OTI e Vulnologia M.Nasole

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OTI e Vulnologia M.Nasole
OTI e VULNOLOGIA
Il percorso diagnostico terapeutico sec. le LINEE GUIDA SIMSI
Emanuele Nasole
Tesoriere della Società Italiana di Medicina Subacquea e Iperbarica
Docente Master di II Livello in Medicina Subacquea e Iperbarica - Univ-Palermo - Sede di Trapani
Servizio di VUNOLOGIA – Ospedale “San Pellegrino” di Castiglione delle Stiviere (MN)
www.emanuelenasole.it - [email protected]
Razionale dell’Ossigeno Terapia Iperbarica
La dinamica del sistema di trasporto dell’ossigeno nei processi di riparazione tissutale (perfusione,
diffusione e consumo di ossigeno nell’ulcera) è alla base del meccanismo che conduce alla
cronicizzazione e alla mancanza della guarigione dell’ulcera, anche quando viene attuata la
protezione meccanica e lo scarico posturale in caso di ulcera neuropatica, o nel caso sia possibile
sottoporre il paziente con ulcere ischemiche a procedure di rivascolarizzazione chirurgica. Infatti in
molti pazienti vi sono aree localizzate di scarso flusso e ipossia a livello periferico per varie
alterazioni fisiopatologiche come l’aumento della viscosità ematica, l’aggregazione piastrinica, la
glicosilazione proteica nel diabetico, l’ispessimento dell’endotelio capillare, il vasospasmo o la
dilatazione capillare, ecc..
La pressione parziale dell’ossigeno nel tessuto o nell’ulcera dipende fortemente dalla perfusione,
strettamente correlata al calibro vasale e alla pressione ematica. Nel diabetico e nel paziente
arteriopatico puro sono spesso presenti steno-ostruzioni periferiche, ma un ulteriore ostacolo alla
perfusione è dato dalla vasocostrizione per stimoli sul sistema nervoso simpatico come quelli
provocati dal dolore, freddo, paura, farmaci vasocostrittivi. Ognuno di questi fattori può provocare
una riduzione della perfusione e tutti insieme possono deprimerla massivamente . Se è mantenuta
una adeguata perfusione è possibile aumentare la tensione dell’ossigeno tissutale attraverso
l’aumento della pressione dell’ossigeno inspirato (come avviene in camera iperbarica).
L’apporto di ossigeno alle cellule dell’ulcera dipende anche dalla diffusione attraverso un gradiente
di pressione. La velocità di apporto dell’ossigeno è inversamente proporzionale al quadrato della
distanza di diffusione e direttamente proporzionale alla pressione dell’ossigeno perilesionale. Il
trasporto per lunghe distanze è possibile con l’OTI. Silver (1969) ha infatti dimostrato che in
camera iperbarica aumenta la distanza di diffusione percorsa dall’ossigeno nelle ulcere. Krogh, cui
si deve il famoso modello di diffusione, ha calcolato che in ambiente iperbarico a 3 atmosfere viene
teoricamente triplicata la capacità di diffusione dell’ossigeno dal capillare di partenza. Così,
nell’ambito della ferita, l’ossigeno iperbarico consente di superare grosse distanze di diffusione.
La produzione locale del collagene e la neoangiogenesi tissutale dipendono strettamente dalla
tensione dell’ossigeno il cui bilancio è dato dall’apporto, dovuto alla perfusione e alla diffusione, e
dal consumo cellulare. Il consumo di ossigeno delle ferite non infette è pari a circa 0,7 ml /100 ml
di sangue che le perfonde. Quando la pressione parziale dell’ossigeno nel sangue è di 100 mmHg
(respirazione di aria alla normale pressione atmosferica) la quantità di ossigeno molecolare disciolto
liberamente nel plasma è di solo 0,3 ml/100 ml. Con l’aumento della pressione dell’ossigeno
ematico fino a 275 mmHg (ottenibile a pressione ambiente e FiO2=100%) si incrementa la
dissoluzione dell’ossigeno plasmatico fino a valori di 0,8 ml/100 ml; tale quota è sufficiente ad
assicurare una normale riparazione tissutale anche dove non possano arrivare i globuli rossi o nel
caso di grave anemia, purché la perfusione sia mantenuta normale. Nell’ulcera è utilizzata solo una
piccola parte dell’ossigeno legata all’emoglobina, per cui l’anemia non ritarda la cicatrizzazione
dell’ulcera finché l’ematocrito non sia inferiore al 15%. Se invece l’anemia si associa ad una scarsa
perfusione, l’OTI costituisce il solo modo per mantenere la pressione tissutale dell’ossigeno a livelli
compatibili con i processi di riparazione.
