pagine 17 - Provincia di Viterbo
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CAMPAGNA DI BIOMONITORAGGIO DELLA QUALITÀ DELL’ARIA DELLA PROVINCIA DI VITERBO Coordinamento Prof. Sanzio Baldini dott.ssa Mara Ciambella 1. PREMESSA Lo studio rientra nell'ambito delle indagini previste dalla convenzione stipulata tra Amministrazione Provinciale di Viterbo ed ENEL Produzione, che riguarda la progettazione, la realizzazione e la gestione di una rete di monitoraggio biologico della qualità dell'aria della Provincia di Viterbo. Già nel 1996 erano stati effettuati degli studi di biomonitoraggio, mediante l'uso di licheni epifiti come bioindicatori di gas fitotossici e bioaccumulatori di metalli in traccia, nel comprensorio di Montalto di Castro, nella Maremma laziale, e sui Monti della Tolfa, al confine tra le province di Roma e Viterbo. Le ricerche avevano il fine di verificare i pattern di deposizione di inquinanti diversi nelle aree potenzialmente interessate dagli effluenti delle Centrali termoelettriche di Montalto e Civitavecchia. Nel comprensorio di Montalto gli studi sono stati ripetuti anche nel 1998 e nel 2000 al fine di valutare se a distanza di alcuni anni vi fossero della variazioni significative. Nel corso del 2001 l’Assessorato Ambiente della Provincia ha dato incarico al DAF dell’Università degli Studi della Tuscia di realizzare il Progetto per ilBiomonitoraggio della qualità dell’aria nella provincia di Viterbo. Il lavoro svolto dal DAF sul territorio provinciale è stato realizzato allestendo una rete di biomonitoraggio, raccolta dei dati di bioindicazione e bioaccumulo; la raccolta dei dati è stata effettuata sulla base delle linee guida ANPA pubblicate nel maggio 2001, cosicché il presente lavoro costituisce uno dei primi approcci applicativi del nuovo metodo. Sono stati individuati i licheni, come bioindicatori di gas fitotossici, secondo la metodologia basata sull'Indice di Biodiversità Lichenica (IBL). Per l'analisi di metalli in traccia sono stati utilizzati quali bioaccumulatori i licheni, i muschi, e le foglie di piante arboree, basandosi sulle metodologie proposte al Workshop "Biomonitoraggio della qualità del- l'aria sul territorio nazionale" -Roma 26-27 novembre 1998. Le operazioni di campagna, che comprendono le fasi di individuazione dei punti di rilevamento sono state eseguite nel periodo compreso tra il 15 Settembre 2001 e 31 Gennaio 2002. Nei mesi successivi i dati raccolti sono stati analizzati ed elaborati mediante l'uso di software statistici e cartografici. In ultima analisi i primi dati ottenuti sono quì esposti per quanto riguarda l’Indice di Biodiversità Lichenica, mentre i dati ottenuti dal bioaccumulo fogliare, biaccumulo dei muschi e lichenico sono in corso di elaborazione. 2. GENERALITÀ 2.1 INDICATORI DI BIODIVERSITÀ LICHENICA I licheni, simbiosi di un fungo e di un'alga, sono tra gli organismi più utilizzati per studi di biomonitoraggio ambientale. L'utilizzo dei licheni quali bioindicatori si basa sulla loro sensibilità a contaminanti gassosi fitotossici quali SO2 ed NOX, che agiscono alterando i rapporti simbiotici tra fungo e alga. Specie diverse possiedono tolleranza diverse a questi inquinanti, per cui la flora lichenica tende ad impoverirsi progressivamente lungo gradienti di contaminazione crescente. La biodiversità dei licheni epifiti ha dimostrato di essere un eccellente indicatore dell'inquinamento prodotto da sostanze gassose fitotossiche in quanto i licheni rispondono con relativa velocità alla diminuzione della qualità dell'aria e possono ricolonizzare in pochi anni ambienti urbani e industriali qualora si verifichino dei miglioramenti delle condizioni ambientali. I licheni sono anche sensibili ad altri tipi di alterazioni ambientali, tra