350 KB - fncrsi
Transcript
350 KB - fncrsi
CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE 1945 Introduciamo alcuni, per così dire, “Intermezzi” a questa nostra controinformazione, presentando una scelta di cinque argomenti-avvenimenti, quattro dei quali correlati direttamente o indirettamente agli eventi della misteriosa morte di Mussolini. Il I° Intermezzo affronta alcune considerazioni su le circostanze che portarono alla cattura del Duce dietro una probabilissima responsabilità tedesca. Si avrà così anche modo di considerare le situazioni e gli uomini che si trovarono sull’ultima strada del Duce, lastricata di spie, strani connubi trasversali tra una Repubblica, che sconfitta andava morendo, mentre nuove autorità ne subentravano. Con il II° intermezzo, racconteremo i particolari riguardanti una incredibile mattinata (e il preambolo della sera precedente) del 28 aprile 1945 con Walter Audisio e Aldo Lampredi partiti da Milano per arrivare prima a Como e quindi a Dongo. Vagliando attentamente i resoconti e le testimonianze ed applicando una semplice logica, avremo la prova di come, in quegli eventi, alcuni ordini e certe vicende sono state ben diverse da come ce le hanno raccontate. Il III° intermezzo è uno studio per verificare le contraddizioni e quanto si sa dei movimenti, assurdi e irreali, ancora in quella fatidica mattina del 28 aprile, per i partigiani che hanno nascosto Mussolini e la Petacci nella casa di Bonzanigo. Al IV° intermezzo riporteremo una ricostruzione sulle scellerate ore in cui a Dongo, il colonnello Valerio, con criminale pressappochismo, scelse e selezionò i nominativi dei prigionieri da fucilare ben sapendo che la Petacci era già morta. Infine, con il V° intermezzo spenderemo due parole sul lungo cammino che storici, ricercatori e giornalisti hanno percorso dal 1945 ad oggi per far luce su quelle vicende. Vedremo così come, tra autentiche bufale, mitomanie, inesattezze e tanta confusione, si è pur ottenuto qualche piccolo passo verso la verità. Attenzione, queste ricostruzioni degli avvenimenti sono importanti perchè, se la confusione delle testimonianze, lacunose e contraddittorie, non consente di accertare quanto veramente accadde in determinati eventi, applicando qui una certa logica, valutando quello che avremmo dovuto trovare, se tutto fosse in regola, e invece non c’e, costatando quanto sia assurdo come ci si vorrebbe far credere per l’andamento di certi fatti, si può intuire, indirettamente, che esiste un altra verità. Si potrebbe obiettare che non ci sono prove per attestare quanto si potrà dedurre dalla ricostruzione ragionata di certi avvenimenti ovvero che pur bisogna considerare il caos e gli imprevisti di quelle ore, ma comunque, e ancor più oggi a oltre sessant’anni di distanza, non è possibile fare diversamente e del resto neppure la “Versione ufficiale” può vantare prove documentate, anzi tutt’altro. 221 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 I° Intermezzo La cattura del Duce: tradimento tedesco e spie Sebbene non sia ancora possibile provare con documenti alla mano, le responsabilità tedesche nella cattura del Duce il 27 aprile 1945 a Dongo e che pur un pò tutti sospettano, qualche parola su quegli avvenimenti va spesa. Se, infatti, si potesse fare chiarezza in quella torbida vicenda cambierebbero molti aspetti, fino ad oggi conosciuti e tramandatici dalla storiografia resistenziale, che ci descrivono come, un pugno di eroici partigiani della 52a Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”, distaccamento “Puecher”, male armato, ma audace e scaltro, mise nel sacco tedeschi e fascisti. Il Duce, come noto, venne fermato su di un camion tedesco a Dongo dove tentava di raggiungere la Valtellina o proseguire verso Merano, passando il blocco partigiano. E’, in ogni caso, appurato il tradimento di Wolff 1 rispetto alla RSI, visto che questi trattò da tempo e conseguì con gli Alleati la resa delle forze armate tedesche in Italia, all’insaputa di Mussolini. E in quelle trattative è difficile credere che non si parlò di Mussolini. Del resto recenti ricostruzioni storiche, con una certa fondatezza, hanno addirittura ipotizzato che anche durante l’8 settembre del ‘43 ci fu, da parte delle alte autorità tedesche nel nostro paese, un certo connubio sottobanco con il Regno d’Italia ed all’insaputa di Hitler, cosa questa che consentì a Vittorio Emanuale III di svignarsela con facilità mentre forse, in cambio, Mussolini fu stranamente dimenticato, da Badoglio, al Gran Sasso. Erano i sotterfugi e le idee brillanti di quell’ala militare e politica, che in Germania con il peggioramento delle sorti belliche tendeva a divenire filo occidentale, al tempo impersonata qui da noi da Kesserling, dall’ambasciatore Rahn, ecc. e in Germania da Himmler (e quindi anche dal generale delle SS Wolff che venne in Italia a febbraio del 1943). E’ noto poi che moltissime autorità e gerarchie militari germaniche le ritroveremo nel dopoguerra subito inquadrate e sotto copertura dell’OSS americano e funzionali agli interessi occidentali, facendo quindi presupporre un contatto di vecchia data. Certamente il Duce, della possibilità di una resa tedesca in Italia, ne aveva percepito delle avvisaglie e ne aveva anche avuto delle informative, ma non poteva certo immaginare che le trattative avrebbero avuto una tale conclusione repentina e segreta spiazzando completamente gli italiani. Fu quindi un tradimento, quello del raggiunto accordo di resa con gli Alleati (resa che venne poi firmato qualche giorno dopo), appreso dai fascisti all’Arcivescovado nel pomeriggio del 25 aprile 1945, che forse a Mussolini avrebbe potuto anche non dispiacere troppo, visto che moralmente e operativamente poteva credere di aver ottenuto una certa libertà di azione rispetto ai tedeschi, ma che di fatto condizionò e pregiudicò ogni possibilità di manovra di sganciamento militare dei fascisti in quelle ore fatali dal 25 al 27 aprile 1945. 1 Karl Friedrich Otto Wolff , nato il 13 maggio 1900 raggiunse il grado di SS-Obergruppenführer e Generale delle Waffen-SS. Venne inviato in Italia dal febbraio del 1943 e divenne poi Governatore Militare e Comandante supremo delle SS e della Polizia nel Nord d'Italia. Negli ultimi periodi della guerra Wolff, all’insaputa del governo della RSI, negoziò la resa con gli Alleati di tutte le forze tedesche operanti in Italia, determinando, di fatto, la triste fine dei fascisti e del governo repubblicano. Al termine della guerra, venne condannato a quattro anni di prigione, ma in realtà vi trascorse una sola settimana. Nel 1962 venne però nuovamente processato per aver preso parte alle deportazioni di ebrei e condannato a quindici anni di prigione; fu rilasciato dopo sei anni per motivi di salute. Dopo la scarcerazione, Wolff continuò a vivere nella Germania Federale, dove morì nel 1984. Ha periodicamente rilasciato, dietro lauti pagamenti, varie e dubbie testimonianze. 222 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Oggi sappiamo che il progetto di resa dei tedeschi, già mediato attraverso la Curia di Milano, ma poi soprattutto definito direttamente con gli Alleati in Svizzera, era molto avanzato ed ebbe certamente una sua accelerazione in conseguenza delle ultime iniziative personali di Himmler, verso gli Alleati. Come già aveva supposto il tenente Mariani della Rodini, a latere degli accordi di resa con gli Alleati, giocati da Wolff su più tavoli e poi conclusi in Svizzera, subentrò sicuramente un suo impegno per rendere possibile la cattura di Mussolini. Non è possibile, infatti, che durante queste lunghe trattative, non si sia parlato della sorte del Duce (che tra l’altro godeva della protezione tedesca) e delle sia pur limitate forze militari fasciste della RSI. E’ prevedibile, se non certo, quindi, che in qualche modo vennero fatte promesse agli Alleati e quindi, successivamente, queste promesse, visto che il 26 e 27 aprile gli Alleati erano ancora lontani da Como, vennero mantenute con le autorità partigiane. Oltretutto, proprio nelle ultime ore dell’avventura di guerra germanica in Italia, si dovette trovare, sia da parte tedesca che partigiana, conveniente e opportuno tessere tutta una serie di intese per agevolare lo sganciamento dei tedeschi in ritirata. Una consegna diretta di Mussolini agli Alleati o ai partigiani era però da scartare, non volendo il generale tedesco Wolff apparire come un traditore e forse anche per una residua paura di Hitler la cui autorità di governo, seppur chiuso e isolato nel bunker di Berlino, nominalmente continuò fino al 30 aprile 1945. La “consegna” del Duce avvenne allora probabilmente dietro una sottile strategia a distanza che parte dal comando tedesco di Cernobbio, dove Wolff ebbe a passare in quelle ore fatidiche, e fu eseguita dal tenente Fritz Birzer, della scorta tedesca del Duce, apparentemente incaricata di proteggerlo o di non farlo fuggire all’estero. Toccò così ai distaccamenti partigiani dislocati tra Como, Domaso e Chiavenna sull’alto Lago, e forse proprio a quel centro suggeritore e coordinatore di Villa Camilla a Domaso, con l’avvocato Puccioni, Galdino Pini, i sparuti finanzieri della G.d.F., lo svizzero Hoffman, e i quattro gatti della 52 Brigata Garibaldi del Puecher, con Bellini delle Stelle, Michele Moretti, Urbano Lazzaro, ecc., il compito di raccogliere i frutti di quella promessa di consegna del Duce. Dobbiamo infatti considerare molti elementi alquanto sospetti, quali per esempio: 1. I racconti in buona parte alterati di questo tenente Fritz Birzer (Waffen SS) ultima “scorta” assegnata al Duce e quelli oltretutto anche alquanto fantasiosi del Kriminal Polizei bei Duce, tenente Otto Kisnatt (dell’SD e sempre coinvolto nella sorveglianza di Mussolini) che, guarda caso, era sparito da Milano per riapparire poi, ci hanno lasciato scritto i due nelle loro memorie, il pomeriggio del 26 aprile a Grandola (dove Mussolini si era portato momentaneamente, da Menaggio). Ma attendibili versioni asseriscono che il Kisnatt venne fermato dai partigiani il tardo pomeriggio del 26 aprile e, portato a Domaso, non si sa bene cosa disse, dove finì e che gioco dovette recitare; addirittura sembra, ma non è certo, che poi i partigiani lo portarono a Musso a partecipare alle trattative per il passaggio della colonna tedesca. Perchè, anche a distanza di anni, vennero nascosti o mistificati questi spostamenti? 2. L’arrivo provvidenziale della colonna tedesca del fantomatico tenente Willy Flamminger, passata dalla strada Regina, che da Cernobbio si snoda fino a Sorico, con meta la Valtellina e poi Merano. E’ vero che il passaggio in ritirata di una formazione tedesca, in quei momenti non era un fatto eccezionale, dobbiamo però considerare che il transito in ritirata di formazioni militari germaniche attraverso la Valtellina era stato da tempo pianificato con i partigiani dal capitano della polizia di frontiera (e oggi ritenuto traditore) 223 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Joseph Woetterl. Non possiamo quindi non mettere in conto, sia pure come semplice congettura, che – volendo – il comando tedesco di Cernobbio, aveva l’occasione di utilizzare proprio quella colonna, 2 oltretutto scarsamente armata, per farci aggregare la sparuta e disperata “colonna di Mussolini” composta da ministri, qualche agente di scorta, autisti, personale vario (addirittura alcuni con mogli e figli al seguito) e qualche fascista, oltre alla dozzina di SS di Birzer. Oltretutto dove più o meno si trovava Mussolini nel pomeriggio del 26 aprile era abbastanza noto e prevedibile e che l’arrivo della colonna con i fascisti in ritirata fosse stato avvistato e quindi atteso lo confermò, tra gli altri, anche Michele Moretti: “Al mattino, alle 7 circa, arrivò (a Sorico il 27 aprile, n.d.r.) Aldo Castelli avvisandomi che quella colonna segnalata la sera prima era arrivata a Musso”); 3. Ciò che poi desta ancor più sospetti è il comportamento, sia del tenente Birzer di scorta al Duce, che del comandante della colonna tedesca, il tenente Willy Flamminger (questo nome, mai correttamente fornito, venne confuso con persone e ruoli diversi e si indicò spesso come Hans Fallmeyer e fu stranamente e ambiguamente tenuto coperto dai tedeschi nel dopoguerra). I tedeschi, comunque, fermati a Musso con gli italiani da uno sbarramento stradale, tutto sommato sotto la mira di pochi e sparuti partigiani del luogo, 3 anche se trovatisi in posizione strategica negativa, dopo qualche sceneggiata entrarono quasi subito nell’idea di risolvere la situazione, nonostante il tempo che giocava a sfavore, attraverso trattative. Essi non optarono mai, neppure quando videro che i partigiani che si erano avvicinati a parlare la tiravano per le lunghe e non desistevano nel mantenere lo sbarramento, per una logica scelta a forzare il passaggio attraverso il combattimento. Addirittura, invece, il comandante tedesco, perso già un bel pò di tempo, accetta di recarsi con i capi partigiani, nel frattempo sopraggiunti, al loro sedicente e non vicino comando di Chiavenna o Morbegno per trattare il passaggio della colonna. Quindi, tranquillo, parte con una camionetta con costoro, sta via alcune ore (che è difficile, sia quantificare che dettagliare esattamente in quel che accadde e con chi si incontrò, perchè tutti i resoconti sono contraddittori, romanzati o reticienti) e si accorda poi per far passare solo i tedeschi perché “convinto” che non ci sia altro da fare in quanto la strada è minata e presidiata da ingenti forze partigiane; 4. Ed infine ecco il gran finale, con Mussolini invitato, proprio dai tedeschi, a salire su di un loro camion per passare, camuffato da tedesco, un concordato controllo partigiano e poi, una volta scoperto su quel camion (o fatto scoprire!), viene immediatamente scaricato nella più completa indifferenza, senza che il “mastino” Birzer muova un dito, mentre fino a poco prima era sotto la sua tutela, ossessiva ed esagitata. Del resto delle due l’una: 2 Si trattava di una colonna di vari autocarri in ritirata, per lo più composta di civili militarizzati (in genere personale tecnico) e reparti dell’Aereonautica e della Marina (regimento di intercettazione radaristico), privi di armamento pesante. E’ difficile valutarne la consistenza numerica, ma doveva contare poco più di 160 elementi (ai quali andrebbero aggiunti una dozzina di tedeschi della scorta di Birzer). Passò provvidenzialmente da Cernobbio il pomeriggio del 26 aprile ’45. 3 In quel momento non era neppure presente il cosiddetto comandante della 52a brigata, il Bellini Pedro, nè il commissario politico Moretti Pietro, e neppure il vicecommissario Urbano Lazzaro Bill, nè tantomeno il cosiddetto “capo di stato maggiore” Luigi Canali capitano Neri. Il presidio locale di partigiani era nelle mani di un certo capitano degli alpini Davide Barbieri, anche se definito uomo pratico e capace. 224 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 o il comandante tedesco, per passare, si era accordato per un generico controllo dei documenti, ed allora non è credibile che i partigiani siano saliti sui camion toccando e spogliando i soldati tedeschi alla ricerca di italiani (i partigiani della 52a Brigata erano poche decine, più elementi dei luoghi circostanti, arrivati all’ultim’ora e pronti a scappare al primo echeggiare di uno sparo) quindim in questo caso, il Duce è stato segnalato!; oppure erano stati concordati e previsti accurati controlli ed allora fece salire Mussolini sul camion ben sapendo che lo avrebbero scoperto! Ma tornando indietro nel tempo ci accorgiamo che i connubi, tra tedeschi di stanza in Italia e gli Alleati e i partigiani, sono di più vecchia data. Con l’approssimarsi della fine della guerra ed il ripiegamento militare verso le frontiere del nord Italia, ovviamente queste collusioni si intensificarono, in particolare proprio nelle località che furono letali per l’agibilità e l’operatività del governo di Mussolini. Il tutto ovviamente sempre nascosto al Duce, così come per le iniziative di resa, anche dall’ambiguo ambasciatore tedesco Rudolf Rahn facente parte di questi intrallazzi. Chi non conosce il colonnello Eugene Dollmann, quello che in pratica agiva da ufficiale di collegamento tra Wolff e von Wietinghoff (comandante dell’esercito tedesco in Italia che sostituì Kesserling), ma che era anche in contatto con gli Alleati e con i partigiani? E che dire del già citato Joseph Woetterl (si disse anche che era mezzo ebreo) di cui sembra accertato un suo connubio con l’OSS (il servizio segreto americano)? A questi signori si può aggiungere il tenente Zimmer, capo del controspionaggio tedesco di Milano che ebbe una notevole parte nelle trattative di resa con gli Alleati; quindi un altro doppiogiochista: il tenente colonnello di cavalleria Gherard Pretzell di un servizio di informazione tedesco di Cernobbio (amico di Bruno Puccioni di villa Camilla!) che, oltre ad operare in posizioni strategiche, negli ultimi tempi era andato proprio ad abitare sulla Lariana di Lecco a nord di Blevio e di fronte a Moltrasio. Interessante è anche la posizione di Bayerlee (figlio di un tedesco e di una italiana), segretario particolare del generale Leyers, capo del RUK (Rustung Und Kriegsproduktion), dato in connubio con il CLN comasco. Ma lo stesso generale Leyers ha anche un autista, tale Angelo Zanessi Zehnder, alias ZZ, definito vero e proprio avventuriero della seconda guerra mondiale, che ebbe vari incontri con i capi partigiani del comasco e provvide anche a rifornirli di armi (sembra, non si sa come, che lo ritroveremo nella colonna Mussolini fermata a Musso). Orbene, tutte queste personalità (ed altre ce ne sarebbe da citare) furono forse ininfluenti nelle ultime vicende che portarono Mussolini catturato a Dongo? Spie multicolori Ma di spie multicolori, non solo tedesche, ce ne sarebbe da citare tante, soprattutto quelle sparse tra il lago di Como e la Svizzera, dove operavano innumerevoli agenti dei servizi informativi, uomini e donne, di svariate nazioni, spesso in possesso di radio ricetrasmittenti clandestine e a volte trafficanti su più sponde, in cui però l’Intelligence Service inglese e l’OSS americano la facevano da padroni. Solo gli americani in Alta Italia contavano almeno 22 missioni le quali, oltre ad estesi contatti con la popolazione dei luoghi, avevano anche rapporti con un gran numero di persone di nazionalità inglese e americana residenti in ville e la cui permanenza e movimento veniva stranamente tollerata dalle autorità italo – tedesche probabilmente per vari motivi di opportunità e tornaconto. Alti ufficiali inglesi, oltretutto, furono ospiti spesso di famiglie amiche nella stessa Milano. 225 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Ma ancor di più: nella zona di Tremezzo, punto focale di tutti quegli avvenimenti, vi era la villa dell’inglese Landels in contatto con le Special Force. Poco più su, in un'altra villa, addirittura a circa 700 metri da casa De Maria (!!), c’era Sir James Henderson, imprenditore e importante uomo d’affari nonchè già fondatore in Italia dei Rotary Club (circoli da molti ritenuti massonici) cugino di quel Neville Henderson ex ambasciatore a Berlino, a suo tempo molto ben visto dagli stessi tedeschi. Ed infine citiamo il colonnello Galdino Pini chiamato a Domaso dall’avvocato Puccioni, proprio quel pomeriggio del 26 aprile e che molti indizi lo fanno sospettare come il vero coordinatore, ispirato dal Puccioni, di tutti i contatti tra i partigiani ed i tedeschi in quelle fatidiche ore che precedettero l’arresto del Duce. Non è difficile ipotizzare tra tutte, o alcune, di queste ambigue componenti una sottile rete di contatti e di cointeressenze che avrebbero potuto stringere Mussolini in una tragica morsa. Mussolini, in pratica abbandonato da molti arriva, la sera del 25 aprile, in quel di Como dove trova il bell’ambientino del prefetto Celio (in discrete trattative con le future autorità cielleniste al fine di defilarsi con un trapasso indolore dei poteri). A Como esagerano, si agitano e dipingono situazioni catastrofiche e di imminente pericolo: l’invito neppure troppo nascosto è quello che sarebbe meglio per il Duce lasciare subito la città. Da qui il Duce, che già aveva preso la decisione di non farsi imbottigliare nelle grandi città e di non trasformarle in teatri bellici, parte per l’alto Lago in una situazione tutta attorno di insurrezione, tra genti di quei luoghi dove pullulano ville e basi di contrabbandieri, servizi segreti nemici e quant’altro, mentre i pochi e sparuti presidi militari sufficientemente ancora organizzati sono quelli della Guardia di Finanza da tempo in collusione con il CLNAI e gli Alleati e nelle ultime ore passati armi e bagagli dalla loro parte. Il seguito del Duce, con ministri e molti con familiari appresso, si disorienta ben presto, alcuni come i Buffarini e i Tarchi cercano di varcare il confine svizzero, altri come Amicucci si defilano discretamente. Del resto Mussolini, è oggi provato è accettato dagli storici, tiene fermo su un punto: la sua irremovibile volontà di non espatriare. Ma non può prospettare alternative, programmi concreti; il disorientamento e lo sconcerto, in quelle ore aumenta. I capi fascisti che poi, mano a mano stavano giungendo a Como con qualche migliaio di gregari, non furono all’altezza della situazione e più che altro il desiderio che tra loro serpeggiava era quello di conseguire qualche genere di resa che, magari, contemplasse anche una garanzia di salvezza per Mussolini. Pavolini e Vezzalini, in un eroico gesto d’amore verso il Duce lo raggiunsero, praticamente senza un numero adeguato di armati, e sia pure in circostanze diverse vi trovarono la morte. Altri (Costa, Colombo, Romualdi, ecc.) si fecero invischiare in Como in assurde trattative, con le ore che passavano e rendevano sempre più pericolosa la situazione dei fascisti così sbandati ed esposti ad inevitabili e barbare ritorsioni. Il professor Giuseppe Parlato, nel suo ben documentato Fascisti senza Mussolini - Le origini del neofascismo in Italia 1943-1948, Ed. Il Mulino 2006, ci informa che, per esempio, Pino Romualdi era in contatto con l’OSS americano da prima della fine della guerra! E’ vero che a voler essere eccessivamente benevoli, forse date le sue funzioni, per il Romualdi poteva anche essere “d’ufficio” un contatto del genere, ma se a quella indecente resa del 27 aprile a Como a cui pur contribuì, vi aggiungiamo il comportamento politico di costui, che nel dopoguerra fu tra coloro che traghettarono i fascisti repubblicani verso quel destrismo e quel filo atlantismo che ne snaturò ogni presupposto politico ed ideologico voluto da Mussolini con la RSI e finì per porre quasi tutto un certo ambiente neofascista subordinato alle forze più retrive e conservatrici del paese e, peggio ancora, al servizio degli americani nostri colonizzatori, cosa dobbiamo pensare di quella resa ? 