relazione costituzione del convenuto

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relazione costituzione del convenuto
La costituzione del convenuto nel processo civile ordinario
a cura del Prof. Mariacarla Giorgetti
La costituzione in giudizio del convenuto è l’attività che egli deve svolgere se
non vuole restare in stato di inerzia a fronte della domanda attorea e quindi subire un
processo contumaciale, comunque scelta legittima e possibile per chi voglia optarvi.
La disciplina relativa alla costituzione del convenuto nel rito ordinario è regolata
dagli artt. 166 e 167 c.p.c. i quali prevedono che il convenuto, ossia la persona fisica o
giuridica che assume la qualità di “parte convenuta”, debba costituirsi a mezzo del
difensore o personalmente nei casi consentiti dalla legge (con riferimento agli artt 82 e
86 c.p.c.) almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata dall’attore con
l’atto di citazione (o dal giudice ex art 168 bis c.p.c. in caso di differimento dell’udienza
di comparizione) o dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini ex art. 163 bis
c.p.c.
La costituzione deve avvenire depositando nella cancelleria del giudice il
fascicolo di parte contenente la comparsa di costituzione e risposta ed i documenti
offerti in comunicazione, la copia della citazione notificata e la procura alle liti.
Solo con l’attività di costituzione in giudizio il convenuto può però opporre e
contestare le pretese dell’attore con l’elevazione di eccezioni in senso stretto o comuni e
svolgere, se del caso, domande riconvenzionali o richiedere la chiamata in causa di un
terzo con il quale ritenga la causa comune o dal quale ritenga di dover essere garantito.
La costituzione in giudizio, pertanto, comporta per il convenuto la presa di
posizione relativamente ad ogni fatto e pretesa giuridica indicati dall’attore con la
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citazione; presa di posizione che può consistere in una generica o in una puntuale
contestazione di ogni singolo fatto posto dall’attore a fondamento delle proprie pretese,
attraverso l’elevazione di eccezioni che possono essere o meno sottoposte a regimi di
decadenza quanto alla loro proposizione ex art. 167 c.p.c.
Mentre infatti per lo svolgimento delle eccezioni comuni il convenuto non è
sottoposto a termini specifici, potendo la contestazione dei fatti, anche ai sensi e per gli
effetti dell’art. 115 c.p.c., essere svolta con la comparsa di costituzione e risposta
depositata dopo i termini di venti o dieci giorni predetti prima dell’udienza di
comparizione, per l’elevazione di eccezioni di merito o di rito non rilevabili ex officio
(quali a titolo meramente esemplificativo si indicano la prescrizione del diritto o
dell’azione, la mancata denuncia di danno nei termini previsti dalla legge per la garanzia
sul bene compravenduto, la supposta incompetenza territoriale derogabile del giudice) il
codice prevede all’art 167 c.p.c che le stesse debbano a pena di decadenza essere svolte
con la costituzione nel termine prescritto.
Oltre alle eccezioni di merito o di rito non rilevabili ex officio, il medesimo
termine di decadenza si applica per altre facoltà concesse al convenuto ed ossia lo
svolgimento di una domanda riconvenzionale e/o la richiesta di autorizzazione della
chiamata di un terzo articolata con contestuale istanza di differimento dell’udienza di
comparizione per consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini di
comparizione.
Queste appena descritte risultano essere le norme che regolano l’attività di
costituzione in giudizio nel convenuto in senso materiale più che contenutistico.
La disciplina più stringente è infatti quella contenuta nell’art. 167 c.p.c. che
norma il contenuto della comparsa di costituzione e risposta, ossia l’atto formale con il
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quale il convenuto prende posizione in merito alle domande dell’attore e l’atto che, ai
sensi dell’art 166 c.p.c, come si è precedentemente scritto, è depositato con il fascicolo
di parte in cancelleria, attività, quest’ultima, da ritenersi requisito indispensabile perché
l’atto di costituzione possa dirsi perfezionato.
La comparsa di costituzione e di risposta ha, come previsto dall’art. 167 c.p.c.,
requisiti indefettibili di forma. In linea di principio si applicano le prescrizioni dell’art.
125 disp att c.p.c dovendo pertanto la comparsa di costituzione e risposta contenere
l’indicazione dell’ufficio giudiziario competente, delle parti, delle ragioni della
controversia, ossia per quanto attiene nello specifico al convenuto, le difese
relativamente ai fatti e alle domande poste dall’attore nei suoi confronti e delle
conclusioni. Come ogni atto giudiziario svolto attraverso l’operato di un difensore, la
comparsa di costituzione e risposta deve essere sottoscritta dal difensore munito di
procura alle liti che deve essere posta in calce o a margine della comparsa con
autenticazione della sottoscrizione da parte del difensore.
