Shanthi 2015 - Amici Missioni Indiane
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Shanthi 2015 - Amici Missioni Indiane
Anno XXX n. 2 - Periodico semestrale dell’A.M.I. Spediz. In abbonamento postale art. 2 comma 20/c Legge 662/96 Filiale di Milano Aut. del Tribunale di Milano n. 730 del Registro Periodici 10.11.2000 2 2015 viaggi di solidarietà nelle terre degli uomini SHANTHI in distribuzione gratuita EDITORIALE Chi siamo? SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO Descrizione e testimonianze dei gruppi di lavoro con famiglie adottive Qui foto mosaico CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA DELLA FAMIGLIA Riflessioni sulla psicoterapia in particolare in relazione al trauma LETTERE Testimonianze di alcune AMIche Ritrovarsi insieme è un inizio, restare insieme è un progresso, ma riuscire a lavorare insieme è un successo Henry Ford Sede Legale: via A. Moro 7 - 20090 Buccinasco (MI) Sede Operativa: via A. Manzoni 10/4 20090 Buccinasco (MI) tel 02 45701705 /fax 02 45708630 Codice Fiscale: 97018760153 Sito internet: http://www.amiweb.org La sede è aperta: mercoledì e venerdì sera L’AMI “Amici Missioni Indiane ONLUS” è un’associazione di volontariato nata nel 1982. È stata riconosciuta ufficialmente Ente Morale autorizzato all’attività nelle procedure di Adozione Internazionale con il Decreto del Ministero dell’Interno nr. 34/2000 del 06/09/2000 (cfr: http://www. amiweb.it/decrem97.htm oppure Gazzetta Ufficiale del 21/7/97 rif. n. 97A5684). L’AMI è stata fondata nel 1982 per iniziativa di un piccolo numero di famiglie adottive, allo scopo di inviare beni di prima necessità nelle Missioni Indiane gestite dalle Suore di Carità delle Sante B. Capitanio e V. Gerosa. Dopo i primi anni di attività, che hanno visto incrementarsi sensibilmente il numero dei soci, AMI ha riorganizzato la propria attività focalizzando le iniziative principalmente in tre settori: Chi Siamo ADOZIONE INTERNAZIONALE AMI è un ente autorizzato a svolgere tutte le attività nelle procedure di Adozione Internazionale, dall’accoglimento della coppia avente già il decreto di idoneità fino al completamento di tutto l’iter adottivo. [email protected] COOPERAZIONE INTERNAZIONALE AMI sviluppa progetti di cooperazione internazionale, da sola o con altre organizzazioni, attraverso l’invio di materiali (vestiario, medicinali ecc.) e di contributi finanziari per la costruzione e il mantenimento di asili, scuole, dispensari, case per la popolazione locale, implementazione di piccole attività produttive, sviluppo e realizzazione. Collabora in progetti co-finanziati dalla Commissione Adozioni Internazionali. [email protected] SOSTEGNO A DISTANZA AMI promuove e realizza il sostegno a distanza (comunemente chiamata adozione a distanza) di minori in stato di bisogno. L’obiettivo è di avvicinare famiglie, gruppi e singoli a bambini e bambine che necessitano di sostegno economico per proseguire gli studi nel proprio Paese; mediante interventi individuali di istruzione si pongono anche le basi per la crescita delle comunità locali. [email protected] Quote associative annuali: Socio ordinario: € 60,00 Socio sostenitore: € 5,00 (senza alcun limite) Sponsorizzazioni: € 180,00 Le nostre zone Bergamo: Castel San Giorgio (SA): Limena (PD): La Spezia: Mantova: Piacenza: Roma: Stiava (LU): 035.713916 081.951504 049.8848183 0187.701114 0376.245259 0523.896247 06.70453637 0584.970071 Modalità di versamento dei contributi Per bonifici relativi a: pagamento quote sociali, quote adozioni a distanza, donazioni, contributi per la realizzazione di progetti, ricavi mercatini e feste • C/C bancario intestato a: Amici Missioni Indiane ONLUS Banca Prossima n°Conto 0119923 • ABI 3359 • CAB 01600 • CIN H IBAN IT84 H033 5901 6001 0000 01119923 • C/C postale intestato a: Amici Missioni Indiane ONLUS Via A.Moro 7– 20090 Buccinasco (MI) n°Conto 20216206 • ABI 07601 • CAB 01600 • CIN P IBAN IT84 P076 0101 6000 0002 0216 206 Per bonifici relativi a: conferimento del mandato, quote referente estero, spese di traduzione e documenti, partecipazione a corsi pre o post adozione, e altro inerente l’adozione Internazionale contattate il Vostro referente in AMI. Chi siamo? Una domanda a cui questo numero tenta di dare una risposta EDITORIALE di Paolo Tortiglione [email protected] In tanti anni di Shanthi ci siamo occupati di moltissime cose. Invito tutti ad andare sul sito e riprendere i numeri arretrati scaricabili gratuitamente in pdf e con un solo clic. Vedrete e soprattutto leggerete che in circa 10 anni trascorsi ci siamo occupati di decine e decine di argomenti. Dalle adozioni nei singoli Paesi dove operiamo fino ad articoli e numeri monografici sulla figura del padre, della madre, del tempo dell’adolescenza, dei primi anni dopo l’arrivo in Italia, del ruolo dei nuovi media e di Internet sulla crescita dei ragazzi, della salute e delle malattie di vario tipo, del ruolo della famiglia e dei suoi cambiamenti in un periodo di crisi. Non ci siamo tirati indietro di fronte a cose e argomenti anche più delicati e devo dire che, articolo dopo articolo, questi numeri di Shanthi hanno arricchito e aggiunto qualcosa a ognuno di noi. Lo hanno testimoniato le lettere arrivate, il dibattito che vi si è sviluppato intorno, i contributi di coloro che hanno voluto scrivere qualcosa dedicandoci parte del loro tempo e (perché no?) anche l’ironia di chi come il nostro vignettista e disegnatore Chito ha sempre saputo cogliere il lato dolce ed amaro di ogni articolo scritto. Ma que- sto numero è particolare. È un numero che noi della redazione consideriamo destinato a durare nel tempo. All’inizio, al momento della proposta di fare un numero diverso dal solito, dedicato interamente alle attività che in questi ultimi tempi AMI sta portando avanti, l’entusiasmo era a mille. Poi un tipico momento di bagno nella realtà... non sempre facile ma alla fine la quantità dei contributi e articoli pervenuti ha sorpassato ogni più rosea previsione della redazione stessa. Abbiamo dovuto operare persino un taglio di circa 14 pagine data la quantità di cose che, ci siamo accorti, sono ormai una realtà vera e operativa all’interno di AMI. Vedrete voi stessi nelle prossime pagine di questo corposo numero di cosa sto parlando. E qui la domanda su chi siamo e cosa facciamo trova una sua risposta. Non una sola riga o disegno di questo numero è stata pagata a chi vi ha contribuito. Tutto si è fatto e si farà (e in AMI lo è sempre stato) sulla base del volontariato, del piacere di condividere il proprio tempo e la propria competenza con gli altri, senza nulla chiedere o cercare di ricevere in cambio se non la propria soddisfazione nell’aver contribuito a qual- SHANTHI 1 SHANTHI cosa in cui si crede fermamente. Questo numero è ricchissimo di notizie, spunti, contenuti, riflessioni, esperienze, storie, vite, aspirazioni, desideri e prospettive. Su tutti però viene fuori una riflessione e un elemento comune che, pur nelle sue mille accezioni e significati, non possiamo negare o nascondere o far finta che non esista. Questo elemento è nominabile? Vi sono termini unici ed esatti per definirlo? Possiamo chiamarlo semplicemente “problema”... oppure possiamo chiamarla “sofferenza”, oppure disagio. Siamo in un momento nel quale dire o sostenere che un ragazzo o un giovane adulto ha un disagio oppure un “disturbo” è all’ordine del giorno (e mi viene in mente l’articolo di un certo Matteo, ragazzo che nel numero scorso – 2015/1 - ha chiuso una sua breve lettera con la frase “… e scusate il disturbo”, con una sottile ironia peraltro probabilmente neppure cosciente o voluta). Chiunque abbia figli, adottivi o no, in età scolare o che da poco l’abbiano passata, non può non aver notato come i casi di “disturbo” siano aumentati a dismisura. I casi di disagio giovanile sono tutti i giorni sulla stampa e sui blog, su facebook e in ogni pagina del web. Una semplice ricerca sul web restituisce non meno di circa 400.000 risultati. I centri pubblici di aiuto, di ascolto, di supporto, iniziano ad avere liste di attesa che fanno pensare, o meglio avere la certezza, che se uno dei nostri figli ha un problema, un disagio, un disturbo, non è un caso isolato. Non è diverso dalle altre decine di centinaia che ogni giorno popolano i centri, le riunioni, le sedute e, nei casi più difficili, anche gli ospedali o le comunità di accoglienza che hanno anch’esse liste di attesa di mesi e mesi. Da un lato quindi viene da interrogarsi e da, lecitamente e ingenuamente, chiedersi se un nume- 2 ro così crescente di casi sia momentaneo, casuale, indotto magari da una consapevolezza più capillare e da una crescente possibilità di accesso all’informazione (la cui qualità e attendibilità sul web può far di certo discutere o pensare), oppure se sia il segno di qualcosa di diverso, di un cambio in atto nella società che inizia da queste cose e di cui si vedranno le conseguenze tra 20-30 anni o più. È una domanda retorica, certo. Chi può dirlo? Chi ha la chiave di lettura di questo? Ognuno di noi fotografa e vede la realtà per quello che la sua esperienza di vita gli consente e gli fa vedere. La luce e l’angolazione di questa fotografia rimane del tutto personale e lo sarà per sempre. E allora chi siamo noi di AMI? Questo numero fotografa e rende conto delle molte cose che si fanno in associazione. Abbiamo cercato di dire in poche pagine quali sono le nostre posizioni rispetto a queste tematiche. L’obiettivo è stato quello di cercare, se mai fosse possibile in 80 pagine, di dare una visione globale di cosa è AMI oggi, e quindi di cosa facciamo. Gran parte è dedicata alla adozione e sostegno del progetto adottivo, ma una altrettanto importante parte la fanno i nostri servizi alla famiglia (adottiva e non) e i progetti internazionali. Tante anime, tanti volti, tante persone, tantissime attività, tante storie. Chi siamo quindi? In queste pagine tentiamo una risposta. E se vi stimola, vi piace, vi sollecita, vi invitiamo a farne parte. AMI è sempre aperta, AMI è anche voi! Per inviare lettere, commenti, osservazioni… potete scrivere a [email protected] o all’indirizzo: A.M.I. Redazione Shanthi, Cascina Robbiolo, Via A.Moro, 7 20090 Buccinasco (MI) In questo numero... Viaggi di solidarietà nelle terre degli uomini Shanthi Anno XXX- n. 2 Periodico semestrale dell’A.M.I. Spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20/c Legge 662/96 Filiale di Milano Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 730 del Registro Periodici 10.11.2000 Direttore responsabile: Paolo Tortiglione [email protected] Redazione: Ornella Filippetto, Simona Grumelli, Fabiana Polese Hanno collaborato a questo numero: AMI Lombardia, AMI Toscana, AMI Veneto, Francesca Mantegazza, Valentina Marcassoli, Filippo Marri, Emanuela Mastropietro, Cristina Michelotti, Serena Terigi, Chiara Capone, Francesca Cologni, Chiara Morelli, Stefano Zoia L'immagine di copertina e le vignette sono di Flavio Maracchia Si ringrazia Pixabay dal cui sito sono state tratte molte delle fotografie usate in questo numero. Grafica e impaginazione: Imagidea.it Stampa: T.R.E.G srl - Guardamiglio (LO) tel. 0377.452057 - [email protected] Sede A.M.I. e redazione Shanthi Cascina Robbiolo Via A. Moro, 7 20090 Buccinasco (MI) tel./fax 02.4501705 pag. 1 EDITORIALE Chi siamo? di Paolo Tortiglione pag. 4 AMI: il percorso formativo, ieri, oggi e domani di Ornella Filippetto e Simona Grumelli pag. 6 AMI è... pag. 7 Riflessioni sui progetti attuati in AMI di AMI Onlus pag. 8 pag. 12 pag. 15 pag. 17 pag. 22 pag. 27 pag. 33 pag. 38 pag. 40 pag. 42 SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO Aree di intervento e sostegno alla famiglia adottiva di AMI Onlus Tracce, ricordi, fantasie: la rielaborazione della storia di AMI Veneto Aspettando il secondo figlio... Aspettando mio fratello... di AMI Veneto Incontri paralleli per genitori e figli adottivi di AMI Veneto Progetto SPA dei bambini di AMI Lombardia Il progetto adozione-scuola di AMI di AMI Veneto L’adozione ai tempi di Internet di AMI Veneto Il percorso di sostegno all’adozione di AMI Toscana Il protocollo operativo AMI-Regione Veneto di AMI Veneto Incontro fra AMI, il mondo dell'adozione e la ricerca scientifica di AMI Veneto pag. 48 pag. 50 pag. 52 pag. 54 pag. 57 pag. 60 pag. 64 pag. 66 pag. 70 CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA DELLA FAMIGLIA Area sostegno psicologico e psicoterapia di AMI Onlus Il Centro di Psicologia Clinica della Famiglia di AMI Lombardia Che cosa si intende per trauma? di AMI Lombardia La genitorialità come riattivatore del passato di AMI Lombardia Una bambina coraggiosa di AMI Lombardia L’uso della fotografia nella psicoterapia di AMI Lombardia Lettera al passato di AMI Lombardia Progetto di intervento sui disturbi e le difficoltà di apprendimento di AMI Lombardia Tre serate al cinema per riflettere sulla famiglia di AMI Veneto pag. 72 pag. 73 pag. 74 LETTERE E TESTIMONIANZE Chiediamo aiuto perché... di Francesca Mantegazza Una vita "tsunamica" di Cristina Michelotti L’innes di Emanuela Mastropietro SPECIALE NON SOLO... A D O T TA R E di Ornella Filippetto e Simona Grumelli Responsabili adozioni AMI AMI: il percorso formativo ieri, oggi e domani L’organizzazione per le formazione delle coppie in AMI è sempre stata la stessa? Quali sono stati i passi che hanno portato all’attuale organizzazione? Scopriamolo insieme a due “pioniere” dell’associazione: Ornella e Simona. Con la legge n. 476 del 31 dicembre 1998, ratifica della Convenzione dell’Aja, il legislatore coinvolge per la prima volta gli Enti autorizzati nel percorso formativo delle coppie aspiranti: "I servizi socio-assistenziali degli enti locali singoli o associati, anche avvalendosi per quanto di competenza delle aziende sanitarie locali e ospedaliere, svolgono le seguenti attività: b) preparazione degli aspiranti all'adozione, anche in collaborazione con i predetti enti;..." SHANTHI Tale obbligo è ribadito nelle “LINEE GUIDA per l’ente autorizzato allo svolgimento di procedure di adozione di minori stranieri” pubblicate dalla CAI nel 2005. “L’ente organizza percorsi informativi. L’ente, utilizzando momenti d’incontro anche in collaborazione con i servizi territoriali, come previsto nei protocolli regionali, deve far sì che le coppie prese in carico raggiungano un buon livello di consapevolezza del significato profondo dell’adozione internazionale e, parimenti, delle molteplici responsabilità che da essa conseguono, così da farle aprire all’accoglienza di uno o più minori, superando ogni pregiudizio, specialmente quelli inerenti la diversità etnica.” 1 4 AMI ha avuto ben presente, fin dal momento della sua fondazione nel 1982, l’importanza del percorso formativo. Le sue radici sono nel ... le sue radici sono nel volontariato volontariato e quindi, con il coinvolgimento delle coppie nella propria attività, ha favorito da sempre il confronto e il passaggio di esperienze, da parte delle coppie che avevano già adottato verso le coppie in attesa. Questa prima e spontanea modalità di formazione si è arricchita col passare degli anni, sensibile alle esigenze espresse dalle coppie stesse, introducendo anche figure professionali. Gli incontri, nei primi anni ’90, prevedevano la presenza di una psicologa e di esperti della cultura e della economia indiane; erano relazioni frontali, secondo la metodologia di quegli anni. Noi, Ornella e Simona, e i rispettivi coniugi, siamo arrivate in questi anni: tutto interessante, ma molto "lontano"... La nostra palestra erano le serate di turno in segreteria (per rispondere al telefono, spedire il giornalino o gli inviti alle feste) che proseguivano fino a notte alta con discussioni e scambi di esperienze che non ci bastavano mai, e le feste AMI con il rapporto diretto con i bambini. Ben presto questi incontri sono diventati meno didattici e più interattivi, arricchendosi di nuovi aspetti legati anche all’aumento del numero dei Paesi di adozione. Ogni paese ha portato con sé nuovi spunti di riflessione: • Il Brasile su come affrontare l'adozione di bimbi grandicelli e il problema delle adozioni allargate. • La Colombia sulla reale disponibilità ai casi speciali e quindi sulle condizioni di salute dei bambini. • La Costa d'Avorio sull'incontro con culture e tradizioni profondamente diverse dalla nostra. • L'Etiopia che ha costretto AMI a rivoluzionare la gestione della formazione delle coppie. ... il confronto tra l'immaginario, il desiderato e la realtà, è fondamentale. Le informazioni sulla storia dei bambini sono scarse e spesso non vere: l'età, la presenza o meno dei genitori biologici, i fratelli, le motivazioni dell'abbandono, il non detto, il non conosciuto, soprattutto per i bimbi, diventa un peso, un doloroso segreto... La forza di AMI e delle sue psicologhe è nel saper ascoltare i genitori adottivi e i bambini, nel raccogliere le storie e le problematiche, nel non indietreggiare di fronte alle difficoltà. Lo scopo principale è stato quello di arricchire la propria esperienza per formare al meglio le proprie coppie e sostenere le famiglie. Sono nuove sfide che AMI, attraverso le proprie professioniste, affronta insieme alle famiglie in un percorso di crescita e conoscenza comune, diversificando le proprie attività. Da un lato si prosegue con la collaudata metodologia dei gruppi che coinvolge gli adolescenti e i loro genitori in momenti e su tematiche diverse; con convegni e seminari di approfondimenti su internet, l'elaborazione del trauma, gli incontri fra varie culture, il ritorno alle origini. Dall'altro si è avvertita la necessità di creare un Centro di Psicologia Clinica della Famiglia dove il minore, il singolo individuo o la famiglia sono seguiti singolarmente, con interventi mirati, con un percorso terapeutico continuativo. In questi ultimi anni AMI ha nuovamente cambiato il passo per non perdere il contatto con le nuove realtà: i figli ormai adolescenti pongono nuove problematiche come il ritorno alle origini, la struttura della famiglia cambia insieme alla società, ci sono nuovi modi di comunicare (internet, i social ecc.) che modificano i rapporti. Noi, sempre Ornella e Simona, siamo state un po’ pioniere nel mondo dell'adozione. Molto del nostro percorso formativo si è basato sull'iniziativa e sulla ricerca personali e siamo consapevoli del buon lavoro svolto da AMI in questi anni, di come siamo maturati tutti nella "gestione" di questo aspetto così importante. Il grazie va quindi ai bambini e alle loro storie, alle famiglie e alle coppie che ci hanno seguito, a tutte le nostre psicologhe così attente e preparate e... un po’ anche a noi. Presidenza del Consiglio dei Ministri Commissione per le Adozioni Internazionali Autorità Centrale per la Convenzione de L’Aja del 29.5.93 1 SHANTHI Da qui una nuova metodologia di lavoro con la formazione di gruppi omogenei per Paese o per caratteristiche (coppie in seconda adozione o filiazione) che si trasformano da gruppi attesa a gruppi misti (con coppie in attesa e coppie che hanno già concluso il percorso adottivo) fino a continuare nel post adozione. Lo scambio fra coppie nelle diverse fasi del percorso adottivo, con il confronto tra l'immaginario, il desiderato e la realtà, è fondamentale. 5 PROCEDURE DI ADOZIONE INTERNAZIONALE CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA DELLA FAMIGLIA: SERVIZIO DI ACCOGLIENZA DELLE DOMANDE DI AIUTO DI GENITORI E RAGAZZI SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO: PREPARAZIONE ALL'ADOZIONE E POST-ADOZIONE ADOZIONE INTERNAZIONALE AMI è... COOPERAZIONE INTERNAZIONALE SAD SOSTEGNO A DISTANZA (ADOZIONE A DISTANZA) PROGETTI INDIVIDUALI RIVOLTI A BAMBINI E RAGAZZI DI SOSTEGNO ALLO STUDIO O DI FORMAZIONE PROFESSIONALE E RSILIA AMI V AMI V AMI LO BAR IA 6 M D SHANTHI PROGETTI DI AIUTO RIVOLTI PRINCIPALMENTE ALL'INFANZIA E ALLA FAMIGLIA, ANCHE IN COLLABORAZIONE CON ALTRI ENTI E NETO Restiamo in contatto! Cerca tutti gli eventi e le occasioni di crescita e incontro di AMI, in tutte le sue sedi, nei siti dedicati. E partecipa attivamente alla crescita dell'associazione! www.amiweb.org [email protected] [email protected] Riflessioni sui progetti attuati in AMI SPECIALE NON SOLO... A D O T TA R E Un'introduzione per orientarci in questo numero ricchissimo di informazioni e spunti di riflessione sui progetti psicoterapeutici e psicologici svolti in AMI. Tutto questo numero, davvero speciale, della rivista è dedicato ai progetti psicoterapeutici e psicologici svolti in AMI. Il desiderio è di condividere le riflessioni che sono intrinseche alle attività che svolgiamo e approfondire gli elementi tecnici e teorici che ci caratterizzano. Per meglio comprendere gli ambiti di lavoro sono state create due sezioni di articoli, una inerente ai progetti strettamente legati all’adozione e l’altra relativa ai lavori svolti nel Centro di Psicologia Clinica della Famiglia. Sostegno al progetto adottivo I primi sono le attività che si propongono e si organizzano con le persone quando conferiscono mandato ad AMI per svolgere il proprio progetto adottivo. Il “contratto” strutturato con le coppie è articolato, fatto di incontri di gruppo a cadenza mensile e di colloqui di coppia. Si tratta di un percorso indubbiamente intenso, ma che consente da subito di iniziare un lavoro che permette una conoscenza approfondita degli individui e che nel momento in cui arriverà il bambino permetterà di continuare un’attività proficua e preventiva di possibili rigetti adottivi. Il conoscersi permette alle coppie di vedere gli operatori come riferimenti noti a cui formulare domande di supporto, di comprensione e di aiuto. Il post-adozione è un periodo importante in cui le riflessioni sono essenziali, al fine di comprendere e affrontare tutti i momenti duri dati dall’inserimento dei bambini. Centro di Psicologia Clinica della Famiglia La seconda serie di articoli sono riflessioni su cosa è la psicoterapia con riferimento a stralci di casi clinici. Abbiamo inoltre pensato di approfondire in maniera più scientifica alcuni temi che sono spesso citati. Il trauma è un concetto frequentemente usato, che merita di essere compreso interamente e in maniera approfondita. Ringraziamo per la realizzazione degli articoli di questo numero le psicologhe: Claudia Checchi, Elena Codecasa, Rossella Forese, Sophie Perichon, Alessandra Scordo, Bianca Luna Servi, Simona Silvestro, Serena Terigi. SHANTHI Chiudono questa sezione e la rivista stessa alcuni articoli scritti da famiglie adottive quali rimando del lavoro svolto insieme. 7 SPECIALE SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO Aree di intervento e sostegno alla famiglia adottiva Formare una famiglia per AMI è un “lavoro di gruppo” che si sviluppa, si adatta, cambia ma non si arresta mai, sempre sotto l’attenta guida di figure professionali specializzate. Negli anni gli operatori AMI hanno sempre più sentito la necessità di strutturare un Servizio che potesse garantire alle coppie adottive un supporto e un’accoglienza rispetto a tutti gli interrogativi e a tutte le problematicità che potevano insorgere nel cammino adottivo. SHANTHI AMI da sempre utilizza il gruppo come strumento base ed elettivo per le varie attività. Proprio per questo i professionisti che vi operano hanno una formazione specialistica anche sulla conduzione del gruppo e sulla gestione delle dinamiche interne e terapeutiche. 8 Gruppi adottivi Le coppie sono accolte in gruppi chiusi, a cadenza mensile, che sono composti da circa 10 coppie e hanno la finalità di supportare i genitori in tutto il cammino adottivo. L’inserimento della coppia nel gruppo avviene al conferimento del mandato e nel gruppo trascorre tutto il periodo dell’attesa della realizzazione genitoriale. Ciò consente di non essere soli e di utilizzare il lungo periodo di attesa in maniera costruttiva, anche ricevendo tutto il sostegno relativamente alle ansie, paure e rabbie che necessariamente si creano quando si aspetta. Nel gruppo è condivisa la notizia dell’abbinamento, la visione della prima foto e l’emozione della partenza. Il post-adozione prosegue nel medesimo contesto e il gruppo diviene il luogo in cui sono portate le tematiche relative alla neogenitorialità e alle problematiche dei bambini. La continuità del gruppo permette di costruire una buona alleanza di lavoro, che diviene proficua nel momento in cui arrivano i bambini e si rende necessario costru- ire spazi diversi, fatti di colloqui di coppia, di momenti di osservazione dei bambini e della relazione genitoriale. I primi soggetti a cui è diretto il lavoro terapeutico sull’adozione sono i genitori che vanno supportati e aiutati a rileggere le frequenti manifestazioni complesse dei figli. La rilettura di tutti i vissuti post-traumatici e delle paure o dei rifiuti, diviene essenziale per potere proseguire l’adozione in maniera sana e adeguata. La partecipazione agli incontri di gruppo e l’attivazione di colloqui di coppia ha l’obiettivo di prevenire/arginare dolorose crisi adottive, che possano sfociare in possibili rifiuti dei bambini. Il contesto di gruppo funge inoltre da fattore protettivo, strutturando intorno alle persone una rete di pensiero e di sostegno. È necessario strutturare progetti di gruppo sul bisogno specifico delle coppie e famiglie. Le coppie con primogeniture seguono un loro gruppo in cui le tematiche sono centrate sui figli già presenti, sul come facilitare l’inserimento di un nuovo bambino e sull’unione della storia pregressa del bambino che arriverà con la storia della famiglia che lo accoglie. Gruppi di bambini Per i bambini sono organizzati gruppi strutturati, con un numero definito di incontri, che hanno la finalità di rileggere l’adozione e le sue fasi. “Cos’è l’adozione, perché i genitori adottano, chi sono i bambini adottati…” Ogni incontro affronta una tematica diversa e su di essa sono svolti lavori spesso in sottogruppo o anche individuali, finalizzati allo scioglimento di tutti i quesiti che hanno i partecipanti. La cadenza è mensile. Gli strumenti utilizzati sono cartelloni, film, disegni, giochi e altro. Le tematiche vanno ad analizzare l’adozione nelle sue sfaccettature e rispondono alle tante domande che affollano la mente dei bambini adottivi. Le età del gruppo sono omogenee così da favorire l’uso di strumenti che siano compatibili e fruibili da tutti i bambini. Permette di rivisitare il passato per rivederlo con occhi più adulti e rielaborarlo... Gruppi di adolescenti L’adolescenza rappresenta un momento delicato ed intenso in cui le tante tematiche del passato riemergono. I ragazzi si Gruppo di genitori con adolescenti L’adolescenza è un momento di vita molto importante, in cui i ragazzi si guardano intimamente, in tutte le pieghe del presente SHANTHI Gruppi di bambini primogeniti Accanto al gruppo dei genitori in attesa del secondo figlio, si strutturano anche i gruppi dei bambini in attesa di un fratello o sorella. Spesso si tratta di figli naturali che devono comprendere bene il percorso dell’adozione e altre volte di figli adottivi che vedono riemergere quesiti anche appartenenti alla loro vita. Il gruppo affronta il percorso dell’adozione, aiuta i bambini a fare emergere le fantasie ed i desideri, ma anche a condividere le tante paure che affollano la mente. Si tratta di un percorso chiuso e strutturato, a cadenza mensile. Gli strumenti utilizzati sono cartelloni, film, disegni, giochi e altro. Le età del gruppo sono omogenee così da favorire l’uso di strumenti che siano compatibili e fruibili da tutti i bambini. confrontano con ciò che è stato, anche per potersi nuovamente ricostruire e per proiettarsi nel futuro. Riemergono le immagini dei genitori naturali, dei fratelli lasciati nel Paese d’origine e di chi ha fatto parte della loro vita. Il passato diviene una forte fonte di pensiero a cui la famiglia adottiva deve affiancarsi. Nel processo identificativo sorge la domanda del: “a chi assomiglio?”