le gare automobilistiche
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CAS S AZIONE ARIANNA CALABRIA LE GARE AUTOMOBILISTICHE C.D. DI REGOLARITA’ E LA TUTELA DELL’INCOLUMITA’ ALTRUI M I L A N O - D O T T.A. G I U F F R È E D I T O R E 999 - App. Bologna — Sez. II — Ud. 4 ottobre 1989 — Pres. Bonafede — Est. Armani — Imp. Gramellini. [1924/24] Omicidio colposo - Gare automobilistiche di regolarità - Responsabilità degli organizzatori verso gli spettatori per omissione - Configurabilità - Colpa generica - Colpa specifica Sussistenza - Concorso di colpa delle vittime - Esclusione. (C.p. artt. 43, 589 c.p.; circ. min. n. 9537 del 30 giugno 1962, circ. min. n. 68 del 2 luglio 1962). E configurabile la responsabilità degli organizzatori di una corsa automobilistica di regolarità nei confronti degli spettatori per aver ommesso di adottare le protezioni a difesa di questi ultimi. La colpa generica è ravvisabile nella violazione delle comuni regole di prudenza che impongono l’adoz ione di tutele a difesa del pubblico. La colpa specifica è ravvisabile nella violazione delle circolari ministeriali n. 9537 del 30 giugno 1962 e n. 68 del 2 luglio 1962, che indicano le protezioni a difesa del pubblico da installarsi nei c.d. percorsi speciali (strade pubbliche temporaneamente adibite a gare automobilistiche). Non sussiste il concorso di colpa delle vittime che non potevano rendersi conto, poiché nessuno si curò di avvertirli, della pericolosità del luogo in cui si verificò l’incidente (1). Fatto e Diritto — Alle ore 20,30 circa del 24 luglio 1982, durante l’effettuazione della Rally internazionale Colline di Romagna, una delle autovetture partecipanti, l’Alfasud condotta da Andrea Plachesi, sbandava uscendo di strada e investiva due giovani spettatori, Claudio Messeri e Marco Panichi, che assistevano alla gara. Il Messeri decedeva il 26 luglio successivo all’Ospedale Bellaria di Bologna, mentre il Panichi riportava lesioni quantificate in oltre quaranta giorni. L’incidente si verificava durante il compimento di una « prova speciale » nel tratto di San Savino-Modigliana di un percorso interessante i territori di quattro province e della lunghezza complessiva di oltre settecento chilometri, sulla strada provinciale Trebbio, all’altezza del bivio con la strada consorziale. Gli accertamenti compiuti dai carabinieri rendevano noto all’autorità giudiziaria che l’incidente era avvenuto allorché il Plachesi percorreva un tratto di strada con ampia curva a S e con discesa del 16% , ne1l’uscire da una curva sinistrorsa, a causa di uno sbandamento dell’autovettura. Procedendosi nei confronti del presidente della Scuderia Arcangeli di Forlì, promotrice della manifestazione e che ne aveva ottenuto le necessarie autorizzazioni prefettizie, questi indicava nella persona di Davide Gramellini il reale organizzatore e responsabile della gara (il giudizio veniva in seguito separato nei confronti del presidente, Stelio De Carolis, risultato parlamentare). I carabinieri, col conforto di quanto loro riferito da tre persone presenti al fatto, indicavano la causa del sinistro nella velocità de1l’autovettura del Plachesi, che, uscendo da un’ampia curva sinistrorsa, si era trovato costretto a frenare per immettersi ne1l’immediatamente successiva curva destrorsa. In seguito alla frenata, l’auto aveva proceduto in direzione rettilinea ed era uscita di strada investendo i due spettatori. Dagli accertamenti compiuti dai carabinieri risultava altresì che i due investiti si trovavano fuori della strada, su terreno erboso (circostanza, questa, confermata dal teste Panichi). Interrogato dal g.i., il Gramellini ammetteva di avere organizzato la corsa, mentre in seguito, nella sede dibattimentale, negava la circostanza asserendo di essere stato semplicemente uno degli organizzatori, in quanto componente di un apposito comitato. I l Tribunale di Bologna, con sentenza in data 20 gennaio 1989, riteneva il Gramellini (che era stato rinviato a giudizio per rispondere di omicidio colposo in persona del Messeri, per avere omesso di adottare disposizioni specifiche sulla collocazione del pubblico ai lati delle strade interessate dalla gara, nonché di provvedere di mezzi di protezione i luoghi di più probabile fuoriuscita dei veicoli dalla strada) colpevole del reato ascrittogli e, con la concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti all’aggravante della violazione dell’art. 9 c. strad. (nella quale violazione ravvisava la colpa specifica del prevenuto), lo condannava alla pena di mesi nove di reclusione, concedendo ad entrambi i benefici di legge. Il Gramellini veniva inoltre condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili (i genitori del Messeri, Carlo Messeri e Angelina Baldin), da liquidarsi in separato giudizio, ritenendo sussistere un concorso di colpa della vittima nella misura del 30%. Gramellini, da ultimo, era condannato a rifondere le spese in favore delle parti civili, liquidate in complessive lire 1.400.000, respingendosi la richiesta di provvisionale poiché risultava anticipata agli aventi diritto, da parte de1l’assicuratrice tenutavi, la somma di lire sessanta milioni. Per le lesioni in pregiudizio del Panichi veniva applicata l’amnistia, con la conseguente pronuncia di non luogo a procedere per estinzione del reato Appellavano sia il Gramellini che le parti civili. L’imputato lamentava in primo luogo l’errato apprezzamento fatto dal tribunale delle deposizioni testimoniali, segnatamente con riguardo alle dichiarazioni del Panichi; in secondo luogo, l’errata valutazione della responsabilità delle vittime; in terzo luogo, l’errata valutazione del nesso di causalità tra la presenza del Gramellini nel comitato organizzatore del rally e il verificarsi della circostanza da cui era dipeso il verificarsi dell’evento; in quarto luogo, l’erronea lettura dell’art. 9 del codice della strada con riferimento al limite dei 50 Km/h come velocità massima consentita (e ritenuta, nel caso di specie, ecceduta dal Plachesi), anziché come velocità media costituente il limite entro il quale non è richiesto il preventivo collaudo del circuito; in quinto luogo, l’errata applicazione dell’art. 477 c.p.p. , con l’avvenuta contestazione di un nuovo addebito (la colpa specifica per violazione di norme di legge) esulante da una diversa definizione giuridica del fatto-reato; in sesto luogo, la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. , in presenza del versamento di sessanta milioni alle parti civili, avvenuto prima del dibattimento di primo grado; da ultimo, l’eccessività della pena. Per tali motivi, chiedeva riformarsi integralmente, o, in subordine, parzialmente la sentenza impugnata. Le parti civili, dal canto loro, lamentavano l’avvenuta affermazione di un concorso di colpa di Claudio Messeri, che ritenevano insussistente, e chiedevano di conseguenza riformarsi integralmente, sul punto, la medesima sentenza, insistendo in via subordinata per il riconoscimento di una colpa concorrente in misura del tutto marginale, in termini pressoché simbolici. La valutazione critica dehe risultanze processuali induce la Corte a confermare la sentenza appellata per quanto riguarda l’affermazione della penale responsabilità del Gramellini in ordine al delitto di omicidio colposo contestatogli, ipotesi prevista e punita dall’art. 589 comma 2, prima statuizione, del codice penale, così come per quanto riguarda la pena inflittagli, mentre la sentenza predetta va riformata parzialmente soltanto per quanto riguarda il concorso di colpa della vittima, ritenuto dal tribunale e che in questa sede si valuta insussistente. Perviene a tale giudizio la Corte considerando provata e l’effettiva pericolosità della corsa, per le circostanze di fatto in cui si svolse e l’omissione delle doverose cautele a protezione degli spettattori, e la responsabilità personale del Gramellini in quanto organizzatore della manifestazione e assuntore degli obblighi a tale fine imposti dall’autorità prefettizia. Conformemente a quanto affermato dal tribunale, e sulla base delle.precise e univoche risultanze del processo, deve dirsi che la gara automobilistica nel cui corso ebbe a verificarsi l’incidente mortale di cui si controverte era manifestazione oggettivamente pericolosa per le persone che si trovavano, ed erano state ammesse, ad assistervi; e ciò in quanto coinvolgeva autovetture i cui conducenti più che alla sicurezza propria e dei terzi erano impegnati all’assolvimento e al superamento degli obblighi cui il regolamento li sottoponeva, sia sotto il profìlo de11’esaurimento del lunghissimo e accidentato percorso, sia sotto quello della 1192 velocità, variamente determinata in relazione ai diversi tratti, sia, infine, sotto quello più di ogni altro assorbente, del tempo generale di percorrenza. La pericolosità oggettiva della corsa era inoltre accentuata, in determinati tratti, dal fatto che in essi la manifestazione assumeva carattere di prova speciale e che dovevano essere superati in tempi strettissimi, la cui incidenza era decisiva ai fìni del risultato e dell’ordine finale di arrivo (e proprio in uno di questi tratti ebbe a verificarsi l’uscita di strada del veicolo del Plachesi). Il punto interessato al sinistro, peraltro, si collocava all’interno di una doppia curva di andamento opposto nei suoi due semi-archi, doppia curva caratterizzata da ulteriori, determinanti, diffìcoltà costituite, per gli automobilisti, dalla forte pendenza (il già ricordato 16 %) e da11’esigua larghezza della strada (appena cinque metri). Le circostanze richiamate rendono evidente, a parere del Collegio, la situazione di pericolo che ne derivava per coloro che si fossero posti in prossimità della corsia stradale per osservare lo svolgersi della corsa da simile posizione, come rendono evidente che, in proposito, sarebbe stato onere degli organizzatori della manifestazione di approntare le cautele necessarie ad evitare il concretizzarsi di tale pericolo. Nulla di quanto sarebbe stato indispensabile predisporre per evitare che, in caso di probabile fuoriuscita .di strada delle autovetture in un punto tanto critico del percorso gli spettatori ammessi ad assistervi potessero derivarne danni, fu in effetti compiuto nelle danni, fu in effetti compiuto nelle circostanze richiamate. Le dichiarazioni rese dal Panichi su questo punto determinante (dichiarazioni della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare per la coerenza con la quale sono state rese nelle varie fasi del processo e per la conoscenza diretta che di quanto riferito il Panichi non poteva non avere) consentono di escludere che, in prossimità della doppia curva, così come nel luogo in cui i due giovani poi investiti sostavano, fossero stati apposti cartelli segnalatori della situazione di pericolo, e di conseguente divieto di fermarvisi, del genere di quello prodotto nel corso del dibattimento di primo grado dal difensore dell’im— putato. Così come consentono di escludere che manifestini di analogo tenore fossero distribuiti agli spettatori. Da quanto detto dal teste risulta, per contro, che il Messeri e il Panichi avevano tranquillamente raggiunto la posizione in cui decidettero di restare per osservare la corsa entrando nella zona interessata alla manifestazione dal1’accesso ufficiale, e non per vie traverse, senza ricevere ammonimenti o istruzioni di sorta circa le cautele da osservare, e risulta, ancora, che persone addette al rally transitarono a bordo di una autovettura passando loro dinnanzi quando già si trovavano sul luogo del sinistro senza dare alcun avvertimento di pericolo o invitarli a spostarsi altrove. E poiché dagli atti emerge con altrettanta certezza che nel tratto .di strada in cui avvenne la fuoriuscita dell’auto del Plachesi non era stata sistemata alcuna transenna verso gli spettatori, come non era stata stesa alcuna rete di protezione o posto in essere diverso sistema protettivo (balle di paglia, o simili), deve desumersene la prova della perfetta omissione, da parte di chi vi era tenuto, delle cautele elementari da approntare organizzando un’attività pericolosa quale quella in esame, e che lo era in grado accentuato proprio nel tratto di strada presso il quale sostavano i due giovani amici. Il verificarsi della fuoriuscita di strada, nelle. circostanze e per le cause riferite e non contestate dalla difesa dell’imputato, da parte dell’autovettura investitrice, costituisce la riprova dell’effettiva pericolosità della corsa nel tratto di strada sopra indicato, posto che è fuori dubbio che detta fuoriuscita avvenne non per cause accidentali e imprevedibili (quali, ad esempio, una macchia d’olio sul fondo stradale, o l’improvvisa rottura di un congegno meccanico, o un malore del guidatore), ma per una causa naturalmente connessa alle condizioni del percorso, ai modi e ai tempi di percorrenza imposti dal regolamento della gara, alla natura dei luoghi (accidentati e scelti proprio per tale motivo affinché creassero ostacoli ai conducenti delle autovetture che prendevano parte al rally), quale, appunto, lo sbandamento in curva. Che un fatto del genere potesse succedere, e che lo potesse con rilevante grado di 999 CASSAZIONE PENALE: 1990 probabilità nel tratto di strada sopra