La dominazione del fantasy
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La dominazione del fantasy
CORSO di laurea Scienze dell’Educazione (D.M. 270- nuovo ordinamento) DISPENSA (parte seconda) Corso di LETTERATURA PER L’INFANZIA (6 cfu) docente: Silvia Blezza Picherle RACCOLTA ANTOLOGICA La Letteratura fantasy Anno Accademico 2013 – 2014 N.B. Saranno oggetto di esame i saggi sulla letteratura fantasy. 1 La dominazione del fantasy Esplorando la mappa del fantasy 1 di Roberta SILVA Le ragioni di un successo: due teorie a confronto La nostra è un’epoca dominata dal fantasy. È sufficiente entrare in una libreria, in una videoteca o in un cinema per rendersi conto che questo genere si diffonde in ogni media. Anche se si avverte la sensazione che il fenomeno abbia superato i momenti quasi “fanatici”, coincisi con l’uscita dei film di Peter Jackson, dedicati alla trilogia di John Ronald Reuel Tolkien Il signore degli anelli, o i momenti di picco del “fenomeno Harry Potter”, tuttavia è innegabile che il fantasy rappresenti il genere che negli ultimi anni ha goduto di maggiore popolarità. Risulta quasi impossibile non porsi la domanda: quali sono le ragioni del successo del fantasy? Perché milioni di persone hanno riscoperto il fascino di questo genere, a metà tra avventura, fiaba ed allegoria? Risulta evidente che qualcosa di profondo in questo modo di narrare storie ha avvinto il loro immaginario, ma cosa? William Grandi nel suo Infanzia e mondi fantastici (2007) descrive le fortune del fantasy come un percorso caratterizzato da una linea sinusoidale. Il primo periodo di grande diffusione della letteratura fantasy fu la fine degli anni Trenta, segnati dall’uscita di opere come Lo Hobbit di Tolkien (1937) o La spada nella roccia di Terence Hanbury White (1938). La seconda fase di “esplosione” del fantasy si identificò invece con la seconda metà degli anni Cinquanta, segnata dall’uscita della trilogia de Il signore degli Anelli (1954), da quella de Le cronache di Narnia (1956) di Clive Staples Lewis e dai romanzi della saga arturiana di T.H. White come Re in eterno (1958). La terza fase di diffusione del fantasy è quella attuale, che ha avuto inizio nella metà degli anni Novanta, e finora si è caratterizzata come la “curva” più ampia del suo successo. (Grandi, 2007, 92-96) William Grandi sottolinea come, analizzando questa evoluzione, non può non colpire che i periodi in cui il fantasy ha riscosso grande successo sono coincisi con gravi crisi a livello mondiale: la fine degli anni Trenta con il fantasma della Seconda Guerra Mondiale che avanzava sull’Europa, la seconda metà degli anni Cinquanta con il periodo più doloroso della Guerra Fredda e, quanto alla nostra epoca, è evidente come il periodo di crisi aperto alla metà degli anni Novanta dai problemi sempre più pressanti causati dalla carenza di cibo nei paesi del Terzo Mondo, dalla conseguente ondata di immigrazione incontrollata, dalla squilibrio del nostro ecosistema e dalla crisi delle energie, si sono cronicizzati con l’esplosione del terrorismo e la successiva frattura tra mondo orientale e mondo occidentale. (Grandi, 2007, 116-118) William Grandi propone a conclusione di questa lettura propone quella che si potrebbe definire come “la teoria dell’assedio”, ovvero l’idea che il genere fantasy trovi maggior successo in quei periodi della storia dell’uomo in cui si ha la sensazione di essere “sotto tiro”. Dunque epoche di dolore e di lotta, il cui esito incerto ci fa sperare che, come accade spesso nei fantasy, la fazione che sentiamo “nostra” riesca in qualche modo a prevalere. (Grandi, 2007, 118-119) Secondo questa prospettiva il successo del fantasy risiede nel saper fornire l’immagine di un mondo, complesso ma coerente a se stesso, entro il quale esistono delle regole sicure, entro cui la virtù viene premiata, il coraggio trova la sua consacrazione, la bontà il suo trionfo. Un mondo insomma che, per quanto stravolto dal dolore, dall’ingiustizia, dalla paura, dalla violenza e dall’incertezza, alla fine di lunghe traversie trova un La dominazione del fantasy. Esplorando la mappa del fantasy, “Il Pepeverde – rivista di letture e letterature per ragazzi”, n. 37, luglio-settembre 2008, pp. 3-5. 1 2 proprio ordine. E la fiducia in questo “happy end”, comune a molti fantasy anche se non necessariamente de rigueur, costituisce un elemento fondamentale del suo fascino. Tuttavia Maria Nikolajeva sottolinea come, anche se questa sia una visione del fantasy particolarmente diffusa tra critici ed esperti, esiste anche un’altra corrente di pensiero che ritiene il genere particolarmente adatto per riflettere, attraverso complesse analogie e metafore, sul mondo odierno. (Nikolajeva, 2006, 58). Sono note, ad esempio, le similitudini che sono state lette, a volte anche andando ben oltre le intenzioni dello stesso autore, all’interno de Il signore degli anelli. Vi è chi, ad esempio, ha voluto vedere nella collocazione delle Terre di Mordor a est un analogia con i pericoli che in piena Guerra Fredda venivano collocati a Oriente. Altri vi hanno visto un paragone con le vicende che hanno sconvolto l’Europa durante la Seconda Guerra Mondiale. Altri ancora hanno vi hanno scorto una parabola ecologista centrato sull’opposizione tra popoli che sanno vivere in accordo con la natura, come gli elfi e gli hobbit, e coloro che invece la sfruttano e la devastano, come Saruman e i guerrieri Huruk-hai. (Carpenter, 1990, 344-346) Insomma secondo quest’ottica il fantasy non è solo un universo immaginario in cui richiudersi per non vedere quello che c’è attorno a noi, ma un modo per ragionare su questioni che interrogano fortemente la nostra coscienza e il nostro mondo, attraverso però una modalità diversa, più interpretativa e “analogica”. In questo senso il fantasy ha un valore fortemente ideologico, perché spinge i lettori, in particolare i giovani lettori, ad aderire a valori e ideali quali il coraggio, l’integrità, il senso di responsabilità, la giustizia, il rispetto di sé e degli altri e la lealtà. (Nikolajeva, 2006, 62) Alla ricerca di una terza via Si è dunque passati da una visione del fantasy come qualcosa di consolatorio e “conservatore”, che racchiude il suo fascino nella capacità di trasportarci in un “altrove” totalmente nostro, colorato esclusivamente dalla nostra fantasia, a una sua lettura quasi “rivoluzionaria”, che fa di esso un genere in grado scatenare in noi reazioni forti e compiere una vera e propria “educazione ideologica” attraverso i valori di cui è portatore. Se così non fosse non si spiegherebbero le forti reazioni della società civile nei confronti di molti romanzi fantasy. Ne è un esempio l’ampissimo dibattito suscitato nel 1976 negli Stati Uniti, dal romanzo di Marion Zimmer Bradley, intitolato La catena spezzata. Da una parte l’ala radicale del femminismo americano sosteneva che il romanzo fosse reazionario e rinnegasse le recenti conquiste delle donne all’interno della società civile; dall’altra l’autrice, e un movimento di opinione pubblica nato a suo sostegno, riteneva invece che esso, sotto il velo dell’analogia, proponesse un femminismo in grado di superare la guerra tra i sessi attraverso una riscoperta della dignità di entrambi i generi, come reale realizzazione delle “pari opportunità” tra uomo e donna. (Zimmer Bradley, 2003, 5) Ma a mio parere non è necessario vedere queste due interpretazioni del fantasy come opposte e inconciliabili l’una con l’altra, perché forse la spiegazione più logica e completa le ingloba entrambe. Credo che il vero segreto del fantasy risieda proprio nella sua capacità di trasportare il lettore in un mondo diverso, di sostituire la sua realtà con la nostra, riuscendo però allo stesso tempo a lasciarci, al momento di chiudere la copertina del libro, con un’idea, una suggestione, una sensazione forte da trasportare nella nostra realtà. Lo scopo del fantasy è dunque quello di farci riflettere, in modo inconsapevole e proprio per questo più profondo, sui temi del nostro tempo, al fine di costruire un universo valoriale di riferimento. E quindi la chiave del suo successo consiste proprio nel suo saperci dire qualcosa di noi facendoci allo stesso tempo immergere in mondo lontani. A mio parere il fatto che il fantasy ottenga maggiore popolarità nei momenti in cui predomina un clima di incertezza, acquista un senso molto preciso se pensiamo a quanto, in particolare nei momenti di grande 3 complessità, risulti più facile ragionare “per analogia”. Il ragionamento per analogia costituisce infatti una risorsa naturale dell’intelligenza umana proprio nei momenti di difficoltà, e cioè quando, abbandonando le solide sponde del conosciuto, ci avventuriamo verso realtà di cui non abbiamo esperienza e che ci spaventano. In questo caso riuscire a stabilire connessioni e similitudini, anche inconsce, attraverso quella che viene definita da Dedre Gentner come “teoria del mapping”, tra ciò che ci è noto e ciò che ci apprestiamo a conoscere, rappresenta una modalità conoscitiva allo stesso tempo efficace e rassicurante (Cacciari, 1991, 274) Non risulta quindi improbabile l’ipotesi che, proprio quando la realtà attorno a noi diventa più intricata e minacciosa, rivolgersi a un mondo forse altrettanto sinistro ma nel complesso più semplice e comprensibile come quello del fantasy, può risultare un modo spontaneo e disteso per entrare in contatto con tematiche e valori come il coraggio, la lealtà, la responsabilità e l’amicizia, ma più in generale per riflettere sulla natura del uomo, sulle sue motivazioni e sulle relazioni che intesse con gli altri esseri umani e con la società in cui è inserito. Dunque in questa ottica il fantasy sfrutta la sua grande capacità di astrarre il lettore, di portarlo in un’altra dimensione, per liberarlo dai lacci che lo legano alla realtà quotidiana. Esso diventa quasi un microcosmo, solo apparentemente isolato dall’universo che lo circonda, in cui mettere alla prova la nostra visione del mondo per poi tornare alla vita di tutti i giorni arricchiti dalle scoperte che siamo stati in grado di fare grazie al confortevole isolamento che esso è stato in grado di regalarci. E proprio per questa ragione credo sia importante, per chiunque si interessi di letteratura ma particolarmente per coloro che si occupano di letteratura per l’infanzia, negli ultimi anni così chiaramente influenzata dal fantasy, iniziare un percorso di analisi, approfondito ed equanime, volto a esaminare con attenzione questo genere, così da poterne portare alla luce caratteristiche e peculiarità, e soprattutto così da potersi confrontare con il mare magnum della sua produzione alla ricerca di ciò che di meglio essa ha da offrirci. Bibliografia Baker, D. F., What We Found on Our Journey through Fantasy Land, “Children’s Literature in Education”, 37, 237-251, 2006. Carpenter, H., Tolkien, C., La realtà in trasparenza, Rusconi, Milano 1990. Cacciari, C., Teorie della metafora: l'acquisizione, la comprensione e l'uso del linguaggio figurato, Cortina, Milano 1991. Gaiman, N., Stardust, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2005. Gaiman, N., Il cimitero senza lapidi e altre storie, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2007 (A). Gaiman, N., (intervista), Neil Gaiman: il signore dei sogni, “D” di “Repubblica”, 15 settembre 2007 (B). Grandi, W., Infanzia e mondi fantastici, Bonomia University Press, Bologna 2007. Lewis, C.S., Le cronache di Narnia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2005. Nikolajeva, M., Fantasy in Zipes J. (a cura di), The Oxford encyclopedia of children’s literature, v. 2, Oxford University Press, Oxford 2006, pp.58-62. Nikolajeva, M., Fantasy Literature and Fairy Tales, in AA,VV., The Oxford Companion to Fairy Tales, Oxford University Press, 2005. Tolkien, J.R.R., Lo Hobbit (O la conquista del tesoro), Rusconi, Milano 1991. Tolkien, J.R.R., L’albero e la foglia, Rusconi, Milano 1992. Tolkien, J.R.R., Il signore degli anelli, Bompiani, Milano 2000. White, T.H., La spada nella roccia, Mursia, Milano 1973. White, T.H., Re in eterno, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1989. Zimmer Bradley, M., La catena spezzata, TEA, Milano 2003. 4 Oltre il recinto sacro Nel mondo del fantasy 2 di Roberta SILVA Nel bosco del fantasy Come ha acutamente sottolineato Ermanno Detti nel suo articolo “Ma sul fantasy bisognerà fare giustizia”, pubblicato nel numero 37 di questa rivista, il fantasy è oggi un fenomeno invasivo, un fenomeno che ha segnato una generazione di lettori in modo chiaramente ambivalente. E tuttavia spesso appare ancora come una sorta di “recinto sacro” entro il quale o si entra con adesione totale e, prevalentemente, acritica, o si rimane tagliati fuori. Appare quindi più che mai necessario seguire il consiglio dello studioso e proseguire la ricerca di una “chiave nuova per interpretare” il fantasy, nel tentativo di soppesarne potenzialità e limiti, luci ed ombre. A mio parere quest’analisi non può che partire da una mappa del genere, che ci aiuti a studiarne i confini. Tuttavia chiunque si sia avvicinato al fantasy ha ben presto compreso come esso sia caratterizzato da una forte molteplicità di strutture, cosa che ne rende difficile una definizione chiara e univoca. Se scorriamo la Oxford Enciclopedia of Children’s Literature, curata da Jack Zipes, fino alla voce “Fantasy”, ci accorgiamo in primo luogo che Maria Nikolajeva, a cui è stato affidato il difficile compito di redigere questo lemma, sottolinea come il termine abbia in sé una complessità e un’ambiguità non completamente definibile. Una divisione abbastanza diffusa, anche se in un certo senso generica, divide il genere tra il fantasy “classico” (come ad esempio le opere di Tolkien o di Lewis) e il fantasy in cui predomina uno stile più “epico”, legato alle saghe nordiche, noto come heroic fantasy o anche “sword-and-sorcery”, il cui massimo rappresentante è Robert E. Howard, noto per la serie dedicata a Conan il Barbaro. Questa definizione però è solo apparentemente chiara e semplice poiché non solo non è universalmente accettata, ma anche perché, alcune comunità di appassionati hanno contestato l’identità tra heroic fantasy e “sword-and-sorcery”, rivendicando sottili ma a loro parere rimarchevoli differenze tra i due sottogeneri. Inoltre proprio la sua complessità, e forse anche la sua attuale fioritura, ha inevitabilmente portato il fantasy ad articolarsi in una pluralità piuttosto ampia di identità: possiamo trovare il fantasy gotico o dark (come Twilight di Stephenie Meyer), lo science fantasy (come I predatori blu di Eoin Colfer), il fantasy contemporaneo (come Le fate sotto la città di Holly Black) oppure quello storico (come Il libro del drago di Matthew Skelton), e ancora molte altre espressioni in cui il genere si è ramificato. Questa molteplicità di prospettive, a cui si somma l’odierna tendenza alla contaminazione dei generi letterari, rende difficile tracciare una “carta d’identità” del fantasy che sia esaustiva e completa, tuttavia ci sono alcune caratteristiche che ritornano frequentemente e che, in modo più o meno canonico, si ricollegano al genere. Le carta d’identità del fantasy Qualunque discorso sul fantasy non può che iniziare dai debiti che tale genere ha con la fiaba e con il mito. Riguardo a ciò la testimonianza senza dubbio più autorevole è quella di Tolkien; nel suo saggio On Fairy Stories, pubblicato all’interno del volume Tree end Leaf (L’albero e la foglia) del 1964, l’autore dichiara il debito esplicito del fantasy nei confronti della fiaba, poiché entrambi si collocano in un “secondo mondo” (Secondary World) caratterizzato dalla magia e dal fantastico, diverso da quello della nostra quotidianità 2 Oltre il recinto sacro. Nel mondo del fantasy, “Il Pepeverde – rivista di letture e letterature per ragazzi”, n. 38, ottobredicembre pp. 5-8. 