. Spesso il vissuto adolescenziale è di non potersi raffrontare con l’esterno e di non essere capiti dai genitori e dai pari. Doloroso e frequente è l’essere confusi con gli stranieri e con la percezione di avere perso l’occhio benevolo dell’estraneo che era loro garantito da piccoli. Evidente è l’articolato e lungo processo identificativo e di crescita. Il gruppo permette ai ragazzi attraverso una continuità di confrontarsi con tutte queste tematiche. Permette di rivisitare il passato per rivederlo con occhi più adulti e rielaborarlo dando una rilettura che sia costruttiva e riparatoria. Il contesto di gruppo prevede la partecipazione di 10 ragazzi con età omogenee, è semistrutturato e vede l’utilizzo di attivazioni specifiche che hanno la finalità di aiutare i componenti a sviluppare i vari temi. Gli strumenti sono scritti, disegni, cartelloni, film e canzoni; i lavori sono svolti in sottogruppo, in coppia o individualmente. Gli incontri sono a cadenza mensile e la durata del percorso è variabile in base alle necessità dei partecipanti. 9 SHANTHI 10 e del passato, per lanciarsi nella vita adulta. Riguardare il passato significa sconvolgere nuovamente un equilibrio, magari assunto con una certa fatica e in molti casi raggiunto da poco tempo. È il periodo di vita in cui le diverse capacità cognitive e riflessive portano a valutare in maniera molto differente argomenti già trattati, che sembravano archiviati. Ritorna il passato ed è esplorato con tanti nuovi strumenti, spesso poco conosciuti o meno conosciuti dai genitori. È il periodo in cui si orienta l’identità e si attuano le prime scelte affettive e di coppia, che non sempre sono allineate con le aspettative di mamma e papà. Può essere un periodo complicatissimo, con evidenti problemi di comportamento difficili da fronteggiare, ma che rappresentano il dolore e la confusione dell’adolescente. Crescere è per loro spesso molto faticoso perché si tratta di fare i conti con le figure genitoriali del passato e con quelle del presente, che spesso si sovrappongono, alla ricerca di un possibile equilibrio interno che gli permetta di “separarsi/individuarsi”. Proprio per le tante storie che giungono in AMI, abbiamo pensato ad una serie di incontri rivolti ai genitori sull’adolescenza e su come si unisce alla tematica adottiva, nella consapevolezza che possa assumere dei connotati e delle valenze molto diverse nei ragazzi che hanno alle spalle una vicenda fatta di eventi dolorosi. Le tematiche trattate riguardano: "Adolescenza e adozione, Il ritorno del passato e le figu- re d’origine, Internet come finestra sul passato, L’identità, I disturbi del comportamento in adolescenza, L’uso delle sostanze e i comportamenti devianti." La metodologia prevede momenti di lavoro insieme e di attivazione del gruppo e l’utilizzo di testimonianze. Alcuni argomenti vengono trattati attraverso la voce diretta degli adolescenti che si raccontano al gruppo di genitori, generando uno scambio fertile e preziosissimo per entrambe le parti. Adottare significa portare a casa il dolore, condividerlo e curarlo... Gruppo trauma Il lungo lavoro svolto sino ad ora con i bambini adottivi ha permesso di vedere come gli stessi siano, in maniera maggiore o minore, sempre portatori di eventi dolorosi e spaventosi che emotivamente divengono traumatici. La stessa adozione, per ciò che propone, tra cui l’ingresso in una famiglia con la presenza di una mamma e di un papà, è riattivatrice di grandi paure. I genitori adottivi necessariamente devono pensare al proprio ruolo anche con una connotazione di tipo curativo e riparativo. La famiglia adottiva si assume il compito di aiutare i bambini a sconfiggere i mostri che popolano la loro mente e che a volte Gruppi paralleli Sono gruppi nati dall’esigenza di tenere i bambini impegnati mentre i genitori partecipavano agli incontri. Da questo servizio di “babysitting”, si è pensato che fosse prezioso trasformare questo spazio in un momento osservativo e di lavoro con i bambini, attraverso modalità semplici come il gioco libero, la merenda e a volte attività strutturate. ... trasformare questo spazio in un momento osservativo e di lavoro con i bambini... Nel tempo abbiamo via via proposto attività sempre più specifiche rispetto ai bisogni emergenti dalle famiglie partecipanti e agli obiettivi che ci proponevamo. La peculiarità di questi gruppi paralleli strutturati su tematiche consiste nel fatto che una stessa tematica venga sviluppata parallelamente e con linguaggi e attività differenti nel gruppo dei bambini e in quello dei genitori, in modo che i diversi membri della famiglia siano sollecitati a lavorare sulla stessa tematica anche nel tempo tra un incontro e l’altro. Al termine di questi incontri viene proposto ai genitori, talvolta in un setting gruppale, talvolta come spazio alla singola coppia, un momento di restituzione in cui si espongono le osservazioni e il lavoro svolto nel percorso con i bambini. SHANTHI sconfinano le barriere del sogno e sembrano volare e camminare in casa come dati di realtà. Adottare significa portare a casa il dolore, condividerlo e curarlo. Talvolta i bambini possono sollecitare aspetti traumatici legati alla storia dei genitori adottivi, e bisogna averne consapevolezza e sapere come intervenire. Al fine di approfondire maggiormente questi argomenti, abbiamo pensato a un ciclo di incontri rivolto ai genitori in cui affrontare in maniera approfondita tutta la tematica legata al trauma dei bambini. Gli argomenti trattati riguardano: "Cos’è un trauma e come si presenta, La riattivazione del passato, Le figure genitoriali passate, La cura del trauma, Cosa vuole dire essere genitori di bambini traumatizzati, Cosa significa per dei genitori adottivi vivere la storia traumatica, La presenza di aspetti traumatici nella storia dei genitori." La metodologia prevede momenti di lavoro insieme e di attivazione del gruppo con l’utilizzo di testimonianze. Sono stati coinvolti professionisti esterni ad AMI, provenienti dai servizi del territorio specializzati sulle adozioni e sulla gestione del trauma nel minore e nell’adulto utilizzando anche casi clinici per comprendere più a fondo la tematica. 11 SPECIALE AMI V SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO E NETO Tracce, ricordi, fantasie: la rielaborazione della storia Un laboratorio tematico per leggere nei comportamenti e nelle parole dei bambini tracce della loro storia. Per aiutare i nostri bambini a ricordare, raccontare, integrare. Questo è un esempio di laboratorio proposto in diverse edizioni, sia nella sede di Limena di AMI, sia, grazie alla collaborazione con le équipe per le adozioni delle province prevista dal protocollo veneto, nei territori di Vicenza e Thiene (VI). “Tracce, ricordi, fantasie” ha come tema principale la memoria e la ricostruzione della storia. Il laboratorio è stato sviluppato come un ciclo di due o tre incontri di gruppo, accompagnati da due psicologhe di AMI (anche nel caso della collaborazione con i Servizi, questo laboratorio è stato gestito da AMI). Queste sono le tematiche fondamentali che sono state affrontate: il funzionamento delle diverse “memorie”, la memoria autobiografica del bambino della propria storia, il processo relazionale di co-costruzione della storia da parte dei genitori adottivi, i rapporti tra memoria, narrazione, identità, e infine il tema della ricerca del bambino delle proprie origini, del proprio passato, talvolta sconosciuto e talvolta composto da nomi, volti del contesto originario. SHANTHI Dov’eri tu quando mi hanno fatto questo? 12 La metodologia proposta affiancava una parte più informativo/teorica da parte dei conduttori a testimonianze, condivisione di esperienze, visione di filmati, lavori esperienziali e attività in piccoli gruppi. Molto spesso i bambini adottati nella primissima infanzia hanno storie caratterizzate da un vuoto, dato dalla mancanza di ricordi pensabili ed espliciti, o causato dalla rimozione delle memorie delle esperienze traumatiche, come tentativo estremo di mantenere una sorta di equilibrio interno. Questo vuoto, conosciuto o non, deve essere colmato per dare un senso all’esistenza. I genitori vengono aiutati a ricostruire le ipotetiche tappe della storia del bambino, senza raccontare bugie, pensando a ciò che possono aver vissuto e alle competenze che possono aver appreso. Per il bambino non sapere cosa ha vissuto costituisce un limbo in cui la sofferenza non ha spiegazioni, né cause specifiche; sorgono in lui domande riguardo al proprio passato, alle proprie difficoltà. Anche quando è consapevole della propria storia conserva domande dolorose come “Dov’eri tu quando mi hanno fatto questo?”, a cui i genitori non possono non dare risposta. Allora cerchiamo di aiutare i genitori ad attivare la funzione pensante che rende più tollerabile il vissuto doloroso del bambino. I genitori devono far capire al bambino che, mentre viveva quei momenti di difficoltà o solitudine nell’istituto, aveva già una mamma e un papà adottivi che lo desideravano fortemente. Queste informazioni rendono il bambino più forte e fanno nascere in lui un senso di accoglimento, necessario per lo sviluppo dell’autostima. Il lavoro partiva da una discussione comune sulla destrutturazione di alcuni falsi miti e luoghi comuni su cui spesso si basano teorie inesatte. Per esempio è idea comune che sotto i tre anni non ci sia memoria, ma ricerche ci dicono come in realtà fin dalla vita uterina vengono immagazzinate memorie sensoriali, per cui anche le esperienze di separazione alla nascita hanno una rilevanza nella vita relazionale del bambino. Largo spazio viene dato all’importanza di queste tracce mnestiche, che fanno parte spesso non della memoria esplicita, ma di memorie procedurali, sensoriali, relazionali che il bambino porta con sé e attraverso sé, ma che è una memoria pre-verbale. Un altro falso mito riguarda il fatto che spesso si ritiene che più piccolo è il bambino, al momento dell’adozione, meno il suo passato avrà un peso. Se da una parte è vero che un bambino adottato da piccolo è stato meno esposto a fattori di rischio (denutrizione, maltrattamento, abbandono, abuso…), è anche vero che più il bambino è piccolo, meno è in grado di elaborare sotto forma di pensiero quanto accaduto, di dare un senso e una narrabilità alla propria esperienza. Secondo la comunità scientifica, infatti, la funzione cognitiva del pensiero è fondamentale per l’elaborazione dell’evento traumatico e di conseguenza per il raggiungimento del benessere. Un’altra convinzione è che sia bene aspettare il momento giusto per affrontare l’argomento “adozione” con il bambino. L’attuale tendenza, supportata da evidenze, prevede di cercare di trasmettere fin da subito, attraverso fiabe e racconti, il messaggio in modo tale da fare in modo che nel mondo rappresentazionale del bambino ci sia sempre stata coscienza della propria identità e che non ci sia una rottura tra un prima e un dopo in cui si è venuti a conoscenza della propria storia. In alcuni casi, inoltre, i genitori ritengono opportuno aspettare che sia il bambino a fare domande riguardo alle proprie origini. Diverse testimonianze ci confermano come il bambino porti con sé molte domande sulla propria storia e come spesso sia lui stesso ad attendere che il genitore sia pronto ad affrontare l’argomento, sentendosi in colpa al pensiero di poter ferire il genitore, come se parlare di adozione, volere delle risposte sui perché della propria storia, volesse dire in qualche modo tradire i genitori adottivi. Il bambino dunque necessita di una persona che lo possa aiutare a tirare fuori le domande che lo pervadono e che lo bloccano nel processo di identificazione, e che con delicatezza lo aiuti ad integrare le memorie di un passato difficile da digerire con la propria vita attuale. ... quello che i bambini vogliono sapere è “perché”, e “perché proprio a me”, e questo nei documenti non c’è scritto… Infine una credenza diffusa consiste nell’idea che più informazioni si hanno, più il trauma sia facile da superare. L’esperienza ci dimostra come, se da una parte è vero che avere dei ricordi, delle informazioni sulla propria storia sia importante, dall’altra a volte i genitori hanno delle informazioni difficilmente raccontabili ai bambini e quindi difficili da gestire. A prescindere dalla presenza di informazioni o meno, inoltre, quello che i bambini vogliono sapere è “perché”, e “perché proprio a me”, e questo nei documenti non c’è scritto… Al lavoro sui falsi miti, che di solito stimola un’accesa discussione tra le coppie, succede un momento di approfondimento sul funzionamento della memoria e delle memorie. Essendo prevalentemente frequentato da genitori di bambini arrivati da piccoli in adozione, grande spazio viene dato alle memorie implicite e procedurali, che si manifestano attraverso atteggiamenti, modalità di entrare in relazione con gli al- SHANTHI 13 SHANTHI 14 tri, gesti, preferenze, paure, la rappresentazione di concetti e le competenze che il bambino ha acquisito. Attraverso il modo in cui il bambino si relaziona con la madre adottiva o con gli amici, si può comprendere il vissuto dimenticato e i modelli di attaccamento sviluppati nei primi mesi di vita. Aiutare il bambino a ricomporre le memorie dalle tracce che emergono dal proprio modo di essere è importantissimo per sostenerlo nel difficoltoso processo di individuazione e costruzione della sua identità. Proponiamo, per sperimentare anche in presa diretta situazioni, emozioni, vissuti, delle scenette che aiutano i genitori a immedesimarsi nei diversi personaggi portatori di bisogni, emozioni, vissuti differenti. Grande spazio veniva dato, nella prima parte del laboratorio, all’elaborazione della storia del bambino e dell’adozione da parte degli stessi genitori adottivi. Per costruire una storia comune, per essere di supporto e riparativi per i loro figli, i genitori devono essere loro per primi ad aver elaborato e digerito la storia del figlio. Per aiutare i genitori in questo processo, invitiamo i genitori a scrivere a casa una lettera alla madre o ai genitori biologici del proprio figlio. Nell’incontro successivo viene data la possibilità di leggere i lavori: è un momento di grande intensità emotiva, e attraverso la condivisione e la ricchezza gruppale, emergono i diversi vissuti, spesso presenti contemporaneamente nei singoli genitori. Lettere che esprimono gratitudine per aver messo al mondo un figlio e aver dato la possibilità a loro di diventare genitori; lettere arrabbiate per quanto il figlio ha dovuto subire, a causa di un’incapacità genitoriale; lettere “informative”, in cui si chiede poco e si racconta molto che spesso celano la consapevolezza di aver “tolto” qualcosa o la paura di aver “rubato” qualcosa di estremamente prezioso. È a partire dalla condivisione dei diversi punti di vista che per il singolo genitore è possibile accedere a diverse dimensioni del suo approcciarsi alla storia adottiva e ai genitori biologici. La seconda parte dell’attività di laboratorio ha l’obiettivo di fornire sia delle chiavi ... il bambino attraverso i giochi che propone spesso “parla” della sua storia. di lettura che degli strumenti per lavorare sulla storia con il bambino. Si parla di gioco, disegno, costruzione di favole, di scatole dei ricordi, di apertura interculturale, di narrazioni comuni, dell’utilizzo di Internet. In questa fase vengono portati esempi di lavori svolti da altre famiglie o anche in ambito di percorsi psicoterapici. I genitori pensano ai bisogni specifici dei loro figli e trovano, da soli, a coppie o in piccolo gruppo delle modalità creative per evolvere in questo processo. Quello che vogliamo fare passare è che il bambino attraverso i giochi che propone spesso “parla” della sua storia: parla della sua storia quando, anche grandicello, si nasconde sotto la gonna della mamma e vuole giocare “a nascere”, parla della sua storia quando vuole far finta di uscire da un guscio, e vuole ripetere il gioco ogni giorno. Parla di necessità e tentativi di integrazione una bambina che in ogni suo disegno inseriva ponti o arcobaleni, come a voler rappresentare sempre un elemento che univa delle parti. In modo più esplicito, dicono molto della loro rappresentazione di famiglia bambini che inseriscono nei loro “disegni della famiglia” fratelli che appartengono alla loro vita precedente l’adozione. Parlano di identità e appartenenza i ragazzi che si iscrivono su facebook con il proprio nome e cognome originari. Durante il percorso, i genitori vengono aiutati a far fronte a questo tortuoso, ma ricco e intenso, processo di integrazione e costruzione di un’identità, guidati dagli operatori e dagli altri genitori nel compiere quei piccoli passi lungo la tortuosa strada verso la ricerca della storia del bambino. Noi siamo la nostra memoria, noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti, questo mucchio di specchi rotti. (Jorge Luis Borges) SPECIALE SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO Quanti cuccioli possono stare nella sacca di un koala? Certo più di uno, se hanno seguito i gruppi di sostegno di AMI, creati apposta per quelle famiglie formate non solo da due genitori, ma anche da un (futuro) fratello o sorella! Nel 2013 nasce il “Gruppo Koala”, un gruppo parallelo di sostegno per famiglie in attesa di seconda adozione e famiglie in attesa di prima adozione con figli biologici. AMI ha ascoltato il bisogno espresso dagli stessi genitori rispetto all’importanza di un percorso di accompagnamento e di elaborazione che fosse pensato non solo per le coppie ma anche per i bambini, in attesa del fratello o della sorella adottiva. L’attesa del fratello per i bambini adottivi e biologici, e l’attesa del secondo figlio per i loro rispettivi genitori, rappresentava lo sfondo esperienziale comune su cui impostare un lavoro di approfondimento ed elaborazione dei vissuti relativi a questo particolare momento del percorso adottivo. AMI V Aspettando il secondo figlio... Aspettando mio fratello... E NETO Il dispositivo del gruppo, molto spesso utilizzato da AMI nel lavoro con le famiglie adottive, è stato in questo specifico caso pensato per i bambini come strumento funzionale all’attivazione di dinamiche caratteristiche delle relazioni tra fratelli. Il gruppo dei pari quindi ha rappresentato una doppia risorsa per il lavoro con i bambini, rendendo possibile un’elaborazione dei vissuti a partire sia dai contenuti espressi individualmente sia dalle dinamiche emergenti dalle relazioni tra bambini. ... dare voce e condividere le proprie esperienze...” SHANTHI 15 SHANTHI simili o uguali per il gruppo dei bambini e per quello dei genitori (drammatizzazioni, narrazioni, lavori di gruppo, rappresentazioni grafiche ecc.) con l’obiettivo di favorire l’attivazione di un lavoro di elaborazione condiviso tra genitori e figli che potesse andare avanti anche autonomamente a incontro concluso. 16 Nel primo ciclo di incontri proposto alle famiglie di AMI sono stati realizzati sei incontri di gruppo, quattro dei quali paralleli con genitori e bambini e due rivolti solo ai genitori (uno iniziale di apertura e uno finale di restituzione del percorso). Ogni incontro è stato pensato e organizzato con un’elevata strutturazione attraverso cui favorire l’attivazione dei bambini e dei genitori su una specifica area tematica. I temi principali sui quali genitori e bambini, parallelamente ma in stanze diverse, hanno lavorato sono stati “il bambino in arrivo”, “il viaggio”, “l’accoglienza” e “i nuovi equilibri familiari”. A ogni incontro parallelo, gli operatori proponevano un approfondimento su una di queste tematiche attraverso attivazioni La possibilità di dare voce e condividere le proprie esperienze è stata occasione di arricchimento e di ulteriore possibilità trasformativa I gruppi hanno approfondito le tematiche di questa particolare attesa adottiva attraverso un lavoro impostato prevalentemente sull’immaginario, che per i bambini adottivi ha comportato anche una riattivazione di vissuti legati alla propria adozione. La possibilità di dare voce e condividere le proprie esperienze è stata occasione di arricchimento e di ulteriore possibilità trasformativa sia nel gruppo dei genitori (costituito da coppie che avevano già vissuto l’esperienza della prima adozione e da coppie che invece la affrontavano per la prima volta), sia nel gruppo dei bambini, dove i bambini adottivi, ripercorrendo momenti della loro storia, hanno potuto trasferire ai bambini biologici aspetti importanti per prepararli ad accogliere il nuovo fratello o sorella. Su richiesta delle famiglie partecipanti, il gruppo è stato esteso a un altro ciclo di incontri, in cui, mantenendo la stessa metodologia, sono state ulteriormente approfondite alcune specifiche aree dell’attesa del secondo figlio/fratello adottivo. Lo stesso progetto è stato successivamente realizzato nell’ambito dei P.T.V.A. (“Progetti Territoriali Veneto Adozione) in collaborazione con l’ULSS di Thiene (Vicenza). Un lavoro di ricerca che segue, in parallelo, genitori adottivi e figli in età scolare, per individuare criticità e alleanze possibili e creare un percorso comune. All’interno del sostegno post-adottivo offerto da AMI vengono attivati incontri di sostegno alla neo-famiglia (corso post-adozione), in cui i genitori si riuniscono con cadenza mensile. Questi incontri hanno lo scopo di accompagnare il nucleo famigliare che muove i suoi primi passi nell’accoglienza del figlio, favorendo il confronto e lo scambio di esperienze tra genitori adottivi nelle diverse fasi dell’inserimento del bambino all’interno della famiglia e nell’ambiente sociale circostante. Negli anni 2013-2014 e 2014-2015 si sono svolti due cicli di incontri per famiglie adottive. Il progetto prevedeva la formazione di due gruppi, uno per i genitori e uno per i bambini di età scolare, protagonisti di sette incontri per ogni ciclo, con cadenza mensile, della durata di due ore ciascuno. Gli incontri si sono svolti in modo parallelo, entrambi i gruppi sono stati guidati in un percorso comune, ma con modalità di attuazione differenti nel caso si trattasse degli adulti o dei bambini. Le famiglie coinvolte sono state dieci per il primo anno e sei per il secondo (si trat- SPECIALE SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO AMI V Incontri paralleli per genitori adottivi e figli E NETO tava delle stesse famiglie). I bambini avevano un’età compresa tra i 7 e i 12 anni al momento dell’inizio del primo ciclo, con un’eccezione di un ragazzo di 14 anni che fungeva da “tutor” e ricopriva un ruolo intermedio tra il gruppo dei bambini e quello degli operatori coinvolti. Si trattava di bambini adottati “da grandi” (eccetto due bambini, l’età al momento dell’adozione compresa tra i 7 e i 10 anni). I Paesi di provenienza di questi bambini erano Brasile, Colombia, Etiopia, India. I gruppi erano guidati da due psicologhe dell’Ente. Le figure professionali coinvolte sono state sei: due psicologhe dell’Ente (responsabili rispettivamente della conduzione l’una del gruppo degli adulti, l’altra di quello dei bambini), quattro tirocinanti psicologhe. Mensilmente, era previsto un momento di lavoro di equipe per tutti gli operatori coinvolti. All’interno di questo momento veniva messo a tema ciò che era emerso dai gruppi nell’incontro precedente e, sulla base degli aspetti rilevanti riscontrati e alle tematiche emerse, veniva pensato l’incontro successivo. SHANTHI 17 SHANTHI ... il percorso da seguire, guidato dalle psicologhe, veniva dettato dal bisogno personale. 