La dominazione del fantasy

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La dominazione del fantasy
CORSO di laurea
Scienze dell’Educazione
(D.M. 270- nuovo ordinamento)
DISPENSA
(parte seconda)
Corso di
LETTERATURA PER L’INFANZIA
(6 cfu)
docente: Silvia Blezza Picherle
RACCOLTA ANTOLOGICA
La Letteratura fantasy
Anno Accademico 2013 – 2014
N.B. Saranno oggetto di esame i saggi sulla letteratura
fantasy.
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La dominazione del fantasy
Esplorando la mappa del fantasy 1
di Roberta SILVA
Le ragioni di un successo: due teorie a confronto
La nostra è un’epoca dominata dal fantasy. È sufficiente entrare in una libreria, in una videoteca o in un
cinema per rendersi conto che questo genere si diffonde in ogni media. Anche se si avverte la sensazione che
il fenomeno abbia superato i momenti quasi “fanatici”, coincisi con l’uscita dei film di Peter Jackson, dedicati
alla trilogia di John Ronald Reuel Tolkien Il signore degli anelli, o i momenti di picco del “fenomeno Harry
Potter”, tuttavia è innegabile che il fantasy rappresenti il genere che negli ultimi anni ha goduto di maggiore
popolarità.
Risulta quasi impossibile non porsi la domanda: quali sono le ragioni del successo del fantasy? Perché
milioni di persone hanno riscoperto il fascino di questo genere, a metà tra avventura, fiaba ed allegoria?
Risulta evidente che qualcosa di profondo in questo modo di narrare storie ha avvinto il loro immaginario,
ma cosa?
William Grandi nel suo Infanzia e mondi fantastici (2007) descrive le fortune del fantasy come un percorso
caratterizzato da una linea sinusoidale. Il primo periodo di grande diffusione della letteratura fantasy fu la
fine degli anni Trenta, segnati dall’uscita di opere come Lo Hobbit di Tolkien (1937) o La spada nella roccia
di Terence Hanbury White (1938). La seconda fase di “esplosione” del fantasy si identificò invece con la
seconda metà degli anni Cinquanta, segnata dall’uscita della trilogia de Il signore degli Anelli (1954), da
quella de Le cronache di Narnia (1956) di Clive Staples Lewis e dai romanzi della saga arturiana di T.H.
White come Re in eterno (1958). La terza fase di diffusione del fantasy è quella attuale, che ha avuto inizio
nella metà degli anni Novanta, e finora si è caratterizzata come la “curva” più ampia del suo successo.
(Grandi, 2007, 92-96)
William Grandi sottolinea come, analizzando questa evoluzione, non può non colpire che i periodi in cui il
fantasy ha riscosso grande successo sono coincisi con gravi crisi a livello mondiale: la fine degli anni Trenta
con il fantasma della Seconda Guerra Mondiale che avanzava sull’Europa, la seconda metà degli anni
Cinquanta con il periodo più doloroso della Guerra Fredda e, quanto alla nostra epoca, è evidente come il
periodo di crisi aperto alla metà degli anni Novanta dai problemi sempre più pressanti causati dalla carenza
di cibo nei paesi del Terzo Mondo, dalla conseguente ondata di immigrazione incontrollata, dalla squilibrio
del nostro ecosistema e dalla crisi delle energie, si sono cronicizzati con l’esplosione del terrorismo e la
successiva frattura tra mondo orientale e mondo occidentale. (Grandi, 2007, 116-118)
William Grandi propone a conclusione di questa lettura propone quella che si potrebbe definire come “la
teoria dell’assedio”, ovvero l’idea che il genere fantasy trovi maggior successo in quei periodi della storia
dell’uomo in cui si ha la sensazione di essere “sotto tiro”. Dunque epoche di dolore e di lotta, il cui esito
incerto ci fa sperare che, come accade spesso nei fantasy, la fazione che sentiamo “nostra” riesca in qualche
modo a prevalere. (Grandi, 2007, 118-119)
Secondo questa prospettiva il successo del fantasy risiede nel saper fornire l’immagine di un mondo,
complesso ma coerente a se stesso, entro il quale esistono delle regole sicure, entro cui la virtù viene premiata,
il coraggio trova la sua consacrazione, la bontà il suo trionfo. Un mondo insomma che, per quanto stravolto
dal dolore, dall’ingiustizia, dalla paura, dalla violenza e dall’incertezza, alla fine di lunghe traversie trova un
La dominazione del fantasy. Esplorando la mappa del fantasy, “Il Pepeverde – rivista di letture e letterature per
ragazzi”, n. 37, luglio-settembre 2008, pp. 3-5.
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proprio ordine. E la fiducia in questo “happy end”, comune a molti fantasy anche se non necessariamente de
rigueur, costituisce un elemento fondamentale del suo fascino.
Tuttavia Maria Nikolajeva sottolinea come, anche se questa sia una visione del fantasy particolarmente
diffusa tra critici ed esperti, esiste anche un’altra corrente di pensiero che ritiene il genere particolarmente
adatto per riflettere, attraverso complesse analogie e metafore, sul mondo odierno. (Nikolajeva, 2006, 58).
Sono note, ad esempio, le similitudini che sono state lette, a volte anche andando ben oltre le intenzioni dello
stesso autore, all’interno de Il signore degli anelli. Vi è chi, ad esempio, ha voluto vedere nella collocazione
delle Terre di Mordor a est un analogia con i pericoli che in piena Guerra Fredda venivano collocati a Oriente.
Altri vi hanno visto un paragone con le vicende che hanno sconvolto l’Europa durante la Seconda Guerra
Mondiale. Altri ancora hanno vi hanno scorto una parabola ecologista centrato sull’opposizione tra popoli
che sanno vivere in accordo con la natura, come gli elfi e gli hobbit, e coloro che invece la sfruttano e la
devastano, come Saruman e i guerrieri Huruk-hai. (Carpenter, 1990, 344-346)
Insomma secondo quest’ottica il fantasy non è solo un universo immaginario in cui richiudersi per non
vedere quello che c’è attorno a noi, ma un modo per ragionare su questioni che interrogano fortemente la
nostra coscienza e il nostro mondo, attraverso però una modalità diversa, più interpretativa e “analogica”. In
questo senso il fantasy ha un valore fortemente ideologico, perché spinge i lettori, in particolare i giovani
lettori, ad aderire a valori e ideali quali il coraggio, l’integrità, il senso di responsabilità, la giustizia, il rispetto
di sé e degli altri e la lealtà. (Nikolajeva, 2006, 62)
Alla ricerca di una terza via
Si è dunque passati da una visione del fantasy come qualcosa di consolatorio e “conservatore”, che racchiude
il suo fascino nella capacità di trasportarci in un “altrove” totalmente nostro, colorato esclusivamente dalla
nostra fantasia, a una sua lettura quasi “rivoluzionaria”, che fa di esso un genere in grado scatenare in noi
reazioni forti e compiere una vera e propria “educazione ideologica” attraverso i valori di cui è portatore.
Se così non fosse non si spiegherebbero le forti reazioni della società civile nei confronti di molti romanzi
fantasy. Ne è un esempio l’ampissimo dibattito suscitato nel 1976 negli Stati Uniti, dal romanzo di Marion
Zimmer Bradley, intitolato La catena spezzata. Da una parte l’ala radicale del femminismo americano
sosteneva che il romanzo fosse reazionario e rinnegasse le recenti conquiste delle donne all’interno della
società civile; dall’altra l’autrice, e un movimento di opinione pubblica nato a suo sostegno, riteneva invece
che esso, sotto il velo dell’analogia, proponesse un femminismo in grado di superare la guerra tra i sessi
attraverso una riscoperta della dignità di entrambi i generi, come reale realizzazione delle “pari opportunità”
tra uomo e donna. (Zimmer Bradley, 2003, 5)
Ma a mio parere non è necessario vedere queste due interpretazioni del fantasy come opposte e
inconciliabili l’una con l’altra, perché forse la spiegazione più logica e completa le ingloba entrambe. Credo
che il vero segreto del fantasy risieda proprio nella sua capacità di trasportare il lettore in un mondo diverso,
di sostituire la sua realtà con la nostra, riuscendo però allo stesso tempo a lasciarci, al momento di chiudere
la copertina del libro, con un’idea, una suggestione, una sensazione forte da trasportare nella nostra realtà.
Lo scopo del fantasy è dunque quello di farci riflettere, in modo inconsapevole e proprio per questo più
profondo, sui temi del nostro tempo, al fine di costruire un universo valoriale di riferimento. E quindi la
chiave del suo successo consiste proprio nel suo saperci dire qualcosa di noi facendoci allo stesso tempo
immergere in mondo lontani.
A mio parere il fatto che il fantasy ottenga maggiore popolarità nei momenti in cui predomina un clima di
incertezza, acquista un senso molto preciso se pensiamo a quanto, in particolare nei momenti di grande
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complessità, risulti più facile ragionare “per analogia”. Il ragionamento per analogia costituisce infatti una
risorsa naturale dell’intelligenza umana proprio nei momenti di difficoltà, e cioè quando, abbandonando le
solide sponde del conosciuto, ci avventuriamo verso realtà di cui non abbiamo esperienza e che ci spaventano.
In questo caso riuscire a stabilire connessioni e similitudini, anche inconsce, attraverso quella che viene
definita da Dedre Gentner come “teoria del mapping”, tra ciò che ci è noto e ciò che ci apprestiamo a
conoscere, rappresenta una modalità conoscitiva allo stesso tempo efficace e rassicurante (Cacciari, 1991, 274)
Non risulta quindi improbabile l’ipotesi che, proprio quando la realtà attorno a noi diventa più intricata e
minacciosa, rivolgersi a un mondo forse altrettanto sinistro ma nel complesso più semplice e comprensibile
come quello del fantasy, può risultare un modo spontaneo e disteso per entrare in contatto con tematiche e
valori come il coraggio, la lealtà, la responsabilità e l’amicizia, ma più in generale per riflettere sulla natura
del uomo, sulle sue motivazioni e sulle relazioni che intesse con gli altri esseri umani e con la società in cui è
inserito.
Dunque in questa ottica il fantasy sfrutta la sua grande capacità di astrarre il lettore, di portarlo in un’altra
dimensione, per liberarlo dai lacci che lo legano alla realtà quotidiana. Esso diventa quasi un microcosmo,
solo apparentemente isolato dall’universo che lo circonda, in cui mettere alla prova la nostra visione del
mondo per poi tornare alla vita di tutti i giorni arricchiti dalle scoperte che siamo stati in grado di fare grazie
al confortevole isolamento che esso è stato in grado di regalarci.
E proprio per questa ragione credo sia importante, per chiunque si interessi di letteratura ma
particolarmente per coloro che si occupano di letteratura per l’infanzia, negli ultimi anni così chiaramente
influenzata dal fantasy, iniziare un percorso di analisi, approfondito ed equanime, volto a esaminare con
attenzione questo genere, così da poterne portare alla luce caratteristiche e peculiarità, e soprattutto così da
potersi confrontare con il mare magnum della sua produzione alla ricerca di ciò che di meglio essa ha da
offrirci.
Bibliografia
Baker, D. F., What We Found on Our Journey through Fantasy Land, “Children’s Literature in Education”,
37, 237-251, 2006.
Carpenter, H., Tolkien, C., La realtà in trasparenza, Rusconi, Milano 1990.
Cacciari, C., Teorie della metafora: l'acquisizione, la comprensione e l'uso del linguaggio figurato, Cortina,
Milano 1991.
Gaiman, N., Stardust, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2005.
Gaiman, N., Il cimitero senza lapidi e altre storie, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2007 (A).
Gaiman, N., (intervista), Neil Gaiman: il signore dei sogni, “D” di “Repubblica”, 15 settembre 2007 (B).
Grandi, W., Infanzia e mondi fantastici, Bonomia University Press, Bologna 2007.
Lewis, C.S., Le cronache di Narnia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2005.
Nikolajeva, M., Fantasy in Zipes J. (a cura di), The Oxford encyclopedia of children’s literature, v. 2, Oxford
University Press, Oxford 2006, pp.58-62.
Nikolajeva, M., Fantasy Literature and Fairy Tales, in AA,VV., The Oxford Companion to Fairy Tales,
Oxford University Press, 2005.
Tolkien, J.R.R., Lo Hobbit (O la conquista del tesoro), Rusconi, Milano 1991.
Tolkien, J.R.R., L’albero e la foglia, Rusconi, Milano 1992.
Tolkien, J.R.R., Il signore degli anelli, Bompiani, Milano 2000.
White, T.H., La spada nella roccia, Mursia, Milano 1973.
White, T.H., Re in eterno, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1989.
Zimmer Bradley, M., La catena spezzata, TEA, Milano 2003.
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Oltre il recinto sacro
Nel mondo del fantasy 2
di Roberta SILVA
Nel bosco del fantasy
Come ha acutamente sottolineato Ermanno Detti nel suo articolo “Ma sul fantasy bisognerà fare giustizia”,
pubblicato nel numero 37 di questa rivista, il fantasy è oggi un fenomeno invasivo, un fenomeno che ha
segnato una generazione di lettori in modo chiaramente ambivalente. E tuttavia spesso appare ancora come
una sorta di “recinto sacro” entro il quale o si entra con adesione totale e, prevalentemente, acritica, o si
rimane tagliati fuori. Appare quindi più che mai necessario seguire il consiglio dello studioso e proseguire la
ricerca di una “chiave nuova per interpretare” il fantasy, nel tentativo di soppesarne potenzialità e limiti, luci
ed ombre.
A mio parere quest’analisi non può che partire da una mappa del genere, che ci aiuti a studiarne i
confini. Tuttavia chiunque si sia avvicinato al fantasy ha ben presto compreso come esso sia caratterizzato da
una forte molteplicità di strutture, cosa che ne rende difficile una definizione chiara e univoca. Se scorriamo
la Oxford Enciclopedia of Children’s Literature, curata da Jack Zipes, fino alla voce “Fantasy”, ci accorgiamo
in primo luogo che Maria Nikolajeva, a cui è stato affidato il difficile compito di redigere questo lemma,
sottolinea come il termine abbia in sé una complessità e un’ambiguità non completamente definibile. Una
divisione abbastanza diffusa, anche se in un certo senso generica, divide il genere tra il fantasy “classico”
(come ad esempio le opere di Tolkien o di Lewis) e il fantasy in cui predomina uno stile più “epico”, legato
alle saghe nordiche, noto come heroic fantasy o anche “sword-and-sorcery”, il cui massimo rappresentante
è Robert E. Howard, noto per la serie dedicata a Conan il Barbaro. Questa definizione però è solo
apparentemente chiara e semplice poiché non solo non è universalmente accettata, ma anche perché, alcune
comunità di appassionati hanno contestato l’identità tra heroic fantasy e “sword-and-sorcery”, rivendicando
sottili ma a loro parere rimarchevoli differenze tra i due sottogeneri.
Inoltre proprio la sua complessità, e forse anche la sua attuale fioritura, ha inevitabilmente portato il
fantasy ad articolarsi in una pluralità piuttosto ampia di identità: possiamo trovare il fantasy gotico o dark
(come Twilight di Stephenie Meyer), lo science fantasy (come I predatori blu di Eoin Colfer), il fantasy
contemporaneo (come Le fate sotto la città di Holly Black) oppure quello storico (come Il libro del drago di
Matthew Skelton), e ancora molte altre espressioni in cui il genere si è ramificato.
