La maschera della Morte Rossa
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La maschera della Morte Rossa
Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati Alla mia gatta Zarina Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati Stelvio Mestrovich LA MASCHERA DELLA MORTE ROSSA Il ritorno di Giangiorgio Tartini Dario Flaccovio Editore Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati Stelvio Mestrovich La maschera della morte rossa Il ritorno di Giangiorgio Tartini ISBN 978-88-579-0310-1 Prima edizione: giugno 2014 © 2014 by Dario Flaccovio Editore s.r.l. - tel. 0916700686 www.darioflaccovio.it [email protected] Mestrovich, Stelvio <1948-> La maschera della morte rossa / Stelvio Mestrovich. - Palermo : D. Flaccovio, 2014. ISBN 978-88-579-0310-1 853.914 CDD-22 SBN PAL0270528 CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” Stampa: Tipografia Priulla, Palermo, giugno 2014 Ringraziamenti A Raffaella Catalano, editor e addetto stampa, per l’ottimo lavoro svolto. Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati Capitolo 1 Poi Giangiorgio Tartini impugnò la pistola di ordinanza e si sparò un colpo alla testa… ma non morì. Il fatto accadde a casa dell’amico Dario Farsetti il 12 gennaio dell’anno 2007. A cena, Tartini alzò il gomito, ma sembrò tranquillo. Verso le ventitré si accomiatò e all’una del mattino uno sparo nel silenzio di una notte non più noiosa delle altre fece precipitare Dario nella camera degli ospiti. Farsetti chiamò subito i soccorsi. All’ospedale San Giovanni e Paolo i medici estrassero un proiettile calibro 9mmx19 dalla parte posteriore del cranio di Tartini. La pallottola non gli aveva leso punti vitali. L’amico poliziotto, con la complicità dell’agente scelto Marescalchi, mise a tacere la sbronza di Giangiorgio di inizio anno alla Punta della Dogana nel corso dell’inchiesta, ma nulla poté per negare il tentativo di suicidio. Tartini, alla fine dell’indagine straordinaria, ordinata dall’autorità competente a un organo interno della 5 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati Polizia di Stato designato per ottenere la verifica dei fatti, fu esonerato dal servizio per una “possibile depressione per motivi personali, con il consiglio di ricorrere a cure di specialisti per alleviare il peso di fratture psicologiche difficilmente sanabili nel silenzio della propria intimità”. In pratica, fu buttato fuori dalla Polizia. Ad assistere Farsetti, si prodigarono la signora Rebetz, Tullia Rampani e Camilletta Franco. Non fu da meno il gatto Annibale che rischiò di morire di dolore, evitando il cibo e mostrando una continua agitazione durante l’assenza del suo padrone. Furono le ostinate cure della signora Rebetz a salvarlo da morte sicura. Alla prima carezza di Giangiorgio Tartini, il micio non si contenne dalla gioia. Il suo miagolio e le sue effusioni di affetto durarono a lungo. Tartini non fu più lo stesso. Lo capì al primo risveglio dopo l’operazione. Si ricordò in un lampo il non breve segmento di vita dalla sua nascita alla scampata morte. E rabbrividì. Non era riuscito nei suoi scopi, nemmeno a uccidersi. Aveva adoperato tutti i fiammiferi, nessuno si era acceso. Non avevano fatto che fumo. Adesso non gli rimaneva che una scatola bruciacchiata e vuota. Pensò alla sua cittadina natale: come Pirano d’Istria, esisteva ma non c’era. Egli viveva al di fuori della sua vita. Piacere, Tartini: uno sconosciuto. Dopo la convalescenza passata da Dario Farsetti, Giangiorgio, seppure contro la volontà del suo ami6 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati co, tornò ad abitare nel suo appartamentino in Corte Colombina. Con il fidato gatto Annibale e con l’antipatica, ma gentile, vicina di casa signora