18 Il punto di origine da cui si snoda e prende forma ogni ciclo di incontri è rappresentato dai bisogni delle famiglie che partecipano al gruppo. Non sono stati messi in atto programmi preimpostati, ma il percorso da seguire, guidato dalle psicologhe, veniva dettato dal bisogno personale, di cui sono portatori i genitori e i bambini. Per questo motivo in ogni primo incontro (pensato appositamente solo per i genitori) veniva lasciato spazio alle coppie per esprimere i propri bisogni, le preoccupazioni, le questioni che premevano maggiormente e che emergevano dalla quotidianità del loro rapportarsi con il figlio in quella particolare fase. Partendo dall’attenzione alle necessità presentate si è cercato di affrontare all’interno del lavoro in gruppo le questioni presentate. Al termine di ogni esperienza vi era un momento di restituzione in cui le psicologhe riportavano tutto ciò che di significativo era emerso nel percorso, suggerendo una lettura centrata sul significato sotteso alle esperienza riportata e osservata. In particolare si rendevano partecipi i genitori riguardo alle attività svolte con i bambini, soffermandosi sulle loro reazioni, modalità di interazione e su ciò che veniva da loro espresso attraverso le parole, i gesti, i comportamenti, le opposizioni. Il tutto veniva integrato alla luce delle peculiarità caratteristiche delle specifiche situazioni presenti, offrendo uno spunto di riflessione e una nuova prospettiva di sguardo, come aiuto al modo di rapportarsi con il figlio e al consolidamento del legame adottivo. Nello specifico, il filo conduttore del primo ciclo di incontri (2013-14) sono state le emozioni dei bambini rispetto ai loro vissuti. Inoltre si è cercato di far emergere come le paure dei bambini riguardo al passato si riversino sulla vita familiare presente e come queste vengano affrontate, accolte, comprese o non dai genitori, in relazione alle paure che a loro volta hanno caratterizzato la loro infanzia e il loro passato. Le questioni e le preoccupazioni emerse dai genitori sono state: • la difficoltà del bambino a esprimersi riguardo alla propria storia e una passività emotiva nei confronti di questa, quasi come se vi fosse uno scollamento tra il vissuto di natura traumatica subito dal bambino e i sentimenti manifestati in relazione a questo; • il forte bisogno del bambino di esclusività nel rapporto con i genitori, soprattutto nei confronti della madre che si manifesta in alcuni nella ricerca di un forte contatto fisico in altri in atteggiamenti di gelosia e possessività, in altri ancora nella ricerca continua di approvazione; • la paura del buio e la difficoltà del bambino nel momento dell’addormentamento; • la difficoltà negli spostamenti e a lasciare la propria casa. Con quel gesto F. voleva riprendere in mano la sua infanzia. Le preoccupazioni dei genitori riguardano anche alcuni comportamenti di regressione manifestati, comunemente riscontrati nei bambini adottati, come il voler dormire con il dito in bocca o il voler salire su una giostra per bambini piccoli. Attraverso la condivisione in gruppo di questi atteggiamenti dei figli, ne emerge la loro vera importanza, come sottolinea una mamma: “I momenti di regressione sono importanti. Infatti, nonostante mio figlio abbia 14 anni, il nostro rapporto di madre e di figlio ha solo 5 anni!”. Oppure, un’altra, giudicando il comportamento del figlio, spiega che “Con quel gesto F. voleva riprendere in mano la sua infanzia”. I genitori sono stati guidati nel prendere consapevolezza delle proprie paure e tristezze frutto del loro passato e della loro infanzia cercando di sottolineare l’importanza del tenerle presente nell’affrontare le paure del figlio; come afferma una mamma adottiva del gruppo “Il confronto è un po’ tra le paure del bambino e le nostre paure. Io riconosco che la paura di E. è una paura vera, che si scontra con quella del padre”. Le paure dei bambini si scontrano con quelle dei genitori che spesso si ritrovano a sfuggire, sviando le domande, le questioni dolorose del figlio, che emergono nei modi e nei momenti più inaspettati, suscitati da aspetti anche insignificanti della quotidianità ma che hanno il potere di far riaffiorare frammenti di ricordi indeboliti, ma sempre presenti nel bambino. Una delle fatiche più grandi da affrontare da parte dei genitori è che i loro figli siano nati da un’altra mamma, che esista una Anche i bambini attraverso molteplici attività di gioco, immedesimazioni e la visione di un breve filmato tratto da il film “La gabbianella e il gatto” sono stati sollecitati a confrontarsi con le proprie emozioni riguardo: al fatto di essere stati adottati, al momento dell'incontro con i genitori, a ciò che ricordano con piacere e a ciò che invece rimpiangono. A tal proposito uno dei momenti centrali nel corso degli incontri è stata la composizione di un vademecum per futuri genitori adottivi, in cui sono stati raccolti tutti i consigli, le raccomandazioni, i suggerimenti proposti dai bambini, sulla base della loro esperienza, per favorire un buon incontro con il futuro figlio. Precedentemente, i bambini erano stati invitati a riflettere sul momento del loro primo incontro con i loro genitori adottivi e a raccontare la loro esperienza. In questo modo si è cercato di far affiorare ciò che di importante avrebbero voluto comunicare agli altri genitori proprio a partire dal recupero del proprio vissuto. Alcuni bambini si sono mostrati entusiasti nel raccontare il loro incontro: “Mi ricordo che mia mamma mi parlava in spagnolo, mio papà mi parlava in italiano e io lo capivo, non so come, ma lo capivo”; “È stato un momento felice! I miei genitori mi hanno portato un pallone SHANTHI mamma che ha generato e al contempo che ha abbandonato. Per accompagnare il bambino nell’affrontare questa dicotomia che li caratterizza, i genitori adottivi per primi sono chiamati ad affrontare i propri sentimenti nei confronti della storia dolorosa del loro bambino cercando per primi di comprendere e perdonare. Come aiuto a tale riflessione sono stati invitati a scrivere una lettera alla madre naturale in cui poter esprimere ciò che vorrebbero farle sapere. Nelle lettere c’è qualcosa che le accomuna tutte, nonostante la molteplicità delle esperienze vissute. C’è il fatto che la madre biologica è presente nella mente e nei pensieri dei genitori adottivi e che la porteranno sempre con loro, come i loro bambini, c’è il desiderio di una vita migliore per il figlio adottato, c’è un po’ di rabbia mista a comprensione e in qualche caso anche gratitudine verso la madre per aver fatto ciò che le era possibile per il loro bambino, nessuno si sente di giudicare. 19 SHANTHI e un gioco”; “Li ho incontrati e ho detto ciao”. Da questa attività sono emersi dei preziosi consigli (hanno suggerito infatti di “portare un regalo”, “i genitori adottivi devono prediligere il gioco” e “non dare l’impressione di essere troppo serio” o di non essere dei buoni contenitori per le emozioni dei bambini “e soprattutto... piano con le emozioni”), ma soprattutto sono emersi i bambini in tutta la loro persona, con tutto il loro bisogno di essere accolti, ma anche di non dimenticare la loro storia, la loro appartenenza originaria, la loro diversità. Molti hanno suggerito infatti l’importanza di ritornare a salutare e di fare un viaggio di ritorno nel Paese originario “Bisogna portare il bambino a vedere il proprio Paese prima di andarsene per ricordarlo e tenerlo sempre in mente”; “Fare una festa di saluto per il Paese di origine” o ancora “Dare la possibilità di ritornare nel Paese di origine 1 o 2 anni dopo”. 20 Nel secondo ciclo di incontri (2014/15) il fil rouge dell’esperienza è stato una riflessione sui diritti dei bambini; in particolare i genitori hanno espresso il desiderio di mettere a tema alcuni degli aspetti (quali il diritto al proprio nome, il diritto ad una famiglia…) in relazione alle esperienze dei figli adottivi, come aiuto nel prendere consapevolezza. In aiuto a ciò, come spunto iniziale per il percorso, è stata proposta la messa in scena dello spettacolo “Il re dei bambini”, sotto forma di lettura animata. Tale esperienza è stata particolarmente significativa soprattutto per i bambini. Attraverso i personaggi dello spettacolo, ognuno dei quali personificava un diritto fondamentale, questi ... non sono importanti gli errori che fai tu e quelli che fanno loro, tu per loro sei un tesoro... hanno avuto la possibilità di riconoscersi e immedesimarsi nei protagonisti, ripercorrendo e riflettendo sui propri vissuti personali. È stata proposta, in collegamento a questa tematica, la compilazione di una Carta di Identità. Questo compito aveva lo scopo di far mettere a fuoco al bambino alcuni aspetti riguardanti la propria personalità e il concetto di diritto fondamentale, facendoli riflettere sulla differenza tra il significato di diritto, desiderio, bisogno. Alla richiesta di esplicitare quale, per ognuno, fosse il diritto fondamentale da rispettare, le risposte sono state varie: dall’“andare a cavallo” a “lo studio e lo sport”, dal “giocare, dormire, mangiare, riposare” al “vivere e respirare” al “non obbligare un minorenne a lavorare e farlo giocare”. Un ulteriore momento in cui i bambini si sono sentiti molto sollecitati alla riflessione, è rappresentato dall’ascolto di alcune storie centrate su esperienze caratteristiche dei bambini adottati. In seguito alla lettura e alle domande poste dalla psicologa, i bambini hanno raccontato, in modo inaspettato, alcuni ricordi molto personali riguardanti il loro passato: “Anche io in Colombia facevo questa cosa. Lavoravo”, “Io aiutavo mia mamma a fare le acconciature perché era parrucchiera”, “Io mi alzavo alle 6 e preparavo colazione, pranzo e cena, poi al pomeriggio andavo a scuola, giocavo alle 11 di sera”. Da questa riflessione profonda, toccante, spontanea e vera, emersa dai bambini, è nata una lettera indirizzata a coloro che stanno per essere adottati. Ripensando e rivivendo la propria esperienza, i bambini hanno suggerito alcuni consigli ai futuri bambini adottati rassicurandoli su alcune paure che loro stessi hanno dovuto affrontare. “Cari bambini oggi vi diamo dei consigli così vi troverete bene e non avrete paura. Non dovete eccitarvi troppo, fate vedere i vostri interessi verso i vostri genitori, siate dolci, ma non troppo sennò farete brutta figura, se sbagliano a parlare correggeteli, mostrate affetto per entrambi ugualmente, non fate preferenze da subito, se non ti va bene qualcosa fidatevi di loro, non ti mangiano, tu hai il diritto di vivere tranquillo anche se i tuoi genitori sbagliano non tacere, diglielo e porta pazienza, non ti preoccupare tutti e due ti vogliono bene ma tu puoi sempre aiutarli, non sono importanti gli errori che fai tu e quelli che fanno loro, tu per loro sei un tesoro e anche loro lo dovranno essere per te non aver paura di essere adottato/a, è bello, cambia la tua vita in meglio”. “Cari bambini, non abbiate paura, non mettete il rossetto perché se baciate i papà li sporcate, non piangete, siate felici, non emozionatevi troppo, cercate di capire il prima possibile cosa vogliono da voi” ... i bambini sentono la necessità di piacere e compiacere, con il rischio di trascurare o nascondere parti importanti del sé Questi ed altri esempi ci dicono come i bambini, nonostante si lavori con loro e con i loro genitori, ancora sentano la necessità di piacere e compiacere con il rischio di trascurare o nascondere parti importanti del sé. Il lavoro sarà ancora lungo, ma anche intenso e gratificante, come an- che per noi sono state queste esperienze. Ciò che appare interessante sottolineare, infine, è una riflessione emersa dai genitori stessi sull’importanza del ritrovarsi in gruppo come sostegno e supporto, soprattutto come luogo in cui potersi identificare con gli altri partecipanti (“Io mi sono resa conto di una cosa: noi qui ci troviamo parliamo e ci capiamo, fuori non è così…”). Questo prezioso momento di incontro permette di creare legami identificatori orizzontali, in luogo di quello verticale tipico dell’operatore, processo che rassicura e dona una maggiore fiducia nelle risorse proprie di ogni genitore. SHANTHI 21 SPECIALE SHANTHI BAR IA 22 M D AMI LO SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO Progetto SPA dei bambini Un progetto per favorire il "ben-essere" dei bambini. Grazie al consenso e alla grande generosità dei genitori del gruppo di bambini che ha partecipato a questo lavoro sull’autostima, pubblichiamo alcuni stralci del libretto che è stato costruito in un’avventura durata due giorni e che descriviamo brevemente qui sotto. Nell’estate del 2015 abbiamo proposto un progetto destinato a un piccolo gruppo di bambini che ha lavorato sul tema dell’autostima. È stato un bel cammino fatto di tante attività, ma di certo è stato complesso, poiché l’autostima è una delle parti più carenziate e meno riconosciute. Il gruppo ha molto lavorato per due giorni interi, si è messo in gioco con tante attivazioni belle, divertenti e impegnative. I bambini hanno mostrato una grande capacità di comprensione delle tematiche e hanno fatto grandi sforzi per poterle immagazzinare. Però le sollecitazioni volte al darsi valore non sono state tutte efficaci e hanno creato momenti di tensione, in cui in alcuni bambini è prevalso il desiderio di sfidare i contenuti, per confermare quanto poco fossero veri. È stato per tutti un lavoro molto complesso, in cui ciò che era proposto pareva sconosciuto o quanto meno poco noto e poco riportabile al sé. Il valore, la felicità, il sentirsi portatori di un tesoro e di cose belle sono elementi da costruire. I bambini portatori di storie complesse sono convinti di non valere nulla e di appartenere al “genere dei bambini cattivi”, ne consegue che queste attività possono porre un seme che poi nel tempo deve germogliare. Non è immediato il ritorno e l’efficacia del lavoro sull’autostima, ma è un inizio per riflettere su aspetti di vita molto importanti. “Essere felici” è un impegno personale tutto da creare. È stato così difficile credere alla parola autostima e al contenuto valoriale che riporta, che nel gruppo si sono verificati agiti anche forti, esplicitazione della difficoltà. Così nella tranquillità di un pomeriggio, apparentemente sereno, qualcuno ha rubato e sciupato delle cose, come a dire che quanto stavamo esprimendo non era assolutamente vero e che ci sarebbe voluto del tempo in più per poterci credere. Il progetto si è articolato in due giornate intere, una svolta all’interno della sede AMI a Buccinasco e l’altra all’esterno presso l’Oasi di Sant’Alessio in provincia di Pavia. Il primo giorno ha iniziato a mettere i germogli del “sono capace”, “sono bravo/a”, “ho fiducia”, “gli altri mi vogliono bene”… Il secondo giorno il gruppo ha dovuto sperimentarsi fuori dal contesto solito e conosciuto e avventurarsi in una gita in cui mettersi in gioco, utilizzando quanto appreso nella prima giornata. Al termine del cammino è stata fatta una riunione con i genitori, a cui è stato consegnato un libretto destinato ai bambini e finalizzato a riassumere tutto il cammino fatto insieme. L’obiettivo era anche che i bambini potessero rileggerlo e rivedersi nel lavoro importante che avevano svolto. Per questo sono state scattate numerose fotografie, a ricordo dei tanti momenti. SE PERDO UN PO’ DELLA MIA AUTOSTIMA PENSO E DICO COSE NON POSITIVE SU DI ME: SONO BRUTTO/A NON SONO CAPACE CHE BRUTTO DISEGNO NON MI VOGLIO BENE NESSUNO MI VUOLE BENE MI DEVO RICORDARE CHE QUESTI PENSIERI NON CORRISPONDONO ALLA REALTÀ NON SONO VERI!!!!! MA QUANDO MI PASSANO PER LA MENTE NON VA BENE PERCH É FACCIO TANTA E TANTA FATICA NELLE SITUAZIONI DI TUTTI I GIORNI. MI DEVO RICORDARE CHE SONO UNICO E SPECIALE UN GIOIELLO SHANTHI 23 UN BAMBINO È… Il gioco della sagoma SE IO FOSSI …. (tratto da “Se io fossi” edizioni Pon Pon) Il gioco del corpo libero che prov a nello spazio e si permette di sperimentare. ... se fossi un arcobaleno BRAVO SIMPATICO DIVERTENTE ALLEGRO GENEROSO GENTILE AMATO BELLO AFFETTUOSO PRECISO PREZIOSO TIMIDO SERIO CARINO STUPITO FELICE CORAGGIOSO Se fossi un pasticcino Se fossi un pupazzo di neve Se fossi un ragno Se fossi un uccellino Se fossi uno scoiattolo Se fossi un libro Se fossi un principe o una prin cipessa Se fossi una barchetta Se fossi un orologio Se fossi un ballerino o una ball erina Se fossi un albero Se fossi una nuvola Se fossi un cavallo Se fossi una volpe... SHANTHI Timido Coraggioso Allegro 24 Se io fossi me stesso L’OASI DI SANT’ALESSIO o... …. POTREI FARE tutto quello che fann ALLA SCOPERTA DI …. un arcobaleno, un pasticcino, un pupazzo un ragno, un uccellino, uno scoiattolo, di neve, un libro, hetta, un principe o una principessa, una barc un orologio, un ballerino o una ballerina, un albero, una nuvola, un cavallo, una volpe …. e anche MOLTO DI PIÙ, perché … IO SONO IO, FRAGILE E FORTE UNICO SPECIALE E MERAVIGLIOSO!!!!!!! Qui il gruppo si è sperimentato in un mondo nuovo e diverso, in cui ha dovuto mettere in gioco aspe tti legati alla fiducia, alla sicur ezza, alla gioia, alla collaborazione, allo stare con l’altro… allo stare bene! SHANTHI 25 nate? ro fatto insieme nelle due gior Cosa dire ai bambini del lavo vissuto? … e delle difficoltà che hanno I… O IMPORTANTI MA DIFFICIL QUANDO GLI ARGOMENTI SON IAMO PROVATO A GIOCARE CON NELLA PRIMA GIORNATA ABB BELLI, IAMO SCOPERTO CHE SONO ABB ARGOMENTI IMPORTANTI, ATO PLIC COM E CHE A VOLTE È MA ANCHE TANTO DIFFICILI I. VER O SIAN CHE E DER CRE TOSTIMA, DELLA FIDUCIA, DEL ABBIAMO PARLATO DELL’AU TRE CAPACITÀ. VOS LE DEL VOSTRO VALORE E RE ALLENARSI E FARLE DIVENTA ABBIAMO CAPITO CHE BISOGNA . VOI A LTE PAROLE DI TUTTI I GIORNI RIVO LE PAROLE VIETATE, A VOLTE IARE NON È POI COSÌ SEMPLICE LASC BRANO PROPRIO VERE. ARRIVANO SPONTANEE E SEM MONDO. CI SIAMO SPERIMENTATI NEL NELLA SECONDA GIORNATA A, SI È HA LASCIATO PER UN PO’ CAS UN GRUPPO DI BAMBINI CHE E HA EVA OSC CON NON CHE TO POS FATTO TRASPORTARE IN UN DI… CAMMINATO ALLA RICERCA CAMMINATO, CAMMINATO E E TANTE COSE BELLE. DI STARE BENE E DI SCOPRIR PRE FACILE, CI SONO STATE ANCHE QUI NON È STATO SEM DI RABBIA E ANCHE UN PO’ DI MALINCONIE, GELOSIE, UN PO’ AGITAZIONE. IA E TO CORAGGIO, CURIOSITÀ, GIO MA POCO, IL PIÙ È STATO TAN SIMPATIA. OASI DI SANT'ALESSIO SHANTHI Oasi di Sant’Alessio Castello di sant’Alessio Sant’Alessio con Vialone (PV) Tel. 0382-94139 26 L’Oasi è stata fondata nel 1973 a opera di Antonia e Harry Salamon ed è ospitata nel grande parco di un castello-fortezza del 1413 circa; è stato il primo centro italiano che ha creduto nell’allevamento per la reintroduzione delle specie a rischio nel loro ambiente naturale. La Cicogna bianca, il Cavaliere d’Italia, il Falco pellegrino, le Spatole europee sono alcune delle specie che l’Oasi ha riprodotto per poi liberarle nel loro ambiente. L’Oasi è aperta la pubblico e offre la possibilità di osservare gli animali inseriti in ambienti il più possibile simili a quelli naturali. L’attività laboratoriale CON-TATTO della durata di 1 ora permette ai ragazzi di avvicinarsi ad alcune specie animali potendole toccare e nutrire sotto la guida di un responsabile dell’Oasi. DA NO N PERDER E La scuola è spesso vissuta dai bambini e dai genitori adottivi come un vero e proprio... “banco” di prova. Per questo l’esperienza scolastica deve essere accompagnata dall’aiuto di specialisti in grado di leggere le reazioni di bambini e adulti e di limitare le paure e le... attese! Le ricerche sulle famiglie adottive, nonché l’evidenza desunta dall’esperienza clinica diretta, portano in primo piano i fattori protettivi decisivi per l’inserimento del bambino non solo nel contesto della famiglia nucleare, ma anche nel contesto allargato composto dalla parentela più estesa (nonni, zii e cugini), dalla scuola e dagli altri gruppi di cui il bambino farà parte. Storicamente l’attenzione è rivolta soprattutto alla coppia genitoriale in attesa, attraverso lo “studio di coppia”, poi alla famiglia intesa come famiglia nucleare. Negli ultimi anni si cerca di dare maggiore spazio anche all’inserimento del bambino nel contesto allargato: a partire dalla fase pre-adottiva i nonni e gli zii vengono coinvolti nei “sabati tematici” e in altri eventi formativi o di socializzazione organizzati dall’associazione stessa. Da tempo la nostra attenzione è rivolta anche all’ambiente scolastico. SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO E NETO il bambino che, spesso per la prima volta, entra in un contesto di apprendimento con una lingua diversa dalla sua, vive la separazione dalla famiglia adottiva, deve imparare a conoscere “regole” di un gioco che non conosce e a cui tutti quanti hanno già imparato a giocare. Spesso il primo inserimento a scuola o in strutture educative pone domande a cui il bambino non sa dare risposte, e che non osa chiedere ai genitori: “Dove stanno i miei genitori mentre io vado a scuola?”, “Mi torneranno a prendere?”, “Ma questo è un istituto?” (pensiero che spesso si propone quando il bambino più piccolo è inserito in una scuola dell’infanzia dove è previsto anche il riposino pomeridiano). Riporto una conversazione con un bambino di 7 anni, inserito da poco con orario ridotto in una prima elementare. Alla domanda “Mangi a scuola o torni a casa?” Lui risponde sottovoce (sebbene non fossero presenti i genitori in quel momento): “No, sai, ancora torno a casa per pranzo, mia mamma non è ancora pronta”. Il momento del distacco è regolato dalle emozioni di tutti i protagonisti, dalla fase che sta attraversando la famiglia nella sua globalità. Al bambino che si inserisce in età già scolare è richiesto un ulteriore sforzo: la lingua italiana, che viene acquisita a livello orale e colloquiale molto velocemente dal bambino adottato, è una sfida e un ulteriore ostacolo nella sua forma scritta e più formale. Il bambino, proprio a causa della sua storia, spesso si trova a fare fronte a numerose richieste nella prima fase di inserimento, fase in cui è prioritario per lui sentirsi accettato e confermato dai compagni, dagli insegnanti, dai genitori. Le forme in cui questo può manifestarsi sono molteplici e dipendono dall’interazione, dalla relazio- SHANTHI La scuola è considerata uno dei contesti d’elezione su cui lavorare, in quanto rappresenta per il bambino la prima grande occasione di socializzazione al di fuori della famiglia. Un luogo in cui entrano in gioco e spesso sono “messi sotto giudizio” molti elementi: la capacità di adattamento, autonomia, apprendimento, socializzazione del bambino stesso. I genitori adottivi vivono talvolta la riuscita scolastica come banco di prova della riuscita dell’adozione stessa, come una conferma di quel processo di legittimazione interiore del ruolo genitoriale. L’inserimento del bambino nella classe dei pari e il nuovo rapporto con gli insegnanti, è un momento delicato dell’esperienza della famiglia. È necessario che tutti (genitori, insegnanti, educatori dell’infanzia) siano preparati ad accogliere e a sostenere SPECIALE AMI V Il progetto adozione-scuola di AMI 27 ne, dalla storia del bambino con il contesto/con i diversi interlocutori. Il bambino si trova quindi a dover imparare una nuova lingua, acquisirla in maniera da rispondere alle attese dei programmi scolastici, dover apprendere le regole anche tacite di comportamento nel contesto scolastico (verso gli insegnanti e verso i pari), che non sempre coincidono con quelle apprese nei Paesi d’origine, e gestire emozioni contrastanti come il desiderio di compiacere, la nostalgia, la paura. A un bambino sempre distratto, che guardava fuori dalla finestra, era stata richiesta sempre maggiore attenzione. Veniva ripreso e rimproverato per questo. In un tempo successivo, quando un’insegnante di cui si fidava gli ha chiesto come mai guardasse sempre fuori dalla finestra, lui ha risposto: “Mi manca l’Africa”. Con una bambina che prendeva sempre il materiale degli altri e perdeva sempre il proprio è stato importante ricostruire che lei non aveva nulla di suo in istituto e nella famiglia di origine, non aveva introiettato il concetto di possesso e faceva fatica a sottostare alle tacite regole del nuovo contesto. ... fase in cui è prioritario per lui sentirsi accettato e confermato dai compagni, dagli insegnanti, dai genitori. SHANTHI Appare di fondamentale importanza poter lavorare perché al bambino sia data la possibilità di vivere il più serenamente possibile un’esperienza che, per lui, può essere 28 fonte di gratificazione, ricchezza, crescita, socializzazione. Bisogna ricercare nella storia del bambino i perché di un inserimento che può essere delicato e “speciale”, ma anche di grande crescita per il bambino e per il gruppo classe che può beneficiare di esperienze di apertura. Nonostante le ricerche sulla casistica delle problematiche dei bambini adottati sia alquanto sconfortante, la clinica ci insegna che a fianco di queste iniziali problematiche, molte volte col tempo si evidenziano capacità di recupero impensabili soprattutto se vi è un pensiero e un coordinamento tra i diversi contesti di vita del bambino. Il bambino adottato può presentare delle temporanee difficoltà di concentrazione, scarso rendimento scolastico e in parte un adattamento inadeguato. I legami di attaccamento e gli stili relazionali che da esso derivano, l’esperienza di eventi traumatici legati al vissuto di separazione e abbandono della propria famiglia d’origine, la possibile esistenza di danni biologici che possono in parte compromettere il funzionamento cerebrale, correlato alle competenze necessarie per l’apprendimento, e infine da fattori determinati dalla storia del bambino e dal nuovo contesto della famiglia adottiva. Lo stile di attaccamento di questi bambini è spesso insicuro, e le ricerche in questo settore hanno evidenziato come i bambini insicuri nella prima infanzia tendano, negli anni successivi fino alla scuola elementare, ad avere mediamente minori competenze sociali e relazionali, sia con i coetanei che con gli adulti, come anche una capacità di regolazione del proprio mondo affettivo ed emozionale meno efficace. Inoltre lo stile d’attaccamento di questi bambini può rappresentare un elemento d’ostacolo anche rispetto ad altri ambiti di sviluppo del bambino, quali lo sviluppo linguistico e cognitivo. Riguardo alle influenze dell’esperienza dell’abbandono si è rilevato che spesso i bambini adottati presentano risposte ansiose con bassa autostima di sé, rabbia e senso d’incertezza, con conseguenti difficoltà e disturbi delle capacità attentive e di concentrazione; nel contesto scolastico il bambino si definisce non in grado di svolgere il compito, è facilmente distraibile e di conseguenza possono manifestarsi difficoltà d’apprendimento, che generano risposte difensive di minimizzazione e inibizione del pensiero. Si tratta di bambini disinteressati, che non si pongono domande, non vogliono sapere... Questo atteggiamento si ripercuote in tutte le aree disciplinari influenzando il rendimento scolastico. Il cambiamento che il bambino vive arrivando nella famiglia adottiva è quasi sempre un fattore di stress e di riorganizzazione: il bimbo si trova infatti a dover ridefinire e ricostruire la sua vita quotidiana, dal momento in cui si deve relazionare con una nuova lingua, un nuovo contesto sociale con conseguenti diverse abitudini, regole di vita, cibi, usanze, clima, ma anche nuove amicizie e compagni di classe. Il bambino si può trovare a dover far fronte a un sovraccarico di compiti, non tutti facilmente assimilabili e che il più delle vol- te richiedono molto tempo ed attenzione. Spesso, inoltre, la nuova famiglia lo spinge ad accettare in maniera incondizionata la cultura “adottiva”, incentivando il senso di appartenenza a essa a scapito della conservazione delle sue origini e accentuando così la frattura tra la nuova vita del bambino e il suo passato. Il vissuto traumatico con il conseguente sviluppo, in alcuni casi, di disturbo post traumatico da stress, può alterare le funzioni mnemoniche e le capacità percettive dei bambini, con effetti a lungo termine sui processi basilari dello sviluppo. Infatti molto frequentemente i bambini adottati hanno vissuto situazioni stressanti che comprendono maltrattamenti anche gravi, violenza diretta o assistita, abusi, ma anche l’aver vissuto in contesti di guerra o guerriglia, degrado sociale. Questi fattori possono portare i bambini ad avere manifestazioni sintomatiche tipiche del disturbo post-traumatico da stress, le più frequenti delle quali sono: 1) I sintomi intrusivi, per cui in qualsiasi momento della giornata e in ogni cosa il bambino stia facendo può rivivere, attraverso flashback o ricordi, l’evento traumatico. Questo vissuto implica un marcato aumento dell’ansia in situazioni inusuali. 