1 1. I risultati di merito fin qui conseguiti dal “Gruppo capacity building”

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1 1. I risultati di merito fin qui conseguiti dal “Gruppo capacity building”
1.
I risultati di merito fin qui conseguiti dal “Gruppo capacity building”
1.1
Le indicazioni del QSN
Il QSN dedica alla governance e al miglioramento delle capacità istituzionali (assieme a
concorrenza ed efficacia dei mercati) la priorità 10 ed, in particolare, l’obiettivo specifico 10.1.1.
che mira a “rafforzare le competenze tecniche e di governo delle amministrazioni e degli enti
attuatori, per migliorare l’efficacia della programmazione e la qualità degli interventi per offrire
servizi migliori alla cittadinanza”. Nell’ambito di questo obiettivo si sottolinea la necessità di
portare a termine i processi di adeguamento organizzativo resi necessari dal nuovo quadro di
funzioni e ruoli, di aumentare la cooperazione istituzionale verticale e orizzontale, su cui si basa
larga parte della programmazione, e di migliorare complessivamente le capacità della pubblica
amministrazione di programmare e attuare gli interventi della politica regionale aggiuntiva. Anche
l’obiettivo 10.1.2 lega fortemente funzionalità e trasparenza dell’apparato pubblico, mentre
l’obiettivo 10.1.3 individua le linee lungo le quali si deve realizzare l’azione di contesto di natura
orizzontale di regolazione, ma anche di supporto operativo, della politica “ordinaria” a sostegno
dell’attuazione della priorità del Quadro.
Dal QSN è possibile rilevare anche diversi ambiti settoriali in cui il tema del miglioramento della
capacità amministrativa viene posto in evidenza. Ad esempio, nell’ambito della Priorità 1
“Miglioramento e valorizzazione delle risorse umane”, della Priorità 3 ”Uso sostenibile e efficiente
delle risorse ambientali per lo sviluppo” e della Priorità 4 “Valorizzazione delle risorse naturali e
culturali per l’attrattività e lo sviluppo” viene ricordata la necessità di rafforzamento e
completamento della pianificazione di settore in questi campi, nonché l’esigenza di armonizzazione
dei diversi strumenti di pianificazione e di miglioramento delle capacità tecniche, organizzative e
gestionali e delle funzioni di governo da parte delle amministrazioni pubbliche. Questi aspetti
mettono in gioco competenze specialistiche settoriali, collegabili ad attività di assistenza tecnica in
senso stretto, ma anche competenze progettuali che riguardano il nesso tra le azioni settoriali e la
politica di sviluppo territoriale.
Il miglioramento delle capacità amministrative emerge come esigenza comune in tutte le priorità del
QSN e come presupposto di base per il raggiungimento degli obiettivi della politica di sviluppo.
Nonostante la mole di risorse finanziarie ed umane attivate nel 2000-2006 appare pertanto ancora
necessario un forte sforzo in questo campo. Questo sforzo nel prossimo ciclo deve riuscire ad essere
più efficace, mediante un’analisi attenta dei fabbisogni, ma anche una riflessione approfondita sul
quadro degli strumenti da utilizzare e sulle modalità di gestione dell’intervento.
In particolare, risulta confermata l’esigenza di articolare la strategia rivolta ad aumentare le capacità
delle pubbliche amministrazioni, da un lato, su azioni di accompagnamento e di supporto tecnico
all’attuazione dei programmi della politica regionale “unitaria” e, dall’altro, su azioni per il
miglioramento strutturale delle capacità (azioni di sistema).
Sulla base di quanto indicato nel QSN, le azioni di accompagnamento e di supporto tecnico saranno
previste nei documenti di programmazione operativa, mentre le azioni di sistema si potranno
programmare e attuare “con riferimento ad obiettivi generali e trasversali a più amministrazioni,
riconducibili alla tutela di interessi comuni nazionali o comunque riguardanti diverse
amministrazioni, legati al conseguimento/condivisione di standard, condizioni omogenee, relativi a
processi di riforma e modernizzazione/evoluzione di specifiche politiche settoriali o territoriali”,
potendo assumere quindi anche veste di programma operativo a sé stante.
A fronte di un diverso percorso programmatorio, si pone l’esigenza di distinguere in modo chiaro
gli ambiti ai quali ricondurre le attività di assistenza tecnica e quelli che richiedono le azioni di
sistema. A partire da questa prima distinzione sarà possibile individuare gli strumenti e le azioni sui
quali va basata la strategia di capacity building, nonché le soluzioni tecnico-procedurali che meglio
possono promuovere l’avanzamento istituzionale. A questo proposito va evidenziato che nel QSN si
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sottolinea l’importanza del principio della sussidiarietà, che deve realizzarsi mediante la
promozione della governance multilivello e di settore e di talune delle forme più avanzate di
partenariato pubblico-privato, già sperimentate nel corso del ciclo di programmazione 2000-2006.
Questo principio dovrà ispirare sia la definizione dei contenuti dei programmi e delle esigenze da
soddisfare, sia le modalità di attuazione e sorveglianza sugli interventi.
1.2
Assistenza tecnica e azioni di sistema: una distinzione necessaria e fondante
Come sottolineato, il QSN mette su due piani distinti le attività di assistenza tecnica e di supporto
operativo, da un lato, e le azioni di sistema, dall’altro lato, affidando a queste ultime il compito di
rafforzare in modo strutturale le capacità amministrative ed istituzionali.
Nel Gruppo Tecnico c’è convergenza su alcuni elementi distintivi dei due tipi di attività.