Questa molteplicità di prospettive, a cui si somma l’odierna tendenza alla contaminazione dei generi
letterari, rende difficile tracciare una “carta d’identità” del fantasy che sia esaustiva e completa, tuttavia ci
sono alcune caratteristiche che ritornano frequentemente e che, in modo più o meno canonico, si ricollegano
al genere.
Le carta d’identità del fantasy
Qualunque discorso sul fantasy non può che iniziare dai debiti che tale genere ha con la fiaba e con il mito.
Riguardo a ciò la testimonianza senza dubbio più autorevole è quella di Tolkien; nel suo saggio On Fairy
Stories, pubblicato all’interno del volume Tree end Leaf (L’albero e la foglia) del 1964, l’autore dichiara il
debito esplicito del fantasy nei confronti della fiaba, poiché entrambi si collocano in un “secondo mondo”
(Secondary World) caratterizzato dalla magia e dal fantastico, diverso da quello della nostra quotidianità
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Oltre il recinto sacro. Nel mondo del fantasy, “Il Pepeverde – rivista di letture e letterature per ragazzi”, n. 38, ottobredicembre pp. 5-8.
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(Primary World). Secondo Tolkien la differenza fondamentale tra fantasy e fiaba risiede nel fatto che mentre
nel primo rimane sempre un rapporto, anche solo allegorico, tra Primary e Secondary World, nella fiaba
l’immersione nel Secondary World è totale. Inoltre lo scrittore sostiene che l’immersione nel Secondary
World si possa “attivare” solo grazie a un processo simile a quello che si instaura nei confronti della religione
o, più anticamente, del mito. Egli infatti parla per il fantasy di un “credenza secondaria” (Secondary Belief)
paragonata alla “credenza primaria” (Primary Bilief) che si innesca nei confronti delle convinzioni religiose,
attraverso quella che definisce la “sospensione dell’incredulità” (Suspension of Disbilief) [Tolkien, 1992].
Detto questo bisogna sottolineare come nel fantasy esistano degli elementi e delle caratteristiche
ricorrenti, che costituiscono delle costanti. Una di questa è senza dubbio la magia: William Grandi ha
sottolineato come la magia nei libri fantasy assuma caratteristiche peculiari in virtù del suo saper essere non
solo maligna e inquietante, come avviene ad esempio nell’horror, ma anche “positiva, salvifica e divertente”
[Grandi, 2007, p. 87]. A questo proposito Jean Rogers osserva come alcuni autori, tra cui Terry Pratchett e J.
K. Rowling, hanno saputo dosare magia ed umorismo, sfatando il mito secondo cui il fantasy è un genere
cupo e lugubre [Rogers, 2000]. Inoltre appare interessante osservare come in molti romanzi la magia, in
particolare la magia “bianca”, sia rappresentata come qualcosa di strettamente connaturato ai protagonisti,
di intimamente connessa con il loro essere: Harry Potter trova la sua vera dimensione solo quando scopre la
sua “essenza” magica, Gandalf fa fluire dentro di sé la magia della Natura, mentre i protagonisti della saga di
Darkover usano il laran, i poteri paranormali in possesso dei Comyn, con la naturalezza con cui si usa un
dono naturale.
Un caratteristica del fantasy che spesso si lega alla magia è l’utilizzo del meraviglioso, dell’inusuale,
utilizzato quasi come una sorta di cartina di tornasole, come un segnale che ci indica il nostro ingresso in un
mondo diverso, quello appunto del fantastico. Il ricorso al meraviglioso viene spesso utilizzato anche per
“catturare” il lettore, facendo leva sul fascino strisciante che esso esercita su di noi. A questo proposto
sempre Jean Rogers osserva come molto dell’umorismo presente in un personaggio come Arthur Weasley, il
padre di Ron nella serie di Harry Potter, è dovuto al fatto che tutto il richiamo che “l’uomo comune” sente per
il meraviglioso egli lo avverte per quelle che vede come le “magie” del mondo babbano, come le prese
elettriche o il telefono.
Un'altra caratteristica del fantasy è senza dubbio il ricorso al concetto di Altrove, che William
Grandi, richiamando la teorizzazione di Antonio Faeti, identifica come “uno spazio e un tempo fortemente
differenziati dal nostro presente concreto” [Grandi, 2007, p. 85]. In realtà tale elemento ritorna sovente nei
romanzi d’evasione, partendo dal racconti d’avventura fino ad arrivare a quelli “rosa”, tuttavia nel fantasy la
dimensione di una realtà “altra”, lontana ed esotica rispetto alla nostra, ritorna in modo abbastanza costante
e peculiare.
Un Altrove spesso utilizzato nei romanzi fantasy è il passato. Anche se oggi, come sottolineato
parlando delle diverse “articolazioni” del genere, fioriscono fantasy con ambientazione contemporanea se
non addirittura metropolitana (come quelli di Stephenie Meyer o di Holly Black) il fantasy “classico” si è
sempre nutrito di passato, in particolare di un passato colorato di Medioevo, caratterizzato da atmosfere
oscure, da scontri epici e da grandi passioni [Grandi, 2007, p. 84]. Scott Bakker associa questa caratteristica
del fantasy con il rifiuto di un mondo in cui la scienza rischia di soffocare l’uomo, facendo emergere la
nostalgia per un “illusorio stato di amore, bellezza e bontà”, che diventa un altro leitmotiv di una parte del
genere, associandosi spesso alle atmosfere crepuscolari e al rimpianto per un innocenza perduta [Bakker,
2000].
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Un elemento che spesso si lega alla nostalgia e al passato è il ruolo rivestito dalla natura: sovente al
rimpianto per un epoca in cui “amore, bellezza e bontà” erano ancora possibili, si associa quello per un
mondo in cui la potenza e la sfavillante bellezza del creato costituivano la cornice dell’agire umano. Appare
interessante osservare la possanza e la maestà con cui, in molti fantasy, viene rappresentato l’elemento
naturale, come nella descrizione della distruzione della Torre di Isengard da parte degli Ent, i pastori d’alberi,
ne Il Signore degli anelli o come quando una giovane Comyn scatena la violenza della bufera contro gli
assedianti ne La signora delle tempeste di Marion Zimmer Bradley. Quella che emerge è dunque una visione
della natura intimamente compenetrata delle forze del creato, culla di una dimensione intensa e selvaggia
entro cui si possa ancora trovare spazio un sentire umano puro, volitivo e intrepido.
Gli stilemi
A tali caratteristiche si associano spesso degli stilemi, o meglio dei topoi ricorrenti che, pur non essendo
esattamente delle peculiarità fondanti, ritornano con una certa frequenza nel genere. Uno di essi è senza
dubbio quello legato alla morte e immortalità. Se prediamo ad esempio due tra i romanzi fantasy più
amati dal pubblico, le già citate saghe di Harry Potter e de Il Signore degli Anelli, ci si può facilmente rendere
conto di quanto tali temi siano centrali. L’intera epopea di Tolkien è pervasa dallo spettro della morte, sia
morale che fisica, ma anche dal suo legame con l’immortalità, simboleggiato dall’amore tra Aragon, re
combattente e mortale, e Arwen, figlia immortale del re degli elfi. Per quanto riguarda i libri della Rowling in
essi la morte è sempre presente, a partire dalla condizione di orfano di Harry fino ad arrivare alla scomparsa
di Silente, tuttavia è l’ultimo episodio della saga quello che, fin dal titolo, si dimostra centrato sul tema della
morte e dell’immortalità. In Harry Potter e i doni della morte infatti Harry si scoprirà destinato a sacrificare
la sua vita in olocausto per la distruzione di Lord Voldemort, ma scoprirà anche che “vi sono cose assai
peggiori nel mondo dei vivi che morire” [Rowling, 2007, p. 662] e che l’immortalità del cuore e dell’anima
può sconfiggere la mortalità dei corpi.
Un altro stilema che ricorre frequentemente nei romanzi fantasy è quello della ricerca, che,
riallacciandosi ai cicli bretoni, riprende le lunghe traversie dei cavalieri di Artù all’ “inseguimento” del Graal.
Anche in questo caso appare opportuno citare Harry Potter e i doni della morte, poiché l’intero romanzo è
centrato su una ricerca che, come nella migliore tradizione del genere, riguarda degli oggetti magici, ed è
caratterizzato da lunghe peregrinazioni. William Grandi riguardo al tema della ricerca ha acutamente
osservato come Il Signore degli Anelli sia in realtà la storia di una ricerca “al contrario”, poiché in esso il
lungo viaggio non porta alla scoperta dell’oggetto magico bensì alla sua distruzione [Grandi, 2007, p. 106].
Un topos che si rivela basilare, e che appare strettamente legato con quelli appena illustrati, è la
lotta tra bene e male. Anche se tale elemento non rappresenta un must e oggi molta produzione sceglie di
discostarsi da una dicotomia manichea tra questi due poli, tuttavia nella maggior parte dei fantasy si ritrova
questa contrapposizione che generalmente termina con la vittoria del bene, impersonato dall’eroe.
La presenza dell’eroe, infatti, costituisce un altro elemento ricorrente: l’eroe, e in particolare l’eroe
puro, che passa in mezzo al dolore, all’angoscia e anche alla disperazione senza macchiare con l’odio o
l’insensibilità la sua limpidezza, costituisce una figura centrale in molti fantasy. Sharon Black, basandosi
sulle delle teorie di Joseph Campbell e Bruno Bettlheim, definisce l’eroe del fantasy come il simbolo della
speranza, insita in ognuno di noi, che esista, ancora qualcosa di incontaminato, di buono e di luminoso per
cui combattere, e qualcuno che sappia assumere su di sé la responsabilità di farlo [Black, 2003].
William Grandi identifica nella responsabilità un topos del fantasy: egli tratteggia questa tematica
come strettamente connessa al concetto del libero arbitrio, così come appariva nella visione di Tolkien che
fece di esso un punto nodale della sua poetica, strettamente unito al concetto di tradizione e di autorità.
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Tuttavia Grandi ricorda anche come esistano scrittori di fantasy, tra cui Philip Pullman, che esprimano il
concetto di responsabilità in modo nettamente diverso, non più come rispetto della tradizione ma piuttosto
come presa di posizione individuale. A questo proposito Kristine Moruzi sottolinea come i suoi protagonisti
di Philip Pullman scoprano a proprie spese il dolore e il sacrificio insiti nella necessità di fare scelte
indipendenti, liberandosi dalla dipendenza e dal condizionamento; essi rappresentano il valore della
disubbidienza che sa assumere su di sé la responsabilità delle proprie scelte e sa opporsi a ciò in cui non
crede [Moruzi, 2005]. Similmente in Harry Potter e l’ordine della Fenice Harry si ribella alle ipocrisie del
Ministero della Magia e infrange le assurde regole della Umbridge, disposto a sopportare
le sadiche
punizioni della donna piuttosto che a rinnegare ciò che sa essere la verità.
Esplorando la mappa del fantasy
Quella qui descritta non vuole certo essere una fotografia dettagliata dei volti in cui il fantasy si offre; è forse
più simile a una di quelle mappe, sfumate e intuitive, che a volte si trovano in appendice ai romanzi del
genere. Si tratta insomma di una struttura indicativa che vorrebbe sostenere il lettore durante il viaggio nel
complesso labirinto del fantasy, fornendogli un piccolo appiglio su cui far leva nella scoperta di un mondo
così vasto e, a volte, così magmatico.
Bibliografia
Bakker, R. S., Why Fantasy and Why Now?, www.sffworld.com, articolo datato 14 giugno 2000 (ultimo
accesso al sito 15 settembre 2008).
Black H., Le fate sotto la città, Arnoldo Mondadori, Milano 2006.
Black, S., The magic of Harry Potter: symbols and heroes of fantasy, “Children’s Literature in Education”,
vol. 34, n. 3, settembre 2003.
Colfer, E., I predatori blu, Arnoldo Mondadori, Milano 2004.
Detti, E., “Ma sul fantasy bisognerà fare giustizia”, Pepe Verde, 37, 2008, pp. 5-6.
Grandi, W., Infanzia e mondi fantastici, Bonomia University Press, Bologna 2007.
Meyer, S., Twilight, Fazi Editore, Roma 2007.
Moruzi, K., Missed Opportunities: The Subordination of Children in Philip Pullman’s His Dark Materials,
“Children’s Literature in Education”, vol. 36, n. 1, marzo 2005.
Nikolajeva, M., Fantasy in Zipes J. (a cura di), The Oxford encyclopedia of children’s literature, v. 2, Oxford
University Press, Oxford 2006, pp.58-62.
Nikolajeva, M., Fantasy Literature and Fairy Tales, in AA,VV., The Oxford Companion to Fairy Tales,
Oxford University Press, 2005.
Rogers, J., Any fantasy you like, so long as it's medieval, www.sffworld.com, articolo datato 23 marzo 2000
(ultimo accesso al sito 15 settembre 2008).
Rowling, J.K., Harry Potter e l’ordine della fenice, Salani, Milano 2003.
Rowling, J.K., Harry Potter e i doni della morte, Salani, Milano 2007.
Skelton, M., Il libro del drago, Arnoldo Mondadori, Milano 2007.
Tolkien, J.R.R., L’albero e la foglia, Rusconi, Milano 1992.
Tolkien, J.R.R., Il Signore degli anelli, Bompiani, Milano 2000.
Zimmer Bradley, M., La signora delle tempeste, TeaDue, Milano, 1989.
“Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi”3
Fantasy e letteratura di consumo 4
di Roberta SILVA
Dopo aver parlato delle ragioni del successo del fantasy e dei suoi risvolti interpretativi, delle sue
caratteristiche e dei suoi stilemi ricorrenti appare ora interessante affrontare un problema cruciale: come si
riconosce un fantasy “di qualità”? E soprattutto, esiste un fantasy “di qualità”?
Frase attribuita ad Arnaldo di Cîteaux, un monaco cistercense, in occasione del Massacro di Béziers (22 luglio 1209), e
riportata da un altro cistercense, Cesario di Heisterbach, nel suo Dialogus miraculorum (1230).
4 Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi. Fantasy e letteratura di consumo, “Il Pepeverde – rivista di letture e letterature
per ragazzi”, n. 41, luglio-settembre, p. 39-43.
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Il fantasy è stato considerato per anni quasi l’epitome della “letteratura di genere” e più ancora della
“letteratura di consumo”. Janice M. Bogstad, parlando del fenomeno del Mass Market Fiction, sottolinea
come il fantasy, insieme alla letteratura “gialla”, sia stato un vero e proprio “precursore” di quei fenomeni di
diffusione capillare che hanno caratterizzato la letteratura di consumo (Bogstand, 2006, p. 38). Questo ha
causato non pochi equivoci e fraintendimenti, che hanno portato spesso alla “ghettizzazione” in blocco di
tutta la letteratura di genere.
Come prima cosa appare opportuno tracciare brevemente la differenza tra letteratura di consumo e
letteratura di genere, concetti spesso usati come equivalenti ma che equivalenti non sono. Con il termine
“letteratura di genere” si intende solitamente un
romanzo che aderisce a un preciso filone narrativo
sposandone le convenzioni, cioè "quelle specifiche ambientazioni, quei personaggi, quegli avvenimenti e quei
valori che caratterizzano i singoli generi e i loro sottogeneri" (McKee, 1997, p. 127). Ovviamente tali
convenzioni non rappresentano dei diktat inderogabili, ma si definiscono come tendenze implicite, mutevoli,
che confluiscono le une nelle altre in modo a volte inavvertito. Anzi, spesso proprio gli scrittori di valore sono
anche coloro che maggiormente sono in grado di “giocare” con le convenzioni e con i modelli “tradizionali”,
lasciandone la pedissequa esecuzione ai colleghi meno dotati.
