Pubblicazione Periodica del Centro Servizi Volontariato
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Pubblicazione Periodica del Centro Servizi Volontariato
I Quaderni Bimestrale n.28, gennaio 2006 reg. Tribunale di Firenze n. 4885 del 28/01/1999 Direttore Responsabile Cristiana Guccinelli spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20/c legge 662/96 FI Pubblicazione Periodica del Centro Servizi Volontariato Toscana A cura di Nicola Casanova e Luigi Goffredi La tutela dei minori: esperienza e ricerca Fondazione Il Forteto onlus A cura di Nicola Casanova e Luigi Goffredi Gennaio 2006 5 Parte prima LA FONDAZIONE IL FORTETO: STORIA, FINALITÀ, INIZIATIVE 1. Introduzione Ventuno anni dopo la nascita della cooperativa, che data 1977, i soci del Forteto hanno creato una Fondazione che si è fin dall’inizio mossa in sintonia con le aspirazioni e gli ideali della comunità-azienda del Mugello. In Toscana, il Forteto è noto soprattutto come impresa che produce formaggio, meno invece rispetto alla propria attività sociale ed al modello di vita comunitaria scelto. Accenniamo perciò brevemente alla sua storia quale introduzione allo sguardo che stiamo per concentrare sulle attività della Fondazione. Il Forteto è una comunità di oltre cento persone, composta da ventidue famiglie che vivono nel Mugello, sulle colline tra Dicomano e Vicchio. Il gruppo si è gradualmente allargato dal 1977, quando trentotto giovani di Prato, Firenze e Pistoia si costituirono in cooperativa. L’attività lavorativa del Forteto era inizialmente divisa fra l’agricoltura, l’allevamento e la produzione casearia; dopo alcuni anni essa si è invece concentrata sulla trasformazione del latte di pecora, che ha permesso alla comunità di ottenere una piena autonomia economica unita ad un consolidato successo commerciale, che ne fa uno fra i maggiori esportatori di pecorino toscano. É stato comunque mantenuto l’allevamento di duecento capi bovini e quello di cavalli maremmani, nutriti con i foraggi prodotti nei campi sparsi tra i 450 ettari di terreno coltivabile e boschi di proprietà della cooperativa. “La prima volta che ho incontrato quelli del Forteto è stato a Bovecchio in quell’inverno del ‘78 per loro pieno di guai, per me pieno delle nuove esperienze di giovane giornalista alle prime prove con la cronaca (...) Parlavano a voce alta in un vernacolo pesante, pratese punteggiato già da quelle parole che poi ho scoperto essere un vero lessico familiare del Forteto. Alcune delle ragazze servivano a tavola, portando piatti di pasta dalla cucina e poi carne e verdure. Erano anni di femminismo scatenato e mi meravigliai di quella divisione dei ruoli. Loro parvero non accorgersene e mi dissero che certe sere comunque i ragazzi sparecchiavano. Mi trattarono come uno di loro seduto 6 alla stessa tavola, sulla stessa panca. Sorridevano e avevano tanto entusiasmo che mi sembrava esagerato per quella realtà sicuramente difficile di lavoro e per quella vita non certo comoda (...) E invece durarono. Dopo la bufera del processo per qualche anno non si sentì più parlare del Forteto. Sentii dire che avevano cambiato posto, che erano andati dalle parti di Vicchio. Non mi ricordo come mi tornarono in mente, ma in cerca di temi per il settimanale del TG1 nel quale ormai lavoravo, pensai di andare a dare un’occhiata. Trovarli questa volta fu più facile. Un grande cartello sulla strada provinciale tra Vicchio e Dicomano segnalava la cooperativa agricola il Forteto, con caseificio e vendita diretta di prodotti, mele, pesche, kiwi”. da Ritratti di famiglia, di Betty Barsantini e Sandro Vannucci L’attività sociale del Forteto è nata insieme con la cooperativa; anzi, ne costituisce una delle principali motivazioni, perché la scelta di vivere e lavorare in campagna era stata dettata anche dall’esigenza di trovare un ambiente idoneo alle persone disagiate che il gruppo dei fondatori frequentava sin dagli inizi degli anni Settanta. Nel corso degli anni, quest’azione di sostegno e condivisione si è espressa soprattutto attraverso il principio dell’accoglienza, con l’adozione e/o l’affidamento di bambini, ragazzi e anche adulti provenienti da famiglie problematiche. Ad oggi, sono circa novanta gli inserimenti effettuati al Forteto su richiesta dei Tribunali per i Minorenni e dei Servizi Sociali. Impegno per il quale, da molti anni, la comunità ha rinunciato al sostegno economico pubblico previsto per chi partecipa all’affidamento di minori. 2. La nascita della Fondazione “Poi si prese in affitto un vecchio appartamento di via dei Tintori. A quel tempo solo pochi di noi lavoravano e, per tirare avanti, avviammo le prime esperienze di cassa comune e di gestione collettiva. Via Tintori viveva 24 ore su 24; le cinque stanze erano sempre impegnate: chi studiava, chi parlava, chi disegnava per la scuola. Organizzammo una cucina che ci servì per le prime ‘epiche’ cene insieme, fuori dalle nostre case; quasi tutte le sere eravamo riuniti. È il momento della scoperta del rapporto umano, dell’incontro, della teorizzazione che cancella i nostri luoghi comuni, abitudini, pregiudizi, per evitare ogni emarginazione e le etichette. Compagni di scuola, amici, familiari, venivano spesso a trovarci, 7 con nostro grande timore che incidessero, criticassero le nostre scoperte recenti, incerte, da verificare e che temevamo rivoluzionarie e liberali. Via dei Tintori era stata un ‘basso’ e le tracce rimanevano in certe vicine dedite alla prostituzione ed in alcuni locali tra Piazza del Duomo e via Magnolfi. Passeggiando la sera nel Corso, conoscemmo giovani come noi, che già frequentavano la giustizia e le assistenti sociali, discretamente compromessi con la droga e con la vita. Queste realtà, prima mitiche, che evocavano dissolutezza e morte, diventarono, nel nostro orizzonte, una nuova casella del mosaico sociale. Erano giovani come noi, con diversi codici di comportamento.” da Non fu per caso, di Luigi Goffredi. La Fondazione il Forteto rappresenta dunque la prosecuzione e l’ampliamento, su un diverso terreno, dell’idea che ispira la pratiche dell’accoglienza e della solidarietà dei soci della Cooperativa. Tra gli scopi previsti nel suo statuto, vi è innanzitutto la realizzazione di ricerche a carattere scientifico di interesse sociale, nell’ambito delle discipline antropologiche, sociologiche, psicologiche e pedagogiche, al fine di individuare adeguati modelli per i rapporti interpersonali e sociali. In secondo luogo, vi è la tutela e la promozione dei diritti civili dei minori e delle fasce sociali svantaggiate. Inoltre, essa si impegna a favore della crescita culturale delle famiglie, ma anche di tutti coloro che sono impegnati nello svolgimento di funzioni e compiti sociali ed educativi verso i figli naturali, affidati o adottati. Tutto questo ponendo particolare attenzione al ruolo del volontariato e del privato-sociale, valorizzandone l’importanza sociale. La fondazione non ha finalità di lucro. La Fondazione è nata nel settembre del 1998 – con un gesto che voleva essere tanto simbolico quanto concreto - attraverso un versamento non recuperabile di 10 milioni di lire ciascuno da parte di venticinque dei soci fondatori, i quali convertirono così il loro prestito sociale alla cooperativa nel patrimonio iniziale della Fondazione. La Fondazione, oltre che di un Consiglio di amministrazione, si è subito dotata di un Comitato scientifico le cui competenze abbracciano tutto l’arco disciplinare che interessa la sua attività: da quello pedagogico a quello medico, da quello psicologico a quello giuridico. 3. Le proposte di modifica della legislazione italiana per l’affido dei minori 8 “Ancora ricordo il bambino che per tre mesi volle restare sempre in braccio (letteralmente) altrimenti piangeva o il piccolo che inizialmente poteva essere alimentato solo con gelato o quello vittima di abuso sessuale che non permetteva il contatto fisico. Parallelamente si instaura una terapia alimentare (quasi sempre giungono al Forteto giovani sottopeso per denutrizione) e fisica, tramite il gioco che in pochi mesi aiuta in maniera quasi miracolosa il recupero, con acquisizione di certezza e fiducia nella struttura familiare vicaria. I pasti, salvo rare eccezioni, sono consumati insieme in un unico ambiente che contribuisce a creare (c’è sempre un gran ‘casino’) affiatamento e senso d’appartenenza: la tavolata è il momento del raccordo, delle scelte, delle mansioni che ti sono assegnate. Così, gradatamente, anche i nuovi cominciano ad imparare a risocializzare (a volte è la loro prima esperienza) integrandosi sempre di più nella famiglia. Ed è davvero una famiglia con un comune sentimento d’appartenenza che si nota nel comportamento dell’adulto verso un minore o del ‘normale’ verso un down o uno psicotico”. da Il Forteto. Storie e realtà raccontate dal medico di famiglia, di Lucio Caselli. Le numerose esperienze di affido vissute dalle famiglie del Forteto hanno sviluppato nel tempo un’elevata sensibilità verso le regole di questo istituto. Era naturale per questo che la Fondazione si interessasse all’approfondimento dei temi inerenti l’affido, ed alla legislazione riguardante la tutela dei minori e delle famiglie. Così, tra il 1998 e il 2001 la Fondazione ha organizzato tre convegni nazionali sull’affido familiare. La legge 184 del 1983 sull’adozione e l’affido era allora l’ancoraggio legale di tutta la questione; quella legge, per la prima volta in Italia, istituiva e regolamentava l’affido consensuale e temporaneo anche presso nuclei familiari differenti da quello d’origine. Quando, nell’ottobre del 1998, la Fondazione organizzava a Firenze il primo dei convegni appena citati, la legge ha già una lunga pratica alle sue spalle, ed è diventata materia di discussione e di nuove proposte. Scopo della Fondazione, in quella prima circostanza, era di allargare il dibattito sul funzionamento della legge, ma soprattutto di sviluppare un’azione per organizzare un monitoraggio approfondito e sistematico sulla prassi dell’affido. Erano disponibili, allora, soltanto dati ed analisi molto carenti e frammentarie. Venne perciò presentata, nel corso del 9 convegno, anche un’indagine statistica sull’affido sulla base dei casi presi in esame nell’arco di un anno dal Tribunale per i Minorenni di Firenze, in tema di affidamento coatto. Esattamente un anno dopo, la fondazione ha organizzato il secondo convegno sull’affido, il quale tirava le fila di un anno di lavoro e di riflessioni. Nel frattempo, in Parlamento, era proseguito il lavoro della Commissione bicamerale per l’infanzia, chiamata proprio ad avviare la riforma della legge 184. Di conseguenza, questo secondo incontro di studio aveva un’attitudine immediatamente più pratica. Si intendeva far scaturire dal lavoro di monitoraggio avviato l’anno precedente (rivelatosi molto utile) e dal dibattito, proposte concrete da inviare alla commissione bicamerale, cosa che avvenne. Tra gli oratori del convegno si è contata anche la presenza dell’allora relatore della nuova legge, l’On. Luciano Callegaro. Prima del terzo ed ultimo convegno sull’affido sono trascorsi due anni: nel frattempo (marzo 2001) è stata promulgata la legge 149/2001, che ha portato modifiche importanti alla precedente, dovendosi anche adattare al principio del ‘giusto processo’, entrato in vigore con la modifica dell’articolo 111 della Costituzione, anche se l’entrata in vigore della relativa normativa, in riferimento a quest’ultimo aspetto, è stata poi sospesa con successivi procedimenti legislativi, in attesa di una compiuta regolamentazione della nomina del difensore d’ufficio. Il convegno, svoltosi nel novembre del 2001, ha voluto dunque fare una prima approfondita lettura del testo della nuova legge, discutendo sulle sue possibilità applicative. Per la fondazione, si è trattato di un punto di arrivo parziale, a partire dal quale prendersi il giusto tempo per una valutazione dell’efficacia della legge 149, e dei suoi effetti sull’affidamento. 3.1 Ma che cos’è, in generale, l’affidamento familiare? Si tratta di uno strumento normativo di aiuto per i bambini, gli adolescenti e le loro famiglie, quando attraversano momenti di difficoltà. É stato creato allo scopo di evitare che il loro disagio non degradi gravemente e irreversibilmente, così da compromettere le capacità dei genitori di educare, di crescere e di proteggere i figli. Serve anche ad impedire che i minori non subiscano incuria psicologica e materiale, o veri e propri maltrattamenti e abbandono. La legge 184/83 (e in maniera ancor più marcata la legge 149 del 2001) hanno come fine proprio di garantire al minore il diritto ad una famiglia, 10 e in particolare alla propria famiglia naturale. Reciprocamente, intende però anche garantire alla famiglia la possibilità di svolgere in maniera adeguata i propri compiti. Le norme che riguardano l’affido non hanno, per ciò, nessun intento repressivo o punitivo, ma sono ispirate all’idea dell’aiuto che lo Stato, attraverso i servizi sociali e sanitari, può offrire alla riorganizzazione di una situazione squilibrata o carente. Le situazioni di disagio familiare si manifestano per ragioni e con caratteristiche diverse: ciascuna di esse va analizzata e contestualizzata in maniera precisa, prima di proporre un programma di azioni e comportamenti che la possano sostenere. C’è, ovviamente, una gradualità nelle situazioni di disagio. Il grado inferiore si individua nelle difficoltà rapidamente recuperabili quali sono, ad esempio, quelle delle famiglie in cui ambedue i genitori sono costretti per qualche tempo e per motivi economici a lavorare a tempo pieno o (per ragioni di salute) sono temporaneamente impediti nel seguire i figli, e nella struttura familiare/parentale non vi sono altri componenti che possano sostituirli o aiutarli. In questi casi, un temporaneo affido eterofamiliare può prevenire ulteriori disagi senza intaccare la struttura dei rapporti genitori/figli. La legge 184 del 1983, e la successiva legge 149 del 2001, prevedono genericamente l’affido, provvedimento che può essere accompagnato da misure coerenti alla situazione in esame, quali precise prescrizioni a cui attenersi e/o l’applicazione di altri articoli di legge come il 333 e il 330 del Codice civile, che si riferiscono alla potestà dei genitori. Nella pratica, e alla luce di queste norme, si possono individuare due tipi principali: l’affido consensuale e l’allontanamento giudiziario. L’affido consensuale si articola attraverso una tessitura di rapporti che si realizzano per opera del Servizio sociale del territorio, tra la famiglia del bambino e quella disposta all’accoglienza. Nella maggioranza dei casi viene sottoscritto un programma che impegna le famiglie e i servizi alla collaborazione condivisa. Il Servizio sociale, poi, comunica l’iniziativa al Giudice tutelare competente sul territorio, ed ogni sei mesi lo aggiorna sull’andamento della situazione. La legge 149 del 2001 pone il preciso limite di due anni quale durata massima di un affido consensuale, dopodiché, se il Servizio Sociale valuta che la famiglia di origine ha recuperato le capacità di accudire ed educare il bambino, questo rientra in famiglia. Se invece, trascorso il periodo previsto dal programma, la situazione non si è risolta, l’affido può essere prorogato solo dal Tribunale per i minorenni. Il Servizio sociale, quindi, deve sottoporre istanza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, per dare il 11 via ad un’indagine sulla cui base il Tribunale dovrà emettere con decreto una decisione. L’affidamento con provvedimento giudiziario è invece l’allontanamento coatto di un minore dalla propria famiglia, disposto dal Tribunale per i minorenni, in genere dopo una segnalazione dei Servizi sociali, a cui fa seguito un’indagine socio-ambientale. É evidente che si applica nei casi dove l’incuria e il maltrattamento del minore sono molto marcati, e le prospettive per il recupero delle risorse affettive ed educative della famiglia si presentano più complesse. In questo caso i tempi non sono definiti dalla legge e l’affido può essere più volte rinnovato nel corso degli anni. Il Tribunale può nominare un curatore speciale che garantisca e operi per il benessere dei minorenni nel corso di procedure giudiziarie che si presentano conflittuali. Naturalmente, i fatti materiali ed i motivi che portano ad operare per l’aiuto alla famiglia con queste due modalità principali sono radicalmente diversi per importanza. Di conseguenza, nella pratica dei Servizi sociali si possono osservare molte altre modalità, secondo una scala graduale che va da un estremo all’altro, vale a dire fra la prevenzione che si può attuare prima di intervenire con l’affido consensuale, fino all’allontanamento giudiziario. Prima dell’affido possono essere predisposte molte iniziative di aiuto alla famiglia, comprese in ciò che viene chiamato “affido a tempo parziale”. Il sostegno può concretizzarsi in alcune ore della giornata, o in qualche giorno e notte in modo saltuario, o fine settimana, o periodi di vacanza, che il bambino trascorre accudito da parenti o da persone esterne alla famiglia d’origine. Queste sono pratiche che hanno sempre fatto parte della tradizione e della solidarietà spontanea della comunità, ma che negli ultimi decenni hanno avuto bisogno di essere istituzionalizzate a causa dell’isolamento che progressivamente ha circondato la famiglia, specialmente nei casi in cui ad essa mancano risorse economiche sufficienti, o nel caso di famiglie di immigrati da poco trasferitesi in un nuovo contesto. Lo stesso affido consensuale può essere a tempo parziale, ad esempio il bambino rimane giorno e notte o per parte della settimana nella famiglia di accoglienza che assolve anche a funzioni importanti, caratteristiche della potestà, come curare i rapporti con la scuola o seguire le esigenze sanitarie del bambino. Se il bambino, invece, viene collocato a tempo pieno, l’affido consensuale può assumere connotati diversi, a seconda degli accordi che disciplinano il mantenimento dei rapporti con la propria famiglia, cioè il calendario dei tempi, la durata e le modalità degli incontri. 12 Come dicevamo, l’affido dovrebbe essere una condizione temporanea, che duri per il più breve tempo possibile. Questo affinché non ne risentano i legami familiari, la cui solidità è fondamentale per la costruzione equilibrata della personalità del bambino. La legge 149 del 2001, a questo proposito, pone genericamente il limite di due anni. Ogni situazione deve comunque essere singolarmente tipizzata e valutata, attraverso un’attenta analisi ambientale e socio psicologica. Viene spontaneo domandarsi chi possa prendere in affido e con quali procedure praticare l’accoglienza. All’affidamento sono idonei tutti gli adulti che offrano garanzie morali ed esprimano capacità affettive ed educative. Questo vale anche per i singoli, benché nella pratica vengano privilegiate le famiglie perché l’esperienza e il contesto di una famiglia sono, per il bambino, meglio confrontabili a quello di origine. Si presuppone che una famiglia offra maggiori capacità di accoglienza, e mitighi l’inevitabile senso di sradicamento che il bambino prova essendo costretto a passare attraverso questo tipo di esperienze. I Servizi sociali, con l’assistente sociale e il Servizio sanitario, e con le Unità di psicologia, hanno il compito di valutare/formare chi è disponibile all’affido. Dopo questo percorso viene rilasciato ai candidati affidatari una relazione di idoneità. Non sempre si tratta di una procedura rigorosamente formale con rilascio di documentazione ma è, comunque, una prassi che in concreto viene regolarmente attuata. Un Servizio sociale stabilisce infatti sempre, prima di avviare un procedimento di affido, un rapporto di approfondita conoscenza con la famiglia o il singolo che si candidano per l’accoglienza. 4. Conoscere il Forteto I principali motivi per i quali è nata la Fondazione Il Forteto sono la volontà di testimoniare, di comunicare, di poter estendere ad un tipo di analisi scientifica o storica l’esperienza di vita e di lavoro condivisa dai soci della Cooperativa agricola Il Forteto. Tra i soci, si è via via sviluppata anche il sentito bisogno di un confronto culturale. Esso poteva emergere solo attraverso questo approccio multiculturale, capace di individuare e mettere a fuoco poco alla volta i suoi elementi caratteristici. L’esperienza del Forteto mostra infatti tratti strutturali, organizzativi, culturali spiccatamente alternativi. Nella prospettiva dell’accoglienza, e con l’integrazione nelle famiglie di molti minori in adozione o in affido, il Forteto rappresenta in effetti 13 un’esperienza rilevante tanto per il numero dei casi affrontati che per i risultati raggiunti, ma anche per l’originalità dei rapporti familiari che stanno alla base dell’intervento in aiuto ai minorenni e alle loro famiglie in condizione di sofferenza. É su questi presupposti che, già nel 1996, il sociologo Giuseppe Ferroni aveva avviato una circostanziata ricerca sulla comunità. Nel 1999 è diventata un ponderoso volume che rimane un passaggio obbligato per chiunque sia interessato ad una conoscenza approfondita del Forteto. A questo proposito, una bibliografia di pubblicazioni e di altri materiali documentali che riguardano direttamente il Forteto, o che sono stati promossi dalla sua Fondazione, si può trovare in questo stesso quaderno, al termine della prima parte. Il volume di Ferroni è stato tra le prime pubblicazioni che la Fondazione ha, per così dire, dedicato a se stessa ed alla comunità, ed è parte di un impegno che è via via proseguito con i libri scritti da Betty Barsantini e Sandro Vannucci, Lucio Caselli, Nicola Casanova, ciascuno dei quali ha cercato di mettere a fuoco la comunità da un diverso punto di vista, ed utilizzando differenti stili: dalle vivide interviste raccolte da Barsantini e Vannucci, all’esperienza di medico-condotto che fa da filtro nel testo di Caselli, fino al taglio misto (narrativo-esplicativo) scelto da Casanova, che alterna il racconto storico alle descrizioni delle relazioni attuali. Il primo contributo di questo tenore, di carattere autobiografico, risale però già al 1980, quando Luigi Goffredi, che è presidente della Fondazione dalla sua costituzione, raccontò in “Non fu per caso” i primi, molto difficili eppure entusiasmanti anni del Forteto. In questi stessi anni, il Forteto è stato sottoposto a studi ed analisi da parte di numerose università, e secondo differenti approcci disciplinari (neuropsichiatria infantile, pedagogia, sociologia), con la realizzazione di alcune tesi di laurea e di specializzazione. Il lavoro di maggiore ampiezza è stato comunque quello coordinato dalla professoressa Maria Grazia Martinetti, titolare della cattedra di neuropsichiatria infantile presso la Facoltà di medicina dell’Università di Firenze. A partire dal 1999, alcuni dottorandi effettuano il monitoraggio dell’evoluzione di un gruppo di bambini affidati ad alcune famiglie del Forteto, constatandone le interazioni reciproche, lo stato dei traumi subiti nel passato, con l’intenzione di riuscire a delimitare un quadro complessivo dell’evoluzione nel tempo di queste esperienze. “La comunità il Forteto produce, ad un tempo, salute psichica e ricchezza economica. 