5 (Primary World). Secondo Tolkien la differenza fondamentale tra fantasy e fiaba risiede nel fatto che mentre nel primo rimane sempre un rapporto, anche solo allegorico, tra Primary e Secondary World, nella fiaba l’immersione nel Secondary World è totale. Inoltre lo scrittore sostiene che l’immersione nel Secondary World si possa “attivare” solo grazie a un processo simile a quello che si instaura nei confronti della religione o, più anticamente, del mito. Egli infatti parla per il fantasy di un “credenza secondaria” (Secondary Belief) paragonata alla “credenza primaria” (Primary Bilief) che si innesca nei confronti delle convinzioni religiose, attraverso quella che definisce la “sospensione dell’incredulità” (Suspension of Disbilief) [Tolkien, 1992]. Detto questo bisogna sottolineare come nel fantasy esistano degli elementi e delle caratteristiche ricorrenti, che costituiscono delle costanti. Una di questa è senza dubbio la magia: William Grandi ha sottolineato come la magia nei libri fantasy assuma caratteristiche peculiari in virtù del suo saper essere non solo maligna e inquietante, come avviene ad esempio nell’horror, ma anche “positiva, salvifica e divertente” [Grandi, 2007, p. 87]. A questo proposito Jean Rogers osserva come alcuni autori, tra cui Terry Pratchett e J. K. Rowling, hanno saputo dosare magia ed umorismo, sfatando il mito secondo cui il fantasy è un genere cupo e lugubre [Rogers, 2000]. Inoltre appare interessante osservare come in molti romanzi la magia, in particolare la magia “bianca”, sia rappresentata come qualcosa di strettamente connaturato ai protagonisti, di intimamente connessa con il loro essere: Harry Potter trova la sua vera dimensione solo quando scopre la sua “essenza” magica, Gandalf fa fluire dentro di sé la magia della Natura, mentre i protagonisti della saga di Darkover usano il laran, i poteri paranormali in possesso dei Comyn, con la naturalezza con cui si usa un dono naturale. Un caratteristica del fantasy che spesso si lega alla magia è l’utilizzo del meraviglioso, dell’inusuale, utilizzato quasi come una sorta di cartina di tornasole, come un segnale che ci indica il nostro ingresso in un mondo diverso, quello appunto del fantastico. Il ricorso al meraviglioso viene spesso utilizzato anche per “catturare” il lettore, facendo leva sul fascino strisciante che esso esercita su di noi. A questo proposto sempre Jean Rogers osserva come molto dell’umorismo presente in un personaggio come Arthur Weasley, il padre di Ron nella serie di Harry Potter, è dovuto al fatto che tutto il richiamo che “l’uomo comune” sente per il meraviglioso egli lo avverte per quelle che vede come le “magie” del mondo babbano, come le prese elettriche o il telefono. Un'altra caratteristica del fantasy è senza dubbio il ricorso al concetto di Altrove, che William Grandi, richiamando la teorizzazione di Antonio Faeti, identifica come “uno spazio e un tempo fortemente differenziati dal nostro presente concreto” [Grandi, 2007, p. 85]. In realtà tale elemento ritorna sovente nei romanzi d’evasione, partendo dal racconti d’avventura fino ad arrivare a quelli “rosa”, tuttavia nel fantasy la dimensione di una realtà “altra”, lontana ed esotica rispetto alla nostra, ritorna in modo abbastanza costante e peculiare. Un Altrove spesso utilizzato nei romanzi fantasy è il passato. Anche se oggi, come sottolineato parlando delle diverse “articolazioni” del genere, fioriscono fantasy con ambientazione contemporanea se non addirittura metropolitana (come quelli di Stephenie Meyer o di Holly Black) il fantasy “classico” si è sempre nutrito di passato, in particolare di un passato colorato di Medioevo, caratterizzato da atmosfere oscure, da scontri epici e da grandi passioni [Grandi, 2007, p. 84]. Scott Bakker associa questa caratteristica del fantasy con il rifiuto di un mondo in cui la scienza rischia di soffocare l’uomo, facendo emergere la nostalgia per un “illusorio stato di amore, bellezza e bontà”, che diventa un altro leitmotiv di una parte del genere, associandosi spesso alle atmosfere crepuscolari e al rimpianto per un innocenza perduta [Bakker, 2000]. 6 Un elemento che spesso si lega alla nostalgia e al passato è il ruolo rivestito dalla natura: sovente al rimpianto per un epoca in cui “amore, bellezza e bontà” erano ancora possibili, si associa quello per un mondo in cui la potenza e la sfavillante bellezza del creato costituivano la cornice dell’agire umano. Appare interessante osservare la possanza e la maestà con cui, in molti fantasy, viene rappresentato l’elemento naturale, come nella descrizione della distruzione della Torre di Isengard da parte degli Ent, i pastori d’alberi, ne Il Signore degli anelli o come quando una giovane Comyn scatena la violenza della bufera contro gli assedianti ne La signora delle tempeste di Marion Zimmer Bradley. Quella che emerge è dunque una visione della natura intimamente compenetrata delle forze del creato, culla di una dimensione intensa e selvaggia entro cui si possa ancora trovare spazio un sentire umano puro, volitivo e intrepido. Gli stilemi A tali caratteristiche si associano spesso degli stilemi, o meglio dei topoi ricorrenti che, pur non essendo esattamente delle peculiarità fondanti, ritornano con una certa frequenza nel genere. Uno di essi è senza dubbio quello legato alla morte e immortalità. Se prediamo ad esempio due tra i romanzi fantasy più amati dal pubblico, le già citate saghe di Harry Potter e de Il Signore degli Anelli, ci si può facilmente rendere conto di quanto tali temi siano centrali. L’intera epopea di Tolkien è pervasa dallo spettro della morte, sia morale che fisica, ma anche dal suo legame con l’immortalità, simboleggiato dall’amore tra Aragon, re combattente e mortale, e Arwen, figlia immortale del re degli elfi. Per quanto riguarda i libri della Rowling in essi la morte è sempre presente, a partire dalla condizione di orfano di Harry fino ad arrivare alla scomparsa di Silente, tuttavia è l’ultimo episodio della saga quello che, fin dal titolo, si dimostra centrato sul tema della morte e dell’immortalità. In Harry Potter e i doni della morte infatti Harry si scoprirà destinato a sacrificare la sua vita in olocausto per la distruzione di Lord Voldemort, ma scoprirà anche che “vi sono cose assai peggiori nel mondo dei vivi che morire” [Rowling, 2007, p. 662] e che l’immortalità del cuore e dell’anima può sconfiggere la mortalità dei corpi. Un altro stilema che ricorre frequentemente nei romanzi fantasy è quello della ricerca, che, riallacciandosi ai cicli bretoni, riprende le lunghe traversie dei cavalieri di Artù all’ “inseguimento” del Graal. Anche in questo caso appare opportuno citare Harry Potter e i doni della morte, poiché l’intero romanzo è centrato su una ricerca che, come nella migliore tradizione del genere, riguarda degli oggetti magici, ed è caratterizzato da lunghe peregrinazioni. William Grandi riguardo al tema della ricerca ha acutamente osservato come Il Signore degli Anelli sia in realtà la storia di una ricerca “al contrario”, poiché in esso il lungo viaggio non porta alla scoperta dell’oggetto magico bensì alla sua distruzione [Grandi, 2007, p. 106]. Un topos che si rivela basilare, e che appare strettamente legato con quelli appena illustrati, è la lotta tra bene e male. Anche se tale elemento non rappresenta un must e oggi molta produzione sceglie di discostarsi da una dicotomia manichea tra questi due poli, tuttavia nella maggior parte dei fantasy si ritrova questa contrapposizione che generalmente termina con la vittoria del bene, impersonato dall’eroe. La presenza dell’eroe, infatti, costituisce un altro elemento ricorrente: l’eroe, e in particolare l’eroe puro, che passa in mezzo al dolore, all’angoscia e anche alla disperazione senza macchiare con l’odio o l’insensibilità la sua limpidezza, costituisce una figura centrale in molti fantasy. Sharon Black, basandosi sulle delle teorie di Joseph Campbell e Bruno Bettlheim, definisce l’eroe del fantasy come il simbolo della speranza, insita in ognuno di noi, che esista, ancora qualcosa di incontaminato, di buono e di luminoso per cui combattere, e qualcuno che sappia assumere su di sé la responsabilità di farlo [Black, 2003]. William Grandi identifica nella responsabilità un topos del fantasy: egli tratteggia questa tematica come strettamente connessa al concetto del libero arbitrio, così come appariva nella visione di Tolkien che fece di esso un punto nodale della sua poetica, strettamente unito al concetto di tradizione e di autorità. 7 Tuttavia Grandi ricorda anche come esistano scrittori di fantasy, tra cui Philip Pullman, che esprimano il concetto di responsabilità in modo nettamente diverso, non più come rispetto della tradizione ma piuttosto come presa di posizione individuale. A questo proposito Kristine Moruzi sottolinea come i suoi protagonisti di Philip Pullman scoprano a proprie spese il dolore e il sacrificio insiti nella necessità di fare scelte indipendenti, liberandosi dalla dipendenza e dal condizionamento; essi rappresentano il valore della disubbidienza che sa assumere su di sé la responsabilità delle proprie scelte e sa opporsi a ciò in cui non crede [Moruzi, 2005]. Similmente in Harry Potter e l’ordine della Fenice Harry si ribella alle ipocrisie del Ministero della Magia e infrange le assurde regole della Umbridge, disposto a sopportare le sadiche punizioni della donna piuttosto che a rinnegare ciò che sa essere la verità. Esplorando la mappa del fantasy Quella qui descritta non vuole certo essere una fotografia dettagliata dei volti in cui il fantasy si offre; è forse più simile a una di quelle mappe, sfumate e intuitive, che a volte si trovano in appendice ai romanzi del genere. Si tratta insomma di una struttura indicativa che vorrebbe sostenere il lettore durante il viaggio nel complesso labirinto del fantasy, fornendogli un piccolo appiglio su cui far leva nella scoperta di un mondo così vasto e, a volte, così magmatico. Bibliografia Bakker, R. S., Why Fantasy and Why Now?, www.sffworld.com, articolo datato 14 giugno 2000 (ultimo accesso al sito 15 settembre 2008). Black H., Le fate sotto la città, Arnoldo Mondadori, Milano 2006. Black, S., The magic of Harry Potter: symbols and heroes of fantasy, “Children’s Literature in Education”, vol. 34, n. 3, settembre 2003. Colfer, E., I predatori blu, Arnoldo Mondadori, Milano 2004. Detti, E., “Ma sul fantasy bisognerà fare giustizia”, Pepe Verde, 37, 2008, pp. 5-6. Grandi, W., Infanzia e mondi fantastici, Bonomia University Press, Bologna 2007. Meyer, S., Twilight, Fazi Editore, Roma 2007. Moruzi, K., Missed Opportunities: The Subordination of Children in Philip Pullman’s His Dark Materials, “Children’s Literature in Education”, vol. 36, n. 1, marzo 2005. Nikolajeva, M., Fantasy in Zipes J. (a cura di), The Oxford encyclopedia of children’s literature, v. 2, Oxford University Press, Oxford 2006, pp.58-62. Nikolajeva, M., Fantasy Literature and Fairy Tales, in AA,VV., The Oxford Companion to Fairy Tales, Oxford University Press, 2005. Rogers, J., Any fantasy you like, so long as it's medieval, www.sffworld.com, articolo datato 23 marzo 2000 (ultimo accesso al sito 15 settembre 2008). Rowling, J.K., Harry Potter e l’ordine della fenice, Salani, Milano 2003. Rowling, J.K., Harry Potter e i doni della morte, Salani, Milano 2007. Skelton, M., Il libro del drago, Arnoldo Mondadori, Milano 2007. Tolkien, J.R.R., L’albero e la foglia, Rusconi, Milano 1992. Tolkien, J.R.R., Il Signore degli anelli, Bompiani, Milano 2000. Zimmer Bradley, M., La signora delle tempeste, TeaDue, Milano, 1989. “Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi”3 Fantasy e letteratura di consumo 4 di Roberta SILVA Dopo aver parlato delle ragioni del successo del fantasy e dei suoi risvolti interpretativi, delle sue caratteristiche e dei suoi stilemi ricorrenti appare ora interessante affrontare un problema cruciale: come si riconosce un fantasy “di qualità”? E soprattutto, esiste un fantasy “di qualità”? Frase attribuita ad Arnaldo di Cîteaux, un monaco cistercense, in occasione del Massacro di Béziers (22 luglio 1209), e riportata da un altro cistercense, Cesario di Heisterbach, nel suo Dialogus miraculorum (1230). 4 Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi. Fantasy e letteratura di consumo, “Il Pepeverde – rivista di letture e letterature per ragazzi”, n. 41, luglio-settembre, p. 39-43. 