marie antoinette
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MARIE ANTOINETTE anno: nazionalità: durata: 2006 Stati Uniti 123 minuti scheda tecnica regia: soggetto: sceneggiatura: fotografia: montaggio: scenografia: costumi: effetti: Sofia Coppola Antonia Fraser tratto da romanzo biografico "Marie Antoinette - The Journey" di Antonia Fraser Sofia Coppola Lance Acord Sarah Flack K.K. Barrett Milena Canonero Philippe Hubin Kevin Berger interpreti: Kirsten Dunst (Maria Antonietta) Jason Schwartzman (Luigi XVI) Rip Torn (Luigi XV) Judy Davis (Contessa di Noailles) Asia Argento (Madame Du Barry) Marianne Faithfull (Maria Teresa d'Austria) Danny Huston (Giuseppe II) Molly Shannon (Anna Vittoria) Steve Coogan (Conte Mercy d'Argenteau) Rose Byrne (Duchessa di Polignac) Shirley Henderson (Zia Sofia) Jamie Dornan (Axel von Fersen) Clementine Poidatz (Contessa di Provenza) Jean-Christophe Bouvet (Duca di Choiseul) Aurore Clément (Duchessa di Chartres) Alain Doutey (Capo valletto) Sarah Adler (Contessa d'Artois) Guillaume Gallienne (Conte Vergennes) Mary Nighy (Principessa di Lamballe) Al Weaver (Conte d'Artois) Aleksia Landeau (Contessa de La Londe) Bob Barrett (Paggio) Raphaël Neal (Paggio) Tom Hardy (Raumont) produzione: Ross Katz, Sofia Coppola e Callum Greene per American Zoetrope, Columbia Pictures Corporation in collaborazione con Sony Pictures Entertainment Sony Pictures Releasing Italia distribuzione: Sofia Coppola Nasce a New York (Stati Uniti) il 12 maggio 1971. Ha respirato 'aria di cinema' fin da piccola, sotto l'ala protettiva del famoso padre Francis Ford. Ha iniziato come attrice apparendo, quasi neonata, nei primi due episodi della saga de "Il padrino". Nel terzo capitolo della serie (1990) ha interpretato il ruolo di Maria Corleone. Fra le altre sue interpretazioni sono da ricordare quelle in "Cotton Club" (1984) e "Star Wars: episodio I - La minaccia del fantasma" (1999). Ha lavorato anche come costumista e come produttrice. Da autrice e regista ha esordito nel 1998 con il corto "Lick the Star". "Il giardino delle vergini suicide" è il suo esordio alla regia di lungometraggi cinematografici. Nel 2003, grazie alla realizzazione di "Lost in Translation", da lei scritto, diretto e prodotto ha ricevuto l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale (era stata candidata anche per il miglior film e la miglior regia). Una curiosità: è la terza donna ad essere stata candidata all'Academy Award come miglior regista, ma è la prima americana poiché le altre due sono Jane Campion (neozelandese) e l'italiana Lina Wertmüller. Nel 1999 ha sposato il regista Spike Jonze, ma nel settembre 2003 i due hanno presentato i documenti per il divorzio. Filmografia Hearts of Darkness: A Filmmaker's Apocalypse [1991] - Attrice Il giardino delle vergini suicide [1999] - Regia, Sceneggiatura Il padrino parte III [1990] - Attrice Lost in transaltion - L'amore tradotto [2003] - Regia, Sceneggiatura, Soggetto Marie Antoinette [2006] - Regia, Sceneggiatura New York Stories - Storie di New York [1989] - Costumi, Sceneggiatura, Soggetto Il Padrino parte II [1974] - Attrice Rusty il selvaggio [1983] - Attrice Star wars Episodio I –La minaccia fanatasma [1999] - Attrice I visitatori del sabato sera [1990] Costumi Kirsten Dunst Kirsten Caroline Dunst Nasce a Point Pleasant, New Jersey (Stati Uniti) il 30 aprile 1982. Nel 1989, dopo la separazione dei genitori, lascia la città natale per trasferirsi in California con la madre Ines e il fratello Christian (il padre Klaus, dirigente di un'azienda di servizi medici, vive ancora in New Jersey). Inizia a lavorare nel mondo dello spettacolo sin dalla tenera età di tre anni, come interprete di spot pubblicitari. Nel 1989 debutta sul grande schermo nell'episodio "Edipo relitto" diretto da Woody Allen del film "New York Stories". Nel 1994 viene candidata al Golden Globe per la sua interpretazione in "Intervista col vampiro", di Neil Jordan, e ottiene riconoscimenti come miglior attrice esordiente. Seguono numerose apparizioni, ma per ottenere il suo posto tra le star di Hollywood deve attendere il 1999, anno in cui è la protagonista del film di Sofia Coppola "Il giardino delle vergini suicide". Nonostante gli impegni cinematografici, riesce a portare avanti gli studi e nel giugno 2000 si diploma alla Notre Dame High School, una scuola privata cattolica di Los Angeles. Nel 2001 debutta anche come cantante, interpretando il brano "Dream of me" nel film "Get over it", diretto da Tommy O'Haver, di cui è anche l'interprete principale. Attualmente si occupa anche della sua casa di produzione, la Wooden Spoon Productions, fondata insieme alla madre. E' stata legata sentimentalmente a Jake Hoffman (figlio di Dustin) e all'attore Ben Foster. Attualmente sembra aver iniziato una relazione con Tobey Maguire, con cui nel 2002 è interprete del film "Spider-Man" dedicato al famoso eroe dei fumetti americani. Filmografia Bella da morire [1999] - Attrice College femminile [1998] - Attrice Confessione finale [1996] - Attrice Crazy/Beatifull [2001] - Attrice Elizabethtown [2005] - Attrice Il falò delle vanità [1990] - Attrice Get over it [2001] - Attrice Il corvo 3 –Salvation [2000] - Attrice Il giardino delle vergini suicide [1999] - Attrice Intervista col vampiro [1994] - Attrice Jumanji [1995] - Attrice Le ragazze della casa bianca [1999] Attrice Levity [2003] - Attrice Marie Antoinette [2006] - Attrice Mona Lisa Smile [2003] - Attrice New York Stories - Storie di New York [1989] - Attrice Piccole donne [1994] - Attrice Ragazze nel pallone [2000] - Attrice Se mi lasci ti cancello [2004] - Attrice Sesso e potere [1997] - Attrice Small soldiers [1998] - Attrice Spider-Man [2002] - Attrice Spider-Man 2 [2004] - Attrice Spider-Man 3 [2007] - Attrice Th ec a t ’ sme ow[ 2001]- Attrice Wimbledon [2004] - Attrice La parola ai protagonisti Intervista a Sofia Coppola Non si capisce quanta volontà di una vera aderenza storica alla realtà volesse avere Sofia Coppola con il suo Marie Antoinette: fatto sta che il film scritto e diretto dalla regista italoamericana, tratto dal romanzo di Antonia Fraser, è stato accolto dai fischi della stampa in una proiezione stracolma. L'atteso terzo film della giovane autrice è una superficiale analisi della vita di Maria Antonietta, affrancandola di tute le colpe e responsabilità e sostenendo la tesi (falsa) che la Francia sia diventata povera per colpa unicamente del suo supporto economico alla Rivoluzione Americana. Un film irritante che tra un paio di scarpe di ginnastica e una colonna sonora rock, sembra essere rivolto ad un pubblico più femminile che maschile. Qualcuno potrebbe considerare questo film come una sorta di capitolo finale di una trilogia sulla storia di tre giovani donne iniziato con Il giardino delle vergini suicide e proseguito con Lost in translation... Sinceramente è qualcosa cui non avevo pensato: quando stavo girando questo film ero interessata più che alla conclusione di un qualcosa al passaggio verso una nuova fase del mio lavoro. L'elemento storico e sociale della Francia del diciottesimo secolo sembra non averla interessata... Questo perché non stavo facendo un film politico sulla Rivoluzione Francese, ma un ritratto personale della vita di Maria Antonietta: per me è sempre stata una figura simbolo della decadenza e della frivolezza. E' stato molto interessante fare delle ricerche e studiare in profondità le sue esperienze di donna e di teen ager alla corte di Versailles. Una ragazzina arrivata a quattordici anni in un paese straniero che è cresciuta da sola in Francia: una straniera che cerca di trovare la sua strada in un luogo che le era sconosciuto in mezzo a degli estranei. Perché ha voluto privilegiare l'elemento personale? Perché questo è il mio approccio al cinema: ogni mia storia e ogni mio film vengono caratterizzati dal mettere il mio cuore e le mie esperienze in quello che faccio. Cosa la ha spinta a scegliere Kirsten Dunst come Maria Antonietta? Mi interessava esprimere il suo punto di vista personale e più leggevo libri su questa donna, mi accorgevo di quante qualità in comune avesse con Kirsten con cui avevo lavorato nel mio primo film. Quali in particolare? Sicuramente il lato giocoso del suo carattere e quello un po' più profondo e di sostanza che ha acquisito nel corso degli anni. Nel film tutti parlano inglese (anche gli austriaci...). Poi, però, ogni tanto qualcuno pronuncia qualche parola in francese... L'idea era quella di incorporare serenamente le lingue: le scene con la piccola che interpreta la figlia di Maria Antonietta sono state girate con una bambina di due anni che non parlava inglese. Sono rimasta affascinata dal suo parlare dell'ape e i fiori in francese...E' stato girato