La tecnica del “dettato” nell`educazione linguistica. Note sul contesto
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La tecnica del “dettato” nell`educazione linguistica. Note sul contesto
Education et Sociétés Plurilingues n°25-décembre 2008 La tecnica del “dettato” nell’educazione linguistica. Note sul contesto d’insegnamento della scuola valdostana. Antonella MALARA Cet article se propose de vérifier le rôle quantitatif e qualitatif que la pratique de l’écriture sous la dictée a pendant un siècle assumé à l’école. La dictée fut en effet une constante dans l’enseignement des langues italienne et française en Vallée d'Aoste. L’analyse, conduite à partir d’un corpus de cahiers de l’école élémentaire, met en évidence l’évolution des objectifs – pas seulement linguistiques – que cette typologie d'écriture a poursuivie, en rapport avec les changements socio-politiques et par la suite avec les hypothèses pédagogiques et éducatives qui ont été élaborées. The aim of this article is to examine the quantitative and qualitative role played for over a century by the practice of writing under dictation in schools. Dictations were a permanent feature in the teaching of Italian and French in the Aosta Valley. Based on a collection of elementary school notebooks, our analysis shows how the exercise developed, not only from a linguistic point of view, but also in connection with the socio-political changes that took place and also with the pedagogical and educational hypotheses that followed. PREMESSE Luisa REVELLI La pratica del dettato rappresenta da secoli una costante nell’insegnamento delle lingue materne e di quelle straniere. Tradizionalmente, quello della scrittura sotto dettatura è in effetti ritenuto l’esercizio più efficace per l’acquisizione degli automatismi grafemici e per la fissazione delle convenzioni ortografiche. Negli anni più recenti, e non soltanto in ambito italiano, il suo valore glottodidattico è stato, tuttavia, messo in discussione: il modello della dettatura dell’insegnante è stato criticato in quanto contrassegnato da ritmi dell’eloquio eccessivamente scanditi rispetto a quelli del parlato autentico, da curve intonative falsate rispetto a quelle naturali, da un approccio metodologico ripetitivo, tendente a relegare gli apprendenti ad un ruolo passivo e esecutivo. Quasi assurto a emblema della didattica più molesta, il dettato è, insomma, piano piano stato pressoché escluso dalle prassi di insegnamento delle lingue materne, e permane in genere oggi soltanto nell’insegnamento delle lingue straniere con scopi meramente valutativi delle competenze ortografiche. Eppure, il senso della scrittura sotto dettatura non riguarda soltanto la corretta associazione dei suoni ai grafemi corrispondenti; se ben impostata, anzi, può mettere in moto l’attivazione di riflessioni di ordine morfo-sintattico, legate agli accordi e a tutti quei fenomeni di cui solamente la lingua scritta rende conto così come strategie per lo sviluppo di capacità di anticipazione, inferenza e A.Malara, La tecnica del “dettato” nell’educazione linguistica. Note sul contesto d’insegnamento della scuola valdostana presupposizione che fanno riferimento a quella expentancy grammar che tanta parte ha nei processi di comprensione e costruzione dei significati (1): durante il processo di dettatura, infatti, l’apprendente non si limita a tradurre la lingua parlata in lingua scritta, ma interpreta anche semanticamente le parole pronunciate dall’insegnante, verificandone la contestualizzazione per cogliere e precorrere gli sviluppi di contenuto. In una prospettiva di insegnamento plurilingue, poi, la tecnica del dettato può essere efficacemente adottata non soltanto per sollecitare comparazioni tra suoni e rese grafiche, ma anche per riflettere sulle specificità – morfologiche, lessicali, sintattiche – che caratterizzano i diversi codici del repertorio e per riflettere sulle ipotesi interlinguistiche che gli apprendenti elaborano a proposito delle diverse lingue oggetto di insegnamento. È per questa ragione che può essere utile, oggi, ripensare alla pratica del dettato con la consapevolezza di quali possano essere stati nel passato gli errori che ne hanno generato il progressivo abbandono, e quelle che si prospettano invece come potenzialità didattiche fruttuose e innovative. In questa direzione va il contributo di Antonella Malara, sintesi di uno studio effettuato per la tesi di laurea quadriennale