2) I comportamenti di evitamento e ripiegamento difensivo, in cui il bambino “stacca la spina” e interrompe ogni comunicazione con il mondo esterno. Questi atteggiamenti hanno effetti importanti sul tono dell’umore negativo, che si trasforma nella tendenza ad arrabbiarsi e a irritarsi con molta facilità, in atteggiamenti sfavorevoli per l’instaurarsi di relazioni sociali (soprattutto con i pari). SHANTHI 29 SHANTHI 3) L'aumento dello stato di vigilanza, causato dalla necessità, percepita dal bambino, di stare sempre all’erta nel timore che possano ripresentarsi delle situazioni negative già vissute. 30 Le ricadute di questi fattori sul vissuto a scuola sono variegati e talvolta difficilmente prevedibili: una bambina, che aveva vissuto nel Paese d’origine situazioni di guerriglia, è rimasta profondamente turbata dalla prova di evacuazione della scuola, imprevista (come sono in effetti le prove di evacuazione) e che lei aveva vissuto come reale e non verosimile. Incapace di dare un nome alla profonda angoscia che l’aveva scossa, quella bambina aveva passato le notti successive in uno stato di veglia e allerta impossibili da modificare. Le facoltà cognitive del bambino adottato possono essere influenzate da fattori ambientali che possono risultare dannosi e portare a un danno biologico, e sono riconducibili a: • cause prenatali, che fanno diretto riferimento a problematiche connesse alla madre, come l’assunzione di droghe, maltrattamenti subiti da questa, o psicopatologia genitoriale; • fattori perinatali, come una gravidanza e un parto difficili o nascita prematura; • cause post-natali, legate a infezioni e malnutrizione connesse a eventuale povertà e disorganizzazione familiare, o traumi, disturbi del metabolismo, legate ad un’interazione disfunzionale tra il neonato e la figura di riferimento che lo accudisce. Questi danni possono essere temporanei e lievi o al contrario, permanenti e arrivare a determinare un ritardo cognitivo che, nel caso dell’inserimento scolastico, prevede una certificazione e un insegnante di sostegno. Ovviamente alcune di queste situazioni si verificano più spesso, altre sono più rare, possono inoltre manifestarsi con diversa intensità e non solo nella prima fase dell’adozione, ma appare evidente come l’inserimento nel contesto scolastico richieda una cura, un’attenzione e una formazione particolare e sia necessario un pensiero sia prima che durante l’inserimento del bambino. Appare altresì necessario che l’inserimento a scuola e nei contesti educativi avvenga non nel primo periodo dell’inserimento in famiglia, dopo il rientro dal Paese d’origine, ma quando il bambino ha già cominciato a stabilizzarsi nella nuova realtà e a digerire quanto accaduto. Non sempre i genitori adottivi condividono questo punto di vista, a volte vi è il desiderio dei genitori di inserire il nuovo arrivato da subito nella scuola, così da renderlo il più velocemente possibile simile ai suoi coetanei. Il desiderio ben comprensibile di normalizzazione può però alle volte portare a fare delle scelte precipitose non sempre positive per una buona evoluzione del bambino nel nuovo contesto. A volte è il bambino, specialmente se lungamente istituzionalizzato, a voler essere inserito nei contesti educativi: spesso la scuola dell’infanzia o la scuola primaria, che vede numerosi bambini affiancati da poche figure adulte, richiama il vissuto dell’istituto, che alle volte, specie per i più grandi, può essere considerato un contesto “più facile” ed emotivamente meno pericoloso e nuovo. In questi casi è importante lavorare con i genitori per costruire insieme significati rispetto a quello che sta accadendo, nel tentativo anche di ridimensionare le aspettative sulla crescita e lo sviluppo del bambino, e aiutarli a considerare le difficoltà specifiche che caratterizzano la sua condizione. Anche nei casi in cui il bambino sia molto efficiente e preciso nelle performance scolastiche, è importante considerare il significato che questi atteggiamenti hanno per il bambino adottato, che talvolta si impegna per cercare di compiacere gli interlocutori, spesso con uno sforzo emotivo considerevole, soprattutto quando si trova ad affrontare inevitabili fallimenti ed errori. Il desiderio ben comprensibile di normalizzazione può però alle volte portare a fare delle scelte precipitose... Riteniamo quindi fondamentale lavorare per fare in modo che si diffonda una cultura dell’adozione nell’ambiente scolastico, sensibilizzando l’Istituzione scolastica e gli insegnanti alla complessità del tema e delle nuove composizioni familiari, col tentativo di creare una scuola dell’accoglienza, aperta alle diverse famiglie. Gli spazi di formazione e di consulenza riguardano sia le tematiche che caratterizzano l’inserimento del bambino nel contesto scolastico, sia la normativa, sia la didattica. Come AMI Veneto, in collaborazione con Veneto Adozione, abbiamo proposto interventi formativi rivolti alle scuole dell’Infanzia a cui hanno aderito molte educatrici. La scuola e l’inserimento scolastico del bambino adottato sono oggetto di approfondimento sia nel contesto dei “sabati tematici”, sia nel contesto di giornate laboratoriali. Ma è attraverso la consulenza di rete alle scuole, richiesta dalla singola famiglia in carico all’AMI e rivolta agli insegnanti in contatto con il bambino adottato, che maggiormente curiamo questo aspetto: il percorso consulenziale consta di tre incontri, un primo rivolto ai genitori per raccogliere informazioni rispetto all’inserimento del bambino a scuola, un secondo direttamente agli insegnanti nella scuola frequentata dal bambino e un terzo di restituzione ai genitori e di approfondimento rispetto a limiti SHANTHI Altro grande quesito che riguarda la fase dell’inserimento nel contesto scolastico consiste nella scelta della classe in cui inserire il bambino giunto in Italia dal suo Paese d’origine. Vi sono delle normative che stabiliscono che i bambini vadano inseriti nella classe corrispondente alla loro età o al massimo in una classe indietro rispetto all’età anagrafica. Questa scelta pone molti interrogativi alle famiglie, che si trovano a dover scegliere tra due alternative che portano con sé elementi di vantaggio e svantaggio. Anche in questo caso valutare bene, caso per caso, anche in relazione all’eventuale classe di accoglienza, dandosi un tempo per osservare e conoscere il bambino, vederlo crescere (spesso in maniera accelerata) durante i primi mesi, dà la possibilità alla coppia genitoriale, spesso supportata da operatori, di fare la scelta più adeguata alla situazione. La maturità complessiva del bambino, quindi, non deriva dalla sua alfabetizzazione né tanto meno esclusivamente dalle sue competenze in una lingua per lui straniera. Spesso la scuola, più abituata ad avere a che fare con casi di immigrazione anziché di adozione, non tiene conto del fatto che la non conoscenza di una lingua per lui straniera, non può costituire un criterio di giudizio negativo sulla crescita complessiva, le competenze e le capacità del bambino o del ragazzino. 31 Occorre stimolare un’osservazione sensibile... SHANTHI e risorse. 32 La consulenza si sviluppa in tre diverse fasi: una prima fase in cui si cerca di trasmettere, agli interlocutori che rappresentano l’istituzione scolastica, una cultura dell’adozione, sensibilizzando il dirigente scolastico (se presente) e gli insegnanti riguardo alla realtà delle adozioni, alle diversità che caratterizzano le culture straniere, alle richieste specifiche, alle storie che accompagnano questi bambini, alle motivazioni che li hanno portati all’adozione, per fornire nuove chiavi di lettura dei comportamenti dei bambini stessi. Si chiarisce quindi il ruolo dell’istituzione scolastica, dell’ente e dei servizi sociali nel processo di inserimento a scuola del bambino adottato. Successivamente, nella seconda fase, ci si concentra sul caso specifico del bambino, considerando la storia in generale, le difficoltà e le risorse specifiche di quel bambino in un’ottica di maggiore comprensione dello stesso. È anche un momento di raccolta di informazioni preziose riguardo a ciò che gli insegnanti vedono del relazionarsi del bambino in gruppo e con loro. Occorre stimolare un’osservazione sensibile per porre l’attenzione sugli atteggiamenti del bambino e comprenderne i significati. Infine il lavoro di formazione è volto a porre le basi per permettere agli insegnanti di adattare gli obiettivi didattici ai casi specifici senza modificare in maniera sostanziale i programmi, soprattutto per quanto riguarda quelle attività curricolari che normalmente possono essere sensibili per gli alunni adottivi, ne sono un esempio: la storia personale, lo studio dei gradi di parentela in italiano e nella lingua straniera, eventuali attività che riguardano il portare a scuola oggetti, foto relativi alla prima infanzia… Non si tratta di saltare queste attività, ma di adattarle in modo da dare a tutti i bambini la possibilità di esporsi quanto credono senza sentirsi diversi, ma piuttosto speciali. In alcuni casi di particolare problematicità, che comunque non rappresentano la maggioranza dei bambini adottivi, si concorda con gli insegnanti la possibilità di adottare con questi bambini la normativa BES (bisogni educativi speciali). L’esperienza pionieristica del convegno AMI a Padova nel 2011 I convegni e gli incontri organizzati da AMI affrontano i temi cruciali dell’adozione, non solo quelli legati ai pilastri fondanti il rapporto genitori-figli, ma anche alle tematiche inerenti l’attualità e le innovazioni in tutti i campi, per esempio nel mondo di Internet. Al momento non esistono linee guida, prassi, o direttive chiare in materia; abbiamo, però, provato ad approfondire, parlare SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO dei diversi scenari, a volte di straordinaria potenza, a volte problematici, che sorgono dall’utilizzo di internet, col tentativo, da parte del bambino o del ragazzo, di mettersi in contatto con la realtà del proprio passato e della propria storia. Questo fenomeno mal si integra con la definizione stessa di adozione, che basa il rapporto tra adottato e adottanti sulla recisione totale del legame con i genitori biologici; la legge italiana n.149 del 2001 permette la ricerca di un contatto con le persone significative, appartenenti alla storia del ragazzo, solo dopo il compimento del 25° anno di età. Spesso i bambini più grandicelli arrivano con già in testa indirizzi mail, pagine facebook, nomi, numeri di telefono. Non si tratta di essere o meno d’accordo, bensì di fare i conti con una realtà dei fatti molto diversa da quella prevista dalla legge che vorrebbe regolamentare i contatti tra i diversi protagonisti della situazione adottiva. Nella realtà dei fatti i ragazzi possono, collegandosi a internet, ricercare informazioni riguardo al “prima” del momento dell’adozione, sia che avvenga nella primissima infanzia, sia che l’adozione avvenga in età scolare. Tale questione è talmente recente che non conosciamo le ripercussioni che può avere, soprattutto a lungo termine. Certo è che non possiamo fare a meno di prepararci e pensarci. Obiettivo del convegno è stato soprattutto quello di aprire un confronto, un dialogo, una riflessione e non quella di dare delle risposte certe e definitive. La tematica infatti si presenta come un fenomeno di vasta portata, dai confini indefinibili. Sicuramente in questi anni stiamo assistendo a un aumento costante dell’età dei bambini che vengono adottati in ado- E NETO SHANTHI Nell’era dell’avvento di Internet appare evidente come questo strumento influenzi la società, le modalità relazionali e le possibilità di accedere a fonti di conoscenza, che si possono definire illimitate. Ha, inoltre, effetti rilevanti nel mondo delle adozioni, e noi di AMI ci siamo messi a disposizione per affrontare le problematiche e valorizzare le risorse che l’utilizzo di questo mezzo implicano. Internet pone uno stravolgimento nella formazione dell’identità, dell’introiezione del concetto di limite, nella comunicazione tra pari, in generale, in tutti i bambini e i ragazzi. L’abbattimento delle barriere spazio-temporali che Internet induce ha una ricaduta epocale sull’andamento delle adozioni, in particolar modo internazionali. Dall’esigenza di aprire una finestra di conoscenza su questa tematica, nel 2011 abbiamo proposto un convegno, intitolato “L’adozione internazionale ai tempi di internet”. La necessità di una riflessione è partita principalmente da noi operatori, che in questi ultimi anni ci siamo ritrovati ad affrontare situazioni nuove sempre più complesse a cui in parte eravamo (e in parte siamo, vista la rapidità delle modificazioni del contesto) impreparati a rispondere. Il rapporto con le origini, reale e immaginato, fatto di rapporti con persone o luoghi e suoni, cardine e peculiarità del vissuto del bambino adottato e dei suoi genitori, è completamente stravolto e assume varianti molto differenti rispetto a pochi anni fa. SPECIALE AMI V L’adozione ai tempi di Internet 33 zione internazionale. Questo e l’avvento di Internet - con la demolizione delle barriere spazio-temporali che una volta separavano i diversi Paesi - stanno modificando il rapporto tra reale e immaginario nella costruzione della propria storia. SHANTHI ... arrivando anche a vedere le strade che si percorrevano nel passato, le case abitate, gli ospedali che hanno visto nascere questi bambini. 34 Prima il passato si conservava in ricordi, rappresentazioni, immagini vaghe e statiche, perché lontano nello spazio e nel tempo, ora è possibile ridurre queste distanze attraverso la ricerca con Internet. Infatti la curiosità del ragazzino, guidata talvolta dal desiderio di colmare il vuoto lasciato dalla recisione dei legami del passato, trova risposte nella complessa rete virtuale. Attraverso i motori di ricerca si può accedere facilmente a una vasta quantità di informazioni (Google Earth, Youtube, telegiornali e giornali locali) riguardo al proprio Paese d’origine, arrivando anche a vedere le strade che si percorrevano nel passato, le case abitate, gli ospedali che hanno visto nascere questi bambini. Oltre al fatto che l’accesso a queste informazioni è di difficile controllo da parte dei genitori, questo rappresenta spesso un momento prezioso di integrazione tra parti che mal si incastra nel processo di costruzione della propria identità. Inoltre, i ragazzini spesso non cercano solo informazioni sul proprio Paese di provenienza, sono molto spesso interessati a trovare le persone importanti del proprio passato e le motivazioni che le hanno spinte ad abbandonarli. Questo desiderio li porta ad avventurarsi attraverso il ben conosciuto, a loro, mondo dei social network, digitando il proprio cognome originario, per riuscire a trovare la mamma e il papà naturali, i fratelli – spesso ricercati con affetto, spinti da una forte mancanza – e gli amici dell’istituto che li accoglieva. Nei ragazzini adottati emergono spessissimo (per la nostra esperienza, nella quasi totalità dei casi) domande riguardo all’attuale stato delle persone significative della loro vita nel Paese d’origine, domande a cui spesso non si hanno risposte. Riporto qui di seguito alcune frasi emerse in colloqui con gli adolescenti, sia indivi- duali che all’interno di percorsi di gruppo: “Vorrei sapere se mia madre biologica è viva, e sta bene, mi basterebbe quello”; “Ho bisogno di sentire mia sorella, mi manca tutti i giorni, lei è stata per me come una mamma, anche lei sarà preoccupata”; “Tutti i giorni mi sveglio pensando che forse, dall’altra parte del mondo, ho dei fratelli, e mi chiedo se mai li troverò”; “Vorrei andare da lei e chiederle: perché?”; “Quando sono stato adottato, mio fratello non è venuto perché era troppo grande, chissà che fine ha fatto...”. Alcuni si impegnano a cercare informazioni sulla loro vita, e, talvolta tentano di contattare la madre naturale o più spesso i fratelli per riallacciare i rapporti. Gli esiti di tali tentativi sono, come si può immaginare, dei più svariati. A volte ritrovarsi permette un sano riallacciarsi di rapporti che vengono mantenuti a distanza e talvolta a essi fanno seguito incontri reali preparati e pensati; alle volte al contrario le ricerche dei ragazzi si scontrano con l’indifferenza dei genitori o dei fratelli, con una incapacità di comunicazione che evidenzia una lontananza che spesso oltre che reale appare affettiva, dolorosa e incolmabile. In altri casi, può verificarsi l’opposto; succede infatti che siano genitori biologici, fratelli o amici che cerchino di mettersi in contatto con i ragazzi adottati. In entrambe le situazioni possono sorgere problematiche legate alla sfera emotiva e affettiva; i ragazzi possono non sentirsi pronti per conoscerli, oppure può nascere la voglia di tornare, senza che ci sia una presa in considerazione realistica di tutto ciò che questo implicherebbe. I genitori adottivi, che possono sentirsi minaccia- ti dalla presenza possibile, reale, potenzialmente partecipe dei genitori biologici, spesso reagiscono, soprattutto durante la prima fase dell’adolescenza, controllando l’accesso a Internet o negando del tutto l’utilizzo di alcuni strumenti. Le esperienze dirette ci stanno dimostrando che la politica del controllo non è utile, che spesso lascia il figlio solo ad affrontare, magari utilizzando lo smartphone della compagna di banco, una situazione che può essere intensa ed esplosiva. ... ricerca di risposte dalla rete anziché nel pensiero, nell'elaborazione, nella condivisione con i genitori adottivi. Il tentativo di riallacciare i rapporti con le figure importanti del passato può costituire comunque un’occasione positiva per il ragazzino, che, aiutato dalla comprensione e dalla funzione contenitiva dei genitori adottivi, si avvicina sempre di più a integrare i diversi elementi nel lungo processo di costituzione identitaria. La ricerca delle origini ha infatti un importante valore simbolico per la costruzione dell’identità, poiché attraverso la conoscenza del proprio passato, il ragazzino ha la possibilità di colmare il vuoto generato dall’abbandono e dalla separazione, riuscendo poi a mettere insieme i pezzi del puzzle della propria vita. Sebbene sia un’occasione importante, il contatto con la madre o il padre naturale, come quello con i fratelli, può costituire un elemento destabilizzante per il ragazzino e la famiglia adottiva, in quanto si può andare incontro a delusioni o a ulteriori rifiuti da parte delle persone appartenenti al proprio passato, nel caso in cui la madre o i fratelli neghino la possibilità di contattarli. I genitori adottivi quindi possono essere mossi da sentimenti di paura nei confronti dell’apertura a un passato sconosciuto, possono inoltre agire, anche attraverso il controllo e la chiusura, per tutelare il suo equilibrio psichico e affettivo. Visto l’inevi- SHANTHI 35 SHANTHI tabile annullamento delle distanze, la recisione dei legami col passato risulta ormai impraticabile, se non messa in discussione dalla necessità, manifestata dai ragazzini di ricercare volti, origini e senso della propria esistenza, segnata da un passato spesso sconosciuto. 36 È evidente dunque come l’avvento di Internet, e in particolare dei social network, che permettono una comunicazione rapida e a tempo reale, cambi le relazioni e il mondo dei bambini ma soprattutto degli adolescenti. Gli adulti (siano essi genitori, psicologi, educatori, insegnanti…) spesso sono spaventati di fronte ad uno strumento che non conoscono o che conoscono poco. Crediamo sia importante conoscere questo strumento per prevenirne rischi e pericoli, ma anche per valorizzarne le risorse e potenzialità che questo può avere. Sicuramente le caratteristiche intrinseche di Internet, e cioè l’annullamento delle distanze spazio-temporali, può portare i bambini e i ragazzi a tentare delle risoluzioni nell’azione concreta immediata, che si realizza nella ricerca di risposte dalla rete anziché nel pensiero, nell’elaborazione, nella condivisione con i genitori adottivi. Occorre aiutare i genitori ad affiancarsi e a sostenere i figli adottivi in questa ricerca, perché i ragazzini si sentano supportati e compresi in questo complesso tentativo di riunificazione e di integrazione della propria storia per la costruzione dell’identità. Il convegno A partire da queste riflessioni, il Convegno di Padova del 2011 è stato diviso in due momenti: la mattina, dedicata all’ascolto dei relatori con uno spazio a disposizione per il dibattito, e il pomeriggio, dedicato alla condivisione delle esperienze con alcune testimonianze. I relatori presenti nella mattinata erano: • la psicoterapeuta Alessandra Moro, Referente delle adozioni (SSN) per la provincia di Padova, con la relazione “Nuovi scenari dell’adozione, recidere i legami con i fratelli è ancora possibile?”; • Maurizio Gatti, Ispettore della Polizia di Stato (settore polizia postale), con la relazione dal titolo “Internet: mondo virtuale, pericolo reale?”, sugli effettivi pericoli della rete; • Francesco Villa, Psichiatra e Psicoterapeuta dell’età evolutiva, con la relazione su un caso di tutela minori in cui internet aveva avuto un ruolo centrale “Internet, età evolutiva e adozioni”. Il pomeriggio è stata data ai partecipanti la possibilità di ascoltare la voce dei ragazzi e delle famiglie adottive, che, raccontando la loro esperienza, hanno mostrato come i legami segreti e sospesi tra i fratelli hanno un ruolo rilevante nella vita affettiva e nella costruzione dell’identità del bambino. Riporto la storia di Manuela (il nome è di fantasia), una ragazza brasiliana di 16 anni, adottata nel 2004 all’età di 9 anni, che ci ha raccontato la sua esperienza. affrontato con grande timore il viaggio in Brasile. Le paure sono tante, e da parte di tutti i membri della famiglia. Manuela è anche molto entusiasta, sente questo viaggio come necessario. Per Manuela è stato importante anche riscoprire i profumi, i colori, i suoni e il paesaggio di quella che continua a considerare “la sua terra”. Dopo qualche giorno di vacanza, la famiglia incontra Liliana e un altro fratello di Manuela, ancora in contatto con la madre biologica, che le propone di incontrarla. Nonostante avessero da tempo preparato il viaggio, si trovano davanti a una possibilità inaspettata e non prevista. È Manuela che, in modo maturo e consapevole, dichiara di non sentirsi pronta per tale incontro, e lo rimanda a un tempo da definire, che forse verrà, o forse non arriverà mai. Manuela, Liliana e i genitori adottivi di Manuela, passano alcuni giorni di vacanza insieme, giornate intense e importanti, che Manuela ricorda come un’esperienza fondamentale. Manuela oggi sente molto meno Liliana. Sa che sta bene, ha una famiglia e un lavoro e questo le basta per essere tranquilla. Manuela sta bene, ha una sua vita qui, anche se ai mondiali tifa per il Paese d’origine. Ha finito di studiare, è alla ricerca di un impiego fisso, ha un ragazzo. Vorrà tornare nel luogo delle sue origini, questa volta da sola. Quella di Manuela è una delle prime storie in cui lo strumento “Internet” ha avuto un ruolo così centrale, che come operatori, abbiamo affrontato. In questo come in tutti gli altri casi, ci rendevamo conto che genitori e operatori, ma anche i ragazzi stessi, non avevano la possibilità di scegliere se essere o meno d’accordo con l’utilizzo di Internet. Non possiamo far finta che questi strumenti non esistano, magari demonizzandoli agli occhi dei bambini o dei ragazzi, ma dobbiamo essere consapevoli di quanto sia importante ancora una volta “conoscere lo sconosciuto” per accettarlo per utilizzarlo al meglio e ridurre il più possibile l’intensità dei rischi e dei pericoli. ! Shanthi ha trattato quest’argomento nel numero 2/2011, puoi consultarlo sul sito Shanthi.it, negli arretrati. SHANTHI Manuela fin dalle primissime fasi dell’adozione mantiene i rapporti con una delle sorelle rimaste in Brasile, Liliana. I genitori adottivi, sebbene impauriti di fronte a questa inaspettata complessità, si rendono conto fin da subito che impedire a Manuela di mantenere tale rapporto sarebbe stato una forma di violenza, di non accettazione di bisogni fondamentali che Manuela esprimeva, e, pur chiedendo a loro volta aiuto su come gestire la cosa agli operatori di riferimento, cercano di accompagnare Manuela nel difficile e tormentato mantenimento della relazione con Liliana, la sorella di quattro anni più grande. I quesiti dei genitori, negli anni, sono stati molteplici. “Proviamo a muoverci nel tentativo di adottare Liliana (sebbene non ci fossero i presupposti necessari)?”, si chiedevano i genitori, spinti anche dal desiderio di Manuela, che allo stesso tempo provava verso la sorella affetto, desiderio di protezione e senso di colpa per essere stata “quella fortunata”. “Aiutiamo Liliana economicamente? Potrà formarsi, lì, nel Paese d’origine, così le garantiamo un futuro…” , ma anche “Forse stiamo sbagliando, questi contatti tra Manuela e Liliana sono destabilizzanti per lei: la vediamo chiusa, dopo gli incontri via Skype, e spesso assorta da pensieri tristi, inavvicinabile, forse dovremmo evitarli”. Manuela continuerà ad avere contatti con sua sorella Liliana, i genitori adottivi di Manuela sovvenzioneranno il corso professionale nel Paese d’origine frequentato da Liliana che le garantirà una professione e un futuro. Verso i 13-14 anni, Manuela apre due profili facebook, uno italiano, con il cognome attuale, e uno nella lingua madre, con il cognome originario. Tramite questo profilo viene contattata da molte persone, alcune delle quali ricordate da Manuela, altre a lei perfettamente sconosciute (o dimenticate). È un momento difficile, a volte il tentativo di contatto si esaurisce in una rassicurazione reciproca sul fatto che si stia bene, altre volte vengono avanzate richieste di aiuti economici che sono di difficile gestione da parte di Manuela. La vicinanza e il continuo sostegno da parte dei genitori adottivi permette a Manuela di superare questo momento e mettere dei limiti tra le persone che lei ricorda come significative e quelle che invece non rappresentano niente, pur appartenendo al suo contesto originario. Nell’estate dei 15 anni di Manuela, viene 37 SPECIALE O SCAN A AMI T SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO Il percorso di sostegno all’adozione L’adozione di un bambino con AMI è un processo basato su un rapporto di reciproca fiducia, un “affidarsi” alla professionalità e all’esperienza, un percorso da fare insieme, passo dopo passo, perché anche quando siamo in grado di camminare sulle nostre gambe, è più bello percorrere il sentiero accanto a un amico. SHANTHI La Sede AMI-Toscana ha una storia lontana e radicata nel piccolo tessuto sociale. Coloro che oggi sono i volontari dell’associazione hanno iniziato loro stessi ad adottare nel periodo in cui l’adozione non sottostava ai protocolli attuali. È sempre stata forte l’impronta affettiva e solidale che si è riflessa nei rapporti tra l’ente e le coppie adottive e anche la cittadinanza gode, grazie alle iniziative aggregative, della generosità dei volontari. La Sede Toscana ha sempre avuto i numeri più bassi per quanto riguarda l’affluenza delle coppie adottive rispetto alle altre due sedi e questo ha influito molto sulla strutturazione delle attività formative. 