queste l'eutrofizzazione rappresenta uno degli esempi più conosciuti . Negli ultimi decenni sono stati proposti molti metodi che, utilizzando opportune scale di interpretazione, valutano attraverso i licheni la qualità dell'aria. I ricercatori svizzeri sono stati tra i primi ad 17 Seconda relazione sullo stato dell’ambiente - aggiornamento 2003 elaborare un modello oggettivo e riproducibile di bioindicazione sensibile all'effetto combinato di molti inquinanti atmosferici. La tecnica si basa sul calcolo di un Indice di Qualità dell'Aria (I.A.P. Index of Air Purity), mediante l'impiego di una griglia di 10 unità che, appoggiata sul fusto del forofita, serve per tradurre la biodiversità lichenica e la frequenza delle diverse specie in un dato numerico. Tale metodo è stato adottato in molti paesi, specialmente Italia e Germania, spesso con l'introduzione di alcune modifiche riguardanti l'ampiezza della griglia. Dal 1987 ad oggi sono stati realizzati centinaia di studi basati su questa metodica, consentendo di compiere un importante passo verso la standardizzazione sia in Germania che in Italia. La metodologia utilizzata nella presente ricerca è nata da un confronto europeo a cui hanno partecipato esperti di vari paesi, allo scopo di elaborare un protocollo comune che tende ad eliminare gli elementi di soggettività esistenti nelle precedenti linee guida. In particolare, il nuovo metodo si distingue per la specifica attenzione con cui vengono individuati i siti di campionamento, gli alberi su cui compiere il monitoraggio e il posizionamento della griglia di rilevazione. Tale metodo, stima lo stato della diversità lichenica in condizioni standard dopo una lunga esposizione ad inquinamento atmosferico e/o ad altri tipi di stress ambientali. E' importante precisare che i licheni considerati per la valutazione della biodiversità sono essenzialmente quelli epifiti, il che consente di limitare la variabilità di parametri ecologici indipendenti dall'inquinamento (quali tenori in basi o capacità idrica, assai variabili nei substrati litici). na. Vanno esclusi licheni di tipo crostoso o fruticoso. E' consigliabile utilizzare una sola specie di lichene. Altrimenti è preferibile campionare il maggior numero possibile di specie, e sottoporre a misura un miscuglio derivante da tutti i talli. Il campionamento va effettuato su superfici che soddisfano le seguenti condizioni: a) alberi con tronco la cui inclinazione non superi i 10°; b) alberi con assenza di segni evidenti di disturbo (verniciature, chiodi o puntine piantati sul tronco, ecc.); e) superfici non fortemente concave, e non interessate a periodico scolo d'acqua piovana; d) superfici non decorticate; e) superfici libere da briofite. Se la stazione fa parte di un'indagine di bioindicazione tramite licheni, occorre evitare di campionare su alberi utilizzati in tale indagine. E' consigliabile campionare i talli tutt'attorno al tronco; nel caso però di alberi in prossimità di strade o altre fonti di disturbo, vanno campionati preferenzialmente i talli sulle parti dei tronchi opposte ad esse. I talli devono essere campionati al di sopra dei 100 cm dal suolo, per evitare contaminazioni terrigene, salvo casi in cui il materiale non sia sufficiente, in cui è permesso arrivare ad un'altezza minima di 70 cm. I talli vanno prelevati con un temperino in acciaio inossidabile ed il materiale va inserito in una busta di carta da filtro, preventivamente analizzata per verificare l'assenza di contaminazione. Vanno campionato soltanto le parti periferiche dei talli, cioè quelle più recenti, corrispondenti a: a) quelle con colorazione più chiara della pagina inferiore dei lobi in Xanthorìa (ca. 1.5-2 mm dal margine esterno del tallo), b) parte marginale, più chiara