descritto, appare alla Corte incontrovertibile, dal che deriva la colpa generica di chi organizzò la manifestazione agonistica e omise di provvedere adeguatamente a tutelare l’incolumità delle persone. In quest’ottica, non dubita il Collegio neppure della responsabilità del Gramellini, indicato dal De Carolis come colui che di fatto aveva il compito di organizzare la gara automobilistica, e colui al quale ogni compito connesso era stato demandato, esso De Carolis avendo inoltrato la domanda di autorizzazione alle autorità prefettizie solo per essersi trovato, per ragioni politiche, a presiedere la scuderia Arcangeli di Forlì. In proposito va aggiunto che lo stesso Gramellini, rispondendo alle domande del giudice istruttore, non ebbe diffìcoltà a riconoscere di essere stato la persona che aveva svolto funzioni di coordinamento della manifestazione e aveva impartito le relative disposizioni, dando conferma dell’effettivo assolvimento del suo incarico col richiamare, di tali disposizioni, quelle che avevano comportato l’apposizione di cartelli segnalatori del pericolo (in luoghi diversi da quello che interessa il presente giudizio) e del connesso divieto di sosta per il pubblico. Peraltro, se anche dovesse prendersi in considerazione (contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte) la tesi difensiva che vorrebbe il Gramellini soltanto componente del comitato organizzatore, e non organizzatore unico o principale (o, come potrebbe dirsi, factotum) della corsa, dovrebbe pur dirsi che la sua responsabilità non svanirebbe, posto che, almeno quale partecipe delle cure organizzative, anch’egli si sarebbe comunque dovuto dar carico della predisposizione delle necessarie cautele). Esattamente la colpa del Gramellini è stata considerata dal tribunale anche come colpa specifica, sulla base di quanto emerge dagli atti, non integrando la relativa affermazione in sentenza, in difformità da quanto enunciato nel capo d’imputazione, violazione del disposto dell’art. 477 c.p.p. Tale elemento di colpa specifica, invero, è stato espressamente contestato all’imputato nel corso del suo interrogatorio, e al riguardo egli ha formulato con precisione le sue difese. Contrariamente a quanto affermato dai primi giudici, tuttavia, tale colpa va ricollegata non alla violazione del combinato disposto degli artt. 9 c. strad. e 17 del relativo regolamento, ma alla violazione di « tutte le disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia » cui si richiama il prefetto della Provincia di Forlì nel concedere l’autorizzazione alla scuderia Arcangeli, in accoglimento della richiesta avanzatagli dal De Carolis. Accettando la delega datagli, per l’organizzazione della gara, in esecuzione del provvedimento amministrativo richiamato dal De Carolis, il Gramellini accettò anche il compito di vigilare e provvedere affinché le disposizioni legislative e regolamentari fossero rispettate, fra le stesse rientrando anche le circolari ministeriali citate dal giudice istruttore, in particolare la circolare del Ministero dell’interno n. 9537, p. 40 del 20 giugno 1962, e la circolare dello stesso ministero n. 68 del 2 luglio 1962, dalle quali deriva l’obbligo di osservare (nei c.d. percorsi speciali, vale a dire sulle strade pubbliche temporaneamente ed eccezionalmente adibite a gare automobilistiche) cautele comportanti l’installazione di protezioni a difesa del pubblico. Erroneo si appalesa il richiamo all’art. 9 c. strad., come formulato dal tribunale, posto che la norma, al suo comma 6, fa riferimento alle gare automobilistiche per le quali sia prevista una velocità superiore ai 50 Km/h per rendere obbligatorio il preventivo collaudo del percorso (non avvenuto nel caso in esame), posto che dagli atti non è dato desumere la prova dell’effettiva velocità tenuta, al momento del sinistro, dall’autovettura del Plachesi. Anche la misura della pena, come anticipato, va confermata, né appare possibile ridurla ulteriormente con la concessione de11’invocata attenuante del risarcimento del danno, i sessanta milioni corrisposti alle parti civili non potendo coprire l’ammontare complessivo dei danni (commisurato al valore.attuale della moneta) subiti dai genitori per la perdita di un figlio quasi diciottenne. La riforma parziale della sentenza di prima istanza investe, invece, la statuizione sul 1194 risarcimento di tali danni, posto che infondata appare l’attribuzione alla vittima di un concorso di colpa. Il tribunale, in proposito, non ha motivato, e si è limitato ad affermare la sussistenza del concorso determinandone la consistenza nel 30% a carico del Messeri. Se si esamina la condotta di quest’ultimo (come del suo compagno Panichi) deve, al contrario, affermarsi che nessuno spunto di colpa è dato porvi in evidenza: i due giovani, infatti, entrarono nell’area della corsa senza ricevere, al momento dell’ingresso, alcuna prescrizione e vi entrarono attraverso il varco ufficiale, dove avrebbero dovuto avere gli eventuali ammonimenti. Essi percorsero alcuni chilometri a piedi prima di arrestarsi nel luogo del sinistro, durante il percorso non incontrando persone che significassero loro doversi osservare precise regole di comportamento nell’assistere alla gara. In seguito sostarono dove furono investiti e prima del sinistro videro transitare una macchina dell’organizzazione dalla quale nessuno si premurò di avvertirli della situazione di pericolo. Nessun cartello, peraltro, la indicava in loco e quando avvenne l’incidente essi si trovavano al di fuori del piano stradale (trasformato in pista di gara), né lo invadevano neppure per uno spazio minimo o si sporgevano verso di esso. Va concluso, in proposito, che i due giovani non dettero causa in alcun modo, col loro comportamento, al verificarsi del fatto, subendone le conseguenze soltanto come vittime dell’esc1usiva omissione altrui. (1) V. anche la sentenza che precede. [1924/24] Le gare automobilistiche c.d. di regolarità e la tutela dell’incolumità altrui. SOMMARlO: 1. Considerazioni introduttive. — 2. La pericolosità dei rallies automobilistici. — 3. Il fondamento della liceità ed i problemi relativi. — 4. La responsabilità penale degli enti organizzatori. — 5. La responsabilità verso gli spettatori: la causalità attiva. — 6. La causalità omissiva. — 7. La colpa. — 8. La responsabilità dei partecipanti. — 9. Le responsabilità concorsuali. — 10. La responsabilità verso i partecipanti. — 11. Considerazioni conclusive. 1. Le recenti sentenze del Tribunale e della Corte d’appello di Bologna offrono per la prima volta, se non andiamo errati, una soluzione in termini positivi dell’annoso e crescente problema (1) della responsabilità degli organizzatori delle corse automobilistiche c.d. di regolarità per gli eventi verificatisi in danno degli spettatori di siffatte popolarissime competizioni. E sono meritevoli perciÓ di particolare attenzione. Peraltro le competizioni automobilistiche di regolarità pongono ulteriori interrogativi, non espressamente affrontati dalle sentenze citate, che schematicamente riguardano: a ) il preliminare problema della stessa legittimità, e segnatamente entro quali limiti, delle gare automobilistiche su strada; b) il problema della responsabilità, per i possibili eventi dannosi, non solo degli organizzatori, ma anche dei partecipanti; c) il problema delle connessioni fra le diverse condotte colpevoli. Ed investono altresì le dibattute questioni della responsabilità penale nell’àmbito dell’impresa, della causalità attiva ed omissiva, della colpa specifica e speciale, del concorso colposo e concorso di colpe, del consenso dell’avente diritto. 2. Le competizioni automobilistiche su strada, comunemente definite « rallies » , sono riconducibili alla categoria delle attività sportive caratterizzate da un elevato grado di pericolosità, sia per i partecipanti alla gara che per gli spettatori, ma giuridicamente autorizzate perché ritenute socialmente utili. L’elevato grado di pericolosità dipende, oltre che dalla crescente diffusione di questo tipo di competizioni, dalla intrinseca natura della corsa, dalle modalità di organizzazione della stessa, dalle carenze normative in materia. Circa la diffusione, si può ricordare come il fenomeno dei rallies automobilistici, venuto alla luce con particolare evidenza agli inizi degli anni sessanta, allorché si svolsero le prime manifestazioni di un certo rilievo, abbia subito una rapida crescita ed evoluzione tecnologica tale da conferire agli stessi una posizione di primo piano nel settore degli sports automobilistici. Attualmente si svolgono — si dice — un centinaio di competizioni all’anno, suddivise in tutte le regioni italiane e dotate di strutture organizzative nelle quali sono coinvolti Automobil Clubs, scuderie, società alberghiere e varie altre associazioni sportive, « budgets » finanziari che si aggirano nell’ordine di decine, e, talvolta centinaia, di milioni. Ed hanno raggiunto un livello tale di fama e prestigio ed una conseguente presenza di spettatori, diffìcilmente riscontrabili in altri settori degli sports automobilistici.Quanto alla pericolosità intrinseca della corsa,questa è dovuta sia alla evoluzione tecnica, andata di pari passo con l’evolversi di tali competizioni, delle vetture, passate dalle « romantiche » automobili da turismo, leggermente modificate, agli attuali veri e propri bolidi mascherati, in grado di sviluppare potenze assai elevate e velocità talora inimmaginabili. Sia all’atto grado di competi- tività delle gare, connotate non tanto e non più dalla « regolarità » (prudenza e continuità dei partecipanti), quanto dalla velocità. Denominate con la tranquillante e riposante formula di « prove di regolarità » , esse, in realtà sono incentrate sulle c.d. « prove speciali » , cioè tratti di percorso nei quali il rispetto dei tempi prestabiliti costituisce fattore determinante ai f i n i della classifica. In da particolare tali tempi sono nella pratica talmente elevati impegnare i concorrenti, che non vogliano incorrere in penalità, ad ottenere il massimo della velocità che in quelle circostanze il proprio mezzo è in grado di sviluppare. E tale pericolosità fu espressamente denunciata, già venti anni f a, dalla circolare n. 3000/43655-116 dell’8 marzo 1968 del Ministero dell’interno (Direzione generale di P.S.), la quale con riferimento alle « competizioni motoristiche di regolarità » affermava eloquentemente: « Le norme di gara possono prevedere tempi elevati in relazione alle condizioni di traffico della strada da percorrere ed alle condizioni delle strade stesse. Q u e s t e ultime possono essere a fondo naturale o asfaltato o bitumato, ma con tratti in riparazione o anomalie varie, ovvero con tratti aventi pendenze elevate, curve frequenti specie sulle strade di montagna e comunque tratti di percorso sui quali diventa difficile mantenere i tempi di gara con una condotta di guida di assoluta prudenza e sicurezza. Non è raro il caso di concorrenti che, per avvicinarsi il più possibile al tempo prescritto commettono imprudenze, ovvero sono portati a tenere una velocità che, per le particolari condizioni ambientali suindicate, può considerarsi pericolosa ». Al che va aggiunto l’elevato numero di spettatori che, attratti da questo spettacolo particolarmente amato dal pubblico italiano fìn dai tempi della mitica « Mille Miglia » , assistono allo svolgimento della corsa assiepati lungo l’intero percorso (dalle duecento alle trecentomila persone, secondo i dati della Polizia stradale, durante ciascuna prova del campionato nazionale), per la maggior parte giovani o giovanissimi, impegnati in una sorta di « tourde Force » , spesso notturna ed all’addiaccio per seguire da vicino la competizione. Quanto, poi, alla pericolostà da modalità organizzative, va rilevato che, a differenza di quanto avviene nelle prove su circuito, nelle quali si registra un grado suffìciente di preparazione e professionalità nei diversi settori organizzativi, lo svolgimento dei rallies automobilistici su strada normalmente avviene senza il rispetto delle più elementari norme di sicurezza, poiché è spesso affìdato, a causa della fitta rete di interessi economoci-commerciali legati al sistema pubblicitario sul quale si reggono siffatte organizzazioni, tale da non migliorare la situazione, alla fortuna ed alla prudenza dei partecipanti piu che alla prudenza ed alla preparazione degli organizzatori. Anzi, le finalità pubblicitarie, esigendo lo spettacolo ed il colpo di scena, si pongono molto spesso in contrasto con le piu elementari norme di prudenza e sicurezza (2). Per quanto riguarda infine la pericol o s i t à da carenze normative , va rilevato che siffatto tipo di corsa, è, come meglio vedremo, disciplinata in maniera inadeguata dal nostro legislatore il quale sostanzialmente lascia a fonti subordinate il compito di prevedere le misure idonee di volta in volta a salvaguardare la sicurezza ed incolumità degli spettatori. E, come conseguenza di tali convergenti fattori, non di rado, come le cronache confermano, tali competizioni sono accompagnate da eventi luttuosi o lesivi in danno sia degli spettatori, come nel caso della sentenza annotata, sia dei partecipanti_alla gara (piloti e navigatori) come in un tragico episodio