in inglese perché siamo americani, ma i momenti in francese credo che non disturbino nessuno. Come ha scelto Asia Argento? Per le sue qualità di riuscire ad essere davvero all'opposto di Maria Antonietta sotto molti punti di vista. Asia era perfetta per dare vita con forza ad un contrasto molto interessante... Trovare la Regina è stata la cosa più facile. Prima ancora di iniziare a scrivere la sceneggiatura, lei aveva già immaginato l'attrice perfetta nel ruolo della protagonista: Kirsten Dunst, l'unica che sembrava possedere la stessa esuberanza sbarazzina e la carnagione pallida, quasi abbagliante, per le quali la regina francese era tanto famosa. Oltre ad avere già lavorato con lei ne Il giardino delle vergini suicide. Jason Schwartzman è risultato da subito un perfetto Luigi XVI, noto per essere il sovrano francese più goffo, timido e riluttante. L'attore è ingrassato di circa 20 chili per assomigliare all'immagine paffuta del giovane monarca e ha preso lezioni per imparare a danzare, a cavalcare a dorso di cavallo e a comportarsi secondo l'etichetta reale del XVIII secolo. Per il resto del cast si è affidata ad un casta veramente eterogeneo e insolito, come mai? Il nostro cast è assolutamente originale. Abbiamo un Re di Francia texano impersonato da Rip Torn, una Madame Du Barry italiana interpretata da Asia Argento e una Contessa De Noailles con il volto dell'australiana Judy Davis. È davvero un gruppo molto eterogeneo, ed è perfetto perché quello era un periodo eccentrico e decadente e il cast esprime esattamente la sensazione che tutto fosse sempre portato all'eccesso. Ho trovato davvero molto stimolante osservare gli attori mentre creavano i loro personaggi. Intervista a Kirsten Dunst La corona di star acqua e sapone di Hollywood comincia a stargli stretta. E' stata la fidanzatina per eccellenza: in Elizabethtown, in Wimbledon e soprattutto di Spiderman nel primo e nel secondo capitolo, e lo sarà anche nel terzo, in uscita la prossima estate. Nel 1999 ha rifiutato il ruolo della seduttiva adolescente di American beauty: troppo osé. Adesso, a ventiquattro anni, ha deciso di cambiare. Dopo Il giardino delle vergini suicide Kirsten torna a lavorare con la regista Sofia Coppola per interpretare il personaggio più importante e più difficile della sua carriera: Marie Antoinette. Un personaggio complesso, pieno di sfaccettature, di nobiltà e trasgressione. La storia è quella della celebre regina di Francia, riletta come un personaggio post-moderno, con i gusti, le voglie, le paure di una ragazza di oggi. Cosa la attraeva di questo film? Sofia è una delle registe che apprezzo maggiormente, tutti i suoi film ruotano intorno a personaggi femminili, ognuno a suo modo straordinario. Sono tutti personaggi che hanno a che fare con un'idea molto moderna della donna. Credo che i suoi tre film possano formare una sorta di ideale trilogia di donne sole: Il giardino delle vergini suicide, Lost in Translation e Marie Antoinette sono una sorta di piéce in tre parti. E' l as e c on dav ol t ac h el a v or ac onl e i … Sono estremamente fiera del primo film che abbiamo fatto insieme (Il giardino delle vergini suicide), e mi riconosco moltissimo in quel personaggio. Sofia è l'unica in grado di mostrarmi per quella che sono davvero e –questa cosa –lo confesso, mi mette un po' a disagio. E' successo anche per Maria Antonietta, dove mi ha messo di fronte a me stessa, alla mia idea di Maria Antonietta, praticamente senza dialoghi: tutto proveniva dal di dentro e dalla libera interpretazione della sua vita. Maria Antonietta, però, è spesso ricordata come –nel migliore dei casi –una donna molto supe r f i c i a l e … Credo che sia stata una bambina per tutta la vita. E' diventata una donna solo quando – affacciandosi al balcone del suo palazzo –ha visto la folla dei rivoluzionari inferociti contro tutta la sua famiglia. Non penso fosse una donna poco intelligente, ma credo che fosse semplicemente troppo giovane quando è diventata regina ed è cresciuta isolata e in un certo s e ns ope r f i noi gnor at adalmond or e al e .Vi v e v ape rl ' e s t e t i c ade l l ec os e :ar t eemus i c a…i n una prigione dorata. E' stata una specie di capro espiatorio e credo che definirla come un'idiota è davvero 'da idioti'. Nel libro di Antonia Fraser è addirittura un'anticipatrice dei suoi tempi. Per me è un po' come una Lady Diana del diciottesimo secolo. Era una donna moderna. Su questo credo che nonc is i aal c undub bi o… Cosa sapeva di lei prima di portarla sullo schermo? Mol t o poc o.Conos c e v ol a bat t ut a' Ches idi a no l or o ic r oi s s ant s …"ec hee r as t at a decapitata, ma –a parte questo –non avevo un'idea chiara di quale fosse stata la sua vita. Dopo avere letto il romanzo di Antonia Fraser mi è apparsa come un personaggio molto più umano .Unadonnamol t os ol a… Che differenza c'è tra girare ad Hollywood o a Versailles? La nostra è stata la prima produzione cinematografica che ha davvero girato all'interno del Palazzo di Versailles. E' stata la prima volta, mentre –in passato –si erano visti solo pochi pezzi veri della reggia, in questo film, invece, si vedranno le ambientazioni reali. Girare in un grande studio di Hollywood è un pò come andare in ufficio. Girare a Versailles ti costringe in ogni momento ad immaginare la storia. Stare in quella reggia di notte è stata una delle esperienze più forti ed emozionanti della mia vita. Ea de s s oc ' èSpi de r ma n … E' strano tornare ad essere ancora una volta Mary Jane. Eppure è un personaggio che è cresciuto con me. Sono sei anni che me lo porto dietro. Siamo tutti cambiati e cresciuti i ns i e me .Cr e doc heif or t il e gamic hes is onoc r e at is uls e tpas s i noanc hes ul l os c he r mo … I costumi e la moda dell'epoca: intervista a Milena Canonero I costumi in Marie Antoinette erano uno degli elementi fondamentali per riuscire a realizzare l'audace progetto del film secondo la visione della Coppola. La regista avrebbe potuto affidare il delicato incarico solo a una costumista che possedesse sia la sensibilità per far rivivere lo stile settecentesco comprendendone il significato storico profondo, sia la creatività senza preconcetti per reinterpretare la foggia antica in chiave moderna, esprimendo un gusto riconoscibilmente attuale. "Molti dei nostri costumi si possono ritrovare nel testo della canzone I Want Candy", spiega Michela Canonero. "Abbiamo scelto colori e tessuti - continua la Canonero- che facciano pensare a cose che si vorrebbero mangiare e hanno tinte che variano da sfumature molto chiare e delicate a tonalità decisamente più sfacciate e audaci. Certo, siamo state molto influenzate dal periodo, ma lo abbiamo voluto presentare in un modo tutto nostro. Non c'è solo il pacato racconto della compostezza aristocratica: alle volte è puro rock and roll". Per le calzature, che erano una delle manie della giovane sovrana, la Canonero si è affidata ai magnifici disegni del guru della moda Manolo Blahnik che ha saputo realizzare delle versioni stilizzate di alcuni modelli dell'epoca. "Non sono scarpe in perfetto stile settecentesco, ma lo ricordano molto" dice ancora la Canonero. Le recensioni Giancarlo Zappoli Maria Antonietta nasce a Vienna il 2 novembre 1755. Nel 1770 raggiunge a Versailles il suo promesso sposo, il delfino di Francia futuro Luigi XVI. Il 16 ottobre 1793 viene ghigliottinata. Si può racchiudere in queste tre date la vicenda storica di una delle regine più note della Storia. Non è però a questo che guarda Sofia Coppola nella terza opera di una filmografia dedicata alla difficoltà di crescere per una giovane donna, quale che sia il luogo o l'epoca. Che si sia chiusi nell'ottusità di una famiglia americana (Il giardino delle vergini suicide), che ci trovi in un luogo in cui il non conoscere la lingua corrisponde anche al complesso rapporto con se stessi (Lost in Translation) o che siano i fasti di una reggia a circondare una giovane e bella futura regina di Francia, la situazione si ripete. La Coppola torna a lavorare con Kirsten Dunst, ne utilizza la fresca malizia ma al contempo la libera dal ruolo "fidanzatina della porta accanto" che Spider man le ha appiccicato addosso e che Elizabethtown ha solo ritoccato. Aiutata da costumi straordinari (Milena Canonero) e da una colonna sonora che mescola musica d'epoca a brani di Bow Wow Wow, New Order e Phoenix, Sofia Coppola ci fa "sentire" moderna una storia antica, evitando i cliché storici e la ricostruzione politica. È di una donna che ci vuole parlare, una donna che soffre per la disattenzione sessuale del marito che si trova caricata come colpa, una donna-bambina che compensa le frustrazioni giocando con scarpe, cibi, cani come una ricca signora di Beverly