Il convenuto, costituendosi in giudizio, deve inoltre depositare la comparsa in
originale e in copia nel numero necessario per le altre parti oltre alla copia per l’ufficio.
Si osserva che tale incombente, in difetto di ottemperanza, provoca l’irricevibilità
dell’atto ex art 73 disp. att. c.p.c.
Questi i requisiti formali.
Ma la comparsa di costituzione e risposta comporta per il convenuto anche oneri
contenutistici, posto che, come si è detto, essa è l’atto con il quale il convenuto prende
posizione rispetto alle domande dell’attore.
Quanto al contenuto della comparsa, pertanto, il convenuto deve, ai sensi dell’art
167 c.p.c. proporre tutte le sue difese, il che significa che deve prendere posizione
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(contestando o meno) su tutti i fatti che l’attore ha posto a fondamento delle proprie
pretese; deve altresì indicare i mezzi di prova e i documenti che offre in comunicazione
(dovendosi però precisare che l’art. 183 c.p.c. prevede un termine ulteriore per
completare le allegazioni propriamente dette), proporre le eccezioni e formulare, infine
le conclusioni.
Cosa si debba intendere per proporre tutte le proprie difese spinge ad una
disamina più articolata.
Una difesa, infatti può essere una c.d. “mera difesa” ossia la semplice
contestazione dell’addebito o dei fatti o dell’applicabilità delle disposizioni di legge
indicate a fondamento dall’attore.
Nel caso il convenuto non prenda posizione su alcuni fatti si verifica il fenomeno
della c.d. non contestazione che da esortazione del legislatore con la novelle del 1990 è
divenuto con la formulazione del nuovo art. 115 c.p.c un elemento di non trascurabile
momento, potendo il giudice dare per ammessi i fatti non contestati dal convenuto. A
prescindere però dagli effetti deducibili da parte del giudice ex art 115 c.p.c, il
convenuto è comunque gravato dall’onere di contestare diligentemente tutti i fatti
opposti, se non altro per evitare la valutazione negativa in caso di istanza di ordinanza
per il pagamento delle somme non contestate di cui all’art. 186 bis c.p.c.
Va osservato inoltre che la non contestazione non riguarda solo i fatti, ma anche
i documenti posto che l’art 215 c.p.c prevede il riconoscimento tacito della scrittura
privata allorquando essa non venga contestata nella prima difesa successiva alla sua
produzione.
Indirettamente quindi, qualora l’attore, come usualmente accade, offra in
comunicazione scritture private o documenti assimilabili alle stesse, onere del
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convenuto è eccepirne la validità o la veridicità con la sottoposizione di detto onere
all’art 167 c.p.c e al termine di venti giorni a pena di decadenza posto che l’art 215 c.p.c
è norma processuale ricadente, come si vedrà in seguito, nella definizione di eccezione
processuale non rilevabili d’ufficio.
Diverse dalle mere difese sono invece le eccezioni che il convenuto può opporre
all’attore.
Le eccezioni, come sopra accennato in relazione ai termini di decadenza,
possono essere distinte in eccezioni rilevabili d’ufficio, quindi proponibili anche dopo i
termini predetti, e non rilevabili d’ufficio, sottoposte alla “tagliola” dell’art. 167 c.p.c
Nello specifico le eccezioni non rilevabili d’ufficio si distinguono la loro volta in
eccezioni di merito (ossia tutte le allegazioni di fatti impeditivi, modificativi o estintivi
della pretesa attorea che il giudice, d’ufficio, non potrebbe rilevare senza una esplicita
manifestazione di volontà delle parti. Come sopra indicato si possono annoverare in
questa tipologia di eccezioni l’opposizione di una prescrizione, l’eccezione di
annullabilità del contratto, l’eccezione di compensazione, l’eccezione del beneficio
d’escussione a favore del fideiussore) e processuali o di rito, previste dalla stessa legge
processuale, come l’eccezione di incompetenza territoriale, l’inosservanza dei termini di
comparizione.
Come si è detto onere del convenuto rimane, oltre che proposizione delle mere
difese la proposizione nei termini previsti dall’art 167 c.p.c. delle eccezioni di merito e
processuali non rilevabili d’ufficio.
Ma questo non è l’unico onere posto a pena di decadenza e sottoposto ai termini
di venti (o dieci) giorni prima dell’udienza di comparizione.
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Vi sono altre due ulteriori facoltà in capo al convenuto esercitabili solo nei
termini predetti ed ossia la proposizione di domanda riconvenzionale o la richiesta di
essere autorizzato a chiamare in giudizio un terzo.