L’azione di assistenza tecnica si caratterizza come apporto di competenze specialistiche, in genere
di tipo settoriale, destinate a risolvere esigenze puntuali e di breve periodo. Si tratta di un’azione di
accompagnamento e supporto che coinvolge tecnici e specialisti in punti definiti del processo di
decisione e azione amministrativa. Questa azione è diretta a rendere il funzionamento delle strutture
più efficiente, superando difficoltà indotte da una varietà di cause: per esempio – esemplificando
dal più al meno contingente – l’intensificarsi dei carichi di lavoro, l’introduzione di nuove
tecnologie e strumenti, l’adozione di nuove routine, la riprogettazione di interi processi
organizzativi. Dal momento che le difficoltà variano fortemente, per intensità e modi, da un
contesto organizzativo all’altro e da una struttura operativa all’altra, l’azione di sostegno è proposta
nei termini di un “accompagnamento” sensibile a tale variabilità. Questo significa che il sostegno è
modellato nello specifico, in relazione ai fabbisogni di intervento di ogni singolo ambito. L’azione
di accompagnamento e supporto tecnico è progettata e attuata allo scopo di ottenere un
adeguamento rapido dell’azione amministrativa, apprezzabile nel breve periodo.
Va, tuttavia, sottolineato che l’azione di accompagnamento può essere svolta in modo più o meno
favorevole al rafforzamento istituzionale anche di medio-lungo termine. E’ possibile infatti
considerare che tale azione:
(a) tende a favorire tale rafforzamento quando sostiene apparati amministrativi
sufficientemente strutturati e funzionanti evitando di sostituirsi ad essi, mentre non lo
favorisce, o addirittura lo ostacola e lo allontana, quando tende ad assicurare direttamente la
prestazione, ritardando o bloccando il processo, necessario, di adeguamento delle strutture
amministrative ordinarie;
(b) tende a favorire il rafforzamento quando accompagna e sostiene processi di adeguamento di
un certo respiro, come la messa a regime di nuove procedure o strumenti, mentre non riesce
a svolgere un ruolo significativo quando si limita a soddisfare richieste occasionali e
contingenti, a supporto dell’operatività corrente.
Le Azioni di Sistema sono interventi che puntano a un miglioramento strutturale delle capacità dei
sistemi di governo e di attuazione delle politiche. Nel QSN esse sono associate all’interesse, da
parte di più amministrazioni, a conseguire e condividere standard o condizioni omogenee di
consolidamento, sviluppo e innovazione anche attraverso la governance verticale e orizzontale,
ovvero a riformare e far evolvere specifiche politiche settoriali o territoriali. Esse vengono inoltre
associate a “processi di cooperazione e condivisione tra più amministrazioni di fabbisogni e
domande specifiche” e alla “mobilitazione di ‘centri di competenza’ nazionali riconosciuti capaci di
conferire un effettivo valore aggiunto alla programmazione e attuazione della politica regionale”.
Allo scopo di chiarire e rendere più espliciti questi riferimenti, conviene dare evidenza ai seguenti
aspetti:
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(a) le azioni di sistema si distinguono per l’interesse collettivo, trasversale a più
amministrazioni, a risolvere nodi che ostacolano o indeboliscono l’efficienza o l’efficacia
dell’azione amministrativa;
(b) il loro scopo è cambiare l’azione amministrativa in modo profondo e duraturo, agendo al
livello degli approcci, dei metodi e dei modelli che sono considerati adeguati e di
riferimento nell’impostare l’azione;
(c) per perseguire tale obiettivo sono individuate due modalità principali. La prima è la
cooperazione istituzionale: una modalità considerata necessaria in quanto o tecnicamente
indispensabile (come nel caso della condivisione di standard) o praticamente inaggirabile
(nessuna politica è riformabile se non c’è adesione - e un’adesione non marginale - al
progetto riformatore). La seconda modalità è il coinvolgimento di centri di competenza
nazionali, che rimanda a processi di cambiamento cognitivo e di apprendimento.
Tra le azioni di sistema e le azioni di assistenza tecnica è, dunque, possibile individuare diverse
differenze. L’assistenza tecnica può essere erogata alla singola struttura amministrativa senza
necessità di una cornice di cooperazione istituzionale, una eventualità che l’azione di sistema tende
a escludere. Inoltre, il supporto tecnico (assistenza tecnica) aiuta la struttura beneficiaria ad
applicare le routine proprie alle amministrazioni più evolute e meglio organizzate, mentre non
ambisce, come invece è proprio delle azioni di sistema, a ricercare nuove routine più soddisfacenti,
non ancora sperimentate, e a promuoverne l’introduzione.
D’altra parte, la mobilitazione di centri di competenza è un aspetto in relazione al quale le
differenze tra azioni di accompagnamento ed azioni di sistema si fanno più sfumate. Un supporto
tecnico che fosse mirato a problemi a cui una sola amministrazione sia sensibile (e dunque
perseguito senza attivare una cooperazione inter-istituzionale), e fosse tale da realizzare un’efficace
interazione con un centro di competenza qualificato, realizzerebbe un processo di apprendimento in
tutto simile a quelli che le azioni di sistema progettano di favorire. Inoltre, l’esperienza del PON
ATAS e quella maturata con il PON “Azioni di sistema” obiettivo 3 hanno mostrato che
affiancamento consulenziale, produzione di documenti, definizione di procedure, attivazione di task
force sono strumenti che possono essere funzionali all’uno o l’altro tipo di attività. Non sono gli
strumenti in quanto tali a caratterizzare le due modalità di intervento, ma le finalità e il modo con i
quali vengono impiegati.
