Sardegna vandalica - Liceo Classico Dettori

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Sardegna vandalica - Liceo Classico Dettori
Liceo G.M. Dettori, Cagliari
Prof.ssa F. Carta
Uno sguardo sull’età tardoantica in Sardegna
All’inizio del V secolo cominciano ad imperversare nel territorio dell’Impero le popolazioni
barbariche di origine germanica, tra cui i Vandali di Genserico. Nel 429 costui, dopo aver percorso
la penisola iberica, attraversa lo stretto di Gibilterra per stabilirsi nel centro dell’Africa
settentrionale: i Vandali fondano così un regno in una delle provincie più romanizzate e più ricche
dell’Impero.
Le fonti antiche, in particolare Vittore di Vita, dipingono il dominio vandalico come
assolutista e crudele: i proprietari terrieri romani vengono cacciati brutalmente dai loro
possedimenti e viene imposto un rigoroso arianesimo che tende a soffocare il cattolicesimo. Di fatto
i Vandali hanno ora il pieno dominio sul Mediterraneo occidentale e ne saccheggiano le coste: la
Sicilia, la Sardegna, la Corsica con le Baleari e le altre provincie nordafricane cadono in mano di
Genserico. Nella pace del 474/476 Zenone gli riconosce tutte le conquiste.
Nel continuare la politica filoariana dei suoi predecessori, Trasamondo proibì alle comunità
cattoliche di eleggere nuovi vescovi allo scopo di provocarne l’estinzione, per così dire, naturale. La
trasgressione di tale editto significò per i vescovi ribelli l’esilio.
Giunsero così in Sardegna un centinaio di ecclesiastici esuli, fra i quali Fulgenzio di Ruspe,
il vescovo di Cartagine Feliciano e, secondo alcune fonti, quello di Ippona che avrebbe portato con
sé i resti di Sant’Agostino. Questi esuli africani ben presto raggiunsero diversi punti dell’Isola (solo
alcuni forse rimasero a Cagliari), favorendo certamente la crescita culturale della Sardegna: si
hanno infatti notizie di dispute teologiche, di prassi liturgiche e di tecniche costruttive, relative
all’edilizia religiosa, tipicamente africane. E il progresso delle indagini storiche ed archeologiche
mette sempre più in risalto questo legame con l’Africa romana come una costante del cristianesimo
sardo. Alcuni studiosi attribuiscono a questi esuli la traslazione delle reliquie di S. Restituta.
Fra coloro che furono ospitati a Cagliari dal vescovo Primasio (o Brumasio) si distinse senza
dubbio per cultura ed autorevolezza Fulgenzio di Ruspe: la Vita Fulgentii dice che degli altri
vescovi egli era la lingua e l’ingenium e che numerosi fedeli accorrevano a lui come ad un oracolo
per chiedere consiglio (Calaritanae civitatis oraculum).
Nei circa quindi anni complessivi di permanenza in Sardegna (508-523) Fulgenzio realizzò
un cenobio nella periferia cagliaritana, esattamente iuxta basilicam sancti martyris Saturnini procul
a strepitu civitatis, come dice il suo biografo. Si trattava di un vero e proprio centro di preghiera e
di cultura, che lungi dall’essere un luogo di isolamento, come avrebbe voluto Trasamondo, si
trasformò invece in una “cassa di risonanza”. Il cenobio fondato da Fulgenzio, in quanto centro di
cultura oltre che di preghiera, dovette avere un proprio scriptorium: da esso uscì infatti il prezioso
codice Basilicano, ora conservato nella Biblioteca Vaticana, che contiene il De trinitate di Ilario di
Poitiers; alcuni hanno addirittura voluto attribuire le note marginali presenti in questo codice alla
mano dello stesso Fulgenzio o comunque ad un personaggio gravitante nell’orbita di questo
monastero. Con tutta probabilità sono frutto della stessa temperie culturale anche due
pregevolissimi codici biblici, il Laudianus degli Atti degli Apostoli e il Claromontanus delle
epistole paoline, compresa la lettera agli Ebrei. Se infatti non è possibile affermare con assoluta
certezza che si tratti di un prodotto dello stesso scriptorium, sono altamente probabili la loro origine
sarda e la datazione al VI secolo, sì che non è irragionevole pensare che appartengano comunque,
direttamente o indirettamente, alla tradizione culturale inaugurata o consolidata dall’attività del
cenobio fulgenziano.
Questi due codici, interessantissimi da un punto di vista testuale – mostrano infatti forti
analogie con la versione biblica utilizzata da Lucifero -, dopo alterne vicende sono finiti l’uno nella
Bodleian Library di Oxford e l’altro nella Bibliothèque Nationale di Parigi.
I vescovi esiliati in Sardegna durante il dominio vandalico ricevettero sostegno morale ed
aiuti materiali dal papa di allora, che le fonti qualificano concordemente come natione Sardus:
stiamo parlando di Simmaco (498-514). Eletto vescovo di Roma, dopo aver superato la rivalità del
diacono Lorenzo, dovette esercitare il suo ministero in un periodo particolarmente tormentato, in
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cui erano fortissime le ingerenze del potere politico. Nonostante le molte difficoltà, si distinse su
diversi fronti: riuscì ad affermare l’autonomia della Chiesa dal potere imperiale (gli si attribuisce la
definizione del principio giuridico prima sedes a nemine iudicatur), compose alcune controversie
sorte nelle Chiese della Gallia e della Spagna, combatté le eresie del tempo, favorì l’edilizia
religiosa a Roma e fu estremamente sollecito nel soccorrere i poveri della sua Chiesa.
Contrariamente a Ilaro (461-468), anche questi sardo, che succedette a Leone Magno nel
pontificato e che resta tutto sommato ancor poco conosciuto, papa Simmaco sembra aver lasciato
qualche traccia in quella che fu la sua terra. Il paese di Simaxis, che lo venera come patrono e lo
festeggia il 19 luglio, ne vanta, come è noto, anche i natali, ma con tutta probabilità tale tradizione è
sorta per via dell’assonanza tra il nome del paese e quello del santo. Un elemento interessante è
però che Simmaco in tutta l’alta Marmilla è chiamato paba Atzei o Sant’Atzei: la ragione di questa
singolare denominazione si deve al fatto che il papa sardo si firmava come Coelius Symmachus: il
primo nome del grande sardo era dunque Coelius ed appunto così doveva essere conosciuto
nell’Isola. E l’espressione paba Atzei non è altro che l’esito finale, attraverso una serie di
modificazioni fonetiche, del latino papa Coelius: il che pare costituire una prova di tradizione orale
a conferma delle testimonianze letterarie sull’origine sarda di Simmaco.
Le figure di Fulgenzio e di Simmaco, che grandeggiano nel panorama di quei tempi così
convulsi, fungono per così dire da cerniera fra l’età tardoantica e quella altomedievale: ben presto
sorgeranno nuovi scenari, in cui interverranno altre dinamiche ed altri personaggi ad arricchire ed
adattare alle mutate condizioni storiche quel messaggio cristiano che già aveva cominciato a
improntare di sé la civiltà del mondo antico.
Da: A. PIRAS, Marginalia su alcune pagine di storia della Sardegna cristiana antica, in Tra
dottrina e cultura, a cura di M. Ferrai Cocco Ortu, Cagliari 2010, pp. 239-263 (passim)