Da un punto di vista definitorio la domanda riconvenzionale è una domanda
giudiziale dotata di propria autonomia, potendo essere proposta come domanda
autonoma in un proprio processo. In altre parole la domanda riconvenzionale non è
dipendente dalla domanda principale dell’attore (tanto che deve essere decisa anche in
caso di dichiarazione di improponibilità della domanda principale, salvo che il
convenuto abbia proposto la riconvenzionale subordinandola all’accoglimento della
domanda attorea) ma la legge processuale, per economia di giudizio, prevede la
possibilità che, a certe condizioni, tali domande possano essere trattate congiuntamente
nella medesima causa. La domanda riconvenzionale deve essere connessa alla domanda
principale, soggettivamente o oggettivamente ex art. 36 c.p.c. ovvero deve essere in
qualche modo collegata alla domanda principale di modo che sia possibile ritenere come
opportuno il processo simultaneo.
Va inoltre precisato che in caso di costituzione in giudizio del creditore opposto
nel processo monitorio, da ritenersi avente la qualità di attore in quanto la domanda
principale è quella proposta con il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, lo stesso
non può proporre domande riconvenzionali che con siano nei limiti della c.d.
reconventio reconventionis, ossia che trovino fondamento nei fatti nuovi allegati
dall’opponente – convenuto sostanziale, con le proprie eccezioni o la domanda
riconvenzionale.
Con la proposizione della domanda riconvenzionale il convenuto amplia il c.d.
libellum, ossia il contenuto del rapporto processuale instauratosi tra le parti, dovendosi
pertanto decidere la controversia in ordine ad entrambe le domande.
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Sotto un profilo definitorio la domanda riconvenzionale deve essere distinta
dalla più controversa figura della eccezione riconvenzionale, ed ossia all’istanza del
convenuto tesa all’introduzione di un’azione d’accertamento al solo fine di paralizzare
nei suoi elementi di fatto o di diritto la domanda attorea. Diverso, per fare un esempio, è
dedurre una compensazione, e quindi chiederne l’accertamento al solo fine di
paralizzare la pretesa attorea ovvero dedurre la compensazione, chiederne
l’accertamento e quindi la condanna di controparte al pagamento del credito dedotto.
L’eccezione riconvenzionale non è pertanto una domanda, nonostante introduca
un’azione e pertanto è sottoposta al regime delle eccezioni in senso stretto.
La domanda riconvenzionale, invece, è sottoposta al regime di cui all’art 167
c.p.c. e il mancato rispetto dei termini per la sua proposizione ne inducono
l’inammissibilità che deve essere pronunciata anche ex officio, non essendo un vizio
superabile con l’accettazione tacita del contraddittorio della controparte che non avesse
eccepito la disattenzione dei termini decadenziali.
Ultima facoltà del convenuto da esperire nei termini di cui all’art 167 c.p.c. è
l’istanza di autorizzazione a chiamare in causa un terzo rispetto al quale si ritenga
comune la causa o dal quale si intenda chiedere di essere garantiti.
Se il convenuto intende chiamare un terzo in causa deve farne richiesta nella
comparsa di costituzione e risposta, nei termini decadenziali prescritti, chiedendo
contestualmente, ai sensi e per gli effetti dell’art 269 c.p.c. che il giudice sposti la prima
udienza di comparizione per consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini di
comparizione. A seguito dell’istanza il giudice provvederà a fissare una nuova udienza
mandando al convenuto la notificazione della citazione al terzo per la nuova udienza
fissata.
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La disciplina della chiamata di terzo non genera particolari problematiche
interpretative salvo che nel caso della comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di
opposizione monitoria dato che, come nel caso della domanda reconventio
reconventionis, la chiamata di terzo da parte dell’opposto – attore sostanziale, non potrà
che avvenire nei limiti di cui all’art 269 IV comma c.p.c. ovvero quando, a seguito delle
difese del convenuto (ossia in questo caso l’opponente) sorga l’interesse a chiamare in
causa un terzo, imponendosi pertanto al giudice, diversamente che per la chiamata
ordinaria, la valutazione della comunanza di cause tra le parti. L’opposto, di contro,
essendo convenuto sostanziale, è sottoposto alle regole ordinarie, e secondo la Suprema
Corte (8718/2000) deve chiedere lo spostamento dell’udienza e l’autorizzazione a
chiamare il terzo in causa, sebbene tale soluzione sia decisamente formalistica visto e
considerato che il convenuto opposto ben potrebbe citare direttamente il terzo a giudizio
visto e considerato che il Giudice, salvo nel caso dell’art 269 IV comma, non ha potere
di sindacare la convocazione in giudizio del terzo.