o con rizine assenti o più brevi, in Parmelia spp. vv. (ca. 2-4 mm dal margine esterno del tallo), cioè le parti più recenti. Se possibile, questa operazione va effettuata in campo in maniera approssimata (per ridurre al minimo l'impatto sulla biodiversità lichenica); altrimenti il tallo lichenico viene raccolto in toto, ed i prelievi vengono effettuati in laboratorio. Per ottenere un dato più significativo, il campione deve provenire da almeno sei talli raccolti su non meno di tré alberi diversi. Il materiale deve consentire, dopo la pulitura (v. oltre), di ottenere un campione, da sottoporre ad ana- 2.2 BIOACCUMULO LICHENICO I licheni, ottimi accumulatori di metalli in traccia, sono ampiamente utilizzati per il biomonitoraggio dei patterns di deposizione atmosferica di metalli in traccia. La metodica qui illustrata deriva da una sintesi di quelle adottate nei numerosi studi svolti in Italia e all'estero negli ultimi anni (Bargagli 1988, 1995, 1998; Nimis et al. 1993), sia su aree ristrette che a scala regionale, come nel caso dell'intera Regione del Veneto (Morandi 1998). Si utilizzano licheni epifìti, in quanto le scorze d'albero, contrariamente ai substrati litici, assicurano substrati geneticamente omogenei per composizione chimica. La tecnica può essere così riassunta: II campionamento si può effettuare soltanto su licheni epifiti foliosi a lobi relativamente larghi, e cioè sia su specie di Parmelia s.lat. che su Xanthorìa parìeti18 Campagna di Biomonitoraggio dell’aria della Provincia di Viterbo lisi spettrofotometrica, di peso non inferiore a 200 mg. Il campionamento va effettuato in condizioni meteorologiche relativamente uniformi e a più di una settimana da giorni con precipitazioni particolarmente intense. La scheda raccolta dati, oltre al numero, localizzazione, descrizione della stazione, e data del campionamento, deve includere, per ciascun tallo campionato: a) specie di albero e specie di lichene, b) circonferenza del tronco misurata nel punto di raccolta del tallo; e) altezza dal suolo ed esposizione del tallo, d) diametro approssimativo del tallo (per talli di forma irregolare dare una misura media), e) eventuale presenza di danneggiamenti (S: scolorimento del tallo. D: danni meccanici, N: necrosi del tallo). L'intensità del danneggiamento va valutata con la seguente scala: 1 = debole, 2 = medio, 3 = forte. in aree del tutto prive di vegetazione arborea (ad esempio i territori extrasilvatici a clima freddo); e) è talora possibile effettuare il monitoraggio anche in aree soggette a marcato inquinamento utilizzando specie muscinali tossi-tolleranti; d) la concentrazione dei metalli in traccia nei tessuti di muschio è correlata con il tasso di apporto atmosferico dei medesimi. La principale limitazione all'utilizzo ricorrente di briofite autoctone per il monitoraggio di metalli in traccia consiste nel fatto che non sempre risulta possibile reperire tappeti di muschi spontanei in aree aperte. In tali casi si può in parte ovviare a questo inconveniente facendo ricorso alla cosiddetta tecnica dei "moss bags". Questa tecnica introdotta da Goodman & Roberts (1971), si basa sulle capacità di accumulo dei muschi e prevede la loro esposizione in sacchetti, opportunamente preparati ad una altezza dal suolo compresa tra 1,5 m e 2 m, per un periodo massimo di 9 settimane. Per la realizzazione dei moss bags si sono utilizzati pezzi di reticella di nylon di 10 x 10 cm, con maglia di 1-2 mm, chiusi con un filo di nylon per formare sacchetti sferici aventi diametro di 3-4 cm. In ciascun sacchetto viene posta una quantità di muschio pari a 400 mg, il materiale non deve venire compresso, per consentire una circolazione d' aria anche nelle parti centrali del campione. Per tutte le procedure