Rebetz. Suonò il violoncello più volte, provando piacere e disillusione. Le note sfumavano mute. Era la memoria, non il cuore, a uscire dallo strumento musicale. E Annibale era sempre lì, attento. Non andava via come prima. Il ricordo di Mitzi, una prostituta di cui si era innamorato, che aveva accolto in casa sua con la massima fiducia e che, come ringraziamento, era scappata con i suoi soldi e oggetti di valore anche affettivo, custoditi in cassaforte, senza una parola di spiegazione, schiacciò Tartini come si fa con un verme. Lui pensò a un proverbio russo, che recitava: ti è piaciuto farti portare in slitta? Prova adesso a trascinarla! Forse non sarebbe stata una cattiva idea cambiare casa… Ma il fedele gatto come l’avrebbe presa? E dove avrebbe ritrovato un’altra signora Rebetz? Scartò immediatamente quella ipotesi. Capì che soltanto la musica gli avrebbe dato da vivere d’ora innanzi. Magari dando lezioni private agli studenti del Conservatorio. Lasciò il violoncello, fece due coccole al gatto, uscì fuori. Soffiava un freddo vento di fine aprile. La vecchia Venezia gli apparve sempre più ammalata. Ormai vicina al collasso. Massacrata dai turisti, abbandonata al suo destino dagli amministratori corrotti e ignoranti, 7 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati sempre meno lodata da artisti e letterati, Venezia si mostrava ai più come un luna park in cui si mulinavano sogni ordinari e di poca durata. A tanto si era ridotta la città lagunare, una volta regina dell’Adriatico. A un carrozzone d’acqua e di pietra, ricco di maschere di Carnevale made in China, sempre pronto a mostrarsi, per il vil denaro, agli obiettivi di macchinette fotografiche e alle cineprese sofisticatissime. Tartini entrò in un negozio di libri usati e ne uscì con Al limite estremo di Michele Artzybascev e con Oblòmov di Ivàn Gončarov. Si era dato alla letteratura russa, l’unica nella quale il suo malandato spirito trovava pace. Aveva abbandonato Marco Aurelio e la sua filosofia per passare alla sofferenza slava. Alzò il bavero del giubbotto e accelerò il passo. Giunto che fu all’imbarcadero di San Marcuola, gettò un’occhiata alla facciata incompiuta della chiesa dei Santi Ermagora e Fortunato. Com’era messo con la fede?, si interrogò. Beh, mica bene, rispose a se stesso. Uno che voleva uccidersi… Se non fosse stato per quel mona di Dario… chissà dove sarebbe adesso o se ancora esisterebbe sotto forma di anima. Giangiorgio si ricordò di una perla dei Fratelli Karamazov: non è che non accetti Dio, ma semplicemente gli restituisco, con la massima deferenza, il mio biglietto. Si accese una sigaretta Memphis Light, contrariamente ai pareri della medicina universale, e attese l’arrivo del vaporetto. 8 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati Scese alle Zattere, si fermò al bar Il Cucciolo per prendere un caffè, camminò lentamente verso la Punta da Màr. Lì si era ubriacato, gridando alla gente che festeggiava il nuovo anno: “Signori, avevo una donna che amavo che era una puttana e che puttana è rimasta. La volete? Mitzi, questo è il suo nome d’arte, scopa benissimo. È una vera artista del coito…” Erano le sette passate, quando una mano robusta lo scosse e lo svegliò. Era quella dell’agente scelto Marescalchi, che lo portò subito da Farsetti in campo San Lorenzo. E dopo l’insano gesto… Tartini fumò di nuovo. Attraversò il ponte dell’Accademia, direzione piazza San Marco. Come fosse una tappa d’obbligo, rimirò il grande e melanconico Palazzo, attribuito al Sansovino, in campo San Maurizio, dove aveva abitato Giorgio Baffo. In primis era stato Brafo. Uomo dai bei modi, castigato nei discorsi e di carattere austero, ma che era passato alla storia della letteratura come disonesto