14 É questa una circostanza singolarissima che fa del Forteto un interessante oggetto di ricerca agli occhi delle scienze sociali, un singolarissimo esperimento in natura. La produzione contestuale di salute psichica e di ricchezza economica, invero, è un esito assai inconsueto. Le organizzazioni finalizzate alla produzione di salute psichica, infatti, consumano ricchezza economica; le organizzazioni finalizzate alla produzione di ricchezza economica, invece, ‘consumano’ salute psichica (...) Le modalità di organizzazione del lavoro sono così intersecate con le modalità di organizzazione della vita che non si può parlare del modo in cui è organizzato e svolto il lavoro distintamente e separatamente dal modo in cui si svolge la vita nell’ambito del Forteto. Qui, infatti, l’organizzazione del lavoro è una variabile dipendente dallo stile di vita assunto e non viceversa, come invece accade, in misura cospicua, nella società in cui la comunità il Forteto è sorta e vive”. da Forme di cultura e salute psichica, di Giuseppe Ferroni. 5. Le relazioni familiari A partire dal 2001, visti gli sviluppi intervenuti sul terreno della legislazione sull’affidamento, si è aperta una nuova fase di attesa e di verifica. I tempi erano maturi per lavorare su altre tematiche previste dallo statuto. L’opera della Fondazione si è così orientata sui problemi della famiglia e sulla qualità delle relazioni familiari. In primo luogo, già a partire dal 1999, in collaborazione con i comuni del Mugello, la fondazione ha promosso una capillare campagna di informazione sull’affidamento, rivolta alle famiglie ed in vista della creazione del Centro affidi del Mugello: si trattava di far conoscere l’affido stesso, la sua natura e le sue regole, coinvolgendo tutte le famiglie sensibili al problema, o addirittura propense ad accogliere un minore, approfondendo le conoscenze di tutte le dinamiche affettive e interpersonali che animano il contesto familiare. Alla campagna informativa è seguita una fase di maggiore approfondimento, che si è svolta a partire dal 2000 nella sala polivalente della fondazione, a Riconi. Sono state infatti organizzate delle giornate di informazione, di studio e di formazione per le famiglie e per gli operatori del settore sociale, coinvolti dalla loro professione nella prassi 15 dell’affidamento. In questo caso, i relatori erano: operatori dei Servizi sociali e delle Unità Operative di Psicologia delle ASL, oltre a volontari con specifiche competenze, giudici del Tribunale per i minorenni, avvocati specialisti della famiglia, e persone con bambini in affido, che hanno sviluppato le molte tematiche, giuridiche e psicologiche, e offerto testimonianze concrete. Infine, la Fondazione ha partecipato e partecipa regolarmente a convegni e seminari più o meno legati ai problemi minorili, che si tengono soprattutto in Toscana, ma non soltanto. Per fare due esempi, si va dalla partecipazione agli incontri organizzati nelle scuole con i genitori degli alunni a Lucca dall’ANFAA (l’associazione nazionale delle famiglie adottive e affidatarie), al progetto dell’Università di Pisa di educazione alla pace, in cui il Forteto ha portato la propria esperienza, fino alla partecipazione alle iniziative internazionali dell’Associazione Europea di Neuropsichiatria per l’infanzia. Il tema della famiglia e delle sue relazioni è stato toccato anche nella più recente monografia promossa dalla Fondazione, “La strada stretta. Storia del Forteto”. Pur non avendo ambizioni scientifiche, questo lavoro dal taglio narrativo aveva tra i suoi scopi quello di descrivere la particolare forma familiare della comunità, la ‘famiglia monofunzionale’, e la prassi della ‘rete’ di sostegno tra più famiglie tipica del Forteto, con la speranza di aprire un confronto con la famiglia mononucleare caratteristica della società italiana odierna. Dietro l’intento di misurarsi con un tema difficile e spinoso come quello della famiglia e dei suoi passaggi critici, vi era un fascio di motivazioni maturate negli anni, attraverso l’esperienza quotidiana di vita al Forteto, e quella più specificamente culturale che la fondazione ha acquisito nel corso della propria attività. A questo nuovo orientamento, corrisponde la rapida trasformazione vissuta dalla famiglia, in Italia e a livello mondiale, nel corso degli ultimi decenni. La famiglia e le relazioni tra i suoi membri sono state fortemente sollecitate da quel che stava avvenendo intorno ad essa: nella società, nei rapporti e nelle condizioni di lavoro, nel diffondersi dell’informazione e della comunicazione, nell’accresciuto predominio delle nuove tecnologie, per finire con la globalizzazione economica e culturale e la tendenza all’omologazione degli istituti fondamentali della società, del lavoro, delle relazioni interpersonali e dei sentimenti Tutto questo ha travolto i ruoli, le autorità, i valori tradizionali e ogni altro riferimento socioesistenziale, rarefacendo gli aspetti comunitari nei rapporti umani, costringendo così la famiglia a diventare un piccolo gruppo tendenzialmente chiuso, arroccato nel conseguimento 16 del benessere economico, e percorso da tensioni anche gravi per quel che invece riguarda le relazioni più spiccatamente altruistiche, personali: il dialogo, l’affetto, la comprensione e la solidarietà. Così, diminuita la povertà economica (che in passato prevaleva quale causa scatenante) sono affiorati nuovi tipi di disagio. La famiglia si è scoperta impreparata ai richiami dei bisogni affettivi, incapace di offrire modelli educativi; e si è mostrata immatura, alla deriva e con l’unico salvagente di una scala di valori materialistici. Sono esponenzialmente cresciuti divorzi e separazioni, e sono dilagate le contese sui figli. É facile intuire, anche da questi brevi cenni, come sia stato naturale, per la Fondazione, volgersi dal problema più specifico di adozione e affido a quello più ampio della famiglia. In fondo, affido ed adozione rappresentano gli aspetti più eclatanti e drammatici della crisi della famiglia. Meno visibili, ma endemicamente diffuse, esistono però le difficoltà della famiglia “normale” e dei bambini e degli adolescenti “normali”. La stessa contesa sui figli, cui accennavamo, non è che un problema di affido “interno” alla famiglia. Per la Fondazione, con le iniziative che abbiamo citato, si è trattato dunque di allargare il raggio della propria azione in campi comunque contigui. Era doveroso, vista la consolidata esperienza su questi temi, dare un contributo nel mettere a fuoco anche le situazioni non eccezionali nell’importantissimo ed estremamente vasto ambito dell’istituzione familiare. E tutto questo avendo come stella polare il principio dell’esistenza dei diritti dei minori, la cui tutela e rafforzamento si colloca in una società che vede storicamente al suo centro gli adulti, con i loro diritti e le loro ragioni vincenti. Il perseguimento e la difesa dei diritti dei minori, e la loro centralità all’interno della famiglia sono i criteri etici fondamentali della Fondazione il Forteto. “Chi sfugge al timore di rivedere se stesso nei propri figli? Vorremmo infondere loro la parte migliore di noi, e rimaniamo al contrario accecati quando essi ripetono le nostre debolezze, le meschinità, oppure offrono prova di impotenza nel momento in cui dovrebbero invece nutrire il nostro orgoglio. Si potrebbe credere che questo genere di identificazione scatti soltanto per un figlio che è sangue del proprio sangue, ma è una supposizione gretta, dozzinale. Non è vero che ad un figlio adottivo, o in affidamento, si chieda di meno, che con lui ci si accontenti e che, in fondo, quel che viene è tanto di guadagnato. Frustrazioni ed esaltazioni appartengono anche all’universo psichico del genitore acquisito perché un figlio – forse più 17 che un patrimonio genetico trasmesso da un corpo all’altro – è cultura o incultura, ed è lo specchio fin troppo fedele di quel che sappiamo e non sappiamo fare”. da La strada stretta. Storia del Forteto, di Nicola Casanova. 6. L’impegno nella scuola Dal 2002, la Fondazione ha aperto il confronto con un altro degli importanti ambiti in cui si muove il mondo giovanile: quello della scuola. Trattando della famiglia e delle relazioni che la interessano è inevitabile incontrare il rapporto scuola – famiglia, cosicché l’approfondimento su questi temi si è sviluppato di pari passo nel lavoro della Fondazione. Se, qui, teniamo separati i due settori è soltanto per chiarezza di esposizione. Un primo gruppo di iniziative si è sviluppato con la collaborazione con l’Istituto di Terapia Familiare di Firenze, diretto da Rodolfo de Bernart. Il personale dell’istituto (psicologi, neuropsichiatri, mediatori culturali) ha svolto delle osservazioni sulle famiglie del Forteto, studiando l’esperienza di quelle che, dopo aver preso un bambino in affidamento, lo hanno reinserito e seguito nel suo percorso scolastico, svoltosi nella maggior parte dei casi nelle Scuole Elementari e Medie di Vicchio e Dicomano, e negli Istituti Superiori di Borgo San Lorenzo. Ne è scaturito uno studio basato su una serie di interviste ad alcune coppie affidatarie, seguite da una scheda descrittiva di ciascuna di loro. Con il supporto di questo materiale di prima mano, si è tentato di ricostruire un profilo dei rapporti fra i ragazzi del Forteto e le scuole del Mugello, descrivendo un percorso che scorre dalle difficoltà e i pregiudizi iniziali fino ad una progressiva crescita, fatta di scambi di amicizia e di collaborazione scolastica ed extrascolastica. É risultata evidente la grande evoluzione e maturazione di questi rapporti tra le famiglie del Forteto, le altre famiglie, gli insegnanti e gli stessi ragazzi. Da questo specifico modello di rapporti si sono potute trarre osservazioni più generali sulle relazioni tra la scuola e la famiglia. In seguito, nel 2002, la Fondazione ha coordinato un progetto biennale nell’ambito del programma europeo Socrates, intitolato “La scuola della famiglia”. Oltre all’Italia, rappresentata dalla Fondazione il Forteto, hanno partecipato il Portogallo, la Spagna, e l’Irlanda, presenti rispettivamente attraverso una scuola professionale, un istituto comprensivo di educazione primaria e secondaria, ed un progetto rivolto a ragazze madri giovani e 18 giovanissime provenienti da ambienti profondamente degradati, attuato per offrire loro (in un rapporto di accoglienza quotidiana) l’educazione concreta di base per la cura dei figli e della casa. Accanto a questo, un percorso parallelo dedicato all’educazione tradizionale, scegliendo quelle conoscenze e quelle nozioni basilari che sono necessarie per la ripresa di un processo di apprendimento e di crescita personale che in qualche caso si era precocemente e fortemente bloccato. Il progetto si articolava attraverso incontri internazionali di pianificazione, confronto e verifica, e attraverso corsi di formazione per insegnanti e genitori, allo scopo di appropriarsi di supporti culturali per facilitare le relazioni interpersonali all’interno della scuola. Durante l’incontro internazionale di pianificazione e condivisione del progetto a Setubal (Potogallo), è stato prodotto un documento sull’organizzazione scolastica dei diversi paesi. Nelle successive fasi del lavoro – che hanno coinciso con sedute comuni nei diversi paesi partecipanti - sono poi venuti alla luce gli specifici comportamenti e linguaggi degli adolescenti interessati dal progetto, e i partecipanti (che erano prevalentemente educatori, docenti, operatori e volontari impegnati nel sociale) hanno sempre cercato di coglierne il senso, oltre a pensare a delle proposte per uscire dalle situazioni più problematiche. Dopo due incontri di verifica, quello successivo è diventato occasione per una giornata di formazione e di discussione pubblica tenutasi a Firenze, alla quale hanno partecipato enti pubblici, associazioni e insegnanti, nel corso della quale tutti i partners si sono ritrovati per esporre i risultati raggiunti, i documenti e gli altri materiali prodotti, come un DVD di documentazione dell’esperienza, e relazioni sui temi trattati e sui dati rilevati nell’ambito dei corsi. In generale, i dati raccolti attraverso i questionari e le osservazioni dirette dei formatori e degli insegnanti e le riflessioni sul sistema scolastico italiano, spagnolo e portoghese, hanno mostrato molti nodi problematici in comune, ed in particolare la questione della sensibile perdita di autorità degli insegnanti e della carenza di modelli di riferimento esistenziale, proporzionali all’aumento alle manifestazioni di disagio adolescenziale evidenziate nel corso del lavoro. Andavano comunque tenute in conto delle specificità (ad esempio, l’attenzione spagnola per l’educazione e la prevenzione sanitaria), e va ricordato come la sezione irlandese del progetto riguardava una scuola dell’infanzia e le tante difficoltà di una fascia sociale particolarmente debole: quella delle ragazze madri in età adolescenziale. 19 Progetto “Barbiana e il Mugello. Una scuola per l’integrazione” Il progetto intende sintetizzare un modello informale di educazione permanente, pensato per integrare le attività di prevenzione e sostegno socio affettivo e scolastico proprie del volontariato e dell’associazionismo con quelle già svolte da ASL e Comunità Montana negli istituti scolastici della zona Mugello. L’iniziativa è finalizzata all’educazione alle relazioni e all’affettività, e coinvolge oltre al volontariato e la scuola, le famiglie, gli operatori del sociale e le agenzie educative extrascolari dedicate ai bambini e ai giovani. Siamo così giunti all’attualità: a partire dal mese di settembre del 2005, la fondazione è nuovamente impegnata nel settore della scuola, con un progetto chiamato “Barbiana e il Mugello. Una scuola per l’integrazione”, che è stato finanziato in misura prevalente dal CESVOT. Si tratta di un progetto inizialmente previsto sull’arco di un anno, ma rinnovabile fino a tre anni, che si svolgerà nelle scuole di Vicchio, Scarperia, Dicomano e Borgo San Lorenzo. Già nel titolo se ne coglie l’ispirazione culturale, che rimanda a don Lorenzo Milani, al suo impegno educativo ed alla celebre “Lettera a una professoressa”, un libro scritto a Barbiana quarant’anni fa ma ancora vivo dopo aver avuto un’eco mondiale. Il progetto sta realizzando attività di animazione, informazione e sensibilizzazione di adulti e minorenni, coinvolgendo genitori, docenti, operatori del sociale, volontari e studenti. Lo scopo delle attività, che hanno cadenza settimanale e sono affidate a esperti del settore ed educatori appositamente formati, è di migliorare le relazioni all’interno delle classi, sia per l’apprendimento che per rendere più significativi e fluidi i rapporti personali e di gruppo dei bambini e dei ragazzi. Purtroppo, negli ultimi anni la scuola, l’ambiente delle classi, hanno risentito negativamente di fenomeni sociali come il bullismo, il razzismo, 20 l’alcolismo, la tossicodipendenza, le patologie dell’alimentazione, la disgregazione della famiglia, l’impoverimento del linguaggio. É su questo processo regressivo che il progetto cercherà di intervenire. 7. L’apertura verso l’Europa ed i nuovi progetti programma europeo Socrates, dell’azione Grundtvig 2, progetto EDEF “La scuola della famiglia” Il ruolo centrale avuto dalla Fondazione nel già citato progetto “La scuola della famiglia” indica la proiezione europea di una parte della sua attività. Lo stimolo ad aprirsi all’Europa, ed a mettere in rapporto le tematiche minorili italiane con quelle di altri paesi europei, è in effetti arrivato da uno dei passaggi più spiacevoli vissuti negli ultimi anni dal Forteto. É un episodio direttamente derivato dalla pratica di affido delle famiglie della comunità: alla fine del 1998, la madre di due bambini che il Tribunale per i minorenni di Firenze aveva allontanato da lei affidandoli ad una famiglia del Forteto, ha presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Nel luglio del 2001, la Corte ha riconosciuto valido il ricorso della madre, condannando lo Stato italiano per averle impedito, per un breve arco di tempo, il diritto di incontrare i figli e per aver insufficientemente controllato sull’operato dei Servizi psico-socioassistenziali. Situazione che, secondo la Corte, avrebbe causato danni ai legami familiari. Al di là del caso specifico, la vicenda giudiziaria ha fatto toccare con mano al Forteto la rilevanza di un approccio sovranazionale a tutte le questioni minorili, e non soltanto quelle con un risvolto giudiziario. Siamo in presenza di un variegato quadro di legislazioni nazionali, ispirate da differenti principi, valori e tradizioni, cui si è aggiunta la 21 giurisdizione della Corte europea. A fronte di questa situazione, la Fondazione si è dunque proposta di estendere la promozione della ricerca ad un ambito territorialmente più ampio. Il lavoro che presenteremo in forma riassuntiva nella seconda parte di questo quaderno (e che è stato, anche in questo caso, sostenuto dal CESVOT) è il primo risultato scientifico realizzato entro questo indirizzo. Si tratta di uno studio giuridico-comparativo coordinato dal prof. Alessandro Simoni della Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Firenze, messo in cantiere nella seconda metà del 2003, e giunto alla sua conclusione proprio in questi mesi. Il suo fine, come vedremo da vicino, è di studiare le caratteristiche proprie dei diversi ordinamenti giudiziari, rappresentativi delle principali tradizioni giuridiche europee, riguardo all’affidamento dei minori, con particolare attenzione al ruolo degli esperti non giuristi che collaborano in questo ambito. 2004 – 2005 Ricerca Progetto di: Alessandro Simoni “Giuristi, esperti e bambini: uno studio comparato sulle forme di utilizzazione del sapere non giuridico nell’affidamento dei minori” Prima di entrare nel merito dell’indagine svolta, ricordiamo però anche le più recenti iniziative della Fondazione. A questo proposito, essa cura in particolare l’aspetto della collaborazione concreta e dei partenariati, sia con le istituzioni locali che con le associazioni del volontariato e del privato- sociale della zona. Questo tenendo presente che la più importante è comunque quella da poco cominciata presso le quattro scuole del Mugello, e della quale già abbiamo riferito. 22 Incontro Nazionale “Comuni, comunità, ecovillaggi: laboratori per...” Incontro di riflessione e per l’elaborazione di proposte nella prospettiva della realizzabilità di modelli di vita insieme, per la condivisione umana, culturale ed economica delle esperienze La Fondazione ha poi ospitato a luglio del 2005 l’incontro nazionale degli ecovillaggi della rete Rive, un’occasione di confronto con realtà comunitarie di vita e lavoro e disseminate sul territorio nazionale. Convegno “Crisi dell’educazione o educazione della crisi? Scuola: modelli e pratiche educative tra rapporti interpersonali e cultura dell’integrazione” Presentazione del Progetto “Barbiana e Il Mugello, una scuola per l ‘integrazione”: Con L’Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Scienze dell’Educazione e dei Processi Culturali e Formativi 23 Nello stesso mese di luglio del 2005, ha avuto luogo il convegno “Crisi dell’educazione o educazione della crisi”, che si è svolto nell’aula magna dell’Università di Firenze ed è stato pensato come prologo al menzionato progetto sulla scuola. Da ultimo, sempre nell’ambito del programma Socrates, è stato lanciato il progetto “La cultura cinematografica e la famiglia”, con l’intenzione di organizzare una serie di incontri, lezioni, dibattiti attraverso i quali approfondire il tema della famiglia nella sua ricezione da parte della cinematografia italiana, mettendola in rapporto con quella dei paesi europei, con il corollario di una formazione introduttiva sull’uso degli strumenti per produrre documenti audiovisivi didattici, con particolare attenzione all’uso della videocamera. Alla fine del corso gli allievi, 16/18 – 26 anni, dovranno esser in grado di scrivere, progettare e realizzare piccoli documentari e avere un atteggiamento attivo e critico verso i prodotti cinematografici e televisivi. Progetto “Cinematografia e famiglia” Introduzione alla lettura e all’uso dei linguaggi e degli strumenti audiovisivi per migliorare le professionalità e le relazioni interpersonali Sezione 1 – Cinema e formazione: per la stima di sé e dell’altro, come e perché fare uso di sequenze filmiche per educare alle relazioni e alle regole della convivenza Sezione 2 – Introduzione ai linguaggi, alle tecniche e ai metodi pratici della cinematografia. Informazioni per la realizzazione e la gestione di emittenti di quartiere o di condominio (telestreet) 24 Attualmente, la Fondazione il Forteto si avvale del lavoro del presidente Luigi Goffredi, di Valentina Ceccherini (responsabile organizzativa), e della collaborazione di Francesco Bacci, Rodolfo Fiesoli, Cristina Maretto, Stefano Pezzati e Gianni Romoli. 8. Il Forteto: una bibliografia A conclusione della panoramica sull’attività svolta dalla Fondazione Il Forteto, si è pensato di offrire al lettore una bibliografia di tutti gli scritti ad oggi realizzati, e che in qualsiasi modo riguardano il Forteto. Sono compresi sia i testi stampa che altri strumenti di comunicazione; la maggior parte di essi è stata promossa e finanziata dalla fondazione stessa. A. Monografie 1980 – Goffredi, L., Non fu per caso. Una leggenda dei nostri tempi, Firenze, Torchio. 1997 – Barsantini, B.-Vannucci S., Ritratti di famiglia. I cento volti della solitudine e della violenza nel chiuso della vita familiare, Firenze, Polistampa, fotografie di Derno Ricci. 1998 – Caselli, L., Il Forteto. Storie e realtà raccontate dal medico di famiglia, Firenze, NICOMP L.E. 1999 – Ferroni, L., Forme di cultura e salute psichica. Universo simbolico, ethos, areté e regole di relazione nel mondo del Forteto, Bologna, il Mulino. 2003 – Casanova, N., La strada stretta. Storia del Forteto, Bologna, il Mulino, con un’Appendice di Alessandro Simoni. B. Atti di convegni, volumi collettivi 1981 – Goffredi, L. (a cura di), Sam, Maria…il giardino delle verità, Bologna, Cappelli. 1998 – Goffredi, L. – Nicoletti, I. (a cura di), La famiglia, problematiche dell’affido e relazioni intrafamiliari (Atti del I convegno nazionale della 25 Fondazione il Forteto), Firenze, NICOMP L. E. 1999 – Goffredi, L., Affido familiare. Proposta di modifica articoli 15 della legge 184/83 (Atti del II convegno nazionale della Fondazione il Forteto), Dicomano, Edizioni il Forteto. C. Saggi ed articoli 2001 – Goffredi, L., Co-operative il Forteto, experience of life and work. Parent-function of support in situations like abandonment, maltreatment and sexual abuse of children, in Terzo congresso europeo di psicopatologia del bambino e dell’adolescente. Abstracts, Lisbona, Association européenne de psychopathologie de l’enfant et de l’adolescent, p. 37. 