di recente riportato dalla stampa (3). Le forme di responsabilità ipotizzabili per gli eventi dannosi verifìcatisi sono: l) la responsabilità degli organizzatori nei confronti degli spettatori; 2) la responsabilità dei partecipanti alla gara nei confronti degli spettatori; 3) la responsabilità concorsuale di organizzatori e partecipanti nei confronti degli spettatori; 4) la responsabilità degli organizzatori nei confronti dei partecipanti alla corsa. L’alto grado di pericolosità caratterizzante le gare automobilistiche su strada pone innanzitutto l’interrogativo circa la stessa legittimità di tali competizioni. Sul piano politico-sostanziale il fondamento della liceità dei rallies può essere ricercato, come è stato più in generale affermato per ogni sport-impresa (4), nella « offerta di spettacolo » al pubblico che nelle gare in questione è, come già accennato, numerosamente presente. Anche se può comunque rimanere aperto il problema se, nel bilanciamento di interessi fra tutela de1l’incolumità dei cittadini ed offerta di spettacolo ai medesimi, il secondo interesse non debba essere ritenuto prevalente nei soli casi in cui possa essere assicurata la tutela del primo. Per cui si dovrebbero ritenere lecite le competizioni in questione non come tali, ma se ed in quanto si svolgano nell’osservanza di adeguate regole cautelari. Sul piano tecnico-giuridico, tale fondamento può essere individuato, come è stato affermato piu in generale per ogni attività sportiva pericolosa (5), nel fatto di essere, ex art. 51 c.p., attività giuridicamente autorizzate, stante la normativa che in qualche modo prevede e disciplina le gare automobilistiche. Al proposito vanno ricordati, innanzitutto, l’art. 9 c. strad., che subordina lo svolgimento delle gare automobilistiche di velocità su strada all’autorizzazione del prefetto e che inoltre, per le gare di velocità o di regolarità nelle quali sia ammessa una media eccedente i cinquanta chilometri orari, prevede a carico degli organizzatori l’onere di richiedere il collaudo del percorso nei termini e con le modalità che vedremo. E l’art. l7 del regolamento annesso al codice della strada che rende applicabili le disposizioni contenute nel citato art. 9 anche alle gare di regolarità nelle quali sia ammessa, anche se solo in alcuni tratti di percorso, una media eccedente i cinquanta chilometri orari. Nonché due circolari in tema di percorsi di gara emanate dal Ministero del turismo (n. 9537 del 30 giugno 1962) e dal Ministero dell’interno (n. 68 del 2 luglio 1962), le quali, come meglio vedremo, sanciscono le regole da osservarsi nei c.d. percorsi speciali (strade pubbliche temporaneamente adibite a gare automobilistiche). 3. Si tratta di norme che, se pur non esauriscono le regole di sicurezza adottabili in materia (6), tracciano nondimento un primo quadro dei limiti entro i quali tali competizioni, in sé pericolose, possono essere dall’ordinamento giuridico consentite. Ulteriori disposizioni relative alle gare automobilistiche sono contenute nel regolamento sportivo e nell’annuario C.S.A.I. , le quali si riferiscono però unicamente alla disciplina federale dello sport automobilistico e non si occupano invece di altri aspetti, giuridicamente rilevanti, che esulano dall’attività sportiva, quali segnatamente la tutela dei beni essenziali della vita e dell’integrità fisica di coloro che vi assistono o vi partecipano. 4. Preliminare rispetto all’analisi della responsabilità degli organizzatori nei confronti dei componenti del pubblico e dei partecipanti alla competizione, risulta il problema dell’individuazione, nell’àmbito dell’organizzazione stessa, dei soggetti penalmente responsabili, stante il noto principio della personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.). Problema che dalla più recente dottrina (7) ha sostanzialmente trovato, rispetto all’impresa, tre diverse soluzioni, che possono trovare, per evidenti ragioni di similitudine, applicazione anche nell’ipotesi di comitato organizzatore di una manifestazione sportiva. E consistenti: 1) nel ritenere penalmente responsabile il soggetto preposto all’adempimento di una singola funzione o di un singolo settore dell’organizzazione, con esclusione della concorrente responsabilità del (o dei) deleganti, sempre se trattasi di ripartizione di funzioni effettiva, dovendo cioè sussistere la quadruplice condizione: a) della delega di funzioni secondo la struttura organizzativa generale dell’impresa; b) della idoneità tecnico-professionale del preposto; c) dell’autonomia decisionale del medesimo; d) della disponibilità dei mezzi necessari. Per cui, allorché le suddette condizioni si verifichino, vale il principio dell’affidamento, in base al quale il delegante, finché non venga a conoscenza dell’inosservanza delle regole da parte del delegato, deve poter contare nel corretto comportamento di costui (8). Con la conseguenza però, come è stato obiettato (9), di realizzare in tal guisa una eccessiva irresponsabilità del dirigente, sul quale dovrebbe invece gravare l’obbligo di vigilare sul comportamento del preposto; 2) nel ritenere l’imprenditore individuale (od i vertici della società) « garanti » dell’impedimento di reati collegati all’esercizio dell’attività imprenditoriale (10). E tale posizione di garanzia troverebbe il suo fondamento nel potere di comando degli organi dirigenti dell’impresa e nelle informazioni di cui essi sono a disposizione, che garantirebbero la dominabilità dell’evento da parte dei medesimi, necessaria per poter fondare in capo ad essi un’obb1igo di garanzia; 3) nel ritenere penalmente responsabili il delegante ed il delegato secondo i criteri propri del concorso di persone nel reato e della colpa. Per cui il delegante risponderà dell’inadempimento degli obblighi del delegato in quanto sia esigibile dal delegante un comportamento diligente di controllo della condotta del delegato (11). Ed il delegato, che non può essere considerato penalmente responsabile dell’adempimento prescritto al delegante, risponderà a titolo di concorso nel reato commesso da quest’ultimo, in quanto il legame instaurato col delegante lo obbligava ad attivarsi ed egli ha invece tenuto un comportamento omissivo cosciente e volontario (12). Nel caso in esame sono state analizzate, ne11’ordinanza del giudice istruttore, la responsabilità del presidente e del direttore generale del comitato organizzatore. Ed il criterio in linea di principio privilegiato è quello dell’adempimento mediante preposizione, in quanto si afferma il ritenere penalmente responsabili degli illeciti ricollegabili ad enti morali solo coloro che, per le qualità assunte nell’organismo associativo, hanno materialmente posto in essere quelle attività oppure hanno omesso di esercitare i controlli loro istituzionalmente affidati, risponde ad un principio di civilità giuridica, espresso anche dall’art. 27 Cost. Anche se in concreto tale criterio non viene ritenuto applicabile al caso di specie in quanto, secondo il giudice istruttore, manca la prova certa e documentale della preposizione del direttore generale alla direzione della Scuderia. Ed il tribunale, ne11’affrontare il problema della responsabilità degli organizzatori, preso atto, sulla base delle dichiarazioni dibattimentali del direttore generale, che le decisioni del comitato organizzatore erano state epresse unanimemente in riunioni alle quali tutti i membri avevano partecipato, ritiene perseguibili, a titolo di concorso nel reato colposo, non solo il direttore ed il presidente, ma anche tutti gli altri membri del comitato organizzatore, rimandando per questi ultimi gli atti al pubblico ministero (13). 5. Per quanto attiene al problema della responsabilità degli organizzatori, esso presuppone risolto in termini positivi il preliminare problema della sussistenza, sotto il profilo oggettivo, del nesso di causalità fra comportamento di questi ultimi ed eventi verificatisi in danno degli spettatori, materialmente provocati dai partecipanti alla competizione. Ora, il nesso causale, se esiste con indubbia evidenza tra l’investimento, da parte del pilota della vettura e la morte dello spettatore, può dirsi configurabile anche rispetto al comportamento degli organizzatori? E, in caso positivo, trattasi di causalità attiva o di causalità omissiva? 6. In verità dalla sentenza annotata il problema del nesso causale viene considerato, in termini per così dire ovvii, solo come nesso tra investimento e morte dello spettatore, ma non anche come nesso tra morte e comportamento degli organizzatori, i quali, peraltro, proprio in f orza del loro comportamento, possono essere chiamati a rispondere de1l’evento verificatosi. E dal tribunale il problema del nesso causale è stato esaminato, e molto sbrigativamente, sotto il solo profilo della causalità omissiva, mentre occorre domandarsi se tale problema non debba innanzitutto porsi sotto il profìlo della causalità attiva tenuto conto, tra l’altro, dei rapporti intercorrenti fra causalità attiva e causalità omissiva, in base ai quali quest’ultima deve ritenersi residuale ed alternativa rispetto alla prima. Residuale in quanto soltanto ove venga accertata l’insussistenza della causalità attiva ha un senso ed una pratica utilità ricorrere alla difficoltosa e problematica ricerca della causalità omissiva, cui va aggiunta, nel caso di specie, la divergente opinione del tribunale e della Corte d’appello circa l’individuazione, sul piano delle fonti, dell’obbligo di impedire l’evento, che, come vedremo, il tribunale individua nell’art. 9 c. strad. , e che la' Corte ritiene invece inapplicabile al caso in questione. Alternativa, in quanto, a nostro sommerso avviso, esiste un rapporto di incompatibilità fra causalità attiva e causalità omissiva, poiché l’obbligo di garanzia, sul quale si incentra la causalità omissiva, ha una ragione di esistere e scatta soltanto rispetto alle situazioni di pericolo non create dal titolare di tale obbligo, come sembra desumersi dalla stessa funzione della responsabilità omissiva. 7. Ciò premesso e passando all’analisi del rapporto di causalità attiva rispetto al comportamento degli organizzatori, non sembra possa essere posto in dubbio che essi tengono innanzitutto un comportamento attivo, rappresentato dall’attività di organizzazione della gara. E rispetto a questo la causalità attiva è da ritenersi sussistente: a ) se si muove dalla teoria della conditio sine qua‘ non (14), in quanto l’organizzazione è stata condizione necessaria alla produzione dell’evento, nel senso che, in base al procedimento della eliminazione mentale, senza l’organizzazione della corsa la morte e le lesioni degli spettatori non si sarebbero verificate; b) se si muove dalla teoria della causalità umana (15), in quanto l’evento verificatosi non è da ritenersi eccezionale o, come da altri si precisa meglio (16), esso, al momento della condotta, era prevedibile come verosimile conseguenza di essa secondo la miglior scienza ed esperienza del momento storico: tanto più rispetto al tratto di strada in questione, poiché, come i giudici di merito concordemente riconoscono, particolarmente pericoloso (a doppia curva ad esse, con pendenza del 16% e piuttosto stretto) ed oggetto di « prova speciale ». 8. Ma ammesso per ipotesi che, come sembra ritenere il tribunale, il problema del nesso causale si ponga soltanto in termini di causalità omissiva, occorre vedere se tale nesso causale sia, nel caso di specie, configurabile. Il terreno della responsabilità omissiva si presenta quanto mai infido e di incerta defìnizione e lo studio delle relative fattispecie, ed in particolar modo delle fattispecie omissive improprie, ha spesso ingenerato molteplici dispute. E non solo sul piano della stessa definizione di reato omissivo improprio (17) e della distinzione fra reati omissivi propri ed impropri (18), ma altresì e soprattutto sul piano della struttura delle fattispecie omissive improprie (19) e segnatamente in punto di obbligo di impedire l’evento, che è quello che maggiormente rileva ai nostri fini. Infatti a questo proposito il rispetto del principio della riserva di legge appare portare a respingere entrambe le concezioni prevalenti nella dottrina meno recente sulla fonte di tale obbligo. Tanto la concezione sostanziale, per la quale tale obbligo può essere ricercato anche in fonti diverse dalle fonti formali, e quindi nella incerta categoria della precedente attività pericolosa, quanto la concezione formale, per la quale tale obbligo non può essere ricercato in fonti diverse dalle fonti formali, allorché di fatto tale teoria ha finito per far rientrare, fra le fonti dell’obbligo, sotto una malintesa etichetta di formalità, anche fonti in realtà non formali, quali, in primo luogo, la citata precedente attività pericolosa. E ad accogliere quella moderna dottrina garantista, realmente formale e funzionale (20), in base alla quale tale obbligo: a) puó essere ricercato unicamente in fonti formali, che vengono individuate nella legge, penale o extrapenale, nel contratto, che fonda pur sempre la sua effìcacia vincolante nella legge (art. 1372 c.c.), e nella assunzione volontaria dell’obbligo, riconducibile all’istituto della negotiorum gestio (art. 2028 c.c.). Con esclusione, quindi, di tutte le fonti sublegìslative (regolamenti, atti amministrativi, consuetudine), qualora si riconosca alla riserva di legge carattere assoluto (21). Salva la ammessa possibilità di « integrazione » , al fìne di limitare la discrezionalità del giudice, degli elementi dell’obbligo di garanzia, pur sempre fondato sulla legge (22). E con la possibilità invece di « fondare » lo stesso obbligo di garanzia anche su certe fonti sublegislative, qualora si riconosca alla riserva di legge carattere relativo. Fermo restando, comunque, che entrambe le accezioni del principio della riserva di legge portano ad escludere dalle fonti dell’ob- bligo la precedente attività pericolosa (23); b ) deve, altresì, essere limitato, in funzione della responsabilità omissiva, alle sole ipotesi in cui si manifesti la necessità di offrire una tutela anticipata e rafforzata a determinati beni che, per la incapacità dei titolari a proteggerli, resterebbero in caso contrario sprovvisti di tutela (24). 