e infame, nonché poeta licenzioso. I suoi versi erano stati scritti nel dolce dialetto veneziano che è soffice come la seta. Ma la loro volgarità, così era stata ai suoi tempi definita ed ancor oggi in parte lo è, li imbrattarono di sconcezze. Ma la realtà non porta sconcezza? O, meglio, le due parole non sono sinonimi? La vera vita dei signori veneziani del Settecento era stata descritta, meglio di un quadro di Pietro Longhi, dal nobile poeta. In 9 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati appendice a questo ragionamento, Giangiorgio si ricordò di questi versi: “Come vien un pensier fazzo un sonetto, e’l fazzo in Venezian, come son nato, sibben che so, che gho se più d’un mato, che me condanna, perché parlo schietto”. Già. Bordelli, puttane, corrotti, preti debosciati. Un affresco a tutto tondo di una città logora, lasciva e decadente. Tartini puntò il dito sulla lapide commemorativa di Apollinaire sulla facciata di Palazzo Bellavite, che recitava: “Questo celebre sifilitico, soprannominato l’osceno, lo potremmo considerare il più grande poeta priapeo mai esistito, ma, al contempo, uno dei massimi poeti lirici” ed esclamò con partecipazione a bassa voce: “Ne so qualcosa io, di puttane!” Il consiglio di andare da uno psichiatra, venuto sia dall’ospedale sia dal medico curante, non fu preso sul serio dall’ex ispettore capo. Furono sufficienti due sedute, dopo le quali la decisione di non salire più le scale di quella casa che portavano allo studio dello “strizzacervelli”. Tartini capì subito che tra il vivere e il non vivere c’era una terza possibilità: tirare avanti senza medicine e senza intrusioni esterne che lasciano il tempo che trovano. E lui scelse quella. L’avvenire è fumo e lusinga, rifletté. Passeggiando verso la piazza, rise osservando tra sé che anche Venezia non aveva avvenire, eppure continuava a trastullarsi tra fumi di nebbie e di lusinghe. 10 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati Capitolo 2 Passarono dieci mesi. Grazie all’interessamento dell’amica Rampani, Tartini fece un corso di perfezionamento di violoncello e, in seguito, cominciò a suonare in un quartetto con pianoforte. Numerosissimi furono anche gli allievi che andarono da lui per le lezioni private. Giangiorgio si organizzò bene, si dette molto da fare, riscoprendo così la sua vena artistica che durante il servizio in Polizia si era, volente o nolente, nascosta sotto pelle. Si procurò nuove conoscenze e al conservatorio Benedetto Marcello godette della stima di tutti. Gli rimasero due amici carissimi, di vecchia data: Dario Farsetti, nonostante gli avesse salvato la vita, e il maresciallo Carmelo Celso della stazione dei Carabinieri di Castelbuono in Sicilia, con il quale aveva collaborato in passato nel caso del delitto in Casa Goldoni. Il primo andò a trovarlo quasi ogni giorno; il secondo non mancò mai di tenersi in con11 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati tatto telefonico con l’ex segugio dei canali. Durante il periodo più delicato del ricovero ospedaliero di Giangiorgio, Carmelo e signora si precipitarono da lui e, a turno, fecero due nottate di veglia. Tartini, quando lo seppe, ne rimase profondamente commosso. Si propose di andarli a trovare al più presto e di sdebitarsi in qualche maniera. E Tartini aveva acquisito un nuovo amico, conosciuto al conservatorio: Giobbe. Era Giovedì Grasso. Giangiorgio non capì bene di quale anno. Si sentì confuso. Festa sacra per i veneziani. Il giorno della grande abbuffata, della smoderatezza, della gozzoviglia, del “tutto è concesso”. Il giorno della Triade: vizi, abusi, depravazioni. Si osannava il maiale, si abbordavano le putele. Si cercavano il vino e la mona. Il popolo si dava alla pazza