NIETZSCHE: LA NASCITA DELLA TRAGEDIA La

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NIETZSCHE: LA NASCITA DELLA TRAGEDIA La
NIETZSCHE: LA NASCITA DELLA TRAGEDIA
La nascita della tragedia dallo spirito della musica, pubblicata nel 1872, costituisce non
solo l’esordio filosofico di Nietzsche, ma elabora un’interpretazione radicalmente nuova
dell’intera civiltà greca destinata a far discutere. Il grande filologo tedesco Wilamovitz –
Moellendorff la definirà un’opera che mostra “ignoranza e scarso amore della verità”.
Dunque, già questo ci fa comprendere che Nietzche ribalta l’immagine tradizionale della
grecità, formulata dal classicismo del ‘700 e ‘800. Guardiamo perché. Secondo
l’interpretazione classica, l’arte greca è equilibrio, armonia e misura, rappresentata dalla
categoria dell’apollineo; non a caso Apollo è dio della luce. L’apollineo (e qui Nietzsche
concorda) è simboleggiato dall’ arte dorica, la quale si manifesta in pieno nella scultura e
nelle proporzioni armoniche della plasticità, oltre che nell’architettura, manifestando un
atteggiamento di “maestosa ripulsa” di fronte alla forza “grottescamente rozza” dei riti
dionisiaci. Questa serenità ‘olimpica’, espressa anche dagli Dei greci, è il carattere
essenziale della grecità, il cosiddetto ‘miracolo greco’. Questa immagine, per Nietzsche, è
falsa e parziale, perché occulta e quasi ‘esorcizza’ l’altro fondamentale aspetto della civiltà
ellenica: il dionisiaco. Dioniso è il dio greco (sebbene si pensi che i riti dionisiaci siano
stati importati dalla Tracia e dall’Asia minore) simbolo del caos, dell’ebbrezza orgiastica,
della vitalità scatenata che non conosce limiti e misure. Esso si esprime nella musica: la
potenza del suono evoca l’istinto, la vitalità, il rapimento e il trasporto, ricongiungendo
l’uomo con le forze caotiche e primordiali della natura. Nella danza ebbra dei riti dionisiaci,
i suoi membri simboleggiano il processo eterno della natura, di distruzione e rinascita. Il
dionisiaco, tuttavia, non è solo ebbrezza, trasporto, ma anche morte, dolore e violenza
(insomma, ciò che la vita porta sempre con sé). Apollineo e dionisiaco, dunque, vanno di
pari passo nella civiltà greca e rappresentano concetti dicotomici, nel senso che pur
essendo in contrasto tra di loro, si implicano proprio per questo a vicenda.
Questo almeno fin all’età arcaico – presocratica. Secondo il nostro filosofo, ad un certo
punto queste due categorie si fondono nella tragedia attica, con Eschilo e Sofocle, dando
vita al ”miracolo della volontà ellenica”, in cui il coro musicale rappresenta il dionisiaco e il
dramma scenico dell’eroe l’apollineo. Che funzione ha la tragedia? Non simboleggia
semplicemente l’apollineo, la razionalità greca, come credono i classicisti, ma serve a
sopportare la sofferenza della vita. Gli stessi Dei dell’Olimpo, mondo di quiete e serenità,
in questo contesto non incarnano i valori astratti tipici del razionalismo, in quanto vivono
essi stessi l’esperienza dei mortali, pur essendo questa liberata dal timore del panico. Essi
vivono in un mondo intermedio, tra l’ebbrezza della vita, tipica del dionisiaco e il sogno
dell’arte, tipico dell’apollineo: l’arte maschera, sotto forma di sogno, il dolore che
l’ebbrezza dionisiaca porta con sé, trasfigura in forme definite ed armoniche l’assurdità
dell’esistenza. A confermare tale fusione, secondo Nietzsche, è anche il fatto che il
genere tragico nasce dal ditirambo, poesia lirica intonata in onore di Dioniso da un coro
con accompagnamento di flauti. La tragedia è perciò canto dei capri: i membri del coro
ditirambico erano travestiti da satiri nella Grecia arcaica, demoni dei boschi metà uomini e
metà capri, che andavano a caccia delle ninfe (Dioniso fu allevato da satiro Sileno). I
membri del coro rappresentano quindi un’umanità non ancora distinta dalla natura.
Comprendiamo, già da questa prima opera, un tema centrale dell’indagine nietzscheana:
la vita è manifestazione crudele e violenta di forze senza senso né scopo e l’individuo è in
loro balìa: nasce, vive e muore senza un perché. Chiara, qui, l’influenza di Schopenhauer.
Tuttavia, Dioniso è innocente (un tema che tornerà nella sua successiva produzione): la
sua inconsapevolezza tragica è l’elemento originario della tragedia, l’accettazione ebbra
della vita, entusiastica, che nasce appunto dallo spirito della musica.