In sintesi, la differenza sostanziale tra azioni di assistenza tecnica e azioni di sistema non è tanto sul
piano della qualità delle attività svolte o del tipo di mezzi mobilitati, ma della rete di relazioni, più o
meno complessa, che si deve formare. Mettendo in gioco, necessariamente, l’interesse condiviso, la
cooperazione inter-istituzionale e la capacità di governance, le azioni di sistema richiedono la
costituzione di reti complesse e l’attivazione di un insieme ampio di interdipendenze non solo tra
Amministrazioni pubbliche, ma anche tra attori locali e, più in generale, tra organismi pubblici e
privati, che si ripercuotono in soluzioni di governo e coordinamento certamente più impegnative.
2.
L’esperienza della programmazione 2000-2006
L’esperienza maturata con il PON ATAS e con il PON “Azioni di sistema” obiettivo 3, con
riferimento sia al percorso seguito in fase di programmazione che alle problematiche emerse in fase
di attuazione, fornisce utili indicazioni ai fini della programmazione delle attività di assistenza
tecnica e delle azioni di sistema per il periodo 2007-2013.
In particolare, per quanto concerne il PON ATAS vanno sottolineati alcuni aspetti che sono risultati
critici e determinanti per l’efficacia dell’intervento; essi riguardano il processo di determinazione
dei fabbisogni e le modalità con cui le azioni programmate sono state attuate.
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In merito al primo punto, va evidenziato che nella fase iniziale di definizione delle esigenze dei
territori le Amministrazioni centrali, in molti casi, hanno individuato le linee di attività da portare
avanti senza un diretto coinvolgimento delle Regioni. Durante l’implementazione del programma, il
processo di concertazione è stato più intenso e la programmazione degli interventi e delle modalità
di attuazione è stata sempre più guidata dalle richieste delle Regioni, ma la revisione delle attività è
stata il risultato di aggiustamenti successivi rispetto ad una iniziale impostazione dell’intervento che
era stata definita per lo più a livello centrale. Inoltre, la consapevolezza, nel corso dell’attuazione,
della necessità di riorientare l’intervento sempre più verso esigenze puntuali dei territori che
andavano progressivamente emergendo, ha portato in molti casi a soddisfare richieste delle Regioni
con una attenzione non pienamente adeguata ai profili di organicità dell’intervento complessivo.
I principali problemi derivanti dall’esperienza del PON ATAS possono essere così sintetizzati:
a) nella prevalenza dell’offerta nell’individuare e perseguire obiettivi non sempre condivisi tra
Amministrazioni centrali e Regioni;
b) nelle difficoltà delle amministrazioni regionali di definire un fabbisogno all’interno di un
quadro di priorità;
c) nella tendenza delle amministrazioni offerenti e beneficiarie a scambiare (sia nel senso di
confondere, sia nel senso di contrattare) azioni per il miglioramento strutturale delle capacità
con giornate di assistenza tecnica su problemi specifici e con azioni di sostituzione e di
rafforzamento quantitativo del personale;
d) nella conseguente confusione fra azioni mirate al rafforzamento istituzionale della capacità e
azioni di sostegno alle attività di breve periodo, sia nella fase di programmazione, sia, e ancora
di più, nella fase di attuazione.
Il PON ATAS si è contraddistinto, inoltre, per la varietà degli ambiti di intervento, cosa che si è
riflessa nella numerosità dei soggetti coinvolti nell’implementazione del programma e nella
difficoltà di coordinamento delle azioni svolte da diverse amministrazioni nello stesso territorio,
con una proliferazione di progetti nello stesso ambito di intervento, con problemi di
moltiplicazione dei progetti e anche di sovrapposizione. Per esempio, gli interventi che si sono
occupati di sviluppo locale sono stati condotti nell’ambito di una pluralità di iniziative non
collegate tra loro.
Per quanto riguarda le modalità di attuazione, dall’esperienza del PON ATAS è emerso che
l’intervento ha avuto una maggiore efficacia:
•
dove è stata maggiormente operante una regia centrale. Quando questa regia è stata
meno attiva e l’implementazione dell’intervento è stata delegata agli enti attuatori, che
hanno agito in autonomia, gli interventi realizzati e i risultati raggiunti sono stati molto
differenziati tra regioni e qualitativamente meno soddisfacenti;
•
quando le Regioni sono state direttamente coinvolte nella programmazione, esplicitando
fabbisogni e priorità e concordando un percorso da svolgere insieme con
l’amministrazione titolare dell’iniziativa;
•
quando le risorse esterne cui è affidata l’implementazione delle attività hanno stabilito
rapporti di integrazione/collaborazione con le risorse interne alle amministrazioni, non
sostituendosi ad esse;
•
quando si è curato il trasferimento di informazioni, di conoscenze e di prodotti tra i
diversi livelli istituzionali e tra i diversi soggetti coinvolti nell’intervento;
•
quando, infine, all’interno delle Regioni ha operato una struttura dedicata e
responsabilizzata, nella quale alcune persone dotate di un adeguato background di
competenze hanno seguito più direttamente l’intervento e hanno avuto possibilità reali
di sperimentare nuovi comportamenti e metodi. Questo rappresenta peraltro uno dei
fattori di successo delle azioni di sistema realizzate attraverso il PON obiettivo 3.
In generale, dall’esperienza passata si possono trarre 3 importanti indicazioni:
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1. è necessario assicurare ai diversi livelli dell’amministrazione una adeguata capacità di
indirizzo, coordinamento e valutazione dei risultati sul piano dei contenuti specifici e
dell’efficacia delle azioni finanziate;
2. è importante definire in modo chiaro i ruoli svolti dai diversi soggetti coinvolti nelle
attività con una piena responsabilizzazione delle Regioni nella decisione sulle necessità
di intervento nei diversi ambiti e nella definizione delle priorità. Ciò comporta la
necessità da parte delle amministrazioni regionali di mettere a punto un meccanismo che
consenta di raccogliere e coordinare anche le esigenze che vengono dalle diverse
strutture operative e dagli enti locali, al fine di articolare in modo ottimale la domanda.