L’uso dell’OTI provoca un significativo aumento della ossigenazione tissutale nelle ferite infette e
ipoperfuse. Questo aumento della pressione parziale di ossigeno provoca alterazioni significative
verso il processo di riparazione delle ferite. L’OTI promuove la guarigione delle ferite attraverso la
proliferazione dei fibroblasti con la conseguente produzione di collagene e di glicosaminoglicani e
la neoangiogenesi. L’azione antibatterica, oltre che in maniera diretta sui germi anaerobi, è garantita
dall’OTI in forma indiretta attraverso il potenziamento del killing ossidativo dei neutrofili e il
sinergismo d’azione con alcuni antibiotici conseguenza dell’azione dell’OTI che modifica la
struttura chimica dell’antibiotico, induce un danno diretto della parete cellulare del batterio,
promuove la fagocitosi cellulare.
Perché siano possibili tali azioni terapeutiche dell’OTI, riproducibili e documentabili da ricerche in
vivo e su animali e da positive esperienze cliniche, è necessaro comprendere i fini meccanismi
fisiopatologici alla base dell’azione biochimica dell’OTI. E’ stato dimostrato che l’OTI inibisce
l’adesione dei leucociti neutrofili all’endotelio, interrompendo il danno ossidativo endoteliale,
indotto da differenti noxae patogene e che tale meccanismo ne spiega l’azione terapeutica sullo
shock settico e sulla sindrome ischemia/riperfusione. Strettamente correlati sono i lavori effettuati
sulla modulazione della produzione dell’ossido nitrico che induce la mobilizzazione dal midollo
osseo nel circolo delle cellule staminali progenitrici con produzione della neoangiogenesi (Thom
S.R.et al. 2006) I fenomeni alla base della riparazione tissutale risentono della produzione delle
citochine, enzimi e loro inibitori e fattori di crescita. Anche in questo comparto l’azione dell’OTI è
stata dimostrata già da quando Reenstra WR (1998) riportavano che l’OTI stimola la produzione di
mRNA per la sintesi del recettore del platelet-derived growth factor. Per quanto l’ipossia sia il
primo segnale per la sintesi del collagene e del Vascular Endotelial Growth Factor (VEGF) e la
concentrazione del lattato, prodotto dai macrofagi presenti nell’ulcera in condizioni ipossiche,
sembri essere lo stimolo alla produzione del collagene e del VEGF, è l’iperossia (ottenuta con
l’OTI) che produce e mantiene l’increzione del VEGF. La velocità della neoangiogenesi è infatti
strettamente dipendente dalla pressione di ossigeno presente nella ferita e la velocità e densità della
crescita capillare crescita è ottimizzata in ambiente iperbarico.
L’OTI è dunque capace di potenziare la riparazione dell’ulcera risolvendo i problemi di ipossia
tissutale lesionale e perilesionale che ne ritardano la normale evoluzione. E’ giusto però selezionare
i pazienti, escludendo dalla terapia i soggetti che non presentino ipossia tissutale (presupposto
dell’uso dell’OTI) e quelli con grave e irrisolvibile difetto di perfusione o diffusione tissutale
(conditio sine qua non per la funzionalità dell’OTI) .
Iter diagnostico
Le ulcere cutanee croniche sono trattate con grande impegno di risorse economiche e umane e,
indipendentemente dalla causa principale (traumatica, vascolare, metabolica), è imprescindibile la
necessità del lavoro in rete con il chirurgo generale e vascolare, l’ortopedico, il diabetologo, il
dermatologo, l’infettivologo, il laboratorio di batteriologia. Per tale ragione si impone un protocollo
di studio dell’ulcera cutanea che preveda la valutazione delle condizioni metaboliche del paziente,
della situazione di compenso cardio-vascolare, del flusso ematico periferico e dell’ipossia tissutale. Il
flusso ematico periferico è valutato dapprima con il Doppler C.W. e con la misurazione degli I.W.
poi, in caso di sospetta patologia stenosante o ostruttiva, con EcoColorDoppler arterioso;
quest’ultimo indirizza all’angiografia solo quando la valutazione chirurgico-vascolare offre spazio
all’intervento di rivascolarizzazione. L’ipossia tissutale è valutata con la pTcO2.