Hills. Guardatela nella prima inquadratura che precede il titolo e che ricorda come capacità di sintesi quella del maestro Kubrick in Eyes Wide Shut. Sembra esserci tutta Maria Antonietta e invece ci sono 2 ore in cui procedere nella scoperta. Natalia Aspesi (La Repubblica) Distesa su una dormeuse, Maria Antonietta, lucente di giovinezza, lo sguardo verso la macchina da presa, una montagna di dolcetti rosa al suo fianco, una cameriera in ginocchio che le infila ai piedi le babbucce di seta, pare una top model, e infatti la prima inquadratura dei film di Sofia Coppola si ispira a una celebre immagine di moda anni '70 del sofisticato fotografo Guy Burden. Si capisce subito, anche dal rock duro che ha accompagnato i titoli di testa rosso fuoco da video musicale, che l'ennesimo film sulla disgraziata moglie austriaca di Luigi XVI se ne fregherà della storia, della politica, e in un certo senso della Francia. E racconterà invece la breve esistenza di una teenager in crinolina che come fosse oggi a Bevery Hills, «è costretta a vivere in una società decrepita prigioniera di riti per lei incomprensibli, a cui si sottrae con lo shopping, le feste, le amiche, l'amante, il gioco». Per forza Maria Antonietta, in concorso ieri e da oggi sugli schermi francesi, non convince del tutto il pubblico, soprattutto quello francese, che lo ha accolto con qualche buuh (ma anche applausi): si può appropriarsi di questa massima tragica icona della loro storia, splendente regina nei ritratti di gran pompa di Elisabeth Vigée Le Brun, miserabile condannata al patibolo nello schizzo crudele di Jacques-Louis David, dimenticando la Rivoluzione su cui la Repubblica si è fondata, evitando la tragedia spettacolare della prigionia, dei processo farsa e della ghigliottina? «So di essermi presa molte libertà, ma non era la grande storia che mi interessava: per quella ci sono gli storici, c'è Antonia Fraser alla cui biografia mi sono ispirata. Io ho voluto raccontare l'umanità di una donna che non era né innocente né crudele, né stupida né intelligente, il cui destino l'ha portata nel posto sbagliato al momento sbagliato». Il film parla degli annidi Versailles, vissuti dalla corte in opulento, smemorato isolamento dal paese in tumulto, e finisce con la fuga della famiglia reale mentre forconi e bastoni premono alle porte. Nella notte illuminata dalle torce minacciose, la regina apre la finestra sulla folla davanti a cui si inchina, ormai conscia del suo destino: poi sale sulla carrozza fatale con l'ultimo sguardo d'addio al castello e alla vita. È uno dei tanti momenti beffi dei film, che riluce dell'oro inimitabile del vero appartamento di Maria Antonietta, della cappella, del salone degli specchi di Versailles e del teatrino dei petit Trianon. Kirsten Dunst, graziosa e sottile, è una Maria Antonietta leggera e leggiadra, frivola e triste, ignorata dal re, disprezzata per la mancanza di eredi e peri suoi sprechi. Corre, sposa ragazzina vestita d'azzurro nella galleria reale piena di sole, la ripercorre anni dopo, nell'ombra della sera, lenta e vestita di nero per il lutto del delfino Luigi Giuseppe. Nel mezzo, il film è tutto un rutilare di abiti meravigliosi color pastello disegnati da Milena Canonero, di dame che ridono e fanno gossip, di tavoli da gioco, di bocche piene di dolci alla crema, di coppe di champagne (una trasgressione coppoliana), di feste da ballo una volta regina, (altra trasgressione, a 18 anni non lo era ancora), di shopping esagerato, di parrucchieri gay che baciano sulle guance come oggi, però fuori da ogni etichetta rococò. La regista decide di mandare a letto sul serio la regina, nuda se non per le calze auto-reggenti, utensile erotico di ogni brava massaia contemporanea, con l'affascinante svedese Fersen, evento ancora in dubbio tra gli storici più pedanti. Sofia Coppola si sente sorella di Maria Antonietta raccontandone benissimo l'oppressione insopportabile dei riti di corte, immutabili, mentre il paese affamato sta per ribellarsi: quell'alzarsi ogni mattina tra le dame di corte che secondo il rango hanno il privilegio di lavarla (poco) e di vestirla, quella gelida prima colazione, il re e la regina seduti davanti a montagne di cibo, i cortigiani in piedi attenti ad ogni impazienza regale, quel giovane marito che non la guarda mai e che a letto, al massimo, le parla delle sue amate serrature. A onore dell'autrice, a parte le troppe piume, neppure un minuetto, pochi ventagli, nessun vaso da notte, per lei mai la parrucca: invece magnifiche riprese dei giardini di Versailles con l'interminabile scalinata su cui il vento sollevai lievi vestiti delle dame e soprattutto una colonna sonora travolgente: techno, acid music e rock anni '80 con Gluck, Vivaldi e Rameau, esprimono benissimo insieme la sontuosità regale dell'epoca e l'energia, la sfrenatezza, l'impazienza della giovinezza senza tempo. Asia Argento è una DuBarry in rosso che palpa Luigi XV e fa i rutti a tavola, Marianne Faithfull, irriconoscibile, è la matronale Maria Teresa d'Austria. Pier Cardinali (Il Mattino) «L'hanno ghigliottinata che aveva la mia età: poco più di trent'anni. Ed era approdata in Francia per di v e ni r n er e gi naa l l ' e t àde l l emi e” v e r gi nis ui c i de ” :12-14 anni». In questo cortocircuito anagrafico, che l'apparenta alla sua storia personale e artistica, Sofia Coppola racchiude la parabola fulminea di Maria Antonietta, la giovane principessa d'origine austriaca travolta dalla Rivoluzione Francese, al centro del suo nuovo film, ora al montaggio a New York dopo il lungo periodo di riprese in Francia: tre mesi nel segreto dei castelli più sontuosi, Versailles, Vaux-le-Vicomte, Chantilly. «Per la mole dil a v or oel ’ i mpe gn o,Lavi t adiMa r i aAn t oni e t t aèi lmi opersonale Apocalypse Now» scherza la f i gl i adiFr a n c i sFor dCopp ol a ,dal uit e n ut aab a t t e s i mod' a t t r i c en e l” Pa dr i n o”epoic oi nv ol t aa5-6 anni nella sfibrante esperienza del kolossal con Marlon Brando nelle Filippine, dove con la mamma e i fratelli visse per molti mesi, frequentandovi la prima elementare. «Mai più carovanate come questa: folle di comparse in costume, piani di lavorazione rigorosissimi, una doppia troupe, francese ea me r i c a n a ,dat e n e r eab a daognigi or n o,c onuna” c or t e ”c ompos t adaMa r i anne Faithfull, Aurore Clément, Judy Davis, accanto a Kirsten Dunst e a mio cugino Jason Schwartzman nei ruoli di Maria Antonietta e Luigi XVI». Come si lega, Sofia Coppola, il nuovo film ai due precedenti, Il giardino delle vergini suicide e Lost in translation? «Insieme formano una sorta di trittico, sulla figura della teenager solitaria, melanconica, che rinvia all'infinito il passaggio all'età adulta. In Maria Antonietta e negli intrighi di palazzo, c'è persino l'eco del mio primo corto, Lick the star, su quell'età strana in cui gli adolescenti sono oggetto di desiderio e nemici da combattere: l'avevo girato nel '98, a 27 anni, come prova generale del Giardino delle vergini suicide, con un quartetto di spaventose tredicenni che architettano un piano per avvelenare i compagni di scuola. Rivalità, pettegolezzi dei tempi del liceo, li ho ora trasferiti a corte. Della Du Barry, interpretata da Asia Argento, ho fatto una r a ga z z a c c i ac h es is c a t e n ai ns c e n edil e t t opi ut t os t o” r oc k' n' r ol l ”c onRi pTor n ,v e c c hi o” ba db oy ” di Hollywood, nel ruolo di Luigi XV». Un Settecento gemello della nostra società-spettacolo? «Gli storici mi daranno addosso, per le libertà che mi sono presa rispetto ai libri di scuola e alle biografie ufficiali, come quella di Stefan Zweig, che non ho nemmeno terminato di leggere, tanto m'è sembrata intransigente. A me basta che il film sia credibile, non storicamente corretto. Il palazzo di Maria Antonietta, regina di frivolezze, ma anche donna-bambina, dagli ideali soffocati dentro un mondo-bomboniera, non è lontano dai attuali rituali tutto look e apparenza, specie negli Usa, dove Hollywood è simile a una corte settecentesca, con i suoi contratti-intrighi, le mondanità d'obbligo, il vuoto culturale, le cerimonie d'investitura, come la notte de gl iOs c a r …» ,Leès t a t of a c i l es ug ge r i r e e intrecciare analogie tra le due epoche? «Sono abituata, anche nelle ricostruzioni storiche, a giocare su riferimenti molto contemporanei. Dipenderà dalla mia prima formazione di fotografa o di stilista, con una l i ne ac hi a ma t aMi l kFe d,edic os t umi s t a( a n c hepe rl ' e pi s odi odi” Ne wYor kSt or i e s ”gi r a t o da papà). La sceneggiatura, con tutti i ritagli d'immagini che via via vi ho incollato, è diventata un enorme patchwork, con ritratti di Kate Moss o fotografie di Helmut Newton su giovani in esposizione sulle