Sintesi CREI 2007

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Sintesi CREI 2007
Progetto
“Valorizzazione dei prodotti e dei processi
nel settore dei metalli preziosi”
La pressione competitiva e i cambiamenti
organizzativi nell’industria orafa
Sintesi
A cura di
Paolo Crestanello e Gianluca Toschi
Vicenza, Marzo 2007
1. La pressione competitiva
Il comparto orafo italiano sta sperimentando una crisi strutturale legata alla concorrenza
di produttori a basso salario che negli ultimi anni hanno aumentato sensibilmente la
qualità e il servizio dei loro prodotti. Ad aggravare la minaccia concorrenziale da parte di
alcuni paesi ha contribuito la caduta della domanda interna 1 e la svalutazione del dollaro
nei confronti dell’euro 2 .
Tra il 2000 e il 2005 la riduzione nel consumo di oro fino (incorporato nei prodotti di
oreficeria) è stata a livello mondiale del 15,2% e in Italia del 23,6%. La riduzione nella
quantità di oro trasformato dalle imprese italiane, per i prodotti venduti sia sul mercato
interno che su quello estero, si è ridotto del 46%, a dimostrazione di una consistente
perdita di competitività dei nostri prodotti. La quota di produzione italiana sul totale
mondiale passa in cinque anni dal 16% al 10%. Nello stesso periodo, il valore delle
esportazioni orafe vicentine diminuisce del 35% e in alcuni mercati, come quello
statunitense, crolla pesantemente (-65%). La variazione è ancor più marcata se si
considera che i dati sono espressi a prezzi correnti e che, nel periodo considerato, il
prezzo dell’oro è aumentato del 58%. Parallelamente negli Stati Uniti, il principale
mercato di sbocco dei prodotti italiani, è cresciuta l’importazione da paesi come Cina,
Tailandia, India e Turchia.
Il calo degli ordini ha costretto diverse imprese a chiudere l’attività e il numero dei
lavoratori occupati nel comparto orafo si è fortemente ridotto. A Vicenza, ad esempio,
tra il 2001 il 2006 il numero delle imprese orafe che detengono un marchio di
identificazione scende da 1150 a 956, con una variazione del -16,9%. Tendenza
confermata anche per il comparto artigiano che, secondo una recente ricerca, tra il 2001
e il 2004 perde a Vicenza circa un centinaio di
imprese (-13%) e 1300 posti di
lavoro (-22%). Si tratta di una situazione di difficoltà che, tuttavia, non riguarda tutte le
imprese: il 26% dei produttori artigiani, secondo la stessa indagine, aumenta nello stesso
1
Sul mercato domestico la produzione orafa risente, in misura sempre maggiore, della concorrenza di
prodotti sostitutivi provenienti da altri settori, come ad esempio l’elettronica di consumo (alta elasticità
incrociata).
2
L’indebolimento del dollaro ha permesso alle imprese italiane di acquistare il metallo prezioso ad un
prezzo in euro più conveniente di quello dei concorrenti asiatici, le cui monete nazionali sono legate alla
valuta statunitense. Ciò ha compensato, in parte, la perdita di competitività delle imprese italiane legate
alla svalutazione del dollaro.
2
periodo l’occupazione, in controtendenza con il dato medio del comparto (Crestanello,
Dalla Libera, 2005) 3 .
Uno studio dell’Università di Siena (Zanni et altri, 2006), incentrato sull’analisi di
bilancio di un campione significativo di imprese orafe italiane, conferma il
peggioramento, avvenuto negli ultimi anni, di tutti gli indicatori di performance
aziendale 4 . I margini di profitto delle imprese si sono assottigliati anche a causa di una
maggiore complessità organizzativa conseguente al fatto che: gli ordini sono divenuti
negli ultimi anni più frammentati, è aumentato il tasso di rinnovo del campionario e c’è
la necessità di presidiare meglio i mercati, visitando più spesso i propri clienti. A questa
maggiore complessità, che ha prodotto un innalzamento dei costi operativi, le imprese
non hanno potuto far fronte con un aumento adeguato dei prezzi che, in qualche caso e
per i prodotti più semplici, sono addirittura diminuiti.
2. I processi di innovazione delle imprese
Le imprese possono mantenere capacità competitiva in produzioni fortemente esposte alla
concorrenza dei paesi a basso salario grazie a continui processi di innovazione e di upgrading qualitativo del prodotto, della tecnologia e dell’organizzazione produttiva. Le
competenze diffuse nei diversi distretti industriali rappresentano la vera risorsa di queste
industrie. Le competenze locali, quelle che sono radicate nelle persone che vivono in un
dato territorio, tuttavia, hanno bisogno di essere alimentate costantemente dalla linfa del
sapere scientifico che viene prodotto in contesti territoriali esterni e spesso distanti dal
luogo di produzione (università, centri tecnologici privati e pubblici). Se non fosse così il
sapere contestuale scadrebbe nel folklore. E’ quindi importante che le competenze
scientifiche possano essere trasferite all’interno del contesto produttivo locale attraverso
opportuni processi di conversione del sapere scientifico nel sapere sociale. La
combinazione di questi due diversi saperi è infatti alla base di molti dei processi di
innovazione tecnologica nell’industria manifatturiera (Nonaka, 1994). Naturalmente,
l’innovazione può essere riferita all’industria o all’impresa. Le innovazioni non sono solo
3
La riduzione occupazionale e la chiusura di aziende è continuata anche durante il 2006. Alcune aziende
che erano state inserite nel nostro campione hanno dovuto essere sostituite perché nel giro di pochi mesi
avevano cessato l’attività.