gioia. Tartini uscì di casa senza una meta fissa. Si concesse una camminata e la mente, più che i piedi, lo portò al ponte delle Tette, che è situato a San Cassiano, in zona delle Carampane, e unisce il sestiere di Santa Croce con quello di San Polo. Vicino a Rialto, è una di quelle zone di Venezia in cui le prostitute sono costrette a concentrarsi sin dal secolo quindicesimo, per disposizione delle leggi sull’ordine pubblico. Per attirare la clientela, le donne di malaffare, tempo addietro, se ne stavano sedute sulle 12 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati finestre a seno nudo e con le gambe penzoloni per mostrare le loro grazie. Le più audaci addirittura sul ponte stesso. Una di quelle ordinanze era stata emanata per debellare l’omosessualità, che era diventata un problema serio. Sotto i portici di Rialto erano state poste, nel 1450 e a carico della Repubblica, quattro grosse lampade per rischiarare la zona e scoraggiare gli omosessuali che lì si radunavano. Erano stati riportati alcuni esempi. Un tale Francesco Cercato era finito impiccato per sodomia fra le colonne della piazzetta nel 1480. Un s. Bernardino Correr, nel 1482, “volse sforzar ser Hieronimo q. ser Urban zovene bellissimo per sodomia una sera che lo trovò in calle da Ca’ Trevixan a S. Bortolomio e li taiò le stringhe de le calze, el qual non volse consentir, andò ai Cai di X et dette la sua querela”. Francesco Fabrizio, prete e, ahimé!, poeta, lo avevano decapitato e bruciato nel 1545 per tale vizio “inenarrabile”. Tutti i medici e i barbieri che erano stati chiamati a curare qualche uomo, oppure qualche femmina, “in partem posteriorem confractam per sodomiam”, furono obbligati a farne denuncia entro tre giorni alle autorità, in maniera tale che i sodomiti fossero giustiziati fra le due colonne della piazzetta. 13 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati Ma la vera ragione della rabbia delle prostitute era un’altra. Le troppe cortigiane o puttane di lusso. Nel 1509 ce n’erano più di undicimila. E il lavoro a quelle a più buon mercato scarseggiava … Lungo le calli gruppi di scalmanati ballavano al ritmo sfrenato dei tamburi. Nei Campi si improvvisavano moresche e altre danze. Il popolo era in festa. Tartini, in questo immaginare, rivide Mitzi, che lui aveva accolto in casa e che voleva sposare, perché si era innamorato di lei. La incontrò proprio lì. Bellissima troia. Che lui avrebbe voluto trasformare, povero meschino, in un’onesta principessa. Risultato? Mitzi era scappata via con tutti i suoi denari e con tutti i suoi sogni. Lui non si era dimostrato Gesù. E Mitzi non aveva avuto il cuore della Maddalena. Giangiorgio, sempre tra fantasie storiche e realtà, incontrò, strada facendo, cartomanti, ciarlatani, giocolieri, giocatori di dadi, prestigiatori, venditori ambulanti e improvvisati, guardie ubriache, barboni, cani randagi, gatti. Dopo Rialto, si avvicinò alle Carampane. C’erano diversi falò e persino un orso incatenato a un palo. Si doveva difendere dagli attacchi dei levrieri. Ne seguì un combattimento cruento a colpi di morsi e di unghiate. 14 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati “Non sopporto questo spettacolo”, si ritrasse Tartini, “allora è vero che la vittima, e non l’assassino, torna sempre sul luogo del delitto”. Uscì dalla zona a luci rosse. Piano piano, come fotogrammi di un film che ritrovarono l’ordine cronologico, i contorni del suo spazio visivo si fecero più nitidi e, in prossimità di Rialto, lui riacquistò lucidità. Non ebbe, però, il coraggio di definirla tale. Non era forse meglio prima? Andò a salutare il ristoratore di Al Buso. Il proprietario non c’era. Il cameriere gli domandò se volesse mangiare qualcosa e disse che il