Allo stesso tempo, anche le amministrazioni centrali devono assumere un ruolo diverso
rispetto a quello assunto nel PON ATAS, rafforzando la capacità di esercitare
effettivamente funzioni di supporto, indirizzo e coordinamento e non di gestione diretta
delle attività. Ciò richiama i problemi di tipo organizzativo (dotazione organica,
adeguatezza delle risorse tecniche, flussi comunicativi, livelli di responsabilità, ecc.)
delle Amministrazioni pubbliche;
3. il disegno operativo delle attività e il sistema di governance sono fondamentali. Se non
congegnati adeguatamente, essi possono determinare una scarsa o nulla possibilità di
incidere in modo permanente sul sistema amministrativo, e ciò è vero sia che si parli di
azioni di assistenza tecnica sia che si faccia riferimento ad azioni di sistema. In primo
luogo è necessario che vi sia un forte grado di interazione tra livello centrale e regionale;
in secondo luogo devono essere ben individuati gli interlocutori responsabili
dell’intervento a livello regionale e locale.
Sempre in riferimento alla programmazione 2000 – 2006, il PON di FSE obiettivo 3 denominato
“Azioni di sistema” (speculare alle azioni di sistema gestite dal MLPS nell’ambito del PON ATAS)
si poneva il macro obiettivo “di sostenere, con una serie di interventi gestiti a livello nazionale, i
principali processi di riforma e di innovazione nel campo delle politiche del lavoro e della
formazione, garantendo ad esse una diffusione omogenea sul territorio nazionale, il necessario
monitoraggio e l'interconnessione dei diversi dispositivi.”
In termini di esiti dell’implementazione del Programma l’osservazione svolta (con specifica
indagine di campo) in un’ottica di analisi delle ricadute degli interventi nazionali sui sistemi
regionali, mette in evidenza una serie di elementi positivi, utili all’individuazione di quei fattori di
successo verso i quali la prossima programmazione dovrebbe orientarsi.
9 la realizzazione e lo sviluppo di sistemi socio-tecnici locali dedicati (ad esempio, le reti dei
referenti/attori significativi) intesi come insiemi di comportamenti organizzativi (creazione di
strutture, posizioni organizzative, organigrammi) orientati al supporto strategico dell’attuazione:
la diffusione di questi comportamenti appare indubbiamente come uno dei fattori significativi
dei processi di cambiamento a livello locale.
9 il miglioramento sensibile della lettura dei fabbisogni organizzativi e professionali finalizzati
all’implementazione delle politiche. Emerge, cioè, una maggiore attenzione ad una pesatura
adeguata del cambiamento in termini di domanda di risorse umane e competenze da utilizzare a
livello locale;
9 la crescita dell’attenzione, a tutti i livelli delle amministrazioni locali, verso i processi di
integrazione tra differenti azioni/aree di policy. A vari livelli questa attenzione all’integrazione
ha consentito la realizzazione di vere e proprie filiere organizzative in aree di interventi
limitrofe (come, ad esempio, l’apprendistato e l’obbligo formativo) che nel loro strutturarsi,
seppur in maniera disomogenea tra i territori e nei territori (es. ai livelli provinciali) per le
ragioni suesposte, hanno posto nuove domande e individuato nuovi bisogni in relazione alle
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3.
strategie attuative e, soprattutto, in relazione alla gestione dei progetti e alle forme della
governance locale;
lo sviluppo e la diffusione di tecnologie di supporto all’attuazione (es. repertori, manuali,
rapporti di ricerche, banche dati, linee guida, siti web). Veicolo fondamentale della maturazione
dei sistemi locali è rappresentato dall’insieme degli strumenti, delle scoperte, delle
modellizzazioni realizzate attraverso le azioni di sistema nazionali;
il rafforzamento della presenza di forme knowledge management locale. Vengono costituite a
livello locale forme di conoscenza e saperi che si depositano in varie forme all’interno delle
amministrazioni e che consentono la creazione e diffusione, per ora prevalentemente
interstiziale, di comportamenti esperti che facilitano l’affermazione e la diffusione delle
innovazioni soprattutto in ambito regolativo. Si evidenziano alcuni snodi/criticità in relazione al
ruolo esplicito/implicito delle assistenze tecniche come depositi, per molti versi, esclusivi di
informazioni e di conoscenze sul funzionamento dei sistemi. Tale criticità richiama la questione
della mancanza di un adeguato turn over naturale all’interno delle Amministrazioni pubbliche;
la nascita e il consolidamento di tavoli locali e nazionali di coordinamento. Attraverso di essi si
intensificano forme di negoziato tipiche della multilevel governance ma, altresì, si veicolano
nuove acquisizioni, si stabilizzano innovazioni, si definiscono i contorni delle “cose che
verranno”. Essi, più in generale sembrano consentire ai referenti/partecipanti alla differenti
comunità di pratiche di disseminare le conoscenze e i saperi tecnici, negoziare significati,
rappresentarsi e riconoscersi soggettivamente nelle attività e realizzare forme di apprendimento
attraverso la partecipazione ad una pratica sociale fortemente condivisa.
lo sviluppo di forme di benchmarking e di cooperazione tra pari. Si sviluppano ambiti di
confronto/competizione sulle scelte politico-istituzionali, regolative, tecniche, organizzative
operate nei singoli ambiti locali;
il consolidamento di specifiche comunità di pratiche. La comunità di pratiche configura uno
degli ambiti di osservazione delle relazioni che si stabiliscono fra il contesto generale del
programma e quello locale. Esse si costituiscono come luogo di mediazione e di negoziazione e
di aggregazione tra attori nazionali e regionali in relazione allo sviluppo di metodi e soluzioni
condivise. In tal senso le azioni di sistema individuano in maniera piuttosto diffusa un attore
emergente nel referente regionale, preposto allo sviluppo del sistema, a cui demandare la
promozione e il consolidamento di forme aggregazione della governance locale a
presidio/gestione del processo di trasferimento (e adattamento locale) dei dispositivi condivisi.