scalinate di Versailles negli anni '70. Con Lance Acord, già direttore di fotografia in Lost in translation, mi sono divertita a rivedere film di David Hamilton, per assorbirne la leggerezza sensuale ma anche la distanza ironica nel rappresentare universi di fatuità». Come è resa la Maria Antonietta della storia? «Ho cercato di cogliere e restituire, oggi, i suoi smarrimenti di sovrana debuttante, le frustrazioni di donna, gli slanci e le incertezze davanti alla storia: e il suo grande talento di regina dell'eleganza. A Parigi, capitale della moda, polverizzava le convenzioni con la complicità di una sarta geniale, Rose Bertin. Anch'io ho avuto la mia Rose Bertin: Milena Canonero, costumista di film come Arancia meccanica, Barry Lyndon, Il Padrino 2. È stata una magica intesa. La Canonero è entrata subito in sintonia con le mie richieste di abiti assai stilizzati, plausibili ma senza fronzoli accademici: per intenderci sui colori, facevamo riferimento a sughi di mac c he r onioas or b e t t ipr e di l e t t i …Cis ic a pi vaa lv ol o» . Maurizio Cabona (Il Giornale) Sofia Coppola ha girato scene di prigionia ed esecuzione per «Maria Antonietta»? Se sì, le ha eliminate dall'edizione del film in concorso ieri al Festival di Cannes temendo un finale troppo triste o di urtare le jacobin Jacob, presidente del Festival, che cala la mannaia dell'esclusione sui film dove la mannaia della rivoluzione cala su colli aristocratici. Un film deve infatti avere al centro un personaggio affascinante e Maria Antonietta era all'altezza del ruolo, per bell'aspetto e per brutta fine: uccisa da giovane come Lady Diana dopo essere stata regina immatura e irrequieta. Questa scelta si capisce dell'assimilazione fra Maria Antonietta e Lady Diana: il grosso del pubblico dei cinema negli Stati Uniti ha meno di vent'anni e ricordi in proporzione all'età, dunque stenta perfino a ricordare Lady Diana, morta anche lei a Parigi. Si capisce anche la Coppola adotti il rock come colonna sonora (stile Il destino di un cavaliere) per saldare passato e presente. Oltre a quel che deriva da ragioni di opportunità, in Maria Antonietta c'è quel che deriva da ragioni di grossolanità, come il fraintendimento dello spirito dei tempi - fine XVIII secolo - che permea tutto il film. La costante derisione dell'aristocrazia è più sciocca di quella nella quale incorse Bertrand Tavernier in Che la festa cominci. Nella reggia di Versailles il centralismo regale concentrava l'alta aristocrazia per controllarla, non per favorirla, ma anche in cattività i più bei nomi di Francia non erano un'accolita di invertebrati dai titoli ridondanti e di scostumate in costumi sfarzosi. Luigi XVI era un debole, dice la storia, ma la Coppola impone a Jason Schwartzman di farne una macchietta; e Luigi XV era rude, ma la Coppola impone a Rip Torn di farne un mandriano, più che un sovrano. Solo Kirsten Dunst è credibile nel ruolo di Maria Antonietta. Movente di questa scelta alla quale non deve essere estraneo Francis Ford Coppola, produttore del film e padre della regista divertire il pubblico anglosassone. In effetti quello americano riderà, perché odia i re, ma gli Stati Uniti sono nati coi soldi e coi soldati della Francia di Luigi XVI, non - come Hollywood fa credere con le gesta di patrioti alla maniera di quelli impersonati da Mel Gibson; riderà anche il pubblico britannico, perché odia i re non britannici e ignora il ruolo della sovversione britannica contro la monarchia francese per vendicare la perdita delle colonie ribelli di George Washington. Ma la stampa ieri ha ululato contro Maria Antonietta perché ne ha avvertito le ambizioni commerciali. Che rendevano adatto il film per la chiusura, quando c'è l'aria serena del ritorno a casa e al poter dormire nel letto (di casa), anziché sulla poltrona (del cinema). Ma si poteva liquidare così la famiglia Coppola, con Francis Ford consacrato proprio dal Festival nel 1979 per Apocalypse Now e qui riconsacrato nel 2001 per Apocalypse Now Redux? Alberto Crespi (L'Unità) Maria Antonietta lost in translation: persa nella traduzione. La citazione del precedente film di Sofia Coppola sorge spontanea dopo aver visto il nuovo, sull'ultima regina di Francia: un' opera molto deludente, che paga la difficoltà di «tradurre» nel linguaggio dei cinema storico i turbamenti adolescenziali che la regista aveva brillantemente raccontato nei primi due turn (Lost in Translation, appunto, e l'opera prima Il giardino delle Vergini suicide). Fra i tanti guai del film c'è anche il fatto che tutti i regnanti dei XVIII secolo, dall'austriaca Maria Teresa al francese Luigi XVI, parlano un inglese dai più svariati accenti: mentre le famiglie regnanti nell'Europa di allora, dai Borboni agli Absburgo. dagli Harmover ai Romanov, si esprimevano rigorosamente in francese. Maria Antonietta, dunque: il film più atteso del concorso di Cannes 2006. il titolo più pompato dai media dopo Il codice da Vinci, la pellicola che Venezia aveva annunciato quasi ufficialmente (amici veneziani, potete brindare allo scampato pericolo)... Due ore di crinoline, di scarpette di raso, di cagnolini che si pappano i dolci schifiltosamente snobbati dagli umani: due ore di balli, opere e feste, a tratti sulle melodie d'epoca di Rameau, più spesso - con voluto anacronismo - sulle musiche techno-pop di Cure, New Order, Strokes, Aphex Twin; due ore di noia abissale. I primi 70 minuti imperniati sull'angoscioso interrogativo: Luigi XVI, «delfino» di Francia ed erede al trono, farà finalmente il proprio dovere di marito con la 15enné (nel 1770, anno delle nozze) Maria Antonietta d'Austria? Quando il fausto evento si compie la domanda cambia: riuscirà Maria Antonietta a dare alla Francia l'erede maschio che. la corte reclama? Quando il nuovo «delfino» nasce, si può dire che il film finisca. Nella vita di Maria Antonietta avverranno un paio di altre cosucce (la Rivoluzione Francese, l'arresto, la guerra con l'Austria, la condanna a morte di Luigi XVI e la decapitazione della stessa sovrana, il 16 ottobre del 1793) che, nei film, occupano circa 5 minuti. In una scena si annuncia che i «rivoltosi» hanno preso la Bastiglia. Nella scena dopo, il re. durante una battuta di caccia, viene avvertito che il popolo sta arrivando a Versailles, «Vogliono la farina», dice il messo: la Rivoluzione ridotta a una faccenda di catering. Maria Antonietta e il marito salgono in carrozza. A Parigi li attende la ghigliottina, ma il film si ferma prima. Una rivista francese ha definito Maria Antonietta «l'evento glam-rock di Canes 2006». La definizione nasce dalla colonna sonora e forse dalla presenza nei cast, nel ruolo piccolo ma impressionante di Maria Teresa, della cantante (già musa dei Rolling Stones) Marianne Faithfull. Curiosamente l'aspetto glam-rock è l'unico motivo di interesse del film. L'irruzione della musica pop crea se non altro atmosfere stranianti. e pennette a Sofia Coppola di comporre un paio di videoclip con il vorticoso montaggio di cibi, abiti, scarpe e suppellettili varie, di tutto il lussuoso bric-à-brac che riempie i saloni di Versailles (il film è girato nella vera reggia). Sono gli unici momenti in cui Sofia Coppola si mette sulla scia di Eisenstein (Ottobre), Rossellini (La presa del potere da parte di Luigi XIV), Sternberg (L'imperatrice Caterina) e Kubrick (Barrr Lyndon, dal quale eredita la costumista Milena Canonero) nel mostrarci il Potere attraverso i suoi orpelli. I paragoni illustri finiscono qua. La giovane Coppola non ha nemmeno un millesimo del talento e della preparazione culturale che sarebbero necessari per farci intravedere i meccanismi del potere dietro i rituali di corte. Inoltre, ha speso tutti i 40 milioni di euro di budget in scarpine e parrucche, al dunque non ha più un soldo per le comparse e fa «sentire» la Rivoluzione mettendo un po' di cori da stadio in colonna sonora. AI di là della messinscena, lussuosa ma vacua, il problema è a monte: Sofia Coppola vuole raccontarci una Maria Antonietta adolescente che «rompe» i rigidi codici comportamentali di Versailles, e sembra ignorare che le corti europee del '700 erano dominate da una casta di parenti che si scambiavano matrimoni come contratti. Di fronte al rituale delle darne di corte che la accolgono al risveglio e la vestono secondo la scala gerarchica, Maria-Kirsten Dunst esclama «it's ridicobus», è ridicolo. La vera Maria Antonietta. che in quel mondo era cresciuta, non l'avrebbe mai detto. Qui, di ridicolo, c'è solo un film che parla di Maria Antonietta ma sta pensando a Lady D. Valerio Caprara (Il Mattino) Ogni giornalista da festival sa che può toccargli d'esultare o d'infuriarsi a causa delle reazioni dei colleghi. Tanto è vero che potrebbe stilare un rapporto circostanziato