lavorative all’anno o a circa 11 mesi all’anno. Conclusioni L’estensione all’ambito giuridico di metodologie di stima retrospettiva delle esposizioni professionali, finora impiegate quasi esclusivamente negli studi di Epidemiologia Occupazionale, apre la prospettiva di una maggiore obiettività e uniformità di giudizio nelle valutazioni legali di singoli casi individuali, ed offre ulteriori opportunità di sviluppo alla ricerca in tema di oncogenesi negli ambienti di lavoro. Bibliografia 1) Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni e le Malattie professionali. Internet. http: //www.inail.it/pubblicazionieriviste/tutti titoli/rischio/amyant.ht 2) Verdel U, Ripanucci G. Valutazione dell’esposizione all’amianto ai fini dei benefici previdenziali. Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali 1996; 4-5: 419-29. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 457 M.A. Tringali, L. Barbaro Martino, G. Relo, C. Alibrando, S. Abbate, C. Giorgianni Rischio infettivo e vaccinazione antiepatite B in una azienda ospedaliera Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio Sezione di Medicina del lavoro - Università di Messina A.O.U. Policlinico “G. Martino” U.O. di Medicina del Lavoro Introduzione Nelle strutture sanitarie, sia ospedaliere che territoriali, il rischio biologico rappresenta una evenienza codificata (1, 2, 3) che coinvolge tutti gli operatori, sia sanitari che non (4). In questo ambito un aspetto particolare è rivestito dalla profilassi vaccinale antiepatite che, come descritto da Goggi 1994, è pratica non molto utilizzata. Scopo della presente nota è valutare, in un grande ospedale del Sud Italia, l’incidenza, tra gli operatori, delle infezioni epatite-correlate nonché la diffusione della vaccinazione anti virus B. ni 2001-2002, del personale di un Ospedale del Sud Italia appartenente al personale medico, para-sanitario e tecnico ritenuti, ai sensi dello Articolo 4 del DL gs 626/94, a rischio biologico. Le caratteristiche del campione esaminato sono riportate nella tabella I. Dalla scheda sanitaria sono stati estrapolati: sesso, età, anzianità lavorativa, qualifica professionale degli operatori, titolo anticorpale HBV e HCV e la copertura vaccinale. Contestualmente è stato valutato l‘andamento degli infortuni con rischio biologico denunciati alla direzione sanitaria in tutto l’anno 2001. Risultati Metodologie I dati del presente studio sono stati rilevati da un campione costituito da 2256 schede sanitarie relative alla Sorveglianza Sanitaria, an- Tabella I. Campione di studio distinto per sesso e suddiviso tra le diverse categorie professionali Categorie Schede Maschi Femmine Medici 390 232 158 Infermieri 1014 366 648 Tecnici Laboratorio 150 86 64 Agenti S.S. 566 122 444 Autisti 60 56 4 Barbieri 10 10 – Servizi esterni 46 40 6 Portieri Personale esaminato 20 20 – 2256 932 1324 La tabella II riporta, in assoluto ed in percentuale, il numero dei soggetti HBV e HCV positivi ed il numero di quelli vaccinati anti B, suddivisi per sesso e categoria professionale. La tabella mostra una più alta incidenza di vaccinazione nel personale medico ed infermieristico rispetto alle categorie non sanitarie ed maggiore incidenza di infezione nel personale tecnico. La tabella III riporta il numero totale degli infortuni a rischio biologico denunciati nel periodo 2001-2002 nell’azienda ospedaliera esaminata. L’incidenza degli infortuni (n. infortuni/n. esposti a rischio ×%) risultata pari al 5%. Conclusioni Lo studio della popolazione osservata ha mostrato 1. una incidenza di infezioni epatitiche pari al 35%; 2. una percentuale di soggetti vaccinati pari al 30%. Relativamente all’incidenza dell’infezione è stato osservato che la categoria professionale più a rischio è rappresentata dal personale tecnico con una incidenza pari al 8%, probabilmente in relazione ad una minore formazione specifica. Tabella II. Diffusione della patologia infettiva da HBV ed HCV correlata e copertura vaccinale per HBV Categoria HBV + n°-% HCV + n°-% HBV + e HCV + n° tot-% Vaccinati HBV n°-% Vaccinati HBV n° tot-% Medici M F 12-5.2 2-1.3 – – 14-3.6 94-40.5 50-31.6 144-37 Infermieri M F 30-8.2 18-2.8 4 -1.1 4-0.6 48-4.7 8-0.8 146-39.8 292-45.1 438-43 Ag.s.s M F 10-8.2 6-1.4 6-4.9 4-0.9 16-2.8 10-1.8 32-26.2 48-10.8 80-14 Tecnici M F 8-9.3 6-9.4 6-7 – 14-9.3 6-6.9 2-2.3 6-9.4 8-5 – 2-5 – 2-5 – – 2-20 2-20 – Serv. Esterni M F Barbieri M POSTER 458 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it Tabella III. Numero degli infortuni denunciati distinti per sesso e categoria professionale Mansione Medici Infermieri Agenti s.s. Tecnici Tot. Personale Infortuni denunciati M F 18 1 34 46 4 3 6 4 116 I dati vaccinali mettono in evidenza una significativa riduzione dell’incidenza dei soggetti vaccinati rispetto alle casistiche presentate da altri autori (Briani 1997, Oderino 1997, Giuliani 1998). Il dato disaggregato conferma le osservazioni della letteratura mostrando una più bassa percentuale di vaccinati tra il personale tecnico e socio sanitario pur in presenza di una alta percentuale di infezione nei tecnici di laboratorio. L’analisi degli infortuni a rischio biologico che ha evidenziato una incidenza pari al 5%, lievemente ridotta rispetto ad altre casistiche, risulta abbastanza confrontabile con quella osservata da Goggi (1994) sul personale di alcuni nosocomi del milanese pari all’8.1%. In conclusione le osservazioni effettuate, che mostrano una sottostima del problema legato al rischio biologico nel personale ospedaliero, individua la necessità di promuovere ulteriori e diffuse campagne di sensibilizzazione rivolte agli operatori allo scopo di colmare le lacune esistenti sulla protezione dal rischio. Spetta ai medici competenti, proporre, in corso di sorveglianza sanitaria, idonei protocolli vaccinali. Bibliografia 1) Garlanda P, Ravanelli PL, Tallone M. Fronteggiare il rischio biologico in ambiente sanitario. Edizioni vincenzi audiovisivi 1997. 2) Giuliani C, Maschio M, Nardin D et al. Vaccinazione anti-epatite b e rischio biologico in un ospedale di rete.Atti III° cong Naz Med Prev Lav Sanità 1998 420-422. 3) Toffoletto F, Majno E, Goggi E et al. Infortuni a “rischio” biologico: rischio reale? Criteri per una valutazione più approfondita del rischio infettivo. Atti III Cong Naz Med Prev Lav Sanità 1998; 408-410. 4) Giogianni C, Musarra P, Tringali MA et al. Rischio Infettivo in ambito sanitario.Valutazione e proposte operative per la degenza. Congr Naz “Il rischio biologico nelle strutture socio-sanitarie pubbliche e private” Abano Terme, 2001; 104. 5) Goggi E, Maggioni L, Ros O et al. Infortuni Ospedalieri a rischio biologico: monitoraggio di 738 episodi infortunistici in tre nosocomi. Atti II Cong Nazionale Med Prev Lav Sanità 1994; 614-617. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 459 M. Ronchin1, E. Ariano2, S. Savi2, G. De Paschale3, L. Settimi4, F. Frangi5, F. Alborghetti6, M. Della Torre1, V. Carreri7, M. Maroni1, 8 Promozione e verifica dell’applicazione delle norme di igiene e di sicurezza sul lavoro nelle aziende del comparto agricolo della Lombardia. Risultati della fase pilota 1 2 3 4 International Centre for Pesticides and Health Risk Prevention (ICPS) - Ospedale Luigi Sacco (MI) Dipartimento di Prevenzione, ASL Provincia di Lodi Dipartimento di Prevenzione, ASL Provincia di Pavia Dipartimento di Prevenzione, ASL Provincia di Como Introduzione Il comparto agricolo presenta alcune peculiarità come la struttura organizzativa in genere basata su un ridotto numero di familiari per azienda, la forte dispersione delle aziende sul territorio, la coincidenza tra ambiente di vita e di lavoro, l’eterogeneità delle attività svolte e la pluralità dei fattori di rischio. Tali caratteristiche del comparto, congiuntamente ad alcune complessità interpretative delle norme, hanno reso più difficile l’applicazione operativa delle attività di prevenzione, come invece è accaduto, ad esempio, nel settore industriale o nel “terziario”. Un aspetto particolare nell’agricoltura, inoltre, è il carattere estremamente variabile dell’esposizione ai fattori di rischio (antiparassitari, rumore, agenti biologici, vibrazioni, ecc.) in funzione delle diverse attività e fasi lavorative. Nel comparto agricolo, inoltre, si assiste a una generale assenza/carenza di dati sulla morbosità della popolazione lavorativa e ad una elevata frequenza del fenomeno infortunistico. Per tali ragioni la Unità Organizzativa Prevenzione della Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia ha ritenuto opportuno verificare gli interventi in atto nelle aziende agricole per la prevenzione dei rischi per la sicurezza e la salute, con particolare riguardo, per questo secondo aspetto, per i rischi correlati all’uso di antiparassitari. Materiali e metodi Le attività di promozione e verifica sono state condotte complessivamente in 59 aziende agricole raccogliendo, tramite un questionario dedicato, le seguenti informazioni: – principali caratteristiche aziendali, – verifica delle modalità di esecuzione e qualità della valutazione dei rischi, – individuazione dei principali rischi lavorativi, ponendo grande attenzione al rischio infortunistico, – preliminare caratterizzazione del rischio da antiparassitari, – valutazione dello stato di attuazione della sorveglianza sanitaria. Principali risultati Solo un’azienda agricola (2%) non ha eseguito la valutazione dei rischi prevista dal D.Lgs 626/94; tra le aziende restanti, tredici (25%) hanno prodotto l’autocertificazione e trentuno (58%) hanno compilato il do- 5 6 7 8 Dipartimento di Prevenzione, ASL Provincia di Milano 3 Dipartimento di Prevenzione, ASL Provincia di Milano 2 Unità Organizzativa Prevenzione Direzione Generale Sanità Lombardia Università degli Studi di Milano cumento di valutazione dei rischi. Soltanto due aziende (4%) non avevano provveduto alla nomina del Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione, che, laddove presente, nel 55% dei casi coincide con la figura del titolare. La valutazione del rischio rumore è stata effettuata da trentuno aziende (59%) e non eseguita solo da undici (22%). La nomina del Medico Competente, tra le 51 aziende agricole con dipendenti, è stata effettuata in ventisei casi (44%), mentre diciotto aziende (31%) non avevano ancora provveduto. Per ogni azienda è stato espresso, infine, un giudizio sintetico variabile da 1 (situazione di grave carenza) a 5 (situazione ottimale), facendo riferimento ad una griglia di giudizi-tipo, sui seguenti parametri: sicurezza, igiene del lavoro, aspetti documentali, prodotti fitosanitari, applicazione del D.Lgs 626/94. Discussione e conclusioni Il questionario utilizzato si è dimostrato un’utile strumento di lavoro in grado di rendere omogeneo l’approccio alle aziende esaminate; considerando la comunque possibile variabilità inter-operatore nella compilazione del questionario, la ridotta numerosità del campione analizzato e i possibili “bias” di selezione dello stesso si impone una generale cautela nella valutazione dei dati ottenuti e, soprattutto, nell’estrapolare le conclusioni all’intera realtà agricola della Lombardia. Seppure con le riserve derivanti dalle precedenti considerazioni i dati raccolti evidenziano una condizione non del tutto negativa sul livello di tutela della salute e sicurezza, tra cui l’applicazione del D.Lgs. 626/94, soprattutto se si considera che la tipologia aziendale, prevalentemente di tipo familiare, comporta maggior difficoltà nel reclutare risorse interne in grado di affrontare e gestire l’applicazione delle norme preventive. Tra i risultati positivi raccolti si segnala che più della metà delle aziende analizzate evidenzia una discreta manutenzione delle attrezzature, discreta attenzione alle condizioni igieniche, all’applicazione del D.Lgs. 626/94, agli adempimenti documentali; tra gli aspetti esaminati la gestione degli antiparassitari invece evidenzia ancora un’alta percentuale (più del 50%) di scarsa conoscenza/cattiva gestione delle problematiche e abitudini comportamentali e attrezzature inadeguate. È possibile ipotizzare che gli interventi già svolti dai Dipartimenti di Prevenzione, possano aver sviluppato in modo significativo le attività di prevenzione in alcuni ambiti territoriali tra quelli presi in considerazione, in cui maggiore è stata la percentuale di valutazioni soddisfacenti. Ciò indicherebbe che gli interventi sviluppati e il metodo operativo scelto portano ad un miglioramento delle condizioni oggettive di sicurezza e a una maggiore coscienza del problema da parte di imprese e lavoratori. POSTER 460 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it C. Colosio1, M. Tiramani1, M. Maroni1, 2 Esposizione ad insetticidi organofosforici a basse dosi: effetti neurocomportamentali 1 2 International Centre for Pesticides and Health Risk Prevention (ICPS) - Ospedale Luigi Sacco (MI) Università degli Studi di Milano Introduzione Conclusioni Gli effetti sulla salute umana conseguenti all’assorbimento di alte dosi di insetticidi organofosforici (OP) sono ben noti e studiati; poco è invece noto sui rischi per la salute conseguenti ad una esposizione cronica a basse dosi negli ambienti di vita e di lavoro. Dato che alcune funzioni superiori, tra le quali il comportamento, sembrano essere particolarmente sensibili all’azione di prodotti chimici neurotossici, la valutazione di alcune funzioni comportamentali in soggetti esposti ad OP potrebbe portare un contributo di conoscenza in questo ambito. In conclusione, il corpo dei dati disponibili suggerisce che un’intossicazione acuta da antiparassitari organofosforici di entità tale da aver comportato ospedalizzazione e trattamento con atropina e antidoti possa causare alcune alterazioni neurocomportamentali come esiti permanenti; resta tuttavia un dubbio sulla specificità di tali effetti, che essendo simili a quelli osservati in soggetti che hanno manifestato una intossicazione acuta da CO, con anossia cerebrale (Raub et al, 2000), o in soggetti che hanno subito in passato un grave trauma cranico (Deb et al, 1999), potrebbero essere attribuiti ad un generico danno cerebrale e non ad uno specifico effetto neurotossico. È opportuno inoltre ricordare che alcuni di tali studi sono stati criticati per una selezione poco chiara dei soggetti allo studio e dei rispettivi controlli, e per l’incerto significato di alcuni dei test neurocomportamentali utilizzati (Lotti, 1992). Per quanto concerne effetti a lungo termine conseguenti ad esposizione cronica, i dati attualmente disponibili non sono sufficienti a dimostrare una potenzialità neurotossica degli OP in queste condizioni di esposizione. I limiti principali degli studi disponibili sono la debolezza o l’assenza dei dati sui livelli di esposizione, una selezione dei controlli poco chiara, la mancanza di concordanza tra i risultati ottenuti da diversi studi, e una grande difficoltà nell’interpretazione prognostica delle alterazioni osservate. Il fatto che le alterazioni siano in genere osservate in sottogruppi di lavoratori esposti a concentrazioni più elevate, e che si evidenziano al confronto fra esposti a controlli, indicano la necessità di concentrare l’attenzione sulle mansioni caratterizzate dai livelli di esposizione più elevati e sulle attività che comportano esposizione protratta nel tempo. Alla luce dei limiti degli studi retrospettivi, si ritiene che l’approccio più promettente potrebbe essere rappresentato da studi prospettici, nei quali l’esposizione e gli effetti potrebbero essere misurati in modo accurato. Ovviamente, tali studi sono costosi e di difficile realizzazione. Anche la selezione dei soggetti allo studio rappresenta un aspetto critico in questo tipo di indagini, perché pone numerosi problemi metodologici quali, in particolare in agricoltura, il profilo culturale più basso dei soggetti allo studio. Discussione I composti organofosforici rappresentano il gruppo più ampiamente e da più tempo studiato: effetti neurocomportamentali quali disturbi della memoria, confusione, ansia, depressione ed irritabilità sono stati segnalati sin dagli anni ’50 e ’60 in soggetti esposti ad alte dosi (Grob et al, 1950, Gerson et al, 1961, Dille et al, 1964, Durham et al, 1965, Metcalf et al, 1969). In un periodo successivo, l’attenzione dei ricercatori si è concentrata sugli effetti neurocomportamentali insorti come conseguenza di un episodio di intossicazione acuta. Gli effetti più frequentemente riscontrati sono stati riduzione dell’attenzione verbale, della memoria visiva, dell’affettività e della motricità e sono stati osservati in soggetti che presentavano all’anamnesi anche un singolo episodio di intossicazione che ha richiesto assistenza medica (Rosenstock et al, 1991, Savage et al, 1988). Le alterazioni più gravi sono state in genere osservate nei soggetti che hanno manifestato i quadri più severi di intossicazione (Steenland et al, 1994) mentre una semplice inibizione, anche significativa, dell’attività colinesterasica senza un quadro di intossicazione conclamata non sembra sufficiente a causare effetti (Ames et al, 1995). È opportuno ricordare che alterazioni analoghe sono state riscontrate in pazienti coinvolti nell’episodio di intossicazione da sarin avvenuto nella metropolitana di Tokio qualche anno fa (Yokoyama et al, 1998). Per quanto concerne soggetti esposti cronicamente, in assenza di episodi di intossicazione acuta, i dati disponibili sono di assai difficile interpretazione: alcuni studi non evidenziano alcun effetto (Durham et al, 1965; Rodnitzky et al, 1975, London, 1997), mentre in altri casi gli effetti osservati sono sfumati e i parametri variano tra diversi studi. I parametri più frequentemente interessati sono il tono dell’umore, la vigilanza, la capacità di concentrazione. È interessante sottolineare che talora in genere gli effetti sono osservati in gruppi di lavoratori adibiti ad attività caratterizzate da livelli di esposizione più elevati di quelli tipiche del lavoro agricolo, quali applicatori professionali (Levin et al, 1976; Steenland et al, 2000) o soggetti addetti al trattamento di ovini (“sheep dipping”). Anche in questi gruppi, le alterazioni sono spesso evidenziabili in sottogruppi di soggetti particolarmente esposti (Stephens, 1995; Pilkington et al, 2001). In alcuni casi, infine, le indagini effettuate non mostrano differenze nei parametri esaminati al confronto fra inizio e fine esposizione, ma tra esposti e controlli (Maizlish et al, 1987; Beach et al, 1996; BazylewiczWalczak et al, 1999), suggerendo che l’effetto osservato, se presente, dipende principalmente dall’esposizione prolungata. Bibliografia 1) Ames RG, Steeland K, Jenkins B, Chrislip D, Russo J. 