20 luglio 2013: “Viaggio con un`amica”
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20 luglio 2013: “Viaggio con un`amica”
20 luglio 2013: “Viaggio con un’amica” Sono passate da poco le dieci del mattino e nella gabbietta di trasporto Batuffola proprio non vuole andarci, si oppone con la resistenza passiva del corpo e con un lamento rauco e stanco. Quando accade di spostarsi, la gattona sa che l’attendono cure fastidiose da sopportare, persone che non vuole vedere, un ambiente freddo e straniero appena mitigato dal nostro contatto affettuoso e continuo. Stavolta, proprio questa volta, la resistenza di Batuffola è talmente decisa e ferma che nel muoverla pare un blocco di marmo, così sono costretto a prenderla di forza ed a posizionarla nella gabbietta. Mentre scendo le scale, lei si è rassegnata anche se ogni tanto cede a deboli miagolii di protesta, solo questo resta del lato selvaggio che ce l’ha fatta tanto amare. Si fida di me, sa che sono sempre al suo fianco anche se non posso toglierle il nemico interno che è cresciuto a dismisura dentro di lei e che la induce a nascondersi per proteggersi: è difficile combattere con un avversario invisibile. Operata poco più di un anno fa ha reagito bene e ha goduto di buona salute fino all’autunno superando anche l’adattamento di un forzato e provvisorio trasloco a causa del terremoto che ci ha colpiti in Emilia. Tutto bene al rientro a casa, ma il nemico aveva armi troppo potenti e si è ripresentato più forte che mai; l’attacco è stato arginato con cure dolci, ma puntuali, mai invasive che le hanno permesso di trascorrere mesi relativamente tranquilli, anche se più solitari. Ha scelto un angolo fresco e silenzioso della casa, un riparo fuori dai ritmi della giornata, dai rumori, dalle nostre presenze fino a poco tempo prima cercate insistentemente. Prendere possesso di una stanza l’ha aiutata a vivere mantenendo i ritmi fisici regolari, tuttavia è stato difficile accettare di non vedersela più intorno, facendoci vivere una sorta di lutto anticipato, quasi ci avesse voluto abituare, costringendoci al contrario dei quattordici anni precedenti, a diventare noi i pacifici invasori. 1 Adesso siamo noi a farle visita nel suo piccolo rifugio e lei ci accoglie con la dolcezza e la pazienza mai avuta prima, per via del carattere forte e indipendente di gatta. Le ultime due settimane sono state molto difficili per lei, per tutti, da una domenica sera quando Batuffola ha emesso tre strani lamenti di dolore prolungati: una zampa si è addormentata, il responso è che non avrebbe mai più ripreso a fare il suo dovere. Quindici giorni a zoppicare e per la prima volta il suo corpo mostra in pieno i segni del dolore e della stanchezza, che solo gli antidolorifici somministrati dalla veterinaria in lunghe e spossanti visite riescono a placare dando giornate di tregua. In casa sappiamo che il viaggio è giunto alla fine, che il dolore e l’amore non devono essere egoisti e prolungare le sofferenze: sono io a tentennare e a rimandare per pochi e lunghi giorni, poi la decisione, presa più per sfinimento che per volontà, con l’aiuto di tutti. L’idea di provocare la fine dell’amica pelosa dai mille soprannomi, che ha visto crescere mia figlia dalla scuola materna all’Università, mi divide e tormenta, il cuore si rifiuta di accettare, infine prevalgono la ragione e la stanchezza. Ma un conto è non vederla e saperla vicina con i suoi grandi occhi verdi, la macchiolina gialla tra le orecchie, il muso grazioso e fiero, un altro conto è accompagnarla verso un viaggio che ci avrebbe separati per sempre. Lungo le scale, ad ogni passo sfilano in rassegna ricordi, opere buffe, istantanee di più di un decennio che hanno regalato una seconda anima alla casa. Sono attimi sospesi dove il dolore muove il mio corpo, anzi, dolore e amore si abbracciano, diventano indistinguibili, fanno le fusa: divento un po’ gatto anch’io. Mia figlia ha già lasciato la micia che ha voluto tanto da piccola, reclamandola per mesi ed infine accontentata. E’ stata una benedizione. L’incontro è stato toccante, mia figlia ha accettato l’idea della morte, ma non regge la consapevolezza di non rivederla più. Il saluto, prima di correre via, è un “arrivederci…in qualche modo…”. Mia moglie ha macinato dentro l’assenza ed è con me, ad affrontare il distacco, ne sono felice perché sento che devo esserci fino in fondo, ma ho bisogno del suo aiuto. 