226 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 II° Intermezzo La strabiliante mattinata di Valerio e Guido Questa strabiliante mattinata, con il prologo della notte precedente, che stiamo per raccontare, trascorsa da Valerio alias Walter Audisio e Guido alias Aldo Lampredi da Milano a Como ed infine arrivati, dopo le 14, a Dongo il 28 aprile 1945, rappresenta un altro caso emblematico di come si sia (volutamente) ingarbugliata e resa quasi imperscrutabile la ricostruzione degli ordini dati e ricevuti, degli orari di quelle cronache e degli eventi succedutisi collezionando, oltretutto, un’infinità di testimonianze, spesso modificate successivamente e comunque inattendibili o contraddittorie. Eppure proprio il poter chiarire l’esatto svolgersi degli avvenimenti in quella mattina, appurando anche le finalità degli ordini emanati dal Comando generale del CVL, consentirebbe, a cascata, di svelare il mistero della morte di Mussolini. Noi ci atterremo ad una ricostruzione che possa reggere alla luce delle testimonianze meno contraddittorie e della logica di quella giornata, ma anche qui, siamo alle solite: dobbiamo muoverci in uno scenario disegnato più che altro dalla retorica resistenziale, in cui molti elementi importanti sono stati sottaciuti o artefatti e, quindi, prendere per buono quello che invece è quantomeno dubbio. Il fatto è che il quadro complessivo di quelle cronache è più o meno quello che ci è stato tramandato (non potendo supporre, tra tante attestazioni e ricordi vari, un mentire collettivo), ma all’interno di quegli avvenimenti ci sono due o tre varianti e qualche mistificazione, che riguardano proprio gli eventi decisivi che hanno determinato una diversa morte di Mussolini. E queste varianti le conoscono pochissime persone le quali hanno ovviamente mantenuto un silenzio tombale. Dunque, la mattina del 28 aprile, verso le ore 7, il tristemente famoso ragionier Walter Audisio partì da Milano su incarico del CVL, e dicesi con pieni poteri conferitigli dal CLNAI e tanto di lasciapassare in lingua inglese, intestato al Colonnello Valerio alias Giovanbattista Magnoli, e firmato dal capitano Emilio Daddario dei servizi segreti degli Stati Uniti, giunto appositamente da Lugano (Svizzera) in quei giorni. 4 Ufficialmente Walter Audisio, alias Valerio, dovrebbe prelevare il Duce e i ministri prigionieri a Dongo, e tradurli a Milano. Qui arrivati si dovrebbe intendere che Mussolini sia consegnato agli Alleati in base agli accordi previsti dalla clausole armistiziali imposte al 4 E’ bene sapere che di questo lasciapassare, in lingua inglese, se ne venne a conoscenza solo nel 1947. Esso diceva: <<Mi. on, April 28th 1945. Colonel Valerio (otherwise known as Magnoli Giovambattista di Cesare) is an italian officer belogging to the General Command of the Volonteers of Liberty. He is sent on a mission by the National Liberation Committe for Northern Italy in Como and its province and must thereofre be allowed to circulate freely with his armed escort. E. Q. Daddario Captain>>. Valerio ha anche un altro lasciapassare con il nome autentico di Walter Audisio, di Ernesto, attestante che porta indosso una carta di identità intestata a Magnoli Giovanbattista ed è firmato da Cadorna. Gli è stato consegnato dal capo di Stato Maggiore colonnello Palombo. Ed ancora, ha un ulteriore lasciapassare per Magnoli Giovan Battista, di Cesare, conosciuto come colonnello Valerio, con incarico di collegamento. Non porta firme ed ha due timbri del CVL ed è probabilmente relativo ai giorni dell’insurrezione. 227 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 governo italiano e da questo sottoscritte. Per questo, si dice, il Daddario firmò il lasciapassare (risultato poi decisivo a Como), su intercessione di Cadorna. 5 Lo accompagna Aldo Lampredi (Guido), esponente comunista al Comando del CVL, di provata esperienza e, come oggi sappiamo, ex agente del Comintern, affiancatogli al momento di partire con un incarico di partito 6 e apparentemente, ma solo apparentemente, subordinato al comando di Valerio. 7 Regista di questa spedizione, dalle segrete finalità omicide, è Luigi Longo, desideroso di sottrarre il prezioso prigioniero agli Alleati, mentre Cadorna sembra muoversi, almeno formalmente, per un incarico di traduzione dei prigionieri a Milano. In definitiva, nel mare di inesattezze e contraddizioni, rilasciateci dai vari Longo, Cadorna, Sardagna, Audisio, Lampredi e compagnia bella, si ricava un confuso quadro di quella notte dove vi furono una serie di ordini strampalati, piani e progetti contraddittori, palesi o riservati, elaborati da vari personaggi e autorità e finalizzati sia ad andare a prendere Mussolini e portarlo a Milano e sia discretamente a fucilarlo sul posto. Fermo restando che mentre Longo (con i compari Pertini, Sereni e Valiani del Comitato Insurrezionale) erano e si mossero, senza dubbio, in funzione di una immediata uccisione del Duce, i movimenti e le vere intenzione di tutti gli altri sono avvolti in un alone di ambiguità. Questa confusione ha fatto si che siano state prodotte una infinità di cronache diverse, con fantomatici piani di salvataggio del Duce, ovviamente abortiti, quasi tutte inattendibili. Cominciamo con il dire che, oltretutto, non è mai stato possibile stabilire con certezza l’orario preciso in cui effettivamente arrivarono a Milano le notizie del fermo di Mussolini (addirittura si oscilla tra dopo le 16,30 e le 18,30 del 27 aprile quando il brigadiere della G. d. F. Antonio Scappin Carlo, utilizzando le linee telefoniche della Società Idroelettrica Comacina, da Gera Lario si mise in collegamento con l’Azienda elettrica Comunale Milanese e qui la notizia fu poi riferita ad un sottufficiale della finanza convocato sul posto, il quale in bicicletta raggiunse la Prefettura dove si trovava il suo comandante). 5 La sera tarda del 27 aprile, la missione americana del capitano Daddario, che aveva appena recuperato il maresciallo Rodolfo Graziani a Cernobbio, raggiunse Milano e si mise in contatto con il Comando Generale CVL in via Brera. Qui Cadorna aveva già disposizioni dagli Alleati per Mussolini. La leggenda dice che essendo da tempo stabilita una consegna di Mussolini agli Alleati, gli americani si attendevano questa consegna ed all’uopo avevano alcune missioni organizzate, mentre gli inglesi, invece, sotto banco si adoperavano per farlo fuori, ma tutte queste considerazioni non sono da prendere per oro colato. Non si conoscono neppure le vere intenzioni di Cadorna nei cui uffici, forse intorno alla mezzanotte del 27 aprile, si presentarono Audisio e Lampredi incaricati della storica missione. Contraddittorie sono le testimonianze di tutti costoro e resta veramente difficile stabilire cosa sapeva e voleva fare Cadorna e perchè alcune sue disposizioni sembra che ebbero a cambiare radicalmente in quelle ore. 6 Come vedremo dalla “relazione di Lampredi” questo incarico di partito è chiaramente quello di spianare tutte le strade onde fucilare sul posto Mussolini e gli altri gerarchi. Resta problematico stabilire se anche Valerio Audisio sappia di questa decisione di morte al momento della partenza, cosa questa che stride, con molte testimonianze raccolte in seguito e con la sua ossessiva ricerca di un camion per il trasporto dei prigionieri (anche se avrebbe pur dovuto usarlo per riportare indietro i cadaveri da scaricare a piazzale Loreto). Comunque la questione di quando Valerio sia venuto a conoscenza dell’esatto compito omicida resta aperta e la sua vera missione alquanto nebulosa. 7 Di fatto, in qualunque momento, Aldo Lampredi avrebbe potuto imporsi ad Audisio visto che era il viceComandante delle Brigate Garibaldi, aveva una più alta autorità nel partito comunista e, fatto non indifferente, contava un forte legame con Riccardo Mordini Alfredo (capo scorta del plotone dell’Oltrepò) che ad Audisio era invece sconosciuto. 228 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Qui il Comando Regionale Lombardo della Finanza del colonnello Alfredo Malgeri ne diffuse subito la notizia. 8 E’ ovvio e sicuro, anche se non è possibile attestarlo, che staffette arrivarono poi in serata a Como e da qui a Milano al partito comunista. Scrisse poi Audisio che, ancor prima che Mussolini venisse catturato a Musso: “Alle 3 del pomeriggio del 27 aprile il comando generale si riunì al completo nell’ufficio di Cadorna ed un ora dopo venni chiamato per ricevere l’ordine di interessarmi subito, con tutti i mezzi disponibili, per avere notizie precise sull’itinerario seguito dalla colonna fascista.” E Luigi Longo scrisse anche, a proposito di quelle prime riunioni: “Avemmo, tra i componenti del comando generale, uno scambio di opinioni sulla sorte da riservare a Mussolini, se fosse stato catturato dai partigiani – lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi storiche, fu la risposta”. E’ invece di un certo interesse e stupisce la notizia che a Como, al barone Giovanni Sardagna (che ha da poco preso il comando della piazza) arrivò una indicazione (o un fonogramma) del Comando Generale del CVL di Milano così concepito: “Tradurre Mussolini e gerarchi a Milano il più presto possibile. Evitare di sparare in caso di fuga”. Fu questa una manovra diversiva per preparasi un alibi in vista della probabile uccisione del Duce, oppure ci furono effettivamente delle forze che tentarono di farlo arrivare vivo a Milano? E avvenne effettivamente che Riccardo Lombardi, in questo senso, tenne verso il CVL, un primo silenzio sulla cattura del Duce? Sembra, si dice, ma non è possibile attestarlo con certezza e quindi non lo sapremo mai. Viceversa, intorno alle 19, ci furono una serie di idee e proposte al Comando generale (compreso Audisio), dove in pratica si ipotizzava di andare a prendere Mussolini a Dongo facendo capire di doverlo uccidere simulando un suo tentativo di fuga. Sembra che furono fatte anche al colonnello Malgeri della Guardia di Finanza che ebbe a reclinarle. Comunque sia, altre notizie su Mussolini prigioniero e più o meno dettagliate arrivarono nelle ore successive e sembra che verso le 21,30 Cadorna da Milano e Sardagna da Como si sentirono telefonicamente. Intorno alle ore 23 circa, poi, tramite il tenente colonnello Luigi Villani della G. d. F. arrivò da Como, via Menaggio, un messaggio che precisava meglio la notizia dell’arresto del Duce, indicando anche che il suddetto era stato portato nella vicina (di Dongo) casermetta della guardia di finanza di Germasino. E Luigi Longo quando e da chi fu informato? Non è dato saperlo con certezza, ma si può accettare il fatto che, in quei caotici momenti e nelle località tra Como e l’alto Lago, le uniche strutture organizzate e di una certa efficienza erano quelle del partito comunista, oltre a spezzoni della Guardia di Finanza, e quindi gli elementi dirigenti del partito tra Dongo e Como non possono certo essere rimasti con le mani in mano. Certo è che, forse a tarda sera, venne presa la decisione e quindi data indicazione al comando della 52a Brigata di Dongo di tradurre Mussolini in un posto sicuro e segreto. Chi diede quest’ordine non si sà, ma non può essere andata diversamente. 8 La storia (o la leggenda) racconta che quando, poco dopo le 18, la notizia arrivò in Prefettura a Milano, dove era in corso un colloquio tra il colonnello della G. d. F. Malgeri e Riccardo Lombardi, neo Prefetto azionista, quest’ultimo si alzò con il volto illuminato e gli strinse calorosamente la mano congratulandosi con il colonnello. L’asse di collegamenti che si crearono in quelle ore era: il brigadieri della G. d. F. Scappin da Gera Lario → il tenente colonnello della G. d. F. Villani da Menaggio → Sardagna da Como → il Comando generale CVL (Cadorna) a Milano. 229 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Se, infatti, il momentaneo trasferimento in serata di Mussolini a Germasino è una decisione che può essere stata presa in loco dai partigiani di Dongo (forse su suggerimento dell’avvocato Puccioni che alcune cronache c’è lo danno indaffarato a coordinare certe situazioni, magari in riferimento al recupero dei preziosi documenti del Duce), quella della traduzione di Mussolini in luogo distante e segreto è una decisione che deve forzatamente essere venuta da alte autorità fuori da Dongo. Come e perchè fu poi accoppiata al Duce anche la Petacci e se quest’ordine sorse sul posto o venne da fuori è un altro bell’indovinello, non essendo infatti credibili i romanzetti rosa di Pedro (il Bellini) in merito a questa decisione. Chi diede queste disposizioni? Non è dato saperlo, ma sappiamo che poi agirono e misero in opera il trasferimento tre personaggi eterogenei del comando della 52a Brigata: Pedro (Bellini), Neri (Canali) e Pietro (Moretti). Comunque sia sembra che Longo, verso sera, quando ebbe notizie più precise sulla cattura di Mussolini si recò in Prefettura dove era riunito il CLNAI e trovatovi qui il Pertini (altre versioni invece dicono che Longo e Pertini venivano dalla sede dell’EIAR in Corso Sempione) tornerà con lui al Comando del CVL di via Brera. Ricorda Pertini che: “Si stabilisce chi il giorno dopo sarebbe andato a prendere Mussolini su a Dongo, questo era l’obiettivo. Non era un obiettivo diverso, come qualcuno volle far credere, l’obiettivo era di portarlo a Milano. Però questa disposizione si perdeva in parecchi distinguo. Ognuno aveva un obiettivo proprio, sicchè un vero e proprio obiettivo unico non si intravedeva”. Ma se questi accademici ricordi lasciano il tempo che trovano, in realtà Luigi Longo, d’accordo con il preoccupato Pertini (preoccupato perchè il Duce poteva essere preso dagli Alleati) e con il consenso degli altri compari del Comitato Insurrezionale Sereni e Valiani, si incaricò anche di mettere in piedi l’operazione per la soppressione sul posto del Duce al fine di evitare che potesse finire nelle mani degli Alleati. 9 Giustamente, ebbe ad osservare F. Bandini, che intorno alle ore 23 la sorte di Mussolini, condannato a morte, era definitivamente decisa. Più tardi si interpellarono, sembra da parte di Pertini e Longo, alcuni grossi Comandanti delle divisioni dell’Oltrepò dislocate in viale Romagna come Italo Pietra Edoardo, Luchino dal Verme Maino, e Alberto Mario Cavallotti Albero, proponendogli individualmente di andare a Dongo a prelevare il Duce (e magari sopprimerlo), ma questi si tirarono tutti indietro. 10 Alla fine, quando precisamente non è dato sapere, forse intorno alle ore 23, la scelta cadde su Valerio alias Walter Audisio, elemento della Segreteria a cui, proprio in quelle ore, era stato assegnato di rappresentare la polizia militare. Si narra che Audisio si recò (quando?) nell’ufficio di Cadorna lasciandoci, nelle sue memorie, questo suo sintetico ricordo: 9 Testimoniò nel 1983 al professor Guderzo, il Cavallotti Albero, riportando confidenze di Longo: “Il Mussolini e la Petacci furono esecutati, c’era l’ordine, non ordine scritto, ordine verbale. Comunque ordine dato a noi. ... I democristiani presenti, soprattutto il Marazza, si battè contro l’esecuzione di Mussolini e la Petacci (come facevano a quell’ora al CLNAI o al Comando a sapere che c’era anche la Petacci è un mistero, forse una gratuita aggiunta di Cavallotti o una confusione del discorso! n.d.r.)... Pertini perse le staffe, aveva fatto quel famoso intervento alla radio del ‘cane tignoso’ si doveva uccidere come un cane tignoso, quello lì. Però lì, lui, stranamente non ebbe il coraggio di dire di scegliere l’ordine di eseguire questa sentenza. Anche lì ci furono la massima parte di voti in si, qualcuno non votò contro, neanche il Marazza però si astenne, insomma c’erano cose di questo tipo.... Pertini disse a Longo: ‘bisogna fare qualcosa’, e Longo disse: ‘ vai a fare un giretto, ci penso io.” 10 Sembra che il padre di Alberto Mario Cavallotti, interpellato dal figlio in merito, gli disse di non fare il boia. 230 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 “Dopo rapidi scambi di opinioni tra questi e tutti gli altri membri del Comando Generale, mi venne affidata dal Comando Generale la missione di organizzare immediatamente una spedizione per recarmi a Dongo al fine di applicare, senza indugio il decreto del CLNAI contro i responsabili della catastrofe alla quale era stata condotta l’Italia”. Assegnato dunque l’incarico a Valerio/Audisio i comandanti delle divisioni dell’Oltrepò se ne ritornarono dai loro uomini in viale Romagna mentre Longo, Pertini, Sereni, Palombo, Cadorna e Audisio presero a studiare i particolari della missione: in che termini? Palesemente omicidi, magari sotto metafora, ma sempre per una eliminazione sbrigativa sul posto (cosa più probabile), o mascherati per una missione di sola traduzione dei prigionieri a Milano come, almeno formalmente, sembrava muoversi Cadorna? Ferme restando le segrete intenzioni dei tre membri del Comitato Insurrezionale, come sia andata esattamente quella faccenda non è dato sapere. Insomma non si sa se si giocò a carte scoperte e quindi anche Cadorna ne era coinvolto, oppure quest’ultimo seguiva un suo segreto piano rimasto però sulla carta. Ma tutte queste congetture non sono poi così importanti e si dipanano in un vortice di testimonianze e ricordi confusi e contraddittori, forse uno più fasullo dell’altro, perchè poi, a cose fatte, dovettero tutti, obbligatoriamente, trovare un minimo denominatore comune. Quello che però accadde, anche se non è sicuro che venne progettato in quel momento e in quella sede, fu che qualcuno ideò e spedì via radio al Quartier Generale Alleato di Siena, il famoso radiogramma fuorviante: “CVL ad AGH - spiacenti non potervi consegnare Mussolini che processato Tribunale Popolare è stato fucilato stesso posto ove precedentemente fucilati da nazifasciti quindici patrioti stop”. Si è potuto sapere chi materialmente inviò questo radio ed anche chi a Siena lo ricevette, ma non si è mai appurato chi veramente lo ha ideato e ordinato. E’ però evidente che l’invio di questa falsa informazione doveva servire a crearsi un alibi e ad avere un certo lasso di tempo a disposizione. 11 Ma torniamo a Valerio ed al suo incarico appena ricevuto che lo portò più tardi a recarsi, assieme a Lampredi, in viale Romagna dove doveva essere scelta la scorta da assegnare alla spedizione. Ricorda Codaro, Renato Rachele Codara, uno degli uomini di quella scorta: “Dormivamo quando fummo prescelti da Ciro, Piero e da qualche altro comandante che ci fece poi radunare in un salone presentandoci questo sconosciuto, per lo meno a noi, colonnello Valerio, ci doveva parlare. La diceria secondo cui Valerio era Luigi Longo è assurda. Io ho conosciuto Longo e posso escluderlo decisamente”. Dopo questa incombenza Valerio tornerà al Comando in via Brera e racconterà, descrivendosi pomposamente come un eroico solitario nella notte: “Avevo ricevuto un ordine, dovevo eseguirlo. Erano le 1,20 dopo la mezzanotte, palazzo Brera sede del Comando Generale era silenzioso. Dopo la riunione eravamo rimasti al primo piano solo il compagno Guido ed io nel mio ufficio attiguo a quello di Cadorna ed il colonnello Pieri (il colonnello Vittorio Palombo, n.d.r), aiutante in prima, nel suo studio.... 11 Quello che però, come poi vedremo (anche se non è provabile), per una serie di motivi, considerazioni politiche, opportunità ed urgenza, prevalse su tutto e mette in secondo piano anche la tanto rinomata spedizione di Valerio, fu l’allestimento (forse in prima mattinata del 28 aprile, ma la cosa era sicuramente già stata decisa fin dal momento che si pensò di affidare la missione ufficiale ad un mediocre ragioniere Audisio) di un altra spedizione, ristretta e rimasta segreta che, partita poco prima o poco dopo di Valerio, raggiunse Mussolini a Bonzanigo e lo uccise sul posto (ma di questo parleremo più avanti). 231 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Erano già passate le 4 quando salii al primo piano dal tenente colonnello Pieri.... <<ho bisogno delle carte topografiche e di conoscere le ultime notizie della zona di Dongo>>. Si dice che intorno alle 4 Valerio andrà negli uffici di Cadorna dove vi troverà anche il capitano americano Daddario che gli firmerà il famoso lasciapassare in lingua inglese forse predisposto prima. Tutti questi orari e questi incontri, comunque, si prendano con il beneficio dell’inventario perchè li si ritrovano in modo difforme da un testo all’altro, da una testimonianza all’altra. In particolare non è certo che sia proprio alle 4 del mattino l’incontro tra Valerio e Daddario e neppure se questi incontrò effettivamente il Daddario stesso. Il colonnello Pieri (Palombo) inoltre gli consegnerà anche un appunto per il colonnello Sardagna in Como: <<in relazione alla comunicazione di stanotte alle ore 1,20 circa l’arresto delle personalità fasciste si prega di voler fornire al portatore della presente, membro del Comando Generale del CVL, le ultime notizie conosciute.... ed inoltre tutte le indicazioni per raggiungere Dongo in macchina>>. Tutto sommato però questi sono particolari di secondaria importanza, anche perchè la genesi degli avvenimenti futuri e le modalità della morte di Mussolini fanno pensare che la missione di Valerio doveva più che altro essere di facciata, ovvero quella di dare una parvenza ufficiale, politica e militare, alla fucilazione dei ministri a Dongo e indirettamente a quella di Mussolini che però doveva essere eseguita da altri, a latere e in fretta. In ogni caso Audisio e compagni, ufficialmente devono recarsi a Dongo, passando per Como, onde recuperare Mussolini e gli altri gerarchi e portarli a Milano (oppure, come anche dicesi, fucilarli sul posto a seguito di un altro ordine segreto). A tal fine, come detto, Valerio ha in pratica un ordine del CVL in base ad una decisione del CLNAI, ma dell’esatta origine e soprattutto finalità di quest’ordine e del suo orario di emanazione, gli storici hanno sempre dato una diversa configurazione, tanto che nessuno è mai riuscito a stabilire con certezza se Valerio, al momento della partenza, sapesse o meno di dover uccidere il Duce sul posto o invece lo venne a sapere solo in un secondo momento, da Lampredi stesso o magari quando intorno alle 11 fece la famosa telefonata da Como al Comando di Milano. Anche qui, i resoconti e le testimonianze pervenuteci non consentono di sciogliere con certezza questo enigma, anche se, nonostante quanto poi Audisio possa aver diversamente detto, dal suo comportamento si ha l’impressione che in quel momento ancora non lo sapeva; ma altre considerazioni, la logica e la stessa relazione di Lampredi, portano a pensare il contrario, ovvero che lo sapeva benissimo, comunque, sicuramente ne era a conoscenza Guido. Comunque verso le ore 8 di quella mattina del 28 aprile, si mise in moto anche un altra cortina fumogena al fine di predisporre una veste legale a quanto si stava per compiere: Leo Valiani del Comitato Insurrezionale, infatti, si recò da Cadorna con un ordine di fucilazione di Mussolini a nome del CLNAI. 