Tali referenti, che solitamente all’interno dei contesti organizzativi di riferimento occupano
posizioni intermedie a cavallo tra i processi di programmazione e quelli di gestione, svolgono in
prevalenza la funzione di tradurre le scelte “tecniche” individuate, sia in linguaggio politico
(diretto al governo dei sistemi regionali) sia in linguaggio attuativo (diretto agli attori sociali) e
formano di per sé, per il fatto di condividere linguaggi, metodi e problemi comuni, una specifica
comunità professionale “multicompetente”, che assume una valenza strategica nello sviluppo
complessivo dei sistemi locali.
Le azioni per la costruzione e il rafforzamento delle capacità
3.1
Un percorso per la nuova programmazione
Alla luce dell’esperienza del PON ATAS, del PON ob.3 “Azioni di sistema” e delle priorità del
QSN, le azioni da intraprendere per la capacity building vanno, dunque, costruite seguendo un
percorso che, partendo dalla individuazione degli ambiti di intervento, si preoccupi di definire in
modo chiaro il modello di attuazione e la governance del sistema.
A partire dalla necessaria distinzione sopra richiamata, un punto da affrontare in via preliminare
riguarda il rapporto tra attività di assistenza tecnica e azioni di sistema. Nella programmazione in
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corso, questa distinzione non ha sempre operato in modo univoco e questa mancanza di chiarezza
nell’impostazione non ha facilitato la pur necessaria integrazione tra questi due piani di intervento
che devono rientrare in una strategia unitaria in cui obiettivi di breve e di medio-lungo termine
siano tra loro collegati.
Al fine di superare queste criticità il percorso di programmazione deve tener conto dei seguenti
requisiti:
I. la necessità (eventualmente supportata da un’azione di cooperazione istituzionale) che ogni
amministrazione fissi obiettivi chiari per le azioni di sistema e per le azioni di assistenza
tecnica, in un quadro di chiara distinzione fra le due linee di attività;
II. l’esigenza di ricondurre quanto più possibile alla responsabilità totale dell’amministrazione
titolare di programma operativo, le azioni di assistenza tecnica, sia sotto il profilo delle
scelte, sia sotto il profilo finanziario: dipenderà dalla auto-valutazione dei propri deficit
quali-quantitativi di capacità operative immediate (dunque dal riconoscimento della propria
debolezza operativa) l’ammontare di supporto tecnico che ogni amministrazione attiverà.
Sull’assistenza tecnica la cooperazione istituzionale è ridotta al minimo: ruolo del centro può
essere solo quello di osservazione per promuovere trasparenza e pubblicità alle scelte che
ogni amministrazione farà e il rispetto dei principi di concorrenza;
III. per quanto riguarda le azioni di sistema occorre, invece, promuovere quelle innovazioni che
consentano di assicurare, già nella fase di programmazione, ma poi soprattutto nella fase
attuativa, maggiore coordinamento delle attività e loro rendicontabilità (nel senso di
accountability) in termini di risultati. Bisogna, quindi, innovare sul piano della corretta
programmazione (domanda, offerta, risultati attesi, modalità di valutazione e verifica in
itinere e così via) e anche, però, di governance e quindi di strumenti.
In sintesi, le attività di assistenza tecnica funzionali all’attuazione della politica regionale aggiuntiva
devono fare riferimento prevalentemente alla programmazione regionale (e nell’ipotesi di
programmi operativi nazionali anche a questi ultimi), mentre le azioni di sistema, per la loro natura
di intervento strutturale, a valenza multiregionale e con connotati fortemente orientati alla multilevel
governance, di rafforzamento coordinato di specifiche aree e/o di tutela di profili di omogeneità
dell’intervento complessivo, devono, necessariamente, essere programmate a livello nazionale.
In particolare, in relazione alle azioni di sistema il percorso programmatorio deve tener conto di
alcuni punti fermi:
1. date le caratteristiche della programmazione dei fondi strutturali e data la necessità di azioni
di sistema che riguardano ambiti e tematiche diversi e che fanno capo al FESR e al FSE,
sarà necessario predisporre programmi operativi nazionali distinti, seppur coordinati;
2. la programmazione delle azioni di sistema deve rispondere ad un approccio “per policy”,
concentrando l’intervento su priorità rigorosamente selezionate in funzione della strategia
complessiva, da un lato, e facendo discendere da queste priorità l’individuazione dei soggetti
da mobilitare, dall’altro lato. Concentrazione e selettività sono del resto requisiti
indispensabili per migliorare la capacità di coordinamento e controllo delle attività;
3. nel quadro di intervento “per policy” il processo di programmazione deve basarsi su
un’attenta analisi del problema sul quale si intende intervenire (a chi rivolgere l’azione e
perché, con quali scopi e con quali risultati attesi), deve esplicitare un modello di analisi che
identifichi le modalità di intervento, le condizioni e i meccanismi con i quali l’Azione di
Sistema produce i suoi risultati, deve mettere a punto un conseguente e coerente disegno
operativo e deve, infine, prevedere anche un sistema di verifica del modello ipotizzato.
Un nodo da affrontare è prevalentemente di tipo procedurale e riguarda l’individuazione, oltre che
delle policy sulle quali concentrare l’intervento, delle specifiche esigenze da soddisfare e dei
soggetti che devono essere coinvolti con diverso ruolo e funzioni.
