Pubblicazione Periodica del Centro Servizi Volontariato

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Pubblicazione Periodica del Centro Servizi Volontariato
I Quaderni
Bimestrale
n.28, gennaio 2006
reg. Tribunale di Firenze
n. 4885 del 28/01/1999
Direttore Responsabile
Cristiana Guccinelli
spedizione in abbonamento postale
art. 2 comma 20/c legge 662/96 FI
Pubblicazione Periodica del
Centro Servizi Volontariato Toscana
A cura di
Nicola Casanova e Luigi Goffredi
La tutela dei
minori:
esperienza e ricerca
Fondazione Il Forteto onlus
A cura di
Nicola Casanova e Luigi Goffredi
Gennaio 2006
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Parte prima
LA FONDAZIONE IL FORTETO: STORIA, FINALITÀ, INIZIATIVE
1. Introduzione
Ventuno anni dopo la nascita della cooperativa, che data 1977, i soci
del Forteto hanno creato una Fondazione che si è fin dall’inizio mossa in
sintonia con le aspirazioni e gli ideali della comunità-azienda del Mugello.
In Toscana, il Forteto è noto soprattutto come impresa che produce
formaggio, meno invece rispetto alla propria attività sociale ed al modello
di vita comunitaria scelto. Accenniamo perciò brevemente alla sua storia
quale introduzione allo sguardo che stiamo per concentrare sulle attività
della Fondazione.
Il Forteto è una comunità di oltre cento persone, composta da ventidue
famiglie che vivono nel Mugello, sulle colline tra Dicomano e Vicchio. Il
gruppo si è gradualmente allargato dal 1977, quando trentotto giovani di
Prato, Firenze e Pistoia si costituirono in cooperativa. L’attività lavorativa
del Forteto era inizialmente divisa fra l’agricoltura, l’allevamento e
la produzione casearia; dopo alcuni anni essa si è invece concentrata
sulla trasformazione del latte di pecora, che ha permesso alla comunità
di ottenere una piena autonomia economica unita ad un consolidato
successo commerciale, che ne fa uno fra i maggiori esportatori di pecorino
toscano. É stato comunque mantenuto l’allevamento di duecento capi
bovini e quello di cavalli maremmani, nutriti con i foraggi prodotti nei
campi sparsi tra i 450 ettari di terreno coltivabile e boschi di proprietà
della cooperativa.
“La prima volta che ho incontrato quelli del Forteto è stato a
Bovecchio in quell’inverno del ‘78 per loro pieno di guai, per me pieno
delle nuove esperienze di giovane giornalista alle prime prove con
la cronaca (...) Parlavano a voce alta in un vernacolo pesante, pratese
punteggiato già da quelle parole che poi ho scoperto essere un vero
lessico familiare del Forteto. Alcune delle ragazze servivano a tavola,
portando piatti di pasta dalla cucina e poi carne e verdure. Erano anni
di femminismo scatenato e mi meravigliai di quella divisione dei ruoli.
Loro parvero non accorgersene e mi dissero che certe sere comunque
i ragazzi sparecchiavano. Mi trattarono come uno di loro seduto
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alla stessa tavola, sulla stessa panca. Sorridevano e avevano tanto
entusiasmo che mi sembrava esagerato per quella realtà sicuramente
difficile di lavoro e per quella vita non certo comoda (...) E invece
durarono. Dopo la bufera del processo per qualche anno non si sentì
più parlare del Forteto. Sentii dire che avevano cambiato posto, che
erano andati dalle parti di Vicchio. Non mi ricordo come mi tornarono
in mente, ma in cerca di temi per il settimanale del TG1 nel quale ormai
lavoravo, pensai di andare a dare un’occhiata. Trovarli questa volta fu
più facile. Un grande cartello sulla strada provinciale tra Vicchio e
Dicomano segnalava la cooperativa agricola il Forteto, con caseificio e
vendita diretta di prodotti, mele, pesche, kiwi”.
da Ritratti di famiglia, di Betty Barsantini e Sandro Vannucci
L’attività sociale del Forteto è nata insieme con la cooperativa;
anzi, ne costituisce una delle principali motivazioni, perché la scelta
di vivere e lavorare in campagna era stata dettata anche dall’esigenza
di trovare un ambiente idoneo alle persone disagiate che il gruppo dei
fondatori frequentava sin dagli inizi degli anni Settanta. Nel corso degli
anni, quest’azione di sostegno e condivisione si è espressa soprattutto
attraverso il principio dell’accoglienza, con l’adozione e/o l’affidamento
di bambini, ragazzi e anche adulti provenienti da famiglie problematiche.
Ad oggi, sono circa novanta gli inserimenti effettuati al Forteto su
richiesta dei Tribunali per i Minorenni e dei Servizi Sociali. Impegno per
il quale, da molti anni, la comunità ha rinunciato al sostegno economico
pubblico previsto per chi partecipa all’affidamento di minori.
2. La nascita della Fondazione
“Poi si prese in affitto un vecchio appartamento di via dei Tintori.
A quel tempo solo pochi di noi lavoravano e, per tirare avanti,
avviammo le prime esperienze di cassa comune e di gestione collettiva.
Via Tintori viveva 24 ore su 24; le cinque stanze erano sempre
impegnate: chi studiava, chi parlava, chi disegnava per la scuola.
Organizzammo una cucina che ci servì per le prime ‘epiche’ cene
insieme, fuori dalle nostre case; quasi tutte le sere eravamo riuniti.
È il momento della scoperta del rapporto umano, dell’incontro,
della teorizzazione che cancella i nostri luoghi comuni, abitudini,
pregiudizi, per evitare ogni emarginazione e le etichette.
Compagni di scuola, amici, familiari, venivano spesso a trovarci,
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con nostro grande timore che incidessero, criticassero le nostre scoperte
recenti, incerte, da verificare e che temevamo rivoluzionarie e liberali.
Via dei Tintori era stata un ‘basso’ e le tracce rimanevano in certe
vicine dedite alla prostituzione ed in alcuni locali tra Piazza del Duomo
e via Magnolfi. Passeggiando la sera nel Corso, conoscemmo giovani
come noi, che già frequentavano la giustizia e le assistenti sociali,
discretamente compromessi con la droga e con la vita. Queste realtà,
prima mitiche, che evocavano dissolutezza e morte, diventarono, nel
nostro orizzonte, una nuova casella del mosaico sociale. Erano giovani
come noi, con diversi codici di comportamento.”
da Non fu per caso, di Luigi Goffredi.
La Fondazione il Forteto rappresenta dunque la prosecuzione e
l’ampliamento, su un diverso terreno, dell’idea che ispira la pratiche
dell’accoglienza e della solidarietà dei soci della Cooperativa. Tra gli
scopi previsti nel suo statuto, vi è innanzitutto la realizzazione di ricerche
a carattere scientifico di interesse sociale, nell’ambito delle discipline
antropologiche, sociologiche, psicologiche e pedagogiche, al fine di
individuare adeguati modelli per i rapporti interpersonali e sociali. In
secondo luogo, vi è la tutela e la promozione dei diritti civili dei minori
e delle fasce sociali svantaggiate. Inoltre, essa si impegna a favore della
crescita culturale delle famiglie, ma anche di tutti coloro che sono
impegnati nello svolgimento di funzioni e compiti sociali ed educativi
verso i figli naturali, affidati o adottati. Tutto questo ponendo particolare
attenzione al ruolo del volontariato e del privato-sociale, valorizzandone
l’importanza sociale. La fondazione non ha finalità di lucro.
La Fondazione è nata nel settembre del 1998 – con un gesto che voleva
essere tanto simbolico quanto concreto - attraverso un versamento non
recuperabile di 10 milioni di lire ciascuno da parte di venticinque dei soci
fondatori, i quali convertirono così il loro prestito sociale alla cooperativa
nel patrimonio iniziale della Fondazione. La Fondazione, oltre che di
un Consiglio di amministrazione, si è subito dotata di un Comitato
scientifico le cui competenze abbracciano tutto l’arco disciplinare che
interessa la sua attività: da quello pedagogico a quello medico, da quello
psicologico a quello giuridico.
3. Le proposte di modifica della legislazione italiana per l’affido dei
minori
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“Ancora ricordo il bambino che per tre mesi volle restare sempre in
braccio (letteralmente) altrimenti piangeva o il piccolo che inizialmente
poteva essere alimentato solo con gelato o quello vittima di abuso
sessuale che non permetteva il contatto fisico.
Parallelamente si instaura una terapia alimentare (quasi sempre
giungono al Forteto giovani sottopeso per denutrizione) e fisica,
tramite il gioco che in pochi mesi aiuta in maniera quasi miracolosa
il recupero, con acquisizione di certezza e fiducia nella struttura
familiare vicaria.
I pasti, salvo rare eccezioni, sono consumati insieme in un unico
ambiente che contribuisce a creare (c’è sempre un gran ‘casino’)
affiatamento e senso d’appartenenza: la tavolata è il momento del
raccordo, delle scelte, delle mansioni che ti sono assegnate.
Così, gradatamente, anche i nuovi cominciano ad imparare a
risocializzare (a volte è la loro prima esperienza) integrandosi sempre
di più nella famiglia. Ed è davvero una famiglia con un comune
sentimento d’appartenenza che si nota nel comportamento dell’adulto
verso un minore o del ‘normale’ verso un down o uno psicotico”.
da Il Forteto. Storie e realtà raccontate dal medico di famiglia, di Lucio
Caselli.
Le numerose esperienze di affido vissute dalle famiglie del Forteto
hanno sviluppato nel tempo un’elevata sensibilità verso le regole di
questo istituto. Era naturale per questo che la Fondazione si interessasse
all’approfondimento dei temi inerenti l’affido, ed alla legislazione
riguardante la tutela dei minori e delle famiglie.
Così, tra il 1998 e il 2001 la Fondazione ha organizzato tre convegni
nazionali sull’affido familiare. La legge 184 del 1983 sull’adozione e
l’affido era allora l’ancoraggio legale di tutta la questione; quella legge,
per la prima volta in Italia, istituiva e regolamentava l’affido consensuale e
temporaneo anche presso nuclei familiari differenti da quello d’origine.
Quando, nell’ottobre del 1998, la Fondazione organizzava a Firenze il
primo dei convegni appena citati, la legge ha già una lunga pratica alle
sue spalle, ed è diventata materia di discussione e di nuove proposte.
Scopo della Fondazione, in quella prima circostanza, era di allargare il
dibattito sul funzionamento della legge, ma soprattutto di sviluppare
un’azione per organizzare un monitoraggio approfondito e sistematico
sulla prassi dell’affido. Erano disponibili, allora, soltanto dati ed analisi
molto carenti e frammentarie. Venne perciò presentata, nel corso del
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convegno, anche un’indagine statistica sull’affido sulla base dei casi presi
in esame nell’arco di un anno dal Tribunale per i Minorenni di Firenze, in
tema di affidamento coatto.
Esattamente un anno dopo, la fondazione ha organizzato il secondo
convegno sull’affido, il quale tirava le fila di un anno di lavoro e di
riflessioni. Nel frattempo, in Parlamento, era proseguito il lavoro della
Commissione bicamerale per l’infanzia, chiamata proprio ad avviare
la riforma della legge 184. Di conseguenza, questo secondo incontro di
studio aveva un’attitudine immediatamente più pratica. Si intendeva far
scaturire dal lavoro di monitoraggio avviato l’anno precedente (rivelatosi
molto utile) e dal dibattito, proposte concrete da inviare alla commissione
bicamerale, cosa che avvenne. Tra gli oratori del convegno si è contata
anche la presenza dell’allora relatore della nuova legge, l’On. Luciano
Callegaro.
Prima del terzo ed ultimo convegno sull’affido sono trascorsi due
anni: nel frattempo (marzo 2001) è stata promulgata la legge 149/2001,
che ha portato modifiche importanti alla precedente, dovendosi anche
adattare al principio del ‘giusto processo’, entrato in vigore con la
modifica dell’articolo 111 della Costituzione, anche se l’entrata in
vigore della relativa normativa, in riferimento a quest’ultimo aspetto,
è stata poi sospesa con successivi procedimenti legislativi, in attesa di
una compiuta regolamentazione della nomina del difensore d’ufficio.
Il convegno, svoltosi nel novembre del 2001, ha voluto dunque fare
una prima approfondita lettura del testo della nuova legge, discutendo
sulle sue possibilità applicative. Per la fondazione, si è trattato di un
punto di arrivo parziale, a partire dal quale prendersi il giusto tempo
per una valutazione dell’efficacia della legge 149, e dei suoi effetti
sull’affidamento.
3.1 Ma che cos’è, in generale, l’affidamento familiare?
Si tratta di uno strumento normativo di aiuto per i bambini, gli
adolescenti e le loro famiglie, quando attraversano momenti di difficoltà.
É stato creato allo scopo di evitare che il loro disagio non degradi
gravemente e irreversibilmente, così da compromettere le capacità dei
genitori di educare, di crescere e di proteggere i figli. Serve anche ad
impedire che i minori non subiscano incuria psicologica e materiale, o
veri e propri maltrattamenti e abbandono.
La legge 184/83 (e in maniera ancor più marcata la legge 149 del 2001)
hanno come fine proprio di garantire al minore il diritto ad una famiglia,
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e in particolare alla propria famiglia naturale. Reciprocamente, intende
però anche garantire alla famiglia la possibilità di svolgere in maniera
adeguata i propri compiti.
Le norme che riguardano l’affido non hanno, per ciò, nessun intento
repressivo o punitivo, ma sono ispirate all’idea dell’aiuto che lo Stato,
attraverso i servizi sociali e sanitari, può offrire alla riorganizzazione di
una situazione squilibrata o carente. Le situazioni di disagio familiare si
manifestano per ragioni e con caratteristiche diverse: ciascuna di esse va
analizzata e contestualizzata in maniera precisa, prima di proporre un
programma di azioni e comportamenti che la possano sostenere.
C’è, ovviamente, una gradualità nelle situazioni di disagio. Il grado
inferiore si individua nelle difficoltà rapidamente recuperabili quali sono,
ad esempio, quelle delle famiglie in cui ambedue i genitori sono costretti
per qualche tempo e per motivi economici a lavorare a tempo pieno
o (per ragioni di salute) sono temporaneamente impediti nel seguire i
figli, e nella struttura familiare/parentale non vi sono altri componenti
che possano sostituirli o aiutarli. In questi casi, un temporaneo affido
eterofamiliare può prevenire ulteriori disagi senza intaccare la struttura
dei rapporti genitori/figli.
La legge 184 del 1983, e la successiva legge 149 del 2001, prevedono
genericamente l’affido, provvedimento che può essere accompagnato da
misure coerenti alla situazione in esame, quali precise prescrizioni a cui
attenersi e/o l’applicazione di altri articoli di legge come il 333 e il 330 del
Codice civile, che si riferiscono alla potestà dei genitori.
Nella pratica, e alla luce di queste norme, si possono individuare due
tipi principali: l’affido consensuale e l’allontanamento giudiziario.
L’affido consensuale si articola attraverso una tessitura di rapporti che
si realizzano per opera del Servizio sociale del territorio, tra la famiglia
del bambino e quella disposta all’accoglienza. Nella maggioranza dei casi
viene sottoscritto un programma che impegna le famiglie e i servizi alla
collaborazione condivisa. Il Servizio sociale, poi, comunica l’iniziativa al
Giudice tutelare competente sul territorio, ed ogni sei mesi lo aggiorna
sull’andamento della situazione. La legge 149 del 2001 pone il preciso
limite di due anni quale durata massima di un affido consensuale,
dopodiché, se il Servizio Sociale valuta che la famiglia di origine ha
recuperato le capacità di accudire ed educare il bambino, questo rientra
in famiglia. Se invece, trascorso il periodo previsto dal programma, la
situazione non si è risolta, l’affido può essere prorogato solo dal Tribunale
per i minorenni. Il Servizio sociale, quindi, deve sottoporre istanza alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, per dare il
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via ad un’indagine sulla cui base il Tribunale dovrà emettere con decreto
una decisione.
L’affidamento con provvedimento giudiziario è invece l’allontanamento
coatto di un minore dalla propria famiglia, disposto dal Tribunale per i
minorenni, in genere dopo una segnalazione dei Servizi sociali, a cui
fa seguito un’indagine socio-ambientale. É evidente che si applica nei
casi dove l’incuria e il maltrattamento del minore sono molto marcati,
e le prospettive per il recupero delle risorse affettive ed educative della
famiglia si presentano più complesse. In questo caso i tempi non sono
definiti dalla legge e l’affido può essere più volte rinnovato nel corso
degli anni. Il Tribunale può nominare un curatore speciale che garantisca
e operi per il benessere dei minorenni nel corso di procedure giudiziarie
che si presentano conflittuali.
Naturalmente, i fatti materiali ed i motivi che portano ad operare per
l’aiuto alla famiglia con queste due modalità principali sono radicalmente
diversi per importanza. Di conseguenza, nella pratica dei Servizi sociali si
possono osservare molte altre modalità, secondo una scala graduale che
va da un estremo all’altro, vale a dire fra la prevenzione che si può attuare
prima di intervenire con l’affido consensuale, fino all’allontanamento
giudiziario.
Prima dell’affido possono essere predisposte molte iniziative di
aiuto alla famiglia, comprese in ciò che viene chiamato “affido a tempo
parziale”. Il sostegno può concretizzarsi in alcune ore della giornata,
o in qualche giorno e notte in modo saltuario, o fine settimana, o
periodi di vacanza, che il bambino trascorre accudito da parenti o da
persone esterne alla famiglia d’origine. Queste sono pratiche che hanno
sempre fatto parte della tradizione e della solidarietà spontanea della
comunità, ma che negli ultimi decenni hanno avuto bisogno di essere
istituzionalizzate a causa dell’isolamento che progressivamente ha
circondato la famiglia, specialmente nei casi in cui ad essa mancano
risorse economiche sufficienti, o nel caso di famiglie di immigrati da poco
trasferitesi in un nuovo contesto.
Lo stesso affido consensuale può essere a tempo parziale, ad esempio
il bambino rimane giorno e notte o per parte della settimana nella famiglia
di accoglienza che assolve anche a funzioni importanti, caratteristiche della
potestà, come curare i rapporti con la scuola o seguire le esigenze sanitarie
del bambino. Se il bambino, invece, viene collocato a tempo pieno, l’affido
consensuale può assumere connotati diversi, a seconda degli accordi che
disciplinano il mantenimento dei rapporti con la propria famiglia, cioè il
calendario dei tempi, la durata e le modalità degli incontri.
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Come dicevamo, l’affido dovrebbe essere una condizione temporanea,
che duri per il più breve tempo possibile. Questo affinché non ne
risentano i legami familiari, la cui solidità è fondamentale per la
costruzione equilibrata della personalità del bambino. La legge 149 del
2001, a questo proposito, pone genericamente il limite di due anni. Ogni
situazione deve comunque essere singolarmente tipizzata e valutata,
attraverso un’attenta analisi ambientale e socio psicologica.
Viene spontaneo domandarsi chi possa prendere in affido e con quali
procedure praticare l’accoglienza.
All’affidamento sono idonei tutti gli adulti che offrano garanzie
morali ed esprimano capacità affettive ed educative. Questo vale anche
per i singoli, benché nella pratica vengano privilegiate le famiglie
perché l’esperienza e il contesto di una famiglia sono, per il bambino,
meglio confrontabili a quello di origine. Si presuppone che una famiglia
offra maggiori capacità di accoglienza, e mitighi l’inevitabile senso di
sradicamento che il bambino prova essendo costretto a passare attraverso
questo tipo di esperienze.
I Servizi sociali, con l’assistente sociale e il Servizio sanitario, e
con le Unità di psicologia, hanno il compito di valutare/formare chi è
disponibile all’affido. Dopo questo percorso viene rilasciato ai candidati
affidatari una relazione di idoneità. Non sempre si tratta di una procedura
rigorosamente formale con rilascio di documentazione ma è, comunque,
una prassi che in concreto viene regolarmente attuata. Un Servizio sociale
stabilisce infatti sempre, prima di avviare un procedimento di affido, un
rapporto di approfondita conoscenza con la famiglia o il singolo che si
candidano per l’accoglienza.
4. Conoscere il Forteto
I principali motivi per i quali è nata la Fondazione Il Forteto sono la
volontà di testimoniare, di comunicare, di poter estendere ad un tipo
di analisi scientifica o storica l’esperienza di vita e di lavoro condivisa
dai soci della Cooperativa agricola Il Forteto. Tra i soci, si è via via
sviluppata anche il sentito bisogno di un confronto culturale. Esso poteva
emergere solo attraverso questo approccio multiculturale, capace di
individuare e mettere a fuoco poco alla volta i suoi elementi caratteristici.
L’esperienza del Forteto mostra infatti tratti strutturali, organizzativi,
culturali spiccatamente alternativi.
Nella prospettiva dell’accoglienza, e con l’integrazione nelle famiglie
di molti minori in adozione o in affido, il Forteto rappresenta in effetti
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un’esperienza rilevante tanto per il numero dei casi affrontati che per i
risultati raggiunti, ma anche per l’originalità dei rapporti familiari che
stanno alla base dell’intervento in aiuto ai minorenni e alle loro famiglie
in condizione di sofferenza.
É su questi presupposti che, già nel 1996, il sociologo Giuseppe
Ferroni aveva avviato una circostanziata ricerca sulla comunità. Nel 1999
è diventata un ponderoso volume che rimane un passaggio obbligato per
chiunque sia interessato ad una conoscenza approfondita del Forteto. A
questo proposito, una bibliografia di pubblicazioni e di altri materiali
documentali che riguardano direttamente il Forteto, o che sono stati
promossi dalla sua Fondazione, si può trovare in questo stesso quaderno,
al termine della prima parte.
Il volume di Ferroni è stato tra le prime pubblicazioni che la
Fondazione ha, per così dire, dedicato a se stessa ed alla comunità, ed è
parte di un impegno che è via via proseguito con i libri scritti da Betty
Barsantini e Sandro Vannucci, Lucio Caselli, Nicola Casanova, ciascuno
dei quali ha cercato di mettere a fuoco la comunità da un diverso punto
di vista, ed utilizzando differenti stili: dalle vivide interviste raccolte da
Barsantini e Vannucci, all’esperienza di medico-condotto che fa da filtro
nel testo di Caselli, fino al taglio misto (narrativo-esplicativo) scelto da
Casanova, che alterna il racconto storico alle descrizioni delle relazioni
attuali. Il primo contributo di questo tenore, di carattere autobiografico,
risale però già al 1980, quando Luigi Goffredi, che è presidente della
Fondazione dalla sua costituzione, raccontò in “Non fu per caso” i primi,
molto difficili eppure entusiasmanti anni del Forteto.