di campionamento dei muschi e per le successive operazioni, sino all'ottenimento e all'elaborazione dei valori di concentrazione, si sono seguite le linee guida accettate e pubblicate dall'A.N.P.A. (Cenci, 1999). Tutte le analisi chimiche svolte sono state elaborate da due laboratori che hanno precedentemente effettuato una procedura di intercalibrazione, in modo tale da avere un dato analitico certo. La specie impiegata per lo studio del bioaccumulo di metalli tramite moss bags è stata Hypnum cupressiforme, un muschio molto comune in Italia. Gli elementi che sono stati indagati, nei vari campioni sono i seguenti: Al, As, Cr, Hg, Mn, Ni, Pb, Ti e V in quanto elementi spesso presenti nell'ambiente. 2.3 BIOACCUMULO NELLE BRIOFITE I muschi, o meglio, i tessuti delle briofite possono essere efficacemente utilizzati per il monitoraggio di metalli in traccia deposti in un arco di tempo variabile da alcune settimane ad alcuni anni. Le briofite rappresentano infatti eccellenti accumulatori passivi di metalli in traccia in virtù dell'elevata capacità di scambio cationico della loro parete cellulare. Rispetto a tecniche di bioaccumulo basate sull'uso di foglie di alberi o di licheni epifiti è possibile effettuare il monitoraggio basato su muschi anche in aree del tutto prive di vegetazione arborea (ad esempio i territori extrasilvatici a clima freddo) ed inoltre la concentrazione dei metalli in traccia nei tessuti di muschio è correlata con il tasso di apporto atmosferico dei medesimi. Per non essere limitati dalla variabilità di presenza assenza di muschi autoctoni nelle varie stazioni, ci si è basati sulla metodologia dei "moss bags". Le caratteristiche sopra ricordate garantiscono una serie di vantaggi nell'uso di questa tecnica: a) effettuando il campionamento su muschi del suolo in aree non direttamente coperte da chiome di alberi o da vegetazione erbacea viene monitorato esclusivamente l'apporto diretto di metalli in traccia ad opera della precipitazione atmosferica, annullando il disturbo dovuto a percolazione dalle chiome; b) rispetto a tecniche di bioaccumulo basate sull'uso di foglie di alberi o di licheni epifiti è possibile effettuare il monitoraggio basato su muschi anche 2.4 BIACCUMULO FOGLIARE Questa metodologia d'indagine si rifà a tecniche elaborate ed applicate in Germania. Le foglie degli alberi decidui possono venire utilizzate per monitorare le deposizioni di metalli in traccia nell'arco di una stagione vegetativa. Il campionamento deve essere svolto in un arco massimo di due settimane 19 Seconda relazione sullo stato dell’ambiente - aggiornamento 2003 verso la fine dell'estate. Per ciascuno studio va assolutamente utilizzata la stessa specie di albero privilegiando alberi a foglia larga. Le foglie vanno prelevate, quando possibile, da almeno tre alberi diversi della stessa stazione, durante la tarda estate, prima dell'ingiallimento delle foglie, e nel più breve tempo possibile (massimo 14 giorni). E' consigliabile effettuare il campionamento in un periodo stabile di alta pressione ed a distanza di alcuni giorni da eventuali precipitazioni prolungate o particolarmente forti, sui quattro punti cardinali di chiome di alberi isolati, ad altezza uniforme e pari almeno a 4 m.. Per ogni ramo vanno raccolte foglie della stessa dimensione ed età, possibilmente quelle più vecchie, esposte per l'intera stagione vegetativa e che crescano su fronde esterne, non sovrastate da altre foglie. Ogni raccolta deve consistere della stessa quantità di materiale, e non deve essere inferiore ai 6 gr. di sostanza secca. I campioni freschi vanno raccolti in buste confezionate con carta da filtro per usi di laboratorio, e portati in laboratorio per la preparazione nello stesso giorno del campionamento, senza