Con il termine “letteratura di consumo” si intende invece un prodotto pensato esplicitamente per la
distribuzione al grande pubblico, basato quindi su un’analisi “preventiva” di quelli che sono i gusti dei
probabili fruitori, a cui segue solitamente la stesura di un’opera che sappia rispondere alle esigenze messe in
luce da tale indagine. Un romanzo “di consumo” solitamente si basa sull’utilizzo di cliché e stereotipie
facilmente riconoscibili anche dal lettore meno esperto, sulla definizione di personaggi semplici e
bidimensionali, su trame prevedibili e su una prosa semplice, banale e banalizzante (Bogstand, 2006, p. 38).
Questa realtà ha portato spesso a un falso sillogismo. Infatti, poiché una certa parte della letteratura di
consumo era rappresentata dalla letteratura di genere (tra cui il fantasy) e poiché tale letteratura di consumo
era caratterizzata da una qualità scarsa, ipso facto tutta la letteratura fantasy (così come, in linea più ampia,
tutta le letteratura di genere) doveva essere classificata come un prodotto di scarsa qualità. Il collegamento
che spesso è stato fatto è infatti il seguente: fantasy uguale letteratura di genere; letteratura di genere uguale
letteratura di consumo; letteratura di consumo uguale letteratura di bassa qualità; quindi fantasy uguale
letteratura di bassa qualità.
Ovviamente questa visione è parziale e superficiale, così come lo sarebbe mettere sullo stesso piano Il nome
della rosa di Umberto Eco con i romanzi “commerciali” di Candance Robb 5 per il semplice motivo che
entrambi sono basati sulla detection ed ambientati in epoca medioevale. Un’opera di genere ha senza dubbio
una buona probabilità, essendo legata alle leggi di mercato, di diventare un’opera di consumo, ma tale
equivalenza appare ben lontana dall’essere una tautologia.
Giuseppe Petronio ha sottolineato come spesso vi sia della superficialità, per non dire dello snobismo o dei
preconcetti, nell’analizzare la letteratura di genere. Egli ha infatti sottolineato come alcuni critici abbiano la
tendenza a “etichettare” in partenza un romanzo di genere come “letteratura di consumo”, assumendo che,
per il semplice fatto di appartenere a un filone narrativo, esso non possa essere dotato delle caratteristiche e
delle qualità di un opera di “alta letteratura” (Petronio, 1979, pp.IX-X).
È importante sottolineare quindi come un’opera di genere non sia necessariamente assimilabile a un’opera
di consumo, ma possa identificarsi come un prodotto di consumo o un prodotto di qualità per ragioni che
sono indipendenti dal suo appartenere al filone fantasy o a quello noir. A definirne la bontà letteraria ed
Candance Robb ha scritto circa quindici romanzi ambientati nella York della seconda metà del 1300, che hanno come
protagonisti l'arciere gallese Owen Archer, una sorta di investigatore al servizo dell'arcivescovo di York John Thoresby.
5
9
artistica sono ben altre caratteristiche, evidenziate dall’analisi narrativa: ci si riferisce ai personaggi, alle
tematiche e allo stile.
La qualità della scrittura rappresenta un elemento essenziale per valutare il valore di un romanzo: la
cura dei dettagli, l’efficacia delle descrizioni, la vividezza delle rappresentazioni, la profondità dei monologhi,
la spontaneità dei dialoghi e la raffinatezza nell’uso delle tecniche narrative sono elementi imprescindibili di
una letteratura di qualità. (Blezza Picherle, 2004, pp. 231-276; Blezza Picherle, 2007, pp. 191-221). Ed è
innegabile che i migliori fantasy possano vantare uno stile in grado di testimoniare queste caratteristiche.
La scelta di affrontare “grandi tematiche” esistenziali (quali la ricerca dell’identità, la diversità, il conflitto
o il ruolo delle relazioni interpersonali) in modo non semplicistico, facendone emergere tutta la complessità e
l’ambiguità, rappresenta la cifra distintiva di un’opera che si distacca dai fini consolatori della letteratura di
consumo per aprire, di fronte agli occhi dei lettori, gli orizzonti ampi di un mondo articolato e intricato
(Blezza Picherle, 2004, pp. 159-173). E anche in questo caso è possibile rilevare come i romanzi fantasy di
maggior valore siano in grado, spesso attraverso il velo dell’allegoria, di fare riflettere il lettore riguardo a
cruciali nodi tematici.
Similmente è la complessità dei personaggi che, allontanandosi dalla rigida griglia bidimensionale di
tanta letteratura “usa e getta”, rappresenta tutta la molteplicità, la fragilità, la contraddittorietà e l’unicità
dell’animo umano, facendo di un romanzo una “lente” attraverso cui scrutare e sviscerare il mondo che ci
circonda (Blezza Picherle, 2004, pp. 173-185). E se pure è vero che alcuni fantasy, tra cui non
infrequentemente si possono annoverare quelli “di tendenza”, presentano una rassegna di personaggi
piuttosto inconsistenti, è altresì vero che i romanzi fantasy più intensi e raffinati trattegiano non di rado
personaggi densi e profondi.
La qualità nei nodi tematici del fantastico
Dunque, se gli elementi indicati conferiscono qualità al romanzo, è tuttavia innegabile che esistano delle
caratteristiche strettamente legate al genere fantasy che contribuiscono a definirne il carattere e l’impronta.
Remo Ceserani, analizzando l’essenza del fantastico, parte dalle considerazioni di illustri studiosi quali
Todorov, James, Castex e Caillois. Il filosofo e saggista Tzvetan Todorov teorizza che il genere fantasy abbia
uno stretto collegamento con il gothic novel; il medioevalista e scrittore Montague Rhodes James individua
invece la sua essenza nell’introduzione di elementi inquietanti in scenari apparentemente placidi; similmente
il critico letterario Pierre-Georges Castex vede il cuore del fantasy nell’emergere di quei nodi nodi minacciosi
e angosciosi che stringono l’animo umano; mentre il sociologo e letterato Roger Caillois considera il
fantastico come una sorta di universo “altro”, perfettamente coerente, in cui si inserisce un elemento
perturbante, che dà vita a una dinamica di un continuo dialogo tra piano manifesto e piano irrazionale,
motivo per cui il fantasy contiene dei messaggi non completamente decodificabili sul piano razionale
(Ceserani, 1996, pp. 49-54).
Queste interpretazioni aiutano Ceserani a delineare gli elementi che definiscono un fantasy di qualità, che
per lo studioso sono legati sia agli aspetti contenutistici che stilistici. Da un punto di vista stilistico infatti egli
individua alcuni stilemi, come l’uso della narrazione in prima persona e delle metafore; le tecniche del
capovolgimento e della sorpresa e la presenza di momenti di passaggio e di oggetti mediatori. Da un punto di
vista contenutistico, invece, nei fantasy di alta qualità emerge la capacità di trattare tematiche tipiche del
genere, attraverso una modalità nuova, profonda e allo stesso tempo allusiva (Ceserani, 1996, pp. 75-97). Un
ulteriore elemento che contribuisce a definire la qualità di un romanzo fantastico risiede dunque nello
spessore con cui lo scrittore affronta nodi tematici peculiari e distintivi del genere.
10
Il primo di essi riguarda la notte e la morte. Ceserani afferma che “la contrapposizione tra luce e buio,
solarità e oscurità notturna è molto spesso utilizzata nel fantastico” e che il tema della morte assume in
questo genere nuovi aspetti poiché “si interiorizza [e] si collega con nuove esplorazioni filosofiche” (Ceserani,
1996, pp. 85, 87). Nella storia della letteratura il tema della notte è spesso associato all’emergere delle paure
e al disordine esistenziale dell’individuo, ma anche alla dolcezza delle tenebre, al fascino della morte o
all’evocazione di un amore perduto. All’interno del genere fantasy, tuttavia, oltre a questi elementi la
tematica della notte e dell’oscurità viene spesso associata alla lotta tra bene e male, che in alcuni romanzi
fantastici si esprime non solo come scontro tra individui diversi, ma anche come conflitto tra anime diverse
all’interno dello stesso individuo (Ceserani, 1996, pp. 89).
Questa prospettiva consente al lettore di
sviscerare un concetto per molti versi tradizionale attraverso un nuovo punto di vista, incoraggiandone una
visione singolare e inconsueta, e promuovendo una personale riflessione riguardo a questo argomento.
Nel migliore fantasy la morte è associata all’immortalità, in una prospettiva priva di morbosità
tanatocentrica. Infatti non è infrequente che un personaggio accetti la morte come un sacrificio volontario
per la difesa di valori eterni, diventando così a sua volta immortale nel ricordo di coloro che combattono per
lo stesso ideale. Un esempio di ciò si ha ne Il Signore degli Anelli, quando Gandalf nelle Miniere di Moria si
impegna in un combattimento, che saprà essere mortale, con un Balrog, un antico demone, per consentire al
resto della compagnia di proseguire e portare a termine la sua missione (Tolkien, 2000, p. 411-413).
Simbolicamente il suo sacrificio non sarà inutile, non solo perché la compagnia porterà avanti gli ideali per
cui egli si è sacrificato, celebrandone in ricordo, ma anche perché Gandalf verrà strappato alla morte dalla
magia che serve e verrà restituito alla vita, dopo un percorso durante il quale cambierà la sua visione della
vita e il suo status (Tolkien, 2000, p. 603). L’immortalità è dunque, nel miglior fantasy, metafora
dell’adesione a quei valori profondi ed eterni che rendono la vita degna di essere vissuta, e simbolo del
ricordo che le “anime splendenti” lasciano in coloro che restano.
Riguardo al secondo nodo tematico Ceserani osserva che l’inconoscibile spesso viene introdotto da una
figura “inaspettata” e “”straniera”, poiché essa rappresenta un elemento importante dell’ “immaginario
culturale […] e dei testi letterari, artistici o cinematografici […] fortemente implicato nei processi di
costruzione dell’identità, [destinato a suscitare] reazioni di profondo turbamento psicologico” (Ceserani,
1996, pp. 91). Non di rado lo straniero è anche un essere magico, o comunque dotato di poteri magici, poiché
nulla come la magia e il meraviglioso marcano la differenza tra mondi diversi e creano un effetto di
straniamento (Grandi, 1997, p. 81). Il nodo tematico dell’inconoscibile è dunque legato strettamente alla
riflessione del soggetto sulle tematiche che riguardano il confronto con l’altro e i migliori fantasy
incoraggiano il lettore a meditare su questo.
Il terzo nodo narrativo del fantasy è legato al ruolo del soggetto quale motore dell’azione,
evidenziando come il suo agire condiziona il mondo che lo circonda in modo peculiare. Nei romanzi fantasy il
protagonista rappresenta spesso una sorta di “catalizzatore”, un soggetto in grado di scatenare gli eventi
attorno a lui, portandolo inevitabilmente a scontrarsi con la responsabilità delle sue azioni. Secondo Ceserani
tale tema nei fantasy di qualità si fa testimone del desiderio di autoaffermazione dell’individuo, del suo
percorso di ricerca verso la propria identità e del suo bisogno di conoscenza, che lo spinge ad aprirsi al
mondo, ad agire, e quindi a mettersi in gioco (Ceserani, 1996, pp. 89). Anche William Grandi evidenzia la
presenza di questo nodo narrativo all’interno del fantasy, analizzando il ruolo della responsabilità, ma anche
la tentazione6, quali strumenti narrativi in grado di sondare la psiche dei personaggi (Grandi, 2007, p. 108),
6
Con il termine tentazione William Grandi intende il desiderio del protagonista di fuggire dalle responsabilità che spesso
lo inchiodano a un ruolo scomodo, quando non pericoloso. La tentazione di sfuggire al proprio destino, di adattarsi al
11
Dunque un fantasy che sappia confrontarsi con tematiche quali la responsabilità legata all’agire e
l’ineluttabilità della oneri che la vita porta con sé, non può che delinearsi come un prodotto letterario di alta
qualità.
Tra fantasy di qualità ed epigoni
È innegabile che oggi individuare prodotti fantasy di qualità è più difficile che nel passato, e questo per due
ordini di motivi, entrambi legati alla grande fortuna che il genere sta attraversando: l’iperproduzione e gli
epigoni.
Riguardo all’iperproduzione, per rendersi conto della dimensione di tale fenomeno basta osservare che
nel 2007 il numero delle collane che fanno riferimento all’editoria per ragazzi ha raggiunto quota 505. Critici
e studiosi di letteratura per ragazzi hanno ormai da tempo osservato come negli ultimi anni in Italia si assiste
a una vera e propria “sovrabbondanza” di prodotti letterari; tale iperproduzione “a getto continuo produce in
prima istanza una appiattimento e un abbassamento della qualità testuale e iconica” causando “una
stagnazione creativa” (Blezza Picherle, 2007, pp. 297). Inoltre, sottolinea la studiosa, questo rende “sempre
più difficile il riconoscimento dei libri belli e originali” sia a causa dell’impossibilità, anche per gli esperti del
settore più volenterosi, di analizzare nel dettaglio tutte le novità, sia a causa del senso di “disorientamento”
che tale situazione porta con sé (Blezza Picherle, 2007, pp. 298).
Il fantasy, proprio grazie al momento di grande popolarità che ha vissuto negli ultimi anni, è il genere che
maggiormente ha “sofferto” di tale iperproduzione, dando vita a una serie particolarmente numerosa di
scrittori che si sono “gettati” nel fantastico. Il numero considerevole di questi “epigoni” rende necessaria una
loro analisi, al fine di evidenziare come essi per lo più appartengano a due diverse “categorie” di scrittori. Si
potrebbe infatti parlare di epigoni “camaleonti” e di epigoni “appassionati”.
Gli epigoni camaleonti sono quegli autori che, dotati di buone capacità di scrittura, oltre che di “fiuto”
editoriale e di una certa dose di “mestiere”, hanno saputo comprendere le tendenze del mercato,
adattandovisi con sagacia, ma senza reale dimestichezza con il genere. Si tratta di professionisti in grado di
adattarsi alle tendenze e alle “mode”, eclettici ma nel complesso poco efficaci.
Gli epigoni appassionati, invece, costituiscono un fenomeno tendenzialmente limitato ai generi “di culto”,
capaci di suscitare una “fruizione entusiasta”. Sovente tali scrittori si pongono come imitatori, non di rado
“sinceri”, di un autore “classico”(per quanto riguarda il fantasy ad esempio J.R.R. Tolkien o C.S. Lewis), e più
o meno consapevolmente scrivono storie che ricalcano l’opera dei maestri a cui si ispirano.
Pur estremamente diversi nei fini e nelle intenzioni, entrambi questi “epigoni” finiscono per produrre opere
che possiedono alcune caratteristiche comuni. Probabilmente la ragione di tutto ciò risiede nel fatto che sia
gli epigoni camaleonti che gli epigoni appassionati non possiedono una visione personale del fantasy, delle
sue dinamiche e dei suoi leitmotiv, i primi a causa della scarsa dimestichezza con il genere e i secondi per
assenza di una visione critica matura.