In questi stessi anni, il Forteto è stato sottoposto a studi ed analisi da
parte di numerose università, e secondo differenti approcci disciplinari
(neuropsichiatria infantile, pedagogia, sociologia), con la realizzazione
di alcune tesi di laurea e di specializzazione. Il lavoro di maggiore
ampiezza è stato comunque quello coordinato dalla professoressa Maria
Grazia Martinetti, titolare della cattedra di neuropsichiatria infantile
presso la Facoltà di medicina dell’Università di Firenze. A partire
dal 1999, alcuni dottorandi effettuano il monitoraggio dell’evoluzione
di un gruppo di bambini affidati ad alcune famiglie del Forteto,
constatandone le interazioni reciproche, lo stato dei traumi subiti nel
passato, con l’intenzione di riuscire a delimitare un quadro complessivo
dell’evoluzione nel tempo di queste esperienze.
“La comunità il Forteto produce, ad un tempo, salute psichica e
ricchezza economica.
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É questa una circostanza singolarissima che fa del Forteto un
interessante oggetto di ricerca agli occhi delle scienze sociali, un
singolarissimo esperimento in natura.
La produzione contestuale di salute psichica e di ricchezza
economica, invero, è un esito assai inconsueto.
Le organizzazioni finalizzate alla produzione di salute psichica,
infatti, consumano ricchezza economica; le organizzazioni finalizzate
alla produzione di ricchezza economica, invece, ‘consumano’ salute
psichica (...)
Le modalità di organizzazione del lavoro sono così intersecate con le
modalità di organizzazione della vita che non si può parlare del modo
in cui è organizzato e svolto il lavoro distintamente e separatamente
dal modo in cui si svolge la vita nell’ambito del Forteto.
Qui, infatti, l’organizzazione del lavoro è una variabile dipendente
dallo stile di vita assunto e non viceversa, come invece accade, in
misura cospicua, nella società in cui la comunità il Forteto è sorta e
vive”.
da Forme di cultura e salute psichica, di Giuseppe Ferroni.
5. Le relazioni familiari
A partire dal 2001, visti gli sviluppi intervenuti sul terreno della
legislazione sull’affidamento, si è aperta una nuova fase di attesa e di
verifica. I tempi erano maturi per lavorare su altre tematiche previste
dallo statuto. L’opera della Fondazione si è così orientata sui problemi
della famiglia e sulla qualità delle relazioni familiari.
In primo luogo, già a partire dal 1999, in collaborazione con i comuni
del Mugello, la fondazione ha promosso una capillare campagna di
informazione sull’affidamento, rivolta alle famiglie ed in vista della
creazione del Centro affidi del Mugello: si trattava di far conoscere
l’affido stesso, la sua natura e le sue regole, coinvolgendo tutte le
famiglie sensibili al problema, o addirittura propense ad accogliere un
minore, approfondendo le conoscenze di tutte le dinamiche affettive e
interpersonali che animano il contesto familiare.
Alla campagna informativa è seguita una fase di maggiore
approfondimento, che si è svolta a partire dal 2000 nella sala polivalente
della fondazione, a Riconi. Sono state infatti organizzate delle giornate
di informazione, di studio e di formazione per le famiglie e per gli
operatori del settore sociale, coinvolti dalla loro professione nella prassi
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dell’affidamento. In questo caso, i relatori erano: operatori dei Servizi
sociali e delle Unità Operative di Psicologia delle ASL, oltre a volontari
con specifiche competenze, giudici del Tribunale per i minorenni,
avvocati specialisti della famiglia, e persone con bambini in affido, che
hanno sviluppato le molte tematiche, giuridiche e psicologiche, e offerto
testimonianze concrete.
Infine, la Fondazione ha partecipato e partecipa regolarmente a
convegni e seminari più o meno legati ai problemi minorili, che si
tengono soprattutto in Toscana, ma non soltanto. Per fare due esempi,
si va dalla partecipazione agli incontri organizzati nelle scuole con i
genitori degli alunni a Lucca dall’ANFAA (l’associazione nazionale delle
famiglie adottive e affidatarie), al progetto dell’Università di Pisa di
educazione alla pace, in cui il Forteto ha portato la propria esperienza,
fino alla partecipazione alle iniziative internazionali dell’Associazione
Europea di Neuropsichiatria per l’infanzia.
Il tema della famiglia e delle sue relazioni è stato toccato anche nella
più recente monografia promossa dalla Fondazione, “La strada stretta.
Storia del Forteto”. Pur non avendo ambizioni scientifiche, questo lavoro
dal taglio narrativo aveva tra i suoi scopi quello di descrivere la particolare
forma familiare della comunità, la ‘famiglia monofunzionale’, e la prassi
della ‘rete’ di sostegno tra più famiglie tipica del Forteto, con la speranza
di aprire un confronto con la famiglia mononucleare caratteristica della
società italiana odierna. Dietro l’intento di misurarsi con un tema difficile
e spinoso come quello della famiglia e dei suoi passaggi critici, vi era
un fascio di motivazioni maturate negli anni, attraverso l’esperienza
quotidiana di vita al Forteto, e quella più specificamente culturale che la
fondazione ha acquisito nel corso della propria attività.
A questo nuovo orientamento, corrisponde la rapida trasformazione
vissuta dalla famiglia, in Italia e a livello mondiale, nel corso degli ultimi
decenni. La famiglia e le relazioni tra i suoi membri sono state fortemente
sollecitate da quel che stava avvenendo intorno ad essa: nella società, nei
rapporti e nelle condizioni di lavoro, nel diffondersi dell’informazione e
della comunicazione, nell’accresciuto predominio delle nuove tecnologie,
per finire con la globalizzazione economica e culturale e la tendenza
all’omologazione degli istituti fondamentali della società, del lavoro,
delle relazioni interpersonali e dei sentimenti
Tutto questo ha travolto i ruoli, le autorità, i valori tradizionali e ogni
altro riferimento socioesistenziale, rarefacendo gli aspetti comunitari
nei rapporti umani, costringendo così la famiglia a diventare un
piccolo gruppo tendenzialmente chiuso, arroccato nel conseguimento
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del benessere economico, e percorso da tensioni anche gravi per quel che
invece riguarda le relazioni più spiccatamente altruistiche, personali: il
dialogo, l’affetto, la comprensione e la solidarietà.
Così, diminuita la povertà economica (che in passato prevaleva quale
causa scatenante) sono affiorati nuovi tipi di disagio. La famiglia si è
scoperta impreparata ai richiami dei bisogni affettivi, incapace di offrire
modelli educativi; e si è mostrata immatura, alla deriva e con l’unico
salvagente di una scala di valori materialistici. Sono esponenzialmente
cresciuti divorzi e separazioni, e sono dilagate le contese sui figli. É
facile intuire, anche da questi brevi cenni, come sia stato naturale, per la
Fondazione, volgersi dal problema più specifico di adozione e affido a
quello più ampio della famiglia.
In fondo, affido ed adozione rappresentano gli aspetti più eclatanti e
drammatici della crisi della famiglia. Meno visibili, ma endemicamente
diffuse, esistono però le difficoltà della famiglia “normale” e dei bambini
e degli adolescenti “normali”. La stessa contesa sui figli, cui accennavamo,
non è che un problema di affido “interno” alla famiglia. Per la Fondazione,
con le iniziative che abbiamo citato, si è trattato dunque di allargare il
raggio della propria azione in campi comunque contigui. Era doveroso,
vista la consolidata esperienza su questi temi, dare un contributo nel
mettere a fuoco anche le situazioni non eccezionali nell’importantissimo
ed estremamente vasto ambito dell’istituzione familiare. E tutto questo
avendo come stella polare il principio dell’esistenza dei diritti dei
minori, la cui tutela e rafforzamento si colloca in una società che vede
storicamente al suo centro gli adulti, con i loro diritti e le loro ragioni
vincenti. Il perseguimento e la difesa dei diritti dei minori, e la loro
centralità all’interno della famiglia sono i criteri etici fondamentali della
Fondazione il Forteto.
“Chi sfugge al timore di rivedere se stesso nei propri figli?
Vorremmo infondere loro la parte migliore di noi, e rimaniamo
al contrario accecati quando essi ripetono le nostre debolezze, le
meschinità, oppure offrono prova di impotenza nel momento in cui
dovrebbero invece nutrire il nostro orgoglio. Si potrebbe credere che
questo genere di identificazione scatti soltanto per un figlio che è
sangue del proprio sangue, ma è una supposizione gretta, dozzinale.
Non è vero che ad un figlio adottivo, o in affidamento, si chieda di
meno, che con lui ci si accontenti e che, in fondo, quel che viene è
tanto di guadagnato. Frustrazioni ed esaltazioni appartengono anche
all’universo psichico del genitore acquisito perché un figlio – forse più
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che un patrimonio genetico trasmesso da un corpo all’altro – è cultura
o incultura, ed è lo specchio fin troppo fedele di quel che sappiamo e
non sappiamo fare”.
da La strada stretta. Storia del Forteto, di Nicola Casanova.
6. L’impegno nella scuola
Dal 2002, la Fondazione ha aperto il confronto con un altro degli
importanti ambiti in cui si muove il mondo giovanile: quello della scuola.
Trattando della famiglia e delle relazioni che la interessano è inevitabile
incontrare il rapporto scuola – famiglia, cosicché l’approfondimento su
questi temi si è sviluppato di pari passo nel lavoro della Fondazione.
Se, qui, teniamo separati i due settori è soltanto per chiarezza di
esposizione.
Un primo gruppo di iniziative si è sviluppato con la collaborazione
con l’Istituto di Terapia Familiare di Firenze, diretto da Rodolfo de
Bernart. Il personale dell’istituto (psicologi, neuropsichiatri, mediatori
culturali) ha svolto delle osservazioni sulle famiglie del Forteto, studiando
l’esperienza di quelle che, dopo aver preso un bambino in affidamento,
lo hanno reinserito e seguito nel suo percorso scolastico, svoltosi nella
maggior parte dei casi nelle Scuole Elementari e Medie di Vicchio e
Dicomano, e negli Istituti Superiori di Borgo San Lorenzo.
Ne è scaturito uno studio basato su una serie di interviste ad alcune
coppie affidatarie, seguite da una scheda descrittiva di ciascuna di
loro. Con il supporto di questo materiale di prima mano, si è tentato di
ricostruire un profilo dei rapporti fra i ragazzi del Forteto e le scuole del
Mugello, descrivendo un percorso che scorre dalle difficoltà e i pregiudizi
iniziali fino ad una progressiva crescita, fatta di scambi di amicizia e di
collaborazione scolastica ed extrascolastica. É risultata evidente la grande
evoluzione e maturazione di questi rapporti tra le famiglie del Forteto,
le altre famiglie, gli insegnanti e gli stessi ragazzi. Da questo specifico
modello di rapporti si sono potute trarre osservazioni più generali sulle
relazioni tra la scuola e la famiglia.
In seguito, nel 2002, la Fondazione ha coordinato un progetto biennale
nell’ambito del programma europeo Socrates, intitolato “La scuola della
famiglia”. Oltre all’Italia, rappresentata dalla Fondazione il Forteto, hanno
partecipato il Portogallo, la Spagna, e l’Irlanda, presenti rispettivamente
attraverso una scuola professionale, un istituto comprensivo di educazione
primaria e secondaria, ed un progetto rivolto a ragazze madri giovani e
18
giovanissime provenienti da ambienti profondamente degradati, attuato
per offrire loro (in un rapporto di accoglienza quotidiana) l’educazione
concreta di base per la cura dei figli e della casa. Accanto a questo, un
percorso parallelo dedicato all’educazione tradizionale, scegliendo quelle
conoscenze e quelle nozioni basilari che sono necessarie per la ripresa di
un processo di apprendimento e di crescita personale che in qualche
caso si era precocemente e fortemente bloccato. Il progetto si articolava
attraverso incontri internazionali di pianificazione, confronto e verifica,
e attraverso corsi di formazione per insegnanti e genitori, allo scopo di
appropriarsi di supporti culturali per facilitare le relazioni interpersonali
all’interno della scuola.
Durante l’incontro internazionale di pianificazione e condivisione
del progetto a Setubal (Potogallo), è stato prodotto un documento
sull’organizzazione scolastica dei diversi paesi. Nelle successive fasi
del lavoro – che hanno coinciso con sedute comuni nei diversi paesi
partecipanti - sono poi venuti alla luce gli specifici comportamenti e
linguaggi degli adolescenti interessati dal progetto, e i partecipanti
(che erano prevalentemente educatori, docenti, operatori e volontari
impegnati nel sociale) hanno sempre cercato di coglierne il senso, oltre a
pensare a delle proposte per uscire dalle situazioni più problematiche.
Dopo due incontri di verifica, quello successivo è diventato occasione
per una giornata di formazione e di discussione pubblica tenutasi
a Firenze, alla quale hanno partecipato enti pubblici, associazioni e
insegnanti, nel corso della quale tutti i partners si sono ritrovati per
esporre i risultati raggiunti, i documenti e gli altri materiali prodotti,
come un DVD di documentazione dell’esperienza, e relazioni sui temi
trattati e sui dati rilevati nell’ambito dei corsi.
In generale, i dati raccolti attraverso i questionari e le osservazioni
dirette dei formatori e degli insegnanti e le riflessioni sul sistema scolastico
italiano, spagnolo e portoghese, hanno mostrato molti nodi problematici
in comune, ed in particolare la questione della sensibile perdita di autorità
degli insegnanti e della carenza di modelli di riferimento esistenziale,
proporzionali all’aumento alle manifestazioni di disagio adolescenziale
evidenziate nel corso del lavoro. Andavano comunque tenute in conto
delle specificità (ad esempio, l’attenzione spagnola per l’educazione e
la prevenzione sanitaria), e va ricordato come la sezione irlandese del
progetto riguardava una scuola dell’infanzia e le tante difficoltà di una
fascia sociale particolarmente debole: quella delle ragazze madri in età
adolescenziale.
19
Progetto
“Barbiana e il Mugello. Una scuola per l’integrazione”
Il progetto intende sintetizzare un modello informale di educazione permanente, pensato per integrare le attività di prevenzione e sostegno socio affettivo e
scolastico proprie del volontariato e dell’associazionismo con quelle già svolte
da ASL e Comunità Montana negli istituti scolastici della zona Mugello.
L’iniziativa è finalizzata all’educazione alle relazioni e all’affettività, e coinvolge oltre al volontariato e la scuola, le famiglie, gli operatori del sociale e le
agenzie educative extrascolari dedicate ai bambini e ai giovani.
Siamo così giunti all’attualità: a partire dal mese di settembre del 2005,
la fondazione è nuovamente impegnata nel settore della scuola, con un
progetto chiamato “Barbiana e il Mugello. Una scuola per l’integrazione”,
che è stato finanziato in misura prevalente dal CESVOT. Si tratta di un
progetto inizialmente previsto sull’arco di un anno, ma rinnovabile fino
a tre anni, che si svolgerà nelle scuole di Vicchio, Scarperia, Dicomano e
Borgo San Lorenzo. Già nel titolo se ne coglie l’ispirazione culturale, che
rimanda a don Lorenzo Milani, al suo impegno educativo ed alla celebre
“Lettera a una professoressa”, un libro scritto a Barbiana quarant’anni fa
ma ancora vivo dopo aver avuto un’eco mondiale.
Il progetto sta realizzando attività di animazione, informazione e
sensibilizzazione di adulti e minorenni, coinvolgendo genitori, docenti,
operatori del sociale, volontari e studenti. Lo scopo delle attività, che
hanno cadenza settimanale e sono affidate a esperti del settore ed
educatori appositamente formati, è di migliorare le relazioni all’interno
delle classi, sia per l’apprendimento che per rendere più significativi
e fluidi i rapporti personali e di gruppo dei bambini e dei ragazzi.
Purtroppo, negli ultimi anni la scuola, l’ambiente delle classi, hanno
risentito negativamente di fenomeni sociali come il bullismo, il razzismo,
20
l’alcolismo, la tossicodipendenza, le patologie dell’alimentazione, la
disgregazione della famiglia, l’impoverimento del linguaggio. É su
questo processo regressivo che il progetto cercherà di intervenire.
7. L’apertura verso l’Europa ed i nuovi progetti
programma europeo Socrates, dell’azione Grundtvig 2,
progetto EDEF “La scuola della famiglia”
Il ruolo centrale avuto dalla Fondazione nel già citato progetto “La
scuola della famiglia” indica la proiezione europea di una parte della
sua attività. Lo stimolo ad aprirsi all’Europa, ed a mettere in rapporto
le tematiche minorili italiane con quelle di altri paesi europei, è in effetti
arrivato da uno dei passaggi più spiacevoli vissuti negli ultimi anni dal
Forteto.
É un episodio direttamente derivato dalla pratica di affido delle
famiglie della comunità: alla fine del 1998, la madre di due bambini
che il Tribunale per i minorenni di Firenze aveva allontanato da lei
affidandoli ad una famiglia del Forteto, ha presentato ricorso alla Corte
europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Nel luglio del 2001, la Corte
ha riconosciuto valido il ricorso della madre, condannando lo Stato
italiano per averle impedito, per un breve arco di tempo, il diritto di
incontrare i figli e per aver insufficientemente controllato sull’operato dei
Servizi psico-socioassistenziali. Situazione che, secondo la Corte, avrebbe
causato danni ai legami familiari.
Al di là del caso specifico, la vicenda giudiziaria ha fatto toccare con
mano al Forteto la rilevanza di un approccio sovranazionale a tutte le
questioni minorili, e non soltanto quelle con un risvolto giudiziario.
Siamo in presenza di un variegato quadro di legislazioni nazionali,
ispirate da differenti principi, valori e tradizioni, cui si è aggiunta la
21
giurisdizione della Corte europea.
A fronte di questa situazione, la Fondazione si è dunque proposta di
estendere la promozione della ricerca ad un ambito territorialmente più
ampio. Il lavoro che presenteremo in forma riassuntiva nella seconda
parte di questo quaderno (e che è stato, anche in questo caso, sostenuto
dal CESVOT) è il primo risultato scientifico realizzato entro questo
indirizzo. Si tratta di uno studio giuridico-comparativo coordinato dal
prof. Alessandro Simoni della Facoltà di giurisprudenza dell’Università
di Firenze, messo in cantiere nella seconda metà del 2003, e giunto alla
sua conclusione proprio in questi mesi. Il suo fine, come vedremo da
vicino, è di studiare le caratteristiche proprie dei diversi ordinamenti
giudiziari, rappresentativi delle principali tradizioni giuridiche europee,
riguardo all’affidamento dei minori, con particolare attenzione al ruolo
degli esperti non giuristi che collaborano in questo ambito.
2004 – 2005
Ricerca
Progetto di: Alessandro Simoni
“Giuristi, esperti e bambini: uno studio comparato sulle forme di utilizzazione
del sapere non giuridico nell’affidamento dei minori”
Prima di entrare nel merito dell’indagine svolta, ricordiamo però
anche le più recenti iniziative della Fondazione. A questo proposito,
essa cura in particolare l’aspetto della collaborazione concreta e dei
partenariati, sia con le istituzioni locali che con le associazioni del
volontariato e del privato- sociale della zona. Questo tenendo presente
che la più importante è comunque quella da poco cominciata presso le
quattro scuole del Mugello, e della quale già abbiamo riferito.
22
Incontro Nazionale
“Comuni, comunità, ecovillaggi: laboratori per...”
Incontro di riflessione e per l’elaborazione di proposte nella prospettiva
della realizzabilità di modelli di vita insieme, per la condivisione umana,
culturale ed economica delle esperienze
La Fondazione ha poi ospitato a luglio del 2005 l’incontro nazionale
degli ecovillaggi della rete Rive, un’occasione di confronto con realtà
comunitarie di vita e lavoro e disseminate sul territorio nazionale.
Convegno
“Crisi dell’educazione o educazione della crisi?
Scuola: modelli e pratiche educative tra rapporti
interpersonali e cultura dell’integrazione”
Presentazione del Progetto
“Barbiana e Il Mugello, una scuola per l ‘integrazione”:
Con L’Università degli Studi di Firenze,
Dipartimento di Scienze dell’Educazione e dei Processi Culturali e Formativi
23
Nello stesso mese di luglio del 2005, ha avuto luogo il convegno “Crisi
dell’educazione o educazione della crisi”, che si è svolto nell’aula magna
dell’Università di Firenze ed è stato pensato come prologo al menzionato
progetto sulla scuola.
Da ultimo, sempre nell’ambito del programma Socrates, è stato lanciato
il progetto “La cultura cinematografica e la famiglia”, con l’intenzione
di organizzare una serie di incontri, lezioni, dibattiti attraverso i quali
approfondire il tema della famiglia nella sua ricezione da parte della
cinematografia italiana, mettendola in rapporto con quella dei paesi
europei, con il corollario di una formazione introduttiva sull’uso degli
strumenti per produrre documenti audiovisivi didattici, con particolare
attenzione all’uso della videocamera. Alla fine del corso gli allievi, 16/18
– 26 anni, dovranno esser in grado di scrivere, progettare e realizzare
piccoli documentari e avere un atteggiamento attivo e critico verso i
prodotti cinematografici e televisivi.
Progetto
“Cinematografia e famiglia”
Introduzione alla lettura e all’uso dei linguaggi e degli strumenti audiovisivi
per migliorare le professionalità e le relazioni interpersonali
Sezione 1 – Cinema e formazione: per la stima di sé e dell’altro,
come e perché fare uso di sequenze filmiche per educare
alle relazioni e alle regole della convivenza
Sezione 2 – Introduzione ai linguaggi, alle tecniche e ai metodi pratici della
cinematografia. Informazioni per la realizzazione e la gestione di emittenti di
quartiere o di condominio (telestreet)
24
Attualmente, la Fondazione il Forteto si avvale del lavoro del presidente
Luigi Goffredi, di Valentina Ceccherini (responsabile organizzativa), e
della collaborazione di Francesco Bacci, Rodolfo Fiesoli, Cristina Maretto,
Stefano Pezzati e Gianni Romoli.
8. Il Forteto: una bibliografia
A conclusione della panoramica sull’attività svolta dalla Fondazione
Il Forteto, si è pensato di offrire al lettore una bibliografia di tutti gli
scritti ad oggi realizzati, e che in qualsiasi modo riguardano il Forteto.
Sono compresi sia i testi stampa che altri strumenti di comunicazione;
la maggior parte di essi è stata promossa e finanziata dalla fondazione
stessa.
A. Monografie
1980 – Goffredi, L., Non fu per caso. Una leggenda dei nostri tempi,
Firenze, Torchio.
1997 – Barsantini, B.-Vannucci S., Ritratti di famiglia. I cento volti
della solitudine e della violenza nel chiuso della vita familiare, Firenze,
Polistampa, fotografie di Derno Ricci.
1998 – Caselli, L., Il Forteto. Storie e realtà raccontate dal medico di
famiglia, Firenze, NICOMP L.E.
