L`ultima Storia Sferro un pugno nel palmo della mano. Tra pochi

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L`ultima Storia Sferro un pugno nel palmo della mano. Tra pochi
L’ultima Storia
Sferro un pugno nel palmo della mano.
Tra pochi secondi tocca a me.
Tendo le orecchie, teso, ma anche ben sicuro della scelta compiuta, attendendo che il presentatore che si
atteggia ad anchorman di vaglia introduca il mio ingresso.
« E la prima sera delle Olimpiadi di Rio 2016 non potevamo non far arrivare l’uomo, il volto e lo storyteller
sportivo più importante dell’ultimo anno. Sono ben lieto di presentare l’uomo che mi accompagnerà in queste
serate e nottate olimpiche: Mimmo Del Santo », sento dire.
Sospiro e mi faccio avanti.
Entro salutando con la mano destra alzata, in un gesto straordinariamente simile a quello di un calciatore
che ha appena realizzato un gol. Nello studio, oltre al presentatore Marco Pedron e all’immancabile
sgallettata scosciata, che dagli anni ’90 in poi non può né deve mai mancare in uno studio sportivo, fosse
anche solo per mostrare centimetri di pelle abbronzata e perfetta, c’è un ex oro olimpico della pistola, un
altro giornalista sportivo, l’immancabile prezzemolino messo in tv dal politico di turno, un atleta del Triathlon
e, cosa meno scontata, un mental coach, anche se per tutti, compreso per l’aspirante anchorman, egli non è
altro che un “motivatore”.
Il professionista, negli ultimi tempi, non ha mai mancato di far notare che ci sono ed eccome delle differenze
sportive tra uno psicologo dello sport, un motivatore tout court e un mental coach. Ma niente, quando ti
appiccicano una etichetta essa resiste ben oltre le tue intenzioni.
Pedron mi vuole accanto a sé, del resto la produzione ha imposto la mia presenza al suo fianco. E so bene il
perché.
Mi hanno invitato perché so raccontare belle Storie sportive, ma c’è altro.
Io sono una Storia.
La mia Storia è iniziata in uno studio televisivo. Ero disoccupato allora, quando vinsi a un quiz duecentomila
euro. E li vinsi rispondendo a una domanda sportiva. Lo feci in maniera così appassionata e circostanziata,
con una tale enfasi e competenza che da quel momento in poi, complice anche il mio aspetto da nerd
segaligno e barbuto, cominciai ad essere invitato negli studi sportivi. Poi scrissi un libro, e arrivò, famelica,
assetata di soldi più che di sesso, anche una che era stata soubrette in gioventù, una wags decaduta a
trent’anni e una in cerca di sistemazione a trentacinque. Sia come sia, l’euforia mi colse e per lei lasciai la
mia Magda, la ragazza che mi aveva sempre protetto e sostenuto quando le cose non andavano bene.
Ma sono rinsavito.
Sono tornato da Magda, dalla mia Magda che – bontà sua – mi ha ripreso e mi ha appoggiato nella mia
ennesima follia.
Perché alla fine è giusto così.
La mia nuova vita è iniziata in uno studio televisivo, ed è giusto che termini in uno studio sportivo.
Stasera farò saltare il sistema.
Parola di Mimmo Del Santo.
Senti gli applausi in studio scemare e Marco Pedron dire: « Diamo adesso la parola, per la Storia introduttiva
di questa Olimpiade brasiliana a Mimmo Del Santo ».
Attendi che il battito di mani si plachi del tutto, aspetti che la lucina rossa si tramuti in verde e attacchi.
« Roma, come sapete, ha avuto le Olimpiadi del 2024, ma facciamo un salto indietro. Alle Olimpiadi romane
del 1960.
C’era Papa Giovanni XIII, allora. Il Papa Buono, il Pontefice che avrebbe dovuto essere di transizione e che
invece segnò un’epoca. C’era la Dolce Vita, c’era una nazione in crescita. E c’era un agente di polizia etiope
che incantò il mondo correndo scalzo. Già, perché bisogna dire che quella edizione olimpica fu la prima
veramente globale, dal momento che accolse 5388 atleti, fu vista in 83 differenti nazioni e la Rai trasmise
per ben 106 ore intere dirette in Mondovisione. »
Prendo fiato, ben sapendo, essendomi coordinato prima con i tecnici audio e video, che da casa non stanno
vedendo la mia faccia barbuta, ma immagini di Roma 1960.
« Tutti ricordano i piedi nudi di Abebe Bikila, oppure la foto della colomba davanti alla corsa verso l’oro di
Berruti nei 200 metri maschili. Un po’ meno ricordano uno strafottente pugile, un peso massimo che il mondo
poi imparerà a conoscere come Muhammad Ali. Ecco qui il giovane Ali, che ai tempi si chiamava Cassius
Clay, nei giorni romani. E in dolce compagnia. »
Faccio una pausa, so che i telespettatori stanno vedendo il giovane pugile vicino a jukebox, con la mano
sinistra intorno alla vita di una bella ragazza di colore.