12 12 Se andiamo a vedere bene, un vero e proprio ordine del CLNAI di fucilare Mussolini non esiste ed oltretutto questo organismo non aveva neppure una evidente competenza riguardo all’emissione di una tal condanna a morte. In realtà l’ordine portato da Valiani si dice che era stato forzato anche senza consultare tutti i membri ciellenisti, ma questo se avvenne, a nostro parere, non tanto perchè ci furono forti pareri negativi a favore della fucilazione (a cui poi tutti si conformarono), quanto perchè non tutti volevano prendersi certe responsabilità. Cadorna nelle sue memorie dice che Lampredi e Valerio gli si presentarono affermando di avere un mandato del CLNAI per giustiziare Mussolini, quindi la mattina del 28 venne Valiani con lo stesso ordine. Convenne però Cadorna che il CLNAI non aveva deliberato in proposito e forse la decisione era stata presa dal Comitato Insurrezionale composto dai tre partiti di sinistra. 232 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Quest’ordine, alquanto fantomatico, fu fatto poi passare alla Storia come l’effettiva decisione del CLN, ma in realtà sembra più una messa in scena ed una convalida solo a posteriori e a cose fatte e persino ridicola. Una cosa è certa: al di la di qualche distinguo, Mussolini, morto ammazzato sul posto, faceva comodo a tutti: al PCI, ai sovietici interessati a nascondere i tanti accordi con il Regime Fascista fin dagli anni ’20, agli inglesi per la storia del Carteggio con Churchill, a Vittorio Emanuele III che vivo Mussolini, questi l’avrebbe potuto chiamare in causa sulle responsabilità della guerra, alla massoneria, sua nemica giurata e trasversalmente presente dappertutto, ecc. Torniamo a Valerio e Guido, che come sappiamo saranno scortati da un gruppo di 12 partigiani (più due comandanti) delle brigate dell’Oltrepò Pavese arrivate nel pomeriggio e accasermati alla bene e meglio a Milano nelle scuole di viale Romagna e scelti tra quelli delle Brigate Crespi e Capettini e del Servizio Informazioni Politiche. Hanno tutti divise americane color caki, nuove fiammanti, berretti a bustina e sono armati di mitra Sten o Beretta. Nonostante le coccarde tricolori del CVL, più che partigiani, sembrano dei soldati di un qualche strano esercito ed infatti spesso sollevarono dubbi e perplessità quando li si vede apparire a Como e a Dongo. 13 Non si è ben compreso, nè mai è stato spiegato con precisione, se il comando di questa scorta era esclusivamente di Alfredo Mordini (ed in via subordinata di Orfeo Landini), oppure era in condominio tra i due (forse più probabile ed in tal senso lo attestò anche il Landini). I due comandanti del plotone, sono infatti: 13 E’ estremamente significativo il fatto che, per interi decenni, si nascosero con ostinata determinazione i nomi e le figure fisiche dei 12 elementi, prelevati dalle brigate dell’Oltrepò di Italo Pietra, che al comando di Mordini e Landini seguirono Valerio nella sua missione. Va bene le ragioni di sicurezza, ma è incredibile che nessuno di costoro abbia reclamata la sua parte di gloria avendo partecipato ad eventi di enorme portata storica. Addirittura, del filmato della fucilazione dei gerarchi a Dongo, vennero resi pubblici solo alcuni fotogrammi in cui si vedono i condannati da fucilare e Mordini di spalle, ma premunendosi bene che non fossero individuabili altri soggetti di quel plotone. Evidentemente si temeva che i dodici partigiani (e forse qualche altra persona lì presente e da tenere celata) avrebbero potuto fare qualche scottante rivelazione. Poi con gli anni si poterono conoscere alcuni nominativi. Ma solo negli anni ’90 si potè dare un nome ed un volto sicuro a molti di questi partigiani, ma per ragioni politiche e forse anche per il tanto tempo trascorso, i pochi superstiti ovviamente non fornirono alcun elemento utile a fare chiarezza. Solo da poco più di un decennio sappiamo con precisione che il plotone, richiesto dal Comando Generale del CVL, e composto da 14 uomini compresi i comandanti, era il seguente: Riccardo (Alfredo Mordini) e Piero (Orfeo Giovanni Landini), in funzioni di comando; poi Sipe (Mario Monfasani) del 1924, Dick (Oreste Alpeggiani) del 1926, Giulio (Giulio Mirani) del 1919, Codaro (Renato Rachele Codaro) del 1922, Renato (Emilio Vincenzo Fiori) del 1921, Arturo (Giacomo Bruni) del 1922, Steva (Stefano Colombini) del 1922, Barba (generatità non note) del 1923, William (generatità e anno di nascita non noti), Lino (generatità e anno di nascita non noti), Gildo (Germano Guerrino Morelli) del 1916, Cecca (Aldo Frassoni) del 1925. A questi viene aggiunto il nominativo di Peter (generatità non note) del 1925 che però probabilmente non fece parte della spedizione altrimenti avremmo 13 e non 12 partigiani (più i due comandanti). Molti di loro erano originari di Zavattarello centro dell’Oltrepò Pavese. Non è ben chiaro chi li scelse appositamente, interpellando anche chi li conosceva bene cioè i loro comandanti Alfredo Mordini Riccardo e Orfeo Landini Piero, ma sembra che più che altro fu il capo di Stato Maggiore Paolo Murialdi Paolo coadiuvato da altri comandanti di Divisione, come Carlo Barbieri Ciro (il comandante della Brigata Crespi), e forse anche da Alberto Mario Cavallotti Albero. Dettagliati resoconti in merito li fornisce F. Bernini nel suo Così uccidemmo il Duce, già citato. 233 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Alfredo Mordini, Riccardo, 14 uomo privo di cultura e di pochi scrupoli, ma benvoluto dai suoi uomini e già miliziano delle brigate internazionali di Spagna e quindi con una certa esperienza militare; e Orfeo Giovanni Landini, Piero 15 un altro elemento, definito impulsivo e sanguinario, ma anch’egli militarmente esperto. In ogni caso tutto dimostra che Valerio parta con il presupposto che Mussolini sia ancora a Dongo o nei pressi e queste sono le indicazioni che quella notte gli fornisce Pieri, il colonnello Palombo (aiutante in prima di Cadorna), il che è alquanto strano considerando che al partito comunista e/o al Comando del CVL si doveva essere almeno a conoscenza che era stato attuato uno spostamento di Mussolini in un rifugio segreto (spostamento che, come detto, il Bellini, il Canali ed il Moretti a Dongo, non potevano mettere in atto, senza i dovuti ordini, o almeno informandone, sia pure a grandi linee, chi di dovere). Inoltre, non si dimentichi che attorno alle 7 della mattina del 28 aprile doveva anche essere arrivata la giusta informazione dalla federazione comunista di Como dove erano giunti Moretti e Canali con le notizie degli ultimi avvenimenti sulla traduzione di Mussolini a Bonzanigo. 14 Alfredo Mordini, Riccardo era nato a Firenzuola (Fi) il 29.6.1902. Ferroviere livornese emigrò ben presto a Marsiglia dove entrò nel Movimento Mondiale contro la guerra, divenendone anche dirigente. Svolge attività politica anche ad Arles. Nel 1937 è ricercato per terrorismo e ad aprile va in Spagna. Si fece tutta la guerra civile spagnola acquisendo una enorme esperienza militare e rimanendo ferito al naso. Ritornò in Francia durante l’occupazione tedesca e diverrà sabotatore comunista nella Francia occupata nelle fila dei Ftp (Francs Tireurs Partisans). In Italia, durante la resistenza andava e veniva da Milano col Comando Generale. Divenne ispettore delle Brigate d’Assalto Garibaldi nell’Oltrepò pavese. Fece parte, in qualità di comandante assieme al Landini, della scorta di Valerio a Dongo, dove comanderà il plotone di esecuzione dei gerarchi. Nel dopoguerra, privo come era di istruzione e di cultura, si arrangerà in svariati lavori e sarà anche alquanto emarginato dal partito. Si dice che conservò la famosa pistola di Lampredi utilizzata nella missione per Mussolini. Altri diranno invece che la pistola era la sua. Morirà in povertà il 10 luglio del 1969. 15 Giovanni Orfeo Landini, nome di battaglia Piero o Piero Medici, nasce a Fabbrico (provincia di Reggio Emilia) il 16 giugno del 1913. Nel 1936 fu richiamato alle armi per l’Africa Orientale e qui inquadrato nelle truppe coloniali, in qualità di sottotenente nello stesso battaglione di Indro Montanelli. E’ comunque già in odore di antifascismo. Ben presto venne a contatto con uomini del partito comunista clandestino, in particolare con Miglietta di Sesto San Giovanni. Viene arrestato dalla polizia fascista verso la metà del 1942 a Milano. Otterrà 18 anni di condanna e durante il periodo che scontò, conobbe il fior fiore del sovversivismo. Verrà rilasciato dal carcere di Castelfranco Emilia verso ottobre del 1943. Il 18 dicembre è tra il commando di gappisti che uccide alle spalle il federale di Milano Aldo Resega. Dopo essere stato per un breve periodo commissario politico della Brigata Arturo Capettini, quando questa ingranditasi, nel luglio del 1944, diede vita alla Brigata Crespi divenne commissario politico anche di questa. Quando il 2 settembre del 1944, poi, si costituiva la Divisione Aliotta il Landini ne fu nominato commissario. A fine novembre del 1944, a seguito di un forte rastrellamento tedesco e dopo che molti partigiani hanno lasciato Varzi, si rese necessario lo smantellamento del campo di concentramento di Barostro. Landini, temendo che una volta rilasciati i 70 prigionieri che vi si trovavano questi avrebbero potuto fornire al nemico preziose informazioni, ne decide la soppressione. L’esecuzione fu fissata in località Cencerate, presso il cimitero verso le 3 del mattino. La maggioranza dei partigiani si rifiutò di partecipare al massacro e così Orfeo Landini ed altri due sbandati si assunsero questo incarico, uccidendone però solo 13 a causa di un incombente pericolo dell’arrivo dei tedeschi. Tra questi tredici due erano soldati tedeschi e quattro civili italiani. Nel dopoguerra, su denuncia dei familiari dei caduti, l’8 gennaio del 1946, fu avviata un azione penale contro il Landini. Tratto in arresto ed associato alle carceri di Voghera solo nel 1954, il commissario Piero ammetteva il fatto affermando di aver agito su ordine scritto (ma non provato) del CVL. Rimesso in libertà ebbe altre vicissitudini giudiziarie ed il 6 maggio del 1957 la Corte d’Assise di Pavia lo dichiarava colpevole di omicidio volontario condannandolo a 18 anni di reclusione per la soppressione dei 4 civili, non potendo procedere per gli altri trattandosi di fatti di guerra. Nel corso di una udienza, il 29 aprile, il Landini fu aggredito dai parenti delle vittime e posto in salvo dai carabinieri di servizio. La successiva amnistia Togliatti, lo salvò da un lungo periodo di soggiorno nelle carceri di Scelba. E’ morto il 13 febbraio 2000. 234 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Se il prigioniero più importante ed in situazione più delicata e critica è Mussolini, perchè Valerio viene fatto partire da Milano senza precise informazioni, almeno sul fatto che in piena notte il Duce è stato nascosto (e da chi), lontano da Dongo e che la sua sicurezza di detenzione potrebbe non essere sicura? Possibile che, almeno l’iniziativa di questa traduzione di Mussolini in luogo segreto e lontano da Dongo, non era a conoscenza di alcuno in quel di Milano? Nè da Cadorna, nè dal PCI, nonostante che il Bellini, il Canali ed il Moretti hanno riferimenti sia nel CVL che nel PCI ? E invece niente di tutto questo, Audisio partirà verso le 7 di mattina con destinazione Dongo, previa sosta alle autorità di Como, ignaro di tutto. L’unico aiuto che il colonnello Palombo gli ha fornito è il biglietto che, in caso di un incontro con Sardagna a Como gli consente di chiedere le ultime notizie conosciute, ma come vedremo, Valerio, neppure andrà da Sardagna. 16 Detto questo non possiamo non rimarcare il fatto curioso e assurdo che, mentre da una parte avrebbe dovuto esserci una maledetta urgenza di raggiungere Mussolini, Audisio che fu informato di questo incarico forse verso le 23 del 27 aprile, finì poi per partire solo verso le 7 di mattina del 28: è un indizio chiaro che la sua missione, Valerio lo sapesse o meno, consisteva in qualcosa di diverso da quello che poi si volle far credere. Alcune versioni, tra cui quella di Valerio, asseriscono che questi si mosse verso le 5,30 per andare a prendere la scorta alle scuole di viale Romagna, per il fatto di aver lasciato dormire gli uomini scelti del plotone che non riposavano da tempo. Oltretutto poi, si dice che nel frattempo, la scorta si era già avviata incontro a lui e quindi, non incontrandolo, persero altro tempo in giro per Milano tanto che Valerio imprecò e protestò asserendo di essere stato boicottato. Ma è un pò difficile da credere che con l’urgenza che avrebbe – e sottolineiamo avrebbe dovuto esserci di raggiungere il Duce prima degli Alleati, si sia fatto fare un sonnellino agli uomini del plotone (anche se, anni dopo, lo confermò uno di loro Dick Oreste Alpegiani) e questa scorta poi, presa dalla fretta è anche uscita prima del tempo senza incontrare Valerio. Tutto è possibile, ma ci sembrano, più che altro, aggiustamenti per rendere credibile ciò che invece è alquanto problematico. A nostro avviso, invece, questo ritardo dipese forse dal fatto che dovevano ancora arrivare certe informazioni dalle località comasche dove, infatti, era in atto la farsa del trasporto dei prigionieri da Dongo a Moltrasio e successiva deviazione indietro, dicesi improvvisata (??), a Bonzanigo in casa De Maria. Se Valerio, che aveva atteso impaziente tutta la notte, si avviò solo verso le 5,30 / 6 del mattino alle scuole elementari di viale Romagna per prendere la scorta e partire poi per Como verso le ore 7, probabilmente è perchè solo a quell’ora era stata prevista la partenza per la sua missione che in realtà prescindeva dal raggiungere subito il Duce. 16 Per attenuare questa contraddizione qualcuno sostiene che forse da parte del Comando di Cadorna si voleva boicottare la missione di Valerio e per questo non gli fornirono la notizia che Mussolini era stato portato in un luogo segreto ad oltre 21 km. da Dongo (pur se magari al Comando non sapevano esattamente dove), oppure che fino a tarda notte non erano pervenute notizie certe sulla traduzione di Mussolini. Ma la scusa non regge in quanto la stessa cosa fece il partito comunista che pur qualche notizia in merito doveva avere. Comunque qualcuno avrà pure ordinato o essere stato informato da Dongo o dal trio Bellini & Co. di questo spostamento. Oltretutto anche in piena mattinata del 28 aprile, quando Valerio alle 11 telefonò da Como al Comando e parlò, si dice con Longo, non gli venne detto niente circa gli spostamenti subiti da Mussolini. 235 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Considerando ora che, forse, poco dopo le ore 7 del 28 aprile, 17 al partito comunista di Milano era certamente giunta, dalla federazione comunista di Como, almeno la notizia del buon esito del trasferimento segreto di Mussolini a Bonzanigo, è a quell’ora quindi che si diede anche il segnale di via a quant’altro era già stato predisposto: un’altra spedizione omicida, sbrigativa e segreta, per Mussolini che agisse a latere della missione ufficiale e di paravento costituita da Audisio (uomo, tra l’altro, non indicato in compiti di sparatore o da commandos anche se, sostenuto da Lampredi, uomo di più alto spessore (soprattutto politico) e dal plotone dei 12 partigiani fucilatori comandati da due ottimi elementi come Mordini e Landini). Insomma, quella di Valerio era una spedizione, se non propriamente idonea a raggiungere subito il Duce ed ucciderlo sul posto, però necessaria, efficientissima e rappresentativa per interpretare ed imporre a Como e Dongo la giustizia ciellenista e procedere a fucilare i ministri e fascisti ivi tranquillamente detenuti. E proprio questa duplice necessità – fretta per una uccisione immediata del Duce (tra l’altro diversamente locato) e dover agire politicamente e legalmente passando prima dalle autorità locali di Como e Dongo – creerà già da ora le premesse per una futura finta seconda fucilazione del Duce formalmente giustificativa. Fatto sta che, finalmente, Valerio parte verso le sette di mattina su un camioncino scoperto Fiat 121 a nafta, requisito alla società Ovesticino, guidato dal giovane partigiano Barba ed una 1100 targata BN8840 guidata dal socialista Giuseppe Perotta. Racconterà Paolo, Paolo Murialdi: “Pietra mi telefonò alla scuola di viale Romagna dove eravamo accasermati alle bene e meglio e mi disse di cominciare a preparare questo drappello, poi arrivò anche lui... organizzai il gruppo e li misi su di un camion scoperto che non era un grosso camion e sapevo che dovevano andare fino all’alto lago... si è acceso un alterco tra Valerio e me perchè Valerio cominciò ad urlare che il camion era piccolo. Io dicevo che il camion bastava. Per lui era piccolo, però non mi dava spiegazioni, evidentemente Valerio pensava forse già di portare i corpi a Milano”. Dopo un viaggio di circa un’ora e sotto una pioggia a dirotto, il sinistro plotone arrivò a Como intorno alle ore 8, infilandosi pochi minuti dopo nella Prefettura (Valerio scrisse: alle ore 8,30). 18 17 In realtà tutti questi orari sono imprecisi e sopratutto non li garantisce nessuno se non i diretti interessati. Si dice che Moretti e Neri arrivarono, da Bonzanigo, alla federazione comunista di Como alle 7 di mattina. Ma è anche probabile che vi arrivarono prima visto che dovrebbero aver lasciato casa De Maria a Bonzanigo al più tardi alle 5 o 5,30 se non prima. Occorre però poi aggiungere il tempo che potrebbero aver perso i comunisti a Como per contattare il partito a Milano. Insomma non è possibile fare preventivi di orario preciso. 18 Valerio, andando e fermandosi dal CLN locale in Prefettura, scavalca ed ignora completamente il colonnello Sardagna, massima autorità sul posto per il CVL dal quale dovrebbe dipendere in ordine gerarchico e per il quale ha pure una commendatizia per avere informazioni aggiornate. Infatti Sardagna se, come si dice, aveva predisposto un piano di consegna del Duce agli Alleati, avrebbe dovuto avere notizie, sia pur non dell’ultimora, dove questi si trovava. Si dice che il Sardagna era in quei momenti irreperibile e che Valerio dopo aver chiesto di lui non avrebbe insistito. Qualcuno scriverà che lo incontrò verso le 12 (ma, se è vero questo tardivo incontro, perchè allora il Sardagna non lo mise al corrente del fatto che il Duce era stato trasferito chissà dove?). Ma in un caso o nell’altro, la storia non è convincente e attesta il poco interesse di Valerio per Sardagna e quindi una diversa configurazione della missione con Valerio che prosegue per Dongo senza sapere dove nel frattempo possa essere finito Mussolini. 236 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Valerio, per la sua grande occasione della vita aveva indossato una giacca a vento militare grigia (Murialdi dice con i gradi: rettangolo rosso con due stelle dorate, ma nelle foto in divisa che si fece nel dopoguerra porta tre stelle), pantaloni grigio verde e si era anche pomposamente addobbato con una sciarpa trasversale tricolore (oltre alla coccarda del CVL), cinturone e pistola, mentre Guido (Lampredi) è in borghese con tanto di impermeabile bianco, forse un basco ed è armato di una pistola Beretta modello 34 celata in tasca. 19 Arrivati dunque in Prefettura, i nostri, incontrarono subito una serie di problemi e diffidenze, nonostante che il CLN locale sembra fosse stato preavvisato telefonicamente da Milano. La prima autorità che Valerio incontra è il neoprefetto Gino Bertinelli al quale presentò le sue credenziali. Poco presi in considerazione il suo certificato del Comitato e la carta d’identità, ebbe la fortuna di farsi accettare il lasciapassare firmato dal Daddario, la cui firma il Bertinelli conosceva molto bene. Valerio trascorse quindi circa un ora per aspettare e conoscere le decisioni del CLN locale. Perse poi altro tempo, più che altro litigando, per farsi assegnare quanto gli occorreva (un grosso camion) e per un evidente sabotaggio operato ai sui danni dalle autorità locali non certo contente di vedersi sottrarre il prezioso prigioniero e gli altri gerarchi (avevano evidentemente immaginato e sognato una consegna del Duce agli Alleati, con tanto di corteo, musica e fanfare!). 20 Verso le 10 arrivarono in Prefettura il responsabile militare del CLN di Como, il maggiore Cosimo Maria De Angelis e poi il neo segretario del CLN, cioè il commendator Oscar Sforni con altri (dodici in tutto ne ricorda Valerio). La situazione però, per Valerio non si sblocca. Arriviamo quindi alle 11 circa, ora in cui si dice, Valerio in evidenti difficoltà e per sapere se l’ordine ricevuto è superiore a qualsiasi decisione locale, fece la famosa telefonata al Comando CVL a Milano dove, si dice sempre, dall’altra parte del telefono c’era Longo in persona che, minacciosamente: (“O fate fuori lui, o sarete fatti fuori voi!”), gli conferma d’autorità il fatto di avere carta bianca. 21 19 La nota che Lampredi girasse con un impermeabile bianco e forse con un basco in testa ed una delle tante testimonianze della Lia De Maria di Bonzanigo, che disse che quel pomeriggio gli si presentò in casa un uomo in impermeabile bianco e basco, creò una leggenda iconografica e svariate supposizioni circa i veri ruoli svolti da Audisio e Lampredi. Quando il 31 marzo del 1947, Audisio venne presentato come colonnello Valerio nel comizio di Roma, si organizzò una vera e propria mascherata con Audisio che indossava un impermeabile bianco, basco e fazzoletto a cravatta al collo. 20 Si dice, ma sono solo voci, che a Como erano state già predisposte celle nel carcere comasco di S. Donnino, concordando con il capitano di fregata Giovanni Dessì e con Salvadore Guastoni, elementi di raccordo con l’O.S.S. americano, già in luogo, il trasferimento dei prigionieri. 