La prima caratteristica, abbastanza evidente, che si osserva negli epigoni del fantasy è la loro tendenza a
produrre opere che assomigliano a vere e proprie “enciclopedie”, nelle quali abbondano i cliché del genere,
come i guerrieri demoniaci o le Torri magiche (presenti nell’opera di J.R.R. Tolkien), l’uso di spade
portentose (come nel caso di molti autori tra cui Robert E. Howard ma anche T.H. White o Jack Whyte), la
presenza di talismani incantati (come nel ciclo di Shannara di Terry Brooks o nel ciclo di Darkover di Marion
Zimmer Bradley).
ruolo si semplice spettatore, di cercare il proprio piccolo benessere senza curarsi del mondo che gli gira attorno, di
eludere insomma ai propri doveri (Grandi, 2007, p. 108-110).
12
Un secondo elemento che accomuna molti epigoni del fantasy è rappresentato dal fatto che spesso essi
hanno la tendenza a proporre esempi piuttosto smaccati di “buoni sentimenti”, se non addirittura di
pregiudizi ideologici travestiti da “principi etici”. Proprio perché i romanzi di questi autori non nascono da
una rielaborazione personale del genere, sovente anche i valori che esprimono non sono intensamente sentiti,
e la loro rappresentazione è tanto bidimensionale quanto scontata. Questo rischio, che ovviamente accomuna
molta letteratura di bassa qualità, è però più alto per il fantasy che per altri generi. Questo accade perché
molti autori “classici”, tra cui basti ricordare il già citato Tolkien, infusero nei loro romanzi stille dei valori in
cui credevano, ma quando epigoni meno dotati tentano di imitarne lo stile, inevitabilmente scivolano
dall’appassionata e intima testimonianza di un ideale a uno stucchevole e sterile messaggio pedantemente
ideologico. Se il fantasy di alta qualità è un’opera letteraria vera e propria, in quanto tale è in grado di
incoraggiare la riflessione personale dei lettori, facendo loro percorrere anche terreni inesplorati e inaspettati,
le espressioni meno nobili del genere tentano invece di veicolare una morale solitamente piuttosto statica e
priva di profondità, che non incoraggia alcun approfondimento personale.
Il terzo elemento che contraddistingue la produzione degli epigoni è la mancanza di una coerenza di fondo,
cioè l’incapacità di creare universi congruenti in se stessi e perfettamente accessoriati. Ovviamente costruire
un mondo coerente non significa solo pensare agli aspetti pratici e concreti che compongono quel mondo, ma
anche realizzare un complesso di valori logico e congruente, creare un insieme di leggi, idee e principi che
siano armonici e coesi, tutti finalizzati a restituire un’impressione verosimile. Insomma, “il problema è
costruire il mondo, le parole verranno quasi da sole” (Eco, 1984, p. 514). Anche in questo caso, ovviamente, la
creazione di prodotti narrativi privi di tale coerenza di fondo non rappresenta un pericolo a cui solo i fantasy
sono esposti, tuttavia se per ogni romanzo è particolarmente importante il saper plasmare e orchestrare
l’universo in cui si svolge l’azione, il fantasy, in quanto “creatore di mondi” per eccellenza ha a questo
riguardo una responsabilità particolarmente vincolante.
Credo sia importante osservare ed analizzare la produzione attuale del fantasy, sicuramente ampia ed
eterogenea, per mettere in evidenza come possano esistere delle opere che, pur rifacendosi alle tematiche del
fantastico, sanno farlo con eleganza e originalità, uscendo dai confini tradizionali che solo gli scrittori meno
dotati considerano inviolabili, avendo il coraggio di avventurarsi verso frontiere nuove e inesplorate e
riuscendo soprattutto a dare nuovo respiro e nuova linfa a un genere che può trovare solo nel cambiamento il
segreto per rinnovare le sue fortune.
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13
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Tolkien, J.R.R., Il Signore degli Anelli, Bompiani, Milano 2000
Un’involuzione tra i vampiri
I prodotti culturali per adolescenti e i cambiamenti della figura femminile7
di Roberta SILVA
Il punto di partenza
L’analisi sviluppata in queste pagine concerne libri e serial televisivi dedicati primariamente al pubblico
adolescente; essi appartengono all’ampia famiglia dei prodotti culturali, ovvero «discorsi grafico-verbali,
visivi, audiovisivi, multimediali e tecnologici della società industriale e postindustriale» (Colombo e Eugeni,
2001, p. 17). Prima di procedere all’analisi è opportuno il quadro teorico che costituisce lo sfondo di
riferimento: nel corso degli ultimi decenni numerosi sono gli approcci di indagine rispetto ai prodotti
culturali, tuttavia tre in particolare hanno indagato il rapporto che si instaura tra il prodotto culturale e i suoi
fruitori.
Il primo di essi si è concentrato sullo studio del prodotto culturale come oggetto comunicativo “di massa”. A
partire dagli anni Venti e Trenta del Ventesimo Secolo 8 sociologi (Lasswell, 1927; Lazarsfeld, 1939) e
psicologi sociali (Peterson, Thurstone, 1933) studiano i prodotti culturali in relazione alle loro potenzialità
comunicative e “propagandistiche”, interessandosi alla possibilità di utilizzarli per influenzare fruitori, e
quindi dell’opinione pubblica. Questo ambito di ricerca prosegue, soprattutto in area anglosassone, fino agli
anni Settanta (De Fleur, Ball-Rokeach, 1977) e Ottanta (McCombs, Becker 1980), arrivando alla conclusione
che i prodotti culturali possono condizionare la struttura cognitiva dei soggetti (Colombo e Eugeni, 2001, pp.
26-32).
Un secondo ambito di ricerca si concentra invece sul prodotto culturale non come mezzo per “trasformare”
il pensiero collettivo, ma come il luogo di sedimentazione di espressioni, conoscenze, credenze e valori già
presentii e radicati nella società (o in una parte di essa). Questo approccio è stato sviluppato in particolare, a
partire dagli anni Quaranta del secolo scorso, dalla Scuola di Francoforte, ma ad esso si ricollegano anche
studiosi quali Marshall McLuhan (1968, 1989) e Edgar Morin (1963). A questo settore si riallacciano inoltre i
Cultural Studies, che sbocciarono inizialmente attorno all’Università di Birmingham, focalizzandosi
sull’analisi dei prodotti culturali come strumento attraverso i quali una società tende a riprodurre se stessa
(Colombo e Eugeni, 2001, pp. 26-32).
Infine il terzo approccio riunisce, in un certo senso, questi due ambiti di ricerca, poiché analizza il prodotto
culturale come testo, evidenziandone la capacità di “mettere in relazione” soggetti diversi e soprattutto di
collocarsi all’interno di un “dialogo circolare” che porta i fruitori ad essere influenzati, e allo stesso tempo a
influenzare, i prodotti culturali. Questi ultimi sono dunque visti come oggetti comunicativi, espressione della
società in cui nascono, tuttavia possiedono anche, in virtù delle loro capacità retoriche e di identificazione, la
prerogativa di rinsaldare o minare le dinamiche che rappresentano. Questo approccio nasce in ambito
semiotico, a metà degli anni Sessanta, e vanta tra i suoi esponenti le figure di (1975, 1978) e Christian Metz
Un’involuzione tra i vampiri. I prodotti culturali per adolescenti e i cambiamenti della figura femminile in “Metis Ricerche di sociologia, psicologia e antropologia della comunicazione”, Vol. XVIII, 1, 2011, pp. 79-117.
8 Nel corso del testo quando si farà cenno alle decadi senza ulteriore specificazione ci si riferirà al Novecento.
7
14
(1977), ma ben presto si apre alla Narratologia, agli studi sulla Letteratura e alle Scienze Umane. Questo
settore di ricerca appare strategico in quanto, attraverso lo studio delle strutture linguistiche, delle
convenzioni espressive e delle architetture narrative, consente di risalire ai sistemi ideologici ad esso sottesi,
e pone grande attenzione all’“intertestualità”, ovvero al rinvio da un testo all’altro, attraverso l’opera di
studiosi quali Umberto Eco (1979), Gianfranco Bettetini (1996) e Julian Greimas (2007) (Colombo e Eugeni,
2001, pp. 26-32).
I recenti sviluppi della Letteratura per ragazzi 9 possono essere messi in relazione con questo terzo
approccio, evidenziando come i prodotti letterari destinati ai piccoli e giovani lettori abbiano una doppia
valenza. Da un lato, infatti, ritraggono l’universo socio-culturale e psicologico dei più giovani,
rappresentando quindi un osservatorio sui loro contesti esperienziali e di significato, ma dall’altro possono
rappresentare un luogo di reinterpretazione (o al contrario di riconferma) della realtà, poiché attraverso i
processi di identificazione spingono i giovani lettori a sconfessare (oppure a rinsaldare) i propri valori e i
propri modelli di comportamento (Stephens, 1992, pp.72- 74; Blezza Picherle, 2004, pp. 245-247). Inoltre
l’enfasi posta sull’intertestualità contribuisce a legare strettamente alcuni degli studiosi di Letteratura per
l’infanzia contemporanei al terzo approccio di ricerca relativo ai prodotti culturali: infatti sempre più sono i
ricercatori che evidenziano come la Letteratura per ragazzi sia sempre più influenzata dal contesto globale
dell’industria culturale, con cui intesse legami complessi e, a volte, tortuosi, rendendo necessario un
approccio interdisciplinare e intertestuale. Ciò è necessario per comprenderne la complessità «intrinseca» 10,
cioè interna al testo, ed «estrinseca» 11, ovvero quella che lega la Letteratura per ragazzi al mondo reale di cui
è rappresentazione e a cui torna, attraverso l’influenza che esercita sui giovani lettori (Zipes, 2003, p. 34;
Blezza Picherle, 2004, pp. 150-157; McCallum, 2004, pp. 397-400; Nikolajeva, 2005, pp. 269-271; Stephens,
2006, p. 367 ).
Partendo da queste premesse, appare evidente come, per indagare le rappresentazioni dominanti
all’interno di una certo contesto, è necessario analizzare i prodotti culturali che i suoi membri considerano
particolarmente rilevanti. Attraverso quest’analisi, infatti, sarà possibile evidenziare quali sono le
raffigurazioni dominanti all’interno dell’ambito socio-culturale preso in esame, e di conseguenza come esse
rappresentino non solo le tendenze attuali, in termini di valori e comportamenti desiderabili, ma come la
popolarità di tali prodotti culturali spinga i fruitori a rinsaldare i comportamenti che appaiono “premianti”
all’interno della rappresentazione. Si è dunque deciso di analizzare due prodotti culturali che rivelano molti
punti in comune: entrambi “fenomeni di culto” tra gli adolescenti, mescolano ambientazioni gotiche se non
horror ad ambientazioni quotidiane e hanno come protagonista un’adolescente che instaura delle relazioni
con degli esseri apparentemente “pericolosi” (vampiri, licantropi, ecc.). Il primo prodotto preso in esame è il
serial Buffy (nella versione originale Buffy – The Vampire Slayer) creato da Joss Whedon e andato in onda
tra il 1997 e il 2003. Il secondo prodotto preso analizzato è la saga di Twilight, della scrittrice Stephenie
La disciplina oggi viene comunemente delineata come «Letteratura per l’infanzia», anche se la definizione più completa
sarebbe quella di «Letteratura per l’infanzia e l’adolescenza» (S. Blezza Picherle S., Libri, bambini, ragazzi. Momenti di
evoluzione, Libreria Editrice Universitaria, Verona 2002, p. 19), poiché essa comprende al suo interno studi riguardanti i
prodotti librai sia destinati alla fascia infantile che alla fascia adolescenziale. Per brevità ci si riferirà con il termine
«Letteratura per ragazzi» all’intero corpus della disciplina.
10 Stephen in particolare individua come elementi indispensabili per comprendere la complessità «intrinseca» gli Studi
Letterari e quelli Narratologici (Stephens, 2006, p. 367).
11 Riguardo alla complessità estrinseca egli invece sottolinea la necessità di integrare gli strumenti che provengono dalla
pedagogia («Childhood Studies») e dalle scienze umane in genere (sociologia e psicologia in particolare) (Stephens, 2006,
p. 367).
9
15
Meyer, pubblicata tra il 2006 e il 2009 12 . Si è scelto di analizzare la serie narrativa e non quella
cinematografica che ne è stata tratta non solo per un per “fedeltà” nei confronti del prodotto culturale
originario, ma anche perché già nel 2008, prima dell’uscita dei film tratti dai libri della Meyer, i romanzi
emergevano come particolarmente significativi per il pubblico adolescente 13.
(Per la metodologia di analisi adottata si veda il saggio indicato nella nota 7).
L’analisi
Si è già accennato al fatto che i due prodotti culturali individuati 14 hanno diversi punti in comune, pur
rivelando però valori di riferimento e modelli di identità nettamente diversi, legati soprattutto alle figure
delle due protagoniste. Fin da una prima osservazione appare evidente che le protagoniste dei due prodotti
culturali abbiano caratteristiche caratteriali molto diverse. Buffy 15 è una ragazza straordinariamente energica,
determinata, autonoma e risoluta, ma anche brillante, pungente, arguta e ironica; mentre Bella 16 , la
protagonista di Twilight, è una ragazza timida, posata, riservata e solitaria, spesso piuttosto goffa e maldestra,
riesce con difficoltà a esprimere i suoi sentimenti e appare poco assertiva. Quello che appare interessante da
analizzare è la reazione che queste due protagoniste instaurano con il mondo che le circonda, il modo con cui
esse si confrontano con gli eventi che vengono posti sulla loro strada, poiché in tal modo è possibile
ricostruire la loro personalità più profonda, le loro motivazioni, i loro obiettivi, i loro valori.
La solitudine e il potere
Sia Buffy che Bella devono affrontare il ruolo della solitudine e del dolore in rapporto con il potere, poiché
entrambe devono fare i conti con l’isolamento che la scelta di vivere in un mondo strettamente connesso a
una dimensione sovrannaturale porta con sé. Tuttavia le due ragazze reagiscono in modo molto diverso a
questa situazione, rivelando con le loro azioni le loro dinamiche più profonde. Per quanto riguarda Buffy,
ella vive da sempre il problema della solitudine 17 , che riuscirà a superare solo in parte dopo il suo
trasferimento a Sunnydale, grazie al legame con il suo mentore, Giles, e con gli amici Willow e Xander 18. La
loro amicizia è tuttavia possibile unicamente a patto che essi accettino la dimensione sovrannaturale del
In Italia i volumi sono stati pubblicati dalla casa editrice Fazi nei seguenti anni: Twilight (2006), New Moon (2007),
Eclipse (2007) e Breaking Dawn (2009). Negli Stati Uniti, luogo di prima pubblicazione, p stato invece edito dalla Little,
Brown & Company rispettivamente nel 2005, 2006, 2007 e 2008.
13 La saga di Twilight è emersa in una recente ricerca come tra le più amate dal campione analizzato, composto da 1.500
studenti tra i 12 e i 16 anni residenti nella provincia di Verona, realizzata all’interno del Dottorato di Ricerca in Scienze
dell’Educazione e della Formazione Continua presso l’Università di Verona, sotto la supervisione della Prof.ssa Silvia
Blezza Picherle. Il questionario è stato distribuito tra marzo e giugno 2008, prima della pubblicazione dell’ultimo volume
della quadrilogia e soprattutto prima dell’uscita dei film basati sulla serie, che hanno contribuito ad accrescerne
notevolmente la popolarità. Tuttavia questi risultati consentono di affermare che i romanzi di Stephenie Meyer
possedevano già una forte popolarità prima della trasposizione cinematografica, e quindi offrono alle adolescenti, in
particolare, un’occasione di identificazione che risiede primariamente nel romanzo (Silva, 2009, pp. 122-135; Silva, 2010,
pp. 75-910).