9. Ciò premesso va precisato che, perché sussista la causalità omissiva è necessario: 1) per la teoria della condicio sine qua non, che l’omissione sia stata una condizione necessaria alla produ zione dell’evento, da accertarsi col noto procedimento della sostituzione mentale, e, per la teoria della causalità umana , che l’evento non sia eccezionale o, piu precisamente, che al momento della condotta omissiva fosse prevedibile come verosimile conseguenza di essa secondo la miglior scienza ed esperienza del momento storico; 2) che a carico dell'omittente sussista 999 CASSAZIONE PENALE: 1990 CASSAZIONE PENALE: 1990 l’obbligo giuridico di impedire l’evento nei termini e limiti suesposti. Requisiti, questi, che applicati al caso in esame portano alle conclusioni: 1) che indubbiamente il comportamento omissivo degli organizzatori, consistente nella mancata predisposizione di prote- zioni a tutela del pubblico, è stato condicio sine qua non della morte e delle lesioni degli spettatori, in quanto, sostituendo a tale comportamento l’azione richiesta (di adozione delle cautele previste), la morte e le lesioni non si sarebbero verosimilmente verificati. E tale evento è da ritenersi non eccezionale, o meglio prevedibile come verosimile conseguenza della mancata predisposizione di protezioni, in quanto l’attuale miglior scienza ed esperienza del settore delle corse automobilistiche insegna che nelle c.d. « prove speciali » , tanto più se su strada di montagna particolarmente pericolosa, quale il tratto in questione, è prevedibile come verosimile la fuoriuscita di una autovettura; 2) che l’obbligo di garanzia a carico degli organizzatori non può trovare la propria fonte né nella precedente attività pericolosa di organizzazione della competizione e neppure nelle soprammenzionate circolari ministeriali in sé. E ciò non solo perché l’adozione di siffatte fonti dell’obbligo porterebbe a violare il principio della riserva di legge. Ma anche perché la precedente condotta attiva dei membri del comitato non può, per le ragioni già accennate, ad un tempo costituire causa attiva e presupposto del reato omissivo improprio. L’obbligo di garanzia degli organizzatori può invece essere individuato, se si intende il principio della riserva di legge come « riserva assoluta » (25), sempre che tale principio sia ritenuto compatibile con la norma penale in bianco, nell’art. 9 c. strad. , essendo tale detto articolo in quanto integrato dall’autorizzazione prefettizia e dalle disposizioni cautelari in esso indicate. Mentre, se si intende il suddetto principio come « riserva relativa » , tale obbligo può desumersi già dall’art. 17 del regolamento annesso al codice della strada, che rende applicabili alle gare di regolarità del tipo di quella svoltasi le disposizioni relative all’obbligo del collaudo. Il tribunale e la Corte d’appello non concordano su1l’individuazione della fonte dell’obbligo di garanzia. Entrambe peraltro scendono all’esame degli artt. 9 e 17, delle circolari ministeriali e dell’autorizzazione prefettizia più con riferimento all’elemento soggettivo della colpa che non con riferimento alla fonte dell’obbligo di impedire l’evento. E su tale ultimo punto, mentre il tribunale sembra fondare l’obbligo, pressoché implicitamente, nella stessa attività pericolosa di organizza- zione della competizione, la Corte d’appello si richiama, seppur in maniera molto sbrigativa, all’autorizzazione prefettiza di cui all’art. 9 c. strad. Oltre alla sussistenza del rapporto di causalità (attiva od omissiva tra condotta degli organizzatori ed evento), la responsabilità degli stessi richiede anche la sussistenza dell’elemento soggettivo. Al proposito va preliminarmente chiarito che, qualora si ritenga sussistente la ‹causalità omissiva, non si deve peró cadere nell’equivoco di identificare la colpa con l’inosservanza dell’obbligo di garanzia. Parte della dottrina (26) ha ritenuto infatti che l’omissione come tale possa contenere in sé anche gli elementi della colpa in quanto l’omissione impropria colposa è caratterizzata soprattutto dalla particolare fisionomia dell’obbligo che deve essere violato o dalla coincidenza del dovere del garante col dovere di diligenza (« la tipicità dell’omissione fa corpo con la sua colpevolezza » ) (27). 10. Per cui, seguendo tale impostazione, si dovrebbe coerentemente concludere che il non aver impedito l’evento da parte del garante, posto che obbligo di garanzia e dovere di diligenza si identificano, sia prova sufficiente della sussistenza della colpa. Con la aberrante conseguenza che in questa ipotesi l’elemento soggettivo non dovrebbe essere provato. E con la conseguente creazione di una nuova ipotesi di culpa in re ipsa, che non appare però reggere ad una quadruplice obiezione: a) che dei reati omissivi impropri, come di tutti i reati, è possibile, in primiis, una realizzazione dolosa, oltreché colposa, per cui il ritenere automaticamente sussistente la colpa nelle suddette ipotesi porterebbe ad escludere la possibile sussistenza di tale più grave forma di responsabilità; 6) che se è vero che, come affermano i sostenitori di siffatta teoria, l’obbligo di garanzia può nascere solo da una norma cautelare scritta, è altrettanto vero che la colpa puó aversi invece anche quando, nonostante l’osservanza delle norme scritte « non esaustive » , siano state violate le comuni regole di prudenza e perizia, e che un comportamento diligente tenuto da un soggetto imperito può dar luogo ad un'ipotesi di responsabilità colposa; ; GIURISPRUDENZA DI MERITO 999 11. c) che parte della dottrina (28) ha opportunamente ritenuto di distinguere tra grado di prevedibilità dell’evento rilevante ai fini della sussistenza della causalità (parametro oggettivo della miglior scienza ed esperienza del momcnto storico) e quello rilevante ai f i ni della colpa (parametro relativistico dell’agente modello); d) che in definitiva si arriverebbe, con l’adozione della tesi citata, alla creazione di una nuova forma di responsabilità oggettiva « occulta » (29), ponendosi l’evento a carico del soggetto sulla mera base del rapporto di causalità, non tenendosi peraltro conto del diverso grado di prevedibilità dell’evento necessario perché si abbia, oltre alla causalità, la colpa. Ciò premesso e passando all’accertamento della colpa nelle forme in cui questa può manifestarsi (30), occorre chiedersi: a ) in primo luogo, se sia configurabile una colpa « specifica » , cioè per inosservanza di norme cautelari scritte, oppure una colpa « generica » , cioè per inosservanza di norme cautelari non scritte, di comune diligenza, prudenza, perizia, che va subordinatamente accertata in quanto in materia non sussistano norme cautelari scritte o tali norme, seppur esistenti, non siano esaustive, per cui l’osservanza delle medesime non esonera l’agente dall’osservare anche le comuni regole cautelari non scritte; b) se si tratti di colpa « comune » , riguardante attività in sé lecite perché non proibite, e che sussiste sulla sola base della prevedibilità ed evitabilità dell’evento, oppure di colpa « speciale » , riguardante attività in sé rischiose ma giuridicamente autorizzate perché ritenute socialmente utili, rispetto alle quali si tratta di accertare, oltre alla prevedibilità ed evitabilità dell’evento, se sia stata altresì superata la soglia del « rischio consentito » dall’ordina- mento. La colpa specifica va accertata individuando le norme cautelari scritte che disciplinano la materia e constatando l’inosservanza di dette norme da parte del soggetto nonché la riconducibilità dell’evento cagionato al tipo di evento che tali norme mirano a prevenire (31). E tale accertamento varia a seconda che si tratti di norme rigide, che determinano in termini netti la condotta cautelare doverosa, per cui la inosservanza delle medesime dà luogo, almeno secondo certa dottrina (32), senz’altro a colpa, oppure di norme elastiche , che indicano una condotta cautelare determinabile in rapporto a circostanze concrete, per cui è necessario comunque fare riferimento alla prevedibilità ed evitabilità del c.d. agente modello (33). la esclusione della colpa specifìca, per il fatto che vi sia stata osservanza delle norme cautelari scritte, può lasciare residuare una colpa generica, allorché tali norme scritte non siano « esaustive » delle regole prudenziali adottabili ed esigibili dal soggetto agente in rapporto alla particolare attività o situazione concreta (34). Nell’ipotesi delle sentenze annotate le norme cautelari scritte, sulle quali fondare la colpa specifica, vanno individuate nell’art. 9 c. strad., nell’autorizzazione prefettizia da esso richiamata, nell’art. 17 del relativo regolamento, nelle circolari ministeriali n. 9537 del 30 giugno 1962 e n. 68 del 2 luglio 1962. Il primo prevede, al comma 2, la necessità di richiedere, per le gare su strada con autoveicoli o motoveicoli, l’autorizzazione del prefetto della provincia in cui si svolge la gara. Autorizzazione nella quale, come si desume dal comma 1, sono specifìcate le condizioni alle quali le gare sono subordinate. Per cui le norme cautelari, indicate nelle suddette autorizzazioni, possono essere considerate elementi integranti dei commi 1 e 2 dell’art. 9 che presenta, relativamente a questo aspetto, la caratteristica di norma in bianco. Nel comma 3 dell’art. 9 si prevede inoltre, per le gare di velocità, che l’autorizzazione sia subordinata al preventivo collaudo del percorso da parte di un tecnico del1’A.N.A.S. assistito da un rappresentante dell’A.C.I, collaudo avente come finalità l’accertamento dell’idoneità del percorso e, in caso positivo, l’individuazione delle cautele da approntare in relazione alla pericolosità del medesimo, che dovranno essere costituite innanzitutto dalle misure indicate nelle sopra citate circolari ministeriali o da specificazioni od integrazioni delle stesse, se del caso. E tale collaudo deve essere effettuato sia per le gare di velocità, previste dall’art. 9 comma 2, che per le gare di regolarità nelle quali siano previsti tratti di percorso nei quali sia consentito di superare i cinquanta chilometri orari, in virtù del richiamo operato dall’art. 17 del regolamcnto, che rende applicabili le disposizioni dell’art. 9 comma 3, a dette gare. Quanto ai soggetti destinatari dell’obbligo di richiedere il collaudo essi sono da individuarsi nei promotori della competizione, sui quali grava l’obbligo di chiedere l’autorizzazione prefettizia e quindi di rispettare le condizioni alle quali tale autorizzazione è subordinata. 12. 