3 8 Il fantasy è stato considerato per anni quasi l’epitome della “letteratura di genere” e più ancora della “letteratura di consumo”. Janice M. Bogstad, parlando del fenomeno del Mass Market Fiction, sottolinea come il fantasy, insieme alla letteratura “gialla”, sia stato un vero e proprio “precursore” di quei fenomeni di diffusione capillare che hanno caratterizzato la letteratura di consumo (Bogstand, 2006, p. 38). Questo ha causato non pochi equivoci e fraintendimenti, che hanno portato spesso alla “ghettizzazione” in blocco di tutta la letteratura di genere. Come prima cosa appare opportuno tracciare brevemente la differenza tra letteratura di consumo e letteratura di genere, concetti spesso usati come equivalenti ma che equivalenti non sono. Con il termine “letteratura di genere” si intende solitamente un romanzo che aderisce a un preciso filone narrativo sposandone le convenzioni, cioè "quelle specifiche ambientazioni, quei personaggi, quegli avvenimenti e quei valori che caratterizzano i singoli generi e i loro sottogeneri" (McKee, 1997, p. 127). Ovviamente tali convenzioni non rappresentano dei diktat inderogabili, ma si definiscono come tendenze implicite, mutevoli, che confluiscono le une nelle altre in modo a volte inavvertito. Anzi, spesso proprio gli scrittori di valore sono anche coloro che maggiormente sono in grado di “giocare” con le convenzioni e con i modelli “tradizionali”, lasciandone la pedissequa esecuzione ai colleghi meno dotati. Con il termine “letteratura di consumo” si intende invece un prodotto pensato esplicitamente per la distribuzione al grande pubblico, basato quindi su un’analisi “preventiva” di quelli che sono i gusti dei probabili fruitori, a cui segue solitamente la stesura di un’opera che sappia rispondere alle esigenze messe in luce da tale indagine. Un romanzo “di consumo” solitamente si basa sull’utilizzo di cliché e stereotipie facilmente riconoscibili anche dal lettore meno esperto, sulla definizione di personaggi semplici e bidimensionali, su trame prevedibili e su una prosa semplice, banale e banalizzante (Bogstand, 2006, p. 38). Questa realtà ha portato spesso a un falso sillogismo. Infatti, poiché una certa parte della letteratura di consumo era rappresentata dalla letteratura di genere (tra cui il fantasy) e poiché tale letteratura di consumo era caratterizzata da una qualità scarsa, ipso facto tutta la letteratura fantasy (così come, in linea più ampia, tutta le letteratura di genere) doveva essere classificata come un prodotto di scarsa qualità. Il collegamento che spesso è stato fatto è infatti il seguente: fantasy uguale letteratura di genere; letteratura di genere uguale letteratura di consumo; letteratura di consumo uguale letteratura di bassa qualità; quindi fantasy uguale letteratura di bassa qualità. Ovviamente questa visione è parziale e superficiale, così come lo sarebbe mettere sullo stesso piano Il nome della rosa di Umberto Eco con i romanzi “commerciali” di Candance Robb 5 per il semplice motivo che entrambi sono basati sulla detection ed ambientati in epoca medioevale. Un’opera di genere ha senza dubbio una buona probabilità, essendo legata alle leggi di mercato, di diventare un’opera di consumo, ma tale equivalenza appare ben lontana dall’essere una tautologia. Giuseppe Petronio ha sottolineato come spesso vi sia della superficialità, per non dire dello snobismo o dei preconcetti, nell’analizzare la letteratura di genere. Egli ha infatti sottolineato come alcuni critici abbiano la tendenza a “etichettare” in partenza un romanzo di genere come “letteratura di consumo”, assumendo che, per il semplice fatto di appartenere a un filone narrativo, esso non possa essere dotato delle caratteristiche e delle qualità di un opera di “alta letteratura” (Petronio, 1979, pp.IX-X). È importante sottolineare quindi come un’opera di genere non sia necessariamente assimilabile a un’opera di consumo, ma possa identificarsi come un prodotto di consumo o un prodotto di qualità per ragioni che sono indipendenti dal suo appartenere al filone fantasy o a quello noir. A definirne la bontà letteraria ed Candance Robb ha scritto circa quindici romanzi ambientati nella York della seconda metà del 1300, che hanno come protagonisti l'arciere gallese Owen Archer, una sorta di investigatore al servizo dell'arcivescovo di York John Thoresby. 5 9 artistica sono ben altre caratteristiche, evidenziate dall’analisi narrativa: ci si riferisce ai personaggi, alle tematiche e allo stile. La qualità della scrittura rappresenta un elemento essenziale per valutare il valore di un romanzo: la cura dei dettagli, l’efficacia delle descrizioni, la vividezza delle rappresentazioni, la profondità dei monologhi, la spontaneità dei dialoghi e la raffinatezza nell’uso delle tecniche narrative sono elementi imprescindibili di una letteratura di qualità. (Blezza Picherle, 2004, pp. 231-276; Blezza Picherle, 2007, pp. 191-221). Ed è innegabile che i migliori fantasy possano vantare uno stile in grado di testimoniare queste caratteristiche. La scelta di affrontare “grandi tematiche” esistenziali (quali la ricerca dell’identità, la diversità, il conflitto o il ruolo delle relazioni interpersonali) in modo non semplicistico, facendone emergere tutta la complessità e l’ambiguità, rappresenta la cifra distintiva di un’opera che si distacca dai fini consolatori della letteratura di consumo per aprire, di fronte agli occhi dei lettori, gli orizzonti ampi di un mondo articolato e intricato (Blezza Picherle, 2004, pp. 159-173). E anche in questo caso è possibile rilevare come i romanzi fantasy di maggior valore siano in grado, spesso attraverso il velo dell’allegoria, di fare riflettere il lettore riguardo a cruciali nodi tematici. Similmente è la complessità dei personaggi che, allontanandosi dalla rigida griglia bidimensionale di tanta letteratura “usa e getta”, rappresenta tutta la molteplicità, la fragilità, la contraddittorietà e l’unicità dell’animo umano, facendo di un romanzo una “lente” attraverso cui scrutare e sviscerare il mondo che ci circonda (Blezza Picherle, 2004, pp. 173-185). E se pure è vero che alcuni fantasy, tra cui non infrequentemente si possono annoverare quelli “di tendenza”, presentano una rassegna di personaggi piuttosto inconsistenti, è altresì vero che i romanzi fantasy più intensi e raffinati trattegiano non di rado personaggi densi e profondi. La qualità nei nodi tematici del fantastico Dunque, se gli elementi indicati conferiscono qualità al romanzo, è tuttavia innegabile che esistano delle caratteristiche strettamente legate al genere fantasy che contribuiscono a definirne il carattere e l’impronta. Remo Ceserani, analizzando l’essenza del fantastico, parte dalle considerazioni di illustri studiosi quali Todorov, James, Castex e Caillois. Il filosofo e saggista Tzvetan Todorov teorizza che il genere fantasy abbia uno stretto collegamento con il gothic novel; il medioevalista e scrittore Montague Rhodes James individua invece la sua essenza nell’introduzione di elementi inquietanti in scenari apparentemente placidi; similmente il critico letterario Pierre-Georges Castex vede il cuore del fantasy nell’emergere di quei nodi nodi minacciosi e angosciosi che stringono l’animo umano; mentre il sociologo e letterato Roger Caillois considera il fantastico come una sorta di universo “altro”, perfettamente coerente, in cui si inserisce un elemento perturbante, che dà vita a una dinamica di un continuo dialogo tra piano manifesto e piano irrazionale, motivo per cui il fantasy contiene dei messaggi non completamente decodificabili sul piano razionale (Ceserani, 1996, pp. 49-54). Queste interpretazioni aiutano Ceserani a delineare gli elementi che definiscono un fantasy di qualità, che per lo studioso sono legati sia agli aspetti contenutistici che stilistici. Da un punto di vista stilistico infatti egli individua alcuni stilemi, come l’uso della narrazione in prima persona e delle metafore; le tecniche del capovolgimento e della sorpresa e la presenza di momenti di passaggio e di oggetti mediatori. Da un punto di vista contenutistico, invece, nei fantasy di alta qualità emerge la capacità di trattare tematiche tipiche del genere, attraverso una modalità nuova, profonda e allo stesso tempo allusiva (Ceserani, 1996, pp. 75-97). Un ulteriore elemento che contribuisce a definire la qualità di un romanzo fantastico risiede dunque nello spessore con cui lo scrittore affronta nodi tematici peculiari e distintivi del genere. 10 Il primo di essi riguarda la notte e la morte. Ceserani afferma che “la contrapposizione tra luce e buio, solarità e oscurità notturna è molto spesso utilizzata nel fantastico” e che il tema della morte assume in questo genere nuovi aspetti poiché “si interiorizza [e] si collega con nuove esplorazioni filosofiche” (Ceserani, 1996, pp. 85, 87). Nella storia della letteratura il tema della notte è spesso associato all’emergere delle paure e al disordine esistenziale dell’individuo, ma anche alla dolcezza delle tenebre, al fascino della morte o all’evocazione di un amore perduto. All’interno del genere fantasy, tuttavia, oltre a questi elementi la tematica della notte e dell’oscurità viene spesso associata alla lotta tra bene e male, che in alcuni romanzi fantastici si esprime non solo come scontro tra individui diversi, ma anche come conflitto tra anime diverse all’interno dello stesso individuo (Ceserani, 1996, pp. 89). Questa prospettiva consente al lettore di sviscerare un concetto per molti versi tradizionale attraverso un nuovo punto di vista, incoraggiandone una visione singolare e inconsueta, e promuovendo una personale riflessione riguardo a questo argomento. Nel migliore fantasy la morte è associata all’immortalità, in una prospettiva priva di morbosità tanatocentrica. Infatti non è infrequente che un personaggio accetti la morte come un sacrificio volontario per la difesa di valori eterni, diventando così a sua volta immortale nel ricordo di coloro che combattono per lo stesso ideale. Un esempio di ciò si ha ne Il Signore degli Anelli, quando Gandalf nelle Miniere di Moria si impegna in un combattimento, che saprà essere mortale, con un Balrog, un antico demone, per consentire al resto della compagnia di proseguire e portare a termine la sua missione (Tolkien, 2000, p. 411-413). Simbolicamente il suo sacrificio non sarà inutile, non solo perché la compagnia porterà avanti gli ideali per cui egli si è sacrificato, celebrandone in ricordo, ma anche perché Gandalf verrà strappato alla morte dalla magia che serve e verrà restituito alla vita, dopo un percorso durante il quale cambierà la sua visione della vita e il suo status (Tolkien, 2000, p. 603). L’immortalità è dunque, nel miglior fantasy, metafora dell’adesione a quei valori profondi ed eterni che rendono la vita degna di essere vissuta, e simbolo del ricordo che le “anime splendenti” lasciano in coloro che restano. Riguardo al secondo nodo tematico Ceserani osserva che l’inconoscibile spesso viene introdotto da una figura “inaspettata” e “”straniera”, poiché essa rappresenta un elemento importante dell’ “immaginario culturale […] e dei testi letterari, artistici o cinematografici […] fortemente implicato nei processi di costruzione dell’identità, [destinato a suscitare] reazioni di profondo turbamento psicologico” (Ceserani, 1996, pp. 91). Non di rado lo straniero è anche un essere magico, o comunque dotato di poteri magici, poiché nulla come la magia e il meraviglioso marcano la differenza tra mondi diversi e creano un effetto di straniamento (Grandi, 1997, p. 81). Il nodo tematico dell’inconoscibile è dunque legato strettamente alla riflessione del soggetto sulle tematiche che riguardano il confronto con l’altro e i migliori fantasy incoraggiano il lettore a meditare su questo. Il terzo nodo narrativo del fantasy è legato al ruolo del soggetto quale motore dell’azione, evidenziando come il suo agire condiziona il mondo che lo circonda in modo peculiare. Nei romanzi fantasy il protagonista rappresenta spesso una sorta di “catalizzatore”, un soggetto in grado di scatenare gli eventi attorno a lui, portandolo inevitabilmente a scontrarsi con la responsabilità delle sue azioni. Secondo Ceserani tale tema nei fantasy di qualità si fa testimone del desiderio di autoaffermazione dell’individuo, del suo percorso di ricerca verso la propria identità e del suo bisogno di conoscenza, che lo spinge ad aprirsi al mondo, ad agire, e quindi a mettersi in gioco (Ceserani, 1996, pp. 89). Anche William Grandi evidenzia la presenza di questo nodo narrativo all’interno del fantasy, analizzando il ruolo della responsabilità, ma anche la tentazione6, quali strumenti narrativi in grado di sondare la psiche dei personaggi (Grandi, 2007, p. 108), 6 Con il termine tentazione William Grandi intende il desiderio del protagonista di fuggire dalle responsabilità che spesso lo inchiodano a un ruolo scomodo, quando non pericoloso. La tentazione di sfuggire al proprio destino, di adattarsi al 11 Dunque un fantasy che sappia confrontarsi con tematiche quali la responsabilità legata all’agire e l’ineluttabilità della oneri che la vita porta con sé, non può che delinearsi come un prodotto letterario di alta qualità. Tra fantasy di qualità ed epigoni È innegabile che oggi individuare prodotti fantasy di qualità è più difficile che nel passato, e questo per due ordini di motivi, entrambi legati alla grande fortuna che il genere sta attraversando: l’iperproduzione e gli epigoni. Riguardo all’iperproduzione, per rendersi conto della dimensione di tale fenomeno basta osservare che nel 2007 il numero delle collane che fanno riferimento all’editoria per ragazzi ha raggiunto quota 505. Critici e studiosi di letteratura per ragazzi hanno ormai da tempo osservato come negli ultimi anni in Italia si assiste a una vera e propria “sovrabbondanza” di prodotti letterari; tale iperproduzione “a getto continuo produce in prima istanza una appiattimento e un abbassamento della qualità testuale e iconica” causando “una stagnazione creativa” (Blezza Picherle, 2007, pp. 297). Inoltre, sottolinea la studiosa, questo rende “sempre più difficile il riconoscimento dei libri belli e originali” sia a causa dell’impossibilità, anche per gli esperti del settore più volenterosi, di analizzare nel dettaglio tutte le novità, sia a causa del senso di “disorientamento” che tale situazione porta con sé (Blezza Picherle, 2007, pp. 298). Il fantasy, proprio grazie al momento di grande popolarità che ha vissuto negli ultimi anni, è il genere che maggiormente ha “sofferto” di tale iperproduzione, dando vita a una serie particolarmente numerosa di scrittori che si sono “gettati” nel fantastico. Il numero considerevole di questi “epigoni” rende necessaria una loro analisi, al fine di evidenziare come essi per lo più appartengano a due diverse “categorie” di scrittori. Si potrebbe infatti parlare di epigoni “camaleonti” e di epigoni “appassionati”. Gli epigoni camaleonti sono quegli autori che, dotati di buone capacità di scrittura, oltre che di “fiuto” editoriale e di una certa dose di “mestiere”, hanno saputo comprendere le tendenze del mercato, adattandovisi con sagacia, ma senza reale dimestichezza con il genere. Si tratta di professionisti in grado di adattarsi alle tendenze e alle “mode”, eclettici ma nel complesso poco efficaci. Gli epigoni appassionati, invece, costituiscono un fenomeno tendenzialmente limitato ai generi “di culto”, capaci di suscitare una “fruizione entusiasta”. Sovente tali scrittori si pongono come imitatori, non di rado “sinceri”, di un autore “classico”(per quanto riguarda il fantasy ad esempio J.R.R. Tolkien o C.S. Lewis), e più o meno consapevolmente scrivono storie che ricalcano l’opera dei maestri a cui si ispirano. Pur estremamente diversi nei fini e nelle intenzioni, entrambi questi “epigoni” finiscono per produrre opere che possiedono alcune caratteristiche comuni. Probabilmente la ragione di tutto ciò risiede nel fatto che sia gli epigoni camaleonti che gli epigoni appassionati non possiedono una visione personale del fantasy, delle sue dinamiche e dei suoi leitmotiv, i primi a causa della scarsa dimestichezza con il genere e i secondi per assenza di una visione critica matura. La prima caratteristica, abbastanza evidente, che si osserva negli epigoni del fantasy è la loro tendenza a produrre opere che assomigliano a vere e proprie “enciclopedie”, nelle quali abbondano i cliché del genere, come i guerrieri demoniaci o le Torri magiche (presenti nell’opera di J.R.R. Tolkien), l’uso di spade portentose (come nel caso di molti autori tra cui Robert E. Howard ma anche T.H. White o Jack Whyte), la presenza di talismani incantati (come nel ciclo di Shannara di Terry Brooks o nel ciclo di Darkover di Marion Zimmer Bradley). ruolo si semplice spettatore, di cercare il proprio piccolo benessere senza curarsi del mondo che gli gira attorno, di eludere insomma ai propri doveri (Grandi, 2007, p. 108-110). 