14 I due prodotti culturali sono il serial Buffy creato da Joss Whedon nel 1997 e la saga di Twilight della scrittrice
Stephenie Meyer, pubblicata tra il 2006 e il 2009.
15 Il serial di Joss Whedon ha per protagonista Buffy Summers, una ragazza che, all’inizio della narrazione ha sedici anni:
trasferitasi nella cittadina di Sunnnydale in California da Los Angeles insieme alla madre, la ragazza scopre di essere in
realtà la “Prescelta” di un’antica profezia. Essa apprende dunque di essere la “Cacciatrice”, ovvero una giovane destinata a
combattere contro vampiri e demoni, grazie alla propria forza, alla propria abilità e alla propria sagacia.
16 La saga di Twilight ha invece come protagonista Isabella Swan, una sedicenne che lascia la città di Phoenix, dove vive
con la madre, per trasferirsi nella cittadina di Folks insieme al padre. Qui conosce Edward Cullen e attraverso di lui viene
in contatto con un mondo magico, popolato da vampiri e licantropi e verrà infine trasformata in vampiro.
17 Fin dal primo episodi appare evidente come la madre della ragazza sia preoccupata dell’isolamento della figlia
(Stagione 1, Episodio 1, munito 4).
18 Nel corso delle vicende questo gruppo si amplierà, subendo di volta in volta integrazioni e distacchi, tuttavia il legame,
quasi familiare, tra Buffy, Willow, Xander e Giles costituirà il nucleo fondante attorno a cui la ragazza costruisce la
propria serenità, e a cui torna nei momenti più difficili, come quando sarà costretta a chiudere la propria relazione con
Angel, suo primo, intenso amore (Stagione 3, episodio 22, minuto 40). Tale vincolo rimarrà invariato e saldo, tanto da
venire celebrato in una scena dell’ultima puntata dell’intera serie in cui i quattro protagonisti si ritroveranno esattamente
deve si erano conosciuti (Stagione 7, episodio 22, minuto 25).
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potere che caratterizza la ragazza, consapevoli che esso costituirà sempre una sorta di “frattura” tra loro e
Buffy 19 . In altre parole il potere che la caratterizza si rivela il simbolo della sua incapacità di entrare
realmente in relazione con il prossimo, prendendo la forma di una sorta di “schermo protettivo” che la
allontana da una totale fusione con il prossimo, colorando la sua vita di dolore e sacrificio.
Prima Cacciatrice: Credi che stai perdendo la capacità di amare?
Buffy: Non ho detto questo! (abbassa la sguardo con paura, poi lo rialza) Sì!
C: Hai paura che essere una Cacciatrice significhi perdere l’umanità?
B: È così?
(Stagione 5, episodio 18, minuto 23)
Nella serie il potere assume spesso il volto di una barriera che esclude gli altri, causando sofferenza e
solitudine, tuttavia esso rivelerà con il tempo una seconda natura: infatti, ove esso venga rischiarato da un
desiderio autentico di “dono di sé” e dal valore della generosità, il potere può trasformarsi al contrario nella
possibilità di una “fusione” con il mondo intero, allontanando per sempre lo spettro della solitudine 20. La
consapevolezza di questa capacità di “comunione profonda” con gli altri cambia nettamente la visione di
Buffy, tuttavia lo spettro della solitudine continua a rappresentare una sorta di “nervo scoperto” per la
ragazza, facendo emergere le sue paure più nascoste.
Demone: Le tue aspiranti cacciatrici non potranno conoscere il vero potere fino a che tu non
morirari… conosci il ritornello… (il demone si trasforma in una copia di Buffy e recita la Profezia
sulla Cacciatrice) In ogni generazione nascerà una cacciatrice… una ragazza in tutto il mondo…
lei sola avrà la forza e l’abilità per… c’è sempre quella parola, che è quello che sei… e come
morirari… sola! (Dopo un lungo silenzio in cui Buffy sembra riflettere) Sei rimasta senza parole?
B: Hai ragione (Stagione 7, episodio 22, minuto 12)
La vicenda umana e spirituale di Buffy terminerà simbolicamente quando lei sarà in grado di compiere un
passo avanti nel suo percorso di autocoscienza, e comprendendo che, oltre al dono di sé, fulcro fondante
attorno a cui costruire ogni relazione è la condivisione, una condivisione che non significa necessariamente
“rinuncia” quanto piuttosto unione, armonia, sostegno reciproco. Solo attraverso questa consapevolezza
Buffy comprenderà come il potere può costituire un legame e non una barriera quando viene condiviso.
L’essere in grado di “prestare” la propria forza a coloro che ama si configura come una delle azioni più
“sovversive” che sia possibile immaginare, la sola in grado di sovvertire “l’ordine costituito”, poiché nega il
principio di egocentrismo e egoismo che governa la nostra società, proponendo al contrario un messaggio di
unione, di solidarietà, di fratellanza, all’interno del quale la forza del singolo viene condivisa e diviene perciò
la forza dell’intero gruppo.
Buffy: Io dico che il mio potere dovrebbe essere il nostro potere. Domani, Willow userà l'essenza
della falce21 per cambiare il nostro destino. D'ora in avanti, ogni ragazza nel mondo che potrebbe
essere una cacciatrice sarà una cacciatrice. Ogni ragazza che potrebbe avere il potere, avrà il
potere, e se vorrà ribellarsi, lo potrà fare. Cacciatrici, tutte, fate la vostra scelta, siete pronte ad
essere potenti? (Stagione 7, episodio 22, minuto 27)
Anche Bella, la protagonista della saga di Twilight, è una ragazza solitaria: all’inizio del primo romanzo, a
sedici anni, si trasferisce da Phoenix alla piccola cittadina di Folks: la ragazza esprime nostalgia per molte
cose (la madre, il clima caldo dell’Arizona, le comodità della grande città) ma non lascia dietro di se alcun
affetto o legame con il passato (Meyer, 2006, pp. 13-14). Anche i suoi rapporti con il padre, con cui
Alla fine della sesta stagione, quando Willow scoprirà di possedere notevoli potere magici, essa riconoscerà
esplicitamente fino a che punto l’identità della Cacciatrice sia legata al suo potere “Devo dirti una cosa: adesso ho capito
che essere Cacciatrice non significa avere una forza eccezionale. Ma possedere il potere” (Stagione 6, Episodio 22, minuto
40).
20 Buffy si troverà a riflettere su questo messaggio quando, alla fine della quinta stagione, si confronterà con Gloria, una
Dea malvagia, decisa ad aprire le porte dell’inferno proprio per sanare il suo dolore e la sua solitudine: confrontando le
sue motivazioni con le quelle di Gloria, Buffy capirà davvero come il potere non porti necessariamente alla solitudine:
questo accade solo quando l’egoismo prende il sopravvento (Stagione 5, episodio 22, minuto 33) .
21 Si tratta di un oggetto magico di cui Buffy è entrata in possesso.
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condividerà la vita dal quel momento in avanti sono a dir poco superficiali e inconsistenti, e anche nel
proseguo della narrazione non arriverà mai ad essere sincera e diretta con lui, preferendo uno schermo di
pacifica quanto illusoria “serenità” dietro cui nascondere i propri turbamenti e i propri bisogni 22.
L’inconsistenza dei suoi legami affettivi preesistenti e l’incomunicabilità con il padre sono simbolici di
un’identità che volontariamente si autoesclude, rifiutando qualsiasi contatto profondo che possa mettere in
gioco la sua interiorità. Questa scelta non appare dettata dalla timidezza quanto da un sentimento di
indifferenza e noncuranza verso il prossimo 23, che essa ritiene noioso e marginale 24. In questa volontaria
autoesclusione (venata da qualcosa di più di una punta di alterigia) appare una solitudine diversa da quella
che traspariva dal personaggio di Buffy: dove lì trovavamo un senso di isolamento che straziava l’anima, qui
troviamo invece una volontaria emarginazione in cui emerge la convinzione che non ci sia nessuno di
abbastanza “interessante” da meritare la sua attenzione. La solitudine di Bella nasce dunque dal disinteresse
verso chiunque non sia in grado di “offrirle” l’accesso a una nuova vita, che si concretizzerà solo con la
comparsa della famiglia Cullen. Edward Cullen 25 si rivela fin da subito portatore di quelle qualità che Bella
desidera: bello, affascinante, sicuro di sé, sofisticato, rappresenta un’ideale da cui la ragazza si sente subito
attratta, e che viene accresciuto (non sminuito) dalla scoperta che il ragazzo è un vampiro. Bella si rivela
immediatamente desiderosa di entrare in contatto con Edward e con la sua famiglia (che condivide le
attrattive del ragazzo) quasi si trattasse di un club studentesco particolarmente à la page: essi sono la
rappresentazione di quel “fulgore” che Bella non scorge nella sua vita e che desidera disperatamente.
“Che ne dici di venire a conoscere la mia famiglia?
Restai senza parole.
“Hai paura adesso?” Sembrava speranzoso.
“In effetti, sì”. Non potevo negarlo: me lo leggeva negli occhi.
“Non preoccuparti. Ti proteggerò io” mi rassicurò con un sorrisetto.
“Non ho paura di loro. Temo che non… gli piacerò. Non credi che saranno sorpresi di vedermi
arrivare insieme a una… come me… a casa loro per conoscerli?” (Meyer, 2006, p. 266)
Il potere diviene il passaporto per entrare in un mondo che la ragazza associa alle caratteristiche per lei
“desiderabili” accostate alla condizione “vampiresca”: bellezza, grazia, eleganza e forza. Anche qui, come
accade per Buffy, si tratta di un potere condiviso, ma in tale condivisione Bella non porta nulla, limitandosi a
desiderare disperatamente di poterlo condividere 26 . In una vicenda che ruota attorno ai vampiri,
paradossalmente è Bella ad essere il vero vampiro: colei che è ben decisa a “succhiare” da coloro che le sono
attorno bellezza, abilità, potere e soprattutto supremazia sulle leggi stesse della vita. Appare infatti evidente
la paura della morte e della vecchiaia rappresentino per la ragazza una motivazione molto forte: il principale
potere che essa vuole condividere infatti, oltre alla bellezza della quale si dimostra bramosa 27, è infatti
l’immortalità. E il dono dell’eterna giovinezza.
A proposito dell’incomunicabilità con il padre Bella afferma: “non riuscivo a immaginare di cosa avremmo
potuto parlare” (Meyer, 2006, p. 14) e che “una delle qualità migliori di Charlie22 è che si fa gli affari suoi” (Meyer,
2006, p. 18)
23 Bella si dimostra laconica e asciutta nei confronti dei nuovi compagni di scuola che cercano di avvicinarsi a lei,
esprimendo in modo netto un rifiuto a qualunque forma di vicinanza “«Così, c’è una bella differenza tra qui e Phoenix,
eh?» chiese lui. «Già» […] «Caspita, chissà com’è» chiese lui «Assolato»”, (Meyer, 2006, p. 23); “Annuivo mentre lei
ciarlava dei professori e delle lezioni. Non cercai nemmeno di seguire il suo discorso” (Meyer, 2006, p. 24).
24 “Dimenticavo i loro nomi un istante dopo averli sentiti.” (Meyer, 2006, p. 25).
25 Edward è un vampiro deciso a seguire una dieta “vegetariana”, come viene scherzosamente definita, ovvero composta
da sangue animale e non umano ed appartiene a un gruppo di vampiri che hanno fatto la stessa scelta e che hanno
costruito tra di loro un vincolo familiare.
26 “Perché l’hai fatto? Perché non hai lasciato che il veleno entrasse in circolo? A quest’ora sarei uguale a te!” (Meyer,
2006, p. 392).
27 Bella, guardandosi allo specchio subito dopo la trasformazione in vampiro afferma, estasiata: “La prima reazione fu un
piacere inconsapevole. La creatura aliena riflessa era indiscutibilmente bellissima, almeno quanto Alice o Esme. Era
flessuosa persino se immobile e il suo viso perfetto, pallido come la luna, era incorniciato da una folta chioma di capelli
neri. Gli arti erano sinuosi e forti, la pelle brillava leggermente, luminosa come perla.” (Meyer, 2009, p. 365).
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18
“Ti sbagli, Morirò”
“Sul serio, Bella”. Si era innervosito. “Tra qualche giorno ti dimetteranno. Due settimane al
massimo”.
Lo inchiodai con uno sguardo: “Forse non morirò subito… ma prima o poi succederà. Ogni
giorni, ogni minuto, quel momento si avvicina. E diventerò vecchia”. (Meyer, 2006, p. 394).
Il rapporto tra solitudine e potere appare qui completamente ribaltato: mentre Buffy raggiunge la
consapevolezza che la propria forza non ha senso se non viene donata, condivisa con gli altri, Bella invece si
pone all’inseguimento di un potere che la allontani completamente dal resto dell’umanità, ponendola
all’interno di un’élite, riconosciuta come tale in virtù della distinzione che essa ha legato a sé. Dunque mentre
per Buffy l’abbandono della solitudine avveniva attraverso la condivisione del proprio potere con coloro che
le stavano accanto, per Bella si attiva il processo inverso: essa desidera acquisire il potere per non sentirsi più
isolata, esclusa, ma accetta la condivisione con il prossimo solo a patto che tale unione le offra i privilegi che
desidera. La solitudine di Bella è quindi eminentemente una solitudine “da se stessa”, una solitudine che non
vuole essere sanata dalla generosa condivisione con il prossimo, quanto piuttosto da un ristretto gruppo su
cui proiettare i suoi desideri di appartenenza e di identificazione proiettiva. Una solitudine che nasce
primariamente dalla “non stima” di se stessa e dalle ferite narcisistiche che portano la ragazza a proiettare le
proprie fantasie di onnipotenza su uno specchio di ideale perfezione che la allontana da se stessa e dal
mondo. La paura di essere esclusa dall’ “Olimpo” che essa ha identificato con la famiglia di Edward fa
emergere realmente il senso di solitudine di Bella, che in precedenza non aveva mai davvero sentito come tale.
“Ma se non mi volete, non vi obbligherò ad accettarmi, sia che Alice voglia trasformarmi, sia che
non lo faccia”. Esme stava per dire qualcosa ma la fermai con un dito alzato. “Vi prego,
lasciatemi finire. Sapete tutti cosa voglio. E sono sicura che conosciate anche il parere di Edward.
Penso che l’unica maniera onesta di decidere sia di lasciarvi votare. Se decidete di non volermi
allora… penso che tornerò in Italia da sola 28” (Meyer, 2007, p. 419-420)
Per la ragazza la solitudine ha senso solo quando minaccia di allontanarla dal circolo, fonte del potere, che ha
identificato con la famiglia Cullen. Bella desidera unire indissolubilmente il suo destino a quello del gruppo
di vampiri a cui appartiene Edward, poiché, incapace di realizzarsi, la ragazza vive questa unione come è
l’unica opportunità per realizzare le proprie aspirazioni e i propri obbiettivi, rivelando al contempo una
insicurezza profonda e un’incapacità di credere nelle proprie potenzialità intrinseche.