2004 – Goffredi, L., Emotional and Social Development in Disadvanteged Children: Life, Work and Foster Care with the Families of the Members of the Members of the Agricultural Cooperative Il Forteto, in AA.VV., Human Growth in Sickness and in Health. Abstracts, Firenze, Edizioni Centro Studi Auxologici, pp. 84-86. D. Tesi di laurea, di dottorato e di specializzazione 2000 – Rinaldi, S., Trauma evolutivo e fattori protettivi: analisi di una casistica inserita al Forteto, (tesi di laurea svolta presso la Facoltà di scienze della formazione dell’Università di Firenze, corso di laurea in scienze dell’educazione; relatore: prof.ssa M.G. Martinetti). 2000 – Meiattini, R., Trauma evolutivo: Incidenza nell’evoluzione relazionale e valutazione dei fattori produttivi. Analisi di una casistica inserita nella comunità Forteto, (tesi di specializzazione svolta presso la Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Firenze, cattedra di neuropsichiatria infantile; relatore: prof. M. Santini). 2000 – Zamagni, L., L’affido come possibile risposta a situazioni di maltrattamento minorile. Analisi della cooperativa ‘il Forteto’, (tesi di laurea svolta presso la Facoltà di sociologia dell’Università di Bologna, sede di Forlì; relatore: prof. C. Cipolla) 2004 – Romiti, L., Il contesto relazionale come condizione essenziale 26 per una “buona” adozione: il clima di comunicazione a Il Forteto, (presentata quale prova finale in psicopatologia dello sviluppo presso la Facoltà di scienze della formazione dell’Università di Bologna; relatore: prof. R. Pani). E. Opuscoli 2000 – L’affido: norme e notizie essenziali 2000 – Quando il pane non fa crescere, Firenze, Nicomp. F. Audiovisivi, Siti Internet 1997 – Una nuova famiglia, VHS di 15’ circa, prodotta dalla Fondazione Il Forteto. 2001 – Il Forteto. Storia, esperienza, presenza, CD ROM, di Antonio Bertoli. 2004 – La scuola della famiglia, DVD (sintesi filmata di un progetto nell’ambito del programma europeo Socrates). - Sito internet della Cooperativa il Forteto: www.forteto.it - Sito internet della Fondazione il Forteto: www.Fondazioneforteto.it (in corso di realizzazione) 29 Parte seconda LA TUTELA DEI MINORI: UNO STUDIO SULL’AFFIDAMENTO FAMILIARE IN EUROPA COMPARATO 1. Organizzazione e scopo della ricerca La seconda parte di questo quaderno dedicato ai problemi della tutela dei minori è, come detto, la sintesi di una ricerca promossa e finanziata dal CESVOT e dalla Fondazione Il Forteto, alla quale ha collaborato il Dipartimento di diritto comparato e penale dell’Università di Firenze. Il referente del progetto è Luigi Goffredi, presidente della Fondazione Il Forteto, mentre il prof. Alessandro Simoni, dell’Università di Firenze, ne è il coordinatore scientifico. La ricerca è intitolata: “Giuristi, esperti e bambini: uno studio comparato sulle forme di utilizzazione del sapere non giuridico nell’affidamento dei minori”. La ricerca verrà successivamente pubblicata nella sua forma integrale. 1.1 Per l’esecuzione dello studio, il coordinatore scientifico ha selezionato alcuni studiosi europei, sulla base della loro esperienza e precedenti pubblicazioni in materia. Tutti hanno redatto i contributi nella lingua madre; i testi sono poi stati tradotti tenendo conto della specificità di alcuni termini rispetto all’ordinamento giuridico nel quale vengono utilizzati. Gli studiosi sono: il prof. Trevor Buck dell’Università di Leicester per l’Inghilterra, il cui saggio si intitola “Welfare Knowledge: i procedimenti per la protezione dei minori e l’uso delle competenze extragiuridiche nell’ordinamento inglese”; il prof. Philip Milburn dell’Università di Versailles St-Quentin per la Francia, il cui testo titola “Decisioni, perizie e interventi educativi nella ‘protezione dei minori’ in Francia”; il prof. Christian Diesen dell’Università di Stoccolma per la Svezia, che ha elaborato il saggio “Giustizia minorile senza ‘corti minorili’: peculiarità e tensioni del modello svedese”. Il contributo tedesco è stato scritto a quattro mani dalla dott.ssa Kathleen Schnoor e dal prof. Joerg Fegert dell’Università di Ulm, i quali hanno unito le loro competenze (rispettivamente: giuridiche e di neuropsichiatria infantile): il saggio si intitola “Inquadramento giuridico e problemi pratici dell’utilizzazione di esperti nelle decisioni sull’affidamento in Germania”. 30 1.2 Il primo spunto per la ricerca è venuto dal dibattito, a tratti acceso, che nel 2003 ha portato alla presentazione di una proposta di modifica della legge che regola la giustizia minorile in Italia, proposta poi bocciata dal parlamento. Nel dibattito, il tema del ruolo degli esperti nei collegi giudicanti era preminente ed emergeva come la discussione italiana sull’argomento avesse luogo con scarsezza di dati sugli ordinamenti stranieri. I riferimenti agli altri paesi europei erano generici, rendendo così impossibile ogni fondato riscontro delle varie tesi. Si è così pensato di compiere uno studio che presentasse a tutti i potenziali interessati (magistrati, avvocati, operatori dei servizi sociali, politici e amministratori, ma anche alle famiglie e a tutte le persone che hanno o hanno avuto esperienze di affidamento, e mostrano sensibilità verso la tutela e i diritti dei bambini) la situazione della giustizia minorile in alcune, significative tradizioni giuridiche europee. É evidente come molto si possa imparare dal confronto tra i processi decisionali propri di più ordinamenti, non troppo distanti nei loro dati giuridici di fondo. Le domande che era lecito porsi erano numerose: ad esempio, il sistema operante in Italia in tema di allontanamento/affidamento dei minori è veramente peculiare? Le forme di utilizzazione del sapere non giuridico (interne od esterne agli organi giudicanti) sono veramente decisive per l’esito dei procedimenti? La prospettata “giuridicizzazione” dei collegi comporta effettivamente un maggior grado di garanzia per le parti coinvolte? Chi voleva rispondere a questi interrogativi non aveva sino ad oggi a disposizione alcuna fonte di informazione extranazionale, mancando studi comparati in tema di giustizia minorile. Bisogna inoltre tenere presente che la giustizia minorile opera su livelli differenti, che è importante non confondere. Vi è il livello penale, che si occupa di reati commessi da minorenni; e vi è il livello civile, dove in gioco è la tutela dei minorenni, i cui diritti ed il cui benessere possono essere minacciati dai comportamenti di persone che, nella maggior parte dei casi, sono genitori o parenti del minore stesso. Evidentemente, le procedure di affidamento messe sotto la lente da questa ricerca riguardano soprattutto quest’ultimo piano dell’azione giuridica. Non va però neppure dimenticato che i due piani, del penale e del civile, sono spesso correlati: ad esempio, questo avviene quando un bambino viene affidato ad un’altra famiglia con procedimento civile dal Tribunale per i minorenni, mentre il genitore adulto che lo ha maltrattato o abusato viene giudicato da un tribunale penale ordinario. In questi casi, i tempi delle sentenze rispondono ad esigenze diverse, e differiscono fortemente. Un altro punto di fondo, che va segnalato prima di dare uno sguardo 31 a leggi e procedure, è che i tribunali minorili operano in genere con il principio dell’interesse del minore sullo sfondo. Ma “interesse del minore” è un concetto estremamente ampio, generico, che chiede di essere continuamente reinterpretato, a seconda delle circostanze ambientali, del momento storico, dei costumi e della mentalità delle differenti comunità. Sui problemi di definizione aperti dall’uso di un simile concetto, riportiamo un brano dell’introduzione al saggio dei due studiosi tedeschi intervenuti nella ricerca; il discorso è riferito soprattutto alla Germania, ma dialoga anche con altre tradizioni di pensiero giuridico e sociale: “La collaborazione di psicologi e psichiatri, ma anche i pareri forniti da operatori sociali, nell’ambito della giustizia minorile si richiama in Germania primariamente al concetto di ‘benessere del minore’. Questa formula generale è nel diritto tedesco, ma anche nel linguaggio corrente, consapevolmente lasciata aperta, differenziandosi con ciò in parte da concetti meno teoretici e meglio utilizzabili sul piano operativo, quali interest of the child o basic needs of children. Ciò comporta difficoltà per la sua definizione e per l’identificazione di criteri chiari per l’individuazione delle situazioni di pericolo. D’altra parte, in quanto scienziati empirici, dobbiamo ammettere che, negli ultimi cinquant’anni, in pedagogia, psicologia, psicopatologia dello sviluppo e neuropsichiatria infantile molte priorità sono mutate, e che talvolta sono intervenuti reali mutamenti di modello. Il concetto di benessere del minore, mantenuto consapevolmente aperto, permette di integrare senza problemi nella prassi quotidiana dei tribunali tali progressi nella conoscenza, senza che debbano essere modificate singole definizioni già consolidate (…) Proprio perché atteggiamenti e conoscenze sono sottoposte in ogni disciplina di rilievo a rapidi mutamenti ed anche a forti oscillazioni ideologiche (si pensi per esempio all’atteggiamento della società, ed anche degli scienziati, nei confronti dell’affidamento o adozione da parte di coppie omosessuali, confrontando l’atteggiamento di oggi con quello degli anni Cinquanta, oppure l’atteggiamento verso le madri lavoratrici, ecc.) è importante definire i bisogni infantili di base ai fini della perizia”. 2. Tribunali e Servizi sociali 2.1 Per comprendere il ruolo degli esperti di problemi minorili nell’amministrazione della giustizia è indispensabile dare un’idea del quadro giuridico in cui esse operano. Questo quadro influenza 32 fortemente l’effetto dell’azione degli esperti, ed è differente da paese a paese. Consideriamo, innanzitutto, l’aspetto degli organi giudicanti, cioè dei tribunali chiamati a prendere decisioni intorno ai minori. L’Italia è un paese pioniere nella creazione di uno specifico tribunale per i problemi della giustizia giovanile: il Tribunale per i minorenni è stato infatti creato nel 1934. Oggi la giustizia continua ad essere esercitata da questo organo, con giudici ordinari competenti per materia. Il Tribunale è composto da due giudici togati e da due giudici onorari; dei giudici togati, uno presiede la corte. I giudici onorari sono invece membri esterni alla magistratura, e devono rappresentare entrambi i sessi. Sono reclutati fra le professioni correlate a tutti i problemi minorili: si tratta perciò di medici, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, pedagogisti, assistenti sociali, che devono in genere tutti possedere una lunga esperienza, e qualità morali riconosciute. La presenza di ‘esperti’ nel collegio giudicante è, come si vedrà, una caratteristica del sistema italiano, ed è oggetto di discussione. Come detto, nella citata proposta di riforma del Tribunale dei minorenni bocciata dal Parlamento, uno dei punti salienti era l’abolizione della presenza di giudici onorari all’interno della corte chiamata a decidere, venendosi così a privare il Tribunale di quel sapere non giuridico che in ogni ordinamento è ritenuto essenziale, e che nel nostro costituisce parte integrante dello stesso organo giudicante. Come in tutti gli altri paesi, anche in Italia i Servizi sociali hanno un ruolo centrale nelle procedure che riguardano i minori, anche se non sono legittimati ad adire direttamente il Tribunale per i Minorenni. In generale, si può dire che gran parte dei comuni italiani dispongono di almeno un assistente sociale, con competenze di tutela generale che comprendono anche i problemi con i minori. Nei comuni popolosi, c’è una tendenza alla specializzazione, e fra gli assistenti sociali c’è chi tende ad occuparsi esclusivamente di minorenni. Per la formazione degli assistenti sociali è oggi attivo un corso per la laurea breve di tre anni presso le facoltà di scienze politiche; in passato, i candidati frequentavano un corso (successivo al diploma) per assistenti sociali. Altra caratteristica del nostro sistema attiene la figura del Pubblico Ministero minorile che risulta essere assente negli altri ordinamenti considerati. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni è legittimato (insieme al genitore non maltrattante e ai parenti del bambino) ad avviare procedimenti a tutela del minore (art. 336 c.c.), quindi parte necessaria del processo. Tutte le segnalazioni relative ai maltrattamenti che concernono i minori sono inviate al Pubblico 33 Ministero presso il Tribunale per i Minorenni, sia da parte dei Servizi Sociali, sia dagli organi di polizia (ma anche da altre istituzioni e/o da privati cittadini). É il Pubblico Ministero minorile che si fa carico, quindi, di promuovere dinanzi al Tribunale per i Minorenni il relativo giudizio a tutela dei minori. 2.2 Cominciamo la nostra ricognizione all’estero con la situazione inglese, che è stata ridefinita nel 1989 con l’approvazione del “Children Act”, che riformava il diritto minorile. In Inghilterra e Galles esistono attualmente tre tipi di corte con giurisdizione sui minori: si tratta delle “Family proceedings courts”, delle “County courts” e della “Family division” che fa parte della “High Court”. Le tre corti hanno poteri analoghi, ma la maggioranza delle controversie di diritto pubblico sono trattate, in primo grado e a porte chiuse, dalle “Family proceedings courts”, mentre le “County courts” si occupano della stragrande maggioranza dei casi di diritto privato. L’interesse principale della ricerca è dunque volto al lavoro delle “Family proceedings courts”, che dirime controversie fra i servizi sociali e i genitori intorno all’educazione e alla crescita di minori. Per intendersi, queste corti sono impersonate da quelli che noi chiamiamo “giudici di pace”: si tratta dunque di un giudice unico sprovvisto di competenza specifica. Per le necessità di trasferimento e accorpamento delle decisioni tra una corte e l’altra esiste comunque un semplice sistema di regole. Il trasferimento dipende dalla complessità, gravità e urgenza del caso, e viene stabilito durante la procedura. I servizi sociali inglesi sono organizzati su base locale, e sono finanziati sia dalle amministrazioni locali che dal governo nazionale. Essi – quando le misure di supporto alla famiglia si sono rivelate insufficienti, e dopo aver compiuto una serie di osservazioni e verifiche - possono chiedere al tribunale provvedimenti che sono, di solito, l’affidamento (care) e la supervisione (supervision). Il primo è una misura obbligatoria disposta dalla corte, il cui effetto è che i servizi sociali si assumono l’esercizio della potestà dei genitori, ma con alcune restrizioni. Nel sistema inglese, la potestà può infatti essere divisa, per cui ai genitori possono essere lasciate certe prerogative, mentre altre vengono loro temporaneamente sottratte. Per fare un esempio, i servizi non potranno imporre al minore una diversa educazione religiosa. La supervisione, invece, è un ordine della corte che non intacca la potestà dei genitori. Sovente, essa precede l’affidamento, e pone, appunto, il bambino sotto la supervisione di un assistente sociale, per un periodo che può arrivare fino a tre anni. 34 Nel 2001, per superare i problemi di coordinamento fra i vari attori del sistema, è stato creato il “Servizio di supporto e consulenza alle corti per i minori e le famiglie”, che accentra tutti i compiti di relazione alle corti, rappresentanza, informazione ed assistenza. Questo servizio è composto da funzionari del servizio sociale; fra di essi, una figura peculiare e molto importante è il ‘curatore del bambino’ (Children’s Guardian), che viene nominato dalla corte e rappresenta il minore nel corso del procedimento. Torneremo in seguito a parlare del suo ruolo. 2.3 Passiamo alla situazione francese, che è profondamente diversa. L’organo della giustizia minorile, in questo sistema giudiziario, è la persona del giudice per i minorenni. Si tratta di una figura che rappresenta un’eccezione dell’intero sistema, perché assomma una molteplicità di poteri, accentra sia la competenza civile che quella penale, ed è tenuto a decidere sempre nell’interesse del minore. Questo regime scaturisce, storicamente, da una riforma introdotta nel 1945, e poi modificata nel 1958 e nel 1970, senza però che venisse alterato il principio ispiratore: il quale non è repressivo e punitivo, ma cerca di attuare un “principio di educabilità”, di sostegno e recupero del minore da parte dello Stato. Proprio in ragione di questo generale atteggiamento dei giudici (e della disposizione di legge che indica di ricercare l’adesione della famiglia al provvedimento), nonostante la possibilità di impugnare la sentenza le corti d’appello francesi vengono raramente chiamate in causa in procedimenti civili su minori. In Francia, dunque, il giudice è specializzato, opera individualmente e con ampia autonomia nel quadro della legge; agisce tuttavia sempre a stretto contatto con i servizi sociali, i quali sono collegati al Ministero della giustizia, così come lo è tutto l’apparato amministrativo che gestisce l’osservazione e il trattamento dei problemi minorili. Esso è stato istituito nel 1945 attraverso la creazione dell’”Educazione sorvegliata”, anch’essa collegata al Ministero della giustizia ed incaricata del coordinamento di tutte le sottostrutture del sistema. I funzionari dell’”Educazione sorvegliata” costituiscono un corpo di professionisti specializzati nei problemi minorili. Dal 1990, questa struttura è stata ribattezzata “Protezione giudiziaria della gioventù”, e si è concentrata sui casi di competenza penale, delegando invece spesso l’assistenza educativa a strutture private abilitate e sovvenzionate, che operano sotto il controllo dei servizi sociali. Esiste poi anche l’”Aiuto sociale all’infanzia”, che è un servizio sociale dipartimentale incaricato della protezione di minorenni in difficoltà, 35 ma in condizioni non gravi ed urgenti. Fra i compiti dei funzionari dei servizi sociali c’è la preparazione delle relazioni che contribuiscono alla decisione presa dal giudice. Saranno gli stessi servizi ad eseguire i provvedimenti, a seguirli ed a rivalutare la situazione. 2.4 Spostiamoci ora in Germania, dove la competenza per procedimenti che riguardano la famiglia e le cure dei minori spetta a delle sezioni speciali delle corti distrettuali, chiamate “Tribunali per la famiglia”. Il giudice è esclusivamente competente per tutte le decisioni legate a procedimenti sulle cure genitoriali; il tribunale per la famiglia è un organo monocratico in cui il giudice non è tenuto a possedere alcuna competenza specifica in materia famigliare o minorile. L’altro organo pubblico cruciale per l’amministrazione della giustizia minorile tedesca è lo Jugendamt, l’”Ufficio per l’assistenza ai minorenni”. É da questo ufficio che giungono in genere al tribunale le denunce e le segnalazioni che portano all’apertura di un procedimento. Le sentenze del tribunale per la famiglia possono essere impugnate presso la Corte d’appello, vale a dire la Corte superiore regionale presso la quale sono state istituite sezioni speciali per le questioni familiari. In casi specifici può essere presentato un ricorso presso la Corte suprema federale tedesca. Dal 1997, è stata introdotta l’importante figura del “Curatore del procedimento”, che rende possibile al minore una difesa indipendente. Il curatore è infatti un rappresentante speciale, che può intraprendere azioni autonome nell’interesse del minore, il quale per legge non può essere una delle parti del procedimento. Il tribunale nomina in genere (e secondo la propria discrezionalità) per tale compito avvocati, assistenti sociali, pedagoghi o parenti. Questa nomina si rivela necessaria quando, ad esempio, l’interesse del minore è in forte contrasto con quello del suo rappresentate legale, oppure quando il procedimento ha per oggetto la sottrazione del minore dalla persona che l’ha sotto tutela. 2.5 Infine, consideriamo gli organi preposti nel sistema giudiziario svedese, regolato da una legge per l’affidamento dei minori entrata in vigore nel 1980 e poi modificata nel 1990. Il sistema svedese è suddiviso per corti ordinarie e corti amministrative, ed è a questo secondo tipo di corte che appartiene la competenza per l’affidamento cosiddetto obbligatorio di minori nei casi di “maltrattamento”. Alle corti ordinarie tocca invece giudicare le controversie fra genitori sui loro figli nei casi di separazione. Tali corti amministrative sono organizzate secondo tre gradi 36 di giudizio. A livello provinciale opera la corte di primo grado, contro il cui giudizio si può ricorrere a livello di corte regionale, mentre il ricorso presso la corte suprema amministrativa è anche in Svezia concesso solo in pochi casi. Caratteristico dei primi due livelli di corte amministrativa è la loro composizione mista, formata cioè tanto da giudici togati che laici. I giudici laici sono in genere notabili con una carica politica locale, che di solito raggiungono una quasi professionalità, anche se vengono rinnovati ogni quattro anni. Ad essi non è chiesta alcuna specifica competenza in materia di minori, né giuridica né psicologica o pedagogica. Un ruolo di primo piano spetta ai servizi sociali, cruciali nell’istruzione della causa sotto il profilo tecnico-scientifico. I servizi sociali svedesi sono dislocati a livello comunale, ma esiste una “Direzione dei servizi sociali” a livello centrale. 3. Le procedure Anche per le procedure adottate nella pratica di affidamento, esistono tra i paesi europei presi in considerazione analogie e differenze. Per una descrizione dell’attuale procedura italiana rimandiamo alla prima parte di questo quaderno, all’interno del paragrafo 3, dove vengono distinti l’affidamento consensuale e l’allontanamento giudiziario. 3.1 Riprendiamo dal quadro inglese. C’è, da un lato, un regime di sostegno alle famiglie con minori in difficoltà. Esso viene fornito dall’amministrazione locale attraverso l’assistenza sociale, e comprende anche l’affidamento consensuale di minori ad altre famiglie, senza intervento di alcuna corte (così come avviene nell’ordinamento italiano, in base alla legge 184/1983). Dall’altro lato, esiste l’affidamento obbligatorio quando un minore appare in pericolo: sono i casi in cui l’amministrazione locale si rivolge alla corte e chiede una misura di allontanamento del minore dalla famiglia d’origine, che si chiama “care order”. La procedura è inizialmente la stessa, e prende avvio con le valutazioni del servizio sociale, che consulta anche la famiglia interessata, e poi decide se è necessario rivolgersi ad una corte. Se non è il caso, la procedura di sostegno prevede la formulazione di un piano di aiuto. Se invece il minore è ritenuto in pericolo, si avvia un’indagine che deve durare al massimo 35 giorni. Segue poi, entro due settimane, una riunione di tutti i servizi interessati, nella quale si decide se ricorrere o meno al giudice. 