e sorprendente sugli atteggiamenti di volta in volta tenuti dal plenum internazionale di fronte a molti film, che siano destinati al palmarés o meno. Quindi, dopo avere giudiziosamente precisato che la ruota può girare anche domani, deprechiamo la fredda e ostile accoglienza riservata ieri a Marie Antoinette, per noi (guarda caso) uno dei pochissimi titoli intelligenti, aggraziati e divertenti dell'edizione di quest'anno. Tutto sta nel modo in cui ci s'avvicina al nuovo film di Sofia Coppola: preso come kolossal didascalico, magari sostenuto da storici distinguo, il ritratto della sedicenne austriaca costretta a sposare l'erede al trono francese e a convivere con un Luigi XVI molliccio e disinteressato e una corte fatua e imbalsamata varrebbe poco o niente; entrando, invece, senza remore nelle atmosfere sapientemente distillate dalla figlia d'arte, è facile apprezzare un tema sempreverde come quello dell'esilio adolescente in una prigione dorata. Accompagnando Kirsten Dunst in un periodo all'incirca ventennale, l'autrice di Lost in Translation adotta, in pratica, il punto di vista della protagonista che può/potrebbe essere benissimo quello di una principessa Sissi, di una Lady D o, meglio ancora, di una ragazza moderna in stile «Desperate Housewives» e sublima il plateale anacronismo con una serie deliziosa di contrappunti psicologici, figurativi e musicali. Marie Antoinette non cerca neppure lontanamente di revisionare l'identikit della regina decapitata dai rivoluzionari e tradizionalmente odiata dai francesi, bensì di tratteggiare una favola settecentesca in cui lo stupore e la malizia, l'incoscienza e un'ombra di consapevolezza si armonizzino grazie allo stile, in parte affettuosamente ironico e in parte delicatamente impressionista. Affascinata dagli ori e dai fasti di Versailles, Sofia Coppola manipola, così, i riti caricaturali della vestizione, del matrimonio, del ritiro notturno in camera da letto, del risveglio e dei lavacri, dei banchetti e delle feste in una collana di sequenze vagamente ispirate alle scrupolose biografie e disinvoltamente interessate ai gossip pre-rivoluzionari, dalla passione dell'imbelle Luigi XVI per la caccia alle volgarità della favorita Duchessa du Barry (ovviamente l'ispida Asia Argento) e al sex-appeal dell'idealizzato cavaliere Fersen, (presunto) amante della nostra regale Bovary... Insomma un bouquet di programmatiche insolenze, scandite dall'euforizzante colonna sonora pop, che mirano, di fatto, a rivelare come la regista americana non s'identifichi in Marie Antoinette per fare il verso a Rossellini, ma per lanciare un'occhiata blandamente «scorretta» sul mito fondatore della Francia e, soprattutto, per regalare all'alter ego Kirsten Dunst la chance di un viaggio nel tempo leggiadro e impertinente. Per gli indignati speciali, adepti del cinema sgradevole, il programma ha, del resto, offerto un immediato risarcimento con «La raison du plus faible». Un noir alla Thompson o alla Leonard, ma ahimé di nazionalità belga, diretto e interpretato da Lucas Belvaux, che parte sui toni de «I soliti ignoti», vira rapidamente alla denuncia sociologica in stile fratelli Dardenne e poi s'imballa nell'enfatica e farraginosa cronaca di una rapina destinata a finire tragicamente. Succede che lo scenario della città di Liegi induca di per sé al peggiore pessimismo e non abbia alcun bisogno dei tagli di una regia piatta e deprimente; se è il caso d'aggiungerci l'handicap di attori tanto appropriati e volenterosi quanto totalmente sprovvisti di fascino, ne consegue il risultato prossimo allo zero che è apparso chiaro persino ai fischiatori di MarieAntoinette. Massimo Rota (Rolling Stone) Un'apoteosi assordante di colori. Un geniale film rockcocò. Un fuoco d'artificio di musica e costumi. Sofia Coppola chiude la sua trilogia sulla difficoltà del passaggio all'età adulta con una nuova ricerca d'identità, spiazzante fin dalla colonna sonora che "invade" il XVIII secolo con The Radio Dept, Adam Ant, Cure, Squarepusher, Bow Wow Wow, Air, Strokes e via rockeggiando. E la regina assomiglia davvero a una teenager qualsiasi quando per il suo compleanno una canzone dei New Order ci restituisce la malinconia di quel momento. La 14enne Marie Antoinette (Kirsten Dunst, in continuo inseguimento della maturità, dell'assunzione di responsabilità), figlia dell'imperatore d'Austria, attraversa la frontiera nuda, pronta a rinascere come sposa di Luigi XVI (Jason Schwartzman, inetto e titubante al punto giusto). Una vergine senza storia che sta per affrontare l'ignoto: un marito, il difficile compito di governare, la gestione di un potere immenso, una nuova lingua e soprattutto un cerimoniale che uccide qualsiasi riservatezza e intimità. Insomma, un percorso obbligato per poter abbandonare l'adolescenza: «Per me Marie Antoinette ha gli stessi problemi di una liceale di oggi. Deve affrontare doveri e codici che non comprende, le sono troppo lontani. Stenta a farsi nuovi amici, ha un'ossessione per i vestiti, il corpo, l'apparenza. Il mondo pretende troppo e lei si sente inadeguata persino per la vita quotidiana», ha dichiarato la regista a Cannes, dove ha anche confessato di essersi ispirata al clima di Lisztomania di Ken Russell. Nella delirante pellicola dei 1975, Franz Liszt, interpretato da Roger Daltrey, è una vera e propria rockstar che beve Coca-Cola, litiga con i giornalisti e l'odiato Wagner. Un personaggio-icona con evidenti legami con la regina di Sofia Coppola. Ispirato alla controversa biografia dell'inglese Antonia Fraser (pubblicata in Italia da Mondadori), il film è deliziosamente, programmaticamente antistorico. Pronto a strizzare l'occhio al kitsch quando affonda lo sguardo nella voluttà, nelle feste, nei gioielli che riempiono la vita ultrapop della monarca (sua madre, Maria Teresa d'Austria è interpretata da Marianne Faithfull, "regina-bambina" degli Stones...). Perfetta antenata di Lady D, l'indolente Marie Antoinette si disinteressa completamente della politica e fa della frivolezza e della vanità le colonne portanti della sfrenata vita della corte di Versailles. Per Sofia Coppola: «Non è certo impeccabile o innocente, ma nemmeno cattiva come vorrebbero farci credere gli storici. La sua esistenza è difficile perché suo marito la ignora. E questa mancanza di intimità che la indirizza verso le feste e i divertimenti con le amiche. In questo assomiglia a una signora di Beverly Hills che, trascurata dal marito, si rifà con lo shopping». Una casalinga disperata che finisce ghigliottinata a 33 anni. Tanto tutto appare già scritto, scontato, con la vittima sacrificale, una donna mai cresciuta, ormai buona solo per salire gli scalini del patibolo. .A rischio costante di overdose di champagne, innamorata dell'eccesso, Marie Antoinette legge Rousseau, ha un amante, appoggia confusamente la Rivoluzione americana e trascura l'infelice figlio. Lost in transgression? Fabio Ferzetti (Il Messaggero) La corte di Versailles come una super Beverly Hills, Maria Antonietta come una specie di fashion victim ricca e viziata ma fondamentalmente innocente, il suo infelice matrimonio con Luigi XVI come trionfo della politica e della ragion di Stato sulle passioni e sul corpo. Marie Antoinette di Sofia Coppola (concorso) non è un brutto film, anzi è gradevole, pieno di brio, di finezze, di (piccole) idee, ma è come minimo un film a metà. Avesse raccontato solo l'arrivo in Francia della principessa 14enne, costretta ad "abbandonare tutto ciò che ha di austriaco" in una tenda in mezzo al bosco, si potrebbe capire. Fosse un'opera rock, come a suo tempo Lisztomania di Ken Russell (modello dichiarato della regista) o il Moulin Rouge di Baz Luhrmann, andrebbe benone. Ma la regista di Lost in Translation e del Giardino delle vergini suicide compie un peccato imperdonabile alla sua età: si ripete. Non è sbagliato fare della regina di Francia il prototipo dell'adolescente incompresa, ma non è una visione abbastanza originale e profonda da nutrire l'intero film. Che fra l'altro non si ferma ai suoi primi anni a corte, ma prosegue temerariamente fino quasi alla fine (il finale coincide con la fuga da Versailles). Perdendo quota man mano che la tragedia si avvicina. E con la tragedia il popolo, la Rivoluzione, la Storia, che Sofia Coppola non rappresenta non perché non voglia ma perché non saprebbe come farlo. Così tutto si riduce all'idea, amabilmente anacronistica e perfettamente funzionante, di usare nella colonna sonora non solo Rameau ma gruppi rock come i Cure, i Bow Wow Wow, gli Strokes o i New Order. Chiarito il concetto di base, il resto è una girandola briosa ma non sempre allegra di momenti nella vita di Maria Antonietta. Ecco dunque la regina ragazzina scoprire con sgomento