999 13. CASSAZIONE PENALE' 1990 13. CASSAZIONE PENALE' 1990 Per cui l’inosservanza delle disposizioni citate dà luogo a colpa specifica degli organizzatori. Il che non esclude, laddove l’autorizzazione e l a p r e v i s i o n e delle misure da adottare siano inadeguate, una concorrente responsabilità degli organi preposti a concedere tale autorizzazione. Ed una eventuale responsabilità dei tecnici che, effettuando il collaudo, non indichino le cautele idonee, in relazione allo specifico percorso di gara. Le circolari ministeriali citate sanciscono le regole da osservarsi nei c.d. percorsi speciali: a) l’adozione di protezioni a difesa del pubblico, lungo i tratti del percorso ove esso è ammesso, da determinarsi secondo l’andamento del terreno e la velocità raggiungibile in ciascun tratto; b) la predisposizione, quali mezzi di protezione, di recinzioni continue in rete metallica di adeguata robustezza od anche mediante dispositivo provvisorio (transenne od altro equivalente) purché il pubblico sia adeguatamente sorvegliato e posto ad una distanza minima dal bordo della strada di sei metri quando la velocità massima non può superare i 100 Km/h; c) la predisposizione, per le strade con velocità fino a 100 Km/h, di « guard-rail » di tipo stradale a nervature multiple longitudinali, con il bordo superiore a m 0,60 da terra, su pali in ferro e su un piano normale (perpendicolare) rispetto al terreno. Nel caso di specie la colpa specifica è ravvisabile nella violazione di tutte le citate norme cautelari scritte, aventi come fine quello di prevenire eventi lesivi in danno del pubblico: a) nella violazione dell’art. 9 comma 3, applicabile alla gara in esame in quanto anche in essa era prevista la possibilità, nei tratti di prova speciale, di superare il limite di velocità di 50 Km/h oltre il quale l’art. 17 del regolamento richiede l’effettuazione del collaudo. Per cui la mancanza di tale collaudo può dar luogo a colpa specifica; b) nella violazione delle circolari ministeriali che prevedono la predisposizione di particolari protezioni a difesa del pubblico, poiché risulta che gli organizzatori non avevano installato, nel luogo in cui si verificò l’incidente (che proprio in quanto oggetto di prova speciale era da ritenersi particolarmente pericoloso), alcuna delle protezioni richieste da tali circolari. Ma sottostante alle suddette norme cautelari scritte appare esistere una primaria e più generale norma cautelare, che impone di circoscrivere la gara ai soli percorsi che, per le loro dimensioni e natura, consentano la pratica adozione delle suddette misure ed il controllo degli spettatori. La inosservanza, nel caso di specie, di questa primaria regola cautelare, posto che il percorso del 12°Rally « Colline di Romagna » si snodava per 300 Km circa ed attraversava ben quattro province (Ravenna, Forlì, Bologna, Firenze), è stata causata dalla impossibilità materiale di adottare le misure previste nelle circolari ministeriali ed appare integrare, già di per sé, una colpa specifica. Le sentenze annotate arrivano a queste corrette conclusioni, tramite però un ragionamento non del tutto ineccepibile. Esse ritengono infatti che la colpa specifica debba essere individuata non nella violazione dell’art. 9 comma 3, in sé, ma nelle norme cautelari che sarebbero state prescritte dai tecnici a ciò preposti qualora il collaudo fosse stato effettuato. Ma poiché la colpa specifica si fonda sulla violazione di norme cautelari scritte non ipotetiche, ma realmente esistenti, non sembra possa configurarsi siffatta colpa per violazione di norme cautelari scritte che, in quanto non sancite, non possono essere violate. E d’altronde non è necessario ricorrere a tale complicatorio ragionamento poiché, come già detto, la inosservanza della norma scritta che prevede la necessità del collaudo del percorso e, quindi, di farsi prescrivere le cautele da adottare, dà già luogo a colpa specifìca. I giudici di primo e di secondo grado hanno inoltre dato risposte diverse circa l’applicabilità al caso di specie della predetta normativa. Il Tribunale di Bologna ha ritenuto applicabili sia l’art. 9 c. strad. e l’art. 17 reg. che le circolari ministeriali. la Corte d’appello ha, invece, ritenuto l’art. 9 inapplicabile al caso in esame. E ciò sulla base della accennata circostanza che non sarebbe possibile desumere dagli atti la prova dell’effettiva velocità tenuta al momento del sinistro dall’autovettura investitrice. Anche se, a nostro sommerso avviso, tale valutazione andrebbe compiuta in riferimento, non alla concreta velocità tenuta dal singolo partecipante alla gara nel punto in cui si è verificato l’incidente, ma alla prevista possibilità, lungo il tratto di percorso in questione, oggetto di prova speciale, di tenere, da parte dei partecipanti, una velocità superiore ai cinquanta chilometri orari, prescindendo poi dall’accertamento dell’effettiva velocità raggiunta nel caso concreto, che può riguardare al più la colpa del partecipante. Anche perchè, facendoGIURISPRUDENZA DI MERITO si del raggiungimento della suddetta velocità un dato da accertarsi non a priori, ma a posteriori, l’obbligo del collaudo e la conseguente inosservanza della norma cautelare non sarebbero pressoché mai ravvisabili, privandosi così l’art. 9 del suo contenuto applicativo. In ogni caso sia il tribunale che la Corte d’appello ritengono ravvisabili, nel colpevole comportamento degli organizzatori, gli estremi della colpa specifica, per violazione dell’art. 9 o delle circolari ministeriali. Ma ammesso, per ipotesi, che la colpa specifica non sia configurabile, residua la possibilità di affermare la responsabilità colposa sotto il profilo della colpa generica. E ciò non solo nell’ipotesi che si ritenga inapplicabile al caso in esame la normativa citata, ma anche nel caso in cui tale normativa sia stata osservata ma si ritenga che essa non sia esaustiva delle possibili regole cautelari adottabili dagli organizzatori. La colpa generica riporta l’accertamento ai comuni criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, controverso restando invece il parametro di riferimento dei medesimi. E tra i diversi parametri proposti (uomo più esperto, uomo medio, soggetto agente), preferibile appare, tutto considerato, quello del modello di soggetto cui l’agente appartiene (home eiusdem professionis et condicionis) (35). Ed appare incontrovertibile come, anche in rapporto ai suddetti criteri, sia ravvisabile la colpa per gli eventi verifìcatisi. Un soggetto che intraprende un’attività quale l’organizzazione di un rally sa, od è comunque tenuto a sapere, che questa comporta, tanto più rispetto ai tratti del percorso nei quali si svolgono « prove speciali » , dei rischi per il pubblico che assiste alla manifestazione. Pertanto un’organizzatore prudente ed esperto, cioè l’organizzatore modello, avrebbe dovuto installare adeguate protezioni, o comunque adottare le più elementari cautele a difesa del pubblico, nei tratti del percorso nei quali era prevedibile la fuoriuscita di strada di una autovettura. Cautele che dall’ordinanza di rinvio a giudizio vengono, seppur a titolo esemplificativo, così individuate: a ) l’apposizione, nei tratti pericolosi, quale quello in questione, di cartelli od altre forme di segnala- zione ben visibili; b) la collocazione, lungo il percorso, di uffìciali di gara incaricati del controllo del pubblico; c) l’imposizione di divieti assoluti di sosta nei tratti esterni della curva e nei possibili « spazi di fuga » del percorso. E poiché tali elementari cautele, ove fossero state predisposte, avrebbero verosimilmente evitato il verificarsi dell’incidente, il non averle predisposte è elemento sufficiente per muovere un addebito di colpa a tali soggetti. Sulla base di simili rilievi sia il Tribunale che la Corte d’appello di Bologna hanno ravvisato nel comportamento degli organizzatori pure la colpa generica, risultando agli atti che gli organizzatori non avevano adottato le cautele imposte dalle circolari ministeriali e neppure le elementari cautele esemplificate dal1’ordinanza di rinvio a giudizio. Anche se in realtà si tratta di conclusione, in sé esatta e che serve a ribadire, al di sopra di ogni residuo dubbio, la responsabilità colposa degli organizzatori, ma non necessaria una volta ritenuta sussistente già la colpa specifica. Infatti l’accertamento della colpa specifica è principale, come nel caso di specie, rispetto all’accertamento della colpa generica, che ha carattere residuale. Quest’ultima è infatti subordinata alla duplice condizione: 1) che le norme cautelari scritte non sussistano o, se sussistenti, siano state in concreto osservate dall’agente; 2) che, in tale ultima ipotesi, non siano esaustive delle regole di prudenza esigibili in rapporto alla singola attività svolta. Se è vero che la insussistenza di una colpa specifica non esclude la possibile sussistenza di una colpa generica, è altrettanto vero che tutte le ipotesi di colpa specifica potrebbero essere addebitate anche a titolo di colpa generica, poiché le norme scritte altro non sono che la cristallizazione scritta, in rapporto alla concreta attività svolta, delle regole di prudenza da adottare. Per cui da questo angolo visuale colpa generica e colpa specifica devono essere ritenute, in base al principio del nte bis in idem sostanziale (36), due concetti reciprocamente escludentisi. Circa poi l’accennata distinzione tra colpa comune e colpa speciale si può dire che le competizioni automobilistiche rientrano nella categoria dqlle attività in sé pericolose, ma giuridicamente autorizzate perché ritenute socialmente utili. Per cui, rientrando le inosservanze delle norme cautelari ad esse relative nella categoria della colpa speciale, è necessario stabilire se, oltre 14. 1203 9 CASSAZIONE PENALE' 1990 CASSAZIONE PENALE' 1990 alla colpa generica o specifica eventualmente accertate, sia stata superata quella misura del rischio consentito, entro il quale l’ordinamento si accolla i danni che si verificano e non può, per coerenza, imputarli ai soggetti ai quali consente, entro determinati limiti, lo svolgimento dell’attività pericolosa (37). Tale accertamento si presenta però quantomai incerto e fonte di possibili soluzioni antitetiche. Ed invero, se nell’ipotesi di norme cautelari scritte esaustive, tale accertamento può ritenersi ricompreso nella stessa colpa specifica, in quanto col prevedere determinate cautele a difesa dei beni da tutelare, l’ordinamento mostra di accettare la ulteriore possibile verificazione di eventi dannosi, nel caso di norme cautelari non scritte o di norme cautelari scritte non esaustive, tale accertamento deve essere effettuato dal magistrato in rapporto al caso concreto, con tutti i connessi rischi di arbitri, soggettivismi e strumentalizzazioni ideologico-politiche. E la conseguente possibilità che sotto il « rischio consentito » si crei una zona di immunità allargabile o restringibile a seconda delle opzioni del singolo magistrato. Il che rende quantomai necessaria, laddove sia possibile ed opportuno (non così, ad esempio, nell’attività medico-chirurgica), la predeterminazione legislativa, per tutte le attività pericolose ma autorizzate, delle cautele adottabili in rapporto alla singola attività svolta, stabilenti il limite, superato il quale, il rischio diventa suscettibile di rilevanza penale. Correttamente il Tribunale e la Corte d’appello di Bologna hanno ritenuto che il rischio consentito sia stato superato nella manifestazione automobilistica in esame, poiché col richiedere la predisposizione: di difese a tutela del pubblico l’ordinamento mostra di non accettare incondizionatamente la verificazione di eventi dannosi nei confronti degli spettatori. Il problema del limite del rischio consentito si ripropone, come meglio vedremo, relativamente al comportamento esigibile dai partecipanti alla competizione nei confronti degli spettatori e degli organizzatori nei confronti dei partecipanti alla competizione. 8 E passando, quindi, al problema della responsabilità dei partecipanti alla manifestazione nei confronti degli spettatori, lineare appare la risposta sul piano del rapporto di causalità, sia che si muova dalla teoria della condicio sire qua non, sia che si muova invece dalla teoria della causalità umana. La condotta del conducente è infatti condizione necessaria dell’investimento e morte dello spettatore. E, nel caso di specie, era altresì prevedibile come verosimile, in base alle attuali conoscenze del settore automobilistico, che in quello specifico tratto di percorso (strada di montagna con doppia curva ad esse, particolarmente stretta, con pendenza del 16% circa ed oggetto di prova speciale), tale evento potesse verificarsi. Meno agevole appare la risposta sul piano dell’elemento soggettivo e segnatamente della colpa del conducente, a cominciare dalla colpa specifica. Infatti le regole scritte che disciplinano il comportamento da tenere nelle gare automobilistiche sono dettate, per la maggior parte, in riferimento agli organizzatori e non ai partecipanti alla competizione. Per cui sarà ravvisabile. la colpa specifica solo allorché i partecipanti alla corsa abbiano violato le prescrizioni ad essi rivolte nel provvedimento che autorizza la gara (es. : attenersi ad un certo tracciato, munire le macchine di contrassegno) (38), anche se per la verità tali prescrizioni appaiono comunque avere uno scarso rilievo ai fini della colpa specifica. Resta, tuttavia, il problema della configurabilità della colpa « sportiva » generica. In quanto colpa speciale essa riguarda gli eventi lesivi verificatisi durante una manifestazione sportiva, riconducibili alla sfera del « rischio » che tale attività comporta e oltrepassanti la misura dello stesso, consentita dall’ordinamento nell’autorizzare tale manifestazione pericolosa. E, come ogni ipotesi di colpa speciale, va individuata non solo sulla base dei criteri della prevedibilità ed evitabilità dell’evento (che comporterebbero l’automatica punibilità dei partecipanti, dato che, per la intrinseca pericolosità della condotta, gli eventi lesivi sarebbero pressoché sempre prevedibili ed evitabili), ma altresì mediante il criterio speciale del « rischio consentito » Quanto al limite interno della colpa sportiva rispetto alla colpa comune, rientrano nella prima gli eventi lesivi finalisticamente riconducibili allo svolgimento dell’attività sportiva (es. : lesione cagionata dal calciatore all’avversario mentre sta portando a termine una « azione » ), nella seconda gli eventi lesivi che trovano in quest’ultima una semplice occasione (es. : lesione cagionata da un diverbio insorto fra i due, pur se in seguito all’azione di gioco precedentemente svoltasi) (39). Quanto al limite interno della colpa sportiva rispetto ai comportamenti non punibili per difetto di colpevolezza, danno luogo alla prima gli eventi lesivi prevedibili ed evitabili e causati dall’inosservanza delle regole