37 Attivato il procedimento, il giudice nomina il “curatore del bambino” per rappresentare gli interessi del minore. Le altre parti sono la famiglia e l’amministrazione locale. Caratteristico del processo inglese è, fra l’altro, che il giudice assume un ruolo di arbitro fra le parti, e non quello del conciliatore. Le parti fanno valere le loro ragioni usando tutti i mezzi che la legge consente, e il giudice infine decide. Di solito ci sono due udienze. Nella prima il giudice deve stabilire se si è prodotto quel “danno significativo” che legittima un affidamento obbligatorio, e il conseguente intervento dei servizi di assistenza sulla potestà dei genitori. Nella seconda il giudice valuta il piano di affidamento preparato dai servizi, e ogni altro documento necessario, approvato o concordato, comprese le perizie presentate dalle parti, che nell’80% dei casi vengono utilizzate come mezzo di prova; dell’esecuzione dei suoi eventuali provvedimenti è responsabile l’assistenza sociale. L’ordine di affidamento è spesso preceduto da ordini temporanei (fino a otto settimane, prorogabili), o dai già ricordati (v. paragrafo 2.2) provvedimenti di supervisione. Uno dei fattori ai quali si presta più attenzione è la lunghezza dei procedimenti, che si cerca di mantenere entro dei limiti per tutelare il benessere del minore. Questa priorità è stata recepita anche dal “Codice di guida per i consulenti tecnici nei procedimenti familiari”, entrato in vigore nel 2003. Nel 2001, la media di durata dei procedimenti di affidamento obbligatorio era di circa undici mesi. 3.2 Alla procedura francese soggiace una diversa ispirazione, che non vede il giudice decidere un conflitto fra le parti, ma piuttosto in quella di figura che ricerca una conciliazione nell’interesse del minore. Il notevole potere del giudice francese, e la sua doppia competenza (penale e civile), gli permettono anche di annullare i procedimenti penali contro un minore ed aprire un fascicolo di assistenza educativa. Anche in questo ordinamento, l’intervento del giudice viene provocato da una “segnalazione” di un operatore dei servizi sociali. Nei casi gravi, il giudice per i minorenni interviene con una propria verifica, mentre in quelli meno gravi rinvia il caso al già menzionato “Aiuto sociale all’infanzia” operante nei dipartimenti, e che si muoverà a sostegno ed in accordo con i genitori. Se, invece, il caso richiede un provvedimento giudiziario di “assistenza educativa” si può trattare: o di una verifica in famiglia; o di un collocamento presso altra famiglia; oppure di un collocamento presso centri di accoglienza o internati scolastici. Sono programmi sottoposti a 38 verifica da parte di operatori professionali del servizio sociale, e che il giudice dispone senza indicazione della loro durata. Prima di giungere al provvedimento, il giudice dispone delle indagini per valutare il pericolo per il minore. A seconda della fase in cui si trova il procedimento e di quel che esige la gravità del caso, il giudice ordina una “inchiesta rapida”, una “inchiesta sociale”, oppure un “provvedimento di indagine e orientamento educativo”. Tutti vengono eseguiti dai servizi sociali, che raccomandano poi il provvedimento che appare più adeguato. Per quanto riguarda invece i provvedimenti di assistenza educativa, il più adottato dal tribunale è quello che mantiene il minore in “ambiente aperto”, cioè presso la sua famiglia, la quale viene poi accompagnata e sostenuta dai servizi sociali che verificano anche l’evoluzione della situazione. Meno frequente è il collocamento del minore presso una nuova famiglia o in un centro di accoglienza. É possibile ricorrere in corte d’appello contro ciascuno di questi provvedimenti, ma questo avviene di rado, sia perché il giudice agisce nell’interesse del minore, sia perché è tenuto a ricercare per legge il consenso dei genitori, per quanto possibile. Per questo, nel corso del procedimento, il giudice riceve i genitori, li ascolta e spiega loro il provvedimento. La legge è anche ispirata al principio che il minore, quando possibile, deve vivere nella sua famiglia d’origine. Tanto rispetto alle misure di indagine che a quelle di “assistenza educativa” ordinate dai provvedimenti, la procedura francese prevede uno stretto rapporto di collaborazione fra il Tribunale per i minorenni ed il servizio sociale. I servizi producono delle relazioni, e rinnovano regolarmente le loro valutazioni sulla situazione del minore: su queste basi il giudice riconsidera o conferma nel tempo le proprie decisioni. 3.3 La procedura tedesca si apre generalmente con un’istanza al Tribunale per la famiglia da parte dell’Ufficio per l’assistenza ai minorenni, che avviene quando gli aiuti su base consensuale si sono rivelati insufficienti. A questo punto il giudice dispone tutte le indagini e gli accertamenti che ritiene indispensabili per chiarire la situazione, e lo può fare secondo discrezionalità. Può, ad esempio, usare mezzi informali come il telefono, oppure formalmente, con sopralluoghi, testimoni e così via. Il giudice è comunque tenuto all’ascolto delle parti interessate, e deve mirare all’accordo fra di esse. Deve essere prima ascoltato l’Ufficio per l’assistenza ai minori, che deve a sua volta esprimere parere scritto e formulare una proposta; in seguito verranno ascoltati tanto il genitore 39 che il minore: il convincimento cui giunge il giudice dopo le audizioni sarà un elemento essenziale per la decisione da prendere. A questo il giudice può aggiungere il contributo di perizie esterne, che egli stesso richiede solo quando ritiene di non disporre di sufficiente cognizione di causa. La scelta del perito del tribunale spetta al giudice, e alle parti è consentito presentare le valutazioni di un esperto da loro scelto. Svolte le indagini, ascoltate le parti ed acquisite le eventuali perizie, il giudice decide in merito al “diritto di cura genitoriale”. Va ricordato che il procedimento non è pubblico. La sentenza di primo grado non è comunque definitiva, e viene invece via via adeguata al mutamento delle condizioni ambientali e in vista del benessere del minore: per ogni cambiamento occorre di volta in volta una nuova sentenza del tribunale. Per i casi più urgenti, inoltre, il Tribunale per la famiglia può adottare provvedimenti temporanei. Si tratta di provvedimenti privi di un esplicito fondamento nella legge, ma riconosciuti quando si tratta di salvaguardare un minore in pericolo. 3.4 In Svezia, il procedimento viene aperto quando gli interventi basati sul consenso dei genitori da parte dei servizi sociali comunali si sono rivelati insufficienti. A questo punto, i servizi hanno quattro mesi di tempo per presentare una relazione alla corte amministrativa locale; in casi ritenuti gravi, il bambino viene invece rapidamente allontanato dalla famiglia, ed è lo stesso servizio sociale che può decidere un immediato affidamento, in attesa delle decisioni della corte amministrativa, che deve pronunciarsi una prima volta entro una settimana, e può prorogare l’affidamento fino alla sentenza. Se la corte conferma l’affidamento, i servizi sociali devono allora procedere con un approfondimento delle indagini sulle condizioni del minore ed un piano di affidamento che indica, fra l’altro, se sia più opportuno affidare il minore ad altra famiglia oppure seguirlo presso quella d’origine. Per fare questo, i servizi hanno un mese di tempo. I genitori possono esprimere la loro opinione sul piano, ed eventualmente opporsi. Dopo l’analisi dei documenti (presentati dai servizi sociali e dai genitori) e una discussione orale con le parti (durante la quale viene di regola ascoltato anche il minore) la corte emette la sentenza nel giro di due settimane. Le cause che hanno per oggetto l’affidamento di minori hanno la precedenza sulle altre. Complessivamente, non devono passare più di sette settimane da quando il bambino è stato separato dai genitori alla sentenza della corte amministrativa di primo grado. 40 Quando l’affidamento è diventato esecutivo, i servizi sociali verificano ogni sei mesi se l’affidamento deve continuare o meno. Saranno essi a decidere quando l’affidamento potrà terminare. I minori che hanno compiuto 15 anni hanno diritto ad agire personalmente in giudizio, altrimenti vengono rappresentati da un difensore pubblico, che è un avvocato retribuito dallo Stato. É prevista, per ogni parte in causa, la possibilità di appellarsi contro la decisione di primo grado presso la corte amministrativa regionale, il kammarraet. 4. Il ruolo degli esperti Tracciato un quadro sommario delle corti chiamate a giudicare e delle procedure adottate, si possono ora meglio chiarire la tipologia ed il ruolo degli esperti nei sistemi di giustizia minorile presi in esame. 4.1 Per quel che riguarda l’Italia, abbiamo già ricordato nel paragrafo 2.1 la presenza fra i giudici di due esperti, i giudici onorari. Aggiungiamo che anche il giudice minorile togato italiano è in genere molto competente e specializzato. Una delle conseguenze della compresenza nella corte di giudici togati ed onorari è il rapporto dialettico che viene ad instaurarsi fra persone dalla caratterizzazione professionale tanto diversa. Quando nasce una simile dialettica – ed è il sistema stesso che la stimola – ne nasce una positiva, reciproca influenza che (per così dire) fa ‘di due giudici uno solo’. I punti di vista, le valutazioni personali si confrontano e giungono alla formazione di una volontà unica, fondata su una riflessione il più ampia possibile. La diretta presenza degli esperti nelle corti ha una conseguenza quasi ovvia, vale a dire l’uso molto raro delle “consulenze tecniche d’ufficio”, che sono le perizie ordinate dal tribunale per i casi di affidamento. Se l’esperto fa parte della corte, sarà lui stesso (durante le audizioni ed al momento di emettere la sentenza) a fornire tutte le osservazioni e le argomentazioni necessarie alla decisione del caso. L’uso delle cosiddette “C.T.U” è limitato ai casi più gravi. Anche le parti hanno diritto a presentare proprie perizie, ma in genere è quella ordinata dal tribunale a pesare in modo preponderante. Si può notare come le Consulenze tecniche d’ufficio siano di recente aumentate, segno di crescita dei casi conflittuali, ma anche di trasformazione della prassi giudiziaria. 4.2 Gli esperti non fanno parte delle corti inglesi chiamate a decidere su procedimenti che riguardano minori. Tutte le parti del processo (i servizi 41 sociali, il ‘curatore del bambino’, i genitori) possono tuttavia ricorrere a perizie specialistiche di vario tipo (medico, psichiatrico, pediatrico ecc.), che vengono poi presentate in udienza davanti alla corte. I primi a presentare delle relazioni sono di solito i servizi sociali, ma il ruolo centrale (anche sotto questo aspetto del procedimento) è svolto dal ‘curatore del bambino’, il Children’s Guardian, il quale non solo dà l’incarico per le perizie ai consulenti tecnici, ma è di solito lui stesso molto competente in materia minorile. Egli è considerato un mediatore di tutto il lavoro dei periti intorno ad un caso, e la relazione che lui stesso presenta alla corte prima dell’udienza finale è molto influente, e spesso rispecchia la sentenza. I curatori ricorrono in genere ad esperti di fama nazionale piuttosto che a professionisti locali. L’influenza della funzione di coordinamento dei ‘curatori’ si fa sentire soprattutto nella prima fase del procedimento. Quando le relazioni dei servizi sociali (che sono spesso negative, difficili da accettare per la famiglia) vengono inoltrate alle parti, tocca al ‘curatore del bambino’ mediare tra le istituzioni e i genitori. Dal profilo storico, un forte aumento nella richiesta di perizie si è verificato dopo l’introduzione della nuova normativa sui minori, nel 1989, e si spiega con la crescente complessità dei casi e l’aumento dei problemi di salute mentale. Dal 2003 esiste il già menzionato “Codice di guida per i consulenti tecnici nei procedimenti familiari”, che regola nei dettagli l’attività degli esperti e insiste sull’indipendenza di giudizio del perito rispetto alle parti che gli attribuiscono l’incarico. Sull’insieme della situazione riguardo l’uso di consulenti tecnici, l’autore del saggio sul sistema inglese osserva fra l’altro: “Uno dei messaggi forti che proviene dalle ricerche ufficiali e da quelle accademiche indipendenti è stata le crescente richiesta di opinioni di esperti dal momento dell’entrata in vigore del ‘Children Act’, a cui si accompagna la carenza di consulenti tecnici qualificati e muniti dell’esperienza necessaria. Il ‘Booth report’ (1996) ha mostrato come le molte richieste rivolte a un gruppo di esperti relativamente piccolo abbia causato ritardi nella stesura delle perizie”. Le conclusioni di questo studio sono state confermate da uno studio ufficiale dell’amministrazione pubblica del 2002. Inoltre, Buck afferma che: “Se si esamina la struttura della valutazione del benessere del minore durante i procedimenti di affidamento, troviamo un analogo problema 42 di forza lavoro riguardante i vari consulenti tecnici incaricati dalle parti con l’autorizzazione della corte. Si ha una carenza di periti ‘nazionali’ di buona qualifica e di servizi locali, in particolare gli psichiatri locali esperti di bambini e adolescenti lavorano in strutture che, per motivi storici e non solo, non hanno contribuito a rendere più attraente il lavoro nelle corti. Le riforme della giustizia civile sono dominate, come da altre parti, dalle preoccupazioni pubbliche per i ritardi nei procedimenti e per il loro costo”. In altre parole, anche se gli sforzi legislativi e amministrativi sono volti soprattutto a ridurre la lunghezza dei processi e le spese che essi comportano, uno dei versanti critici del sistema riguarda la qualità e le motivazioni dei consulenti chiamati a dare un contributo al procedimento. 4.3 Nel sistema francese, gli esperti hanno un ruolo relativamente marginale. Essi non fanno parte della corte, e va tenuto presente che il personale dei servizi sociali è in genere competente sotto i vari aspetti che concernono i problemi minorili e comprende assistenti sociali, psicologi, educatori. Sono essi stessi a produrre le relazioni e i pareri tecnici nella prima fase del procedimento. Al di fuori delle relazioni redatte nel quadro delle differenti indagini, il giudice può ordinare perizie su aspetti specifici legati al caso in questione, richiedendole agli esperti abilitati presso il tribunale (medici, psichiatri, pediatri, psicologi ecc.). Le consulenze esterne rappresentano però una parte secondaria del sistema. Le perizie sono spesso delle opinioni richieste sulla base dei fascicoli presentati dai servizi sociali, ed il loro parere non assume un peso rilevante quando il giudice prende le proprie decisioni. D’altra parte, anche nel regime di assistenza prestato dai servizi sociali il ruolo degli psicologi è marginale; centrali sono invece le figure degli educatori. Milburn descrive così la posizione degli esperti nel sistema francese: “Quanto agli esperti del settore medico-psichiatrico e psicologico, essi sono poco presenti sulla scena. Essi intervengono di solito sotto la responsabilità dei servizi di indagine. Non sono associati alla fase decisionale nella tradizione del sistema giudiziario ed amministrativo francese, con l’eccezione del settore dell’handicap, nella misura in cui la decisione ha componenti principalmente mediche. Inoltre, la professione psichiatrica – e in particolare quella neuropsichiatrica infantile – si 43 trova confrontata ad una crisi di vocazioni (circa 800 posti vacanti di psichiatria nelle strutture pubbliche), una crisi che non la mette certo in condizioni favorevoli per esercitare altre funzioni che non siano quelle terapeutiche. Lo scarso ardore di questi medici nell’occupare il loro ruolo in materia di perizie giudiziarie è dovuto anche alle critiche di cui essi sono stati recentemente fatti oggetto in casi con una forte ripercussione mediatica”. 4.4 Passiamo alla Germania: anche qui, gli esperti non fanno parte del Tribunale per la famiglia, in cui siede un giudice unico. Il coinvolgimento nel procedimento di un esperto (in genere: psicologi e, in minor misura, psichiatri; anche in Germania il numero dei periti qualificati è ristretto) viene deciso dal giudice, ogni volta che egli non si ritiene competente a sufficienza per valutare una questione difficile. Anche le parti coinvolte nel procedimento hanno diritto a presentare delle consulenze tecniche, che non vengono però valutate come perizie di un esperto ma come un contributo documentale presentato dalle parti. Il ricorso a periti esterni è comunque poco frequente: una ricerca empirica che documenti con precisione questa pratica non esiste, ma da alcuni riscontri si stima una frequenza delle perizie dal 3 al 10% di tutti i procedimenti presso i tribunali per la famiglia. Quel che si verifica nella prassi, come scrivono gli autori, è che: “I giudici, mediante la nomina di un esperto, evidenziano la volontà di evitare critiche circa uno scarso chiarimento dei fatti, e conseguenti nullità in appello. Per contro, il rischio di annullamento a causa di un incarico superfluo ad un esperto è minimo”. Se è lecito usare un’immagine per spiegare il punto di vista degli autori del saggio, si potrebbe dire che i giudici nominano il perito per ‘coprirsi le spalle’ con un parere professionale specifico, e per rendere più difficile l’annullamento della decisione in caso di appello. Mancando invece la perizia di un esperto, la corte d’appello potrebbe essere spinta ad un annullamento proprio a causa di questa lacuna del Tribunale per la famiglia. Inoltre, quando gli incarichi ad un esperto non sono sufficientemente precisi, avviene uno spostamento di competenze che è frequente nella prassi ma incompatibile con le prescrizioni di legge. Scrivono infatti gli autori: 44 “Rimane qui demandato al perito di riformulare la prospettiva giuridica in un’impostazione psicologico/psichiatrica. Questa trasformazione racchiude il pericolo che attraverso l’interpretazione dell’esperto sia questi e non più il giudice a determinare l’oggetto dell’indagine (…) Se nella richiesta di perizia si va in un modo o nell’altro a richiedere valutazioni giuridiche, la cui determinazione spetta soltanto al tribunale, i periti finiscono per svolgere concretamente funzioni giudiziarie. I periti adempiono questo incarico sovente senza conoscere i limiti delle loro competenze. Da parte loro, i tribunali resistono di rado alla tentazione di seguire tout court tali pareri. Le difficoltà di esprimersi in materia probatoria contribuiscono a che l’esperto diventi un vero e proprio portatore di decisioni, e che i tribunali aderiscano unicamente alle più convincenti argomentazioni dei periti.”. Malgrado la legge prescriva una distanza critica del giudice rispetto alla perizia esterna, la prassi dimostra, per la grande maggioranza dei casi, un’acritica adesione del tribunale alle raccomandazioni del perito. In una ricerca statistica sull’attività del Tribunale per la famiglia di Berlino tra gli anni Ottanta e Novanta, emergeva un’alta concordanza tra le raccomandazioni dei periti e le decisioni dei tribunali. Ma non va dimenticato che il ricorso a periti rimane un fattore minoritario: anche nei casi complessi di cura dei minori, il 60% dei giudici decide senza ricorrere a perizie psicologiche. Negli ultimi anni, il livello di qualità delle perizie è comunque diventato oggetto di studio e discussione. Questo soprattutto a causa di accuse di abuso sessuale rivelatesi infondate, accuse che hanno però condotto a sentenze di interruzione dei rapporti familiari. 4.5 Concludiamo questa carrellata con la Svezia, dove ci si avvale di esperti in pochissimi casi. Abbiamo inoltre già fatto notare come le corti del paese scandinavo siano a loro volta sprovviste di qualsiasi competenza minorile specifica, in linea con il principio del diritto svedese di un approccio non professionale ai problemi dell’infanzia. Il buon senso e l’esperienza comune sono giudicati, in genere, sufficienti, anche se è vero che le critiche a questo sistema, negli ultimi anni, sono aumentate. Un esperto viene nominato dalla corte quando lo si ritiene necessario per stabilire i bisogni del bambino. Si può trattare di consulenti tecnici d’ufficio, o di parte; non esiste un albo dei periti, ed è la corte stessa che valuta la qualità professionale del perito. Gli elementi probatori sono comunque in gran parte forniti dalle indagini dei servizi sociali. 45 Al “Comitato giuridico della Direzione dei servizi sociali” vengono sottoposte le perizie presentate nel corso dei casi più difficili. É da sottolineare che i tribunali, nei fatti, sono molto restii nel nominare dei consulenti tecnici, e in genere lasciano esercitare questo diritto alle parti. Questa prassi deriva da una lunga fase di diffidenza nei rapporti fra giudici ed esperti (in particolare gli psicologi), con i tribunali sempre meno soddisfatti della qualità perizie e della preparazione dei consulenti. I giudici hanno inoltre avvertito spesso la tendenza dei consulenti ad invadere il campo strettamente giuridico, con l’inserimento di conclusioni nelle perizie. Gli esperti, d’altra parte, lamentano spesso di non sapere cosa esattamente i giudici chiedano loro. La diminuzione del ricorso a periti è stata anche misurata nell’ambito dei processi penali: dal 1990 al 1997 la percentuale di psicologi chiamati come consulenti tecnici è scesa dal 25 al 6%. La presenza degli psicologi è invece più frequente nelle cause intorno all’affidamento obbligatorio e nelle controversie intorno alla potestà sul minore. Christian Diesen così riassume la situazione: “Si può dunque constatare che, in particolare nell’ultimo decennio, la tendenza è stata quella di non utilizzare periti nei processi che riguardano minori. I giuristi pratici e il legislatore sembrano ritenere che sia sufficiente un generico interesse per i problemi dell’infanzia per poter affrontare le valutazioni tipiche dei processi in cui sono coinvolti minori. Questo interesse, che spesso e volentieri si accompagna con l’esperienza di genitore (o di lavoro con bambini), è stato considerato sufficiente per fornire alla corte, per esempio come giudice laico, i riferimenti empirici necessari (…) Negli ultimi tempi sta diventando sempre più chiaro che l’esperienza pratica, o generiche nozioni in materia d’infanzia, non sono sufficienti per comprendere la situazione dei minori con problemi, le loro necessità e le loro reazioni psicologiche”. 