21 L’esistenza di questa telefonata venne comunque resa nota, da fonti comuniste, solo negli anni ‘60. Così raccontò il quotidiano para comunista Paese Sera descrivendo le remore che alcuni personaggi opponevano a Valerio in Prefettura: “Al punto che Audisio, trovandosi già a Como, sentì il dovere di chiedere ulteriori chiarimenti a Milano «per sapere se l'ordine ricevuto doveva ritenersi superiore a qualsiasi decisione locale». All'altro capo del telefono era Longo, il quale ha raccontato: «Mentre mi trovavo al comando fui chiamato al telefono da Como. Era 'Valerio' che voleva informarmi della situazione... La situazione era questa: quelli del CLN di Como erano più terrorizzati che onorati della cattura di Mussolini. Sollevano ogni possibile eccezione per non guidare Lampredi e 'Valerio' dove si trovava Mussolini. 'Valerio' chiedeva istruzioni. La risposta fu semplice: 'O fate fuori lui o sarete fatti fuori voi»". Varie ricostruzioni, comunque, sembra che abbiano stabilito che Longo, quella mattina, non era al Comando Generale e quindi Valerio dovette parlare probabilmente con un aiutante di Cadorna, ma sorgerebbe allora il sospetto sul perchè si sia voluta attestare la presenza di Longo all’apparecchio. 237 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 C’è chi, invece, dice che è in questo frangente che Longo o chi per lui gli riveli il vero scopo della missione, ovvero l’uccisione di Mussolini e dei gerarchi, ma vengono fatte anche altre ipotesi (oltretutto si mette in dubbio che all’apparecchio ci fosse Longo in persona in quanto non presente in quel momento al Comando). E’ comunque clamoroso che con questa telefonata, a metà mattinata, Longo o non Longo all’apparecchio, ancora non venga detto a Valerio che Mussolini non si trova a Dongo e che, lì vicino, in federazione comunista ci sono informazioni aggiornate. Questo dimostra che la missione di Valerio ha scopi diversi che prescindono dal raggiungere in fretta Mussolini! Finalmente riuscirà ad imporsi ed avere soddisfazione in Prefettura in base all’accordo che avrebbe firmato una ricevuta di scarico dei prigionieri e sarebbe stato accompagnato nella missione dai due rappresentanti del CLN: De Angelis e Oscar Sforni (in un primo momento si accoderà anche il capitano di fregata Giovanni Dessì uomo di collegamento con gli Alleati). Vari e pittoreschi sono gli aneddoti tramandatici per quelle ore di un irascibile Audisio in Prefettura, ma hanno poca importanza e quindi li tralasciamo. A questo punto, dopo aver atteso e cercato invano Guido, giunto con lui in Prefettura e poi sparito senza preavvisarlo o, dicesi, con la scusa di andare a fare una telefonata, Valerio parte per Dongo alcuni minuti dopo le 12 (dirà alle 12,05) portandosi dietro, come da accordi, il maggiore Cosimo Maria De Angelis in rappresentanza del comando militare di Como ed il segretario del CLN locale cioè il repubblicano Oscar Sforni (questi verranno con la loro Aprilia nera targata RM001 [REGIA MARINA]). Saranno utili a Valerio per i posti di blocco. 22 Quindi Guido, il Lampredi, alla chetichella, e all’insaputa di Valerio, era improvvisamente scomparso e non si riesce, ancora oggi, a sapere con certezza a che ora. Alcuni affermano, con una certa logica, intorno alle ore 9 (quindi dopo più di mezz’ora che vi soggiornava), perchè un prolungato trattenimento in Prefettura con evidente perdita di tempo era assurdo per chi aveva l’incarico di arrivare al più presto a Mussolini o comunque cooperare per quello scopo o forse, ancora meglio, per coordinare la missione di Valerio con l’altra missione omicida partita da Milano per andare ad ammazzare il Duce sul posto. Altri, basandosi su alcune, sempre discutibili, testimonianze spostano questa ora alle 10 circa (prolungando così però l’assurda permanenza di Guido in Prefettura di un’altra ora). Lo stesso Lampredi, nella sua relazione al partito del 1972, perfettamente conscio della gravità di questa incongruenza, che negli anni precedenti aveva sollevato più di un dubbio, spostò la sua uscita dalla Prefettura addirittura verso le ore 11 e questo ci pare veramente un insulto alla logica delle cose. Oltretutto, ragionando con la logica della versione ufficiale, dovendo il Lampredi, rintracciare al più presto Mussolini, che tra l’altro non è a Dongo e a quanto sembra lui non dovrebbe neppure sapere dove esattamente sia, cosa gli potevano interessare i litigi ed i problemi di Valerio in Prefettura? 22 All’ultimo momento, al gruppo di Valerio si era unito il capitano di fregata Giovanni Dessì, nato nel 1904 ed uomo di collegamento dell’OSS americano ed elemento del Servizio Informazioni della marina del Sud. Con Dessì c’è anche Carletto, altro membro del servizio informazioni marina, e sembra pure il Guastoni altro elemento in servizio con gli americani. Dessì si aggregherà con la sua vettura, guidata da Giovanni Tacchino ex autista di Buffarini Guidi, con l’evidente intento di controllare l’operato di Valerio, ma quest’ultimo, arrivati al garage Carducci di Como dove dovevano fare benzina, puntando il mitra (o comunque minacciando) li scaricò a terra tutti e tre impedendogli di proseguire. Precedentemente Valerio aveva anche fatto in modo di sciogliere una piccola autocolonna organizzata dal maggiore De Angelis. 238 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Già il comportamento di Valerio, con il tipo di incarico che lo investiva e che stranamente era partito tardi da Milano e che ora perde ancora ben 4 ore di tempo in inutili, ma lui dirà purtroppo necessari e inevitabili, battibecchi e litigi in Prefettura (o alla ricerca poi per strada di un camion), è un pò difficile da accettare, ma quello di Lampredi è addirittura assurdo, come sarà anche assurda, a sentire lui, la sua successiva e ulteriore prolungata permanenza in Federazione comunista (a far che?), e comunque non è assolutamente credibile. A meno che la missione di Lampredi, come quella di Valerio, non sia di tutt’altro genere, obiettivi e finalità. Allora si che si spiegherebbe tutto! Infatti, guardate un pò cosa avrebbe fatto Guido: egli aveva abbandonato Valerio alla Prefettura di Como portandosi via, per giunta, l’automobile, l’autista Perotta e soprattutto il capo scorta Alfredo Mordini (Riccardo)! 23 Un comportamento questo, evidentemente, reso necessario ed impellente per il disbrigo di più importanti e urgenti incarichi. E questa sortita, a dire di Lampredi stesso, sarebbe invece avvenuta per recarsi alla Federazione Comunista di Como, appena trasferitasi in palazzo Terragni, alla ricerca di dirigenti che potessero aiutarli in quella situazione ingarbugliata (!?). Fatto sta che comunque Lampredi neppure tornerà più in Prefettura (dirà con faccia tosta di non ricordare se vi ripassarono oppure seppero per telefono che Valerio era già partito) e partirà invece, dice lui, per Dongo. Ma l’incredibile serie di colpi di scena non è ancora finita. Mentre Valerio con il resto della scorta, rimasta sotto la responsabilità di Piero Orfeo Landini, partirà dalla Prefettura alle 12,05 e arriverà a Dongo intorno alle 14,10, anche a causa della ricerca di un camion più adatto 24 e di alcuni posti di blocco incontrati strada facendo, Lampredi con Mordini, Ferro, 25 Aglietto 26 ed altri, raccolti in Federazione comunista e che, stando alla cronologia da alcuni di loro stessi indicata (eccezion fatta per Lampredi), erano partiti prima (Mario Ferro, dirà significativamente, ma incredibilmente: “non più tardi delle 10”), giungeranno invece a Dongo qualche minuto dopo di Valerio! Ma che il gruppo Lampredi fosse partito per Dongo prima o dopo di Valerio, è clamoroso che non si siano, neppure per caso, incontrati per strada o, almeno, che il gruppo di 23 Anche se era rimasto l’altro capo scorta, il Landini. Il Mordini sembra che venne rintracciato alla svelta in un’osteria dove si era recato a bere un bicchiere di vino. 24 Audisio, requisirà strada facendo, verso le 12,30, dopo fatto appena un chilometro, nei pressi di Piazza Volta, un grosso autocarro furgonato completamente cabinato con piccole finestrelle ai lati, forse di colore giallognolo, della Tinto-presse di Ambrogio Pessina di Como, che barattò con la provvisoria ambulanza della croce verde che, nel frattempo e dopo tanto penare, gli avevano procurato in Prefettura. 25 Mario Ferro, dirigente comunista, di Paola, (Calabria), nasce nel 1919. Nel 1938 espatria ed a Parigi occupa vari incarichi al Centro esteri del PCI. Nel 1942 è a Nizza con Sereni, va poi a Marsiglia con Clocchianti nel tentativo di far fuggire Luigi Longo dal campo di concentramento di Brebant. Amico di Lampredi, nel 1942 rientra in Italia, arrestato, è liberato dopo il 25 luglio. Il 28 aprile ’45 al mattino era appena rientrato dalla Svizzera. Nel dopoguerra dopo una breve esperienza presso la Rai, fu tra i costitutori della casa editrice dell’Unità. Dopo il giugno del 1946 venne a Roma alla Direzione del PCI per poi rientrare a Milano quale ispettore della Lega Nazionale Cooperative in Brescia. Andò poi a vivere a Como. 26 Giovanni Aglietto "Remo" di Savona, dal 1926 segretario dei giovani comunisti savonesi, era un vecchio amico di Sandro Pertini. Sostituì Gorreri nella carica di segretariato delle Federazione comunista di Como, dopo l’arresto di questi avvenuto il 12 gennaio 1945. Personaggio di grosso spessore per gli avvenimenti di quei tempi, ma rimasto nell’ombra. 239 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Valerio oppure quello dello stesso Guido abbiano saputo, da qualche posto di blocco, del passaggio degli altri! La via Regina, da Como a Dongo, era a quel tempo una lunga fettuccia priva di traffico e sicuramente sotto controllo di vari blocchi partigiani. 27 E’ quindi veramente improbabile, anche in relazione al fatto che tutti confermarono di esser stati fermati da più di un posto di blocco! e considerando poi che gli elementi comunisti in macchina con Lampredi sono tutti importanti partigiani conosciuti in quei posti, che il gruppo di Valerio e quello di Lampredi, separatisi e persisi da ore, siano transitati ignorandosi a vicenda, anzi teoricamente Valerio, secondo chi asserisce che sia partito per Dongo dopo di Lampredi, avrebbe addirittura dovuto sorpassarlo, in quanto è poi arrivato prima! Ecco, in riassunto, come Aldo Lampredi, nella sua relazione al partito del 1972 (che abbiamo già riportato nel Capitolo 4, ma che qui integriamo nelle parti riguardanti le fasi precedenti l’uccisione di Mussolini) cercherà di aggiustare le cose e gli orari. 28 Anticipiamo che dirà di aver lasciato Valerio in Prefettura verso le 11 e che poi si mosse dalla federazione comunista per Dongo quando Valerio era già partito dalla Prefettura (dopo le 12 n.d.r.): ne consegue quindi che, nonostante la fretta, Lampredi si gingillò con i compagni della federazione per quasi un ora e mezza: incredibile! 27 Lampredi nella sua relazione riferì che arrivò a Dongo quando “Valerio era già sul posto” e Mario Ferro (della federazione comunista e nello stesso gruppo di Guido) dichiarerà che giunsero a Dongo una mezzora dopo di Valerio (orario questo che, in ogni caso, aggrava la domanda su cosa abbiano fatto in circa 4,30 ore, dalle 10 a dopo le 14,30). Bill, Urbano Lazzaro, riferirà il racconto di un suo garibaldino che gli dirà che i due gruppi, invece, sono arrivati assieme in macchina. Ma la confusione continua: per De Angelis, giunto a Dongo con Sforni e Valerio, Lampredi arrivò prima di Valerio stesso e la stessa cosa affermerà Michele Moretti ed anche Bellini. pazzesco! Scrisse però giustamente Franco Bandini: “Valerio e la sua scorta giunsero sulla piazza di Dongo alle 14.10, impiegando un ora e mezza per percorrere i 57 chilometri (fino a Dongo, n.d.r.)… dieci minuti dopo vi arrivarono anche due macchine con Guido, Riccardo, Aglietto, Ferro, Gorreri (e Longo, ipotizzerà Bandini, n.d.r.)… La comitiva era partita da Como non alle 12,30 come Valerio, ma almeno due ore prima, verso le 10,30. … Poiché Valerio non superò nessuna auto, durante il percorso resta da chiedersi dove furono e cosa fecero Guido e gli altri in quelle cinque ore misteriose”. 28 Come già accennammo Lampredi nella sua relazione polemizzò con il partito, affermando: “Sento invece il bisogno di esprimere ampie riserve sul modo con cui si è proceduto alla pubblicazione degli articoli sull’Unità e sul loro contenuto ed inoltre sul fatto che io sia stato sempre escluso da tutto quanto riguardasse gli avvenimenti di Dongo... Si sarebbe almeno evitato di rappresentare la mia assenza dalla Prefettura come strana e sospetta: si sarebbe potuto fornire una spiegazione plausibile alla mia presenza nella spedizione, che appare invece non giustificata a nessun titolo...” In effetti l’Unità nel suo resoconto del novembre 1945, aveva scritto: “Poi, scende nella strada (sembra infatti che Valerio scese anche in strada per controllare l’arrivo di un camion promessogli dal CLN. Più tardi ottenne una autoambulanza che poi fu successivamente barattata con il grosso camion requisito strada facendo. n.d.r.) ed apprende con profonda sorpresa che Guido ed il comandante della scorta erano spariti un’ora prima con la sua automobile per destinazione ignota. A questo punto il colonnello Valerio teme veramente che la sua missione stia per fallire, tra il boicottaggio delle autorità comasche e la sparizione inopinata di Guido....” Solo due anni più tardi, l’Unità del novembre 1947 in un altra sua rievocazione di questa vicenda, cambiò i toni ed escluse gli eventuali aggettivi che potevano generare equivoci. Comunque sia da questa versione ufficiale risalta che nè Lampredi e nè Audisio vennero informati da Milano che Mussolini è stato nascosto in altra località e che lì vicino in federazione comunista a Como ci sono informazioni fresche (Lampredi vi si reca, dice per trovare aiuti, ma senza sapere che hanno queste informazioni). 240 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Se poi si considera che, molto più probabilmente, egli era uscito dalla Prefettura ancor prima delle 11, la cosa diviene addirittura irreale. Da quanto si deduce da queste versioni, alle ore 11 del 28 aprile il partito comunista a Como sembra come se non avesse alcun ordine o disposizione dalla Direzione di Milano circa la situazione di Mussolini; dovendosi quindi pensare che verso le 7 di mattina, arrivati il Canali ed il Neri con le notizie su Mussolini, queste notizie urgenti, determinanti e importantissime sono rimaste a giacere in federazione comunista, dove il suo dirigente Dante Gorreri 29 perde tempo in altre faccende. Premetterà comunque di riferire solo i fatti essenziali, trascurando quelli resi noti da Audisio (evidentemente in contrasto) sui quali dice: “ci sarebbe assai da dire”. Preciserà anche (a scanso di eventuali contestazioni aggiungiamo noi), che potrebbe aver dimenticato molti particolari. Nel complesso cercherà di fornire giustificazioni a posteriori lamentandosi che a suo tempo il partito non lo fece: “Quello che ricordo è che, nella serata di venerdì 27 aprile, per motivi di lavoro sono rientrato a Palazzo Brera (sede del Comando generale, n.d.r) ad un ora abbastanza tarda, e che Audisio mi ha detto della missione che dovevamo compiere in quanto Longo aveva deciso che vi partecipasi anch’io.... La mattina del 28 quando siamo andati in viale Romagna a prelevare il reparto partigiano che doveva accompagnarci ho avuto la lieta sorpresa di trovare al comando del reparto stesso, il compagno Riccardo Mordini ..... Siamo arrivati a Como poco dopo le otto e siamo andati in Prefettura.... Malgrado l’autorità ufficiale che Audisio cercava di far valere onde ottenere un camion e l’aiuto per arrivare ai gerarchi catturati, il tempo passava senza giungere ad una conclusione. Fu allora che mi resi conto che per superare le difficoltà che stavamo incontrando in Prefettura e quelle che avremmo incontrato a Dongo, abbisognava l’aiuto del partito. Intanto era necessario che almeno il nostro rappresentante nel CLN facilitasse il nostro compito e cessasse di solidarizzare in pieno con gli altri membri. Non ricordo come 29 Dante Gorreri “Guglielmo”, nato a Parma nel maggio 1900 da famiglia proletaria ed ex idraulico lattoniere. Dal 1920 partecipa a Parma alla Guardia Rossa e poi diviene capo settore degli Arditi del popolo. Dopo la scissione di Livorno entra nel PCd’I. Durante il ventennio fascista finisce in galera ed al confino. Nel 1943 è a Milano a disposizione del Comando Regionale delle Brigate Garibaldi. Nell’aprile del 1944 è inviato a Como dove diviene segretario della locale federazione del partito comunista. Arrestato dai militi fascisti nel gennaio del 1945 viene incarcerato e dicesi fece delle delazioni. Fatto sta che il 1 febbraio viene prelevato per essere fucilato, ma stranamente è fatto fuggire in Svizzera dopo un patteggiamento con il tenente Giovanni Tucci, alias Emilio Poggi, uomo di fiducia del prefetto della RSI Renato Celio, nel quadro di future protezioni e di losche attività trasversali che, a quel tempo, erano frequenti tra ambienti partigiani e pseudo fascisti (il Poggi sarà successivamente esecutato dagli stessi fascisti). In un primo momento è accomunato con il Neri Luigi Canali, nella stessa accusa di tradimento e quindi condannato a morte, ma questa condanna, si vanificherà ben presto. Trascorre tre mesi in Svizzera come rifugiato politico dove sembra si specializzi nelle operazioni di traffico di capitali, attività che poi tornerà utile al partito per la gestione dell’oro di Dongo, e rientrerà in Italia, grazie a Mario Ferro, il 27 aprile 1945. Poco dopo i fatti di Dongo, ebbe una violenta lite con Luigi Canali, sembra per via della gestione del tesoro di Dongo e venne da questi accusato di essere stato un delatore. Il Neri verrà poi eliminato pochi giorni dopo. Nel dopoguerra, coinvolto nelle vicende della sparizione dei valori ministeriali e personali e i documenti della colonna Mussolini verrà anche arrestato sotto le imputazioni di peculato ed omicidio, ma coperto dal partito fu fatto eleggere deputato e quindi scarcerato dopo qualche anno di detenzione. L’ultima volta fu rieletto nel 1968 a dimostrazione dei forti appoggi che godeva all’interno del partito, nonostante le sue malefatte erano arcinote fin dal 1945. Morì a Parma a giugno del 1987. E’ passato alla storia come il malfattore principe del comasco, ma pensiamo che ha funzionato anche da paravento per alti vertici del partito che infatti lo hanno sempre coperto. 241 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 individuai il nostro compagno, prof. Renato Scionti, ma appena mi fu noto lo invitai a venire in Federazione per discutere la questione. Mi pare di essere andato via dalla Prefettura verso le 11 quando Valerio cercava di telefonare a Longo a Milano ... (quindi tanta era la fretta, poi sparita! che non gli interessò neppure sapere cosa poteva dire Longo! N.d.A.). Giunto in Federazione incontrai il compagno Mario Ferro che mi conosceva bene.... (quindi sembra che non ha avuto problemi per farsi riconoscere ed accettare. N.d.r.). Ferro mi garantì a Dante Gorreri che stava riprendendo in mano la Federazione e a Giovanni Aglietto che ne era stato dirigente durante la sua assenza. Discutemmo più di quanto avessi previsto (excusatio non petita, n.d.r.) perchè, in certa misura i compagni erano stati influenzati dal programma elaborato dal CLN, ma alla fine, riconobbero la giustezza della posizione del partito e fu discusso il modo migliore per superare gli ostacoli.... Qui venimmo a conoscenza che il commissario della Brigata, Michele Moretti, un bravo compagno, tra l’altro sapeva dove erano stati trasportati in nottata Mussolini e la Petacci e che lo sapeva anche Neri, Luigi Canali, capo di stato maggiore della Brigata, perchè l’aveva indicato lui. Costoro infatti la mattina presto, erano venuti in Federazione (vecchia sede) per informare di questo e chiedere istruzioni, che non furono date perchè si disse che occorreva sentire Milano”. 30 Facciamo un passo indietro per evidenziare da questo racconto due cose: primo, il poco credibile orario delle 11, indicato da Lampredi, come uscita alla chetichella dalla Prefettura (la stessa Unità del novembre ’45 aveva genericamente indicato un ora prima), ed il fatto che, in un modo o nell’altro, egli non torna a risolvere i problemi di Valerio, motivo da lui addotto per svicolare al partito. secondo, è poco credibile che Moretti e Canali, arrivati la mattina presto in Federazione comunista non abbiano rivelato ai dirigenti anche il luogo dove era nascosto Mussolini 31 (e quindi Guido appena arrivato e fattosi presentare ne venne certamente a conoscenza!). Ma c’è anche da considerare la quasi certezza, che questa ubicazione era stata immediatamente, verso le 7, già riferita al partito a Milano. 30 Da questo si rimarca che verso le ore 7, in Federazione, Moretti e Neri avevano fatto una relazione completa dei fatti della notte precedente (e secondo noi certamente completa di indirizzi). Ma attenzione: Mussolini venne prelevato dalla casermetta della G.d.F. di Germasino dopo l’1 di notte dell’oramai 28 aprile 1945, alcuni precisano: alle 1,45. Poi venne portata la Petacci e le due macchine presero la strada, si dice, di Moltrasio. Si è romanzato di qualche imprevisto, accorso durante il viaggio, con i posti di blocco. Quindi di una certa attesa e perdita di tempo a Moltrasio in attesa di una fantomatica barca che doveva prelevare i prigionieri, e altre tergiversazioni del genere. Quindi le due auto, con tutti questi partigiani conosciutissimi in quei posti, fanno dietro front e vanno diritte a Bonzanigo. Un ragionevole lasso di tempo, ammesso che tutte queste storie siano vere, può far ipotizzare un arrivo a casa De Maria tra le 3,30 e le 4. In questo caso, lasciati i prigionieri, diciamo tra le 4,30 e le 5, il Canali ed il Moretti che presero la via di Como, potrebbero essere arrivati in federazione comunista molto prima delle 7. C’è quindi il tempo per avvisare il PCI a Milano della situazione. Ma, non possiamo escludere neppure il caso, da come sembra evincersi da successive ricostruzioni che vedremo più avanti, che casa De Maria, la prigione di Mussolini, non fu scelta dal Neri il Canali all’ “improvviso” durante il viaggio notturno a Moltrasio, ma fu preordinata già dalla tarda sera del 27 aprile quando, verso mezzanotte, in quella casa venne inviato un sopralluogo per avvisare i proprietari e furono forse portati alcuni bagagli della Petacci. Quindi, in tal caso, a Milano, all’alba, si aspettava solo la notizia del riuscito trasferimento e l’esatta ubicazione. 31 Rivelazione questa che, come vedremo invece, fu confermata dalla madre del Canali nel 1972. 