Nel trattamento dell’ulcera cutanea con OTI diventa quindi importante fare riferimento ad una
griglia decisionale in cui si intersecano i valori della pressione arteriosa rilevata alla caviglia dell’arto
leso e della pTcO2 registrata in sede perilesionale, valutati nel corso dell’iter diagnostico. Valori
alterati della pTcO2 eventualmente associati a scarso ma presente flusso ematico loco-regionale
rendono ragione della cronicità dell’ulcera e del possibile ruolo dell’OTI. L’ossigenoterapia
iperbarica è inefficace quando il flusso ematico è insufficiente.
Ulcere diabetiche
Grilli e coll. dell’Unità di valutazione degli interventi sanitari e Centro Cochrane italiano (Laboratorio
per la ricerca sui servizi sanitari dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano) hanno
condotto una ricerca finalizzata alla identificazione di studi clinici controllati che valutassero l’efficacia
clinica dell’OTI utilizzando la strategia di ricerca della Cochrane Collaboration . Sono stati esclusi gli
studi su animali e consultate banche dati come Medline ed Embase; la valutazione metodologica è
consistita nell’analisi di aspetti inerenti la validità interna
(disegno ed analisi) ed esterna
(generalizzabilità dei risultati) di ciascuno studio identificato come rilevante. Fino al 1998 sono stati
considerati e analizzati due studi clinici randomizzati riguardanti il trattamento del piede diabetico, uno
realizzato da Doctor N. e coll. nel 1992 , l’altro da Faglia E. e coll. nel 1996; in questi studi l’efficacia
della terapia iperbarica è stata valutata in termini di riduzione della necessità di amputazioni maggiori
(sopra e sotto il ginocchio) e minori (limitate al piede) degli arti inferiori. Nessuno dei due studi, per
motivi etici, è stato condotto in doppio cieco.
Lo studio di Faglia è strutturalmente meglio congeniato e considera due gruppi di pazienti omogenei,
ospedalizzati per la presenza di una lesione cutanea diabetica grave (grado 2-4 di Wagner); l’uno
sottoposto ad OTI (35 pazienti), l’altro trattato solo con medicazioni e terapia medica e chirurgica
convenzionale (33 pazienti). L’end point dello studio è la “conservazione dell’estremità”; i risultati sono
distinti in base all’entità dell’amputazione: nessuna amputazione, amputazione minore (dita del piede o
del metatarso) e amputazione maggiore (sopra o sotto il ginocchio). Quindi è considerato successo la
risoluzione completa dell’ulcera senza ricorso all’amputazione o con l’eventuale necessità di
un’amputazione minore; fallimento terapeutico è considerato invece la necessità di un’amputazione
maggiore. Nel gruppo trattato con una media di 38±8 trattamenti in camera iperbarica, l’8,6% dei
pazienti (3/35) ha subito un’amputazione dell’arto inferiore interessato dalla lesione. Nel gruppo
controllo, non trattato con OTI, il 33% dei pazienti (11/33) è stato sottoposto ad amputazione
maggiore. La differenza fra i due gruppi è significativa (p=0,016). Nei pazienti trattati con terapia
iperbarica la pressione parziale di ossigeno, valutata con pTcO2, è aumentata significativamente
(14±11,8 mmHg) rispetto al gruppo di controllo (5,0±5,4 mmHg). Gli Autori concludono che l’OTI,
nell’ambito di un approccio terapeutico intensivo multidisciplinare, è efficace nel ridurre le amputazioni
maggiori nei pazienti diabetici con grave ulcera al piede su base prevalentemente ischemica.