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In base ad esso, l’esposizione a sostanze potenzialmente pericolose viene calcolata assegnando stime “puntuali” ai vari parametri che si combinano a determinare una stima anch’essa puntiforme dell’esposizione. Tale approccio è caratterizzato da semplicità e facilità di applicazione a ambiti diversi nonché di comunicazione del rischio. I principali limiti della valutazione deterministica del rischio risiedono nel fatto che non considera informazioni sulla variabilità dell’esposizione all’interno di una data popolazione ai quali si aggiungono le difficoltà di definire quantitativamente il livello di incertezza. In alternativa, l’approccio di tipo probabilistico alla valutazione dell’esposizione tenta di quantificare alcune delle incertezze presenti nella stima dell’esposizione, incorporando direttamente la variabilità all’interno dei parametri in analisi. L’approccio probabilistico è un processo stocastico, ovvero una successione di variabili casuali con cui si tende rappresentare un sistema che si evolve secondo leggi probabilistiche. In base a tale approccio una distribuzione di valori viene usata per uno o più parametri giudicati maggiormente significativi presenti nel modello espositivo. Attraverso metodi statistici, come ad esempio il Monte Carlo, la stima dell’esposizione viene così espressa come range di valori ordinati in base alla probabilità che essi si verifichino, e non come singolo punto offrendo così maggiori possibilità di comprensione ed interpretazione dei dati. L’approccio probabilistico è indubbiamente più laborioso e complesso rispetto al deterministico; la qualità del risultato dipende dalla qualità dei dati usati come input del modello, così come dalla validità del modello espositivo stesso. Le criticità emerse nella comunità scientifica internazionale relativamente a questo approccio sono le seguenti: • necessità di criteri standardizzati per la scelta dell’approccio probabilistico rispetto a quello deterministico • selezione dei dati da utilizzare come input nel modello: caratteristiche, analisi di sensibilità… • • • identificazione della popolazione e delle sottopopolazioni da studiare identificazione delle variabili temporali interpretazione e comunicazione dei risultati. Le stime dell’esposizione degli applicatori di antiparassitari in fase di registrazione europea di prodotti fitosanitari (dir. EU 91/414) sono stati fino ad oggi condotte secondo l’approccio deterministico. L’accettabilità del rischio viene stabilita dal confronto tra le stime espositive ottenute con i modelli attualmente utilizzati (inglese e tedesco) con il limite accettabile per l’operatore. Tale valutazione mostra alcuni limiti, in parte dovuti alla struttura dei modelli utilizzati, in parte al fatto che la stima deterministica, altamente conservativa, non rispecchia la variabilità degli scenari espositivi possibili. Come negli Stati Uniti anche in Europa un gruppo di esperti sta mettendo a punto i criteri per la valutazione probabilistica del rischio per l’operatore agricolo, come già sta avvenendo per la valutazione del rischio per il consumatore esposto a residui di antiparassitari con la dieta. Bibliografia 1) Hamey PY. An example to illustrate the potential use of probabilistic modeling to estimate operator exposure to pesticides. Ann Occup Hyg (Special Issue) 2001; 45, S55-S64, 2001. 2) Julien EA. Towards harmonized guidance on applying probabilistic methods to assess operator exposure to plant protection products. A report prepared for the commission of the European Communities. 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Case report Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio, Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Messina 1 Dipartimento di Biomorfologia e Biotecnologia 2 Dirigente Medico ASL 2 Castrovillari (CS) Nel settore sanitario ed in particolare in ambito odontoiatrico sono state rilevate fin dagli anni ’50 patologie peculiari che per la maggior parte riguardavano l’apparato muscolo scheletrico, con forme flogistico-degenerative di tendini, guaine, strutture legamentose, profili articolari di capi ossei, complicate da alterazioni distrettuali del microcircolo e/o da turbe neurosensoriali (1, 2). Scopo dello studio è quello di contribuire a chiarire l’influenza dell’attività lavorativa e della posizione di lavoro nella etiologia di una epicondilite in arto superiore dominante in operatore medico odontoiatra. Caso clinico L.P., di anni 54, sesso maschile, odontoiatra ospedaliero dal 1984 svolge attività assistenziale e di ricerca, occupandosi sia dell’ambulatorio che della pratica chirurgica. Tale attività è caratterizzata da sedute operatorie plurisettimanali rivolte specificatamente a soggetti affetti da diabete, ipertensione e patologie infettive (HIV ed Epatiti conclamate di tipo B e C). Nel gennaio 2003 in corso di visita richiesta al medico competente ai sensi dell’art. 17 comma 1 lett. I del D.Lgs. 626/94, veniva diagnosticata epicondilite gomito dx (arto dominante); la diagnosi veniva confermata dall’esecuzione Rx articolazione gomito dx che evidenziava osteofitosi dell’olecrano ulnare senza alterazioni del trofismo articolare, dall’ecografia del gomito dx che evidenziava all’inserzione del tendine comune degli estensori un minuto spot calcifico di circa 2mm e dalla visita specialistica ortopedica. La consulenza neurologica non evidenziava invece turbe neurovascolari e neurosensoriali. Dall’esame anamnestico il soggetto risultava non praticare alcuna attività sportiva che lo esponesse a traumi ripetuti muscoli tendinei dell’arto esaminato, né di avere subito negli anni precedenti traumatismi accidentali o fratture. L’igiene dentale ed in particolare il trattamento di gengiviti, carie, pulpiti e disodontiasi prevede l’utilizzo di specchietto, aspiratore, pinze chirurgiche ed estrattive e la preparazione di impasti per impacchi chirurgici in corso di otturazioni ed emostasi. Le pinze per le estrazioni dentarie impugnate manualmente sfruttano meccanismi di leva vantaggiose con la forza prodotta dai muscoli della mano e del braccio dell’operatore che effettua movimenti ripetuti di forte trazione. La partecipazione alle sedute ambulatoriali e chirurgiche ha evidenziato un elevato coinvolgimento del sistema muscolare nella regione del collo e della spalla combinato con atteggiamenti in flessione ed in rotazione del rachide cervicale dovuto alle esigenze di elevata precisione che l’attività dentistica richiede. L’utilizzo delle pinze chirurgiche durante le estrazioni dentarie con presa di forza isometrica mantenuta per più di 5 sec, deviazione ulnare e radiale del polso maggiore di 20°, flesso-estensione del polso maggiore di 20° evidenziava uno sforzo ripetuto e continuo sul sistema osteo-articolare mano-braccio; le vibrazioni trasmesse dall’utilizzo di strumenti vibranti erano più accentuate dall’utilizzo del trapano munito di micromotore sull’impugnatura e ciò comportava l’assunzione di posture obbligate scorrette come quella di lavorare seduti senza appoggio per gli arti superiori e conseguente sovraccarico delle strutture muscolo-scheletriche. L’attività lavorativa così descritta (identificando l’arto superiore dominante nel suo complesso come organo bersaglio di microtraumatismi), ha messo in evidenzia una assunzione di orientamenti forzati della mano e del polso durante l’impugnatura degli strumenti chirurgici, una postura incongrua degli arti superiori in particolare del polso, del gomito e della spalla con azioni ripetitive ed insufficienti pause di riposo. Conclusioni Il caso descritto, epicondilite laterale in arto superiore dominante di natura tecnopatica, ipotizza nella sua genesi la sinergia di due fattori di rischio, quali i movimenti ripetitivi degli arti superiori e le vibrazioni. Queste ultime sono chiamate in causa nello sviluppo di patologie muscolo scheletriche anche in presenza di strumenti a basso peso e sostenute da una contrazione muscolare non massiva. L’iter diagnostico eseguito e l’analisi dell’attività lavorativa ha confermato il sospetto. Si ritiene pertanto opportuno inserire i medici del settore odontoiatrico tra i gruppi a rischio per i disturbi muscolo-scheletrici dell’arto superiore su cui intervenire con strategie di tipo preventivo con programmi di formazione- informazione, fornitura di sistemi di lavoro ergonomici, diminuzione degli stress lavorativi e conseguentemente prevenzione degli stati di affaticamento. Bibliografia 1) Keiserling WM, Stetson DS, Silverstein BA, Brouwer ML. A checklist for evaluating ergonomic risk factors associated with upper extremity cumulative trauma disorders. Ergonomics 36: 807-831; 1993. 2) Moore JS, Garg A. The strain index: a proposed method to analyze jobs for risk of distal upper extremity disorders. Am Ind Hyg Assoc J 56: 443-458; 1995. 3) OSHA’S draft standard for prevention related muscoloskeletal disorders. Appl Occup Environ Hyg 18: 443-458; 1995. POSTER 464 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it V. Molinaro, E. Badellino, S. Palmi, F. Draicchio Parametri fisiologici dell'assistente di volo durante l'attività a corto raggio ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Laboratorio di Fisiologia ed Ergonomia L’attività dell’assistente di volo si caratterizza per i compiti assegnati in materia di sicurezza del volo (briefing di sicurezza), assistenza ai passeggeri in condizioni di emergenza ed in condizioni normali, informazioni ai passeggeri mediante i sistemi di diffusione sonora, procedure di armamento e disarmo degli scivoli. Tuttavia il servizio svolto a bordo degli aeromobili dagli assistenti di volo è rappresentato principalmente dalla preparazione e distribuzione ai passeggeri di cibi e bevande. Durante l’imbarco dei passeggeri inoltre gli assistenti di volo collaborano alla sistemazione nelle cappelliere del bagaglio a mano. Sia i pasti che gli articoli in vendita vengono movimentati mediante appositi carrelli (trolley) che nelle fasi di decollo e di atterraggio sono ancorati all’interno di spazi (galley) dove vengono predisposti i cibi e le bevande da distribuire nella fase di crociera. I galleys sono complessi strutturali dedicati allo stivaggio degli inserti, progettati per contenere pasti e materiali destinati al servizio passeggeri ed appositamente attrezzati per la conservazione e la preparazione dei pasti. Il blocco di questi inserti è assicurato da appositi elementi di vincolo presenti sul galley stesso, che garantiscono il blocco di trolleys e standard units durante il volo. Al termine del servizio ai passeggeri gli assistenti di volo sono impegnati nelle attività di riordino dei carrelli e di predisposizione degli stessi per la tratta successiva. In genere l’attività in ciascun turno di lavoro sulle rotte nazionali è costituita da una successione di più tratte in alcuni casi intervallate da un pernottamento in uno scalo intermedio. La mansione dell’assistente di volo comporta l’esposizione ad una serie di fattori di rischio che interagiscono in maniera complessa. In let- teratura sono presenti innumerevoli segnalazioni su alcuni di questi fattori tra i quali: Radiazioni cosmiche, Alterazioni del ritmo circadiano e fatica operazionale, Stress, Microclima, Ozono, Ipossia, Accelerazioni, Pressurizzazione della cabina, Attività di movimentazione manuale dei carichi, Posture incongrue, Rumore e Vibrazioni. Alcune condizioni di rischio peculiari sono riportate nella tabella I. Al fine di valutare le caratteristiche dell’impegno metabolico che l’attività comporta, abbiamo proceduto, con l’autorizzazione di una compagnia aerea, alla registrazione mediante un cardiofrequenzimetro Polar Advantage NV, dell’attività cardiaca di un assistente di volo su una tratta nazionale. La registrazione è stata effettuata in modalità R-R, che consente di valutare la frequenza cardiaca battito per battito. La registrazione (fig. 1) è stata iniziata in coincidenza dell’annuncio alla preparazione al decollo da parte del comandante, ed è proseguita fino ad atterraggio avvenuto. Il tracciato ha evidenziato una prima fase di incremento della frequenza cardiaca, che è stato messo in relazione col decollo e con la fase di pressurizzazione della cabina. Una successiva fase di incremento dell’attività cardiaca (con valori di picco di 40 bpm al di sopra della frequenza di riposo) è stato riferito invece al servizio offerto ai passeggeri. A tale fase ha fatto seguito una fase di recupero ed una successiva di mantenimento con valori di 20-30 bpm al di sopra della frequenza di riposo. Tale fase coincideva con le attività svolte all’interno del galley e finalizzate al riordino dei materiali e alla predisposizione dei carrelli. Una fase finale di incremento della frequenza cardiaca è stata infine riferita alla fase di atterraggio. Tabella I • Turbolenze di media intensità e sforzo muscolare per il mantenimento della stazione eretta • Turbolenze elevate e ripercussioni al sistema muscoloscheletrico • Svolgimento del servizio con volo “cabrato” • Forza centrifuga in virata con rischio articolare • Attività svolta in stazione eretta prolungata, con inclinazioni, torsioni, azioni di spinta e traino • Eccessiva altezza delle cappelliere per l’alloggio del bagaglio a mano • Turni prolungati con inizio al mattino presto • Soste progressivamente ridotte • Tratte giornaliere numerose (anche 5,5/die) • Turni irregolari • Incremento dei servizi a bordo • Servizio precipitoso • Carenza di strutture di sosta Figura 1 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 465 E. Badellino1, M. Ciavarella2, V. Molinaro1, A. Papale1, S. Rovetta2, F. Draicchio1 Valutazione di parametri metabolici, biomeccanici e posturali dell’attività di trasporto e consegna delle carni 1 2 ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Laboratorio di Fisiologia ed Ergonomia ASL Roma B, Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro Il ciclo di produzione delle carni prevede diverse fasi e tipologie di attività quali l’allevamento, la macellazione, il trattamento e la distribuzione. Tali attività sono spesso effettuate in comparti lavorativi distinti e richiedono l’intervento di figure professionali diverse. Sono presenti in letteratura numerosi studi riguardanti attività che comportano l’effettuazione di movimenti ripetuti dell’arto superiore durante la lavorazione delle carni. Taluni compiti richiedono l’uso di forza per la presa di utensili od oggetti, associata a velocità, a posture inadeguate del polso e della mano e all’uso di strumenti vibranti. Molte attività obbligano inoltre il lavoratore a mantenere per lungo tempo posture incongrue non solo del polso e della mano, ma anche del tronco (torsione, flessione, estensione). A queste condizioni critiche vanno aggiunti altri fattori di rischio quali, ad esempio, condizioni microclimatiche sfavorevoli, rumorosità ambientale, stress. Pochi riferimenti scientifici si hanno invece per quanto riguarda la valutazione del rischio da movimentazione manuale dei carichi durante alcune fasi della lavorazione e trasformazione della carne: particolarmente critiche risultano infatti le operazioni di facchinaggio, insacco e immagazzinamento che prevedono attività di sollevamento, trasporto, spinta e traino. In relazione al rischio da movimentazione manuale dei carichi, poco esplorata risulta in particolare la mansione di trasporto e consegna delle carni ai rivenditori nella quale sono chiaramente evidenti alcuni aspetti critici dovuti principalmente al tipo di carico movimentato, alle modalità operative e al contesto in cui tale attività viene effettuata. La presente indagine, finalizzata ad evidenziare le peculiarità metaboliche, biomeccaniche e posturali della predetta attività, è stata effettuata su due addetti di un’azienda di trasporto carni