242 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Qui si dice infatti che, da Como dovevano sentire Milano: ebbene cosa dissero e cosa avevano immediatamente ordinato da Milano ? Non verrà mai detto. E come non pensare che Moretti e Canali, dovevano essere stati invitati a rimanere a disposizione, lì nei pressi, perchè i soli in grado di arrivare ed entrare in quella casa di Bonzanigo ? Se così non fosse si dovrebbe pensare che il partito a Milano, avuta la urgente e preziosa informazione, non faccia niente, non dia ordini, non informi neppure Audisio qualche ora dopo! Nè si può pensare che forse abbia almeno spedito Moretti a Dongo in attesa dell’arrivo della spedizione di Valerio, perchè allora sarebbe logico che Moretti venga invitato ad attendere Valerio a Como, visto che questi vi deve arrivare poco dopo le ore 8 e, del resto, Moretti dalle sue testimonianze che abbiamo avuto modo di leggere, fa trasparire chiaramente che nulla sapeva dell’arrivo del plotone di Valerio, e ora qui, Lampredi dice che in federazione “discutemmo più di quanto previsto”, per riconoscere la giustezza della posizione del partito, attestando indirettamente che il partito a Como non aveva avuto disposizioni! E’ tutto irreale. Si osservi poi il comportamento di Longo: la sera e la notte del giorno precedente, il 27, tutto teso ad organizzare l’uccisione in sordina di Mussolini; poi di lui si sa poco e nulla e quindi, partito Valerio al mattino presto, se ne perdono le tracce. Sembra sparito, chi dice che andrà agli stabilimenti dell’ex Il Popolo d’Italia dove deve preparare le edizioni dell’Unità; Audisio dirà di averci parlato alle ore 11 per telefono quando lo chiamò al Comando (e la cosa è messa in forte dubbio), ma comunque non abbiamo attestazioni che si danni l’anima e si affaccendi per sapere dove è stato portato il Duce, informarne Valerio ed essere sicuro della sua immediata eliminazione. Ma vi pare che se Longo e il partito, la mattina del 28 aprile non avevano la certezza di sapere dove e con chi si trovava il Duce ed essere certi che non succedessero colpi di mano o imprevisti che lo potessero sottrarre alla morte, non avremmo avuto riscontri dei loro atti e del loro agitarsi in proposito? Ed allora, come mai la versione ufficiale ci vuol far credere che il non aver dato disposizioni ed informazioni precise a Valerio, nè alla partenza, nè per telefono alle 11, ma speditolo semplicemente a Dongo, via Como, sia un fatto normale ? Eppure secondo questa versione quella di Valerio doveva essere l’unica ed autorizzata spedizione inviata a fucilare il Duce! E’ possibile che il partito, ancora la mattina del 28 aprile, non sapeva dove era finito Mussolini e quindi, non informando Valerio, corra il rischio di farselo soffiare via o che altro ? E’ credibile che Lampredi e Valerio debbano andare a prendere notizie a Dongo? E’ credibile che Lampredi parte da Como con gli altri dirigenti della federazione comunista e va diritto a Dongo senza deviare per Azzano, che è sulla strada e dove, in base a quanto appena osservato e dedotto, avrebbero invece dovuto essere a conoscenza che li vicino c’è il Duce ? Ma andiamo avanti con la “Relazione”: “...a conclusione della discussione fu deciso che Giovanni Aglietto sarebbe venuto con me per presentarmi e garantirmi a Moretti....a noi si aggiunse Mario Ferro e quindi nella macchina dovemmo trovarci in cinque: io, Mordini, Aglietto, Ferro e l’autista. Non ricordo se passammo dalla Prefettura, oppure se sapemmo per telefono che Audisio era già partito”. Ancora una pausa per notare che forse il Lampredi, per evitare incongruenze, non dice a che ora avrebbero cercato Valerio e a che ora partirono per Dongo, ma l’indicazione che “Valerio era già partito” è chiara . Continuiamo: 243 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 “Allora prendemmo la strada per Dongo e durante il viaggio fummo fermati alcune volte da posti di blocco partigiani che ci fecero perdere abbastanza tempo. Arrivammo a Dongo quando Audisio era già sul posto. L’incontro avvenne sulla piazza e fu burrascoso...”. Varie testimonianze attestano di un diverbio tra Valerio e Guido appena ritrovatisi: c’è chi dice che fu a causa del fatto che Lampredi informò Valerio che Mussolini era stato già ammazzato, altri che invece fu per via della sparizione di Guido dalla Prefettura, altri ancora che gli disse, solo ora, che doveva fucilare i prigionieri e non portarli vivi a Milano. Il maggiore De Angelis, che dicesi presente, ricorda che almeno intese queste aspre parole di Valerio: “Tu a me questi schersi non li devi fare!”. Proseguiamo con Lampredi: “Mi pare che Aglietto mi presentò a Moretti prima della riunione che Audisio ed io facemmo con Pedro (Pier Bellini) comandate della brigata per informarlo della nostra missione e per esaminare la lista dei gerarchi catturati. A Moretti parlai a nome del partito sullo scopo della nostra presenza a Dongo ed in particolare sul modo di raggiungere il posto dove si trovava Mussolini, ottenendo da lui l’assicurazione che ci avrebbe accompagnati a destinazione. Successivamente fui presentato a “Neri” ed anche a lui dissi del nostro compito, senza far cenno agli accordi presi con Moretti per la fine di Mussolini e questo perchè mi era stato detto che su Neri vi erano delle forti riserve circa il suo comportamento durante un arresto. Alla riunione dove furono scelti i gerarchi da fucilare, partecipò in un primo momento il solo Pedro, poi Moretti e Bill (Lazzaro)”. La sottile ricostruzione di Lampredi, lasciando intendere una partenza per Dongo successiva a quella di Valerio risolve l’incongruenza di esserci arrivato dopo di questi e quella ancora più grave di non essere tornato da lui o non averlo informato di quanto fatto e appreso in federazione comunista. Peccato che tale escamotage non sia ugualmente plausibile per il fatto che bisognerebbe credere, a sentire lui, ad una sua assurda permanenza in Prefettura di quasi 3 ore! (cioè da poco dopo le 8 e fino alle 11) e poi di circa un altra ora e mezza in Federazione comunista (diciamo fin verso le 12,30 ?) quando Valerio era già partito, e quest’altra permanenza per non certo complicate presentazioni ai compagni (tra cui c’è Mario Ferro che lo conosce bene) e sbrigative richieste di informazioni e di aiuto! Oltretutto, stando anche al suo racconto, che attesta che alle 7 in federazione comunista avevano detto a Moretti che bisognava sentire Milano, avrebbe pur dovuto trovare a quell’ora (dopo le 11), cioè dopo circa 4 ore dalle 7 del mattino, precise disposizioni da Milano! Ed invece no, nessuno sa niente, vanno tutti verso la Mecca, cioè a Dongo dove ci sono appunto gli informatissimi Moretti e il Canali! Ma chi lo può credere? Arrivati a Dongo, come sappiamo, ci fu il ricongiungimento burrascoso tra Valerio e Guido, quindi la riunione segreta con Pedro a porte chiuse; Nel frattempo Pietro il Moretti si tranquillizza perchè Aglietto gli fa capire che questi strani e nuovi arrivati sono dei loro; poi la riunione generale con tutto il comando della 52a, ecc. Infine si andò a far visita ai prigionieri ivi detenuti. Quando esattamente furono messi al corrente Valerio e Guido che Mussolini (e la Petacci) si trovavano a Bonzanigo non è dato sapere (sempre ovviamente credendo alla versione ufficiale da cui si evince che non lo sapevano). Piero Orfeo Landini, uno dei comandanti del plotone dell’Oltrepò giunto con Valerio, ricorda i momenti della visita ai prigionieri: 244 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 “Alcuni dei prigionieri apparivano alquanto depressi, altri meno, e tra questi Pavolini che aveva un braccio al collo, evidentemente ferito. Ci domandammo dove fosse stato portato Mussolini: non sapevamo ancora che era stato trasferito a Bonzanigo”. Un ultima rivelazione fa Guido a proposito della decisione di fucilare i gerarchi e la Petacci, palesando quindi di conoscere lo scopo omicida della missione: “L’importante era adempiere all’incarico ricevuto e le formalità non mi interessavano. Comunque è un fatto che il comando delle brigate approvò la lista dei gerarchi da giudicare (eufemismo per “ammazzare!” n.d.r.) e dette il suo contribuito alla realizzazione dell’esecuzione” (si riferisce a Pedro, il Bellini, e gli altri del comando Brigata, per il quale intende che pur non condividendo tutte le condanne a morte, finirono per accettarle, n.d.r). “ .... E’ un fatto che l’esecuzione di Mussolini e della Petacci fu eseguita a sua insaputa (aggiunge, infatti, che Pedro credeva ad una fucilazione di tutti insieme i condannati) .... come per la fucilazione dei due fu decisiva la partecipazione di Moretti ottenuta soltanto in nome del partito”..... Bisogna riconoscere che le decisioni prese a Milano e cioè: un incarico ufficiale dato ad Audisio e un compito di partito affidato a me, furono giuste e che si deve alla combinazione degli atti compiuti da una parte e dall’altra se il compito affidatoci fu portato a buon fine. Dopo la riunione col Comando della 52ma Brigata, mentre Pedro provvedeva a trasportare a Dongo i gerarchi che erano altrove, stabilimmo di procedere alla fucilazione di Mussolini e della Petacci”. Abbiamo voluto dare un certo spazio a questi episodi, per rimarcare l’inconsistenza e la poca credibilità di svariate testimonianze, in particolare sugli orari e le finalità degli ordini, elargite a più mani e tutte difformi l’una dall’altra. La domanda che purtroppo rimarrà senza risposta è questa: cosa fece e dove andò esattamente Lampredi (con Mordini) una volta che uscì alla chetichella dalla Prefettura? Ma soprattutto a che ora esattamente vi uscì? Una volta passati in federazione comunista a Como e raccolti i dirigenti comunisti locali, conosciutissimi in zona, essi si trovavano a circa tre quarti d’ora di distanza (per quei tempi) da Bonzanigo. Quello che hanno tutti, più o meno dichiarato, è che i due, Lampredi e Mordini, più l’autista Perotta, partono con i compagni locali Ferro e Aglietto (e forse Gorreri), quindi non tornano da Valerio in Prefettura per aiutarlo nella sua missione che dovrà andare a Dongo, si assentano per alcune ore e arrivano a Dongo solo dopo le 14. La logica vorrebbe che, se Valerio e Guido sono arrivati alla Prefettura di Como poco dopo le ore 8 il Lampredi, conscio dell’incarico ricevuto (che forse non è solo quello di assistere Valerio) e del problema di fare in fretta, non aveva alcuna necessità di trattenersi in prefettura e quindi, probabilmente, se l’è svignata quasi subito ovvero entro le ore 9, praticamente dopo una permanenza in federazione di circa 30 minuti. In tal caso ha avuto, considerando anche il tempo per il salto e gli incontri in Federazione Comunista (dove forse era addirittura aspettato), a disposizione circa cinque ore e un quarto per deviare di strada e recarsi ad Azzano (Bonzanigo) e quindi poi proseguire per Dongo dove è giunto poco dopo le 14! Non conoscendo però l’esatta ora in cui fu ucciso Mussolini (poco dopo le 9 o alquanto prima delle 10? secondo il racconto di Dorina Mazzola) non è dato sapere se arrivò in tempo per partecipare alla mattanza, anzi con questi orari è probabile che vi arrivi a cose fatte. Si può anche ipotizzare invece, attenendoci agli orari (difformi) forniti da Lampredi ed altri, che Lampredi arrivi in federazione tra le 10,30 e le 11,30 qui raccolgono i dirigenti del PCI e vanno a Bonzanigo. E’ quasi certo che i dirigenti comunisti di Como (con Moretti e il Canali) 245 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 a Bonzanigo c’erano già stati al mattino presto. E’ quindi ipotizzabile, che poi Lampredi e compagni dovettero tornare a Bonzanigo per incaricarsi di organizzare la messa in scena del pomeriggio a villa Belmonte. Comunque sia, il Lampredi una sua parte in commedia l’ha certamente avuta. PERCORSI Per far orientare il lettore riportiamo di nuovo l’indicazione, sia pure molto generica, dei percorsi sulle strade dell’epoca Vedere cartina Capitolo 1, pag. 34 I percorsi, tra Como, Dongo e l’itinerario intermedio di Azzano, possono variare di qualche Km. a seconda dei punti di partenza e di arrivo e devono considerarsi i mezzi e le difficoltà stradali dell’epoca, ben diverse da oggi, nonchè i posti di blocco e gli imprevisti che non consentono di ipotizzare una tempistica prevedibilmente oggettiva. La via Regina, fino a Dongo, era al tempo una lunga fettuccia di circa 48 Km. Per andare da Como centro a Dongo però si percorrono circa 57 Km. Gli orari qui indicati, molto genericamente, comunque, potrebbero dilatarsi o al limite accorciarsi sensibilmente. • Da Como centro per Dongo si passa da Azzano, o giù di lì, ed il percorso Como – Dongo è oggi di circa 57 Km (la via Regina che li collegava, al tempo, era una fettuccia di circa 48 Km.). • Il percorso Como –Mezzegra è di circa 28 Km. e si poteva compiere tra mezz’ora e tre quarti d’ora circa (salvo eccezioni). • Mentre quello Dongo – Azzano e viceversa è di circa 21 Km. o poco più, e si poteva compiere intorno a 20/25 minuti. Proseguendo ed inerpicandosi per Giulino di Mezzegra si può arrivare a circa una mezz’oretta o poco più (salvo imprevisti). *** 246 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 III° Intermezzo Gli spostamenti mattutini del 28 aprile di Pedro, Pietro, Neri e Gianna Vediamo di ricostruire i possibili spostamenti di Pedro (Bellini), Pietro (Moretti), Neri (Canali) e Gianna (Tuissi), in quelle ore mattutine del 28 aprile 1945 così come sono stati raccontati dalla stessa versione ufficiale. Si tratta di importanti partigiani, ovviamente per quegli eventi che, tra l’altro, si possono definire le massime autorità della 52a Brigata Garibaldi (quella che si era preso il merito di aver catturato il Duce), tutti con storie e posizioni politiche diverse (anche se consolidati tra loro da mesi di montagna comune), ma che poi, stranamente, dopo averne disposto e studiato il nascondiglio, trasferitovi il Duce, oltretutto aggiungendoci la Petacci, nella casa dei De Maria a Bonzanigo e attraverso un mai chiarito viaggio da Dongo verso Moltrasio e ritorno verso Azzano sotto la paura di farsi sequestrare il prigioniero dagli Alleati, 32 lo abbandonerebbero all’alba in quella casa per 11 ore filate nelle mani di due soli stanchissimi partigiani di guardia e con tutti i pericoli e gli imprevisti possibili. Se ne disinteressano o si defileranno (tranne il Moretti che entrerebbe in azione nel pomeriggio, mentre per il Canali la versione ufficiale tende addirittura ad escludere la sua partecipazione alla fucilazione di villa Belmonte), fino a quando si viene a sapere che i prigionieri sono stati ammazzati poco dopo le ore 16. A quali ordini e di chi, essi si attennero ? Tutta la faccenda non quadra, soprattutto per il fatto che, questi partigiani, avrebbero dovuto ciecamente fidarsi l’uno dell’altro (oltre che degli autisti, non scordiamoci, infatti, gli autisti). I profili e le storie di costoro li abbiamo spesso tracciati, ma considerando che il Moretti Pietro, risulta seguire una linea di condotta in funzione degli interessi del PCI abbastanza chiara ed evidente (anche se non si capisce come egli possa essere sicuro che in tutte quelle ore qualcuno degli altri, al corrente del nascondiglio, non soffi il Duce al partito) e che la Tuissi Gianna 33 è una figura, molto importante per alcune incombenze che gli vengono fatte svolgere in quei frangenti, ma tutto sommato non incide nelle decisioni, prima 32 Cosa accadde durante quel viaggio, se effettivamente ci fu un avanti e indietro fino a e da Moltrasio e se effettivamente arrivarono a casa De Maria in un ora così tarda (per quelli che asseriscono un arrivo intorno alle 5 del mattino), a nostro avviso è tutto da accertare. 33 Giuseppina Tuissi Gianna era nata a Milano-Baggio il 24 giungo 1923. Di corporatura piccola, ma graziosa, aveva fatto l’impiegata all’ospedale militare di Milano dove già svolgeva attività antifascista ed era entrata poi nei famigerati GAP. Gli uomini della Muti ne avevano però scoperto il ruolo e quindi si dovette nascondere in montagna, mentre il suo fidanzato di allora, Gianni Alippi, membro del 3° GAP veniva fucilato. E’ così mandata, in qualità di staffetta, presso la 52° Brigata Garibaldi con il nome di battaglia di Gianna. Nascerà poi la sua appassionata storia con Luigi Canali. Anche lei ha un ruolo importante nell’inventario dei beni del cosiddetto tesoro di Dongo e nella traduzione di Mussolini nella casa di Bonzanigo, ruoli svolti a fianco del Capitano Neri. Quando Neri, dopo il 7 maggio ’45 sparisce, la Tuissi ne intuisce subito la probabile fine e non si da pace a cercarlo ed a scoprire la verità. Entrerà in contatto con F. Lanfranchi del Corriere d’Informazione, ma non è chiaro cosa ebbe a raccontare. Minacciata dai dirigenti comunisti comaschi, viene ammazzata come un cane la sera del 23 giugno 1945. 247 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 di affrontare la cronologia di quella famosa giornata resterebbe da approfondire, oltre al profilo del Canali Neri, anche quello del Bellini Pedro, figura pittoresca, ma alquanto ambigua divenuto poi negli anni seguenti fantasioso e reticente romanziere. Ma per Pedro la faccenda è complicata dal fatto che su questo Comandante sui generis non si è mai indagato abbastanza, soprattutto per stabilire a chi doveva esattamente rispondere, magari seguendo una linea che parte da Cadorna e Sardagna, passa da Puccioni a Domaso e forse finisce o comincia dai servizi segreti inglesi. 34 Anzi si sono presi per buoni i suoi centellinati e auto incensanti racconti e qualcuno gli ha anche dato una patente di buonismo e correttezza, visto che la figura pittoresca di questo comandante non comunista faceva comodo all’agiografia della 52a Brigata partigiana. Essendo poi morto nel 1984, a soli 64 anni, non ha neppure avuto il tempo di un suo tardivo ravvedimento. Soprattutto di lui, il Bellini, non si spiega il comportamento con il quale, dopo la messa in custodia di Mussolini, in una casa a lui fino a quel momento totalmente sconosciuta e nota invece al Canali Neri (un comunista atipico e per giunta sotto accusa di tradimento ed al quale, dopo che nel mese precedente è stato fatto il vuoto attorno, non si sa con chi potrebbe essere entrato in contatto) esce di scena ritornando a Dongo, dove vi aveva lasciato il Lazzaro (Bill) ed i gerarchi prigionieri. Qui, sicuro, che nessuno possa prendersi i prigionieri, non risulta (o comunque non è dimostrato) che avvisi i suoi superiori a Milano o Como degli indirizzi e del cambiamento di programma notturno. Lo ritroviamo poi, dal 29 aprile in avanti, invischiato in polemiche e intrighi circa la sparizione di svariati documenti del Duce a vantaggio delle Istituzioni e personalità savoiarde e degli Alleati. Ma questa è un'altra storia. Il Pier Bellini nei sui racconti, intanto, si era già indebitamente auto appropriato di meriti e furbe manovre per mettere nel sacco i tedeschi ed i fascisti della colonna Mussolini fermata a Musso, poi ha romanzescamente raccontato di come fu riconosciuta l’identità della Petacci e perchè fu aggregata a Mussolini nel suo ultimo viaggio (assurdamente ed illogicamente, senza vergogna, fece capire che l’identità della Petacci fu svelata dallo stesso Mussolini), quindi non ha ben chiarito i suoi veri intenti e la sua esatta posizione nel gruppetto che scortò i due prigionieri da Dongo a casa De Maria. Se si considera con attenzione il comportamento di questo pseudo comandante si consegue la certezza che egli nasconda buona parte della verità. Si rifletta: Pedro, fino al giorno prima, meticoloso e geloso della sua impresa (la cattura del Duce) a cui successivamente si è accollato anche la responsabilità morale e materiale di aver, nel trasferimento del Duce a Bonzanigo, accoppiato una donna (la Petacci) poi, fatto questo e lasciati i prigionieri in quella casa e in condizioni di estrema precarietà detentiva, se ne lava le mani e si trastulla a Dongo per tutta la mattinata del 28 aprile. Si occuperà di Mussolini solo per l’arrivo di Valerio al pomeriggio, tra l’altro inaspettato e non gradito il quale ne pretenderà la consegna. E se Valerio non fosse arrivato? 34 Oggi molti sospettano che fu proprio il Bellini, con l’ausilio di Urbano Lazzaro, a sequestrare la piccola borsa di Mussolini contenente, come disse il Duce nell’autoblinda ad Elena Curti: <<Qui ci sono dei documenti di estrema importanza. Qui c’è la verità di come sono andate le cose e chi sono i veri responsabili della guerra. Il mondo deve saperlo e si sorprenderà>>. A parte il fatto che poi venne focalizzata tutta l’attenzione più che altro sulle borse più grandi sequestrate una a Mussolini, una a Casalinuovo ed una a Marcello Petacci, borse dal contenuto importante, ma non decisivo come in quella più piccola, ne consegue che il Bellini, e nel caso anche il Lazzaro, furono per tutti i loro anni di vita una tomba in proposito. 248 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Avrebbe continuato a ignorare la delicata prigionia di Mussolini, senza dare almeno una controllatina per vedere se, tante volte, in paese la cosa si è risaputa, o addirittura il prigioniero se lo sono portato via, oppure i due giovani guardiani hanno bisogno di un cambio? Ma lui non informa nessuno, si fida ciecamente del comunista Moretti e dell’oramai cane sciolto Canali, del silenzio tombale degli autisti e di quant’altro! Anni dopo, forse conscio di queste sue inaudite sconsideratezze ecco quali demenziali giustificazioni darà per il fatto di essersi comportato in questo modo: “Li consiglio (a Lino e Sandrino, siamo infatti a casa De Maria, n.d.r.) a non farsi vedere da nessuno, per non insospettire i vicini di casa o gli eventuali passanti, che potrebbero trovare strana la presenza di due uomini armati in una pacifica casa di contadini”. (Prima scusa per giustificare il fatto che nessuno saprà nulla dei prigionieri in quella casa; ma chi gli garantisce che non sono stati notati all’arrivo in piena notte? n.d.r.). “D’altra parte non mi pareva che la situazione presentasse alcun pericolo, perchè ero convinto che non c’erano da temere sorprese dall’esterno per il fatto che, questa volta, si poteva essere ben sicuri che nessuno sapeva dove fossero i prigionieri; e un loro tentativo di fuga mi sembrava un ipotesi tutt’altro che probabile, sia per le difficoltà pratiche di esecuzione, sia per il loro abbattimento fisico e morale e sia perchè, presumibilmente, ambedue pensavano che quella sistemazione provvisoria era la più sicura per loro, almeno nell’immediato futuro”. (seconda scusa, a posteriori, per giustificare il fatto che poi il Lino e il Sandrino furono tranquillamente abbandonati per 11 ore filate e se non veniva Valerio chissà fino a quando. Tutte scuse inconsistenti ed in cui neppure un imbecille vi avrebbe confidato, n.d.r.). Quello di Pedro che, oltretutto e come al solito, parla come se fosse lui il vero e unico comandante della spedizione di trasferimento prigionieri, quando invece le cose non stanno affatto così, è un comportamento irreale ed illogico. Più illogico di quello di Moretti e Neri, i quali almeno verso le 7 di mattina, sarebbero subito andati a riferire al partito in federazione comunista di Como. Qui, semmai adesso, il comportamento irreale e illogico è quello del partito comunista (di Como e/o Milano) che riceve questa comunicazione e non fa nulla, se ne sta tranquillo ad attendere che un ignaro Valerio, perda tempo in prefettura a Como e neppure lo informa dell’avvenuto trasferimento del Duce alle 11 quando questi telefonerà al comando. Eppure sono tutti consci che gli Alleati sono scatenati alla ricerca del prezioso prigioniero! Il comportamento di Pedro e quello del partito comunista ci danno la certezza che le cose non possono essere andate in questa maniera. Per tornare allo scaltro Pedro, infine, giova ricordare che più tardi si cimenterà in un altra furberia quando non essendo, dice lui, d’accordo sulle modalità di fucilazione di Mussolini e dei gerarchi, imposte da Valerio a Dongo, per prendere tempo e convinto, beato lui, che Valerio non si precipiti nel nascondiglio di Mussolini per ammazzarlo, trovò l’escamotage di recarsi intanto a Germasino a prelevare una parte dei prigionieri ivi spostati e detenuti. 