che a corte tutto è pubblico, anche (soprattutto!) il momento in cui si corica con il re, o si alza la mattina. Eccola esplorare i lambiccati cerimoniali che regolano i poteri delle varie dame di corte ("E' assurdo! - No, è Versailles!"), snobbare l'equivoca Du Barry (una divertente Asia Argento, peccato che il personaggio sparisca prima di crescere), solo per scoprire che evitando la favorita critica il re, cosa sconsigliabile finché il matrimonio non sarà consumato. O tentare appunto di risvegliare la libido del Delfino, che si sfoga solo nella caccia e le si addormenterà accanto ogni sera come un bambino per ben sette anni. In questo quadretto scandito da feste, abiti, scarpe, dolciumi, e velato da una malinconia volatile come tutto il resto, la politica compare episodicamente (Luigi XV muore, suo figlio e Maria Antonietta, 20 e 19 anni, pregano: "Dio aiutaci, siamo troppo giovani per governare"). Si accenna alla rivoluzione americana, sostenuta in chiave anti-inglese. Nasce anche il mito della regina frivola e dissipata (in una caricatura irriverente si ironizza sul suo gusto per la vita agreste dicendo che "mostra a Jefferson il suo cespuglio", in inglese bush , sai le risate in America...). Ma il film, formalmente splendido grazie ai costumi di Milena Canonero e al gran cast (Jason Schwartzman, Judy Davis, Marianne Faithfull, Rip Torn), non esce mai da quest'amabile circolo vizioso. Un po' poco per una superproduzione girata dal vero grazie alla Francia. Maria Antonietta c'est moi , pare dire Sofia Coppola. È anche questo che non le perdoneranno. Luca Castelli (Il Mucchio Selvaggio) Se fossi una ragazza sola e incompresa, non so cosa darei perché Sofia Coppola girasse un film su di me. È incredibile la capacità che la regista americana ha di rappresentare questa categoria. Prima le tormentate sorelle Lisbon de Il giardino delle vergini suicide, poi la Charlotte smarrita a Tokyo in Lost In Translation, adesso Maria Antonietta. Sì, proprio quella Maria Antonietta. Quella che per due secoli ha incarnato la quintessenza della frivolezza e a cui i libri di scuola attribuiscono un'unica immortale sentenza: "Il popolo non ha il pane? Che mangi le brioche". Sofia Coppola ce ne fornisce un'immagine ben diversa, forse revisionista, di certo più umana. La frivolezza rimane. E d'altronde anche Madre Teresa di Calcutta sarebbe diventata frivola, se fosse stata catapultata a quattordici anni a Versailles come futura regina di Francia. Ma c'è qualcosa di più. C'è la vitalità, l'esuberanza, la joie de vivre, la voglia di sorridere, di emozionarsi, di provare i primi turbamenti e di innamorarsi. E c'è quella malinconica sensazione che il mondo non ti capisca, che non ti dia la possibilità di esprimerti, che sappia benissimo cosa vuole da te, ma non abbia la più pallida idea di ciò di cui tu hai bisogno. La Maria Antonietta di Sofia Coppola si muove in un guazzabuglio pop: tra tonnellate di cipria e acconciature appariscenti, un clavicembalo e i New Order, Marianne Faithfull e una Asia Argento portatrice di rutto e sesso libero alla corte del re. In quanto a sesso, al fianco di Maria Antonietta c'è invece un imberbe Luigi XVI (tutta la prima metà del film è giocata sulla necessità di "consumare" il loro matrimonio per dare un erede alla dinastia). A tratti molto divertente, segnato dai paesaggi infiniti di Versailles e dal forte contrasto tra l'ambientazione settecentesca e la colonna sonora in buona parte contemporanea, Maria Antonietta non è tuttavia all'altezza dei precedenti lavori della regista. Forse a causa dell'eccessiva lunghezza, forse perché sui titoli di testa sappiamo già che la protagonista alla fine verrà abbattuta a colpi di liberté, egalité e fratemité, forse perché la Coppola si trova più a suo agio con dimensioni meno kolossal, fatto sta che ogni tanto il film perde il ritmo, si appesantisce, la magia si offusca. Vola alto, comunque, ma non altissimo quanto avremmo sperato. Valerio Caprara (Il Mattino) «Marie Antoinette», uno dei pochi titoli intelligenti, aggraziati e divertenti di Cannes 2006, si scontrò con l'accoglienza fredda e ostile dei festivalieri e fu ignorato da una delle peggiori giurie di tutti i tempi. Tutto sta nello spirito con cui si prende il film di Sofia Coppola: inteso come kolossal didattico, il profilo della sedicenne austriaca costretta a sposare un Luigi XVI molliccio e asessuato e a convivere con una corte fatua e maligna, può sconcertare; abbandonandosi, invece, alle scatenate tonalità glam-rock allestite dalla figlia d'arte, si capisce come l'indovinato leitmotiv sia quello dell'esilio di un'adolescente in una gabbia dorata. Rievocando l'innocente Marie Antoinette/Kirsten Dunst in un arco di tempo ventennale, l'autrice assume il suo punto di vista - che potrebbe essere quello di una principessa Sissi, di una Lady D o addirittura di una ragazza moderna in stile «Casalinghe disperate» - e sublima i micro-anacronismi con una serie di contrappunti psicologici, figurativi e musicali. Il film non vuole affatto revisionare il cliché della regina giustiziata dai robespierristi e odiata dai francesi (da cui discendono i maldipancia critici), bensì raccontare una storia in cui lo stupore e la malizia, l'incoscienza e un'ombra di presentimento si armonizzino grazie allo stile in parte ironico e in parte delicatamente impressionista. Affascinata dagli ori e dai fasti di Versailles, Sofia Coppola tratteggia, così, i riti severi e insieme derisori della vestizione, del matrimonio, del ritiro notturno in camera da letto, del risveglio e dei lavacri, dei banchetti e delle feste in un'elegante serie di sequenze ispirate al libro della storica Antonia Fraser e soprattutto interessate ai gossip pre-rivoluzionari, dalla passione dell'imbelle Luigi XVI per la caccia alle volgarità della favorita Duchessa du Barry (l'ispida Asia Argento) e al sex-appeal dell'idealizzato cavaliere Fersen, (presunto) amante della nostra regale Bovary. Affinché, tra Beaumarchais e Zweig, la «principessa rococò» possa rivivere insieme agli scherzi, i giochi, la sete di piaceri, il gusto di spendere e di abbordare che restituiscono l'identikit di tutte le «fashion victim» dell'epoca. Insomma un bouquet di calcolate insolenze, scandite dall'euforizzante colonna sonora, dalle mirabili luci e dagli splendidi costumi, che mirano, di fatto, a rivelare come la regista americana non s'identifichi in Marie-Antoinette per fare il verso al Rossellini de La presa di potere di Luigi XIV, ma per sollecitare un colpo d'occhio deliziosamente scorretto sul mito fondatore della Francia e regalare al proprio alter ego Kirsten Dunst la chance di un viaggio nel tempo estroso e impertinente. Manuel Billi Sof i aCoppol aèun ar e gi s t aa bb on da n t e me n t es opr a v v a l ut a t ac h er e a l i z z a“ s ol o”b uonif i lm, e que s t ’ ul t i mo,a c c ol t ot i e pi da me n t eaCa nn e sda l l ac r i t i c an onf r a n c e s e ,n onf ae c c e z i one .Se bb e ne l ’ a ut r i c ede lGi a r di n ode l l ev e r gi nis ui c i des e mbr ii ni z i a l me n t ea s pi r a r eavi vi s e z i on a r e ,c ons pi r i t o da entomologo, il dorato e fatuo (altro) mondo di Versailles, con i suoi rituali, i doveri de l l ’ e t i c h e t t a ,i lPe t i tei lGr a n dTr i a n on ,l ef on t a n ez a mpi l l a n t iel aGa l e r i ede sGl a c e s ,pr e s t o, molto perspicacemente, si accorge di non poter eguagliare Kubrick, abbandona la via del Maestro ed imbocca quella di Bridget Jones. Il racconto biografico della giovane Maria Antonietta, di origine austriaca, si trasforma così in una piacevole commedia sentimentale e di formazione che solo casualmente ha per décor le tappezzerie, i divani, le sedie Luigi XIV, i proliferanti specchi suscettibili di produrre involontarie mises en abyme e per costumi le sfavillanti invenzioni della grande Milena Canonero; che solo accidentalmente incappa nella Storia (il 1789, la rivoluzione, la boutade delle brioches) e che giustamente,i nc ol onn as on or a ,me s c ol al ’ i ne vi t a bi l eRome a ueigi ova niAi r( v a l eadi r e :l amus i c a de lr i t o,de lc ot épub bl i c o,de gl ia l t r iel eme l odi ede l l ’ i n t i mo,de lpr i v a t o,dil e i ) . Ipa t i me n t ide l l agi ov a n ede l f i nadi ve n t a n opa r a di gmadi“ ge ne r e ” ,da lmome n to che coincidono con i turbamenti e le angosce che sconta ogni adolescente al momento del suo ingresso in società. Ne lc a s os pe c i f i c o,Ma r i aAn t oni e t t as op r a vvi ve r ea l l ar ou t i n ei nve n t a n dos iun“ mi c r omon do” impenetrabile proprio come le giovani suicide, supplendo istericamente ai deficitari piaceri della carne ed esorcizzando il paradosso di una solitudine sottoposta perennemente allo sguardo