cautelari disciplinanti la singola attività sportiva. Rientrano nei secondi gli eventi lesivi verificatisi nonostante l’osservanza di tali regole (40). Rispetto alle singole attività sportive ai fini della valutazione della colpa sportiva è opportuno operare una quadruplice distinzione fra: l) sports a base violenta, nei quali il verificarsi di eventi lesivi è connaturato alla stessa attività sportiva (es. : pugilato); 2) sports a base non violenta, ma comportanti un elevato grado di pericolosità, nei quali è pertanto probabile il verificarsi di eventi lesivi (es. : automobilismo); 3) sports non violenti né altamente pericolosi, nei quali, in quanto è previsto il contatto fisico tra avversari, è possibile il verificarsi di tali eventi (es.: calcio); 4) sports non‘ violenti né pericolosi, nei quali, in quanto non è previsto il contatto fisico tra avversari, il verificarsi di eventi lesivi presenta carattere di eccezionalità (es. : tennis) (41). Ne consegue che, in base alle considerazioni svolte, potrà parlarsi di colpa sportiva per gli eventi lesivi verificatisi nello svolgimento delle attività appartenenti alle prime tre categorie, da ravvisarsi allorché tali eventi siano causati dall’inosservanza delle regole cautelari disciplinanti la singola attività sportiva. E, viceversa, rispetto alle attività appartenenti all’ultima categoria, gli eventi lesivi eventualmente verificatisi dovranno, laddove ne sussistano i presupposti, essere addebitati, in quanto non finalisticamente collegati all’esercizio dell’attività sportiva, a titolo di colpa comune, che sarà peraltro difficilmente riscontrabile data l’imprevedibilità dell’evento. In particolare, per quanto riguarda la colpa sportiva nelle corse automobilistiche, occorre distinguere fra: 1) gare in circuito aperto; 2) gare in circuito chiuso. Rispetto alle gare in circuito aperto è pressoché pacifica in giurisprudenza l’applicabilità delle norme cautelari contenute nel codice della strada nonché, ai fini civili, della presunzione di responsabilità di cui all’art. 2054 c.c. (42), sicché i concorrenti sono tenuti ad uniformare il proprio comportamento alle prescrizioni generiche e specifiche in materia e l’inosservanza di tali regole dà luogo a colpa sportiva per gli eventi da essa causati. Rispetto alle gare in circuito chiuso le posizioni giurisprudenziali sono discordanti. Secondo una minoritaria e discutibile opinione i partecipanti alla competizione sono tenuti a spingere il proprio mezzo al massimo della velocità e sono quindi esonerati dal rispetto di qualunque norma di prudenza, oltreché dal1’osservanza delle norme del codice stradale; con la conseguenza che gli eventi lesivi eventualmente verificatisi a danno degli altri partecipanti o degli spettatori sarebbero, al più, imputabili agli organizzatori od all’imprudenza degli spettatori, qualora sia ravvisabile la colpa nel comportamento di questi ultimi (43). Secondo una maggioritaria e preferibile opinione i partecipanti, benché non siano tenuti all’osservanza delle norme del codice della strada, devono comunque rispettare il regolamento di corsa e le comuni regole di prudenza e perizia richieste per la sicurezza dell’altrui incolumità (44), le quali regole devono tuttavia valutarsi non alla stregua dei comuni criteri di comportamento, ma alla luce delle specifiche esigenze della competizione (45). Per cui essi risponderanno degli eventi lesivi causati dall’inosservanza delle suddette regole. Sicché, nel caso di specie, si tratta di stabilire innanzitutto se l’evento era prevedibile ed evitabile, nonché se, nell’àmbito dell’attività pericolosa svolta, l’evento rientri o meno nell’àmbito del rischio consentito dall’ordinamento. Il giudice istruttore, nell’ordinanza di rinvio a giudizio, ha svolto solo in parte tali considera- zioni. Ed ha escluso ab origine ogni responsabilità del pilota in ordine all’incidente verificatosi sulla base delle circostanze: 1) che la materia delle corse automobilistiche è regolata da specifiche leges artis , che escludono l’applicabilità dei comuni criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, adottando i quali si perverrebbe ad una completa paralisi delle attività stesse, per cui i piloti non sono tenuti all’osservanza delle regole di prudenza normalmente vigenti; 2) che tali regole segnano altresì l’àmbito del rischio consentito dall’ordinamento e dal medesimo accollatosi; 3) che, nel caso di specie, tali regole non erano state violate dal pilota perché: a ) la natura intrinseca della prova imponeva al medesimo di tenere il massimo della velocità consentita dalle condizioni stradali e dal mezzo meccanico, col concomitante pericolo di « testa coda » ed uscite di strada; b) le vetture di gara sono dotate di particolari sistemi di protezione interni ed esterni ben più effìcaci di quelli in dotazione nelle comuni autovetture da turismo; c) i piloti sono dotati, non di una comune patente di guida, ma di una specifica licenza, rilasciata in seguito ad esame attitudinale e visita medico-sportiva psico-fisica. Ma in realtà le argomentazioni svolte dal giudice istruttore non sembrano sufficienti ad escludere automaticamente la sussistenza della colpa, non solo perché non si dà atto se, nel caso concreto, si sia provveduto all’accertamento dei suddetti requisiti (idoneità psico-fisica, specifica licenza di guida etc.). Ma soprattutto, ed in via preliminare, perché se è vero che la « colpa sportiva » è colpa speciale, è pur vero che non vengono esaurientemente indicate le leges artis che regolano la materia e delimitano il rischio consentito. E, pertanto, se il comportamento del pilota in questione e l’evento verificatosi rientrino o meno nell’àmbito di tale rischio. Ed a questo proposito ci sembra opportuno precisare: a) che se per legge le attività sportive in esame debbono attenersi alla predisposizione di adeguate cautele a protezione del pubblico, ciò significa che l’ordinamento non accetta incondizionatamente la possibile verificazione di eventi lesivi dell’integrità fisica o della vita degli spettatori, dipendano essi dal comportamento degli organizzatori o dei partecipanti alla gara; b) che le regole cautelari scritte sopraccitate (sulla idoneità psico-fisica, patente speciale, etc.), non possono considerarsi, alla luce della giurisprudenza sopraccitata, esaustive, dovendo il concorrente rispettare anche le peculiari regole di prudenza e perizia in rapporto alla particolarità del percorso. Sicché si può verosimilmente concludere per la colpa del partecipante, tenuto conto della intrinseca pericolosità del tratto di strada ove si verificò l’incidente e della presenza del pubblico ai lati della stessa. Circa la configurabilità della responsabilità concorsuale per gli eventi dannosi verificatisi nei rallies automobilistici in danno degli spettatori, questa può configurarsi come concorso colposo o concorso di colpe. E tale distinzione, rilevante sul piano della disciplina, é individuabile altresì sul piano ontologico se si ritiene, in conformità ad autorevole dottrina (46), che anche nel concorso colposo, trattandosi pur sempre di concorso di persone nel reato, debba sussistere un legame psichico tra le condotte dei concorrenti. E consistente: a) nella non volontà di concorrere alla realizzazione del fatto criminoso; b ) nella volontà di concorrere alla realizzazione della condotta (comune od altrui) contraria a regole cautelari; c) nella previsione o prevedibilità dell’evento. E questo coeffìciente psicologico consente di distinguere il concorso colposo, da un lato, dal concorso doloso, in quanto l’evento fìnale non è dai concorrenti né voluto né accettato; dall’altro, dal concorso di colpe, in quanto vi è pur sempre la coscienza e volontà di concorrere nell’altrui condotta colposa (47). Ciò premesso, un concorso colposo può ipotizzarsi: a) con riferimento al comportamento dei singoli membri del comitato organizzatore; b) con riferimento al comportamento degli organizzatori e dei partecipanti alla corsa. E, sul primo punto, ci sembra di poter aderire alla conclusione del Tribunale di Bologna, che ha ritenuto sussistente il concorso colposo fra organizzatori. Ciò sulla base delle decisive circostanze che, esclusa, per le ragioni già viste, la delega di funzioni, ogni decisione inerente alla gara era stata collegialmente presa, secondo quanto affermato dal direttore generale, da tutti i membri del comitato organizzatore, anche per quanto concerne la sicurezza della medesima. Sicché ogni membro del comitato è chiamato a rispondere del fatto secondo il principio della pari responsabilità nella partecipazione criminosa, non avendo assieme stabilito di sottoporre il percorso a collaudo e non avendo peraltro disposto l’installazione di alcuna cautela nel tratto di percorso in cui la vettura uscì di strada. Relativamente al secondo aspetto, un problema di concorso colposo fra organizzatori e partecipanti alla gara rispetto agli eventi lesivi verificatisi ai danni degli spettatori, è configurabile allorché i piloti: a) non abbiano osservato le norme cautelari scritte contenute nelle autorizzazioni prefettizie o nelle circolari ministeriali o le norme cautelari non scritte nel senso precedentemente precisato; b) abbiano avuto la coscienza e volontà di partecipare, con la propria azione, alla condotta pericolosa degli organizzatori. Ovvero di partecipare alla gara benché questi ultimi, nonostante l’obbligo loro imposto, avessero omesso di effettuare il collaudo del percorso e di predisporre altresì le dovute protezioni a tutela del pubblico. Aspetti, questi, che non vengono ovviamente trattati dalla sentenza annotata, avendo l’ordinanza di rinvio a giudizio escluso ogni forma di responsabilità dei piloti rispetto agli eventi dannosi verificatisi. GIURISPRUDENZA DI MERIT'O 999 Un concorso di colpe può ipotizzarsi: a) con riferimento ai comportamenti degli organizzatori e dei partecipanti alla competizione, laddove sia escluso il concorso colposo; b) con riferimento al comportamento degli spettatori, vittime dell’incidente. E poiché in caso di concorso di azioni colpose indipendenti ciascun soggetto risponde soltanto del reato monosoggettivo a lui imputabile,allorché si tratti di concorso di colpa della vittima, la circostanza rileverà ai fini della commisura- zione della pena ex art. 133 c.p., oltre che della quantificazione del risarcimento del danno. La valutazione del concorso di colpe viene effettuato dalla sentenza annotata unicamente con riferimento alle condotte degli organizzatori e degli spettatori e risolto in maniera antitetica rispetto ai giudici di primo grado. Il tribunale, in conformità alla tesi prospettata dal giudice istruttore, ritiene sussistente il concorso di colpa delle vittime, addirittura nella misura del 30% , sotto il profilo deIl’imprudenza, affermando che qualunque persona accorta avrebbe dovuto prevedere i rischi connessi alla posizione da essi occupata al margine esterno della curva, giudicata palesemente pericolosa. La Corte d’appello ritiene invece insussistente il concorso di colpa delle vittime, in quanto i due giovani sono entrati nell’area della corsa dal varco ufficiale, senza ricevere, al momento dell’ingresso, alcuna prescrizione od avvertimento; hanno percorso alcuni chilometri a piedi senza che nessuno li ammonisse sulla pericolosità del percorso; hanno visto transitare, prima della gara, una macchina dell’organizzazione, dalla quale però nessuno si premurò di avvertirli del pericolo che correvano; non hanno visto, in quanto non vi erano, cartelli od altri segnali di pericolo. Sicché il loro comportamento non può essere ritenuto in alcun modo concausa dell’evento, che essi si sono limitati a subire. Problema di rilievo, non attinente ai fatti oggetto della sentenza annotata, ma ripropostosi anche in occasione di recenti eventi mortali, riguarda infine la responsabilità verso i parteci- panti alla competizione. Poiché limite precipuo della attività sportiva è il consenso del soggetto, essendo lo sport, per definizione, libera partecipazione e competizione, il problema investe la portata del consenso, analizzabile sotto il duplice profilo: a ) della disponibilità del diritto oggetto del consenso; b) del rispetto dei limiti entro i quali il consenso viene prestato (48). Circa la disponibilità del diritto, di cui all’art. 50 c.p., va subito precisato che, poiché la vita e l’integrità fìsica (oltre i limiti di cui all’art. 5 c.c.) sono beni indisponibili, il consenso dei partecipanti non può escludere la eventuale responsabilità degli organizzatori neppure nell’ipotesi in cui i primi consentano allo stesso rischio della propria vita o delle lesioni eccedenti gli individuati limiti. Poiché inoltre il consenso rileva nei limiti in cui é prestato, la prestazione del consenso alla gara sta a significare, in sostanza, l’accettazione soltanto del « rischio consentito » dall’ordinamento per il fatto che esso ammette tale manifestazione sportiva, sia perché non è pensabile che la volontaria partecipazione alla gara significhi accettazione anche di tutte le manchevolezze degli organizzatori, sia perché il consenso al « rischio giuridicamente non consentito » sarebbe invalido. E, in ultima analisi, il problema si riduce a