5. Aspetti critici e conclusioni Al termine di queste note sintetiche sui risultati della ricerca, accenniamo anche ai principali punti critici messi in evidenza (rispetto a ciascun ordinamento) dagli autori dei singoli contributi, ed ai possibili elementi di comparazione. 5.1 La ricerca inglese mette in evidenza, quale principale elemento critico, la lunghezza eccessiva dei procedimenti, con un conseguente 46 ritardo nelle decisioni che va, ovviamente, a nuocere al benessere del minore. Con la nuova legge del 1989 si prevedeva di risolvere i casi di affidamento entro una media di dodici settimane; in seguito, fino al 1996 questa media era di 46 settimane, che erano poi aumentate a 50 nel 2000. Nel 2001 si era ritornati a 47 settimane. Uno studio ufficiale sulle cause di questi ritardi nelle sentenze “ha identificato essenzialmente quattro motivi chiave: mancanza di esperti, assenza dei giudici giusti al posto giusto nel momento giusto, scarso controllo del caso da parte del giudice e scarsa collaborazione fra i professionisti”. Ora, l’obiettivo è di raggiungere la media delle 40 settimane per decidere un caso di affidamento. Uno degli elementi più criticati del sistema inglese è l’ordine di ‘supervisione’: esso “É stato duramente criticato ed è stato detto che in pratica, la mancanza di cooperazione dei genitori o il fallimento della amministrazione locale nel fornire le risorse, in particolare nel mettere a disposizione un assistente sociale, rende un supervision order inefficace”. Le osservazioni negative non mancano neppure per la figura del ‘curatore del bambino’: “Alcune ricerche hanno infatti evidenziato come il Guardian impieghi una grande quantità di tempo svolgendo un lavoro che dovrebbe essere svolto da altri. In altri termini, essi compensano le valutazioni scadenti degli assistenti sociali e la scarsa qualità della rappresentanza legale offerta, in particolare, ai genitori”. Tra gli aspetti preoccupanti della situazione inglese va considerata anche “La degradazione dello status del lavoro nel settore dell’assistenza sociale sopravvenuta negli ultimi vent’anni. Troppo spesso si vede, basandosi sugli errori commessi in casi che hanno attirato l’attenzione dei media, che il personale giovane e inesperto, già sotto la pressione del lavoro e spesso senza direzione adeguata, ha preso una serie di decisioni infelici (…) É preoccupante il fatto che la combinazione di assenza di risorse e demoralizzazione professionale possa spesso fare sembrare necessario ottenere più pareri ‘peritali’ e ‘autorevoli, rispetto alla fiducia dell’amministrazione locale nel proprio personale di assistenza sociale”. 47 In Francia, il sistema è generalmente considerato ben funzionante ed equilibrato nel suo principio: i servizi propongono e il giudice decide. Come scrive l’autore del contributo, “Le imperfezioni del sistema di protezione dei minori vanno cercate nella sua organizzazione più che nelle modalità di decisione. Una delle principali criticità concerne l’adeguamento dei mezzi ai bisogni (modalità di presa in consegna, disponibilità nei centri di accoglienza ecc.). Non è raro che le decisioni del giudice siano determinate da contrattempi di questo tipo, come la mancanza di posti-letto nei casi urgenti di collocamento. A causa dell’insufficienza degli effettivi, i servizi di assistenza educativa chiedono di limitare il numero dei provvedimenti (…) Il problema del sistema francese di protezione dell’infanzia consiste dunque nella dualità – giudiziario ed amministrativo – dove la divisione e complementarietà delle competenze sono sempre in gioco (…) Il problema dei mezzi messi a disposizione da ciascun dipartimento per la protezione dell’infanzia è una delle debolezze del sistema francese, nella misura in cui genera disparità ed ineguaglianze notevoli a seconda dei dipartimenti”. Ma le difficoltà non riguardano soltanto la scarsità delle risorse a disposizione: un altro scoglio sono i problemi di coordinamento fra i diversi tipi di servizi che compongono l’amministrazione, e che abbiamo citato nel paragrafo 2.3. Del principale problema della situazione tedesca abbiamo già trattato nel paragrafo precedente: si tratta di tutte le sfaccettature legate alla prassi di un uso acritico delle perizie esterne da parte dei giudici. Ad integrazione – e aldilà delle azioni dei giudici - si può ricordare che in un recente studio pubblicato pochi anni fa, e intitolato “Psicologia forense”, il suo autore individuava almeno cinque sottogruppi di carenze nelle perizie: a) nella forma; b) nell’atteggiamento del perito; c) durante l’accertamento degli antefatti; d) nel rilevamento dei referti; e) nelle conclusioni. Un altro versante critico della situazione tedesca riguarda proprio lo stadio della ricerca sui problemi minorili. Rispetto ad altri paesi, il materiale e le iniziative abbondano, tuttavia “incuria e maltrattamento emotivo sono rimasti ugualmente poco considerati, e rappresentano uno dei cruciali deficit della ricerca empirica intorno al benessere del minore”. A livello legislativo, le prospettive tedesche sono quelle 48 dell’introduzione nel diritto di famiglia della ‘separazione light’, vale a dire una separazione per atto notarile, nei casi non conflittuali. Ciò corrisponde “alla tendenza alla deregolamentazione della risoluzione dei conflitti, già riconoscibile nella riforma del diritto minorile, la quale però deve essere contemporaneamente accompagnata da una forte specializzazione [dei giudici – n.d.c.] nei casi di effettivo pericolo per il benessere del minore. Non è mai stata presa in considerazione l’inclusione di esperti nei collegi giudicanti”. Il dibattito svedese (tanto quello specialistico che quello filtrato attraverso i mass-media) è attualmente molto intenso, e presenta elementi critici di vario genere. In particolare, è molto criticata la facilità degli affidamenti, che viene vissuta come una prepotenza dei servizi sociali nei confronti delle famiglie. Questa tendenza, negli ultimi anni, è stata però bilanciata dall’atteggiamento restrittivo della Corte amministrativa suprema, e ciò a seguito delle condanne inflitte allo Stato svedese dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Oltre a questo, è oggetto di discussione l’incompetenza specifica delle corti (che è una marcata peculiarità del sistema svedese), ma anche la mancanza di regole per l’uso dei periti esterni. Ed anche in Svezia, come in Germania, si lamentano la diffidenza e la scarsa comunicazione tra corti e periti. Nelle sue conclusioni, Diesen scrive: “I processi in materia minorile sono continuamente oggetto di discussione in Svezia, sia nei casi di affidamento obbligatorio che di sospetti di incesto. Poiché è per tutti evidente che la qualità delle indagini in queste cause è troppo bassa, la soluzione ‘scontata’ è combattere la reciproca sfiducia tra giuristi ed esperti di scienze del comportamento. Questa è anche la soluzione sostenuta dai ricercatori svedesi nel campo delle scienze dell’infanzia”. Anche se una riforma dei tribunali che si occupano anche di minori non è attualmente nell’agenda politica svedese, “Ci sono tuttavia segni evidenti del tentativo di cercare nuove forme di collaborazione sul versante delle indagini, in particolare per quanto attiene ai procedimenti penali. Ispirandosi a istituti già in vigore negli Stati Uniti e in Islanda, molti soggetti pubblici, tra cui la Direzione per gli affari sociali e il Procuratore generale, si muovono nella direzione di utilizzare gruppi di lavoro per le indagini con competenze multidisciplinari in materia di violenze contro minori; attività sperimentali sono già state avviate in alcuni distretti. L’idea di fondo è che il bambino, appena 49 sorge un sospetto, incontri assistenti sociali, polizia/pubblico ministero, medici e psicologi in un unico contesto e nello stesso luogo (cioè uno stesso locale, una ‘casa per l’infanzia’)”. Sul sistema svedese, nel corso degli anni, hanno influito anche le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha condannato più volte lo Stato svedese al risarcimento dei genitori. La Corte di Strasburgo ha giudicato troppo vaga la legge svedese sull’affidamento del 1980, che lasciava a suo giudizio eccessivi margini di discrezionalità ai giudici. Proprio per questo, nel 1990, la legge è stata modificata. Per concludere con il sistema italiano, si può affermare che si è assistito alla progressiva crescita, nell’ultimo decennio, di una cultura e di un’attenzione nei confronti dei problemi minorili. Gli aspetti critici possono semmai essere individuati nell’aumento della mole di lavoro dei tribunali, essendo stata ampliata la competenza (vedi art. 31 D. L.vo 286/98) in tema di autorizzazione del genitore extracomunitario a permanere nel territorio dello Stato, cui non corrispondono sufficienti strutture, come dimostra la crescita del rapporto cause/giudici minorili negli ultimi anni. Si nota anche una disparità di organizzazione delle strutture pubbliche a seconda delle regioni del paese. Infine, si può sottolineare lo scarso utilizzo da parte dei tribunali della figura del curatore speciale, visto anche l’aumento delle cause conflittuali. 5.2 Sulla base dell’insieme delle caratteristiche dei sistemi europei sin qui presi in esame, si possono ora svolgere alcune comparazioni, insieme ad ulteriori osservazioni generali. Intanto, risulta evidente come (a differenza che in Italia) nei quattro paesi presi in esame gli esperti con competenze extragiuridiche non facciano parte dei tribunali che amministrano la giustizia minorile. Questo va tenuto presente dal momento che uno dei punti critici della recente discussione politica italiana era proprio la presenza di giudici onorari nei tribunali per i minorenni. D’altra parte, in Francia, Germania e Inghilterra decide un giudice unico, anche se altri attori (come il Children’s Guardian inglese, o i servizi sociali francesi) rivestono un ruolo rilevantissimo, e lavorano a stretto contatto con il giudice. Oltre a questo, nel modello svedese è rappresentata in maniera eclatante la scarsa specializzazione dei magistrati giudicanti. In Inghilterra le decisioni-chiave sono in genere lasciate a corti composte da laici senza formazione giuridica, le “Family proceedings courts”. La specializzazione è invece marcata fra i giudici 50 francesi, e relativamente marcata nel Tribunale per la famiglia tedesco. Il punto focale della ricerca era il ruolo degli esperti, dei non-giuristi e delle loro perizie nei tribunali per i minorenni, con particolare attenzione alla materia dell’affidamento. Da questo punto di vista, i risultati della ricognizione mostrano condizioni variabili: le perizie possono giocare un ruolo più o meno importante, possono provenire da varie tipologie di esperti esterni o dagli stessi servizi sociali; possono influenzare i giudici aldilà di quel che vorrebbe la legge, come accade in Germania. Ma quel che importa nuovamente rilevare è che il loro ruolo, e l’influenza esercitata dal loro lavoro può essere correttamente valutato e soppesato soltanto nel quadro d’insieme del modello processuale adottato da ciascun paese, e dal suo legame con i servizi sociali. Del giudice non è importante solo la competenza, ma anche la mentalità acquisita e l’atteggiamento processuale assunto sulla base delle norme di legge. In Inghilterra il giudice è un arbitro nell’ambito di un conflitto fra le parti, vale a dire fra la famiglia ed i servizi. In questo caso egli non ricerca necessariamente l’adesione delle parti alle misure prese, ma si sforza di far svolgere correttamente una controversia fra delle parti che si trattano come ‘avversarie’. Più dell’accordo conta qui l’equidistanza del giudice, la sua imparzialità nel permettere alle parti di far valere le proprie ragioni. In Francia prevale invece una visione paternalistica e pedagogica, che vede il giudice nel ruolo di tutore del minore invece che di arbitro di un conflitto. La legge gli fornisce indicazioni generali invece di norme processuali rigide, allo scopo di proteggere il bambino o l’adolescente. Anche la Svezia condivide il ruolo arbitrale del giudice tipico degli inglesi, ma in un quadro fortemente amministrativo. Dal confronto fra le ricerche emerge anche la forte differenza nella realizzazione e diffusione di studi e statistiche sui problemi minorili legati alla giustizia. Si passa dal numero elevato delle ricerche tedesche ed inglesi alla scarsezza dei dati per l’Italia, la Svezia e la Francia. Ciò è strettamente legato all’insieme dei problemi legati all’amministrazione della giustizia minorile: essa si basa infatti sul generico concetto di ‘interesse del minore’, un concetto che – come abbiamo già detto - va continuamente reinterpretato. Gli studi empirici su questi temi si rivelano perciò di grande aiuto quando si tratta di capire cosa sia l’interesse del minore. Come scrive il coordinatore della ricerca Alessandro Simoni, “L’ambito della protezione dell’infanzia è un settore nel quale gli 51 operatori si muovono sulla base di norme di ampio tenore, che vengono riempite di significato riferendole a valori esterni al sistema di diritto positivo. Il concetto di ‘interesse del minore’ richiede inevitabilmente di ancorarsi a elementi esterni, e a una propria chiave di lettura della realtà. Uno dei possibili parametri di valutazione è quello legato all’efficacia delle misure, e all’esito dei procedimenti pregressi dello stesso tipo. In generale, poi, lo studio empirico sulle modalità di scelta degli esperti e sulle modalità del loro interagire con i giudici, obbliga a uno sguardo esterno inevitabilmente illuminante. Osservare con metodo scientifico il concreto muoversi della macchina giudiziaria minorile aiuta da un lato a evitare provvedimenti che in altre occasioni si sono rivelati inadeguati, e dall’altro a rivelare aspetti del proprio agire circa i quali non si è abbastanza riflettuto”. Vi è poi il tema delle figure professionali coinvolte nella giustizia minorile, che variano a seconda del sistema giudiziario e di assistenza sociale preso in considerazione. Non sempre psicologi e psichiatri sono le figure dominanti (si pensi alla Francia), e spesso i giudici danno molto più ascolto agli educatori o agli assistenti sociali che operano nelle strutture pubbliche: ci stiamo anche qui riferendo alla situazione francese. C’è anche la questione del reclutamento degli esperti, nella quale si passa da un estremo ad un altro: dall’uso di albi ufficiali professionali fino alla piena discrezionalità del giudice, come nel caso svedese. Molto variabile è anche il ruolo degli avvocati, che sono quasi assenti in Francia, oppure possono essere chiamati a ruoli di difesa o di tutela molto delicati, come accade in Svezia, Inghilterra, Germania. Infine, appare molto importante l’interazione fra la giustizia minorile civile e quella penale. Simoni ricorda come “In pressoché tutti gli ordinamenti studiati si rileva come in moltissimi casi un procedimento di affidamento sia generato da fatti che hanno comunque una rilevanza penale, andando dagli abusi sessuali o maltrattamenti sui minori, ai maltrattamenti di un coniuge sull’altro, alla sottrazione di minori, ecc. Generalmente, gli ordinamenti prevedono binari separati per i due tipi di processo, anche qualora le dramatis personae coincidano in tutto. La convivenza di un procedimento penale e di uno ‘civile’ pone spesso problemi riguardo all’uso di periti ed esperti. Spesso si è osservata infatti, ad esempio, una tendenza ad attendere le perizie sviluppate nel procedimento penale per riutilizzarle poi nel contesto dell’affidamento. Ciò avviene non senza difficoltà, a causa 52 da una parte degli inconvenienti generati dal ritardo, e dall’altra del differente contesto nel quale i due tipi di perizie vengono in essere, con standard probatori diversi e una prospettiva più centrata nel caso penale sul reo che sul complessivo ambiente familiare”. Riguardo ai ritardi, l’Inghilterra sembra essere l’unico paese ad aver posto dei criteri formali per aumentare la rapidità delle decisioni sull’affidamento. Questa ricerca non ha certo la pretesa di esaurire il tema. Una delle sue caratteristiche era, anzi, di aprire alla conoscenza ed alla comparazione scientifica un ambito finora largamente trascurato dagli studiosi. Essa lascia comunque aperte almeno due possibilità di sviluppo e approfondimento. Da un lato, si potrà estendere ad altri paesi e tradizioni giuridiche europee lo studio dei rapporti fra tribunali minorili e competenze esterne. Dall’altro, rimane da fare un ampio lavoro di ricostruzione storica del tema, visto che questa ricerca ha preso in considerazione quasi esclusivamente la situazione del presente. 53 Appendice 1: La “Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia” (dal sito http://www.centrodirittiumani.unipd.it/tutoreminori/ index.htm) CONVENZIONE SUI DIRITTI DELL’INFANZIA La convenzione è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione 44/25 del 20 novembre 1989. É entrata in vigore il 2 settembre 1990. Il numero di Stati che l’hanno ratificata fino al 2003 è di 191. n Italia, è stata ratificata e resa esecutiva con la Legge 27 maggio 1991, n. 176 (in: Suppl. ordinario alla Gazz. Uff., 11 giugno 1991, n. 135). Obiezioni avanzate dall’Italia alle riserve apposte da alcuni stati parte (trad. redazionale): 18 luglio 1994: (con riguardo alle riserve avanzate dalla Repubblica Araba di Siria): “... Tale riserva è eccessivamente estesa e troppo generale per essere compatibile con l’oggetto e lo scopo della Convenzione. Il Governo italiano fa pertanto obiezione alla riserva fatta dalla Repubblica Araba di Siria. Tale obiezione non preclude l’entrata in vigore della Convenzione tra la Repubblica Araba di Siria e l’Italia.” 14 giugno 1996 (con riguardo alle riserve del Qatar): “Il Governo della Repubblica italiana ritiene che tale riserva, la quale mira a limitare le responsabilità del Qatar ai sensi della Convenzione mediante il rinvio ai principi generali dell’ordinamento nazionale, è suscettibile di sollevare dubbi quanto alla reale aderenza del Qatar al contenuto e alle finalità della Convenzione; essa inoltre contribuisce ad indebolire le basi del diritto internazionale dei trattati. É interesse comune di tutti gli Stati che i trattati di cui hanno scelto di divenire parte siano rispettati, per quanto riguarda il loro oggetto e le loro finalità, da tutti le parti. Il Governo della Repubblica italiana avanza pertanto obiezione a questa riserva. Tale obiezione non costituisce ostacolo all’entrata in vigore della Convenzione tra il Qatar e la Repubblica italiana”. Obiezioni della stessa natura sono state comunicate dal Governo italiano al Segretario generale in relazione alle riserve apposte dal Botswana (14 giugno 1996), da Singapore (4 ottobre 1996), dal Brunei Darussalam (23 dicembre 1996) e dagli Emirati Arabi Uniti (riserve relative agli artt. 14, 17 e 21) (2 aprile 1998). 54 Il 25 settembre 1995 l’Italia presenta la seguente obiezione alla riserva generale avanzata dall’Iran al momento della ratifica: “Questa riserva, alla luce della sua estensione illimitata e del carattere indeterminato, è inammissibile secondo il diritto internazionale. Il governo della Repubblica italiana obietta pertanto alla riserva fatta dalla Repubblica islamica dell’Iran. Tale obiezione non preclude l’entrata in vigore della Convenzione tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Repubblica italiana”. (Traduzione non ufficiale) Preambolo Gli Stati parti alla presente Convenzione: Considerando che, in conformità con i princìpi proclamati nella Carta delle Nazioni Unite il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana nonché l’uguaglianza ed il carattere inalienabile dei loro diritti sono le fondamenta della libertà, della giustizia e della pace del mondo; Tenendo presente che i popoli delle Nazioni Unite hanno ribadito nella Carta la loro fede nei diritti fondamentali dell’uomo e nella dignità e nel valore della persona umana ed hanno risolto di favorire il progresso sociale e di instaurare migliori condizioni di vita in una maggiore libertà; Riconoscendo che le Nazioni Unite, nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e nei Patti internazionali relativi ai Diritti dell’Uomo hanno proclamato ed hanno convenuto che ciascuno può avvalersi di tutti i diritti e di tutte le libertà che vi sono enunciate, senza distinzione di sorta in particolare di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica e di ogni altra opinione, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita e di ogni altra circostanza; Rammentando che nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, le Nazioni Unite hanno proclamato che l’infanzia ha diritto ad un aiuto e ad un’assistenza particolari; Convinti che la famiglia, unità fondamentale della società ed ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività; Riconoscendo che il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare 55 in un clima di felicità, di amore e di comprensione; In considerazione del fatto che occorra preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati nella Carta della Nazioni Unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; Tenendo presente che la necessità di concedere una protezione speciale al fanciullo è stata enunciata nella Dichiarazione di Ginevra del 1924 sui diritti del fanciullo e nella Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo adottata dall’Assemblea Generale il 20 novembre 1959 e riconosciuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici -- in particolare negli articoli 23 e 24 -- nel Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali -- in particolare all’art. 10 e negli Statuti e strumenti pertinenti delle Istituzioni specializzate e delle Organizzazioni internazionali che si preoccupano del benessere del fanciullo; Tenendo presente che, come indicato nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo “il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita”; Rammentando le disposizioni della Dichiarazione sui princìpi sociali e giuridici applicabili alla protezione ed al benessere dei fanciulli, considerati soprattutto sotto il profilo delle prassi in materia di adozione e di collocamento familiare a livello nazionale e internazionale dell’Insieme delle regole minime delle Nazioni Unite relative all’amministrazione della giustizia minorile (Regole di Beijing) e della Dichiarazione sulla protezione delle donne e dei fanciulli in periodi di emergenza e di conflitto armato; Riconoscendo che vi sono in tutti i paesi del mondo fanciulli che vivono in condizioni particolarmente difficili e che è necessario prestare ad essi una particolare attenzione; Tenendo debitamente conto dell’importanza delle tradizioni e dei valori culturali di ciascun popolo per la protezione e lo sviluppo armonioso del fanciullo; Riconoscendo l’importanza della cooperazione internazionale per il miglioramento delle condizioni di vita dei fanciulli di tutti i paesi, in particolare nei paesi in via di sviluppo; Hanno convenuto quanto segue: 56 Articolo 1 Ai sensi della presente Convenzione si intende per fanciullo ogni essere umano avente un’età inferiore a diciott’anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile. Articolo 2 1. Gli Stati parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta ed a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza. 2. Gli Stati parti adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari. Articolo 3 1. In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. 