1999 – Ferroni, L., Forme di cultura e salute psichica. Universo
simbolico, ethos, areté e regole di relazione nel mondo del Forteto,
Bologna, il Mulino.
2003 – Casanova, N., La strada stretta. Storia del Forteto, Bologna, il
Mulino, con un’Appendice di Alessandro Simoni.
B. Atti di convegni, volumi collettivi
1981 – Goffredi, L. (a cura di), Sam, Maria…il giardino delle verità,
Bologna, Cappelli.
1998 – Goffredi, L. – Nicoletti, I. (a cura di), La famiglia, problematiche
dell’affido e relazioni intrafamiliari (Atti del I convegno nazionale della
25
Fondazione il Forteto), Firenze, NICOMP L. E.
1999 – Goffredi, L., Affido familiare. Proposta di modifica articoli 15 della legge 184/83 (Atti del II convegno nazionale della Fondazione il
Forteto), Dicomano, Edizioni il Forteto.
C. Saggi ed articoli
2001 – Goffredi, L., Co-operative il Forteto, experience of life and
work. Parent-function of support in situations like abandonment,
maltreatment and sexual abuse of children, in Terzo congresso europeo
di psicopatologia del bambino e dell’adolescente. Abstracts, Lisbona,
Association européenne de psychopathologie de l’enfant et de l’adolescent,
p. 37.
2004 – Goffredi, L., Emotional and Social Development in
Disadvanteged Children: Life, Work and Foster Care with the Families of
the Members of the Members of the Agricultural Cooperative Il Forteto,
in AA.VV., Human Growth in Sickness and in Health. Abstracts, Firenze,
Edizioni Centro Studi Auxologici, pp. 84-86.
D. Tesi di laurea, di dottorato e di specializzazione
2000 – Rinaldi, S., Trauma evolutivo e fattori protettivi: analisi di
una casistica inserita al Forteto, (tesi di laurea svolta presso la Facoltà
di scienze della formazione dell’Università di Firenze, corso di laurea in
scienze dell’educazione; relatore: prof.ssa M.G. Martinetti).
2000 – Meiattini, R., Trauma evolutivo: Incidenza nell’evoluzione
relazionale e valutazione dei fattori produttivi. Analisi di una casistica
inserita nella comunità Forteto, (tesi di specializzazione svolta presso
la Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Firenze, cattedra di
neuropsichiatria infantile; relatore: prof. M. Santini).
2000 – Zamagni, L., L’affido come possibile risposta a situazioni di
maltrattamento minorile. Analisi della cooperativa ‘il Forteto’, (tesi di
laurea svolta presso la Facoltà di sociologia dell’Università di Bologna,
sede di Forlì; relatore: prof. C. Cipolla)
2004 – Romiti, L., Il contesto relazionale come condizione essenziale
26
per una “buona” adozione: il clima di comunicazione a Il Forteto,
(presentata quale prova finale in psicopatologia dello sviluppo presso la
Facoltà di scienze della formazione dell’Università di Bologna; relatore:
prof. R. Pani).
E. Opuscoli
2000 – L’affido: norme e notizie essenziali
2000 – Quando il pane non fa crescere, Firenze, Nicomp.
F. Audiovisivi, Siti Internet
1997 – Una nuova famiglia, VHS di 15’ circa, prodotta dalla Fondazione
Il Forteto.
2001 – Il Forteto. Storia, esperienza, presenza, CD ROM, di Antonio
Bertoli.
2004 – La scuola della famiglia, DVD (sintesi filmata di un progetto
nell’ambito del programma europeo Socrates).
- Sito internet della Cooperativa il Forteto: www.forteto.it
- Sito internet della Fondazione il Forteto: www.Fondazioneforteto.it
(in corso di realizzazione)
29
Parte seconda
LA TUTELA DEI MINORI: UNO STUDIO
SULL’AFFIDAMENTO FAMILIARE IN EUROPA
COMPARATO
1. Organizzazione e scopo della ricerca
La seconda parte di questo quaderno dedicato ai problemi della tutela
dei minori è, come detto, la sintesi di una ricerca promossa e finanziata
dal CESVOT e dalla Fondazione Il Forteto, alla quale ha collaborato il
Dipartimento di diritto comparato e penale dell’Università di Firenze.
Il referente del progetto è Luigi Goffredi, presidente della Fondazione
Il Forteto, mentre il prof. Alessandro Simoni, dell’Università di Firenze,
ne è il coordinatore scientifico. La ricerca è intitolata: “Giuristi, esperti
e bambini: uno studio comparato sulle forme di utilizzazione del
sapere non giuridico nell’affidamento dei minori”. La ricerca verrà
successivamente pubblicata nella sua forma integrale.
1.1 Per l’esecuzione dello studio, il coordinatore scientifico ha
selezionato alcuni studiosi europei, sulla base della loro esperienza e
precedenti pubblicazioni in materia. Tutti hanno redatto i contributi
nella lingua madre; i testi sono poi stati tradotti tenendo conto della
specificità di alcuni termini rispetto all’ordinamento giuridico nel quale
vengono utilizzati. Gli studiosi sono: il prof. Trevor Buck dell’Università
di Leicester per l’Inghilterra, il cui saggio si intitola “Welfare Knowledge:
i procedimenti per la protezione dei minori e l’uso delle competenze
extragiuridiche nell’ordinamento inglese”; il prof. Philip Milburn
dell’Università di Versailles St-Quentin per la Francia, il cui testo titola
“Decisioni, perizie e interventi educativi nella ‘protezione dei minori’
in Francia”; il prof. Christian Diesen dell’Università di Stoccolma per la
Svezia, che ha elaborato il saggio “Giustizia minorile senza ‘corti minorili’:
peculiarità e tensioni del modello svedese”. Il contributo tedesco è stato
scritto a quattro mani dalla dott.ssa Kathleen Schnoor e dal prof. Joerg
Fegert dell’Università di Ulm, i quali hanno unito le loro competenze
(rispettivamente: giuridiche e di neuropsichiatria infantile): il saggio si
intitola “Inquadramento giuridico e problemi pratici dell’utilizzazione di
esperti nelle decisioni sull’affidamento in Germania”.
30
1.2 Il primo spunto per la ricerca è venuto dal dibattito, a tratti acceso,
che nel 2003 ha portato alla presentazione di una proposta di modifica
della legge che regola la giustizia minorile in Italia, proposta poi bocciata
dal parlamento. Nel dibattito, il tema del ruolo degli esperti nei collegi
giudicanti era preminente ed emergeva come la discussione italiana
sull’argomento avesse luogo con scarsezza di dati sugli ordinamenti
stranieri. I riferimenti agli altri paesi europei erano generici, rendendo
così impossibile ogni fondato riscontro delle varie tesi.
Si è così pensato di compiere uno studio che presentasse a tutti i
potenziali interessati (magistrati, avvocati, operatori dei servizi sociali,
politici e amministratori, ma anche alle famiglie e a tutte le persone che
hanno o hanno avuto esperienze di affidamento, e mostrano sensibilità
verso la tutela e i diritti dei bambini) la situazione della giustizia minorile
in alcune, significative tradizioni giuridiche europee. É evidente come
molto si possa imparare dal confronto tra i processi decisionali propri di
più ordinamenti, non troppo distanti nei loro dati giuridici di fondo.
Le domande che era lecito porsi erano numerose: ad esempio, il
sistema operante in Italia in tema di allontanamento/affidamento dei
minori è veramente peculiare? Le forme di utilizzazione del sapere non
giuridico (interne od esterne agli organi giudicanti) sono veramente
decisive per l’esito dei procedimenti? La prospettata “giuridicizzazione”
dei collegi comporta effettivamente un maggior grado di garanzia per le
parti coinvolte? Chi voleva rispondere a questi interrogativi non aveva
sino ad oggi a disposizione alcuna fonte di informazione extranazionale,
mancando studi comparati in tema di giustizia minorile.
Bisogna inoltre tenere presente che la giustizia minorile opera su
livelli differenti, che è importante non confondere. Vi è il livello penale,
che si occupa di reati commessi da minorenni; e vi è il livello civile, dove
in gioco è la tutela dei minorenni, i cui diritti ed il cui benessere possono
essere minacciati dai comportamenti di persone che, nella maggior
parte dei casi, sono genitori o parenti del minore stesso. Evidentemente,
le procedure di affidamento messe sotto la lente da questa ricerca
riguardano soprattutto quest’ultimo piano dell’azione giuridica. Non va
però neppure dimenticato che i due piani, del penale e del civile, sono
spesso correlati: ad esempio, questo avviene quando un bambino viene
affidato ad un’altra famiglia con procedimento civile dal Tribunale per i
minorenni, mentre il genitore adulto che lo ha maltrattato o abusato viene
giudicato da un tribunale penale ordinario. In questi casi, i tempi delle
sentenze rispondono ad esigenze diverse, e differiscono fortemente.
Un altro punto di fondo, che va segnalato prima di dare uno sguardo
31
a leggi e procedure, è che i tribunali minorili operano in genere con
il principio dell’interesse del minore sullo sfondo. Ma “interesse del
minore” è un concetto estremamente ampio, generico, che chiede
di essere continuamente reinterpretato, a seconda delle circostanze
ambientali, del momento storico, dei costumi e della mentalità delle
differenti comunità.
Sui problemi di definizione aperti dall’uso di un simile concetto,
riportiamo un brano dell’introduzione al saggio dei due studiosi tedeschi
intervenuti nella ricerca; il discorso è riferito soprattutto alla Germania,
ma dialoga anche con altre tradizioni di pensiero giuridico e sociale:
“La collaborazione di psicologi e psichiatri, ma anche i pareri forniti
da operatori sociali, nell’ambito della giustizia minorile si richiama in
Germania primariamente al concetto di ‘benessere del minore’. Questa
formula generale è nel diritto tedesco, ma anche nel linguaggio corrente,
consapevolmente lasciata aperta, differenziandosi con ciò in parte da
concetti meno teoretici e meglio utilizzabili sul piano operativo, quali
interest of the child o basic needs of children. Ciò comporta difficoltà
per la sua definizione e per l’identificazione di criteri chiari per
l’individuazione delle situazioni di pericolo. D’altra parte, in quanto
scienziati empirici, dobbiamo ammettere che, negli ultimi cinquant’anni,
in pedagogia, psicologia, psicopatologia dello sviluppo e neuropsichiatria
infantile molte priorità sono mutate, e che talvolta sono intervenuti reali
mutamenti di modello. Il concetto di benessere del minore, mantenuto
consapevolmente aperto, permette di integrare senza problemi nella
prassi quotidiana dei tribunali tali progressi nella conoscenza, senza che
debbano essere modificate singole definizioni già consolidate (…) Proprio
perché atteggiamenti e conoscenze sono sottoposte in ogni disciplina
di rilievo a rapidi mutamenti ed anche a forti oscillazioni ideologiche
(si pensi per esempio all’atteggiamento della società, ed anche degli
scienziati, nei confronti dell’affidamento o adozione da parte di coppie
omosessuali, confrontando l’atteggiamento di oggi con quello degli anni
Cinquanta, oppure l’atteggiamento verso le madri lavoratrici, ecc.) è
importante definire i bisogni infantili di base ai fini della perizia”.
2. Tribunali e Servizi sociali
2.1 Per comprendere il ruolo degli esperti di problemi minorili
nell’amministrazione della giustizia è indispensabile dare un’idea
del quadro giuridico in cui esse operano. Questo quadro influenza
32
fortemente l’effetto dell’azione degli esperti, ed è differente da paese a
paese. Consideriamo, innanzitutto, l’aspetto degli organi giudicanti, cioè
dei tribunali chiamati a prendere decisioni intorno ai minori.
L’Italia è un paese pioniere nella creazione di uno specifico tribunale
per i problemi della giustizia giovanile: il Tribunale per i minorenni
è stato infatti creato nel 1934. Oggi la giustizia continua ad essere
esercitata da questo organo, con giudici ordinari competenti per materia.
Il Tribunale è composto da due giudici togati e da due giudici onorari;
dei giudici togati, uno presiede la corte. I giudici onorari sono invece
membri esterni alla magistratura, e devono rappresentare entrambi i
sessi. Sono reclutati fra le professioni correlate a tutti i problemi minorili:
si tratta perciò di medici, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili,
pedagogisti, assistenti sociali, che devono in genere tutti possedere una
lunga esperienza, e qualità morali riconosciute. La presenza di ‘esperti’
nel collegio giudicante è, come si vedrà, una caratteristica del sistema
italiano, ed è oggetto di discussione. Come detto, nella citata proposta
di riforma del Tribunale dei minorenni bocciata dal Parlamento, uno
dei punti salienti era l’abolizione della presenza di giudici onorari
all’interno della corte chiamata a decidere, venendosi così a privare il
Tribunale di quel sapere non giuridico che in ogni ordinamento è ritenuto
essenziale, e che nel nostro costituisce parte integrante dello stesso
organo giudicante.
Come in tutti gli altri paesi, anche in Italia i Servizi sociali hanno un
ruolo centrale nelle procedure che riguardano i minori, anche se non sono
legittimati ad adire direttamente il Tribunale per i Minorenni. In generale,
si può dire che gran parte dei comuni italiani dispongono di almeno un
assistente sociale, con competenze di tutela generale che comprendono
anche i problemi con i minori. Nei comuni popolosi, c’è una tendenza
alla specializzazione, e fra gli assistenti sociali c’è chi tende ad occuparsi
esclusivamente di minorenni. Per la formazione degli assistenti sociali
è oggi attivo un corso per la laurea breve di tre anni presso le facoltà
di scienze politiche; in passato, i candidati frequentavano un corso
(successivo al diploma) per assistenti sociali.
Altra caratteristica del nostro sistema attiene la figura del Pubblico
Ministero minorile che risulta essere assente negli altri ordinamenti
considerati. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni
è legittimato (insieme al genitore non maltrattante e ai parenti del
bambino) ad avviare procedimenti a tutela del minore (art. 336 c.c.),
quindi parte necessaria del processo. Tutte le segnalazioni relative
ai maltrattamenti che concernono i minori sono inviate al Pubblico
33
Ministero presso il Tribunale per i Minorenni, sia da parte dei Servizi
Sociali, sia dagli organi di polizia (ma anche da altre istituzioni e/o da
privati cittadini). É il Pubblico Ministero minorile che si fa carico, quindi,
di promuovere dinanzi al Tribunale per i Minorenni il relativo giudizio
a tutela dei minori.
2.2 Cominciamo la nostra ricognizione all’estero con la situazione
inglese, che è stata ridefinita nel 1989 con l’approvazione del “Children
Act”, che riformava il diritto minorile. In Inghilterra e Galles esistono
attualmente tre tipi di corte con giurisdizione sui minori: si tratta delle
“Family proceedings courts”, delle “County courts” e della “Family
division” che fa parte della “High Court”. Le tre corti hanno poteri
analoghi, ma la maggioranza delle controversie di diritto pubblico sono
trattate, in primo grado e a porte chiuse, dalle “Family proceedings courts”,
mentre le “County courts” si occupano della stragrande maggioranza dei
casi di diritto privato.
L’interesse principale della ricerca è dunque volto al lavoro delle
“Family proceedings courts”, che dirime controversie fra i servizi sociali
e i genitori intorno all’educazione e alla crescita di minori. Per intendersi,
queste corti sono impersonate da quelli che noi chiamiamo “giudici di
pace”: si tratta dunque di un giudice unico sprovvisto di competenza
specifica. Per le necessità di trasferimento e accorpamento delle decisioni
tra una corte e l’altra esiste comunque un semplice sistema di regole. Il
trasferimento dipende dalla complessità, gravità e urgenza del caso, e
viene stabilito durante la procedura.
I servizi sociali inglesi sono organizzati su base locale, e sono finanziati
sia dalle amministrazioni locali che dal governo nazionale. Essi – quando
le misure di supporto alla famiglia si sono rivelate insufficienti, e dopo
aver compiuto una serie di osservazioni e verifiche - possono chiedere
al tribunale provvedimenti che sono, di solito, l’affidamento (care) e la
supervisione (supervision). Il primo è una misura obbligatoria disposta
dalla corte, il cui effetto è che i servizi sociali si assumono l’esercizio
della potestà dei genitori, ma con alcune restrizioni. Nel sistema inglese,
la potestà può infatti essere divisa, per cui ai genitori possono essere
lasciate certe prerogative, mentre altre vengono loro temporaneamente
sottratte. Per fare un esempio, i servizi non potranno imporre al minore
una diversa educazione religiosa. La supervisione, invece, è un ordine
della corte che non intacca la potestà dei genitori. Sovente, essa precede
l’affidamento, e pone, appunto, il bambino sotto la supervisione di un
assistente sociale, per un periodo che può arrivare fino a tre anni.
34
Nel 2001, per superare i problemi di coordinamento fra i vari attori del
sistema, è stato creato il “Servizio di supporto e consulenza alle corti per
i minori e le famiglie”, che accentra tutti i compiti di relazione alle corti,
rappresentanza, informazione ed assistenza. Questo servizio è composto
da funzionari del servizio sociale; fra di essi, una figura peculiare e molto
importante è il ‘curatore del bambino’ (Children’s Guardian), che viene
nominato dalla corte e rappresenta il minore nel corso del procedimento.
Torneremo in seguito a parlare del suo ruolo.
2.3 Passiamo alla situazione francese, che è profondamente diversa.
L’organo della giustizia minorile, in questo sistema giudiziario, è la
persona del giudice per i minorenni. Si tratta di una figura che rappresenta
un’eccezione dell’intero sistema, perché assomma una molteplicità di
poteri, accentra sia la competenza civile che quella penale, ed è tenuto
a decidere sempre nell’interesse del minore. Questo regime scaturisce,
storicamente, da una riforma introdotta nel 1945, e poi modificata nel
1958 e nel 1970, senza però che venisse alterato il principio ispiratore:
il quale non è repressivo e punitivo, ma cerca di attuare un “principio
di educabilità”, di sostegno e recupero del minore da parte dello Stato.
Proprio in ragione di questo generale atteggiamento dei giudici (e della
disposizione di legge che indica di ricercare l’adesione della famiglia
al provvedimento), nonostante la possibilità di impugnare la sentenza
le corti d’appello francesi vengono raramente chiamate in causa in
procedimenti civili su minori.
In Francia, dunque, il giudice è specializzato, opera individualmente
e con ampia autonomia nel quadro della legge; agisce tuttavia sempre
a stretto contatto con i servizi sociali, i quali sono collegati al Ministero
della giustizia, così come lo è tutto l’apparato amministrativo che gestisce
l’osservazione e il trattamento dei problemi minorili. Esso è stato istituito
nel 1945 attraverso la creazione dell’”Educazione sorvegliata”, anch’essa
collegata al Ministero della giustizia ed incaricata del coordinamento
di tutte le sottostrutture del sistema. I funzionari dell’”Educazione
sorvegliata” costituiscono un corpo di professionisti specializzati nei
problemi minorili.
Dal 1990, questa struttura è stata ribattezzata “Protezione giudiziaria
della gioventù”, e si è concentrata sui casi di competenza penale,
delegando invece spesso l’assistenza educativa a strutture private
abilitate e sovvenzionate, che operano sotto il controllo dei servizi sociali.
Esiste poi anche l’”Aiuto sociale all’infanzia”, che è un servizio sociale
dipartimentale incaricato della protezione di minorenni in difficoltà,
35
ma in condizioni non gravi ed urgenti. Fra i compiti dei funzionari dei
servizi sociali c’è la preparazione delle relazioni che contribuiscono
alla decisione presa dal giudice. Saranno gli stessi servizi ad eseguire i
provvedimenti, a seguirli ed a rivalutare la situazione.
2.4 Spostiamoci ora in Germania, dove la competenza per procedimenti
che riguardano la famiglia e le cure dei minori spetta a delle sezioni
speciali delle corti distrettuali, chiamate “Tribunali per la famiglia”.
Il giudice è esclusivamente competente per tutte le decisioni legate
a procedimenti sulle cure genitoriali; il tribunale per la famiglia è un
organo monocratico in cui il giudice non è tenuto a possedere alcuna
competenza specifica in materia famigliare o minorile.
L’altro organo pubblico cruciale per l’amministrazione della giustizia
minorile tedesca è lo Jugendamt, l’”Ufficio per l’assistenza ai minorenni”.
É da questo ufficio che giungono in genere al tribunale le denunce e le
segnalazioni che portano all’apertura di un procedimento. Le sentenze
del tribunale per la famiglia possono essere impugnate presso la Corte
d’appello, vale a dire la Corte superiore regionale presso la quale sono
state istituite sezioni speciali per le questioni familiari. In casi specifici
può essere presentato un ricorso presso la Corte suprema federale
tedesca.
Dal 1997, è stata introdotta l’importante figura del “Curatore del
procedimento”, che rende possibile al minore una difesa indipendente.
Il curatore è infatti un rappresentante speciale, che può intraprendere
azioni autonome nell’interesse del minore, il quale per legge non può
essere una delle parti del procedimento. Il tribunale nomina in genere (e
secondo la propria discrezionalità) per tale compito avvocati, assistenti
sociali, pedagoghi o parenti. Questa nomina si rivela necessaria quando,
ad esempio, l’interesse del minore è in forte contrasto con quello del suo
rappresentate legale, oppure quando il procedimento ha per oggetto la
sottrazione del minore dalla persona che l’ha sotto tutela.
2.5 Infine, consideriamo gli organi preposti nel sistema giudiziario
svedese, regolato da una legge per l’affidamento dei minori entrata in
vigore nel 1980 e poi modificata nel 1990. Il sistema svedese è suddiviso
per corti ordinarie e corti amministrative, ed è a questo secondo tipo
di corte che appartiene la competenza per l’affidamento cosiddetto
obbligatorio di minori nei casi di “maltrattamento”. Alle corti ordinarie
tocca invece giudicare le controversie fra genitori sui loro figli nei casi di
separazione. Tali corti amministrative sono organizzate secondo tre gradi
36
di giudizio. A livello provinciale opera la corte di primo grado, contro il
cui giudizio si può ricorrere a livello di corte regionale, mentre il ricorso
presso la corte suprema amministrativa è anche in Svezia concesso solo
in pochi casi.
Caratteristico dei primi due livelli di corte amministrativa è la loro
composizione mista, formata cioè tanto da giudici togati che laici. I
giudici laici sono in genere notabili con una carica politica locale, che di
solito raggiungono una quasi professionalità, anche se vengono rinnovati
ogni quattro anni. Ad essi non è chiesta alcuna specifica competenza in
materia di minori, né giuridica né psicologica o pedagogica. Un ruolo di
primo piano spetta ai servizi sociali, cruciali nell’istruzione della causa
sotto il profilo tecnico-scientifico. I servizi sociali svedesi sono dislocati
a livello comunale, ma esiste una “Direzione dei servizi sociali” a livello
centrale.