che opera presso un mattatoio, al fine di valutarne i parametri fisiologici e biomeccanici durante le fasi di consegna della carne agli esercizi di vendita al dettaglio. La mansione comporta il trasferimento e lo smistamento delle carni nella sala mercato del mattatoio e, da questo locale, il trasporto sulla banchina di carico per il caricamento dei camion frigo. La carne in varie pezzature viene quindi trasportata e consegnata alla piccola distribuzione. Al rientro, gli operatori si occupano della sanificazione dell’automezzo. Al soggetto addetto alla guida del veicolo e alla consegna della carne è stata monitorata la frequenza cardiaca (misurata in battiti per minuto) mediante un cardiofrequenzimetro Polar Advantage NV e, utilizzando la ripresa effettuata con videocamera digitale, è stato stimato, mediante un apposito software (Apalys 3.0), il carico discale a livello lombo-sacrale. I valori della frequenza cardiaca riscontrati durante 4 ore e 50 minuti di registrazione raggiungevano livelli critici (140 bpm) nelle fasi più impegnative di consegna, con valori medi di 99 bpm a fronte di una frequenza cardiaca di base di 70 bpm. Inoltre, le manovre di trasporto di carichi consistenti, anche superiori a 120 Kg, richiedendo posture e movimenti inadeguati del tronco, comportavano spesso un superamento del “Maximum Permissible Limit” (MPL) a livello dell’unità disco-vertebra L5-S1, stimato dal NIOSH a 6400 N; infatti, per carichi movimentati di 75 Kg, le forze di compressione discale stimate risultavano pari a 10117 N, per carichi di 85 Kg erano pari a 12053 N e per carichi di 100 Kg raggiungevano i 12801 N. Anche l’“Action Limit” (AL), pari a circa 3400 N, viene superato movimentando carichi di 55 Kg, dove le forze di compressione discale stimate risultavano pari a 5635 N. Figura 1. Ricostruzione del modello tridimensionale relativa alla fase di trasporto di un carico del peso di 85 Kg. Sono stati proposti alcuni interventi correttivi di tipo strutturale, fra cui una riduzione delle pezzature da trasportare in contenitori adeguati o tramite appositi ausili elettrici; l’utilizzo di pedane di continuità per coprire i dislivelli e le distanze fra i livelli; l’adozione di pavimenti antisdrucciolo; la predisposizione di reti di rotaie comandate elettricamente sia nella sala mercato che nel camion; l’impiego di sponde o palchi di salita/discesa dei pezzi dal camion; la presenza di bracci di calata dei pezzi e di scale elettriche retraibili. Sarebbe opportuno inoltre intervenire anche con misure organizzative, adeguando il numero di addetti e degli automezzi, agendo sui turni, sulle pause di lavoro e sulla pianificazione delle consegne. È importante predisporre un’adeguata formazione e informazione dei lavoratori e una sorveglianza sanitaria mirata. Andrebbe, infine, eseguito un monitoraggio per la verifica dell’efficacia degli interventi correttivi approntati. Bibliografia 1) Ayoub MM. Problems and solution in manual material handling: the state of the art. Ergonomics 1992; 35: 7/8, 713-28. 2) Chen HC, Ayoub MM. Dynamic biomechanical model for risk asymmetric lifting. In: Aghaza F Ed. Trends in Ergonomics/Human Factors V (North-Holland); 1988. 3) NIOSH. A Work practices guide for manual lifting. Tech Report Publication No. 81-122. U.S. Department of Health and Human Services. Cincinnati, OH; 1981. 4) Recommandations et manutention manuelle de charges (J.O., 11 aout 1993). Arch Mal Prof 1993; 54: 7, 629-30. 5) Recommandation CNAMTS. Manutention des quartes ou carcasses de viande de boucherie. R 393. Mautention manuelle. Aide-mémoire juridique. INRS, TJ 18. Evaluation des risques professionnels. Guide pour les PME-PMI. INRS, ED 840. Méthode d’analyse des manutentions manuelles. INRS, ED 776; 2002. POSTER 466 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it F. Draicchio, E. Badellino, V. Molinaro, A. Papale Indicatori fisiologici di esposizione per le attività di movimentazione manuale dei pazienti ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Laboratorio di Fisiologia ed Ergonomia Nel lavoro viene proposto un confronto fra il consumo di ossigeno nelle operazioni di trasferimento di un paziente dal letto alla carrozzina eseguite sia manualmente sia mediante tecniche di ausiliazione. I dati proposti evidenziano come tale parametro fisiologico sia in grado di differenziare adeguatamente le attività condotte con tecnica manuale da quelle eseguite mediante l’utilizzo di ausiliatori. Viene anche proposto come indicatore fisiologico di esposizione per le attività di movimentazione dei pazienti il costo cardiaco relativo. A tale scopo è stata simulata in laboratorio una serie di operazioni di trasferimento pazienti da un comune letto di degenza ospedaliera ad una carrozzina effettuando tali prove sia manualmente che mediante un sollevatore a corsetto. La figura 1 mostra i dati relativi al consumo di ossigeno registrato mediante il sistema telemetrico Cosmed K2. L’apparecchio veniva montato sull’operatore 10-15 minuti prima della registrazioni per favorire l’adattamento. Sono stati eliminati i soggetti che presentavano una risposta iperventilatoria all’apparecchio stesso. Le operazioni iniziavano dopo 3 minuti di registrazione in condizione di riposo. Nel tracciato a linea continua vengono rappresentati i dati relativi al consumo di ossigeno delle manovre manuali, nelle quali i valori di picco superano i 2 l/min. La manovra ausiliata è rappresentata invece dal tracciato segmentato con i simboli circolari. I valori di picco si collocano a 1.5 l/min. Risulta inoltre evidente la diversa durata delle operazioni manuali e ausiliate. Al termine della prova è possibile osservare il graduale ritorno alle condizioni di riposo. Va infine sottolineato che i dati riportati sono riferiti, nel caso della manovra manuale, ad uno dei due operatori impegnati nell’attività, mentre nel caso della manovra ausiliata i dati provengono dall’unico operatore che effettua la manovra. Quindi, supponendo che l’impegno metabolico della manovra manuale sia suddiviso equamente tra i due operatori, si può ritenere plausibile un confronto fra il doppio del dispendio energetico dell’operatore impegnato nella manovra manuale ed il dispendio energetico dell’unico operatore impegnato nella manovra ausiliata. Va comunque osservato che anche le manovre ausiliate possono essere eseguite da due operatori, in particolare utilizzando il sollevatore a corsetto, nella fase di posizionamento del corsetto al disotto del paziente, manovra che richiede il posizionamento del paziente su di un fianco. L’opportunità di adibire due operatori alla manovre ausiliate appare tanto maggiore quanto più grave è il livello di disabilità o il peso del paziente. L’altro indicatore fisiologico proposto per le attività di movimentazione manuale dei pazienti è il costo cardiaco relativo. Il costo cardiaco relativo (CCR) è ottenuto mettendo in rapporto l’aumento della frequenza cardiaca con l’aumento massimo probabile, tenuto conto della frequenza di riposo e della frequenza massima (220-l’età). In pratica il costo cardiaco relativo esprime in percentuale il rapporto fra il costo cardiaco netto (CCN) e la differenza fra la frequenza cardiaca massima (maxHr) e la frequenza cardiaca di riposo (rHR). Il costo cardiaco netto non è altro che la differenza fra la frequenza cardiaca media Figura 1 di lavoro e la frequenza cardiaca media di riposo. La frequenza cardiaca massima può essere stimata in modo teorico secondo la formula di Astrand (220-età in anni) oppure può essere estrapolata mediante prove sottomassimali al cicloergometro. La formula del costo cardiaco relativo risulta pertanto: CCR = CCN/maxHR-rHR Il carattere di questo indicatore suggerisce che esso debba essere riferito alle sole attività di movimentazione e non all’intero ciclo lavorativo. Ad esempio appare opportuna la sua applicazione ad attività quali l’assistenza al letto del paziente. Spesso queste attività vengono condotte da due operatori in coppia. In tal caso è possibile calcolare il CCR per entrambi gli operatori. Per una più completa valutazione delle attività di movimentazione manuale dei pazienti appare comunque utile associare alla misura del costo cardiaco relativo, quella del costo cardiaco netto e la registrazione dei picchi con i relativi livelli di frequenza cardiaca. Ciò consentirà di identificare all’interno dell’attività, eventuali sporadiche fasi di maggior impegno che potrebbero essere sottostimate con la sola misura del CCR. Bibliografia 1) Garg A, Owen BD, Beller D, and Banaag J. A biomechanical and ergonomic evaluation of patient transferring tasks: bed to wheelchair and wheelchair to bed. Ergonomics 34: 289, 1991. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 467 P. Benevento, G. Sciaudone Il rischio chimico “moderato”, indicazioni pratiche per la sua individuazione Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro II, Seconda Università degli Studi di Napoli Premesse Il Decreto Legislativo n. 25 del 2 febbraio 2002 costituisce il recepimento italiano della Direttiva 98/24/CE, fornendo i requisiti minimi per la salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori nei confronti degli agenti chimici presenti negli ambienti di lavoro. Il nuovo Decreto risulta per alcuni aspetti profondamente innovativo, in prima istanza per l’ampliamento del campo di applicazione. Quest’ultimo viene infatti esteso a sostanze chimiche (medicinali, cosmetici, esplosivi, etc.) in precedenza escluse dai campi applicativi del D.Lgs. 626/94, ma anche a quegli agenti che, pur non essendo classificabili come pericolosi in base ai D.Lgs. n. 52/97 e n. 258/98, possono mettere a rischio la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa di loro proprietà chimico-fisiche, tossicologiche, o in relazione alle loro modalità di utilizzo, comprese le sostanze cui è stato assegnato un TLV. Tuttavia l’elemento di maggiore novità del Decreto è sicuramente l’individuazione di una soglia di rischio, quella del cosiddetto “rischio moderato”, che consente al datore di lavoro di evitare misure di prevenzione primaria (la sostituzione dell’agente pericoloso, la riprogettazione dei processi lavorativi, il miglioramento della ventilazione, l’adozione di DPI), e di prevenzione secondaria (sorveglianza sanitaria, monitoraggio ambientale e biologico, etc.). È chiaro a tutti che la legge, in attesa dell’emanazione del Decreto ministeriale relativo, attribuisce al datore di lavoro l’obbligo di identificare e definire il rischio. Tale temporanea assenza di una identificazione giuridica del rischio moderato, lascia spazio a non poche perplessità. La maggiore fra queste è senz’altro rappresentata dall’aleatorietà dell’ aggettivo moderato che può avere diverse interpretazioni, assumendo varie connotazioni a seconda dell’esaminatore, sia esso il datore di lavoro al momento della valutazione del rischio, sia esso l’organo di vigilanza al momento dell’ispezione, con l’imbarazzante eventualità, in quest’ultimo caso, di differenti posizioni degli organi di controllo. Occorre altresì mettere in evidenza la differenza che esiste nella definizione di rischio moderato fra la Direttiva CE ed il D.Lgs 25/02. Nella prima il rischio moderato viene individuato solo dal parametro quantità dell’agente chimico mentre nel recepimento italiano i parametri presi in considerazione sono: • il tipo di agente chimico, • la quantità, • le modalità e la frequenza dell’esposizione. In entrambi i testi i parametri individuati devono coesistere con la condizione che le misure di prevenzione e protezione siano sufficienti a ridurre il rischio. Ma le perplessità non sono soltanto relative alla definizione del rischio moderato sotto gli aspetti interpretativi della Direttiva 98/24/CE, in quanto vi sono difficoltà nella sua definizione anche di ordine tecnico e scientifico In primo luogo richiamiamo l’attenzione sulla complessità della valutazione del rischio chimico, ed in particolare sul fatto che l’esposizione agli agenti chimici è pressocchè sempre una multiesposizione, sia essa contemporanea che sequenziale. Nell’ottica di tale multiesposizione è possibile inoltre che si sviluppino effetti sinergici fra le sostanze in uso, laddove cioè l’effetto tossico ottenuto su un organo bersaglio risulta maggiore della sommatoria dei singoli effetti delle sostanze. Da quanto detto emerge che vengano valutati gli effetti complessivi sulla salute di diverse sostanze, alle quali possono essere o meno stati attribuiti valori limite di esposizione, con ulteriori difficoltà nel caso, per alcune di esse, di un assorbimento che si realizzi in massima misura attraverso la via cutanea. In secondo luogo non bisogna dimenticare che i lavoratori possono avere una diversa suscettibilità ai vari tossici per diverse ragioni (soprattutto di ordine fisio-patologico), motivo stesso per il quale si legge chiaramente nella definizione dei TLV, che tali limiti di soglia indicano le concentrazioni di sostanze aerodisperse al di sotto delle quali si ritiene che solo la maggioranza dei lavoratori possa rimanere esposta ripetutamente giorno dopo giorno senza subire effetti negativi sulla salute. Criteri per la definizione del rischio moderato Fermo restando quanto previsto dall’art. 72-terdecies D.Lgs. 626/94 relativo all’emanazione di un Decreto Ministeriale per l’individuazione del rischio moderato e, nelle more di questo, che la valutazione del rischio moderato è comunque effettuata dal datore di lavoro, si ritiene di fornire alcune indicazioni relative all’individuazione della soglia del rischio moderato secondo i seguenti criteri: Rischio tossicologico 1) ATTRAVERSO L’USO DEI VALORI LIMITE OCCUPAZIONALI In tal senso fa riferimento la norma UNI EN 689 (Allegato VII sexies Titolo VII bis D.Lgs 626/94) dove all’APPENDICE C viene fornita una procedura formale per la valutazione dell’esposizione di addetti. In merito ai valori di esposizione rilevati si può evitare la misurazione periodica dell’agente (art. 72-sexies comma 2 D.Lgs 626/94) e terminare il processo di miglioramento, in quanto ci sono sufficienti garanzie che non sia superato il TLV, quando: • Su di un turno di lavoro il valore di esposizione risulta inferiore ad 1/10 del valore limite. • Su tre diversi turni il valore di esposizione risulta inferiore ad 1/4 del valore limite. Pertanto è ragionevole e praticabile indicare che i valori di 1/10 su di un turno e di 1/4 su tre turni fissano la soglia al di sotto della quale si può classificare il rischio moderato per inalazione di un agente chimico. In alternativa la stessa norma UNI EN 689 offre un approccio di valutazione statistica rispetto al valore limite (APPENDICE D). Qui il numero di misurazioni delle esposizioni deve risultare più alto (almeno 6 è il numero minimo accettabile) e sono previste tre zone di riferimento in funzione delle percentuali previste di superamento del valore limite: • Situazione rossa con probabilità di superamento del valore limite maggiore del 5%. • Situazione arancio con probabilità di superamento del valore limite fra lo 0,1 ed il 5%. • Situazione verde con probabilità di superamento del valore limite inferiore allo 0,5%. POSTER 468 Nel caso di applicazione di questo criterio statistico la soglia del rischio moderato è individuabile quando si rientra nella situazione verde. 2) SENZA L’AUSILIO DI VALORI LIMITE I modelli o algoritmi per la valutazione del rischio permettono, attraverso un giudizio sintetico finale, di inserire il risultato delle valutazioni in classi; risulta pertanto indispensabile, per l’applicazione di ogni modello, oltre alla conoscenza dettagliata, riferirsi alla specifica graduazione in esso contenuta. Nel caso delle piccole imprese artigiane, che si distinguono per un’elevata variabilità delle mansioni lavorative degli addetti e dei relativi tempi di esposizione nonché delle modalità d’uso degli agenti chimici, gli algoritmi o modelli possono rappresentare uno strumento di particolare utilità nelle valutazione del rischio. Risulta comunque consigliabile, nei casi dubbi, confermare il risultato dei modelli con una o alcune misurazioni dell’esposizione. 