35 35 Tra le altre cose sembra che a Dongo, davanti a Valerio, il Bellini non ebbe ad obiettare per la decisa fucilazione di Mussolini, ma reagì fermamente alla preannunciata decisione di uccidere la Petacci. Non è escluso visto che, come vedremo, la Petacci fu uccisa alcune ore più tardi rispetto a Mussolini ed in circostanze diverse, mentre il Pedro sapesse già che Mussolini era morto o comunque doveva essere ucciso sul posto al mattino, probabilmente invece riteneva che Claretta fosse ancora viva. Ma sono tutte supposizioni. 249 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Valerio, al quale – se così fosse - in pratica gli si lasciava campo libero per recarsi a Giulino di Mezzegra, fu ovviamente d’accordo e gentilmente gli concesse pure, per la bisogna, di aggiungere alla sua auto (sembra quella dello svizzero Hoffman) l’utilizzo dell’auto Aprilia con la quale erano venuti, con lui a Dongo, Sforni e De Angelis. 36 Tutto questo ovviamente non regge e indica una chiara conoscenza in Pedro di come effettivamente erano andati (o forse sapeva almeno come dovevano andare) buona parte degli avvenimenti mattutini a casa De Maria e quindi un suo regolarsi di conseguenza. Oltretutto, resterà sempre misteriosa la riunione a tre: Pedro, Guido e Valerio, avvenuta dopo aver chiarito l’arrivo e le generalità di Valerio e del suo plotone, a porte chiuse nella sala superiore del Municipio di Dongo. Cosa si discusse? Sappiamo bene comunque come andò a finire: pochi minuti prima delle 17 Valerio con Lampredi e Moretti furono di ritorno a Dongo ed il cosiddetto colonnello, appena arrivato, andò incontro a Pedro (che le cronache c’è lo descrivono rimasto allibito) allargò le braccia quasi ad abbracciarlo esclamando: “Giustizia è fatta, il tiranno è morto!” aggiungendo subito dopo: “Ed ora fuciliamo gli altri”. Per condividere un tale onore, propose un plotone misto con i partigiani della 52a . Qui la leggenda, in sintonia con l’agiografia adamantina del comandante della 52a Brigata, che per l’occasione indossava camicia verde e galloni rossi (“sembrava che avesse conquistato l’Italia” riporta A. Zanella e sembra che i partigiani dell’Oltrepò arrivati con Valerio lo soprannominarono subito “il fighetta”) ci dice che questi rispose: “Sei venuto per fucilarli, e fucilali tu! Anzi guarda io non scendo nemmeno in piazza”. Ma poi dovette rassegnarsi ad assistere, perchè Valerio da superiore così gli ordinò. Ci sembrano queste però tutte panzane romanzate che nascondono un diverso svolgimento degli eventi. Per la storia, oltretutto, è attestato che verso le sei meno un quarto, alcuni partigiani della 52a brigata, sembra cinque, dovettero comunque infoltire il plotone di esecuzione. L’unico vero esempio di correttezza e di dignità, effettivamente accertato, fu quello del neo sindaco Giuseppe Rubini che dopo un dignitoso ed indignato scambio di battute con Valerio diede immediatamente le dimissioni e si recò a casa a metterle per iscritto: proprio mentre faceva questo, udì le famose scariche del plotone di esecuzione e tramandò alla storia l’orario delle 17,48. Tornando a Pedro non pochi lo danno in contatto con i servizi inglesi e le voci in merito sono molteplici. Egli stesso pare che si definì persino un mezzo nipote di A. Dumini, il losco e superprotetto italo americano tra gli assassini di Matteotti. E veniamo al Canali. Il Canali, nome di battaglia, Capitano Neri è invece un personaggio a parte il cui ruolo preciso, la sua personalità e soprattutto i suoi contatti, non si sono compresi abbastanza. Il suo assassinio poi è tutto un programma, per cui merita un profilo tutto suo. 36 Si dice che Pedro fosse convinto che nessuno avrebbe indicato a Valerio l’ubicazione di Bonzanigo. E’ questa una enorme idiozia in quanto Pedro non poteva non sapere che con Valerio, del Comando CVL, ma comunista, c’era anche Guido il Lampredi autorità comunista di un certo livello mentre queste informazioni erano detenute anche da altri comunisti quali il Neri Canali, ma soprattutto il Commissario Michele Moretti fedele al partito. Per la cronaca, Sforni e De Angelis erano stati fermati, con la scusa di una mancanza di credenziali, e fatti chiudere da Valerio in Municipio in modo da toglierseli provvisoriamente di mezzo. 250 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Luigi Canali, nome di battaglia Capitano Neri, nasce a Como il 16 marzo del 1912 da una famiglia socialista che anni dopo aderirà al nascente partito comunista. Ufficiale del Genio, già combattente in Africa nel 1936 come sottotenente e reduce poi dal fronte russo, dove si distingue per particolari meriti per i quali sarà promosso a capitano per meriti di guerra. Consegue il diploma di ragioniere e manifesterà una forte tendenza alle letture. Reduce dalla Russia torna alla vita civile e si impiegherà alla Società idroelettrica comacina. Poco dopo l'armistizio dell'8 settembre entra nella resistenza con il nome di Renzo Invernizzi, ma dopo il giugno del 1944 prenderà quello di Capitano Neri. E’ tra coloro che costituiscono la 52a Brigata Garibaldi di cui ne sarà il comandante e si avvarrà di un gruppetto di comando formato da un sottotenente del Regio esercito, Pier Bellini delle Stelle, un finanziere, Urbano Lazzaro ed un attivista comunista Michele Moretti. Ha però soventi contrasti con Pietro Vergani Fabio, che non stima affatto, ispettore delle Brigate Garibaldi e capo dei comunisti milanesi. Questi contrasti gli preclusero un più ampio comando delle divisioni Garibaldi del Lario che finirà invece al colonnello monarchico Umberto Morandi Colonnello Lario, anche in un ottica strategica del PCI di quei tempi che tendeva ad affidare questi comandi, quando possibile e per ragioni di opportunità politica, a ex ufficiali del Regio Esercito. Il Canali comunque, nella zona del Lariano organizza la rete delle sezioni comuniste che si stende fra Dongo, Domaso, Gravedona, Lenno, Sala Comacina e Lezzeno. Si dimostrerà un comandante abile e intelligente con alte doti di coraggio e prestanza fisica che gli garantiscono un certo ascendente. Sembra, però, che la personalità politica di Neri susciti sospetti all’interno della disciplina di partito: non è in sintonia con la prassi stalinista del suo partito, essendo più che altro un idealista e non ha certo un passato antifascista da far valere avendo invece combattuto e con valore nelle guerre di Mussolini. Nel settembre del 1944 Neri viene affiancato da Giuseppina Tuissi, Gianna staffetta partigiana, operaia di ventun'anni, milanese. La stretta collaborazione porta verso una inevitabile e appassionata relazione con il Neri che tra l’altro è sposato da appena un anno e che sta per diventare padre di una bambina. Nella notte tra il 6 e il 7 gennaio del 1945 c’è un risvolto chiave nella sua vita partigiana: a Lezzeno "Neri" e "Gianna" vengono arrestati e saranno torturati. In carcere il Neri incontrerà anche il Morandi Lario e sembra che lascerà poi scritto che costui si era comportato da autentico delatore. Nel carcere fascista era finito anche Dante Gorreri segretario comunista di Como ed anche costui sembra, da quanto si ricostruì in seguito, fece il delatore riuscendo poi anche a salvarsi dalla condanna a morte grazie ad uno strano accordo come abbiamo visto nella sua biografia riportata in altra nota. Tuttavia il Neri riuscì ad evadere rocambolescamente prima della fucilazione, ma a seguito di successivi arresti nelle file della resistenza, da Milano parte una strana voce: hanno tradito! Da Milano viene quindi 251 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 emessa, da un tribunale delle Brigate Garibaldi per la Lombardia ispirato da Vergani, una sentenza di morte, 37 ma a Como e dintorni pochi credono al tradimento, tanto che Canali ritorna in circolazione anche se è visto con sospetto e comunque riprende, almeno di fatto, una certa attività di comando nella 52a Brigata dove, per non abolire i comandi nel frattempo subentrati, gli affidano la inusuale carica di capo di stato maggiore della brigata. Agli inizi di aprile ’45 lo si ritrova nella zona di Canzo assieme alla Gianna, Tuissi, anche lei miracolata dalla sospensione della condanna a morte. In pratica quella condanna resta come congelata. Varie inchieste giornalistiche nel dopoguerra arriveranno, anche se non in modo unanime, alla deduzione che il Neri non aveva affatto tradito (lo attestarono anche i superstiti fascisti che lo ebbero sotto mano), mentre invece, forse, qualche confessione si pensò ch era stata fatta dalla Gianna Giuseppina Tuissi e soprattutto da Gorreri Guglielmo. Sembrerebbe che proprio poco prima di essere arrestato il Canali era stato contattato dagli Alleati in Svizzera, questo quanto venne poi insinuato, ma ancor più nel travagliato periodo, successivo alla sua evasione, viene sostenuto da più parti che il Neri, di fatto isolato, si sia appoggiato ai servizi segreti inglesi molto diffusi e presenti in tutte quelle zone. La cosa è probabile, c’è anche qualche indizio, ma non ci sono prove accertate (lo credevano possibile, per esempio, il comunista Clocchiatti, 38 quello che presiedette il tribunale che lo aveva condannato a morte e il Bellini Pedro) e questo farebbe vedere sotto una nuova luce i suoi movimenti nei giorni successivi. Molti anni dopo il Clocchiatti, di fronte ai tentativi di riabilitazione del Neri, intese riaffermare il suo operato asserendo che tutta la dinamica dell’evasione dalla finestra del carcere fascista era poco credibile, affermando poi: “il Canali era un comunista un pò per ridere. Non aveva alcuna preparazione ideologica e devesi aggiungere che era uscito dalla guerra superdecorato mentre un buon comunista nell’esercito avrebbe dovuto lavorare contro il fascismo”. 37 La condanna a morte contro “Neri” fu stabilita il 21 febbrario del 1945 nel retrobottega di un negozio di proprietà di Aldo (Stefano), fratello di Mario Melloni (il futuro “Fortebraccio” de l’”Unità”), comandante di piazza di Sesto San Giovanni, da un tribunale presieduto da Amerigo Clocchiatti e di cui fecero parte Pietro Vergani Fabio (ispettore delle Brigate Garibaldi e capo dei comunisti milanesi, braccio destro di Longo, che poi fu accusato con Gorreri di aver ordinato a maggio ’45 la morte del Neri ed altri misfatti), Italo Busetto Franco comandante dei SAP per Milano, Alessio Lamprati Nino vice comandante del raggruppamento Brigate Garibaldi per Milano e provincia, Bruno Felletti Marco altro vice comandante delle Brigate Garibaldi per Milano e provincia e Geo Marcello Agliani Giorgio, gappista, membro del CVL, Ispettore regionale lombardo per le Brigate Garibaldi Questa condanna venne diramata sotto forma di circolare a tutti i comandi delle Brigate garibaldine mettendo in difficoltà e sotto sospetto il Neri dopo la sua fuga dal carcere fascista. La condanna comunque non impedì al Neri di tornare in auge nella 52a Brigata e di arrivare (guarda caso) proprio il pomeriggio fatidico dell’arresto di Mussolini e di partecipare con i compagni di partito e senza che nessuno gli rinfacci qualcosa, ma soprattutto con un ruolo di primo piano, a tutti gli avvenimenti di cui stiamo parlando. 38 Amerigo Clocchiatti, è nato nel 1911 e morto nel 1992, medaglia d’argento della resistenza, gia commissario delle SAP di Milano e provincia, membro del Comitato Insurrezionale del Nord Emilia, divenne deputato comunista ed è passato infine a Rifondazione. 252 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Anche Giovanni Pesce, vecchio comunista gappista, ritenne dubbia la posizione del Neri, pur senza pronunciarsi in modo definitivo ed asserendo, ragionevolmente: “Credo che Neri e Gianna meritassero la condanna a morte, ma penso che vi fosse qualche dubbio sul loro conto che suggeriva di non eseguirla soprassedendo”. Il Neri, in ogni caso, fin dal pomeriggio del 27 aprile quando appare a Dongo e non si è mai saputo chi lo avesse spedito sul posto (sembra che disse che aveva avuto ordini dal colonnello Sardagna, uomo di Cadorna a Como), 39 gioca un ruolo decisivo sulla requisizione e sull’inventario del tesoro sequestrato alla colonna Mussolini, sul trasferimento e poi sulla morte del Duce. Una testimonianza, se vera, confermerebbe il sospetto della sua collusione con l’intelligence inglese. E’ quella della dottoressa Pasca Piredda, all’epoca alle dipendenze di Valerio Borghese nella Xa Mas, arrestata il pomeriggio del 29 aprile ’45 e condannata a morte dai partigiani per il giorno dopo, assieme ad altri prigionieri. Mentre veniva condotta verso la sponda del Naviglio fu prelevata proprio dal Neri che, contrario e disgustato dalla mattanza che si doveva svolgere, la portò in una baracchetta dove c’era anche la Tuissi Gianna. Ebbene, dopo un breve interrogatorio, per poterla sottrarre all’esecuzione, il Neri sembra che telefonò seduta stante ad una autorità straniera e la fece venire a prendere da una Jeep con due ufficiali inglesi. Il ruolo giocato dal Neri, senza che il PCI ci ritrovi niente da dire, è in quei momenti decisivo: è lui che escogita e garantisce il nascondiglio di Bonzanigo (la De Maria era sorella di latte della sua famiglia), è lui che vi traduce, assieme a Moretti e Bellini, i prigionieri, è lui che insieme a Moretti informa il partito a Como verso le 7 di mattina del 28 aprile, è lui che provvederà poi a gestire la raccolta e l’inventario dei beni sequestrati alla colonna di Mussolini. Ma ecco che, a liberazione avvenuta, il Canali torna improvvisamente in contrasto con le autorità comuniste, si dice disgustato dal loro comportamento (furti, ed esecuzioni sommarie) ed ha un violento scontro con Dante Gorreri che ha ripreso il suo posto di segretario alla Federazione comunista di Como. E’ difficile stabilire i veri motivi di questa diatriba: più che altro si dice che Neri era indignato all'idea che l'oro di Dongo, tesoro di Stato, venisse incamerato dal Pci, oltre che arraffato anche personalmente dal Gorreri, alcuni dicono invece che, oltretutto, non era stato d’accordo nelle modalità sull’eliminazione del Duce; altri che invece, oltre alla faccenda dell’oro, c’era anche il fatto che il PCI temeva e non aveva gradito il ruolo del Neri funzionale ai servizi segreti inglesi e magari aveva creato imprevisti (o peggio) nella uccisione di Mussolini, ecc., ma sono solo supposizioni. 39 Arrivò proprio a proposito nel tardo pomeriggio del 27 aprile, sembra preceduto da una lettera pervenuta al comando della 52a brigata dal giorno prima e firmata anche da Francesco ovvero Pietro Terzi, suo amico, ed ispettore del comando Raggruppamento Divisioni Garibaldine Lombarde. Lui, il Bellini ed il Moretti, su un evidente ordine ricevuto, subito predispongono di nascondere Mussolini per la notte (accoppiandogli anche la Petacci) e sarà proprio il Neri colui che, più che altro, coordina e guida queste azioni. 253 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Il 6 maggio sembra che confidi alla madre di essere disgustato e deciso a lasciare la politica, ma non prima di aver portato a termine una "operazione di importanza fondamentale". Sembra che le confiderà anche di aver ucciso il Duce. Il giorno dopo sparisce. Il corpo resta introvabile. Aveva 33 anni. La Tuissi, Gianna che costernata tenterà di indagare verrà assassinata a sua volta verso fine giugno ‘45. Ed altri omicidi correlati a questi seguiranno in quei giorni. 40 Il PCI cercherà di giustificare, all’interno delle sue file, che l’esecuzione era avvenuta da parte di un gruppo di montagna che non aveva avuto contrordini circa la sua ex condanna a morte, ma la storiella era totalmente assurda. Un muro di omertà e di paura, addirittura tra gli stessi compagni comunisti, circonderà per interi decenni tutta la vicenda. Solo dopo quasi una cinquantina d’anni il Neri verrà riabilitato anche negli ambienti post comunisti, che riconosceranno anche la loro responsabilità nell’uccisione definendola uno sbaglio di quei tempi, tranne qualche irriducibile, come ad esempio il Clocchiatti, che continuerà ad essere convinto delle sue colpe e che lo fece condannare a morte dal tribunale da lui presieduto. Ma torniamo ora alla nostra fatidica giornata. Dunque, come già detto, Mussolini e la Petacci durante la notte tra il 27 ed il 28 aprile del 1945, forse alquanto prima della 5, vengono portati a casa De Maria. Incredibilmente Pedro (Bellini) scrisse che, lasciate le macchine, impiegarono circa un quarto d’ora per arrivare a piedi al cancello della casa: visto che dovrebbero aver lasciato le macchine, più o meno sullo spiazzo erboso di via del Riale, avrebbero poi impiegato ben 15 minuti per fare circa 150 metri sia pure in salita e sotto la pioggia?! Oppure dobbiamo credere che, per prudenza, lasciarono le macchine alquanto prima? Improbabile e comunque nessuno lo ha mai spiegato. Comunque a conoscere l’indirizzo di questa prigione trovata dal Neri, che in passato aveva usato questo rifugio, 41 sono, oltre al giovane Sandrino (Cantoni) e il Lino (Frangi) 42 che poi resteranno di guardia, la Gianna (Tuissi), Pedro, (Bellini), Pietro (Moretti), ed anche i due autisti Edoardo Leoni e Dante Mastalli che poi, dopo il ritorno, usciranno di scena. 40 Si sono fatte molte ipotesi circa i motivi delle uccisioni di Neri e Gianna ed altre a queste morti correlate. Più che altro si tende a credere a contrasti sorti circa la gestione del famoso oro di Dongo. Ma questa indebita appropriazione dei beni sequestrati ai ministri della RSI, del resto frequente in quei tempi, non crediamo che possa aver costituito un motivo sufficientemente grave e valido per tutte queste uccisioni. Da molti indizi invece sembra che il Canali, la Tuissi e poi anche la sua amica Angela Bianchi, dovettero essere eliminati perchè, elementi incontrollabili e in dissidio, erano depositari di segreti proprio sull’uccisione del Duce. Nulla però è accertabile. 41 Sembra che il marito della sorella del Neri, Alice, tale Armando Grigioni sia stato a balia dalla madre della Lia De Maria, fatto questo allora molto importante per i vincoli tra famiglie. 42 E’ interessante sapere che, mentre Lino è legatissimo a Neri, il Sandrino è invece più legato a Bill (Lazzaro) e soprattutto a Pietro (Moretti). Almeno così si dice. 254 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Dopo un tempo imprecisato, durante il quale si sono trattenuti a casa De Maria, lasciano la casa prigione (si dice verso le 5 o le 5,30): 43 dove vanno?, cosa fanno? Sembra che si dividono sul silenzioso piazzale e mentre Pedro (ex sottotenente del Regio esercito e comandante della 52a Brigata, uomo legato ad ambienti del CLN non comunisti) torna a Dongo con l’auto guidata dal Mastalli e si defila dagli avvenimenti di Bonzanigo,44 tutti gli altri invece, con la seconda 1100 guidata dal Leoni, prendono la strada di Como. Non hanno difficoltà ai posti di blocco essendo ben conosciuti. Giunti a Como poco prima delle ore 7 si disse, (ma questo solo in un primo momento) che si divisero: Moretti si reca in via Natta al numero 18, dove la Federazione comunista situata nello scantinato sta per essere smontata per traslocare alla nuova sede di palazzo Terragni fino al giorno prima occupato dal PFR, mentre Neri e Gianna vanno per conto loro. In Federazione Moretti, incontrati alcuni compagni di partito, sembra che faccia anche nuove conoscenze: l’ex segretario Dante Gorreri (Guglielmo), rientrato il giorno prima dalla Svizzera (torbido personaggio che per essere di nuovo in auge è evidentemente ben agganciato con i vertici del partito) e quindi Giovanni Aglietto (Remo) che ne era stato il sostituto da gennaio e durante il soggiorno svizzero. Lo accolgono con entusiasmo, gli fanno asciugare i vestiti, gli offrono da bere, ecc., tra un gran via vai di partigiani e compagni indaffaratissimi. In un secondo momento però si attestò (ed oggi è storicamente acquisito) il fatto che invece, assieme al Moretti, ad andare in Federazione c’era anche il Neri (la Gianna non viene menzionata, ma probabilmente doveva esserci anche lei). Lo confermò anche il Moretti stesso che, alla domanda: “lasciati casa De Maria, tu e Neri siete andati a Como, per fare cosa?” rispose: “siamo andati alla Federazione del nostro partito per cercare di spiegare gli ultimi avvenimenti legati all’arresto di Mussolini e dei gerarchi”. Ed ancora dopo il Moretti aggiunse, riferendosi a Lampredi, che arrivato quella mattina del 28 in Federazione cercava il modo più semplice per arrivare a Dongo, e trovò l’Aglietto con il Mario Ferro: “Lampredi ebbe modo di trovare il segretario Aglietto che, poco prima, era stato messo al corrente di come stavano le cose da me e dal Neri”. Quindi Moretti e Neri, non si sono separati, ma vanno insieme in Federazione. Qui Moretti porta informazioni circa gli ultimi avvenimenti e sembra che gli sia stato detto (lo scrive anche Lampredi) che occorrerà aspettare ordini da Milano. Per la versione ufficiale Moretti e Neri non avrebbero comunicato l’ubicazione di casa De Maria, ma questo è poco credibile per il semplice fatto che avranno pur dovuto dire, per ragioni di sicurezza, che questo indirizzo era comunque noto a ben sei persone, compresi gli 43 Come abbiamo detto (nella precedente nota 30), è anche probabile che il Duce e la Petacci vennero portati in casa De Maria alquanto prima delle 5 di mattina e quindi, usciti da quella casa, Moretti e il Canali sarebbero potuti arrivare a Como in federazione comunista alquanto prima delle 7. 