« Avete visto la ragazza? Bene. Eccola qui, a Roma 1960, insieme al nostro Livio Berruti. So cosa state
pensando, ma la ragazza non è una groupie in cerca di celebrità, né tantomeno una wags ante litteram. No,
la ragazza si chiama Wilma Rudolph. »
Pausa.
« Ed è una bella Storia. »
Nuova pausa.
« Wilma nacque da qualche parti nel Tennessee. E non nacque bene. Non potevi ritenerti fortunata a
nascere nera, nel 1940, nello Stato che ha tenuto a battesimo il Klu Klux Klan. E men che meno se eri la
ventesima di una nidiata, non so come altro chiamare una cosa del genere, di ventidue figli. Ma le cose non
finiscono qui. La bella ragazza che avete visto con Muhammad Ali e con Livio Berruti fu ancora più
sfortunata: Wilma si prese la poliomelite.
Quando arrivò il momento di muovere i primi passi, Wilma non camminò.
Di più, a sentire i dottori non avrebbe mai camminato. O perlomeno non avrebbe mai camminato bene. Per
anni dovette portare un apparecchio correttivo alle gambe, con il padre costretto a portarla a spalla
all’ospedale per i neri, situato a 80 miglia di distanza. Già, perché quando Wilma portava l’apparecchio
Martin Luther King era studente universitario di Sociologia, e i diritti per i neri erano ancora di là a venire. E
nel Tennessee, ma un po’ in tutto la Bible Belt e gli Stati Uniti, c’erano ospedali per i bianchi e ospedali per i
neri.
Sia come sia, Wilma cominciò a camminare bene a otto anni.
Ma per certi versi anche i dottori avevano ragione. »
Pausa.
« Perché Wilma non camminava.
Volava. »
E sai che a casa stanno vedendo il video della vittoria di Wilma nei 100 metri piani.
« La ragazzina con la poliomelite vinse 100, 200 e staffetta 4x100 a Roma 1960, diventando, anche per via
d’una simpatia con il nostro Berruti, un po’ la fidanzatina d’Italia di quei Giochi. Nella sua autobiografia
afferma di aver sviluppato proprio sulla schiena del papà lo spirito competitivo che l’avrebbe poi fatta vincere
nello sport. Perché Wilma era un prodigio, si avvicinò alla pallacanestro, ed era anche brava, sinché un suo
allenatore, che Dio l’abbia in gloria, non la indirizzò verso l’atletica. »
Prendo fiato per un attimo, poi riattacco.
« Roma è Roma, ma anche Firenze non è male, vero? »
Attendo un momento, come a dare tempo a casa di accennare di sì con la testa, poi riprendo.
« Le mie prime Olimpiadi da grandicello, avevo solo 12 anni, sono state quelle di Seoul 1988. Olimpiadi da
vedere nel cuore della notte, prima di andare a scuola, in seconda media. E furono le Olimpiadi di Ben
Johnson e di un collerico Rino Tommasi per via dello scippo a Roy Jones, ma furono soprattutto le Olimpiadi
di una che si chiamava Florence.
Florence Griffith-Joyner. »
Mi fermo per dare tempo, a casa, di assimilare la figura snella della sprinter americana dai capelli lunghissimi
e dalle unghie arcuate e laccate.
« Era un felino, Florence, in tutto e per tutto. Ma quelle Olimpiadi sono importanti per me anche per un altro
motivo. Sono le Olimpiadi che mi hanno cambiato la vita. Quando in quello studio mi venne chiesto, alla
domanda da duecentomila euro, quale fosse stato il primo atleta di colore e vincere un oro nel nuoto, la mia
memoria andò ad altri due eroi di quella edizione olimpica: Kristin Otto e Matt Biondi. La prima era una
nuotatrice dell’Est che vinse sei ori nel nuoto, mentre il secondo era un americano di origini italiane che s’era
messo in testa la magnifica idea di emulare Mark Spitz e di vincere sette ori. Matt Biondi vinse sette
medaglie. Ma solo cinque d’oro. Nei 100 m farfalla fu preceduto da Anthony Nesty del Suriname. E fu grazie
a quel flash, a Biondi battuto sul filo di lana che vinsi i soldi. »
Mi fermo un momento, a casa non lo vedono, ma sto bevendo un po’ d’acqua.
« Ma torniamo a lei, a Florence. Wilma ha parlato di spirito competitivo; competitiva lo era anche Florence. »
Mi fermo e tocco un registratore nascosto nella mia giacca sportiva senza cravatta.