2 E’ il primo animale che ho vissuto in famiglia, mai avrei creduto di vivere questo tipo di esperienza con tanta forza vitale. In ambulatorio, Batuffola persegue più che mai l’atteggiamento di resistenza passiva, ci guarda male e svuota l’intestino per ripicca, come ai vecchi tempi quand’era arrabbiata. Mi fa sorridere per un istante, ma non perdo mai il contatto fisico e visivo con i suoi occhi, la veterinaria procede e l’addormenta, intanto le reggo il muso, vedo il suo sguardo perdersi e addormentarsi, le pupille spegnersi nella luce dei miei occhi, ma continuo ad accarezzarla anche nel sonno che precede la morte: accarezzo il nemico enorme che ha deturpato il lato destro del corpo, accarezzo le nostre vite insieme e nelle mie carezze quelle di mia figlia e di mia moglie. Usciamo alcuni minuti per l’atto finale, personalmente non riesco a reggere l’emozione che mi chiude la gola, dentro si fissa un’immagine senza tempo che resterà per sempre, il suo corpicino addormentato e rilassato nell’abbandono. Rientriamo ed eccola finalmente in pace dopo tante sofferenze, raccolta nel sonno che unisce ogni creatura vivente. La portiamo con delicatezza in auto con destinazione la collina, presso un famigliare. Lì, ai bordi di un piccolo giardino l’avvolgiamo dentro la sua federa preferita, dove in precedenza ho inserito un foglietto con le nostre parole d’amore, e la lasciamo riposare affidandola alla terra. Intorno a lei il silenzio della campagna in una limpida giornata di sole, sullo sfondo alcune montagne all’orizzonte. Si chiude il ciclo della vita: Batuffola dall’età di due mesi ha vissuto con noi, in pianura, ma è nata in collina, in un luogo simile e non troppo lontano da questo. Al ritorno a casa è ormai buio, osservo la luna dalla postazione dove la sera prima ho preso in braccio la mia adorata gattona e abbiamo lasciato andare via l’ultimo giorno insieme. Ieri mancava un angolo perché fosse luna piena…Stasera anche l’ultimo pezzetto è al suo posto. I pensieri volano liberi e stringono il petto, rifletto che ho voluto a tutti costi esserci fino all’ultimo non per flagellarmi nel soffrire, ma per riconoscenza, per tutta la 3 gioia e la compagnia che ha riempito a lungo la casa, per la testimonianza che essere se stessi è l’unica possibilità per vivere bene, che nella diversità dei generi troviamo la ricchezza, che la morte nulla toglie alla vita, ma anzi aggiunge significati. Per alcune persone che non abbiano mai posseduto e amato animali potrebbe essere difficile capire lo stato d’animo descritto nella testimonianza. Molti ancora sono i pre-giudizi che condizionano le reazioni di chi ascolta storie come queste, al punto che diventa arduo per il proprietario esternare i sentimenti se non alle persone che ha vicine. Certamente perdere un’animale domestico non è paragonabile alla morte di un essere umano, poiché semplicemente parliamo di situazioni diverse, come diverso è ogni lutto. Provare dolore per la morte di un gatto non impedisce di essere attenti e sensibili con le persone! La morte di una bestiola parla di noi, infatti come per le altre forme di lutto ci sono i vissuti personali da considerare, poiché quello che conta è quanto si è investito affettivamente, cos’ha significato un’esperienza simile, quali insegnamenti (piccoli o grandi che siano) lascia in eredità. Ogni creatura vivente, ogni espressione di vita è un bene prezioso a nostra disposizione per capire meglio noi stessi, per restare a contatto con i ritmi naturali, o per riacquistarli. In questi tempi del fare, libertà è anche (solo!) osservare e gioire per ciò che abbiamo intorno. Maurizio Padovani Volontario Associazione Maria Bianchi 4