indiscreto delle damigelle o dei paggetti della corte ingozzandosi di dolciumi o scritturando lo stilista più in voga, in grado di regalarle improbabili mise ed acconciature che avrebbero fatto risparmiare la fatica di una caricatura a un Daumier. La Coppola è abile nel mescolare le carte, nel pedinare la donzella nelle stanze della reggia, nel cogliere i rari momenti di tenerezza ritagliati tra pranzi e cene consumati sul proscenio e battute di c a c c i a :gl ii mba r a z z ie dit e n t e nna me n t ide lgi ov a n ef e s s a c c hi ot t oLui giXVIn e l l ’ a l c ov a ,pi ù interessato allo studio delle serrature che alla pratica sessuale; la libertà finalmente raggiunta con la piccola figlia nel Petit Trianon, che coincide singolarmente con la scoperta della dicotomia Natura/Civiltà (tramite Rousseau); la liaison, neanche tanto clandestina, col bel soldatino olandese, di ritorno e pronto a ripartire per il fronte americano, conosciuto dalla delfina durante un ballo in ma s c h e r aàl aBa zLuh r ma nn;l ’ a t t e s as n e r v a n t en e l l ea n t i c a me r edur a n t el ’ i nva s i on ede l l ar e ggi ada parte della folla inferocita (resa acusticamente, e con straordinaria efficacia). Cast all’ a l t e z z a ,da l l avi t a l eDuns ta lr i gi di s s i moSc h wa r t z ma n ,da l l ama l i a r daMa da meduBa r r y versione Asia Argento alla sempre luminosa Aurore Clément. Più che un romanzo storico, un efficace e ben impaginato manuale per giovani ragazze di buona famiglia e non.Edi nque s t oc on s i s t el ’ or i gi na l i t à( pi ùc h el amode r ni t à )de l l al e t t ur ade l l ar e gi s t a : n e l l ’ a v e rut i l i z z a t ol aSt or i ae dis uoior p e l l ic omes f on don e lqua l ec a l a r euni t i ne r a r i ome t a s t or i c o e come pretesto per redigere, con grazia e sensibilità, il terz oc a pi t ol ode l l as e r i e“ r a ga z z es ma r r i t e ” , aggiungendo un nuovo tassello al proprio mosaico di figure femminili in fieri, iniziato con le vergini suicide e proseguito con la splendente e sfuggente Charlotte di Lost in Translation. Priscilla Caporro Affogare nello champagne e affondare nella panna più soffice: Marie Antoinette è una giostra goliardica e divertente, nella quale stoffe e ricami pregiati, parrucche, porcellane e diamanti fanno da contorno ad una storia estremamente semplice che non ha bisognodia ppr of on di r el ’ a s pe t t opi ù esplicitamente storico della vicenda della Delfina di Francia e di suo marito Luigi XVI. La storia de l l as ov r a nadior i gi nea us t r i a c aèi nf a t t ipi ùc h ea l t r ounpr e t e s t ope rr a c c on t a r el e“ s t r a bi l i a n t i ” avventure di una ragazzina alle prese con compiti troppo importanti, costretta a convivere dapprima con il rigore imposto dai ruoli e poi condannata a sopravvivere e a salvarsi da uno stile di vita che se in un primo momento appare fatto solo di sfrenato divertimento, si rivela in realtà difficile da controllare. I vizi e i capricci gradualmente prendono il sopravvento su tutto, trascinando chi vi si t r ov ai nvi s c hi a t oi nunt ur bi ni odic ur i os i t àedine c e s s i t àdia v e r e ,pos s e de r e .Las ma ni ad’ a c qui s t i di Maria Antonietta è quella di una qualunque ragazza che ha bisogno di comprare per sentire appagati i suoi sensi insoddisfatti, per placare la sete di sentimenti e di affetto, la sua ricerca di or i gi na l i t àèque l l adic his ie s a l t ac on l ’ i nn ov a z i on eel as c ope r t a .UnLui giXVIg offo e “ p a nz ot t i n o”r a f f i gur ai lc l a s s i c oc on s or t ea f f e t t uos a me n t ei mba r a z z a t oe di n c a pa c edide di c a r e attenzione, le dame di corte sono dei nudibranchi multicolori pronti ad avvelenare la vita della r e gi n a .LaCoppol ac on os c el ’ a mbi e n t ev i z i a t oi nc uis imuove Maria Antonietta e la accompagna n e l l es a l ediVe r s a i l l e sc ons of i s t i c a t an a t ur a l e z z a :l af us i on ef r al ’ a mbi e n t eSe t t e c e n t e s c oel es c e l t e “ mode r n e ”de l l ar e gi s t aèt ot a l e ,l as i ne r gi af r al ’ e l e me n t or i c e r c a t a me n t epopel ’ a t mos f e r ade l l a corte di Fran c i aa bb r a c c i aognia s pe t t o de l l a pe l l i c ol a .L’ oc c hi os is t r i n ges ul l ec hi a c c hi e r e pubbliche spesso costituite da pettegolezzi di varia sorta e sui privati silenzi sognanti di una regina straordinariamente vitale e allo stesso tempo completamente sfinita da l l egi or n a l i e r e“ di f f i c ol t à ”c he de r i v a n oda ic os t a n t ie c c e s s i .Ma r i aAn t oni e t t aa l l ’ i mpr ovvi s os e mbr ame t t e r emome n t a n e a me n t e da parte le parrucche svettanti e gli onnipresenti fiocchetti e nastrini per dedicarsi appieno alla semplicità, ovviamente nei limiti di chi tiene un elefante in giardino. La Coppola continua la sua indagine nei pianti sommessi e nella serenità latitante di giovani donne soffusamente tristi (Lost in Traslation, Il Giardino delle Vergini Suicide) e fa compagnia alla Delfina mentre dapprima beffarda e ingenua, poi spossata e vagamente disgustata, si accascia fra i regali cuscini della ricca reggia. Pur t r opp ol as c e l t adic on c e n t r a r s ie s c l us i va me nt es ul l avi t aa l l ’ i n t e r n odiVe r s a i l l e sr e n den on particolarmente efficace il finale, che sembra letteralmente precipitare sulla storia: la folla inferocita raggiunge la corte imbracciando le armi e resta ammutolita davanti alla figura della tanto odiata sovrana, emblema di quella vita regale frivola che trova la propria forza nelle piume colorate, nei ventagli impreziositi da cristalli, nei gioielli vistosi. Marie Antoinette non è una storia sulla ghigliottina che tagliò la testa alla regina di Francia il 16 ottobre del 1793; è la storia di quella ghigliottina che recise la sua serenità illudendola di vivere in un paradiso. Raffaella Saso La pellicola di Sofia Coppola mostra molto chiaramente che la sua regista trovava stimolante r e a l i z z a r ei lr a c c on t odiun ’ a dol e s c e n z a ,n onunf i l ms t or i c o.Ei nf a t t ipe r s e guel ' i n t e n t oi nmodo radicale, non mostrando nulla di ciò che accade al di fuori della reggia, nulla della Rivoluzione in arrivo, nulla della vita e dei sentimenti del popolo, realizzando un film profondamente intimista. Neppure un accenno agli Stati generali, che pure coinvolsero direttamente i sovrani, ed un finale in cui la tempesta esterna piomba all'improvviso sulla reggia, praticamente inattesa. La narrazione si ferma al 1789, giacché allora termina la vicenda di Maria Antonietta di Versailles. Per quanto Maria Antonietta fosse forse estranea a ciò che accadeva al suo paese e ripiegata su se s t e s s a ,que s t odi s t a c c oeque s t at e n a c eomi s s i oner i s ul t a n on a r r a t i v a me n t eunpo’s t r a ni a n t is en on inverosimili, seppure non casuali dal momento che alla Coppola interessava evidentemente raccontare la vita di una donna imprigionata sotto una campana d'oro e, in misura minore, la vita della corte che la circondava. Il quadro della corte di Versailles da parte sua risulta a tratti efficace, a tratti approssimativo, basti pensare alle scene dedicate all ’ os t i l i t àc onl ac on t e s s aduBa r r y( n ot aa margine: Asia Argento deve la sua partecipazione al film al fatto di essere volgare e naturalmente antipatica?). Sof i aCoppol aèa bi t ua t aage s t i r ebe neis i l e nz i ,e ppur eque s t ’ ul t i mapr ov al a s c i ai na l c unipa s s aggi unpo’f r e ddie da s s onn a t i . Maria Antonietta è forse troppo idealizzata nella prima parte, ingenua e conciliantissima ragazzina che si aggira per Versailles spaesata dal grottesco della propria condizione sfortunata. Ed è raccontata con distacco da "osservazione sul campo" dopo, con una scelta dei tempi non sempre coerente. Se emerge certamente bene la ragazza affamata di sensazioni, che gradualmente afferra senza misura tutte quelle che le capitano a portata di mano, con una mollezza verosimilissima, ci si c hi e dec omel ama dr ei ns of f e r e n t ea l l ’ e t i c h e t t adic or t eef ul mi na t ada l l ' e s i ge n z adivi t as e mpl i c ea c on t a t t oc onl an a t ur apr op r i oi nque l l af a s ede l l avi t as ide di c hia l l ’ a dul t e r i o. La parte più gratuita e noiosa è proprio quella relativa alla relazione col conte Fersen, relegata a breve tresca patinata (coerentemente con la tesi della fame di divertimenti, si può presumere), quando le testimonianze storiche tramandano con certezza un legame profondo durato molti anni, provato dalla corrispondenza e dalla fuga di Varenne organizzata da Fersen a rischio della sua vita. Qualche sbadiglio e qualche mancanza, dunque, pur