discussa presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università della Valle d’Aosta (2). Il lavoro di analisi, condotto a partire da quaderni scolastici relativi all’ultimo ottantennio di scuola, è stato finalizzato a verificare quale ruolo quantitativo e qualitativo abbia assunto la pratica del ‘dettato’ nel contesto d’insegnamento della lingua italiana nelle prime classi della scuola primaria valdostana, anche in rapporto alle esercitazioni di scrittura parallelamente condotte per la lingua francese. Al fine di delineare i tempi e le modalità attraverso le quali la tecnica del dettato si è andata modificando, sono stati analizzati e posti in relazione con i differenti programmi didattici istituzionali di riferimento variabili quali la frequenza della scrittura sotto dettatura in rapporto ad altre tipologie di scrittura (copiatura, autodettatura), gli obiettivi di volta in volta perseguiti, le progressioni dei contenuti ortografici, morfo-sintattici e lessicali oggetto di addestramento e, infine, le modalità di correzione e valutazione da parte degli insegnanti. I risultati cui lo studio ha condotto evidenziano una progressiva rarefazione e un parallelo, moderato rinnovamento qualitativo delle esercitazioni di dettatura praticate nell’insegnamento della lingua italiana, cui si affianca un sostanzialmente immutato permanere delle esercitazioni condotte per l’insegnamento della lingua francese, nel cui ambito la “dictée” costituisce ancora oggi, e non soltanto nell’ordine di scuola primaria, una delle tecniche più diffuse. In direzione di una prospettiva che preveda una maggiore integrazione dell’insegnamento delle 18 A.Malara, La tecnica del “dettato” nell’educazione linguistica. Note sul contesto d’insegnamento della scuola valdostana due lingue potrebbero allora andare gli sviluppi applicativi di una pratica didattica spesso vituperata, e tuttavia rivalutabile, a patto di saperne riconoscere le effettive potenzialità. Note (1) L’attivazione dei meccanismi di anticipazione e interpretazione durante i processi di scrittura sotto dettatura è stata messa in evidenza relativamente alla lingua inglese da J.W.Oller già negli anni Settanta (Language Tests, Longman, Londra, 1979). Più di recente, P.E.Balboni (Tecniche didattiche per l’educazione linguistica: Italiano, lingue straniere, lingue classiche, Utet Libreria, Torino, 1998: 75-79 e 147-149 ) ha suggerito una “rivisitazione” del dettato anche nella didattica della lingua italiana proponendone varianti quali il dettato-cloze e la dicto-comp(osition), capaci di conferire all’esercitazione un ruolo acquisizionale più complesso e profondo di quello semplicemente ortografico. (2) Tesi di laurea discussa nell’anno accademico 2005/2006 nell’ambito dell’insegnamento di Didattica della lingua italiana di cui è titolare chi scrive. *** Il dettato nella didattica della lingua italiana Le indicazioni programmatiche ministeriali che si sono avvicendate nel corso dell’ultimo secolo di scuola italiana citano costantemente, fra le molte pratiche didattiche disponibili per l’insegnamento delle lingue materne e straniere, quella del dettato. Può allora essere il caso, prima di addentarci nell’analisi dei materiali presi in considerazione per il presente lavoro, di ripercorrere rapidamente le indicazioni nazionali di riferimento, non soltanto perché punti di riferimento istituzionali per gli insegnanti, ma anche in quanto preziose fonti di informazioni sui “climi” politici e sociali in cui si sono collocate le differenti tendenze pedagogico-didattiche individuabili all’interno dei tre corpora presi in considerazione, relativi rispettivamente agli anni scolastici 1920-1921; 1983-1984; 2001-2002 (tutti i quaderni esaminati fanno riferimento al primo anno di scuola elementare). Le disposizioni in vigore nei primi anni Venti erano quelle dei Programmi (1) del 1905, nati in un momento in cui in Italia il fenomeno dell’analfabetismo era ancora diffusissimo. Sotto il profilo che qui ci interessa, in questi programmi è riservato ampio spazio all’apprendimento della lingua italiana, che per gran parte degli apprendenti costituiva un idioma del tutto nuovo, appreso soprattutto o esclusivamente a scuola, e che in Valle d’Aosta si affiancava come codice alto alla lingua francese (Raimondi 2006). Dalla lettura dei programmi relativi alla lingua italiana appare con evidenza come il dialetto, lingua materna per gran parte degli