3) ESPOSIZIONE CUTANEA Nel campo della valutazione dell’esposizione cutanea non sono attualmente disponibili valori limite di esposizione dermica mentre sono disponibili metodiche per la misurazione. Nel caso di valutazione dell’esposizione cutanea per classificare il rischio moderato sono disponibili due vie (di diversa validità): • Senza misurazioni, attraverso un modello (per esempio quello proposto in allegato B) in cui ci si può classificare nel rischio moderato quando la valutazione porta alle classi “molto basso” e “basso” che devono comunque escludere il contatto o lo prevedono solo per casi sporadici o incidentali. • Con misurazioni, da utilizzare ogni qual volta esistano dubbi sull’esposizione cutanea; in questo caso per classificarsi in rischio moderato un approccio conservativo (tutelante) potrebbe essere quello di determinare quantità, in concentrazione (µg/cm2/giorno), al di sotto di 10 volte il limite di rilevabilità del metodo (valore di concentrazione trovato < 10 L.R.). Rischio di incendio e/o esplosione Per la classificazione al di sotto della soglia del rischio moderato nel caso della valutazione di incendio si individua il D.M. 10/03/1998 “Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’ emergenza nei luoghi di lavoro” quale punto di riferimento. Nel D.M. vengono individuate tre classi di rischio di incendio: luoghi di lavoro a rischio di incendio elevato, medio e basso e, nell’allegato IX, sono individuati, a titolo esemplificativo e non esaustivo, elenchi di attività che rientrano nelle attività a rischio di incendio medio ed elevato. Per tali attività si ritiene automatico classificare il rischio di incendio superiore al moderato. Per attività non indicate nell’allegato IX si deve effettuare la valutazione del rischio incendio ed è possibile classificare al di sotto della soglia del rischio moderato quelle attività per cui tali valutazioni hanno portato all’identificazione delle seguenti condizioni (punto 1.4.4 del D.M. 10/03/1998 rischio di incendio basso): • Sostanze a basso tasso di infiammabilità. • Condizioni locali di esercizio con scarsa possibilità di sviluppo di principi d’incendio. • Probabilità di propagazione limitata in caso di eventuale incendio. Inoltre possono essere di ausilio nella valutazione di incendio e/o esplosione e nella relativa classificazione in rischio moderato: G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it 1) La norma CEI EN 60079-10 (Classificazione dei luoghi pericolosi); CEI 31-35 e CEI 31-35/A (Guide per l’applicazione della norma CEI-EN 60079-10). 2) La norma CEI 64-2 (Prescrizione specifica per la presenza di polveri infiammabili e sostanze esplosive). 3) La direttiva 1999/92/CE del 16/12/1999 relativa alle prescrizioni minime per il miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori che possono essere esposti a rischio di atmosfere esplosive (quindicesima direttiva particolare ai sensi dell’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE). Conclusioni In definitiva dalle diverse considerazioni fatte emerge un concetto di primaria importanza: la valutazione del rischio chimico per la sua particolare complessità richiede delle competenze professionali alte che in genere fanno parte del bagaglio formativo del solo medico competente il cui ruolo attivo di collaborazione con il datore di lavoro al momento della valutazione diventa come mai in precedenza momento decisivo ed imprescindibile nella definizione del rischio stesso. Bibliografia 1) Iavicoli N, Gragnaniello V, Benevento P, Improta A, Esposito G. Quale sorveglianza sanitaria in presenza di rischio moderato ai sensi del D.Lgs. 25/2002. Giornate di Corvara, IX Congresso Nazionale AIDII, Atti del convegno,19-21 Marzo 2003. 2) D.Lgs 2 febbraio 2002, n. 25. Attuazione della direttiva 98/24/CE sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro. Supplemento G.U. n. 40/L dell’8/03/2002. 3) Direttiva CE del 1998 n. 24. 4) Marchesini B. Le novità contenute nel D.Lgs. 25/02 rispetto a quanto previsto dal D.Lgs. 626/94. Atti del seminario: La nuova legge sugli agenti chimici: quali le novità per lavoratori ed RLS, Atti del convegno, Bologna 7 Novembre 2002. 5) Arcari C. La Valutazione del rischio moderato: aspetti critici e difficoltà interpretative. Collana INFOSIRS, Volume n. 2, 2002. 6) D.Lgs. n. 626/94 Titolo VII. 7) D.P.R. del 19/03/1956 n. 303. 8) D.P.R. del 27/04/1955 n. 547. 9) D.Lgs. del 15/08/1991 n. 277. 10) D.Lgs. del 17/03/1995 n. 230. 11) D.L.gs del 03/02/1997 n. 52. 12) D.Lgs del 16/07/1998 n. 285. 13) D.M. del 28/04/1997, All. VI. 14) Norma UNI-EN 689/1997. 15) Direttiva CE dell’8/06/2000 n. 39. 16) Norma UNI-EN 481/1994. 17) Norma UNI-EN 482/1998. 18) D.M. del 10/03/1998. 19) Norma CEI EN 60079-10. 20) Norma CEI 31-35. 21) Norma CEI 64-2. 22) Direttiva CEE del 1989 n. 391. 23) Direttiva CE del 16/12/1999 n. 92. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 469 G Marino, B. Rori, B. Pucci, V. Gilet, U. Iannaccone, A. Magrini Formazione degli addetti al pronto soccorso. Note interpretative sull’art. 3 comma 2 del nuovo Decreto Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Il nuovo decreto sull’organizzazione del pronto soccorso prevede lo svolgimento di corsi di formazione teorico-pratica dei lavoratori addetti al pronto soccorso, designati dal datore di lavoro con l’incarico di attuare le misure di primo soccorso, salvataggio e gestione dell’emergenza. qualche difficoltà interpretativa potrebbe sorgere sull’applicazione fedele alla volontà del legislatore circa il secondo comma dell’art. 3 del decreto, come così proposto: “2. La formazione dei lavoratori designati è svolta da personale medico. Nello svolgimento della parte pratica della formazione il medico può avvalersi della collaborazione di personale infermieristico professionale o di altro personale specializzato”. Tale comma è costituito da due frasi che si possono interpretare nei termini seguenti: Prima frase: “La formazione dei lavoratori designati è svolta da personale medico.” …la formazione… ai fini degli adempimenti di legge “il datore di lavoro…, sentito il Medico Competente ove previsto, prende i provvedimenti necessari in materia di pronto soccorso” (art. 15 D.Lgs. 626/94). La formazione dei lavoratori incaricati di attuare le misure di pronto soccorso, alla luce del decreto, sarà: …svolta da personale medico… la legge non parla in questo caso di Medico Competente. L’unico riferimento al Medico Competente è nel citato art. 15 della 626 quando indica “sentito il Medico Competente, ove previsto”. Deve esserci il parere del Medico Competente come intenzione del legislatore a monte del decreto. Pertanto è da ritenersi implicita la previsione di legge circa la scelta di concerto tra datore di lavoro e Medico Competente del personale medico incaricato di formare il personale addetto alle attività di pronto soccorso. Sembrerebbe pertanto inopportuno che il datore di lavoro scelga unicamente egli stesso a quale personale medico delegare la formazione per il pronto soccorso dei suoi dipendenti. Il Medico Competente inoltre concorre col datore di lavoro ad 'individuare quale lavoratore potrà essere candidato alla formazione al pronto soccorso. Il decreto inoltre indica “personale medico” il che non equivale a medico del lavoro, né tantomeno a Medico Competente. È lecito che gli obiettivi didattici della formazione dei lavoratori siano percorsi anche da una equipe di medici, i quali potrebbero suddividersi i compiti formativi, le ore di didattica e la parte pratica. Nella seconda frase: “Nello svolgimento della parte pratica della formazione il medico può avvalersi della collaborazione di personale infermieristico professionale o di altro personale specializzato”. …parte pratica… Prevede l’acquisizione di capacità di intervento pratico. Deve essere formato ogni singolo lavoratore designato su ogni singola tecnica prevista dagli allegati 3 e 4, i quali prevedono che in 4-6 ore si acquisiscano capacità su n. 7 (sette) tecniche individuate dalla legge, ma che didatticamente possono essere ricapitolate in n.4 (quattro) tecniche fondamentali, ossia BLS, Emorragie, Trasporto infermi, Posizioni di primo soccorso. …Il medico… ossia la parte pratica è svolta dal medico. È lui ad essere presente ed a fare formazione. …può avvalersi della collaborazione di personale infermieristico professionale… Viene introdotta nell’ambito del decreto la figura dell’infermiere professionale, con un suo ruolo, in collaborazione con il medico, nell’istruzione dei lavoratori sulle tecniche d’emergenza. Viene in questo caso scelto unicamente dal medico, e non dal datore di lavoro, l’infermiere professionale che dovrà collaborare. È compito del medico individuare i casi in cui necessita la collaborazione dell’infermiere; è tuttavia auspicabile che nell’abito della scelta dei collaboratori didattici, ci si avvalga di personale esperto e in possesso di titoli che ne caratterizzino la professionalità. Si intendono proporre i seguenti criteri per individuare il tipo di collaborazione legalmente ineccepibile, come indicato in tabella I. Tabella I. Casi in cui è suggerita la collaborazione con l’infermiere professionale 1. Personale infermieristico dell’Azienda Sanitaria competente sul territorio e con buone capacità didattiche 2. Personale infermieristico del 118 o impiegato presso un Pronto Soccorso 3. Infermiere con esperienza referenziata in formazione dei soccorritori professionali. (Tutor BLS) 4. Infermiere esperto in emergenze extraospedaliere 5. Infermiere che si occupi prevalentemente di didattica …altro personale specializzato… interpretando in maniera estensiva, può intendersi chiunque si dichiari “esperto in pronto soccorso”, o abbia in curriculum un qualsiasi attestato, anche di sola frequenza, ad un corso di pronto soccorso. Il buon senso del medico in tal caso guiderà la scelta di collaboratori fra i non addetti ai lavori, i laici del soccorso, i volontari di diverse associazioni ed enti. Si potrebbe proporre il caso di un medico che richieda la collaborazione di equipe di soccorritori volontari iscritti in prestigiose associazioni, quali ad esempio la Croce Rossa, tra cui molti volontari diffondono costantemente i principi del primo soccorso e sono didatticamente ben motivati. Non sempre però l’appartenenza ad associazioni volontaristiche è requisito sufficiente alla collaborazione col medico ai fini della formazione di lavoratori addetti al pronto soccorso. Sarà diligenza del medico accertarsi che detto personale sia effettivamente capace di formare i lavoratori a capacità pratiche d’intervento. I rischi insiti nell’interpretazione della norma sono costituiti dalla possibilità che l’azione formativa venga svolta in modo frammentario, da personale che sia scarsamente preparato sia per l’esperienza nelle procedure di primo soccorso, che per la capacità didattiche. Si vuole richiamare l’attenzione sul ruolo che Il Medico Competente ed il Servizio di Prevenzione e Protezione svolgono nella definizione dei “soggetti” impegnati nelle attività formative, tale ruolo risulta particolarmente delicato anche in considerazione dell’ampliamento delle figure didattiche, che l’art. 3 comma 2 della bozza di decreto sul primo soccorso prevede; pertanto in assenza di criteri specifici dovranno essere loro ad esercitare una selezione dei formatori con caratteristiche che soddisfino gli obiettivi previsti dal legislatore. È giudizio del medico che richiede la collaborazione accertarsi che tali formatori esperti sulle procedure di primo soccorso, siano in grado di trasmettere ai lavoratori le abilità richieste. Un ulteriore timore derivato dall’applicazione della norma è generato dal rischio della frammentazione dell’evento formativo, a discapito dell’efficacia dell’azione didattica. L’appalto della formazione specifica del primo soccorso, inoltre potrebbe far perdere alcuni aspetti specifici quali la “personalizzazione delle procedure in relazione ai rischi specifici della realtà lavorativa”. Bibliografia 1) D.Lgs. 626/94 2) Bozza testo decreto primo soccorso http: //www.bencafamily.it/lex 57-00/2002_11_18_PRIMO%20SOCCORSO_BOZZA.pdf POSTER 470 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it E. Pagliari, E. Santacroce, L. Trento, U. Iannaccone, A. Magrini Rischio occupazionale da bioterrorismo Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Introduzione Cosa è il bioterrorismo? Il bioterrorismo è l’uso deliberato a scopo terroristico di agenti biologici chimici o nucleari. Negli ultimi anni, ed in particolare dal 2001, si sente parlare sempre più spesso di bioterrorismo; l’attentato alle torri gemelle ha mutato profondamente la sensibilità verso questo problema; il terrorismo da allora ha fatto un salto di qualità, arrivando al cuore del potere economico della più potente nazione occidentale. La diffusione di antrace con la posta nel Distretto di Columbia, in Florida e nel New Jersey completò il quadro: terroristi senza scrupolo avevano iniziato una guerra non convenzionale con l’uso delle più temibili armi di distruzione. Obiettivi Il personale delle emergenze si trova coinvolto in situazioni che oramai sono ben individuate e per le quali vi sono precisi protocolli di intervento, precisi criteri di valutazione del rischio e, nella gran parte dei casi, gli operatori sono adeguatamente attrezzati e formati per rispondere a questo tipo di evenienze; ma sarebbero pronti ad intervenire in sicurezza in un ipotetico scenario di un attentato bioterroristico? con il quadro internazionale attuale, vi potrebbero essere rischi aggiuntivi a causa del bioterrorismo per questo personale? ci sono operatori, che proprio per il lavoro che sono chiamati a compiere, possono subire danni da un rischio bioterroristico per il quale non sono preparati? Queste ed altre domande ci hanno spinto ad analizzare più profondamente il problema cercando di non cedere a facili allarmismi, ma esaminando in maniera più razionale possibile i dati a nostra disposizione. Materiali e metodi Il reperire dati è stata la fase più difficile del nostro lavoro: gli attentati bioterroristici veri e propri sono stati molto pochi, il rischio reale varia grandemente in base alla situazione internazionale e nella realtà dei fatti è assai poco quantificabile, molte delle informazioni che potevano essere utili per una analisi corretta del problema sono informazioni classificate in quanto ritenute essenziali per la sicurezza e la difesa. Con queste premesse abbiamo attuato una analisi basata sugli eventi storici più eclatanti e su alcune simulazioni che alcuni enti della sicurezza hanno effettuato e solo da poco sono state rese accessibili. Risultati Abbiamo individuato tre eventi che secondo noi rappresentano, per caratteristiche diverse, un ampio spettro delle dinamiche che potrebbero presentarsi in un evento bioterroristico. L’evento più paradigmatico è sicuramente quello che si verificò a Tokyo nel 95, dove gli adepti della setta della “suprema verità” liberarono gas Sarin (un potente gas nervino) nella metropolitana. Ci furono 12 vittime, 5 di queste erano operatori di sanità, inoltre il non riconoscimento dell’agente causale (agli inizi si penso ad una intossicazione da monossido di carbonio per un incendio) provocò la contaminazione di circa 250 operatori della sanità tra coloro che erano addetti alle ambulanze e quelli che negli ospedali si occupavano della accettazione dei pazienti. Un altro episodio che a noi è sembrato importante fu la diffusione di Antrace a mezzo posta nel 2001 in diversi stati degli USA; in quel frangente vi furono 2 vittime tra gli addetti allo smistamento e distribuzione posta e 5 contrassero forme gravi di antrace polmonare. Altro evento che abbiamo deciso di prendere in considerazione è l’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre 2001; questa nostra scelta richiede ulteriori precisazioni: questo non fu un attentato bioterroristico ma due caratteristiche principali ci hanno convinto ad utilizzarlo come un importate modello di studio, innanzitutto il gran numero di persone coinvolte: questo è stato un banco di prova per la “macchina dell’emergenza” che secondo molte testimonianze successive non funzionò sempre al meglio, ulteriore caratteristica che ci ha spinto ad analizzare questo episodio è stata il protrarsi del rischio, nello specifico di quello occupazionale, oltre il “tempo zero” dell’impatto degli aerei sulle torri: il maggior numero di vittime occupazionali (343 vigili del fuoco e 28 poliziotti) si ebbe qualche ora dopo quando le torri collassarono. Questi episodi possono darci diverse informazioni: il rischio fu sottostimato o identificato molto tardivamente, gli operatori si trovarono ad agire senza essere formati per un rischio che li colse del tutto impreparati. Queste vittime “storicamente accertate” sono a nostro avviso la conferma che esiste un rischio occupazionale da bioterrorismo, gli operatori che rimasero coinvolti risultarono vittime dell’impreparazione ad eventi che allora non erano, se non molto difficilmente, ipotizzabili. Commenti e conclusioni Noi possiamo pertanto ragionevolmente concludere che è presente un rischio lavorativo di tipo bioterroristico, l’entità del quale è assolutamente difficile da quantificare in quanto strettamente dipendente dalla situazione politica internazionale, e come ci aspettavamo questo lavoro più che dare risposte ha generato una serie di interrogativi: innanzitutto come dicevamo, come quantificare questo rischio? Che misure adottare in merito alla formazione del personale e alla distribuzione eventuale di DPI? In questo contesto che ruolo può avere il Medico Competente? Non è facile rispondere a queste domande, quello che auspichiamo è una maggiore sensibilità da parte dei Medici Competenti che operano in queste strutture “a rischio” verso questo problema, una percettività maggiore verso gli input che provengono dalla situazione internazionale e l’attuazione di procedure che in molti casi possono richiedere l’impiego di un limitato numero di risorse ma possono, nel malaugurato caso di un evento simile, salvare un numero di vite potenzialmente molto alto. Bibliografia 1) Ministero della salute Direzione Generale della Prevenzione. Protocolli emergenza antrace. Agenti biologici potenzialmente utilizzabili. 2) MMWR 49(RR04); 1-14, Aprile 2000. Health Aspects of Biological and Chemical Weapons. Organizzazione Mondiale della Sanità (Bozza non ufficiale, Agosto 2000). 