38 Innanzitutto AMI cura l’adozione lungo tutto il percorso, dall’inizio alla fine. Ciò significa che le coppie hanno la possibilità di incontrare mensilmente gli operatori per ricevere informazioni operative sull’iter e comprendere l’etica sottostante a un Ente che si è sempre distinto per la correttezza negli scambi internazionali e la limpidezza dei referenti in loco. Solamente le coppie che hanno la sensazione di essere finalmente nell’Ente giusto chiedono di poterci conferire il loro mandato di adozione. A questo punto intervengono le psicologhe che incontrano i nuovi arrivati, non tanto, e non più, in un’ottica valutativa; piuttosto si cerca di indagare se c’è una comunione di intenti dato che la strada da percorrere insieme da quel momento è piuttosto lunga. Si cerca di privilegiare la costruzione di una buona relazione fondata sulla chiarezza e la sincerità affinché le eventuali traversie incontrate possano essere gestite con fiducia. Il gruppo delle coppie in attesa è lo strumento d’elezione perché rappresenta un ottimo contenitore per un proficuo scambio di idee e di emozioni. In ogni coppia, durante l’attesa, entrambi i genitori accrescono la propria consapevolezza come individuo, come coniuge e, su queste basi, è possibile iniziare a costruire una rappresentazione un po’ più precisa del proprio modo di essere genitore. Gli strumenti usati sono appunto quello del gruppo, delle attivazioni, del genogramma familiare e delle testimonianze da parte delle coppie che hanno adottato e possono portare uno spaccato estremamente interessante a chi è in attesa. Riteniamo infatti che il modo migliore per prepararsi a un evento rivoluzionario come l’arrivo di un figlio sia un lavoro personale e onesto sulla propria storia, in modo da accrescere la presa di coscienza dei mec- canismi psichici che, in futuro e inevitabilmente, entreranno in gioco nella relazione con il bambino. Purtroppo nel corso degli anni i tempi di attesa si sono tristemente allungati e le coppie vivono un periodo di profondo sconforto difficilmente consolabile. Aver potuto lavorare insieme con onestà e competenza ci permette di superare i momenti più difficili dell’attesa e di condividere autenticamente le gioie che via via arrivano. Durante la permanenza delle coppie nei Paesi in cui vanno a incontrare i bambini non ci perdiamo di vista; la tecnologia ci permette di rimanere in contatto e di portare aiuto quando serve. Gli operatori in quel periodo continuano a restare in stretto contatto con i referenti esteri e le coppie in modo che la nuova famiglia abbia l’assistenza che necessita e possa sentire una squadra che continua a lavorare affinché, fin dai primi momenti, venga fornito aiuto e supporto. Dopo l’arrivo in Italia, l’Ente incontra i Alla fine del percorso si restituisce ai genitori il quadro emerso durante le attività... genitori e i bambini in due forme diverse. Mensilmente continuano gli incontri postadottivi con il gruppo degli adulti e parallelamente vengono strutturate delle attività ludiche o laboratoriali con i bambini. Questo risponde all’esigenza dei genitori di avere con sé i figli mentre sono in gruppo e al bisogno di osservare le dinamiche relazionali, affettive e cognitive dei ragazzi in un contesto giocoso e non diagnostico. In tal modo gli adulti possono avere uno spazio di confronto con altri genitori per parlare dei momenti familiari più salienti e i ragazzi possono giocare. Anche i gruppi dei bambini sono condotti da una psicoterapeuta e da una pedagogista. Alla fine del percorso si restituisce ai genitori il quadro emerso durante le attività e si propone un lavoro personalizzato laddove ce ne sia bisogno. Inoltre viene incontrata una famiglia per volta a cadenza semestrale per un colloquio familiare propedeutico alla relazione post adottiva obbligatoria da inviare nei Paesi d’origine. Anche queste è una buona occasione per lavorare sulle dinamiche più originali di ogni famiglia. Col tempo le famiglie si uniscono, si creano le appartenenze e si consolidano gli affetti e hanno sempre meno bisogno dell’Ente. Rimane un rapporto costruito su buone basi e nel periodo della preadolescenza spesso capita di ritrovarsi per affrontare insieme il passaggio più difficile in assoluto. Per tutti questi motivi, l’approccio integrato, che ci vede affettuosi “addetti ai lavori”, si è rivelato ottimo per accompagnare i genitori lungo un tratto tanto importante di strada. La costituzione di un Centro di Psicologia Clinica della Famiglia ha permesso di spendere le competenze ormai consolidate dei professionisti non solo per le famiglie adottive, ma per le famiglie tout court della zona. In questo modo ci possiamo occupare delle relazioni coniugali, delle dinamiche familiari, delle separazioni, delle esperienze traumatiche e di quello che può verificarsi nella vita di una famiglia. SHANTHI 39 SPECIALE AMI V SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO E NETO Il protocollo operativo AMI-Regione Veneto Un rapporto con la Regione Veneto di oltre 10 anni per l'adozione nazionale e internazionale, che ha permesso non solo di aiutare numerose famiglie adottive, ma anche di arricchire la professionalità e l’esperienza degli operatori che hanno partecipato. La Regione Veneto si è da sempre distinta per l’impegno profuso nella realizzazione di progetti e attività nell’ambito dell’adozione internazionale, riconoscendo l’importanza del ruolo degli Enti autorizzati lungo tutto il processo adottivo e coinvolgendoli attivamente nella formazione degli stessi operatori e delle coppie aspiranti all’adozione. Dal 2001 ha inoltre differenziato, all’interno delle realtà dei consultori familiari, alcune équipe di operatori dedicati a seguire i procedimenti di adozione nazionale e internazionale. Nel 2004 nasce il primo “Protocollo operativo per l’adozione nazionale ed internazionale” firmato dagli Enti autorizzati che operano nel Veneto, dal Tribunale per i Minorenni e dalla Regione Veneto. SHANTHI Lo scopo comune dei firmatari del protocollo è stato quello di creare un sistema di preparazione alle coppie aspiranti all’adozione che fosse condiviso e arricchito dal confronto di esperienze e metodologie portate dagli enti e dai servizi, al fine di valorizzare la dimensione dell’accompagnamento alle 40 coppie in tutte le fasi del percorso adottivo. Per offrire un sostegno ai futuri genitori che fosse il più possibile qualificato e in linea con gli obiettivi preposti dal protocollo, sono state realizzate attività di formazione rivolte agli operatori degli enti autorizzati e dei servizi. In queste occasioni formative i rappresentanti del pubblico e del privato hanno avuto la possibilità di conoscersi e riconoscersi in un obiettivo comune e di realizzare delle buone prassi di intervento per formare e sostenere le coppie nel percorso dell’adozione e nella fase del post adozione. A tutt’oggi la formazione degli operatori continua attraverso supervisioni, incontri e giornate seminariali dedicate all’approfondimento di tematiche specifiche dell’adozione. ... sinergia tra enti e servizi assicura la condivisione di esperienze, competenze e professionalità AMI ha fin dall’inizio aderito al protocollo regionale. Questa collaborazione ha portato gli operatori a rendersi conto dell’importanza di incontrare le autorità dei Paesi coinvolti nell’adozione internazionale. Da qui sono stati progettati e attuati incontri con i rappresentati pagnarle nella fase dell’attesa. Durante questa fase vengono inoltre proposti alle coppie laboratori di approfondimento su tematiche specifiche inerenti l’adozione. Nel post adozione la collaborazione entiservizi si esprime attraverso la co-conduzione di gruppi rivolti ai genitori o ai genitori e ai bambini insieme, al fine di favorire l’inserimento del bambino in famiglia. Nell’ambito della scuola viene inoltre promossa la sensibilizzazione alle tematiche adottive attraverso incontri di formazione rivolti agli insegnanti delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado. Nel 2011 è stato sottoscritto il protocollo d’intesa tra la Regione Veneto, l'Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, le aziende ULSS della Regione Veneto, il pubblico tutore dei minori del Veneto e gli enti autorizzati per l’inserimento e l’integrazione scolastica del minore adottato Questo lungo lavoro di compartecipazione tra enti e servizi è stato ed è tuttora complessivamente fruttuoso e fonte di arricchimento per tutti gli attori coinvolti: per gli operatori, che possono confrontarsi e condividere le proprie esperienze e competenze incrementando il proprio bagaglio professionale e per le coppie, che trovano un sostegno continuativo lungo tutto il processo di costruzione della genitorialità adottiva. SHANTHI dell’adozione internazionale di Paesi quali la Federazione Russa, la Colombia e l’Etiopia, Paesi da cui arrivano la maggior parte dei bambini adottivi che vivono nella Regione Veneta. Il protocollo regionale ha inoltre previsto fin dall’inizio che la formazione delle coppie dal pre-adozione al post-adozione sia pensata e attuata in stretta sinergia tra enti e servizi, assicurando la condivisione di esperienze, competenze e professionalità. Si è quindi stabilito di riunire tutti gli operatori dell’adozione in tavoli provinciali all’interno dei quali programmare le attività da offrire alle coppie residenti nelle province del Veneto. AMI ha inizialmente aderito al tavolo provinciale di Padova, per poi estendere la propria partecipazione a quello di Vicenza. La nostra partecipazione a questi tavoli nell’ambito dei P.T.V.A. (Progetti Territoriali Veneto Adozioni) ha consentito un lavoro continuo tra enti e servizi nella progettazione dell’offerta formativa alle coppie del territorio. Il risultato di questa collaborazione ha portato alla concretizzazione di varie attività. In un primo momento i servizi sociali incontrano le coppie aspiranti all’adozione e successivamente gli enti autorizzati mettono a disposizione delle coppie corsi di informazione e sensibilizzazione all’adozione internazionale. Sempre in collaborazione con i servizi, gli enti offrono alle coppie, che hanno avuto l’idoneità all’adozione, incontri di gruppo aventi lo scopo di sostenerle e accom- 41 SPECIALE AMI V SOSTEGNO AL PROGETTO ADOTTIVO E NETO Incontro fra AMI, il mondo dell'adozione e la ricerca scientifica Tre tesi di laurea sul tema dell'adozione: quando AMI fa... scuola! SHANTHI Negli ultimi anni, la sede AMI di Padova ha stilato una Convenzione con l’Università di Padova, Facoltà di Psicologia, in base alla quale agli studenti viene riconosciuto il tirocinio pre- e post- laurea. La nostra struttura ha ospitato diversi tirocinanti e laureandi dell’Università degli Studi di Padova, i quali hanno potuto elaborare le loro tesi di laurea grazie anche alla collaborazione e al sostegno degli operatori e dei genitori adottivi, contribuendo così alla ricerca scientifica nel campo dell’adozione. Sono stati presi in considerazione diversi aspetti psicologici legati all’evento adozione, concorrendo così ad accrescere la conoscenza delle particolari dinamiche che si instaurano all’interno delle famiglie adottive e che caratterizzano le esperienze dei protagonisti dell’adozione. La ricerca scientifica nel campo dell’adozione è fondamentale per chi è direttamente coinvolto in questo fenomeno, in quanto può fornire nuovi utili strumenti 42 operativi; rappresenta inoltre un’opportunità per far conoscere ai “non addetti ai lavori” la complessità e la bellezza del mondo dell’adozione. I tirocinanti, inoltre, sono stati e sono un importante aiuto nell’organizzazione delle attività di segreteria, negli incontri con le famiglie, nell’osservazione dei bambini: i loro preziosi “appunti” di tutto quello che avviene costituiscono memoria storica dei gruppi, dello sviluppo dei bambini e della nascita della famiglia adottiva. La Convenzione con i tirocini si è ultimamente estesa anche all’Istituto Universitario Salesiano di Venezia, aggregato alla Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana di Roma e all’Istituto Veneto di Terapia Familiare, Scuola di Specializzazione per l’Esercizio della Psicoterapia. Si sono susseguite una serie di tesi di laurea che hanno potuto darci lo “stato di benessere” delle famiglie adottive in generale e di quelle afferite ad AMI in particolare. • “Indelebili tracce di una ferita primaria. Uno studio psicanalitico sul trauma del bambino adottato” della dott.ssa Terigi Serena, ora collaboratrice di AMI • “Le caratteristiche personali, la comunicazione familiare e la loro influenza sulle forze e sulle difficoltà del bambino adottato” della dott.ssa Valentina Marcassoli • “Stress genitoriale nell’adozione internazionale di bambini con special needs” del dott. Filippo Marri Proponiamo di seguito gli abstract delle tesi di due tirocinanti. Il funzionamento familiare e la percezione della genitorialità nelle famiglie adottive dott.ssa Valentina Spigardi emerso che il livello delle capacità e delle difficoltà dei minori adottati non cambia a seconda dell’età al momento dell’adozione, del genere e del Paese di origine. ... il livello di funzionamento familiare sembra essere associato alla sicurezza della relazione che i genitori adottivi hanno vissuto con i loro genitori Si riscontrano, invece, delle differenze a seconda del tempo trascorso dall’arrivo in Italia e della fascia di età dei minori adottati. In particolare le abilità sociali dei giovani adottati sembrano aumentare in relazione al tempo passato in Italia e al crescere dell’età. SHANTHI Grazie alla gentile disponibilità delle psicologhe della sede di Padova dell’Ente AMI e al prezioso contributo di genitori e ragazzi, ho potuto svolgere la ricerca per la mia tesi di Laurea Magistrale. Tale ricerca era volta a indagare gli aspetti del funzionamento familiare e della percezione della genitorialità nelle famiglie adottive. Numerosi nuclei familiari hanno accettato di collaborare alla ricerca attraverso la compilazione di alcuni questionari ideati per analizzare le abilità e le difficoltà dei bambini, lo stile di attaccamento dei genitori, il funzionamento familiare e la percezione della genitorialità adottiva. I minori adottati erano in totale 31, con un’età compresa tra i 3 e 14 anni, arrivati in Italia tra gli 11 mesi e i 9 anni. Dalle analisi che sono state effettuate è 43 Per ciò che concerne il funzionamento familiare sembrano delinearsi maggiori difficoltà familiari nel caso di bambini adottati a un’età maggiore. In questa ricerca il buon funzionamento familiare, ovvero il livello di benessere della famiglia adottiva, sembra essere collegato ad alcune caratteristiche dei genitori adottivi: la percezione della genitorialità adottiva (il riconoscimento di sé stessi in quanto genitori adottivi) e lo stile di attaccamento (sicurezza nella relazione vissuta con i propri genitori). Nello specifico il benessere familiare e il livello di genitorialità adottiva esperito dai genitori, ovvero quanto questi ultimi si sentono a tutti gli effetti genitori del bambino adottato, sono positivamente correlati. Inoltre, il livello di funzionamento familiare sembra essere associato alla sicurezza della relazione che i genitori adottivi hanno vissuto con i loro genitori durante l’infanzia. Emerge, inoltre, una correlazione tra i livelli di genitorialità adottiva e le dimensioni dell’attaccamento dei genitori adottivi. Sembrerebbe che una relazione caratterizzata da alti livelli di cura con il proprio genitore durante l’infanzia sia poi correlata a maggiori livelli di genitorialità adottiva. I risultati di questa ricerca offrono degli interessanti spunti di riflessione sullo sviluppo delle capacità sociali dei minori adottati, ambito di studio ancora poco esplorato. Un altro aspetto interessante messo in luce da questo lavoro sono le interconnessioni tra funzionamento familiare, genitorialità adottiva e stile di attaccamento dei genitori adottivi, ciò potrebbe essere un elemento aggiuntivo alla riflessione sulla valutazione dello stile di attaccamento degli aspiranti genitori adottivi. SHANTHI Stress Genitoriale nell’adozione internazionale di bambini con special needs dott. Filippo Marri 44 Lo stress genitoriale nell’adozione internazionale è dato dall’interazione di diversi elementi (Abidin, 1990), ovvero le caratteristiche del bambino, le caratteristiche del genitore, le caratteristiche ambientali. In questa ricerca ci siamo concentrati sul momento del post-adozione, ovvero nel momento in cui il bambino entra effettivamente a far parte del nuovo nucleo famigliare. Sono tre le ipotesi: 1. ovvero che le caratteristiche dei bambini special needs contribuiscano a innalzare i livelli di stress genitoriale (Brodzinsky & Schechter, 1990; McGlone et al., 2002). 2. La seconda ipotesi si focalizza sulla possibilità che l’adozione di bambini special needs influenzi il rapporto famigliare e coniugale; in particolare l’adozione di bambini con special needs comporta dal secondo anno di rientro, un decremento della coesione e dell’adattamento famigliare (Groze, 1996); 3. Si è ipotizzato che lo stress non necessariamente sia portatore di disfunzionalità famigliare, ma possa rappresentare un fattore che spinge verso l’adattamento (Palacios, Sanchez-Sandoval, 2006). Il campione è composto da 147 coppie ta e la maggior vicinanza al periodo adolescenziale sia una fonte di difficoltà per la famiglia, così come per le famiglie non adottive, oltretutto l’adozione di un bambino già grande presuppone una maggiore consapevolezza nel minore della propria condizione adottiva. Non emergono grandi differenze con le famiglie non special needs nelle sottoscale dei problemi comportamentali, di iperattività/disattenzione, e nell’interazione difficoltosa tra genitore e figlio e dei comportamenti sociali. Riguardo il fattore “mesi dal rientro” risulta, seppur con un effetto significativo piccolo, che le maggiori difficoltà si riscontrano nel primo anno dal rientro in casa e dal Le difficoltà nelle famiglie special needs derivano dalle difficoltà emotive dei minori, più che dai loro comportamenti... secondo si assiste a un miglioramento, così come si assiste a un miglioramento delle capacità sociali dei bambini special needs dal secondo anno di rientro; questo potrebbe riflettere l’acquisizione, nel tempo, di sempre maggiori capacità linguistiche, relazionali e culturali. Non emergono differenze significative tra padri e madri. Attraverso (PSI-SF) per il fattore “famiglie con/senza special needs” emergono degli effetti significativi piccoli nella scala totale, e nella sottoscala “difficult child”, mostrando come le famiglie con special needs abbia- SHANTHI adottive e 165 bambini, di cui 90 con special needs e 75 senza special needs. La differenzazione si è basata esclusivamente sull’età al momento dell’adozione, non essendo presenti informazioni riguardo la presenza di eventuali problematiche psico-fisiche. I bambini special needs sono dunque in età scolare, a differenza dei bambini non special needs che in questa ricerca sono in età prescolare. A tutte le coppie adottive a cui sono stati somministrati i test il tempo massimo trascorso dall’adozione è di 3 anni. I test self-report sono stati somministrati a entrambi i genitori. I test somministrati sono il “Parenting Stress Index – Short Form” (PSI-SF) per indagare i livelli di stress genitoriale, il “The Strenghts and the Difficulties Questionnaire” (SDQ) per valutare i punti di forza e di difficoltà del bambino; il “Family Assessment Measure – III” (FAM-III) per valutare il funzionamento famigliare; la “Dyadic Assessment Scale” (DAS) per analizzare il rapporto di coppia dei coniugi e “Experience in Close Relationship” (ECR) per valutare l’attaccamento di coppia. I fattori considerati nella ricerca sono dunque la presenza o meno di special needs, i mesi dal rientro in casa dopo l’adozione, ovvero se la coppia è rientrata da 1 anno o oltre 1 anno, e il genere del genitore, ovvero padre o madre. Riguardo la prima ipotesi, attraverso l’SDQ emerge come per il fattore le famiglie con figli special needs valutino come maggiormente difficoltoso il bambino special needs nella scala totale dell’SDQ e in particolar modo nella sottoscala dei sintomi emotivi dei figli, evidenziando una difficoltà data proprio dall’espressione emotiva dei propri figli. Si può supporre che l’età avanza- 45 SHANTHI no livelli di stress leggermente superiori in particolare riguardo il temperamento del bambino e la sua scarsa capacità di autoregolazione. Essendo effetti piccoli si può concludere che non siano presenti effettive differenze dei livelli di stress tra famiglie special needs e non. Non sono oltretutto emersi effetti significativi riguardo il fattore “genere del genitore” e “mesi dal rientro”. Si può concludere che diversamente da quanto ipotizzato, non emergono livelli di stress particolarmente elevati nelle famiglie special needs se confrontati a famiglie non special needs. Le difficoltà nelle famiglie special needs derivano dalle caratteristiche dei figli e in particolar modo dalle difficoltà emotive dei minori, più che dai loro comportamenti o dai loro rapporti con i pari. La prima ipotesi è solo parzialmente verificata. Riguardo la seconda ipotesi, attraverso lo studio dell’andamento famigliare (FAMIII) emerge una famiglia special needs con un funzionamento simile alla famiglia senza special needs, emerge però un effetto significativo grande nella sottoscala dell’espressione affettiva, evidenziando difficoltà nella comprensione affettiva e nell’espressione degli affetti nelle famiglie special needs. Attraverso la correlazione di questa scala con il PSI-SF, si può notare come le difficoltà nell’espressione affettiva delle famiglie special needs non è collegata allo stress genitoriale, quindi meriterebbe ulteriori approfondimenti futuri per valutarne l’origine. 46 Rispetto al fattore “genere del genitore” emergono effetti significativi piccoli, quindi trascurabili nella sottoscala dell’espressione affettiva e della comunicazione, mostrando una difficoltà nell’espressione degli affetti per il padre e una difficoltà nella comunicazione per la madre. Non si verifica invece un decremento del coinvolgimento famigliare dopo il primo anno di ingresso in famiglia tra le famiglie special needs, ma si assiste, seppur con un effetto piccolo, a un minor coinvolgimento del padre nel primo anno rispetto la madre, e a un inversione di tendenza dopo il primo anno di rientro. Questo potrebbe dipendere dalla gestione famigliare del minore, probabilmente il maggior tempo impiegato dalla madre con il minore nel primo anno spiega questo maggior coinvolgimento rispetto al padre. Dopo il primo anno i valori di coinvolgimento tra padre e madre si ... il livello di funzionamento familiare sembra essere associato alla sicurezza della relazione che i genitori adottivi hanno vissuto con i loro genitori... equivalgono. Riguardo l’andamento coniugale non emergono particolari diversità tra coppie special needs e non special needs, solo un effetto piccolo, quindi trascurabile, sulla scala del consenso tra partner, che mostra un decremento dopo il primo anno di adozione nelle coppie special needs. Non emergono effetti significativi nell’ECR mostrando in tutte le coppie un buon funzionamento generale. Riguardo la terza ipotesi, dallo studio delle correlazioni emerge come il rapporto di coppia risenta maggiormente delle caratteristiche personali dei due coniugi, o dai conflitti e dalle rinunce, e non sia correlato allo stress derivato dalle caratteristiche del figlio. Sono presenti correlazioni negative tra stress e la capacità della famiglia di far fronte alle sfide e al coinvolgimento famigliare, suggerendo la possibile presenza di effetti costruttivi dello stress, in particolar modo nelle famiglie special needs, sulla capacità di affrontare le difficoltà e di sentirsi maggiormente coinvolti in concomitanza di un possibile aumento dei livelli di stress. Essendo correlazioni minori non si può affermare che lo stress abbia realmente un effetto positivo e di spinta per le coppie, ma merita un approfondimento futuro. La presenza di livelli di stress non eccessivamente elevati potrebbe riflettere la presenza di un buon livello di preparazione della coppia adottiva nel periodo pre-adottivo. Risulta importante valutare la percezione che le coppie hanno riguardo la propria preparazione, le aspettative riguardo il figlio, aspettative che si differenziano da quelle della genitorialità biologica. Diventa importante il supporto post-adottivo da parte della propria famiglia e degli enti che seguono la coppia, attraverso interventi individuali, di coppia e famigliari, e il confronto tra famiglie. 