alunni, fosse considerato in maniera del tutto negativa, in quanto ritenuto 19 A.Malara, La tecnica del “dettato” nell’educazione linguistica. Note sul contesto d’insegnamento della scuola valdostana fonte di errori ortografici e grammaticali. Mentre si proponeva l’apprendimento della lingua italiana secondo il modello letterario del fiorentino (Lo Duca 2003), la pratica del dettato assumeva un aspetto di rilievo in ogni classe: “l’esercizio della dettatura è l’esercizio collettivo per eccellenza, e diverrà sempre un più potente ausilio dell’insegnamento linguistico”. Nelle prime classi il dettato svolgeva prevalentemente un ruolo di esercizio di ortografia, mentre in quelle successive diveniva anche un mezzo per integrare le nozioni del libro di testo. In modo particolare, nelle classi prime la dettatura doveva essere costituita da parole e proposizioni brevi e semplici. Solo con il progredire delle competenze di scrittura il dettato doveva divenire sempre più complesso sotto il profilo ortografico, morfologico e sintattico, e implicare, anche, l’inserimento dei diversi segni di interpunzione. Particolare riguardo doveva essere rivolto agli esercizi di copiatura e di calligrafia, che in effetti nei quaderni esaminati rappresentano, accanto ai dettati, il repertorio di esercizi di scrittura nettamente prevalente. I dettati svolgevano, inoltre, un ruolo di educazione morale e di insegnamento storico con fini patriottici. Questi due aspetti risultano con evidenza dalla scelta delle intestazioni dei dettati testimoniati nei quaderni, come dimostrano titoli del tipo “Tu ami e onori tuo papà”, “Lavina è pietosa coi poveri”, “I soldati italiani sono valorosi”, “Io amo il Re d’Italia.” Il secondo corpus di quaderni preso in considerazione ci porta a compiere un salto temporale di un sessantennio. Le disposizioni ministeriali di riferimento sono, benché già molto invecchiate, quelle del 1955 (2), il cui principio ispiratore è riconducibile al personalismo cattolico che assegna alla scuola una funzione importante nell’insegnamento religioso, considerato come fondamento e coronamento di tutta l’opera educativa. Anche in questo caso, viene data particolare importanza all’educazione morale, tuttavia i contenuti dei testi proposti risultano meno orientati verso la stereotipia che caratterizzava l’epoca precedente, e maggiormente indirizzati a educare al senso della responsabilità personale e della solidarietà umana. Qui di seguito, due esempi: Fanciullo sano Il fanciullo sano è sempre lieto. Corre, salta, canta, gioca, lavora, studia volentieri. Non è mai stanco. Si corica presto e dorme tutta la notte. Si sveglia contento, pronto a riprendere con gioia la fatica di ogni giorno.Si lava con cura perché sa che la pulizia è salute, bellezza, bontà. 20 A.Malara, La tecnica del “dettato” nell’educazione linguistica. Note sul contesto d’insegnamento della scuola valdostana Tre parolette da imparare Tre parolette che suonano così bene sulle labbra di grandi e piccini. Una è: permesso. Permesso si dice per entrare in una stanza, per entrare in casa d’altri, per passare davanti alle persone, per prendere un oggetto di cui si sta servendo un altro. La seconda è: scusi. Capita a tutti di fare qualche piccola cosa che può dare noia, si ripara domandando scusa. La terza infine è: grazie. Grazie per qualunque cosa che ti venga data o prestata, grazie per qualunque insegnamento, consiglio o indicazione;grazie a chi ti lascia passare dopo che tu hai chiesto permesso. Queste paroline sono come tre sorelle che aiutano gli uomini a vivere in armonia. Chi le usa poco, è poco gentile. I Programmi del 1955 affermano che l’acquisizione della lettura e della scrittura deve essere il risultato di una personale scoperta dello scolaro, e che la scrittura, fin dall’inizio, deve essere considerata come una delle espressioni della personalità degli apprendenti. Si accenna anche alla pratica del dettato, che deve mirare ad assicurare la padronanza delle più comuni norme ortografiche, ma – viene precisato – la conquista della lingua scritta non va basata sull’impiego di esercizi artificiosi. Le indicazioni programmatiche ministeriali, quindi, sembrano attribuire al dettato un ruolo e uno spazio decisamente inferiori che nel passato. Il declino della pratica del dettato non è, tuttavia, ad essi direttamente collegato. La cosiddetta “rivoluzione glottodidattica”, infatti, riceve la spinta più forte a partire dagli anni