12 Un secondo elemento che accomuna molti epigoni del fantasy è rappresentato dal fatto che spesso essi hanno la tendenza a proporre esempi piuttosto smaccati di “buoni sentimenti”, se non addirittura di pregiudizi ideologici travestiti da “principi etici”. Proprio perché i romanzi di questi autori non nascono da una rielaborazione personale del genere, sovente anche i valori che esprimono non sono intensamente sentiti, e la loro rappresentazione è tanto bidimensionale quanto scontata. Questo rischio, che ovviamente accomuna molta letteratura di bassa qualità, è però più alto per il fantasy che per altri generi. Questo accade perché molti autori “classici”, tra cui basti ricordare il già citato Tolkien, infusero nei loro romanzi stille dei valori in cui credevano, ma quando epigoni meno dotati tentano di imitarne lo stile, inevitabilmente scivolano dall’appassionata e intima testimonianza di un ideale a uno stucchevole e sterile messaggio pedantemente ideologico. Se il fantasy di alta qualità è un’opera letteraria vera e propria, in quanto tale è in grado di incoraggiare la riflessione personale dei lettori, facendo loro percorrere anche terreni inesplorati e inaspettati, le espressioni meno nobili del genere tentano invece di veicolare una morale solitamente piuttosto statica e priva di profondità, che non incoraggia alcun approfondimento personale. Il terzo elemento che contraddistingue la produzione degli epigoni è la mancanza di una coerenza di fondo, cioè l’incapacità di creare universi congruenti in se stessi e perfettamente accessoriati. Ovviamente costruire un mondo coerente non significa solo pensare agli aspetti pratici e concreti che compongono quel mondo, ma anche realizzare un complesso di valori logico e congruente, creare un insieme di leggi, idee e principi che siano armonici e coesi, tutti finalizzati a restituire un’impressione verosimile. Insomma, “il problema è costruire il mondo, le parole verranno quasi da sole” (Eco, 1984, p. 514). Anche in questo caso, ovviamente, la creazione di prodotti narrativi privi di tale coerenza di fondo non rappresenta un pericolo a cui solo i fantasy sono esposti, tuttavia se per ogni romanzo è particolarmente importante il saper plasmare e orchestrare l’universo in cui si svolge l’azione, il fantasy, in quanto “creatore di mondi” per eccellenza ha a questo riguardo una responsabilità particolarmente vincolante. Credo sia importante osservare ed analizzare la produzione attuale del fantasy, sicuramente ampia ed eterogenea, per mettere in evidenza come possano esistere delle opere che, pur rifacendosi alle tematiche del fantastico, sanno farlo con eleganza e originalità, uscendo dai confini tradizionali che solo gli scrittori meno dotati considerano inviolabili, avendo il coraggio di avventurarsi verso frontiere nuove e inesplorate e riuscendo soprattutto a dare nuovo respiro e nuova linfa a un genere che può trovare solo nel cambiamento il segreto per rinnovare le sue fortune. Bibliografia Bogstad M. J. M., Mass Market Fiction in Zipes J. (a cura di), The Oxford encyclopedia of children’s literature, v. 3, Oxford University Press, Oxford 2006, pp.37-39. Blezza Pichere S., Libri, bambini, ragazzi: incontri tra educazione e letteratura, Vita & Pensiero, Milano, 2004. Blezza Pichere S., Raccontare ancora. La scrittura e l’editoria per ragazzi, Vita & Pensiero, Milano, 2007. Bogstad J. 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Il primo di essi si è concentrato sullo studio del prodotto culturale come oggetto comunicativo “di massa”. A partire dagli anni Venti e Trenta del Ventesimo Secolo 8 sociologi (Lasswell, 1927; Lazarsfeld, 1939) e psicologi sociali (Peterson, Thurstone, 1933) studiano i prodotti culturali in relazione alle loro potenzialità comunicative e “propagandistiche”, interessandosi alla possibilità di utilizzarli per influenzare fruitori, e quindi dell’opinione pubblica. Questo ambito di ricerca prosegue, soprattutto in area anglosassone, fino agli anni Settanta (De Fleur, Ball-Rokeach, 1977) e Ottanta (McCombs, Becker 1980), arrivando alla conclusione che i prodotti culturali possono condizionare la struttura cognitiva dei soggetti (Colombo e Eugeni, 2001, pp. 26-32). Un secondo ambito di ricerca si concentra invece sul prodotto culturale non come mezzo per “trasformare” il pensiero collettivo, ma come il luogo di sedimentazione di espressioni, conoscenze, credenze e valori già presentii e radicati nella società (o in una parte di essa). Questo approccio è stato sviluppato in particolare, a partire dagli anni Quaranta del secolo scorso, dalla Scuola di Francoforte, ma ad esso si ricollegano anche studiosi quali Marshall McLuhan (1968, 1989) e Edgar Morin (1963). A questo settore si riallacciano inoltre i Cultural Studies, che sbocciarono inizialmente attorno all’Università di Birmingham, focalizzandosi sull’analisi dei prodotti culturali come strumento attraverso i quali una società tende a riprodurre se stessa (Colombo e Eugeni, 2001, pp. 26-32). Infine il terzo approccio riunisce, in un certo senso, questi due ambiti di ricerca, poiché analizza il prodotto culturale come testo, evidenziandone la capacità di “mettere in relazione” soggetti diversi e soprattutto di collocarsi all’interno di un “dialogo circolare” che porta i fruitori ad essere influenzati, e allo stesso tempo a influenzare, i prodotti culturali. Questi ultimi sono dunque visti come oggetti comunicativi, espressione della società in cui nascono, tuttavia possiedono anche, in virtù delle loro capacità retoriche e di identificazione, la prerogativa di rinsaldare o minare le dinamiche che rappresentano. Questo approccio nasce in ambito semiotico, a metà degli anni Sessanta, e vanta tra i suoi esponenti le figure di (1975, 1978) e Christian Metz Un’involuzione tra i vampiri. I prodotti culturali per adolescenti e i cambiamenti della figura femminile in “Metis Ricerche di sociologia, psicologia e antropologia della comunicazione”, Vol. XVIII, 1, 2011, pp. 79-117. 8 Nel corso del testo quando si farà cenno alle decadi senza ulteriore specificazione ci si riferirà al Novecento. 7 14 (1977), ma ben presto si apre alla Narratologia, agli studi sulla Letteratura e alle Scienze Umane. Questo settore di ricerca appare strategico in quanto, attraverso lo studio delle strutture linguistiche, delle convenzioni espressive e delle architetture narrative, consente di risalire ai sistemi ideologici ad esso sottesi, e pone grande attenzione all’“intertestualità”, ovvero al rinvio da un testo all’altro, attraverso l’opera di studiosi quali Umberto Eco (1979), Gianfranco Bettetini (1996) e Julian Greimas (2007) (Colombo e Eugeni, 2001, pp. 26-32). I recenti sviluppi della Letteratura per ragazzi 9 possono essere messi in relazione con questo terzo approccio, evidenziando come i prodotti letterari destinati ai piccoli e giovani lettori abbiano una doppia valenza. Da un lato, infatti, ritraggono l’universo socio-culturale e psicologico dei più giovani, rappresentando quindi un osservatorio sui loro contesti esperienziali e di significato, ma dall’altro possono rappresentare un luogo di reinterpretazione (o al contrario di riconferma) della realtà, poiché attraverso i processi di identificazione spingono i giovani lettori a sconfessare (oppure a rinsaldare) i propri valori e i propri modelli di comportamento (Stephens, 1992, pp.72- 74; Blezza Picherle, 2004, pp. 245-247). Inoltre l’enfasi posta sull’intertestualità contribuisce a legare strettamente alcuni degli studiosi di Letteratura per l’infanzia contemporanei al terzo approccio di ricerca relativo ai prodotti culturali: infatti sempre più sono i ricercatori che evidenziano come la Letteratura per ragazzi sia sempre più influenzata dal contesto globale dell’industria culturale, con cui intesse legami complessi e, a volte, tortuosi, rendendo necessario un approccio interdisciplinare e intertestuale. Ciò è necessario per comprenderne la complessità «intrinseca» 10, cioè interna al testo, ed «estrinseca» 11, ovvero quella che lega la Letteratura per ragazzi al mondo reale di cui è rappresentazione e a cui torna, attraverso l’influenza che esercita sui giovani lettori (Zipes, 2003, p. 34; Blezza Picherle, 2004, pp. 150-157; McCallum, 2004, pp. 397-400; Nikolajeva, 2005, pp. 269-271; Stephens, 2006, p. 367 ). Partendo da queste premesse, appare evidente come, per indagare le rappresentazioni dominanti all’interno di una certo contesto, è necessario analizzare i prodotti culturali che i suoi membri considerano particolarmente rilevanti. Attraverso quest’analisi, infatti, sarà possibile evidenziare quali sono le raffigurazioni dominanti all’interno dell’ambito socio-culturale preso in esame, e di conseguenza come esse rappresentino non solo le tendenze attuali, in termini di valori e comportamenti desiderabili, ma come la popolarità di tali prodotti culturali spinga i fruitori a rinsaldare i comportamenti che appaiono “premianti” all’interno della rappresentazione. Si è dunque deciso di analizzare due prodotti culturali che rivelano molti punti in comune: entrambi “fenomeni di culto” tra gli adolescenti, mescolano ambientazioni gotiche se non horror ad ambientazioni quotidiane e hanno come protagonista un’adolescente che instaura delle relazioni con degli esseri apparentemente “pericolosi” (vampiri, licantropi, ecc.). Il primo prodotto preso in esame è il serial Buffy (nella versione originale Buffy – The Vampire Slayer) creato da Joss Whedon e andato in onda tra il 1997 e il 2003. Il secondo prodotto preso analizzato è la saga di Twilight, della scrittrice Stephenie La disciplina oggi viene comunemente delineata come «Letteratura per l’infanzia», anche se la definizione più completa sarebbe quella di «Letteratura per l’infanzia e l’adolescenza» (S. Blezza Picherle S., Libri, bambini, ragazzi. Momenti di evoluzione, Libreria Editrice Universitaria, Verona 2002, p. 19), poiché essa comprende al suo interno studi riguardanti i prodotti librai sia destinati alla fascia infantile che alla fascia adolescenziale. Per brevità ci si riferirà con il termine «Letteratura per ragazzi» all’intero corpus della disciplina. 10 Stephen in particolare individua come elementi indispensabili per comprendere la complessità «intrinseca» gli Studi Letterari e quelli Narratologici (Stephens, 2006, p. 367). 11 Riguardo alla complessità estrinseca egli invece sottolinea la necessità di integrare gli strumenti che provengono dalla pedagogia («Childhood Studies») e dalle scienze umane in genere (sociologia e psicologia in particolare) (Stephens, 2006, p. 367). 9 15 Meyer, pubblicata tra il 2006 e il 2009 12 . Si è scelto di analizzare la serie narrativa e non quella cinematografica che ne è stata tratta non solo per un per “fedeltà” nei confronti del prodotto culturale originario, ma anche perché già nel 2008, prima dell’uscita dei film tratti dai libri della Meyer, i romanzi emergevano come particolarmente significativi per il pubblico adolescente 13. (Per la metodologia di analisi adottata si veda il saggio indicato nella nota 7). L’analisi Si è già accennato al fatto che i due prodotti culturali individuati 14 hanno diversi punti in comune, pur rivelando però valori di riferimento e modelli di identità nettamente diversi, legati soprattutto alle figure delle due protagoniste. Fin da una prima osservazione appare evidente che le protagoniste dei due prodotti culturali abbiano caratteristiche caratteriali molto diverse. Buffy 15 è una ragazza straordinariamente energica, determinata, autonoma e risoluta, ma anche brillante, pungente, arguta e ironica; mentre Bella 16 , la protagonista di Twilight, è una ragazza timida, posata, riservata e solitaria, spesso piuttosto goffa e maldestra, riesce con difficoltà a esprimere i suoi sentimenti e appare poco assertiva. Quello che appare interessante da analizzare è la reazione che queste due protagoniste instaurano con il mondo che le circonda, il modo con cui esse si confrontano con gli eventi che vengono posti sulla loro strada, poiché in tal modo è possibile ricostruire la loro personalità più profonda, le loro motivazioni, i loro obiettivi, i loro valori. La solitudine e il potere Sia Buffy che Bella devono affrontare il ruolo della solitudine e del dolore in rapporto con il potere, poiché entrambe devono fare i conti con l’isolamento che la scelta di vivere in un mondo strettamente connesso a una dimensione sovrannaturale porta con sé. Tuttavia le due ragazze reagiscono in modo molto diverso a questa situazione, rivelando con le loro azioni le loro dinamiche più profonde. Per quanto riguarda Buffy, ella vive da sempre il problema della solitudine 17 , che riuscirà a superare solo in parte dopo il suo trasferimento a Sunnydale, grazie al legame con il suo mentore, Giles, e con gli amici Willow e Xander 18. La loro amicizia è tuttavia possibile unicamente a patto che essi accettino la dimensione sovrannaturale del In Italia i volumi sono stati pubblicati dalla casa editrice Fazi nei seguenti anni: Twilight (2006), New Moon (2007), Eclipse (2007) e Breaking Dawn (2009). Negli Stati Uniti, luogo di prima pubblicazione, p stato invece edito dalla Little, Brown & Company rispettivamente nel 2005, 2006, 2007 e 2008. 13 La saga di Twilight è emersa in una recente ricerca come tra le più amate dal campione analizzato, composto da 1.500 studenti tra i 12 e i 16 anni residenti nella provincia di Verona, realizzata all’interno del Dottorato di Ricerca in Scienze dell’Educazione e della Formazione Continua presso l’Università di Verona, sotto la supervisione della Prof.ssa Silvia Blezza Picherle. Il questionario è stato distribuito tra marzo e giugno 2008, prima della pubblicazione dell’ultimo volume della quadrilogia e soprattutto prima dell’uscita dei film basati sulla serie, che hanno contribuito ad accrescerne notevolmente la popolarità. Tuttavia questi risultati consentono di affermare che i romanzi di Stephenie Meyer possedevano già una forte popolarità prima della trasposizione cinematografica, e quindi offrono alle adolescenti, in particolare, un’occasione di identificazione che risiede primariamente nel romanzo (Silva, 2009, pp. 122-135; Silva, 2010, pp. 75-910). 