effettuare alcun tipo di lavaggio. Se questo non fosse possibile, possono venire conservati in freezer a 4° per non più di 5 giorni. Fig. 1. - Rappresentazione della Provincia di Viterbo. Vulsini e Cimini. Soltanto in piccola misura questi rilievi sono costituiti di lave. La loro massa è formata principalmente da tufi stratificati, risultanti dalla deposizione di enormi quantità di ceneri vulcaniche e di altri materiali piroclastici. L'amplissimo apparato Vulsino (diametro di circa una quarantina di chilometri) ha una forma relativamente appiattita (quota massima 663 m), ed al centro accoglie il Lago di Bolsena, profondo 146 m ed esteso 115 km2. L'apparato dei Cimini, invece, è un insieme di rilievi cupoliformi, culminanti nel Monte Cimino (1053 m s.l.m.), che costituisce un diverso apparato privo di bocche appariscenti ad eccezione di quella occupata dal Lago di Vico. Tutto il territorio collinare e montuoso della Provincia di Viterbo è caratterizzato da un'ampia superficie forestale, con boschi di roverella, castagno, cerro e faggio, tra i quali si inseriscono colture agricole intensive, soprattutto di cereali, vite ed olivo.Il confine occidentale della Provincia è individuato dal corso del fiume Tevere, che discende da nord verso sud-est lungo la valle Tiberina. Al centro della provincia sorge la città di Viterbo (ca. 60.000 abitanti), situata alle falde dell'apparato di Vico dove, a quota di circa 330-360 metri, la pendenza diminuisce rapidamente verso occidente, dando luogo alla pianura viterbese. La zona circostante il capoluogo è intensamente coltivata mentre solo alla periferia della città sono sorte delle industrie specializzate nei settori della meccanica, della ceramica, della carta, dell'abbigliamento e dei mobili. I principali centri urbani, oltre al capoluogo, sono: 3. AREA DI STUDIO 3.1 LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA L'area di studio, è il territorio della Provincia di Viterbo (Tuscia). Ha una estensione di 3612 km2, il territorio è caratterizzato da una pianura costiera, la Maremma Laziale, e da due gruppi vulcanici, i monti Vulsini e i monti Cimini, limitati ad est dalla valle del Tevere (fig. 1). La Maremma laziale occupa la parte occidentale del viterbese. La pianura si estende alle spalle della costa addentrandosi fra i rilievi con contorni più o meno irregolari. L'orizzonte immediato, dalla parte di terra, appare chiuso ora dal ciglio di ripiani o basse colline appiattite o da poggi coltivati o boscosi. Verso questi rilievi, sussiste una fascia di pianura sensibilmente rialzata, con debole pendenza e dolcissime ondulazioni, che penetra nell'entroterra fino a raggiungere e circondare la città di Viterbo. In tutta la Maremma il territorio è sottoposto ad uno sfruttamento agricolo estensivo, con prevalenti colture cerealicole, talvolta interrotte da oliveti. Tutta la parte centro orientale della Provincia è interessata da rilievi di origine vulcanica. Si succedono da nord-ovest a sud-est due grandi complessi apparati eruttivi, ossia i monti e colli denominati 20 Campagna di Biomonitoraggio dell’aria della Provincia di Viterbo Civita-Castellana, Montefiascone, Tarquinia, Orte e Vetralla. La rete stradale ha come principali vie di comunicazione l'autostrada A1 Milano-Roma, che lambisce la zona orientale della Provincia, la superstrada Orte-Viterbo, e le strade statali Cassia e Aurelia. lizzazione, e pertanto ormai da millenni è diventata sede di attività pastorali e agricole. Nell'insieme, escludendo ovviamente i tratti in coltivazione (cereali e ortaggi), nelle zone dedicate al pascolo prevale oggi una prateria secondaria interrotta da frequenti boschetti residuali di roverella con sottobosco ricco di arbusti spinosi, con esempi di flora residuale di periodi più caldi, quali le numerose orchidee selvatiche. 