Buffy e Bella vivono dunque in modo completamente diverso il legame tra il potere e la solitudine, e questa
differenza appare rivelatrice delle loro dinamiche più profonde. Il personaggio di Buffy vive in modo
straziante l’isolamento che la separa dal resto del mondo a causa degli elementi sovrannaturali che invadono
la sua vita, ma allo stesso tempo è in grado di comprendere come l’unica modo per liberarsi dal peso della
solitudine è la condivisione intesa come dono di sé e sostegno reciproco. Una volta compreso questo per
Buffy il suo potere non rappresenterà più un elemento di esclusione, ma piuttosto una ricchezza da mettere
in gioco e da dividere con coloro che le sono accanto. La ragazza realizzerà che non è il potere ad innalzare le
barriere, ma l’egoismo e l’egocentrismo, e che tali barriere possono essere abbattute dall’unione e dalla
solidarietà, poiché solo quella condivisa è vera forza. Per Bella invece l’isolamento non è causato dal potere,
ma dalla sua assenza. Essa non avverte un senso di solitudine quando sceglie di autoescludersi dal resto del
mondo, che ritiene fastidioso e banale, la percepisce soltanto quando la sua mancanza di poteri
sovrannaturali minacciano di allontanarla da Edward e dalla sua famiglia, che la ragazza identifica con le
caratteristiche di bellezza, sicurezza, forza e immortalità che desidera disperatamente ma da cui si sente
esclusa. Bella insomma non pensa al potere come qualcosa da condividere, ma come qualcosa da “assorbire”,
Il desiderio di tornare in Italia in questo contesto equivale a un desiderio di morte, perché a Volterra la ragazza sa che la attende un
clan di vampiri deciso a ucciderla.
28
19
vivendo di luce riflessa poiché incapace di realizzare autonomamente le proprie aspirazioni e i propri
obbiettivi. Dunque, mentre Buffy è portatrice di una visione di sé e delle proprie potenzialità non boriosa ed
arrogante ma realistica, in cui le proprie capacità sono viste come risorse da mettere a servizio del prossimo,
la solitudine di Bella scaturisce da una disistima di se stessa, che porta la ragazza a proiettare le proprie
fantasie di realizzazione su uno specchio di ideale perfezione non raggiungibile se non grazie a un
“concessione” che viene dall’esterno.
Il primo amore
Un altro elemento che le due figure hanno in comune riguarda il loro primo amore, poiché sia Buffy che Bella
instaurano una relazione con un vampiro “buono”, in lotta contro le forze del male, che si rivela però una
figura maschile forte e autoritaria 29. Tuttavia le due ragazze reagiranno in modo completamente diverso a
questo rapporto, assumendo un ruolo opposto all’interno della relazione. Buffy porta all’interno di questo
legame la sua forza, la sua determinazione e il suo bisogno di autodeterminazione: per quanto intenso e
travolgente il suo sentimento per Angel 30 non sarà mai totalizzante, mai tale da annullare e soffocare le altre
ambizioni delle ragazza. Inoltre il suo carattere risoluto e ironico la porta a mantenere uno sguardo critico e
beffardo su se stessa e sul proprio compagno, che la porta a rifiutare il ruolo di tutela che egli cerca di
instaurare. Buffy in altre parole rifiuta il ruolo di deus ex machina che egli cerca di assumere, manifestandosi
alla ragazza senza rivelarle nello specifico chi è e come conosce la sua identità di Cacciatrice, e proponendosi
come colui che ha tutte le risposte. Buffy si ribella senza esitazione a questo “rapporto sbilanciato” e rivendica
con il ragazzo un rapporto più paritario, mettendo in evidenza non solo la sua forza e la sua agilità, ma
soprattutto il suo spirito arguto e tagliente. La ragazza è indubbiamente attratta da Angel, ma non per questo
accetta che lui rivendichi nei suoi confronti un ruolo dominante, né che lui si ponga come il depositario di
informazioni e conoscenze a lei sconosciute.
Angel: Sta succedendo qualcosa di grave c’è bisogno di te!
Buffy: (Sbuffando) Non anche tu! Ti prego! (fa per andarsene ma lui la trattiene)
A: Che cosa sai?
B: La profezia, il consacrato, eccetera eccetera!
A: Allora lo sai! Be’… volevo solo avvertirti. (Buffy lo guarda in modo ironico) (Stagione 1,
Episodio 5, minuto 27)
Buffy dimostra di essere in grado di dominare l’amore, senza farsi dominare da esso, e di riuscire a mettere
una distanza tra i propri desideri e la realtà, valutando oggettivamente ciò che sta accadendo e risolvendosi a
prendere anche decisioni dolorose ma necessarie31. Ma soprattutto Buffy si dimostra conscia delle proprie
necessità e delle proprie esigenze così come delle proprie potenzialità. L’atteggiamento dominante e
autoritario di Angel, anche se ben intenzionato, non la porterà a sminuire se stessa, perché la ragazza è
consapevole che nei momenti di difficoltà essa potrà sempre contare sulle proprie risorse interiori: sulla sua
forza, sul suo coraggio, sulla sua determinazione e sulla sua tenacia.
Angel: È finita, lo capisci? Niente armi, niente amici… nessuna speranza! Senza tutto questo…
che cosa ti resta?
Buffy: (rialzandosi, con sguardo deciso) Me! (Stagione 2, episodio 22, minuto 38)
Il rapporto tra Angel e Buffy si chiuderà per volontà del ragazzo: questa decisione appare simbolica rispetto
alle dinamiche che hanno sempre governato il rapporto tra i due, rivelandone gli equilibri. In questa
occasione saranno evidenti i limiti di un rapporto in cui uno dei due partner rivendica una supremazia
29
30
Buffy instaura nelle prime serie una relazione con Angel, mentre Bella ha una relazione con Edward.
Angel è il nome del vampiro “buono” con cui Buffy instaura una relazione.
Come accadrà quando Angel verrà temporaneamente riportato alla sua dimensione demoniaca, obbligando la ragazza a
reagire contro di lui.
31
20
implicita sull’altro, anche ove tale supremazia non sia stata supinamente accettata ma contestata: la disparità
porta, almeno nelle intenzioni, alla creazione di una “coppia asimmetrica”, in cui il conflitto, anche se non
emerge sempre in modo esplicito, evidenzia il tentativo, da parte del partner dominante, di consolidare il suo
potere imponendo all’altro le sue decisioni. Dunque, fallito il tentativo di ricollocare il rapporto su altre basi,
la scelta di una separazione, anche se unidirezionale, fa emergere la consapevolezza che in una coppia in cui
uno dei partner non accetti una condivisione delle scelte, è destinata al fallimento.
Buffy: Io voglio vivere la mia vita con te.
Angel: Io no.
B: Non posso credere che mi vuoi lasciare
(…)
A: Non ti dirò addio. (lui fa una lunga pausa e la guarda intensamente. Lei dopo un attimo di
esitazione ricambia lo sguardo) Quando sarà finita me ne andrò e basta. Lo capisci? (Buffy ha gli
occhi lucidi ma si contiene e annuisce) È davvero troppo…
(Buffy lo ferma con un gesto della mano. Lui si allontana mentre lei si ferma ad osservare il
pugnale, simbolo del suo impegno come cacciatrice.) (stagione 3, episodio 22, minuto 27, 35)
Buffy si rivolgerà agli amici per superare questo momento doloroso, e soprattutto si concentrerà sulla sua
missione, che rappresenta la vera essenza della sua identità. La fine del suo rapporto con Angel, infatti, oltre
a gettare le basi per una maggiore consapevolezza riguardo alle proprie necessità, la porterà a scoprire che
nella sua vita c’è molto altro, oltre all’amore, in grado di illuminare i suoi momenti di tristezza, di dare una
direzione ai suoi sforzi e di sostenere le sue ambizioni. L’amicizia e il “lavoro” rappresentano per la ragazza
delle fondamenta su cui costruire e consolidare la sua vita, e proprio per questo nel momento dell’addio, pur
estremamente doloroso, questa frattura non rischierà di distruggere la sua vita, consentendogli addirittura in
futuro di riallacciare con Angel un rapporto amichevole, anche se sempre colorato da un leggero flirt.
Il rapporto di Bella con il suo primo amore, Edward, è per molti versi piuttosto simile: a divergere
profondamente non sono gli eventi che le accadono, quanto piuttosto il modo con cui la ragazza reagisce a
tali avvenimenti. Anche Bella a che fare con un uomo autoritario, imperioso e deciso ad avere la
predominanza, a mantenere il controllo sulla loro relazione. Fin dall’inizio appare evidente che è lui a
decidere se e come il loro rapporto può proseguire, ed è lui a rivelarsi “depositario” di quelle informazioni
che Bella desidera disperatamente conoscere. Inoltre il ragazzo rivela fin da subito il desiderio di accudirla e
di prendersi cura, anche fisicamente, di lei, come accade all’inizio del loro rapporto, quando lui la salva da un
incidente automobilistico grazie alla sua forza sovraumana, rivelando implicitamente le basi su cui si sarebbe
basato tutto il loro rapporto (Meyer, 2006, p. 57). Viene chiaramente marcato quanto Edward si senta
responsabile del benessere della ragazza, sottolineandone implicitamente la fragilità, la delicatezza, ma anche
la goffaggine che la mettono costantemente “a rischio”. Egli si comporta dunque nei confronti di Bella in
modo da rendere chiaro la “disparità” esistente tra di loro e il forte senso di responsabilità che egli sente
verso di lei, quasi la ragazza non fosse responsabile delle sue azioni, affermando: «Non posso mai
permettermi di perdere il controllo se ci sei tu. In nessun senso, mai» (Meyer, 2006, p. 262). Questa
affermazione rivela la profonda disparità che lega Bella ed Edward, evidenziando al contempo come la loro
relazione sia la prevedibile unione di due cliché: da una parte Edward viene rappresentato come l’uomo forte
e autorevole, tanto da avere quasi nei confronti di Bella un atteggiamento “paterno”, pieno di cautela,
premura e sollecitudine, cosa che mette inevitabilmente la ragazza in uno stato di “minorità” .
(Edward): Starti lontano… mi rende… ansioso”. Il suo sguardo era dolce ma intenso, e mi
sciolse. “Non scherzavo, quanto ti ho chiesto di badare a non cadere nell’oceano o non farti
investire, giovedì. Per tutto il fine settimana sono rimasto in pensiero”. (Meyer, Twilight,
2006, p. 164)
21
Dall’altra parte Bella sembra avvicinarsi a un modello di donna fragile e bisognosa di sostegno. Non solo essa
non esprime alcuna ambizione che non riguardi Edward e la loro relazione, ma anche all’interno delle
normali dinamiche di vita quotidiana essa sembra essere costantemente esitante e incerta, come se non
riuscisse realmente a pensare a se stessa in modo sicuro e appagato se non accanto ad Edward. Infatti Bella
confessa al ragazzo, «in balia del suo sguardo ipnotico»: «vicino a te mi sento sicura» (Meyer, 2006, p. 149).
In ogni istante viene dunque messo in evidenza come Bella dipenda dal ragazzo per ogni cosa e come si
aggrappi a lui per ricercare quel senso di sicurezza che altrimenti le sfugge. La natura sovrannaturale di
Edward, dunque, non solo sembra dargli una predominanza “fisica” (in termini di forza, velocità, reattività, e
così via), ma appare come il marchio di un’indiscutibile predominanza psicologica, che rende la ragazza
incapace di opporre una qualunque resistenza ai voleri dei ragazzo, totalmente in suo potere.
Non trovavo le parole. Come mi era accaduto una volta soltanto, sentivo il suo respiro fresco sul
viso. Dolce, delizioso, il suo profumo mi metteva l’acquolina in bocca. Era diverso da qualsiasi
altro odore. Istintivamente, senza pensarci mi avvicinai ad annusarlo. […]
“Sono il miglior predatore del mondo, no? Tutto in me ti attrae: la voce, il viso, persino l’odore.
Come se ce ne fosse bisogno” […]
Restai seduta senza muovermi, non avevo mai avuto così paura di lui. Non avevo mai visto ciò
che nascondeva dietro quella facciata così ben costruita. Non era mai stato meno umano di
così… né più bello. Sedevo lì, il viso cinereo e gli occhi sbarrati, un uccellino ipnotizzato dallo
sguardo di un serpente. (Meyer, 2006, pp. 225-226)
All’interno di questo “squilibrio” di forze emerge chiaramente come la ragazza non subisca le conseguenze
negative della natura sovrannaturale di Edward solo per la capacità del ragazzo di controllarsi non per la
quella di lei di difendersi. In altre parole Bella appare costantemente come “graziata” dalla benevolenza del
suo partner, che la difende da se stesso e dal resto del mondo, grazie alla «ragione che domina gli istinti»
(Meyer, 2006, p. 255). Questo sottolinea nuovamente il ruolo “succube” che Bella incarna all’interno del suo
rapporto con Edward, evidenziando come essa in realtà debba la sua stessa sopravvivenza al ragazzo. Questo
equilibrio si romperà, almeno temporaneamente, quando un incidente metterà a rischio la vita di Bella,
portando Edward a chiudere il rapporto (Meyer, 2007, pp. 65-66). Questa dinamica si rivela simile a quella
che ha coinvolto Buffy, ma a differenza di quest’ultima Bella si lascia completamente dominare dal dolore, e
scopre di non avere attorno a sé nulla in grado di legarla alla vita, portandola verso comportamenti
autodistruttivi al solo scopo di riafferrare per qualche istante l’immagine dell’amato.
«Be’ il fatto è che… ecco… ho scoperto che… ogni volta che facevo qualcosa di pericoloso o
stupido… ti ricordavo più chiaramente» confessai, come una pazza da legare. «Ricordavo il
suono della tua voce quando ti arrabbi. La sentivo come se fossi al mio fianco. Di norma cercavo
di non pensare a te, ma in quelle occasioni speciali non sentivo il dolore: era come se fossi
tornato a proteggermi. Perché non volevi che mi facessi male. Ecco, forse riuscivo a sentirti con
tanta chiarezza perché, in fondo, sapevo che non avevi mai smesso di amarmi…» Di nuovo, le
mie frasi mi portavano una strana consapevolezza. Sentivo che erano quelle giuste. Una parte
nascosta di me riconosceva la verità. La sua voce sembrava strozzata. «Tu… hai… rischiato la
vita per sentire…» (Meyer, 2007, p. 416)
Bella non ha altri obiettivi nella vita al di fuori di Edward: è disposta a sacrificare qualunque cosa, qualunque
altro rapporto, compreso quello con i genitori, pur di annullarsi in un rapporto totalitario. Non ha scopi di
crescita o di scoperta individuale, e persino l’idea di costruirsi come individuo e come professionista
attraverso l’istruzione universitaria appare completamente indifferente alla ragazza (Meyer, 2008, pp. 45-47).
Questo atteggiamento rivela chiaramente l’enorme distanza che separa Buffy e Bella: mentre per quest’ultima
il mondo si esaurisce nel rapporto sentimentale, unico orizzonte delle sue prospettive di vita, tanto che la sua
perdita rischia di portarla a un passo dalla morte, Buffy invece è una personalità più completa, sfaccettata,
psicologicamente e moralmente abbastanza forte da andare oltre al dolore e alla delusione, puntando sugli
altri “punti forti” della propria vita per proseguire in un cammino personale di crescita e di attecchimento.