quello del « rischio consentito » per il tipo di attività sportiva. Pertanto se il soggetto agisce nei limiti del rischio consentito non sarà punibile per l’evento infausto verificatosi per mancanza della colpa speciale, non per la scriminante del consenso dell’art. 50, in quanto il consenso rileva qui come presupposto dell’autorizzazione legislativa dell’attività sportiva e perché si tratta appunto di attività sportiva giuridicamente autorizzata pur se pericolosa, che consente di applicare agli eventi dannosi il più adeguato concetto di colpa speciale. Quanto al delicato problema della misura del rischio consentito, che dovrebbe individuare il punto di equilibrio fra le opposte istanze dello svolgimento dell’attività sportiva ritenuta utile, pur se pericolosa (nella specie: l’offerta di spettacolo), e della tutela dei beni minacciati (nella specie: la vita e l’integrità fisica dei partecipanti), questo è risolto nei casi di adeguata predeterminazione legislativa delle regole cautelari o di adeguate autorizzazioni amministrative, individuanti precise norme precauzionali. Resta, invece, in tutta la sua urgenza, ove tali previsioni legislative od amministrative manchino o siano inadeguate, onde il giudizio sul rischio consentito resta, come già detto, affìdato ai delicati bilanciamenti del giudice, dovendo egli pur sempre individuare il rischio entro limiti umanamente accettabili (49). Nel caso di specie il rischio consentito è segnato dagli artt. 9 c. strad. e 17 reg., dalle circolari 1 ministeriali citate. Ma, non essendo, come già visto, tali norme esaustive, deve essere altresì desunto dalle regole cautelari non scritte applicabili in materia. Con tutti i problemi e diffìcoltà di individuazione del limite del rischio consentito accennati. Come conclusioni alle considerazioni fin qui svolte ci sembra possibile affermare: 1) che se può essere discutibile, consentire ai partecipanti alle corse automobilistiche di mettere a repentaglio la propria vita od incolumità fisica per offrire al pubblico uno spettacolo e procacciare a se stessi un guadagno, come avviene peraltro costantemente non solo nelle manitestazioni in esame, ma anche e soprattutto nelle più professionistiche gare di velocità, è inaccettabile, dal punto di vista giuridico, consentire a chi organizza e partecipa alle gare automo bilistiche, di mettere a repentaglio la vita e l’incolumità dei soggetti che a tali manifestazioni non prendono parte. E ciò sia che si tratti di componenti del pubblico accorsi per godersi lo spettacolo, come nel caso della sentenza annotata, sia che si tratti di casuali passanti, come potrebbe verificarsi poiché consta che, prima dell’inizio della competizione, non è raro il caso di piloti che si allenano in tratti di strada non chiusi al traffico perché non facenti parte del percorso di gara; 2) che tutte le attività sportive pericolose dovrebbero essere minuziosamente disciplinate dal legislatore, proprio perché sportive e quindi non indispensabili, e pericolose e quindi fonti di possibili danni, in quanto bene primario non è tanto l'offerta di spettacolo ma la tutela dei beni fondamentali; 3) che se la legge penale dave avere anche funzione di indirizzo e non deve limitarsi a registrare i cambiamenti della morale e del costume dei cittadini, non può consentire ai soggetti di rischiare la propria vita per mere finalità di divertimento, guadagno e spettacolo, dovendo queste essere ritenute secondarie rispetto alla tutela della prima; 4) che sarebbe comunque più corretto parlare, in tutte le attività sportive pericolose, anziché di accettazione del rischio, da parte dell’ordinamento, posto che non esiste pressoché mai una esaustiva disciplina al riguardo, piuttosto di trasferimento del rischio dell’ordinamento a coloro che le organizzano, i quali, stabilendone le concrete modalità di svolgimento, se ne accollano tutte le possibili conseguenze. E nell’àmbito di siffatte Considerazioni bene si inseriscono le sentenze dei giudici bolognesi, che, attraverso una corretta applicazione degli istituti del diritto penale vigente, sono pervenuti ad un’affermazione di‘ responsabilità degli o rganizzatori per la morte e le lesioni di due giovanissimi spettatori, e che hanno anche una funzione di indirizzo per una futura e più adeguata disciplina della materia. E che comunque costituiscono una fondamentale presa di posizione al fine di richiamare l’attenzione sulla pericolosità delle gare automobilistiche c.d. di « regolarità » e dell’affermazione di principio che eventi lesivi, quale quello verificatosi, possono e debbono essere evitati. ARIANNA CALABRIA Istituto di diritto e procedura penale Università di Firenze V., fra i molti autori che, fin dagli inizi degli anni cinquanta, si sono occupati da1l’argo- mento: Nocciori, D ’isciplina gitiridicn delle gare di velocità, in Eur. dir. sport. , 1952, III, p. 3; Ata i+nsi, Manifestazioni sportive, in Noviss. dig. it. , Torino, 1957, p. 181; Grammi, La responsa- bilità penale nella gare automobil“istiche, io Arch. giur. circ. , 1958, Sport, p. 41 ss.; Gunner, La responsabilità penale nelle gare automobilistiche, in Riv. pen. , 1962, I, p. 662; Da IVLxrri«, Osservazioni su alcuni usi sportivi e turistici dell’automobile, in Riv. dir. sport. , 1968, p. 424; V ss re, zlgoiiismo sportivo e norma penale , in Div. dir. sport. , 1958, p. 181. 16. I dati relativi alla pericolosità delle gare in esame sono stati tratti da11’ordinanza di rinvio a giudizio del giudice istruttore presso il tribunale di Bologna relativa al procedimento penale in questione. 17. L’episodio, di cui trovasi notizia ne « La repubblica » e ne « La gazzetta sportiva » del 23 gennaio 1990, riguarda la morte di un « navigatore » (il compagno di gara che fornisce al pilota le indicazioni relative al percorso), verificatasi a causa della uscita di strada e la conseguente caduta in un burrone dell’auto in cui entrambi si trovavano, durante lo svolgimento del rally di Montecarlo. 15. 18. 19. 20. Dir. pen. , cit., p. 276-248. 21. 22. 23. 24. 25. V.: MAirrovANi, Diritto penali , Padova, 1988, p. 275. V.: MAirrovziii, voce Esercizio del diritto, in Eric. dir. , XV , Milano, 1966, p. 648; lo. , Dottrina e giurisprudenza ritengono che anche il corridore sia tenuto all’osservanza delle 26. 27. 28. 29. 30. G 31. IURISPRUDENZA DI MERITO 32. 33. comuni regole di prudenza e comunque non sia legibus solutus. V ..“ A Bn×esi, op. cit. , p. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 182; Sez. II, 11 maggio 1955, in Giitsi. pen. , 1955, H, c. 978; Sez. IV, 28 maggio 1987, in Arch. giur. circ. , 1988, p. 734. Per un quadro sulle diverse concezioni in materia v. : Fioi‹scu , ?/ trasferimento di funzioni, Firenze, 1985; MANTOvANi, Dir. pen. , cit., p. 149. Sul problema della responsabilità dell’ente-concorrente, titolare cioè dell’iscrizione del veicolo, v.: GABRIRLi, op. cit. , {1. 48. Si tratta di criterio seguito dalla giurisprudenza prevalente. Sul punto v., oltre agli autori citati alla nota precedente: PADCtvniii, Dit itto penali del lavoro, Milano, 1983, p. 63; GiiAsso, Organiz cacione aziendale e rexpoiisnbifiió penale per omesso impedimento dell’evento , in Arch. pen. , 1982, p. 746; In. , Il reato omissivo improprio, Milano, 1983, p. 432. PAnoVANi, op. cit. , [1. 69; Fioeerr , op. cit. , p. 26; MANTOvAiii, Op. N t. Cit. Q. lÀÒ. ’ Su tale criterio, proposto dalla dottrina tedesca, e per un’analisi critica, v.: Giuxsso, Organizzazione aziendale, cit. , p. 751; In., Il reato omissivo improprio, cit., p. 422. Così: PADOVANI, op. cit. , p. 82, 93 e 100. Per un’analisi critica anche di tale soluzione v.: Gn sso, Organizzacione aziendale, cit., p. 749; In., f/ reiz/o nzzi/ss/rn improprio, cit., p. 436; Fioenrr , op. cit. , p. 30 e 54. Nei confronti del presidente, deputato al parlamento, viene sospeso il procedimento e richiesta l’autorizzazione a procedere, a tutt’oggi non concessa. Si segnalano, qui, solo le due teorie causali maggiormente seguite dalla dottrina italiana. Per un quadro delle teorie causali elaborate dalla dottrina tedesca v. : .Aitroiisni, ?/ rapporto di causalità nel diritto penale, Padova, 1934, p. 27 ss.; MAI.ii+vERNl, voce Causalità, in Naviss. dìg. it. , IH, Torino, 1959, p. 40 Ss. ; SiNfsCALcO, vOCé ÙOH8DÌÌtà iH EllC. dir. , DI, 1960, p. 639 ss. Si ricorda infine che secondo il NuvoLoiiE, Il sistema , Padova, 1982, p. 190, si avrebbe causalità quando l’azione, oltre ad essere condicio sine qua non, € altresì idonea, in concreto, a produrre il risultato. Fra i sostenitori della teoria della condicio sine qua non v..- Siecr , Leggi scientifiche e spiegiizioiie causale nel diritto penale , Milano, 1975, p. 100, 227; FiANDAcA-Museo, Diritto penale, Bologna, 1975, p. 105; Fin×n c , Causalità, in Dig. , Il, Torino, 1988, p. 120. Aiiiorisni, op. cit. , p. 178. M Ov i+i, Dir. pen. , cit., p. 175. Ritenuta identificabile con quella di reati commissivi mediante omissione, consistendo questi in mere forme di manifestazione di reati commissivi e non fattispecie autonome. V.: SGUaaI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento , Padova, 1975, p: 80. Sr×sori, L’omìxsione nella teoria della fattispecie penale, Milano, 1975, p. 26, 54 e 60. (19) Sulle divergenze in materia v. per tutti: MANTOv«i+i, Dir. pen. p. 165. V. , per la dottrina italiana: Fiorisce, Il reato commissivo 55. omissione, Milano, 55. omissione, Milano, 56. 57. 1979, ]9. l3Ò; ID. , Reati omissivi e responsabilità penale per omissione, in zlrc/ì. pen. , 1983, p. 3; 58. Gi xsso, Il reato om’issivo improprio, cit., p. 183, nonché: MANiOvAni, Dir’. pen. , cit., p. 193. 59. FiANDACA, Ì/ f‘éDfD Commìxi/vo médiante omissione, cit. 60. reato , cit., p. 250, 251; nonché, in generale: BiiicoLn, Commento all’art. 2S Cost. , in Commeii/iirio alla Costituzione, a cura di Branca, Rapporti civili, Bologna, 1981, p. 242; Rosini+o, Commentai’io sistematico al codice penale, Milano, 1987, p. 35; In., Repressione della condotta antisindacale , Milano, 1974, p. 171; MA×rovziii, op. ult. cit. , p. 86. Comma -. P«GLmRO, Principi‘ di diritto penale, Milano, 1987, p. 390, il quale, benché intenda il principio della riserva di legge come « assoluta » (p. 52), ritiene che tale obbligo possa nascere anche da un regolamento, un contratto in quanto tale, una consuetudine. 61. (23) Tale fonte ha trovato ampio spazio nelle elaborazioni della dottrina tedesca ed italiana 62. meno recente. V., per quest’ultima: ANTOrisEi, L’obbfiQo di impedire l’evento , in Scritti di dii’itto penale , Milano, 1956, p. 317, il quale nel precedente studio L’obbligo di [mpedire l’evento, in Sci’itti in memoi’ia di E. Sassari, Napoli, 1938, p. 130, aveva adottato la soluzione negativa; nonché, recentemente: Getti, Il problema della condotta nei reati omissivi, Napoli, 1980, p. 23; PAGLIARO, op. loc. cit. 63. Per un’analisi critica di tale teoria v.: FiAi+noce, Il i eato, cit., p. 204. 64. (24) Cfr. anche su questo punto, gli autori citati alla nota 20. 65. 66. (25) 67. FlANDAcA, op. uld. cit. , p. 148, ’il quale ritiene che il rigoroso rispetto del principio 67. FlANDAcA, op. uld. cit. , p. 148, ’il quale ritiene che il rigoroso rispetto del principio 68. 69. della riserva di legge in ordine al rapporto di garanzia porterebbe, tra l’attro, ad escludere anche la rilevanza penale di ogni posizione di garante negozialmente assunta. MAeniucci, La colpa per iiiosset-vanza di leggi,. Milano, 1965, p. 101, ed AA. ivi citati; Souaal, op. cit. , p. 150. 71. GAnro, voce Dolo , in Enc. dii . , XIII, Milano, 1964, p. 775; nonché, in riferimento ai 70. 72. 73. 74. 75. 76. 77. 9 78. CASSAZIONE PENALE: 1990 9 9 78. CASSAZIONE PENALE: 1990 79. 80. 81. reati omissivi propri: Nuvoroi+e, Il sistema, cit., p. 168; Czxzccioii, voce Òmissiozie, in /Voriss. dig. 82. if. , XI, Torino, 1964, p. 895. MAiirovwi, Dir. pen. , cit., p. 176, 329. Sulla responsabilità oggettiva « occulta » , cfr. : Mnirrovwi, Responsabilità oggettiva espressa e responsabilità oggettiva occulta, in htm. in. , 1981, p. 456. 85. Sulle diverse forme di colpa v. ampiamente: GnLLo, voce Colpa penale , in Eric. dir. , VII, 1960, p. 624; IVLxRIl'lUCCi, Op. cit. , p. 195; Msirrov i+i, voce Colpa, in Dig. , Il, Torino, 1988, p. 300; In., Dir. pen. , cit., p. 318; MARlxi, Colpa, in Eric. giur. , VI, Roma, 1988, p. 1; Fioescr , voce Responsabilità penale, in Eric. dir. , IX, Milano, 1988, p. 1289. 86. V. su tale ultimo requisito: Airroriscl, Colpa per inosservanza di leggi e responsabilità oggettiva, io Scritti di diritto penale, cit., p. 3,30; PAGLIwO, op. cit. , p. 390. Coziir‹i: Roxiwo, Commentario, cit., p. 393, secondo il quale, anche in presenza di una condotta che viola una regola di diligenza oggettiva, il giudizio dednitivo di colpa va formulato alla stregua delle capacità personali dell’agente. 87. MAeiiiuccl, op. cit. , p. 236; MAirrov ui, voce C’o/po, cit. , p. 309; ID., Dir. pezi. , cit. , p. 83. 84. 88. 89. 33 2. 90. 91. Cfr. gli autori citati alla nota precedente. 91. Cfr. gli autori citati alla nota precedente. 92. V. , con particolare riferimento alle corse automobilistiche: Trib. Firenze, 9 dicembre 93. 94. 