5PER MILLE Ringraziamo tutti coloro che hanno sostenuto AMI onlus attraverso la donazione del 5 per mille. Anche quest'anno AMI Amici missioni Indiane Onlus è stata inserita tra le organizzazioni di volontariato alle quali potrà essere destinato il 5 per mille dell'IRPEF. Il vostro sostegno consentirà di finanziare progetti di aiuto in collaborazione con i nostri "partner storici" fra tutti Argonauti Explorer e Obiettivo sul Mondo. Ricordate che, per destinare il 5 per mille ad AMI basta apporre la propria firma nello spazio contraddistinto dalla voce: "Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale, alle associazioni di promozione sociale e alle associazioni e fondazioni riconosciute che operano nei settori di cui all'art.10, c. 1, lett. a) del D.Lsg n. 46 del 1997" e indicare il nostro codice fiscale: 97018760153 La scelta di destinare il 5 per mille non modifica l'importo dell'IRPEF dovuta. CF 97018760153 - cc/c postale 20216206 SPECIALE CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA D E L L A FA M I G L I A Area sostegno psicologico e psicoterapia Il Centro di Psicologia Clinica della Famiglia attiva percorsi di lavoro mirati a specifiche problematiche, non solo legate all’adozione, ma anche alla genitorialità in senso lato e allo sviluppo e crescita dei bambini. Vi proponiamo in queste pagine un rapido excursus di questi campi di intervento. Percorsi individuali e di coppia a sostegno della genitorialità Accanto al lavoro dei contesti gruppali, sono offerti percorsi di sostegno e terapeutici di coppia, individuali, per i bambini e per adolescenti per affrontare le situazioni qui di seguito descritte. SHANTHI Percorsi di sostegno vengono attivati per coppie o genitori che necessitano di essere guidati nella loro genitorialità, sia adottiva che naturale. Diventare genitori è un evento sconvolgente, nel termine più positivo e gioioso, ma anche nel senso del porre un cambiamento totale di vita. Cambia l’immagine di sé e del proprio ruolo nel mondo e cambia l’identità della coppia. Spesso le persone necessitano di un accompagnamento per chiarire tali aspetti, che frequentemente gravano e interferiscono nella strutturazione della propria genitorialità. 48 In generale il divenire genitori porta alla riapertura della propria vicenda personale e dei vecchi interrogativi sulla propria famiglia e sui propri genitori. Tali aspetti possono, in certi casi, incidere sul benessere e sulla relazione con il proprio figlio. In tali casi si articolano percorsi di sostegno e di psicoterapia individuale e di coppia, che aiutano madri e padri a risolvere gli aspetti personali che ostacolano il buon esplicarsi della genitorialità. Nell’adozione oltre a ciò che già è stato espresso, il sostegno è anche legato alla comprensione delle dinamiche, spesso complesse, messe in atto dai bambini. Tutti i bambini adottivi sono portatori di elementi traumatici che, nel momento dell’inserimento familiare, spesso si riattivano. La lettura adeguata delle comunicazioni dei bambini e dei loro comportamenti permette ai genitori di porsi come strumenti riparativi a un passato che ha ferito e danneggiato. Ci sembra, perciò, importante che, sin dai primi passi, i genitori e le coppie siano aiutate e sostenute nel loro ruolo. E anche supportate nel trovare tutti gli strumenti che possano essere di sostegno e contenimento alle fasi complesse dell’adozione. ... la collaborazione e comunicazione con i genitori è intensa e frequente con i bambini. La separazione richiede una riflessione importante, poiché vuol dire continuare a essere genitori a fronte del non essere più coppia. Molto spesso a fronte delle troppe conflittualità si perdono le adeguate visio- ni dei bisogni dei figli e li si coinvolge nel conflitto. Il percorso psicologico consente al genitore di attenuare la rabbia, di trovare soluzioni e strategie che allontanino il conflitto, in modo da vivere la genitorialità in maniera più serena e libera. Percorsi psicoterapeutici per adulti Psicoterapie attivate su richiesta spontanea per la soluzione di nodi emotivi della persona. Percorsi psicoterapeutici per bambini e adolescenti Attivati su richiesta dei genitori. arricchiti da una spiegazione che fornisce un senso e fa comprendere il perché di situazioni anche molto dolorose. Il lavoro è svolto in un setting individuale con bambini o adolescenti. Il libro della storia del proprio bambino può essere anche costruito dalla coppia adottiva con l’aiuto dello psicologo e ha la finalità di aiutare il figlio nella condivisione degli eventi e nella comprensione profonda delle motivazioni che hanno condotto a situazioni tanto dolorose. La motivazione e fiducia del genitore è un elemento essenziale affinché il bambino senta di potere lavorare con il suo terapeuta. La collaborazione e comunicazione con i genitori è intensa e frequente con i bambini. Con gli adolescenti vi è il bisogno di una maggiore riservatezza, dunque le restituzioni alla famiglia sono sempre concordate con l’adolescente. Nello specifico dei bambini adottivi un lavoro pregnante è relativo all’affrontare i nodi traumatici esperiti nel passato. La comprensione dei contenuti traumatici, della confusione temporale e della sovrapposizione esperienziale risultano elementi riparatori del trauma. Viene utilizzato anche l’EMDR1 come strumento di cura del trauma. 1 Eye Movement Desensitization and Reprocessing, è una tecnica che utilizza la stimolazione bilaterale, prevalentemente attraverso l’uso dei movimenti oculari, il tapping o la stimolazione acustica. SHANTHI Percorso di ricostruzione della storia Si tratta di un cammino terapeutico che ha la finalità di ripercorrere la storia pregressa, al fine di ricostruirla e dare un senso agli eventi. Il rivedere ciò che è avvenuto in passato, dandogli un senso temporale e un significato, risulta importante poiché traccia una linea del tempo. Permette di distinguere il passato dal presente e di proiettarsi nel futuro. Si tratta di un lavoro mirato e strutturato avente finalità rielaborative. Il racconto della storia è raccolto in forma scritta e illustrato con fotografie, immagini e disegni. Il prodotto finale è un libro che contiene tutti gli eventi importanti che hanno caratterizzato la vita del soggetto, 49 SPECIALE M BAR D IA AMI LO CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA D E L L A FA M I G L I A Il Centro di Psicologia Clinica della Famiglia Che cos’è e cosa fa il Centro di Psicologia Clinica della Famiglia attivato da AMI? Com’è nato questo progetto e, soprattutto, come si è sviluppato in questi anni? In quali campi e con quali strumenti opera? Scopriamolo meglio per sfruttarne tutte le opportunità! SHANTHI Il Centro di Psicologia Clinica della Famiglia nasce come pensiero condiviso tra tutti gli operatori AMI, per dare visibilità e spazio a un lavoro che da tempo era strutturato nell’Ente. L’esperienza consolidata di lavoro ha fatto comprendere come sia necessario mettere a disposizione degli utenti un servizio capace di accogliere diversi tipi di domanda di aiuto. Con l’adozione dei bambini si aprono tanti aspetti legati al sostegno della famiglia, che nel tempo si articolano e si definiscono in molti modi, che vanno dal sostegno alla coppia e alla genitorialità, alla psicoterapia (individuale, di coppia, di famiglia, per minori e per adulti), alla valutazione/ 50 sostegno/monitoraggio/potenziamento dell’ambito scolastico e cognitivo. Il bisogno delle famiglie, che nel tempo si è andato a definire, è stato di avere a disposizione e potere usufruire di un servizio avente uno spazio e un luogo definiti e in cui riporre le diverse domande di aiuto. Sempre più la richiesta si è affinata, così come i progetti pensati dagli operatori, che cercano di essere mirati al bisogno ... affinare il proprio sapere intorno alle tematiche dei disturbi dell’attaccamento e del trauma... condiviso delle tante persone che ruotano intorno ad AMI. La strutturazione di un Centro di Psicologia Clinica della Famiglia ha permesso anche a famiglie esterne ad AMI di poter accedere a percorsi di aiuto. Nel tempo, infatti, l’accesso è stato non solo da parte di famiglie adottive, ma di tutti coloro che cercavano un luogo in cui iniziare un progetto volto al benessere. I progetti attuati sono individualizzati e calati sul bisogno specifico di ogni protagonista. L’intervento maggiormente attivato è quello della psicoterapia, sia per adulti che per bambini e ragazzi. Si tratta di percorsi che hanno quasi sempre la specificità di portare il soggetto a una elaborazione degli aspetti traumatici e disturbanti del suo pregresso. Essendo l’esperienza di AMI partita da bambini adottivi, per gli operatori è stato necessario affinare il proprio sapere e la propria qualifica professionale intorno alle tematiche dei disturbi dell’attaccamento e del trauma. Gli operatori continuano nel loro cammino formativo, cercando di acquisire sempre maggiori competenze, anche accedendo a metodi terapeutici che possono sempre più sostenere i percorsi di cura dei tanti pazienti. L’esperienza ha anche permesso di costruire una rete professionale esterna di supporto in ambiti di intervento non presenti in AMI. Ne è esempio l’integrazione con figure neuropsichiatriche, spesso attivate per interventi o di valutazione testale più approfondita o ancora per eventuale valutazione di somministrazioni farmacologiche. Capita che subentrino o siano già presenti malesseri molto grandi, per cui uno sguardo attento e “professionalmente altro” può essere di grande aiuto. Ancora è stata importante nel tempo la collaborazione con strutture ospedaliere, volte alla valutazione e cura di aspetti più neurofisiologici. La collaborazione con i Servizi Territoriali con uno scambio di compiti e impegni, permette di articolare progetti chiari e definiti, in cui non vi è una sovrapposizione e confusione sul chi fa che cosa. Anche con i Servizi Sociali vi sono stati progetti di condivisione e lavoro. Il Centro di Psicologia Clinica della Famiglia di AMI vuole proporsi come servizio qualificato a disposizione di un’utenza interna, che svolge il percorso adottivo con l’Ente, ma anche esterna, che necessita di trovare un luogo di cura e di sostegno. SHANTHI 51 SPECIALE M BAR D IA AMI LO CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA D E L L A FA M I G L I A Che cosa si intende per trauma? Chiarire i termini, soprattutto quelli scientifici e tecnici, ci aiuta ad andare in profondità nei problemi, a comprendere e quindi a trovare gli strumenti migliori per agire. Che cos'è un trauma psicologico? Il trauma psicologico è un evento grave che una persona vive come estremamente stressante e che corrisponde a una minaccia all’integrità fisica, propria o di altri, o all’identità psicologica. Nella definizione ufficiale il trauma è determinato da “un evento o eventi che hanno implicato morte o gravi lesioni o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri... La risposta della persona comprende paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore.” SHANTHI Gli eventi traumatici producono reazioni emotive e corporee importanti, che non sempre il cervello riesce a elaborare. Quasi mai l’elaborazione dell’evento traumatico avviene spontaneamente, più frequentemente le emozioni e le sensazioni corporee si bloccano e costruiscono reti neuronali disfunzionali che compromettono il normale funzionamento psichico e il benessere della persona. Quando una persona vive un evento traumatico, accade che le risposte biochimiche blocchino il sistema innato del cervello di elaborazione dell’informazione. 52 Accade che le informazioni collegate al trauma restino isolate e intrappolate in una rete neuronale con le stesse emozioni, convinzioni e sensazioni fisiche che esistevano al momento dell’evento (cit. I. Fernanzez). Nella memoria il trauma rimane come ricordo nella sua forma originaria, con la stessa percezione sensoriale (odori, sapori, rumori, colori), con gli stessi pensieri che aveva al momento dell’evento, con le stesse emozioni, con le stesse sensazioni fisiche. Il trauma resta fisso nella mente, come se non sia esistito un prima e un dopo. Resta come ricordo isolato dal resto della rete dei ricordi di vita. L’impatto del trauma psicologico è soggettivo. A seconda delle caratteristiche di personalità, dell’ambiente circostante, della struttura emotiva e cognitiva di ogni persona un evento può essere più o meno traumatico. Abbiamo diversi tipi di traumi, quelli detti con la T maiuscola, intesi come esterni, si tratta di situazioni gravi esterne alla vita quotidiana del soggetto. Sono i lutti, le malattie, gli incidenti, i terremoti, eventi che mettono in pericolo l’incolumità fisica o psichica del soggetto. Vi sono i traumi con la t minuscola, detti interni e sono rappresentati da tutte le situazioni di pregiudizio che caratterizzano la vita della persona, in generale che si verificano nell’infanzia. La trascuratezza, la patologia delle cure, il maltrattamento, l’abuso e l’abbandono sono esempi di traumi con la t minuscola. Non irrompono improvvisamente nella vita della persona, ma ne costellano l’infanzia e la crescita. Dunque gli eventi che potenzialmente possono scatenare un trauma psicologico non includono solo condizioni estreme e fuori dal comune, ma molto spesso possono riguardare anche esperienze di pregiudizio, che influiscono sul senso di valore dell’individuo, sulla sua sicurezza, sull’autostima e sul suo senso di efficacia personale. Riportando il tema del trauma ai bambini adottivi, possiamo comprendere come siano di certo portatori di traumi con la t minuscola a cui a volte si sono sommati traumi con la T maiuscola. Tali eventi spesso hanno condizionato il loro sviluppo e il loro modo di percepire la realtà esterna. Di solito un soggetto di fronte a un pericolo si attiva per contrastare l’esperienza, cerca di sopravvivere. Il disturbo post-traumatico da stress Secondo la più accreditata classificazione delle psicopatologie, il DSM IV-TR, il disturbo direttamente legato a esperienze traumatiche irrisolte è il disturbo posttraumatico da stress. È facilmente diagnosticabile nei nostri bambini che arrivano all’adozione. Spesso lo stesso inserimento nella famiglia adottiva funge da riattivatore del trauma, portando a varie e plurime manifestazioni che possiamo riconoscere nella sintomatologia del disturbo post-traumatico da stress. Spesso i nostri bambini riescono a soddisfare tutti i criteri richiesti per potere fare una diagnosi. Con il desiderio di condividere come vengono effettuate delle diagnosi in ambito psicologico e terapeutico si riportano, nel riquadro qui a destra, i criteri a cui ci si attiene per comprendere il disagio. Criterio A - la persona ha vissuto un evento traumatico nel quale erano presenti entrambe le caratteristiche: • ha vissuto eventi che hanno implicato una minaccia alla sua integrità fisica e mentale; • la risposta della persona comprende paura intensa, sentimenti di impotenza, di orrore. Nei bambini ciò può essere espresso con comportamenti disorganizzati e agitati. Criterio B - l’evento traumatico è rivissuto in modo persistente in uno o più dei seguenti modi • ricordi spiacevoli, ricorrenti e intrusivi degli eventi, che comprendono immagini, pensieri o percezioni; • sogni ricorrenti dell’evento; • agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni ed episodi dissociativi di flashback); • disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti, interni o esterni, che simbolizzano o assomigliano all’evento traumatico; • reattività fisiologica a fattori scatenanti, interni o esterni, che simbolizzano o assomigliano all’evento traumatico. Criterio C - evitamento persistente degli stimoli associati al trauma e attenuazione della reattività generale: • sforzi per evitare pensieri sensazioni o conversazioni associate al trauma; • sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano il trauma; • riduzione marcata dell’interesse a partecipare ad attività significative; • sentimenti di distacco, estraneità verso gli altri; • affettività ridotta (fatica nel provare sentimenti di amore). Criterio D - sintomi persistenti di aumentato arousal1 • difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno; • irritabilità o scoppi di collera; • difficoltà a concentrarsi; • ipervigilanza; • esagerate risposte di allarme. Criterio E - la sintomatologia ha una durata di più di 3 mesi ed è catalogabile come disturbo cronico. Criterio F - il disturbo causa disagio clinicamente significativo e in parte dà menomazione nel funzionamento sociale, familiare e amicale. e con manifestazioni meno acute. L’elaborazione dei versanti traumatici diventa essenziale al fine di un adeguato investimento affettivo, cognitivo e relazionale della vita. Le terapie sul trauma includono molti metodi tra cui l’EMDR2. Arousal: condizione temporanea del sistema nervoso, in risposta a uno stimolo, caratterizzato da un maggiore stato attentivo-cognitivo di reazione agli stimoli esterni. 2 EMDR: Eye Movement Desensitization and Reprocessing, è una tecnica che utilizza la stimolazione bilaterale, prevalentemente attraverso l’uso dei movimenti oculari, il tapping o la stimolazione acustica. 1 SHANTHI Quando leggiamo tutti questi criteri, comprendiamo molte manifestazioni dei bambini che giungono in adozione. L’attivazione di un contesto familiare che sappia comprendere è assolutamente essenziale, così come la richiesta di aiuto terapeutico al fine di aiutare il bambino ad affrontare ed elaborare il trauma. Gli operatori AMI da anni lavorano su tali tematiche e hanno percorso cammini formativi specialistici al fine di poter aiutare i bambini, e anche gli adulti, ad affrontare questo tipo di disagio. Il suo presentarsi può essere sia molto evidente e invalidante che, a volte, sommesso I CRITERI PER COMPRENDERE IL DISAGIO 53 SPECIALE M BAR D IA AMI LO CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA D E L L A FA M I G L I A La genitorialità come riattivatore del passato Prima di guardare negli occhi i nostri futuri figli, dobbiamo affrontare i bambini che sono racchiusi nel nostro cuore, a volte così spaventati e feriti da non volerli neppure ricordare! SHANTHI Il diventare genitori è una delle esperienze più importanti della vita, quella che fa sì che rimanga una nostra traccia nel futuro. Il senso delle generazioni è quello della continuità di una vita familiare, che rimane nel ricordo di chi resta e che vede il tramandarsi di pensieri, di affetti, di abitudini e di ricette di vita. Nei figli resta l’immagine dei genitori e tutto ciò che hanno loro tramandato. Accanto alle cose belle, è però doveroso ricordare che passano anche tutti i dolori e tutte quelle parti traumatiche che non sono state adeguatamente guardate ed elaborate. In un articolo molto interessante la famosa psicoanalista Selma Fraiberg narra dei fantasmi nella stanza dei bambini, ossia di quegli intrusi del passato che prendono la residenza nella relazione figli–genitori. Spesso sono l’eredità di un dolore familiare pregresso o di una tragedia relazionale, che riprende corpo nel momento in cui la persona realizza la genitorialità, non consentendole più di vedere la propria realtà. I bambini divengono, anche solo per il fatto di essere presenti, i riattivatori di una 54 storia dolorosa di cui spesso i genitori non sono consapevoli. I fantasmi che si rianimano sono fonte di grande dolore e nei casi estremi, dove non possono essere accolti, portano alla riedizione di una storia passata. I genitori più fragili vedono se stessi negli occhi del bambino e quel contatto li fa stare troppo male. Li ricollega al loro essere stati dei bambini tristi, soli, trascurati, maltrattati o abusati e capita che non sia possibile e tollerabile ascoltare. Questa è la tragedia familiare che porta a scatenare la rabbia sui figli, a picchiarli o a lasciarli soli senza lo sguardo amorevole di cui avrebbero bisogno. Nelle storie drammatiche, che sono poi le storie dei minori adottivi, è come se il bambino reale non potesse esistere, perché accogliere il proprio figlio significa ricontattare il bambino che si è stati. Sono le vicende in cui i Giudici decidono che non c’è nulla da fare, che è impossibile per quel genitore cambiare e sanarsi. Per il bambino si decide che c’è necessità di una nuova vita. Il bambino che arriva in adozione è il portatore di più storie, della passata su cui bisogna lavorare, ma anche di quella della famiglia adottiva, che spesso non è esente da suoi dolori. È responsabilità del genitore adottivo essere disponibile a guardarsi e a lavorare su di sé quando necessario, per potere vivere con una sufficiente gioia e serenità la propria genitorialità. Capita nell’adozione che anche il solo pensare ai bambini che verranno riattivi i vecchi fantasmi sopiti, che fanno male e paura. Lavorare significa liberarsi di un peso pericoloso che si frappone nella relazione. Lavorare significa liberarsi di un peso pericoloso... SHANTHI Un trauma con la T maiuscola: il lutto Liliana è una bella ragazza, alta e sportiva. Arriva in AMI con un grande entusiasmo e da subito si avvicina agli operatori con molto affetto. Iniziamo il nostro cammino con un gruppo, qui si parla dei bambini e delle loro storie passate. Certo sono storie difficili e complesse, fatte di grandi sofferenze e a volte rendono complicato l’ascolto. Negli occhi di Liliana passa sempre un turbamento quando trattiamo di certi argomenti. È un turbamento che va oltre... oltre quei bambini di cui parliamo. Gli occhi si perdono e vagano altrove, il viso arrossisce e pare inquieto. Quando ci incontriamo nei colloqui di coppia per parlare dell’adozione, si creano dei veti e dei disagi intorno a certi temi. Liliana non può assolutamente pensare all’abuso, la fa stare troppo male, la allerta e non sa dirsi perché… perché così tanto. Ci vediamo da sole, in un colloquio individuale, io le dico che comprendo che certe tematiche siano molto forti, ma che mi pare che in lei diventino qualcosa di più. Le dico che vedo quello sguardo lontano, che sembra raggiungere altri luoghi che non sono l’adozione. Liliana allora comprende, fa una sua associazione e inizia raccontare una storia traumatica sepolta da anni. Storia che non aveva mai raccontato al marito e che poi gli narrerà. 