14 I due prodotti culturali sono il serial Buffy creato da Joss Whedon nel 1997 e la saga di Twilight della scrittrice Stephenie Meyer, pubblicata tra il 2006 e il 2009. 15 Il serial di Joss Whedon ha per protagonista Buffy Summers, una ragazza che, all’inizio della narrazione ha sedici anni: trasferitasi nella cittadina di Sunnnydale in California da Los Angeles insieme alla madre, la ragazza scopre di essere in realtà la “Prescelta” di un’antica profezia. Essa apprende dunque di essere la “Cacciatrice”, ovvero una giovane destinata a combattere contro vampiri e demoni, grazie alla propria forza, alla propria abilità e alla propria sagacia. 16 La saga di Twilight ha invece come protagonista Isabella Swan, una sedicenne che lascia la città di Phoenix, dove vive con la madre, per trasferirsi nella cittadina di Folks insieme al padre. Qui conosce Edward Cullen e attraverso di lui viene in contatto con un mondo magico, popolato da vampiri e licantropi e verrà infine trasformata in vampiro. 17 Fin dal primo episodi appare evidente come la madre della ragazza sia preoccupata dell’isolamento della figlia (Stagione 1, Episodio 1, munito 4). 18 Nel corso delle vicende questo gruppo si amplierà, subendo di volta in volta integrazioni e distacchi, tuttavia il legame, quasi familiare, tra Buffy, Willow, Xander e Giles costituirà il nucleo fondante attorno a cui la ragazza costruisce la propria serenità, e a cui torna nei momenti più difficili, come quando sarà costretta a chiudere la propria relazione con Angel, suo primo, intenso amore (Stagione 3, episodio 22, minuto 40). Tale vincolo rimarrà invariato e saldo, tanto da venire celebrato in una scena dell’ultima puntata dell’intera serie in cui i quattro protagonisti si ritroveranno esattamente deve si erano conosciuti (Stagione 7, episodio 22, minuto 25). 12 16 potere che caratterizza la ragazza, consapevoli che esso costituirà sempre una sorta di “frattura” tra loro e Buffy 19 . In altre parole il potere che la caratterizza si rivela il simbolo della sua incapacità di entrare realmente in relazione con il prossimo, prendendo la forma di una sorta di “schermo protettivo” che la allontana da una totale fusione con il prossimo, colorando la sua vita di dolore e sacrificio. Prima Cacciatrice: Credi che stai perdendo la capacità di amare? Buffy: Non ho detto questo! (abbassa la sguardo con paura, poi lo rialza) Sì! C: Hai paura che essere una Cacciatrice significhi perdere l’umanità? B: È così? (Stagione 5, episodio 18, minuto 23) Nella serie il potere assume spesso il volto di una barriera che esclude gli altri, causando sofferenza e solitudine, tuttavia esso rivelerà con il tempo una seconda natura: infatti, ove esso venga rischiarato da un desiderio autentico di “dono di sé” e dal valore della generosità, il potere può trasformarsi al contrario nella possibilità di una “fusione” con il mondo intero, allontanando per sempre lo spettro della solitudine 20. La consapevolezza di questa capacità di “comunione profonda” con gli altri cambia nettamente la visione di Buffy, tuttavia lo spettro della solitudine continua a rappresentare una sorta di “nervo scoperto” per la ragazza, facendo emergere le sue paure più nascoste. Demone: Le tue aspiranti cacciatrici non potranno conoscere il vero potere fino a che tu non morirari… conosci il ritornello… (il demone si trasforma in una copia di Buffy e recita la Profezia sulla Cacciatrice) In ogni generazione nascerà una cacciatrice… una ragazza in tutto il mondo… lei sola avrà la forza e l’abilità per… c’è sempre quella parola, che è quello che sei… e come morirari… sola! (Dopo un lungo silenzio in cui Buffy sembra riflettere) Sei rimasta senza parole? B: Hai ragione (Stagione 7, episodio 22, minuto 12) La vicenda umana e spirituale di Buffy terminerà simbolicamente quando lei sarà in grado di compiere un passo avanti nel suo percorso di autocoscienza, e comprendendo che, oltre al dono di sé, fulcro fondante attorno a cui costruire ogni relazione è la condivisione, una condivisione che non significa necessariamente “rinuncia” quanto piuttosto unione, armonia, sostegno reciproco. Solo attraverso questa consapevolezza Buffy comprenderà come il potere può costituire un legame e non una barriera quando viene condiviso. L’essere in grado di “prestare” la propria forza a coloro che ama si configura come una delle azioni più “sovversive” che sia possibile immaginare, la sola in grado di sovvertire “l’ordine costituito”, poiché nega il principio di egocentrismo e egoismo che governa la nostra società, proponendo al contrario un messaggio di unione, di solidarietà, di fratellanza, all’interno del quale la forza del singolo viene condivisa e diviene perciò la forza dell’intero gruppo. Buffy: Io dico che il mio potere dovrebbe essere il nostro potere. Domani, Willow userà l'essenza della falce21 per cambiare il nostro destino. D'ora in avanti, ogni ragazza nel mondo che potrebbe essere una cacciatrice sarà una cacciatrice. Ogni ragazza che potrebbe avere il potere, avrà il potere, e se vorrà ribellarsi, lo potrà fare. Cacciatrici, tutte, fate la vostra scelta, siete pronte ad essere potenti? (Stagione 7, episodio 22, minuto 27) Anche Bella, la protagonista della saga di Twilight, è una ragazza solitaria: all’inizio del primo romanzo, a sedici anni, si trasferisce da Phoenix alla piccola cittadina di Folks: la ragazza esprime nostalgia per molte cose (la madre, il clima caldo dell’Arizona, le comodità della grande città) ma non lascia dietro di se alcun affetto o legame con il passato (Meyer, 2006, pp. 13-14). Anche i suoi rapporti con il padre, con cui Alla fine della sesta stagione, quando Willow scoprirà di possedere notevoli potere magici, essa riconoscerà esplicitamente fino a che punto l’identità della Cacciatrice sia legata al suo potere “Devo dirti una cosa: adesso ho capito che essere Cacciatrice non significa avere una forza eccezionale. Ma possedere il potere” (Stagione 6, Episodio 22, minuto 40). 20 Buffy si troverà a riflettere su questo messaggio quando, alla fine della quinta stagione, si confronterà con Gloria, una Dea malvagia, decisa ad aprire le porte dell’inferno proprio per sanare il suo dolore e la sua solitudine: confrontando le sue motivazioni con le quelle di Gloria, Buffy capirà davvero come il potere non porti necessariamente alla solitudine: questo accade solo quando l’egoismo prende il sopravvento (Stagione 5, episodio 22, minuto 33) . 21 Si tratta di un oggetto magico di cui Buffy è entrata in possesso. 19 17 condividerà la vita dal quel momento in avanti sono a dir poco superficiali e inconsistenti, e anche nel proseguo della narrazione non arriverà mai ad essere sincera e diretta con lui, preferendo uno schermo di pacifica quanto illusoria “serenità” dietro cui nascondere i propri turbamenti e i propri bisogni 22. L’inconsistenza dei suoi legami affettivi preesistenti e l’incomunicabilità con il padre sono simbolici di un’identità che volontariamente si autoesclude, rifiutando qualsiasi contatto profondo che possa mettere in gioco la sua interiorità. Questa scelta non appare dettata dalla timidezza quanto da un sentimento di indifferenza e noncuranza verso il prossimo 23, che essa ritiene noioso e marginale 24. In questa volontaria autoesclusione (venata da qualcosa di più di una punta di alterigia) appare una solitudine diversa da quella che traspariva dal personaggio di Buffy: dove lì trovavamo un senso di isolamento che straziava l’anima, qui troviamo invece una volontaria emarginazione in cui emerge la convinzione che non ci sia nessuno di abbastanza “interessante” da meritare la sua attenzione. La solitudine di Bella nasce dunque dal disinteresse verso chiunque non sia in grado di “offrirle” l’accesso a una nuova vita, che si concretizzerà solo con la comparsa della famiglia Cullen. Edward Cullen 25 si rivela fin da subito portatore di quelle qualità che Bella desidera: bello, affascinante, sicuro di sé, sofisticato, rappresenta un’ideale da cui la ragazza si sente subito attratta, e che viene accresciuto (non sminuito) dalla scoperta che il ragazzo è un vampiro. Bella si rivela immediatamente desiderosa di entrare in contatto con Edward e con la sua famiglia (che condivide le attrattive del ragazzo) quasi si trattasse di un club studentesco particolarmente à la page: essi sono la rappresentazione di quel “fulgore” che Bella non scorge nella sua vita e che desidera disperatamente. “Che ne dici di venire a conoscere la mia famiglia? Restai senza parole. “Hai paura adesso?” Sembrava speranzoso. “In effetti, sì”. Non potevo negarlo: me lo leggeva negli occhi. “Non preoccuparti. Ti proteggerò io” mi rassicurò con un sorrisetto. “Non ho paura di loro. Temo che non… gli piacerò. Non credi che saranno sorpresi di vedermi arrivare insieme a una… come me… a casa loro per conoscerli?” (Meyer, 2006, p. 266) Il potere diviene il passaporto per entrare in un mondo che la ragazza associa alle caratteristiche per lei “desiderabili” accostate alla condizione “vampiresca”: bellezza, grazia, eleganza e forza. Anche qui, come accade per Buffy, si tratta di un potere condiviso, ma in tale condivisione Bella non porta nulla, limitandosi a desiderare disperatamente di poterlo condividere 26 . In una vicenda che ruota attorno ai vampiri, paradossalmente è Bella ad essere il vero vampiro: colei che è ben decisa a “succhiare” da coloro che le sono attorno bellezza, abilità, potere e soprattutto supremazia sulle leggi stesse della vita. Appare infatti evidente la paura della morte e della vecchiaia rappresentino per la ragazza una motivazione molto forte: il principale potere che essa vuole condividere infatti, oltre alla bellezza della quale si dimostra bramosa 27, è infatti l’immortalità. E il dono dell’eterna giovinezza. A proposito dell’incomunicabilità con il padre Bella afferma: “non riuscivo a immaginare di cosa avremmo potuto parlare” (Meyer, 2006, p. 14) e che “una delle qualità migliori di Charlie22 è che si fa gli affari suoi” (Meyer, 2006, p. 18) 23 Bella si dimostra laconica e asciutta nei confronti dei nuovi compagni di scuola che cercano di avvicinarsi a lei, esprimendo in modo netto un rifiuto a qualunque forma di vicinanza “«Così, c’è una bella differenza tra qui e Phoenix, eh?» chiese lui. «Già» […] «Caspita, chissà com’è» chiese lui «Assolato»”, (Meyer, 2006, p. 23); “Annuivo mentre lei ciarlava dei professori e delle lezioni. Non cercai nemmeno di seguire il suo discorso” (Meyer, 2006, p. 24). 24 “Dimenticavo i loro nomi un istante dopo averli sentiti.” (Meyer, 2006, p. 25). 25 Edward è un vampiro deciso a seguire una dieta “vegetariana”, come viene scherzosamente definita, ovvero composta da sangue animale e non umano ed appartiene a un gruppo di vampiri che hanno fatto la stessa scelta e che hanno costruito tra di loro un vincolo familiare. 26 “Perché l’hai fatto? Perché non hai lasciato che il veleno entrasse in circolo? A quest’ora sarei uguale a te!” (Meyer, 2006, p. 392). 27 Bella, guardandosi allo specchio subito dopo la trasformazione in vampiro afferma, estasiata: “La prima reazione fu un piacere inconsapevole. La creatura aliena riflessa era indiscutibilmente bellissima, almeno quanto Alice o Esme. Era flessuosa persino se immobile e il suo viso perfetto, pallido come la luna, era incorniciato da una folta chioma di capelli neri. Gli arti erano sinuosi e forti, la pelle brillava leggermente, luminosa come perla.” (Meyer, 2009, p. 365). 22 18 “Ti sbagli, Morirò” “Sul serio, Bella”. Si era innervosito. “Tra qualche giorno ti dimetteranno. Due settimane al massimo”. Lo inchiodai con uno sguardo: “Forse non morirò subito… ma prima o poi succederà. Ogni giorni, ogni minuto, quel momento si avvicina. E diventerò vecchia”. (Meyer, 2006, p. 394). Il rapporto tra solitudine e potere appare qui completamente ribaltato: mentre Buffy raggiunge la consapevolezza che la propria forza non ha senso se non viene donata, condivisa con gli altri, Bella invece si pone all’inseguimento di un potere che la allontani completamente dal resto dell’umanità, ponendola all’interno di un’élite, riconosciuta come tale in virtù della distinzione che essa ha legato a sé. Dunque mentre per Buffy l’abbandono della solitudine avveniva attraverso la condivisione del proprio potere con coloro che le stavano accanto, per Bella si attiva il processo inverso: essa desidera acquisire il potere per non sentirsi più isolata, esclusa, ma accetta la condivisione con il prossimo solo a patto che tale unione le offra i privilegi che desidera. La solitudine di Bella è quindi eminentemente una solitudine “da se stessa”, una solitudine che non vuole essere sanata dalla generosa condivisione con il prossimo, quanto piuttosto da un ristretto gruppo su cui proiettare i suoi desideri di appartenenza e di identificazione proiettiva. Una solitudine che nasce primariamente dalla “non stima” di se stessa e dalle ferite narcisistiche che portano la ragazza a proiettare le proprie fantasie di onnipotenza su uno specchio di ideale perfezione che la allontana da se stessa e dal mondo. La paura di essere esclusa dall’ “Olimpo” che essa ha identificato con la famiglia di Edward fa emergere realmente il senso di solitudine di Bella, che in precedenza non aveva mai davvero sentito come tale. “Ma se non mi volete, non vi obbligherò ad accettarmi, sia che Alice voglia trasformarmi, sia che non lo faccia”. Esme stava per dire qualcosa ma la fermai con un dito alzato. “Vi prego, lasciatemi finire. Sapete tutti cosa voglio. E sono sicura che conosciate anche il parere di Edward. Penso che l’unica maniera onesta di decidere sia di lasciarvi votare. Se decidete di non volermi allora… penso che tornerò in Italia da sola 28” (Meyer, 2007, p. 419-420) Per la ragazza la solitudine ha senso solo quando minaccia di allontanarla dal circolo, fonte del potere, che ha identificato con la famiglia Cullen. Bella desidera unire indissolubilmente il suo destino a quello del gruppo di vampiri a cui appartiene Edward, poiché, incapace di realizzarsi, la ragazza vive questa unione come è l’unica opportunità per realizzare le proprie aspirazioni e i propri obbiettivi, rivelando al contempo una insicurezza profonda e un’incapacità di credere nelle proprie potenzialità intrinseche. Buffy e Bella vivono dunque in modo completamente diverso il legame tra il potere e la solitudine, e questa differenza appare rivelatrice delle loro dinamiche più profonde. Il personaggio di Buffy vive in modo straziante l’isolamento che la separa dal resto del mondo a causa degli elementi sovrannaturali che invadono la sua vita, ma allo stesso tempo è in grado di comprendere come l’unica modo per liberarsi dal peso della solitudine è la condivisione intesa come dono di sé e sostegno reciproco. Una volta compreso questo per Buffy il suo potere non rappresenterà più un elemento di esclusione, ma piuttosto una ricchezza da mettere in gioco e da dividere con coloro che le sono accanto. La ragazza realizzerà che non è il potere ad innalzare le barriere, ma l’egoismo e l’egocentrismo, e che tali barriere possono essere abbattute dall’unione e dalla solidarietà, poiché solo quella condivisa è vera forza. Per Bella invece l’isolamento non è causato dal potere, ma dalla sua assenza. Essa non avverte un senso di solitudine quando sceglie di autoescludersi dal resto del mondo, che ritiene fastidioso e banale, la percepisce soltanto quando la sua mancanza di poteri sovrannaturali minacciano di allontanarla da Edward e dalla sua famiglia, che la ragazza identifica con le caratteristiche di bellezza, sicurezza, forza e immortalità che desidera disperatamente ma da cui si sente esclusa. Bella insomma non pensa al potere come qualcosa da condividere, ma come qualcosa da “assorbire”, Il desiderio di tornare in Italia in questo contesto equivale a un desiderio di morte, perché a Volterra la ragazza sa che la attende un clan di vampiri deciso a ucciderla. 