3. Le procedure
Anche per le procedure adottate nella pratica di affidamento, esistono
tra i paesi europei presi in considerazione analogie e differenze. Per una
descrizione dell’attuale procedura italiana rimandiamo alla prima parte
di questo quaderno, all’interno del paragrafo 3, dove vengono distinti
l’affidamento consensuale e l’allontanamento giudiziario.
3.1 Riprendiamo dal quadro inglese. C’è, da un lato, un regime
di sostegno alle famiglie con minori in difficoltà. Esso viene fornito
dall’amministrazione locale attraverso l’assistenza sociale, e comprende
anche l’affidamento consensuale di minori ad altre famiglie, senza
intervento di alcuna corte (così come avviene nell’ordinamento italiano,
in base alla legge 184/1983).
Dall’altro lato, esiste l’affidamento obbligatorio quando un minore
appare in pericolo: sono i casi in cui l’amministrazione locale si rivolge
alla corte e chiede una misura di allontanamento del minore dalla
famiglia d’origine, che si chiama “care order”.
La procedura è inizialmente la stessa, e prende avvio con le valutazioni
del servizio sociale, che consulta anche la famiglia interessata, e poi decide
se è necessario rivolgersi ad una corte. Se non è il caso, la procedura di
sostegno prevede la formulazione di un piano di aiuto. Se invece il
minore è ritenuto in pericolo, si avvia un’indagine che deve durare al
massimo 35 giorni. Segue poi, entro due settimane, una riunione di tutti
i servizi interessati, nella quale si decide se ricorrere o meno al giudice.
37
Attivato il procedimento, il giudice nomina il “curatore del bambino” per
rappresentare gli interessi del minore. Le altre parti sono la famiglia e
l’amministrazione locale. Caratteristico del processo inglese è, fra l’altro,
che il giudice assume un ruolo di arbitro fra le parti, e non quello del
conciliatore. Le parti fanno valere le loro ragioni usando tutti i mezzi che
la legge consente, e il giudice infine decide.
Di solito ci sono due udienze. Nella prima il giudice deve stabilire
se si è prodotto quel “danno significativo” che legittima un affidamento
obbligatorio, e il conseguente intervento dei servizi di assistenza sulla
potestà dei genitori. Nella seconda il giudice valuta il piano di affidamento
preparato dai servizi, e ogni altro documento necessario, approvato
o concordato, comprese le perizie presentate dalle parti, che nell’80%
dei casi vengono utilizzate come mezzo di prova; dell’esecuzione
dei suoi eventuali provvedimenti è responsabile l’assistenza sociale.
L’ordine di affidamento è spesso preceduto da ordini temporanei (fino
a otto settimane, prorogabili), o dai già ricordati (v. paragrafo 2.2)
provvedimenti di supervisione.
Uno dei fattori ai quali si presta più attenzione è la lunghezza dei
procedimenti, che si cerca di mantenere entro dei limiti per tutelare il
benessere del minore. Questa priorità è stata recepita anche dal “Codice
di guida per i consulenti tecnici nei procedimenti familiari”, entrato
in vigore nel 2003. Nel 2001, la media di durata dei procedimenti di
affidamento obbligatorio era di circa undici mesi.
3.2 Alla procedura francese soggiace una diversa ispirazione, che
non vede il giudice decidere un conflitto fra le parti, ma piuttosto in
quella di figura che ricerca una conciliazione nell’interesse del minore. Il
notevole potere del giudice francese, e la sua doppia competenza (penale
e civile), gli permettono anche di annullare i procedimenti penali contro
un minore ed aprire un fascicolo di assistenza educativa.
Anche in questo ordinamento, l’intervento del giudice viene provocato
da una “segnalazione” di un operatore dei servizi sociali. Nei casi gravi,
il giudice per i minorenni interviene con una propria verifica, mentre
in quelli meno gravi rinvia il caso al già menzionato “Aiuto sociale
all’infanzia” operante nei dipartimenti, e che si muoverà a sostegno ed
in accordo con i genitori.
Se, invece, il caso richiede un provvedimento giudiziario di “assistenza
educativa” si può trattare: o di una verifica in famiglia; o di un
collocamento presso altra famiglia; oppure di un collocamento presso
centri di accoglienza o internati scolastici. Sono programmi sottoposti a
38
verifica da parte di operatori professionali del servizio sociale, e che il
giudice dispone senza indicazione della loro durata. Prima di giungere al
provvedimento, il giudice dispone delle indagini per valutare il pericolo
per il minore. A seconda della fase in cui si trova il procedimento e
di quel che esige la gravità del caso, il giudice ordina una “inchiesta
rapida”, una “inchiesta sociale”, oppure un “provvedimento di indagine
e orientamento educativo”. Tutti vengono eseguiti dai servizi sociali, che
raccomandano poi il provvedimento che appare più adeguato. Per quanto
riguarda invece i provvedimenti di assistenza educativa, il più adottato
dal tribunale è quello che mantiene il minore in “ambiente aperto”, cioè
presso la sua famiglia, la quale viene poi accompagnata e sostenuta dai
servizi sociali che verificano anche l’evoluzione della situazione. Meno
frequente è il collocamento del minore presso una nuova famiglia o in
un centro di accoglienza.
É possibile ricorrere in corte d’appello contro ciascuno di questi
provvedimenti, ma questo avviene di rado, sia perché il giudice agisce
nell’interesse del minore, sia perché è tenuto a ricercare per legge il
consenso dei genitori, per quanto possibile. Per questo, nel corso del
procedimento, il giudice riceve i genitori, li ascolta e spiega loro il
provvedimento. La legge è anche ispirata al principio che il minore,
quando possibile, deve vivere nella sua famiglia d’origine.
Tanto rispetto alle misure di indagine che a quelle di “assistenza
educativa” ordinate dai provvedimenti, la procedura francese prevede
uno stretto rapporto di collaborazione fra il Tribunale per i minorenni
ed il servizio sociale. I servizi producono delle relazioni, e rinnovano
regolarmente le loro valutazioni sulla situazione del minore: su queste
basi il giudice riconsidera o conferma nel tempo le proprie decisioni.
3.3 La procedura tedesca si apre generalmente con un’istanza
al Tribunale per la famiglia da parte dell’Ufficio per l’assistenza ai
minorenni, che avviene quando gli aiuti su base consensuale si sono
rivelati insufficienti.
A questo punto il giudice dispone tutte le indagini e gli accertamenti
che ritiene indispensabili per chiarire la situazione, e lo può fare
secondo discrezionalità. Può, ad esempio, usare mezzi informali come
il telefono, oppure formalmente, con sopralluoghi, testimoni e così via.
Il giudice è comunque tenuto all’ascolto delle parti interessate, e deve
mirare all’accordo fra di esse. Deve essere prima ascoltato l’Ufficio per
l’assistenza ai minori, che deve a sua volta esprimere parere scritto e
formulare una proposta; in seguito verranno ascoltati tanto il genitore
39
che il minore: il convincimento cui giunge il giudice dopo le audizioni
sarà un elemento essenziale per la decisione da prendere.
A questo il giudice può aggiungere il contributo di perizie esterne,
che egli stesso richiede solo quando ritiene di non disporre di sufficiente
cognizione di causa. La scelta del perito del tribunale spetta al giudice,
e alle parti è consentito presentare le valutazioni di un esperto da loro
scelto. Svolte le indagini, ascoltate le parti ed acquisite le eventuali
perizie, il giudice decide in merito al “diritto di cura genitoriale”. Va
ricordato che il procedimento non è pubblico.
La sentenza di primo grado non è comunque definitiva, e viene
invece via via adeguata al mutamento delle condizioni ambientali e in
vista del benessere del minore: per ogni cambiamento occorre di volta
in volta una nuova sentenza del tribunale. Per i casi più urgenti, inoltre,
il Tribunale per la famiglia può adottare provvedimenti temporanei. Si
tratta di provvedimenti privi di un esplicito fondamento nella legge, ma
riconosciuti quando si tratta di salvaguardare un minore in pericolo.
3.4 In Svezia, il procedimento viene aperto quando gli interventi
basati sul consenso dei genitori da parte dei servizi sociali comunali si
sono rivelati insufficienti. A questo punto, i servizi hanno quattro mesi
di tempo per presentare una relazione alla corte amministrativa locale; in
casi ritenuti gravi, il bambino viene invece rapidamente allontanato dalla
famiglia, ed è lo stesso servizio sociale che può decidere un immediato
affidamento, in attesa delle decisioni della corte amministrativa, che
deve pronunciarsi una prima volta entro una settimana, e può prorogare
l’affidamento fino alla sentenza.
Se la corte conferma l’affidamento, i servizi sociali devono allora
procedere con un approfondimento delle indagini sulle condizioni del
minore ed un piano di affidamento che indica, fra l’altro, se sia più
opportuno affidare il minore ad altra famiglia oppure seguirlo presso
quella d’origine. Per fare questo, i servizi hanno un mese di tempo. I
genitori possono esprimere la loro opinione sul piano, ed eventualmente
opporsi.
Dopo l’analisi dei documenti (presentati dai servizi sociali e dai
genitori) e una discussione orale con le parti (durante la quale viene di
regola ascoltato anche il minore) la corte emette la sentenza nel giro di
due settimane. Le cause che hanno per oggetto l’affidamento di minori
hanno la precedenza sulle altre. Complessivamente, non devono passare
più di sette settimane da quando il bambino è stato separato dai genitori
alla sentenza della corte amministrativa di primo grado.
40
Quando l’affidamento è diventato esecutivo, i servizi sociali verificano
ogni sei mesi se l’affidamento deve continuare o meno. Saranno essi
a decidere quando l’affidamento potrà terminare. I minori che hanno
compiuto 15 anni hanno diritto ad agire personalmente in giudizio,
altrimenti vengono rappresentati da un difensore pubblico, che è un
avvocato retribuito dallo Stato. É prevista, per ogni parte in causa, la
possibilità di appellarsi contro la decisione di primo grado presso la corte
amministrativa regionale, il kammarraet.
4. Il ruolo degli esperti
Tracciato un quadro sommario delle corti chiamate a giudicare e delle
procedure adottate, si possono ora meglio chiarire la tipologia ed il ruolo
degli esperti nei sistemi di giustizia minorile presi in esame.
4.1 Per quel che riguarda l’Italia, abbiamo già ricordato nel paragrafo
2.1 la presenza fra i giudici di due esperti, i giudici onorari. Aggiungiamo
che anche il giudice minorile togato italiano è in genere molto competente
e specializzato. Una delle conseguenze della compresenza nella corte di
giudici togati ed onorari è il rapporto dialettico che viene ad instaurarsi
fra persone dalla caratterizzazione professionale tanto diversa. Quando
nasce una simile dialettica – ed è il sistema stesso che la stimola – ne nasce
una positiva, reciproca influenza che (per così dire) fa ‘di due giudici uno
solo’. I punti di vista, le valutazioni personali si confrontano e giungono
alla formazione di una volontà unica, fondata su una riflessione il più
ampia possibile.
La diretta presenza degli esperti nelle corti ha una conseguenza quasi
ovvia, vale a dire l’uso molto raro delle “consulenze tecniche d’ufficio”,
che sono le perizie ordinate dal tribunale per i casi di affidamento. Se
l’esperto fa parte della corte, sarà lui stesso (durante le audizioni ed
al momento di emettere la sentenza) a fornire tutte le osservazioni e le
argomentazioni necessarie alla decisione del caso. L’uso delle cosiddette
“C.T.U” è limitato ai casi più gravi. Anche le parti hanno diritto a
presentare proprie perizie, ma in genere è quella ordinata dal tribunale
a pesare in modo preponderante. Si può notare come le Consulenze
tecniche d’ufficio siano di recente aumentate, segno di crescita dei casi
conflittuali, ma anche di trasformazione della prassi giudiziaria.
4.2 Gli esperti non fanno parte delle corti inglesi chiamate a decidere su
procedimenti che riguardano minori. Tutte le parti del processo (i servizi
41
sociali, il ‘curatore del bambino’, i genitori) possono tuttavia ricorrere a
perizie specialistiche di vario tipo (medico, psichiatrico, pediatrico ecc.),
che vengono poi presentate in udienza davanti alla corte.
I primi a presentare delle relazioni sono di solito i servizi sociali, ma
il ruolo centrale (anche sotto questo aspetto del procedimento) è svolto
dal ‘curatore del bambino’, il Children’s Guardian, il quale non solo dà
l’incarico per le perizie ai consulenti tecnici, ma è di solito lui stesso
molto competente in materia minorile. Egli è considerato un mediatore
di tutto il lavoro dei periti intorno ad un caso, e la relazione che lui stesso
presenta alla corte prima dell’udienza finale è molto influente, e spesso
rispecchia la sentenza. I curatori ricorrono in genere ad esperti di fama
nazionale piuttosto che a professionisti locali. L’influenza della funzione
di coordinamento dei ‘curatori’ si fa sentire soprattutto nella prima fase
del procedimento. Quando le relazioni dei servizi sociali (che sono spesso
negative, difficili da accettare per la famiglia) vengono inoltrate alle parti,
tocca al ‘curatore del bambino’ mediare tra le istituzioni e i genitori.
Dal profilo storico, un forte aumento nella richiesta di perizie si è
verificato dopo l’introduzione della nuova normativa sui minori, nel
1989, e si spiega con la crescente complessità dei casi e l’aumento dei
problemi di salute mentale. Dal 2003 esiste il già menzionato “Codice di
guida per i consulenti tecnici nei procedimenti familiari”, che regola nei
dettagli l’attività degli esperti e insiste sull’indipendenza di giudizio del
perito rispetto alle parti che gli attribuiscono l’incarico.
Sull’insieme della situazione riguardo l’uso di consulenti tecnici,
l’autore del saggio sul sistema inglese osserva fra l’altro:
“Uno dei messaggi forti che proviene dalle ricerche ufficiali e da
quelle accademiche indipendenti è stata le crescente richiesta di opinioni
di esperti dal momento dell’entrata in vigore del ‘Children Act’, a
cui si accompagna la carenza di consulenti tecnici qualificati e muniti
dell’esperienza necessaria. Il ‘Booth report’ (1996) ha mostrato come le
molte richieste rivolte a un gruppo di esperti relativamente piccolo abbia
causato ritardi nella stesura delle perizie”.
Le conclusioni di questo studio sono state confermate da uno studio
ufficiale dell’amministrazione pubblica del 2002.
Inoltre, Buck afferma che:
“Se si esamina la struttura della valutazione del benessere del minore
durante i procedimenti di affidamento, troviamo un analogo problema
42
di forza lavoro riguardante i vari consulenti tecnici incaricati dalle parti
con l’autorizzazione della corte. Si ha una carenza di periti ‘nazionali’
di buona qualifica e di servizi locali, in particolare gli psichiatri locali
esperti di bambini e adolescenti lavorano in strutture che, per motivi
storici e non solo, non hanno contribuito a rendere più attraente il lavoro
nelle corti. Le riforme della giustizia civile sono dominate, come da altre
parti, dalle preoccupazioni pubbliche per i ritardi nei procedimenti e per
il loro costo”.
In altre parole, anche se gli sforzi legislativi e amministrativi sono
volti soprattutto a ridurre la lunghezza dei processi e le spese che essi
comportano, uno dei versanti critici del sistema riguarda la qualità
e le motivazioni dei consulenti chiamati a dare un contributo al
procedimento.
4.3 Nel sistema francese, gli esperti hanno un ruolo relativamente
marginale. Essi non fanno parte della corte, e va tenuto presente che il
personale dei servizi sociali è in genere competente sotto i vari aspetti che
concernono i problemi minorili e comprende assistenti sociali, psicologi,
educatori. Sono essi stessi a produrre le relazioni e i pareri tecnici nella
prima fase del procedimento.
Al di fuori delle relazioni redatte nel quadro delle differenti indagini,
il giudice può ordinare perizie su aspetti specifici legati al caso in
questione, richiedendole agli esperti abilitati presso il tribunale (medici,
psichiatri, pediatri, psicologi ecc.). Le consulenze esterne rappresentano
però una parte secondaria del sistema. Le perizie sono spesso delle
opinioni richieste sulla base dei fascicoli presentati dai servizi sociali, ed
il loro parere non assume un peso rilevante quando il giudice prende le
proprie decisioni. D’altra parte, anche nel regime di assistenza prestato
dai servizi sociali il ruolo degli psicologi è marginale; centrali sono invece
le figure degli educatori.
Milburn descrive così la posizione degli esperti nel sistema francese:
“Quanto agli esperti del settore medico-psichiatrico e psicologico,
essi sono poco presenti sulla scena. Essi intervengono di solito sotto
la responsabilità dei servizi di indagine. Non sono associati alla fase
decisionale nella tradizione del sistema giudiziario ed amministrativo
francese, con l’eccezione del settore dell’handicap, nella misura in cui la
decisione ha componenti principalmente mediche. Inoltre, la professione
psichiatrica – e in particolare quella neuropsichiatrica infantile – si
43
trova confrontata ad una crisi di vocazioni (circa 800 posti vacanti di
psichiatria nelle strutture pubbliche), una crisi che non la mette certo in
condizioni favorevoli per esercitare altre funzioni che non siano quelle
terapeutiche. Lo scarso ardore di questi medici nell’occupare il loro ruolo
in materia di perizie giudiziarie è dovuto anche alle critiche di cui essi
sono stati recentemente fatti oggetto in casi con una forte ripercussione
mediatica”.
4.4 Passiamo alla Germania: anche qui, gli esperti non fanno parte del
Tribunale per la famiglia, in cui siede un giudice unico. Il coinvolgimento
nel procedimento di un esperto (in genere: psicologi e, in minor misura,
psichiatri; anche in Germania il numero dei periti qualificati è ristretto)
viene deciso dal giudice, ogni volta che egli non si ritiene competente a
sufficienza per valutare una questione difficile. Anche le parti coinvolte
nel procedimento hanno diritto a presentare delle consulenze tecniche,
che non vengono però valutate come perizie di un esperto ma come un
contributo documentale presentato dalle parti. Il ricorso a periti esterni
è comunque poco frequente: una ricerca empirica che documenti con
precisione questa pratica non esiste, ma da alcuni riscontri si stima
una frequenza delle perizie dal 3 al 10% di tutti i procedimenti presso i
tribunali per la famiglia.
Quel che si verifica nella prassi, come scrivono gli autori, è che:
“I giudici, mediante la nomina di un esperto, evidenziano la volontà
di evitare critiche circa uno scarso chiarimento dei fatti, e conseguenti
nullità in appello. Per contro, il rischio di annullamento a causa di un
incarico superfluo ad un esperto è minimo”.
Se è lecito usare un’immagine per spiegare il punto di vista degli
autori del saggio, si potrebbe dire che i giudici nominano il perito per
‘coprirsi le spalle’ con un parere professionale specifico, e per rendere
più difficile l’annullamento della decisione in caso di appello. Mancando
invece la perizia di un esperto, la corte d’appello potrebbe essere spinta
ad un annullamento proprio a causa di questa lacuna del Tribunale per
la famiglia.
Inoltre, quando gli incarichi ad un esperto non sono sufficientemente
precisi, avviene uno spostamento di competenze che è frequente nella
prassi ma incompatibile con le prescrizioni di legge. Scrivono infatti gli
autori:
44
“Rimane qui demandato al perito di riformulare la prospettiva giuridica
in un’impostazione psicologico/psichiatrica. Questa trasformazione
racchiude il pericolo che attraverso l’interpretazione dell’esperto sia
questi e non più il giudice a determinare l’oggetto dell’indagine (…)
Se nella richiesta di perizia si va in un modo o nell’altro a richiedere
valutazioni giuridiche, la cui determinazione spetta soltanto al tribunale,
i periti finiscono per svolgere concretamente funzioni giudiziarie. I periti
adempiono questo incarico sovente senza conoscere i limiti delle loro
competenze. Da parte loro, i tribunali resistono di rado alla tentazione
di seguire tout court tali pareri. Le difficoltà di esprimersi in materia
probatoria contribuiscono a che l’esperto diventi un vero e proprio
portatore di decisioni, e che i tribunali aderiscano unicamente alle più
convincenti argomentazioni dei periti.”.
Malgrado la legge prescriva una distanza critica del giudice rispetto
alla perizia esterna, la prassi dimostra, per la grande maggioranza dei
casi, un’acritica adesione del tribunale alle raccomandazioni del perito.
In una ricerca statistica sull’attività del Tribunale per la famiglia di
Berlino tra gli anni Ottanta e Novanta, emergeva un’alta concordanza
tra le raccomandazioni dei periti e le decisioni dei tribunali. Ma non va
dimenticato che il ricorso a periti rimane un fattore minoritario: anche
nei casi complessi di cura dei minori, il 60% dei giudici decide senza
ricorrere a perizie psicologiche.
Negli ultimi anni, il livello di qualità delle perizie è comunque
diventato oggetto di studio e discussione. Questo soprattutto a causa
di accuse di abuso sessuale rivelatesi infondate, accuse che hanno però
condotto a sentenze di interruzione dei rapporti familiari.
4.5 Concludiamo questa carrellata con la Svezia, dove ci si avvale
di esperti in pochissimi casi. Abbiamo inoltre già fatto notare come le
corti del paese scandinavo siano a loro volta sprovviste di qualsiasi
competenza minorile specifica, in linea con il principio del diritto svedese
di un approccio non professionale ai problemi dell’infanzia. Il buon senso
e l’esperienza comune sono giudicati, in genere, sufficienti, anche se è
vero che le critiche a questo sistema, negli ultimi anni, sono aumentate.
Un esperto viene nominato dalla corte quando lo si ritiene necessario
per stabilire i bisogni del bambino. Si può trattare di consulenti tecnici
d’ufficio, o di parte; non esiste un albo dei periti, ed è la corte stessa
che valuta la qualità professionale del perito. Gli elementi probatori
sono comunque in gran parte forniti dalle indagini dei servizi sociali.
45
Al “Comitato giuridico della Direzione dei servizi sociali” vengono
sottoposte le perizie presentate nel corso dei casi più difficili.
É da sottolineare che i tribunali, nei fatti, sono molto restii nel
nominare dei consulenti tecnici, e in genere lasciano esercitare questo
diritto alle parti. Questa prassi deriva da una lunga fase di diffidenza nei
rapporti fra giudici ed esperti (in particolare gli psicologi), con i tribunali
sempre meno soddisfatti della qualità perizie e della preparazione dei
consulenti. I giudici hanno inoltre avvertito spesso la tendenza dei
consulenti ad invadere il campo strettamente giuridico, con l’inserimento
di conclusioni nelle perizie. Gli esperti, d’altra parte, lamentano spesso di
non sapere cosa esattamente i giudici chiedano loro. La diminuzione del
ricorso a periti è stata anche misurata nell’ambito dei processi penali: dal
1990 al 1997 la percentuale di psicologi chiamati come consulenti tecnici
è scesa dal 25 al 6%. La presenza degli psicologi è invece più frequente
nelle cause intorno all’affidamento obbligatorio e nelle controversie
intorno alla potestà sul minore.