4
I dati di bilancio nelle imprese orafe vanno sempre letti con cautela. Le variazioni del fatturato, infatti,
possono dipendere non solo da cambiamenti nel prezzo del metallo prezioso, ma anche per mutamenti nel
mix delle materie prime utilizzate (il prezzo dell‘oro supera di circa 50 volte quello dell’argento) e per le
diverse modalità con cui esse vengono acquisite. Nel caso in cui si acquisisce tutto l’oro in “conto
lavorazione”, il valore del fatturato è pari a quello della manifattura.
3
quelle che avvicinano le imprese alla frontiera tecnologica, ma anche quelle che in
generale sono nuove per l’impresa. In altre parole, non si tratta solamente di inserire nel
tessuto produttivo locale conoscenze innovative, ma anche di diffondere in imprese di
piccola dimensione le migliori tecnologie disponibili sul mercato, sempre a patto che
siano naturalmente efficienti in relazione al posizionamento prodotto/mercato
dell’impresa. Più in generale, il problema consiste nell’aumentare il livello delle
competenze all’interno del contesto produttivo locale. Questo processo avviene
continuamente nei distretti industriali. Il sapere scientifico penetra nel sistema delle
imprese attraverso quelli che vengono definiti “integratori versatili”, soggetti interfaccia
che possiedono i codici per operare un tale processo di conversione (consulenti aziendali,
operatori istituzionali, fornitori di tecnologia, ecc.). La fornitura di opportuni servizi
formativi e informativi può tuttavia favorire processi di aumento delle competenze
interne alle imprese orafe, migliorandone le performance competitive. A questo riguardo
occorre tener presente che i soggetti destinatari di politiche di intervento formativo non
sono solo le imprese (imprenditori e dipendenti) ma anche i consulenti aziendali (ad
esempio i designer) che possono essere maggiormente qualificati e aggiornati per offrire
un servizio più sofisticato e rispondente ai bisogni imposti dal mercato 5 .
L’innovazione è qui intesa in un’accezione ampia e cioè come cambiamento tecnicoorganizzativo dell’impresa finalizzato al raggiungimento di maggiori livelli di efficienza.
In questi termini la tecnologia riguarda:
ƒ
il processo produttivo (tecnologia di processo);
ƒ
la progettazione (tecnologia di prodotto);
ƒ
l’organizzazione della produzione (tecnologia organizzativa).
L’introduzione di innovazioni in azienda permette di ridurre i costi e/o ottenere una
maggiore qualità del prodotto. Ci sono, infatti:
ƒ
innovazioni che permettono di ridurre i costi aziendali;
ƒ
innovazioni che portano ad un miglioramento della qualità del prodotto e del
servizio in grado di riposizionare l’impresa su fasce di prezzo più elevate.
5
In generale, anche un miglioramento nel livello delle competenze degli stakeholder del distretto
(istituzioni e Associazioni) può portare a migliorare le politiche di governance locale e rafforzare la
capacità competitiva delle imprese.
4
Innovazioni che riducono i costi
Le innovazioni che riducono i costi sono dovute all’introduzione di macchinari più
moderni (innovazione di processo) e/o a politiche di riorganizzazione produttiva come la
riduzione degli sprechi, un miglior controllo di gestione, la riduzione dei tempi di “set
up”. Una strategia assai diffusa tra le imprese mira al contenimento del prezzo
dell’oggetto attraverso un alleggerimento del prodotto in grado di mantenere
caratteristiche di robustezza e di durata (utilizzo di spessori più leggeri nello stampato,
catene più fini, ecc.).
L’innovazione di processo nel settore orafo avviene in modo continuo ed incrementale.
In molti casi l’innovazione è incorporata nelle macchine, ma non sono rari i casi di
intervento da parte del produttore nel migliorare il processo produttivo attraverso
modifiche e adattamenti (learning by using) 6 . Negli ultimi anni, l’ammodernamento
tecnologico ha riguardato soprattutto i produttori di “catene a macchina” che hanno
costantemente aumentato la loro produttività. In un prodotto come questo, il rapporto tra
capitale e lavoro è di circa 4 a 1 e ciò rende meno importante il vantaggio competitivo
dei produttori a basso salario. Tuttavia, trattandosi di un prodotto poco differenziato,
questo risente fortemente della concorrenza basata sul prezzo. Una delle tecnologie più
innovative introdotte nel settore da diversi anni è l’elettroformatura. Una tecnica ad alta
(relativamente al settore) intensità di capitale che permette di creare oggetti vistosi con
l’utilizzo di quantitativi limitati di oro. Questa tecnologia, nella quale risultano
specializzate oggigiorno solo poche imprese vicentine, è stata sviluppata anche da altri
paesi concorrenti, come ad esempio la Turchia e la Cina, e non rappresenta più un
vantaggio relativo delle nostre produzioni. Non è azzardato affermare che si è persa, in
questo caso, l’opportunità di sviluppare una tecnologia innovativa in grado di
compensare, almeno in parte, lo svantaggio di un costo del lavoro che è di gran lunga
superiore a quello dei nostri principali concorrenti.