44 Strano poi il comportamento di Pedro nel pomeriggio con Valerio a Dongo. Come abbiamo già detto il furbo comandante Bellini dopo aver litigato con il rabbioso Valerio, si offrì di andare a Germasino a prelevare alcuni esponenti fascisti (tra i quali anche Bombacci), partendo con l’onnipresente svizzero Hoffmann ed una scorta di garibaldini. In tal modo e nonostante le sue future dichiarazioni, il furbo comandante, lascia Audisio a Dongo, praticamente con il via libera per Mussolini a Bonzanigo, pur sapendo il dichiarato intento di Valerio di uccidere il Duce! E’ un comportamento illogico che si spiega solo con il fatto che Pedro, ha recitato una sceneggiata avendo ricevuto ordini superiori di defilarsi, forse, sapeva benissimo che Mussolini a quell’ora era già morto. Ecco perchè i suoi futuri racconti, spesso romanzati, sono carenti e non credibili e lui stesso non ha mai fatto gran chè per dare convincenti spiegazioni. 255 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 autisti! E queste informazioni, è ovvio, furono inoltrate subito a Milano dove probabilmente già sapevano del trasferimento in una base segreta e attendevano la conferma del buon esito del trasferimento e l’indirizzo). Qualche telefono doveva pur funzionare in quelle ore. Tale informativa, quindi, deve essere arrivata a Milano tra le 7,30 e le 8, o probabilmente prima se facciamo retrocedere l’arrivo di Moretti e Canali in federazione a prima delle 7. Ma ancor meno credibile è, sia il fatto che il Moretti ed il Canali, dopo il loro raccontino siano stati lasciati andare tranquillamente per conto loro e finiranno poi a Dongo, e sia il fatto che ricevuta questa preziosa informazione il PCI non farebbe niente di niente! Nonostante l’urgenza, il partito non darebbe disposizioni in federazione a Como, non fa avvisare Valerio nella sua telefonata delle 11 al Comando del CVL e, dai racconti di Moretti, concernenti l’arrivo dello strano plotone di Valerio alle 14,10 a Dongo, si deduce che neppure a lui, Moretti, era stato preavvisato questo arrivo dei giustizieri. Sarebbe ovvio invece, se proprio vogliamo credere alla versione ufficiale, che costoro siano stati fatti rimanere, o in federazione o nei pressi, a disposizione di eventuali ordini o arrivi da Milano! E’ un fatto ovvio e logico ed è veramente cretino ed assurdo che, per sostenere una ridicola versione, si attesti il contrario. Lo spensierato Pietro Moretti La favoletta resistenziale, invece, recita che, fatta questa relazione in Federazione comunista, Moretti se ne va a Dongo, ma passerebbe prima da Tavernola dove sono mesi che non si fa vedere a casa e non vede il figlio ed è anche qualche giorno che non vede la moglie Teresina Tettamanti (in pratica sparisce di scena, allegro e spensierato in un bel quadretto familiare, tanto, penserà lui, il Duce è al sicuro così custodito da due stanchissimi partigiani!). Questo è tutto quello che verrà fatto sapere circa la mattinata di Moretti Ma siamo sicuri? non viene da domandarsi dove andò e cosa fece il Moretti, diciamo da circa le 8 alle 11 di quella mattina? Gli indaffarati Neri Canali e Gianna Tuissi Neri e Gianna, invece, sembra che vanno da Remo Mentasti, Andrea, il valigiaio di piazza S. Fedele, amico del Neri e noto punto di appoggio per i comunisti in clandestinità e con lui si portano tutti dal neo sindaco comunista di Como, tale Armando Marnini al quale, si dice (così la versione ufficiale), gli chiederebbero di andare a Dongo a presiedere uno speciale tribunale del popolo per giudicare Mussolini e gli altri (ma questi non se la sentirebbe).45 Quindi il Neri, sul cui capo dovrebbe sempre pendere una condanna a morte per tradimento da parte del partito e del Comando Generale delle Brigate Garibaldi, che sembra al momento sospesa, ma non revocata, passa a salutare la mamma (e questa confermerà il particolare) in via Zezio 53. 46 Alla mamma Maddalena Zannoni avrebbe, in quell’occasione, anche rivelato un emblematico “di aver fatto quella notte il suo dovere di comunista” e la donna ebbe ad aggiungere nel 45 A. Zanella, nel suo ben documentato L’ora di Dongo, dando per scontata una uccisione di Mussolini, anche da parte del Canali, all’alba e per improvvisata iniziativa, ipotizza che questi si recò dal sindaco Marnini per essere aiutato ad avere un avallo a questa uccisione. 46 Si noti che il Neri, pur essendo un comunista non dovrebbe essere affidabile dopo l’emissione di tale condanna a morte e il vuoto che gli fu fatto attorno e quindi il partito doveva pur aver messo in preventivo che il Neri potesse aver preso eventuali contatti con altri ambienti: oggi, infatti, c’è chi afferma che il Neri entrò in contatto con l’Inteligence Service inglese. 256 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 1972 a Franco Bandini (nel corso della stessa intervista) la clamorosa rivelazione che gli avrebbe fatto il figlio: “Ho detto ai miei capi dove si trova Mussolini”. Molti anni dopo l’89enne sorella del Neri, Alice Canali, ebbe a rivelare che il fratello, nel famoso ultimo incontro con la madre gli confidò anche di aver ucciso il Duce e la madre lo implorò di non dirlo. Al processo di Padova del 1957 Pedro, il Bellini avrebbe detto: “Quando, poco prima di Valerio, giunse a Dongo Guido Aldo Lampredi, fu Nerì che garantì per lui e fu sempre Neri che li guidò da Mussolini, rimanendo presente all’esecuzione sommaria”. 47 Si dice che il Neri passò anche in Prefettura dal CLN e quindi arriverà poi a Dongo, intorno alle ore 14, chi dice poco prima, chi dice poco dopo, di Valerio. Arrivò a Dongo in auto con Remo Mentasti, Nino Corti e Dante Cerruti, e dovremmo dedurre anche lui tranquillo e sicuro che i prigionieri, così lontani ed isolati, non li scopre nessuno e non hanno imprevisti di sorta! Ebbene, come non rilevare intanto il fatto sorprendente che, avendo il Neri comunque gironzolato per Como, prima di recarsi a Dongo, non abbia avuto sentore dell’arrivo di una importante missione (quella di Valerio) con tanto di plotone di partigiani armati in Prefettura, giunta fin da poco dopo le otto, missione che concerne proprio il Duce e gli altri prigionieri di Dongo e che, da quell’ora e fino a mezzogiorno, stava incorrendo in diffidenze, polemiche, litigi ed incomprensioni? Lui che pur dovrebbe essere passato anche dal Sindaco Marnini, non sa nulla? Quando passerebbe in Prefettura, se pur vi passò, quando se ne erano tutti andati? Dove si trovava esattamente il capitano Neri, diciamo tra circa le 8 e le 11? Dopo queste poche e fumose indicazioni si perdono le tracce di tutti questi compagni, che ritroveremo più tardi a Dongo e si noti che non si conoscono con precisione nè il tempo impiegato, nè le ore in cui fecero effettivamente i loro asseriti spostamenti. Chi avrebbe forse potuto fornire particolari interessanti sugli spostamenti del Neri poteva essere il valigiaio Remo Mentasti Andrea, 48 ma così non è stato. Un passo indietro anche per ricordare che, all’alba di quel giorno, gli autisti del trasporto dei prigionieri a Bonzanigo Leoni e Mastalli, erano stati congedati con l’impegno di mantenere il più assoluto riserbo, ma pur se improbabile, nessuno poteva escludere, sui tempi lunghi, una loro, magari involontaria, confidenza a qualcuno circa il luogo ove era stato portato Mussolini, senza parlare poi del fatto che l’arrivo notturno dei prigionieri in casa De Maria poteva essere stato notato e la voce sparsasi nei dintorni! Ma che bella Versione, da tanti riferita in un quadro similare, ma non univoco, pregna di particolari di ogni genere, ma di cui nessuno risulta veramente chiarificatore, ricca di 47 Pedro, con questa testimonianza, introduce almeno un paio di contraddizioni rispetto ad altre testimonianze ed alla versione ufficiale: 1. Lampredi giunto a Dongo prima di Valerio; 2. il capitano Neri che va a Bonzanigo e partecipa all’esecuzione. 48 Remo Mentasti, Andrea, nato nel 1899 a Como e morto nel 1978. Vecchio comunista distribuiva la stampa di partito durante gli anni della guerra. Ha un negozio di valigeria in piazza S. Fedele a Como, punto di ritrovo della clandestinità, frequentato anche da Rossana Rossanda futura co-fondatrice de Il Manifesto. Nella resistenza organizza l’invio di giovani verso la Val d’Ossola e l’Alto Lago. Con il fratello Italo, Renzo Tramaglino, socialista, organizza gli scioperi del marzo 1944. Arrestato dai fascisti nel febbraio del ‘45 viene seriamente malmenato e liberato solo il 24 aprile ’45. Nasconderà provvisoriamente buona parte del tesoro di Dongo poi trafugato dal PCI. 257 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 ricordi e testimonianze sullo stesso canovaccio dei fatti asseriti, ma quasi tutti incongruenti, ma soprattutto, alzando lo sguardo dai singoli particolari, fa risultare una totale illogicità di fondo, una assurdità di fatti, iniziative e decisioni che lascia veramente sgomenti. 258 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Le domande che non trovano risposta sono queste: Come possono Bellini, Canali e Moretti, partigiani con storie e referenti di estrazione diversa, andarsene ognuno per proprio conto, fidandosi l’uno dell’altro e abbandonando tranquillamente il prezioso e super ricercato prigioniero Mussolini, con due stanchissimi carcerieri, per oltre 11 ore filate ovvero fino al pomeriggio fatidico del 28 aprile (versione ufficiale)? Come potevano escludere di essere stati tutti notati in paese, di eventuali tradimenti, imprevisti quali liti, ribellioni e/o suicidio dei prigionieri, arrivo di missioni scatenate alla loro ricerca, e quant’altro ancora? Perchè Pedro poi va a Dongo e si defila, incomprensibilmente, da quell’impresa a cui, fino alla notte prima, tanto teneva? Perchè Neri e Pietro non furono fatti rimanere ad aspettare in federazione comunista a Como eventuali ordini da Milano se non anche l’imminente arrivo del colonnello Valerio? Ma anche ciò che, da quelle cronache, manca e che, invece, avremmo dovuto riscontrare indica la non verità di certe situazioni. Per esempio: Perchè non abbiamo attestati che il 28 aprile (e fino al pomeriggio) al Comando del CVL di Milano, ci mostrino un frenetico affaccendarsi per sapere bene dove trovasi e che fine ha fatto Mussolini? Perchè da parte di Longo, Pertini, ecc., non abbiamo testimonianze che ci dicono la loro preoccupazione che il super ricercato Mussolini ancora non è stato ucciso? Eppure le ultime notizie, pervenute al Comando CVL da Valerio alle 11 di mattina, lo davano ancora ignaro e inconcludente a Como! E, viceversa, se Longo e il PCI a Milano (che forse, fin dalle 7 di mattina, hanno avuto le preziose informazioni portate a Como dal Moretti e dal Canali), perchè sembrano non fare nulla? Non avvertono Valerio alle 11, non si preoccupano, nonostante l’urgenza ed il pericolo che Mussolini gli venga sottratto dalle missioni Alleate (anzi Longo, dopo le 14, va tranquillo a ricevere Moscatelli)! Perchè Pedro il Bellini, non si chiede cosa deve fare con il Duce e la Petacci abbandonati a casa De Maria? Fino a quando avrebbe aspettato gli eventi? E se Valerio, che nessuno tra l’altro a Dongo si aspettava, non fosse arrivato alle 14, cosa faceva, andava avanti così senza chiedere ordini, disposizioni?!! Evidentemente siamo in presenza di altri avvenimenti da leggere in un ben diverso scenario, ovvero è accaduto qualcosa che rende superfluo tutto il resto! E questo qualcosa può essere soltanto la morte del Duce nella mattina del 28 aprile 1945! 259 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 IV° Intermezzo La scelta dei “fucilandi” a Dongo Urbano Lazzaro Bill, nel suo poco attendibile Dongo, mezzo secolo di menzogne, ha però riassunto con molta maestria i momenti salienti in cui a Dongo il colonnello Valerio (chiunque egli fosse), nello stanzone al piano terreno del Comune, 49 si accinse ad imporre quelli che asseriva essere gli ordini da lui ricevuti per selezionare e fucilare, da una lista di 31 nominativi già compilata in loco, 15 condannati a morte più Mussolini (questo conteggio non lo disse, ma risulterà evidente) per attuare una esplicita ritorsione all’eccidio dei partigiani in piazzale Loreto (poi piazza dei XV Martiri) nel 1944. 50 Per sopraggiunti imprevisti, si era però ritrovato il cadavere di Claretta ovviamente non contabilizzabile nella vendetta e poi venne anche a ritrovarsi l’imprevisto cadavere del fratello, cioè quello di Marcello Petacci. Il fatto che risulti evidente la sua volontà di scegliere a Dongo proprio 15 condannati, inserendoci a viva forza e nonostante le proteste, anche persone non passibili di pena di morte, fa pensare che egli non voleva contarvi il Duce che doveva essere ucciso a parte 49 Questa ricostruzione di Urbano Lazzaro è determinante perchè attesta, senza ombra di dubbio, che Valerio impose la fucilazione anche di Claretta Petacci in quanto, evidentemente, la sapeva già morta. Ci sono anche altri riscontri in proposito, ma ad onor del vero occorre dire che un altro dei presenti, Michele Moretti ovviamente interessato a difendere la versione ufficiale, non confermò questi dialoghi. 50 L’eccidio dei partigiani del 1944: l’8 agosto del 1944, mentre un camion tedesco stava distribuendo, in viale Abruzzi, derrate alimentari alla popolazione quali avanzi delle mense tedesche (cosa che avveniva di frequente), intorno alle 8,15 lì dove l’arteria sfocia in piazzale Loreto, esplose una bomba che uccise alcuni soldati germanici (sembra 5) ed alcuni cittadini. Fu un attentato vile e per il particolare evento anche odioso e prevedibile (se non voluto) nel suo scatenare la volontà tedesca di attuare una rappresaglia. Fu così che i tedeschi ordinarono l’uccisione e la conseguente esposizione in pubblico su piazzale Loreto di 15 partigiani presi dalle galere dove erano detenuti. Pretesero anche che all’esecuzione contribuissero i fascisti e quindi un plotone di militi della Ettore Muti, partecipò alla fucilazione ed al servizio di guardia ai cadaveri esposti. Ma non tutti sanno che lo stesso Mussolini, una volta informato (con ritardo) dell’accaduto, ebbe un terribile attacco d’ira che travolse il ministro della Cultura Popolare Fernando Mezzasoma, in quel momento presente. Appreso che l’ordine era partito dai tedeschi che si erano rivolti al comandante della Muti (Franco Colombo, n.d.r.), Mussolini sempre più adirato esclamò: “E Colombo ha accettato? Voglio che Colombo si giustifichi con me immediatamente! Cos’è questo sconcio, da quando in qua i tedeschi danno ordini ai fascisti senza che io ne sappia nulla ? E il prefetto Parini perchè non mi ha avvertito ? Mezzasoma rispose che nessuno era stato informato in tempo utile per poter scongiurare la fucilazione. Mussolini quindi si mise in contatto con il comando tedesco a Milano, sfogandosi in tedesco con chi venne a rispondere al telefono. Sfinito mormorò poi: “Sono dei pazzi!. Stessa protesta fu da Mussolini rivolta al comandante della Muti, Colombo. In seguito a quell’episodio si dimise anche il prefetto Parini lamentando infatti il mancato ed esposto avviso prima della fucilazione, cosa che aveva impedito alle autorità repubblicane di intervenire. In ogni caso quelle proteste così veementi e la dissociazione di Mussolini a nome della Repubblica Sociale, da quel tipo di rappresaglie, sortirono l’effetto di impedire la fucilazione di altri 20 ostaggi decisa dai tedeschi per l’uccisione a Milano di una loro crocerossina. 260 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 (ovvero già sapeva ucciso in altro luogo), e comunque non intendesse considerarlo nel gruppo dei 15 che dovevano rappresentare una simmetrica vendetta per l’eccidio del 1944. Non è facile capire con quali sinistri criteri di giustizia egli abbia incluso o escluso le persone da uccidere, fatto sta che, come vedremo, iniziando con Mussolini che poteva pur essere logico, proseguì con la Petacci, la quale oltre a non essere presente nella lista che aveva in mano (ma sapendola già morta, doveva pur includerla in una pseudo sentenza di giustizia), non rientrava neppure in particolari colpe per essere fucilata e scatenò una veemente reazione da parte dei partigiani di Dongo (e forse una sceneggiata per coloro che, parimenti, sapevano che la poveretta era già stata uccisa al mattino). Tra proteste e resistenze varie proseguì quindi ad apporre le sue sinistre crocette di morte accanto ad alcuni degli altri 30 nominativi seguendo un suo personale e criminale criterio. Scriverà giustamente il giornalista Luciano Garibaldi: “Per esempio, tra un colonnello ed un aviere, scelse un colonnello; tra un giornalista ed un autista, scelse il giornalista; tra un professore ed un motociclista, scelse il professore. C’era una logica. Fece una sola eccezione. Dovendo per forza raggiungere il numero di 15 ‘fucilandi’ (così li chiamò prima di fucilarli) e poichè nella lista non c’era più neppure un sottotenente o un giornalista anche solo praticante, prese a casaccio un nome: Mario Nudi, un poveraccio impiegato della Confederazione fascista dell’Agricoltura e distaccato alla (ma Valerio non lo sapeva) segreteria del Duce”. Arriva così ai fatidici 15 condannati, che tra l’altro essendoci di mezzo il soprannumero di Claretta Petacci (o anche considerando il Duce) avrebbe potuto ridurre di una o due unità, risparmiando magari Calistri che si era trovato nella gruppo per un passaggio e/o Nudi che non era certamente da giustiziare, ma non fregandogliene niente pensa che Mussolini e Claretta, morti altrove, non fanno parte del gruppo. Lui sa solo che dovrà fucilare i prescritti 15 e poi recarsi a Giulino di Mezzegra per recitare la sceneggiata ed aggiungere, a latere, il Capo di questi malfattori (più Claretta che però come donna è gia abnorme averla ammazzata e non può certo contarla nel mucchio). Sorvola così sul cadavere imprevisto della Petacci che gli guasta il numero perfetto, ma qualcuno (un commerciante di legnami di Dongo, fotografo dilettante certo Luca Schenini) gli sussurra, e se lo porterà per sempre alla coscienza, che tra i prigionieri c’è anche il figlio di Mussolini, Vittorio, che invece è Marcello Petacci sotto le mentite spoglie di un diplomatico spagnolo. Vorrebbe mandarlo a far fucilare subito da Bill Urbano Lazzaro, ma il Lazzaro preso dai dubbi sulla identità di costui lo riporterà indietro. Ma quando i condannati saranno portati davanti al parapetto del Lago sul luogo d’esecuzione, vi verrà condotto anche il Petacci. Valerio aggiungerà quindi anche quest’altro poveraccio che, per la reazione dei condannati che non lo vogliono a morire tra loro, sarà mezzo linciato dalla folla e ucciso dai partigiani durante il suo disperato tentativo di fuga a nuoto nel lago e sotto gli occhi dei figli rimasti alla finestra in albergo. Essendo il Petacci un fuori numero, Valerio non lo vorrebbe neppure ripescare e caricare sul camion con i cadaveri da scaricare a piazzale Loreto, ma sarà costretto a portarselo via per l’insistenza non si sa bene se di Michele Moretti (più probabile) o del Pier Bellini Pedro. E’ così che i due fratelli Petacci, ai fini della storica vendetta, risulteranno due imbarazzanti ingombri, ai quali si aggiungeranno 5 ministri (Pavolini, Liverani, Romano, Mezzasoma e Zerbino), 1 sottosegretario (Barracu), 2 gerarchi del PFR (Porta e Utimpergher), 2 tra segretari e addetti a Mussolini (Gatti e Casalinuovo) e 5 sventurati (Bombacci, Calistri, Coppola, Daquanno, Nudi), più Mussolini ammazzato come un cane. 261 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Comunque sia, tutta la sua precedente sceneggiata di fronte al comando della 52a brigata, in cui sembra che, oltre a Guido, c’erano Neri, Pietro, e Bill, che esordì con il famoso “sono venuto a fucilare Mussolini ed i gerarchi”, dimostra: primo: che doveva assolutamente racimolare un certo numero di fucilandi (termine con il quale li aveva chiamati Valerio) a prescindere dalle loro responsabilità, altrimenti non si spiega la sua ottusità nel selezionarli nè, per la maggior parte di costoro, nel voler rabbiosamente ignorare la mancanza di imputazioni gravi per condannarli a morte; e secondo: che sapeva benissimo che a quell’ora la Petacci e Mussolini erano già morti (E’ probabile che anche Pedro sapeva che Mussolini era morto o doveva essere ucciso al mattino, mentre forse non sapeva che anche Claretta era morta). L’esperienza ci dice di non credere troppo alle testimonianze e rievocazioni del Lazzaro, per non parlare di quelle del suo compagno di merende Pier Bellini Pedro, le cui storie sono spesso romanzate ed edulcorate, ed inattendibili quando si parla del momento dell’arresto del Duce oppure della sparizione dei documenti sequestrati per i quali i nostri ebbero una loro losca parte. Qui però l’argomento esula da faccende in cui il Lazzaro venne poi chiamato a vantarsi o a rispondere per cui, tolta qualche coloritura ed una certa tendenza a dipingere i Garibaldini della 52a come impavidi, buoni e immacolati guerriglieri crediamo, soprattutto per altri riscontri similari, che il testo sia attendibile. Eccolo: <<Pedro si rivolse a Valerio e gli disse […] che all’esecuzione non un solo garibaldino della 52a avrebbe preso parte [ed invece alcuni, sembra 5, vi presero parte! n.d.r.]. Valerio ascoltava attentamente Pedro e il suo volto veniva, man mano che Pedro parlava, assumendo un espressione contrariata e adirata. “Va bene!”rispose con ira. “Guardiamo ora questo elenco dei prigionieri!” Lesse forte “Benito Mussolini”, aggiunse subito, “a morte!”, e tracciò una croce accanto al nome di Mussolini. Pedro e Guido tacevano. C’era nell’ufficio un senso di soffocamento, come se l’aria fosse diventata irrespirabile. Valerio continuò: “Claretta Petacci: a morte!”. Ma nell’elenco dei 31 prigionieri datomi la sera prima da Pietro e che io restituii a Pedro quando egli tornò da solo a Dongo la mattina del 28 aprile, il nome della Petacci non c’era. Mussolini era il 30° della lista. Se è accettabile che Valerio abbia letto per primo il nome di Mussolini, segnando una crocetta accanto a quel nome, non altrettanto poteva fare con il nome di Claretta Petacci, perché non compariva in quell’elenco (è evidente che lo segnalò perchè essendo stata già uccisa andava giustificata in qualche modo questa odiosa uccisione. n.d.r.). A quel punto Pedro si sentì di intervenire e lo fece con prontezza e decisione: “Valerio” disse “non trovo giusto che tu condanni a morte una donna pel solo fatto che è stata l’amante del Duce!” Valerio lo guardò con disprezzo e con ira “Io solo” esclamò “decido chi deve e chi non deve essere fucilato! Barracu: a morte!” Altra croce. “Ma Barracu è un soldato, una medaglia d’oro del 1915, non lo puoi fucilare. E poi non mi risulta che abbia fatto del male!” Scattò Pedro. “Era sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica e questo basta per cancellare il più puro e valoroso passato!, rispose Valerio. “Liverani, a morte! Coppola, a morte! Utimpergher, a morte! Daquanno, a morte! Capitano Calistri, a morte! Mario Nudi...” 262 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 “Un momento” intervenne Pedro, “ti faccio notare che il capitano Calistri non è stato da noi catturato sulla colonna o sull’autoblinda, ma si è presentato spontaneamente a noi chiedendo lui stesso che fosse esaminata attentamente la sua posizione. E poi non faceva parte del Governo di Salò!”