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Gli ambiti di intervento per i quali si rende necessaria un’azione di sistema vanno definiti a partire
dalle priorità del QSN, dai documenti strategici preliminari, regionali e centrali, e dai programmi
operativi e devono fare riferimento a esigenze comuni a più amministrazioni regionali. Rispetto a
queste esigenze possono verificarsi due differenti situazioni per le quali può essere opportuno
attivare un programma nazionale di azioni di sistema:
a) ambiti per i quali si richiede uno sforzo di omogeneizzazione dei sistemi regionali.
Può essere, a titolo esemplificativo, il caso dei sistemi di formazione e delle modalità
di collegamento tra sistema di istruzione, formazione e lavoro;
b) ambiti per i quali è opportuna un’interazione tra istituzioni, in verticale e in
orizzontale, allo scopo di migliorare i modelli di definizione e attuazione delle
politiche.
La scelta delle priorità sulle quali concentrare i programmi di AS coinvolge amministrazioni
centrali e regionali che dovranno anche definire ambiti territoriali di riferimento. Una volta assunte
queste decisioni, l’esplicitazione della domanda, a partire dalla quale dovrà essere definito il
programma, coinvolge in misura maggiore/minore le amministrazioni nazionali o regionali in
relazione alla valenza territoriale dell’intervento. Nel caso di tematismi che hanno una valenza
nazionale, la strutturazione della domanda potrà vedere un ruolo maggiore delle amministrazioni
centrali (il che non esclude l’apporto da parte dei territori); al contrario, se la dimensione del
problema è più circoscritta, la domanda “strutturante” dovrà essere espressa dalle Regioni (il che
non esclude l’apporto da parte delle amministrazioni centrali).
Definiti gli ambiti, l’individuazione delle azioni puntuali e delle modalità di intervento vedrà un
ruolo significativo dei “centri di competenza”, identificati caso per caso, in relazione a ciascuna
problematica oggetto di programmazione. I centri di competenza, come sottolineato più avanti,
rappresentano il “luogo” in cui si concentrano conoscenze e competenze su una specifica tematica e
potranno avere ruoli e compiti diversi nella programmazione, nell’implementazione del programma
e nella definizione delle singole attività, in relazione alla loro natura ed organizzazione, da un lato, e
alle esigenze dell’intervento, dall’altro lato, andando dalla definizione di indirizzi, all’apporto e
trasferimento di conoscenze, alla funzione di catalizzatori di processi, al coordinamento della fase
di attuazione. In ogni caso, rispetto alle funzioni istituzionalmente svolte dalle amministrazioni
centrali, il loro intervento deve rappresentare un effettivo valore aggiunto per l’attuazione del
programma e per la politica regionale unitaria.
Le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi di crescita istituzionale e gli strumenti da mettere
in atto dovranno essere inquadrati all’interno di uno schema logico che consenta di evidenziare le
relazioni causali che esistono tra le diverse realizzazioni e gli obiettivi che si intende raggiungere,
nonché gli elementi che possono condizionare i risultati delle azioni messe in atto.
Nell’esperienza del PON ATAS, per esempio, come si è già detto, l’efficacia degli interventi è
risultata strettamente correlata, oltre che alle modalità del processo di concertazione, al tipo di
strumento utilizzato, alle caratteristiche strutturali ed organizzative degli uffici coinvolti, alle forme
di relazione che si sono stabilite tra i diversi livelli istituzionali e tra i soggetti coinvolti a vario
titolo nell’intervento. Mettere in chiaro questi rapporti potrà aiutare ad avere un quadro organico
dell’intervento e a prevedere azioni su fattori che ne potrebbero limitare l’efficacia. E’ necessario
anche stabilire meccanismi di aggiornamento del quadro dei fabbisogni, da un lato, e di controllo e
valutazione dei risultati, dall’altro lato.
In generale il modello di programmazione e di attuazione deve massimizzare l’interazione
cooperativa tra le parti e deve ispirarsi ad un processo di apprendimento basato sul confronto e sul
dialogo.
A livello di programmazione vi deve essere una forte condivisione degli obiettivi e delle strategie
da perseguire al fine di pervenire ad un intervento più direttamente collegato non solo alle esigenze,
ma anche alla diversa capacità di recepimento dei singoli contesti territoriali.
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A livello di attuazione i centri di competenza devono essere in grado di interpretare in modo
autonomo indirizzi definiti a livello centrale e devono essere definiti in maniera puntuale i requisiti
che il soggetto che beneficia dell’intervento deve possedere affinché si produca un’interazione
efficace.
Appare utile, in questo processo, che l’interazione cooperativa sia regolata in qualche modo, anche
se è chiaro che il tipo di regolazione non può essere rigido o basato su routine, ma deve garantire
che ci sia una possibilità di adattamento alle specifiche situazioni territoriali.
Un aspetto che non va trascurato nel processo è la previsione di momenti di controllo e di verifica
che possono riguardare diversi elementi. In primo luogo la coerenza dei progetti messi in atto a
livello territoriale rispetto agli indirizzi definiti a livello centrale e la pertinenza degli strumenti
rispetto agli obiettivi previsti; in secondo luogo l’efficacia dei modelli organizzativi adottati e il
livello dei risultati raggiunti, prevedendo sin dalla fase di programmazione modalità di controllo del
modello causale ipotizzato nella strategia di intervento.