3) Ministero della Salute Direzione Generale della Prevenzione. Agenti biologici categoria A (alta priorità)” http: //www.sanita.it/malinf/Rischi/ comunicati/noteinf.htm 4) MMWR. Use of Antrax Vaccine in United States. Reccomendations of Advisory Committee on Immunization Practice (ACIP); Vol. 49, No. RR-15, 2000. 5) WHO Expert Committee on Plague: Third Report. Geneva, Switzerland: World Health Organization; 1970: 1-25. Technical Report Series 447. 6) Simon JD. Biological terrorism: preparing to meet the threat. JAMA. 1997; 278: 428-430. Medline. 7) US Army Medical Research Institute of Infectious Diseases, Centers for Disease Control and Prevention, and US Food and Drug Administration. Medical Response to Biological Warfare and Terrorism. Gaithersburg, Md: US Army Medical Research Institute of Infectious Diseases, Centers for Disease Control and Prevention, and US Food and Drug Administration; 1998. 8) World Health Organization. Health Aspects of Chemical and Biological Weapons. Ginevra, Switzerland: World Health Organization; 1970: 98. 9) Ministero della salute. Direzione Generale della Prevenzione. Schede relative ad agenti chimici che potrebbero essere usati per aggressione bellica e terroristica. http: //www.sanita.it/malinf/Rischi/comunicati/noteinf.htm 10) Da Goodman G. Le basi farmacologiche della terapia. Editrice Zanichelli, 1992. 11) Santoni et al. Le armi Chimiche. Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, 1991. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 471 R. Giammattei, S. Bonomo, F. Pastorelli, G. Ricciardi Tenore, S. Girardi, A. Magrini AIDV: prevalenza dei disturbi astenopeici in addetti al call center Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Introduzione Materiali e metodi La grande diffusione della tecnologia informatica ha determinato in quasi tutti i settori lavorativi, la necessità di utilizzare il computer. La nascita di nuove attività occupazionali diverse dal tradizionale impiego in ufficio, come ad esempio il diffondersi dei call center nelle aziende, determina la necessità di studi mirati e distinti per tipologie di utilizzo del VDT. L’attività nei call center è svolta da operatori costantemente collegati al cliente con l’utilizzo di cuffie monoaurali, tale attività si differenzia dalle classiche mansioni impiegatizie per la presenza di una maggiore costrittività posturale, dalla ripetitività delle operazioni svolte, dal contatto continuo con il cliente e dai ritmi di lavoro spesso estremamente impegnativi. La mansione di addetto al call center costituisce una delle figure professionali, oggi più diffuse; per il suo rapido diffondersi e per la scarsa conoscenza delle criticità occupazionali legate sia all’utilizzo del AIVD che al contatto con il cliente mediante cuffia monoaurale, sono scarsamente presenti in letteratura esperienze di studio del disagio occupazionale. Lo studio è stato effettuato nel corso della campagna di sorveglianza sanitaria per dipendenti addetti all’utilizzo del VDT, condotta nel 2002. Le caratteristiche dell’operatore videoterminalista sono state definite in accordo alla legislazione vigente. Il protocollo sanitario prevedeva una visita medica generale, eseguita dal Medico del Lavoro, una visita oculistica eseguita da un medico specialista in oculistica e la somministrazione di un questionario per la verifica della presenza di sintomatologia astenopeica. I dati sono stati registrati su supporto informatizzato e analizzati con adeguato software (SPSS ver. 8). Scopo dello studio L’obiettivo del presente studio è valutare, tramite la somministrazione del questionario suggerito dal Gruppo Italiano Lavoro e Visione, la prevalenza di sintomatologia astenopeica in due distinti gruppi di lavoratori: operatori di call center, in ambiente lavorativo unico aperto (open space), con circa 60 dipendenti, ed impiegati addetti ad attività lavorativa tradizionale all’interno di uffici, con la presenza di 5-6 dipendenti. Con astenopia si intende in oftalmologia un quadro caratterizzato da disturbi oculari e/o visivi di tipo irritativo e disfunzionale che insorgono quando l’apparato visivo tenta di conseguire, mediante artifici stressanti, risultati funzionali eccedenti le proprie possibilità fisiologiche. Risultati Nello studio sono stati arruolati 1487 dipendenti di una società addetta al trasporto aereo; 229 addetti ad attività di call center e 1258 impiegati addetti ad attività d’ufficio classico. Le principali caratteristiche della popolazione esaminata sono riassunte nella tabelle. Le caratteristiche principali analizzate nei due gruppi descrivono popolazioni sostanzialmente diverse: la popolazione addetta ad attività di call center presenta un’età più giovane, con scolarità medioalta e risulta prevalentemente costituita da donne. I dati della visita oculistica non hanno sostanzialmente evidenziato delle differenze per quanto concerne la frequenza di disturbi del visus ad eccezione della presbiopia maggiormente rappresentata nel gruppo degli impiegati. I principali sintomi astenopeici sono stati analizzati in base alla frequenza nei due gruppi di operatori ed il confronto tra frequenze è stato effettuato con il test del X2. La prevalenza dei disturbi oculovisivi non è risultata discordante nei due gruppi considerati, ad ecce- Tabella I Mansione N° Media Significatività ETÀ Operatore Call C. Impiegato 229 1258 31,97 ± 7,77 41,42 ± 9,81 P < 0,01 ANNI DI LAVORO AL VDT Operatore Call C. Impiegato 229 1258 7,51 ± 6,36 12,88 ± 8,23 P < 0,01 ORE DI LAVORO AL VDT Operatore Call C. Impiegato 229 1258 5,21 ± 1,19 5,69 ± 1,77 P < 0,01 Mansione N° Femmina Maschio Significatività Operatore Call C. Impiegato 229 1258 183 (79,9%) 352 (28,0%) 46 (20,1%) 906 (72%) P < 0,01 Mansione N° Libero Coniugato Significatività Operatore Call C. Impiegato 229 1258 159 (69,4%) 489 (38,9%) 70 (30,6%) 769 (61,1%) P < 0,01 Mansione N° Non Fumat. Fumatore Significatività Operatore Call C. Impiegato 229 1258 147 (64,2%) 850 67,6%) 82 (35,8%) 408 (32,4%) P = ns SESSO STATO CIVILE FUMO POSTER 472 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it Tabella II. Prevalenza sintomi astenopeici considerati Sintomo Call Center Impiegato Sig. Call Center Impiegato Sig. 4.4 3,9 P = ns Percezione aloni col. 0,9 0,2 P = ns 0 1 P = ns Cefalea 7,4 3,0 P = 0,03 Bruciore oculare 9,2 9,6 P = ns Rigidità cervicale 2,6 1,7 P = ns Fotofobia 0,4 0,5 P = ns Nausea 0,9 0,4 P = ns Lacrimazione 3,9 3,1 P = ns Dolori del rachide 10 9,5 P = ns Ammiccamento freq. 2,1 1,1 P = ns Dolori dell’arto sup. 0,9 1,3 P = ns Visione sfuocata 4,4 3,2 P = ns Ansia 0 0,1 P = ns Visione sdoppiata 0,4 0,2 P = ns Senso di peso oculare Prurito oculare Sintomo Tabella III. Distribuzione dei sintomi per persona Numero di sintomi astenopeici riferiti per persona 0 1 2 3 4 Operatore Call Center 141 (61,6%) 69 (30,1%) 17 (7,4%) 2 (0,9%) 0 Impiegati 868 (69,0%) 309 (24,6%) 64 (5,1%) 15 (1,2%) 2 (0,2%) zione del sintomo cefalea la cui differente prevalenza è risultata statisticamente significativa. Conclusioni L’analisi dei dati sull’astenopia nelle due popolazioni considerate non evidenzia sostanziali differenze. In particolare i risultati ottenuti dallo studio non si discostano dalle esperienze maturate in letteratura. La popolazione di call center entrata nello studio costituisce un campione numericamente limitato, che non si discosta per la frequenza della sintomatologia irritativa oculare dalle frequenze registrate nella popolazione impiegatizia di controllo. Ulteriori studi sono necessari per evidenziare il ruolo esercitato dall’utilizzo della cuffia monoaurale e dal contatto continuo con il cliente sulla insorgenza di disagio occupazionale. Sarà necessario tuttavia utilizzare opportuni strumenti di verifica per identificare la comparsa di disturbi correlati allo svolgimento di mansioni (call center) con caratteristiche sostanzialmente differenti rispetto al concetto di impiegato classico. Bibliografia 1) Rubino GF, Maina G et al. Indagini longitudinale sugli operatori ai videoterminali. Atti del 55° Congresso Nazionale SIMLII, 1992; II: 993-1003. 2) Giorgianni C, Abbate C et al. Addetti a VDT. Valutazione temporale della funzione visiva. Acta Medica Mediterranea, 1997, 13S, 179-181. 3) Scansetti G. Possibili effetti sulla salute del lavoro al videoterminale. Professione. Sanità. Pubblica e medicina pratica. Ed. Medico Scientifiche, 1994, anno III, 18. 4) Bergqvist U. Possible effects of working with VDU. Br J Ind Med 1989, 46, 217. 5) Apostoli P, Bergamaschi A et al. Funzione visiva ed idoneità al lavoro. Folia Med 1998; 69; 13-34. 6) Piccoli B, Assini R et al. Microbiological and ocular infection in CAD operators: an on-site investigation, Ergonomics 2001, vol. 44 no. 6, 658-667. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 473 R. Giammattei, F. Pastorelli, G. Ricciardi Tenore, S. Girardi, A. Magrini Studio del disagio ambientale in un call center Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” l’ambiente esterno, in particolare tale disagio può essere accentuato in soggetti con deficit uditivi di diversa natura. Anche la struttura fisica dell’ambiente di lavoro ha subito degli adeguamenti con la creazione di openspace in grado di ospitare numerose postazioni di lavoro nello stesso ambiente. Gli ambienti open space si caratterizzano per la loro vastità e per la rigidità delle caratteristiche microclimatiche e strutturali, la personalizzazione del posto di lavoro e delle caratteristiche microclimatiche consente di ridurre gli eventuali disagi provocati dalle condizioni ambientali, il venir meno di questa possibilità rende ragione di una maggiore frequenza di disagi evidenziati durante il corso della campagna di sorveglianza sanitaria. Per questo la definizione dei rischi presenti è stata aggiornata identificando delle criticità, in grado di peggiorare il disagio del lavoratore come: condizioni microclimatiche, il costante rumore di fondo (surmenage vocale), lavoro a turni, utilizzo di cuffie o telefono, organizzazione del lavoro a ritmi intensi, postura fissa e attività ripetitive e poco complessi, l’isolamento degli operatori (sono isolati dal resto dell’organizzazione), scarsa identità professionale e mancanza di prospettive di crescita. Introduzione L’evoluzione del lavoro in ufficio ha determinato un radicale cambiamento nelle modalità di esecuzione della mansione classica di impiegato. La crescita costante delle assunzioni di personale addetto all’utilizzo di AIDV avviene in prevalenza, sia in Italia che in Europa, per lo svolgimento di mansioni di customer service. Con il termine di call center si intende un’organizzazione che svolge, all’interno di aziende ed enti o all’esterno, ma per loro conto, servizi specializzati di interazione mediante telefono e/o altri media (fax, e-mail, internet) con clienti e/o utenti (customer care), e in modo strutturato. I call center rappresentano un nuovo modo di lavorare: mentre la conversazione è attiva l’operatore interroga una o più banche dati, richiede o immette informazioni nel terminale ricerca la procedura appropriata per risolvere il problema del cliente, attiva le necessarie procedure d’intervento delle unità tecniche interessate. Questa mansione, si distingue rispetto al passato, per il costante contatto con il cliente e l’utilizzo di cuffie monoaurali con microfono che permettono all’operatore di parlare con l’utente e contemporaneamente utilizzare il terminale per immettere o cercare informazioni. L’introduzione delle cuffie ha ridotto il rischio di disturbi alle spalle e al collo legate all’utilizzo della cornetta e all’abitudine di schiacciare la stessa tra spalle e testa per utilizzare entrambe le mani. L’utilizzo della cuffia monoaurale può però comportare una distorta percezione dei segnali acustici provenienti dal- Obiettivo dello studio Verificare la prevalenza di disagio legato a condizioni igienico ambientali, verificare lo stato di salute dei lavoratori e la differenza, dove esistente, tra disagio ambientale in ufficio tradizionale e nei call center. Tabella I. Prevalenza disturbi ambientali considerati Operatore Call Center Impiegato Significatività Rumore ambientale 2,2 2,9 P = ns Postura incongrua 4,8 6,9 P = ns Fumo passivo 6,1 3,5 P = ns Correnti d’aria 11,8 2,9 P < 0,01 Aria viziata 18,3 8,8 P < 0,01 Ricircolo inadeguato 16,6 14,8 P < 0,01 Illuminazione 25,3 29,9 P = ns Orario di lavoro 0,4 0,2 P = ns Organizzazione del lavoro 0,9 2,8 P = ns Tabella II Numero di criticità riferite per soggetto 0 1 2 3 4 totale Operatore Call Center 113 49,3% 62 27,1% 29 12,7% 22 9,6% 3 18,8% 229 100% Impiegati 659 52,4% 372 29,6% 152 12,1% 62 4,9% 13 1,0% 1258 100% POSTER 474 Materiale e metodi Lo studio è basato sulla valutazione di una popolazione di 229 operatori del call center, operanti in sale con 60 operatori nello stesso ambiente, a confronto con una popolazione di 1258 impiegati tradizionali, operanti in uffici tradizionali con 5-6 operatori per stanza, mediante somministrazione di un opportuno questionario sulla percezione individuale delle criticità menzionate. I dati sono stati raccolti nel corso della campagna sanitaria e registrati su supporto informatizzato e analizzati con adeguato software (SPSS ver. 8). Risultati La prevalenza delle risposte che identificano una cattiva percezione dell’ambiente di lavoro, in particolare per parametri microclimatici quali: correnti d’aria, aria viziata e ricircolo inadeguato, appare significativamente maggiore nel gruppo dei call center. Questo dato risulta particolarmente interessante in considerazione della relativamente recente esperienza sulla predisposizione di oppurtuni open space. Inoltre il numero di criticità riferite dagli addetti al call center risulta prevalente per 3-4 disturbi associati. Conclusioni Il presente studio ha evidenziato la differente percezione del disagio ambientale nei due gruppi considerati, dato significativo rispetto a studi analoghi improntati sui sintomi oculovisivi o astenopeici che al contrario non determinano variazioni rilevanti. Il problema fondamentale è correlato al fatto che, in un ambiente confinato, caratterizzato da una forte concentrazione di postazioni di la- G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it voro, l’efficacia dei sistemi di aereazione non soddisfa le singole necessità creando inevitabilmente situazioni di disagio. Dalla successiva verifica eseguita sui luoghi di lavoro è emerso come i dati evidenziati durante la raccolta anamnestica corrispondano ad una reale situazione di possibile inefficienza sia del sistema di condizionamento che dell’abbattimento del rumore. Dai nostri dati emerge la necessità di valutare con estrema accuratezza le problematiche di disagio ambientale riferite dai lavoratori nei call center; questo in relazione anche, nel caso dei call center, al frequente riscontro in ambito di sorveglianza sanitaria non solo di disagio ma anche di patologie correlabili all’attività svolta; in particolare disturbi anche lievi delle alte vie respiratorie, e disturbi della fonazione legati all’eccessivo rumore disturbante e alle caratteristiche microclimatiche (umidità etc.). Tali evidenze costituiscono una costante prova del ruolo giocato dalle caratteristiche ambientali degli open space nel determinare le condizioni di salute e benessere degli operatori. Bibliografia 1) Apostoli P, Bergamaschi A et al. Funzione visiva ed idoneità al lavoro. Folia Med 1998; 69; 13-34. 2) Bergqvist U. Possible effects of working with VDU. Br J Ind Med 1989, 46, 217. 3) Piccoli B, Assini R. Microbiological and ocular infection in CAD operators: an on-site investigation, Ergonomics 2001, vol. 44 no. 6, 658-667. 4) Piccoli B. The visual system and work, Ergophthalmology, 2001, volume 1, page 212-218. 5) Raw G, Aizlewood C et al. Proceedings of the 8th International Conference on Indoor Air Quality and Climate, Edinburgh 1999. 6) Rubino GF, Di Bari A et al. Epidemiological analysis of discomforts signs. Bull Ocul 1989, suppl. 7, 68-74. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 475 B. Sed, Murri L., M.T. De Pietro, G. De Luca, A. Francia, A. Magrini Legge 14/2003 modifiche all'art. 55 del D.lgs 626/94. Dispostivi speciali di correzione, note interpretative Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Introduzione Gli effetti sulla salute che il lavoro al videoterminale può comportare sono in relazione alla durata dell’esposizione, alle caratteristiche del lavoro svolto, alle caratteristiche dell’hardware e del software, alle caratteristiche del posto di lavoro e dell’ambiente. Per la tutela della salute e della sicurezza di questi lavoratori si fa riferimento al titolo VII del D.Lgs 626/94 e successive modifiche. Relativamente all’idoneità dei lavoratori che utilizzano attrezzature munite di videoterminale, tranne casi particolari o malformazioni strutturali e funzionali condizionanti una rilevante compromissione della capacità lavorativa specifica (es. quelle determinanti una grave ipovisione, o l’impossibilità dell’uso delle mani), non esiste un’incompatibilità assoluta tra lavoro con AIVD e le più comuni patologie oftalmologiche e muscoloscheletriche osservabili nella popolazione in età lavorativa. I risultati degli accertamenti sanitari possono evidenziare la necessità di dispositivi speciali di correzione, di cui si fa menzione all’art. 55 comma 5 del D.Lgs 626/94, specificando che la loro fornitura è a carico del datore di lavoro. Bisogna ricordare, inoltre, che la Circolare del Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale n. 30 del 05.03.1998 chiarisce che per “dispositivi speciali di correzione” di cui all’art. 55, comma 5, del D.Lgs n. 626/94 si devono intendere quei particolari dispositivi che consentono di eseguire in buone condizioni il lavoro al videoterminale quando si rivelino non adatti i dispositivi normali di correzione, cioè quelli usati dal lavoratore nella vita quotidiana. L’articolo di cui sopra è stato modificato come segue: “il datore di lavoro fornisce, a sue spese, ai lavoratori i dispositivi speciali di correzione, in funzione dell’attività svolta, qualora i risultati degli esami di cui ai commi 1,3-ter e 4 ne evidenzino la necessità e non sia possibile utilizzare i dispositivi normali di correzione” dall’articolo 7 della legge 3 febbraio 2003, n. 14 “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee. Legge comunitaria 2002”. La norma è stata introdotta a seguito di una sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea, sesta sezione, del 24/10/2002, con la quale si condanna l’Italia per non aver recepito correttamente nella propria legislazione l’art. 9, n. 3, 90/270/CEE relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminale. I Giudici infatti hanno ritenuto che le disposizioni del DPR n. 547/55 e quelle del D.Lgs 626/94 prescrivono in maniera non sufficientemente chiara e precisa che i lavoratori debbono ricevere i dispositivi speciali di correzione in funzione dell’attività svolta qualora i risultati dell’esame degli occhi, della vista e di un esame oculistico ne evidenzino la necessità e non sia possibile utilizzare dispositivi di correzione normali. Il medico del lavoro può trovarsi a dover esprimere il proprio parere sulla necessità di fornire tali dispositivi, senza peraltro che la legge chiarisca quali sono i criteri per l'assegnazione degli stessi, la modifica apportata può creare,infatti, confusione sull’assegnazione di tali dispositivi. Si è ravvisata la necessità di fornire delle informazioni che possano aiutare il medico in tale compito dal momento che un numero sempre maggiore di persone utilizza per lavoro attrezzature munite di videoterminale. A tale scopo si rimanda a quanto proposto dalla Circolare del Ministere du Travail, de l’emploi et de la formation professionelle (tab. I), e viene suggerito, nella figura 1, un percorso valutativo finalizzato alla eventuale fornitura di dispositivi speciali di correzione. Tabella I Ministere du Travail, de l’emploi et de la formation professionelle DRT 91-18 del 4/11/1991, capo III – questi dispositivi sono esclusivamente rappresentati dalle lenti correttive per la visione intermedia – sono escluse le lenti progressive o multifocali, che non possono essere considerate tra i dispositivi speciali di correzione – analogamente escluse sono le lenti correttive normalmente utilizzate dal lavoratore nella vita quotidiana – la dotazione delle lenti correttive utilizzate per la visione intermedia è necessaria solo quando la riorganizzazione ergonomia del posto di lavoro (cioè soprattutto la sistemazione del monitor e portadocumenti ad una stessa distanza, opportunamente scelta in funzione della miglior messa a fuoco del lavoratore) si rivela inefficace Figura 1 Bibliografia Circolare Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale n° 30 del 05/03/1998. Circulaire DRT n° 91-18 4/11/1991 relative à l’application du décret n° 91-451 du 14/05/1991 concernant la prévention des risques liés au travail sur des équipements comportant des écrans de visualisation. Direttiva CEE/CEEA/CE n° 270 del 29/05/1990. Legge n° 14/2003. Linee Guida su articolo VI. Uso di attrezzature munite di videoterminali. Regione referente: Lombardia. Sentenza della Corte (Sesta Sezione) 24 ottobre 2002 “Inadempimento di uno Stato - Art. 9, n. 3, della Direttiva 90/270/CEE - Protezione degli occhi e della vista dei lavoratori - Dispositivi speciali di correzione in funzione dell’attività svolta”. POSTER 476 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it B. Pucci, A. Primavera, B. Sed, S. Macchiaroli, A. Magrini Andamento degli infortuni sul lavoro in un distretto ASL, ipotesi di prevenzione e ruolo del medico competente nella sicurezza Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Introduzione Conclusioni L’infortunio sul lavoro costituisce un fenomeno rilevante, sia sul piano umano che sul piano economico, fenomeno che non può essere trascurato. In occasione del “Worker’s Memorial Day” nell’Aprile 2002, l’ILO ha presentato alcune stime di patologie da lavoro a livello mondiale: ogni anno due milioni di lavoratori perdono la vita a causa di lesioni o malattie professionali, circa 350.000 persone muoiono per incidenti sul lavoro con una media di 14 vittime ogni 100.000 lavoratori, in media 3 ogni minuto; per ogni incidente mortale si stimano circa 1.000 infortuni non mortali molti dei quali con invalidità permanenti. Nonostante il continuo impegno normativo degli ultimi anni e lo sforzo concreto che ha contraddistinto l’apertura del nuovo millennio ci dirigiamo verso una diminuzione dei risultati positivi in termini di effettiva prevenzione degli infortuni. La drammatica situazione che tuttora esiste in questo campo è testimoniata anche dagli ultimi dati diffusi dall’Inail. Tuttavia, nonostante i risultati non ottimali, la normativa vigente in tema di sicurezza ed igiene del lavoro evidenzia e sottolinea che la fase preliminare per avviare una adeguata opera di prevenzione in ambiente di lavorativo è costituita dalla valutazione del rischio, che consente l’elaborazione di un piano di sicurezza. Gli aspetti fondamentali da considerare sono, quindi, quelli relativi alla reale efficacia, validità, aggiornamento e concretezza della valutazione del rischio e di ciò che ne consegue ai fini di prevenzione. Da queste considerazioni, scaturisce la necessità di ricorrere, ed utilizzare a pieno, il parere del medico competente in tutte le situazioni lavorative a potenziale rischio; ciò in una più moderna e realistica pratica della prevenzione nell’interesse prioritario del cittadino, la cui tutela della salute è, pertanto, un diritto sancito dalla Cassazione. L’obbiettivo del Medico Competente è concorrere alla diminuzione del numero e della gravità degli effetti degli incidenti sul lavoro, formando i lavoratori stessi sia su cosa devono o non devono fare in caso di infortunio, attraverso l’analisi dei principali eventi infortunistici e relative patologie indotte, ma soprattutto cercando di realizzare un intervento preventivo alla fonte, basato su metodologie comportamentali che i singoli lavoratori dovranno utilizzare per meglio tutelare la propria sicurezza. Alla luce di tali considerazioni, deve essere ulteriormente avvalorata la figura del medico competente, sia nella gestione della sicurezza “tecnica” che, e soprattutto, nella gestione della sicurezza “umana”. In tal modo il lavoratore entrerà in possesso degli elementi idonei a valutare esattamente, così da evitarlo, il rischio infortunistico; e non solo nei riguardi della conoscenza della manualità operativa ma, anche, delle conseguenze di manovre errate, e comportamenti non idonei così da comprendere i rischi connessi agli errori umani. Materiali e metodi I dati presentati in questo studio sono dati ricavati dalle denuncie di infortunio sul lavoro pervenute ufficialmente nell’anno 2001 e nel 2002 presso tutti i Servizi PRESAL del Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda USL RM-H. I dati presentati non esprimono la totalità degli eventi accaduti a livello territoriale nel biennio 2001-2002, in quanto escludono gli infortuni capitati a lavoratori non assicurati presso l’Inail e quelli relativi ad alunni che si sono infortunati in corso di attività sportive nella scuola. I dati presenti nel modulo di denuncia ovvero il certificato medico, sono stati inseriti in un database (archivio) informatizzato. Risultati Gli infortuni sul lavoro denunciati negli anni 2001-2002 a livello territoriale (ASL RMH) sono stati 659, di cui 640 nell’industria e soltanto 19 nel settore agricoltura; il sesso maschile costituisce il sesso di gran lunga più colpito in entrambe le gestioni (uomini 459, donne 200). I casi mortali non si sono verificati, nel periodo considerato. La percentuale di infortuni con invalidità temporanea (98,2%) è maggiore nell’industria rispetto all’agricoltura in entrambi i sessi, ed in tutti i comuni considerati. L’età media del campione è di 40 anni: nell’industria la frequenza è maggiore nelle classi di età intermedie (>30-55) che sono anche quelle con maggior numero di occupati, mentre per l’agricoltura l’esiguo numero di casi non consente una elaborazione significativa in ordine di frequenza; non si evidenziano differenze significative tra uomini e donne. Nell’insieme i dati indicano che le età a maggior rischio di infortunio sul lavoro sono quelle in cui inizia l’attività lavorativa (>30 sono 137 casi) e quelle in cui tende a diminuire l’efficienza psico-fisica. Altri risultati di particolare interesse sono quelli che si riferiscono alla frequenza di infortuni nelle diverse tipologie industriali: si riscontra un rischio maggiore per la Sanità, l’industria dei metalli, le costruzioni ed il commercio al dettaglio nei confronti di tutte le altre attività industriali. Una riflessione particolare spetta ai risultati dell’analisi relativa alla sede della lesione; la sede della lesione più frequentemente interessata dagli infortuni sono le mani. Di 659 infortuni totali ben 177 sono a carico delle mani; le lesioni alle mani costituiscono il ( )% degli infortuni e sono ugualmente frequenti nei diversi settori industriali considerati. In tutti i settori industriali le più frequenti lesioni alle mani sono risultate le ferite, e la prima osservazione da fare è che queste possono essere facilmente evitate con l’uso appropriato dei guanti di protezione. Per quanto riguarda il tipo di lesioni si è riscontrata la seguente frequenza in ordine crescente: ferite, contusioni, distorsioni e fratture, a cui non si associa una frequenza statisticamente significativa dei giorni di prognosi. Bibliografia 1) Gobbato F. Infortuni sul lavoro, Masson, Medicina del Lavoro, 2002. 2) Iavicoli S, Soleo L, Palmi S, Persechino B. Il medico del lavoro e le strategie per la prevenzione degli infortuni alcol correlati. Giornale Italiano di medicina del Lavoro ed Ergonomia 24: 3; 288-292: 2002. 3) Messineo A, Aiello C, Allocca A et al. Prevenzione, igiene e sicurezza nei laboratori, poliambulatori, studi medici ed odontoiatrici. Ordine provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri. Anno 2003. 4) Messineo A, Leone M, Barbato M. Alcune notazioni sul fenomeno infortunistico: ruolo del medico competente negli interventi di prevenzione. Giornale Italiano di medicina del Lavoro ed Ergonomia 24: 3; 284-287: 2002. 5) Messineo A. Guida alla scelta dei DPI, la parola alle norme UNI. Ambiente e sicurezza sul lavoro. Gennaio 2002. 6) Soleo L, Abbritti G, Ossicini A et al. Medico del lavoro e prevenzione infortuni. Giornale Italiano di medicina del Lavoro ed Ergonomia 24: 3; 303-308: 2002. 7) Zocchetti C (Servizio epidemiologia Clinica del Lavoro di Milano), Bertazzi PA (Clinica del Lavoro di Milano). Epidemiologia degli infortuni sul lavoro, Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS, Pavia 1997 - I Documenti 13. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 477 E. Romeo, L. Coppeta, L. Murri, S. Skossyreva, A. Magrini Funzionalità respiratoria in soggetti esposti a polvere di cemento Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Tabella I. Caratteristiche delle coorti Introduzione Numerosi studi epidemiologici sono stati effettuati sugli effetti prodotti dall’inalazione cronica di polvere di cemento sull’apparato respiratorio. I primi studi standardizzati (Kalacic, 1973; Saric et al 1976; Maestrelli et al 1979; Attfield et al, 1985) hanno evidenziato, nelle popolazioni esposte a polveri di cemento, una maggiore prevalenza di affezioni respiratorie di tipo ostruttivo rispetto a quelle non esposte. Tali risultati sono confermati da studi più recenti condotti in regioni in cui le condizioni ambientali e di lavoro sono rimaste immodificate rispetto al passato e in cui non vengono adottate misure di protezione collettiva e individuale (Saric et al, 1992; Laraqui et al, 2001; Al Neaimi YI et al, 2001). Scopo del nostro studio è quello di valutare se l’evoluzione del ciclo produttivo del cemento, l’introduzione di strumenti di protezione e le modificazioni comportamentali occorse negli ultimi 20 anni abbiano modificato la prevalenza di alterazioni della funzionalità respiratoria a carattere ostruttivo in 2 popolazioni di lavoratori esposti in due diverse decadi successive. Materiuali e metodi Sono state esaminate 2 coorti di lavoratori valutate mediante visita medica, spirometria statica e dinamica. Le due popolazioni sono state osservate con controlli annuali in due diverse decadi di esposizione. La prima popolazione comprende 138 lavoratori impiegati presso il cementificio nel periodo 1980-1990; la seconda popolazione è composta da 259 lavoratori impiegati nel periodo 1990-2000. Sono stati valutati per ciascuna decade i lavoratori assunti nel periodo e non precedentemente esposti a polveri di cemento. Sono stati considerati fumatori coloro che fumano più di 5 sigarette al giorno da almeno 3 anni e ex fumatori coloro che non fumano più da almeno 3 anni. In base alle informazioni sul ciclo tecnologico e alle indagini sulla polverosità ambientale abbiamo suddiviso le 2 popolazioni in 4 categorie di esposizione crescente: nessuna esposizione (impiegati, portieri); basso livello di esposizione (addetti alle spedizioni, carropontisti); moderato livello di esposizione (addetti alle pulizie, palisti, fochini, sondatori), alto livello di esposizione (insacchini, manutentori). Sono stati esclusi lavoratori con anamnesi positiva per malattie polmonari, o patologie sistemiche in grado di alterare la performance della prova spirometrica. Gli esami spirometrici sono stati effettuati in entrambe le occasioni con spirometri a pneumotocografo. I valori spirometrici sono stati espressi in valori assoluti e in percentuale del corrispondente valore teorico secondo le tabelle CECA 71. I dati sono espressi come media e deviazione standard. L’analisi delle variabili continue è stata eseguita con il test t-student. Abbiamo considerato statisticamente significativi valori di p minori di 0,05. Il software usato per l’analisi dei dati è SPSS 10. Risultati Le caratteristiche delle due popolazioni per quanto riguarda età, BMI, anzianità lavorativa, abitudine al fumo e indice di kalacic sono descritte nella tabella I. Non ci sono differenze per quanto riguarda la distribuzione dei lavoratori tra le varie mansioni (P=0,217). Gruppo 1: esposti tra il 1980 e il 1990; Gruppo 2: esposti tra il 1990 e il 2000 Il test χ2 ha mostrato nel gruppo 1 un’aumentata prevalenza di alterazioni respiratorie, anche escludendo come variabile confondente la diversa abitudine al fumo di sigaretta (vedi tabella I). Età Anz lav BMI Kalacic Non fumatori Fumatori Ex fumatori PFR alterate PFR alterate tra i non fumatori Gruppo 1 34,80 ± 8,94 5,98 ± 3,03 25,68 ± 3,18 148,22 ± 170,98 51/138 (37%) 84/138 (60,9%) 3/138 (2,2%) 39/138 (28,3%) 13/51 (68,4%) Gruppo 2 Significatività 34,98 ± 7,35 P=ns 5,93 ± 2,91 P=ns 25,52 ± 3,53 P=ns 128,22 ± 159,18 P=ns 120/259 (46,3%) 92/259 (35,5%) P<0.000 47/259 (18,1%) 20/259 (7,7%) P<0.000 6/120 (31,6%) P<0.000 Conclusioni Questo studio dimostra come la prevalenza di alterazioni della funzionalità polmonare determinate dall’esposizione a polvere di cemento sia notevolmente ridotta in confronto al passato. Sebbene il fumo di sigaretta sia noto favorire l’insorgenza dell’affezione respiratoria in popolazioni esposte a polveri di cemento (Kalacic, 1973; Maestrelli et al, 1979; Mengesha et al, 1998), la differente prevalenza di alterazioni respiratorie viene comunque confermata, anche escludendo i fumatori dalle popolazioni studiate (vedi tabella I). In conclusione la significativa riduzione di alterazioni respiratorie riscontrata può essere certamente attribuita da una parte ad interventi sull’ambiente, effettuati mediante sostanziali modifiche del ciclo tecnologico (es. meccanizzazione delle operazioni di insacco) che hanno portato ad una riduzione della polverosità ambientale documentata dalle indagini ambientali, dall’altra ad interventi sul lavoratore centrati soprattutto sugli aspetti di formazione-informazione e di educazione sanitaria (necessità e modalità corretta di impiego dei DPI). Bibligrafia 1) AlNeaimi YI, Gomes J, Lloyd OL. Respiratory illnesses and ventilatory function among workers at a cement factory in a rapidly developing country. Occup Med (Lond) 2001; 51: 367-373. 2) Kalacic I. Chronic non specific lung disease in cement workers. Arch Environ Health 1973; 26: 78-83. 