Le innovazioni oggi più interessanti per le imprese vicentine riguardano l’applicazione
del CAD-CAM nel design, in modelleria e nella produzione automatica degli stampi. Tali
innovazioni permettono sia la riduzione dei costi in progettazione, sia la riduzione dei
6
E’ il caso ,ad esempio, della Superoro che ha realizzato nuovi dispositivi inseriti in macchine a CN
(frese e torni) per la raccolta selezionata di monili sulla base di alcuni parametri (peso e volume), della
Cost Cast che ha migliorato il processo di saldatura tra l’oro e altri materiali come legno e vetro (Pozzi,
2004).
5
tempi di risposta al mercato e quindi rappresentano anche un modo di migliorare il
servizio al cliente.
Gli interventi di razionalizzazione organizzativa sono necessari in una situazione di forte
pressione sui prezzi di vendita. Soprattutto nelle realtà aziendali più piccole, dove nel
passato si è prestata scarsa attenzione al problema delle inefficienze, semplici modifiche
organizzative possono determinare in breve tempo significativi risparmi di costo. In
molte imprese, tuttavia, le politiche di riorganizzazione si sono concentrate
prevalentemente sulla riduzione del personale occupato in azienda. In questi casi
l’impresa, operando una selezione dei lavoratori più capaci, può aumentare la produttività
per un semplice effetto composizione. Il rischio che corrono le imprese è però di ridurre
anche gli investimenti, ad esempio procastinando il rinnovo dei macchinari, non
assumendo una persona qualificata in grado di apportare competenze nuove, tagliando le
spese promozionali in maniera non selettiva e poco meditata. Sono gli investimenti a
rappresentare il sistema più efficiente per operare cambiamenti qualitativi. Consapevoli
di ciò alcune imprese, pur in una situazione di riduzione complessiva del personale
(soprattutto legato a mansioni produttive), hanno assunto figure professionali da
utilizzare nell’attività commerciale e di progettazione.
In una situazione di aumentata varietà produttiva, di ordini più piccoli e con tempi di
consegna più brevi, le imprese hanno sperimentato un aumento dei costi operativi legati
allo spezzettamento dei lotti in produzione e alla difficoltà crescente di programmare il
lavoro. In aggiunta, va considerato che nell’orafo la fase di realizzazione del campionario
è piuttosto costosa e spesso suscettibile di ulteriori modifiche che devono tener conto dei
suggerimenti del cliente.
Quasi tutte le imprese lavorano sull’ordine “confermato” (make to order), anche se in
alcuni casi vengono realizzati piccoli stock di semilavorati (prodotti internamente o
acquistati) che rappresentano input comuni (catene, chiusure, ecc.) per una varietà ampia
di prodotti finiti (make to assembly). La possibilità di differenziare il prodotto attraverso
alcune fasi finali (assemblaggi e finiture) è piuttosto elevata, ma l’uso, ad esempio, di
colori diversi in aggiunta a diverse carature vincola le prime fasi del processo di
produzione (fusione in lega) alla realizzazione del prodotto finale7 . Le possibili strategie
per fronteggiare l’aumento della complessità organizzativa sono:
7
Le aziende che operano in una logica del postponement (Ferrozzi e Shapiro, 2000) hanno il vantaggio di
poter gestire meglio le scorte. Ritardare la fabbricazione dei prodotti finiti fino a quando non si dispone
dell’ordine del cliente azzera i costi legati al rischio di invenduto e minimizza quelli legati
6
ƒ
l’adozione di un approccio del tipo “design for manufacturing” (fornire ai
progettisti regole precise per facilitare la produzione);
ƒ
l’utilizzo di una metodologia VRP (Variety Reduction Program) che
permetterebbe anche alle aziende orafe (e soprattutto a quelle che fanno uso di
stampi) di progettare una gamma di prodotti concepita con un numero minore di
componenti e quindi di ridurre complessità e costi gestionali, pur garantendo al
cliente una offerta diversificata 8 ;
ƒ
il rafforzamento di forme di cooperazione con il cliente, finalizzate alla fornitura
di “previsioni concordate”, come avviene in altri comparti del sistema moda 9 .
l’uso di tecnologie CAD e di rapid prototiping
che permettono in fase di
progettazione. un risparmio dei costi, rinviando la realizzazione del costoso
prototipo in oro solo dopo il ricevimento dell’ordine. L’uso di sistemi CAD e di
prototipazione rapida offrono, inoltre, la possibilità di creare varianti prodotto in
tempi ridotti rispetto a quelli attuali e di presentare modelli virtuali (in 3D) o in
materiali alternativi all’oro, con risparmio sui costi di produzione 10 .