suo tavolino rasente il ponte era sempre libero. Lo avevano ricoperto di un telo, sopra il quale erano state poste saliere, bottiglie di olio e di aceto, posaceneri. Giangiorgio rispose che non aveva fame, ma che lo avrebbero rivisto presto. Si avviò verso l’imbarcadero e mentre aspettava il vaporetto, squillò il suo cellulare con il suono della canzone russa più famosa di tutti i tempi, Kalinka, scritta nel 1860 dal compositore Larёnov. Era Dario. “Dimmi, ispettore capo”. Silenzio e gelo. “Ci sei?”, brontolò Giangiorgio. “Sì. E avrei bisogno del tuo aiuto”. “Vuoi una lezione di musica?”, disse Tartini con una certa acidità. 15 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati “No. Che tu mi dia una mano a risolvere un delitto”. “Dove ti trovi?” “Al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale Civile”. “Chi hanno ammazzato, qualcuno del Partito della Libertà?” Questa volta Farsetti rise. “Ti raggiungo. Avverti i tuoi sbirri, altrimenti non mi fanno entrare”. E pigiò il tasto con la cornetta sbarrata. Tartini prese il vaporetto numero 1 per San Zaccaria e poi il 52 per l’Ospedale. Nonostante i pestoni, i turisti assatanati, le persone mascherate, i ragazzini maleducati, le lotte per entrare e uscire dalle imbarcazioni strapiene, riuscì a venirne fuori a Castello, seppure mezzo massacrato. Accese subito una sigaretta maledicendo la città e i suoi trasporti. Era gonfio di bile, però il riaccostarsi a un’indagine lo animava interiormente. Come, o quasi, ai vecchi tempi... E senza alcun dovere o responsabilità. Avrebbe agito da esterno. Meglio di così. All’interno dell’ospedale, si fece indicare da un medico l’ala del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Salì due rampe di scale, percorse due corridoi, infine vide un paio di ex colleghi fuori di una porta. Era arrivato. 16 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati Dario gli strinse la mano senza dire una parola, poi lo accompagnò sul luogo del delitto. Una donna giaceva in un lago di sangue, a cavalcioni del letto. Stanza numero 6. Con la massima precauzione, Tartini si avvicinò al corpo e notò che le erano stati inferti diversi colpi con le forbici. Era una graziosa biondina con tratti non privi di piacevolezza. Aveva il naso a punta, indossava solo una camicetta bianca, non doveva avere più di una venticinquina d’anni. C’era un fazzoletto vicino alla spalla sinistra. Doveva essere servito all’assassino per impedirle di urlare. Visibili alcune ecchimosi sul collo. Sul capo aveva due banconote: la prima da 20 euro, la seconda da 10. Sul lenzuolo, con il sangue, era stato scritto Deus vu. “Il nome della poveretta?”, si interessò Giangiorgio. “Marina. Marina Minio”. “Di dov’era?” “Di Padova”. “Quando è successo l’omicidio?” “Stamani all’alba”. Tartini rifletté. “Un assassino che lascia 30 euro…”. Poi chiese: “La vittima aveva parenti?” “Stiamo controllando”. 17 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati “Qualcuno ha visto qualcosa?” “Un’infermiera, tale... Zusto, Gabriella Zusto... che sostiene di avere scorto un uomo con una maschera bianca che piangeva lacrime di sangue, con un mantello nero, mentre fuggiva dalla stanza. È lei che ha scoperto il corpo”. “Che tipo di forbici…?” “Di quelle per mancini, che presentano lame invertite. La Zusto dice che l’assassino è scappato scavalcando la finestra che dà sui tetti”. “Come le è parso? Alto, basso, grasso, magro?” “Piuttosto alto. E robusto”. Si sentì la voce baritonale del pm in avvicinamento. Si intromise fra Tartini e Farsetti e, rivolto al primo, tuonò bilioso: “Lei che cazzo ci fa qui?” “Sono un paziente del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Stanza 14”. Il magistrato lo squadrò da capo a piedi. Non aveva mai nutrito simpatia per quell’uomo. Si lisciò i baffetti alla Poirot, passò una mano sui pochi peli che ornavano un cranio basso, si aggiustò il nodo alla cravatta, ostentando un Rolex d’oro. “E allora? Risponda alla mia domanda”. “Sono venuto a salutare il mio amico Farsetti”. 