1942, in ztrch. giur. circ. , 1956, p. 465, che, pur escludendo nel caso sottoposto a giudizio la responsabilità degli organizzatori, compie una accurata disamina degli elementi che fondano la 95. responsabilità degli organizzatori nonché della eventuale responsabilità dei tecnici preposti al 96. collaudo; GzsRIEt.l, Op. cit. , j3. 46, secondo il quale l’adempimento dei comandi o dei divieti inerenti alle gare automobilistiche non vale ad escludere la responsabilità degli organizzatori, essendo tali comandi o divieti relativi alla pericolosità delle gare automobilistiche in genere, onde non possono comprendere gli aspetti marginali di quella pericolosità che non deve peró sfuggire ai professionisti, unici soggetti in grado di valutare le eccezionali contingenze delle gare; e, in riferimento alle corse ciclistiche: Sez. IV, 27 gennaio 1975, in tim. dir. sport. , 1976, p. 30, che ha ritenuto sussistente la responsabilità degli organizzatori per non avere rispettato le regole cautelari contenute nei regola- menti di gara e non aver dato ai corridori le necessarie segnalazioni riguardanti il percorso. 97. Cost: Mxiii×iicci, op. cit. , p. 195; Muoverti, voce Colpa, cit., p. 307; In. , Dir. pen. , 98. cit. , p. 329; IVLxRtNi, op. ci(. [3. ÌÒ. 99. Sul principio del ire bis in idem cfr. .- MAlfroVANl, ÙOf16’t2f3O e confiitto di norme nel diritto penale, Padova, 1966, p. 3g7. 100. Sul concetto di « rischio consentito » v.: G rro, Colpa, cit., p. 639; MARINUCci, op. HJt. 101. p. 207; BRicorA, Responsabilità penate per il tipo e il modo di produzione, in AA.VV., La responsabilità dell’impresa per i danni all’ambiente e ai consumatori, Milano, 1987, p. 75; FlANDAcA- Museo, Diritto penale, cit., p. 296; P oLuxno, op. cit. , p. 315; di+roVAN1, vOCé ÙOl a , cit., }9. 311; In., om. pen. , cit. p. 334; Sulla distinzione tra « colpa comune » e « colpa speciale » , v. : Mnmo- VANI, YOcé Colpa , cit. , p. 310; In., Dir. pen. 102. 103. op. Così, in dottrina: ArBANcsi, 104. p. 183. 104. p. 183. 105. Sull’applicabilith del concetto di colpa sportiva ai soli eventi lesivi finalisticamente connessi con l’esercizio dell’attività sportiva, cfr. in dottrina: Mnirrov si, Dir. pen. , cit., p. 276; e, sostanzialmente nello stesso senso, Minuti, voce Violenza sportiva, in Noviss. dig. it. , , Torino, 1975, p. 983; Contro: PROTO, Lo rilevanza penalisti€à della violenza nello sport, Palermo, 1987, 13, secondo il quale la « violenza sportiva » sarebbe tale allorché si manifesta durante l’azione di gioco, sia o meno inerente alla struttura ontologica dello stesso. In giurisprudenza si è ritenuto che sussista illecito sportivo non punibile allorché la condotta produttiva dell’evento lesivo sia connessa all’esercizio dell’attività sportiva in svolgimento, essendo azione finalisticamente inserita nello svolgimento della gara. Cfr., in tal senso, Cass., Sez. I, 20 novembre 1973, in hèm. it. , 1975, p. 660, con nota adesiva di I xso'iONI. 107. Sulla punibilità degli eventi lesivi causati dall’inosservanza delle regole del gioco negli sports a base violenta e negli sports a violenza connessa con alto grado di probabilità, cfr.: 108. M ov i+i, Esercizio del diritto, cit., p. 648; Dz FRANcesco, La violenza sportiva Ad i suoi limiti 106. scriminniiii, in tiv. it. , 1983, p. 609. Ouanto al tondamento della non punibilità degli eventi lesivi veridcatisi nonostante l’osservanza delle suddette regole, esso viene individuato da alcuni nella mancanza di colpevolezza, da altri nella sussistenza di una presunzione di non prevedibilità dell’evento, da altri infine nell’impossibilità di considerare antigiuridico un fatto, in quanto realiz- zato mediante una condotta obiettivamente lecita. V. nel primo senso: IVLxNrOvwi, op. ult. cit. , lOc. cit.; nel secondo senso: NuvoLoiic, I limiti taciti della norma penale, Padova, 1972, p. 182; nel terzo senso: Dc Francesco, op. loc. cit. 109. 110. 111. 112. 113. 114. 115. 116. 117. 9991000 119. GIURISPRUDENZ A DI MERITO 118. 9991000 119. 120. 121. Ouanto al fondamento della non punibilità degli eventi lesivi inerenti alla violenza necessariamente connaturata alle attività sportive (violenza-base) esso viene per lo piu individuato nella scriminante dell’esercizio del diritto (V. M irrovANl, of. HÌl. 122. 123. 124. oppure nell’esistenza di una scriminante non codificata (v. Manuale di dii itto penale, 125. Manuale di dii itto penale, 125. 126. Milano, 1985, p. 270; Coencno, Appunti in tema di violenza sportiva , in Giur. it., 1951, p. 318; 128. VAss rLi, op. cit. , p. 183). 129. La dottrina prevalente distingue fra sports a base violenta e sports con violenza connessa in notevole grado, accomunando la seconda e la terza categoria di sports da noi distinte. Cfr. MANTOVANI, O . lOc. cit. ; MAemi, op. cit. , p. 987; oppure fra sports a base violenta o nei quali è consentita l’esplicazione di comportamenti violenti e sports nei quali Ja violenza non è in alcun modo consentita, consistenti però in un’attività intrinsecamente pericolosa, accomunando la prima e la terza delle categorie da noi distinte. Cfr. : Da Fsnircnsco, op. cit. , p. 588; oppure ancora fra sports che implicano l’uso della violenza e sports nei quali l’uso della violenza rientra nel quadro generale dell’illecito. Cfr. : Nuvoroii , op. cit. , p. 178. 130. Cfr., Sez. II, 11 maggio 1955, in Sinist. pen. , 1955, II, c. 978; Trib. Vicenza, 30 giugno 1955, in loro it. , 1956, II, c. 142, con nota S cci; Sez. IV, 26 maggio 1987, in Ciiitr. if. , 1988, H, 131. c. 427, e, in riferimento alle gare ciclistiche, Sez. H, 27 giugno 1950, in liv. dir. sport. , 1950, p. 114, con nota adesiva di GnAii n; Cass., 24 marzo 1958, in zlrc/i. giur. circ. , 1958, p. 69; con nota adesiva di PERSEO; e, per un quadro sulle impostazioni giurisprudenziali in materia: FRATTAROLo, Lo sport nella giurisprudenza, Padova, 1979, p. 426. 127. 132. 133. Cfr. Trib. Brescia, 5 marzo 1954, in Arch. giut. circ. , 1956, p. 480; Giudice istr. Vicenza, 30 giugno 1955, ivi, p. 482; Trib. Firenze, 9 dicembre 1954, in, p. 465. 134. V. Trib. Monza, 30 marzo 1965, in ztrc/ì. pen. 1965, II, p. 507; Trib. Sciacca, 12 aprile 135. 136. 1956, in zlrcfi. giur. circ. , 1958, sport, 61; Sez. IV, 29 1988, ib., 1988, p. 734; Trib. Bari, 137. 1988, ib., 1988, p. 734; Trib. Bari, 137. 138. 22 maggio 1963, in zlrcfi. pen. , 1964, II, p. 71; sulla sussistenza della responsabilità civile, v. 139. F xrrworo, op. loc. cit. Sulla necessità di adeguare i comuni criteri della colpa alle particolari situazioni delle attività sportive, cfr. : Sez. II, 9 ottobre 1950, in Cinisi. pen. , 1951, c. 230; Sez. IV, 29 novembre 1960, in, 1961, c. 590; Cass., Sez. IV, 23 febbraio 1966, in, 1967, c. 1280, nonché, in dottrina: CORDnno, op. cit. , p. 320, secondo il quale la colpa dei partecipanti andrebbe valutata alla stregua delle regole del gioco oltreché delle « norme tacite » di prudenza e diligenza imposte dalla stessa gamma di situazioni particolari nelle quali si articola il gioco. 142. V. , fra gli altri: LA ‹sri rA, Concorso di pei’sone nel reato, in Eric. dir. , VIII, Milano, 1961, p. 581; Io. , Cooperazione nel delitto colposo, ib., X, 1962, p. 609; Nuvoionr, Jl sistema, cit., 143. 404; Muoverti, Dir. pen. , cit., p. 510; PAGriARO, op. cit. , p. 557, 558 e, con particolare 140. 141. riferimento alle gare automobilistiche: GAaiuuri, op. cit. , p. 54. Cozi/iiz: PnDenzzi, Il concorso di persone nel reato, Palermo, 1952, p. 74; BOSCARE£rI, Compendio, Milano, 1982, p. 169. Per un quadro sulle divese opinioni in materia v.: IiisoifiRA, Concorra di per sone nel reato, in Dig. , Il, Torino, ì988, p. 479. 145. Sui requisiti caratterizzanti il concorso colposo v. : MANTOvAiii, O . SÌt. CÌl. {1. il 1. 146. Sul consenso dell’avente diritto v., in generale: Arr viLin, voce Consenso dell’avente diritto , in Noviss. dig. it. , IV, Torino, 1959, p. 116; Psniixzzi, voce Consenso dell’avente diritto , in Enc. dir. , IN, Milano, 1961, p. 140; Riz, 11consenso dell’avente diritto, Padova, 1979; GALris iPiLo, Consenso dell’av.ente diritto, in org. , III, Torino, 1989, p. 72. 147. Su tale non pacifica impostazione, cfr.: MANTOVANI, Dir. pen. , cit. p. 276, 253, 334; sulla responsabilità degli organizzatori nei confronti dei gareggianti, ravvisata dalla giurisprudenza solo. allorché l’evento può farsi risalire all’inosservanza di norme specifiche od a11’omissione di cautele, dovendosi diversamente tener conto della volontarietà dell’assunzione del rischio sportivo da parte 148. dei partecipanti v. : Trib. Bari, 31 marzo 1958, in zl rc/i. giur. circ. , 1958, p. 1047; FRAITAROLO, O . 149. cii. , p. 463: 144. 150. 151. 152. 153. 1000 - Trib. Monza — 15 ottobre 1989 — Pres. La Mattina — Est. Rota — Imp. Montanelli. 154. [1504/12] Diffamazione - Elemento psicologico - Dolo generico - Sufficienza. (C.p. art. 595). 155. 156. 1211 157. 158. 159. 160. 161. 162. CASSAZIONE PENALE' 1990 163. 164. 1) 165. 166. 167. 168. 169. 170. 171. 172. [1504/12] Diffamazione - Reato impossibile - Inidoneità dell’azione - Necessità di un giudizio er zinfe , Uso di espressioni asettiche e di valenza positiva • Insussistenza. (C.p. artt. 49, 595). [1504/28] Diffamazione • Diffamazione commessa col mezzo stampa • Diritto di critica - Eccesso rispetto allo scopo informativo - Esclusione della scriminante. (C.p. artt. 51, 595). [1504/12) Diffamazione - Provocazione - Estremi - Onere di allegazione - Atto politico e normativo Fatto ingiusto - Insussistenza. (C.p. art. 595). [1504/12] Diffamazione - Causa di giustificazione - Consenso dell’avente diritto - Consenso erionea- mente supposto • Assuefazione a critiche violente Insussistenza. (C.p. artt. 50, 59, 595). L’elemento psicol‘ogico della diffamazione si concreta nella consapevolezza della pro- pagazione diffamatoria e della attitudine offensiva del contenuto dello scritto laddove è implicita la volontà in ordine all’evento di pericolo relativo alla ppssibile offesa della reputazione altrui. Si tratta quindi di un dolo generico che non richiede l’animus diffamandi, inteso come fine di ledere la reputazione di un’altra persona, essendo bastevole che l’agente si sia reso conto del discredito che con il suo operato poteva cagionare all’altrui reputazione secondo indici di valutazione proveniente dal giudizio esterno, oggettivo dei percettori del messaggio espressivo (1). 173. In tema di fattispecie di reato impossibile per inidoneità dell’azione ex iirf. 49 comma 2 174. c.p., si deve ricordare che perché un’azione possa considerarsi inidonea è necessario che la sua incapacità a condurre all’evento (che in tema di diffamazione si presenta di pericolo) sia assoluta, intrinseca e origiitor/iz, secondo una valutazione oggettiva da compiersi al momento iniziale dell’azione. Tale potrebbe essere il caso dell’uso di espressioni assolutamente asettiche e addirittura di valenza positiva, avvertite come aggressione del prestigio sociale unicamente dal soggetto al quale le stesse sono rivolte (2). 175. Non si ha l’obbligo giuridico di presentare l’intero fatto nella sua esistenza oncologica, allorquando l’articolo rappresenta più l’esercizio di una critica, e quindi di una interpreta- zione già in atto, piuttosto che la narrazione giornalistica espressa in termini di cronaca. L’esercizio del diritto di critica si deve ritenere escluso allorquando la forma utilizzata non può definirsi civile, presentandosi eccedente lo scopo informativo da conseguire, priva di serenità e non improntata a legale chiarezza. Per questa P OM é anomalia funzionale, la critica perde Ì£I ª8t di esistere e si degrada ad aggressione distruttiva della reputazione. Se infatti critica significa dissenz•o cagionato dall’opinione o dal comportamento altrui, deve ritenersi estraneo all’attività critica ogni apprezzamento negativo motivato da mera animosità personale che trovi pertanto la sua base in un’avversione di carattere sentimentale (3). 176. Per l’esistenza della esimente della provocazione reale ex art. 599 comma 2 c.p., 177. occorrono specifici requisiti che possono così enunciarsi.’ fatto ingiusto iiftrti/; reazione 178. dell’agente in stato d’ira,- rapporto cronologico ed eziologico tra fatto ’sprudenza ingiusto e reazione. 179. Giova ricordare che lu tema dt applicazione di caus’e di Qiustificazione, ltI 8²‘••• pone 180. a carico dell’imputato un compiuto onere di allegazione che ri.on è un vero e proprio onere 181. probatorio in senso civilistico che indichi al giudice tracce tecniche per poter affermare, valutate le risultanze di causa, che la situazione di fatto indicata come elemento scriminante di un reato perfetto risulti rigorosamente provata. In sostanza, anche se un atto politico od una normativa può essere avvertito come ingiusto sotto il profilo soggettivo dai portatori di quegli interessi che magari proprio l’atto stesso tende a comprimere per r’iservare spazio e sviluppo ad altri interessi contrapposti, l’ingiustizia oggettiva dell’atto esiste soltanto laddove vengano vietati i canoni superiori del retto vivere civile (4). 182. La scriminante del consenso dell’avente diritto in forma reale ex art. 50 c.p. presuppone che il titolare del diritto teso’o messo in pericolo abbia prestato un consenso valido e definitivo quanto all’oggetto della condotta illecita, alle sue modalità di estrinsecazione, alla colloca183. 184. 1) 1212