L’European Committee for Hyperbaric Medicine (ECHM) ha stabilito con la 1° Conferenza di
Consenso Europea sulla Medicina Iperbarica
(Lille,Francia,1994) l’OTI è raccomandata
(raccomandazione di tipo 2) nelle lesioni ischemiche diabetiche (ulcere o gangrena) senza possibilità di
rivascolarizzazione o dopo rivascolarizzazione in presenza di ischemia critica cronica come definita
dalla conferenza di consenso europea sull’ischemia critica , se pTcO2 > 100 mmHg in condizioni
iperbariche (2.5 ATA, 100% O2). L’ECHM nella 4° Conferenza di Consenso sull’uso dell’OTI nel
Piede Diabetico (Londra,1999) , indica l’OTI nei pazienti con ulcere di grado 3-5 Wagner trattati senza
successo con le terapie usuali e con rischio di amputazione, con una pTcO 2 perilesionale >20 mmHg
e con una pressione sistolica alla caviglia > 40 mmHg.
La Consensus Development Conference on Diabetic Foot Wound Care della American Diabetes
Association (Boston, USA, 1999), pur riconoscendo la mancanza di studi randomizzati sull’uso
dell’OTI nel piede diabetico neuropatico, riconosce l’evidenza di risultati positivi in un selezionato
gruppo di pazienti con ulcere ischemiche gravi, a rischio di amputazione e non responsive ad altri
trattamenti, soprattutto se non rivascolarizzabili.
Raccomandazioni
• E’ necessario attuare lo studio vascolare dell’ulcera diabetica con adeguato iter diagnostico, prima di
avviare il paziente all’OTI
• E’ necessaria la valutazione di una possibile rivascolarizzazione chirurgica
• L’OTI è indicata elettivamente nelle ulcere diabetiche ischemiche in presenza di un flusso ematico
efficace (PA Sist. alla caviglia>40 mmHg)
• L’ossimetria transcutanea guida alla corretta applicazione dell’OTI. Una TcPO2 basale >20mmHg
risulta essenziale per l’indicazione all’OTI
• L’OTI è elettiva nelle ulcere diabetiche ischemiche gravi (grado 3-5 Wagner) con alto rischio
d’amputazione
• La gangrena umida deve essere trattata con urgenza con OTI (anche prima di una possibile
rivascolarizzazione)
• E’ prioritario sottoporre il paziente a toilette chirurgica prima dell’OTI
• L’OTI assume un ruolo adiuvante nell’ulcera neuropatica
Criteri di inclusione
• ULCERA diabetica ischemica
1) Paziente rivascolarizzato con ipossia attorno all’ulcera (TcPO2 basale ≤ 40 mmHg):
 in presenza di ulcere apicali o vasta perdita di sostanza
 con ulcere in attesa di intervento di chirurgia ricostruttiva
2) Paziente in attesa di rivascolarizzazione
 in presenza di gangrena umida
3) Paziente non operabile che presenti un’ulcera di gravità ≥ 2B Texas o ≥ 2 Wagner :
 TcPO2 basale ≥ 20 mmHg e pressione alla caviglia ≥ 50 mmHg.
 ulcere cutanee per deiscenza del moncone in pz. precedentemente sottoposti ad amputazione
• ULCERA diabetica neuropatica:
1) Paziente senza steno/ostruzi:oni dei vasi arteriosi periferici con
 TcPO2 ≤ 50 mmHg, nonostante corretta applicazione dello scarico plantare (con scarpa talus o total cast)
Posologia
Almeno 60' di 02 totali a 2.4 - 2,5 ATA per 30 - 40 trattamenti
Ulcere arteriopatiche
Il trattamento elettivo delle ulcere arteriopatiche è la rivascolarizzazione chirurgica degli arti inferiori.
Tuttavia, l’OTI può essere efficace in casi selezionati quando la rivascolarizzazione non condice alla
risoluzione delle lesioni ischemiche. In alcuni casi prepara ad un successivo tentativo di innesto
cutaneo.
L’European Committee for Hyperbaric Medicine (ECHM) ha stabilito con la 1° Conferenza di
Consenso Europea sulla Medicina Iperbarica (Lille,Francia,1994) l’OTI è raccomandata (raccomandazione
di tipo 2) nel paziente con patologia arteriosa ostruttiva in presenza di ischemia critica cronica, come definita
dalla conferenza di consenso europea sull’ischemia critica, se pTcO2 >50 mmHg in condizioni
iperbariche (2.5 ATA, 100% O2).