55 ... per sopravvivere emotivamente all’evento non aveva trovato altra soluzione che congelarlo nella mente. … Liliana aveva iniziato le scuole superiori, immagino che come tutti i ragazzi sia stata emozionata e impaurita in quel nuovo mondo, fatto di persone grandi. Racconta della fortuna che ha avuto nell’incontrare Rosa e nel fare fin da subito amicizia con lei. Era una ragazza più grande e aveva tanti amici dentro e fuori scuola. Più volte l’aveva invitata alle gite dell’oratorio e lei era stata proprio bene. Erano diventate amiche e Rosa era una sicurezza per lei. Poi succede il dramma. Rosa tornando a casa incontra un uomo, che la aggredisce e la violenta. La ragazza cade, picchia la testa e muore. SHANTHI Liliana racconta il dramma e il dolore provato e si rende conto che per sopravvivere emotivamente all’evento, troppo invasivo per lei, non aveva trovato altra soluzione che congelarlo nella mente. Il lutto di Rosa e tutto ciò che la circondava era come svanito nella memoria. Liliana aveva continuato la sua vita, facendo nuove amicizie, studiando, laureandosi, lavorando, fidanzandosi, sposandosi e ora volendo diventare mamma... Rosa era stata persa nella mente, non era stata più nominata o raccontata, era stata 56 dimenticata. Ma come tutti i grandi traumi, il lutto di Rosa era rimasto in agguato e la sollecitazione delle storie dei bambini adottivi lo aveva richiamato e fatto improvvisamente riemergere, creando in Liliana disagio e paura. Con Liliana abbiamo fatto un viaggio di ritorno a Rosa e al lutto della sua morte. Liliana ha cercato tracce di quel grave evento e ha scoperto che allora tutti i giornali avevano parlato del dramma della ragazza uccisa. Liliana si è ricordata che per un anno intero sul banco di Rosa c’erano stati dei fiori freschi, che tutti gli studenti erano stati sconvolti dall’uccisione ed erano in lutto. Poi era tornata a scuola e aveva ritrovato una sua insegnante che ricordava tutto e che le aveva rinarrato gli eventi. Era stato anche pubblicato un libricino di poesie dedicate a Rosa, scritte da tutti gli studenti della scuola. Liliana ha molto sofferto nella riapertura del suo trauma, ha ripercorso il dolore e il terrore, il senso di smarrimento e di insicurezza. Liliana ha capito che per lei la parola abuso era il riattivatore del lutto di Rosa e non poteva che richiamare lo sgomento e il senso di morte. … da allora tanta strada è stata fatta e Liliana è una splendida mamma di due bellissime bambine. Certo essere genitori non è semplice, ma ora non è confuso con quel trauma così forte e potente da potersi definire trauma con la T maiuscola... Per Laura lo spazio terapeutico diviene il luogo in cui condividere e depositare i dolori... BAR SHANTHI La psicoterapia in età evolutiva Un colloquio clinico con un bambino è molto interessante, è necessario che il bimbo abbia compiuto almeno 4-5 anni, che abbia già una sua strutturazione. È di regola essenziale con i bambini il consenso, la motivazione e la partecipazione dei genitori. Dove non c’è consenso genitoriale il processo curativo non si attiva. I genitori hanno la grande funzione di appoggiare e sostenere il percorso dei loro figli. È prioritario che anche loro credano nel percorso curativo e nella necessità di una sua attivazione. Con bambini molto piccoli si svolgono sedute congiunte genitore-bambino, diviene utile videoregistrare per poi riguardare insieme al genitore quanto avvenuto, al fine di rinforzare le parti fragili e sostenere/ potenziare le parti più armoniche e sane. I bambini sono consapevoli dei loro malesseri, sono spesso capaci di raccontarli e sanno gioire dello spazio terapeutico quando diviene il luogo in cui depositare le parti doloranti. In AMI spesso i percorsi psicoterapeutici con i bambini hanno avuto la funzione di aiutarli nel dare voce ai ricordi passati, nell’elaborare le parti doloranti e traumatiche e nel ricostruirsi nel presente, cercando anche di proiettarsi nel futuro. Gli strumenti che si usano nei colloqui in età evolutiva sono diversi da quelli utilizzati con gli adulti. Si utilizza la parola, il disegno, il gioco e a volte anche il computer. M IA La psicoterapia è un intervento che viene richiesto quando una persona si trova in un momento di crisi e di sofferenza. Il soggetto può essere consapevole di cosa ha generato la difficoltà, ma sembra non trovare la soluzione per attenuare il malessere. Lo stato di crisi può essere causato da tanti aspetti: ansia, tristezza, paure, conflitti e disagi familiari, difficoltà nell’affrontare dei momenti di vita, disturbi dell’alimentazione, uso di sostanze ecc. Nella nostra esperienza, la domanda nasce dal volere affrontare nodi problematici e traumatici della vita presente o passata e a volte di un presente che duplica il passato. La domanda generale nella richiesta di aiuto è quella di volere modificare qualcosa che è percepita come dolorante e inadeguata. Nella “credenza popolare” una psicoterapia è un processo lungo e senza fine, che indaga su ogni aspetto dell’esistenza, nella realtà si parla di progetto psicoterapeutico strutturato sui bisogni e possibilità della persona. Possono essere processi brevi e mirati o processi lunghi, perché insieme al paziente si inizia un viaggio buono e produttivo che deve abbracciare il vero bisogno dell’individuo. CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA D E L L A FA M I G L I A D Il valore di un progetto psicoterapeutico attraverso il racconto di una bambina alla sua prima esperienza di seduta. Il coraggio di affrontare i nostri ricordi e con essi le nostre paure. SPECIALE AMI LO Una bambina coraggiosa 57 SHANTHI 58 Diario clinico di una prima seduta Laura è una bella bambina di 8 anni, ha due occhietti vispi, attenti e sorridenti, che si guardano intorno e si aprono speranzosi alla relazione. Sembra contenta di essere venuta da me e i genitori pare abbiano fatto un ottimo lavoro nello spiegare la funzione dello spazio del colloquio, perché da subito Laura lo usa per depositare, come dice lei, i suoi “pesi del cuore”. Per Laura lo spazio terapeutico diviene il luogo in cui condividere e depositare i dolori, i pensieri, le paure che la coinvolgono. Comprende come sia utile rivedere ciò che è avvenuto nel suo passato e non si spaventa, lasciandosi coraggiosamente guidare nella rivisitazione di tutto ciò che è avvenuto. Laura è una bambina molto brava e intelligente che riesce a collegare il passato ed il presente, comprendendo che alcune sue paure attuali sono la riedizione di eventi passati. Ma a volte capita che l’immaginario e la fantasia la invadano facendola stare molto male. “Ciao, sai il mio problema è il mio corpo. Mi fa prurito e mi fa male, mi viene voglia di toccarlo. Allora mi spavento e chiedo alla mamma di fare la doccia prima di andare a dormire. Io non dormo sempre bene, ho paura del buio e chiedo alla mamma e al papà di stare nel loro letto. Quando mi mandano a letto prima e loro salgono dopo io ho paura e sto con gli occhi sbarrati. Quando il mio corpo mi prude leggo la Bibbia e mi viene soprattutto se guardo la televisione, se ci sono dei baci. Se vedo Beautiful con la nonna mi succede. Sai mi sento un po’ stupida e una bambina cattiva… … Sono in Italia da quando avevo 4 anni, ora vado a scuola e faccio la terza elementare. Sono amica di Giuliana, Francesca e Valentina, sono le mie migliori amiche. A scuola sono stata seduta vicino a Francesca fino a ieri poi lei mi mia mamma. Anche a Carmen voglio un po’ bene e un po’ la odio. Vorrei però rivedere Javier e sapere come sta. Mi chiedo perché non sia venuto con me in adozione. Bene ti ho detto tutto… io ho come un sasso nel cuore e credevo che nel tempo sarebbe diventato più piccolo, ma sai è sempre grande uguale e mi fa sempre male. Mi puoi aiutare?” Laura ha imparato a dire quando ci sono le giornate in cui fatica a concentrarsi su cose più complesse... Da lì sono andata da Sandra che però anche lei non era brava. Io ero lenta e non mangiavo e lei mi mandava a letto senza mangiare. Suo marito mi ha picchiato. Poi finalmente è arrivata la foto dei miei genitori e sono venuta da loro. Voglio tanto bene alla Laura è una bambina brava, ma soprattutto coraggiosa che non demorde mai e che è riuscita ad affidarsi allo spazio terapeutico per potere stare bene. SHANTHI ha chiesto di non offendermi, che si sedeva vicino a Valentina… io non mi offendo è giusto che stia anche con lei… Il mio pensiero è la Colombia dove mi picchiavano e c’era mio fratello Javier che non mi lasciava stare… aveva 7 anni… Il papà aveva lasciato la casa e la mamma Carmen era piccola quando sono nata. Aveva 14 anni e le piacevano tanto i ragazzi. Aveva quella stupida mania di invitarli a casa, io e Javier eravamo lì. Vivevamo in una casa di legno e lei beveva i liquori con i ragazzi. Poi mi aveva mandato da un pastore, che era sposato e aveva due figlie, ma io cercavo di scappare e non volevo stare. Poi mi avevano anche cambiato nome e non mi piaceva. Da qui è iniziato un viaggio importante, abbiamo ricostruito tante memorie, attraverso le parole, i disegni, le immagini e i giochi. Un giorno Laura è arrivata e mi ha chiesto: “Mi fai vedere l’immagine di una ragazza giovane e ubriaca?”. Abbiamo aperto il computer e abbiamo cercato. Lei è stata colpita da un’immagine di una giovane donna stesa per terra e visibilmente ubriaca. Era l’immagine di una ragazza molto bella, dai capelli lisci e lunghi con dei pantaloncini corti e una canotta. Stesa su un pavimento in legno. “Carmen era così, stava così, sembra proprio lei. Poi è come ti avevo detto la casa sembra di legno, da noi il pavimento era proprio così.” Abbiamo insieme ricostruito con dei disegni la casa in cui viveva, prima vuota senza protagonisti, perché per lei era troppo difficile vedere Carmen seduta sul divanetto in compagnia dei “suoi ragazzi” e vedersi “sdraiata sulla coperta per terra vicino ad Javier”. Poi piano piano è entrata e si è posizionata in quella piccola stanza, si è ricordata di ciò che avveniva, ne ha avuto paura, rabbia e tristezza. Abbiamo insieme attraversato molte fasi, al fine di rendere i ricordi meno disturbanti e connotati da un sentire più adeguato alla vita, meno intrusivo e invadente. Il lavoro continua e Laura ha imparato a dire quando ci sono le giornate in cui fatica a concentrarsi su cose più complesse e desidera riempirsi di parti buone che rinforzano positivamente la sua persona. 59 SPECIALE M BAR D IA AMI LO CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA D E L L A FA M I G L I A L’uso della fotografia nella psicoterapia Un gesto, un volto, un istante congelato in un’immagine che rimane una silenziosa testimonianza, che non giudica né consola ma, proprio per questo, diventa un pezzo prezioso per ricostruire il puzzle delle nostre vite. SHANTHI Le fotografie fanno parte della nostra vita quotidiana, con facilità le scattiamo, le teniamo, le inviamo e le buttiamo. Si scattano con le macchine fotografiche con i tablet e con i cellulari. Sono di luoghi, di gruppo e di noi. Si fanno i selfie, con la lingua fuori, con la bocca a bacio e diventano il segno di un tempo, di un’età e di una moda. Se ne fanno tante, in tanti momenti, tutte simili e tutte diverse. La fotografia sembra una semplice espressione di un istante o di un momento, spesso non si pensa al suo grande significato e alla sua grande implicazione interna. 60 Sono spesso un prodotto di scambio, di presentazione e di riconoscimento. Sicuramente sono lo strumento dei ragazzi, che scattano con i cellulari centinaia di foto, per noi tutte uguali e per loro sempre diverse. Il primo piano sembra di regola e non è importante se il viso riempie tutto lo spazio e sembra grande non lasciando posto ad altro. A volte in due sembrano fare la guerra per un centimetro di foto. C’è chi è intero e chi è a metà. ...un guardarsi continuo nelle tante sfumature di un corpo che cambia. Tutto questo fa comprendere come le fotografie abbiano per l’uomo una funzione importante e diversa a seconda delle fasi della vita. Gli adolescenti attraverso le loro tante immagini è come se si specchiassero e si riguardassero, per potersi riconoscere e individuare in un percorso di crescita che li porta a cambiare. La foto è un guardarsi continuo nelle tante sfumature di un corpo che cambia e che a volte è difficile da seguire. Anche i bambini amano le fotografie e sembra un piacere collegato al vedersi riflessi. Per un bimbo il vedere la propria immagine in uno specchio, in una pozza d’acqua o in una fotografia produce un’esperienza piacevole e gioiosa. Il riflesso è una conferma di loro stessi e della loro identità. La fotografia per i bambini diviene una dimostrazione di sicurezza del loro posto all’interno della famiglia e nel mondo. Sin dai primi giorni di vita il riflettersi (in qualcosa o in qualcuno) è centrale nello sviluppo di sé. I bambini hanno bisogno di essere riconosciuti come piccoli e unici, non essere visti o essere ignorati è un’esperienza estremamente angosciante. Uno dei nodi del dolore abbandonico è proprio il non essere mai stato dentro a qualcuno e non essersi mai visto o riflesso nello sguardo della madre. Le fotografie aiutano un individuo a conoscere se stesso e la propria identità. Le persone si prendono tanta cura delle fotografie perché sono un legame anche con il passato, una preziosa conferma dell’essere stati nel mondo e di avere vissuto. Le fotografie aiutano concretamente a immaginare le diverse fasi della vita, imprimendo momenti e particolari che possono essere conservati all’infinito. Da questa premessa è possibile comprendere il dolore dei bambini, dei ragazzi e degli adulti adottivi che sono giunti alla famiglia adottiva senza il bagaglio fotografico. Senza la possibilità di rivedersi nelle tappe della loro storia e della loro crescita. Lo strumento fotografico diviene allora un interrogativo e un’espressione importante nel percorso terapeutico. L’uso si articola intorno a diverse domande. Ma io come ero da piccolo? Spesso nel percorso terapeutico con i bambini sorge l’interrogativo naturale del come possono essere stati da piccoli, se anche loro hanno vissuto le normali tappe evolutive che ogni bambino vive. Accanto al processo elaborativo del passato subentra il desiderio di rivedersi per come erano realmente. Allora diventa importante insieme al terapeuta iniziare a immaginare e ricostruire. Nella assoluta consapevolezza che non stiamo usando le vere fotografie, viene fatta la ricerca di immagini che possano in un certo modo raffigurarli da neonati, da bimbi che hanno gattonato, che hanno imparato a camminare, a parlare, che hanno avuto due… tre… quattro... cinque anni… Una per l’album Chi ricorderà Che quest’estate il cane rosso aveva le pulci e che puzzava di stalla? Che in agosto un bambino aveva spaccato il naso a suo fratello e che il tetto della fattoria faceva acqua? Quelle mele per terra ronzavano piene di api e odoravano di marcio. La macchina fotografica non mente mai. Discerne il vero con meno pietà del pennello facendoci salire per sempre lì sopra la staccionata bianca sotto il melo nel campo illuminato dal sole. Margaret Newlin Usare le immagini che ricostruiscono le tappe di sviluppo, risponde al bisogno di normalizzazione dei bambini. Permette loro di pensarsi in un processo di vita, in una continuità che appartiene a ogni essere umano. Nel lavoro della ricostruzione immaginata a volte si parte dal certificato di nascita o da dati significativi dei documenti. SHANTHI 61 SHANTHI 62 L’ospedale in cui sono nati, se un ospedale c’è stato, spesso è significativo, con l’immagine del suo ingresso o dell’intero stabile. Diventa rassicurante almeno in parte sapere che per la nascita forse c’è stato un germoglio di pensiero di cura, per cui quella figura materna si è recata a partorire in un luogo più protetto. Sappiamo dai racconti dei bambini come i parti improvvisi di fratelli portino in sé un aspetto traumatico da riparare: “mio fratello è nato sotto il ponte” … “mia mamma è andata dall’altra parte ed è tornata con mio fratello” … “lei è nata in bagno sopra il water io l’ho presa in braccio e l’ho accudita” … “non sapevo dovesse nascere mia sorella, mia madre era sparita ed è tornata con mia sorella”… Possiamo pensare (quando è possibile fare tale ricostruzione) che il sapere di essere nati in un luogo idoneo, visibile anche attraverso un’immagine, è un dato importate che dà valore a sé. La ricostruzione immaginata permette al bambino di comprendere quali sono state le sue vere tappe di sviluppo, le sue vere dimensioni e le sue reali potenzialità nei diversi periodi di vita. A volte questo consente di ridimensionare vissuti angosciati che non riescono a placarsi. Per tanto Paula aveva pensato a tre anni di avere lasciato la sua mamma da sola al freddo in quel tugurio, perché era sempre stata lei a raccogliere la legna del fuoco. L’immagine congelata di quella mamma per anni l’aveva assillata e fatta sentire in colpa e angosciata. Ricostruire significa vedere anche in una luce diversa la realtà, cogliendo la propria reale dimensione di bambina bisognosa di accudimento e realisticamente incapace di svolgere compiti gravosi e pesanti. Significa spesso dare giuste dimensioni e giuste attribuzioni di responsabilità. La colpa e la rabbia sono sentimenti che bloccano il processo elaborativo, l’insieme dei vari strumenti terapeutici permette di evolvere il sentire andando oltre. Elaborare vuol dire provare emozioni più ecologiche, non si cancellano i ricordi ma assumono una valenza più armonica. I ricordi divengono sopportabili, integrati nella vita e non più intrusivi e disturbanti. Il volto della madre Nella ricostruzione immaginata a volte si cerca di dare corpo ai ricordi legati alla figura materna biologica. La ricerca di fotografie, spesso tratte da Internet permette di dare corpo ai piccoli pezzetti di ricordo. Anche questo lavoro è un “come se...”, di cui si ha consapevolezza della realtà. Spesso la ricerca permette di dare un’immagine di normalità a idee che rimaste solo nella mente si trasformano in elementi angosciosi e disturbanti. È una ricostruzione più frequentemente usata con gli adolescenti e serve proprio per fermare piccoli particolari che sembrano sfumare dalla memoria o per rivedere realisticamente chi li ha generati. Franceli, parlando della madre della Colombia, la descriveva con la faccia cattiva. “aveva la faccia cattiva” … “non so come dire cattiva” … alla richiesta di portare immagini di donne che potessero rappresentarla era giunta alla seduta successiva con quattro fotografie. I volti erano tutti di donne belle e giovani, nessuna “cattiva” o aggressiva, ma tutte con lo sguardo distante o distratte da altro. Sono state lo stimolo importante per rivedere la figura d’origine come una madre affaticata, che non riusciva a porre lo sguardo sulla figlia. Forse troppo presa dal tenere insieme le proprie parti, non poteva permettersi di centrare l’attenzione anche su altro. Lo sguardo cattivo subentrava quando Franceli piccolina cercava la sua attenzione, creando frustrazione e rabbia. A volte ci sono personaggi conosciuti che ricordano le madri d’origine, per il colore, per i tratti, per il look. Elias ricordava la madre nella campionessa di corsa delle olimpiadi. Le assomigliava, aveva il viso simile e forse anche lei correva lontano, troppo lontano, per non tornare più. Oppure ancora... “la Maria” aveva un neo sulla guancia, come una donna sudamericana di una foto qualsiasi trovata su Google. Ma era stata abbastanza per vedere emergere una memoria dolorosa che abbiamo dovuto affrontare nel lungo lavoro terapeutico. Voglio rivedere e ricostruire i luoghi in cui ho vissuto Internet ha dato la grande possibilità di viaggiare senza spostarsi dalla scrivania. A volte ricostruire i luoghi e ripercorrerli diventa un modo per fare riemergere me- morie sopite, ma anche per ricostruire parti di memoria frammentate e mancanti. Ho girato in tante città, sempre dall’alto con l’aiuto dei satellitari, ho accompagnato dei ragazzi nella ricostruzione della loro memoria dei luoghi. Ho ripercorso per più volte le stesse strade e non mi sono mai annoiata. A volte la ricerca porta a trovare la casa in cui hanno abitato e a imprimere la fotografia per tenerla per sempre. Molti adolescenti, anche con l’aiuto dei genitori, trovano i luoghi e portano in seduta le immagini di dove sono stati. Sono ricostruzioni importanti che vanno guidate. Piccoli stimoli, la porta un po’ aperta, il cancello verde che lascia intravvedere il cortile, la casa del vicino, la finestra della stanza, possono essere riattivatori di forti memorie che vanno poi debitamente trattate. Sono però, anche qui, il rivedere una realtà che spesso è meno paurosa e spaventosa della fantasia. Nella psicoterapia la fotografia è diventato uno strumento utile ed essenziale, che accompagna insieme ad altri metodi, l’elaborazione di elementi dolorosi. SHANTHI 63 SPECIALE M BAR D IA AMI LO CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA D E L L A FA M I G L I A SHANTHI C 64 Lettera al passato Per metterci in contatto con il nostro passato può essere necessario un "francobollo" speciale fatto di coraggio, dolore e dell'amore di chi ci sta vicino. aro passato, molti è il termine che userò, in questa lettera piena di parole che vanno a ritmo della penna che scrive la mia storia, per descrivere coloro che vivono nell’ignoranza nel non sapere e nella convinzione di sapere tutto e di possedere tutti. Coloro che non si guardano indietro, attorno, per vedere con gli occhi del cuore la semplicità della bellezza, la brutalità, la cattiveria ma… alla domanda: qual è la montagna più alta del mondo io dico: “IGNORANZA!”. Fin da piccola attraversavo queste stanze, con una ciotola d’acqua e uno straccio, le facevo tutte di corsa poiché ogni volta che entravo cercavo un segno. Un segno che mi avrebbe tranquillizzato. Un semplice sorriso. “È un lavoro” diceva mamma. ”È un lavoro come altri, è un lavoro che porta cibo a casa” mi sorrideva, ma io sentivo in quel lavoro solo le grida, il dolore, lo scrosciare del sangue e il vibrato dell’orrore. Ormai ci avevo fatto l’abitudine, la violenza era un compagno indesiderato che purtroppo c’era e con cui dovevo fare l’abitudine. Il mio sogno? Sopravvivere. Ironico no? Sarebbe un diritto. Bah, io poi sui diritti e doveri non ne so poi così tanto. Vi suonerà strano ma a volte chi non usa il cervello è colui che sopravvive! In questa vita, in mezzo a questa gente che si affanna a fare leggi, leggi che impongono limiti alla verità e io cerco di fare quell’innocuo passo che dimostra la mia presenza in questo mondo. Sono stata messa sull’autobus, mamma mi ha detto che tornerò e che mi vuole bene… che parola, chissà se ha la sua profondità. Sono in un posto dove la dignità si perde e il rispetto fugge via tra le ombre e io, qui, con la mia sorella più piccola. Il mio dovere? Indossare un ruolo di madre, chissà come mai e perché è pesante come un mattone. Un mattone che a ben vedere sembrerebbe leggero, perché rotto dalle sue ferite, dalle sue perdite. Ma non è così! Passano mesi, conto giorni sulle ferite, ne ho così tante dentro al mio cuore, che di giorni ce ne vogliono per arrivare a quella porta, vicino un cartello: libertà. Gli uomini, strani esseri, io li vedo dappertutto, anche nel mio letto. Ormai è la normalità. Insomma è come raccogliere fiori morti in un campo. Un giorno. Mi svegliano, mi pettinano, mi lavano e mi fanno le treccine: che succede? Forse sono arrivate le ali. “Sono arrivati”, mi dicono. “Siete molto fortunati, vi porteranno via da questo schifo!” Ma chi? E perché mi vogliono portare via da qui? “È mamma?!” mi dice mia sorella, correndo verso la porta. Le corsi dietro, come faccio a dirle che mamma ci ha abbandonati? La porta si apre e subito l’amore prende il volo. Che cos’è? Ho gli occhi chiusi, ascolto. Questo calore e questo ritmo, cosa sono? Aprii a fatica gli occhi e vidi che la vita è solo una farfalla le cui ali prendono il colore delle mie emozioni e quella farfalla in quel campo morto prese il volo. Questo è uno dei preziosissimi prodotti dei nostri ragazzi. Questa lettera ha partecipato a un concorso e ha vinto perché esprime efficacemente tutte le angosce, i vissuti traumatici, ma anche la forza e il coraggio che appartengono alla storia dei nostri ragazzi. Lo strumento della “lettera al passato” è stato utilizzato anche all’interno dei gruppi adolescenti e proposto agli adolescenti come possibilità di raccontarsi. Misurarsi con il passato vuol dire per loro poter esplicitare emozioni interne complesse e talvolta distruttive, come la rabbia, il dolore, il vuoto dell’abbandono.. Rivolgendosi al passato gli adolescenti esprimono dolore ma nello stesso tempo anche gioia perché è ricco di brutti e di bei ricordi... È un passato che qualcuno vorrebbe cancellare per iniziare una nuova pagina di vita. ... ricostruzioni importanti che vanno guidate. SHANTHI I ragazzi parlano di un passato che ha fatto loro molto male, che “ha maltrattato e ha abusato di loro, li ha picchiati e infine abbandonati”. Qualcuno dice “non sono fortunato, perché la vita gioca brutti scherzi e i grandi sembrano grandi ma sono deboli...” Partendo dallo stimolo del lavoro individuale, scrivendo al loro passato, gli adolescenti esprimono concretamente o simbolicamente i propri vissuti e agganciano la ricchezza dei ricordi che portano al gruppo e diventano materiale di lavoro. Il gruppo diviene uno spazio di confronto tra pari che preserva la segretezza: per loro è rassicurante la regola del “non giudizio” che permette di esporsi sul piano personale in un ambiente protetto e tutelante. Ascoltando le storie degli altri ci si riconosce un po’ e si cresce, attraverso un’elaborazione e “digestione di gruppo”. I percorsi terapeutici proseguono poi nello spazio individuale, per aiutare i ragazzi nella ricostruzione della propria storia e per sostenerli nella loro “ricerca individuale”. 65 SPECIALE M BAR D IA AMI LO CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA D E L L A FA M I G L I A Progetto di intervento sui disturbi e le difficoltà di apprendimento Per i bambini adottati, in particolare per chi arriva già “grandicello” in Italia, affrontare la scuola è un momento difficile e spesso anche per i loro genitori questa esperienza rischia di diventare faticosa e frustrante; conoscere meglio eventuali difficoltà e affrontarle con l’aiuto di uno specialista permette di vivere meglio queste esperienze. SHANTHI Difficoltà scolastiche e disturbi specifici dell’apprendimento sono temi molto attuali nella scuola oggi. Ma che cosa sono? E qual è la differenza tra i due? Le difficoltà di apprendimento sono difficoltà generiche che il bambino può incontrare durante il percorso scolastico, tali difficoltà sono generalmente temporanee e possono dipendere da vari fattori come una predisposizione individuale, una situazione personale o familiare che interferisce con i processi di apprendimento o un disagio dovuto a una difficoltà di adattamento del bambino all’ambiente scolastico come ad esempio difficoltà nel rapporto con i compagni o con le insegnanti. Con il termine disturbo specifico dell’ap- 66 prendimento (DSA) ci si riferisce, invece, a un gruppo eterogeneo di disturbi consistenti in significative difficoltà negli apprendimenti scolastici. Si parla di disturbi specifici dell’apprendimento nel caso in cui il soggetto, indenne da problemi di ordine cognitivo, neurologico, sensoriale, presenti una difficoltà inattesa in qualche settore specifico dell’apprendimento ascrivibile a difetti costituzionali di natura neurobiologica che possono derivare da diversi fattori legati allo sviluppo fetale, a condizioni particolari pre o post natali, o anche a una predisposizione genetica. Possono coesistere con il disturbo specifico di apprendimento anche problemi nei comportamenti di autoregolazione, nella percezione sociale e nell'interazione sociale; questi non costituiscono di per sé un disturbo specifico dell’apprendimento, ma a volte ne sono una conseguenza. Dislessia evolutiva, disortografia, disgrafia, discalculia, deficit d’attenzione e iperattività rientrano nei DSA. Il rilevarne tempestivamente la presenza permette di fornire strumenti e strategie per apprendere attraverso “strade alternative a quella deficitaria”. Richiedere l’aiuto di uno specialista in caso si osservino difficoltà in ambito scolastico è importante per aiutare il bambino, la famiglia e la scuola a comprendere meglio la situazione e, se necessario, individuare le strategie di intervento più adatte ad affrontare le difficoltà riscontrate. L’obiettivo del Servizio di valutazione e trattamento dei disturbi dell’apprendimento e delle difficoltà scolastiche è, quindi quello di “gestire” nel modo migliore la situazione di difficoltà, evitando che si sviluppino altre forme di disagio, come una percezione di inadeguatezza e un calo dell’autostima, con possibili conseguenze anche importati sull’umore del bambino e sul suo atteggiamento verso la scuola. Il trattamento è basato su interventi tesi a potenziare aree dell’apprendimento scolastico in difficoltà o nelle quali sono stati identificati dei disturbi specifici. Parallela- Aree di intervento • potenziamento dei prerequisiti dell’apprendimento scolastico, • riabilitazione del processo di lettura strumentale, • riabilitazione delle componenti ortografiche della scrittura, • potenziamento dell’apprendimento e del calcolo matematico, • potenziamento del problem solving matematico e geometrico, • potenziamento della comprensione del testo e del metodo di studio, • training sull’utilizzo di software compen- SHANTHI Per quanto riguarda la valutazione del tipo di problematica riscontrata, il Servizio adotta una procedura diagnostica che, attraverso l’utilizzo di test e prove standardizzate, permette un’analisi delle funzioni intellettive, una valutazione delle diverse abilità scolastiche e delle funzioni cognitive oltre che alcuni aspetti di personalità e di motivazione. La procedura diagnostica segue le linee guida della Consensus Conference e dell’AIRIPA, l’Associazione Italiana per la Ricerca e l’Intervento nella Psicopatologia dell’Apprendimento e comprende: • valutazione delle funzioni cognitive; • valutazione degli apprendimenti (lettura, scrittura calcolo, problem-solving); • valutazione neuropsicologica (memoria, attenzione, abilità visuo-spaziali, motricità fine, linguaggio). A termine della valutazione, viene stesa una relazione che sarà successivamente consegnata alla famiglia con relativa spiegazione di ciò che è emerso e del possibile percorso consigliato. mente, si supportano il senso di auto-efficacia e la motivazione all’apprendimento. L’intervento riabilitativo è progettato in base al profilo funzionale del caso e viene svolto utilizzando strumenti specifici, di efficacia comprovata da numerose ricerche svolte da diversi enti, come l’Università di Padova e l’Associazione AIRIPA. L’efficacia dell’intervento specifico viene inoltre valutata regolarmente, a livello sia qualitativo che quantitativo. Per tale motivo, la durata dell’intervento viene definita in base alle caratteristiche del singolo caso ed è continuamente adattabile all’evoluzione del suo profilo. Per la diagnosi e il trattamento, il Servizio si avvale della figura qualificata di uno psicologo specializzato sui Disturbi dell’Apprendimento. Gli interventi vengono svolti in incontri individuali. 