Pertanto, il miracolo della volontà ellenica, cui si accennava prima, non è la serenità
olimpica fine a se stessa, bensì la capacità di trasformare in arte il mistero del dolore
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universale: infatti, il dionisiaco non è solo ebbrezza, sebbene questa ne costituisca
l’essenza, bensì violenza e morte. L’arte apollinea, la tragedia, con il sogno (suo carattere
essenziale), vela, nasconde, con una forma rassicurante, il fondo barbaro, orribile e
perciò tragico dell’esistenza, che di per sé sarebbe insopportabile. La tragedia sublima la
vita e la trasfigura, la rende cioè accettabile elevandone i contenuti in un ambito superiore
ed eroico, quello dei capolavori di Sofocle ed Eschilo. Di qui l’ammirazione per
Schopenhauer, visto il ruolo che l’arte ha nella sua filosofia e il paragone tra essa e il velo
di Maya. Il miracolo attico, che sintetizza in modo sublime apollineo e dionisiaco, è però
destinato alla decadenza con Euripide, il quale introduce significative innovazioni che
cambiano volto alla tragedia e fanno emergere l’elemento intellettualistico e morale,
destinato a condurre alla decadenza l’intera civiltà greca.
Il coro scompare, viene data importanza notevole al prologo, che spiega agli spettatori il
contenuto dell’opera, cosicché la tragedia assomiglia ad un dramma realistico. E
interviene il Deus ex machina, che irrompe dall’alto sulla scena per sciogliere situazioni
complicate e in apparenza irrisolvibili. Euripide, in definitiva, si rende conto che il pubblico
non vuole più rivivere emotivamente nella tragedia la sintesi di apollineo e dionisiaco, ma
pretende una spiegazione razionale, ossia vuole capire. Il dionisiaco è occultato e travolto
dall’apollineo. La decadenza occidentale inizia da qui, con il razionalismo, con la pretesa
di spiegare ciò che non ha senso: la vita, che è e basta. Al massimo, la vita può essere
rivissuta, trasfigurata, sublimata nell’arte.
L’analisi di Nietzsche non si esaurisce: a questo punto emerge il contenuto più
strettamente filosofico dell’opera. Infatti, dietro Euripide c’è Socrate: l’uomo socratico vuole
spiegare la realtà, pensando che essa sia comprensibile e perciò dominabile dalla
ragione. Per questo Socrate è il padre del razionalismo moderno: egli pensa che esista la
verità, in un senso oggettivo e che questa sia coglibile dalla ragione. E’ il padre della
modernità con le sue illusioni: il progresso, il dominio sulla natura e sugli istinti,
l’uguaglianza. Socrate mortifica gli istinti, rende il corpo prigioniero della ragione e di una
morale artificiosa di cui l’uomo è schiavo. Sarà Platone a fare l’ultimo passo, proseguendo
sulla strada tracciata da Socrate: egli darà sostanza ontologica a quelle illusioni, creando
un mondo metafisico al di là del nostro, che segnerà per sempre il destino del pensiero e
della civiltà occidentale. La suprema delle menzogne, insieme ad un corpo che diviene
‘carcere dell’anima’. E’ questo il cosiddetto illuminismo greco, che occulta la dimensione
tragica dell’esistenza, pretendendo di imporre al mondo una visione valida una volta per
tutte. Questa strada, che guarda a mondi metafisici atti a salvare l’uomo, prosegue poi con
il cristianesimo e con le follie egualitarie della Rivoluzione francese. La Comune di Parigi
(1871) dimostrerà a quali terribili conseguenze possa condurre la modernità.
A questo punto possiamo chiederci: è possibile far rivivere ciò che si è perso con la
decadenza? Sì, sostiene Nietzsche, in Germania, la sola nazione in grado di recuperare
l’eredità greca. Ma la ‘germanicità’ non è in Nietzsche motivo politico, affine al
pangermanesimo dell’epoca, bensì esclusivamente culturale: già la filosofia tedesca (Kant
e Schopenhauer) ha abbandonato l’illusione socratica di conoscere razionalmente la cosa
in sé. Tuttavia, è con la musica di Wagner, a cui è dedicata La nascita della tragedia, che
si può ripetere il ‘miracolo greco’. Nella sua opera d’arte totale, che fonde azione teatrale,
musica e poesia, l’eternità della vita e la sapienza dionisiaca rinascono: egli è il prototipo
dell’artista tragico. La Nascita della tragedia è un’opera fondamentale perché delinea
alcuni temi chiave della successiva riflessione nietzscheana: la vita come totalità
irrazionale e inspiegabile, il dolore dimensione insopprimibile dell’esistenza, l’opposizione
di istinto e ragione, la critica alla modernità vista come decadenza, il primato dell’arte e la
‘germanicità’. Se gli ultimi due aspetti verranno meno di qui a poco, gli altri resteranno
centrali e saranno ulteriormente approfonditi, insieme alla critica al cristianesimo,
introdotta ex novo.
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