La delocalizzazione produttiva nei paesi a basso salario costituisce un'altra strategia per
contenere i costi. Diversamente da quanto è avvenuto in altri comparti del sistema moda,
lo spostamento della produzione all’estero rappresenta un
fenomeno recente per le
imprese orafe, anche se destinato ad aumentare. A de-localizzare sono le imprese più
grandi e strutturate che spostano all’estero produzioni più standardizzate, a più basso
valore aggiunto e che comportano minori competenze tecnologiche. Alcune importanti
aziende orafe (tra cui Uno Aerre, Silmar, Filk, ecc.) hanno già delocalizzato parte della
loro produzione in Romania, Tailandia, Giordania, Sud Africa. I motivi non sono sempre
all’immobilizzazione finanziaria in scorte di materia prima. Il rovescio della medaglia è però rappresentato
dalla rischio legato ad un peggioramento delle performance produttive: l’impossibilità di programmare la
produzione può portare a problemi di bilanciamento della capacità produttiva, sia in termini di utilizzo di
impianti che di manodopera.
8
In una azienda intervistata che produce prodotti stampati, l’imprenditore ha iniziato a razionalizzare l’uso
degli stampi giacenti in magazzino (circa 1.000), ricombinandoli con forme nuove a creare nuovi
prodotti. Ogni anno l’azienda spende dai 70 ai 100.000 Euro per la realizzazione di stampi nuovi pari a
quasi il 10% del valore del manifatturato.
9
I lanci di produzione “al buio” (make to stock) nel settore dell’abbigliamento sono legati alla necessità di
programmare meglio la produzione e avvengono sulla base di previsioni di vendita. Il rischio
dell’invenduto in questo caso è ripartito tra produttore e dettagliante, mentre nell’orafo il rischio viene
tradizionalmente suddiviso tra quest’ultimo e il grossista.
10
La stessa azienda vicentina citata in nota 6 quando realizza un nuovo stampo per un nuovo prodotto, con
costi di investimento elevati, non ha la sicurezza che quest’ultimo incontrerà il favore del mercato.
7
legati al risparmio sui costi del lavoro, ma anche alla presenza in questi paesi di tariffe
agevolate per entrare nel mercato statunitense. Giordania, Sud Africa e Turchia non
pagano, infatti, dazi sui prodotti orafi esportati negli Stati Uniti.
Nell’orafo la strategia di delocalizzazione produttiva è frenata dal fatto che la maggior
parte delle imprese sono prive di marchio. Affidare una produzione un-branded a subfornitori esteri (fenomeno assai diffuso tra le imprese del comparto moda) è rischioso,
perché potrebbe portare questi ultimi ad imitare i prodotti italiani proponendoli
direttamente al cliente finale. Se da un lato un processo di internazionalizzazione
produttiva può portare, attraverso una riduzione di costi, ad un miglioramento della
capacità competitiva, dall’altro comporta sempre un trasferimento di competenze ai
produttori di altri paesi. Inoltre, c’è anche il rischio che la produzione fatta realizzare
all’estero possa a lungo andare deteriorare l’immagine che il “made in Italy” ha nel
mondo. Problema questo che riguarda anche e soprattutto altri prodotti italiani del
comparto moda. Non è infatti sicuro che il marchio “designed in Italy” possa sostituire
facilmente il “made in” nell’apprezzamento dei prodotti italiani presso i consumatori
mondiali. Fare in modo che un prodotto di “stile italiano”, ma realizzato in un altro paese
(ad esempio Cina), possa conservare presso il consumatore lo stesso appeal” di un
prodotto “fabbricato in Italia” rappresenta una strategia difficile anche per i marchi più
noti 11 .
Innovazioni che portano all’up-grading del prodotto/servizio
Le innovazioni che elevano la qualità del prodotto e del servizio, e danno quindi
all’impresa la possibilità di mantenere prezzi più elevati, sono indicate sotto il nome di
strategie di up-grading. Il miglioramento della qualità del prodotto può dipendere dal
raggiungimento di prestazioni tecniche nuove o più elevate (maggiore resistenza delle
chiusure, spessori più leggeri 12 , ecc.), dall’utilizzo di nuovi materiali, dalla riduzione
della difettosità o da migliori finiture. Queste soluzioni tecnologiche sono rivolte al
miglioramento della qualità intrinseca del prodotto, ma oggigiorno assumono sempre più
importanza interventi mirati a migliorare l’aspetto estetico dell’oggetto attraverso un
design più sofisticato e rispondente alle esigenze del mercato. Il ciclo di vita del prodotto
11
Ci sono diversi produttori di abbigliamento, anche con brand conosciuti, che continuano a praticare il
“cambio etichetta” per i prodotti fatti realizzare all’estero. Evidentemente c’è la convinzione che il
consumatore riconosca un premium price solo al prodotto realizzato in Italia.
12
Naturalmente, come già osservato, l’alleggerimento del prodotto rappresenta soprattutto una strategia
finalizzata a ridurre i prezzi di vendita al consumatore, attraverso il risparmio dell’oro utilizzato nel
manufatto.
8
infatti, come già osservato, si è ridotto ed è aumentata la necessità di rinnovare più
frequentemente il campionario aziendale. La qualificazione del prodotto/servizio può
avvenire, anche e più in generale, attraverso: le politiche promozionali e di marchio, il
cambiamento delle modalità di distribuzione, la differenziazione del prodotto, la ricerca
di nicchie di mercato (prodotti che soddisfano esigenze di consumatori sofisticati e/o ad
alto reddito), l’aumento della flessibilità e la riduzione del time to market (Humphrey, J.,
Schmitz, H., 2000).