E’ arrivato il momento.
« Il 1988 fu un anno magico per Florence, che, dopo aver vinto solo, si fa per dire, due medaglie d’argento
nei 200 metri, d’improvviso si scopre Wonder Woman. »
E’ il momento.
« Ma fu vera gloria? Furono allenamenti, motivazione o qualcos’altro? »
Alea iacta est, pensi. E’ il punto di non ritorno. In studio sono tranquilli. Le ultime parole non erano in
programma, ma per adesso non sembrano nervosi o all’erta. Meglio così.
« Vi sembra normale che un’atleta migliori, a 29 anni e nel giro di un annetto, di 0,47 secondi nei 100 metri e
di 0,62 secondi sui 200 metri siglando due record che stanno lì, e che tutto fa pensare rimarranno lì a lungo?
Vi sembra normale tutto ciò? Nel 2003, Kim Collins, originario di un’isoletta nei caraibi, vinse i 100 metri ai
mondiali con il tempo di 10,07. Un tempo che lo avrebbe visto quinto a Seoul 1988 e settimo a Tokyo 1991.
La Natura non lavora così amici. E’ successo qualcosa. E quel qualcosa è un mostro che si chiama Doping,
che infatti tolse di mezzo molti sprinter nel 2003. Per un po’ le cose sembravano essersi placate, ma poi son
ricominciate. Perché il Doping paga. »
Vedo Pedron schizzare nella sala tecnica. Forse ha capito.
« E’ inutile amico, puoi anche sospendere la trasmissione, ma fossi in te non lo farei per almeno due buoni
motivi. Il primo è che continuerei a trasmettere in broadcasting sul mio canale e sul sito. E poi, vuoi mettere
l’audience? No, amico, lascia stare. Che la bomba deve ancora arrivare. »
Non so se mi abbiano sentito o meno, ma poco importa. L’ex oro mi sembra inquieto, del resto è un
poliziotto. Il prezzemolino è sbiancato: è chiaro che adesso vorrebbe essere altrove. Il mental coach è
incuriosito, probabilmente sta pensando a come sfruttare questa occasione al meglio.
« Il Doping paga perché è più rapido dell’antidoping, che impiega anni per mettere fuorilegge una molecola,
mentre nel frattempo ne son state sintetizzate a decine, forse a centinaia. E paga perché preferiamo mettere
la testa sotto la sabbia. Una giovane sprinter italiana è stata negli Usa e le hanno consigliato un cocktail
chimico, che non ha voluto prendere. E io sono stufo di questa situazione. A peggiorare le cose sono
intervenute poi le società e gli agenti, che hanno portato il Doping anche dove non c’era né serviva. Come gli
altopiani dell’Africa. Florence non è mai risultata positiva, ma ha smesso dopo le Olimpiadi, dopo che aveva
cominciato a dominare. Ed è morta dieci anni dopo, ma questo naturalmente non c’entra niente. Ci vogliono
prove non sensazioni. Ma riesce difficile pensare che cinque atleti caraibici che si allenino insieme si dopino
e non lo faccia il più vincente tra loro. Voi che ne pensate? Io esco con cinque ladri, che faccio mentre loro
lavorano? Perlomeno faccio il palo, o no? »
Pausa.
« Ed ecco perché io ho deciso un gesto estremo, per certi versi. Voglio sfruttare questa platea per dire che
io, Mimmo Del Santo, ho pagato un attacco hacker. Ma prima di darmi addosso lasciatemi spiegare, e
credimi, Pedron, forse non lo sai, ma stai facendo la Storia della Tv, come lo fece il caso Alfredino Rampi. »
Prendo fiato.
« Da questo momento in poi ho fatto cancellare dai motori di ricerca ogni riferimento a Florence GriffithJoyner e a Kristin Otto. Controllate e vedrete. Certo i dati potranno essere reinseriti, ma ci vorrà tempo. E
voglia di reinserire gli stessi.»
Mi guardano increduli, non sanno se sto scherzando o meno. Non qui non ora, non in diretta sul principale
canale sportivo nazionale.
« Randy Pausch disse ai suoi allievi della Carnegie Mellon University qualcosa del tipo: “Ho un problema di
sistema”. Ecco, ho anche io un problema al sistema. C’è un virus dal nome difficile che mi ha attaccato, e
che mi condurrà alla morte entro un arco temporale dai sei mesi ai due anni. Ecco il mio lascito. voglio uno
sport pulito e paritario, e lo desidera uno che lo sport ha sempre e tanto amato. Perché voglio gente come
Bikila e Rudolph e non sospetti, e forse anche più, come nel caso di Griffith-Joyner e Kristin Otto. »
Mi fermo.
« E con questo chiudo le trasmissioni.
Questa sarà la mia ultima Storia. »