28 19 vivendo di luce riflessa poiché incapace di realizzare autonomamente le proprie aspirazioni e i propri obbiettivi. Dunque, mentre Buffy è portatrice di una visione di sé e delle proprie potenzialità non boriosa ed arrogante ma realistica, in cui le proprie capacità sono viste come risorse da mettere a servizio del prossimo, la solitudine di Bella scaturisce da una disistima di se stessa, che porta la ragazza a proiettare le proprie fantasie di realizzazione su uno specchio di ideale perfezione non raggiungibile se non grazie a un “concessione” che viene dall’esterno. Il primo amore Un altro elemento che le due figure hanno in comune riguarda il loro primo amore, poiché sia Buffy che Bella instaurano una relazione con un vampiro “buono”, in lotta contro le forze del male, che si rivela però una figura maschile forte e autoritaria 29. Tuttavia le due ragazze reagiranno in modo completamente diverso a questo rapporto, assumendo un ruolo opposto all’interno della relazione. Buffy porta all’interno di questo legame la sua forza, la sua determinazione e il suo bisogno di autodeterminazione: per quanto intenso e travolgente il suo sentimento per Angel 30 non sarà mai totalizzante, mai tale da annullare e soffocare le altre ambizioni delle ragazza. Inoltre il suo carattere risoluto e ironico la porta a mantenere uno sguardo critico e beffardo su se stessa e sul proprio compagno, che la porta a rifiutare il ruolo di tutela che egli cerca di instaurare. Buffy in altre parole rifiuta il ruolo di deus ex machina che egli cerca di assumere, manifestandosi alla ragazza senza rivelarle nello specifico chi è e come conosce la sua identità di Cacciatrice, e proponendosi come colui che ha tutte le risposte. Buffy si ribella senza esitazione a questo “rapporto sbilanciato” e rivendica con il ragazzo un rapporto più paritario, mettendo in evidenza non solo la sua forza e la sua agilità, ma soprattutto il suo spirito arguto e tagliente. La ragazza è indubbiamente attratta da Angel, ma non per questo accetta che lui rivendichi nei suoi confronti un ruolo dominante, né che lui si ponga come il depositario di informazioni e conoscenze a lei sconosciute. Angel: Sta succedendo qualcosa di grave c’è bisogno di te! Buffy: (Sbuffando) Non anche tu! Ti prego! (fa per andarsene ma lui la trattiene) A: Che cosa sai? B: La profezia, il consacrato, eccetera eccetera! A: Allora lo sai! Be’… volevo solo avvertirti. (Buffy lo guarda in modo ironico) (Stagione 1, Episodio 5, minuto 27) Buffy dimostra di essere in grado di dominare l’amore, senza farsi dominare da esso, e di riuscire a mettere una distanza tra i propri desideri e la realtà, valutando oggettivamente ciò che sta accadendo e risolvendosi a prendere anche decisioni dolorose ma necessarie31. Ma soprattutto Buffy si dimostra conscia delle proprie necessità e delle proprie esigenze così come delle proprie potenzialità. L’atteggiamento dominante e autoritario di Angel, anche se ben intenzionato, non la porterà a sminuire se stessa, perché la ragazza è consapevole che nei momenti di difficoltà essa potrà sempre contare sulle proprie risorse interiori: sulla sua forza, sul suo coraggio, sulla sua determinazione e sulla sua tenacia. Angel: È finita, lo capisci? Niente armi, niente amici… nessuna speranza! Senza tutto questo… che cosa ti resta? Buffy: (rialzandosi, con sguardo deciso) Me! (Stagione 2, episodio 22, minuto 38) Il rapporto tra Angel e Buffy si chiuderà per volontà del ragazzo: questa decisione appare simbolica rispetto alle dinamiche che hanno sempre governato il rapporto tra i due, rivelandone gli equilibri. In questa occasione saranno evidenti i limiti di un rapporto in cui uno dei due partner rivendica una supremazia 29 30 Buffy instaura nelle prime serie una relazione con Angel, mentre Bella ha una relazione con Edward. Angel è il nome del vampiro “buono” con cui Buffy instaura una relazione. Come accadrà quando Angel verrà temporaneamente riportato alla sua dimensione demoniaca, obbligando la ragazza a reagire contro di lui. 31 20 implicita sull’altro, anche ove tale supremazia non sia stata supinamente accettata ma contestata: la disparità porta, almeno nelle intenzioni, alla creazione di una “coppia asimmetrica”, in cui il conflitto, anche se non emerge sempre in modo esplicito, evidenzia il tentativo, da parte del partner dominante, di consolidare il suo potere imponendo all’altro le sue decisioni. Dunque, fallito il tentativo di ricollocare il rapporto su altre basi, la scelta di una separazione, anche se unidirezionale, fa emergere la consapevolezza che in una coppia in cui uno dei partner non accetti una condivisione delle scelte, è destinata al fallimento. Buffy: Io voglio vivere la mia vita con te. Angel: Io no. B: Non posso credere che mi vuoi lasciare (…) A: Non ti dirò addio. (lui fa una lunga pausa e la guarda intensamente. Lei dopo un attimo di esitazione ricambia lo sguardo) Quando sarà finita me ne andrò e basta. Lo capisci? (Buffy ha gli occhi lucidi ma si contiene e annuisce) È davvero troppo… (Buffy lo ferma con un gesto della mano. Lui si allontana mentre lei si ferma ad osservare il pugnale, simbolo del suo impegno come cacciatrice.) (stagione 3, episodio 22, minuto 27, 35) Buffy si rivolgerà agli amici per superare questo momento doloroso, e soprattutto si concentrerà sulla sua missione, che rappresenta la vera essenza della sua identità. La fine del suo rapporto con Angel, infatti, oltre a gettare le basi per una maggiore consapevolezza riguardo alle proprie necessità, la porterà a scoprire che nella sua vita c’è molto altro, oltre all’amore, in grado di illuminare i suoi momenti di tristezza, di dare una direzione ai suoi sforzi e di sostenere le sue ambizioni. L’amicizia e il “lavoro” rappresentano per la ragazza delle fondamenta su cui costruire e consolidare la sua vita, e proprio per questo nel momento dell’addio, pur estremamente doloroso, questa frattura non rischierà di distruggere la sua vita, consentendogli addirittura in futuro di riallacciare con Angel un rapporto amichevole, anche se sempre colorato da un leggero flirt. Il rapporto di Bella con il suo primo amore, Edward, è per molti versi piuttosto simile: a divergere profondamente non sono gli eventi che le accadono, quanto piuttosto il modo con cui la ragazza reagisce a tali avvenimenti. Anche Bella a che fare con un uomo autoritario, imperioso e deciso ad avere la predominanza, a mantenere il controllo sulla loro relazione. Fin dall’inizio appare evidente che è lui a decidere se e come il loro rapporto può proseguire, ed è lui a rivelarsi “depositario” di quelle informazioni che Bella desidera disperatamente conoscere. Inoltre il ragazzo rivela fin da subito il desiderio di accudirla e di prendersi cura, anche fisicamente, di lei, come accade all’inizio del loro rapporto, quando lui la salva da un incidente automobilistico grazie alla sua forza sovraumana, rivelando implicitamente le basi su cui si sarebbe basato tutto il loro rapporto (Meyer, 2006, p. 57). Viene chiaramente marcato quanto Edward si senta responsabile del benessere della ragazza, sottolineandone implicitamente la fragilità, la delicatezza, ma anche la goffaggine che la mettono costantemente “a rischio”. Egli si comporta dunque nei confronti di Bella in modo da rendere chiaro la “disparità” esistente tra di loro e il forte senso di responsabilità che egli sente verso di lei, quasi la ragazza non fosse responsabile delle sue azioni, affermando: «Non posso mai permettermi di perdere il controllo se ci sei tu. In nessun senso, mai» (Meyer, 2006, p. 262). Questa affermazione rivela la profonda disparità che lega Bella ed Edward, evidenziando al contempo come la loro relazione sia la prevedibile unione di due cliché: da una parte Edward viene rappresentato come l’uomo forte e autorevole, tanto da avere quasi nei confronti di Bella un atteggiamento “paterno”, pieno di cautela, premura e sollecitudine, cosa che mette inevitabilmente la ragazza in uno stato di “minorità” . (Edward): Starti lontano… mi rende… ansioso”. Il suo sguardo era dolce ma intenso, e mi sciolse. “Non scherzavo, quanto ti ho chiesto di badare a non cadere nell’oceano o non farti investire, giovedì. Per tutto il fine settimana sono rimasto in pensiero”. (Meyer, Twilight, 2006, p. 164) 21 Dall’altra parte Bella sembra avvicinarsi a un modello di donna fragile e bisognosa di sostegno. Non solo essa non esprime alcuna ambizione che non riguardi Edward e la loro relazione, ma anche all’interno delle normali dinamiche di vita quotidiana essa sembra essere costantemente esitante e incerta, come se non riuscisse realmente a pensare a se stessa in modo sicuro e appagato se non accanto ad Edward. Infatti Bella confessa al ragazzo, «in balia del suo sguardo ipnotico»: «vicino a te mi sento sicura» (Meyer, 2006, p. 149). In ogni istante viene dunque messo in evidenza come Bella dipenda dal ragazzo per ogni cosa e come si aggrappi a lui per ricercare quel senso di sicurezza che altrimenti le sfugge. La natura sovrannaturale di Edward, dunque, non solo sembra dargli una predominanza “fisica” (in termini di forza, velocità, reattività, e così via), ma appare come il marchio di un’indiscutibile predominanza psicologica, che rende la ragazza incapace di opporre una qualunque resistenza ai voleri dei ragazzo, totalmente in suo potere. Non trovavo le parole. Come mi era accaduto una volta soltanto, sentivo il suo respiro fresco sul viso. Dolce, delizioso, il suo profumo mi metteva l’acquolina in bocca. Era diverso da qualsiasi altro odore. Istintivamente, senza pensarci mi avvicinai ad annusarlo. […] “Sono il miglior predatore del mondo, no? Tutto in me ti attrae: la voce, il viso, persino l’odore. Come se ce ne fosse bisogno” […] Restai seduta senza muovermi, non avevo mai avuto così paura di lui. Non avevo mai visto ciò che nascondeva dietro quella facciata così ben costruita. Non era mai stato meno umano di così… né più bello. Sedevo lì, il viso cinereo e gli occhi sbarrati, un uccellino ipnotizzato dallo sguardo di un serpente. (Meyer, 2006, pp. 225-226) All’interno di questo “squilibrio” di forze emerge chiaramente come la ragazza non subisca le conseguenze negative della natura sovrannaturale di Edward solo per la capacità del ragazzo di controllarsi non per la quella di lei di difendersi. In altre parole Bella appare costantemente come “graziata” dalla benevolenza del suo partner, che la difende da se stesso e dal resto del mondo, grazie alla «ragione che domina gli istinti» (Meyer, 2006, p. 255). Questo sottolinea nuovamente il ruolo “succube” che Bella incarna all’interno del suo rapporto con Edward, evidenziando come essa in realtà debba la sua stessa sopravvivenza al ragazzo. Questo equilibrio si romperà, almeno temporaneamente, quando un incidente metterà a rischio la vita di Bella, portando Edward a chiudere il rapporto (Meyer, 2007, pp. 65-66). Questa dinamica si rivela simile a quella che ha coinvolto Buffy, ma a differenza di quest’ultima Bella si lascia completamente dominare dal dolore, e scopre di non avere attorno a sé nulla in grado di legarla alla vita, portandola verso comportamenti autodistruttivi al solo scopo di riafferrare per qualche istante l’immagine dell’amato. «Be’ il fatto è che… ecco… ho scoperto che… ogni volta che facevo qualcosa di pericoloso o stupido… ti ricordavo più chiaramente» confessai, come una pazza da legare. «Ricordavo il suono della tua voce quando ti arrabbi. La sentivo come se fossi al mio fianco. Di norma cercavo di non pensare a te, ma in quelle occasioni speciali non sentivo il dolore: era come se fossi tornato a proteggermi. Perché non volevi che mi facessi male. Ecco, forse riuscivo a sentirti con tanta chiarezza perché, in fondo, sapevo che non avevi mai smesso di amarmi…» Di nuovo, le mie frasi mi portavano una strana consapevolezza. Sentivo che erano quelle giuste. Una parte nascosta di me riconosceva la verità. La sua voce sembrava strozzata. «Tu… hai… rischiato la vita per sentire…» (Meyer, 2007, p. 416) Bella non ha altri obiettivi nella vita al di fuori di Edward: è disposta a sacrificare qualunque cosa, qualunque altro rapporto, compreso quello con i genitori, pur di annullarsi in un rapporto totalitario. Non ha scopi di crescita o di scoperta individuale, e persino l’idea di costruirsi come individuo e come professionista attraverso l’istruzione universitaria appare completamente indifferente alla ragazza (Meyer, 2008, pp. 45-47). Questo atteggiamento rivela chiaramente l’enorme distanza che separa Buffy e Bella: mentre per quest’ultima il mondo si esaurisce nel rapporto sentimentale, unico orizzonte delle sue prospettive di vita, tanto che la sua perdita rischia di portarla a un passo dalla morte, Buffy invece è una personalità più completa, sfaccettata, psicologicamente e moralmente abbastanza forte da andare oltre al dolore e alla delusione, puntando sugli altri “punti forti” della propria vita per proseguire in un cammino personale di crescita e di attecchimento. 