Per completezza, relativamente alla costituzione del convenuto nel rito ordinario
di cognizione, vanno svolti brevi cenni in ordine alla costituzione del convenuto
appellato in caso di impugnazione.
Come il convenuto in primo grado la parte appellata deve costituirsi nei termini
di venti giorni prima dell’udienza depositando in cancelleria del giudice di appello il
fascicolo e la comparsa. Alle decadenze previste dall’art 167 c.p.c. si sostituiscono
quelle degli articoli 343 e 346 c.p.c.
L’art 343 c.p.c. prevede che la parte appellata, se soccombente in ordine ad
alcuni capi della sentenza di primo grado, debba (rectius, possa) impugnarli
incidentalmente con la comparsa di costituzione in appello depositata nel termine di
venti giorni decadenziali.
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A corollario di tale norma si pone l’art 346 c.p.c. che stabilisce la conseguenza
contraria ed ossia che le domande ed eccezioni non accolte in primo grado e non
riproposte in appello si intendono rinunciate. L’art 345 c.p.c. vieta, inoltre, la
proposizione di domande ed eccezioni nuove nonché di nuovi mezzi di prova ma
debbono essere ritenuti ammissibili la proposizione di mere difese e la produzione
documentale.
Massimario della recente giurisprudenza in ordine alla costituzione del
convenuto:
ART. 166 C.P.C.
Cass. 29 febbraio 2012 n. 3132
In tema di computo dei termini processuali, ai fini della tempestiva costituzione
del convenuto in primo grado, a norma dell'art. 166 c.p.c., necessaria per la
proposizione di domande riconvenzionali e per la chiamata in causa di un terzo,
nell'ipotesi in cui il giorno dell'udienza di comparizione indicato nell'atto di citazione sia
festivo, deve aversi riguardo al primo giorno seguente non festivo successivo alla data
fissata nella citazione, in applicazione dell'art. 155, comma 4, c.p.c.
Cass. 30 aprile 2012 n. 6601
Ai fini della verifica della tempestività della costituzione del convenuto, il
termine di cui all'art. 166 c.p.c., al pari di tutti i termini a ritroso, deve essere calcolato
considerando quale dies a quo, non computabile per il disposto dell'art. 155, comma 1
c.p.c., il giorno prima del quale va compiuta l'attività processuale, e, dunque, il giorno
dell'udienza di comparizione indicata nell'atto di citazione, ovvero quello differito ai
sensi dell'art. 168 bis, comma 5, c.p.c., e quale dies ad quem, invece computabile in
quanto termine non libero, il ventesimo giorno precedente l'udienza stessa.
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Cass. 28.1.2013 n. 1862
La mancata completa indicazione da parte dell'attore, del giorno dell'udienza di
comparizione con il contestuale invito al convenuto a costituirsi nel termine di 20 giorni
prima dell'udienza e a comparire dinanzi al giudice designato ex art. 168 bis c.p.c. con
l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini comporta le decadenze di cui
all'art. 167, implica la nullità della citazione medesima, non potendosi ritenere
sufficiente, all'esito della nuova formulazione del ricordato art. 163 c.p.c., il mero,
generico rinvio ai termini di cui all'art. 166, necessario essendo, per converso, al fine di
non depotenziare sensibilmente la funzione garantistica della norma, l'esplicita
quantificazione di tali termini, onde, per potersi ritenere adempiuto l'onere
corrispondente, l'avvertimento dovrà contenere anche la sostanza, se non la forma,
dell'invito.
Cass. 16 maggio 2013 n. 11965
Ai fini della verifica della tempestività della costituzione dell'appellato,
necessaria per la proposizione dell'appello incidentale, ai sensi dell'art. 343, primo
comma, cod. proc. civ., il termine di cui all'art. 166 cod. proc. civ., in applicazione
dell'art. 155, primo comma, cod. proc. civ., va calcolato escludendo il giorno iniziale,
ovvero il giorno dell'udienza di comparizione indicata nell'atto di citazione, ed invece
computando quello finale, ovvero il ventesimo giorno precedente l'udienza stessa.