67 SHANTHI 68 sativi, come software di sintesi vocale o di videoscrittura, • training per lo sviluppo della consapevolezza delle difficoltà attentive e lo sviluppo di efficaci strategie di controllo consapevole di attenzione e concentrazione. Lo sviluppo del cervello è in parte automatico e in parte sensibile alle interazioni con l’ambiente circostante... DSA e adozione Il Servizio di valutazione e trattamento dei disturbi specifici dell’Apprendimento opera presso il Centro di Psicologia Clinica della Famiglia di AMI da due anni circa. Fino ad ora la maggioranza dei bambini da me seguiti sia nella valutazione diagnostica che nel trattamento sono bambini adottati, per la maggior parte provenienti da Brasile e Colombia, ma anche da Etiopia e India. Dalla mia esperienza di lavoro in AMI sono emerse alcune specificità connesse con la condizione adottiva. Una delle specificità emerse in modo più evidente e presente nella maggior parte dei bambini da me valutati, è la presenza di comportamenti di disattenzione a volte associati a iperattività. Da alcuni studi effettuati sembra infatti che nei bambini adottivi sia più probabile riscontrare problematiche nell'ambito dell'attenzione, della concentrazione, del- la capacità di autoregolazione (scarsa capacità di prestare attenzione alle consegne e alle spiegazioni, di mantenere la concentrazione, di memorizzare, di organizzarsi, di completare un compito in autonomia); iperattività, difficoltà nel controllo degli impulsi e nel rispetto delle regole; condotte disturbanti e atteggiamenti oppositivi che spesso inducono anche atteggiamenti di rifiuto da parte dei coetanei. All'origine di tali difficoltà possono esserci diversi fattori che derivano sia da componenti biologiche che psicologiche, spesso in interazione. Lo sviluppo del cervello e la differenziazione delle sue diverse funzioni è in parte automatico e in parte sensibile alle interazioni con l’ambiente circostante. Lo sviluppo neurologico di un bambino può quindi essere influenzato sia da variabili genetiche che da situazioni positive o negative pre o post natali. La mancanza di figure di accudimento stabili, maltrattamenti o abusi subiti durante l’infanzia, scarsa o assente stimolazione e malnutrizione, situazioni frequenti nella prima infanzia dei bambini adottati, possono infatti influire su uno scarso sviluppo dei circuiti integrativi cerebrali che presiedono alcune importanti funzioni cognitive come memoria, attenzione, apprendimento, regolazione delle emozioni, comportamento, relazionalità, risposta a situazioni di stress. Questo non vuol però dire che tutti i bambini adottati hanno difficoltà scolastiche, inoltre, per fortuna, il cervello è un organo molto plastico e questo gli consente gran- In questa parte del mio lavoro con i bambini incontrati in AMI ho potuto riscontrare buoni risultati nei trattamenti effettuati. È risultato fondamentale, a causa delle elevate difese che i bambini adottati mettono in atto inizialmente nel rapporto con le figure adulte, dedicare una consistente prima parte alla costruzione della relazione e al lavoro sull’acquisizione della fiducia nella loro capacità di recupero. Questa fase iniziale è risultata di fondamentale importanza, è un momento molto delicato in cui la costruzione di una buona relazione ha lo scopo di costruire le basi per un intervento efficace, questo vale in tutti i tipi di terapia, ma è tanto più importante con i bambini adottati, che spesso hanno costruito muri e difese ancora più rigidi. L’abbattimento delle difese iniziali con questi bambini richiede più tempo, ma è importantissimo per riuscire a ottenere buoni risultati nella fase del trattamento vero e proprio. Nella mia esperienza personale a volte, infatti, la costruzione della fiducia verso una figura di riferimento è sufficiente per ristabilire un rapporto positivo con sé stessi e per aprirsi alla possibilità di essere aiutati sia a casa che a scuola. Si costituisce così un circolo virtuoso che permette di superare gran parte delle difficoltà incontrate a livello scolastico e che inevitabilmente influiscono sull’autostima personale già abbastanza compromessa da una complessa storia di vita. ! Shanthi ha dedicato un focus sui DSA nel numero 2/2010, puoi consultarlo al sito Shanthi.it, negli arretrati. SHANTHI Queste mie osservazioni sono supportate dalla letteratura sul tema che ci dice che “mediamente, i minori adottati presentano generiche difficoltà scolastiche e disturbi specifici di apprendimento in percentuale maggiore dei coetanei; emerge altresì una maggiore incidenza di difficoltà scolastiche generiche correlate a immaturità psicologica e funzionale (rallentamenti nello sviluppo delle funzioni intellettive causati da problematiche pre e perinatali, situazioni di deprivazione precoce, traumi, spesso appare assai evidente uno scarto tra l'età emozionale e cognitiva e l'età anagrafica) per gli adottati più grandi: effetti negativi dei primi apprendimenti in una lingua diversa/aver frequentato scuole con insegnamento inadeguato (secondo le ricerche: i più a rischio di incontrare difficoltà di tipo linguistico sono gli adottati tra i 4 e gli 8 anni (età in cui il linguaggio si consolida)”. dissime possibilità di recupero. Figure di accudimento stabili e un ambiente sereno e accogliente permettono infatti di recuperare molti dei traumi e delle carenze subite in passato. Per questo, a livello scolastico, qualora si presentino difficoltà nel percorso, è importante un intervento precoce attraverso un percorso di trattamento delle difficoltà e potenziamento delle funzioni cognitive. Inoltre comprendere il tipo di difficoltà permette di aiutare anche i genitori e la scuola a intervenire nel modo più appropriato. 69 SPECIALE AMI VE CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA D E L L A FA M I G L I A N ETO Tre serate al cinema per riflettere sulla famiglia Cinema: uno strumento piacevole, capace di coinvolgere persone di tutte le età, per sorridere e riflettere insieme sui temi e sui problemi della famiglia. Per promuovere i servizi del Centro di Psicologia Clinica della Famiglia sul territorio di Padova abbiamo organizzato, con il patrocinio del Comune di Limena, alcune serate “al cinema” aperte alla cittadinanza. Lo scopo della visione dei film proposti è stato quello di offrire un momento di aggregazione e di riflessione sulle tematiche della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza, in un’ottica di incontro e confronto tra genitori. SHANTHI Abbiamo aperto il ciclo di incontri con il film “Genitori e figli. Agitare bene prima dell’uso” (Veronesi, 2010), che, con leggerezza e ironia, ha potuto offrire spunti di riflessione sulle dinamiche familiari e su tematiche particolarmente comuni alle 70 famiglie moderne come la conflittualità di coppia, la separazione, il difficile compito di essere genitori di bambini e di adolescenti. Il secondo film proposto è stato “Valentin” (Agresti, 2002), scelto per affrontare il tema dell’infanzia. La voce del piccolo protagonista ha aperto la discussione su come può essere il mondo visto attraverso gli occhi di un bambino di nove anni, che si ritrova a porsi domande e questioni alle quali è difficile rispondere da soli. Il confronto successivo alla visione del film è stato orientato a riflettere sull’infanzia in generale e su come gli adulti possano facilitare oppure ostacolare la capacità di espressione dei bambini. Per l’ultima serata abbiamo proposto il film “Come te nessuno mai” (Muccino 1999), un racconto sull’adolescenza, sui suoi conflitti e sulle sue passioni, sull’incontro-scontro tra le generazioni, sulle “rivolte” e i passaggi verso un’identità ancora in costruzione. Tra i partecipanti hanno preso parte alla discussione anche alcuni adolescenti insieme ai loro genitori, rendendo il confronto particolarmente coinvolgente e acceso. Visto l’interesse dei temi trattati, AMI e il Comune di Limena hanno deciso di riproporre per l’anno 2016 un nuovo ciclo di appuntamenti per discutere in gruppo e approfondire con i partecipanti le tematiche relative alla famiglia. SHANTHI 71 LETTERE & TESTIMONIANZE Dedichiamo questo spazio alle lettere e testimonianze inviate alla redazione. Accoglieremo segnalazioni di esperienze interessanti, in linea con gli obiettivi AMI, ma anche argomenti che riterrete importante segnalarci e brevi comunicazioni. Chiediamo aiuto perché... [email protected] di Francesca Mantegazza Madre adottiva Prima di inoltrarci nelle “stanze” dei percorsi formativi di AMI, ascoltiamo le parole di chi ha bussato alle loro porte, alla ricerca di consigli, aiuto ma anche di ascolto e accoglienza! Dopo nove anni esatti dall’adozione eccoci nella piena adolescenza di entrambi i nostri figli. Un periodo della vita complicato, bello e terribile. Ogni emozione viene vissuta a mille. Dai ragazzi… ma, di conseguenza, anche dai genitori. Nuove ansie, nuove preoccupazioni, dover imparare a fare i genitori in questa fase. Così, appena invitati al nuovo ciclo di incontri formativi esperienziali su questo tema1, non ci abbiamo pensato due volte. SHANTHI Perché? Perché il confronto con gli altri genitori aiuta a vedere i propri “problemi” sotto un’altra 72 luce, perché se il confronto è con genitori ormai “esperti”, o proprio con loro, gli adolescenti, si impara a vederli un po’ meno come extraterrestri. Già, perché gli adolescenti (non tuo figlio!) sono disponibili ad aprire il loro cuore e a raccontarsi, facendo un regalo a quei 10/15 genitori che li ascoltano vedendosi davanti il proprio figlio, cercando la chiave per aprire il cuore scrigno che in famiglia fa così fatica a schiudersi. Perché grazie a questi ragazzi e ai loro racconti proviamo ad avvicinarci e comprendere un po’ di più i nostri figli divenuti alieni. Perché ogni incontro smuove emozioni e fornisce spunti di riflessione profonda, tenendo conto della storia adottiva dei ragazzi. Spunti, stimoli per la riflessione, risposte a domande e spazio di confronto che al di fuori di AMI non ho mai trovato. Perché Simona (la dott.ssa Silvestro) e Sophie (la dott.ssa Perichon) ci sanno guidare all’interno di questo mondo, aiutandoci a comprendere e interpretare alcuni messaggi che i ragazzi, i nostri, ci inviano. E soprattutto giocano un ruolo grandissimo nella terapia individuale (nell'ambito del Centro di Psicologia Clinica della Famiglia) e di gruppo dei nostri ragazzi 2. E se molti adolescenti sono stati in grado di aprirsi e raccontare le loro storie (a volte molto dolorose) è stato grazie al loro preziosissimo lavoro psicologico. Perché dopo ogni incontro non posso fare a meno di pensare che questo tipo di incontri dovrebbero essere proposti a ogni genitore di adolescente . È vero, non viene fornita la bacchetta magica per risolvere le situazioni… ma qualche pezzo per cominciare a costruirsela, sì. Gruppo continuativo per genitori sul tema dell'adolescenza. Ad alcuni incontri hanno partecipato adolescenti che hanno portato la loro testimonianza. 2 Si riferisce al gruppo adolescenti al quale partecipano i ragazzi. 1 Una vita "tsunamica" La testimonianza di una mamma sul percorso intrapreso come genitori di due figli adottivi. Accompagnati dalle psicologhe e dalle altre famiglie AMI. di Cristina Michelotti Madre adottiva 1 Sophie Perichon, psicologa di AMI. nianze di adulti adottivi e non, che Sophie ha portato e che ci hanno reso più consapevoli rispetto alle storie, spesso simili, dei figli. È stato prezioso capire, attraverso l’aiuto e la guida delle psicologhe, cosa si cela dietro certi atteggiamenti oppositivi o rabbiosi o aggressivi di molti bambini che proprio non ce la fanno; oppure dietro i comportamenti di quei figli apparentemente “perfetti”, che quasi non sembra nemmeno siano stati adottati e che magari sono anche bravissimi a scuola. È stato liberatorio riuscire a mettersi a nudo di fronte alla rabbia che da mamma – e parlo per me – si prova verso un’altra mamma biologica tanto incapace. E poterla far uscire questa benedetta rabbia, senza sensi di colpa, perché avercela è anche un po’ normale. È stato utile diventare consapevoli che il percorso da fare coi figli è in salita, a volte molto ripida, a volte con qualche caduta, ma comunque percorribile. L’importante per noi genitori è non mollare mai. Concludo dicendo che il Gruppo adulti sul trauma (che riprende con cadenza mensile dalla fine di ottobre) non è stata una passeggiata. È stato difficile da affrontare. È stato faticoso. Per certi versi è stato riattivante, come spesso sono riattivanti i figli che arrivano da lontano e che con le loro storie traumatiche riaprono tanti nostri pezzetti sofferenti, che magari ci eravamo “dimenticati” di aver vissuto. SHANTHI Il 24 maggio 2010 sono diventata mamma di tre figli colombiani. L’esperienza di vita più “tsunamica” che mi sia mai capitata. Felicità estrema associata a uno sconquasso interiore devastante. Roba da perdere quindici chili in 52 giorni! E questi sentimenti fortissimi e totalmente opposti si fondono giornalmente dentro di me da cinque anni. AMI da sempre ci sostiene, ci aiuta, ci accoglie... ci “raccoglie”, quando ci sembra di essere arrivati al limite e ci fa ripartire carichi di nuove energie. Io e Andrea, che non è solo un marito, ma il compagno di un viaggio quotidiano, quando abbiamo deciso di intraprendere il percorso verso l’adozione (e prima di entrare a far parte del mondo AMI) non sapevamo nulla di bambini adottivi, di traumi, di riattivazioni, di disegni post-traumatici… Eravamo però certi di una cosa: volevamo diventare mamma e papà. Poi sono arrivati i nostri figli con il carico doloroso e traumatico del loro vissuto. E il 24 maggio 2010 siamo nati come famiglia, negli uffici ICBF alle 11 di una mattina di sole: siamo rinati tutti e cinque. Da mamma e papà li abbiamo accolti così come sono e abbiamo iniziato un lungo cammino certe volte difficile, a volte tortuoso, ma anche pieno di felicità e amore, perché loro tre sono i nostri figli: punto e basta. Tutto questo con il supporto, la preparazione e la vicinanza empatica che come famiglia riceviamo in AMI (e che ricevo come mamma) attraverso i vari strumenti terapeutici a disposizione: le terapie singole, i gruppi adulti, le conferenze, i seminari, gli incontri tematici, i gruppi adolescenti. Avendo tre figli belli “effervescenti” – come dico io - la mia esperienza in AMI è variegata. Nello specifico vorrei spendere qualche parola riguardo al Gruppo adulti sul trauma iniziato l’anno scorso a cui io e Andrea abbiamo partecipato. È stato sicuramente importante condividere le esperienze di noi genitori e ascoltare le tante testimo- 73 L’innesto Per fruttificare una pianta deve essere innestata su una più forte, robusta che sia in grado di sostenerla, di farla fiorire, di dare frutti... Un bravo giardiniere sa come creare questa magica unione, ma ci vuole tempo... Che cosa c’entra questo con l’adozione? Scopritelo qui sotto. di Emanuela Mastropietro Madre adottiva SHANTHI Un giorno, fuori dalla scuola di mio figlio Daniel, una mamma mi viene incontro agitando un volantino e mi dice: ”Hai visto? C’è un corso di cinque incontri sulla genitorialità! Tu ti iscrivi?” Mi è venuto da sorridere e mi sono limitata a rispondere di no. Lei insiste e inizia una paternale per sottolinearne l’importanza. A quel punto soffoco l’istinto di dirle ciò che penso sulla “ genitorialità in 5 serate” e mi limito a rispondere che frequento già un corso simile con AMI. Lei realizza quindi che sono una mamma adottiva e dice: ”Ah, già, è vero che voi che adottate dovete pure andare dallo psicologo, capisco che tu non abbia voglia di venire”. In realtà io avevo rinunciato più che altro per mancanza di tempo, perché credo che la formazione non sia mai abbastanza per un genitore, sia esso biologico o adottivo. Io sono una mamma adottiva; di adozioni ne ho fatte due, una in Brasile (la settimana prossima festeggiamo 5 anni) e una in Colombia, tre mesi fa. Il fatto che fosse la seconda adozione non ci rendeva più tranquilli… io e mio marito eravamo agitati ed emozionati come se fosse la prima volta. 74 In più questa volta c’era Daniel! Cosa avesse dentro realmente lui a “rivivere” l’iter adottivo, non lo sapremo mai. Una cosa però è certa: lui voleva una sorellina ma “il giudice” aveva scelto per lui un fratello di nove anni. Raccontando la nostra storia a un incontro ho sottolineato quanto fosse diverso dall’immaginario di tutti noi il bambino che dovevamo raggiungere e quanto sia difficile essere preparati a gestire e metabolizzare questa prima “frustrazione”. Faccio la somma degli anni passati ad aspettare tra la prima e la seconda adozione: in totale cinque... Mi hanno chiesto quindi di scrivere una riflessione sulla formazione. Scrivere non è certo il mio mestiere e quindi, per iniziare a riflettere decido, d’istinto, di leggere la “definizione di formazione”. Su wikipedia mi colpiscono queste due righe: “La formazione richiede del tempo tecnico, tempo necessario per formare, per assimilare e per comprendere“. Subito mi viene in mente il mio percorso... Tempo per formare Il cosiddetto “tempo dell’attesa”, quello che ti dicono che devi “riempire”. Faccio la somma degli anni passati ad aspettare tra la prima e la seconda adozione: in totale cinque (dai mandati, per gli amanti della precisione). Io e mio marito l’abbiamo riempito molto quel tempo, ma sembrava non passare mai. Quando ero ragazzina e chiedevo a mia mamma se partorire facesse male lei rispondeva sempre: "Sì, ma poi te lo dimentichi". Ricordo di aver pensato spesso a queste parole quando ho avuto gli abbinamenti con i miei bambini: d’improvviso ci siamo buttati alle spalle tutto e siamo entrati nella seconda fase: il “tempo per assimilare”. Cause legate alla FAMIGLIA D’ORIGINE Abbandono: povertà, negligenza, guerra; Destituzione: droga, alcolismo, prostituzione... Per immaginare il bambino ci si poteva aiutare con l’elenco dei “casi speciali”: Che ansia! Ricordo che mi consolavo pensando: “Beh… non capiterà mica tutto assieme!“. Al mio primo abbinamento ho iniziato proprio a “filtrare” la teoria dalla pratica, a cancellare dalla mente tutti gli argomenti dei corsi che “non c’entravano” col mio caso; ho assimilato in fretta tutto ciò che avevo imparato sui “bambini con problemi sanitari”, ma ancora non ero pronta. Età Numero di fratelli Problemi di salute (con una netta distinzione tra reversibili e non reversibili) SHANTHI Tempo per assimilare Più che assimilare io direi “filtrare”. Ricordo che quando ero una giovane mamma in attesa, quando ancora non conoscevo AMI e frequentavo “solo” i corsi della ASL mi aveva molto colpito l’elenco dei motivi per cui un bambino finiva in istituto. Lo proponevano come una specie di formulario con delle voci da barrare: dovevi sceglierne alcune e immaginare un bambino e una storia. Il formulario prevedeva titoli e sottotitoli: Maltrattamenti Abusi 75 SHANTHI Non lo ero nemmeno la seconda volta quando mi hanno parlato di Jhon Bairon: in quel caso non potevo nemmeno filtrare: nella sua storia c’era dentro tutto, ma proprio tutto! Credo che la psicologa abbia compreso subito il mio sconcerto perché ricordo che continuava a ripetermi: “È un bambino sano!” come per sottolineare che qualcosa di positivo c’era e non dovevo “ barrare” proprio tutte le voci. 76 Tempo per comprendere Il tempo per comprendere inizia con l’ incontro. Quando ho incontrato i miei figli ho capito che non ci sono schemi, che questo tempo dura tutta la vita: non ci sono storie, nè casi speciali: ogni bambino e ogni genitore è unico e ci si conosce e ci si capisce a vicenda col tempo. Per qualcuno risulta facile o è un processo istintivo e naturale, per altri meno. Un papà adottivo con cui parlavo di questo un giorno mi ha detto: ”In fin dei conti l’adozione è un innesto!” Sorrido pensando a questa metafora e cambio voce su wikipedia; leggo: “L'innesto è una pratica agronomica per la moltiplicazione agamica delle piante realizzata con la fusione anatomo-fisiologica di due individui differenti (bionti), di cui il primo costituisce la parte basale della pianta e il secondo la parte aerea. Talvolta, l'innesto si realizza con tre individui, interponendo un terzo bionte, detto intermediario.” Accidenti! Il paragone regge… rifletto ancora un po’; penso ai 49 giorni in Colombia, a quanto sia stato difficile diventare la mamma di Jhon che per mascherare rabbia e paura si era travestito da “hombre”! Mi chiedo: “Quanto mi è servita la formazione?” La domanda mi suona strana e non so per- ché, continuo a pensare all’innesto… A un certo punto la risposta mi sembra ovvia: a un genitore adottivo non serve “la formazione”, serve un SUPPORTO! È necessario quello professionale, ma non sufficiente; a me per lo meno non sarebbe bastato se non avessi avuto il supporto degli amici, compagni di “corsi” e di attese. Io ormai ho due famiglie: quella tenuta insieme da legami di parentela, pranzi domenicali, regali di Natale e… la “famiglia AMI” fatta di feste, pic-nic e grigliate. Il legame è così intimo che ormai la nostra “formazione continua” è un lessico famigliare fatto di battute che solo noi possiamo capire, fatto di “whatsAppate quotidiane” con le amiche o “confidenze profonde davanti ad un caffè” (profonde e rapide perché quando arrivano i bambini di tempo non ne hai più!). Questo ti dà la forza per andare avanti e, perché no, anche di fantasticare; con le amiche infatti diciamo sempre: prima o poi scriveremo un libro! Chissà, forse un giorno lo scriveremo davvero (in fondo basterebbe solo trascrivere i nostri messaggini) e nel nostro piccolo potremmo contribuire alla formazione di altre famiglie. In bocca al lupo mamme (e papà)… in qualsiasi “tempo” vi troviate. PS: incontrando la stessa mamma fuori da scuola le ho chiesto come era andato il corso, mi ha risposto amareggiata che non le è servito a niente perché non ha risolto i suoi conflitti con la figlia. Come dico sempre ai miei bambini: ”Le bacchette magiche esistono solo nelle favole!”. VORREI AVERE IL TEMPO PER… tema di Daniel Galbiati Pensare a come sarebbe la mia sorellina, perché è lontana e forse gli serve qualcuno per proteggerla. Anche perché una sorellina è come avere la felicità nel cielo e vedere tra le nuvole un cuore con una faccina, oppure vedere i propri sentimenti... vabbè in semplici parole vorrei pensare come potrei aiutarla con l’amore che c’è dentro di me. Centro di Psicologia Clinica della Famiglia IL CENTRO DI PSICOLOGIA CLINICA DELLA FAMIGLIA II centro propone servizi specialistici rivolti alla cittadinanza per rispondere al bisogno di aiuto supporto all’individuo, alla coppia e alla famiglia. La filosofia di base è quella di offrire un servizio specialistico di qualità e di renderlo accessibile in termini di tempi e costi. L'esperienza maturata negli anni nel campo delle adozioni internazionali ci ha portato a conoscere a fondo le famiglie e le problematiche dei minori. La famiglia è intesa come un sistema complesso in continua evoluzione: dalla famiglia tradizionale ai nuovi tipi di famiglie (genitori single, separati, famiglie ricomposte, adottive, affidatarie). Gli operatori del centro sono psicologi e psicoterapeuti che collaborano da tempo con AMI ONLUS; sono accomunati da una visione psicodinamica dell’individuo e delle sue relazioni con l’obiettivo di sostenere il singolo e la famiglia nei momenti di difficoltà. Le attività si propongono di accompagnare l’individuo e la famiglia attraverso le tappe del ciclo di vita: nascita, infanzia, adolescenza e età adulta. COORDINATORI CLINICI INFORMAZIONI TECNICHE LOMBARDIA Dott.ssa Sophie Perichon psicologa, psicoterapeuta AMI • Milano Gli incontri presso Ie sedi AMI: Milano Via Manzoni, 10, Buccinasco (Ml) Tel. 0245701705 • Fax 0245708630 VENETO Dott.ssa Rossella Forese psicologa, psicoterapeuta AMI • Padova Padova Via del Santo, 67 • 35010 Limena (PD) Tel-Fax 0498848183 TOSCANA Dott.ssa Claudia Checchi psicologa, psicoterapeuta AMI • Lucca Lucca Via Borghi, 56 • Massarosa Lucca (LU) Tel. 0584970071 I costi sostenuti sono scaricabili come spese sanitarie CONTATTI scrivere all’indirizzo email: [email protected] o telefonare presso le sedi AMI lasciando, eventualmente, un messaggio in segreteria telefonica, indicando un recapito per essere ricontattati. Centro di Psicologia Clinica della Famiglia AREA INDIVIDUO E FAMIGLIA •Consulenza psicologica •Valutazioni psicodiagnostiche •Sostegno e psicoterapia individuale, di coppia, di famiglia, di gruppo •Percorsi di gruppo per genitori: biologici, affidatari, adottivi, separati, single •Laboratori formativi ed esperienziali AREA MINORI •Consulenza psicologica •Valutazioni psicodiagnostiche •Sostegno e psicoterapia individuale e di gruppo •Percorsi di gruppo: bambini e adolescenti adottivi, in affidamento, figli di genitori separati AREA SCOLASTICA •Valutazione disturbi dell'apprendimento •Potenziamento cognitivo •Consulenza e formazione agli Insegnanti AREA SERVIZI •Incontri di rete •Formazione su temi specifici •Supervisione