2. Tutt'altra situazione si riscontra nelle forre, dove l'uomo non ha quasi turbato l'ambiente naturale a causa delle forti pendenze. Qui la vegetazione è particolarmente ricca non solo lungo le rive dei corsi d'acqua, favorite dai microclimi più umidi, ma anche sui versanti, dove hanno tutto il tempo per svilupparsi alberi quali ontani, carpini e pioppi. Il sottobosco è meno ricco che nelle pianure, e vi abbondano felci e muschi. 3. Terzo ambiente morfologico è quello degli speroni di roccia vulcanica, che si allungano restringendosi progressivamente per centinaia di metri alla confluenza di corsi d'acqua che, pur se modesti, hanno scavato le profonde forre di cui si è appena parlato. In condizioni di naturalità si trova la macchia mediterranea, con vari tipi di querce di media taglia, tra le quali sono numerosi anche i noccioli e i castagni. Nella zona dei rilievi più elevati, dalla cinta craterica di Bolsena agli apparati del Cimino e di Vico, le condizioni morfologiche sono meno favorevoli per l'agricoltura, e questo ha consentito alla vegetazione naturale di conservarsi su spazi più ampi. Questa zona rientra nelle fasce del castanetum e, alla sommità dei rilievi, del fagetum. Scendendo verso la valle del Tevere si torna verso i boschi di querce meno fitti, pur se ricchi di sottobosco, e man mano occupa spazi sempre più ampi l'attività agricola. Per quanto riguarda una caratterizzazione climatica che possa rappresentare nel complesso la provincia di Viterbo si può fare riferimento alla carata Fitoclimatica di Blasi 1994 (fig. 2.). 3.2. CARATTERISTICHE CLIMATICHE E BIOCLIMATICHE Pur se con variazioni tra la zona costiera, la fascia collinare e la piana del Tevere, la piovosità media si attesta attorno ai 900 mm annui mentre le temperature medie annue passano dai 15 °C sulla costa ai 12 nella zona tiberina, in entrambi i casi con escursioni tra inverno ed estate di 15-18 °C. Secondo la classificazione di Köppen le caratteristiche di tutta la Tuscia possono essere espresse con la formula climatica Csa. La lettera "C" si riferisce ai climi mesotermici (o temperati), con temperatura media del mese più freddo compresa tra 18 e -3 °C. La lettera "s" minuscola in seconda posizione è l'iniziale del termine tedesco sommertrocken, cioè estate secca, e indica un regime di pioggia con accentuato minimo estivo, (in particolare, la pioggia che cade nel mese estivo meno piovoso non giunge a un terzo di quella del mese invernale più piovoso). La lettera "a" minuscola in terza posizione, infine, sta a significare che la temperatura media del mese più caldo supera i 22 °C. A voler andare ancor più in dettaglio, si potrebbe aggiungere nella zona tiberina una quarta lettera, una "n", iniziale del tedesco nebel, nebbia, per indicare la presenza di nebbie invernali, in genere durante le prime ore del mattino. Sintetizzando, quindi, nella regione si possono distinguere tre varietà climatiche: a) Csa a influenza marittima, in una fascia costiera ampia anche più di 25 km, dove le altezze rimangono generalmente inferiori ai 200 metri; b) Csa di tipo collinare, nella zona adiacente alla prima verso l'interno fino allo spartiacque, e anche nella zona non lontana dal mare, quando le quote superano i 200-250 metri; c) Csan nel versante che dà verso la valle del Tevere. In ogni caso, la variazione tra la costa e l'interno è piuttosto contenuta. In queste condizioni climatiche, nella zona in cui dal Tirreno le quote salgono con dolci ondulazioni fino ai circa 300 metri della Cassia si possono distinguere principalmente tre ambienti bioclimatici, la cui diversità è dovuta alla morfologia di dettaglio più che alla maggiore o minore distanza dal mare: 1. Le