3.2
I “centri di competenza”; requisiti di competenza e di capacità
Un punto cruciale di un programma che segua l’impostazione “per policy” riguarda i criteri di scelta
dei centri di competenza e il ruolo che ad essi dovrà essere affidato nella definizione delle azioni da
intraprendere e nell’attuazione dell’intervento. E’ importante stabilire come si connota un centro di
competenza, quali strutture possono farne parte, su quali materie e aspetti tali centri dovrebbero
dare il loro contributo, in che modo i centri di competenza devono relazionarsi con il territorio, da
un lato, e con le amministrazioni centrali titolari delle azioni di sistema, dall’altro lato. Una
riflessione comune su questo punto deve portare non tanto ad individuare i singoli centri di
competenza, quanto a definire i criteri per riconoscere ed attivare un “centro di competenza” (profili
di specializzazione e giuridici), dare indirizzi su come procedere per abbinare centri di competenza
ed ambiti di intervento, stabilire gli elementi essenziali che devono caratterizzare le modalità di
interazione tra i diversi soggetti coinvolti nell’attuazione.
Il QSN contiene numerosi riferimenti ai “centri di competenza”, sia nelle parti dedicate in specifico
al rafforzamento istituzionale, sia nelle parti di analisi e di esplicitazione delle priorità strategiche.
A scopo esemplificativo si richiama, di seguito, qualche passaggio:
(i) La scarsa innovazione che affligge il sistema produttivo è fatta risalire, tra le altre cose, a una
carenza di relazioni stabili tra le imprese e i grandi centri di competenza. (ii) L’azione di
valorizzazione delle risorse naturali e culturali, per essere efficace, deve poter fare affidamento sul
contributo di centri di competenza che forniscano le necessarie “tecnologie” al processo di
valorizzazione e attuazione. (iii) La dimensione locale dei progetti di sviluppo deve aprirsi al
contributo di conoscenza esterna detenuta dalle Università, dai gestori di multi-utilities, dai
mediatori dei flussi internazionali di turismo, dai centri di competenza e dalle istituzioni italiane
all’estero. (iv) Il successo dei sistemi produttivi locali dipende dalla loro capacità di
interconnessione con le reti lunghe, di interazione con i sistemi più evoluti e innovativi, dal grado di
apertura della progettazione locale a centri di competenza e soggetti nazionali forti. (v) Potenziare
la capacità attrattiva dei sistemi locali richiede una stretta collaborazione delle Regioni con centri di
competenza nazionali adeguati a reggere gli standard e la tensione competitiva del confronto
internazionale.
In tutte queste affermazioni i centri di competenza sono evocati come agenti esterni all’ambito
locale-regionale (o anche nazionale), significativi sul piano delle conoscenze che possiedono, ma
anche delle reti di relazioni in cui sono inseriti, dei circuiti di monitoraggio del mercato a cui
contribuiscono, o dell’azione da essi stessi sviluppata, da protagonisti, in taluni segmenti di attività
economica.
L’accezione di “centri di competenza” appare dunque ampia. Più che sulla loro caratterizzazione
soggettiva (pubblica o privata, legata a una missione scientifica, educativa, tecnologica, mercantile,
e così via), il QSN batte l’accento sul contributo che essi potrebbero offrire, accanto ad altri
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soggetti, al rafforzamento di segmenti di politica regionale che, nel corso della programmazione
2000-2006, sono apparsi deboli. Ed è principalmente sotto il segno di una “apertura”, un accesso a
esperienze importanti, quanto poco o per nulla conosciute, il tipo di apporto che essi fornirebbero:
un contributo diretto soprattutto a rompere l’autoreferenzialità di alcuni processi decisionali.
Nel raccomandare la mobilitazione dei centri di competenza, il QSN non entra nel merito delle
condizioni e delle soluzioni allo scopo efficaci. Esaminare questi aspetti sarà parte essenziale e
preminente della “politica per il rafforzamento istituzionale”. E’ infatti proprio in sede di
definizione di tale politica e, in particolare, nella fase della sua formulazione, che tale questione
dovrà essere affrontata.
Il contributo dei centri di competenza sarà efficace, in quanto consentirà di ottenere un effetto di
abilitazione: porre in grado i beneficiari di analizzare più lucidamente i propri problemi e progettare
meglio. Funzionerà, cioè, se sarà occasione di apprendimento, laddove il modello cui si fa
riferimento è quello del cosiddetto apprendimento interattivo che si produce grazie ad una
significativa interazione tra i soggetti coinvolti, allontanandosi molto dal “copiare e imitare” e
consistendo, piuttosto, nel dialogare tra diverse forme di conoscenza. La mobilitazione dei centri di
competenza può, dunque, essere interpretata nei termini di un dialogo tra conoscenze diverse,
diretto a promuovere l’apprendimento interattivo. Su come organizzare l’interazione affinché essa
produca effettivamente apprendimento e con quali tempi, modalità e metodi, condizioni
irrinunciabili da assicurare a garanzia della qualità dei processi, sarà necessario, come già
sottolineato, lavorare in sede di compiuta formulazione della policy di rafforzamento istituzionale.
3.3
La governance del sistema
3.3.1 Rendere il sistema più coordinato, cooperativo, efficace
La passata programmazione ha mostrato come la mancanza di coordinamento si ripercuota in una
minore efficacia dell’intervento. Da questa esperienza è possibile trarre un’indicazione precisa
sulla necessità di concentrare le azioni su alcune (poche) tematiche e su alcuni interventi guida.
Tanto più aumenta la varietà degli interventi, tanto maggiore dovrà essere lo sforzo in termini di
governance del sistema e di strutturazione delle forme di coordinamento.
Il coordinamento necessario coinvolge due diversi livelli.
A livello centrale è necessaria una struttura di coordinamento che assicuri la coerenza degli
interventi portati avanti nei diversi ambiti oggetto di Azioni di Sistema, ma anche tra queste e le
politiche di sviluppo più in generale. Questa struttura deve racchiudere anche le funzioni di
indirizzo e dal punto di vista della composizione deve comprendere sia le amministrazioni
responsabili della programmazione e dell’attuazione degli interventi, sia le Regioni.