Non basta oggigiorno avere un buon prodotto in termini di qualità e di design, occorre
anche sviluppare le politiche promozionali in grado di valorizzarlo sul mercato. Questo
significa che l’azienda deve dotarsi di una politica promozionale adeguata. La
valorizzazione del prodotto può essere fatta secondo diversi livelli di sofisticazione.
Sono ancora poche le imprese che, invece, di presentare i prodotti raggruppandoli
secondo una un criterio merceologico (anelli, orecchini, bracciali, ecc.) utilizzano un
criterio stilistico (linee). Si tratterebbe, in questo caso, di un primo passo per valorizzare
meglio il contenuto qualitativo e stilistico del prodotto, esaltandone gli elementi di
differenziazione rispetto a ciò che offrono i concorrenti. A questo riguardo anche il
packaging rappresenta un elemento utile per differenziare il prodotto, promuovendo il
nome del produttore che può, ad esempio, apparire sul cartellino che riporta i dati
identificativi del prodotto (peso, caratura, ecc.). Una valorizzazione di questo tipo non
rappresenta un costo elevato e può rilevarsi utile anche per il piccolo produttore che
vende al grossista.
A livello più sofisticato e in generale, andrebbero privilegiate tutte le componenti
immateriali del prodotto che creano valore agli occhi del consumatore (design, brand,
certificazione di qualità, etichette sociali o ambientali, ecc.). La costruzione di un brand
aziendale con un target orientato al consumatore, tuttavia, richiede dimensioni aziendali
elevate e, nel caso di piccole imprese, può essere reso possibile solo attraverso la
costituzione di consorzi o altre forme di alleanza finalizzate a suddividere tra i diversi
membri gli elevati costi di promozione.
Ancora oggi, le imprese orafe vicentine sono fortemente dipendenti dal grossista che
rappresenta per tutte, se non l’unico, il più importante cliente. La ricerca di un canale di
vendita diretto, rappresenta quindi una strategia complementare a quella promozionale
che presuppone però anche la fornitura di servizi, tradizionalmente appannaggio del
grossista (ritiro della merce invenduta, magazzino prodotti finiti, anticipazioni
finanziarie, ecc.).
9
Le politiche che riducono il tempo di risposta al mercato incontrano oggi le esigenze dei
distributori orafi (grossisti e dettaglianti) che, in una situazione di incertezza, cercano di
catturare opportunità di business (disponendo del prodotto giusto al momento giusto) e
di ridurre al contempo lo stock di merce invenduta. A questo fine è importante da parte
del produttore garantire flessibilità, intesa non solo come riduzione delle quantità per
ordine, ma anche come disponibilità a variare il prodotto secondo le esigenze manifestate
dal cliente.
3. Conclusioni
Il comparto orafo è attraversato da profonde trasformazioni.
Ad una riduzione dei
consumi di prodotti di oreficeria legata alla concorrenza di altri prodotti del lusso
(viaggi, elettronica di consumo, ecc.) si aggiunge l’entrata di nuovi concorrenti sia sul
mercato della produzione (produttori asiatici) che della distribuzione (internet retailer,
operatori del settore moda, ecc.). Si è prodotta pertanto una forte pressione sui prezzi di
vendita che ha indotto i distributori a ridurre i costi di approvvigionamento del prodotto
(per necessità ed opportunità), stimolando il consumo anche attraverso un aumento della
varietà produttiva offerta al consumatore.
Il problema del settore orafo, al pari di altri comparti del sistema moda, consiste nel
ridurre il rischio di mercato (merce invenduta e o immobilizzata in scorte) attraverso
l’offerta dei prodotti giusti al momento giusto. Questo compito spetta tradizionalmente al
dettagliante che ha le informazioni necessarie per conoscere le tendenze del mercato. Il
dettagliante, tuttavia, in una situazione di crescente varietà dell’offerta produttiva, di
riduzione del ciclo di vita del prodotto e di maggiore incertezza della domanda, cerca di
spostare parte del rischio di mercato agli operatori che stanno a monte del processo
(grossista e produttore). Le sue strategie sono quindi quelle di aumentare i resi di merce
invenduta e di ridurre le quantità degli ordini attraverso continue politiche di
riassortimento veloce. Si cerca, inoltre, di orientare la fase di progettazione del prodotto
mettendo in comune le informazioni di mercato (previsioni, trend di vendita) con i propri
fornitori. Tutto ciò richiede un rapporto più stretto ed efficiente tra gli attori della filiera
finalizzato a comprimere i tempi del processo di creazione del valore e quindi a ridurre (e
non solo a spostare verso gli operatori a monte) i rischi di mercato. A questo fine, in
altri comparti del comparto moda le imprese hanno sviluppato modalità di gestione della
catena del valore che vanno sotto il nome di Quick Response (Forza, Vinelli 1996)
10
Le strategie dei retailer nel mercato orafo sono indirizzate ad avere (EU-Market Survey,
2004):
ƒ
ordini più piccoli e ripetuti;
ƒ
maggiore varietà di prodotti per stagione secondo i gusti del mercato;
ƒ
investimenti in sistemi di controllo e pianificazione delle previsioni di vendita;
ƒ
più cooperazione con fornitori selezionati e ridotti nel numero.