Il Gruppo di studio sulle arteriopatie periferiche della SIAPAV (Società Italiana di Angiologia e
Patologia Vascolare) ritiene l’OTI di supporto e indicata per accelerare la guarigione di lesioni trofiche in
pazienti già sottoposti a trattamenti farmacologici e/o chirurgici adeguati alla malattia vascolare
periferica o nella preparazione al trattamento chirurgico in pazienti con sovrainfezioni destinati all’impianto
di una protesi vascolare (raccomandazione 22).
Raccomandazioni
• E’necessario attuare lo studio vascolare dell’ulcera ischemica con adeguato iter diagnostico,prima di
avviare il paziente all’OTI
• E’necessaria la valutazione di una possibile rivascolarizzazione chirurgica
• L’OTI è indicata elettivamente nelle ulcere arteriopatiche in presenza di un flusso ematico efficace
(PA sist. alla caviglia >50 mmHg)
• L’ossimetria transcutanea guida alla corretta applicazione dell’OTI. Una TcPO2 basale >10mmHg
risulta essenziale per l’indicazione all’OTI
• L’OTI è elettiva nelle ulcere arteriopatiche con alto rischio d’amputazione
• L’OTI è consigliata in pazienti con ulcere infette destinati all’impianto di una protesi vascolare nella
preparazione al trattamento chirurgico di rivascolarizzazione
Criteri di inclusione
1) Paziente rivascolarizzato con ipossia attorno all’ulcera (TcPO2 basale ≤ 40 mmHg):
 in presenza di ulcere apicali o vasta perdita di sostanza
 con ulcere in attesa di intervento di chirurgia ricostruttiva
2) Paziente non operabile:
 TcPO2 basale ≥ 10 mmHg e pressione alla caviglia ≥ 50 mmHg.
 ulcere cutanee per deiscenza del moncone in pz. precedentemente sottoposti ad amputazione
3) Paziente in attesa di rivascolarizzazione :
 con ulcere infette destinati all’impianto di una protesi vascolare
Posologia
PRESSIONE: 2.4 - 2.5 ATA
DURATA: almeno 60' di 02 totali in quota per 30-40 trattamenti
Ulcere venose
Gold standard del trattamento delle ulcere venose è il trattamento locale e l’elastocompressione. Nel
1994 Hammerlund in uno studio prospettico, randomizzato, in doppio cieco riporta che l’OTI è utile
nei pazienti non diabetici con ulcere croniche degli arti inferiori diminuendo del 35,7% la dimensione
delle lesioni in 6 settimane (30 sedute di terapia) rispetto al 2,7% dei pazienti controllo. Non viene però
precisata la natura delle ulcere né se i pazienti sono affetti da Patologia arteriosa ostruttiva.
Nelle ulcere venose la terapia chirurgica è indicata quando le terapia conservative falliscono o in caso di
recidiva. L’OTI ha un ruolo limitato ma utile nel preparare il fondo dell’ulcera a ricevere un eventuale
innesto cutaneo e, in caso di sovrainfezione dell’ulcera refrattaria ad altre procedure terapeutiche, agisce
in sinergia con gli antibiotici mirati determinati sulla base dell’antibiogramma.
Raccomandazioni
• E’ necessario attuare lo studio vascolare dell’ulcera venosa con adeguato iter diagnostico, prima di
avviare il paziente all’OTI.
• Deve essere attuata l’elastocompressione dell’arto inferiore interessato, prima di avviare il paziente
all’OTI
Criteri di inclusione
• L’OTI è applicata a scopo adiuvante nel caso di sovrainfezioni refrattarie della lesione
• L’OTI è adiuvante per la preparazione dell’ulcera alle procedure ricostruttive
Posologia
PRESSIONE: 2.2 - 2,5 ATA
DURATA: almeno 60' di 02 totali in quota per 30-40 trattamenti
Ulcere croniche post-traumatiche
Raccomandazioni
• E’ necessario attuare lo studio vascolare dell’ulcera con adeguato iter diagnostico, prima di avviare il
paziente all’OTI, evidenziando eventuali deficit arteriosi periferici
• In caso di insufficienza venosa, deve essere attuata l’elastocompressione dell’arto inferiore interessato,
prima di avviare il paziente all’OTI.