2. Gli Stati parti si imp egnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, ed a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi ed amministrativi appropriati. 3. Gli Stati parti vigilano affinché il funzionamento delle istituzioni, servizi ed istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle Autorità competenti in particolare nell’ambito della sicurezza e della salute e per quanto riguarda il numero e la competenza del loro personale nonché l’esistenza di un adeguato controllo. Articolo 4 Gli Stati parti si impegnano ad adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi ed altri, necessari per attuare i diritti 57 riconosciuti dalla presente Convenzione. Trattandosi di diritti economici, sociali e culturali essi adottano tali provvedimenti entro i limiti delle risorse di cui dispongono e, se del caso, nell’ambito della cooperazione internazionale. Articolo 5 Gli Stati parti rispettano la responsabilità, il diritto ed il dovere dei genitori o, se del caso, dei membri della famiglia allargata o della collettività, come previsto dagli usi locali, dei tutori o altre persone legalmente responsabili del fanciullo, di dare a quest’ultimo, in maniera corrispondente allo sviluppo delle sue capacità, l’orientamento ed i consigli adeguati all’esercizio dei diritti che gli sono riconosciuti dalla presente Convenzione. Articolo 6 1. Gli Stati parti riconoscono che ogni fanciullo ha un diritto inerente alla vita. 2. Gli Stati parti assicurano in tutta la misura del possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo. Articolo 7 1. Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi. 2. Gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide. Articolo 8 1. Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni famigliari, così come sono riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali. 2. Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile. 58 Articolo 9 1. Gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente del fanciullo. Una decisione in questo senso può essere necessaria in taluni casi particolari, ad esempio quando i genitori maltrattano o trascurano il fanciullo oppure se vivono separati ed una decisione debba essere presa riguardo al luogo di residenza del fanciullo. 2. In tutti i casi previsti al paragrafo 1 del presente articolo, tutte le Parti interessate devono avere la possibilità di partecipare alle deliberazioni e di far conoscere le loro opinioni. 3. Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo. 4. Se la separazione è il risultato di provvedimenti adottati da uno Stato parte, come la detenzione, l’imprigionamento, l’esilio, l’espulsione o la morte (compresa la morte, quale che ne sia la causa, sopravvenuta durante la detenzione) di entrambi i genitori o di uno di essi, o del fanciullo, lo Stato parte fornisce dietro richiesta ai genitori, al fanciullo oppure, se del caso, ad un altro membro della famiglia, le informazioni essenziali concernenti il luogo dove si trovano il familiare o i familiari, a meno che la divulgazione di tali informazioni possa mettere a repentaglio il benessere del fanciullo. Gli Stati parti vigilano inoltre affinché la presentazione di tale domanda non comporti di per sè conseguenze pregiudizievoli per la persona o per le persone interessate. Articolo 10 1. In conformità con l’obbligo che incombe agli Stati parti in virtù del paragrafo 1 dell’art. 9, ogni domanda presentata da un fanciullo o dai suoi genitori in vista di entrare in uno Stato parte o di lasciarlo ai fini di un ricongiungimento familiare sarà considerata con uno spirito positivo, con umanità e diligenza. Gli Stati parti vigilano inoltre affinché la presentazione di tale domanda non comporti conseguenze pregiudizievoli per gli autori della domanda e per i loro familiari. 2. Un fanciullo i cui genitori risiedono in Stati diversi ha diritto ad intrattenere rapporti personali e contatti diretti regolari con entrambi i suoi genitori, salvo circostanze eccezionali. 59 A tal fine, ed in conformità con l’obbligo incombente agli Stati parti, in virtù del paragrafo 1 dell’art. 9, gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo e dei suoi genitori di abbandonare ogni paese, compreso il loro e di fare ritorno nel proprio paese. Il diritto di abbandonare ogni paese può essere regolamentato solo dalle limitazioni stabilite dalla legislazione, necessarie ai fini della protezione e della sicurezza interne, dell’ordine pubblico, della salute o della moralità pubbliche, o dei diritti e delle libertà di altrui, compatibili con gli altri diritti riconosciuti nella presente Convenzione. Articolo 11 1. Gli Stati parti adottano provvedimenti per impedire gli spostamenti ed i non-ritorni illeciti di fanciulli all’estero. 2. A tal fine, gli Stati parti favoriscono la conclusione di accordi bilaterali o multilaterali oppure l’adesione ad accordi esistenti. Articolo 12 1. Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. 2. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale. Articolo 13 1. Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di ricercare, di ricevere e di divulgare informazioni ed idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma orale, scritta, stampata o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del fanciullo. 2. L’esercizio di questo diritto può essere regolamentato unicamente dalle limitazioni stabilite dalla legge e che sono necessarie: a) al rispetto dei diritti o delle reputazioni di altrui; oppure b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della salute o della moralità pubbliche. 60 Articolo 14 1. Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. 2. Gli Stati parti rispettano il diritto ed il dovere dei genitori oppure, se del caso, dei rappresentanti legali del bambino, di guidare quest’ultimo nell’esercizio del summenzionato diritto in maniera che corrisponda allo sviluppo delle sue capacità. 3. La libertà di manifestare la propria religione o convinzioni può essere soggetta unicamente alle limitazioni prescritte dalla legge, necessarie ai fini del mantenimento della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico, della sanità e della moralità pubbliche, oppure delle libertà e diritti fondamentali dell’uomo. Articolo 15 1. Gli Stati parti riconoscono i diritti del fanciullo alla libertà di associazione ed alla libertà di riunirsi pacificamente. 2. L’esercizio di tali diritti può essere oggetto unicamente delle limitazioni stabilite dalla legge, necessarie in una società democratica nell’interesse della sicurezza nazionale, della sicurezza o dell’ordine pubblico, oppure per tutelare la sanità o la moralità pubbliche, o i diritti e le libertà altrui. Articolo 16 1. Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. 2. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti. Articolo 17 Gli Stati parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass-media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad una informazione ed a materiali provenienti da fonti nazionali ed internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale. A tal fine, gli Stati parti: a) incoraggiano i mass-media a divulgare informazioni e materiali che hanno una utilità sociale e culturale per il fanciullo e corrispondono allo spirito dell’art. 29; 61 b) incoraggiano la cooperazione internazionale in vista di produrre, di scambiare e di divulgare informazioni e materiali di questo tipo provenienti da varie fonti culturali, nazionali ed internazionali; c) incoraggiano la produzione e la diffusione di libri per l’infanzia; d) incoraggiano i mass-media a tenere conto in particolar modo delle esigenze linguistiche dei fanciulli autoctoni o appartenenti ad un gruppo minoritario; e) favoriscono l’elaborazione di princìpi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere in considerazione delle disposizioni degli articoli 13 e 18. Articolo 18 1. Gli Stati parti faranno del loro meglio per garantire il riconoscimento del principio comune secondo il quale entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del fanciullo ed il provvedere al suo sviluppo. La responsabilità di allevare il fanciullo e di provvedere al suo sviluppo incombe innanzitutto ai genitori oppure, se del caso ai genitori del fanciullo oppure, se del caso ai suoi rappresentanti legali i quali devono essere guidati principalmente dall’interesse preminente del fanciullo. 2. Al fine di garantire e di promuovere i diritti enunciati nella presente Convenzione, gli Stati parti accordano gli aiuti appropriati ai genitori ed ai rappresentanti legali del fanciullo nell’esercizio della responsabilità che incombe loro di allevare il fanciullo e provvedono alla creazione di istituzioni, istituti e servizi incaricati di vigilare sul benessere del fanciullo. 3. Gli Stati parti adottano ogni appropriato provvedimento per garantire ai fanciulli i cui genitori lavorano, il diritto di beneficiare dei servizi e degli istituti di assistenza all’infanzia, per i quali essi abbiano i requisiti necessari. Articolo 19 1. Gli Stati parti adottano ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale, per tutto il tempo in cui è affidato all’uno o all’altro, o ad entrambi, i suoi genitori, al suo rappresentante legale (o rappresentanti legali), oppure ad ogni altra persona che ha il suo affidamento. 62 2. Le suddette misure di protezione comporteranno, in caso di necessità, procedure efficaci per la creazione di programmi sociali finalizzati a fornire l’appoggio necessario al fanciullo e a coloro ai quali egli è affidato, nonché per altre forme di prevenzione, ed ai fini dell’individuazione, del rapporto dell’arbitrato, dell’inchiesta, della trattazione e dei seguiti da dare ai casi di maltrattamento del fanciullo di cui sopra; esse dovranno altresì includere, se necessario, procedure di intervento giudiziario. Articolo 20 1. Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali dello Stato. 2. Gli Stati parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale. 3. Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per mezzo di sistemazione in una famiglia, della kafalah di diritto islamico, dell’adozione o in caso di necessità, del collocamento in un adeguato istituto per l’infanzia. Nell’effettuare una selezione tra queste soluzioni, si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità nell’educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica. Articolo 21 Gli Stati parti che ammettono e/o autorizzano l’adozione, si accertano che l’interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia, e: a) vigilano affinché l’adozione di un fanciullo sia autorizzata solo dalle Autorità competenti le quali verificano, in conformità con la legge e con le procedure applicabili ed in base a tutte le informazioni affidabili relative al caso in esame, che l’adozione può essere effettuata in considerazione della situazione del bambino in rapporto al padre ed alla madre, genitori e rappresentanti legali e che, ove fosse necessario, le persone interessate hanno dato il loro consenso all’adozione in cognizione di causa, dopo aver acquisito i pareri necessari; b) riconoscono che l’adozione all’estero può essere presa in considerazione come un altro mezzo per garantire le cure necessarie al fanciullo, qualora quest’ultimo non possa essere messo a balia in una famiglia, oppure in una famiglia di adozione oppure essere allevato in 63 maniera adeguata; c) vigilano, in caso di adozione all’estero, affinché il fanciullo abbia il beneficio di garanzie e di norme equivalenti a quelle esistenti per le adozioni nazionali; d) adottano ogni adeguata misura per vigilare affinché, in caso di adozione all’estero, il collocamento del fanciullo non diventi fonte di profitto materiale indebito per le persone che ne sono responsabili; e) ricercano le finalità del presente articolo stipulando accordi o intese bilaterali o multilaterali a seconda dei casi, e si sforzano in questo contesto di vigilare affinché le sistemazioni di fanciulli all’estero siano effettuate dalle autorità o dagli organi competenti. Articolo 22 1. Gli Stati parti adottano misure adeguate affinché un fanciullo il quale cerca di ottenere lo statuto di rifugiato, oppure è considerato come rifugiato ai sensi delle regole e delle procedure del diritto internazionale o nazionale applicabile, solo o accompagnato dal padre e dalla madre o da ogni altra persona, possa beneficiare della protezione e della assistenza umanitaria necessarie per consentirgli di usufruire dei diritti che gli sono riconosciuti dalla presente Convenzione e dagli altri strumenti internazionali relativi ai diritti dell’uomo o di natura umanitaria di cui detti Stati sono parti. 2. A tal fine, gli Stati parti collaborano, a seconda di come lo giudichino necessario, a tutti gli sforzi compiuti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e le altre organizzazioni intergovernative o non governative competenti che collaborano con l’Organizzazione delle Nazioni Unite, per proteggere ed aiutare i fanciulli che si trovano in tale situazione e per ricercare i genitori o altri familiari di ogni fanciullo rifugiato al fine di ottenere le informazioni necessarie per ricongiungerlo alla sua famiglia. Se il padre, la madre o ogni altro familiare sono irreperibili, al fanciullo sarà concessa, secondo i princìpi enunciati nella presente Convenzione, la stessa protezione di quella di ogni altro fanciullo definitivamente oppure temporaneamente privato del suo ambiente familiare per qualunque motivo. Articolo 23 1. Gli Stati parti riconoscono che i fanciulli mentalmente o fisicamente handicappati devono condurre una vita piena e decente, in condizioni che garantiscano la loro dignità, favoriscano la loro autonomia ed agevolino una loro attiva partecipazione alla vita della comunità. 64 2. Gli Stati parti riconoscono il diritto dei fanciulli handicappati di beneficiare di cure speciali ed incoraggiano e garantiscono, in considerazione delle risorse disponibili, la concessione, dietro richiesta, ai fanciulli handicappati in possesso dei requisiti richiesti, ed a coloro i quali ne hanno la custodia, di un aiuto adeguato alle condizioni del fanciullo ed alla situazione dei suoi genitori o di coloro ai quali egli è affidato. 3. In considerazione delle particolari esigenze dei minori handicappati, l’aiuto fornito in conformità con il paragrafo 2 del presente articolo è gratuito ogni qualvolta ciò sia possibile, tenendo conto delle risorse finanziarie dei loro genitori o di coloro ai quali il minore è affidato. Tale aiuto è concepito in modo tale che i minori handicappati abbiano effettivamente accesso alla educazione, alla formazione, alle cure sanitarie, alla riabilitazione, alla preparazione al lavoro ed alle attività ricreative e possano beneficiare di questi servizi in maniera atta a concretizzare la più completa integrazione sociale ed il loro sviluppo personale, anche nell’ambito culturale e spirituale. 4. In uno spirito di cooperazione internazionale, gli Stati parti favoriscono lo scambio di informazioni pertinenti nel settore delle cure sanitarie preventive e del trattamento medico, psicologico e funzionale dei minori handicappati, anche mediante la divulgazione di informazioni concernenti i metodi di riabilitazione ed i servizi di formazione professionale, nonché l’accesso a tali dati, in vista di consentire agli Stati parti di migliorare le proprie capacità e competenze e di allargare la loro esperienza in tali settori. A tal riguardo, si terrà conto in particolare delle necessità dei paesi in via di sviluppo. Articolo 24 1. Gli Stati parti riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione. Essi si sforzano di garantire che nessun minore sia privato del diritto di avere accesso a tali servizi. 2. Gli Stati parti si sforzano di garantire l’attuazione integrale del summenzionato diritto ed in particolare, adottano ogni adeguato provvedimento per: a) diminuire la mortalità tra i bambini lattanti ed i fanciulli; b) assicurare a tutti i minori l’assistenza medica e le cure sanitarie necessarie, con particolare attenzione per lo sviluppo delle cure sanitarie primarie; c) lottare contro la malattia e la malnutrizione, anche nell’ambito 65 delle cure sanitarie primarie, in particolare mediante l’utilizzazione di tecniche agevolmente disponibili e la fornitura di alimenti nutritivi e di acqua potabile, tenendo conto dei pericoli e dei rischi di inquinamento dell’ambiente naturale; d) garantire alle madri adeguate cure prenatali e postnatali; e) fare in modo che tutti i gruppi della società in particolare i genitori ed i minori ricevano informazioni sulla salute e sulla nutrizione del minore sui vantaggi dell’allattamento al seno, sull’igiene e sulla salubrità dell’ambiente e sulla prevenzione degli incidenti e beneficino di un aiuto che consenta loro di mettere in pratica tali informazioni; f) sviluppare le cure sanitarie preventive, i consigli ai genitori e l’educazione ed i servizi in materia di pianific azione familiare. 3. Gli Stati parti adottano ogni misura efficace atta ad abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute dei minori. 4. Gli Stati parti si impegnano a favorire ed a incoraggiare la cooperazione internazionale in vista di attuare gradualmente una completa attuazione del diritto riconosciuto nel presente articolo. A tal fine saranno tenute in particolare considerazione le necessità dei paesi in via di sviluppo. Articolo 25 Gli Stati parti riconoscono al fanciullo che è stato collocato dalle Autorità competenti al fine di ricevere cure, una protezione oppure una terapia fisica o mentale, il diritto ad una verifica periodica di detta terapia e di ogni altra circostanza relativa alla sua collocazione. Articolo 26 1. Gli Stati parti riconoscono ad ogni fanciullo il diritto di beneficiare della sicurezza sociale, compresa la previdenza sociale, ed adottano le misure necessarie per garantire una completa attuazione di questo diritto in conformità con la loro legislazione nazionale. 2. Le prestazioni, se necessarie, dovranno essere concesse in considerazione delle risorse e della situazione del minore e delle persone responsabili del suo mantenimento e tenendo conto di ogni altra considerazione relativa ad una domanda di prestazione effettuata dal fanciullo o per suo conto. Articolo 27 1. Gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo ad un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, 66 morale e sociale. 2. Spetta ai genitori o ad altre persone che hanno l’affidamento del fanciullo la responsabilità fondamentale di assicurare, entro i limiti delle loro possibilità e dei loro mezzi finanziari, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo. 3. Gli Stati parti adottano adeguati provvedimenti, in considerazione delle condizioni nazionali e compatibilmente con i loro mezzi, per aiutare i genitori ed altre persone aventi la custodia del fanciullo di attuare questo diritto ed offrono, se del caso, una assistenza materiale e programmi di sostegno, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario e l’alloggio. 4. Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento al fine di provvedere al ricupero della pensione alimentare del fanciullo presso i suoi genitori o altre persone aventi una responsabilità finanziaria nei suoi confronti, sul loro territorio o all’estero. In particolare, per tener conto dei casi in cui la persona che ha una responsabilità finanziaria nei confronti del fanciullo vive in uno Stato diverso da quello del fanciullo, gli Stati parti favoriscono l’adesione ad accordi internazionali oppure la conclusione di tali accordi, nonché l’adozione di ogni altra intesa appropriata. Articolo 28 1. Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo all’educazione, ed in particolare, al fine di garantire l’esercizio di tale diritto gradualmente ed in base all’uguaglianza delle possibilità: a) rendono l’insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti; b) incoraggiano l’organizzazione di varie forme di insegnamento secondario sia generale che professionale, che saranno aperte ed accessibili ad ogni fanciullo e adottano misure adeguate come la gratuità dell’insegnamento e l’offerta di una sovvenzione finanziaria in caso di necessità; c) garantiscono a tutti l’accesso all’insegnamento superiore con ogni mezzo appropriato, in funzione delle capacità di ognuno; d) fanno in modo che l’informazione e l’orientamento scolastico e professionale siano aperte ed accessibili ad ogni fanciullo; e) adottano misure per promuovere la regolarità della frequenza scolastica e la diminuzione del tasso di abbandono della scuola. 2. Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento per vigilare affinché la disciplina scolastica sia applicata in maniera compatibile con la dignità del fanciullo in quanto essere umano ed in conformità con la 67 presente Convenzione. 3. Gli Stati parti favoriscono ed incoraggiano la cooperazione internazionale nel settore dell’educazione, in vista soprattutto di contribuire ad eliminare l’ignoranza e l’analfabetismo nel mondo e facilitare l’accesso alle conoscenze scientifiche e tecniche ed ai metodi di insegnamento moderni. A tal fine, si tiene conto in particolare delle necessità dei paesi in via di sviluppo. Articolo 29 1. Gli Stati parti convengono che l’educazione del fanciullo deve avere come finalità: a) di favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità; b) di inculcare al fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei princìpi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite; c) di inculcare al fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del paese nel quale vive, del paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua; d) preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi, con le persone di origine autoctona; e) di inculcare al fanciullo il rispetto dell’ambiente naturale. 