Christian Diesen così riassume la situazione:
“Si può dunque constatare che, in particolare nell’ultimo decennio,
la tendenza è stata quella di non utilizzare periti nei processi che
riguardano minori. I giuristi pratici e il legislatore sembrano ritenere che
sia sufficiente un generico interesse per i problemi dell’infanzia per poter
affrontare le valutazioni tipiche dei processi in cui sono coinvolti minori.
Questo interesse, che spesso e volentieri si accompagna con l’esperienza
di genitore (o di lavoro con bambini), è stato considerato sufficiente per
fornire alla corte, per esempio come giudice laico, i riferimenti empirici
necessari (…) Negli ultimi tempi sta diventando sempre più chiaro che
l’esperienza pratica, o generiche nozioni in materia d’infanzia, non sono
sufficienti per comprendere la situazione dei minori con problemi, le loro
necessità e le loro reazioni psicologiche”.
5. Aspetti critici e conclusioni
Al termine di queste note sintetiche sui risultati della ricerca,
accenniamo anche ai principali punti critici messi in evidenza (rispetto
a ciascun ordinamento) dagli autori dei singoli contributi, ed ai possibili
elementi di comparazione.
5.1 La ricerca inglese mette in evidenza, quale principale elemento
critico, la lunghezza eccessiva dei procedimenti, con un conseguente
46
ritardo nelle decisioni che va, ovviamente, a nuocere al benessere del
minore. Con la nuova legge del 1989 si prevedeva di risolvere i casi
di affidamento entro una media di dodici settimane; in seguito, fino al
1996 questa media era di 46 settimane, che erano poi aumentate a 50 nel
2000. Nel 2001 si era ritornati a 47 settimane. Uno studio ufficiale sulle
cause di questi ritardi nelle sentenze “ha identificato essenzialmente
quattro motivi chiave: mancanza di esperti, assenza dei giudici giusti
al posto giusto nel momento giusto, scarso controllo del caso da parte
del giudice e scarsa collaborazione fra i professionisti”. Ora, l’obiettivo
è di raggiungere la media delle 40 settimane per decidere un caso di
affidamento.
Uno degli elementi più criticati del sistema inglese è l’ordine di
‘supervisione’: esso
“É stato duramente criticato ed è stato detto che in pratica, la mancanza
di cooperazione dei genitori o il fallimento della amministrazione
locale nel fornire le risorse, in particolare nel mettere a disposizione un
assistente sociale, rende un supervision order inefficace”.
Le osservazioni negative non mancano neppure per la figura del
‘curatore del bambino’:
“Alcune ricerche hanno infatti evidenziato come il Guardian impieghi
una grande quantità di tempo svolgendo un lavoro che dovrebbe essere
svolto da altri. In altri termini, essi compensano le valutazioni scadenti
degli assistenti sociali e la scarsa qualità della rappresentanza legale
offerta, in particolare, ai genitori”.
Tra gli aspetti preoccupanti della situazione inglese va considerata
anche
“La degradazione dello status del lavoro nel settore dell’assistenza
sociale sopravvenuta negli ultimi vent’anni. Troppo spesso si vede,
basandosi sugli errori commessi in casi che hanno attirato l’attenzione
dei media, che il personale giovane e inesperto, già sotto la pressione del
lavoro e spesso senza direzione adeguata, ha preso una serie di decisioni
infelici (…) É preoccupante il fatto che la combinazione di assenza di
risorse e demoralizzazione professionale possa spesso fare sembrare
necessario ottenere più pareri ‘peritali’ e ‘autorevoli, rispetto alla fiducia
dell’amministrazione locale nel proprio personale di assistenza sociale”.
47
In Francia, il sistema è generalmente considerato ben funzionante ed
equilibrato nel suo principio: i servizi propongono e il giudice decide.
Come scrive l’autore del contributo,
“Le imperfezioni del sistema di protezione dei minori vanno cercate
nella sua organizzazione più che nelle modalità di decisione. Una
delle principali criticità concerne l’adeguamento dei mezzi ai bisogni
(modalità di presa in consegna, disponibilità nei centri di accoglienza
ecc.). Non è raro che le decisioni del giudice siano determinate da
contrattempi di questo tipo, come la mancanza di posti-letto nei casi
urgenti di collocamento. A causa dell’insufficienza degli effettivi, i servizi
di assistenza educativa chiedono di limitare il numero dei provvedimenti
(…) Il problema del sistema francese di protezione dell’infanzia consiste
dunque nella dualità – giudiziario ed amministrativo – dove la divisione
e complementarietà delle competenze sono sempre in gioco (…) Il
problema dei mezzi messi a disposizione da ciascun dipartimento per la
protezione dell’infanzia è una delle debolezze del sistema francese, nella
misura in cui genera disparità ed ineguaglianze notevoli a seconda dei
dipartimenti”.
Ma le difficoltà non riguardano soltanto la scarsità delle risorse a
disposizione: un altro scoglio sono i problemi di coordinamento fra i
diversi tipi di servizi che compongono l’amministrazione, e che abbiamo
citato nel paragrafo 2.3.
Del principale problema della situazione tedesca abbiamo già trattato
nel paragrafo precedente: si tratta di tutte le sfaccettature legate alla
prassi di un uso acritico delle perizie esterne da parte dei giudici. Ad
integrazione – e aldilà delle azioni dei giudici - si può ricordare che
in un recente studio pubblicato pochi anni fa, e intitolato “Psicologia
forense”, il suo autore individuava almeno cinque sottogruppi di carenze
nelle perizie: a) nella forma; b) nell’atteggiamento del perito; c) durante
l’accertamento degli antefatti; d) nel rilevamento dei referti; e) nelle
conclusioni.
Un altro versante critico della situazione tedesca riguarda proprio
lo stadio della ricerca sui problemi minorili. Rispetto ad altri paesi, il
materiale e le iniziative abbondano, tuttavia “incuria e maltrattamento
emotivo sono rimasti ugualmente poco considerati, e rappresentano
uno dei cruciali deficit della ricerca empirica intorno al benessere del
minore”.
A livello legislativo, le prospettive tedesche sono quelle
48
dell’introduzione nel diritto di famiglia della ‘separazione light’, vale
a dire una separazione per atto notarile, nei casi non conflittuali. Ciò
corrisponde “alla tendenza alla deregolamentazione della risoluzione
dei conflitti, già riconoscibile nella riforma del diritto minorile, la
quale però deve essere contemporaneamente accompagnata da una
forte specializzazione [dei giudici – n.d.c.] nei casi di effettivo pericolo
per il benessere del minore. Non è mai stata presa in considerazione
l’inclusione di esperti nei collegi giudicanti”.
Il dibattito svedese (tanto quello specialistico che quello filtrato
attraverso i mass-media) è attualmente molto intenso, e presenta elementi
critici di vario genere. In particolare, è molto criticata la facilità degli
affidamenti, che viene vissuta come una prepotenza dei servizi sociali
nei confronti delle famiglie. Questa tendenza, negli ultimi anni, è stata
però bilanciata dall’atteggiamento restrittivo della Corte amministrativa
suprema, e ciò a seguito delle condanne inflitte allo Stato svedese dalla
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Oltre a questo, è oggetto di discussione l’incompetenza specifica delle
corti (che è una marcata peculiarità del sistema svedese), ma anche la
mancanza di regole per l’uso dei periti esterni. Ed anche in Svezia, come
in Germania, si lamentano la diffidenza e la scarsa comunicazione tra
corti e periti. Nelle sue conclusioni, Diesen scrive:
“I processi in materia minorile sono continuamente oggetto di
discussione in Svezia, sia nei casi di affidamento obbligatorio che di
sospetti di incesto. Poiché è per tutti evidente che la qualità delle indagini
in queste cause è troppo bassa, la soluzione ‘scontata’ è combattere la
reciproca sfiducia tra giuristi ed esperti di scienze del comportamento.
Questa è anche la soluzione sostenuta dai ricercatori svedesi nel campo
delle scienze dell’infanzia”.
Anche se una riforma dei tribunali che si occupano anche di minori
non è attualmente nell’agenda politica svedese,
“Ci sono tuttavia segni evidenti del tentativo di cercare nuove forme
di collaborazione sul versante delle indagini, in particolare per quanto
attiene ai procedimenti penali. Ispirandosi a istituti già in vigore negli Stati
Uniti e in Islanda, molti soggetti pubblici, tra cui la Direzione per gli affari
sociali e il Procuratore generale, si muovono nella direzione di utilizzare
gruppi di lavoro per le indagini con competenze multidisciplinari in
materia di violenze contro minori; attività sperimentali sono già state
avviate in alcuni distretti. L’idea di fondo è che il bambino, appena
49
sorge un sospetto, incontri assistenti sociali, polizia/pubblico ministero,
medici e psicologi in un unico contesto e nello stesso luogo (cioè uno
stesso locale, una ‘casa per l’infanzia’)”.
Sul sistema svedese, nel corso degli anni, hanno influito anche le
sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha condannato
più volte lo Stato svedese al risarcimento dei genitori. La Corte di
Strasburgo ha giudicato troppo vaga la legge svedese sull’affidamento
del 1980, che lasciava a suo giudizio eccessivi margini di discrezionalità
ai giudici. Proprio per questo, nel 1990, la legge è stata modificata.
Per concludere con il sistema italiano, si può affermare che si è
assistito alla progressiva crescita, nell’ultimo decennio, di una cultura
e di un’attenzione nei confronti dei problemi minorili. Gli aspetti critici
possono semmai essere individuati nell’aumento della mole di lavoro
dei tribunali, essendo stata ampliata la competenza (vedi art. 31 D.
L.vo 286/98) in tema di autorizzazione del genitore extracomunitario a
permanere nel territorio dello Stato, cui non corrispondono sufficienti
strutture, come dimostra la crescita del rapporto cause/giudici minorili
negli ultimi anni. Si nota anche una disparità di organizzazione delle
strutture pubbliche a seconda delle regioni del paese. Infine, si può
sottolineare lo scarso utilizzo da parte dei tribunali della figura del
curatore speciale, visto anche l’aumento delle cause conflittuali.
5.2 Sulla base dell’insieme delle caratteristiche dei sistemi europei sin
qui presi in esame, si possono ora svolgere alcune comparazioni, insieme
ad ulteriori osservazioni generali.
Intanto, risulta evidente come (a differenza che in Italia) nei quattro
paesi presi in esame gli esperti con competenze extragiuridiche non
facciano parte dei tribunali che amministrano la giustizia minorile.
Questo va tenuto presente dal momento che uno dei punti critici della
recente discussione politica italiana era proprio la presenza di giudici
onorari nei tribunali per i minorenni.
D’altra parte, in Francia, Germania e Inghilterra decide un giudice
unico, anche se altri attori (come il Children’s Guardian inglese, o i
servizi sociali francesi) rivestono un ruolo rilevantissimo, e lavorano
a stretto contatto con il giudice. Oltre a questo, nel modello svedese
è rappresentata in maniera eclatante la scarsa specializzazione dei
magistrati giudicanti. In Inghilterra le decisioni-chiave sono in genere
lasciate a corti composte da laici senza formazione giuridica, le “Family
proceedings courts”. La specializzazione è invece marcata fra i giudici
50
francesi, e relativamente marcata nel Tribunale per la famiglia tedesco.
Il punto focale della ricerca era il ruolo degli esperti, dei non-giuristi e
delle loro perizie nei tribunali per i minorenni, con particolare attenzione
alla materia dell’affidamento. Da questo punto di vista, i risultati della
ricognizione mostrano condizioni variabili: le perizie possono giocare un
ruolo più o meno importante, possono provenire da varie tipologie di
esperti esterni o dagli stessi servizi sociali; possono influenzare i giudici
aldilà di quel che vorrebbe la legge, come accade in Germania. Ma
quel che importa nuovamente rilevare è che il loro ruolo, e l’influenza
esercitata dal loro lavoro può essere correttamente valutato e soppesato
soltanto nel quadro d’insieme del modello processuale adottato da
ciascun paese, e dal suo legame con i servizi sociali.
Del giudice non è importante solo la competenza, ma anche la
mentalità acquisita e l’atteggiamento processuale assunto sulla base
delle norme di legge. In Inghilterra il giudice è un arbitro nell’ambito di
un conflitto fra le parti, vale a dire fra la famiglia ed i servizi. In questo
caso egli non ricerca necessariamente l’adesione delle parti alle misure
prese, ma si sforza di far svolgere correttamente una controversia fra
delle parti che si trattano come ‘avversarie’. Più dell’accordo conta qui
l’equidistanza del giudice, la sua imparzialità nel permettere alle parti di
far valere le proprie ragioni.
In Francia prevale invece una visione paternalistica e pedagogica,
che vede il giudice nel ruolo di tutore del minore invece che di arbitro
di un conflitto. La legge gli fornisce indicazioni generali invece di norme
processuali rigide, allo scopo di proteggere il bambino o l’adolescente.
Anche la Svezia condivide il ruolo arbitrale del giudice tipico degli
inglesi, ma in un quadro fortemente amministrativo.
Dal confronto fra le ricerche emerge anche la forte differenza nella
realizzazione e diffusione di studi e statistiche sui problemi minorili
legati alla giustizia. Si passa dal numero elevato delle ricerche tedesche
ed inglesi alla scarsezza dei dati per l’Italia, la Svezia e la Francia. Ciò è
strettamente legato all’insieme dei problemi legati all’amministrazione
della giustizia minorile: essa si basa infatti sul generico concetto di
‘interesse del minore’, un concetto che – come abbiamo già detto - va
continuamente reinterpretato.
Gli studi empirici su questi temi si rivelano perciò di grande aiuto
quando si tratta di capire cosa sia l’interesse del minore. Come scrive il
coordinatore della ricerca Alessandro Simoni,
“L’ambito della protezione dell’infanzia è un settore nel quale gli
51
operatori si muovono sulla base di norme di ampio tenore, che vengono
riempite di significato riferendole a valori esterni al sistema di diritto
positivo. Il concetto di ‘interesse del minore’ richiede inevitabilmente di
ancorarsi a elementi esterni, e a una propria chiave di lettura della realtà.
Uno dei possibili parametri di valutazione è quello legato all’efficacia
delle misure, e all’esito dei procedimenti pregressi dello stesso tipo. In
generale, poi, lo studio empirico sulle modalità di scelta degli esperti e
sulle modalità del loro interagire con i giudici, obbliga a uno sguardo
esterno inevitabilmente illuminante. Osservare con metodo scientifico il
concreto muoversi della macchina giudiziaria minorile aiuta da un lato
a evitare provvedimenti che in altre occasioni si sono rivelati inadeguati,
e dall’altro a rivelare aspetti del proprio agire circa i quali non si è
abbastanza riflettuto”.
Vi è poi il tema delle figure professionali coinvolte nella giustizia
minorile, che variano a seconda del sistema giudiziario e di assistenza
sociale preso in considerazione. Non sempre psicologi e psichiatri sono le
figure dominanti (si pensi alla Francia), e spesso i giudici danno molto più
ascolto agli educatori o agli assistenti sociali che operano nelle strutture
pubbliche: ci stiamo anche qui riferendo alla situazione francese.
C’è anche la questione del reclutamento degli esperti, nella quale si
passa da un estremo ad un altro: dall’uso di albi ufficiali professionali
fino alla piena discrezionalità del giudice, come nel caso svedese. Molto
variabile è anche il ruolo degli avvocati, che sono quasi assenti in Francia,
oppure possono essere chiamati a ruoli di difesa o di tutela molto delicati,
come accade in Svezia, Inghilterra, Germania.
Infine, appare molto importante l’interazione fra la giustizia minorile
civile e quella penale. Simoni ricorda come
“In pressoché tutti gli ordinamenti studiati si rileva come in
moltissimi casi un procedimento di affidamento sia generato da fatti che
hanno comunque una rilevanza penale, andando dagli abusi sessuali
o maltrattamenti sui minori, ai maltrattamenti di un coniuge sull’altro,
alla sottrazione di minori, ecc. Generalmente, gli ordinamenti prevedono
binari separati per i due tipi di processo, anche qualora le dramatis
personae coincidano in tutto. La convivenza di un procedimento penale e
di uno ‘civile’ pone spesso problemi riguardo all’uso di periti ed esperti.
Spesso si è osservata infatti, ad esempio, una tendenza ad attendere
le perizie sviluppate nel procedimento penale per riutilizzarle poi nel
contesto dell’affidamento. Ciò avviene non senza difficoltà, a causa
52
da una parte degli inconvenienti generati dal ritardo, e dall’altra del
differente contesto nel quale i due tipi di perizie vengono in essere, con
standard probatori diversi e una prospettiva più centrata nel caso penale
sul reo che sul complessivo ambiente familiare”.
Riguardo ai ritardi, l’Inghilterra sembra essere l’unico paese ad
aver posto dei criteri formali per aumentare la rapidità delle decisioni
sull’affidamento.
Questa ricerca non ha certo la pretesa di esaurire il tema. Una
delle sue caratteristiche era, anzi, di aprire alla conoscenza ed alla
comparazione scientifica un ambito finora largamente trascurato dagli
studiosi. Essa lascia comunque aperte almeno due possibilità di sviluppo
e approfondimento. Da un lato, si potrà estendere ad altri paesi e
tradizioni giuridiche europee lo studio dei rapporti fra tribunali minorili
e competenze esterne. Dall’altro, rimane da fare un ampio lavoro di
ricostruzione storica del tema, visto che questa ricerca ha preso in
considerazione quasi esclusivamente la situazione del presente.
53
Appendice 1:
La “Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia”
(dal sito http://www.centrodirittiumani.unipd.it/tutoreminori/
index.htm)
CONVENZIONE SUI DIRITTI DELL’INFANZIA
La convenzione è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni
Unite con la Risoluzione 44/25 del 20 novembre 1989. É entrata in vigore
il 2 settembre 1990.
Il numero di Stati che l’hanno ratificata fino al 2003 è di 191.
n Italia, è stata ratificata e resa esecutiva con la Legge 27 maggio 1991,
n. 176 (in: Suppl. ordinario alla Gazz. Uff., 11 giugno 1991, n. 135).
Obiezioni avanzate dall’Italia alle riserve apposte da alcuni stati parte
(trad. redazionale):
18 luglio 1994: (con riguardo alle riserve avanzate dalla Repubblica
Araba di Siria): “... Tale riserva è eccessivamente estesa e troppo generale
per essere compatibile con l’oggetto e lo scopo della Convenzione. Il
Governo italiano fa pertanto obiezione alla riserva fatta dalla Repubblica
Araba di Siria. Tale obiezione non preclude l’entrata in vigore della
Convenzione tra la Repubblica Araba di Siria e l’Italia.”
14 giugno 1996 (con riguardo alle riserve del Qatar): “Il Governo della
Repubblica italiana ritiene che tale riserva, la quale mira a limitare le
responsabilità del Qatar ai sensi della Convenzione mediante il rinvio ai
principi generali dell’ordinamento nazionale, è suscettibile di sollevare
dubbi quanto alla reale aderenza del Qatar al contenuto e alle finalità
della Convenzione; essa inoltre contribuisce ad indebolire le basi del
diritto internazionale dei trattati. É interesse comune di tutti gli Stati che
i trattati di cui hanno scelto di divenire parte siano rispettati, per quanto
riguarda il loro oggetto e le loro finalità, da tutti le parti. Il Governo della
Repubblica italiana avanza pertanto obiezione a questa riserva. Tale
obiezione non costituisce ostacolo all’entrata in vigore della Convenzione
tra il Qatar e la Repubblica italiana”.
Obiezioni della stessa natura sono state comunicate dal Governo
italiano al Segretario generale in relazione alle riserve apposte dal
Botswana (14 giugno 1996), da Singapore (4 ottobre 1996), dal Brunei
Darussalam (23 dicembre 1996) e dagli Emirati Arabi Uniti (riserve
relative agli artt. 14, 17 e 21) (2 aprile 1998).
54
Il 25 settembre 1995 l’Italia presenta la seguente obiezione alla riserva
generale avanzata dall’Iran al momento della ratifica: “Questa riserva,
alla luce della sua estensione illimitata e del carattere indeterminato,
è inammissibile secondo il diritto internazionale. Il governo della
Repubblica italiana obietta pertanto alla riserva fatta dalla Repubblica
islamica dell’Iran. Tale obiezione non preclude l’entrata in vigore
della Convenzione tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Repubblica
italiana”.
(Traduzione non ufficiale)
Preambolo
Gli Stati parti alla presente Convenzione:
Considerando che, in conformità con i princìpi proclamati nella
Carta delle Nazioni Unite il riconoscimento della dignità inerente a
tutti i membri della famiglia umana nonché l’uguaglianza ed il carattere
inalienabile dei loro diritti sono le fondamenta della libertà, della
giustizia e della pace del mondo;
Tenendo presente che i popoli delle Nazioni Unite hanno ribadito
nella Carta la loro fede nei diritti fondamentali dell’uomo e nella
dignità e nel valore della persona umana ed hanno risolto di favorire
il progresso sociale e di instaurare migliori condizioni di vita in una
maggiore libertà;
Riconoscendo che le Nazioni Unite, nella Dichiarazione Universale
dei Diritti dell’Uomo e nei Patti internazionali relativi ai Diritti
dell’Uomo hanno proclamato ed hanno convenuto che ciascuno può
avvalersi di tutti i diritti e di tutte le libertà che vi sono enunciate, senza
distinzione di sorta in particolare di razza, di colore, di sesso, di lingua,
di religione, di opinione politica e di ogni altra opinione, di origine
nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita e di ogni altra circostanza;
Rammentando che nella Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo, le Nazioni Unite hanno proclamato che l’infanzia ha diritto
ad un aiuto e ad un’assistenza particolari;
Convinti che la famiglia, unità fondamentale della società ed
ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri
ed in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l’assistenza
di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella
collettività;
Riconoscendo che il fanciullo, ai fini dello sviluppo armonioso e
completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare
55
in un clima di felicità, di amore e di comprensione;
In considerazione del fatto che occorra preparare pienamente il
fanciullo ad avere una sua vita individuale nella società, ed educarlo
nello spirito degli ideali proclamati nella Carta della Nazioni Unite, in
particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di
uguaglianza e di solidarietà;
Tenendo presente che la necessità di concedere una protezione
speciale al fanciullo è stata enunciata nella Dichiarazione di Ginevra
del 1924 sui diritti del fanciullo e nella Dichiarazione dei Diritti del
Fanciullo adottata dall’Assemblea Generale il 20 novembre 1959 e
riconosciuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nel
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici -- in particolare
negli articoli 23 e 24 -- nel Patto internazionale relativo ai diritti
economici, sociali e culturali -- in particolare all’art. 10 e negli Statuti e
strumenti pertinenti delle Istituzioni specializzate e delle Organizzazioni
internazionali che si preoccupano del benessere del fanciullo;
Tenendo presente che, come indicato nella Dichiarazione dei Diritti
dell’Uomo “il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica
ed intellettuale necessita di una protezione e di cure particolari, ivi
compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la
nascita”;
Rammentando le disposizioni della Dichiarazione sui princìpi
sociali e giuridici applicabili alla protezione ed al benessere dei
fanciulli, considerati soprattutto sotto il profilo delle prassi in
materia di adozione e di collocamento familiare a livello nazionale e
internazionale dell’Insieme delle regole minime delle Nazioni Unite
relative all’amministrazione della giustizia minorile (Regole di Beijing)
e della Dichiarazione sulla protezione delle donne e dei fanciulli in
periodi di emergenza e di conflitto armato;
Riconoscendo che vi sono in tutti i paesi del mondo fanciulli che
vivono in condizioni particolarmente difficili e che è necessario prestare
ad essi una particolare attenzione;
Tenendo debitamente conto dell’importanza delle tradizioni e
dei valori culturali di ciascun popolo per la protezione e lo sviluppo
armonioso del fanciullo;
Riconoscendo l’importanza della cooperazione internazionale per
il miglioramento delle condizioni di vita dei fanciulli di tutti i paesi, in
particolare nei paesi in via di sviluppo;
Hanno convenuto quanto segue:
56
Articolo 1
Ai sensi della presente Convenzione si intende per fanciullo ogni
essere umano avente un’età inferiore a diciott’anni, salvo se abbia
raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile.