Non solo gli operatori della distribuzione chiedono lead time sempre più brevi e si
approvvigionano in forma prudente attraverso la frammentazione degli ordini, ma
mettono in atto politiche di maggior coordinamento con i produttori che si traducono
nella richiesta di piccole modifiche da apportare ai prodotti presentati per meglio adattarli
alle richieste del mercato.
Il risultato è stato un cambiamento nell’organizzazione dell’intera catena del valore, a
partire dalla gestione dei flussi informativi, della progettazione, dei tempi e modi in cui ci
si approvvigiona del prodotto. Diverse imprese orafe, pur vendendo a grossisti,
intrattengono rapporti diretti con i distributori finali, per la condivisione di informazioni
relative al mercato e al design. Il rapporto produttore/distributore finale si è fatto più
stretto affinché le informazioni di mercato servano per selezionare/modificare i prodotti
offerti dalle imprese produttrici. Il grossista (soprattutto estero) si accolla la maggior
parte dei costi transazionale (selezione dei fornitori, controllo, rischio dell’invenduto 13 )
che giustificano un margine di ricarico che si aggira intorno al 60% (EU Market Survey:
jewellery 2004). Il grande distributore finale anche se si rifornisce dal grossista, tuttavia,
conosce l’impresa che produce per suo conto, visita la fiere, presiede spesso ai meeting
tra il produttore e il grossista. Si assiste, insomma, ad una condivisione delle informazioni
tra i diversi attori della filiera, finalizzate a sfruttare le opportunità del mercato e a ridurre
il rischio di immobilizzo di scorte. Alcuni operatori della grande distribuzione (come il
francese Leclerc o l’americana Tiffany) si riforniscono direttamente dai produttori orafi
italiani e il tipo di servizio richiesto viene compensato da prezzi più elevati e quantità per
modello più consistenti. Molti dei
servizi offerti dal grossista, italiano o estero,
potrebbero pertanto essere svolti anche da un gruppo di piccoli produttori organizzati in
grado di fornire varietà e novità del prodotto, rispettando al contempo tempi brevi e
affidabilità delle consegne.
13
Alcuni grandi dettaglianti americani come ad esempio Finlay ritornano al grossista la merce invenduta,
scaricando su questi l’intero rischio di mercato (Annual Report, 2005).
11
Le imprese produttrici che non si sono ancora adattate ai cambiamenti del mercato
rischiano di chiudere l’attività. Per mantenere capacità competitiva in produzioni
fortemente esposte alla concorrenza dei paesi a basso salario, le imprese devono attivare
continui processi di innovazione e di up-grading qualitativo. Questo processo, tuttavia,
non potrà che avvenire in una situazione di riduzione dei volumi produttivi e nel numero
delle imprese e dei lavoratori occupati. Scalare le fasce alte del mercato costringe ad
abbandonare le produzioni più semplici e quantitativamente rilevanti su cui la
concorrenza di prezzo sta penalizzando fortemente il distretto orafo italiano. Il processo
di selezione delle imprese è quindi destinato a continuare anche in futuro.
Solo i prodotti più complessi, con alto contenuto di design e fortemente differenziati da
politiche di servizio al cliente e di promozione del marchio, possono competere oggi con
forza sui mercati internazionali. Il settore dell’oreficeria italiano è purtroppo largamente
unbranded e subisce le decisioni strategiche dei grandi gruppi della distribuzione
straniera che controllano sempre più strettamente le catene del valore a livello globale.
Sul mercato della distribuzione è in corso un processo di concentrazione (orizzontale e
verticale) mediante acquisizioni e fusioni di aziende che rende ancora più debole il potere
negoziale dei produttori italiani, frammentati e fortemente in concorrenza tra loro.
Il “prezzo di manifattura” non rappresenta più il principale terreno su cui basare il
vantaggio competitivo delle nostre imprese, visto che i differenziali nel costo del lavoro,
rispetto alla Turchia, all’India o alla Cina, sono incolmabili. I produttori di questi paesi,
inoltre, dispongono di tecnologie moderne e sono comunque in grado, in tempi brevi, di
dotarsi delle innovazioni incorporate nei macchinari di ultima generazione. Diverso,
invece, il discorso sulle capacità tecniche, di cui le aziende italiane sono particolarmente
dotate, nel realizzare prodotti più complessi, più leggeri (in grado cioè di contenere il
costo complessivo del prodotto) e con design sofisticato. Il vantaggio competitivo dei
produttori italiani si basa sulla capacità di fornire un prodotto innovativo nelle forme e
nei materiali. La capacità creativa, che c’è riconosciuta a livello internazionale, porta i
compratori esteri a delegare sempre più all’Italia un ruolo di fornitore di “design
creativo” per prodotti di qualità. Come già osservato, infatti, il ciclo di vita del prodotto si
è fortemente ridotto (alcuni modelli possono durare lo spazio di una stagione) e i
grossisti/dettaglianti richiedono sempre più campionari aggiornati e prodotti rispondenti
alle tendenze del mercato.