3) Laraqui CH, Laraqui O, Tripodi D, Yazidi AA. Prevalence of respiratory probelms in workers at two manifacturing centers of ready-made concrete in Morocco. Int J Tubers Lung Dis 2001; 5: 1051-1058. 4) Maestrelli P, Simonato L, Gemignani C, Maffessanti MM. Distribuzione della pneumoconiosi e della bronchite cronica negli addetti alla produzione del cemento. Med Lavoro 1979; 3: 195-202. 5) Mengesha YA, Bekele A. Relative chronic effects of different occupational dusts on respiratory indices and health of workers in three ethiopian factories. Am J Ind Med 1998; 34: 373- 380. 6) Saric M, Kalacic I, Holetic A. Follow up of ventilatory lung function in a group of cement workers. Brit J Ind Med 1976; 33: 18. 7) Saric M. Occupational and environmental exposures and nonspecific lung disease a review of selected studies. Isr J Med Sci 1992; 28: 509-512. 8) Yang CY, Huang CC, Chiu HF, Chiu J F, Ko YC. Effects of occupational dust exposure on the respiratory health of Portland cement workers. J Toxicol Environ Health 1996; 581-588. POSTER 478 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it G. Ales, A. Imperatore, L. Murri, S. Perrone, A. Magrini Analisi della radioattività naturale dovuta al gas radon presente negli ambienti sotterranei della metropolitana di Roma Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Introduzione Il Radon è un gas radioattivo incolore estremamente volatile, prodotto dal decadimento di tre nuclidi capostipiti che danno luogo a tre diverse famiglie radioattive: il Thorio 232, l’Uranio 235 e l’Uranio 238. Il decadimento naturale dell’uranio (U-238) produce in totale altri tredici prodotti radioattivi. I rappresentanti più noti della serie sono il radon (Rn- 222) ed il suo diretto predecessore, il radio (Ra-226). La catena di decadimento termina con il piombo (Pb-206) stabile. Nel 1988 l’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha identificato il Radon e i suoi prodotti di decadimento come sostanze cancerogene del gruppo 1: l’effetto sanitario di maggiore rilevanza, legato al radon, è un aumento di rischio di sviluppo di tumori polmonari. Materiali e metodi Ambienti oggetto delle misurazioni e tecniche di misura. Oggetto delle misurazioni sono stati sia le vetture che l’aria delle gallerie. Sono state individuate due vetture per ciascuna linea, ed un cunicolo di servizio che accede direttamente sui binari nella galleria della linea B. Le misurazioni effettuate in galleria avevano lo scopo di valutare la dinamica di emanazione del gas radon dal sottosuolo e dai materiali edili utilizzati. L’indagine della radioattività naturale è stata effettuata mediante misurazione della concentrazione in aria di radon-222. Sono state utilizzate due diverse tecniche di misura: • Misurazioni integrate in tempi lunghi. • Monitoraggio continuo con campionamenti orari. Risultati La valutazione della concentrazione in aria di radon-222 in galleria è stata effettuata sia mediante misurazioni integrate con dosimetri passivi che mediante monitoraggio continuo con strumentazione attiva. I risultati relativi ai 129 campionamenti, effettuati durante il monitoraggio continuo, evidenziano periodiche e frequenti variazioni delle concentrazioni di radon-222, difficilmente imputabili alle dinamiche d’emanazione del radon dal materiale geologico del sottosuolo e/o di quello edile utilizzato nelle strutture, ma piuttosto determinate dai grossi flussi d’aria derivati dagli spostamenti dei treni in servizio. Infatti, durante il servizio, l’aria viene spinta dalla massa e dalla velocità dei treni nell’intera rete delle gallerie, provocando contemporaneamente fenomeni di soprapressione e di depressione “effetto stantuffo”. Questo effetto provoca bruschi e massicci ricambi d’aria con l’esterno, in quanto l’aria compressa viene in parte spinta verso l’esterno (in particolare attraverso le stazioni di fermata) e poi integrata con l’aspirazione (che avviene in particolare attraverso i condotti verso l’esterni). Analizzando i valori medi della concentrazione in aria del Radon-222 in galleria, durante la fascia oraria in cui è attivo il servizio metropolitano e durante le 6 ore notturne di non servizio, si evidenzia che non sussistono differenze rilevanti tra le due diverse fasce orarie: 646 - 712 (Bq m-3), anche se, a treni fermi, il ricambio d’aria provocato dal servizio risulta diminuito. Questo fenomeno si realizza in quanto le condizioni edili delle gallerie della metropolitana (notevoli dimensioni con grandi volumi d’aria presenti nelle gallerie, la presenza di numerosi condotti e stazioni comunicanti direttamente con l’esterno) non consentono il raggiungimento dell’equilibrio radioattivo del gas radon, con il conseguente accumulo di gas radon-222 ed incremento delle concentrazioni di radon in aria. La valutazione della concentrazione in aria di radon-222 nelle vetture è stata effettuata mediante misurazioni integrate con dosimetri passivi. I risultati ottenuti mostrano che le concentrazioni del radon-222 presente nelle cabine dei conduttori e nei vagoni passeggeri sono confrontabili e comprese nell’intervallo (97÷126) (Bq m-3). Tali valori sono tutti relativi alla linea B della metropolitana di Roma (non è stato possibile recuperare i rivelatori passivi posti nelle due vetture in servizio sulla linea metropolitana A). Per una corretta interpretazione di questi valori, è necessario puntualizzare che le vetture della linea B percorrono in galleria circa il 50% dell’intera tratta, mentre il restante 50% della tratta si trova all’esterno. Conclusioni I risultati dei valori ottenuti mediante l’esecuzione del monitoraggio continuo nelle gallerie della linea B, evidenziano concentrazioni di radon in aria che variano tra i 270 e i 2000 (Bq m-3) ed una media totale di 698 (Bq/m3). Tale risultato è confermato anche dalle misurazioni integrate con dosimetri passivi effettuate nello stesso punto dove è stato effettuato il monitoraggio continuo. La concentrazione media, misurata con il rivelatore passivo, è stata infatti di 665 (Bq/m3) con una differenza in percentuale con la media rilevata con il monitoraggio di circa il 5%. Il valore misurato ed il valore atteso risultano simili e questo mostra la consistenza dei risultati ottenuti. I risultati delle misurazioni effettuate con i rivelatori passivi, posizionati in due vetture della linea B, hanno evidenziato una concentrazione in aria media del radon-222 di 103 (Bq/m3) nella cabina del conduttore e 114 (Bq m-3) nel vagone passeggeri. Le valutazioni effettuate sulla base delle misurazioni eseguite nel corso di questa analisi preliminare sono di un valore della concentrazione in aria media di radon-222 di 698 (Bq/m3) nelle gallerie, e di 114 (Bq/m3) nelle vetture (cabina conduttore e vagone passeggeri). Detti risultati, relativi alla concentrazione media massima, presente nei luoghi in cui sono state effettuate le misure, debbono necessariamente essere valutati alla luce di alcune considerazioni. La normativa vigente (D.L. 241) fissa il limite di 500 (Bq/m3) di concentrazione media annua del radon-222, riferendosi chiaramente al radon presente negli ambienti di lavoro e non a quello presente in galleria o simili. Il valore della concentrazione in aria media di radon-222 ottenuto nelle gallerie risulta quindi superiore al valore limite di circa il 40%, mentre quello ottenuto nelle vetture risulta inferiore al valore limite di circa il 340%. L’ambiente di lavoro cui è sottoposto per lunghi periodi il personale che opera nelle gallerie della metropolitana di Roma (linea A e B), è prevalentemente quello dei conduttori delle vetture, pertanto in base alle rilevazioni effettuate non risulta essere un ambiente a rischio da radon-222. Per il personale che opera nelle gallerie (manutenzione) debbono essere effettuate valutazioni sulla base delle ore effettive di permanenza in galleria. Occorre peraltro sottolineare che la consistenza geologica (tufacea) del tratto considerato, rappresenta una delle più importanti sorgenti del gas radon, non riscontrabile in altri distretti della stessa Metropolitana. Bibliografia 1) Darby S, Hill D, Doll R. Radon: a likely carcinogen at all exposures. Ann Oncol. 2001 Oct, 12 (10): 1341-51. 2) Haus BM, Razavi H, Kuschner WG. Occupational and environmental causes of bronchogenic carcinoma. Curr Opin Pulm Med 2001 Jul; 7 (4): 220-5. 3) Kim DS, Kim YS. Distributions of airborne radon concentrations in Seoul metropolitan subway stations. Health Phys. 1993 Jul; 65 (1): 12-6. 4) Decreto Legislativo 26 maggio 2000, n. 241. Attuazione della direttiva 96/29/Euratom in materia di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i rischi derivanti da radiazioni ionizzanti. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 479 L. Coppeta, M.R. Marchetti, B. Rori, A. Primavera, A. Magrini Differenti criteri classificativi nell’individuazione di deficit ventilatori di tipo ostruttivo Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Introduzione Risultati Le maggiori associazioni scientifiche hanno emanato, anche recentemente, numerose linee guida relative all’inquadramento diagnostico e terapeutico della BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva): in ordine cronologico ricordiamo le classificazione CECA 1983, ATS (American Thoracic Society) 1995, ERS (European Respiratory Society) 1995 (Viegi G et al, 2000), BTS (British Thoracic Society) 1997, GOLD (Global initiative for Chronic Obstructive Lung disesase) 2001. I diversi criteri classificativi adottati sono riassunti in tabella I. Scopo del nostro studio è stato quello di verificare l’effetto dell’adozione dei differenti criteri diagnosticii nella valutazione della prevalenza dei deficit ventilatori di tipo ostruttivo in una vasta popolazione di soggetti professionalmente esposti in grado variabile a polveri di cemento. L’età media della popolazione è di 40,4 anni (d.s. 8,94). L’anzianità lavorativa media è risultata di 13,77 anni(d.s. 8,64). 82 soggetti (38,0%) sono stati classificati come “fumatori”, 57 (26,4%) come “ex fumatori” e 77 soggetti (35,6%) come “non fumatori”. Il numero di quadri ostruttivi per le diverse associazioni risultavano i seguenti: 51 soggetti su 216 (23,6%) per l’ATS, 18 (8,3%) per l’ERS, 6 (2,3%) per la BTS, 21 (9,7%) per la CECA, 22 (10,6%) per la GOLD. Abbiamo successivamente condotto una analisi sulla condizione di “ostruito” in base all’abitudine al fumo di sigaretta. Il dato della maggior frequenza di deficit ostruttivi rilevati con l’utilizzo dei criteri ATS si conferma anche in tutte le classi di abitudine al fumo (tabella II). La frequenza delle alterazioni ostruttive è stata successivamente valutata per classi di anzianità lavorativa. La differenza tra le varie classi appare evidente solo per quanto riguarda i dati relativi alla classificazione ATS. Abbiamo infine valutato il grado di concordanza per le diverse metodiche interpretative mediante analisi statistica del kappa di Cohen. I risultati sono espressi in tabella III. I più alti valori di concordanza si rilevano tra criteri ERS e GOLD. Materiali e metodi I dati relativi alla nostra indagine sono stati raccolti nel 2003 da esami spirometrici eseguiti su 216 lavoratori (213 maschi e 3 femmine) operanti a vario titolo in 5 stabilimenti di produzione del cemento. L’esame spirometrico è stato condotto mediante apparecchio V20c (Vmax series) della ditta SENSORMEDICS. Nel corso dell’esame sono stati determinati i volumi polmonari statici ed i flussi respiratori forzati. I valori predetti sono stati calcolati utilizzando le formule dell’ECCS (European Comunity for Coal and Steel) per popolazioni lavorative adulte. Gli esami sono stati refertati secondo i criteri illustrati in tabella I. Per ogni soggetto sono state raccolte le informazioni anamnestiche di base, l’anamnesi lavorativa, l’anamnesi pneumologica remota e prossima e l’abitudine al fumo di sigaretta. La quantificazione del dato relativo al fumo di sigaretta è stata raccolta come pack/year (p/y: numero di pacchetti fumati al giorno per anni di abitudine al fumo) ed i soggetti sono stati classificati come “fumatori leggeri” (p/y fino a 10), “fumatori moderati” (p/y da 10 a 30) e “forti fumatori” (p/y superiore a 30). I dati raccolti sono stati elaborati mediante programma SPSS 8.1. Discussione La prevalenza di deficit spirometrici di tipo ostruttivo nella nostra popolazione varia, secondo le differenti strategie interpretative dal 2,3% (criteri BTS) al 23,6% (criteri ATS). La prevalenza complessiva di alterazioni funzionali compatibili con quadro disventilatorio di tipo ostruttivo non si discosta con quanto riportato in letteratura per la popolazione generale. Dall’analisi della concordanza delle differenti interpretazioni viene evidenziata l’ omogeneità delle classificazioni ERS e GOLD, tra le più utilizzate in ambito clinico insieme alla ATS (la quale mostra tuttavia una concordanza assai minore con le altre due). In accordo con quanto trovato in letteratura l’utilizzo della metodica ATS può portare ad una sovrastima dei deficit ostruttivi più evidente nei soggetti al disopra dei 50 anni di Tabella I. Classificazione dei deficit spirometrici di tipo ostruttivo Definizione Grado ERS FEV1/SVC < 88% del teorico (M) < 89% del teorico (F) lieve: severo: FEV1 ≥ 75%, moderato: 50% ≤ FEV1 > 75% FEV1 < 50% ATS FEV1/VC* < 0,75 (75% in valore assoluto) lieve: severo: FEV1 ≥ 70%, moderato: 60% ≤ FEV1 > 70% 34% ≤ FEV1 > 50% GOLD FEV1/FVC < 0,70 (70% in valore assoluto) lieve: severo: FEV1 > 80%, moderato: 50% ≤ FEV1 ≥ 80% FEV1 < 50% CECA FEV1 < 75% del teorico lieve: severo: FEV1 > 70%, moderato: 50% ≤ FEV1 ≥ 70% FEV1 < 50% BTS FEV1 < 80% del teorico e FEV1/FVC < 0,70 lieve: severo: 60% ≤ FEV1 > 80%, moderato: 40% ≤ FEV1 > 60% FEV1 < 40% POSTER 480 G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it Tabella II. Prevalenza di ostruzione (%) nelle varie classi di abitudine al fumo ERS ATS GOLD BTS CECA Non fumatori 5,2 12,9 5,2 2,6 10,4 Ex fumatori 8,6 25,9 10,3 3,4 10,3 Fumatori lievi 2,5 10,0 2,5 0 5,0 Fumatori moderati 13,9 47,2 16,7 5,6 13,9 Forti fumatori 50,0 83,3 83,3 0 0 Tabella III. Valori di concordanza tra tecniche interpretative ERS ATS GOLD BTS CECA ERS – 0,45 0,89 0,39 0,18 ATS 0,45 – 0,54 0,17 0,26 GOLD 0,89 0,54 – 0,40 0,19 BTS 0,39 0,17 0,40 – 0,42 CECA 0,18 0,26 0,19 0,42 – età (l’associazione prende in considerazione il rapporto FEV1/VC in valore assoluto). La mancata integrazione con i dati antropometrici e anagrafici rende ragione delle scarse possibilità di utilizzo di una simile classificazione nella pratica della Medicina del Lavoro, a causa del rischio di sovrastimare gli effetti patogeni degli inquinanti aerodispersi nell’ambiente lavorativo. Le classificazioni ERS e GOLD hanno manifestato nel nostro studio un eccellente livello di concordanza. In particolare la classificazione ERS (prevedendo un confronto del Tiffenau misurato con il valore predetto) appare appropriata nello screening di ampie popolazioni lavo- rative disomogenee per i dati anagrafico ed antropometrico. Per tale motivo risulta idonea all’utilizzo nella sorveglianza sanitaria del settore cementifero nel quale, nonostante la notevole riduzione dei livelli di polverosità attuali rispetto al passato, può essere considerato ancora attuale il rischio di insorgenza di quadri bronchitici (Noor H et al, 2000; Yang C et al, 1996). La classificazione della British Thoracic Society, invece, è sembrata nel nostro campione restrittiva nella stima della prevalenza dei deficit ostruttivi. La vecchia classificazione CECA appare oggi assolutamente inadeguata a causa dell’utilizzo dei valori di FEV1 nell’individuazione dell’ostruzione polmonare. Dal nostro studio appare evidente come l’utilizzo di differenti criteri diagnostici, pur di largo impiego clinico, possa causare variazioni di un ordine di grandezza nella stima della prevalenza delle alterazioni spirometriche. Andrebbe definita una strategia interpretativa univoca, almeno per quanto concerne l’interpretazione del danno alla persona, passibile oggetto di provvedimenti medico-legali adeguati. Bibliografia 1) American Thoracic Society. Standard for the diagnosis and care of patients with chronic obstructive pulmonary disease. Am J Respir Care Med 1995; 152: S77-S120. 2) American Thoracic Society. Evaluation of impairment/disability secondary ti respiratory disorders. Am Rev Respir Dis 1986; 133: 12051209. 3) British Thoracic Society. Diagnosis and management of stable COPD. Thorax 1997; 52: S7-S15. 4) Yang C, Huang C, Chiu F, Lan S, Ko Y. Effects of occupational dust exposure on the respiratory health of Portland cement workers. J Toxicol Environ Health 1996; 49 (6): 581-588. 5) Noor H, Yap CL, Zolkepli O. Faridah M. Effect of exposure to dust on lung function of cement factory workers. Med J Malaysia 2000; 55(1): 51-57. 