22 Buffy a rifiuta un “rapporto sbilanciato” in cui essa si trova a subire un partner dominante, che tenta di imporsi come una sorta di oracolo a cui non è consentito ribattere: essa rivendica un rapporto più consapevole e paritario, ma è anche in grado di accettare il suo fallimento, scoprendo al contempo gioia e motivazioni nel proprio lavoro e nel valore dell’amicizia sincera. Per contro la mancanza di autonomia e di autostima che caratterizza Bella la porta a sentirsi perfettamente a suo agio in un rapporto “asimmetrico”: non solo essa è felice dell’atteggiamento tutelare di Edward, ma quando egli decide di interrompere il loro rapporto, essa non trova altre motivazioni nella sua vita, facendosi accecare dal dolore e cadendo in comportamenti autodistruttivi. A differenziare i due personaggi è quindi soprattutto la capacità di autoderminazione e la ricchezza psicologica e morale che caratterizzano Buffy (indirizzandola verso un cammino personale di crescita e di scoperta di sé) e che per contraltare appaiono assenti in Bella, la quale vede se stessa in modo eminentemente bidimensionale, scegliendo di chiudersi all’interno di un universo volutamente ristretto. La seconda vita sentimentale Sia Buffy che Bella vivono un secondo amore, forse meno assoluto e “lineare” del primo, ma caratterizzato da una maggiore “identità” di vedute, da una maggiore armonia e da una maggiore consonanza in termini di indole e di temperamento: a differenziarle, ancora una volta, è il modo in cui scelgono di reagire a questa esperienza. Buffy, dopo aver passato qualche burrasca sentimentale in seguito alla rottura con Angel, scopre un’inaspettata affinità con Spike, un vampiro dal passato decisamente turbolento, ma che, in seguito a un periodo di “bontà forzata” 32 , ha iniziato un percorso di riflessione e ripensamento di sé. Scoprendosi innamorato di Buffy, il ragazzo reagisce inizialmente negando i suoi sentimenti, consapevole delle tensioni che lo legano al “gruppo” della Cacciatrice. Quest’ultima del resto lo tiene rigidamente a distanza, nonostante impari a fidarsi di lui, nonostante lo scetticismo dei suoi amici. A lungo andare Buffy e Spike si renderanno conto di avere molto più in comune di quanto potesse apparire a prima vista: entrambi sono ironici, determinati e istintivi, entrambi chiudono dentro una scorza pungente una forte sensibilità ed entrambi hanno un disperato bisogno di vicinanza emotiva. In un momento particolarmente difficile per Buffy 33, Spike sarà l’unico a comprendere cosa sta accadendo alla ragazza. Spike: (fissando stravolto le mani escoriate di Buffy) Le mani… (Buffy le nasconde dietro la schiena) Dawn: Ah… la stavo per medicare… Non so cos’abbia fatto… S: Io sì.... (abbassa lo sguardo) Ha scavato per uscire dalla tomba… (lui alza di nuovo lo sguardo su di lei) Non è vero? Buffy: (abbassando lo sguardo) Sì… ho… scavato per uscire… S: (con estrema dolcezza, sorridendole) L’ho fatto anch’io… (allunga una mano e gliela posa con delicatezza sulla schiena) Ti cureremo noi… (poi rivolto a Dawn che esce) Vai a prendere del disinfettante e delle bende! (Spike la porta verso la poltrona e la fa sedere, prendendole con delicatezza le mani) B: Quanto tempo sono mancata? Spike (tenendole le mani quasi con reverenza e guardandola negli occhi) Ieri erano 147 giorni. Oggi 148. Ma oggi non conta, vero? Quanto è passato per te, lì dov’eri? B: Di più… (Stagione 6, Episodio 3, minuto 8) Spike è un vampiro noto per aver ucciso più di una Cacciatrice nel corso della sua vita secolare, ed inizialmente è uno dei principali nemici di Buffy. Tuttavia, a causa di una serie di vicende, egli si trova in più d’una occasione a collaborare con la Cacciatrice e il suo gruppo. Tale rapporto si intensifica quando Spike viene catturato da un gruppo di scienziati che impiantano nel suo cervello un chip in grado di controllare il suo comportamento aggressivo. 33 Nello scontro con Gloria, una divinità infernale, Buffy ha scelto di sacrificarsi per consentire al mondo di sopravvivere. I suoi amici sono riusciti a riportarla in vita grazie a un incantesimo, ignari del fatto che Buffy non si trovava in una dimensione infernale, come essi erano convinti, ma in paradiso. 32 23 Buffy si trova in un momento di estrema sofferenza, sconvolta dal dolore e dalla disperazione che nasce in lei dall’essere stata “strappata” dall’isola di serenità che aveva raggiunto e dalla consapevolezza di non poter aprire il proprio cuore a coloro che fino a quel momento avevano sempre incarnato il suo “porto sicuro”. All’interno di questo panorama di incertezza e desolazione Spike sembra l’unico in grado di capire i suoi sentimenti, ed è con lui che la ragazza riesce ad essere realmente se stessa, svelando la profondità e la conflittualità del suo pensiero34. D’altra parte anche per Spike Buffy rappresenta l’unica persona con cui riesce ad aprirsi sinceramente, mostrando almeno una parte delle sue ferite e le sue fragilità. A questo proposito simbolico si rivela il dolore e il senso di colpa che egli prova per averla delusa, per non essere stato in grado di mantenere la promessa che le aveva fatto. Spike infatti afferma: «Penso sempre alla promessa che ti feci. La promessa di proteggere Dawn. Se fossi riuscito a mantenerla tu… non ti saresti dovuta buttare», rivelando al contempo come la consapevolezza di questa mancanza abbia aperto in lui una riflessione personale in grado di porre le basi per un ripensamento profondo di se stesso (Stagione 6, Episodio 3, minuto 27). Dopo una lunga serie di alti e bassi, i due iniziano una relazione inizialmente di tipo prettamente fisico: tuttavia quello che emerge è, fin dall’inizio, quanto il legame tra i due sia libero e paritario: non a caso, simbolicamente, Buffy è l’unica con cui i chip di Spike non funziona, consentendogli di scontrarsi con lei anche in modo duro. Ciò accade perché, da una parte, nel profondo, Spike non ha realmente intenzione di ferire la ragazza, e quindi il chip non entra in azione; e dall’altra perché dopo la sua esperienza “ultraterrena” Buffy si sente particolarmente vicina al vampiro, ponendosi implicitamente con lui in un rapporto privilegiato (Stagione 6, Episodio 9, minuto 38). Le loro zuffe, così come i loro scontri verbali al vetriolo (durante i quali i due si dicono brutalmente in faccia anche quelle verità che possono far soffrire ma che talvolta è necessario ascoltare) rappresentano l’essenza di una relazione sincera e priva di artifici in cui i due si pongono l’uno con l’altra in modo assolutamente “non filtrato”, portando alla luce le tensioni e i dubbi irrisolti che legano ancora la ragazza al suo passato e ai “sedimenti” che ancora adombrano l’anima di Spike. Ci sarà bisogno di tempo e di molto impegno (nonché della disponibilità a cambiare profondamente) affinché Buffy e Spike riescano a rielaborare il proprio passato, trasformando il loro legame in un vero rapporto, profondo, e intimo. Tuttavia la schiettezza e la lealtà che caratterizzano la loro relazione si rivela essenziale per la loro crescita personale come individui: infatti Spike deciderà di iniziare il lungo e doloroso percorso che lo porterà ad essere di nuovo realmente se stesso partendo da quelle verità su se stesso che ha scoperto grazie a Buffy, e quest’ultima troverà in Spike il sostegno e il coraggio necessari a cambiare la propria vita. Il loro rapporto si rivelerà dunque “formativo” per entrambi, poiché li porterà a crescere come individui prima ancora che come elementi di una coppia, poiché nasce da una profonda stima reciproca, nonostante la consapevolezza delle rispettive fragilità. Spike: C'è una cosa di cui sono sempre stato sicuro... Tu! Ehi, guardami, io non ti sto chiedendo niente. Quando dico che ti amo, non è perché ti voglio o perché non posso averti. Non ha a che fare con me, io amo quello che sei, quello che fai, come ti impegni. Ho visto la tua gentilezza e la tua forza. Ho visto il meglio ed anche il peggio di te e capisco con estrema chiarezza quello che sei... (Stagione 7, episodio 21, minuto 31) Buffy: Io ero felice… dovunque fossi, io ero felice… Mi sentivo bene… in pace… (Spike la guarda sbalordito, dolente) Sapevo che tutti quelli che amavo stavano bene... lo sapevo… il tempo non significava niente… Nulla aveva una forma ma ero sempre me stessa… ero protetta… mi sentivo amata… avevo una sensazione… di completezza. Io non… capisco la teologia o le dimensioni…. Nessuna di queste cose, ma credo che fossi in paradiso. E ora non ci sono più. Sono stata sradicata da lì. Portata via dai miei amici. Qui tutto è duro… difficile… violento. Ogni cosa. Tutto quello che sento... Tutto quello che tocco… Questo è l’inferno. Dover vivere qui, ogni momento, per tutta la vita. Sapendo quello che ho perduto. Loro non lo devono sapere. Mai. (Stagione 6, Episodio 3, minuto 38) 34 24 Le caratteristiche dominanti di questo rapporto verranno evidenziate dalle vicende che porteranno al ritorno di Angel: il comportamento di quest’ultimo appare mutato ed egli sembra finalmente più consapevole della reale personalità di Buffy, dimostrandosi disposto a comportarsi con lei “da pari a pari” (Stagione 7, Episodio 22, minuto 1). Questo provoca nella ragazza un momentaneo tentennamento, tuttavia basterà una breve riflessione per comprende che il rapporto paritario (o quasi) che le viene offerto giunge troppo tardi, quando troppe cose sono ormai cambiate: soprattutto è cambiata lei stessa, diventando una persona completamente diversa. Buffy comprende dunque che Angel fa definitivamente parte del suo passato, e che per lei è necessario andare avanti. Buffy: Quindi… sarai con me nella battaglia? Angel: Fino alla fine. Fianco a fianco. Sono tuo. B: (lei ci abbassa il capo riflettendo poi lo rialza) No. A: No, cosa? B: Non sarai in questa battaglia. (Stagione 7, Episodio 22, minuto 4) Angel, pur comprendendo che il cambiamento di Buffy ha a che fare con la relazione che essa ha instaurato con Spike, non capisce che questo legame non è stato “subito” dalla ragazza ma anzi è stato per lei l’occasione di un profondo ripensamento di se stessa. L’atteggiamento di Angel è caratterizzato da orgoglio, supponenza ed egocentrismo, rivelandone la profonda immaturità, per quanto ammantata da un’apparente determinazione e sicurezza in se stessi35. Buffy al contrario, è in grado di analizzare in modo lucido il suo percorso di vita, i suoi sbagli e le sue fragilità, sottoponendo la propria vita a un esame di realtà indispensabile per intraprendere una reale crescita individuale. La ragazza è consapevole che, per poter intraprendere il viaggio comune rappresentato dalla costruzione di una relazione sentimentale, è prima di tutto necessario essere sicuri sulle proprie gambe (Stagione 22, episodio 22, minuto 7). Buffy si dimostra pronta ad assumersi la responsabilità di un rapporto maturo e completo, nonostante le difficoltà e le tensioni che esso inevitabilmente porta con sé, e decide che questo rapporto sarà con un uomo che, per quanto difficile e problematico, è riuscito a superare per lei le sue barriere, mostrando in modo sincero e disarmato tutte le sue fragilità, senza sovrastrutture a nascondere le sue dinamiche più profonde. Esempio della capacità di comprensione reciproca che lega Buffy e Spike è rappresentato dal modo in cui il loro rapporto, paritario e spontaneo, intreccia la loro vita “personale” con quella “professionale”, integrandosi in modo naturale e istintivo. Spike non ha remore ad impegnarsi intensamente nella lotta contro quella che in passato era la sua fazione, né la ragazza esita ad accettare il suo aiuto. Questo accade perché Buffy in realtà è l’unica in grado di vedere oltre all’apparenza e di comprendere come Spike abbia davvero compiuto grandi passi per poter ricostruire la sua anima, ed è l’unica a fidarsi completamente di lui, tanto da porre nelle sue mani le speranze di salvezza dell’intero scontro (Stagione 7, episodio 22, minuto 9). La fiducia che lega Buffy e Spike è tanto più autentica in quanto fondata su una profonda conoscenza reciproca, e sulla condivisione di un linguaggio comune, fatto di ironia ma anche di grande franchezza, che permette ai due di essere autenticamente se stessi. Anche Bella, dopo la partenza del suo primo amore, intreccia un nuovo rapporto sentimentale, i cui esiti mettono in evidenza ancora una volta la profonda distanza che la separa da Buffy. Bella, dopo la scomparsa si Edward, si lega all’amico d’infanzia Jacob, il quale in breve si innamora di lei, nonostante le complicazioni causate, anche in questo caso, dall’ identità sovrannaturale del ragazzo36. Lentamente la ragazza inizia a Buffy svela immediatamente l’immaturità di Angel, rimproverandolo per la sua puerilità «Parli come un ragazzino di dodici anni!» (Stagione 7, Episodio 22, minuto 6) 36 Jacob è un licantropo, appartenente a una tribù nativa americana da anni impegnata in una sorta di “faida” con i vampiri, per quanto abbiano stabilito con il clan a cui appartiene Edward una sorta di “tregua”, riconoscendo il loro impegno a non uccidere gli esseri umani. 35 25 dipendere da Jacob, riproducendo inconsapevolmente con lui un rapporto di dipendenza e riproponendo le stesse dinamiche di tutela che essa aveva precedentemente stabilito con Edward. Bella non solo riproduce con Jacob le stesse dinamiche già sperimentate nella precedente relazione, ma afferma esplicitamente di servirsi del ragazzo come di una «stampella» per uscire dal dolore e dalla confusione in cui l’ha gettata l’abbandono di Edward (Meyer, 2007, p. 182). Di fronte alla solitudine che la tormenta, il rapporto con Jacob rappresenta per Bella un’occasione di serenità, se non inseguita certamente accolta, tuttavia ancora una volta, nello stabilire un rapporto, la ragazza sembra principalmente interessata al proprio benessere. Essa non riesce a vedere con chiarezza il rapporto sentimentale come uno scambio paritario tra due individui che mettono in comune una serie di necessità, ma esclusivamente come un flusso di attenzione che scorre inesorabilmente nella sua direzione. Lo guardai a mia volta. Non era il mio Jacob, ma avrebbe potuto diventarlo. Il suo volto mi era familiare e caro. Avevo più di un motivo reale per amarlo. Era il mio sollievo, il mio porto sicuro. In quell’istante avrei potuto decidere di farlo mio. (Meyer, 2007, p. 326) Appare dunque evidente come la “matrice” su cui Bella modella le sue dinamiche di coppia ha le sue radici nel legame con Edward: il ruolo di Jacob rimane sempre subordinato a quello che la ragazza ha instaurato nella precedente relazione, e Bella sembra riprodurre in modo quasi meccanico schemi di comportamento pre-appresi. Tuttavia la ragazza è incapace di comprendere che i suoi comportamenti, le sue proiezioni, giocano un ruolo nei legami sentimentali in cui si inserisce, vedendo se stessa all’interno di una sorta di predestinazione (Meyer, 2007, pp. 296-297). Al di là delle differenze “epidermiche” ciò che allontana profondamente la figura di Jacob da quella di Edward è il modo in cui i due scelgono di relazionarsi con Bella: mentre Edward aveva incoraggiato (e anzi fortemente voluto) le dinamiche di disparità e dipendenza che aveva legato Bella a lui, consolidando lo schema asimmetrico che si era stabilito tra di loro, Jacob invece cerca con la ragazza un rapporto più