Un fattore sempre più importante è rappresentato dal servizio al cliente inteso sia come
personalizzazione del prodotto (disponibilità ad effettuare modifiche o a recepire
12
suggerimenti che possano orientare l’attività progettuale), sia come riduzione dei tempi di
risposta (time to market). Fattori che possono essere indicati con il termine di
“flessibilità”. Oggi, infatti, gli operatori della distribuzione cercano di ridurre il costo
legato alla variabilità del mercato che produce immobilizzi di scorte e merce invenduta.
Va considerato che nel settore orafo il valore aggiunto generato nelle fasi a valle della
produzione è assai più elevato di quello realizzato in produzione, considerato che il mark
up del distributore si applica su un prodotto che incorpora un alto valore di materia prima.
Questo a causa non solo di un ruolo più diffuso dell’intermediazione commerciale
(raccoglitore, grossista, ecc.) rispetto ad altri settori, ma anche per i maggiori costi di
immobilizzo della merce dovuti alla presenza dell’oro. Ciò significa che politiche di
servizio utili al distributore al dettaglio (in grado cioè di ridurre i costi nelle fasi a valle
del processo produttivo) permetterebbero anche di spuntare prezzi di manifattura più
elevati.
Da indagini recenti (Crestanello, Dalla Libera 2006) emerge con forza che le imprese
orafe, anche artigiane, hanno negli ultimi anni potenziato l’attività di progettazione come
risposta ai cambiamenti avvenuti nel mercato della distribuzione. In molti casi questa
tendenza a “sfornare” in continuazione nuovi prodotti (molte aziende presentano
campionari aggiornati ad ogni manifestazione fieristica) non si traduce in una ricerca
stilistica vera e propria, ma porta ad un’attività di semplice restyling. La creazione di un
“nuovo prodotto” richiede tempi di progettazione più lunghi, soluzioni tecniche
particolari, protezione brevettuale e forme di comunicazione e promozione che molte
imprese non sono in grado di mettere in atto, in considerazione delle piccole dimensioni
aziendali che caratterizzano il comparto orafo italiano. Spesso alla progettazione di nuovi
modelli non si accompagna, inoltre, la ricerca di una “identità” aziendale, cioè di uno
stile proprio in grado di differenziare l’impresa rispetto ai concorrenti. I prodotti non sono
presentati per “linee” secondo criteri di comunanza stilistica, ma per raggruppamento
merceologico (bracciali, anelli, ecc.). Si tratta, tuttavia, di un cambiamento difficile da
realizzare per chi lavora con grossisti/importatori e che richiederebbe una modifica dei
canali distributivi o una selezione dei propri clienti.
Un altro aspetto critico riguarda il fenomeno dell’imitazione. Le imprese lamentano il
fatto che alcuni dei loro prodotti di successo sono riprodotti su larga scala in paesi a basso
salario su commissione, talvolta, dei loro stessi clienti. Molte imprese non difendono
sufficientemente i loro prodotti a causa degli alti costi di brevettazione (per lo più
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ornamentale) che viene considerata peraltro poco efficace perché aggirabile facilmente
attraverso piccole modifiche sul prodotto imitato.
L’entrata nel mercato orafo, da qualche anno a questa parte, di alcuni grandi gruppi della
moda (Armani, Benetton, Diesel, Gucci, Bottega Veneta, Prada, Morellato, Chanel,
Ralph Lauren, Mont Blanc, ecc) ha accelerato processi di diversificazione della
produzione attraverso la combinazione di metalli preziosi con materiali come l’acciaio, il
vetro, la pelle, ecc., che rendono meno marcata la distinzione tra l’orafo in senso stretto
(precious jewellery) e la cosiddetta bigiotteria (costume jewellery) che ha aumentato sia il
contenuto stilistico sia la rispondenza alle tendenze moda. L’uso di nuovi materiali ha,
inoltre, ampliato la possibilità di differenziare il prodotto, attraverso soluzioni stilistiche
prima impensabili. L’entrata nel mercato dell’oreficeria di nuovi competitors dotati di un
forte brand non rappresenta solo una minaccia competitiva, ma anche un’opportunità, in
quanto ha allargato il mercato, interessando fasce di giovani consumatori che prima ne
erano esclusi. Molti produttori orafi hanno iniziato a lavorare per conto di brand italiani
della moda, modificando in parte i precedenti modelli organizzativi. Ci sono, invece,
pochi
esempi di imprese orafe che utilizzano brand famosi, dietro
pagamento di
royalties. Una strategia ampiamente utilizzata da molti produttori di altri settori come ad
esempio Luxottica, leader mondiale dell’occhialeria, ma anche da imprese di media
dimensione come quelle che operano nel distretto calzaturiero della Riviera del Brenta 14 .