Corte Costituzionale 4.7.2013 n. 174
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 166
c.p.c., censurato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. e al principio di
ragionevolezza, nella parte in cui prevede che il convenuto deve costituirsi, a mezzo del
procuratore o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno venti giorni prima
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dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, anche nell'ipotesi di
differimento della udienza stessa ai sensi dell'art. 168-bis, comma 4, cod. proc. civ.,
anziché almeno venti giorni prima della celebrazione effettiva dell'udienza. Le
fattispecie di rinvio della prima udienza di comparizione, previste nel quarto e nel
quinto comma del suddetto articolo, non sono riconducibili ad una ratio comune, in
quanto la previsione del potere di differimento della data della prima udienza di
comparizione — attribuito al giudice istruttore dal quinto comma dell'art. 168-bis — è
correlato alla fondamentale esigenza di porre il giudice in condizione di conoscere
l'effettivo thema decidendum fin dal momento iniziale della trattazione della causa,
mentre tale esigenza non sussiste in relazione al rinvio previsto dal quarto comma, il
quale può derivare da qualunque motivo, anche fortuito e indipendente da ragioni
organizzative dell'ufficio o del giudice, sicché non può ravvisarsi disparità di
trattamento, avuto riguardo al carattere non omogeneo delle due ipotesi richiamate; né
— posto che il legislatore gode di una non irragionevole discrezionalità nella
conformazione degli istituti processuali — la disposizione censurata presenta una
intrinseca incoerenza, contraddittorietà ed illogicità, mirando essa a disciplinare lo
svolgimento del processo attraverso scansioni temporali al fine di salvaguardarne le
esigenze di certezza (ordd. nn. 461 del 1997, 164 del 1998, 134 del 2009).
ART. 167 C.P.C.
Cass. 16 marzo 2012 n. 4233
Mentre con la domanda riconvenzionale il convenuto, traendo occasione dalla
domanda contro di lui proposta, oppone una controdomanda e chiede un provvedimento
positivo, sfavorevole all'attore, che va oltre il mero rigetto della domanda attrice,
mediante l'eccezione riconvenzionale egli, pur deducendo fatti modificativi, estintivi o
impeditivi, che potrebbero costituire oggetto di un'autonoma domanda in un giudizio
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separato, si limita a chiedere la reiezione della pretesa avversaria, totalmente o anche
solo parzialmente, al fine di beneficiare di una condanna più ridotta. Ne consegue che la
mancata impugnazione della decisione di rigetto della domanda riconvenzionale di
risarcimento dei danni per i vizi dell'opera appaltata, resa dal giudice di primo grado in
considerazione della mancata prova dei fatti posti a fondamento di essa, comporta la
sola preclusione di riproporre nel giudizio di appello l'esame di detta domanda, ma non
determina l'abbandono dell'eccezione riconvenzionale, riproposta in sede di gravame,
parimenti fondata su tali vizi e volta a confutare la pretesa attorea sotto il profilo del
quantum
Cass. 16.11.2012 n. 20211
Nei giudizi instaurati con rito ordinario anteriormente all'entrata in vigore della l.
26 novembre 1990 n. 353, (che ha modificato il comma 1 dell'art. 167 c.p.c., imponendo
al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della
domanda), affinché il fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico, sì da poter
fondare la decisione ancorché non provato, non è sufficiente la mancata contestazione,
occorrendo che la controparte ammetta il fatto esplicitamente o che imposti il sistema
difensivo su circostanze e argomentazioni logicamente incompatibili con la sua
negazione. Ne consegue che, per rendere controverso il fatto allegato da una parte, è
sufficiente che la controparte produca documenti dai quali si evincano circostanze
incompatibili con l'esistenza del fatto medesimo, senza che occorra una specifica
manifestazione della volontà di contestarlo, atteso che la contestazione non integra
un'eccezione in senso stretto.
Cass. 4.9.2013 n. 20228
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A norma dell'art. 167 del c.p.c., nella sua nuova formulazione, nella memoria di
costituzione in primo grado il convenuto "deve prendere posizione, in maniera precisa e
non limitata a una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento
della domanda, proponendo tutte le sue difese in fatto e in diritto". Nel caso in cui il
convenuto nulla abbia eccepito in relazione a tali fatti, gli stessi devono considerarsi
come pacifici sicché l'attore è esonerato da qualsiasi prova al riguardo ed è
inammissibile la contestazione dei medesimi fatti in sede di legittimità.
Cass. 29.11.2013 n. 26859
Nel processo di cognizione, l'onere previsto dall'art. 167, primo comma, cod.
proc. civ., di proporre nella comparsa di risposta tutte le difese e di prendere posizione
sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, comporta che, esaurita la fase
della trattazione, non è più consentito al convenuto, per il principio di preclusione in
senso causale, di rendere controverso un fatto non contestato, né attraverso la revoca
espressa della non contestazione, né deducendo una narrazione dei fatti alternativa e
incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte. Ne consegue
che, in grado di appello, non è ammessa la contestazione della titolarità passiva del fatto
controverso che debba aversi per non contestata nel giudizio di primo grado.
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