6) Viegi G, Pedreschi M, Pistelli F, Di Pede F, Baldacci S, Carrozzi L, Giuntini C. Prevalence of Airway Obstruction in a General Population. European Respiratory Society vs America Thoracic Society Definition. Chest 2000; 117: S339-S345. G Ital Med Lav Erg 2003; 25:3 Suppl www.gimle.fsm.it POSTER 481 E. Romeo, L. Coppeta, M.R. Marchetti, G. D’Orazio, A. Magrini Tecnica oscillometrica e funzionalità polmonare Cattedra di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Tabella I. Caratteristiche delle popolazioni Introduzione L’Oscillometria è una metodica non invasiva, molto rapida, di facile applicabilità, che consente lo studio della meccanica respiratoria con la minima collaborazione del soggetto. Numerosi Autori hanno mostrato l’utilità clinica dello studio dell’impedenza respiratoria mediante oscillometria forzata (Forced Oscillation Technique) per individuare precocemente la presenza di un’ostruzione delle vie aeree e per valutare la funzione polmonare in pazienti affetti da BPCO (Farrè R et al, 1990; Van Noord J et al, 1991). Risultati incoraggianti derivano da alcuni studi effettuati in differenti setting occupazionali considerati a rischio di indurre patologie polmonari, ponendo a confronto tale metodica con l’esame spirometrico (Pasker HG et al, 1997; Keman S, 1996). Lo scopo di questo studio è quello di valutare la sensibilità della metodica nei confronti dell’esame spirometrico tradizionale nell’individuare precocemente i soggetti con minime alterazioni dell’apparato respiratorio. A tal fine abbiamo confrontato il pattern di resistenze delle vie aeree in 2 gruppi di soggetti asintomatici; uno dei due gruppi era costituito da soggetti fumatori. Gruppo 1 50 Gruppo 2 49 Significatività 26/50 (52%); 24/50 (48%) 19/49 (38,8%); 30/49 (61%) 0,228 età Media: 38,48; SD: 8,64 Media: 39,16; SD: 9,89 0,715 Xrs Media: 0,915; SD: 0,472 Media: 1,149; SD: 0,620 Media: 0,929; SD: 0,149 Media: 1,01; SD: 0,149 sesso FR p < 0,005 Gruppo 1: non fumatori Gruppo 2: fumatori non ci sono differenze per nessuno dei parametri spirometrici. Xrs e FR sono risultati correlati (p< 0,005) con i principali parametri spirometrici FEV1 e FEF25-75. Materiali e metodi Lo studio è stato effettuato su un campione di 99 soggetti afferenti al Servizio di Medicina Del Lavoro dell’Università di Roma Tor Vergata, in corso di Sorveglianza Sanitaria. Tutti i soggetti coinvolti nello studio erano anamnesticamente esenti da patologie polmonari e toracico-diaframmatiche. Gli esami spirometrici sono stati effettuati con spirometro Vmax della Sensor Medics s.r.l. e refertati secondo i criteri dell’ European Respiratory Society (ERS). L’impedenza del sistema respiratorio è stata studiata mediante “ROS Oscilink” della Sensor Medics s.r.l. L’oscillazione forzata inviata dallo strumento induce nel soggetto, che respira per 17 sec tranquillamente attraverso un boccaglio, un flusso oscillatorio inversamente proporzionale all’impedenza meccanica dell’intero sistema respiratorio (Zrs), che quindi viene calcolata indirettamente. Al termine della prova, si ottengono 2 curve: una relativa alla variazione della resistenza (Rrs) ed una alla variazione della reattanza (Xrs) in funzione delle diverse frequenze applicate. La Xrs è correlata a compliance ed inertanza; la frequenza alla quale questi 2 fattori coincidono è detta frequenza di risonanza (FR). La Rrs varia in funzione del calibro delle vie aeree. La reattanza può essere considerata come espressione dell’elasticità polmonare e del comportamento delle piccole vie aeree. I dati sono espressi come media e deviazione standard. L’analisi delle variabili è stata eseguita con il test t-student. La correlazione tra indici spirometrici e parametri oscillometrici è stata effetuata con il test di Pearson. Abbiamo considerato statisticamente significativi valori di p < 0, 05. Risultati Le caratteristiche delle popolazioni sono descritte in tabella I. Tra le 2 popolazioni, mediante un confronto fra medie, risultano statisticamente significative (p< 0,005) le differenze relative al rapporto in% tra i valori misurati e i valori predetti di 2 indici oscillometrici: Xrs e FR; Conclusioni Dai risultati preliminari da noi ottenuti sembrerebbe che i parametri Xrs e FR siano correlabili ad alterazioni precoci a livello delle vie aeree. Anche altri Autori hanno evidenziato un aumento della frequenza di risonanza in una popolazione di fumatori rispetto ai non fumatori; tale dato concorda con altri studi che descrivono come indice di ostruzione precoce i valori di Xrs (Brochard et al, 1987; Kohlhaufl et al, 2001). La modificazione di Xrs può essere interpretata come la modificazione delle proprietà elastiche del polmone che potrebbe essere determinata da una bronchiolite subclinica diffusa, ancora non evidenziabile né con le metodiche tradizionali, né con modificazioni significative dagli altri indici impedenzometrici. I dati ottenuti confermano quindi l’oscillometria come valido strumento nello screening di popolazioni lavorative con minime e precoci alterazioni funzionali. Bibliografia 1) Brochard L, Pelle G, Carre A, Harf A. Density and frequency dependance of resistance in early airway obstruction. Am Rev Resp Dis 1987; 135: 579-584. 2) Farrè R, Peslin R, Rotger M, Barbera JA, Navajas D. Eur Resp J 1999; 14: 172-178. 3) Keman S, Willemse B, Wesseling GJ, Kuster E, Borm PJA. Eur Respir J 1996; 9: 2109-2115. 4) Kohlhaufl M, Brand P, Scheuch G, Schulz H, Haussinger K, Heyder J. J Aerosol Med 2001; 14: 1-12. 5) Pasker HG, Peeters M, Genet P, Clement J, Nemery B, Van de Woestijne KP. Eur Respir J 1997; 10: 1523-1529. 6) Van Noord J, Clement J, Van de Woestijne. Am Rev Resp Dis 1991; 143: 922-927. Pagina 482 Bianca LE PUBBLICAZIONI DELLA FONDAZIONE “S. MAUGERI” 1. I “Quaderni di Medicina del Lavoro e Medicina Riabilitativa” con i quali si propone di rendere disponibile in forma organica argomenti e problemi attuali in Medicina del Lavoro e Riabilitazione, di presentare elaborazioni di materiale informativo e didattico riguardante i vari settori di attività della Fondazione. Volumi pubblicati: 1. G. Pezzagno: Rischio da Benzene. 1989 2. G. Franco: Attività umane e rischio per la salute. 1990 3. M. Imbriani, S. Ghittori, G. Pezzagno, E. Capodaglio: Esposizione professionale ad anestetici per inalazione. 1990 4 F. Franchignoni: Aggiornamenti in Riabilitazione 2. 1990 5. E. Capodaglio, L. Manzo: Esposizione a Stirene. 1990 6. G. Pezzagno, E. Capodaglio: Criteri di valutazione energetica delle attività fisiche. 1991 7. G. Franco: Acidi biliari e xenobiotici. 1991 8. S. Cerutti, G. Minuco: Spectral Analysis of Heart Rate Variability Signal. Methodological and Clinical Aspects. 1991 9. F. Franchignoni: Aggiornamenti in Riabilitazione 3. 1991 10. M. Imbriani, A. Di Nucci: Effetti della interazione tra etanolo e solventi. 1991 11. F. Cupella, R. Turpini: La riabilitazione in gastroenterologia. 1991 12. L. Manzo, M. Imbriani, L.G. Costa: Current Issues in Alcoholism. 1992 13. C. Rampulla, N. Ambrosino: Muscoli respiratori e patologia: valutazione e trattamento. 1992 14. S. Della Sala, M. Laiacona: Laboratorio di Neuropsicologia. 1992 15. F. Franchignoni: Aggiornamenti in Riabilitazione 4. 1992 16. E. De Rosa, G.B. Bartolucci, V. Cocheo: Atti 11° Congresso Nazionale A.I.D.I.I. 1992 17. B. Carù, R. Tramarin: New trends in cardiac rehabilitation. 1992 18. L. Manzo, D.F. Weetman: Toxicology of combustion products. 1992 19. C. Minoia, E. Sabbioni, P. Apostoli, A. Cavalleri: Valori di riferimento di elementi in traccia in tessuti umani. 1992 20. D. Cottica, G.F. Peruzzo: Atti 12° Congresso Nazionale A.I.D.I.I. 1993 21. G. Pezzagno: Strategie di campionamento ambientale. Alcune applicazioni statistiche per lo studio degli inquinanti ambientali. 1993 22. M. Casacchia, R. Casale, E. Ferrari, C. Setacci: Stress. Riunione operativa sottoprogetto stress - Progetto finalizzato CNR - FATMA. 1993 23. G. Moscato: Asma professionale. 1993 24. A. Cavalleri, G. Catenacci: Obbligo di referto e malattie professionali. 1993 25. G. Bazzini: Nuovi approcci alla riabilitazione industriale. 1993 26. P. Pinelli, G. Minuco: Il controllo motorio della mano e della parola: teoria e applicazioni. 1993 27. F. Candura, G. Sardo: L’Ispettorato Medico Centrale del Lavoro in Italia: storia e prospettive. 1994 28. G. Bertolotti, E. Sanavio, G. Vidotto, A.M. Zotti: Un modello di valutazione psicologica in Medicina Riabilitativa. 1994 29. D. Cottica, M. Imbriani: Atti 13° Congresso Nazionale A.I.D.I.I 1994 30. S. Della Sala, A.M. Zotti: Psicologia dell’invecchiamento ed epidemiologia della demenza: uno studio di popolazione. 1994 31. A. Cavalleri: Lavanderie a secco: rivalutazione del rischio da solventi. 1994 32. G.D. Pinna, R. Maestri: Spectral analysis of cardiovascular variability signals. 1995 33. R. Casale, A. Tango: Le algodistrofie. Dalla diagnosi alla prevenzione. 1995 34. D. Cottica, V. Prodi, M. Imbriani: Atti 14° Congresso Nazionale A.I.D.I.I. 1995 35. C. Rampulla, A. Patessio, A. Rizzo, F. Iodice: Valutazione funzionale del danno respiratorio. 1995 36. R.F.E. Pedretti, P. Della Bella: Le Tachiaritmie Ventricolari Maligne dopo Infarto Miocardico. 1995 37. K. Foglio: La ventiloterapia domiciliare nei pazienti broncopneumatici con insufficienza respiratoria cronica. 1996 38. L. Riboldi, C. Ravalli: Lo stress nel mondo del lavoro: quali soluzioni per un problema in espansione. 1996 39. A. Molfese: Piattaforme Petrolifere. Igiene, Sanità e Sicurezza a bordo. 1996 40. R. Gibellini, A. Ferrari Bardile, M. Zambelli, M. Fanello: La riabilitazione in angiologia. 1996 41. S. Binaschi: Medicina del Lavoro. 1997 2. I “Documenti” della Fondazione Salvatore Maugeri, nei quali vengono pubblicati gli Atti di Convegni di particolare interesse organizzati dagli Istituti della Fondazione. Volumi pubblicati: 1. C. Passerino: La nuova riforma sanitaria. 1995 2. Serials with an Institute for Scientific Information (ISI). Impact Factor. 1995 3. F. Candura: Atti del Convegno: Metodologia di indagine sul danno ambientale. Inquinamento atmosferico e acustico nel territorio di Pavia. 1995 4. N. Ambrosino, G. Bazzini, F. Cobelli, F. Franchignoni, P. Giannuzzi, C. Rampulla, M. Vitacca: Percorsi valutativi e terapeutici in Medicina Riabilitativa. 1995 5. G. Franco: Rischi lavorativi in ambiente sanitario: patologia da guanti. 1996 6. G.B. Bartolucci, D. Cottica, M. Imbriani: Atti 15° Congresso Nazionale A.I.D.I.I. 1996 7. E. Capodaglio, C. Passerino: Atti del Convegno: Sistemi classificativi dei pazienti in degenza riabilitativa. 1996 8. A. Borgo: L’analisi in componenti principali come studio di correlazioni. 1996 9. F. Pisano: Valutazione e trattamento delle compromissioni motorie centrali: stato dell’arte e recenti acquisizioni. 1996 10. G. Vittadini, I. Giorgi: Dalla cibernetica dell’io all’approccio ecologico: alcolismo e servizi nell’ottica sistemica. 1996 11. N. Ambrosino, G. Bazzini, F. Cobelli, F. Franchignoni, P. Giannuzzi, C. Rampulla, M. Vitacca: Percorsi valutativi e terapeutici in Medicina Riabilitativa. 1997 12. C. Minoia, G. Scansetti, G. Piolatto, A. Massola: L’amianto: dall’ambiente di lavoro all’ambiente di vita. Nuovi indicatori per futuri effetti. 1997 13. A.M. Cirla, G. Catenacci: Organizzazione dell’emergenza sanitaria e del primo soccorso nei luoghi di lavoro. 1997 14. G.B. Bartolucci, D. Cottica, M. Imbriani, D. Sordelli: Atti 16° Congresso Nazionale A.I.D.I.I. 1997 15. G. Catenacci, G.B. Bartolucci, P. Apostoli: III Congresso Nazionale di Medicina Preventiva dei Lavoratori della Sanità. 1998 16. D. Cottica, G.B. Bartolucci, M. Imbriani, E. Grignani, D. Sordelli: Atti 17° Congresso Nazionale A.I.D.I.I. 1998 3. “Advances in Occupational Medicine & Rehabilitation” “Aggiornamenti in Medicina Occupazionale e Riabilitazione”, rivista quadrimestrale. Volumi pubblicati: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. G. Bazzini: Efficacia e qualità in riabilitazione motoria. 1995 M. Imbriani, S. Ghittori, G. Pezzagno E. Capodaglio: Update on Benzene. 1995 M.R. Strada, G. Bernardo: Interventi riabilitativi in Oncologia. 1996 J. Nilsson, M. Panizza, F. Grandori: Advances in Magnetic Stimulation. 1996 S. Della Sala, C. Marchetti, O.H. Turnbull: An interdisciplinary approach to the rehabilitation of the neurological patient: A cognitive perspective. 1996 P. Capodaglio, G. Bazzini: L’attività motoria degli arti superiori: aspetti in medicina occupazionale e riabilitativa. 1997 G. Pezzagno, M. 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Onorato: Analisi dell’attenzione protratta nelle reazioni verbali. Sistema prefrontale e Processi riverberanti. Le reazioni dilazionate in Neuropsichiatria (with an English Outline). 1999 7. N. Ambrosino, C.F. Donner, C. Rampulla: Topics in Pulmonary Rehabilitation. 1999 8. A.M. Zotti, G. Bertolotti, P. Michielin, E. Sanavio, G. Vidotto: Linee guida per lo screening di tratti di personalità, cognizioni e comportamenti avversi alla salute. Manuale d’uso per il CBA Forma Hospital. 2000 9. P. Capodaglio, M.V. Narici: The ageing motor system and its adaptations to training. 2000 10. F. Rengo, R. O. Bonow, M. Gheorghiade: Heart Failure in the Elderly. Implication for Rehabilitation. 2000 11. G. Megna, S. Calabrese: Riabilitazione neuromotoria 2000. 2000 12. P. Pinelli & Coll.: Freud in a Psychophysiological Framework or About Unconscious and Soul. 2001 13. F. Rengo, R.O. Bonow, M. Gheorghiade: Chronic Heart Failure In The Elderly. The Evolution Of Chronic Heart Failure. 2002 14. G. Bazzini: ll Day-Hospital Riabilitativo. 2003 5. “Advances in Occupational Medicine” “Aggiornamenti in Medicina Occupazionale”. Volumi pubblicati: 1. L. Alessio, P.A. Bertazzi, A. Forni, G. Gallus, M. Imbriani: Il monitoraggio biologico dei lavoratori esposti a tossici industriali. Aggiornamenti e sviluppi. 2000 2. L. Ambrosi, L. Soleo, S. Ghittori, L. Maestri, M. Imbriani: Mercapturic Acids as Biomarkers of Exposure to Industrial Chemicals. 2000 3. C. Meloni, M.T. Querciolli, S. Verdirosi, M. Imbriani: Aggiornamenti in Scienze Infermieristiche. 2002 6. “Symposia” “I Congressi della Fondazione Maugeri”. Volumi pubblicati: 1. D. Cottica, F. Benvenuti, E. Grignani, M. Casciani, M. Imbriani: Il rischio microbiologico negli ambienti di lavoro: approccio, valutazione, interventi. Convegno AIDII - ISPESL, Centro Congressi Fondazione Salvatore Maugeri. Pavia, 29 ottobre 1998. 1999 2. L. Soleo, P. Apostoli, D. Cavallo, D. Cottica, G. Nano, L. Ambrosi: II Congresso Europeo di Igiene Industriale - I Congresso Mediterraneo di Igiene Industriale - Convegno AIDII, Centro Internazionale Congressi. Bari, 30 giugno - 3 luglio 1999. 2000 3. M. Buonocore, C. Bonezzi: La gestione del paziente con dolore neuropatico: indicazioni diagnostiche e terapeutiche. II incontro sul dolore neurogeno. Pavia, 12 maggio 2000. 2000 4. D. Cottica, G.B. Bartolucci, G. Nano, M. Imbriani: Atti 18° Congresso Nazionale AIDII. Trento, 21-24 giugno 2000. 2000 5. C. Minoia, R. Turci, G.B. Bartolucci, S. Signorini, P. Apostoli: Progressi nella valutazione del rischio espositivo da chemioterapici antiblastici. Convegno Nazionale, Centro Congressi Fondazione Salvatore Maugeri. Pavia, 14-15 ottobre 1999. 2000 6. C. Bonezzi, M. Buonocore: Dolori radicolari e pseudoradicolari: indicazioni diagnostiche e terapeutiche. Centro Congressi Fondazione Salvatore Maugeri. Pavia, 4 maggio 2001. 2001 7. M. Buonocore, C. Bonezzi: Sindromi algodistrofiche: dall’inquadramento diagnostico al trattamento riabilitativo. Centro Congressi Fondazione Salvatore Maugeri. Pavia, 17 maggio 2002. 2002 8. Simposio in occasione dell’80° compleanno del Prof. Paolo Pinelli: Funzioni nervose e processi mentali. Centro Congressi Fondazione Salvatore Maugeri. Pavia, 16 dicembre 2001. 2003 7. “I Manuali della Fondazione Maugeri”. Volumi pubblicati: 1. L. Bianchi, S. Nava, E. Zampogna: Manuale dei Metodi e delle Procedure Fisioterapiche in Riabilitazione Respiratoria. 2002 2. E. Banco, B. Cattani, G. Fugazza: I disturbi di deglutizione. Opuscolo informativo per pazienti e familiari. 2002 3. M. Schmid, S. Compiano: Degenerazione maculare: nuove strategie. Informazioni utili a persone anziane con degenerazione maculare. 2002 8. “Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale”, rivista quadrimestrale che pubblica articoli che contribuiscano allo sviluppo delle conoscenze teoriche ed al progresso della prassi clinica in psicoterapia cognitiva e comportamentale. 9. “Monaldi Archives for Chest Disease”, Rivista scientifica internazionale di Medicina Cardiopolmonare e Riabilitatazione. 10. “Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia”, Rivista trimestrale di Prevenzione, Patologia, Ergonomia e Riabilitazione. 11.“Cyanus”, periodico di Igiene Ambientale e Industriale. MODULO PER ABBONAMENTO GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA Per il 2004, l’abbonamento per l’intero anno ammonta a € 41,31 per quattro numeri. Vogliate registrare il mio abbonamento ■ Per l’anno 2004 ■ Allego un assegno non trasferibile per l’importo di Pagabile alla Tipografia PI-ME Editrice S.r.l. - Via Vigentina 136 - 27100 PAVIA, ITALIA o ■ Pagamento dell’importo di per mezzo di bonifico bancario sul nostro conto numero 10/1532 presso l’ISTITUTO BANCARIO SAN PAOLO - IMI, Filiale 2, C.so Garibaldi 52, Pavia - ABI 1025 - CAB 11304 Si prega di trascrivere con cura l’indirizzo a cui si desidera ricevere la rivista ed eventuale corrispondenza. Cognome Nome Titolo professionale e qualifica Indirizzo Codice Postale Città Inviare il seguente modulo di richiesta all’indirizzo: Tipografia PI-ME Editrice Srl Via Vigentina 136 - 27100 PAVIA Tel. 0382/572169 - Fax 0382/572102 E-mail: [email protected]