Criteri di inclusione
ULCERA CUTANEA post-traumatica che non risolve dopo 30 gg. di terapia standard.
Posologia
PRESSIONE: 2.2 - 2,5 ATA
DURATA:almeno 60' di 02 totali in quota per 30-40 trattamenti
Verifica dei risultati in corso di terapia (dopo la 15a seduta)
1) Paziente GUARITO: sospende OTI
2) Paziente MIGLIORATO:
 TcPO2 ≥ 40mmHg e controllo dei fattori di compromissione locale (perdita di sostanza,
infezione): sospende OTI (ripristino microcircolo, prognosi favorevole: chiusura per seconda intenzione)
 TcPO2 < 40 mmHg e persistenza dei fattori di compromissione locale(perdita di sostanza,
infezione): prosegue OTI con 1 ciclo di 15 sedute consecutive a 2.2 -2.5 ATA (controllo alla 30a terapia).
Utile valutazione chirurgica per eventuale trattamento ricostruttivo.
3) Paziente INVARIATO o PEGGIORATO: Sospensione del trattamento iperbarico e rivalutazione della
chirurgica vascolare
Bibliografia.
La dinamica del sistema di trasporto dell’ossigeno (1) nei processi di riparazione tissutale
(perfusione, diffusione e consumo di ossigeno nell’ulcera) è alla base del meccanismo che conduce
alla cronicizzazione e alla mancanza della guarigione dell’ulcera, anche quando viene attuata la
protezione meccanica e lo scarico posturale in caso di ulcera neuropatica, o nel caso sia possibile
sottoporre il paziente con ulcere ischemiche a procedure di rivascolarizzazione chirurgica. Infatti in
molti pazienti vi sono aree localizzate di scarso flusso e ipossia a livello periferico per varie
alterazioni fisiopatologiche come l’aumento della viscosità ematica, l’aggregazione piastrinica, la
glicosilazione proteica nel diabetico, l’ispessimento dell’endotelio capillare, il vasospasmo o la
dilatazione capillare, ecc. (2).
La pressione parziale dell’ossigeno nel tessuto o nell’ulcera dipende fortemente dalla perfusione,
strettamente correlata al calibro vasale e alla pressione ematica. Nel diabetico e nel paziente
arteriopatico puro sono spesso presenti steno-ostruzioni periferiche, ma un ulteriore ostacolo alla
perfusione è dato dalla vasocostrizione per stimoli sul sistema nervoso simpatico come quelli
provocati dal dolore, freddo, paura, farmaci vasocostrittivi. Ognuno di questi fattori può provocare
una riduzione della perfusione e tutti insieme possono deprimerla massivamente (3). Se è mantenuta
una adeguata perfusione è possibile aumentare la tensione dell’ossigeno tissutale (3) attraverso
l’aumento della pressione dell’ossigeno inspirato (come avviene in camera iperbarica).
L’apporto di ossigeno alle cellule dell’ulcera dipende anche dalla diffusione attraverso un gradiente
di pressione (3). La velocità di apporto dell’ossigeno è inversamente proporzionale al quadrato della
distanza di diffusione e direttamente proporzionale alla pressione dell’ossigeno perilesionale. Il
trasporto per lunghe distanze è possibile con l’OTI. Silver (1969) ha infatti dimostrato che in
camera iperbarica aumenta la distanza di diffusione percorsa dall’ossigeno nelle ulcere. Krogh, cui
si deve il famoso modello di diffusione, ha calcolato che in ambiente iperbarico a 3 atmosfere viene
teoricamente triplicata la capacità di diffusione dell’ossigeno dal capillare di partenza. Così,
nell’ambito della ferita, l’ossigeno iperbarico consente di superare grosse distanze di diffusione (4).