in una ricostruzione formalmente splendida e sgargiante, pur riconoscendo alla Coppola di aver saputo rendere l'immagine che di certo aveva in mente della vita di una adolescente comunissima ma dal destino unico, totalmente plasmata dalle circostanze. Luca Pacilio Ma r i eAn t oi n e t t ec ’ e s tmoi ,pot r e bb edi r el ar e gi s t a ,l ade l f i naat ut t os h oppi n g,da l l ’ i nf a n z i a inevitabilmente dorata, ca t a pul t a t as u oma l gr a doi nunmon doa dul t o( Que s t aèVe r s a i l l e s =Th a t ’ s Hol l y wood) ,l a“ f i gl i adi ”c h ehas e mpr ea v ut ot u t t o( ea de s s odàa n c h es f ogoa lgi ga n t i s moc hef u del papà) ma pagandolo caro, a lungo incompresa e osteggiata da chi la circondava (i pianti e i rigorosi riti - apparizioni, soirée-berline e flash cui sottoporsi -, il chiacchiericcio malevolo della corte-jetset): non è un caso che la vicenda umana della protagonista (facile rinvenire, in questo fulmineo percorso di traumatica iniziazione e dolorosa fine, il fil rouge che lega Marie Antoinette a gl ia l t r il a v or ide l l ’ a ut r i c e )s i af i l t r a t aa t t r a v e r s ol as e ns i bi l i t àei lmon dode l l ’ a dol e s c e n t ec hel a Coppola fu (e questo spiega non solo la spiazzante e poppeggiante colonna sonora (1) ma anche la prevalenza, in essa, di pezzi new wave anni 80; e ancora che i consigli sulla condotta da tenere a palazzo - ma fuori cosa sta succedendo? - v e n ga n odaun ’ a mbi t ama mmar oc k- la voce di Marianne Faithfull, prevalentemente fuori campo, è tra le cose più b e l l ede l l ’ ope r a :di t e l epur ea ddi o,i t a l i a ni tapini -). Peccato però che questa impronta, questo sottile appropriarsi del personaggio,modernizzato poiché idealizzato, rimanga vezzo autoriale soltanto accennato e che tale cenno renda sostanzialmente (e di r i ma n dos t i l i s t i c a me n t e ,e / ov i c e v e r s a )i nc e r t ol ’ i n t e r of i l m,n onc onn ot a n dol oma i ,a lc on t r a r i o affermandosi come carineria a fasi alterne (la lunga sequenza prettyinpink - gli acquisti smodati della ragazzina, acconciature-dolci-scarpe-nastrini a gogò, le chiacchiere con le amiche - che sembra tratta, appunto, da un teenage-movi ediunv e n t e nni of a ) ,l ’ ope r af un z i on a n dos opr a t t u t t o n e gl ia l t r imome n t i ,que l l ii nc uis igi r a n o( i nognis e n s o)l epa gi nede“ i ll i br o-un avi t a ”de l l a (s)fortunata regina, soffermandosi su certi episodi (la reggia è un megateatro emotivo), inquadrando figure in movimento, senza nessuna urgenza di approfondire un carattere o di effettare un’ i mma gi ne ,s e n z ac a de r ema in e l l at r e me n da( poi c h éi pot e t i c a )i n t r os pe z i on eon e lf a t uof uoco d’ a r t i f i c i o vi s i v o, ma n t e n e n do l os gua r do s a l da me n t ei ns upe r f i c i e ,l a s c i a n dol os c i v ol a r e felicemente tra pubblica magnificenza e tenera intimità. ( 1)I mpos s i bi l en ona v e r eunb r i vi doqu a n do,s ul l es on t uos ei mma gi nide l l ’ i nc or on a z i on e ,pa r t on o le note di Plainsong dei Cure; nella colonna sonora anche Adam and the Ants, Siouxie, Bow wow wow, New Order, Radio Dept., Aphex Twin, Air, Strokes e i (sopravvalutati, ma la famiglia è la famiglia) Phoenix (sono i tre musicisti che suonano la chitarra nella scena ambientata nel Piccolo Trianon). Alessandro Baratti Tra la soffusa morbidezza di Watteau e la maliziosa opulenza di Fragonard, Sofia Coppola sbozza e l e ga n t e me n t el avi c e n dade l l a“ s ua ”Ma r i aAn t oni e t t ai npe r f e t t oe qui l i br i ot r ac a r a t t e r i z z a z i on e psicologica e osservazione comportamentale. Nella prima parte abbondano le notazioni intime e le s f uma t ur ee mot i v e( da l l ’ a n ge l i c oc a n dor ede lvi a ggi oi nc a r r oz z aa l l ec a l del a c r i mediVe r s a i l l e s pa s s a n dope rl ama l i gni t àde l l ’ a s t i os opi s s i pi s s idic or t e ) ,me n t r e nella seconda (dalla morte di Luigi XV i npoi )l ’ a n a l i s ic a r a t t e r i a l el a s c i as pa z i oa l l ade s c r i z i onede l l es i t ua z i oni ,a bba n don a n dos i ma ggi or me n t ea l l av a r i e t àea l l ’ i mpr e v e di bi l i t àde gl ie v e n t i .Fi a n c h e ggi a t ada l l ’ e s t r ol umi ni s t i c odi Lance Acord (già direttore della fotografia di Lost in Translation), la trentacinquenne cineasta newyorkese riserva alle due parti un trattamento filmico fortemente differenziato: se nella prima sta molto addosso a Maria Antonietta (una Kirsten Dunst sottile e guizzante) imprigionandola nelle opprimenti architetture della reggia, nella seconda lascia che le inquadrature respirino maggiormente, rompendo le rigide simmetrie visive di Versailles con squarci ariosamente t r a s gr e s s i viel a s c i a n doc h eun’ a l l e gr av e n t a t adidi s or di n e scompagini la rigorosa etichetta di corte. Chis c r i v eh apr e f e r i t oque s t ’ ul t i ma ,s opr a t t u t t oi nvi r t ùdiun ama ggi or ei n a f f e r r a bi l i t à ,a mbi g ui t àe levità stilistica. Osservazione eccentrica: le sequenze en plein air (soprattutto quella col Conte Fersen) mi hanno ricordato un film sublime e osceno al tempo stesso, Elvira Madigan (1967) di Bo Widerberg. Letteralmente imprescindibile. Biografia storica di Maria Antonietta 1755 L'Arciduchessa nasce a Vienna il 2 novembre. È figlia dell'Imperatore Francesco I, sovrano del Sacro Romano Impero, e dell'Imperatrice Maria Teresa. 1765 L'Imperatore Francesco I muore, lasciando a Maria Teresa la responsabilità dei possedimenti asburgici. Donna dal carattere austero e politicamente molto accorta, l'imperatrice inizia una campagna per rinsaldare l'alleanza con le corone d'Europa attraverso il matrimonio delle proprie figlie con i rampolli delle maggiori case reali del continente. Maria Antonietta, la quindicesima nata, non è coinvolta nel progetto fino alla morte della sorella maggiore Giovanna Gabriella. Solo allora viene destinata all'unione con il futuro Re di Francia. 1769 Luigi XV chiede la mano della quattordicenne Maria Antonietta perché sposi Luigi Augusto, suo giovane erede, il futuro Luigi XVI. 1770 La giovane lascia famiglia, amici, averi, addirittura gli abiti e affronta il viaggio oltre il confine francese. Non rivedrà mai più la sua terra. 1770 Le nozze della giovane coppia vengono celebrate a Versailles con una sfarzosa cerimonia. Ma il matrimonio non viene consumato per ben sette anni. 1774 Ammalatosi di vaiolo, Luigi XV muore improvvisamente. Luigi e Maria Antonietta diventano Re e Regina rispettivamente all'età di 20 e 18 anni. Come noto, dichiareranno: "Proteggici, o Signore, perché siamo troppo giovani per regnare". 1774 La ragazza conosce l'affascinante Conte Hans Axel de Fersen, un nobile svedese con il quale vivrà una breve ma appassionata storia d'amore. Le rimarrà devoto per il resto della vita. 1777 È documentata la prima intimità fisica della coppia reale. 1778 Maria Antonietta dà alla luce la sua prima figlia, Maria Teresa Carlotta. 1780 La giovane realizza il sogno di fare l'attrice, recitando per la prima volta sul palco del Teatro del Trianon. 1780 Muore l'Imperatrice d'Austria e madre di Maria Antonietta. 1781 Nasce il primo figlio maschio della coppia, il Delfino Luigi-Giuseppe. 1785 Nasce un secondo figlio maschio, Luigi Carlo di Francia. 1786 Nasce un'altra bambina, Sofia Beatrice, che non vivrà abbastanza da vedere il suo primo compleanno. Per la disinvoltura delle sue spese, Maria Antonietta si vede attribuito il soprannome di "Madame Deficit". 1789 Il primo Delfino, Luigi Giuseppe, muore di tubercolosi all'età di sette anni. 1789 Il 14 luglio, giorno dei tumulti alla Bastiglia, segna l'inizio della Rivoluzione Francese. 1790 Una folla inferocita prende d'assalto il Palazzo Reale, uccidendo le guardie della Regina. Maria Antonietta esce su un balcone della reggia e tenta di sedare gli animi con un discorso. 1792 La folla assalta le Tuileries, nuova residenza della coppia a Parigi. Sebbene le sia data la possibilità di fuggire, la giovane rifiuta, preferendo restare al fianco del marito. Le guardie reali vengono massacrate e ogni autorità derivante dai sovrani viene sospesa. Maria Antonietta e Luigi XVI sono accusati di tradimento. 1792 Il 21 settembre la Francia si proclama ufficialmente una Repubblica. Luigi XVI viene processato. 1792 La Francia dichiara Guerra all'Austria: per la nazione francese, Maria Antonietta è dunque straniera e nemica. 1793 Il 21 gennaio Luigi XVI viene ghigliottinato. 1793 Maria Antonietta è separata dai suoi figli. Processata da un tribunale rivoluzionario che la trova colpevole di tutte le accuse imputatele, il 16 ottobre la regina viene ghigliottinata. Ha 37 anni.