Articolo 2
1. Gli Stati parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella
presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo che dipende dalla
loro giurisdizione, senza distinzione di sorta ed a prescindere da ogni
considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di
opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti
legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione
finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra
circostanza.
2. Gli Stati parti adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il
fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione
o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni
professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali
o dei suoi familiari.
Articolo 3
1. In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle
istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle
autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore
del fanciullo deve essere una considerazione preminente.
2. Gli Stati parti si imp egnano ad assicurare al fanciullo la protezione
e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei
doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la
sua responsabilità legale, ed a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti
legislativi ed amministrativi appropriati.
3. Gli Stati parti vigilano affinché il funzionamento delle istituzioni,
servizi ed istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono
alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle Autorità
competenti in particolare nell’ambito della sicurezza e della salute e per
quanto riguarda il numero e la competenza del loro personale nonché
l’esistenza di un adeguato controllo.
Articolo 4
Gli Stati parti si impegnano ad adottare tutti i provvedimenti
legislativi, amministrativi ed altri, necessari per attuare i diritti
57
riconosciuti dalla presente Convenzione. Trattandosi di diritti economici,
sociali e culturali essi adottano tali provvedimenti entro i limiti delle
risorse di cui dispongono e, se del caso, nell’ambito della cooperazione
internazionale.
Articolo 5
Gli Stati parti rispettano la responsabilità, il diritto ed il dovere
dei genitori o, se del caso, dei membri della famiglia allargata o della
collettività, come previsto dagli usi locali, dei tutori o altre persone
legalmente responsabili del fanciullo, di dare a quest’ultimo, in maniera
corrispondente allo sviluppo delle sue capacità, l’orientamento ed i
consigli adeguati all’esercizio dei diritti che gli sono riconosciuti dalla
presente Convenzione.
Articolo 6
1. Gli Stati parti riconoscono che ogni fanciullo ha un diritto inerente
alla vita.
2. Gli Stati parti assicurano in tutta la misura del possibile la
sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo.
Articolo 7
1. Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita
e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella
misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi.
2. Gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in
conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono
imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in
particolare nei casi in cui se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a
trovarsi apolide.
Articolo 8
1. Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a
preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo
nome e le sue relazioni famigliari, così come sono riconosciute dalla
legge, senza ingerenze illegali.
2. Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi
della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli
adeguata assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il
più rapidamente possibile.
58
Articolo 9
1. Gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai
suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti
non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente
con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria
nell’interesse preminente del fanciullo. Una decisione in questo senso
può essere necessaria in taluni casi particolari, ad esempio quando i
genitori maltrattano o trascurano il fanciullo oppure se vivono separati
ed una decisione debba essere presa riguardo al luogo di residenza del
fanciullo.
2. In tutti i casi previsti al paragrafo 1 del presente articolo, tutte le Parti
interessate devono avere la possibilità di partecipare alle deliberazioni e
di far conoscere le loro opinioni.
3. Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi
i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali
e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno che ciò non sia
contrario all’interesse preminente del fanciullo.
4. Se la separazione è il risultato di provvedimenti adottati da uno
Stato parte, come la detenzione, l’imprigionamento, l’esilio, l’espulsione
o la morte (compresa la morte, quale che ne sia la causa, sopravvenuta
durante la detenzione) di entrambi i genitori o di uno di essi, o del
fanciullo, lo Stato parte fornisce dietro richiesta ai genitori, al fanciullo
oppure, se del caso, ad un altro membro della famiglia, le informazioni
essenziali concernenti il luogo dove si trovano il familiare o i familiari, a
meno che la divulgazione di tali informazioni possa mettere a repentaglio
il benessere del fanciullo. Gli Stati parti vigilano inoltre affinché la
presentazione di tale domanda non comporti di per sè conseguenze
pregiudizievoli per la persona o per le persone interessate.
Articolo 10
1. In conformità con l’obbligo che incombe agli Stati parti in virtù
del paragrafo 1 dell’art. 9, ogni domanda presentata da un fanciullo
o dai suoi genitori in vista di entrare in uno Stato parte o di lasciarlo
ai fini di un ricongiungimento familiare sarà considerata con uno
spirito positivo, con umanità e diligenza. Gli Stati parti vigilano inoltre
affinché la presentazione di tale domanda non comporti conseguenze
pregiudizievoli per gli autori della domanda e per i loro familiari.
2. Un fanciullo i cui genitori risiedono in Stati diversi ha diritto ad
intrattenere rapporti personali e contatti diretti regolari con entrambi i
suoi genitori, salvo circostanze eccezionali.
59
A tal fine, ed in conformità con l’obbligo incombente agli Stati parti,
in virtù del paragrafo 1 dell’art. 9, gli Stati parti rispettano il diritto del
fanciullo e dei suoi genitori di abbandonare ogni paese, compreso il
loro e di fare ritorno nel proprio paese. Il diritto di abbandonare ogni
paese può essere regolamentato solo dalle limitazioni stabilite dalla
legislazione, necessarie ai fini della protezione e della sicurezza interne,
dell’ordine pubblico, della salute o della moralità pubbliche, o dei diritti
e delle libertà di altrui, compatibili con gli altri diritti riconosciuti nella
presente Convenzione.
Articolo 11
1. Gli Stati parti adottano provvedimenti per impedire gli spostamenti
ed i non-ritorni illeciti di fanciulli all’estero.
2. A tal fine, gli Stati parti favoriscono la conclusione di accordi
bilaterali o multilaterali oppure l’adesione ad accordi esistenti.
Articolo 12
1. Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento
il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione
che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in
considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità.
2. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere
ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne,
sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato,
in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione
nazionale.
Articolo 13
1. Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto
comprende la libertà di ricercare, di ricevere e di divulgare informazioni
ed idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma
orale, scritta, stampata o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del
fanciullo.
2. L’esercizio di questo diritto può essere regolamentato unicamente
dalle limitazioni stabilite dalla legge e che sono necessarie:
a) al rispetto dei diritti o delle reputazioni di altrui; oppure
b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico,
della salute o della moralità pubbliche.
60
Articolo 14
1. Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo alla libertà di
pensiero, di coscienza e di religione.
2. Gli Stati parti rispettano il diritto ed il dovere dei genitori oppure, se
del caso, dei rappresentanti legali del bambino, di guidare quest’ultimo
nell’esercizio del summenzionato diritto in maniera che corrisponda allo
sviluppo delle sue capacità.
3. La libertà di manifestare la propria religione o convinzioni
può essere soggetta unicamente alle limitazioni prescritte dalla legge,
necessarie ai fini del mantenimento della sicurezza pubblica, dell’ordine
pubblico, della sanità e della moralità pubbliche, oppure delle libertà e
diritti fondamentali dell’uomo.
Articolo 15
1. Gli Stati parti riconoscono i diritti del fanciullo alla libertà di
associazione ed alla libertà di riunirsi pacificamente.
2. L’esercizio di tali diritti può essere oggetto unicamente delle
limitazioni stabilite dalla legge, necessarie in una società democratica
nell’interesse della sicurezza nazionale, della sicurezza o dell’ordine
pubblico, oppure per tutelare la sanità o la moralità pubbliche, o i diritti
e le libertà altrui.
Articolo 16
1. Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali
nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua
corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua
reputazione.
2. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali
interferenze o tali affronti.
Articolo 17
Gli Stati parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata
dai mass-media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad
una informazione ed a materiali provenienti da fonti nazionali ed
internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo
benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e
mentale. A tal fine, gli Stati parti:
a) incoraggiano i mass-media a divulgare informazioni e materiali che
hanno una utilità sociale e culturale per il fanciullo e corrispondono allo
spirito dell’art. 29;
61
b) incoraggiano la cooperazione internazionale in vista di produrre,
di scambiare e di divulgare informazioni e materiali di questo tipo
provenienti da varie fonti culturali, nazionali ed internazionali;
c) incoraggiano la produzione e la diffusione di libri per l’infanzia;
d) incoraggiano i mass-media a tenere conto in particolar modo delle
esigenze linguistiche dei fanciulli autoctoni o appartenenti ad un gruppo
minoritario;
e) favoriscono l’elaborazione di princìpi direttivi appropriati destinati
a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono
al suo benessere in considerazione delle disposizioni degli articoli 13 e
18.
Articolo 18
1. Gli Stati parti faranno del loro meglio per garantire il riconoscimento
del principio comune secondo il quale entrambi i genitori hanno una
responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del fanciullo ed
il provvedere al suo sviluppo. La responsabilità di allevare il fanciullo
e di provvedere al suo sviluppo incombe innanzitutto ai genitori
oppure, se del caso ai genitori del fanciullo oppure, se del caso ai suoi
rappresentanti legali i quali devono essere guidati principalmente
dall’interesse preminente del fanciullo.
2. Al fine di garantire e di promuovere i diritti enunciati nella presente
Convenzione, gli Stati parti accordano gli aiuti appropriati ai genitori ed
ai rappresentanti legali del fanciullo nell’esercizio della responsabilità
che incombe loro di allevare il fanciullo e provvedono alla creazione
di istituzioni, istituti e servizi incaricati di vigilare sul benessere del
fanciullo.
3. Gli Stati parti adottano ogni appropriato provvedimento per
garantire ai fanciulli i cui genitori lavorano, il diritto di beneficiare dei
servizi e degli istituti di assistenza all’infanzia, per i quali essi abbiano i
requisiti necessari.
Articolo 19
1. Gli Stati parti adottano ogni misura legislativa, amministrativa,
sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza,
di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza,
di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale, per
tutto il tempo in cui è affidato all’uno o all’altro, o ad entrambi, i suoi
genitori, al suo rappresentante legale (o rappresentanti legali), oppure ad
ogni altra persona che ha il suo affidamento.
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2. Le suddette misure di protezione comporteranno, in caso di
necessità, procedure efficaci per la creazione di programmi sociali
finalizzati a fornire l’appoggio necessario al fanciullo e a coloro ai
quali egli è affidato, nonché per altre forme di prevenzione, ed ai fini
dell’individuazione, del rapporto dell’arbitrato, dell’inchiesta, della
trattazione e dei seguiti da dare ai casi di maltrattamento del fanciullo
di cui sopra; esse dovranno altresì includere, se necessario, procedure di
intervento giudiziario.
Articolo 20
1. Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente
privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in
tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto ad una protezione e ad
aiuti speciali dello Stato.
2. Gli Stati parti prevedono per questo fanciullo una protezione
sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale.
3. Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per
mezzo di sistemazione in una famiglia, della kafalah di diritto islamico,
dell’adozione o in caso di necessità, del collocamento in un adeguato
istituto per l’infanzia. Nell’effettuare una selezione tra queste soluzioni,
si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità
nell’educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa,
culturale e linguistica.
Articolo 21
Gli Stati parti che ammettono e/o autorizzano l’adozione, si accertano
che l’interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale
in materia, e:
a) vigilano affinché l’adozione di un fanciullo sia autorizzata solo dalle
Autorità competenti le quali verificano, in conformità con la legge e con le
procedure applicabili ed in base a tutte le informazioni affidabili relative
al caso in esame, che l’adozione può essere effettuata in considerazione
della situazione del bambino in rapporto al padre ed alla madre, genitori
e rappresentanti legali e che, ove fosse necessario, le persone interessate
hanno dato il loro consenso all’adozione in cognizione di causa, dopo
aver acquisito i pareri necessari;
b) riconoscono che l’adozione all’estero può essere presa in
considerazione come un altro mezzo per garantire le cure necessarie al
fanciullo, qualora quest’ultimo non possa essere messo a balia in una
famiglia, oppure in una famiglia di adozione oppure essere allevato in
63
maniera adeguata;
c) vigilano, in caso di adozione all’estero, affinché il fanciullo abbia
il beneficio di garanzie e di norme equivalenti a quelle esistenti per le
adozioni nazionali;
d) adottano ogni adeguata misura per vigilare affinché, in caso di
adozione all’estero, il collocamento del fanciullo non diventi fonte di
profitto materiale indebito per le persone che ne sono responsabili;
e) ricercano le finalità del presente articolo stipulando accordi o
intese bilaterali o multilaterali a seconda dei casi, e si sforzano in questo
contesto di vigilare affinché le sistemazioni di fanciulli all’estero siano
effettuate dalle autorità o dagli organi competenti.
Articolo 22
1. Gli Stati parti adottano misure adeguate affinché un fanciullo il
quale cerca di ottenere lo statuto di rifugiato, oppure è considerato come
rifugiato ai sensi delle regole e delle procedure del diritto internazionale o
nazionale applicabile, solo o accompagnato dal padre e dalla madre o da
ogni altra persona, possa beneficiare della protezione e della assistenza
umanitaria necessarie per consentirgli di usufruire dei diritti che gli
sono riconosciuti dalla presente Convenzione e dagli altri strumenti
internazionali relativi ai diritti dell’uomo o di natura umanitaria di cui
detti Stati sono parti.
2. A tal fine, gli Stati parti collaborano, a seconda di come lo giudichino
necessario, a tutti gli sforzi compiuti dall’Organizzazione delle Nazioni
Unite e le altre organizzazioni intergovernative o non governative
competenti che collaborano con l’Organizzazione delle Nazioni Unite,
per proteggere ed aiutare i fanciulli che si trovano in tale situazione e per
ricercare i genitori o altri familiari di ogni fanciullo rifugiato al fine di
ottenere le informazioni necessarie per ricongiungerlo alla sua famiglia.
Se il padre, la madre o ogni altro familiare sono irreperibili, al fanciullo
sarà concessa, secondo i princìpi enunciati nella presente Convenzione, la
stessa protezione di quella di ogni altro fanciullo definitivamente oppure
temporaneamente privato del suo ambiente familiare per qualunque
motivo.
Articolo 23
1. Gli Stati parti riconoscono che i fanciulli mentalmente o fisicamente
handicappati devono condurre una vita piena e decente, in condizioni che
garantiscano la loro dignità, favoriscano la loro autonomia ed agevolino
una loro attiva partecipazione alla vita della comunità.
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2. Gli Stati parti riconoscono il diritto dei fanciulli handicappati
di beneficiare di cure speciali ed incoraggiano e garantiscono, in
considerazione delle risorse disponibili, la concessione, dietro richiesta,
ai fanciulli handicappati in possesso dei requisiti richiesti, ed a coloro
i quali ne hanno la custodia, di un aiuto adeguato alle condizioni del
fanciullo ed alla situazione dei suoi genitori o di coloro ai quali egli è
affidato.
3. In considerazione delle particolari esigenze dei minori handicappati,
l’aiuto fornito in conformità con il paragrafo 2 del presente articolo è
gratuito ogni qualvolta ciò sia possibile, tenendo conto delle risorse
finanziarie dei loro genitori o di coloro ai quali il minore è affidato.
Tale aiuto è concepito in modo tale che i minori handicappati
abbiano effettivamente accesso alla educazione, alla formazione, alle
cure sanitarie, alla riabilitazione, alla preparazione al lavoro ed alle
attività ricreative e possano beneficiare di questi servizi in maniera atta
a concretizzare la più completa integrazione sociale ed il loro sviluppo
personale, anche nell’ambito culturale e spirituale.
4. In uno spirito di cooperazione internazionale, gli Stati parti
favoriscono lo scambio di informazioni pertinenti nel settore delle cure
sanitarie preventive e del trattamento medico, psicologico e funzionale
dei minori handicappati, anche mediante la divulgazione di informazioni
concernenti i metodi di riabilitazione ed i servizi di formazione
professionale, nonché l’accesso a tali dati, in vista di consentire agli Stati
parti di migliorare le proprie capacità e competenze e di allargare la loro
esperienza in tali settori. A tal riguardo, si terrà conto in particolare delle
necessità dei paesi in via di sviluppo.
Articolo 24
1. Gli Stati parti riconoscono il diritto del minore di godere del
miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di
riabilitazione. Essi si sforzano di garantire che nessun minore sia privato
del diritto di avere accesso a tali servizi.
2. Gli Stati parti si sforzano di garantire l’attuazione integrale
del summenzionato diritto ed in particolare, adottano ogni adeguato
provvedimento per:
a) diminuire la mortalità tra i bambini lattanti ed i fanciulli;
b) assicurare a tutti i minori l’assistenza medica e le cure sanitarie
necessarie, con particolare attenzione per lo sviluppo delle cure sanitarie
primarie;
c) lottare contro la malattia e la malnutrizione, anche nell’ambito
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delle cure sanitarie primarie, in particolare mediante l’utilizzazione di
tecniche agevolmente disponibili e la fornitura di alimenti nutritivi e di
acqua potabile, tenendo conto dei pericoli e dei rischi di inquinamento
dell’ambiente naturale;
d) garantire alle madri adeguate cure prenatali e postnatali;
e) fare in modo che tutti i gruppi della società in particolare i genitori
ed i minori ricevano informazioni sulla salute e sulla nutrizione del
minore sui vantaggi dell’allattamento al seno, sull’igiene e sulla salubrità
dell’ambiente e sulla prevenzione degli incidenti e beneficino di un aiuto
che consenta loro di mettere in pratica tali informazioni;
f) sviluppare le cure sanitarie preventive, i consigli ai genitori e
l’educazione ed i servizi in materia di pianific azione familiare.
3. Gli Stati parti adottano ogni misura efficace atta ad abolire le
pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute dei minori.
4. Gli Stati parti si impegnano a favorire ed a incoraggiare la
cooperazione internazionale in vista di attuare gradualmente una
completa attuazione del diritto riconosciuto nel presente articolo. A tal
fine saranno tenute in particolare considerazione le necessità dei paesi in
via di sviluppo.
Articolo 25
Gli Stati parti riconoscono al fanciullo che è stato collocato dalle
Autorità competenti al fine di ricevere cure, una protezione oppure
una terapia fisica o mentale, il diritto ad una verifica periodica di detta
terapia e di ogni altra circostanza relativa alla sua collocazione.
Articolo 26
1. Gli Stati parti riconoscono ad ogni fanciullo il diritto di beneficiare
della sicurezza sociale, compresa la previdenza sociale, ed adottano le
misure necessarie per garantire una completa attuazione di questo diritto
in conformità con la loro legislazione nazionale.
2. Le prestazioni, se necessarie, dovranno essere concesse in
considerazione delle risorse e della situazione del minore e delle
persone responsabili del suo mantenimento e tenendo conto di ogni altra
considerazione relativa ad una domanda di prestazione effettuata dal
fanciullo o per suo conto.
Articolo 27
1. Gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo ad un livello di
vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale,
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morale e sociale.
2. Spetta ai genitori o ad altre persone che hanno l’affidamento del
fanciullo la responsabilità fondamentale di assicurare, entro i limiti delle
loro possibilità e dei loro mezzi finanziari, le condizioni di vita necessarie
allo sviluppo del fanciullo.
3. Gli Stati parti adottano adeguati provvedimenti, in considerazione
delle condizioni nazionali e compatibilmente con i loro mezzi, per aiutare
i genitori ed altre persone aventi la custodia del fanciullo di attuare questo
diritto ed offrono, se del caso, una assistenza materiale e programmi di
sostegno, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario
e l’alloggio.
4. Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento al fine di
provvedere al ricupero della pensione alimentare del fanciullo presso
i suoi genitori o altre persone aventi una responsabilità finanziaria nei
suoi confronti, sul loro territorio o all’estero. In particolare, per tener
conto dei casi in cui la persona che ha una responsabilità finanziaria nei
confronti del fanciullo vive in uno Stato diverso da quello del fanciullo,
gli Stati parti favoriscono l’adesione ad accordi internazionali oppure
la conclusione di tali accordi, nonché l’adozione di ogni altra intesa
appropriata.
Articolo 28
1. Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo all’educazione, ed
in particolare, al fine di garantire l’esercizio di tale diritto gradualmente
ed in base all’uguaglianza delle possibilità:
a) rendono l’insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti;
b) incoraggiano l’organizzazione di varie forme di insegnamento
secondario sia generale che professionale, che saranno aperte ed
accessibili ad ogni fanciullo e adottano misure adeguate come la gratuità
dell’insegnamento e l’offerta di una sovvenzione finanziaria in caso di
necessità;
c) garantiscono a tutti l’accesso all’insegnamento superiore con ogni
mezzo appropriato, in funzione delle capacità di ognuno;
d) fanno in modo che l’informazione e l’orientamento scolastico e
professionale siano aperte ed accessibili ad ogni fanciullo;
e) adottano misure per promuovere la regolarità della frequenza
scolastica e la diminuzione del tasso di abbandono della scuola.
2. Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento per vigilare
affinché la disciplina scolastica sia applicata in maniera compatibile con
la dignità del fanciullo in quanto essere umano ed in conformità con la
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presente Convenzione.
3. Gli Stati parti favoriscono ed incoraggiano la cooperazione
internazionale nel settore dell’educazione, in vista soprattutto di
contribuire ad eliminare l’ignoranza e l’analfabetismo nel mondo e
facilitare l’accesso alle conoscenze scientifiche e tecniche ed ai metodi
di insegnamento moderni. A tal fine, si tiene conto in particolare delle
necessità dei paesi in via di sviluppo.