. “Era sulla colonna e questo basta”, rispose bruscamente “Valerio”. “Pedro” a quelle parole s’alzò in piedi adirato ed esplose: “Ma allora fucila anche gli autisti, le donne, i bambini, le mogli dei ministri, pel solo fatto che erano nella colonna. E’ inconcepibile tutto questo!” Mai “Pedro” aveva perso il controllo di sè, ma di fronte alle assurdità di “Valerio” non seppe trattenersi. “Valerio”, alle parole veementi di “Pedro”, s’alzò lui pure in piedi pallido d’ira e, picchiando un pugno sul tavolo urlò: “Ti ripeto che solo io decido qui”! E basta con queste intromissioni e osservazioni! Non voglio più sentire una parola: compreso?” Pedro lo guadava con aria di commiserazione domandandosi come il Comando generale avesse potuto affidare un così importante e delicatissimo incarico a un simile individuo. [...] “Mario Nudi: a morte!”, proseguiva intanto “Valerio”. “Pavolini: a morte! Mezzasoma: a morte! Paolo Porta: a morte!”. E accanto a ogni nome tracciava una croce con una matita nera. La voce di “Valerio” era ringhiosa e aveva un leggero timbro di soddisfazione: sembrava invaso dalla mania di giustizia. A “Pedro” sembrava di vivere le giornate del terrore della Rivoluzione Francese. E non si dava pace. Ma capiva che non poteva fare nulla. “Valerio” disse a un tratto: “Questi sono tutti da fucilare: radunali tutti e preparati a consegnarmeli immediatamente! [...] Sbrigati prima possibile. Poi andremo insieme a prendere Mussolini e la Petacci”>>. *** 263 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 V° Intermezzo: Il lungo cammino verso la verità Prima di affrontare la parte decisiva di questa nostra controinformazione, ed anche avendosi già fatto il lettore una considerazione di massima circa l’inattendibilità della versione ufficiale, allo stesso lettore una domanda sorgerà spontanea: ma per quale motivo, quel maledetto sabato 28 aprile del 1945 fu necessario architettare tutta questa messa in scena, con una doppia fucilazione, per far passare la morte di Mussolini come un evento bellico legale, quale l’esecuzione di una sentenza in nome del popolo italiano attuata tramite una decisione del CLNAI ed un ordine del comando generale del CVL ed eseguita dal colonnello Valerio ? Non era più logico eseguire l’esecuzione, escludendo ovviamente Claretta Petacci, trasportando il Duce a Dongo da tutti gli altri ministri e gerarchi, ed ivi fucilarlo alla schiena con loro? Ed in ogni caso, per quali motivi non fu possibile fucilare Mussolini davanti a tutti in quel di Bonzanigo, anzi si dovette allontanare la popolazione dal cancello di villa Belmonte ed inviarla, con uno stratagemma, verso la strada statale? Cosa accadde quella mattina tanto da rendere impossibile uno svolgersi lineare ed evidente dei fatti in conseguenza della decisione presa di uccidere il Duce? Rispondere a queste domande è veramente arduo, ma una cosa risulta evidente: per fare in fretta e per sicurezza, o chissà per quale altro motivo, si era dovuto inviare un altra missione segreta, a latere di quella ufficiale di Valerio, ad ammazzare il Duce sul posto ed oltretutto, quella mattina, in casa De Maria a Bonzanigo, forse accadde qualcosa, un fatto imprevisto o un evento sfuggito di mano che costrinse i presenti a ripiegare poi su la messa in scena della doppia fucilazione del pomeriggio. A queste conclusioni ci si è arrivati con gli anni, dopo un lungo, faticoso e contraddittorio cammino durato circa sessanta anni e che pur essendo oggi giunto ad un crocevia decisivo, avendoci definitivamente mostrato la fine di questa montatura ed indicato con molta veridicità una diversa dinamica e modalità di quella morte, non ha però ancora potuto svelare i nomi degli assassini ed i relativi nomi e reali motivazioni dei mandanti. Sarebbe oltremodo prolisso rievocare tutte le inchieste, le ricerche e le versioni ipotizzate che, anno dopo anno, pezzettino su pezzettino, hanno contribuito a demolire la versione di Valerio. Vogliamo però qui riassumere, sia pur brevemente, questo lungo percorso, spesso fallace, a volte controproducente o inconsistente, ma pur necessario in mancanza di altro e sottolinearne almeno i momenti salienti. I primi dubbi e i primi avalli alle mistificazioni Per la cronaca, iniziò Ferruccio Lanfranchi, nell’estate/autunno del 1945 con il suo Corriere d’Informazione, fornendo alcuni particolari che, di fatto, mettevano in dubbio la versione di Valerio del 30 aprile 1945 che sulla stampa del giorno precedente aveva già avuto uno stringato accenno relativo alla semplice notizia di cronaca della fucilazione del Duce, a Giulino di Mezzegra alle 16,10. 264 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Si trattò però di particolari molto confusi, forse sottilmente ispirati e spesso inesatti e comunque non decisivi, ma che ebbero il merito di rompere quella accettazione integrale e passiva della versione imposta dalle fonti resistenziali anche se, per altri versi, proprio quei primi resoconti del Lanfranchi, una fonte cioè non comunista, costituirono un primo avallo al quadro d’insieme di quella versione che implicitamente veniva oltremodo divulgata. Anche Paolo Monelli nel 1950 sottolineando le contraddizioni che facevano della versione di Valerio un racconto non credibile introdusse il sospetto che ci stava trovando davanti ad una versione addomesticata. Due giganti della controinformazione Nei primi anni ’50 e seguenti, oltre alla efficace ricostruzione storica di Bruno Spampanato con il suo Contromemoriale, che però sfiorava appena quegli avvenimenti, soprattutto altri due giornalisti portarono sensibili colpi alla versione ufficiale: si trattava di Franco Bandini e di Giorgio Pisanò. Il primo, con le sue inchieste per varie riviste e soprattutto sull’Europeo, raccolte poi nel 1959 nel suo Le ultime 95 ore di Mussolini, Sugar 1959, Milano, pur sul canovaccio della versione ufficiale, aveva messo in piedi un certo numero di interessanti e inediti fatti e rintracciato importanti testimonianze rese da alcuni partecipanti o testimoni di quegli eventi, che però spesso risultavano fumose o contraddittorie o comunque non c’erano certezze sulla loro attendibilità. Il secondo, il Pisanò, condusse varie inchieste e rievocazioni: su Il Meridiano d’Italia, poi su Oggi, su Candido ed infine, anni dopo, sulla sua rivista Secolo XX, per finire con la monumentale Storia della Guerra Civile in Italia di metà anni ’60 che, pur non portando elementi nuovi e probanti sui fatti del 28 aprile 1945, sconvolse tutto il retorico panorama della storia resistenziale. Ma sarà soprattutto con gli anni successivi che Bandini e Pisanò, come due mastini che non mollano l’osso, pur tra qualche esagerazione, scoop giornalistico e inesattezze varie, assesteranno colpi devastanti alla vulgata resistenziale. Fino agli anni ’70 però, tutti i ricercatori storici, che prendevano in mano quegli eventi, pur riscontrando nella versione ufficiale, contraddizioni gravi ed elevando quindi sensibili dubbi e sospetti, si muovevano sostanzialmente sul canovaccio della versione ufficiale stessa, dando per scontata una fucilazione di Mussolini a Villa Belmonte alle 16,10. Questa limitazione, ovviamente, faceva giungere tutte le eventuali ricostruzioni di quegli eventi, ad un punto morto. Il colpo di scena degli anni ’70 e le reazioni del PCI In definitiva, fino alla fine degli anni ’60, non si poteva contare su elementi qualificati per mettere seriamente in dubbio la versione di Valerio e prevalentemente la critica faceva conto su le evidenti e palesi contraddizioni della stessa versione evidenziando qualche sparuta testimonianza contraria alla vulgata ritenuta sufficientemente attendibile, ma sempre rifacendosi al quadro generale della versione ufficiale. Nel febbraio del 1973 però, proprio il Bandini, scrisse un indimenticabile servizio sul mondadoriano Storia Illustrata N. 183, titolato “Fu fucilato due volte” riportando una sconvolgente ipotesi: la finta fucilazione del Duce davanti al cancello di villa Belmonte. Questa versione, anche se confusa e non sufficientemente dimostrata, venne poi, dal giornalista storico di origini toscane, puntualizzata nel suo libro del 1978, Vita e morte 265 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 segreta di Mussolini, edizioni Mondadori, dove insinuò anche una possibile sostituzione di Valerio con Luigi Longo. In quei primi anni ’70, vuoi perchè il Bandini aveva effettivamente colto nel segno, 51 o vuoi perchè oramai la misura era colma, l’allora PCI reagì in vari modi, ma soprattutto attraverso il giornalista Candiano Falaschi dell’Unità incaricato di svolgere una efficiente contro inchiesta (febbraio/marzo 1973). Non è un caso che poco prima, Aldo Lampredi aveva sentito la necessità di scrivere (o gli venne commissionata?), la sua Relazione al partito comunista che probabilmente doveva servire per far fronte, in caso di estrema necessità, a rivedere e precisare, senza smentirla nei fatti, la versione di Valerio. La contro inchiesta di Falaschi, raccolta successivamente in un libretto edito dagli Editori Riuniti, conteneva una cernita di testimonianze dell’epoca, più che altro di fonte comunista e la cui novità, oltre alle solite sciocchezze di rito, erano alcune testimonianze di Lampredi (in linea con la sua relazione) e di Moretti che si discostavano dalla versione di Valerio per alcuni particolari marginali, ma sostanzialmente confermandola in pieno (fatto emblematico è che poco tempo prima il Lampredi aveva appunto scritto quella “Relazione al partito” con il famoso “Mirate al cuore!” di Mussolini, ma questo particolare però non era allora stato ritenuto opportuno renderlo noto). A Michele Moretti fu anche chiesto di fare una rievocazione sul giornale Giorni-Vie nuove, ma qui si trattò solo di qualche sommaria precisazione fatta più che altro per sminuire i ruoli di iniziativa e di comando (e di merito) nelle imprese del fermo della colonna tedesca fuori Musso e nell’arresto del Duce a Dongo che Urbano Lazzaro e Pier Bellini delle Stelle si erano probabilmente attribuiti. Nel frattempo nel 1974 il PCI ispirò anche il mediocre film di Carlo Lizzani (regista notoriamente vicino al partito), Mussolini ultimo atto, una retorica ricostruzione della fine del Duce, infarcita di luoghi comuni e menzogne (di fatto la versione ufficiale riversata in pellicola), ma che per il carattere di impatto che la filmografia ha sulla popolazione, può definirsi il vero colpo di genio del PCI i cui vertici andarono alla presentazione del film. Nel 1975 infine, oramai morti Lampredi (aprile ’73) e Audisio (ottobre ’73), la Teti, casa editrice utilizzata dal partito comunista, fece uscire il libro postumo di Audisio, In nome del popolo italiano, con il quale si intese o si sperò di mettere la parola fine a tutte le critiche sulle versioni prima di allora pubblicate, facendo finta di ignorare e mantenendo in buona parte segreto che, agli atti del partito, c’era pur sempre una Relazione di Lampredi alquanto difforme e persino polemica con i resoconti dell’Audisio. Le telenovele degli anni ’80/’90: Valerio/Longo e il Servizio Segreto inglese Con gli anni ottanta, anche per il ritorno in Italia di Bill Urbano Lazzaro e le sue certezze (raccolte poi nel 1993 in un libro edito da Mondadori, Dongo mezzo secolo di menzogne) sul fatto che il Valerio di Dongo e Mezzegra fosse Luigi Longo, come già aveva insinuato Franco Bandini, sulla stampa e sulle riviste storiche si sviluppò tutta una nuova telenovela su chi si celasse dietro il nome di battaglia del famoso Valerio. Tante furono le congetture che però rimasero come tali. 51 L’impatto sconvolgente dell’articolo del Bandini forse non fu dovuto alla sua ricostruzione generale, probabilmente alquanto inesatta negli orari e nei particolari forniti, quanto al fatto che si dovette supporre che lo stesso avesse denunciato una effettiva doppia fucilazione¸ più che da una sua ricostruzione degli eventi, magari da una soffiata ricevuta da qualificati ambienti. Questo avrebbe potuto aprire il campo allo svelarsi di tutta la storia ed era necessario reagire per coinvolgere tutti i settori resistenziali nel tener ferma la tesi comune. 266 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 Nel frattempo ci si mise anche un certo Giovanni Lonati, ex partigiano, con la sua storia di aver ucciso, verso le 11 del mattino, il Duce per ordine ed in compartecipazione di un ufficiale inglese, tale John. Era questa, comunque, una testimonianza diretta di un presunto esecutore, vera o falsa che fosse, ed ovviamente fece un certo scalpore. Come di solito accade in questi casi, la storia di Lonati, ampliata poi con il suo libro Quel 28 aprile. Mussolini e Claretta la verità, Edizioni Mursia 1994, per i sui risvolti di intelligence e per l’aggancio con le vicende del famoso carteggio Mussolini/Churchill fu, anche se non dimostrata, quella che più venne pubblicizzata perfino attraverso vari servizi televisivi. Ci si è addirittura arrampicati sugli specchi per trovare, e naturalmente non ci si è riusciti, qualche riscontro al racconto fantasioso dell’ex partigiano (probabilmente elaborato dietro qualche vecchia partecipazione diretta del Lonati ai luoghi ed agli avvenimenti di quei tristi giorni di aprile 1945). Soprattutto Luciano Garibaldi si è dato da fare in questo senso, ma le pezze di appoggio portate a sostegno di questo racconto sono effettivamente effimere e prive di concretezza. Un grande della medicina legale Per alcuni anni sembrò che non dovessero esserci più colpi di scena, ma ecco che verso la fine degli anni ’80 un medico legale di Ascoli Piceno, Aldo Alessiani, sconvolge di nuovo il panorama storico rendendo noti dei rivoluzionari ed interessanti studi durati anni in cui, con tecniche empiriche alquanto intelligenti e rilievi oggettivi fatti sulle foto dei cadaveri ed il loro vestiario, le gore ematiche sulle salme ed una critica obiettiva al verbale dell’autopsia di Cattabeni, arrivò ad ipotizzare una morte di Mussolini di molto anticipata rispetto all’orario storicamente noto (le 16,10) ed addirittura durante una fase di lotta e senza il vestiario indosso, probabilmente nella stessa stanza di casa De Maria. Le tesi di Alessiani, sia pure ipotetiche, ma ben documentate ed esposte, di fronte al silenzio e alla mediocrità di tanti pseudo colleghi nel campo della tanatologia, meriterebbero di far erigere un monumento a questo medico legale. Esse fecero un certo scalpore, ma forse per alcune sue forzature o comunque per il fatto che non potevano essere dimostrate con certezza, data la carenza del materiale probante a sua disposizione, con il tempo finirono per perdere molto del loro mordente. E’ un fatto però, che da allora tutti gli addetti a questa storiografia hanno dovuto tenere conto degli studi di Alessiani o comunque non hanno potuto ignorarli del tutto. Un prezioso studio riccamente documentato Un prezioso e dettagliato lavoro dell’avvocato Alessandro Zanella, L’ora di Dongo, Rusconi 1993, portò in quegli anni un notevole contributo alla chiarificazione di molti avvenimenti soprattutto perchè si articolava su una numerosa mole di fatti e testimonianze raccolte negli anni. E forni anche tutta una serie di intelligenti intuizioni. La “vulgata” si rifà il look In questo can can dei primi anni ‘90, le istituzioni resistenziali (oramai c’era stato il crollo del muro ed il PCI si era trasformato in PDS) si può dire che reagirono, attraverso il direttore dell’Istituto storico per la Liberazione, poi divenuto Istituto di storia contemporanea di Como, Giusto Perretta che promosse, attraverso la raccolta di vecchie e nuove o inedite testimonianze, come al solito in massima parte di ex comunisti, nuove ricerche atte a 267 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 smontare ad una ad una tutte le versioni alternative (per la verità alquanto fumose) che nel frattempo erano state esposte sulla stampa o nell’editoria. Ma il vero scopo del Perretta, con il suo La verità, Dongo 28 aprile 1945 edizioni Actac Como 1990 e 1997, era probabilmente quello di ripulire, revisionare e puntellare, riducendo indirettamente anche il ruolo e le sparate di Valerio, la vecchia ed oramai inattendibile versione storica, senza però dichiararlo o smentirla nella sostanza. E’ in quest’ottica che l’Istituto comasco per la storia del movimento di liberazione sintetizzò tutta la versione ufficiale con una sua “solenne” dichiarazione sottoscritta anche da alcuni ricercatori storici e da un vecchio partigiano azionista, tale Luigi Carissimi-Priori, da qualche tempo tornato in Italia e una volta si disse scovato (?), risultato utile proprio come il cacio sui maccheroni. La clamorosa e sofferta ammissione In quegli anni ’90 però, che non a caso vedevano lo scadere del famoso silenzio cinquantennale, ci fu anche la famosa rivelazione di Michele Moretti, sia pure fatta indirettamente attraverso una intervista a Giorgio Cavalleri, relativamente al “Viva l’Italia!” proferito dal Duce nel momento dell’uccisione, che praticamente ed incredibilmente sconvolse tutto quanto fino a quel momento poteva essere ritenuto acquisito, perchè andava in contraddizione, non solo con gli oramai poco attendibili racconti di Valerio/Audisio, ma anche con la loro ruota di scorta ovvero con la relazione al partito di Lampredi ed il suo “Mirate al cuore” reso noto a gennaio 1996. Queste incredibili discrasie potevano spiegarsi soltanto con il fatto che, essendo venuta meno la vecchia struttura e la disciplina di partito, cominciava a uscire qualcosa, mentre i pochi superstiti, rimasti a ruota libera, nel tentativo di superare alcune evidenti incongruenze della storica versione e al contempo rispondere ai colpi di maglio delle tante, sia pur non dimostrabili, versioni alternative, non riuscivano più a seguire o puntellare, facendo magari qualche concessione all’avversario, la situazione senza contraddirsi troppo. Il colpo di scena del 1996: un teste di Bonzanigo Dopo Bandini ed Alessiani, un altro grosso macigno contro la versione ufficiale, forse quello più decisivo, lo buttò Giorgio Pisanò grazie al recupero della testimonianza di Dorina Mazzola (che troveremo nel Capitolo 11), una anziana abitante di Bonzanigo che la mattina di quel 28 aprile del 1945 assistette, pur senza sapere di chi si trattava, alla uccisione di Claretta Petacci e ad alcuni precedenti episodi correlati all’uccisione di Mussolini. Con il libro-testimonianza di Pisanò, Gli ultimi cinque secondi di Mussolini, edito nel 1996 per il Saggiatore, molto particolareggiato, si giunse quindi ad una svolta storica perchè per la prima volta si era in presenza di una vera e propria testimonianza di un semplice teste dell’epoca, non di parte, che con il suo racconto smentiva radicalmente la versione ufficiale dall’inizio alla fine. E’ indicativo il fatto che le fonti resistenziali ed anche quelle genericamente e giornalisticamente di regime non attaccarono mai direttamente questa nuova testimonianza, ma oltre a qualche velata critica, spesso indiretta, preferirono, non potendola ignorare, di dargli il minor credito possibile. Ed è altrettanto indicativo che non poche ipotesi alternative, spuntate successivamente da tutte le parti, o in riadattamento di alcune versioni espresse in passato, da allora cercarono sempre 268 CAPITOLO 8 INTERMEZZI AVVENIMENTI DEL 27 E 28 APRILE ‘45 di conformarsi, in qualche modo, ma spesso rendendosi ridicole, a qualche particolare raccontato da Dorina Mazzola. Il colpo di teatro di Orfeo Landini e di Massimo Caprara Meritano infine menzione anche un paio di altri colpi di teatro, a nostro avviso non a caso verificatisi dopo la clamorosa e devastante testimonianza di Dorina Mazzola. Queste novità fanno il paio con la precedente e veramente opportuna apparizione di Carissimi-Priori. Cominciamo quindi con un altra testimonianza, proveniente da un diretto attore di quegli avvenimenti, ovvero l’ex partigiano Orfeo Landini. Raccolta da Fabrizio Bernini nel suo libro del 1998, Così uccidemmo il Duce, per le edizioni C.D.L. di Pavia, 52 Landini presentò una versione difforme, con orari, luoghi e attori in parte diversi, anche se non molto lontana da quella di Valerio se non fosse per la clamorosa conferma della sceneggiata di una doppia fucilazione e per la interessante informazione di un certo numero di partigiani presenti a Bonzanigo al momento dell’uccisione del Duce. Nonostante le sue clamorose attestazioni, stranamente, questa nuova versione dei fatti, oltretutto di un discusso ma importante ex partigiano, riscosse pochissimo credito tra gli storiografi e nella stampa. Viceversa l’altra novità, ovvero la non troppo clamorosa ammissione di Massimo Caprara dell’estate del 1996, circa una confidenza a lui fatta da Palmiro Togliatti, il quale gli avrebbe detto in privato che l’uccisore di Mussolini sarebbe stato Aldo Lampredi, ebbe un gran risalto nella stampa e una certa considerazione dagli addetti a queste storiografia. Nell’un caso e nell’altro si ha comunque la sensazione, come detto, che queste clamorose testimonianze di Landini e del Caprara siano venute fuori, non a caso, dopo la sconvolgente testimonianza di Dorina Mazzola quasi come se, in qualche modo, si fosse voluto metterla in ombra. F F Entra in ballo la tecnica moderna e la vulgata affonda definitivamente Ma con il terzo millennio oramai i giorni della versione ufficiale erano contati ed infatti, nei primi mesi del 2006, vennero rese note alcune risultanze e studi effettuati all’Università di Pavia su foto e filmini d’epoca che, eseguite con tecniche scientificamente all’avanguardia, smentivano totalmente la storica versione, in tutte le sue varianti, e poteva dirsi che andavano indirettamente a confermare la testimonianza di Dorina Mazzola di dieci anni prima. Nel prossimo Capitolo appunto vedremo, dettagliatamente, tutte queste versioni alternative. *** 52 E riproposta poi in un altro suo libro “Sul selciato di piazzale Loreto”, edizioni Grafica MA.RO 2000. 269