2. Nessuna disposizione del presente articolo o dell’art. 28 sarà interpretata in maniera di nuocere alla libertà delle persone fisiche o morali di creare e di dirigere istituzioni didattiche a condizione che i princìpi enunciati al paragrafo 1 del presente articolo siano rispettati e che l’educazione impartita in tali istituzioni sia conforme alle norme minime prescritte dallo Stato. Articolo 30 Negli Stati in cui esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche oppure persone di origine autoctona, un fanciullo autoctono o che appartiene a una di tali minoranze non può essere privato del diritto di avere una propria vita culturale, di professare e di praticare la propria religione o di far uso della propria lingua insieme agli altri membri del suo gruppo. 68 Articolo 31 1. Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo ed al tempo libero, di dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e di partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica. 2. Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale ed artistica ed incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali. Articolo 32 1. Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale. 2. Gli Stati parti adottano misure legislative, amministrative, sociali ed educative per garantire l’applicazione del presente articolo. A tal fine, ed in considerazione delle disposizioni pertinenti degli altri strumenti internazionali, gli Stati parti, in particolare: a) stabiliscono un’età minima oppure età minime di ammissione all’impiego; b) prevedono un’adeguata regolamentazione degli orari di lavoro e delle condizioni d’impiego; c) prevedono pene o altre sanzioni appropriate per garantire l’attuazione effettiva del presente articolo. Articolo 33 Gli Stati parti adottano ogni adeguata misura, comprese misure legislative, amministrative, sociali ed educative per proteggere i fanciulli contro l’uso illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope, così come definite dalle Convenzioni internazionali pertinenti e per impedire che siano utilizzati fanciulli per la produzione ed il traffico illecito di queste sostanze. Articolo 34 Gli Stati parti si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale. A tal fine, gli Stati adottano in particolare ogni adeguata misura a livello nazionale, bilaterale e multilaterale per impedire: a) che dei fanciulli siano incitati o costretti a dedicarsi ad una attività sessuale illegale; 69 b) che dei fanciulli siano sfruttati a fini di prostituzione o di altre pratiche sessuali illegali; c) che dei fanciulli siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli o di materiale a carattere pornografico. Articolo 35 Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento a livello nazionale, bilaterale e multilaterale per impedire il rapimento, la vendita o la tratta di fanciulli per qualunque fine e sotto qualsiasi forma. Articolo 36 Gli Stati parti proteggono il fanciullo contro ogni altra forma di sfruttamento pregiudizievole al suo benessere in ogni suo aspetto. Articolo 37 Gli Stati parti vigilano affinché: a) nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Nè la pena capitale nè l’imprigionamento a vita senza possibilità di rilascio devono essere decretati per reati commessi da persone di età inferiore a diciotto anni; b) nessun fanciullo sia privato di libertà in maniera illegale o arbitraria. L’arresto, la detenzione o l’imprigionamento di un fanciullo devono essere effettuati in conformità con la legge, costituire un provvedimento di ultima risorsa ed avere la durata più breve possibile; c) ogni fanciullo privato di libertà sia trattato con umanità e con il rispetto dovuto alla dignità della persona umana ed in maniera da tener conto delle esigenze delle persone della sua età. In particolare, ogni fanciullo privato di libertà sarà separato dagli adulti, a meno che si ritenga preferibile di non farlo nell’interesse preminente del fanciullo, ed egli avrà diritto di rimanere in contatto con la sua famiglia per mezzo di corrispondenza e di visite, tranne che in circostanze eccezionali; d) i fanciulli privati di libertà abbiano diritto ad avere rapidamente accesso ad un’assistenza giuridica o ad ogni altra assistenza adeguata, nonché il diritto di contestare la legalità della loro privazione di libertà dinnanzi un Tribunale o altra autorità competente, indipendente ed imparziale, ed una decisione sollecita sia adottata in materia. Articolo 38 1. Gli Stati parti si impegnano a rispettare ed a far rispettare le regole 70 del diritto umanitario internazionale loro applicabili in caso di conflitto armato, e la cui protezione si estende ai fanciulli. 2. Gli Stati parti adottano ogni misura possibile a livello pratico per vigilare che le persone che non hanno raggiunto l’età di quindici anni non partecipino direttamente alle ostilità. 3. Gli Stati parti si astengono dall’arruolare nelle loro forze armate ogni persona che non ha raggiunto l’età di quindici anni. Nell’incorporare persone aventi più di quindici anni ma meno di diciotto anni, gli Stati parti si sforzano di arruolare con precedenza i più anziani. 4. In conformità con l’obbligo che spetta loro in virtù del diritto umanitario internazionale di proteggere la popolazione civile in caso di conflitto armato, gli Stati parti adottano ogni misura possibile a livello pratico affinché i fanciulli coinvolti in un conflitto armato possano beneficiare di cure e di protezione. Articolo 39 Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento per agevolare il riadattamento fisico e psicologico ed il reinserimento sociale di ogni fanciullo vittima di ogni forma di negligenza, di sfruttamento o di maltrattamenti; di torture o di ogni altra forma di pene o di trattamenti crudeli, inumani o degradanti, o di un conflitto armato. Tale riadattamento e tale reinserimento devono svolgersi in condizioni tali da favorire la salute, il rispetto della propria persona e la dignità del fanciullo. Articolo 40 1. Gli Stati parti riconoscono ad ogni fanciullo sospettato accusato o riconosciuto colpevole di reato penale il diritto ad un trattamento tale da favorire il suo senso della dignità e del valore personale, che rafforzi il suo rispetto per i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali e che tenga conto della sua età nonché della necessità di facilitare il suo reinserimento nella società e di fargli svolgere un ruolo costruttivo in seno a quest’ultima. 2. A tal fine, e tenendo conto delle disposizioni pertinenti degli strumenti internazionali, gli Stati parti vigilano in particolare: a) affinché nessun fanciullo sia sospettato, accusato o riconosciuto di reato penale a causa di azioni o di omissioni che non erano vietate dalla legislazione nazionale o internazionale nel momento in cui furono commesse; b) affinché ogni fanciullo sospettato o accusato di reato penale abbia almeno diritto alle seguenti garanzie; i) di essere ritenuto innocente fino a quando la sua colpevolezza non 71 sia stata legalmente stabilita; ii) di essere informato il prima possibile e direttamente, oppure, se del caso, tramite i suoi genitori o rappresentanti legali, delle accuse portate contro di lui, e di beneficiare di un’assistenza legale o di ogni altra assistenza appropriata per la preparazione e la presentazione della sua difesa; iii) che il suo caso sia giudicato senza indugio da un’autorità o istanza giudiziaria competenti, indipendenti ed imparziali per mezzo di un procedimento equo ai sensi di legge in presenza del suo legale o di altra assistenza appropriata, nonché in presenza dei suoi genitori o rappresentanti legali a meno che ciò non sia ritenuto contrario all’interesse preminente del fanciullo a causa in particolare della sua età o della sua situazione; iv) di non essere costretto a rendere testimonianza o dichiararsi colpevole; di interrogare o far interrogare i testimoni a carico e di ottenere la comparsa e l’interrogatorio dei testimoni a suo discarico a condizioni di parità; v) qualora venga riconosciuto che ha commesso reato penale, poter ricorrere contro questa decisione ed ogni altra misura decisa di conseguenza dinnanzi una autorità o istanza giudiziaria superiore competente, indipendente ed imparziale, in conformità con la legge; vi) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua utilizzata; vii) che la sua vita privata sia pienamente rispettata in tutte le fasi della procedura. 3. Gli Stati parti si sforzano di promuovere l’adozione di leggi, di procedere, la costituzione di autorità e di istituzioni destinate specificamente ai fanciulli sospettati, accusati o riconosciuti colpevoli di aver commesso reato, ed in particolar modo: a) di stabilire un’età minima al di sotto della quale si presume che i fanciulli non abbiano la capacità di commettere reato; b) di adottare provvedimenti ogni qualvolta ciò sia possibile ed auspicabile per trattare questi fanciulli senza ricorrere a procedure giudiziarie rimanendo tuttavia inteso che i diritti dell’uomo e le garanzie legali debbono essere integralmente rispettate. 4. Sarà prevista tutta una gamma di disposizioni concernenti in particolar modo le cure, l’orientamento, la supervisione, i consigli, la libertà condizionata, il collocamento in famiglia, i programmi di formazione generale e professionale, nonché soluzioni alternative all’assistenza istituzionale, in vista di assicurare ai fanciulli un trattamento conforme al 72 loro benessere e proporzionato sia alla loro situazione che al reato. Articolo 41 Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione pregiudica disposizioni più propizie all’attuazione dei diritti del fanciullo che possono figurare: a) nella legislazione di uno Stato parte; oppure b) nel diritto internazionale in vigore per questo Stato. Articolo 42 Gli Stati parti si impegnano a far largamente conoscere i princìpi e le disposizioni della presente Convenzione, con mezzi attivati ed adeguati sia agli adulti che ai fanciulli. Articolo 43 1. Al fine di esaminare i progressi compiuti dagli Stati parti nell’esecuzione degli obblighi da essi contratti in base alla presente Convenzione, è istituito un Comitato dei Diritti del Fanciullo che adempie alle funzioni definite in appresso. 2. Il Comitato si compone di dieci esperti di alta moralità ed in possesso di una competenza riconosciuta nel settore oggetto della presente Convenzione. I suoi membri sono eletti dagli Stati parti tra i loro cittadini e partecipano a titolo personale, secondo il criterio di un’equa ripartizione geografica ed in considerazione dei principali ordinamenti giuridici. 3. I membri del Comitato sono eletti a scrutinio segreto su una lista di persone designate dagli Stati parti. Ciascun Stato parte può designare un candidato tra i suoi cittadini. 4. La prima elezione avrà luogo entro sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente Convenzione. Successivamente, si svolgeranno elezioni ogni due anni. Almeno quattro mesi prima della data di ogni elezione, il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite inviterà per iscritto gli Stati parti a proporre i loro candidati entro un termine di due mesi. Quindi il Segretario generale stabilirà l’elenco alfabetico dei candidati in tal modo designati, con l’indicazione degli Stati parti che li hanno designati, e sottoporrà tale elenco agli Stati parti alla presente Convenzione. 5. Le elezioni avranno luogo in occasione delle riunioni degli Stati parti, convocate dal Segretario generale presso la Sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. In queste riunioni per le quali il numero legale 73 sarà rappresentato da due terzi degli Stati parti, i candidati eletti al Comitato sono quelli che ottengono il maggior numero di voti, nonché la maggioranza assoluta degli Stati parti presenti e votanti. 6. I membri del Comitato sono eletti per quattro anni. Essi sono rieleggibili se la loro candidatura è ripresentata. Il mandato di cinque dei membri eletti nella prima elezione scade alla fine di un periodo di due anni; i nomi di tali cinque membri saranno estratti a sorte dal presidente della riunione immediatamente dopo la prima elezione. 7. In caso di decesso o di dimissioni di un membro del Comitato oppure se, per qualsiasi altro motivo, un membro dichiara di non poter più esercitare le sue funzioni in seno al Comitato, lo Stato parte che aveva presentato la sua candidatura nomina un altro esperto tra i suoi cittadini per coprire il seggio resosi vacante, fino alla scadenza del mandato corrispondente, sotto riserva dell’approvazione del Comitato. 8. Il Comitato adotta il suo regolamento interno. 9. Il Comitato elegge il suo Ufficio per un periodo di due anni. 10. Le riunioni del Comitato si svolgono normalmente presso la Sede della Organizzazione delle Nazioni Unite, oppure in ogni altro luogo appropriato determinato dal Comitato. Il Comitato si riunisce di regola ogni anno. La durata delle sue sessioni è determinata e se necessario modificata da una riunione degli Stati parti alla presente Convenzione, sotto riserva dell’approvazione dell’Assemblea Generale. 11. Il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite mette a disposizione del Comitato il personale e le strutture di cui quest’ultimo necessita per adempiere con efficacia alle sue mansioni in base alla presente Convenzione. 12. I membri del Comitato istituito in base alla presente Convenzione ricevono con l’approvazione dell’Assemblea Generale, emolumenti prelevati sulle risorse dell’Organizzazione delle Nazioni Unite alle condizioni e secondo le modalità stabilite dall’Assemblea Generale. Articolo 44 1. Gli Stati parti si impegnano a sottoporre al Comitato, tramite il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, rapporti sui provvedimenti che essi avranno adottato per dare effetto ai diritti riconosciuti nella presente Convenzione e sui progressi realizzati per il godimento di tali diritti: a) entro due anni a decorrere dalla data dell’entrata in vigore della presente Convenzione per gli Stati parti interessati; b) in seguito, ogni cinque anni. 74 2. I rapporti compilati in applicazione del presente articolo debbono se del caso indicare i fattori e le difficoltà che impediscono agli Stati parti di adempiere agli obblighi previsti nella presente Convenzione. Essi debbono altresì contenere informazioni sufficienti a fornire al Comitato una comprensione dettagliata dell’applicazione della Convenzione del paese in esame. 3. Gli Stati parti che hanno presentato al Comitato un rapporto iniziale completo non sono tenuti a ripetere nei rapporti che sottoporranno successivamente -- in conformità con il capoverso b) del paragrafo 1 del presente articolo -- le informazioni di base in precedenza fornite. 4. Il Comitato può chiedere agli Stati parti ogni informazione complementare relativa all’applicazione della Convenzione. 5. Il Comitato sottopone ogni due anni all’Assemblea generale, tramite il Consiglio Economico e sociale, un rapporto sulle attività del Comitato. 6. Gli Stati parti fanno in modo affinché i loro rapporti abbiano una vasta diffusione nei loro paesi. Articolo 45 Al fine di promuovere l’attuazione effettiva della Convenzione ed incoraggiare la cooperazione internazionale nel settore oggetto della Convenzione: a) le Istituzioni Specializzate, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia ed altri organi delle Nazioni Unite hanno diritto di farsi rappresentare nell’esame dell’attuazione di quelle disposizioni della presente Convenzione che rientrano nell’ambito del loro mandato. Il Comitato può invitare le Istituzioni Specializzate, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia ed ogni altro organismo competente che riterrà appropriato, a dare pareri specializzati sull’attuazione della Convenzione in settori di competenza dei loro rispettivi mandati. Il Comitato può invitare le Istituzioni Specializzate, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia ed altri organi delle Nazioni Unite a sottoporgli rapporti sull’attuazione della Convenzione in settori che rientrano nell’ambito delle loro attività; b) il Comitato trasmette, se lo ritiene necessario, alle Istituzioni Specializzate, al Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia ed agli altri Organismi competenti ogni rapporto degli Stati parti contenente una richiesta di consigli tecnici o di assistenza tecnica, o che indichi una necessità in tal senso, accompagnato da eventuali osservazioni e proposte del Comitato concernenti tale richiesta o indicazione; 75 c) il Comitato può raccomandare all’Assemblea Generale di chiedere al Segretario generale di procedere, per conto del Comitato, a studi su questioni specifiche attinenti ai diritti del fanciullo; d) il Comitato può fare suggerimenti e raccomandazioni generali in base alle informazioni ricevute in applicazione degli articoli 44 e 45 della presente Convenzione. Questi suggerimenti e raccomandazioni generali sono trasmessi ad ogni Stato parte interessato e sottoposti all’Assemblea Generale insieme ad eventuali osservazioni degli Stati parti. Articolo 46 La presente Convenzione è aperta alla firma di tutti gli Stati. Articolo 47 La presente Convenzione è soggetta a ratifica. Gli strumenti di ratifica saranno depositati presso il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Articolo 48 La presente Convenzione rimarrà aperta all’adesione di ogni Stato. Gli strumenti di adesione saranno depositati presso il Segretario generale della Organizzazione delle Nazioni Unite. Articolo 49 1. La presente Convenzione entrerà in vigore il trentesimo giorno successivo alla data del deposito presso il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite del ventesimo strumento di ratifica o di adesione. 2. Per ciascuno degli Stati che ratificheranno la presente Convenzione o che vi aderiranno dopo il deposito del ventesimo strume nto di ratifica o di adesione la Convenzione entrerà in vigore il trentesimo giorno successivo al deposito da parte di questo Stato del suo strumento di ratifica o di adesione. Articolo 50 1. Ogni Stato parte può proporre un emendamento e depositarne il testo presso il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Il Segretario generale comunica quindi la proposta di emendamento agli Stati parti, con la richiesta di far sapere se siano favorevoli ad una Conferenza degli Stati parti al fine dell’esame delle proposte e della loro votazione. Se, entro quattro mesi a decorrere dalla data di questa 76 comunicazione, almeno un terzo degli Stati parti si pronuncia a favore di tale Conferenza, il Segretario generale convoca la Conferenza sotto gli auspici dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ogni emendamento adottato da una maggioranza degli Stati parti presenti e votanti alla Conferenza è sottoposto per approvazione all’Assemblea Generale. 2. Ogni emendamento adotta in conformità con le disposizioni del paragrafo 1 del presente articolo entra in vigore dopo essere stato approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed accettato da una maggioranza di due terzi degli Stati parti. 3. Quando un emendamento entra in vigore esso ha valore obbligatorio per gli Stati parti che lo hanno accettato, gli altri Stati parti rimanendo vincolati dalle disposizioni della presente Convenzione e da tutti gli emendamenti precedenti da essi accettati. Articolo 51 1. Il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite riceverà e comunicherà a tutti gli Stati il testo delle riserve che saranno state formulate dagli Stati all’atto della ratifica o dell’adesione. 2. Non sono autorizzate riserve incompatibili con l’oggetto e le finalità della presente Convenzione. 3. Le riserve possono essere ritirate in ogni tempo per mezzo di notifica indirizzata in tal senso al Segretario generale delle Nazioni Unite il quale ne informerà quindi tutti gli Stati. Tale notifica avrà effetto alla data in cui è ricevuta dal Segretario generale. Articolo 52 Ogni Stato parte può denunciare la presente Convenzione per mezzo di notifica scritta indirizzata al Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. La denuncia avrà effetto un anno dopo la data di ricezione della notifica da parte del Segretario generale. Articolo 53 Il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è designato come depositario della presente Convenzione. Articolo 54 L’originale della presente Convenzione i cui testi in lingua araba, cinese, francese, inglese, russa e spagnola fanno ugualmente fede, sarà depositato presso il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. 77 In fede di che i plenipotenziari sottoscritti debitamente abilitati a tal fine dai loro rispettivi governi, hanno firmato la presente Convenzione. 78 Appendice 2: La “Convenzione Europea sull’esercizio dei Diritti dei Minori” (dal sito http://www.centrodirittiumani.unipd.it/tutoreminori/ index.htm) CONVENZIONE EUROPEA SULL’ESERCIZIO DEI DIRITTI DEI MINORI Adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996. Entrata in vigore il 1° luglio 2000. Preambolo Gli Stati membri del Consiglio d’Europa e gli altri Stati, firmatari della presente Convenzione, Considerando che scopo del Consiglio d’Europa è realizzare una unione più stretta fra i suoi membri; Tenendo conto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e in particolare dell’articolo 4, che esige che gli Stati contraenti adottino tutte le misure legislative, amministrative ed altre necessarie ad applicare i diritti riconosciuti nella suddetta Convenzione; Prendendo atto del contenuto della Raccomandazione 1121 (1990) dell’Assemblea parlamentare, relativa ai diritti dei minori; Convinti che i diritti e gli interessi superiori dei minori debbano essere promossi e che a tal fine i minori dovrebbero avere la possibilità di esercitare i propri diritti, in particolare nelle procedure in materia di famiglia che li riguardano; Riconoscendo che i minori dovrebbero ricevere informazioni pertinenti, affinché i loro diritti e i loro interessi superiori possano essere promossi e affinché la loro opinione sia presa in debita considerazione; Riconoscendo l’importanza del ruolo dei genitori nella tutela e la promozione dei diritti e degli interessi superiori dei figli e ritenendo che anche gli Stati dovrebbero, ove occorra, interessarsene; Considerando, tuttavia, che in caso di conflitto è opportuno che le famiglie cerchino di trovare un accordo prima di portare il caso avanti ad un’autorità giudiziaria, Hanno convenuto quanto segue: Capitolo I – Campo di applicazione e oggetto della Convenzione, 79 e definizioni Articolo 1 - Campo di applicazione e oggetto della Convenzione 1. La presente Convenzione si applica ai minori che non hanno raggiunto l’età di 18 anni. 2. Oggetto della presente Convenzione è promuovere, nell’interesse superiore dei minori, i loro diritti, concedere loro diritti azionabili e facilitarne l’esercizio facendo in modo che possano, essi stessi o tramite altre persone od organi, essere informati e autorizzati a partecipare ai procedimenti che li riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria. 3. I procedimenti che interessano i minori dinanzi ad un’autorità giudiziaria sono i procedimenti in materia di famiglia, in particolare quelli relativi all’esercizio delle responsabilità genitoriali, trattandosi soprattutto di residenza e di diritto di visita nei confronti dei minori. 