22
Buffy a rifiuta un “rapporto sbilanciato” in cui essa si trova a subire un partner dominante, che tenta di
imporsi come una sorta di oracolo a cui non è consentito ribattere: essa rivendica un rapporto più
consapevole e paritario, ma è anche in grado di accettare il suo fallimento, scoprendo al contempo gioia e
motivazioni nel proprio lavoro e nel valore dell’amicizia sincera. Per contro la mancanza di autonomia e di
autostima che caratterizza Bella la porta a sentirsi perfettamente a suo agio in un rapporto “asimmetrico”:
non solo essa è felice dell’atteggiamento tutelare di Edward, ma quando egli decide di interrompere il loro
rapporto, essa non trova altre motivazioni nella sua vita, facendosi accecare dal dolore e cadendo in
comportamenti autodistruttivi. A differenziare i due personaggi è quindi soprattutto la capacità di
autoderminazione e la ricchezza psicologica e morale che caratterizzano Buffy (indirizzandola verso un
cammino personale di crescita e di scoperta di sé) e che per contraltare appaiono assenti in Bella, la quale
vede se stessa in modo eminentemente bidimensionale, scegliendo di chiudersi all’interno di un universo
volutamente ristretto.
La seconda vita sentimentale
Sia Buffy che Bella vivono un secondo amore, forse meno assoluto e “lineare” del primo, ma caratterizzato da
una maggiore “identità” di vedute, da una maggiore armonia e da una maggiore consonanza in termini di
indole e di temperamento: a differenziarle, ancora una volta, è il modo in cui scelgono di reagire a questa
esperienza. Buffy, dopo aver passato qualche burrasca sentimentale in seguito alla rottura con Angel, scopre
un’inaspettata affinità con Spike, un vampiro dal passato decisamente turbolento, ma che, in seguito a un
periodo di “bontà forzata” 32 , ha iniziato un percorso di riflessione e ripensamento di sé. Scoprendosi
innamorato di Buffy, il ragazzo reagisce inizialmente negando i suoi sentimenti, consapevole delle tensioni
che lo legano al “gruppo” della Cacciatrice. Quest’ultima del resto lo tiene rigidamente a distanza, nonostante
impari a fidarsi di lui, nonostante lo scetticismo dei suoi amici. A lungo andare Buffy e Spike si renderanno
conto di avere molto più in comune di quanto potesse apparire a prima vista: entrambi sono ironici,
determinati e istintivi, entrambi chiudono dentro una scorza pungente una forte sensibilità ed entrambi
hanno un disperato bisogno di vicinanza emotiva. In un momento particolarmente difficile per Buffy 33, Spike
sarà l’unico a comprendere cosa sta accadendo alla ragazza.
Spike: (fissando stravolto le mani escoriate di Buffy) Le mani…
(Buffy le nasconde dietro la schiena)
Dawn: Ah… la stavo per medicare… Non so cos’abbia fatto…
S: Io sì.... (abbassa lo sguardo) Ha scavato per uscire dalla tomba… (lui alza di nuovo lo sguardo
su di lei) Non è vero?
Buffy: (abbassando lo sguardo) Sì… ho… scavato per uscire…
S: (con estrema dolcezza, sorridendole) L’ho fatto anch’io… (allunga una mano e gliela posa con
delicatezza sulla schiena) Ti cureremo noi… (poi rivolto a Dawn che esce) Vai a prendere del
disinfettante e delle bende! (Spike la porta verso la poltrona e la fa sedere, prendendole con
delicatezza le mani)
B: Quanto tempo sono mancata?
Spike (tenendole le mani quasi con reverenza e guardandola negli occhi) Ieri erano 147 giorni.
Oggi 148. Ma oggi non conta, vero? Quanto è passato per te, lì dov’eri?
B: Di più… (Stagione 6, Episodio 3, minuto 8)
Spike è un vampiro noto per aver ucciso più di una Cacciatrice nel corso della sua vita secolare, ed inizialmente è uno
dei principali nemici di Buffy. Tuttavia, a causa di una serie di vicende, egli si trova in più d’una occasione a collaborare
con la Cacciatrice e il suo gruppo. Tale rapporto si intensifica quando Spike viene catturato da un gruppo di scienziati che
impiantano nel suo cervello un chip in grado di controllare il suo comportamento aggressivo.
33 Nello scontro con Gloria, una divinità infernale, Buffy ha scelto di sacrificarsi per consentire al mondo di sopravvivere.
I suoi amici sono riusciti a riportarla in vita grazie a un incantesimo, ignari del fatto che Buffy non si trovava in una
dimensione infernale, come essi erano convinti, ma in paradiso.
32
23
Buffy si trova in un momento di estrema sofferenza, sconvolta dal dolore e dalla disperazione che nasce in lei
dall’essere stata “strappata” dall’isola di serenità che aveva raggiunto e dalla consapevolezza di non poter
aprire il proprio cuore a coloro che fino a quel momento avevano sempre incarnato il suo “porto sicuro”.
All’interno di questo panorama di incertezza e desolazione Spike sembra l’unico in grado di capire i suoi
sentimenti, ed è con lui che la ragazza riesce ad essere realmente se stessa, svelando la profondità e la
conflittualità del suo pensiero34. D’altra parte anche per Spike Buffy rappresenta l’unica persona con cui
riesce ad aprirsi sinceramente, mostrando almeno una parte delle sue ferite e le sue fragilità. A questo
proposito simbolico si rivela il dolore e il senso di colpa che egli prova per averla delusa, per non essere stato
in grado di mantenere la promessa che le aveva fatto. Spike infatti afferma: «Penso sempre alla promessa che
ti feci. La promessa di proteggere Dawn. Se fossi riuscito a mantenerla tu… non ti saresti dovuta buttare»,
rivelando al contempo come la consapevolezza di questa mancanza abbia aperto in lui una riflessione
personale in grado di porre le basi per un ripensamento profondo di se stesso (Stagione 6, Episodio 3, minuto
27).
Dopo una lunga serie di alti e bassi, i due iniziano una relazione inizialmente di tipo prettamente fisico:
tuttavia quello che emerge è, fin dall’inizio, quanto il legame tra i due sia libero e paritario: non a caso,
simbolicamente, Buffy è l’unica con cui i chip di Spike non funziona, consentendogli di scontrarsi con lei
anche in modo duro. Ciò accade perché, da una parte, nel profondo, Spike non ha realmente intenzione di
ferire la ragazza, e quindi il chip non entra in azione; e dall’altra perché dopo la sua esperienza “ultraterrena”
Buffy si sente particolarmente vicina al vampiro, ponendosi implicitamente con lui in un rapporto
privilegiato (Stagione 6, Episodio 9, minuto 38). Le loro zuffe, così come i loro scontri verbali al vetriolo
(durante i quali i due si dicono brutalmente in faccia anche quelle verità che possono far soffrire ma che
talvolta è necessario ascoltare) rappresentano l’essenza di una relazione sincera e priva di artifici in cui i due
si pongono l’uno con l’altra in modo assolutamente “non filtrato”, portando alla luce le tensioni e i dubbi
irrisolti che legano ancora la ragazza al suo passato e ai “sedimenti” che ancora adombrano l’anima di Spike.
Ci sarà bisogno di tempo e di molto impegno (nonché della disponibilità a cambiare profondamente) affinché
Buffy e Spike riescano a rielaborare il proprio passato, trasformando il loro legame in un vero rapporto,
profondo, e intimo. Tuttavia la schiettezza e la lealtà che caratterizzano la loro relazione si rivela essenziale
per la loro crescita personale come individui: infatti Spike deciderà di iniziare il lungo e doloroso percorso
che lo porterà ad essere di nuovo realmente se stesso partendo da quelle verità su se stesso che ha scoperto
grazie a Buffy, e quest’ultima troverà in Spike il sostegno e il coraggio necessari a cambiare la propria vita. Il
loro rapporto si rivelerà dunque “formativo” per entrambi, poiché li porterà a crescere come individui prima
ancora che come elementi di una coppia, poiché nasce da una profonda stima reciproca, nonostante la
consapevolezza delle rispettive fragilità.
Spike: C'è una cosa di cui sono sempre stato sicuro... Tu! Ehi, guardami, io non ti sto chiedendo niente.
Quando dico che ti amo, non è perché ti voglio o perché non posso averti. Non ha a che fare con me, io
amo quello che sei, quello che fai, come ti impegni. Ho visto la tua gentilezza e la tua forza. Ho visto il
meglio ed anche il peggio di te e capisco con estrema chiarezza quello che sei...
(Stagione 7, episodio 21, minuto 31)
Buffy: Io ero felice… dovunque fossi, io ero felice… Mi sentivo bene… in pace… (Spike la guarda sbalordito,
dolente) Sapevo che tutti quelli che amavo stavano bene... lo sapevo… il tempo non significava niente… Nulla aveva
una forma ma ero sempre me stessa… ero protetta… mi sentivo amata… avevo una sensazione… di completezza. Io
non… capisco la teologia o le dimensioni…. Nessuna di queste cose, ma credo che fossi in paradiso. E ora non ci
sono più. Sono stata sradicata da lì. Portata via dai miei amici. Qui tutto è duro… difficile… violento. Ogni cosa.
Tutto quello che sento... Tutto quello che tocco… Questo è l’inferno. Dover vivere qui, ogni momento, per tutta la
vita. Sapendo quello che ho perduto. Loro non lo devono sapere. Mai. (Stagione 6, Episodio 3, minuto 38)
34
24
Le caratteristiche dominanti di questo rapporto verranno evidenziate dalle vicende che porteranno al ritorno
di Angel: il comportamento di quest’ultimo appare mutato ed egli sembra finalmente più consapevole della
reale personalità di Buffy, dimostrandosi disposto a comportarsi con lei “da pari a pari” (Stagione 7, Episodio
22, minuto 1). Questo provoca nella ragazza un momentaneo tentennamento, tuttavia basterà una breve
riflessione per comprende che il rapporto paritario (o quasi) che le viene offerto giunge troppo tardi, quando
troppe cose sono ormai cambiate: soprattutto è cambiata lei stessa, diventando una persona completamente
diversa. Buffy comprende dunque che Angel fa definitivamente parte del suo passato, e che per lei è
necessario andare avanti.
Buffy: Quindi… sarai con me nella battaglia?
Angel: Fino alla fine. Fianco a fianco. Sono tuo.
B: (lei ci abbassa il capo riflettendo poi lo rialza) No.
A: No, cosa?
B: Non sarai in questa battaglia. (Stagione 7, Episodio 22, minuto 4)
Angel, pur comprendendo che il cambiamento di Buffy ha a che fare con la relazione che essa ha instaurato
con Spike, non capisce che questo legame non è stato “subito” dalla ragazza ma anzi è stato per lei l’occasione
di un profondo ripensamento di se stessa. L’atteggiamento di Angel è caratterizzato da orgoglio, supponenza
ed egocentrismo, rivelandone la profonda immaturità, per quanto ammantata da un’apparente
determinazione e sicurezza in se stessi35. Buffy al contrario, è in grado di analizzare in modo lucido il suo
percorso di vita, i suoi sbagli e le sue fragilità, sottoponendo la propria vita a un esame di realtà
indispensabile per intraprendere una reale crescita individuale. La ragazza è consapevole che, per poter
intraprendere il viaggio comune rappresentato dalla costruzione di una relazione sentimentale, è prima di
tutto necessario essere sicuri sulle proprie gambe (Stagione 22, episodio 22, minuto 7). Buffy si dimostra
pronta ad assumersi la responsabilità di un rapporto maturo e completo, nonostante le difficoltà e le tensioni
che esso inevitabilmente porta con sé, e decide che questo rapporto sarà con un uomo che, per quanto
difficile e problematico, è riuscito a superare per lei le sue barriere, mostrando in modo sincero e disarmato
tutte le sue fragilità, senza sovrastrutture a nascondere le sue dinamiche più profonde. Esempio della
capacità di comprensione reciproca che lega Buffy e Spike è rappresentato dal modo in cui il loro rapporto,
paritario e spontaneo, intreccia la loro vita “personale” con quella “professionale”, integrandosi in modo
naturale e istintivo. Spike non ha remore ad impegnarsi intensamente nella lotta contro quella che in passato
era la sua fazione, né la ragazza esita ad accettare il suo aiuto. Questo accade perché Buffy in realtà è l’unica
in grado di vedere oltre all’apparenza e di comprendere come Spike abbia davvero compiuto grandi passi per
poter ricostruire la sua anima, ed è l’unica a fidarsi completamente di lui, tanto da porre nelle sue mani le
speranze di salvezza dell’intero scontro (Stagione 7, episodio 22, minuto 9). La fiducia che lega Buffy e Spike
è tanto più autentica in quanto fondata su una profonda conoscenza reciproca, e sulla condivisione di un
linguaggio comune, fatto di ironia ma anche di grande franchezza, che permette ai due di essere
autenticamente se stessi.
Anche Bella, dopo la partenza del suo primo amore, intreccia un nuovo rapporto sentimentale, i cui esiti
mettono in evidenza ancora una volta la profonda distanza che la separa da Buffy. Bella, dopo la scomparsa si
Edward, si lega all’amico d’infanzia Jacob, il quale in breve si innamora di lei, nonostante le complicazioni
causate, anche in questo caso, dall’ identità sovrannaturale del ragazzo36. Lentamente la ragazza inizia a
Buffy svela immediatamente l’immaturità di Angel, rimproverandolo per la sua puerilità «Parli come un
ragazzino di dodici anni!» (Stagione 7, Episodio 22, minuto 6)
36 Jacob è un licantropo, appartenente a una tribù nativa americana da anni impegnata in una sorta di “faida” con i
vampiri, per quanto abbiano stabilito con il clan a cui appartiene Edward una sorta di “tregua”, riconoscendo il loro
impegno a non uccidere gli esseri umani.
35
25
dipendere da Jacob, riproducendo inconsapevolmente con lui un rapporto di dipendenza e riproponendo le
stesse dinamiche di tutela che essa aveva precedentemente stabilito con Edward. Bella non solo riproduce
con Jacob le stesse dinamiche già sperimentate nella precedente relazione, ma afferma esplicitamente di
servirsi del ragazzo come di una «stampella» per uscire dal dolore e dalla confusione in cui l’ha gettata
l’abbandono di Edward (Meyer, 2007, p. 182). Di fronte alla solitudine che la tormenta, il rapporto con Jacob
rappresenta per Bella un’occasione di serenità, se non inseguita certamente accolta, tuttavia ancora una volta,
nello stabilire un rapporto, la ragazza sembra principalmente interessata al proprio benessere. Essa non
riesce a vedere con chiarezza il rapporto sentimentale come uno scambio paritario tra due individui che
mettono in comune una serie di necessità, ma esclusivamente come un flusso di attenzione che scorre
inesorabilmente nella sua direzione.
Lo guardai a mia volta. Non era il mio Jacob, ma avrebbe potuto diventarlo. Il suo volto mi era
familiare e caro. Avevo più di un motivo reale per amarlo. Era il mio sollievo, il mio porto sicuro.