La produzione locale del collagene e la neoangiogenesi tissutale dipendono strettamente dalla
tensione dell’ossigeno il cui bilancio è dato dall’apporto, dovuto alla perfusione e alla diffusione, e
dal consumo cellulare. Il consumo di ossigeno delle ferite non infette è pari a circa 0,7 ml /100 ml
di sangue che le perfonde (3). Quando la pressione parziale dell’ossigeno nel sangue è di 100
mmHg (respirazione di aria alla normale pressione atmosferica) la quantità di ossigeno molecolare
disciolto liberamente nel plasma è di solo 0,3 ml/100 ml. Con l’aumento della pressione
dell’ossigeno ematico fino a 275 mmHg (ottenibile a pressione ambiente e FiO2=100%) si
incrementa la dissoluzione dell’ossigeno plasmatico fino a valori di 0,8 ml/100 ml; tale quota è
sufficiente ad assicurare una normale riparazione tissutale anche dove non possano arrivare i globuli
rossi o nel caso di grave anemia, purché la perfusione sia mantenuta normale. Nell’ulcera è
utilizzata solo una piccola parte dell’ossigeno legata all’emoglobina, per cui l’anemia non ritarda la
cicatrizzazione dell’ulcera finché l’ematocrito non sia inferiore al 15% (3,5). Se invece l’anemia si
associa ad una scarsa perfusione, l’OTI costituisce il solo modo per mantenere la pressione tissutale
dell’ossigeno a livelli compatibili con i processi di riparazione.
L’uso dell’OTI provoca un significativo aumento della ossigenazione tissutale nelle ferite infette e
ipoperfuse. Questo aumento della pressione parziale di ossigeno provoca alterazioni significative
verso il processo di riparazione delle ferite. L’OTI promuove la guarigione delle ferite attraverso la
proliferazione dei fibroblasti (6) con la conseguente produzione di collagene (6) e di
glicosaminoglicani e la neoangiogenesi (7). L’azione antibatterica, oltre che in maniera diretta sui
germi anaerobi, è garantita dall’OTI in forma indiretta attraverso il potenziamento del killing
ossidativo dei neutrofili (8) e il sinergismo d’azione con alcuni antibiotici conseguenza dell’azione
dell’OTI che modifica la struttura chimica dell’antibiotico, induce un danno diretto della parete
cellulare del batterio, promuove la fagocitosi cellulare.
Perché siano possibili tali azioni terapeutiche dell’OTI, riproducibili e documentabili da ricerche in
vivo e su animali e da positive esperienze cliniche, è necessaro comprendere i fini meccanismi
fisiopatologici alla base dell’azione biochimica dell’OTI. E’ stato dimostrato che l’OTI inibisce
l’adesione dei leucociti neutrofili all’endotelio (9), interrompendo il danno ossidativo endoteliale,
indotto da differenti noxae patogene e che tale meccanismo ne spiega l’azione terapeutica sullo
shock settico e sulla sindrome ischemia/riperfusione. Strettamente correlati sono i lavori effettuati
sulla modulazione della produzione dell’ossido nitrico (10) che induce la mobilizzazione dal
midollo osseo nel circolo delle cellule staminali progenitrici con produzione della neoangiogenesi
(Thom S.R.et al. 2006) I fenomeni alla base della riparazione tissutale risentono della produzione
delle citochine, enzimi e loro inibitori e fattori di crescita. Anche in questo comparto l’azione
dell’OTI è stata dimostrata già da quando Reenstra WR (1998) riportavano che l’OTI stimola la
produzione di mRNA per la sintesi del recettore del platelet-derived growth factor. Per quanto
l’ipossia sia il primo segnale per la sintesi del collagene e del Vascular Endotelial Growth Factor
(VEGF) e la concentrazione del lattato, prodotto dai macrofagi presenti nell’ulcera in condizioni
ipossiche, sembri essere lo stimolo alla produzione del collagene e del VEGF, è l’iperossia
(ottenuta con l’OTI) che produce e mantiene l’increzione del VEGF. La velocità della
neoangiogenesi è infatti strettamente dipendente dalla pressione di ossigeno presente nella ferita
(11) e la velocità e densità della crescita capillare crescita è ottimizzata in ambiente iperbarico (7).
L’OTI è dunque capace di potenziare la riparazione dell’ulcera risolvendo i problemi di ipossia
tissutale lesionale e perilesionale che ne ritardano la normale evoluzione. E’ giusto però selezionare
i pazienti, escludendo dalla terapia i soggetti che non presentino ipossia tissutale (presupposto
dell’uso dell’OTI) e quelli con grave e irrisolvibile difetto di perfusione o diffusione tissutale
(conditio sine qua non per la funzionalità dell’OTI) .
Bibliografia
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