Settanta, riflettendosi concretamente nel mondo della scuola soltanto a partire dal decennio successivo. Prima degli anni Ottanta, l’azione educativa si orientava sostanzialmente nella repressione dei dialetti, principalmente finalizzata all’imposizione di un modello di “buon italiano” coincidente con la lingua della letteratura e degli “autori”. Il linguaggio a cui si doveva condurre gli apprendenti era di tipo aulico e ricercato. I cambiamenti che nel corso del tempo e dello spazio le lingue subiscono erano considerati elementi negativi, e compito dell’istruzione era quello di reprimerli. Si riteneva che proprio la memorizzazione di regole e stilemi, acquisiti attraverso l’esercizio della scrittura sotto dettatura, riuscisse a condurre gli studenti ad appropriarsi di una lingua nazionale, alternativa alle parlate locali. Il dibattito che negli anni Settanta si sviluppò intorno all’educazione linguistica prese invece in considerazione i diversi fattori sociali dello svantaggio linguistico, interrogandosi sul modello di lingua adottato a scuola, nei suoi rapporti tra lingua italiana, lingue minoritarie, dialetti e varietà. Grazie a questi nuovi 21 A.Malara, La tecnica del “dettato” nell’educazione linguistica. Note sul contesto d’insegnamento della scuola valdostana apporti teorici, ci si avvicinò ad un nuovo modo di fare educazione linguistica, che proponeva, anche, nuove modalità di avvicinamento all’apprendimento della scrittura, decisamente più attente agli aspetti motivazionali ed al riconoscimento di una pluralità di registri, di modi e di situazioni secondo cui la lingua si può realizzare. Tutte queste nuove considerazioni contribuirono negli anni Ottanta a una nuova riformulazione delle disposizioni scolastiche che sfociarono nei Programmi didattici per la scuola primaria del 1985 in cui, per la prima volta, l’atteggiamento verso l’identità linguistica e culturale di ciascun allievo era espressa in termini di rispetto e valorizzazione. La scrittura sotto dettatura non è inclusa fra le pratiche raccomandate, e anzi viene precisato che anche “dettare alla classe un argomento quale spunto per gli alunni a svolgere la loro composizione scritta non è pratica didattica accettabile se, preventivamente, non ci si sarà adoprati a far convergere su quell'argomento l'interesse degli alunni medesimi” (3). La pratica del dettato perde, così, il suo primato per lasciare spazio ad attività più motivanti, più divertenti e diversificate, cui si affianca – sotto il profilo metodologico – un nuovo modo di concepire l’errore, la correzione e la valutazione, considerate parti necessarie di tutto il processo di apprendimento (Altieri Biagi (a cura di) 1986). Continuità e fratture Entrando nel merito delle testimonianze offerte dai quaderni, può essere utile verificare come le indicazioni programmatiche istituzionali si siano effettivamente tradotte nella prassi didattica quotidiana. Un primo aspetto di interesse può essere quello relativo alla frequenza con cui i dettati compaiono nell’arco dell’ottantennio esaminato, e all’interno dei tre anni scolastici presi a campione. In generale, appare con chiarezza che la presenza del dettato va progressivamente rarefacendosi: mentre nei quaderni degli Venti esso costituisce un esercizio quotidiano, in quelli relativi agli anni Ottanta compare al massimo con cadenza settimanale, e giunge quasi a scomparire nelle testimonianze relative ai primi anni del nuovo secolo. Rispetto ai programmi di riferimento, si può quindi notare che la corrispondenza tra prassi didattica e quanto prescritto istituzionalmente è vera soltanto per quanto concerne il primo e il terzo corpus. Negli anni Ottanta, invece, laddove le indicazioni programmatiche prevedono che “l’usuale esercizio dello scrivere (…), anche sotto dettatura, senza esercizi artificiosi, miri ad assicurare, la padronanza delle più comuni norme ortografiche” le testimonianze degli esercizi di dettatura risultano essere ancora frequenti. Soltanto nei primi anni del nuovo millennio il significativo decremento 22 A.Malara, La tecnica del “dettato” nell’educazione linguistica. Note sul contesto d’insegnamento della scuola valdostana delle attività di dettatura manifesta in modo evidente che il dettato doveva essere sentito dagli insegnanti come un esercizio anacronistico e privo di senso, se non inscritto in un contesto ben definito e con obiettivi chiari e precisi, differenti dalla semplice