In quell’istante avrei potuto decidere di farlo mio. (Meyer, 2007, p. 326)
Appare dunque evidente come la “matrice” su cui Bella modella le sue dinamiche di coppia ha le sue radici
nel legame con Edward: il ruolo di Jacob rimane sempre subordinato a quello che la ragazza ha instaurato
nella precedente relazione, e Bella sembra riprodurre in modo quasi meccanico schemi di comportamento
pre-appresi. Tuttavia la ragazza è incapace di comprendere che i suoi comportamenti, le sue proiezioni,
giocano un ruolo nei legami sentimentali in cui si inserisce, vedendo se stessa all’interno di una sorta di
predestinazione (Meyer, 2007, pp. 296-297). Al di là delle differenze “epidermiche” ciò che allontana
profondamente la figura di Jacob da quella di Edward è il modo in cui i due scelgono di relazionarsi con Bella:
mentre Edward aveva incoraggiato (e anzi fortemente voluto) le dinamiche di disparità e dipendenza che
aveva legato Bella a lui, consolidando lo schema asimmetrico che si era stabilito tra di loro, Jacob invece
cerca con la ragazza un rapporto più diretto e sincero, e anche più paritario. Egli incoraggia Bella e a mettersi
alla prova, a fare esperienze diverse e anche potenzialmente pericolose, pur mantenendosi sempre “un passo
dietro a lei”, pronto a intervenire nel caso qualcosa andasse storto. Jacob insomma, pur non manifestando
certo noncuranza per la salute della ragazza, non è neppure opprimente o eccessivamente protettivo, bensì
aperto, sincero e schietto. Mentre Edward tendeva a nascondere a Bella problemi e dubbi, riservandosi il
diritto di decidere senza il consulto della ragazza riguardo a cosa è meglio talvolta per lei stessa, Jacob invece
preferisce essere schietto nei confronti della ragazza, lasciandola libera di prendere le sue decisioni e
ponendo le basi per un rapporto diverso, più onesto e leale ma soprattutto più equilibrato e paritario (Meyer,
2008, p. 74). Egli non pone nessuna barriera di inautenticità tra se e Bella, rivendicando la necessità essere
completamente sinceri l’uno con l’altra e facendo osservare come tale sincerità non si applichi invece al
legame tra Bella ed Edward (Meyer, 2008, p. 266). Tuttavia tale atteggiamento non si rivela vincente, e Bella
deciderà di riallacciare il suo legame con il vampiro, esprimendo chiaramente il suo sentirsi a suo agio
all’interno di un rapporto di subordinazione. Il suo bisogno di Edward assume i connotati di una vera e
propria dipendenza, un legame a cui Bella non riesce a rinunciare perché psicologicamente se ne sente
assoggettata. Come una tossicodipendente che afferma di non voler rinunciare alla droga, allo stesso modo
Bella rivendica fieramente di non poter fare a meno di Edward, affermando: «Non voglio essere felice con
nessun’altro. Solo con lui» (Meyer, 2008, p. 271). Jacob comprende in realtà quello che a Bella sfugge, ovvero
quanto il rapporto tra lei ed Edward sia malsano e dannoso, e capisce anche quanto esso non sia paritario,
poiché mantiene costantemente la ragazza in uno stato di sudditanza. Egli si è proposto alla ragazza come
una scelta non solo più paritaria, ma anche più “pulita” e salubre: la possibilità di costruire un legame privo
di ambiguità, se non di asperità, che l’avrebbe aiutata a crescere come individuo e avrebbe coltivato in lei
l’autonomia invece che la dipendenza.
26
«Io sono perfetto per te, Bella, non avremmo dovuto sforzarci, mai… sarebbe stato immediato,
facile come respirare. Mi avresti naturalmente trovato nel cammino della tua vita.» […]
«[Edward] è come una droga per te, Bella.» Il suo tono era rimasto gentile, niente affatto
critico. «Ormai ho capito che senza di lui non puoi vivere. È troppo tardi. Ma io sarei stato una
scelta più sana. Non una droga: io sarei stato l’aria. Il sole». (Meyer, 2008, pp. 477-478).
In fondo al cuore anche Bella comprende che Jacob sarebbe una scelta più sana, e che il legame con lui
sarebbe più semplice, istintivo, naturale, ma soprattutto più “salubre”. Soprattutto si rende conto che
l’influenza di Edward su di lei ha qualcosa di irrazionale, di compulsivo, e che rappresenta in un certo senso
anche una scelta potenzialmente “infelice” (Meyer, 2008, pp. 477-478). Nei momenti di maggiore
consapevolezza Bella riesce a rendersi conto che rinunciando al rapporto con Jacob rinuncia a una vita
potenzialmente felice e appagata, ma soprattutto rinuncia a una parte di se stessa. Una parte serena ed
equilibrata, in cui veniva custodito un amore più gioioso e completo che rappresentava per lei una possibilità
di crescita. Ma la sua incapacità di allontanarsi dalla dipendenza psicologica attorno a cui aveva costruito la
propria identità la rendono incapace di cogliere questa opportunità, ferendo sia Jacob che lei stessa.
Era ovunque. Il sole abbagliante inondò di rosso i miei occhi ed era il colore giusto, con tutto
quel caldo. Il caldo era ovunque. Non vedevo, non sentivo, non provavo nient’altro che non fosse
Jacob. […] Aveva ragione Jacob. L’aveva sempre avuta. Era più di un semplice amico. Ecco
perché non riuscivo a dirgli addio. Ero innamorata di lui. Sì, lo amavo, più di quanto avrei
dovuto e tuttavia non abbastanza. Ero innamorata di lui, ma ciò non bastava a cambiare nulla;
era soltanto sufficiente a ferirci entrambi. […] Per un secondo breve ma infinito vidi una strada
diversa srotolarsi al di là delle palpebre che sigillavano i miei occhi inondati di lacrime. Come se
guardassi attraverso il filtro dei pensieri di Jacob, capii con esattezza a cosa avrei rinunciato,
cos’avrei perso malgrado la mia nuova consapevolezza di me stessa. (Meyer, 2008, p. 422)
La differenza tra Buffy e Bella dunque riguarda la loro capacità di mettersi in gioco all’interno di un rapporto
equo e paritario, anche se potenzialmente “faticoso” perché porta con sé la necessità di porsi continuamente
in discussione. Il rapporto che Buffy decide di accogliere e che invece Bella rifiuta assume i connotati di una
relazione più matura, con un partner più compatibile ma anche più dialettico. Un legame che chiede di vivere
non “di riflesso”, adattandosi a un partner imperioso e “tutelare”, ma piuttosto di cercare continuamente un
equilibrio tra due personalità ugualmente autonome, ma decise a cercare e a scegliere di volta in volta un
accordo che consenta a entrambi di esprimere la propria individualità. Questo tipo di rapporto si rivela
collegato alla capacità di reinventare se stessa, di uscire dai propri schemi consolidati e di guardare a se
stessa con sguardo obbiettivo ma critico, ed appare evidente come la presenza o l’assenza di tale attitudine si
riveli una discriminante di estrema importanza. Buffy comprende infatti come il fallimento della sua
relazione con Angel è stato causato non solo dall’atteggiamento autoritario del ragazzo, ma anche dalla sua
incapacità di aprirsi completamente con lui, mostrandogli schiettamente i suoi bisogni e le sue esigenze. Essa
riesce dunque a modificare il suo schema di comportamento, instaurando la relazione con Spike su altre basi
e ponendo come pregiudiziale la capacità di esprimere schiettamente le proprie dinamiche più profonde. Al
contrario Bella non riesce ad evadere dalla prigione che ha costruito attorno a sé: nonostante Jacob tenti di
dare una nuova svolta al loro rapporto, Bella ricreerà con lui le stesse alchimie che l’avevano legata ad
Edward. Pur consapevole della “tossicità” dei sentimenti che la legano a quest’ultimo, Bella non può fare a
meno di esserne dipendente, incapace di dare una svolta alla propria identità. Bella dunque, a differenza di
Buffy, non è in grado di mettersi in discussione in modo critico e di trovare la forza per modificare i propri
schemi di relazione. La differenza tra le due riguarda quindi la capacità di scegliere un partner paritario e di
sostenere l’impegno di un rapporto rispettoso, dialettico e maturo.
27
Conclusioni
Questa analisi ci ha dunque mostrato come le due figure femminili al centro di questi prodotti culturali così
amati dagli adolescenti, pur separati solo da una manciata di anni, rivelano modelli di riferimento molto
diversi. Da una parte il personaggio di Buffy si caratterizza per la sua fiducia nelle proprie potenzialità, intese
come risorsa da condividere con il prossimo; per il suo desiderio di autodeterminazione, unito alla capacità di
reinventare se stessa; per la sua schiettezza e sincerità, che la portano a guardare se stessa con occhi
obbiettivi e pragmatici e a cercare la stessa autenticità nei rapporti interpersonali, paritari e consapevoli.
Dall’altra parte Bella è una figura timorosa e incerta, che vive di luce riflessa e proietta sul gruppo di
appartenenza le proprie fantasie identitarie; la sua bassa autostima la rende incapace di realizzarsi
autonomamente e la pone alla continua ricerca di un partner assertivo a cui appoggiarsi, diffidente nei
confronti di un rapporto più dialettico e maturo, che la obbligherebbe a mettersi in discussione in modo
critico e a modificare i propri schemi di comportamento.
Entrambi i prodotti culturali in cui si muovono le due protagoniste analizzate sono (o sono stati) oggetto di
culto per gli adolescenti. Questo significa che sono oggetti di consumo mediale che assumono (prendendo a
prestito la definizione di Walter Benjamin) una speciale «aura», e il cui «valore simbolico va molto al di là del
loro significato funzionale» poiché diventano «marcatori di un’appartenenza», «indicatori di una identità»,
«terreno di condivisione di esperienze» (Scaglioni, 2006, pp. 3-4) Pierre Bourdieu a questo proposito
afferma che i prodotti culturali costituiscono una sorta di “ponte simbolico”, socialmente accettato e
condiviso, che individua lo «spazio del possibile», ovvero la cornice all’interno del quale appare lecito
collocare comportamenti e caratteristiche legittime ed attese (Bourdieu, 1996, p. 235). I prodotti culturali
insomma diventano non solo il luogo in cui vengono riflessi gli schemi identitari della cultura di riferimento,
ma divengono anche uno schermo proiettivo che mostra ai fruitori dei modelli di identificazioni su cui
modellare la costruzione della propria identità (Truda, 2008, pp. 132-134).
Partendo da questi presupposti i personaggi di Buffy e Bella ci dimostrano come, nello spazio di pochi anni,
le figure identitarie socialmente accettate e considerate “desiderabili” dalle adolescenti hanno subito un
cambiamento radicale. Mentre fino a pochi anni fa i fantasie proiettivi delle ragazze andavano a un modello
di riferimento energico e costruttivo, oggi a dominare il loro immaginario è una rappresentazione di donna
ben diversa, in cui dominano elementi di fragilità, di insicurezza e di inautenticità. È indubbio che una
rappresentazione così “debole” si ricollega agli smarrimenti tipici dell’adolescenza, tuttavia mentre fino a
qualche anno fa le ragazze miravano a un modello che le facesse uscire da tali criticità, proiettandosi “in
avanti” verso una personalità più sicura, autonoma ed adulta, oggi le adolescenti scelgono invece di rimanere
in una stato di “minorità” crogiolandosi nelle proprie incertezze e cercando una “scappatoia” che consenta
però loro di non mettersi realmente in gioco. Esse insomma rifuggono da un percorso di crescita che le porti
a razionalizzare e a superare le proprie paure, e cercano rifugio in un rapporto con l’altro sesso che si
caratterizza come una “fuga” dalle responsabilità, mantenendole in uno stato di dipendenza, legata alla figura
dell’“eroe” senza il quale sono incapaci di esprimere il loro potenziale.
Molti autori hanno osservato come, negli ultimi anni, si sta assistendo a un riemergere di rappresentazioni
femminili estremamente tradizionali e tipizzate, che sembrano voler riportare indietro di parecchi anni le
lancette dell’orologio. Tra gli altri
Peter Glick e Susan T. Fiske affermano che, in particolare nelle
rappresentazioni mediali, sta emergendo una raffigurazione femminile che vuole nuovamente le donne legate
a un’idealizzazione quasi “stilnovista” in cui esse sono romantiche, fragili e bisognose di protezione (Glick,
Fiske, 2001, p. 112). Loredana Lipperini parla di una tendenza alla re-genderization, ovvero un ritorno a una
suddivisione in generi, con un’attribuzione molto netta e rigida delle caratteristiche tradizionali associate
28
all’identità maschile e a quella femminile, sottolineando come le rappresentazioni mediali rappresentino il
luogo in cui vengono raccolti e amplificate delle tendenze già presenti nella società (Lipperini, 2007, pp. 6970). Come ha evidenziato lo studioso Dimitris Theodossakis i personaggi mediali possono diventare per gli
adolescenti dei veri e propri oggetti transazionali; dunque, se pure è vero che tali oggetti mediali
“ritrasmettono” delle linee di tendenza già presenti nella società, è altrettanto vero che le consolidano,
portando i giovani spettatori ad adattarvisi. E, ove tali prodotti culturali riproducono e incoraggiano
rappresentazioni tradizionali e stereotipate, appare evidente che questi stessi modelli risultino come quelli da
cui il pubblico adolescente rimane maggiormente influenzato, limitando le possibilità offerte loro dai processi
di identificazione quale strumento di crescita e di evoluzione personale (Theodossakis, 2009, p. 175). Angela
E. Hubler sottolinea come i Media Narrativi «possano giocare un ruolo importante nella costruzione
dell’identità femminile» perché essi sono in grado di fornire «l’opportunità per esperienze vicarie» e quindi,
se le ragazze si trovano di fronte a rappresentazioni femminili fragili, dipendenti e passive (invece che forti,
indipendenti e assertive) questo può rafforzare l’assunzione di un identità di genere tradizionale 37 (Hubler,
2000, p. 90-91). Oltre a ciò, Jacqueline Reid-Walsh afferma che «nella cultura popolare contemporanea
possiamo vedere la rappresentazione delle ‘dodicenni’ come già fortemente femminilizzate [hyper-feminine]
e la diffusione della “junior chick lit”» 38 nella quale ragazzine sono rappresentate come superficiali, vanesie,
emotive e passive, incoraggiando l’idea che questo sia «il modo giusto per essere una ragazza» e di
conseguenza ostacolando una definizione autonoma di sé (Reid-Walsh, 2006, p. 145). A tal proposito Judith
Butler afferma che la rappresentazione di genere deve essere decostruita a partire dalla «singola norma»,
frutto di una società totalizzante incapace di riconoscere e promuovere la distruzione del «genere binario».
In altre parole, secondo la studiosa, è necessario partire dalla consapevolezza che la società produce sui
soggetti un’influenza omologante, e che tale orientamento è particolarmente evidente nella definizione
dell’identità di genere (Butler, 2006, p. 48, p. 197). Questo può incoraggiare «il perpetuarsi di una disparità
di genere attraverso il rafforzamento dell’ideale tradizionale di femminilità» 39 (Diekman, Murnen, 2004, p.
375). La funzione pedagogica dei Media Narrativi e della Letteratura si rende manifesta soprattutto nella
definizione dei personaggi, poiché è attraverso i processi di identificazione che i ragazzi trovano occasione
per «riflettere su sé stessi» (Blezza Picherle, 2004, p. 282), e i media cambiano i processi di costruzione del
sé attraverso la loro pervasività simbolica (Thompson, 1998, p. 210). Dunque, poiché è ormai assodato che i
media forniscano, all’interno dello sviluppo individuale, un ruolo di auto-formazione, in particolare riguardo
ai processi di costruzione dell’identità (Thompson, 1998, pp. 294-295), la popolarità di queste figure
femminili fragili e sottomesse rappresentano da una parte un campanello d’allarme per la “devoluzione”
sociale già in atto, e dall’altra un rischio emergente per le nuove generazioni.
(Per la bibliografia di riferimento si veda il saggio di Roberta Silvia indicato nella nota 7).
37
Libera traduzione dall’originale.
Libera traduzione dall’originale.
39 Libera traduzione dall’originale.
38
29