4. Ogni Stato deve, all’atto della firma o al momento del deposito del proprio strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, designare, con dichiarazione indiretta al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, almeno tre categorie di controversie in materia di famiglia dinanzi ad un’autorità giudiziaria alle quali la presente Convenzione intende applicarsi. 5. Ogni Parte può, con dichiarazione aggiuntiva, completare la lista delle categorie di controversie in materia di famiglia alle quali la presente Convenzione intende applicarsi o fornire ogni informazione relativa all’applicazione degli articoli 5 9 paragrafo 2, 10 paragrafo 2, e 11. 6. La presente Convenzione non impedisce alle Parti di applicare norme più favorevoli alla promozione e all’esercizio dei diritti dei minori. Articolo 2 - Definizioni Ai fini della presente Convenzione, si intende per: a) “autorità giudiziaria”, un tribunale o un’autorità amministrativa avente delle competenze equivalenti; b) “detentori delle responsabilità genitoriali”, i genitori e altre persone od organi abilitati ad esercitare tutta o parte delle responsabilità genitoriali; c) “rappresentante”, una persona, come un avvocato, o un organo designato ad agire presso un’autorità giudiziaria a nome di un minore; d) “informazioni pertinenti”, le informazioni appropriate, in considerazione dell’età e della capacità di discernimento del minore, che gli saranno fornite al fine di permettergli di esercitare pienamente 80 i propri diritti, a meno che la comunicazione di tali informazioni non pregiudichi il suo benessere. Capitolo II – Misure di ordine procedurale per promuovere l’esercizio dei diritti dei minori A. Diritti azionabili da parte di un minore Articolo 3 - Diritto di essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti Nei procedimenti che lo riguardano dinanzi a un’autorità giudiziaria, al minore che è considerato dal diritto interno come avente una capacità di discernimento vengono riconosciuti i seguenti diritti, di cui egli stesso può chiedere di beneficiare: a) ricevere ogni informazione pertinente; b) essere consultato ed esprimere la propria opinione; c) essere informato delle eventuali conseguenze che tale opinione comporterebbe nella pratica e delle eventuali conseguenze di qualunque decisione. Articolo 4 - Diritto di richiedere la designazione di un rappresentante speciale 1. Salvo quanto previsto dall’articolo 9, quando il diritto interno priva i detentori delle responsabilità genitoriali della facoltà di rappresentare il minore a causa di un conflitto di interesse, il minore ha il diritto di richiedere, personalmente o tramite altre persone od organi, la designazione di un rappresentante speciale nei procedimenti che lo riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria. 2. Gli Stati sono liberi di prevedere che il diritto di cui al paragrafo 1. venga applicato solo ai minori che il diritto interno ritiene abbiano una capacità di discernimento sufficiente. Articolo 5 - Altri possibili diritti azionabili Le Parti esaminano l’opportunità di riconoscere ai minori ulteriori diritti azionabili nei procedimenti che li riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria, in particolare: a) il diritto di chiedere di essere assistiti da una persona appropriata, di loro scelta, che li aiuti ad esprimere la loro opinione; b) il diritto di chiedere essi stessi, o tramite altre persone od organi, la designazione di un rappresentante distinto, nei casi opportuni, di un 81 avvocato; c) il diritto di designare il proprio rappresentante; d) il diritto di esercitare completamente o parzialmente le prerogative di una parte in tali procedimenti. B. Ruolo delle autorità giudiziarie Articolo 6 - Processo decisionale Nei procedimenti che riguardano un minore, l’autorità giudiziaria, prima di giungere a qualunque decisione, deve: a) esaminare se dispone di informazioni sufficienti ad fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore e, se necessario, ottenere informazioni supplementari, in particolare da parte dei detentori delle responsabilità genitoriali; b) quando il diritto interno ritiene che il minore abbia una capacità di discernimento sufficiente: - assicurarsi che il minore abbia ricevuto tutte le informazioni pertinenti, - nei casi che lo richiedono, consultare il minore personalmente, se necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario agli interessi superiori del minore, permettere al minore di esprimere la propria opinione; c) tenere in debito conto l’opinione da lui espressa. Articolo 7 - Obbligo di agire prontamente Nei procedimenti che interessano un minore, l’autorità giudiziaria deve agire prontamente per evitare ogni inutile ritardo. Devono concorrervi delle procedure che assicurino una esecuzione rapida delle decisioni dell’autorità giudiziaria. In caso di urgenza, l’autorità giudiziaria ha, se necessario, il potere di prendere decisioni immediatamente esecutive. Articolo 8 - Possibilità di procedere d’ufficio Nei procedimenti che riguardano un minore, l’autorità giudiziaria ha il potere, nei casi in cui il diritto interno ritenga che il benessere del minore sia seriamente minacciato, di procedere d’ufficio. Articolo 9 - Designazione di un rappresentante 1. Nei procedimenti che riguardano un minore, quando in virtù del diritto interno i detentori delle responsabilità genitoriali si vedono privati 82 della facoltà di rappresentare il minore a causa di un conflitto di interessi, l’autorità giudiziaria ha il potere di designare un rappresentante speciale che lo rappresenti in tali procedimenti. 2. Le Parti esaminano la possibilità di prevedere che, nei procedimenti che riguardano un minore, l’autorità giudiziaria abbia il potere di designare un rappresentante distinto, nei casi opportuni un avvocato, che rappresenti il minore. C. Ruolo dei rappresentanti Articolo 10 1. Nei procedimenti dinanzi ad un’autorità giudiziaria riguardanti un minore, il rappresentante deve, a meno che non sia manifestamente contrario agli interessi superiori del minore: a) fornire al minore ogni informazione pertinente, se il diritto interno ritenga che abbia una capacità di discernimento sufficiente; b) fornire al minore, se il diritto interno ritenga che abbia una capaciti di discernimento sufficiente, spiegazioni relative alle eventuali conseguenze che l’opinione del minore comporterebbe nella pratica, e alle eventuali conseguenze di qualunque azione del rappresentante; c) rendersi edotto dell’opinione del minore e portarla a conoscenza dell’autorità giudiziaria. 2. Le Parti esaminano la possibili di estendere le disposizioni del paragrafo 1 ai detentori delle responsabilità genitoriali. D. Estensione di alcune disposizioni Articolo 11 Le Parti esaminano estendere le disposizioni degli articoli 3, 4 e 9 ai procedimenti che riguardano i minori davanti ad altri organi, nonché alle problematiche relative ai minori, indipendentemente da qualunque procedimento. E. Organi nazionali Articolo 12 1. Le Parti incoraggiano, tramite organi che esercitano, fra l’altro, le funzioni di cui al paragrafo 2, la promozione e l’esercizio dei diritti dei minori. 2. Tali funzioni sono le seguenti: a) fare delle proposte per rafforzare 83 l’apparato legislativo relativo all’esercizio dei diritti dei minori; b) formulare dei pareri sui disegni legislativi relativi all’esercizio dei diritti dei minori; c) fornire informazioni generali sull’esercizio dei diritti dei minori ai mass media, al pubblico e alle persone od organi che si occupano delle problematiche relative ai minori, d) rendersi edotti dell’opinione dei minori e fornire loro ogni informazione adeguata. F. Altre misure Articolo 13 - Mediazione e altri metodi di soluzione dei conflitti Al fine di prevenire o di risolvere i conflitti, e di evitare procedimenti che coinvolgano minori dinanzi ad un’autorità giudiziaria, le Parti incoraggiano il ricorso alla mediazione e a qualunque altro metodo di soluzione dei conflitti atto a concludere un accordo, nei casi che le Parti riterranno opportuni. Articolo 14 - Assistenza giudiziaria e consulenze giuridica Quando il diritto interno prevede l’assistenza giudiziaria o la consulenza giuridica per la rappresentanza dei minori nei procedimenti che li riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria, tali disposizioni vengono applicate ai casi di cui agli articoli 4 e 9. Articolo 15 - Rapporti con altri strumenti internazionali La presente Convenzione non impedisce l’applicazione di altri strumenti internazionali che trattino questioni specifiche nell’ambito della protezione dei minori e delle famiglie, e dei quali una Parte della presente Convenzione ne sia o ne divenga Parte. Capitolo III – Comitato permanente Articolo 16 - Istituzione e funzioni del Comitato permanente 1. Viene costituito, ai fini della presente Convenzione, un Comitato permanente. 2. Il Comitato permanente si occupa dei problemi relativi alla presente Convenzione. Esso può, in particolare: a) esaminare ogni questione pertinente relativa all’interpretazione o all’attuazione della Convenzione. Le conclusioni del Comitato permanente relative all’attuazione della Convenzione possono assumere la forma di raccomandazione; le raccomandazioni sono adottate con la maggioranza dei tre quarti dei voti espressi; 84 b) proporre emendamenti alla Convenzione ed esaminare quelli formulati all’articolo 20; c) fornire consulenza e assistenza agli organi nazionali che esercitano le funzioni di cui al paragrafo 2 dell’articolo 12, nonché promuovere la cooperazione internazionale fra loro. Articolo 17 - Membri 1. Ogni Parte può farsi rappresentare in seno al Comitato permanente da uno o diversi delegati. Ogni Parte dispone di un voto. 2. Ogni Stato di cui all’articolo 21, che non sia Parte della presente Convenzione, può essere rappresentato al Comitato permanente da un osservatore. Lo stesso vale per ogni altro Stato o per la Comunità europea, che sia stato invitato ad aderire alla Convenzione, conformemente alle disposizioni dell’articolo 22. 3. A meno che una Parte, per lo meno un mese prima della riunione, non abbia espresso al Segretario Generale la propria obiezione, il Comitato permanente può invitare a partecipare in veste di osservatore a tutte le riunioni o a tutta o parte di una riunione: - ogni Stato non considerato nel precedente paragrafo 2; - il Comitato per i diritti del fanciullo delle Nazioni Unite; - la Comunità europea; - qualunque organismo internazionale governativo; - qualunque organismo internazionale non governativo che ricopra una o più funzioni fra quelle elencate al paragrafo 2 dell’articolo 12; - qualunque organismo nazionale, governativo o non governativo, che eserciti una o più funzioni fra quelle elencate al paragrafo 2 dell’articolo 12. 4. Il Comitato permanente può scambiare informazioni con tutte le organizzazioni che operano in favore dell’esercizio dei diritti dei minori. Articolo 18 - Riunioni 1. Al termine del temo anno successivo alla data di entrata in vigore della presente Convenzione e, per sua iniziativa, in qualunque altro momento dopo questa data, il Segretario Generale del Consiglio d’Europa inviterà il Comitato permanente a riunirsi. 2. Il Comitato permanente non può prendere decisioni se non a condizione che almeno la metà delle Parti sia presente. 3. Conformemente agli articoli 16 e 20, le decisioni del Comitato 85 permanente sono prese a maggioranza dei membri presenti. 4. Conformemente alle disposizioni della presente Convenzione, il Comitato permanente stabilisce il proprio regolamento interno, nonché il regolamento interno di ogni gruppo di lavoro che esso costituisce per assolvere a tutti i compiti previsti dalla Convenzione. Articolo 19 - Rendiconti del Comitato permanente Dopo ogni riunione, il Comitato permanente trasmette alle Parti e al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa un rendiconto relativo ai dibattiti svolti e alle decisioni prese. Capitolo IV – Emendamenti alla Convenzione Articolo 20 1. Ogni emendamento agli articoli della presente Convenzione, proposto da una Parte o dal Comitato permanente, è comunicato al Generale del Consiglio d’Europa e trasmesso a sua cura almeno due mesi prima della successiva riunione del Comitato permanente, agli Stati membri del Consiglio d’Europa, a tutti i firmatari, a tutte le Parti, a tutti gli Stati invitati a firmare la presente Convenzione, coni alle disposizioni dell’articolo 21, e a tutti gli Stati o alla Comunità europea che siano stati invitati ad aderirvi conformemente alle disposizioni dell’articolo 22. 2. Ogni emendamento proposto conformemente alle disposizioni del paragrafo precedente viene esaminato dal Comitato permanente che sottopone il testo, adottato con la maggioranza dei tre quarti dei voti espressi, all’approvazione del Comitato dei Ministri. Dopo l’approvazione il testo è comunicato alle Parti per l’accettazione. 3. Ogni emendamento entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di un mese dalla data in cui tutte le Parti avranno informato il Segretario Generale di averlo accettato. Capitolo V- Clausole finali Articolo 21 - Firma, ratifica ed entrata in vigore 1. La presente Convenzione è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d’Europa e degli Stati non membri che abbiano partecipato alla sua elaborazione. 2. La presente Convenzione sarà sottoposta a ratifica, accettazione o approvazione. Gli strumenti di ratifica, di accettazione o di approvazione sanno depositati presso il Segretario Generale del Consiglio d’Europa. 86 3. La presente Convenzione entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data in cui tre Stati, dei quali almeno due siano membri del Consiglio d’Europa, avranno espresso il loro consenso ad essere vincolati dalla presente Convenzione, conformemente alle disposizioni del paragrafo precedente. 4. Per ogni Stato che esprima successivamente il suo consenso ad essere vincolato dalla presente Convenzione, essa entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data del deposito dello strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione. Articolo 22 - Stati non membri e Comunità europea 1. Dopo l’entrata in vigore della presente Convenzione, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa potrà, di sua iniziativa e su proposta del Comitato permanente, e previa consultazione delle Parti, invitare tutti gli Stati non membri del Consiglio d’Europa che non abbiano partecipato all’elaborazione della Convenzione, nonché la Comunità europea ad aderire alla presente Convenzione, tramite decisione presa con la maggioranza prevista all’articolo 21, cpv. d. dello Statuto del Consiglio d’Europa, e all’unanimità dei voti dei rappresentanti degli Stati contraenti aventi il diritto di partecipare al Comitato dei Ministri. 2. Per ogni Stato aderente o la Comunità europea, la Convenzione entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data del deposito dello strumento di adesione presso il Segretario Generale del Consiglio d’Europa. Articolo 23 - Applicazione territoriale 1. Ogni Stato può, all’atto della firma o al momento del deposito del proprio strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, designare il territorio o i territori ai quali verrà applicata la presente Convenzione. 2. Ogni Parte può, in qualunque momento successivo, con dichiarazione indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, estendere l’applicazione della presente Convenzione ad ogni altro territorio designato nella dichiarazione, di cui essa assicuri le relazioni Internazionali o per il quale sia abilitata a stipulare. La Convenzione entrerà in vigore nel confronti di tale territorio il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data di ricevimento della dichiarazione da parte del Segretario Generale. 3. Ogni dichiarazione fatta in virtù dei due paragrafi precedenti 87 potrà essere ritirata, per quanto riguarda il/i territorio/i indicato/i nella dichiarazione, mediante notificazione indirizzata al Segretario Generale. Il ritiro avrà effetto il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data di ricevimento della notifica da parte del Segretario Generale. Articolo 24 - Riserve Non può essere formulata alcuna riserva alla presente Convenzione. Articolo 25 - Denuncia 1. Ogni Parte può, in qualunque momento, denunciare la presente Convenzione indirizzando una notificazione al Segretario Generale del Consiglio d’Europa. 2. La denuncia avrà effetto a partire dal primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data di ricevimento della notifica da parte del Segretario Generale. Articolo 26 - Notifiche Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa notificherà agli Stati membri del Consiglio, a tutti i firmatari, a tutte le Parti e a ogni altro Stato, o alla Comunità europea, che sia stato invitato ad aderire alla presente Convenzione: a) ogni firma; b) il deposito di ogni strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione; c) ogni data di entrata in vigore della presente Convenzione, conformemente agli articoli 21 o 22; d) ogni emendamento adottato conformemente all’articolo 20 e la data in cui tale emendamento entra in vigore; e) ogni dichiarazione formulata in virtù delle disposizioni degli articoli 1 e 23; f) ogni denuncia fatta in virtù delle disposizioni dell’articolo 25; g) ogni altro atto, notifica o comunicazione che abbia riferimento alla presente Convenzione. In fede di che, i sottoscritti, all’uopo debitamente autorizzati, hanno firmato la presente Convenzione. Fatto a Strasburgo, il 25 gennaio 1996, in francese e in inglese, entrambi i testi facendo ugualmente fede, in una sola copia che sarà 88 depositata negli archivi del Consiglio d’Europa. Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa ne comunicherà copia munita di certificazione di conformità a ciascuno degli Stati membri del Consiglio d’Europa, agli Stati non membri che hanno partecipato all’elaborazione della presente Convenzione, alla Comunità europea e ad ogni Stato invitato ad aderire alla presente Convenzione. 89 Appendice 3: Il tutore dei minori in Italia ed in Europa LA PUBBLICA TUTELA DEI MINORI IN ITALIA – REGIONI Vedi grafico 1 h t t p : / / w w w. c e n t ro d i r i t t i u m a n i . u n i p d . i t / t u t o re m i n o r i / webuptm/02_materiali/docs/normativa/nazionale/tab-sinottica-legislitalia.pdf LA PUBBLICA TUTELA DEI MINORI IN EUROPA Vedi grafico 2 h t t p : / / w w w. c e n t ro d i r i t t i u m a n i . u n i p d . i t / t u t o re m i n o r i / webuptm/02_materiali/docs/normativa/nazionale/tab-sinottica-legislinternazionale.pdf Grafico1 90 Grafico2 91 92 93 INDICE 95 Parte prima La Fondazione Il Forteto: storia, finalità, iniziative 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La nascita della Fondazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le proposte di modifica della legislazione italiana per l’affido dei minori . . Conoscere il Forteto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le relazioni familiari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’impegno nella scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’apertura verso l’Europa ed i nuovi progetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il Forteto: una bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 6 7 12 14 17 20 24 Parte seconda La tutela dei minori: uno studio comparato sull’affidamento familiare in Europa 1. 2. 3. 4. 5. Organizzazione e scopo della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tribunali e servizi sociali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le procedure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il ruolo degli esperti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Aspetti critici e conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 31 36 40 45 Appendice 1: La “Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia” . . . . . 53 Appendice 2: La “Convenzione Europea sull’esercizio dei Diritti dei Minori” 78 Appendice 3: Il tutore dei minori in Italia ed in Europa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 97 Della Collana “I Quaderni” del CESVOT sono pubblicati: 1 Lo stato di attuazione del D.M. 21/11/91 e successive modifiche Relazione assemblea del seminario 2 Volontari e politiche sociali: La Legge regionale 72/97 Atti del Convegno 3 Gli strumenti della programmazione nella raccolta del sangue e del plasma Cristiana Guccinelli - Regina Podestà 4 Terzo settore, Europa e nuova legislazione italiana sulle Onlus Cristiana Guccinelli - Regina Podestà 5 Privacy e volontariato Regina Podestà 6 La comunicazione per il volontariato Andrea Volterrani 7 Identità e bisogni del volontariato in Toscana Andrea Salvini 8 Le domande e i dubbi delle organizzazioni di volontariato Gisella Seghettini 9 La popolazione anziana: servizi e bisogni - la realtà aretina Roberto Barbieri - Marco La Mastra 10 Raccolta normativa commentata - Leggi fiscali e volontariato Stefano Ragghianti 11 Oltre il disagio - Identità territoriale e condizione giovanile in Valdera Giovanni Bechelloni - Felicita Gabellieri 12 Dare credito all’economia sociale Strumenti del credito per i soggetti non profit Atti del convegno 13 Volontariato e Beni Culturali Atti Conferenza Regionale 98 14 I centri di documentazione in area sociale, sanitaria e sociosanitaria: storia, identità, caratteristiche, prospettive di sviluppo Centro Nazionale del volontariato, Fondazione Istituto Andrea Devoto 15 L’uso responsabile del denaro Le organizzazioni pubbliche e private nella promozione dell’economia civile in toscana Atti del convegno 16 Raccolta normativa commentata- Leggi fiscali e volontariato Stefano Ragghianti 17 Le Domande e i Dubbi delle Organizzazioni di Volontariato Stefano Ragghianti - Gisella Seghettini 18 Accessibilità dell’informazione Abbattere le barriere fisiche e virtuali nelle biblioteche e nei centri di documentazione Francesca Giovagnoli 19 Servizi alla persona e volontariato nell’Europa sociale in costruzione Mauro Pellegrino 20 Le dichiarazioni fiscali degli Enti non Profit Stefano Ragghianti 21 Le buone prassi di bilancio sociale nel volontariato Maurizio Catalano 22 Raccolta fondi per le Associazioni di Volontariato. Criteri ed opportunità Sabrina Lemmetti 23 Le opportunità “finanziare e reali“ per le associazioni di volontariato toscane Riccardo Bemi 24 Il cittadino e l’Amministrazione di sostegno Un nuovo diritto per i malati di mente (e non solo) Gemma Brandi 99 25 Viaggio nella sostenibilità locale: concetti, metodi, progetti realizzati in Toscana Marina Marengo 26 Raccolta normativa commentata. Leggi fiscali e volontariato Stefano Ragghianti 27 Le trasformazioni del volontariato in Toscana 2° rapporto di indagine. Andrea Salvini e Dania Cordaz Progetto grafico , Pontedera