zone più pianeggianti, dove non si può dire che sia svantaggiata la vita arborea, ma è indubbiamente favorita quella erbaceo-arbustiva. Per l'uomo si tratta anche di quella di più facile uti- REGIONE TEMPERATA 1(2) - Termotipo montano inferiore; Ombrotipo umido superiore/iperumido inferiore; Regione mesaxerica/axerica fredda. Precipitazioni annuali (P) abbondanti e assenza di aridità estiva; in inverno freddo piuttosto intenso che si prolunga da ottobre a maggio. Temperatura media delle minime del mese più freddo (t) sempre al di sotto dello zero. 21 Seconda relazione sullo stato dell’ambiente - aggiornamento 2003 Abbondanti elementi della lecceta sulle isole Bisentina e Martana. REGIONE TEMPERATA DI TRANSIZIONE 4(7) - Termotipo collinare inferiore/superiore o mesomediterraneo superiore; ombrotipo umido inferiore; Regione mesaxerica. P medio-alte con episodi estivi più contenuti; aridità estiva non molto pronunciata a luglio e agosto; freddo intenso che si prolunga da ottobre a maggio; t appena inferiore a zero. Valle del Tevere e valli secondarie connesse (Orte, Gallese, Borghetto, ecc.). Querceti a cerro e roverella con elementi, talvolta anche abbondanti, della flora mediterranea. REGIONE MEDITERRANEA DI TRANSIZIONE 5(9) - Termotipo mesomediterraneo medio o collinare inferiore; Ombrotipo subumido superiore; Regione xeroterica/mesaxerica. P inferiori a 1000 mm con apporti estivi (Pest) intorno ai 100 mm; aridità estiva presente da giugno ad agosto e sporadicamente anche a maggio; freddo prolungato ma non intenso da novembre ad aprile; t da 2.3 a 4 °C. Maremma laziale interna a sud della conca vulsina fino a Blera e Monte Romano, parte della valle del F.Fiora, Canino e pianori a Ovest di Viterbo. Cerrete, querceti misti a roverella e cerro con abbondanti elementi della biocora mediterranea; boschi misti mesofili nelle forre e macchia mediterranea sui dossi e sugli affioramenti tufacei. 6(11)- Termotipo mesomediterraneo medio; ombrotipo subumido superiore/umido inferiore; Regione xeroterica. P da 800 fino a 11100 mm circa con Pest intorno ai 100 mm e temperatura media piuttosto elevata; nei mesi estivi l'aridità non raggiunge intensità molto pronunciate; freddo poco intenso da novembre ad aprile; t da 3.4 a 4 °C. Maremma laziale interna inferiore; regione sabatina, alta valle del F. Treia (Barbarano Romano, Oriolo Romano, Civita Castellana, Nepi, Calcata, ecc.). Cerrete con o senza roverella, castagneti, leccete e lembi di boschi misti mesofili soprattutto nelle forre. Nel settore della regione sabatina più prossimo al lago di Bracciano esiste una variante mesofila con prevalenza di faggete e boschi di carpino bianco e nocciolo. Fig. 2. Carta della Provincia di Viterbo con diagrammi ombrometrici Derivata dalla carta fitoclimatica di Blasi Zone più elevate del complesso dei Monti Cimini. Prevalenza di faggete, castagneti e in subordine querceti misti mesofili a cerro e rovere. 2(4) - Termotipo collinare superiore; Ombrotipo iperumido inferiore; Regione mesaxerica. P molto elevate con frequenti episodi estivi, quindi aridità estiva assente; freddo intenso d'inverno ma con t superiore allo zero. Caldera del lago di Vico. Prevalenza di faggete, castagneti, boschi misti mesofili e querceti con netta dominanza del cerro. 3(6) - Termotipo collinare inferiore/superiore; Ombrotipo subumido superiore/umido inferiore; Regione mesaxerica. P variabili con una media di 1000 mm; aridità estiva debole limitata a luglio, agosto e solo sporadicamente a giugno; freddo prolungato da ottobre a maggio; t compresa fra 1.2 e 2.9 °C. Regione vulsina e vicana e tutto il settore più settentrionale e orientale (Acquapendente, Farnese, Bagnoregio, Viterbo, Vignanello, Ronciglione, Capranica, Sutri, ecc.) Prevalenza di cerrete e querceti misti ( cerro, rovere, roverella, farnetto ), castagneti, potenzialità per faggete termofile e lembi di bosco misto con sclerofille e caducifoglie su affioramenti litoidi. Nelle conche calderiche di Bolsena e Latera esiste una variante più umida con prevalenza di cerrete e boschi misti mesofili e frammenti di faggete. 