18 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati “L’ha fatto?” “Sì”. “E allora se ne vada!” “Ma sono un testimone…” Il dottor Pizzetti, il magistrato, placò il suo astio e domandò all’ex ispettore capo che cosa avesse visto. Giangiorgio assunse l’aria di un matto e scandì: “Un nanetto lombardo con un mini-uccello che insidiava la figlia del Doge”. A Dario scappò una risata incontrollabile. Il pm: “Ma torni nella sua stanza e si faccia ben curare!” “Provvederò. Tanto paga lo Stato”. Tartini scambiò un’occhiata di complicità con Farsetti, quindi si allontanò a grandi passi. Andò a sbirciare dalla finestra, dalla quale era fuggito l’omicida. In effetti, era una facile scappatoia. Con un piccolo salto si poteva raggiungere un tetto e poi un’altana e scendere ancora e ancora, sino a toccare terra. Un maniaco, pensò. E la scritta Deus vu? Che significava? Dio lo vuole o Deus le volt, anche se in19 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati completa, si ricordò Tartini. Fu il grido di battaglia usato da Pietro l’Eremita nelle sue predicazioni per arruolare uomini per la Crociata dei pezzenti. Tale motto giustificò l’utilità della conquista militare della Terra Santa come un sacrificio per la libertà del Santo Sepolcro. E, se non errava, era stato utilizzato anche in seguito dai guerrieri delle successive Crociate. Leggenda voleva che persino papa Urbano II avesse usato questo motto, dopo il celebre discorso tenuto a Clermont, in aiuto della Chiesa d’Oriente, privata della città di Gerusalemme. Probabilmente il pontefice aveva inteso difendersi dalle accuse di interesse personale e commerciale che gli erano state rivolte da più parti. Va bene, ma tutto ciò che cosa c’entrava con il delitto? Giangiorgio attese Dario, che giunse dopo un quarto d’ora. Gli disse le sue prime impressioni, poi se ne andò a casa. A piedi. 20 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati Capitolo 3 Non fu visto da nessuno entrare nella chiesa di San Giovanni in Bragora nel sestiere di Castello. Puntò diretto alla cappella dedicata a San Giovanni l’Elemosiniere, che custodisce le preziose reliquie del Santo dal 1249, in una cassa dorata, sostituita poi nel 1326 con un’altra “più ornata e decente”. Si inginocchiò, facendosi il segno della croce. Ansimava un po’. Nascose la faccia tra le mani e pregò. L’odore delle candele accese si fece sentire. Ma non disturbò affatto l’uomo che ormai, fra preghiere e ricordi, era vittima consenziente della mente. Ogni tanto un bagliore e un tuono, da mozzare il fiato. Poi il suono sinistro della pioggia battente, che riportò il fedele indietro nel tempo, davanti a un cancello di una villa in stile liberty, sulla riviera versiliese, con i libri bagnati tenuti sottobraccio, dopo avere ripetutamente suonato il campanello. Aveva allora undici anni e frequentava la seconda media. Era stata la nonna ad aprirgli il cancello. Lui aveva corso per tutto il parco, aveva lambito la 21 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati piscina, salito cinque gradini ed era entrato in casa bagnato fradicio. Senza salutare si era diretto come un bolide verso la sua camera, che condivideva con il fratello più piccolo, di quattro anni. Lo aveva trovato in un angolo, bastonato e piangente. Botte, sempre botte, aveva pensato. Chissà che cosa aveva fatto quella volta. Gli aveva dato una carezza, quindi era sceso a mangiare. La cucina era una strana e ampia