La ridotta taglia dimensionale delle aziende rappresenta uno dei maggiori fattori di
debolezza del comparto orafo italiano perché è di
ostacolo all’adozione di nuove
tecnologie in progettazione (CAD-CAM), al monitoraggio delle tendenze del mercato,
alla promozione efficiente del prodotto. Una politica di alleanze inter-impresa, mirate al
raggiungimento di obiettivi particolari, come entrare in un nuovo mercato, servire un
cliente della grande distribuzione straniera, condividere i costi di un consulente o mettere
in comune un macchinario più sofisticato, permetterebbe il raggiungimento di quelle
economie di scala che oggi sono appannaggio solo delle grandi imprese. Purtroppo, il
forte
“individualismo” diffuso tra le imprese di questo settore ostacola forme di
cooperazione anche semplici orientate su small business. Andrebbero pensate, a questo
riguardo, azioni utili a promuovere alleanze sia tra produttori sia tra questi e gli operatori
della distribuzione, creando occasioni di incontro e conoscenza (generatori di fiducia) e
14
Questa strategia ha permesso alle produzioni calzaturiere del distretto veneto di collocarsi su fasce alte
del mercato spuntando prezzi più elevati.
14
fornendo le
informazioni e i servizi necessari
(assistenza alla realizzazione di un
business plan, informazioni sulle normative contrattuali nei diversi paesi, ecc.).
In un contesto dove la competizione si basa sempre più sull’innovazione e sulla qualità
del prodotto/servizio, una delle risorse territoriali da potenziare sono le competenze
esistenti nell’ambito della progettazione. Aumentare la capacità creativa del settore orafo
significa sviluppare a livello distrettuale le professionalità dei designer, formare le leve
giovanili che li rimpiazzeranno, garantire servizi informativi sulle tendenze moda e
sull’evoluzione del mercato, dare visibilità e incentivo alle produzioni con alto contenuto
stilistico i cui effetti in termine di “immagine” possono riverberarsi anche sulle
produzioni di tipo più seriale. Occorrerebbe anche incentivare e promuovere a livello
locale manifestazioni e mostre collettive e/o personali relative all’oreficeria d’arte. Il
potenziamento dell’area progettazione delle imprese abbisogna di diverse iniziative
finalizzate a sollecitare il momento ideativo, a predisporre interventi formativi e di
aggiornamento sulle nuove tecnologie di progettazione, ad aiutare le imprese (soprattutto
piccole) a realizzare e presentare le loro collezioni in modo rispondente alle esigenze del
mercato e della distribuzione 15 .
Questi risultati sono ottenibili anche attraverso incontri e scambi di esperienze fra
progettisti di diversi settori per alimentare processi di contaminazione (cross fertilization)
utili ad arricchire di nuove idee il loro bagaglio culturale. Si tratta anche di attivare
iniziative (manifestazioni, convegni, ecc.) che possano promuovere Vicenza come centro
del “design orafo” (Crei, Laboratorio Metalli Preziosi, 2005). Purtroppo la capitale
dell’oro a livello mondiale non ha saputo in questi anni proporsi come punto di
riferimento per l’analisi/proposta originale delle “tendenze moda”. Questo certamente a
causa della scarsità di “brand vicentini” di fama internazionale (in un settore dominato
all’estero dalla grande distribuzione), ma anche per un per un problema di deficit
comunicativo e promozionale. Le iniziative da mettere in campo andrebbero pensate in
collaborazione con Università e centri del design nazionale ed internazionale e
riguarderebbero l’invito a seminari e conferenze di designer di successo, lo scambio di
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Indagini recenti hanno mostrato come le imprese orafe, anche artigiane, abbiano negli ultimi
potenziato l’attività di progettazione come risposta ai cambiamenti avvenuti nel mercato della
distribuzione. In molti casi questa tendenza a “sfornare” in continuazione nuovi prodotti (molte aziende
presentano campionari aggiornati ad ogni manifestazione fieristica) non si traduce in una ricerca stilistica
vera e propria, ma porta ad una attività di semplice restyling. La creazione di un “nuovo prodotto”
richiede tempi di progettazione più lunghi, soluzioni tecniche particolari, protezione brevettuale e forme di
comunicazione e promozione che molte imprese non sono in grado di mettere in atto in considerazione
delle piccole dimensioni aziendali che caratterizzano il comparto orafo vicentino.
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esperienze tra progettisti e stilisti di diversi settori, ecc. Riteniamo che un collegamento
con altri comparti del sistema moda regionale possa rappresentare un punto di partenza
per creare utili sinergie, per lo scambio e per il confronto di esperienze. Il Museo dello
Scarpone di Montebelluna è promotore di un progetto che coinvolge diversi distretti
industriali italiani per la fornitura alle imprese di servizi informativi sulle “tendenze
moda” e sull’analisi ed evoluzione del comportamento del consumatore nei settori del
mobile, della calzatura, dell’abbigliamento e dell’occhialeria. Andrebbe valutata anche
per il distretto orafo vicentino la possibilità di partecipare ad un progetto comune che
vede coinvolti altri comparti italiani del sistema moda alla ricerca di sinergie e scambi di
esperienza.
Infine, andrebbero promosse iniziative formative sul campo dell’organizzazione
aziendale, suggerendo ai produttori (più piccoli) modelli di gestione aziendale utili ad
operare in un contesto di crescente flessibilità. Le innovazioni organizzative
rappresentano gli strumenti più importanti con cui le imprese possono fronteggiare la
crescente complessità ambientale, al fine di mantenere o aumentare il proprio vantaggio
competitivo.
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