22 Campagna di Biomonitoraggio dell’aria della Provincia di Viterbo REGIONE MEDITERRANEA 7(13) . Termotipo mesomediterraneo inferiore; Ombrotipo secco superiore/subumido inferiore; Regione xeroterica. P scarse con pochi episodi estivi; aridità estiva intensa e prolungata per almeno 4 mesi (maggio-agosto) con il mese di aprile di subaridità; freddo poco pronunciato concentrato nel periodo invernale; t da 3.7 a 6.8 °C. Litorale e colline retrostanti (Pescia Romana, Montalto di Castro, Tarquinia, ecc.). Querceti con sughera, leccio o roverella; macchia mediterranea, frammenti di boschi planiziali nelle depressioni costiere. dotte hanno evidenziato che in tutte il vento spira prevalentemente da ENE. 4. BIOINDICAZIONE DELLA QUALITÀ DELL'ARIA 4.1. IL METODO ANPA Il metodo ANPA si differenzia dalle altre metodiche, basate sull'Indice di Biodiversità Lichenica (IBL), per la procedura uniforme ed omogenea utilizzata per l'individuazione delle stazioni di bioindicazione. La scelta di queste avviene secondo uno schema basato su un insieme di Unità di Campionamento Primarie (UCP) e di Unità di Campionamento Secondarie (UCS). Queste sono porzioni di territorio con superficie e forma definite all'interno delle quali, seguendo procedure standard, vengono individuati gli alberi per il rilevamento della Biodiversità Lichenica. Esse hanno lo scopo di assicurare uniformità e omogeneità alla distribuzione del campione sul territorio, sia per la Biodiversità, che per il Bioaccumulo sia fogliare, sia lichenico, sia fogliare. La forma delle UCP è quadrata e le loro dimensioni variano a seconda delle scale territoriali. La rete nazionale di biomonitoraggio è costituita da un sottoinsieme di UCP di 1x1 km, distanziate fra loro di 18 km. Nella presente indagine a carattere provinciale, invece, pur mantenendo le UCP di 1 km di lato, si è optato per una maggiore densità di campionamento, distanziandole di 9 km. Gli alberi da campionare in ciascuna UCP, vengono selezionati all'interno delle UCS individuate internamente alle UCP. Ciascuna UCP è definita dalle coordinate del suo punto centrale e da un codice a numerazione progressiva. In ciascuna UCP viene selezionato un campione di alberi compreso tra 3 e 12, a seconda della disponibilità di alberi in possesso delle caratteristiche di rilevabilità. Le UCS sono costituite da aree circolari di raggio 56,4 m e superficie di 1 ettaro (0,01 km2) che costituiscono un sottocampione di ciascuna UCP (nel dicembre 2002, quando l'attività di rilevazione in campo era già iniziata, le norme ANPA sono state riviste ed il raggio delle UCS è stato aumentato a 125 m). Lo scopo delle UCS è quello di conferire maggiore spessore al dato di Biodiversità Lichenica, indagando omogeneamente il territorio dell'UCP. In ciascuna UCP di 1 km2 ci sono 4 UCS, una per ciascun quadrante (NE, SE, SW e NW - fig. 5). Per meglio distribuire le stazioni per l'analisi dei metalli in traccia è stato anche studiato l'andamento del vento, prendendo come riferimento le stazioni metereologiche dell' aeroporto di Viterbo, di Rocca Respampani e Barbarano Romano. Le analisi con- Fig. 3 Grafico della direzione dei venti prevalenti a Viterbo, ottenuti dalla media dei rilevamenti 1961-1990 presso l'Aeroporto di Viterbo Fig. 4 Grafico della direzione dei venti prevalenti a Viterbo, ottenuti dalla media dei rilevamenti 1998-2000 presso le stazioni di Barbarano Romano e Rorespampani. 23