Articolo 29
1. Gli Stati parti convengono che l’educazione del fanciullo deve avere
come finalità:
a) di favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo
sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta
la loro potenzialità;
b) di inculcare al fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali e dei princìpi consacrati nella Carta delle Nazioni
Unite;
c) di inculcare al fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua
identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto
dei valori nazionali del paese nel quale vive, del paese di cui può essere
originario e delle civiltà diverse dalla sua;
d) preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in
una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza,
di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici,
nazionali e religiosi, con le persone di origine autoctona;
e) di inculcare al fanciullo il rispetto dell’ambiente naturale.
2. Nessuna disposizione del presente articolo o dell’art. 28 sarà
interpretata in maniera di nuocere alla libertà delle persone fisiche o
morali di creare e di dirigere istituzioni didattiche a condizione che i
princìpi enunciati al paragrafo 1 del presente articolo siano rispettati
e che l’educazione impartita in tali istituzioni sia conforme alle norme
minime prescritte dallo Stato.
Articolo 30
Negli Stati in cui esistono minoranze etniche, religiose o linguistiche
oppure persone di origine autoctona, un fanciullo autoctono o che
appartiene a una di tali minoranze non può essere privato del diritto di
avere una propria vita culturale, di professare e di praticare la propria
religione o di far uso della propria lingua insieme agli altri membri del
suo gruppo.
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Articolo 31
1. Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo ed al tempo
libero, di dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e
di partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica.
2. Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di
partecipare pienamente alla vita culturale ed artistica ed incoraggiano
l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di
divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali.
Articolo 32
1. Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto
contro lo sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun
lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua
educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale,
spirituale, morale o sociale.
2. Gli Stati parti adottano misure legislative, amministrative, sociali
ed educative per garantire l’applicazione del presente articolo. A tal fine,
ed in considerazione delle disposizioni pertinenti degli altri strumenti
internazionali, gli Stati parti, in particolare:
a) stabiliscono un’età minima oppure età minime di ammissione
all’impiego;
b) prevedono un’adeguata regolamentazione degli orari di lavoro e
delle condizioni d’impiego;
c) prevedono pene o altre sanzioni appropriate per garantire
l’attuazione effettiva del presente articolo.
Articolo 33
Gli Stati parti adottano ogni adeguata misura, comprese misure legislative,
amministrative, sociali ed educative per proteggere i fanciulli contro l’uso
illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope, così come definite dalle
Convenzioni internazionali pertinenti e per impedire che siano utilizzati
fanciulli per la produzione ed il traffico illecito di queste sostanze.
Articolo 34
Gli Stati parti si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni
forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale. A tal fine, gli
Stati adottano in particolare ogni adeguata misura a livello nazionale,
bilaterale e multilaterale per impedire:
a) che dei fanciulli siano incitati o costretti a dedicarsi ad una attività
sessuale illegale;
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b) che dei fanciulli siano sfruttati a fini di prostituzione o di altre
pratiche sessuali illegali;
c) che dei fanciulli siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli
o di materiale a carattere pornografico.
Articolo 35
Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento a livello
nazionale, bilaterale e multilaterale per impedire il rapimento, la vendita
o la tratta di fanciulli per qualunque fine e sotto qualsiasi forma.
Articolo 36
Gli Stati parti proteggono il fanciullo contro ogni altra forma di
sfruttamento pregiudizievole al suo benessere in ogni suo aspetto.
Articolo 37
Gli Stati parti vigilano affinché:
a) nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o trattamenti
crudeli, inumani o degradanti. Nè la pena capitale nè l’imprigionamento
a vita senza possibilità di rilascio devono essere decretati per reati
commessi da persone di età inferiore a diciotto anni;
b) nessun fanciullo sia privato di libertà in maniera illegale o arbitraria.
L’arresto, la detenzione o l’imprigionamento di un fanciullo devono
essere effettuati in conformità con la legge, costituire un provvedimento
di ultima risorsa ed avere la durata più breve possibile;
c) ogni fanciullo privato di libertà sia trattato con umanità e con il
rispetto dovuto alla dignità della persona umana ed in maniera da tener
conto delle esigenze delle persone della sua età.
In particolare, ogni fanciullo privato di libertà sarà separato dagli
adulti, a meno che si ritenga preferibile di non farlo nell’interesse
preminente del fanciullo, ed egli avrà diritto di rimanere in contatto con
la sua famiglia per mezzo di corrispondenza e di visite, tranne che in
circostanze eccezionali;
d) i fanciulli privati di libertà abbiano diritto ad avere rapidamente
accesso ad un’assistenza giuridica o ad ogni altra assistenza adeguata,
nonché il diritto di contestare la legalità della loro privazione di libertà
dinnanzi un Tribunale o altra autorità competente, indipendente ed
imparziale, ed una decisione sollecita sia adottata in materia.
Articolo 38
1. Gli Stati parti si impegnano a rispettare ed a far rispettare le regole
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del diritto umanitario internazionale loro applicabili in caso di conflitto
armato, e la cui protezione si estende ai fanciulli.
2. Gli Stati parti adottano ogni misura possibile a livello pratico per
vigilare che le persone che non hanno raggiunto l’età di quindici anni
non partecipino direttamente alle ostilità.
3. Gli Stati parti si astengono dall’arruolare nelle loro forze armate
ogni persona che non ha raggiunto l’età di quindici anni. Nell’incorporare
persone aventi più di quindici anni ma meno di diciotto anni, gli Stati
parti si sforzano di arruolare con precedenza i più anziani.
4. In conformità con l’obbligo che spetta loro in virtù del diritto
umanitario internazionale di proteggere la popolazione civile in caso di
conflitto armato, gli Stati parti adottano ogni misura possibile a livello
pratico affinché i fanciulli coinvolti in un conflitto armato possano
beneficiare di cure e di protezione.
Articolo 39
Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento per agevolare
il riadattamento fisico e psicologico ed il reinserimento sociale di ogni
fanciullo vittima di ogni forma di negligenza, di sfruttamento o di
maltrattamenti; di torture o di ogni altra forma di pene o di trattamenti
crudeli, inumani o degradanti, o di un conflitto armato. Tale riadattamento
e tale reinserimento devono svolgersi in condizioni tali da favorire la
salute, il rispetto della propria persona e la dignità del fanciullo.
Articolo 40
1. Gli Stati parti riconoscono ad ogni fanciullo sospettato accusato o
riconosciuto colpevole di reato penale il diritto ad un trattamento tale da
favorire il suo senso della dignità e del valore personale, che rafforzi il suo
rispetto per i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali e che tenga conto
della sua età nonché della necessità di facilitare il suo reinserimento nella
società e di fargli svolgere un ruolo costruttivo in seno a quest’ultima.
2. A tal fine, e tenendo conto delle disposizioni pertinenti degli
strumenti internazionali, gli Stati parti vigilano in particolare:
a) affinché nessun fanciullo sia sospettato, accusato o riconosciuto
di reato penale a causa di azioni o di omissioni che non erano vietate
dalla legislazione nazionale o internazionale nel momento in cui furono
commesse;
b) affinché ogni fanciullo sospettato o accusato di reato penale abbia
almeno diritto alle seguenti garanzie;
i) di essere ritenuto innocente fino a quando la sua colpevolezza non
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sia stata legalmente stabilita;
ii) di essere informato il prima possibile e direttamente, oppure, se
del caso, tramite i suoi genitori o rappresentanti legali, delle accuse
portate contro di lui, e di beneficiare di un’assistenza legale o di ogni
altra assistenza appropriata per la preparazione e la presentazione della
sua difesa;
iii) che il suo caso sia giudicato senza indugio da un’autorità o
istanza giudiziaria competenti, indipendenti ed imparziali per mezzo
di un procedimento equo ai sensi di legge in presenza del suo legale
o di altra assistenza appropriata, nonché in presenza dei suoi genitori
o rappresentanti legali a meno che ciò non sia ritenuto contrario
all’interesse preminente del fanciullo a causa in particolare della sua età
o della sua situazione;
iv) di non essere costretto a rendere testimonianza o dichiararsi
colpevole; di interrogare o far interrogare i testimoni a carico e di ottenere
la comparsa e l’interrogatorio dei testimoni a suo discarico a condizioni
di parità;
v) qualora venga riconosciuto che ha commesso reato penale,
poter ricorrere contro questa decisione ed ogni altra misura decisa di
conseguenza dinnanzi una autorità o istanza giudiziaria superiore
competente, indipendente ed imparziale, in conformità con la legge;
vi) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o
non parla la lingua utilizzata;
vii) che la sua vita privata sia pienamente rispettata in tutte le fasi
della procedura.
3. Gli Stati parti si sforzano di promuovere l’adozione di leggi,
di procedere, la costituzione di autorità e di istituzioni destinate
specificamente ai fanciulli sospettati, accusati o riconosciuti colpevoli di
aver commesso reato, ed in particolar modo:
a) di stabilire un’età minima al di sotto della quale si presume che i
fanciulli non abbiano la capacità di commettere reato;
b) di adottare provvedimenti ogni qualvolta ciò sia possibile ed
auspicabile per trattare questi fanciulli senza ricorrere a procedure
giudiziarie rimanendo tuttavia inteso che i diritti dell’uomo e le garanzie
legali debbono essere integralmente rispettate.
4. Sarà prevista tutta una gamma di disposizioni concernenti in
particolar modo le cure, l’orientamento, la supervisione, i consigli, la libertà
condizionata, il collocamento in famiglia, i programmi di formazione
generale e professionale, nonché soluzioni alternative all’assistenza
istituzionale, in vista di assicurare ai fanciulli un trattamento conforme al
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loro benessere e proporzionato sia alla loro situazione che al reato.
Articolo 41
Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione pregiudica
disposizioni più propizie all’attuazione dei diritti del fanciullo che
possono figurare:
a) nella legislazione di uno Stato parte; oppure
b) nel diritto internazionale in vigore per questo Stato.
Articolo 42
Gli Stati parti si impegnano a far largamente conoscere i princìpi e le
disposizioni della presente Convenzione, con mezzi attivati ed adeguati
sia agli adulti che ai fanciulli.
Articolo 43
1. Al fine di esaminare i progressi compiuti dagli Stati parti
nell’esecuzione degli obblighi da essi contratti in base alla presente
Convenzione, è istituito un Comitato dei Diritti del Fanciullo che
adempie alle funzioni definite in appresso.
2. Il Comitato si compone di dieci esperti di alta moralità ed in
possesso di una competenza riconosciuta nel settore oggetto della
presente Convenzione. I suoi membri sono eletti dagli Stati parti tra i loro
cittadini e partecipano a titolo personale, secondo il criterio di un’equa
ripartizione geografica ed in considerazione dei principali ordinamenti
giuridici.
3. I membri del Comitato sono eletti a scrutinio segreto su una lista di
persone designate dagli Stati parti. Ciascun Stato parte può designare un
candidato tra i suoi cittadini.
4. La prima elezione avrà luogo entro sei mesi a decorrere dalla
data di entrata in vigore della presente Convenzione. Successivamente,
si svolgeranno elezioni ogni due anni. Almeno quattro mesi prima
della data di ogni elezione, il Segretario generale dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite inviterà per iscritto gli Stati parti a proporre i loro
candidati entro un termine di due mesi. Quindi il Segretario generale
stabilirà l’elenco alfabetico dei candidati in tal modo designati, con
l’indicazione degli Stati parti che li hanno designati, e sottoporrà tale
elenco agli Stati parti alla presente Convenzione.
5. Le elezioni avranno luogo in occasione delle riunioni degli Stati parti,
convocate dal Segretario generale presso la Sede dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite. In queste riunioni per le quali il numero legale
73
sarà rappresentato da due terzi degli Stati parti, i candidati eletti al
Comitato sono quelli che ottengono il maggior numero di voti, nonché la
maggioranza assoluta degli Stati parti presenti e votanti.
6. I membri del Comitato sono eletti per quattro anni. Essi sono
rieleggibili se la loro candidatura è ripresentata. Il mandato di cinque dei
membri eletti nella prima elezione scade alla fine di un periodo di due
anni; i nomi di tali cinque membri saranno estratti a sorte dal presidente
della riunione immediatamente dopo la prima elezione.
7. In caso di decesso o di dimissioni di un membro del Comitato
oppure se, per qualsiasi altro motivo, un membro dichiara di non poter
più esercitare le sue funzioni in seno al Comitato, lo Stato parte che aveva
presentato la sua candidatura nomina un altro esperto tra i suoi cittadini
per coprire il seggio resosi vacante, fino alla scadenza del mandato
corrispondente, sotto riserva dell’approvazione del Comitato.
8. Il Comitato adotta il suo regolamento interno.
9. Il Comitato elegge il suo Ufficio per un periodo di due anni.
10. Le riunioni del Comitato si svolgono normalmente presso la Sede
della Organizzazione delle Nazioni Unite, oppure in ogni altro luogo
appropriato determinato dal Comitato. Il Comitato si riunisce di regola
ogni anno. La durata delle sue sessioni è determinata e se necessario
modificata da una riunione degli Stati parti alla presente Convenzione,
sotto riserva dell’approvazione dell’Assemblea Generale.
11. Il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite
mette a disposizione del Comitato il personale e le strutture di cui
quest’ultimo necessita per adempiere con efficacia alle sue mansioni in
base alla presente Convenzione.
12. I membri del Comitato istituito in base alla presente Convenzione
ricevono con l’approvazione dell’Assemblea Generale, emolumenti
prelevati sulle risorse dell’Organizzazione delle Nazioni Unite alle
condizioni e secondo le modalità stabilite dall’Assemblea Generale.
Articolo 44
1. Gli Stati parti si impegnano a sottoporre al Comitato, tramite il
Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, rapporti
sui provvedimenti che essi avranno adottato per dare effetto ai diritti
riconosciuti nella presente Convenzione e sui progressi realizzati per il
godimento di tali diritti:
a) entro due anni a decorrere dalla data dell’entrata in vigore della
presente Convenzione per gli Stati parti interessati;
b) in seguito, ogni cinque anni.
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2. I rapporti compilati in applicazione del presente articolo debbono
se del caso indicare i fattori e le difficoltà che impediscono agli Stati parti
di adempiere agli obblighi previsti nella presente Convenzione. Essi
debbono altresì contenere informazioni sufficienti a fornire al Comitato
una comprensione dettagliata dell’applicazione della Convenzione del
paese in esame.
3. Gli Stati parti che hanno presentato al Comitato un rapporto iniziale
completo non sono tenuti a ripetere nei rapporti che sottoporranno
successivamente -- in conformità con il capoverso b) del paragrafo 1 del
presente articolo -- le informazioni di base in precedenza fornite.
4. Il Comitato può chiedere agli Stati parti ogni informazione
complementare relativa all’applicazione della Convenzione.
5. Il Comitato sottopone ogni due anni all’Assemblea generale,
tramite il Consiglio Economico e sociale, un rapporto sulle attività del
Comitato.
6. Gli Stati parti fanno in modo affinché i loro rapporti abbiano una
vasta diffusione nei loro paesi.
Articolo 45
Al fine di promuovere l’attuazione effettiva della Convenzione ed
incoraggiare la cooperazione internazionale nel settore oggetto della
Convenzione:
a) le Istituzioni Specializzate, il Fondo delle Nazioni Unite per
l’infanzia ed altri organi delle Nazioni Unite hanno diritto di farsi
rappresentare nell’esame dell’attuazione di quelle disposizioni della
presente Convenzione che rientrano nell’ambito del loro mandato. Il
Comitato può invitare le Istituzioni Specializzate, il Fondo delle Nazioni
Unite per l’infanzia ed ogni altro organismo competente che riterrà
appropriato, a dare pareri specializzati sull’attuazione della Convenzione
in settori di competenza dei loro rispettivi mandati. Il Comitato può
invitare le Istituzioni Specializzate, il Fondo delle Nazioni Unite per
l’infanzia ed altri organi delle Nazioni Unite a sottoporgli rapporti
sull’attuazione della Convenzione in settori che rientrano nell’ambito
delle loro attività;
b) il Comitato trasmette, se lo ritiene necessario, alle Istituzioni
Specializzate, al Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia ed agli altri
Organismi competenti ogni rapporto degli Stati parti contenente una
richiesta di consigli tecnici o di assistenza tecnica, o che indichi una
necessità in tal senso, accompagnato da eventuali osservazioni e proposte
del Comitato concernenti tale richiesta o indicazione;
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c) il Comitato può raccomandare all’Assemblea Generale di chiedere
al Segretario generale di procedere, per conto del Comitato, a studi su
questioni specifiche attinenti ai diritti del fanciullo;
d) il Comitato può fare suggerimenti e raccomandazioni generali in
base alle informazioni ricevute in applicazione degli articoli 44 e 45 della
presente Convenzione. Questi suggerimenti e raccomandazioni generali
sono trasmessi ad ogni Stato parte interessato e sottoposti all’Assemblea
Generale insieme ad eventuali osservazioni degli Stati parti.
Articolo 46
La presente Convenzione è aperta alla firma di tutti gli Stati.
Articolo 47
La presente Convenzione è soggetta a ratifica. Gli strumenti di ratifica
saranno depositati presso il Segretario generale dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite.
Articolo 48
La presente Convenzione rimarrà aperta all’adesione di ogni Stato.
Gli strumenti di adesione saranno depositati presso il Segretario generale
della Organizzazione delle Nazioni Unite.
Articolo 49
1. La presente Convenzione entrerà in vigore il trentesimo giorno
successivo alla data del deposito presso il Segretario generale
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite del ventesimo strumento di
ratifica o di adesione.
2. Per ciascuno degli Stati che ratificheranno la presente Convenzione
o che vi aderiranno dopo il deposito del ventesimo strume nto di ratifica
o di adesione la Convenzione entrerà in vigore il trentesimo giorno
successivo al deposito da parte di questo Stato del suo strumento di
ratifica o di adesione.
Articolo 50
1. Ogni Stato parte può proporre un emendamento e depositarne il
testo presso il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni
Unite. Il Segretario generale comunica quindi la proposta di emendamento
agli Stati parti, con la richiesta di far sapere se siano favorevoli ad una
Conferenza degli Stati parti al fine dell’esame delle proposte e della
loro votazione. Se, entro quattro mesi a decorrere dalla data di questa
76
comunicazione, almeno un terzo degli Stati parti si pronuncia a favore
di tale Conferenza, il Segretario generale convoca la Conferenza sotto
gli auspici dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ogni emendamento
adottato da una maggioranza degli Stati parti presenti e votanti alla
Conferenza è sottoposto per approvazione all’Assemblea Generale.
2. Ogni emendamento adotta in conformità con le disposizioni
del paragrafo 1 del presente articolo entra in vigore dopo essere stato
approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed accettato da
una maggioranza di due terzi degli Stati parti.
3. Quando un emendamento entra in vigore esso ha valore obbligatorio
per gli Stati parti che lo hanno accettato, gli altri Stati parti rimanendo
vincolati dalle disposizioni della presente Convenzione e da tutti gli
emendamenti precedenti da essi accettati.
Articolo 51
1. Il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite
riceverà e comunicherà a tutti gli Stati il testo delle riserve che saranno
state formulate dagli Stati all’atto della ratifica o dell’adesione.
2. Non sono autorizzate riserve incompatibili con l’oggetto e le finalità
della presente Convenzione.
3. Le riserve possono essere ritirate in ogni tempo per mezzo di
notifica indirizzata in tal senso al Segretario generale delle Nazioni Unite
il quale ne informerà quindi tutti gli Stati. Tale notifica avrà effetto alla
data in cui è ricevuta dal Segretario generale.
Articolo 52
Ogni Stato parte può denunciare la presente Convenzione per mezzo
di notifica scritta indirizzata al Segretario generale dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite. La denuncia avrà effetto un anno dopo la data di
ricezione della notifica da parte del Segretario generale.
Articolo 53
Il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è
designato come depositario della presente Convenzione.
Articolo 54
L’originale della presente Convenzione i cui testi in lingua araba,
cinese, francese, inglese, russa e spagnola fanno ugualmente fede,
sarà depositato presso il Segretario generale dell’Organizzazione delle
Nazioni Unite.
77
In fede di che i plenipotenziari sottoscritti debitamente abilitati a tal
fine dai loro rispettivi governi, hanno firmato la presente Convenzione.
78
Appendice 2:
La “Convenzione Europea sull’esercizio dei Diritti dei Minori”
(dal sito http://www.centrodirittiumani.unipd.it/tutoreminori/
index.htm)
CONVENZIONE EUROPEA SULL’ESERCIZIO DEI DIRITTI
DEI MINORI
Adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996. Entrata in vigore il 1° luglio
2000.
Preambolo
Gli Stati membri del Consiglio d’Europa e gli altri Stati, firmatari della
presente Convenzione,
Considerando che scopo del Consiglio d’Europa è realizzare una
unione più stretta fra i suoi membri;
Tenendo conto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del
fanciullo e in particolare dell’articolo 4, che esige che gli Stati contraenti
adottino tutte le misure legislative, amministrative ed altre necessarie ad
applicare i diritti riconosciuti nella suddetta Convenzione;
Prendendo atto del contenuto della Raccomandazione 1121 (1990)
dell’Assemblea parlamentare, relativa ai diritti dei minori;
Convinti che i diritti e gli interessi superiori dei minori debbano
essere promossi e che a tal fine i minori dovrebbero avere la possibilità
di esercitare i propri diritti, in particolare nelle procedure in materia di
famiglia che li riguardano;
Riconoscendo che i minori dovrebbero ricevere informazioni
pertinenti, affinché i loro diritti e i loro interessi superiori possano essere
promossi e affinché la loro opinione sia presa in debita considerazione;
Riconoscendo l’importanza del ruolo dei genitori nella tutela e la
promozione dei diritti e degli interessi superiori dei figli e ritenendo che
anche gli Stati dovrebbero, ove occorra, interessarsene;
Considerando, tuttavia, che in caso di conflitto è opportuno che le
famiglie cerchino di trovare un accordo prima di portare il caso avanti
ad un’autorità giudiziaria,
Hanno convenuto quanto segue:
Capitolo I – Campo di applicazione e oggetto della Convenzione,
79
e definizioni
Articolo 1 - Campo di applicazione e oggetto della Convenzione
1. La presente Convenzione si applica ai minori che non hanno
raggiunto l’età di 18 anni.
2. Oggetto della presente Convenzione è promuovere, nell’interesse
superiore dei minori, i loro diritti, concedere loro diritti azionabili e
facilitarne l’esercizio facendo in modo che possano, essi stessi o tramite
altre persone od organi, essere informati e autorizzati a partecipare ai
procedimenti che li riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria.