esercitazione ortografica. Altri aspetti, accanto a quello della frequenza, ci segnalano cambiamenti di sostanza rispetto alla concezione del dettato come tipologia testuale e tecnica di insegnamento, il primo dei quali riguarda la lunghezza. Considerato che i dettati esaminati appartengono tutti alla prima classe, è evidente che si tratta di esercitazioni finalizzate principalmente all’acquisizione della corretta associazione tra fonemi e grafemi. Non stupisce, quindi, che le testimonianze relative agli anni Venti e Ottanta presentino caratteristiche di gradualità, con un continuo e progressivo incremento del numero delle parole e delle righe, incremento rimarcabile in maniera particolare nei primi mesi di scuola. Una volta raggiunto un livello minimo di sicurezza ortografica, a partire dai mesi primaverili, in entrambi i corpora la lunghezza del dettato viene invece sottoposta a fasi alterne di relativo progresso o diminuzione, in rapporto all’argomento e ai contenuti del testo. I quaderni del corpus più recente non presentano, invece, una progressione nel numero delle parole presenti, né, apparentemente, un graduale innalzamento del livello delle difficoltà ortografiche, sintattiche e lessicali. Probabilmente per gli insegnanti contemporanei il dettato non rappresenta più, effettivamente, il veicolo privilegiato per l’insegnamento delle competenze di scrittura, che vengono perseguite attraverso altre tecniche glottodidattiche invece abbondantemente testimoniate e evidentemente ritenute più efficaci sotto il profilo motivazionale e anche strumentale. Le tecniche per l’insegnamento della letto-scrittura, in effetti, hanno subito negli ultimi decenni innovazioni decisive sotto una molteplicità di aspetti. Mentre, ad esempio, nei due corpora più antichi i dettati delle prime classi sono scritti rigorosamente in corsivo, quelli più recenti sono sempre in stampatello maiuscolo, carattere impiegato in modo prevalente o anche esclusivo per tutto il primo anno di scuola. Gli stessi approcci metodologici evolvono in modo significativo con l’avvento dei cosiddetti metodi “globali”, che tendono, in molti casi, a soppiantare i precedenti metodi grafici, grafico-fonetici e sillabici. Rispetto alle funzioni didattiche assunte dal dettato, poi, si osserva come esso abbia ricoperto diversi ruoli funzionali nei differenti momenti storici. Nelle testimonianze degli anni Venti, esso svolge nei primi mesi di scuola un compito di puro controllo ortografico e di memorizzazione dei diversi grafemi, con l’insistita ripetizione di singole parole e frasi. 23 A.Malara, La tecnica del “dettato” nell’educazione linguistica. Note sul contesto d’insegnamento della scuola valdostana Successivamente, con la progressione delle competenze degli allievi, diviene anche un mezzo per veicolare informazioni di tipo religioso, morale e patriottico, e anche un’occasione per fornire agli apprendenti strumenti linguistici per parlare delle loro esperienze di vita (ad esempio, “Nel mio fienile vi è un grosso vespaio”, “La capra è la mucca del povero, essa dà latte buono e nutriente e la carne”). Negli anni Ottanta il dettato continua ad assolvere un duplice ruolo, di controllo delle competenze ortografiche e di mezzo per veicolare informazioni. I contenuti, però, sono meno impegnati, e prevalentemente narrativi e descrittivi (“Benvenuta Pasqua”, “Pomeriggio di primavera”). Occasionalmente il dettato può anche trasformarsi in strumento per introdurre riflessioni e esercitazioni di tipo grammaticale, con consegne del tipo “Sottolinea nel dettato tutte le azioni presenti”, o testo a partire dal quale avviare verifiche relative alla comprensione (con relative domande a risposta aperta o chiusa) o alla capacità di rielaborazione (del tipo “Continua tu la storia…”). Nei dettati relativi all’ultimo corpus, il dettato perde del tutto la funzione veicolare di contenuti morali e religiosi, e diviene punto di partenza per lo svolgimento di diverse attività di riflessione sulla lingua, che invitano gli apprendenti a individuare singoli grafemi, nessi consonantici, rime, ecc. o a dimostrare l’avvenuta comprensione del teso trascritto: Dettato C’era sopra la panchina una bella bistecchina. C’erano anche lì vicino un colombo ed un gattino, una rana e una capretta, un tacchino e una civetta. Beh, com’è, come non è, la bistecca più non c’è. Sai tu dir chi l’ha mangiata, la bistecca abbandonata? In ultimo, occorre ricordare un