A livello regionale la funzione di coordinamento deve garantire la coerenza nella programmazione
e nell’attuazione degli interventi sul territorio. Sulla scorta dell’esperienza in corso e anche di
riflessioni avviate con singole Regioni, l’idea sulla quale sembra possibile lavorare è quella di
riportare a livello regionale, con un sistema di gestione operativa nel quale si attui la necessaria
attività di cooperazione istituzionale, una programmazione unificata delle azioni di sistema per la
capacity building (comprensiva dei rilevanti profili di Assistenza tecnica) che, di fatto e sul piano
sostanziale, realizzi le condizioni per un pieno coordinamento della molteplicità di azioni che si
porranno in essere. Per fare un esempio relativo ad alcune azioni che sono in atto nella fase di
programmazione in corso, andrebbero collocate in un contenitore logico unitario, a livello di
singola Regione: le diverse azioni del PQ di Sviluppo Italia1, le diverse azioni del programma
Empowerment, le azioni sui PIT realizzate all’interno del PON ATAS o con il FAS, ma anche altre
azioni a carattere di sistema finanziate a valere sul FAS (risorse messe a disposizione delle regioni
1
Per gli Studi di fattibilità, per il supporto alla committenza pubblica, per l’internazionalizzazione ed il marketing.
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per APQ, ovvero risorse FAS per azioni di sistema attribuite direttamente alle amministrazioni
centrali).
Una gestione regionale unitaria, sia in fase di programmazione che di attuazione implicherebbe la
definizione di una governance forte e anche operativa, improntata a una forte cooperazione
istituzionale sia con le strutture centrali che con l’apparato regionale e i livelli subregionali. Una
esperienza recente a cui ispirarsi in proposito è quella dell’accordo di programma quadro per le
azioni di sistema, quale possibile ipotesi di lavoro per coordinare e finalizzare le diverse linee di
Assistenza tecnica e azioni di sistema gestite a livello centrale a beneficio della Regione.
3.3.2 Il coordinamento generale e il coordinamento a livello regionale: profili di
cooperazione istituzionale e operativa
Un aspetto su cui occorre fare un’attenta riflessione riguarda come un programma che miri al
rafforzamento della capacità amministrativa debba essere implementato affinché possa avere la
massima efficacia. Le indicazioni emerse nel Gruppo Tecnico hanno sottolineato alcuni elementi:
1. un intervento sulla capacity building incentrato sulle Azioni di Sistema non può che
vedere impegnati, come autorità di gestione a livello nazionale, le due
amministrazioni capofila di fondo (Ministero del Lavoro e MiSE DPS), con
l’interlocuzione del coordinamento unitario a livello territoriale in tutte le Regioni e
il supporto del DFP in virtù delle sue competenze istituzionali. Seppure ricondotti a
distinti strumenti di programmazione, in ragione della natura monofondo del ciclo
2007-2013, i programmi saranno inquadrati nell’ambito di una strategia unitaria e
dovranno prevedersi modalità di coordinamento strategico anche in fase di
attuazione, al fine, da un lato, di massimizzare il raccordo e le sinergie dei due
programmi, dall’altro lato di evitare problemi di sovrapposizione dell’intervento;
2. una strategia organica di rafforzamento della capacità amministrativa richiede
un’unitarietà delle Azioni di Sistema volte a supportare i processi di nuova
governance in atto e, nel contempo, una calibratura degli interventi in ordine tanto
alle priorità del QSN quanto alle specificità delle Regioni ‘Convergenza’,
Mezzogiorno e ‘Competitività’. Ciò si traduce nella necessità di un’interazione
stretta tra amministrazioni centrali e regionali e, dunque, nell’opportunità di pensare
ad una struttura che coinvolga i diversi livelli istituzionali interessati, che sia il luogo
in cui le scelte vengono concordate e in cui si realizza il coordinamento delle attività
trasversali in un’ottica unitaria;
3. è necessario che vi sia una regia unica delle attività portate avanti a livello
territoriale. Per realizzare l’unitarietà dell’intervento in ciascuna regione sarebbe
opportuno istituire una struttura che veda la partecipazione di tutti i referenti
regionali interessati all’intervento e dei diversi centri di competenza che
intervengono a livello regionale2;
4. il rafforzamento della capacità amministrativa non può essere appannaggio della sola
componente comunitaria delle politiche regionali, ma deve mobilitare sia la
componente nazionale del Fondo Aree Sottoutilizzate (nei suoi diversi strumenti, a
partire dalle risorse per azioni di sistema messe a disposizione delle AACC e di
quelle programmabili in APQ), che le politiche ordinarie legate ai temi oggetto delle
singole priorità indicate nel QSN (le AACC per le loro attività istituzionali già si
avvalgono di enti ed istituti collegati che rappresentano una prima mappa dei Centri
di Competenza mobilitabili nell’attuazione delle AS). La governance del sistema
2
Un modello di riferimento in questo senso potrebbe essere il Comitato di coordinamento del programma “Empowerment”
finanziato con il FAS che riunisce, con funzioni strategiche, le Amministrazioni centrali titolari delle linee di intervento e le regioni
del Mezzogiorno che ne sono beneficiarie.
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dovrà essere opportunamente adattata in relazione alle modalità di integrazione di
queste politiche.
E’ quindi nel quadro di queste modalità di coordinamento e cooperazione che potranno essere
assicurati i requisiti di selettività e concentrazione degli ambiti di intervento, nonché individuati i
soggetti che, caso per caso, dovranno essere mobilitati, previa verifica della concreta capacità, e
quindi delle risorse tecniche attivabili per svolgere le funzioni richieste.
E’ sempre in questo ambito e con queste modalità che saranno individuati i centri di competenza
nazionali da coinvolgere nell’implementazione del disegno, sulla base di una rigorosa valutazione
dei requisiti richiamati al par. 3.2.
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