3. I procedimenti che interessano i minori dinanzi ad un’autorità
giudiziaria sono i procedimenti in materia di famiglia, in particolare
quelli relativi all’esercizio delle responsabilità genitoriali, trattandosi
soprattutto di residenza e di diritto di visita nei confronti dei minori.
4. Ogni Stato deve, all’atto della firma o al momento del deposito
del proprio strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di
adesione, designare, con dichiarazione indiretta al Segretario Generale
del Consiglio d’Europa, almeno tre categorie di controversie in materia
di famiglia dinanzi ad un’autorità giudiziaria
alle quali la presente Convenzione intende applicarsi.
5. Ogni Parte può, con dichiarazione aggiuntiva, completare la lista
delle categorie di controversie in materia di famiglia alle quali la presente
Convenzione intende applicarsi o fornire ogni informazione relativa
all’applicazione degli articoli 5 9 paragrafo 2, 10 paragrafo 2, e 11.
6. La presente Convenzione non impedisce alle Parti di applicare
norme più favorevoli alla promozione e all’esercizio dei diritti dei
minori.
Articolo 2 - Definizioni
Ai fini della presente Convenzione, si intende per:
a) “autorità giudiziaria”, un tribunale o un’autorità amministrativa
avente delle competenze equivalenti;
b) “detentori delle responsabilità genitoriali”, i genitori e altre
persone od organi abilitati ad esercitare tutta o parte delle responsabilità
genitoriali;
c) “rappresentante”, una persona, come un avvocato, o un organo
designato ad agire presso un’autorità giudiziaria a nome di un minore;
d) “informazioni pertinenti”, le informazioni appropriate, in
considerazione dell’età e della capacità di discernimento del minore,
che gli saranno fornite al fine di permettergli di esercitare pienamente
80
i propri diritti, a meno che la comunicazione di tali informazioni non
pregiudichi il suo benessere.
Capitolo II – Misure di ordine procedurale per promuovere
l’esercizio dei diritti dei minori
A. Diritti azionabili da parte di un minore
Articolo 3 - Diritto di essere informato e di esprimere la propria opinione nei
procedimenti
Nei procedimenti che lo riguardano dinanzi a un’autorità giudiziaria,
al minore che è considerato dal diritto interno come avente una capacità
di discernimento vengono riconosciuti i seguenti diritti, di cui egli stesso
può chiedere di beneficiare:
a) ricevere ogni informazione pertinente;
b) essere consultato ed esprimere la propria opinione;
c) essere informato delle eventuali conseguenze che tale opinione
comporterebbe nella pratica e delle eventuali conseguenze di qualunque
decisione.
Articolo 4 - Diritto di richiedere la designazione di un rappresentante
speciale
1. Salvo quanto previsto dall’articolo 9, quando il diritto interno priva
i detentori delle responsabilità genitoriali della facoltà di rappresentare
il minore a causa di un conflitto di interesse, il minore ha il diritto
di richiedere, personalmente o tramite altre persone od organi, la
designazione di un rappresentante speciale nei procedimenti che lo
riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria.
2. Gli Stati sono liberi di prevedere che il diritto di cui al paragrafo 1.
venga applicato solo ai minori che il diritto
interno ritiene abbiano una capacità di discernimento sufficiente.
Articolo 5 - Altri possibili diritti azionabili
Le Parti esaminano l’opportunità di riconoscere ai minori ulteriori
diritti azionabili nei procedimenti che li riguardano dinanzi ad un’autorità
giudiziaria, in particolare:
a) il diritto di chiedere di essere assistiti da una persona appropriata,
di loro scelta, che li aiuti ad esprimere la loro opinione;
b) il diritto di chiedere essi stessi, o tramite altre persone od organi,
la designazione di un rappresentante distinto, nei casi opportuni, di un
81
avvocato;
c) il diritto di designare il proprio rappresentante;
d) il diritto di esercitare completamente o parzialmente le prerogative
di una parte in tali procedimenti.
B. Ruolo delle autorità giudiziarie
Articolo 6 - Processo decisionale
Nei procedimenti che riguardano un minore, l’autorità giudiziaria,
prima di giungere a qualunque decisione, deve:
a) esaminare se dispone di informazioni sufficienti ad fine di prendere
una decisione nell’interesse superiore del minore e, se necessario, ottenere
informazioni supplementari, in particolare da parte dei detentori delle
responsabilità genitoriali;
b) quando il diritto interno ritiene che il minore abbia una capacità di
discernimento sufficiente:
- assicurarsi che il minore abbia ricevuto tutte le informazioni
pertinenti,
- nei casi che lo richiedono, consultare il minore personalmente, se
necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi,
con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia
manifestamente contrario agli interessi superiori del minore, permettere
al minore di esprimere la propria opinione;
c) tenere in debito conto l’opinione da lui espressa.
Articolo 7 - Obbligo di agire prontamente
Nei procedimenti che interessano un minore, l’autorità giudiziaria deve
agire prontamente per evitare ogni inutile ritardo. Devono concorrervi
delle procedure che assicurino una esecuzione rapida delle decisioni
dell’autorità giudiziaria. In caso di urgenza, l’autorità giudiziaria ha, se
necessario, il potere di prendere decisioni immediatamente esecutive.
Articolo 8 - Possibilità di procedere d’ufficio
Nei procedimenti che riguardano un minore, l’autorità giudiziaria
ha il potere, nei casi in cui il diritto interno ritenga che il benessere del
minore sia seriamente minacciato, di procedere d’ufficio.
Articolo 9 - Designazione di un rappresentante
1. Nei procedimenti che riguardano un minore, quando in virtù del
diritto interno i detentori delle responsabilità genitoriali si vedono privati
82
della facoltà di rappresentare il minore a causa di un conflitto di interessi,
l’autorità giudiziaria ha il potere di designare un rappresentante speciale
che lo rappresenti in tali procedimenti.
2. Le Parti esaminano la possibilità di prevedere che, nei procedimenti
che riguardano un minore, l’autorità giudiziaria abbia il potere di
designare un rappresentante distinto, nei casi opportuni un avvocato,
che rappresenti il minore.
C. Ruolo dei rappresentanti
Articolo 10
1. Nei procedimenti dinanzi ad un’autorità giudiziaria riguardanti
un minore, il rappresentante deve, a meno che non sia manifestamente
contrario agli interessi superiori del minore:
a) fornire al minore ogni informazione pertinente, se il diritto interno
ritenga che abbia una capacità di discernimento sufficiente;
b) fornire al minore, se il diritto interno ritenga che abbia una
capaciti di discernimento sufficiente, spiegazioni relative alle eventuali
conseguenze che l’opinione del minore comporterebbe nella pratica, e
alle eventuali conseguenze di qualunque azione del rappresentante;
c) rendersi edotto dell’opinione del minore e portarla a conoscenza
dell’autorità giudiziaria.
2. Le Parti esaminano la possibili di estendere le disposizioni del
paragrafo 1 ai detentori delle responsabilità genitoriali.
D. Estensione di alcune disposizioni
Articolo 11
Le Parti esaminano estendere le disposizioni degli articoli 3, 4 e 9 ai
procedimenti che riguardano i minori davanti ad altri organi, nonché
alle problematiche relative ai minori, indipendentemente da qualunque
procedimento.
E. Organi nazionali
Articolo 12
1. Le Parti incoraggiano, tramite organi che esercitano, fra l’altro, le
funzioni di cui al paragrafo 2, la promozione e l’esercizio dei diritti dei
minori.
2. Tali funzioni sono le seguenti: a) fare delle proposte per rafforzare
83
l’apparato legislativo relativo all’esercizio dei diritti dei minori; b)
formulare dei pareri sui disegni legislativi relativi all’esercizio dei diritti
dei minori; c) fornire informazioni generali sull’esercizio dei diritti
dei minori ai mass media, al pubblico e alle persone od organi che si
occupano delle problematiche relative ai minori, d) rendersi edotti
dell’opinione dei minori e fornire loro ogni informazione adeguata.
F. Altre misure
Articolo 13 - Mediazione e altri metodi di soluzione dei conflitti
Al fine di prevenire o di risolvere i conflitti, e di evitare procedimenti
che coinvolgano minori dinanzi ad un’autorità giudiziaria, le Parti
incoraggiano il ricorso alla mediazione e a qualunque altro metodo di
soluzione dei conflitti atto a concludere un accordo, nei casi che le Parti
riterranno opportuni.
Articolo 14 - Assistenza giudiziaria e consulenze giuridica
Quando il diritto interno prevede l’assistenza giudiziaria o la
consulenza giuridica per la rappresentanza dei minori nei procedimenti
che li riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria, tali disposizioni
vengono applicate ai casi di cui agli articoli 4 e 9.
Articolo 15 - Rapporti con altri strumenti internazionali
La presente Convenzione non impedisce l’applicazione di altri
strumenti internazionali che trattino questioni specifiche nell’ambito
della protezione dei minori e delle famiglie, e dei quali una Parte della
presente Convenzione ne sia o ne divenga Parte.
Capitolo III – Comitato permanente
Articolo 16 - Istituzione e funzioni del Comitato permanente
1. Viene costituito, ai fini della presente Convenzione, un Comitato
permanente.
2. Il Comitato permanente si occupa dei problemi relativi alla presente
Convenzione. Esso può, in particolare:
a) esaminare ogni questione pertinente relativa all’interpretazione
o all’attuazione della Convenzione. Le conclusioni del Comitato
permanente relative all’attuazione della Convenzione possono assumere
la forma di raccomandazione; le raccomandazioni sono adottate con la
maggioranza dei tre quarti dei voti espressi;
84
b) proporre emendamenti alla Convenzione ed esaminare quelli
formulati all’articolo 20;
c) fornire consulenza e assistenza agli organi nazionali che esercitano
le funzioni di cui al paragrafo 2 dell’articolo 12, nonché promuovere la
cooperazione internazionale fra loro.
Articolo 17 - Membri
1. Ogni Parte può farsi rappresentare in seno al Comitato permanente
da uno o diversi delegati. Ogni Parte dispone di un voto.
2. Ogni Stato di cui all’articolo 21, che non sia Parte della presente
Convenzione, può essere rappresentato al Comitato permanente da un
osservatore. Lo stesso vale per ogni altro Stato o per la Comunità europea,
che sia stato invitato ad aderire alla Convenzione, conformemente alle
disposizioni dell’articolo 22.
3. A meno che una Parte, per lo meno un mese prima della riunione,
non abbia espresso al Segretario Generale la propria obiezione, il
Comitato permanente può invitare a partecipare in veste di osservatore a
tutte le riunioni o a tutta o parte di una riunione:
- ogni Stato non considerato nel precedente paragrafo 2;
- il Comitato per i diritti del fanciullo delle Nazioni Unite;
- la Comunità europea; - qualunque organismo internazionale
governativo;
- qualunque organismo internazionale non governativo che ricopra
una o più funzioni fra quelle elencate al
paragrafo 2 dell’articolo 12;
- qualunque organismo nazionale, governativo o non governativo,
che eserciti una o più funzioni fra quelle
elencate al paragrafo 2 dell’articolo 12.
4. Il Comitato permanente può scambiare informazioni con tutte
le organizzazioni che operano in favore dell’esercizio dei diritti dei
minori.
Articolo 18 - Riunioni
1. Al termine del temo anno successivo alla data di entrata in
vigore della presente Convenzione e, per sua iniziativa, in qualunque
altro momento dopo questa data, il Segretario Generale del Consiglio
d’Europa inviterà il Comitato permanente a riunirsi.
2. Il Comitato permanente non può prendere decisioni se non a
condizione che almeno la metà delle Parti sia presente.
3. Conformemente agli articoli 16 e 20, le decisioni del Comitato
85
permanente sono prese a maggioranza dei membri presenti.
4. Conformemente alle disposizioni della presente Convenzione, il
Comitato permanente stabilisce il proprio regolamento interno, nonché
il regolamento interno di ogni gruppo di lavoro che esso costituisce per
assolvere a tutti i compiti previsti dalla Convenzione.
Articolo 19 - Rendiconti del Comitato permanente
Dopo ogni riunione, il Comitato permanente trasmette alle Parti e al
Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa un rendiconto relativo ai
dibattiti svolti e alle decisioni prese.
Capitolo IV – Emendamenti alla Convenzione
Articolo 20
1. Ogni emendamento agli articoli della presente Convenzione,
proposto da una Parte o dal Comitato permanente, è comunicato al
Generale del Consiglio d’Europa e trasmesso a sua cura almeno due
mesi prima della successiva riunione del Comitato permanente, agli Stati
membri del Consiglio d’Europa, a tutti i firmatari, a tutte le Parti, a tutti
gli Stati invitati a firmare la presente Convenzione, coni alle disposizioni
dell’articolo 21, e a tutti gli Stati o alla Comunità europea che siano stati
invitati ad aderirvi conformemente alle disposizioni dell’articolo 22.
2. Ogni emendamento proposto conformemente alle disposizioni del
paragrafo precedente viene esaminato dal Comitato permanente che
sottopone il testo, adottato con la maggioranza dei tre quarti dei voti
espressi, all’approvazione del Comitato dei Ministri. Dopo l’approvazione
il testo è comunicato alle Parti per l’accettazione.
3. Ogni emendamento entrerà in vigore il primo giorno del mese
successivo allo scadere di un periodo di un mese dalla data in cui tutte le
Parti avranno informato il Segretario Generale di averlo accettato.
Capitolo V- Clausole finali
Articolo 21 - Firma, ratifica ed entrata in vigore
1. La presente Convenzione è aperta alla firma degli Stati membri del
Consiglio d’Europa e degli Stati non membri che abbiano partecipato alla
sua elaborazione.
2. La presente Convenzione sarà sottoposta a ratifica, accettazione o
approvazione. Gli strumenti di ratifica, di accettazione o di approvazione
sanno depositati presso il Segretario Generale del Consiglio d’Europa.
86
3. La presente Convenzione entrerà in vigore il primo giorno del mese
successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data in cui tre Stati,
dei quali almeno due siano membri del Consiglio d’Europa, avranno
espresso il loro consenso ad essere vincolati dalla presente Convenzione,
conformemente alle disposizioni del paragrafo precedente.
4. Per ogni Stato che esprima successivamente il suo consenso ad
essere vincolato dalla presente Convenzione, essa entrerà in vigore il
primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi
dalla data del deposito dello strumento di ratifica, di accettazione o di
approvazione.
Articolo 22 - Stati non membri e Comunità europea
1. Dopo l’entrata in vigore della presente Convenzione, il Comitato
dei Ministri del Consiglio d’Europa potrà, di sua iniziativa e su proposta
del Comitato permanente, e previa consultazione delle Parti, invitare
tutti gli Stati non membri del Consiglio d’Europa che non abbiano
partecipato all’elaborazione della Convenzione, nonché la Comunità
europea ad aderire alla presente Convenzione, tramite decisione presa
con la maggioranza prevista all’articolo 21, cpv. d. dello Statuto del
Consiglio d’Europa, e all’unanimità dei voti dei rappresentanti degli Stati
contraenti aventi il diritto di partecipare al Comitato dei Ministri.
2. Per ogni Stato aderente o la Comunità europea, la Convenzione
entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un
periodo di tre mesi dalla data del deposito dello strumento di adesione
presso il Segretario Generale del Consiglio d’Europa.
Articolo 23 - Applicazione territoriale
1. Ogni Stato può, all’atto della firma o al momento del deposito
del proprio strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di
adesione, designare il territorio o i territori ai quali verrà applicata la
presente Convenzione.
2. Ogni Parte può, in qualunque momento successivo, con
dichiarazione indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa,
estendere l’applicazione della presente Convenzione ad ogni altro
territorio designato nella dichiarazione, di cui essa assicuri le relazioni
Internazionali o per il quale sia abilitata a stipulare. La Convenzione
entrerà in vigore nel confronti di tale territorio il primo giorno del mese
successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data di ricevimento
della dichiarazione da parte del Segretario Generale.
3. Ogni dichiarazione fatta in virtù dei due paragrafi precedenti
87
potrà essere ritirata, per quanto riguarda il/i territorio/i indicato/i nella
dichiarazione, mediante notificazione indirizzata al Segretario Generale.
Il ritiro avrà effetto il primo giorno del mese successivo allo scadere di un
periodo di tre mesi dalla data di ricevimento della
notifica da parte del Segretario Generale.
Articolo 24 - Riserve
Non può essere formulata alcuna riserva alla presente Convenzione.
Articolo 25 - Denuncia
1. Ogni Parte può, in qualunque momento, denunciare la presente
Convenzione indirizzando una notificazione al Segretario Generale del
Consiglio d’Europa.
2. La denuncia avrà effetto a partire dal primo giorno del mese
successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data di ricevimento
della notifica da parte del Segretario Generale.
Articolo 26 - Notifiche
Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa notificherà agli Stati
membri del Consiglio, a tutti i firmatari, a tutte le Parti e a ogni altro
Stato, o alla Comunità europea, che sia stato invitato ad aderire alla
presente Convenzione:
a) ogni firma;
b) il deposito di ogni strumento di ratifica, di accettazione, di
approvazione o di adesione;
c) ogni data di entrata in vigore della presente Convenzione,
conformemente agli articoli 21 o 22;
d) ogni emendamento adottato conformemente all’articolo 20 e la
data in cui tale emendamento entra in vigore;
e) ogni dichiarazione formulata in virtù delle disposizioni degli
articoli 1 e 23;
f) ogni denuncia fatta in virtù delle disposizioni dell’articolo 25;
g) ogni altro atto, notifica o comunicazione che abbia riferimento alla
presente Convenzione.
In fede di che, i sottoscritti, all’uopo debitamente autorizzati, hanno
firmato la presente Convenzione.
Fatto a Strasburgo, il 25 gennaio 1996, in francese e in inglese,
entrambi i testi facendo ugualmente fede, in una sola copia che sarà
88
depositata negli archivi del Consiglio d’Europa.
Il Segretario Generale del Consiglio d’Europa ne comunicherà copia
munita di certificazione di conformità a ciascuno degli Stati membri
del Consiglio d’Europa, agli Stati non membri che hanno partecipato
all’elaborazione della presente Convenzione, alla Comunità europea e ad
ogni Stato invitato ad aderire alla presente Convenzione.
89
Appendice 3: Il tutore dei minori in Italia ed in Europa
LA PUBBLICA TUTELA DEI MINORI IN ITALIA – REGIONI
Vedi grafico 1
h t t p : / / w w w. c e n t ro d i r i t t i u m a n i . u n i p d . i t / t u t o re m i n o r i /
webuptm/02_materiali/docs/normativa/nazionale/tab-sinottica-legislitalia.pdf
LA PUBBLICA TUTELA DEI MINORI IN EUROPA
Vedi grafico 2
h t t p : / / w w w. c e n t ro d i r i t t i u m a n i . u n i p d . i t / t u t o re m i n o r i /
webuptm/02_materiali/docs/normativa/nazionale/tab-sinottica-legislinternazionale.pdf
Grafico1
90
Grafico2
91
92
93
INDICE
95
Parte prima
La Fondazione Il Forteto: storia, finalità, iniziative
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La nascita della Fondazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le proposte di modifica della legislazione italiana per l’affido dei minori . .
Conoscere il Forteto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le relazioni familiari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L’impegno nella scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L’apertura verso l’Europa ed i nuovi progetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il Forteto: una bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5
6
7
12
14
17
20
24
Parte seconda
La tutela dei minori: uno studio comparato sull’affidamento familiare in Europa
1.
2.
3.
4.
5.
Organizzazione e scopo della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tribunali e servizi sociali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le procedure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il ruolo degli esperti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Aspetti critici e conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
29
31
36
40
45
Appendice 1: La “Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia” . . . . . 53
Appendice 2: La “Convenzione Europea sull’esercizio dei Diritti dei Minori” 78
Appendice 3: Il tutore dei minori in Italia ed in Europa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
97
Della Collana “I Quaderni” del CESVOT sono pubblicati:
1 Lo stato di attuazione del D.M. 21/11/91 e successive modifiche
Relazione assemblea del seminario
2 Volontari e politiche sociali: La Legge regionale 72/97
Atti del Convegno
3 Gli strumenti della programmazione nella raccolta del sangue e del plasma
Cristiana Guccinelli - Regina Podestà
4 Terzo settore, Europa e nuova legislazione italiana sulle Onlus
Cristiana Guccinelli - Regina Podestà
5 Privacy e volontariato
Regina Podestà
6 La comunicazione per il volontariato
Andrea Volterrani
7 Identità e bisogni del volontariato in Toscana
Andrea Salvini
8 Le domande e i dubbi delle organizzazioni di volontariato
Gisella Seghettini
9 La popolazione anziana: servizi e bisogni - la realtà aretina
Roberto Barbieri - Marco La Mastra
10 Raccolta normativa commentata - Leggi fiscali e volontariato
Stefano Ragghianti
11 Oltre il disagio - Identità territoriale e condizione giovanile in Valdera
Giovanni Bechelloni - Felicita Gabellieri
12 Dare credito all’economia sociale
Strumenti del credito per i soggetti non profit
Atti del convegno
13 Volontariato e Beni Culturali
Atti Conferenza Regionale
98
14 I centri di documentazione in area sociale, sanitaria e sociosanitaria:
storia, identità, caratteristiche, prospettive di sviluppo
Centro Nazionale del volontariato, Fondazione Istituto Andrea Devoto
15 L’uso responsabile del denaro
Le organizzazioni pubbliche e private nella promozione
dell’economia civile in toscana
Atti del convegno
16 Raccolta normativa commentata- Leggi fiscali e volontariato
Stefano Ragghianti
17 Le Domande e i Dubbi delle Organizzazioni di Volontariato
Stefano Ragghianti - Gisella Seghettini
18 Accessibilità dell’informazione
Abbattere le barriere fisiche e virtuali nelle biblioteche e nei centri di
documentazione
Francesca Giovagnoli
19 Servizi alla persona e volontariato nell’Europa sociale
in costruzione
Mauro Pellegrino
20 Le dichiarazioni fiscali degli Enti non Profit
Stefano Ragghianti
21 Le buone prassi di bilancio sociale nel volontariato
Maurizio Catalano
22 Raccolta fondi per le Associazioni di Volontariato.
Criteri ed opportunità
Sabrina Lemmetti
23 Le opportunità “finanziare e reali“ per le associazioni
di volontariato toscane
Riccardo Bemi
24 Il cittadino e l’Amministrazione di sostegno
Un nuovo diritto per i malati di mente (e non solo)
Gemma Brandi
99
25 Viaggio nella sostenibilità locale: concetti, metodi, progetti
realizzati in Toscana
Marina Marengo
26 Raccolta normativa commentata. Leggi fiscali e volontariato
Stefano Ragghianti
27 Le trasformazioni del volontariato in Toscana
2° rapporto di indagine.
Andrea Salvini e Dania Cordaz
Progetto grafico
, Pontedera