diretto e sincero, e anche più paritario. Egli incoraggia Bella e a mettersi alla prova, a fare esperienze diverse e anche potenzialmente pericolose, pur mantenendosi sempre “un passo dietro a lei”, pronto a intervenire nel caso qualcosa andasse storto. Jacob insomma, pur non manifestando certo noncuranza per la salute della ragazza, non è neppure opprimente o eccessivamente protettivo, bensì aperto, sincero e schietto. Mentre Edward tendeva a nascondere a Bella problemi e dubbi, riservandosi il diritto di decidere senza il consulto della ragazza riguardo a cosa è meglio talvolta per lei stessa, Jacob invece preferisce essere schietto nei confronti della ragazza, lasciandola libera di prendere le sue decisioni e ponendo le basi per un rapporto diverso, più onesto e leale ma soprattutto più equilibrato e paritario (Meyer, 2008, p. 74). Egli non pone nessuna barriera di inautenticità tra se e Bella, rivendicando la necessità essere completamente sinceri l’uno con l’altra e facendo osservare come tale sincerità non si applichi invece al legame tra Bella ed Edward (Meyer, 2008, p. 266). Tuttavia tale atteggiamento non si rivela vincente, e Bella deciderà di riallacciare il suo legame con il vampiro, esprimendo chiaramente il suo sentirsi a suo agio all’interno di un rapporto di subordinazione. Il suo bisogno di Edward assume i connotati di una vera e propria dipendenza, un legame a cui Bella non riesce a rinunciare perché psicologicamente se ne sente assoggettata. Come una tossicodipendente che afferma di non voler rinunciare alla droga, allo stesso modo Bella rivendica fieramente di non poter fare a meno di Edward, affermando: «Non voglio essere felice con nessun’altro. Solo con lui» (Meyer, 2008, p. 271). Jacob comprende in realtà quello che a Bella sfugge, ovvero quanto il rapporto tra lei ed Edward sia malsano e dannoso, e capisce anche quanto esso non sia paritario, poiché mantiene costantemente la ragazza in uno stato di sudditanza. Egli si è proposto alla ragazza come una scelta non solo più paritaria, ma anche più “pulita” e salubre: la possibilità di costruire un legame privo di ambiguità, se non di asperità, che l’avrebbe aiutata a crescere come individuo e avrebbe coltivato in lei l’autonomia invece che la dipendenza. 26 «Io sono perfetto per te, Bella, non avremmo dovuto sforzarci, mai… sarebbe stato immediato, facile come respirare. Mi avresti naturalmente trovato nel cammino della tua vita.» […] «[Edward] è come una droga per te, Bella.» Il suo tono era rimasto gentile, niente affatto critico. «Ormai ho capito che senza di lui non puoi vivere. È troppo tardi. Ma io sarei stato una scelta più sana. Non una droga: io sarei stato l’aria. Il sole». (Meyer, 2008, pp. 477-478). In fondo al cuore anche Bella comprende che Jacob sarebbe una scelta più sana, e che il legame con lui sarebbe più semplice, istintivo, naturale, ma soprattutto più “salubre”. Soprattutto si rende conto che l’influenza di Edward su di lei ha qualcosa di irrazionale, di compulsivo, e che rappresenta in un certo senso anche una scelta potenzialmente “infelice” (Meyer, 2008, pp. 477-478). Nei momenti di maggiore consapevolezza Bella riesce a rendersi conto che rinunciando al rapporto con Jacob rinuncia a una vita potenzialmente felice e appagata, ma soprattutto rinuncia a una parte di se stessa. Una parte serena ed equilibrata, in cui veniva custodito un amore più gioioso e completo che rappresentava per lei una possibilità di crescita. Ma la sua incapacità di allontanarsi dalla dipendenza psicologica attorno a cui aveva costruito la propria identità la rendono incapace di cogliere questa opportunità, ferendo sia Jacob che lei stessa. Era ovunque. Il sole abbagliante inondò di rosso i miei occhi ed era il colore giusto, con tutto quel caldo. Il caldo era ovunque. Non vedevo, non sentivo, non provavo nient’altro che non fosse Jacob. […] Aveva ragione Jacob. L’aveva sempre avuta. Era più di un semplice amico. Ecco perché non riuscivo a dirgli addio. Ero innamorata di lui. Sì, lo amavo, più di quanto avrei dovuto e tuttavia non abbastanza. Ero innamorata di lui, ma ciò non bastava a cambiare nulla; era soltanto sufficiente a ferirci entrambi. […] Per un secondo breve ma infinito vidi una strada diversa srotolarsi al di là delle palpebre che sigillavano i miei occhi inondati di lacrime. Come se guardassi attraverso il filtro dei pensieri di Jacob, capii con esattezza a cosa avrei rinunciato, cos’avrei perso malgrado la mia nuova consapevolezza di me stessa. (Meyer, 2008, p. 422) La differenza tra Buffy e Bella dunque riguarda la loro capacità di mettersi in gioco all’interno di un rapporto equo e paritario, anche se potenzialmente “faticoso” perché porta con sé la necessità di porsi continuamente in discussione. Il rapporto che Buffy decide di accogliere e che invece Bella rifiuta assume i connotati di una relazione più matura, con un partner più compatibile ma anche più dialettico. Un legame che chiede di vivere non “di riflesso”, adattandosi a un partner imperioso e “tutelare”, ma piuttosto di cercare continuamente un equilibrio tra due personalità ugualmente autonome, ma decise a cercare e a scegliere di volta in volta un accordo che consenta a entrambi di esprimere la propria individualità. Questo tipo di rapporto si rivela collegato alla capacità di reinventare se stessa, di uscire dai propri schemi consolidati e di guardare a se stessa con sguardo obbiettivo ma critico, ed appare evidente come la presenza o l’assenza di tale attitudine si riveli una discriminante di estrema importanza. Buffy comprende infatti come il fallimento della sua relazione con Angel è stato causato non solo dall’atteggiamento autoritario del ragazzo, ma anche dalla sua incapacità di aprirsi completamente con lui, mostrandogli schiettamente i suoi bisogni e le sue esigenze. Essa riesce dunque a modificare il suo schema di comportamento, instaurando la relazione con Spike su altre basi e ponendo come pregiudiziale la capacità di esprimere schiettamente le proprie dinamiche più profonde. Al contrario Bella non riesce ad evadere dalla prigione che ha costruito attorno a sé: nonostante Jacob tenti di dare una nuova svolta al loro rapporto, Bella ricreerà con lui le stesse alchimie che l’avevano legata ad Edward. Pur consapevole della “tossicità” dei sentimenti che la legano a quest’ultimo, Bella non può fare a meno di esserne dipendente, incapace di dare una svolta alla propria identità. Bella dunque, a differenza di Buffy, non è in grado di mettersi in discussione in modo critico e di trovare la forza per modificare i propri schemi di relazione. La differenza tra le due riguarda quindi la capacità di scegliere un partner paritario e di sostenere l’impegno di un rapporto rispettoso, dialettico e maturo. 27 Conclusioni Questa analisi ci ha dunque mostrato come le due figure femminili al centro di questi prodotti culturali così amati dagli adolescenti, pur separati solo da una manciata di anni, rivelano modelli di riferimento molto diversi. Da una parte il personaggio di Buffy si caratterizza per la sua fiducia nelle proprie potenzialità, intese come risorsa da condividere con il prossimo; per il suo desiderio di autodeterminazione, unito alla capacità di reinventare se stessa; per la sua schiettezza e sincerità, che la portano a guardare se stessa con occhi obbiettivi e pragmatici e a cercare la stessa autenticità nei rapporti interpersonali, paritari e consapevoli. Dall’altra parte Bella è una figura timorosa e incerta, che vive di luce riflessa e proietta sul gruppo di appartenenza le proprie fantasie identitarie; la sua bassa autostima la rende incapace di realizzarsi autonomamente e la pone alla continua ricerca di un partner assertivo a cui appoggiarsi, diffidente nei confronti di un rapporto più dialettico e maturo, che la obbligherebbe a mettersi in discussione in modo critico e a modificare i propri schemi di comportamento. Entrambi i prodotti culturali in cui si muovono le due protagoniste analizzate sono (o sono stati) oggetto di culto per gli adolescenti. Questo significa che sono oggetti di consumo mediale che assumono (prendendo a prestito la definizione di Walter Benjamin) una speciale «aura», e il cui «valore simbolico va molto al di là del loro significato funzionale» poiché diventano «marcatori di un’appartenenza», «indicatori di una identità», «terreno di condivisione di esperienze» (Scaglioni, 2006, pp. 3-4) Pierre Bourdieu a questo proposito afferma che i prodotti culturali costituiscono una sorta di “ponte simbolico”, socialmente accettato e condiviso, che individua lo «spazio del possibile», ovvero la cornice all’interno del quale appare lecito collocare comportamenti e caratteristiche legittime ed attese (Bourdieu, 1996, p. 235). I prodotti culturali insomma diventano non solo il luogo in cui vengono riflessi gli schemi identitari della cultura di riferimento, ma divengono anche uno schermo proiettivo che mostra ai fruitori dei modelli di identificazioni su cui modellare la costruzione della propria identità (Truda, 2008, pp. 132-134). Partendo da questi presupposti i personaggi di Buffy e Bella ci dimostrano come, nello spazio di pochi anni, le figure identitarie socialmente accettate e considerate “desiderabili” dalle adolescenti hanno subito un cambiamento radicale. Mentre fino a pochi anni fa i fantasie proiettivi delle ragazze andavano a un modello di riferimento energico e costruttivo, oggi a dominare il loro immaginario è una rappresentazione di donna ben diversa, in cui dominano elementi di fragilità, di insicurezza e di inautenticità. È indubbio che una rappresentazione così “debole” si ricollega agli smarrimenti tipici dell’adolescenza, tuttavia mentre fino a qualche anno fa le ragazze miravano a un modello che le facesse uscire da tali criticità, proiettandosi “in avanti” verso una personalità più sicura, autonoma ed adulta, oggi le adolescenti scelgono invece di rimanere in una stato di “minorità” crogiolandosi nelle proprie incertezze e cercando una “scappatoia” che consenta però loro di non mettersi realmente in gioco. Esse insomma rifuggono da un percorso di crescita che le porti a razionalizzare e a superare le proprie paure, e cercano rifugio in un rapporto con l’altro sesso che si caratterizza come una “fuga” dalle responsabilità, mantenendole in uno stato di dipendenza, legata alla figura dell’“eroe” senza il quale sono incapaci di esprimere il loro potenziale. Molti autori hanno osservato come, negli ultimi anni, si sta assistendo a un riemergere di rappresentazioni femminili estremamente tradizionali e tipizzate, che sembrano voler riportare indietro di parecchi anni le lancette dell’orologio. Tra gli altri Peter Glick e Susan T. Fiske affermano che, in particolare nelle rappresentazioni mediali, sta emergendo una raffigurazione femminile che vuole nuovamente le donne legate a un’idealizzazione quasi “stilnovista” in cui esse sono romantiche, fragili e bisognose di protezione (Glick, Fiske, 2001, p. 112). Loredana Lipperini parla di una tendenza alla re-genderization, ovvero un ritorno a una suddivisione in generi, con un’attribuzione molto netta e rigida delle caratteristiche tradizionali associate 28 all’identità maschile e a quella femminile, sottolineando come le rappresentazioni mediali rappresentino il luogo in cui vengono raccolti e amplificate delle tendenze già presenti nella società (Lipperini, 2007, pp. 6970). Come ha evidenziato lo studioso Dimitris Theodossakis i personaggi mediali possono diventare per gli adolescenti dei veri e propri oggetti transazionali; dunque, se pure è vero che tali oggetti mediali “ritrasmettono” delle linee di tendenza già presenti nella società, è altrettanto vero che le consolidano, portando i giovani spettatori ad adattarvisi. E, ove tali prodotti culturali riproducono e incoraggiano rappresentazioni tradizionali e stereotipate, appare evidente che questi stessi modelli risultino come quelli da cui il pubblico adolescente rimane maggiormente influenzato, limitando le possibilità offerte loro dai processi di identificazione quale strumento di crescita e di evoluzione personale (Theodossakis, 2009, p. 175). Angela E. Hubler sottolinea come i Media Narrativi «possano giocare un ruolo importante nella costruzione dell’identità femminile» perché essi sono in grado di fornire «l’opportunità per esperienze vicarie» e quindi, se le ragazze si trovano di fronte a rappresentazioni femminili fragili, dipendenti e passive (invece che forti, indipendenti e assertive) questo può rafforzare l’assunzione di un identità di genere tradizionale 37 (Hubler, 2000, p. 90-91). Oltre a ciò, Jacqueline Reid-Walsh afferma che «nella cultura popolare contemporanea possiamo vedere la rappresentazione delle ‘dodicenni’ come già fortemente femminilizzate [hyper-feminine] e la diffusione della “junior chick lit”» 38 nella quale ragazzine sono rappresentate come superficiali, vanesie, emotive e passive, incoraggiando l’idea che questo sia «il modo giusto per essere una ragazza» e di conseguenza ostacolando una definizione autonoma di sé (Reid-Walsh, 2006, p. 145). A tal proposito Judith Butler afferma che la rappresentazione di genere deve essere decostruita a partire dalla «singola norma», frutto di una società totalizzante incapace di riconoscere e promuovere la distruzione del «genere binario». In altre parole, secondo la studiosa, è necessario partire dalla consapevolezza che la società produce sui soggetti un’influenza omologante, e che tale orientamento è particolarmente evidente nella definizione dell’identità di genere (Butler, 2006, p. 48, p. 197). Questo può incoraggiare «il perpetuarsi di una disparità di genere attraverso il rafforzamento dell’ideale tradizionale di femminilità» 39 (Diekman, Murnen, 2004, p. 375). La funzione pedagogica dei Media Narrativi e della Letteratura si rende manifesta soprattutto nella definizione dei personaggi, poiché è attraverso i processi di identificazione che i ragazzi trovano occasione per «riflettere su sé stessi» (Blezza Picherle, 2004, p. 282), e i media cambiano i processi di costruzione del sé attraverso la loro pervasività simbolica (Thompson, 1998, p. 210). Dunque, poiché è ormai assodato che i media forniscano, all’interno dello sviluppo individuale, un ruolo di auto-formazione, in particolare riguardo ai processi di costruzione dell’identità (Thompson, 1998, pp. 294-295), la popolarità di queste figure femminili fragili e sottomesse rappresentano da una parte un campanello d’allarme per la “devoluzione” sociale già in atto, e dall’altra un rischio emergente per le nuove generazioni. (Per la bibliografia di riferimento si veda il saggio di Roberta Silvia indicato nella nota 7). 37 Libera traduzione dall’originale. Libera traduzione dall’originale. 39 Libera traduzione dall’originale. 38 29