stanza, divisa in due da una vetrata con tanto di porta. I “servi” di suo nonno, cioè la moglie, il figlio, la figlia e la nuora con la prole occupavano la prima metà di un tavolo; la seconda era per il “padrone” e per il suo cane prediletto, un setter, di nome Diana. Giovanni, così si chiamava il non ancora vecchio ma venerando padreterno, intervallava a ogni pietanza una sigaretta infilata nel suo prezioso bocchino d’oro. Il fumo, però, non gli impediva di alzare la voce, di bestemmiare in lingua croata come un turco, ogniqualvolta notava qualcosa (per lui) di storto. Il figlio – padre di colui che era inginocchiato in assoluta astrazione dalla realtà circostante, nullatenente – era in suo potere. Rappresentante unico in Italia di una fabbrica svizzera di sigarette, girava, per ordine e conto del genitore, come una trottola in varie città italiane, in Vaticano e a Zurigo. Così guadagnava il pane per la consorte e per i ragazzi. La sorella era nel fiore degli anni, una bellissima giovane, bella di fuori quanto tarata di dentro. Il suo carattere era odioso come quello del padre. La madre, invece, vantava un’origine nobile, abituata a ubbidire e a non di22 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati scutere. Alla presenza del marito, accettava tutto, corna comprese. Quando lui era assente, sfogava la rabbia repressa urlando e piangendo. Soltanto la nuora le era solidale, forse per timore di non fare l’identica fine. Non passava giorno che non si pregasse per la morte del “mostro”. D’estate “el paròn” andava in Iugoslavia (allora la Repubblica di Croazia non esisteva) a sperperare soldi con donne e cacciando con i vecchi amici. Chissà... un incidente... L’uomo riconobbe la sua castità per natura. Pensava, come i Padri della Chiesa, che una donna merita spesso il disprezzo, sempre la diffidenza, qualora non ispiri venerazione. Chi lo aveva scritto? Ah, sì! Claude Aveline. Il nonno sbraitava, la nonna taceva, il padre sopportava, la madre si umiliava, la zia rendeva sempre più folle la sua sensualità. Mai un po’ di pace in famiglia. Lui e il fratello avevano tutto e niente. Poco amore. Lasciati alla sera per essere lasciati ancora al mattino. Intanto infuriavano furibondi litigi in villa. A scuola impararono poi l’arte del rifiuto, perché ricchi. A casa l’arte dell’abbandono, perché scomodi. Crebbe in loro la rivolta. Più nel fratello maggiore. Una volta scappò di casa dall’alba alla sera tardi e nessuno se ne accorse. Su queste cose rifletteva l’uomo inginocchiato. Appoggiò le mani sui fianchi e guardò San Giovanni l’Elemosiniere. Due fulmini consecutivi si abbatterono nelle vicinanze e l’ultimo di essi illuminò i sette pannel23 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati li regolari dei sedili, due pilastri quadrangolari, il frontone dell’urna con l’immagine a rilievo del Santo, collocato sulla parete sinistra della cappella e la maschera della Morte Rossa. Una candela si spense. Poi seguirono i forti tuoni. L’uomo aveva ottenuto il consenso di continuare nel suo disegno. Deus vu... 24 Abstract tratto da www.darioflaccovio.it - Tutti i diritti riservati Capitolo 4 Bussarono alla porta. Annibale non si mosse dalla sua poltroncina. Era ora di lezione e lo sapeva. Tartini andò ad aprire. “Buon giorno, professore!” “Entra”. E fece passare il suo allievo prediletto. Si chiamava Aldo, aveva diciassette anni, era vispo e determinato. Vestiva come i ragazzi della sua età, non si dava arie, era cordiale e molto educato. Suo padre, di origine vicentina, aveva un’oreficeria in calle Larga XII Marzo, vicino al palazzo della Camera di Commercio. “Hai studiato?”, gli domandò Giangiorgio. Lui fece cenno di sì con la testa. “Bene. Cominciamo con gli esercizi”. 25