ulteriore aspetto che è stato oggetto di grandi cambiamenti e innovazione, e cioè quello relativo alla correzione e valutazione. Rispetto alle prassi della scrittura sotto dettatura il momento della correzione ha sempre svolto un ruolo centrale e fondamentale. Il sistema relativo ai giudizi è, però, mutato nel corso degli anni: si è passati da scale di valutazioni numeriche, presenti nei documenti degli anni Venti, a giudizi sintetici, come per esempio “molto bene”, “bene”, “discreto” o addirittura, a partire dagli anni Ottanta, a espressioni ancor più stringate, quali “sì” e “visto”. Nei dettati relativi ai primi due corpora il riscontro valutativo appare con una certa continuità, anche se non sempre con coerenza. Per contro, nei testi dei parlanti d’inizio XXI secolo, il voto non è presente in maniera così 24 A.Malara, La tecnica del “dettato” nell’educazione linguistica. Note sul contesto d’insegnamento della scuola valdostana regolare e puntuale. A differenza di quanto avveniva nel passato, in effetti, secondo gli orientamenti più recenti la correzione non coincide con la sanzione dell’errore e la conseguente valutazione. L’errore, semmai, è indizio e spia del processo di apprendimento di ogni singolo apprendente, strumento ricco di potenzialità informative per l’insegnante, che può orientare in maniera più efficace il proprio percorso didattico, prevedendo attività di rinforzo e di consolidamento di un particolare “item” ortografico o sintattico. È forse per questa ragione che nei quaderni più recenti non si trovano tanti interventi correttivi di tipo risolutivo, con la sottolineatura in rosso della forma scorretta, né di tipo sostitutivo, con la permuta della parola errata con la corrispondente corretta, ma piuttosto soluzioni che prevedono l’attivazione di tecniche quali l’autocorrezione (Cattana et al. 2004). Conclusioni A conclusione di questo rapido excursus sulla storia del dettato nel contesto d’insegnamento della lingua italiana in Valle d’Aosta occorre rilevare, da un lato, come esso abbia ricoperto nell’ottantennio preso in esame un ruolo significativo ma in progressivo disuso sia fra le tecniche di insegnamento della scrittura, sia come veicolo per la trasmissione di contenuti. Se è vero che l’esercizio della scrittura sotto dettatura effettuato in maniera pedante negli anni Venti risulterebbe nella realtà odierna inaccettabile, occorre tenere presente che questa metodologia poteva invece bene adattarsi alle esigenze dell’epoca, quando l’italiano era lingua straniera per gran parte degli apprendenti, e il dettato costituiva uno strumento per insegnare il codice e allo stesso tempo veicolare nozioni disciplinari in una situazione di estrema povertà, in cui anche l’accesso ai libri di testo costituiva un problema in molti casi insormontabile. Mi pare, allora, che oltre alle riflessioni su quanto e come la tecnica del dettato possa oggi essere ancora considerata pratica didattica valida e raccomandabile nell’insegnamento della lingua madre e delle lingue straniere, un’indagine di taglio qualitativo e diacronico sulla sua diffusione possa offrire molti stimoli per l’analisi dei cambiamenti – culturali, sociali e linguistici – che hanno accompagnato e anche condizionato un secolo di scuola valdostana. Note (1) R.D n° 43 del 29-01-1905, I nuovi programmi per la scuola elementare. Per questo e i successivi riferimenti a programmi didattici ministeriali si rimanda a Catarsi 1990. (2) DPR n° 503 del 14.06.1955, Programmi della scuola elementare. 25 A.Malara, La tecnica del “dettato” nell’educazione linguistica. Note sul contesto d’insegnamento della scuola valdostana (3) DPR n° 104 del 12.02.1985, Programmi didattici per la scuola primaria. Bibliografia ALTIERI BIAGI, M.L. (a cura di). 1986. Lingua italiana con i nuovi programmi della scuola elementare, Fabbri editore, Milano. CATARSI, E. 1990. Storia dei programmi della scuola elementare (1860-1985), La Nuova Italia, Scandicci (Firenze). CATTANA, A. & M.T. NESCI. 2004. Analizzare e correggere gli errori, Guerra Edizioni, Perugia. LO DUCA, M.G. 2003. Lingua italiana ed educazione linguistica. Tra storia, ricerca e didattica, Roma, Carocci. RAIMONDI, G. 2006. Storia e configurazione del repertorio plurilingue valdostano, in Università, scuola, territorio. Percorsi integrati per la formazione dell’insegnante promotore delle risorse del territorio a cura di F. Bertolino e L. Revelli, Franco Angeli, Milano: 100-126. 26